Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 18 maggio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nell'era dell'interazione, dell'interconnessione e della conoscenza, la libera circolazione del sapere e il «fare rete» rappresentano un aspetto determinante per il pieno sviluppo della nuova società. In questa prospettiva, gli enti di formazione culturale, come le università, devono assumere un ruolo fondamentale;
    l'offerta didattica digitale terziaria, sia in Europa che nel resto del mondo, sta progressivamente aumentando, sia attraverso la nascita di servizi a pagamento che grazie alla creazione di piattaforme on-line fruibili gratuitamente. In Italia esistono vere e proprie università telematiche, oltre che diverse esperienze basate sulla didattica a distanza, che offrono ormai da anni la possibilità di svolgere corsi direttamente sul web. La gran parte di queste università sono enti sostanzialmente privati; per loro, come per gli atenei statali, l'attivazione di ogni corso di studio avviene attraverso un accreditamento iniziale, previa verifica di determinati requisiti. Anche le università pubbliche hanno attivato, anche se in maniera differente, corsi di didattica on-line, arrivando talvolta a creare veri e propri enti di formazione telematici pubblici. Queste esperienze sono in parte classificabili come Mooc (massive open online courses corsi aperti online su larga scala), anche se la frontiera di sviluppo potenziale è molto più ampia;
    le principali realtà sono:
     i Mooc dell'università Ca’ Foscari, aperti a tutti, in forma gratuita che consentono di poter acquisire un attestato di frequenza;
     Federica WebLearning, la piattaforma e-learning realizzata dall'Università degli Studi di Napoli Federico II, con corsi in italiano e inglese, gratuiti e aperti a tutti;
     Polimi Open Knowledge, la piattaforma Mooc con contenuti messi a disposizione gratuitamente dal Politecnico di Milano, con una offerta che comprende corsi di raccordo per tre passaggi significativi nella formazione: dalla scuola superiore all'università, dalla laurea alla laurea magistrale e dall'università al mondo del lavoro;
     Trio, il sistema di web learning della regione Toscana con circa 1.900 corsi gratuiti e un insieme di servizi formativi per accrescere le conoscenze e per acquisire certificazioni professionali;
     Eduopen, il progetto che si basa sull'esperienza dei Mooc, che fornisce corsi di livello universitario realizzati dalla rete di 14 università italiane e co-finanziata dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca; la frequenza ai corsi è aperta a tutti ed è gratuita. Gli «studenti» possono ottenere, alla fine del percorso, vari livelli di attestati o certificati: attestato di partecipazione, certificato verificato o crediti formativi universitari (CFU);
     EMMA, ovvero « European Multiple MOOC Aggregator», il progetto coordinato dall'Università degli Studi Federico II di Napoli in cui sono disponibili alcuni corsi gratuiti in italiano. Per alcuni altri corsi è disponibile una traduzione automatica (con sottotitoli) in italiano;
     OpenUpEd, la piattaforma di cui è partner l'Università telematica internazionale Nettuno, iniziativa Mooc con il sostegno della Commissione europea. Alcuni corsi sono disponibili in lingua italiana;
     i Mooc dell'Università Ca’ Foscari, aperti a tutti, studenti e altri utenti. La partecipazione ai corsi online è gratuita ed è disponibile anche sul canale youtube;
    le iniziative in ambito europeo sono diverse ed alcune hanno come partner università italiane, come ad esempio Coursera, una piattaforma Mooc fondata dai professori di informatica Andrew Ng e Daphne Koller della Stanford University che ha più di 150 università internazionali quali partner della piattaforma stessa, tra le quali anche l'Università di Roma La Sapienza e l'Università Bocconi di Milano;
    le università operanti esclusivamente per via telematica in Italia sono undici, in gran parte istituite su iniziativa di soggetti privati nel corso del triennio 2004-2006 e sono: Pegaso Università telematica, Università degli studi Guglielmo Marconi, Università San Raffaele, Università telematica Internazionale Uninettuno, Università degli studi eCampus, Universitas Mercatorum, Università Telematica unitelma Sapienza, Università degli studi Giustino Fortunato, Italian University Line, Università degli studi Niccolò Cusano – Telematica Roma, Università Leonardo Da Vinci;
    la normativa «che riguarda gli atenei telematici è frutto di numerosi interventi legislativi e regolamentari che, di volta in volta, si sono occupati di disciplinare singoli aspetti e per questo hanno dato vita, quindi, ad un quadro frammentato, incompleto e disomogeneo;
    ciò ha prodotto inizialmente numerose problematiche in merito all'accreditamento dei corsi di studio di questi atenei telematici, tant’è che il rifiuto di accreditare nuovi corsi di studio da parte del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca è motivato con la tutela della qualità dell'offerta formativa. Sul punto, tuttavia, è più volte intervenuta la giustizia amministrativa spesso per colmare vuoti legislativi;
    alle attività formative frontali delle università e ai corsi e-learning degli atenei telematici, attraverso l'utilizzo delle attuali tecnologie disponibili e della connettività internet, è possibile affiancare un sistema che fornisca ed eroghi corsi aperti e gratuiti in modalità multimediale e multilingue, realizzati dalle università italiane, dalle istituzioni della cultura e della ricerca, con il fine di intensificare la circolazione gratuita dei saperi;
    la trasformazione in formato digitale dell'informazione è così importante da rappresentare una delle chiavi di lettura principali di questo fine millennio. Per questi motivi sarebbe auspicabile che l'intero sistema universitario rimanga al passo con i tempi, adeguando i propri servizi on-line per sfruttare al massimo le potenzialità della rete con l'obiettivo di raggiungere l'eccellenza nelle metodologie didattiche innovative e negli approcci di apprendimento;
    la didattica on-line favorirebbe, infatti, la creazione di reti di università italiane ed europee in grado di garantire nuove opportunità di studio, aperte a tutti gli utenti;
    inoltre, sperimentando l'utilizzo di lezioni gratuite in diverse lingue, si amplierebbero le competenze sulle nuove metodologie didattiche, preservando la ricchezza culturale, il patrimonio educativo e linguistico europeo, promuovendo un apprendimento continuo, cross-culturale e multilingue. Con la formazione a distanza si potrebbe coinvolgere un numero elevato di utenti, favorendo, così, la realizzazione di forum interattivi che andrebbero a costruire comunità di studenti e professori in uno spazio di apprendimento molto ampio;
    l'implementazione dell'offerta formativa on-line funge da valida alternativa per quegli studenti provenienti da famiglie in difficoltà economiche che non possono garantire la loro quotidiana presenza ai corsi; permette di realizzare archivi digitali delle dispense dei corsi e delle lezioni, nonché dei quiz e testi di autovalutazione dell'apprendimento delle stesse; consente di seguire le lezioni a quegli studenti che per diverse ragioni sono temporaneamente impossibilitati a raggiungere la sede in cui si svolgono le lezioni frontali senza dover interrompere il normale percorso formativo; rappresenta un valido supporto didattico per gli studenti disabili che, ancora oggi, hanno notevoli difficoltà a frequentare le lezioni frontali; infine, incrementa la possibilità di raggiungere l'eccellenza nelle metodologie didattiche innovative e negli approcci di apprendimento;
    già a partire dall'inizio degli anni Novanta, il legislatore italiano aveva previsto la possibilità di iniziative didattiche a distanza e ne aveva colto la grande opportunità, nonostante lo sviluppo di internet fosse ancora allo stato embrionale e non fosse ancora possibile ipotizzarne le potenzialità, tant’è che l'articolo 11, comma della legge 19 novembre 1990, n. 341, prevede per l'istruzione universitaria a distanza che «Nell'ambito del piano di sviluppo dell'università, tenuto anche conto delle proposte delle università, deliberate dagli organi competenti, può essere previsto il sostegno finanziario ad iniziative di istruzione universitaria a distanza attuate dalle università anche in forma consortile con il concorso di altri enti pubblici e privati, nonché a programmi e a strutture nazionali di ricerca relativi al medesimo settore. Tali strutture possono essere costituite con decreto del Ministro dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica di concerto con il Ministro del tesoro»;
    la risoluzione del Consiglio dei ministri istruzione dell'Unione europea del 13 luglio 2001 sull’e-learning (2001/C 204/02), incoraggia gli Stati membri a sperimentare nuovi metodi e approcci di apprendimento e a promuovere la mobilità virtuale e progetti di campus transnazionali virtuali;
    le università telematiche sono regolamentate dalla disciplina vigente per le università non statali legalmente riconosciute;
    tra il 2004 e il 2006 è emersa l'esigenza di introdurre delle regge di accreditamento dei corsi di studio più rigorose e specifiche per le università telematiche. Si ricorda che l'articolo 2, comma 148, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262, convertito dalla legge 24 novembre 2006, n. 286, ha previsto che, con regolamento del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, adottato di concerto con il Ministro per le riforme e le innovazioni nella pubblica amministrazione (ora Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione), sono determinati i criteri e le procedure di accreditamento dei corsi universitari a distanza e delle istituzioni universitarie abilitate al rilascio di titolo accademici come stabilito dall'articolo 6, comma 5 della legge 27 dicembre 2002, n. 289;
    l'articolo 2, comma 148, del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 convertito dalla legge 24 novembre 2006, n. 286 ha, altresì, stabilito che «fino alla data di entrata in vigore del regolamento, non può essere autorizzata l'istituzione di nuove università telematiche abilitate al rilascio di titoli accademici»;
    il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca pro tempore Carrozza, con decreto il n. 429 del 3 giugno 2013, ha istituito una commissione con la finalità di analizzare le questioni afferenti alle università telematiche e formulare proposte, tenendo conto delle specificità del servizio offerto dalle università telematiche, volte a tutelare la qualità dell'offerta formativa, attraverso una ricognizione normativa sulla materia oggetto d'analisi; ha quindi deciso di organizzare una serie di audizioni che aiutassero a comprendere il quadro d'insieme. Tale commissione ha prodotto un documento in cui vengono messe in evidenza diverse criticità. In particolare, nel documento si legge che, ai fini delle richieste di accreditamento di corsi di laurea per l'anno accademico 2013/2014, l'Anvur, valutando le istanze di accreditamento stesso, ha espresso parere negativo all'attivazione di diversi corsi di laurea dopo aver riscontrato una scarsa definizione dei piani didattici, una scarna specificità degli obiettivi formativi, nonché l'insufficienza del numero di docenti e tutors e del limitato svolgimento dell'attività di ricerca;
    il Consiglio universitario nazionale sottolinea che l'anomalia delle università telematiche italiane, rispetto a quelle britanniche della Open University, consiste nell'offrire unicamente servizi didattici e nel non svolgere attività di ricerca né tematica, né metodologica sull'apprendimento a distanza, e propone ai fini di una revisione del sistema:
     esclusione dal novero dei corsi di studio impartibili a distanza di alcune tipologie di corsi di studio;
     introduzione della previsione che le università telematiche debbano possedere personale docente proprio, in modo da coprire ogni corso di studio inserito nel la propria offerta formativa;
     introduzione dell'obbligo per le università telematiche di svolgere attività di ricerca sia tematica, sia sulle metodologie della didattica a distanza;
     previsione di modalità di verifica ex post sulla qualità della preparazione dei laureati delle università in questione rispetto a quella dei laureati presso atenei tradizionali;
     statuizione che presso le sedi dell'università telematiche non possano svolgersi esami per l'abilitazione alle professioni regolamentate;
    infine, la commissione ministeriale ha elaborato le seguenti proposte di intervento per il miglioramento del sistema:
     necessità di rendere omogenea la disciplina relativa alle università telematiche rispetto a quella vigente in materia di università tradizionali espungendo, quindi, dal sistema la normativa derogatoria in favore delle università telematiche prevedendo criteri almeno identici a quelli delle università non-statali, senza possibilità di deroga, pena l'annullamento del valore legale concesso dal corso in questione;
     stabilire un termine entro il quale le università telematiche debbano soddisfare i requisiti quantitativi relativi al personale docente previsti dalla normativa per le università non-statali, con particolare riguardo alla presenza di personale di ruolo a tempo indeterminato, prevedendo che il mancato soddisfacimento di tali requisiti di personale deve condurre all'immediata estinzione del corso di studi;
     introdurre un preciso obbligo, per il personale docente delle università telematiche, a svolgere attività di ricerca, giungendo a prevedere che i finanziamenti pubblici vengano assegnati, analogamente a quanto stabilito per le altre istituzioni universitarie, in ragione della qualità dell'attività didattica e dell'attività di ricerca;
     stabilire che, a partire dal nuovo piano triennale 2013-2015, siano previsti, in generale, criteri più stringenti e la creazione, conferma o cassazione di corsi di studi delle università telematiche siano sottoposti ai rispettivi comitati regionali di coordinamento, ai quali dovrebbero essere iscritte in ragione della sede amministrativa degli atenei;
    inoltre, la stessa Commissione ha individuato due possibili strumenti alternativi di riforma:
     a) un intervento legislativo che attribuisca al Ministro una nuova delega al riordino della normativa vigente in materia di Università telematiche;
     b) la predisposizione, seppure tardiva, del regolamento, fino a questo momento non emanato, previsto dall'articolo 2, comma 148, del decreto legislativo n. 262 del 2006;
    l'immobilismo dei Governi in termini regolamentari ha permesso la proliferazione indiscriminata e incontrollata dei corsi e-learning, nonostante il numero di atenei telematici sia ferma a undici per via di disposizioni di legge;
    l'attuale normativa permette il ricorso all'utilizzo, da parte delle istituzioni universitarie, dei ricercatori a tempo determinato di tipo A previsti dalla legge n. 240 del 2010 per lo svolgimento della didattica, tant’è che gli atenei telematici ne fanno un uso massiccio;
    le università telematiche fanno un uso elevato anche della figura dei professori straordinari a tempo determinato, mentre presentano nel proprio organico strutturato a tempo indeterminato un numero esiguo di professori ordinari e associati. L'uso dei professori straordinari a tempo determinato e dei ricercatori di tipo A ha il fine evidente di possedere il numero minimo di docenti necessari per ottenere l'accreditamento dei corsi di studio che, senza tali figure non potrebbero avere;
    è evidente che il ricorso ai professori straordinari ed ai ricercatori di tipo A e la concomitante assenza di reali ed effettivi obblighi nel campo della ricerca, consente agli atenei telematici privati di concorrere in maniera vantaggiosa, nella proposta dell'offerta formativa, dovendo sostenere costi molto più bassi degli atenei non telematici,

impegna il Governo:

1)  ad assumere iniziative per finanziare la creazione di uno spazio dedicato alla raccolta delle esperienze di didattica a distanza, con particolare riferimento alle esperienze dei corsi aperti on line su larga scala (Mooc), con l'obiettivo di riunire in un'unica piattaforma i progetti delle università e degli istituti culturali e di ricerca italiani garantendo il libero accesso ai contenuti dei corsi;
2)  ad adottare iniziative per raggiungere almeno il 25 per cento della digitalizzazione dei corsi frontali entro il prossimo triennio, anche attraverso la creazione di appositi programmi o convenzioni o finanziamenti che premino le università che maggiormente hanno investito nel digitalizzare le lezioni frontali;
3)  a favorire la creazione e lo sviluppo di piattaforme informatiche con licenze gratuite per la diffusione di contenuti didattici fruibili accessibili a tutti;
4)  ad avviare opportune iniziative normative con l'obiettivo di rendere omogenea ed esaustiva la disciplina relativa alle università telematiche, eliminando qualsiasi normativa derogatoria in favore delle università telematiche in materia di accreditamento dei corsi di laurea;
5)  ad assumere iniziative per prevedere criteri di accreditamento delle università non statali e di quelle telematiche identici a quelle delle università statali;
6)  ad assumere iniziative volte a stabilire, ai fini dell'accreditamento, che il numero minimo di docenti per i corsi di laurea, laurea magistrale, laurea magistrale a ciclo unico delle università telematiche e delle università non statali debba essere identico a quello delle università statali;
7)  ad assumere iniziative volte a prevedere per le università telematiche una coerente e sufficiente dotazione infrastrutturale ai fini dell'accreditamento dei corsi di laurea;
8)  ad avviare apposite iniziative, anche di tipo normativo, con il fine di vincolare gli atenei telematici alla creazione di strutture didattiche con docenti di ruolo effettivamente incardinati presso l'università stessa;
9)  ad avviare apposite iniziative, anche di tipo normativo, per introdurre l'obbligo, per le università telematiche, di svolgere attività di ricerca analogamente alle università statali e non statali, con il fine di garantire qualità e omogeneità del sistema universitario;
10) ad adottare iniziative per favorire la nascita di corsi di laurea e-learning presso le università statali, stabilendo criteri di accreditamento semplificati di richiesta di attivazione di un corso di laurea e-learning che ha un corrispondente corso frontale già attivato presso la stessa struttura universitaria.
(1-01638) «Vacca, Brescia, Marzana, Luigi Gallo, D'Uva, Di Benedetto, Simone Valente».


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia sono presenti oltre mille pozzi per la produzione di idrocarburi, circa il 60 per cento dei quali onshore e il resto offshore;
    quasi l'ottanta per cento dei pozzi produce gas e il restante 20 per cento produce olio combustibile; le produzioni annuali di gas (8 GSm3) ed olio (5 Mton) coprono rispettivamente il 10 per cento ed il 7 per cento del fabbisogno energetico nazionale;
    l'attività di esplorazione finalizzata alla scoperta di idrocarburi comporta anche per sua natura operazioni invasive dei fondali e degli ambienti marini;
    il Mar Mediterraneo è un mare piccolo e semichiuso con caratteristiche esclusive che rappresenta uno straordinario patrimonio dell'intera umanità e che, con una dimensione inferiore all'1 per cento dei mari del mondo, è gravato dal transito del 25 per cento del traffico mondiale di idrocarburi, di cui solamente un terzo destinato ad approdi e consumi mediterranei;
    gli eventi sismici che hanno interessato il territorio nazionale negli ultimi anni attestano l'imprevedibilità dell'attività tellurica e vulcanica sotto la crosta terrestre, in mare e sulla terraferma, rimanendo sempre sospesa la minaccia che un terremoto possa danneggiare le piattaforme utilizzate per le attività di ricerca e di estrazione con episodi di inquinamento difficili da controllare, che sortirebbero effetti deleteri sulle attività economiche realizzate in mare e sulle coste nazionali;
    da queste considerazioni deriva l'esigenza di stabilire procedure per il conferimento dei permessi di prospezione, ricerca e concessione di coltivazione, che tengano conto delle possibili conseguenze negative di queste attività rispetto all'integrità dei siti, marini e terrestri e all'immagine ad alto valore naturalistico che sempre più si va imponendo all'attenzione del turismo internazionale;
    il «disciplinare tipo per il rilascio e l'esercizio dei titoli minerari per prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale» del 7 dicembre 2016, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 78 del 3 aprile 2017, pone diverse questioni di legittimità rispetto alla disciplina legislativa di settore;
    alcune delle suddette questioni derivano da previsioni già recate dai precedenti «disciplinari» e mai impugnate dinanzi al giudice amministrativo quali, ad esempio, la definizione delle attività di prospezione, nel cui novero vengono oggi ricondotti espressamente anche i sondaggi geotecnici e quelli geognostici, e le finalità delle attività medesime, volte, secondo il disciplinare, ad accertare la natura del sottosuolo e del sottofondo marino; la questione delle proroghe ex lege per le società che avessero presentato istanza di proroga prima della scadenza del titolo abilitativo; la possibilità che il Ministero autorizzi «nuovi» progetti sperimentali di coltivazione di idrocarburi entro le 12 miglia marine, oltre quanto consentito dal decreto «sblocca Italia» e oltre quanto previsto, in relazione golfo di Venezia, dal decreto-legge n. 112 del 2008, come modificato dalla legge di conversione n. 133 del 2008;
    gli aspetti più discutibili della nuova disciplina tuttavia sono quello relativo alla partecipazione delle regioni interessate alle attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi e quello riguardante la possibilità che nelle aree poste entro le 12 miglia marine possano essere rilasciati titoli «connessi» al titolo abilitativo principale, non previsti dal programma dei lavori presentato prima del rilascio della concessione;
    è previsto che per tutti i titoli (vecchi titoli e titoli concessori unici), l'intesa della regione venga acquisita in conferenza di servizi, secondo le modalità definite dal decreto direttoriale, nelle cui more di approvazione, si applica quello del 15 luglio 2015, il quale però prevede che le regioni partecipino alla conferenza di servizi e che il decreto di conferimento del titolo sia rilasciato previa intesa con la regione interessata;
    la nuova disciplina prevede che l'intesa sia rilasciata persino, forse, per i vecchi titoli, unicamente in conferenza (articolo 3, comma 9, del decreto ministeriale), mentre in precedenza si stabiliva che il titolo concessorio unico fosse rilasciato «previa intesa con la regione territorialmente interessata o la provincia autonoma di Trento o di Bolzano», lasciando supporre che, al di là della partecipazione di tutte le amministrazioni interessate al procedimento unico, l'intesa dovesse essere conseguita a conclusione del procedimento e prima dell'adozione del decreto;
    l'articolo 8, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, come convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, stabilisce che nel golfo di Venezia sono vietate le attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e precisa che dette attività possano essere eventualmente autorizzate solo dopo aver accertato la non sussistenza di rischi apprezzabili di subsidenza sulle coste; in questo caso, l'autorizzazione deve essere rilasciata secondo le modalità ivi prescritte e «d'intesa con la regione Veneto». Il comma 1-bis del medesimo articolo 8, inserito dall'articolo 38, comma 10, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (così detto «Sblocca Italia»), come convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, prevede, invece, che possano essere autorizzati progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti nel «mare continentale» «sentite le regioni interessate»; l'articolo 8, comma 1, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, come detto, pertanto, continua a trovare applicazione alle attività di prospezione, ricerca e coltivazione, che si volessero eventualmente autorizzare nel golfo di Venezia, alle condizioni ivi stabilite;
    relativamente al rilascio di nuovo titolo minerario, la nuova disciplina, pur ribadendo il divieto di rilascio di nuovi titoli minerari entro le 12 miglia marine, tuttavia consente alle società concessionarie di chiedere modifiche al programma dei lavori autorizzato al momento del rilascio della concessione, e cioè prima che la legge introducesse quel divieto;
    la legge n. 208 del 2015 ha modificato la disposizione contenuta nell'articolo 6, comma 17, del codice dell'ambiente, oggetto di referendum, che originariamente faceva salvi i titoli abilitativi già rilasciati (permessi e concessioni) ed anche quelli in corso, nonché quelli autorizzatori e concessori conseguenti e connessi;
    il Consiglio di Stato, in un parere del 2011, ha chiarito che con l'espressione «titoli connessi» si riferisce a titoli che si collegano al titolo abilitativo principale, come ad esempio l'autorizzazione per la costruzione di un «nuovo» pozzo e dunque, alla luce del divieto sancito dalla legge e del parere del Consiglio di Stato, ciò che è possibile fare è portare a termine il progetto originariamente presentato al momento del rilascio della concessione, provvedendo alla costruzione di piattaforme e pozzi prevista dal programma dei lavori a suo tempo presentato e autorizzato e non già costruire nuove piattaforme o nuovi pozzi entro l'area data a suo tempo in concessione;
    il decreto ministeriale, invece, stabilisce che «sono consentite, nelle predette aree, le attività da svolgere nell'ambito dei titoli abilitativi già rilasciati, anche apportando modifiche al programma lavori originariamente approvato dunque al momento del rilascio della concessione, avvenuta prima dell'entrata in vigore del divieto, funzionali a garantire l'esercizio degli stessi, nonché consentire il recupero delle riserve accertate, per la durata di vita utile del giacimento e fino al completamento della coltivazione»;
    il Ministero dello sviluppo economico, con un comunicato del 7 aprile 2017, ha precisato che si tratterebbe solo di attività operative di manutenzione, aggiornamento delle strutture, chiusura dei pozzi e rimozione delle piattaforme esistenti, ma è evidente che la finalità della previsione del decreto non è questa, dal momento che lo stesso Consiglio di Stato nel parere citato ha precisato che le attività di esecuzione si considerano sempre (implicitamente) ammesse e che lo stesso articolo 15 del decreto dispone che la modifica al programma dei lavori è funzionale al recupero delle riserve accertate fino al completamento della coltivazione e le attività di chiusura dei pozzi e di rimozione delle piattaforme si collocano fuori dalla fase di coltivazione;
    i commi 2 e 3 dell'articolo 15 del decreto ministeriale dispongono, inoltre, che «sono sempre consentite le attività di manutenzione finalizzate all'adeguamento tecnologico necessario alla sicurezza degli impianti e alla tutela dell'ambiente e le operazioni finali di ripristino ambientale» (appunto la chiusura dei pozzi e la rimozione delle piattaforme) e che «possono essere inoltre autorizzate» le «attività funzionali alla coltivazione, fino ad esaurimento del giacimento, e all'esecuzione dei programmi di lavoro approvati in sede di conferimento o di proroga del titolo minerario, compresa la costruzione di infrastrutture e di opere di sviluppo necessarie all'esercizio»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per chiarire che i progetti sperimentali di coltivazione di giacimenti nelle acque del golfo di Venezia devono essere autorizzati previa intesa con la regione Veneto in linea con quanto previsto dall'articolo 8, comma 1, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008;
2) ad assumere iniziative per prevedere che l'intesa delle regioni sui titoli minerari sia data al termine del procedimento unico, di cui all'articolo 38, comma 6, lettera b), del decreto-legge n. 133 del 2014, prima dell'adozione del decreto del Ministro dello sviluppo economico e al termine dei lavori della conferenza di servizi;
3) ad assumere iniziative per prevedere che la modifica dei programmi dei lavori relativi alle concessioni entro le 12 miglia già in essere, non concerna piattaforme e pozzi non previsti dal programma originariamente presentato;
4) ad assumere iniziative per prevedere, in maniera chiara ed univoca, che il parere degli enti locali sulle installazioni da assoggettare a valutazione di impatto ambientale (VIA) sia acquisito e vagliato nell'ambito dello stesso procedimento di valutazione d'impatto ambientale, al fine di assicurare la conseguente valutazione del parere degli enti locali in relazione alle istanze di rilascio di titoli minerari in mare;
5) ad assumere iniziative per valutare quale sia l'effettiva produttività dei giacimenti in esercizio, per assicurare che le imprese responsabili reperiscano le risorse necessarie a finanziare le attività di decommissioning delle piattaforme da avviare a dismissione e per garantire la soddisfazione delle richieste di risarcimento a cui sono tenute le compagnie petrolifere per i danni ambientali cagionati, attraverso l'innalzamento delle royalty sulle attività estrattive e sulle concessioni di coltivazione in mare;
6) ad effettuare un'indagine in relazione alle 31 piattaforme offshore che sono state classificate come «non eroganti» o «non operative» dal Ministero dello sviluppo economico al fine di avere contezza delle piattaforme che hanno effettivamente sospeso la loro attività;
7) ad assumere iniziative per rafforzare gli obblighi relativi alla dismissione e alla messa in sicurezza delle piattaforme attraverso la predisposizione di un apposito documento recante una «strategia di abbandono del sito» che, utilizzando le best-practice internazionali sul punto, definisca il livello di clean-up da raggiungere, e preveda la prestazione di garanzie finanziarie cauzionali e anche obiettivi legati al riciclo dei materiali con cui sono realizzate le istallazioni;
8) ad assumere iniziative per prevedere che l'istruttoria per le perforazioni in mare e in terraferma – i cui oneri sono posti a carico dei soggetti che inoltrano l'istanza – sia effettuata mediante il contributo di istituti di livello nazionale in possesso delle professionalità tecniche e delle competenze specialistiche, quali l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale o il Consiglio nazionale delle ricerche, che devono essere coinvolti, in via ordinaria, nelle procedure finalizzate a tale tipologia di valutazioni;
9) a promuovere in tutte le sedi opportune iniziative volte a definire una comune strategia con tutti gli altri Paesi del Mediterraneo per una severa regolazione dello sfruttamento di giacimenti sottomarini di idrocarburi nell'intero bacino;
10) a promuovere un rafforzamento del quadro regolatorio in materia di sicurezza anche nei Paesi del Mar Mediterraneo attraverso l'attivazione degli opportuni canali diplomatici e la promozione di una conferenza dei Paesi rivieraschi;
11) ad assumere iniziative per assicurare che gli introiti erariali a qualsiasi titolo derivanti dalle attività estrattive siano integralmente utilizzati per garantire il pieno svolgimento, rispettivamente, delle azioni di monitoraggio e contrasto dell'inquinamento marino, e delle attività di vigilanza e controllo della sicurezza, anche ambientale, degli impianti di ricerca e coltivazione in mare, e a promuovere misure per incrementare le condizioni di sicurezza del Trasporto marittimo, con particolare riferimento al Mare Adriatico;
12) ad assumere iniziative per prevedere la sospensione delle attività in zone a rischio sismico, vulcanico, tettonico così come indicato da indagini scientifiche preventive di supporto effettuate dagli enti di ricerca Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV), Istituto per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e Consiglio nazionale delle ricerche (CNR);
13) ad effettuare un'analisi preventiva dei costi e dei benefici in relazione a future attività esplorative da autorizzare in zone di particolare pregio turistico ed economico;
14) a promuovere un'analisi epidemiologica da parte dell'istituto superiore di sanità sui rischi per la salute umana volta ad analizzare gli effetti dell'attività di ricerca, esplorazione e coltivazione idrocarburi e ad assumere iniziative per la sospensione dei permessi rilasciati e il blocco di future autorizzazioni qualora siano comprovati i rischi;
15) ad adottare ogni opportuna iniziativa, anche normativa, tesa a salvaguardare la salute delle popolazioni residenti nelle aree esposte alle emissioni di idrogeno solforato ed ove sussistono attività estrattive, di lavorazione e di stoccaggio di prodotti petroliferi;
16) ad assumere iniziative volte a prevedere che, nell'ambito della procedura di valutazione d'impatto ambientale (VIA), siano verificati i singoli impatti, nonché l'impatto cumulativo, degli interventi periodici di manutenzione ordinaria sulle installazioni che sono la causa dell'80 per cento degli sversamenti in mare, i quali nello specifico, disperdono nelle acque ben 90.000 tonnellate l'anno di sostanze inquinanti;
17) ad assumere iniziative per prevedere che gli impianti di ricerca, sviluppo e coltivazione di idrocarburi siano sottoposti a controllo annuale da parte dell'Ispra con costi di verifica a carico delle società concessionarie;
18) ad assumere iniziative per far sì che l'attuazione del protocollo per la protezione del Mare Mediterraneo dall'inquinamento derivante dall'esplorazione e dallo sfruttamento della piattaforma continentale, del fondo del mare e del suo sottosuolo (protocollo offshore) diventi prioritaria nell'azione dei governi per la tutela del Mar Mediterraneo e ad attivarsi, in tutte le sedi, per la modifica del regime giuridico delle responsabilità per gli sversamenti inquinanti in mare prodotti da trasporti marittimi di idrocarburi ed altre sostanze inquinanti.
(1-01639) «De Rosa, Daga, Busto, Micillo, Terzoni, Zolezzi, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Colonnese, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, Grillo, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lorefice, Lupo, Mantero, Marzana, Nesci, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spadoni, Spessotto, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    nell'aprile 2017 si è svolta una retata in 82 province di tutta la Turchia che ha portato all'arresto di ben 3.224 persone, di cui 1.120 considerate vicine alla presunta rete golpista di Fethullah Gulen, l'imam accusato dal Governo del fallito golpe del luglio 2016;
    circa 9.000 poliziotti turchi sono stati sospesi dall'incarico, anche loro – a quanto riferisce la Cnn turca – perché sospettati di legami con la rete di Gulen;
    Istanbul è la città con più sospensioni, pari a 3.500, mentre 1.250 sarebbero i sospesi a Ankara;
    l'ennesima operazione contro i supposti gulenisti ha fatto salire il numero delle persone imprigionate – tra le quali centinaia di giornalisti, magistrati, avvocati e docenti universitari – che sono state, nei nove mesi di stato d'emergenza, 47.000 e i licenziati, per la stessa ragione, sono più di 100.000;
    allo stato attuale, sono 86 i sindaci del Partito Democratico dei Popoli (HDP) e 9.000 i militanti dello stesso arrestati con l'accusa ufficiale di avere relazioni con il Partito dei Lavoratori del Kurdistan (PKK);
    tra gli arrestati, dal 4 novembre 2016, c’è anche il presidente dell'Hdp Selahattin Demirtas e la copresidente, Figen Yuksekdag, entrambi parlamentari a cui è stata sospesa l'immunità. Pochi mesi prima, Demirtas, si era incontrato con l'allora Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Gentiloni, denunciando la situazione drammatica creatasi dopo l'offensiva dei militari turchi nella regione del Kurdistan e chiedendo una ferma presa di distanza da parte del Governo italiano e dell'Unione europea;
    il Parlamento turco ha revocato l'immunità a 50 dei 59 deputati dell'HDP; nel 2016, a metà giugno, la maggioranza dell'Akp, il partito del presidente Erdoğan, ha ottenuto i numeri necessari affinché il provvedimento venisse approvato dall'Aula, con 376 (su 550) voti a favore della cancellazione dell'immunità e al divieto, per i parlamentari inquisiti, di recarsi a all'estero anche per l'esercizio del proprio mandato;
    dopo il referendum sulla riforma costituzionale, con la vittoria di misura del Sì alla Repubblica presidenziale auspicata da Erdoğan – vittoria fortemente insidiata dal sospetto di brogli e da un clima d'intimidazione e d'inagibilità politica per lo schieramento del No, come denunciato dagli stessi osservatori dell'Osce – è sempre più evidente come la Turchia si stia rapidamente allontanando dalla democrazia; le carceri turche si riempiono ogni giorno di più dei suoi oppositori e di presunti autori e fiancheggiatori del golpe;
    secondo una denuncia di Amnesty International, nelle carceri turche, continuano pestaggi e torture, compresi stupri, e per questo l'organizzazione internazionale citata ha chiesto che osservatori indipendenti possano avere immediato accesso a tutti i centri di detenzione, tra i quali stazioni di polizia, centri sportivi e palazzi di giustizia;
    John Dalhuisen, direttore per l'Europa di Amnesty International ha recentemente dichiarato: «Le notizie di pestaggi e stupri sono estremamente allarmanti, considerando soprattutto l'alto numero di arresti dell'ultima settimana. I crudi dettagli di cui siamo in possesso sono solo un esempio di quello che potrebbe star accadendo nei luoghi di detenzione... È assolutamente fondamentale che le autorità turche fermino queste pratiche ripugnanti e consentano agli osservatori internazionali di incontrare tutti i detenuti»;
    la Turchia è membro della Nato, del Consiglio d'Europa dal 13 aprile 1950 e Paese ancora candidato ad aderire all'Unione europea;
    la Turchia – nonostante i 3 miliardi di euro ricevuti per gestire l'emergenza dei rifugiati siriani – sta utilizzando, secondo gli interroganti, la presenza sul suo territorio di questa massa di disperati (stimati in circa 3 milioni d persone) per far pressione sull'Unione europea, minacciando l'apertura delle frontiere verso l'Europa;
    il 10 maggio 2017 il Ministro turco degli affari europei, Omer Celik, in visita a Bruxelles, ha invitato ad aprire il capitolo negoziale sulla riforma giudiziaria e i diritti fondamentali e quello sulla giustizia, la libertà e la sicurezza,

impegna il Governo:

   a chiedere un'unitaria e incisiva iniziativa dell'Unione europea nei confronti delle autorità turche, affinché siano ripristinati lo stato di diritto e le libertà fondamentali, a cominciare dalla liberazione dei prigionieri politici arrestati;
   ad assumere iniziative, in sede europea, volte a condizionare il proseguimento del processo di associazione all'Unione europea della Turchia al rispetto dei diritti umani e a quelli delle minoranze e a riprendere il dialogo, per gli interroganti, inopinatamente interrotto sulla questione curda, al fine di arrivare a una soluzione pacifica e condivisa che porti a una Turchia inclusiva e democratica;
   ad assumere iniziative in tutte le sedi, anche in quelle Nato, affinché la Turchia cessi ogni ostilità nei confronti della regione autonoma siriana del Rojava contribuendo, anche per questa via, al rafforzamento della coalizione contro Daesh;
   a rivalutare la propria posizione nelle sedi opportune in merito alla collaborazione con la Turchia in materia di gestione della questione dei migranti.
(7-01263) «Spadoni, Manlio Di Stefano, Di Battista, Scagliusi, Grande, Del Grosso».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    la Villa Medicea di Poggio a Caiano (Prato), risalente al 1480, fu commissionata da Lorenzo il Magnifico e realizzata su progetto di Giuliano da Sangallo, oggi ospita due nuclei museali ed è da poco diventata patrimonio dell'Unesco (2013). Essa è gestita dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo – Polo museale della Toscana e tutelata dalla Soprintendenza ai beni architettonici;
    durante la sera del 6 marzo 2017, intorno alle ore 20:30, una porzione delle mura di cinta della Villa Medicea è crollata a causa delle forti piogge, seppellendo parzialmente e distruggendo alcune auto parcheggiate;
    i volumi interessati dal crollo sono pari a circa 45 metri cubi. Nello specifico, l'area soggetta al crollo interessa una lunghezza di circa 22 metri, un'altezza di circa 5 metri ed uno spessore massimo di circa 4 metri;
    dopo le prime tempestive ed efficaci operazioni di rimozione delle macerie da parte dei vigili del fuoco e le ordinanze comunali di chiusura al transito veicolare dell'area, il polo museale ha comunicato che i lavori di messa in sicurezza, subito avviati in data 7 marzo 2017, all'indomani del crollo avvenuto nella notte tra il 6 ed il 7 marzo, sono stati completati in data 24 marzo. Le porzioni di muro ai lati della parte franata sono state messe in completa sicurezza, così come è stata assicurata la stabilità del terreno rimasto libero a seguito della frana;
    la zona colpita è vitale per il comune di Poggio a Caiano, dal punto di vista delle attività commerciali presenti, del turismo, delle attività formative e culturali del Paese (a margine del muro della Villa Medicea si trovano le Scuderie medicee di proprietà comunale che ospitano la biblioteca, il Museo Ardengo Soffici e del ’900 italiano, sale conferenze, spazi espositivi), oltre ad essere un'importante via di transito della cittadina, vero e proprio crocevia per gli spostamenti nell'area Firenze-Prato-Pistoia;
    la Villa Medicea di Poggio a Caiano necessita di importanti investimenti pubblici per salvarla al presente e conservarla a beneficio del turismo nazionale, internazionale e delle future generazioni,

impegna il Governo

ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per garantire il tempestivo ripristino complessivo di tutte le mura perimetrali della Villa Medicea e un piano di investimenti programmato negli anni a seguire per risolvere problemi che, da anni e anni, si aggiungono senza soluzione, nonostante l'impegno della direzione della Villa medicea di Poggio a Caiano e del polo museale della Toscana.
(7-01264) «Crimì, Fanucci, Parrini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   la società greca Elmin ha manifestato l'intenzione di rinunciare alla concessione mineraria del giacimento di Olmedo in provincia di Sassari;
   la società greca come l'interpellante aveva denunciato reiteratamente non aveva mai mostrato la concreta intenzione di attivare la concessione;
   dopo due anni di trattative e durissima lotta sindacale, la vertenza è drammaticamente al punto di partenza;
   la Elmin, infatti, avrebbe intenzione di rimettere nelle mani della regione la concessione mineraria;
   a luglio 2017 scadono gli ultimi ammortizzatori sociali per i 29 lavoratori in mobilità;
   emerge quella che appare all'interpellante, l'incapacità degli interlocutori istituzionali, regione e Governo, di attivare un serio e concreto processo produttivo;
   la miniera di bauxite di Olmedo è ubicata nella Nurra, a nord-est rispetto al paese di Olmedo, il quale dista 68 chilometri da Sassari e 25 chilometri da Alghero;
   il giacimento bauxitico fu scoperto nel 1991 e venne coltivato per l'estrazione dell'allumina (funzionale allora alla fabbrica dell'Eurallumina di Portovesme) che sta alla base della lavorazione dell'alluminio;
   la concessione mineraria di bauxite, bentonite, caolino, denominata Olmedo venne rilasciata alla società Sarda Bauxite s.p.a. dall'assessorato regionale dell'industria nel 1992, estesa su una superficie di circa 3500 ettari di cui 50 coltivati in sottosuolo;
   dal 2007 la multinazionale greca Silver & Baryte Industrial Minerals, dopo un anno e mezzo di gestione provvisoria, ha ottenuto la concessione definitiva (per 15 anni) della miniera;
   in località Graxioleddu, a nord-est dell'abitato di Olmedo, la società coltiva la bauxite in sotterraneo, mediante il metodo di coltivazione a camere e pilastri;
   la struttura di superficie della miniera è costituita da una serie di piazzali (per una superficie complessiva di circa 2,5 ettari), dove il minerale estratto dal sottosuolo subisce un primo trattamento di frantumazione, vagliatura e quindi stoccaggio;
   in località Montiju de su Cossu, nel territorio di Alghero, sono previste operazioni minerarie a cielo aperto mediante l'utilizzo del metodo di coltivazione a gradoni;
   quella di Olmedo risulta un'ottima bauxite monoidrata con alto tenore di ossidi alluminio e basso tenore in ferro;
   la Silver & Baryte, società greca proprietaria della miniera di Olmedo, nel 2015 aveva messo in mobilità 36 minatori;
   per i lavoratori si è trattata di una decisione inattesa, grave e senza alcun preavviso;
   la decisione della società era tanto più inspiegabile se si considera che la concessione rilasciata prevede la coltivazione della miniera per 15 anni;
   gli operai hanno reiteratamente occupato la miniera di bauxite contro la decisione unilaterale di chiusura annunciata dalla dirigenza e l'avvio delle procedure di mobilità per i 36 dipendenti;
   la mobilità per i lavoratori è stata una scelta aziendale foriera di tale nefasta situazione;
   si trattava di un'azione senza precedenti per modalità e per totale assenza di strategia aziendale;
   appare grave che società straniere, per ultima la Elmin, possano permettersi un simile comportamento incuranti non solo degli aspetti contrattuali ma anche occupazionali;
   è inaccettabile che tale comportamento sia legato al tipo di contratto da applicare ai lavoratori e all'introduzione nella legislazione italiana di contratti con meno tutele per i lavoratori e più convenienti per le aziende –:
   se non intendano avviare tutte le necessarie iniziative per la ripresa produttiva con una definizione immediata dei livelli occupativi e degli eventuali ammortizzatori sociali;
   se non ritengano di dover assumere iniziative in tutte le sedi competenti affinché sia garantito il rispetto dei contratti concessori e occupazionali;
   se non intendano convocare un tavolo ministeriale al fine di risolvere urgentemente la vertenza con l'immediata revoca della procedura di mobilità e la definizione di un piano produttivo con il coinvolgimento delle società pubbliche preposte a tale finalità ambientali e produttive, come l'Igea.
(2-01805) «Pili».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la gestione della sicurezza nell'aeroporto di Alghero appare sempre più a rischio se si considera non solo la reiterata modifica degli assetti gestionali ma anche le evidenti e gravi carenze che i sindacati hanno più volte denunciato;
   la Sogeaal non avrebbe ma provveduto, a quanto consta all'interrogante, a rendere operativo quanto indicato da parte di ENAC nella stesura del PNS (programma di sicurezza nazionale) reso obbligatorio da ordinanza del diretto generale dell'Enac medesima per tutti i gestori italiani già a partire dal 10 luglio 2015 (nella prima edizione di tale PNS – videosorveglianza e pattugliamento e altro);
   tale operatività avrebbe dovuto garantire una revisione delle tariffe per la security, già fatta altrove (in Sogeaal sono state mantenute le vecchie risalenti al 2013), rendendo lo scalo di fatto meno sicuro;
   la direzione di Enac Sardegna, ha di fatto consentito che Sogeaal non applicasse il Programma di sicurezza nazionale, che non è stato reso operativo a livello locale con la revisione del locale programma di sicurezza aeroportuale da predisporre da parte del security manager pro tempore;
   il signor Carlo Luzzatti (ex presidente Sogeaal), nella sua duplice veste di formatori Security dell'Enac ha provveduto a formare, da dirigenti interni alla So.Ge.A.AI. Spa stessa e quindi in quello che appare all'interrogante una palese situazione di conflitto di interesse, le guardie particolari giurate degli istituti di vigilanza poi affidatari, da parte di So.Ge.A.AI Spa stessa, dei servizi di security del varco carraio doganale e dei controlli notturni (attraverso procedure negoziate dal 2012 ad oggi) prima della Sardinian General Service e poi della Federalpol e infine della Cooperativa Vigilpol;
   non è chiaro se tali realtà fossero in possesso delle certificazioni Enac, mentre i vertici della società aeroportuale, ad avviso dell'interrogante in palese conflitto d'interessi, hanno garantito la formazione di queste guardie, garantendo di avere alcuni requisiti minimi formativi contenuti nella circolare SEC 05 e successive modifiche e del regolamento di formazione security annesso per le varie categorie A1 e A4, altrimenti non posseduti dagli addetti delle vigilanze;
   uno di questi istituti di vigilanza è stato ammesso a partecipare alla gara pur se sottoposto a procedura di concordato preventivo –:
   per quale motivo l'Enac non abbia mai contestato alla Sogeaal di non aver provveduto a rendere operativo quanto indicato da parte dell'Enac nella stesura del PNS (programma di sicurezza nazionale) reso obbligatorio da ordinanza del diretto generale dell'Enac per tutti i gestori italiani già a partire dal 10 luglio 2015;
   se sia stato verificato l'adeguamento delle tariffe per la security fatto altrove;
   se e per quale motivo la direzione di Enac Sardegna abbia consentito che Sogeaal non applicasse il programma di sicurezza nazionale, non rendendolo operativo a livello locale con la revisione del locale programma di sicurezza aeroportuale da predisporre da parte del security manager pro tempore;
   se siano a conoscenza della sovrapposizione di ruoli e funzioni che, a giudizio dell'interrogante, configura una situazione di conflitto d'interesse tra i dirigenti Sogeaal e la formazione delle guardie particolari giurate;
   se sia stato verificato il possesso di certificazioni di Enac da parte di tali società di sicurezza;
   come mai uno degli istituti di vigilanza di cui sopra sia stato ammesso a partecipare alla gara in corso pur essendo sottoposto recentemente ad una procedura di concordato preventivo. (5-11401)


   FRUSONE, PETRAROLI, BASILIO, CORDA e FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   notizie di stampa (Il Giornale del 6 aprile 2017, pagina 8) riferiscono che Paolo Aquilanti, attuale segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, consigliere parlamentare in pensione dal Senato e nominato consigliere di Stato con delibera del Consiglio dei ministri in data 9 novembre 2016 (Governo Renzi), abbia chiesto di essere collocato fuori ruolo per continuare a rivestire la funzione di segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   la legge 27 aprile 1982, n. 186, all'articolo 29, primo comma, dispone: «Il collocamento fuori ruolo può essere disposto soltanto per i magistrati che abbiano svolto funzioni di istituto per almeno quattro anni»;
   la Presidenza del Consiglio argomenterebbe, secondo l'articolo predetto, che «dal combinato disposto di norme successive (legge n. 400 del 1988 e decreto legislativo n. 303 del 1999) il collocamento fuori ruolo di un segretario generale “è obbligatorio e viene disposto secondo le procedure degli ordinamenti di appartenenza, anche in deroga ai limiti temporali, numerici e di ogni altra natura eventualmente previsti dai medesimi ordinamenti”»;
   considerato che anche per la nomina a consigliere di Stato di Antonella Manzione, già capo del dipartimento affari giuridici e legislativi della Presidenza del Consiglio dei ministri, a giudizio degli interroganti si è operata una forzatura, contrastando ciò apertamente con la disposizione che prevede l'età minima di 55 anni, a fronte dei 53 raggiunti dalla dottoressa Manzione;
   altre notizie di stampa riferiscono che, nel verbale della seduta del Consiglio della giustizia amministrativa che ha esaminato la proposta di nomina di Antonella Manzione, si leggono alcune argomentazioni del presidente del Consiglio di Stato, Alessandro Pajno, per il quale: «la regola sull'età minima per essere indicati come consigliere di Stato “deve essere interpretata alla luce del mutato quadro normativo” e cioè dell'abbassamento dell'età di pensione per i magistrati fissato oggi a 70 anni. Un'interpretazione “evolutiva” che alleggerisce i vincoli del requisito anagrafico» (così Ilfattoquotidiano.it), come se il requisito dell'età minima fosse posto a presidio dell'interesse pensionistico del singolo giudice e non dell'interesse generale alla maturazione di un bagaglio di esperienza e conoscenza;
   ai sensi della precitata legge n. 186 del 1982, si ricorre al reclutamento dei consiglieri di Stato in caso di posti vacanti e non per mero titolo onorifico  –:
   quale sia stata la ragione che ha indotto il Governo a deliberare in ordine alla nomina di Paolo Aquilanti a componente del Consiglio di Stato quando lo stesso già rivestiva la funzione di segretario generale della Presidenza del Consiglio dei ministri e se all'atto della nomina vi fosse già la consapevolezza che avrebbe fatto ricorso al collocamento fuori ruolo;
   se non ritenga di dover salvaguardare il profilo della terzietà che deve caratterizzare la figura e l'operato del giudice amministrativo e se non ritenga pertanto di assumere le iniziative di competenza per l'annullamento in autotutela delle nomine predette. (5-11403)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14 della direttiva europea 1999/31/CE riguarda le discariche preesistenti e riporta: «Gli Stati membri adottano misure affinché le discariche che abbiano ottenuto un'autorizzazione o siano già in funzione al momento del recepimento della presente direttiva possano rimanere in funzione soltanto se i provvedimenti in appresso sono adottati con la massima tempestività e al più tardi entro otto anni dalla data prevista all'articolo 18, paragrafo 1: a) entro un anno dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, il gestore della discarica elabora e presenta all'approvazione dell'autorità competente un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni menzionate nell'articolo 8 e le misure correttive che ritenga eventualmente necessarie al fine di soddisfare i requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1; b) in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti adottano una decisione definitiva sull'eventuale proseguimento delle operazioni in base a detto piano e alla presente direttiva. Gli Stati membri adottano le misure necessarie per far chiudere al più presto, a norma dell'articolo 7, lettera g), e dell'articolo 13, le discariche che, in forza dell'articolo 8, non ottengono l'autorizzazione a continuare a funzionare; c) sulla base del piano approvato, le autorità competenti autorizzano i necessari lavori e stabiliscono un periodo di transizione per l'attuazione del piano. Tutte le discariche preesistenti devono conformarsi ai requisiti previsti dalla presente direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1, entro otto anni dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1; d) i) entro un anno dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, gli articoli 4, 5, e 11 e l'allegato II si applicano alle discariche di rifiuti pericolosi; ii) entro tre anni, dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, l'articolo 6 si applica alle discariche di rifiuti pericolosi»;
   il 18 giugno 2015, la Commissione, nell'ambito della procedura di infrazione 2011/2215, ha emesso nei confronti dell'Italia un parere motivato complementare ex articolo 258 del TFUE per la violazione degli obblighi imposti dall'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE sulle discariche di rifiuti. In particolare, la Commissione considera irregolari 102 discariche già esistenti o autorizzate al 16 luglio 2001 per le quali, entro il 16 luglio 2009, in base alla normativa europea si sarebbe dovuto prevedere e dare esecuzione ad un adeguato piano di riassetto ovvero procedere alla chiusura, qualora detto piano fosse risultato inadeguato. Sulla base delle informazioni, risulta alla Commissione che, nonostante i progressi compiuti, sul territorio italiano vi sono ancora 46 discariche con riferimento alle quali non sono stati adempiuti gli obblighi previsti dalla direttiva. Le regioni interessate sono l'Abruzzo (15 discariche), la Basilicata (19 discariche), la Campania (2 discariche), il Friuli Venezia Giulia (4 discariche), la Liguria (1 discarica per rifiuti pericolosi) e la Puglia (5 discariche);
   la Commissione europea, in data 17 maggio 2017, ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea per la mancata bonifica o chiusura di 44 discariche che costituiscono un grave rischio per la salute umana e l'ambiente. Malgrado i precedenti ammonimenti della Commissione, l'Italia ha omesso di adottare misure per bonificare o chiudere 44 discariche non conformi, come prescritto dall'articolo 14 della direttiva relativa alle discariche di rifiuti (direttiva 1999/31/CE del Consiglio). Come altri Stati membri, l'Italia era tenuta a bonificare entro il 16 luglio 2009 le discariche che avevano ottenuto un'autorizzazione o che erano già in funzione prima del 16 luglio 2001 («discariche esistenti»), adeguandole alle norme di sicurezza stabilite in tale direttiva, oppure a chiuderle. Considerata l'insufficienza dei progressi in quest'ambito, la Commissione ha trasmesso un parere motivato supplementare nel giugno 2015, nel quale si esortava l'Italia a trattare adeguatamente 50 siti che rappresentavano ancora una minaccia per la salute e l'ambiente. Nonostante alcuni progressi, nel maggio 2017 non erano ancora state adottate le misure necessarie per adeguare o chiudere 44 discariche. Nell'intento di accelerare il processo la Commissione ha deciso di deferire l'Italia alla Corte di giustizia dell'Unione europea –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere affinché l'Italia eviti la condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea;
   quali siano i comuni e le località dove sono ubicate le discariche ancora oggi oggetto della procedura di infrazione 2011-2215. (4-16623)


   MOGNATO, MURER e ZOGGIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie pubblicate sulla stampa e da dichiarazioni di componenti il Governo si è appreso che sarà presto convocato il comitato per la salvaguardia di Venezia di cui all'articolo 2 della legge 16 aprile 1973, n. 171 (cosiddetto Comitatone);
   l'ultima seduta del Comitatone risale a tre anni fa, e nel frattempo molte questioni inerenti alla salvaguardia e alla vitalità socio-economica della città di Venezia sono rimaste irrisolte;
   in particolare, non è stato più aggiornato il quadro sullo stato della salvaguardia, che non si limitava alle sole grandi opere alla bocche di porto di Venezia e di Chioggia, ma contemplava un approccio sistemico;
   va fissato con chiarezza il cronoprogramma del completamento del sistema Mose, e soprattutto vanno istruiti gli atti conseguenti per la sua gestione e per il suo finanziamento ordinario;
   va definito il riparto delle risorse disponibili sui fondi della legge speciale per Venezia, risorse recuperate negli ultimi anni nelle leggi di stabilità e di bilancio a favore dei comuni di Venezia, Chioggia, Cavallino-Treporti;
   va fatta chiarezza sugli ulteriori finanziamenti resi disponibili dal «patto per Venezia» sottoscritto nel mese di novembre 2016, al netto di quelli già previsti in altri interventi, dei finanziamenti a carico di fondi nazionali e delle risorse messe a disposizione con le leggi di stabilità o di bilancio;
   per quanto riguarda l'accessibilità del porto commerciale di Venezia va chiarito una volta per tutte se la conca di navigazione di Malamocco sia stata progettata o realizzata in misura sottodimensionata, non essendo così in grado di garantire la sicurezza di accesso in tutte le condizioni per le navi in transito, come già chiesto con specifico atto di sindacato ispettivo;
   è necessario chiarire se si intenda proseguire o meno nella progettazione e nella realizzazione del terminal off-shore d'altura, come pure sull'infrastrutturazione dell'area ex Montesyndial per il terminal container;
   nel merito della soluzione per il passaggio delle grandi navi da crociera, è necessario sottoporre tutte le soluzioni alla procedura di valutazione di impatto ambientale, e adottare soluzioni che non pregiudichino l'accessibilità del porto commerciale e industriale di porto Marghera;
   la soluzione a questa ulteriore criticità è discriminante rispetto al ruolo che il «sistema Paese» vuole dare al porto di Venezia, avuto riguardo in particolare a quanto dichiarato a Pechino pochi giorni fa in merito alle potenzialità di Venezia nell'ambito del progetto One belt one road della nuova «Via della seta» promossa dal Governo cinese –:
   quando sia prevista la convocazione del cosiddetto Comitatone per Venezia e, se ritenga di far sì che l'ordine del giorno preveda di affrontare i nodi ancora aperti sul tema della salvaguardia della vitalità socio-economica della città e dell'area metropolitana di Venezia. (4-16630)


   PIRAS, DURANTI, RICCIATTI, ZACCAGNINI, FOLINO, MELILLA, ROBERTA AGOSTINI e CARLO GALLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 220 del 14 novembre 2016, recante «Disciplina del cinema e dell'audiovisivo» – contrariamente al principio auto applicativo previsto al punto 25 della riforma della pubblica amministrazione – è una legge che richiede per essere operativa n. 12 decreti ministeriali, n. 5 decreti del Presidente del Consiglio dei ministri e n. 3 deleghe legislative;
   nella risposta all'interrogazione parlamentare n. 5-11269 il Governo ha fornito un quadro esaustivo dei provvedimenti necessari all'operatività della predetta legge, ma non sui tempi di effettiva attivazione;
   il contenuto della legge è integrato a livello di normazione secondaria e i lavori di elaborazione non godono della trasparenza di quelli parlamentari;
   a giudizio degli interroganti la scelta di abrogare tutte le precedenti disposizioni – senza prevedere un regime transitorio per garantire la continuità delle attività che si intendono sostenere e mantenendo in vigore solo quelle relative alle varie forme di tax credit – ha prodotto la paralisi del settore del cinema, impedendo per esempio la presentazione di richieste di nazionalità di nuovi film e la programmazione delle attività di promozione, nella totale assenza di certezze sulle future forme di sostegno pubblico;
   continuano invece ad essere presentati ed esaminati progetti di sviluppo di coproduzioni cinematografiche con Francia, Germania, Canada e con i Paesi aderenti al «programma Ibermedia», con l'utilizzo di fondi finanziati con progetti speciali del Ministro, secondo disposizioni previste dalla legge abrogata (decreto legislativo n. 28 del 2014), continuando ad assegnare contributi a fondo perduto senza, peraltro, che siano mai stati resi pubblici i componenti delle commissioni che decidono nel merito;
   la elaborazione dei decreti e dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri avviene, a quanto consta agli interroganti, attraverso la consultazione soltanto di alcuni soggetti e associazioni e non di tutti gli stakeholder del settore e allo stesso modo le bozze dei provvedimenti sono messe a disposizione solo dei soggetti consultati e non di tutti gli interessati;
   l'attuale struttura organizzativa della direzione generale del cinema del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo non corrisponde più ai compiti assegnati alla stessa dalla nuova legge –:
   se il Governo non intenda fornire indicazioni sulla tempistica prevista per la definizione dei provvedimenti di cui in premessa e la loro effettiva operatività con riferimento in particolare alla attività di promozione;
   se non si ritenga necessario e corretto aprire alla consultazione pubblica di tutti gli interessati – comprese le associazioni nazionali di cultura cinematografica riconosciute dalla legge – l'elaborazione dei testi dei decreti ancora in fase di elaborazione e condividere con tutti le relative bozze;
   se non si intenda chiarire se e quando si procederà alla riorganizzazione della direzione generale per il cinema e se in tale occasione si provvederà anche alla rotazione prevista degli incarichi dirigenziali secondo le norme, sia interne del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che generali, in materia di prevenzione della corruzione;
   se non intenda fornire chiarimenti in merito ai contributi che continuano ad essere erogati a progetti di sviluppo di coproduzioni – apparentemente in assenza di ogni previsione normativa e sulla base di decisioni che, a giudizio degli interroganti dovrebbero essere più trasparenti – rendendo tra l'altro noti i nominativi dei componenti delle commissioni incaricate. (4-16644)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI e SPESSOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   recentemente, ad Amman, è stata inaugurata la sede dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo (Aics) in Giordania, avvenimento che conferma la presenza e la volontà di azione della cooperazione italiana nell'intera Regione Mediorientale; peraltro, si tratta della prima sede aperta dopo l'entrata in vigore della nuova legge sulla cooperazione nel 2015 (legge 11 agosto 2014, n. 125);
   alla cerimonia ha partecipato la direttrice dell'Aics, Laura Frigenti, l'Ambasciatore italiano in Giordania, Giovanni Brauzzi, il Ministro della cooperazione, Emad Fakhoury e i rettori delle sedi Aics di Beirut e Gerusalemme, Gianandrea Sandri e Cristina Natoli;
   con particolare riguardo a Gianandrea Sandri, si rileva che questi era già titolare della sede estera di Beirut (Libano) dal 9 settembre 2014 all'8 settembre 2015 mediante la delibera n. 87 del 26 giugno 2014 che ne disponeva la lunga missione;
   il citato Sandri, con l'atto n. 36 del 17 febbraio 2016 firmato dalla direttrice dell'Aics Laura Frigenti, viene riconfermato fino al 30 giugno 2016;
   in base al contratto di lavoro a tempo indeterminato del 1o marzo 2012, il dottor Sandri avrebbe dovuto essere collocato a riposo per raggiunti limiti di età dal 4 maggio 2017;
   con un ulteriore atto, il n. 25 del 7 marzo 2017, Laura Frigenti ha approvato la proroga dell'incarico di titolare della sede estera di Beirut;
   il trattenimento in servizio è un istituto che consente ai dipendenti pubblici di rimanere sul posto di lavoro per un ulteriore lasso di tempo oltre il compimento dell'età pensionabile di vecchiaia, cioè oltre i 66 anni e 7 mesi;
   prima del decreto-legge sulla riforma della pubblica amministrazione (decreto-legge n. 90 del 2014 convertito dalla legge n. 114 del 2014) il dipendente pubblico poteva chiedere, e l'amministrazione concedere, il trattenimento per un biennio dopo il compimento dell'età pensionabile;
   tuttavia, con il decreto-legge n. 90 del 2014 si è provveduto all'abolizione di questo istituto, a partire dal 1o novembre 2014, eliminando, pertanto la possibilità per il lavoratore di chiedere di restare in servizio oltre il limite anagrafico per il pensionamento di vecchiaia –:
   come ritenga che l'atto n. 25 del 7 marzo 2017 citato in premessa possa conciliarsi con la normativa vigente in materia e quali siano le motivazioni a sostegno di tale decisione, atteso che potrebbe configurare un precedente, che si pone in contrasto con la suddetta normativa.
(4-16647)


   CIPRINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero degli affari esteri e la cooperazione internazionale ha, all'interno del proprio organico, nei vari Paesi del mondo, svariati dipendenti;
   attualmente sono in servizio 2780 impiegati di ruolo, 2720 impiegati a contratto, di cui 2012 a contratto locale e 638 a contratto italiano, e 40 di altri amministrazioni;
   il trattamento retributivo e previdenziale del personale a contratto «locale» presso rete diplomatica e consolare italiana, nonché presso gli istituti di cultura, sotto molti aspetti e in diverse realtà territoriali, rappresenta un grosso problema per carenza di omogeneità e di adeguatezza salariale;
   il livello retributivo dei suddetti dipendenti, dunque, appare essere non idoneo ed adeguato al costo della vita del posto dove si esercita l'attività lavorativa, ma, quel che è peggio, in alcuni casi, risulta, una differenza salariale di gran lunga maggiore al 100 per cento tra un dipendente con contratto regolato dalla legge italiana rispetto ad uno, con analoghe funzioni e competenze, regolato dalla legge «locale»;
   in particolare, tra gli altri, risulta che il personale a contratto presso l'ambasciata d'Italia e l'Istituto Italiano di Cultura in India lamenti di essere oggetto di una grave discriminazione sotto il profilo economico, perpetrata anche in base alla cittadinanza;
   il Times of India nell'anno 2012, a seguito del ricorso presentato in tribunale da alcuni lavoratori dipendenti a contratto presso l'ambasciata italiana a Nuova Delhi, riportava la notizia che l'ambasciata italiana era stata chiamata a rispondere alla giustizia per discriminazione razziale ed etnica, per ragioni legate alla differenza retributiva tra dipendenti con cittadinanza italiana e indiana;
   sebbene l'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967 sancisca il principio della congruità retributiva dei dipendenti a contratto presso le ambasciate italiane all'estero, rimane di fatto, in parte, disatteso il disposto della norma;
   l'articolo in esame stabilisce testualmente che: «la retribuzione annua base è determinata in modo uniforme per Paese e per mansioni omogenee. Può essere consentita in via eccezionale, nello stesso Paese, una retribuzione diversa per quelle sedi che presentino un divario particolarmente sensibile nel costo della vita»;
   i dislivelli retributivi in India, come in altri Paesi, sono stati definiti, non a torto, da taluni al di sotto della soglia minima di sostentamento, nonostante i due lievi miglioramenti adeguativi del 2013 e del 2016;
   si rende pertanto necessario un intervento strutturale per garantire, a tutti i dipendenti, in ciascuna delle sedi diplomatiche italiane all'estero, un adeguato trattamento retributivo e previdenziale, anche allo scopo di assicurare il rispetto dei diritti dei lavoratori e del buon nome ed onorabilità dell'Italia –:
   se e in che misura il Ministro interrogato intenda adottare le iniziative adeguate ed opportune per garantire il pieno rispetto del principio di equa retribuzione di tutti i lavoratori impiegati, con contratti regolati dalle «leggi locali», presso le sedi diplomatiche italiane all'estero;
   se ritengano opportuno assumere iniziative per definire una norma integrativa e chiarificatrice per rendere più chiaro e sempre applicabile il disposto normativo dettato dall'articolo 157 del decreto del Presidente della Repubblica n. 18 del 1967, che, in alcuni casi, risulta essere disatteso. (4-16648)

AFFARI REGIONALI

Interrogazione a risposta scritta:


   SBERNA. — Al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   la legge 11 dicembre 2016, n. 232, «Bilancio di previsione dello Stato per l'anno finanziario 2017 e bilancio pluriennale per il triennio 2017-2019» pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 dicembre 2016, contiene provvedimenti volti a sostenere le famiglie e a incentivare la natalità;
   ai commi 348-349 dell'articolo 1, essa prevede l'istituzione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri di un «Fondo di sostegno alla natalità», volto a favorire l'accesso al credito delle famiglie con uno o più figli, nati o adottati, a decorrere dal 1o gennaio 2017, mediante il rilascio di garanzie dirette, anche fideiussorie, alle banche e agli intermediari finanziari. Si tratta di rifinanziamento e riorganizzazione di precedenti fondi con analoghe finalità;
   il fondo ha una dotazione di 14 milioni di euro per il 2017, 24 milioni per il 2018, 23 milioni per il 2019, 13 milioni per il 2020 e 6 milioni a partire dal 2021; ad un successivo decreto del Ministro con delega in materia di politiche della famiglia sono demandati la definizione dei criteri operativi, delle modalità di organizzazione e di funzionamento del fondo nonché quelle di rilascio e di operatività delle garanzie;
   il suddetto decreto doveva essere emanato entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge;
   il termine è scaduto a marzo 2017 e il decreto non è ancora stato pubblicato;
   si sa che la nascita di un figlio comporta un aumento considerevole delle spese familiari e spesso, proprio a causa della situazione critica in cui versano molte famiglie, fa crescere la domanda di accesso al credito. È inoltre nota la situazione italiana: natalità ai minimi storici, tasso di povertà di famiglie con figli in crescita, carenza di strutture di cura, crescente difficoltà nel conciliare maternità e lavoro;
   in tale contesto appare doveroso fare il possibile perché ogni provvedimento volto a sostenere le famiglie e la genitorialità abbia tempi certi. Inoltre, la situazione di crisi demografica del nostro Paese rende il rilancio della natalità una priorità inderogabile e improcrastinabile –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere affinché il decreto di cui in premessa sia al più presto adottato. (4-16628)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a quanto è dato sapere Greenpeace ha effettuato dei prelievi di campioni di acqua in alcune scuole primarie del Veneto, poiché in tale zona, come è ormai noto dall'anno 2013, è in corso un'emergenza ambientale e sanitaria. Al riguardo, infatti, è stato accertato che l'acqua potabile di molti comuni tra Vicenza, Verona e Padova è contaminata dai Pfas, ossia dei composti chimici dannosi per la salute dell'uomo, versati nell'ambiente da industrie del territorio;
   le analisi di Greenpeace hanno individuato che l'inquinamento da Pfas sia molto più esteso di quello che si riteneva. Le persone esposte alla contaminazione in Veneto sarebbero oltre 800.000;
   ad oggi, le azioni messe in atto dalla regione Veneto per contrastare la contaminazione e salvaguardare la salute pubblica sono ancora inadeguate e insufficienti. Pertanto, i cittadini, e soprattutto i bambini, continuano ad entrare in contatto con acqua contaminata, ciò anche perché nel nostro Paese i limiti di tolleranza dei livelli di Pfas sono tra i più alti del mondo –:
   quali siano gli orientamenti del Governo, per quanto di competenza, sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, per tutelare la salute dei cittadini che sono esposti da anni alla contaminazione determinata dalla presenza di Pfas nell'acqua, a causa degli scarichi industriali. (5-11394)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, per sapere – premesso che:
   con riferimento ai contenuti della legge 14 novembre 2016, n. 220, «Disciplina del cinema e dell'audiovisivo», i timori paventati sin dalla data della sua approvazione, circa il fatto che l'estensione delle agevolazioni per il cinema al settore audiovisivo avrebbe determinato un maggior assorbimento delle risorse da parte di quest'ultimo, appaiono confermati in sede applicativa;
   dagli schemi di decreto legislativo che sarebbero in fase di redazione emergerebbe il fatto che il massimale del tax credit assegnato a ogni singola impresa (o gruppo di imprese) di produzione sia superiore per la produzione televisiva (10 milioni) rispetto a quella cinematografica (8 milioni) e, peraltro, gli incentivi sono cumulabili per ciascuna impresa (o gruppo di imprese) per un totale di euro 18 milioni annui, cui possono aggiungersi ulteriori 10 milioni destinati ai produttori stranieri che «girano» in Italia con un plafond di ben 50 milioni annui;
   la conseguenza è che su un totale di circa 200 milioni di euro di benefici fiscali possono essere drenati ben 140 milioni (due terzi dell'intero) solo dalle prime (per fatturato) 5 società nazionali di produzione;
   la legge, in luogo di incentivare le piccole e medie imprese e di sostenere i nuovi talenti e le start up, appare favorire poche e grandi società. Le dimensioni delle aziende, addosso alle quali sembra essere stata «cucita» la legge, sono rilevanti anche per le modalità di utilizzo delle risorse: il beneficio fiscale, infatti, è a consumo ed è assai rilevante il rischio che le risorse allocate presso il Ministero per il credito d'imposta siano utilizzate primariamente dalle grande imprese che le porteranno ad esaurimento già nei primi mesi dell'anno;
   rispetto ai massimali di 28 milioni di euro di tax credit per ogni impresa appaiono irrisorie le risorse che la legge ha previsto per l'educazione all'immagine nelle scuole italiane, il cui ammontare è di soli 12 milioni di euro, e quelle destinate alle opere dei giovani autori e produttori, che sono fondamentali per la crescita culturale, pari a complessivi 32 milioni di euro;
   infine, l'articolo 26 è destinato ad assegnare contributi selettivi alle opere cinematografiche e, in particolare, alle opere prime e seconde ovvero alle opere realizzate da giovani autori ovvero ai film difficili realizzati con modeste risorse finanziarie, ovvero alle opere di particolare qualità artistica, affidando tale compito a cinque esperti individuati tra personalità di chiara fama anche internazionale e di comprovata qualificazione professionale nel settore. La disposizione appare foriera di creare un imbuto nel quale le opere dei giovani autori potrebbero finire in una sorta di limbo –:
   se il Ministro interpellato non ritenga opportuno redistribuire le risorse complessive di cui alla legge n. 220 del 2016, secondo modalità volte a sostenere la piccola e media impresa al fine di evitare la concentrazione delle risorse su pochissimi soggetti;
   se non si intenda incentivare ulteriormente le produzioni, anche audiovisive, straniere (cui in base alla legge possono essere destinati benefici fino a 140 milioni di euro a condizione che si affrettino a presentare istanza per l'accesso al tax credit nei primi mesi di ciascun anno) in danno di quelle nazionali, posto che laddove detti incentivi fossero destinati a imprese italiane avrebbero lo stesso impatto positivo sul territorio, sull'occupazione e sulla crescita industriale;
   quali iniziative il Ministro interpellato intenda assumere per risolvere il problema scaturente dall'articolo 26 citato in premessa.
(2-01806) «Sammarco».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il museo paleontologico di Pietrafitta, provincia di Perugia, inaugurato nel luglio 2011 e chiuso nel 2015, rappresenta una collezione di fossili di inestimabile valore scientifico e per il numero di specie presenti, rinvenute in quello che nei millenni è stato un immenso bacino d'acqua, è considerato uno dei più importanti patrimoni paleontologici a livello europeo;
   come evidenziato dall'interrogazione n. 5-10691 depositata dalla prima firmataria del presente atto, in data 27 febbraio 2017, il Museo è attualmente chiuso per lavori di ristrutturazione ed allestimento, mentre la società Valnestore s.r.l. proprietaria dell'immobile ubicato nel comune di Piegaro (Perugia) è stata messa in liquidazione nel giugno 2016 a causa di una gestione fallimentare dell'intero progetto di riequilibrio economico del territorio interessato dalla dismissione della vecchia centrale elettrica a lignite;
   dopo la presentazione della suddetta interrogazione, la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio, a quanto consta all'interrogante, ha dichiarato la propria disponibilità a sostenere i costi delle utenze del museo, disponibilità che si è rivelata preziosa per il mantenimento in buono stato di conservazione dei fossili ivi presenti;
   dalla perizia di stima del compendio immobiliare che custodisce i reperti, chiesta dal commissario liquidatore della società Valnestore s.r.l., è emersa una valutazione dello stesso di circa 67.500,00 euro; un valore molto inferiore al costo di realizzazione pari a circa 3 milioni di euro, dovuto anche alla natura di ente privato del fabbricato vincolato urbanisticamente ad attrezzature pubbliche, nello specifico a destinazione museale, che limita ogni ipotesi di riconversione dello stesso e restringe qualsiasi trattativa patrimoniale che, per naturale conseguenza, assume aspetti negoziali di oligopolio e addirittura di monopolio;
   da ulteriori valutazioni tecniche risulta all'interrogante che lo spostamento dei fossili conseguente alla vendita dell'immobile avrebbe un costo uguale, se non superiore, a 67.500,00 euro e che, pertanto, sarebbe opportuno che lo stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo procedesse ad acquistare il compendio museale anche al fine di consentire agli enti locali interessati di riattivarne la gestione e permetterne quindi la fruizione da parte della collettività;
   la suddetta proposta dovrebbe essere valutata, secondo gli interroganti, con urgenza in considerazione dell'imminente deposito presso il competente tribunale delle scritture contabili della società Valnestore s.r.l. –:
   se non ritenga di dover procedere all'acquisto del fabbricato in premessa non solo al fine di evitare lo spostamento dei fossili, con ciò che ne consegue in termini di rischi legati al deterioramento degli stessi, ma anche di consentire alla collettività, a fronte di un costo così esiguo, la fruizione di un patrimonio paleontologico così prezioso e raro. (5-11402)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dello « stop» da parte del Consiglio di Stato (sentenza del 10 giugno 2013, n. 3205) al progetto di elettrodotto aereo nella tratta Dolo-Camin (decreto ministeriale n. 239 del 7 aprile 2011), in data 23 dicembre 2016 Terna spa deposita un nuovo progetto presso il Ministero dello sviluppo economico, che risulterebbe sostanzialmente uguale a quello precedente, in quanto risulta sempre aereo, per quanto il tracciato sia stato modificato per tener conto del nuovo progetto preliminare dell'Idrovia Padova-Mare (ampliata in classe V), le linee non siano più in doppia ma in singola terna e sia stata abbassata di tre metri l'altezza media dei sostegni nonché si sia proposta una mascheratura arborea di fronte a Villa Sagredo di Vigonovo;
   come alternative di progetto in base alla normativa di legge, Terna spa espone l’«opzione zero» (non realizzazione dell'intervento) ritenendola non praticabile, e individuando come alternativa 2 il vecchio progetto (già «bocciato» dal Consiglio di stato nel 2013 e quindi non realizzabile); di fatto quindi non c‘è nessuna alternativa e l'opzione «interramento», pur richiesta dai comuni e dalle province interessate già dal 2007, non viene nemmeno presa in considerazione;
   nonostante la descritta sovrapponibilità dei due progetti citati, nonché le prese di posizione e le azioni legali da parte di tutti i comuni interessati (Dolo, Camponogara, Fosso, Strà, Vigonovo e Saonara), di associazioni, comitati locali e privati cittadini, al fine di richiedere l'interramento delle linee, in data 11 gennaio 2017 il Ministero dello sviluppo economico avrebbe avviato il procedimento d'approvazione del nuovo progetto; nel febbraio 2017 la soprintendenza ai beni culturali del Veneto e il Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo hanno espresso parere positivo al nuovo progetto di elettrodotto;
   a parere degli interroganti è importante evidenziare che, a nove anni dalla prima presentazione, il nuovo progetto Terna spa si colloca in un ambito molto diverso, in quanto è aumentata la sensibilità ambientale rispetto alla parte già scavata dell'idrovia Padova-mare, che è divenuta un'importante area sportivo-ricreativa con notevole valore naturalistico ed ambientale, ed esiste un progetto preliminare per il completamento dell'Idrovia stessa che prevede una pista ciclabile, aree verdi ed aree golenali;
   il citato progetto a parere dell'interrogante danneggerebbe in maniera irrevocabile le legittime ambizioni turistiche di un'area vocata ad essere trasformata da «asse plurimodale» per infrastrutture ad alto impatto ambientale, a «corridoio ecologico» per compensare l'impatto del nuovo canale artificiale e per ricomporre un territorio che ha subito negli ultimi 50 anni un forte degrado ambientale e paesaggistico;
   altrettanto può dirsi per la parte prevista dal progetto di completamento dell'idrovia, nella quale le aree golenali, la pista ciclabile tra Padova e Venezia, le fasce boscate, la stessa possibilità di pescare o svolgere liberamente qualsiasi attività lungo l'idrovia, il paesaggio della Riviera del Brenta, saranno per sempre «segnati» da questa infrastruttura ed irrimediabilmente persi, anche con riferimento ai rischi per la salute che deriverebbero da una esposizione prolungata ai campi elettrico e magnetico generati alla frequenza industriale nominale a 380 kV tra le stazioni 380/220/132 kV di Dolo (Venezia) e Camin (Padova) negli ambienti abitativi e nell'ambiente esterno;
   a tutto ciò si aggiungerebbe il danno economico per i proprietari di immobili e terreni nella zona interessata dall'opera –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti;
   se e quali iniziative si intendano assumere per assicurare il pieno rispetto di tutte le normative in materia di tutela del paesaggio nell’iter di approvazione del progetto;
   se non ritengano di dover valutare attentamente il nuovo citato progetto di Terna spa, affinché siano correttamente verificate le alternative di progetto e si pervenga all'interramento dell'elettrodotto nella tratta Dolo-Camin, come richiesto da comitati, associazione ed istituzioni locali;
   posto che una società a partecipazione pubblica, quale Terna spa, dovrebbe necessariamente, nel perseguimento delle proprie finalità, tenere conto di interessi pubblici preminenti, quali iniziative concrete intendano intraprendere affinché ciò avvenga anche con riferimento a quanto evidenziato in premessa. (4-16631)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Promuovi Italia spa è una società pubblica, controllata al 100 per cento dall'Enit e dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, attiva nell'assistenza tecnica alla pubblica amministrazione e nella realizzazione di progetti finanziati dal Ministero dello sviluppo economico e dal Dipartimento del turismo. La società è stata creata nel 2004 con lo scopo di supportare «l'occupazione e lo sviluppo dell'industria turistica»;
   dagli articoli pubblicati sugli organi di stampa, nel corso degli anni, si è appreso dei numerosi problemi che la società ha dovuto affrontare. «(...) A fine 2013,» ha riportato Wired, aveva quasi 8 milioni di liquidità, e oltre 25 milioni di euro di commesse acquisite e a distanza di un anno si è ritrovata con un buco di 17 milioni di euro, con i dipendenti senza stipendio e i dirigenti indagati. Tale situazione ha compromesso l'operatività dell'azienda che, nel 2013, non ha provveduto al deposito del bilancio d'esercizio;
   il decreto-legge del 31 maggio 2014, n. 83, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, all'articolo 16, ha disposto la messa in liquidazione di Promuovi Italia spa;
   come è stato ricordato da Alberto Crepaldi nell'articolo del 10 maggio 2017 pubblicato sul sito online www.glistatigenerali.com, «sono trascorsi tre anni dal varo del decreto Art Bonus, con cui il Ministro Dario Franceschini si proponeva di rivoluzionare il settore del turismo. L'attesa rivoluzione non c’è stata. Mentre si è rivelata un disastro la riorganizzazione degli enti deputati a declinare le politiche nazionali sul settore»;
   nello specifico, Crepaldi ha ricordato le ultime vicende di Promuovitalia, caratterizzate, soprattutto, dal conflitto giudiziario tra il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e il Ministero dello sviluppo economico;
   lo scontro tra i due dicasteri «riguarda l'annullamento della sentenza di fallimento e il recupero di un credito milionario che il Mise vantava nei confronti della società controllata da Enit, prima che venisse messa in liquidazione dal Mibact»;
   infatti, il 21 novembre 2016 il Ministero dello sviluppo economico ha presentato un ricorso presso la Corte di Cassazione contro il fallimento della società in liquidazione per ottenere la cassazione della sentenza n. 6176/2016 in relazione «all'applicabilità della disciplina dettata dal decreto legislativo n. 175 del 2016, alle sentenze dichiarative di fallimento (...); e alla ricomprensione della categoria delle cosiddette società in house providing in quella delle “società a partecipazione pubblica” con conseguente assoggettabilità alle procedure concorsuali» rinviando così la causa alla Corte d'appello di Roma, «affinché questa definisca le questioni di merito»; Crepaldi ha riportato che «la Suprema Corte, proprio nelle prossime settimane, dovrebbe pronunciarsi sul ricorso»;
   i problemi attraversati da PromuoviItalia sono stati illustrati dal primo firmatario del presente atto nell'interrogazione n. 4-14999, ancora senza risposta –:
   se il Governo intenda intervenire in maniera tempestiva e fare chiarezza sui fatti esposti in premessa, spiegando le ragioni del fallimento di Promuovi Italia e le criticità emerse a seguito delle divergenze sopra riportate tra i due Ministeri.
(4-16634)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal sito www.academy.formazioneturismo.com «uno studio effettuato dal World Travel & Tourism Council stima che il movimento giovanile indipendente, in Italia, sia pari all'8 per cento del flusso estero ed al 10 per cento del turismo domestico. Oltre 6 milioni sono i giovani che, tra italiani e stranieri, si muovono nel nostro Paese in cerca di libertà e svago soprattutto nei mesi estivi. Inoltre, secondo un'indagine effettuata dall'European Travel Commission, i ragazzi si orientano per la maggior parte verso le zone costiere (61 per cento). Le cause della crescita sono caratterizzate da un interesse nei confronti degli aspetti culturali italiani e da alcuni importanti eventi di notevole attrazione per i giovani stranieri»;
   l'Associazione italiana alberghi per la gioventù, nel comunicato stampa dell'11 aprile 2017, ha annunciato la firma del protocollo d'Intesa con l'Associazione nazionale comuni d'Italia per la promozione, nelle sedi istituzionali, del turismo giovanile e la conoscenza del patrimonio storico, artistico, culturale e ambientale;
   nello specifico, le due organizzazioni intendono promuovere, attraverso il progetto denominato «Un ostello per ogni città», un'azione di sensibilizzazione delle amministrazioni comunali per la diffusione del modello di accoglienza legato agli alloggi per la gioventù;
   gli ostelli della gioventù sono complessi ricettivi attrezzati per ospitare, per un periodo di tempo limitato, i giovani turisti in transito ed i loro accompagnatori;
   secondo l'AIG l'ostello «è diventato un centro di aggregazione sociale, ossia un luogo di incontro in cui poter attivare iniziative congiunte, culturali ed educative e momenti di inclusione ed integrazione. Con il protocollo, l'ANCI auspica il riconoscimento delle articolazioni territoriali dell'AIG come interlocutori diretti dei comuni per la realizzazione delle varie iniziative di promozione turistica, nonché l'inserimento di rappresentanti della stessa associazione nelle Commissioni turistiche comunali e di promozione del territorio; quindi il formale riconoscimento di AIG presso le regioni, quale interlocutore nella programmazione della politica turistica»;
   il progetto intende ampliare l'attività anche del recupero di immobili inutilizzati. Il presidente nazionale di AIG Filippo Capellupo ha spiegato che saranno avanzate delle richieste per prendere in gestione dagli Enti comunali, «in qualunque forma utile e cioè con affiliazione, gestione diretta, affidamento, partnership privata o privata, cooperative, strutture comunali in disuso, dimore storiche, edifici inutilizzati o abbandonati, e quant'altro sia idoneo ad essere trasformato in un nuovo e moderno ostello e in una struttura di ospitalità e di promozione culturale al servizio delle città e del Paese. Trasformarle in ostelli significherebbe salvarle dal degrado. E quando, e se, si tratta di strutture in buono stato, vorrebbe dire renderle immediatamente redditizie, oltre che prestate ad una causa sociale, culturale, comune e nazionale»;
   come riportato da notizie apparse sugli organi di informazione, alla luce della riduzione, negli ultimi anni, dei partecipanti ai viaggi di istruzione, Capellupo ha dichiarato che il rilancio degli ostelli, caratterizzato dalla disposizione di strutture accoglienti ed economiche, potrebbe favorire una maggiore partecipazione degli studenti e uno sviluppo delle gite italiane ed estere;
   in ultimo, l'iniziativa prevede una campagna di sensibilizzazione ed informazione, sulla diffusione del modello di accoglienza relativo agli alloggi della gioventù, con incontri, tavole rotonde e conferenze stampa in ogni capoluogo di regione –:
   alla luce dei fatti esposti in premessa, se e quali iniziative il Ministro interrogato, di concerto con le associazioni e gli enti competenti, intenda assumere per promuovere e potenziare lo sviluppo del turismo giovanile;
   se intenda assumere iniziative per valorizzare la rete di strutture per l'accoglienza dei giovani, con particolare riferimento agli ostelli della gioventù. (4-16635)


   ROMANINI, TERROSI, PATRIZIA MAESTRI, MELILLI, BERGONZI, BENAMATI, MORASSUT, OLIVERIO, COVA, PAOLO ROSSI e PRINA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la famiglia Farnese è certamente da annoverare in quel nutrito gruppo di grandi casate italiane di origine medievale che prosperarono in età risorgimentale e che hanno avuto tra i propri membri protagonisti di primo piano sullo scenario politico-culturale nazionale ed europeo;
   l'ascesa della casata è da ricondursi, in particolare, al XIV secolo quando Ranuccio Farnese trasferì la sede familiare a Roma dove nel 1534 il figlio Alessandro venne eletto Papa con il nome di Paolo III rafforzando l'influenza in Italia della famiglia. Nel 1537 Pier Luigi, figlio del Papa, divenne titolare dapprima del Ducato di Castro e poi del Ducato di Parma e Piacenza che rimase sotto la dominazione farnesiana fino alla morte del duca Antonio (1731) quando, in assenza di successori diretti, l'eredità farnesiana passò a Carlo di Borbone, re di Napoli e re di Spagna;
   i fatti e i fasti della famiglia Farnese restano ancora oggi nella storia d'Italia e d'Europa, segnati su rocche, castelli, chiese, case, palazzi, opere pubbliche e collezioni d'arte sparse in un incredibilmente vasto ambito territoriale e scritti nelle vicende di un altrettanto ampio arco temporale. Al nome dei Farnese si legano indissolubilmente i nomi dei più famosi artisti italiani del loro tempo: Sangallo, Alessi, Vignola, Boscoli, Argenta, Isaia da Pisa, Borromini, Perin del Vaga, Tiziano, Michelangelo, Domenichino, Zuccari, Caracci, Cellini, Mochi e tanti altri;
   a differenza di altre famiglie sovrane italiane, legate a territori di singole regioni, la dinastia Farnese tra il XVI secolo e il XVII ebbe il dominio su varie aree della penisola: loro residenze si trovano in tre regioni dell'Italia settentrionale e centro-meridionale (Emilia, Lazio e Abruzzo);
   tra le residenze di maggior pregio si annoverano: Palazzo del Giardino, Palazzo della Pilotta, Palazzo Ducale di Colorno, Rocca di sala Baganza (in provincia di Parma); Palazzo Farnese (Piacenza); Palazzo Farnese, Palazzo della Farnesina, Villa Madama, Orti Farnesiani del Palatino (Roma); Caprarola, Valentano, Gradoli, Isola Bisentina (Viterbo); e ancora, Palazzo Farnese di Latera (Viterbo), Palazzo Farnese di Canino (Viterbo) e Palazzo Farnese di Città Ducale (Rieti);
   questi edifici sono in gran parte aperti al pubblico e di proprietà demaniale, provinciale o comunale; in alcuni casi appartengono in tutto o in parte a soggetti privati e la loro fruibilità è limitata;
   l'articolo 1 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, ha previsto che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo definisse, in accordo con la regione Campania e gli enti locali territorialmente competenti, un piano strategico per lo sviluppo del percorso turistico-culturale integrato delle residenze borboniche;
   il sito seriale «Residenze Sabaude» iscritto nella lista del patrimonio mondiale dell'umanità dell'Unesco nel 1997, è composto da 22 edifici distribuiti nei territori di 2 province e 9 comuni della regione Piemonte. Ai sensi della legge 20 febbraio 2006, n. 77, nel 2012 è stato redatto il piano di gestione del sito seriale Unesco «Residenze Sabaude» che ne assicura la valorizzazione, la tutela e la promozione sul piano nazionale ed internazionale;
   al pari delle residenze borboniche e in modo analogo a quelle sabaude, le residenze farnesiane rappresentano un tassello storico meritevole di tutela, testimonianza della storia preunitaria nazionale e, in quanto tali, sono meritevoli di attenzione e valorizzazione unitaria da parte dello Stato –:
   se il Ministro interrogato non intenda farsi promotore di un'iniziativa normativa, secondo quanto già previsto dall'articolo 1 del decreto-legge 8 agosto 2013, n. 91, finalizzata alla definizione di un accordo di valorizzazione con le regioni e gli enti locali i cui territori sono stati coinvolti dalla dominazione farnesiana con l'obiettivo di definire un piano strategico di sviluppo storico, turistico e culturale delle residenze farnesiane in Italia. (4-16637)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   BARGERO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale penale collegiale di Lucca con sentenza del 31 gennaio 2017 ha condannato gli imputati nel processo per il disastro ferroviario di Viareggio con severe sanzioni;
   tra i numerosi imputati figurano Mauro Moretti, all'epoca dei fatti amministratore delegato di Ferrovie dello Stato italiane e Favo Francesco, dirigente della stessa holding, attualmente dirigente compartimentale di Rete ferroviaria italiana a Napoli;
   a seguito della grave sanzione irrogata Moretti (nel frattempo divenuto amministratore delegato di Leonardo) non è stato riconfermato nonostante le sue riconosciute capacità manageriali e nonostante l'assenza di collegamento tra la pregressa qualità di amministratore delegato di Ferrovie dello Stato italiane e quella di Leonardo;
   l'ingegnere Francesco Favo, condannato anch'egli alla pena di sei anni di reclusione oltre le statuizioni civili, continua a svolgere le funzioni di dirigente di RFI ed, anzi, attualmente, dirige il compartimento di Napoli, incarico quest'ultimo, a giudizio dell'interrogante, più prestigioso ma anche più oneroso di quello ricoperto all'epoca dei fatti a lui addebitati;
   nel pieno rispetto costituzionale di previsione di non colpevolezza che deve assistere gli imputati nei cui confronti non sia intervenuta sentenza di condanna passata in giudicato, è tuttavia innegabile il rapporto tra funzioni ricoperte all'epoca dei gravissimi fatti di cui è processi e funzioni ricoperte oggi; si consideri, inoltre, che in ipotesi di conferma dell'attuale statuizione di condanna anche nei gradi successivi di giurisdizione, sarebbe preclusa l'applicazione di qualsiasi beneficio attesa l'entità della pena irrogata –:
   quali iniziative di competenza siano state intraprese o si intendano intraprendere nei confronti dell'ingegner Francesco Favo, dirigente della società RFI, società del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane interamente partecipato dallo Stato, in relazione alla grave condanna a lui irrogata dal tribunale penale di Lucca in data 31 gennaio 2017; se non si ritenga, sotto il profilo dell'opportunità, di assumere ogni iniziativa di competenza al fine di rimuovere il predetto dirigente dall'incarico attualmente ricoperto, destinandolo ad altre funzioni in attesa della decisione definitiva dell'autorità giudiziaria. (4-16632)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   recenti articoli di stampa riferiscono della situazione in cui versa il carcere di Rovigo, inaugurato nel marzo 2016 e costato oltre 45 milioni di euro, ma che ha presentato fin dall'apertura tutta una serie di problemi strutturali;
   due giorni fa, il distacco di una superficie di circa 8 metri lineari della facciata esterna ha richiesto l'intervento dei vigili del fuoco che hanno provveduto alla messa in sicurezza dell'area interessata dal cedimento, causato dalle infiltrazioni d'acqua che stanno danneggiando la struttura dal di dentro;
   a questo si aggiunge – come riferisce La voce di Rovigo – l'allarme sicurezza per la facilità con cui è «facilissimo infiltrarsi all'interno. La recinzione lascia molto a desiderare, e tutta l'area in generale è in mezzo alle erbacce. Chiunque può entrare, e questo crea seri pericoli di sicurezza»;
   una struttura nuova, realizzata secondo criteri innovativi, aperta dopo anni di stallo e una marea di polemiche, effettivamente pare presentare problemi, come segnalano da tempo i sindacati della polizia penitenziaria che evidenziano, inoltre, carenze sotto il profilo della sicurezza tra telecamere da sostituire e cancelli rotti –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare o promuovere per risolvere i problemi denunciati che si registrano all'interno del carcere di Rovigo. (4-16627)


   DURANTI, PIRAS, RICCIATTI, NICCHI, MELILLA e SANNICANDRO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la legge delega n.57 del 2016 si è autorizzato il Governo ad adottare un decreto legislativo per la riforma organica della magistratura onoraria ed altre disposizioni sui giudici di pace;
   nello specifico, l'articolo 2, comma 15, lettera v), della suddetta legge delega prevede che «Nell'esercizio della delega (...) il Governo si attiene (...) estendendo, per le cause il cui valore non ecceda euro 2500, i casi di decisione secondo equità ed attribuendo alla competenza dell'ufficio del giudice di pace i procedimenti per i reati, consumati o tentati, previsti dagli articoli 612, primo e secondo comma (...) 626 e 651 del codice penale, nonché per le contravvenzioni previste dagli articoli 727 e 727-bis del codice penale(...)»;
   gli articoli 727 e 727-bis del codice penale prevedono rispettivamente che «Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze.» e «Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, fuori dai casi consentiti, uccide, cattura o detiene esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta è punito con l'arresto da uno a sei mesi o con l'ammenda fino a 4.000 euro, salvo i casi in cui l'azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie. Chiunque, fuori dai casi consentiti, distrugge, preleva o detiene esemplari appartenenti ad una specie vegetale selvatica protetta è punito con l'ammenda fino a 4.000 euro, salvo i casi in cui l'azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie»;
   le valutazioni sugli animali — in assoluto e soprattutto per quelli definiti «da compagnia» — sono evolute in positivo negli ultimi decenni, arrivando sino alla definizione, per loro, di esseri senzienti. A tal proposito, è d'uopo ricordare la Convenzione europea per la protezione degli animali da compagnia firmata a Strasburgo, poi ratificata nel nostro ordinamento con la legge n. 201 del 2010. Si evince quindi come «gli animali siano in grado di capire, siano dotati di una forma di intelligenza, provino dolore, sofferenza e di come possano essere felici o terribilmente tristi;
   importanti innovazioni nel senso del diritto degli animali sono state fatte, inoltre, nel nostro ordinamento con la legge n. 189 del 2004, recante «Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate» che ha introdotto nel codice penale il titolo IX-bis «dei delitti contro il sentimento degli animali»;
   ad avviso degli interroganti – oltre che delle associazioni in difesa degli animali come in primis la LAV — la direzione che si intende prendere con l'articolo 2, comma 15, lettera h), della legge n. 57 del 2016 rischierebbe di essere in contrasto con il riconoscimento dato agli animali di «esseri senzienti»  –:
   se i Ministri siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se non ritengano di assumere iniziative per modificare la legge 57 del 2016, quanto al delicato aspetto illustrato in premessa, affinché non vi sia un vero e proprio «declassamento» di reati inerenti a condotte indegne nei confronti degli animali, quali l'abbandono di un cane o la cattura di un animale protetto. (4-16640)


   MORANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sul Fatto Quotidiano del 16 maggio 2017 è stato pubblicato, a firma di Marco Lillo, un articolo che riporta, pressoché interamente, il verbale di un'intercettazione riguardante una telefonata privata tra l'ex Presidente del Consiglio dei ministri e attuale segretario del Partito Democratico Matteo Renzi e suo padre, Tiziano Renzi, intercettazione disposta nell'ambito della indagine cosiddetta «Consip»; nella quale il padre dell'ex Premier era in quel momento indagato per traffico di influenze;
   l'intercettazione diffusa fa parte degli atti di indagine concernenti la suddetta indagine Consip e riporta integralmente una telefonata risalente al 2 marzo 2017 intercorsa tra padre e figlio, durante la quale il figlio chiede, energicamente, al padre delucidazioni proprio in merito alle responsabilità che gli vengono imputate;
   va inoltre considerato che, nei giorni seguenti alla telefonata in questione, emergerà (tali fatti costituiscono oggetto di un'altra interrogazione a prima firma dell'interrogante, la n. 4-16594) che nelle settimane immediatamente successive un'altra procura, quella di Roma, ha indagato il capitano del nucleo operativo ecologico dei carabinieri (N.O.E.), Gian Paolo Scafarto per il reato di falso ideologico e falso materiale, proprio in relazione ad una informativa riguardante Tiziano Renzi nell'ambito dell'inchiesta «Consip», da lui redatta il 9 gennaio 2017;
   alla luce delle norme del codice di procedura penale che disciplinano la materia delle intercettazioni (capo IV, articoli 266 e seguenti c.p.p.) si tratta di intercettazioni che appaiono private e, soprattutto del tutto irrilevanti ai fini delle indagini svolte; dunque, la loro pubblicazione appare all'interrogante quantomeno di dubbia legittimità oltre che lesiva di diritti fondamentali, anche considerando il doveroso rispetto, che si dà per assunto, della libertà dell'informazione –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di promuovere iniziative ispettive, ai fini dell'eventuale esercizio degli ulteriori poteri di competenza. (4-16646)


   IMPEGNO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'inchiesta sul «caso Consip» si è basata su intercettazioni le cui trascrizioni si sono rivelate alterate in punti decisivi e, allo stesso tempo, la informativa redatta dal capitano del Noe Gian Paolo Scafarto presentava, secondo la procura di Roma, numerosi errori e presunte falsificazioni;
   dell'ambito dell'inchiesta, si sarebbe poi determinata una tensione tra la procura di Roma e quella di Napoli. Non sfugge che il dottor Fragliasso, attuale facente funzioni della procura di Napoli, ha a distanza di circa 1 mese divulgato due comunicati stampa di segno sostanzialmente diverso in tema di conferma o meno della fiducia al Noe e al Cap. Scarfato;
   inoltre, il procuratore generale della Cassazione, Pasquale Ciccolo, ha promosso un'azione disciplinare a carico del PM, dottor Henry John Woodcock, a seguito della pubblicazione sul quotidiano « La Repubblica» di una intervista rilasciata dal noto pubblico ministero;
   nel capo di incolpazione a carico del PM Woodcock si legge che il PM ha tenuto un comportamento gravemente scorretto nei confronti del procuratore della Repubblica facente funzioni di Napoli, Nunzio Fragliasso. In particolare, il PM è accusato di aver contraddetto e svalutato l'impostazione accusatoria della procura di Roma nell'ambito della citata intervista con la giornalista Liana Milella, nel corso della quale esprimeva un parere sull'inchiesta condotta dai PM di Roma e sul capitano del Noe Scarfato. L'incolpazione prevede, specificamente, l'accusa di aver violato la consegna del silenzio che gli viene imposta dall'ordinamento giudiziario, poi ribadita in una recente nota del procuratore Fragliasso;
   il «caso Consip» è solo l'ultimo episodio di indagini i cui atti sono ripetutamente oggetto di fuga di notizie (senza ancora una sola condanna), indagini talvolta riguardanti componenti del Governo –:
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di promuovere iniziative ispettive presso la procura di Napoli e se intenda assumere le iniziative di competenza per dare seguito al programma, annunciato in occasione della formazione del Governo Renzi (e confermato con la formazione dell'attuale Governo), di riformare il Csm anche alla luce di quanto descritto in premessa, e considerata l'esigenza di evitare situazioni in cui una delle più importanti procure d'Italia possa trovarsi per cinque mesi priva di un procuratore generale nella pienezza dei suoi poteri. (4-16649)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCANU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra sabato e domenica 14 maggio 2017 un incendio partito da un camion frigorifero si è sviluppato a bordo della nave Cargo della compagnia Moby Lines «Giuseppe Sa», partita da Piombino diretta al porto Isola Bianca di Olbia; la nave aveva 113 persone a bordo, di cui 88 passeggeri e 25 membri dell'equipaggio;
   l'intervento dell'equipaggio è fortunatamente riuscito a spegnere le fiamme con l'impianto in dotazione a bordo e a mettere in sicurezza tutti i trasportati attraverso la chiusura delle paratie d'emergenza, evitando il diffondersi dell'incendio;
   in questa circostanza sono stati allertati mezzi di soccorso della capitaneria di porto di La Maddalena, il rimorchiatore portuale «Mascalzone Scatenato» e i traghetti «Moby Wonder» e «Moby Aki», della stessa compagnia, un mezzo aereo del nucleo elicotteri della guardia costiera di Sarzana ed una motovedetta per il soccorso Sar d'altura dal porto di Civitavecchia e due unità specializzate del tipo « firefighting» delle autorità francesi;
   il porto di Olbia da alcuni anni registra un notevole incremento del traffico marittimo soprattutto per quanto riguarda il movimento passeggeri, per il 2016 si tratta di una crescita superiore al 15 per cento, pari a circa 650 mila unità in più rispetto al 2015. Secondo un comunicato dell'autorità portuale del nord Sardegna, il porto di Olbia nel 2016 si avvicina a circa 3 milioni di passeggeri, attestandosi in cima ai porti del Mediterraneo, con dati tre volte superiori al cabotaggio di Barcellona (con un milione e 300 mila passeggeri) e superando Genova (2 milioni e 100 mila passeggeri circa al netto delle crociere). Anche i movimenti nave per trasporto merci sono aumentati con 6280 unità su Olbia, con un più 3,3 per cento rispetto al 2015;
   650 mila passeggeri in più, in transito attraverso lo scalo di Olbia, sono la prova che il principale porto gallurese svolge una funzione chiave nel trasporto marittimo in Sardegna, sempre più porta del mediterraneo; 
   in ragione degli aumenti di traffico sopraesposti, al porto di Olbia era stata riconosciuta la necessità di un potenziamento delle attività di soccorso antincendio prevedendo un nucleo nautico con classificazione P1, con il progetto per il riordino delle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale dei vigili del fuoco. Sono stati avviati i lavori per la realizzazione di una nuova sede in località Cala saccaia, dove è stato realizzato già lo scheletro di una struttura. Inoltre, al nucleo nautico venne assegnato nuovo personale brevettato e una relativa imbarcazione. Ma a seguito del riordino dei vigili del fuoco (2015) il nuovo progetto è stato abbandonato e anche il nucleo sommozzatori dei vigili del fuoco è stato ridimensionato, passando, nella pianta organica, da 28 a 14 unità. Con questi numeri non è stato più possibile effettuare la copertura nell'arco notturno, fascia, tra l'altro, a più alta intensità di traffico marittimo passeggeri, con l'aggravante del traffico dei due aeroporti a ridosso del mare (Costa Smeralda e Fertilia) e dello scalo marittimo turritano di Porto Torres. In caso di necessità oggi si è costretti a intervenire su Olbia, nella fascia notturna, attraverso il nucleo di Cagliari che non può giungere sul posto prima di 4 ore, e, comunque in tal caso, sguarnendo la fascia sud della Sardegna –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di assumere iniziative per l'istituzione, ad Olbia, che appare ormai non più rinviabile, di un presidio nautico notturno fisso dei vigili del fuoco dotati di uomini e mezzi specialisti per l'estinzione degli incendi e per il soccorso in mare.
(4-16622)


   BORGHESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si protraggono ormai da più di un anno i problemi legati ai ritardi nell'evasione delle pratiche automobilistiche presso la motorizzazione civile di Brescia, dovuti ad una carenza di personale a fronte di una ingente mole di lavoro, appesantita dalla scelta governativa di trasferire alla motorizzazione le competenze della provincia;
   i collaudi, le revisioni, le pratiche per iscrizioni, modifiche societarie, variazioni di sedi che prima venivano evase in 2 settimane, ora richiedono una media di 2 mesi. Le revisioni delle patenti sono in arretrato di mesi, così come le lettere di azzeramento dei punti della patente o i duplicati, anche se in alcuni casi la motorizzazione ha solo il compito di controllare le pratiche evase dalle autoscuole;
   i disagi più grandi sono vissuti dalle aziende di trasporto, che ovviamente utilizzano i servizi della motorizzazione con una certa regolarità per le immatricolazioni e per le revisioni obbligatorie dei veicoli e che già vedono ostacolato il proprio lavoro per i ritardi nel rilascio di provvedimenti amministrativi che complicano la normale attività delle aziende con forti ripercussioni sulle attività economiche, del settore e di tutto l'indotto. Gli autotrasportatori, oltre ai problemi legati alla determinazione mensile dei costi di esercizio dei servizi di trasporto e a quelli legati alla concorrenza sleale estera, devono anche fare i conti con la carenza di personale nelle pubbliche amministrazioni che condiziona negativamente l'esercizio della professione –:
   come intenda garantire il diritto ad un servizio di qualità ai cittadini bresciani, e in particolar modo alle aziende di trasporto, che si avvalgono regolarmente per motivi personali e professionali dei servizi della motorizzazione civile e che stanno subendo da troppo tempo ormai gravi disagi a causa dei problemi legati alla carenza strutturale di personale. (4-16625)


   FASSINA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   le organizzazioni sindacali toscane del settore dei trasporti hanno indetto una prima azione di sciopero per il 23 maggio 2017 di metà prestazione lavorativa come previsto dall'articolo 4 della delibera n. 04/590 del 29 ottobre 2004 della Commissione di garanzia dell'attuazione della legge sullo sciopero dei servizi pubblici essenziali;
   in Toscana, come confermano i sindacati, nei prossimi mesi sono a rischio circa 100 posti di lavoro su 700, questo nonostante il contratto di servizio stipulato tra regione Toscana e Trenitalia preveda un aumento del budget sul trasporto regionale;
   si tratta di un fatto alquanto grave a parere dell'interrogante, che esige un intervento del Governo e delle istituzioni nazionali –:
   quali iniziative di competenza, anche normative, intendano avviare per la salvaguardia dell'occupazione e della qualità del lavoro nel comparto dei trasporti della regione Toscana. (4-16629)


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con comunicato stampa della Marina militare datato 11 maggio 2017 si dava notizia pubblica dell'incidente che ha visto coinvolti il sottomarino della Marina militare «Scirè» ed una unità mercantile;
   la notte tra il 10 e l'11 maggio 2017, durante la navigazione di trasferimento per una attività addestrativa, il sommergibile Scirè ha riportato di aver urtato una unità mercantile al largo del Golfo di Squillace (Catanzaro);
   il battello ha invertito la rotta verso la propria base di Taranto e non vi sono stati feriti nell'equipaggio, mentre la nave mercantile ha ripreso regolarmente la propria navigazione;
   alcune testate giornalistiche riferiscono che sembri non sia stata interpellata la Guardia costiera, presente nei comuni di Soverato, di Catanzaro Lido e di Crotone, competente in caso di incidenti marittimi come quello raccontato dalle cronache;
   appare quanto mai inspiegabile quanto avvenuto vista la notevole silenziosità e le spiccate doti di occultamento che rendono il sottomarino Scirè una piattaforma particolarmente idonea alla raccolta di dati intelligence e di sorveglianza delle aree d'interesse, integrandosi in modo efficace nei dispositivi di difesa nazionali, multinazionali e Nato;
   da oltre due anni quattro sommergibili della Marina militare italiana svolgono davanti alle coste libiche un compito di importanza strategica, nascosti sotto il pelo dell'acqua, invisibili e in continuo movimento –:
   se trovino riscontro le notizie riportate sul mancato intervento della Guardia costiera per appurare dinamica e responsabilità dell'incidente descritto in premessa e, in caso affermativo, quali siano le motivazioni di tale omissione;
   se siano state avviate indagini di polizia marittima da parte della Guardia costiera;
   quale sia la nave mercantile coinvolta, quale il punto nave ove è avvenuto l'incidente e quale la lista del carico trasportato al momento dell'incidente al fine di valutare eventuali rischi per la tutela ambientale;
   quali danni siano stati riscontrati al sommergibile Scirè e quali responsabilità in ordine alla catena di comando siano state riscontrate a margine dell'indagine aperta dalla Marina militare anche nel caso in cui non sia stata avvertita la Guardia costiera. (4-16639)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO e PETRAROLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il territorio di competenza del distaccamento dei vigili del fuoco di Luino (Varese) si estende su 29 comuni dell'area dell'alto Verbano e copre 226,47 chilometriquadrati terrestri per una popolazione di 57.843 abitanti;
   esso è un territorio molto vasto per la tipologia di luoghi nei quali il personale è chiamato ad intervenire: aree cittadine, zone industriali, piccole frazioni di paese, zone montane e soprattutto le acque di tutto l'alto lago Maggiore fino al confine Svizzero, ma anche tre dighe con due bacini artificiali, tre centrali idroelettriche;
   è peraltro collegato per mezzo di strade non agevoli che richiedono tempi di percorrenza, dalle sedi più vicine, di minimo 30 minuti;
   quest'area è attraversata per l'intera estensione dalla linea ferroviaria Gallarate-Zenna, linea cardine del AlpTransit, dove transitano circa 90 convogli merci giornalieri, con i nuovi «super treni» da 700 metri di lunghezza, trasportanti ogni tipo di materiale, nonché tonnellate di prodotti chimici pericolosi;
   al distaccamento sono assegnati però 28 vigili, sette unità a turno e il servizio viene garantito da cinque unità (Partenza minima standard): un vigile del fuoco ogni 12.000 abitanti per 45 chilometri quadrati terrestri;
   essendo presenti nell'area svariate gallerie ferroviarie, lunghe anche 3 chilometri, risulta indispensabile l'assegnazione di un mezzo speciale per affrontare gli incendi in galleria e che possa muoversi su rotaia;
   il distaccamento, inoltre, è chiamato ad intervenire con i mezzi nautici in dotazione su tutto l'alto lago Maggiore, servizio di soccorso che, oltre ai normali interventi, viene garantito a qualsiasi ora e con qualsiasi condizione meteorologica, sempre e solo dalle cinque unità presenti;
   l'attuale classificazione del distaccamento in oggetto è SD 2 (risposta minima 5 unità a turno), mentre aumentando la categoria a SD 4 e distaccamento lacustre (risposta minima 7 unità a turno) si avrebbe un notevole miglioramento della risposta del dispositivo di soccorso, permettendo contemporaneamente l'intervento di una squadra e di un altro mezzo di o eventuale mezzo nautico;
   inoltre, integrando il personale, sarebbe possibile istituire, durante il periodo estivo, il presidio acquatico durante tutte le 24 ore che, come dimostrato dagli interventi degli anni passati, garantisce il salvataggio di decine di persone;
   da più parti è stata denunciata una cronica carenza di personale presso le sedi di servizio dei vigili del fuoco nell'intera provincia di Varese, dato che all'ultima ricognizione quasi il 20 per cento del personale assegnato al comando provinciale sarebbe assente a vario titolo (articolo 12 del decreto del presidente della Repubblica 7 maggio 2008 – legge 104 del 1992 – decreto legislativo 267 del 2000 – articolo 42-bis del decreto legislativo 151 del 2001 e altro) inficiando gravemente il dispositivo di soccorso;
   in seguito alla distribuzione di 400 unità qualifica iniziale del ruolo di vigili del fuoco, di cui al decreto-legge n. 113 del 2016, convertito dalla legge n. 160 del 2016 era stato richiesto un incremento del personale per le sedi di Ispra;
   a seguito di questa situazione alcune sigle sindacali hanno annunciato la possibilità di entrare in sciopero al fine di tutelare i lavoratori ma ancor più i cittadini della provincia –:
   se non ritenga di adottare urgentemente le iniziative di competenza al fine di consentire il rafforzamento del distaccamento dei vigili del fuoco di Luino (Varese) recependo le proposte delle rappresentanze sindacali. (4-16624)


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2008, in seguito a un'indagine della direzione distrettuale antimafia, viene sequestrata la casa di riposo per anziani di Nocera Terinese, in provincia di Catanzaro, rimasta incompiuta. Le indagini avevano dimostrato la presenza di infiltrazioni mafiose nell'appalto che era stato vinto dalla ditta Ade costruzione srl;
   i provvedimenti sono stati firmati dal sostituto della direzione distrettuale antimafia Gerardo Dominijanni, titolare dell'inchiesta che rappresenta una costola dell'operazione «Progresso» che vede alla sbarra presunti esponenti della cosca Giampà di Lamezia;
   dagli accertamenti sarebbe emerso che all'impresa Ade costruzioni (che si aggiudicò l'appalto con un ribasso del 18 per cento su base d'asta di 983.000 euro) sequestrata a novembre del 2007, in seguito all'arresto del suo titolare, Antonio De Vito, avvenuto insieme a quello di Pasquale Giampà per una presunta tentata estorsione a un commerciante di autoricambi, anche dopo l'arresto di De Vito, sarebbe stato consentito di continuare i lavori evitando il possibile rischio di un intervento interdittivo per la certificazione antimafia dalla prefettura di Catanzaro;
   molti furono i soggetti coinvolti nelle indagini, anche numerosi esponenti delle istituzioni, tra cui l'ex sindaco di Nocera Torinese e Gerardo Luciano Esposito, in qualità di dipendente dell'ufficio tecnico comunale e che è attualmente sotto processo per reati aggravati dall'articolo 7 della legge n. 203 del 1991: per aver agevolato la cosca mafiosa e per il reato di corruzione ai danni dell'amministrazione comunale di Nocera. Esposito è indagato anche per occultamento di atti pubblici e turbativa d'asta;
   solo nel 2015, in seguito all'uscita di quattro consiglieri di maggioranza, e all'arrivo della commissaria dottoressa Ratundo, viene rimosso il geometra Esposito;
   le elezioni del 2016 vengono vinte dall'avvocata Fernanda Gigliotti la quale, dopo alcuni mesi dalla sua elezione, reintegra Esposito, che è a tutt'oggi sotto processo per i reati sopra esposti, nominandolo capo dell'ufficio tecnico;
   il gruppo di minoranza del consiglio comunale di Nocera Torinese ha, nell'ottobre del 2016, inviato una circostanziata segnalazione all'autorità nazionale anticorruzione, alla regione Calabria e alla procura della Repubblica, non solo per le numerose violazioni delle norme che regolano gli appalti, ma anche per denunciare una palese distrazione di fondi pubblici, gestiti dall'ufficio tecnico in capo a Esposito, il quale avrebbe dato incarichi a familiari, amici e parenti di membri di maggioranza del consiglio comunale nella gestione della demolizione di un «ecomostro» sito sulla costa della cittadina –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda valutare la sussistenza dei presupposti per avviare le iniziative di competenza ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (4-16641)


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il 5 giugno 2016 Gerardo Immerso è stato eletto sindaco del comune di Rutino, in provincia di Salerno;
   tre mesi dopo il voto, per effetto della «legge Severino», il primo cittadino è stato ritenuto incandidabile dalla prefettura per aver riportato una condanna in appello per ricettazione; la condanna era stata emessa il 14 novembre 2012 ed era passata in giudicato il 28 gennaio 2013 perché Gerardo Immerso non aveva presentato ricorso in Cassazione;
   il sindaco era stato sospeso e il comune era retto dal suo vice, Michele Ferraro; nel frattempo è stato disposto lo scioglimento del consiglio comunale;
   Gerardo Immerso ha sostenuto di non essere a conoscenza della condanna emessa nei suoi confronti in quanto il tribunale non gli avrebbe mai notificato la sentenza e, quindi, non sarebbe stato messo nelle condizioni di poter ricorrere al terzo grado di, giudizio;
   da quanto si apprende da fonti di stampa, la decadenza da sindaco ha creato un vero e proprio terremoto politico;
   nei giorni scorsi, la corte d'appello di Napoli ha ammesso che mancano le prove dell'avvenuta notifica e l'imputato «può essere riammesso nei termini temporali per proporre ricorso alla Corte Suprema di cassazione»; nell'ordinanza si legge che dall'esame del fascicolo processuale che ha portato alla condanna sono state rilevate delle anomalie, tra cui la manomissione materiale degli atti relativi proprio alla notifica;
   non vi è stato, poi, il provvedimento di decadenza per effetto della condanna definitiva, emessa dalla corte d'appello di Napoli e divenuta irrevocabile il 28 gennaio 2013;
   il 25 giugno 2016, con la delibera n. 1, il consiglio comunale di Rutino ha esaminato le condizioni di candidabilità degli eletti e ha convalidato l'elezione di Gerardo Immerso, nonostante già l'8 giugno 2016 i Carabinieri di Vallo della Lucania avessero verificato, con l'atto n. 2118/2016, la presenza, nel certificato penale di Immerso, della condanna irrevocabile alla pena di due anni per ricettazione continuata;
   il certificato, però, è stato inviato al comune solo il 6 luglio 2016 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano gli orientamenti del Governo, per quanto di competenza, in relazione a quanto sopra riportato, anche al fine di fare piena luce su una vicenda che presenta non pochi lati oscuri e che ha fortemente esposto la comunità di Rutino;
   se il Ministro della giustizia intenda valutare se sussistono i presupposti per avviare iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di cui in premessa. (4-16642)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con bando del 22 gennaio 2016, la prefettura di Milano ha indetto una gara pubblica per l'affidamento del «servizio di accoglienza di cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale», a cui ha partecipato un raggruppamento temporaneo di imprese, formato da una società di diritto francese e da una associazione culturale di Agrigento, che ha messo a disposizione per l'accoglienza alcuni immobili all'interno di due palazzine appartenenti al condominio Palazzo Rocca Barra di San Colombano al Lambro (Milano);
   nel luglio 2016, successivamente alla prospettata destinazione degli appartamenti suddetti all'accoglienza, l'amministrazione comunale ha effettuato le necessarie verifiche, trattandosi di immobili in stato di abbandono e di degrado, da molti anni, di proprietà di una società con sede ad Agrigento, peraltro morosa nel pagamento delle tasse locali e delle spese comuni per la gestione del condominio;
   le suddette verifiche, le cui risultanze sono state comunicate al prefetto di Milano (Prot. n. 12412 del 25 luglio 2016), hanno accertato la non conformità urbanistica/edilizia della destinazione d'uso, comunicata dal proprietario e la mancanza delle condizioni di abitabilità/agibilità, e va rilevato che il bando prescrivesse espressamente l'obbligo dei concorrenti di dichiarare, ai sensi e per gli effetti del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, che «i locali/strutture che saranno utilizzati per i servizi oggetto della presente gara sono in possesso di certificazione urbanistica e sanitaria»;
   secondo i rilievi dell'amministrazione comunale del luglio 2016, dunque, gli immobili messi a disposizione per l'accoglienza erano privi della necessaria certificazione urbanistica e sanitaria già al momento della partecipazione alla gara (aggiudicata a maggio 2016) e, allora, il concorrente non aveva neanche la disponibilità degli immobili, poiché il contratto di affitto è stato stipulato soltanto il 2 agosto 2016;
   successivamente al diniego della prefettura alle istanze di accesso agli atti della gara, presentate sia da un condomino che dall'amministratore del condominio, questi ultimi hanno impugnato i provvedimenti di diniego davanti al Tar della Lombardia, sede di Milano, che, con sentenze n. 267 del 2017 e 268 del 2017, ha accolto i ricorsi, annullato il provvedimento impugnato e ordinato all'Amministrazione prefettizia di esibire i documenti richiesti, entro 30 giorni, condannandola anche alle spese legali;
   nonostante il decorso del termine assegnato dal Tar Milano e i solleciti delle ricorrenti, la prefettura di Milano non ha provveduto a esibire la documentazione richiesta e, anzi, ha impugnato le sentenze davanti al Consiglio di Stato, chiedendo in via cautelare la sospensione dell'efficacia esecutiva delle decisioni impugnate;
   nel frattempo, il servizio di accoglienza dei migranti all'interno del condominio prosegue regolarmente, nonostante il proprietario degli immobili per il suddetto servizio non provveda a pagare le spese condominiali, né le spese per la fornitura di acqua potabile destinata ai profughi internazionali, che restano quindi, di fatto, a carico dei restanti condomini –:
   quali attività di controllo e di vigilanza siano state svolte dalla prefettura di Milano, per quanto di competenza, per verificare che il servizio di accoglienza dei migranti all'interno di abitazioni private nel condominio di cui in premessa sia svolto senza recare pregiudizio economico e patrimoniale agli altri condomini;
   quali iniziative siano state dalla prefettura di Milano a seguito delle segnalazioni del comune di San Colombano al Lambro e dei cittadini residenti nel condominio in premessa;
   quale sia il motivo del rifiuto della prefettura di Milano di esibire gli atti relativi alla gara indetta e della decisione della medesima di resistere in giudizio, sostenendo costi per spese legali che in ultima istanza sono a carico della collettività;
   quali siano gli orientamenti del Governo sulla vicenda e sul comportamento della prefettura di Milano, posto che, per l'interrogante, si tratta di una condotta di dubbia legittimità, e quali iniziative di competenza intenda avviare il Ministro interrogato alla luce di quanto esposto. (4-16643)


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Friuli Venezia Giulia ha attivato la centrale operativa del Numero unico emergenza (Nue) 112, sul modello di call center laico, utilizzando quindi per la ricezione delle richieste di soccorso centralinisti privi di adeguata conoscenza specifica, in quanto il requisito richiesto è un'esperienza di 3 mesi in un call center o nel volontariato di protezione civile;
   il modello organizzativo predetto prevede sempre un doppio passaggio della richiesta di soccorso (al centralinista laico prima e all'operatore professionale poi), per cui si allungano considerevolmente i tempi per «processare» le richieste di soccorso: del doppio, ma spesso anche del triplo e più;
   di conseguenza viene ritardato, rispetto alla precedente organizzazione, l'intervento dei mezzi di soccorso, con incremento di rischio per la sicurezza del cittadino in pericolo;
   a solo titolo di esempio si richiama il caso, che ha avuto ampio risalto mediatico, avvenuto a Trieste lunedì 8 maggio 2017, quando un uomo di 56 anni, colpito da arresto cardiaco in pieno centro urbano è stato raggiunto dall'autoambulanza, a quanto consta all'interrogante, 15 minuti dopo l'allarme, quando era ormai deceduto mentre, prima dell'avvio del Numero unico emergenza 112, tali interventi in centro urbano venivano evasi in 3-4 minuti;
   sempre nell'area triestina, l'11 maggio 2017, un cittadino che chiamava soccorso per una persona con serio trauma cranico ha avuto la prima risposta dal 112 dopo 15 minuti di attesa al telefono e ci sono voluti quasi altrettanti per spiegare al centralinista che non conosceva il territorio dove andare, non risultando possibile la geolocalizzazione;
   numerosissime segnalazioni di cittadini indignati e preoccupati continuano a pervenire agli organi di informazione e a diffondersi in rete, confermando l'apprensione dell'intera popolazione del Friuli Venezia Giulia dinnanzi alla situazione che si è creata, in quanto comporta un importante e concreto aumento di rischio per la sicurezza: ritardando gli interventi di polizia e carabinieri, in caso di minaccia alla sicurezza della persona e dei beni, ritardando l'intervento dei vigili del fuoco in caso di incendi e altri incidenti, ritardando l'intervento del soccorso sanitario anche quando vi è pericolo immediato per la vita delle persone;
   la creazione del numero unico in Friuli Venezia Giulia ha finora aumentato a sproposito i tempi di soccorso e la regione neppure sarebbe riuscita con ciò, a quanto consta all'interrogante, nell'intento di tagliare i costi delle sale operative, anzi li avrebbe aumentati, dimostrandosi così tale soluzione assai meno efficiente e assai meno efficace rispetto ai precedenti modelli di soccorso, che funzionavano egregiamente;
   l'iniziativa del call center laico è stata avviata in altre realtà regionali, presentando, ad avviso dell'interrogante, numerose criticità –:
   se i Ministri interrogati intendano promuovere adeguate iniziative, per quanto di competenza, volte a garantire che un servizio essenziale per la vita dei cittadini italiani ed europei, risponda ad adeguati livelli di efficienza ed efficacia. (4-16645)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VACCA, D'UVA, BRESCIA, DI BENEDETTO, MARZANA, SIMONE VALENTE e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 56,2 per cento del totale delle risorse economiche delle università statali è costituita dal Fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO). Tale fondo è distribuito tra gli atenei suddividendo una quota base (circa 4.725.922.155 di euro nel 2016) e una quota premiale (circa 1.605.000.000 di euro nel 2016); il 28 per cento della quota base è individuato in proporzione al peso di ciascuna università come risultante dal modello del costo standard di formazione per studente in corso;
   il meccanismo del costo standard è entrato in vigore nel 2014;
   con ordinanza dell'11 dicembre 2015 (r.o. n. 85 del 2016), il tribunale amministrativo regionale per il Lazio, sezione terza-bis, solleva, tra le altre, anche la questioni di legittimità costituzionale degli articoli 8 e 10 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49;
   il Tar è stato adìto dall'università di Macerata con due ricorsi per l'annullamento del decreto 9 dicembre 2014, n. 893 (determinazione del costo standard unitario di formazione per studenti in corso) e del decreto 4 novembre 2014, n. 815 (decreto criteri di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario (FFO) delle università per l'anno 2014). Tali atti applicano per la prima volta il nuovo sistema di ripartizione del fondo per il finanziamento ordinario delle università (FFO);
   con sentenza 11 maggio 2017, n. 104, la Corte costituzionale dichiara l'illegittimità costituzionale dell'articolo 8 del decreto legislativo 29 marzo 2012, n. 49, e dell'articolo 10, comma 1, del decreto legislativo n. 49 del 2012, limitatamente alle parole: «al costo standard per studente,»;
   tale sentenza cancella, di fatto, la percentuale del FFO da ripartire in relazione al costo standard per studente;
   come ricorda anche la Corte, «nelle determinazioni relative ai costi standard, i profili squisitamente tecnici – indubbiamente consistenti, delicati e mutevoli – sono frammisti ad altri, di natura politica: esulano dall'ambito meramente tecnico, ad esempio, le decisioni in merito al ritmo della transizione dal criterio della spesa storica a quello dei costi standard; o quelle relative all'identificazione e al peso delle differenze tra i «contesti economici, territoriali e infrastrutturali” in cui operano le varie università»;
   come evidenziato nella sentenza, la illegittimità costituzionale determinata esclusivamente da vizi dell'esercizio del potere legislativo delegato, non impedisce ulteriori interventi in merito del Parlamento e del Governo, sui quali comunque incombe la responsabilità di assicurare, con modalità conformi alla Costituzione, la continuità e l'integrale distribuzione dei finanziamenti per le università statali –:
   alla luce di quanto riportato in premessa, se e quali siano state le conseguenze in termini di ripartizione del Ffo per le università statali a partire dall'introduzione del costo standard (2014) ad oggi;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative in tempi brevi in relazione agli effetti prodotti dalla sentenza;
   se e quali iniziative il Governo intenda avviare sul piano normativo per reintrodurre criteri di finanziamento legati al costo standard. (5-11397)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   La sottoscritta chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   in data il 14 giugno 2016 è stata approvata in via definitiva la legge 22 giugno 2016, n. 112, «Disposizioni in materia di assistenza in favore delle persone con disabilità grave prive del sostegno familiare», lungamente attesa e che promuove un processo concreto di deistituzionalizzazione, aprendo una nuova prospettiva esistenziale per le persone con disabilità e per i loro familiari;
   il 10 novembre 2016 Stato e regioni hanno approvato il riparto dei fondi (90 milioni di euro per il 2016). Il decreto attuativo è stato firmato il 23 novembre 2016 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 23 febbraio 2017 ed entro il 20 aprile il Ministero ha esaminato tutti i piani regionali e versato i fondi alle regioni che hanno visto approvato il piano, mentre alle altre ha inviato delle raccomandazioni;
   ad oggi circa due terzi delle regioni hanno ottenuto i fondi previsti dalla legge e si confida di poter procedere all'erogazione di tutte le risorse entro la fine del mese;
   a undici mesi dall'approvazione della legge tutti gli strumenti attuativi richiesti per renderla operativa sono stati approvati, compreso il necessario chiarimento sulle agevolazioni fiscali e tributarie previste all'articolo 6 della legge, a cominciare dal fatto che i beni e i diritti conferiti in trust o gravati da vincoli di destinazione, o destinati a fondi speciali disciplinati da contratto di affidamento fiduciario, istituiti in favore delle persone con disabilità grave, sono esenti dall'imposta sulle successioni e donazioni;
   secondo gli ultimi dati dell'Istat, si stima che il fenomeno della disabilità riguardi circa 3,2 milioni di individui, di cui 2 milioni e 500 mila anziani. Più alta la quota tra le donne, circa il 70 per cento contro il 30 per cento circa tra gli uomini. Un milione 800 mila persone sono disabili gravi. Circa 540 mila hanno meno di 65 anni. Circa la metà dei disabili gravi con meno di 65 anni grava completamente sui familiari conviventi. Rispetto alle circa 52 mila persone che vivono sole, una quota del 19 per cento – pari a circa 10 mila persone – non può contare su alcun aiuto. La platea dei potenziali beneficiari della legge «Dopo di noi» è di circa 127 mila disabili con meno di 65 anni privi di sostegno familiare, di cui circa 38 mila mancanti di entrambi i genitori e 89 mila con genitori anziani;
   la legge ha l'obbiettivo di favorire il benessere, la piena inclusione sociale e l'autonomia delle persone con disabilità grave e soprattutto, la deistituzionalizzazione, l'autonomia e l'indipendenza una volta cessato il supporto familiare, o quando già si tratta di disabili soli. Per questi ultimi è previsto il fondo pubblico di assistenza, con una dotazione triennale di 90 milioni di euro per il 2016, 38,3 milioni per il 2017 e 56,1 milioni di euro dal 2018, che è gestito dagli enti locali. Per chi invece può ancora godere di un supporto familiare sono previsti alcuni strumenti di tutela del patrimonio, con l'obbiettivo di mettere a disposizione i fondi necessari a garantire il mantenimento dello standard di vita e di assistenza, una volta persi i genitori;
   sicuramente quello che è mancato fino ad oggi è una campagna d'informazione nazionale che informi in modo completo ed esauriente le famiglie sulle caratteristiche degli strumenti messi a disposizione al fine di poter fare una scelta consapevole. È infatti necessario individuare in maniera chiara e univoca i soggetti coinvolti nella gestione dei fondi e i rispettivi ruoli e stabilire le attività da mettere in atto in funzione del progetto di vita delineato dai genitori per il futuro dei propri figli;
   inoltre, l'assenza di un'anagrafe delle disabilità costantemente aggiornata che consenta di comprendere quante e quali persone siano affette da queste patologie al fine di meglio gestire le risorse erogate e per avere una maggiore contezza dei diversi bisogni dei beneficiari sicuramente rallenta la non già facile applicazione di questa legge lungamente attesa –:
   quale sia ad oggi lo stato di applicazione della legge, quali siano le regioni che abbiano già avviato i progetti, in cosa essi consistano nel dettaglio e quali siano le regioni ancora non operative e per quali motivi;
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per istituire una banca dati costantemente aggiornata e diversificata per avere un quadro sempre reale e completo della situazione al fine di predisporre misure appropriate alla realtà della situazione;
   se non si ritenga urgente predisporre delle campagne informative, anche attraverso i sistemi audiovisivi, sulle opportunità offerte dalla legge.
(2-01807) «Argentin».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GNECCHI e BERRETTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come è noto per incrementare l'occupazione sono stati approvati molti provvedimenti che prevedevano incentivi per i datori di lavoro, con esclusione della pubblica amministrazione, individuabile assumendo a riferimento la nozione e l'elencazione recate dall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   parimenti, nel corso degli anni, sono stati approvati provvedimenti che prevedevano particolari misure sulle pensioni ed anche in questo caso è stata prevista l'esclusione della pubblica amministrazione, individuabile assumendo a riferimento la nozione e l'elencazione recate dall'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo n. 165 del 2001;
   rispetto, ad esempio, all'individuazione dei datori di lavoro destinatari dell'esonero contributivo previsto dalla legge n. 190 del 2014, per incrementare l'occupazione stabile, al punto 1 della circolare n. 178 del 2015, l'Inps chiarisce che: «Nel novero degli enti che non possono fruire dell'esonero contributivo triennale rientrano anche la Banca d'Italia, la Consob e, in linea generale, le Autorità Indipendenti, che sono qualificate amministrazioni pubbliche in conformità al parere n. 260/1999 del Consiglio di Stato, nonché le Università non statali legalmente riconosciute qualificate enti pubblici non economici, nonostante queste Università private [come nel caso Università “Kore” di Enna, oggetto di atto di sindacato ispettivo 5-11010], abbiano un rapporto di lavoro di natura privatistica con i dipendenti e versino i contributi all'Inps, mentre riconosce l'accesso all'esonero ai datori di lavoro che, pur essendo tenuti all'assolvimento degli obblighi assicurativi verso le casse della Gestione Pubblici Dipendenti (CPDEL, CPI, CPS, CPUG, CTPS), hanno natura di soggetto privato»;
   è interessante rilevare che rispetto all'accesso ai benefici previsti dalla legge n. 223 del 1991, l'Inps, con la circolare n. 268 del 1998 (punto 2) ha precisato che l'accesso all'agevolazione prevista dalla suddetta legge è consentito anche agli enti pubblici economici solo se: a) il rapporto di servizio con i dipendenti abbia natura privatistica; b) le relative contribuzioni affluiscano nell'assicurazione generale obbligatoria;
   se si va invece a verificare la classificazione dei datori di lavoro per l'accesso a specifiche misure sulle pensioni, è quanto meno singolare che per quanto riguardava l'accesso al cosiddetto « Bonus Maroni» – legge n. 243 del 2004, l'Inps nella circolare n. 149 del 2004 – pagina 13, ultimo capoverso – chiarisce che: «nell'ambito delle istituzioni universitarie sono ricomprese le università statali e l'istituto universitario di scienze motorie (ex ISEF). Al contrario, come previsto nella lettera circolare del Ministero, le università private (esempio LUISS, Università Cattolica del Sacro Cuore, Bocconi di Milano eccetera) rientrano nell'ambito del settore privato»; quindi, mentre ai dipendenti delle università private si è dato accesso al « Bonus Maroni», l'istituto, a quanto risulta agli interroganti, avrebbe bloccato le domande di pensione presentate dai dipendenti dell'università cattolica Sacro Cuore, secondo le disposizioni previste dall'articolo 24, comma 15-bis, della legge n. 214 del 2011, senza peraltro fornire alcuna motivazione scritta agli interessati, che si ricorda si erano nel frattempo dimessi ed hanno già riscosso il relativo trattamento di fine rapporto, creando un ulteriore caso di esodati –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, considerate le discordanti interpretazioni registrate nel passato, di assumere iniziative per sanare le due casistiche segnalate, che riguardano due università private che applicano da sempre un contratto di lavoro privatistico e che sono inquadrate nel regime previdenziale Ago/Fondo pensione lavoratori dipendenti. (5-11396)


   PALMIERI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legislazione italiana prevede da tempo l'obbligo per le università che intendano occuparsi di collocamento nel mercato del lavoro di pubblicare in maniera gratuita sul proprio portale istituzionale i curricula di studenti e neolaureati (articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 276 del 2003). Tuttavia, questo obbligo negli anni è stato sistematicamente disatteso e adesso rischia di esserlo definitivamente, poiché il 12 aprile 2017 una circolare dell'Anpal, l'agenzia nazionale delle politiche attive per il lavoro, ha escluso la possibilità per gli atenei di adempiere all'obbligo di legge, adducendo motivi di rispetto della privacy. La circolare solleva più di una perplessità, perché richiama, per l'inserimento degli studenti universitari nel mercato del lavoro, una nota del Garante per la protezione dei dati personali (la n. 8515 del 6 marzo 2017) che, in realtà, si riferisce esclusivamente agli studenti delle scuole secondarie superiori in attuazione dell'articolo 96 del decreto legislativo n. 196 del 2003, pure espressamente richiamato dalla circolare dell'Anpal, che appunto offre indicazioni in tema di trattamento dei dati dei soli studenti delle scuole secondarie superiori ai fini del loro inserimento nel mercato del lavoro;
   l'Anpal sembra aver interpretato in via analogica la previsione dell'articolo 96 del decreto legislativo n. 196 del 2003 estendendola anche alle università pur senza un preciso fondamento normativo o, meglio, ad avviso dell'interrogante in palese contrasto con la previsione, peraltro successiva nel tempo, dell'articolo 6, comma 1, lettera b), del decreto legislativo n. 276 del 2003 come emendato, sul punto, dal collegato lavoro del 2010 (articolo 48 della legge n. 183 del 2010) e dall'articolo 29 della legge n. 111 del 2011;
   l'Anpal peraltro non tiene nel dovuto conto, secondo l'interrogante, la circolare congiunta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, n. 29 del 4 agosto 2011, la quale chiariva che le università sono tenute a garantire agli studenti soltanto una «adeguata informativa nelle forme previste dall'articolo 13 del Codice della privacy, non essendo necessario alcun consenso specifico, in quanto la raccolta e diffusione dei curricula è necessaria per l'esercizio delle attività di intermediazione, prevista da una disposizione di legge»;
   il rischio è quello di creare dunque una condizione totalmente opposta alla ratio della legge, trasformando l'Anpal in un'agenzia che ostacola la trasparenza del mercato del lavoro e l'incontro tra domanda e offerta, mentre è nata proprio per far il contrario –:
   se il Ministro interrogato, come da previsione normativa (articolo 3, comma 2, lettera a), del decreto legislativo n. 150 del 2015), abbia espresso parere preventivo sulla circolare dell'Anpal del 12 aprile 2017;
   se il Ministro interrogato non intenda adottare tutte le iniziative di competenza per facilitare il processo di pubblicazione dei curricula degli studenti universitari e dei neolaureati, al fine di garantire loro un'opportunità di inserimento nel mondo del lavoro. (5-11398)


   TARICCO, GRIBAUDO, D'OTTAVIO, MARCHI, SENALDI, CAPOZZOLO, LAVAGNO, ROMANINI, ROSSOMANDO, LA MARCA, GNECCHI e BARGERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel dicembre 2003 veniva approvata la legge n. 350, il cui articolo 4, equiparando le imprese piemontesi alluvionate del 1994 alle terremotate della Sicilia 1990, consentiva alle imprese che in conseguenza dei gravi danni subiti non erano riuscite ad effettuare i versamenti per gli anni 1995, 1996 e 1997, di tributi, contributi e premi, di regolarizzare versando il 10 per cento degli importi dovuti al netto di interessi e sanzioni;
   successivamente, la legge n. 17 del 2007 stabiliva una riapertura dei termini, specificando anche che le agevolazioni si riferivano a tributi, contributi previdenziali e premi assicurativi, e fissava il termine per la presentazione delle domande al 31 luglio 2007, dando la possibilità alle imprese che avevano versato l'importo dovuto, di presentare richieste di rimborso del 90 per cento dei contributi versati all'Inps negli anni 1995, 1996, 1997;
   sino a luglio 2011, l'Inps assicurava il pagamento delle somme previste, ma nei mesi seguenti bloccava l'erogazione rimborsi per le ditte alluvionate, ritenendoli non dovuti anche alla luce del messaggio della direzione centrale delle entrate contributive in data 19 giugno 2007 che evidenziava come la norma di differimento del termine di presentazione delle domande tese ad ottenere la definizione agevolata si riferisse esclusivamente a posizioni tributarie e non fosse quindi applicabile al settore previdenziale;
   il tribunale di Cuneo, in un contenzioso tra aziende e Inps, in data 19 giugno 2012 inoltrava richiesta d'informazioni alla Commissione europea sull'applicazione della comunicazione della Commissione 2009/C 85/01;
   la Commissione europea, nella risposta del 20 luglio 2012, comunicava che l'aiuto non sarebbe stato notificato alla Commissione europea e che la stessa avrebbe aperto d'ufficio un procedimento, chiedendo alle autorità italiane, prima di procedere ai successivi passaggi procedurali previsti dal capitolo III del regolamento n. 659/2009, di presentare le proprie osservazioni;
   a conclusione del procedimento, in data 14 agosto 2015, veniva pubblicata la decisione della Commissione riguardante le misure SA.33083 (2012/C) relativa ad agevolazioni fiscali e contributive connesse a calamità naturali, con cui si richiedeva all'Italia «di recuperare solo gli aiuti incompatibili concessi e versati a singole imprese, fatti salvi i casi individuali che soddisfano le condizioni per essere considerati compatibili con il mercato interno in virtù delle deroghe previste all'articolo 107, paragrafo 2, lettera b), del trattato, oppure i casi in cui il beneficio individuale è in linea con il regolamento de minimis applicabile oppure ancora quando il beneficio è concesso in conformità di un regime di aiuto approvato»; si precisava ancora: «per tutti gli aiuti concessi nel quadro delle misure in oggetto a singoli beneficiari in aree colpite da calamità naturali oltre dieci anni prima della data della presente decisione, non è opportuno disporre un recupero, con l'eccezione degli aiuti concessi a beneficiari non aventi una sede operativa nell'area colpita da calamità naturale al momento dell'evento, in quanto sarebbe assolutamente impossibile calcolare con precisione l'importo dell'aiuto incompatibile da recuperare»;
   in queste settimane risulta che l'Inps stia chiedendo la restituzione dello sgravio Inps e Inali alle aziende che avevano beneficiato dell'intervento e che hanno sede operativa nell'area colpita, ingenerando grande apprensione perché ciò parrebbe in contrasto con la decisione della Commissione europea ed anche perché è difficile ricostruire documentazioni complete ad oltre 20 anni dai fatti –:
   se siano a conoscenza di quanto illustrato e non ritengano opportuno, per dare certezza all'attuazione della decisione della Commissione nel rispetto delle indicazioni sopra riportate, assumere iniziative per definire delle linee guida in relazione agli eventuali controlli dell'Inps in modo da ridare serenità alle imprese interessate ed evitare l'avvio di un inutile e dannoso contenzioso. (5-11399)


   BARUFFI, ARLOTTI, PATRIZIA MAESTRI, INCERTI, PAGANI, MONTRONI, GNECCHI e FABBRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 17 maggio 2017 l'assessore alle attività produttive della regione Emilia-Romagna, in una comunicazione inviata al Ministro del lavoro e delle politiche sociali e al presidente dell'Inps, denuncia come molte imprese del territorio regionale avrebbero ricevuto da parte dell'Inps comunicazione di reiezione delle domande di cassa integrazione guadagni in deroga;
   analoga denuncia è stata formalizzata da arte delle associazioni di categoria e delle organizzazioni sindacali con una nota inviata agli interroganti;
   le domande rigettate risulterebbero già autorizzate dalla regione, sulla base dei criteri adottati in accordo con le parti sociali;
   a quanto scritto dall'assessore regionale e dalle rappresentanze sindacali, i criteri definiti in sede regionale sarebbero in coerente attuazione di quanto stabilito dal decreto legislativo n. 185 del 2016, della circolare emanata dalla direzione generale degli ammortizzatori sociali del Ministero n. 34 del 2016, nonché di altre indicazioni e chiarimenti forniti dalla direzione generale stessa successivamente;
   la regione Emilia-Romagna avrebbe appreso della menzionata reiezione solo dalle imprese coinvolte e dalle associazioni sindacali, non avendo ricevuto alcuna comunicazione preventiva da parte dell'Inps;
   tale situazione ha generato allarme tra imprese e lavoratori: allo stato attuale delle informazioni raccolte da regione Emilia-Romagna e associazioni economiche, sarebbero circa un centinaio le imprese coinvolte e circa ottocento i lavoratori che non starebbero ricevendo dall'Inps il trattamento di sostegno al reddito –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se il Ministro sia a conoscenza di situazioni analoghe in altre regioni;
   quali iniziative il Governo intenda assumere affinché sia tempestivamente assicurata alle imprese e ai lavoratori la continuità dei trattamenti autorizzati dalla regione Emilia-Romagna. (5-11400)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, COMINARDI, CHIMIENTI, LOMBARDI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 19 maggio 2017 presso la sede di Confindustria Umbria si sono incontrati il management della multinazionale Nestlè Italiana spa e le rappresentanze sindacali unitarie del sito di San Sisto di Perugia rappresentate dalle segreterie nazionali e provinciali di Fai-Cisl, Flai-Cgil e Uila-Uil per il rilancio del sito di San Sisto di Perugia;
   nel corso dell'incontro le parti hanno rappresentato l'esigenza di continuare a sostenere il piano di sviluppo del business dolciari che punta a valorizzare le attività e le competenze « core» di Perugina, nonché a fare di «Baci Perugina» un « global brand» – prodotto esclusivamente nella Fabbrica di S. Sisto di Perugia – simbolo del made in Italy e dell'eccellenza italiana nel mondo;
   l'azienda ha illustrato lo stato di avanzamento del piano di sviluppo commerciale sui mercati italiani ed esteri, della riorganizzazione delle reti di vendita che operano sui canali specializzati, nonché del piano di riassetto industriale della fabbrica di S. Sisto dando atto che la strategia di business condivisa negli accordi intercorsi del 7 aprile 2016 ha mostrato incoraggianti segnali di successo;
   tuttavia, l'azienda ha illustrato il progetto del futuro assetto organizzativo della fabbrica, «utile a conseguire i livelli di competitività indispensabili a sostenere il piano di espansione del business», precisando che «nella prospettazione aziendale la trasformazione potrà impattare – per dimensionamento degli organici ed inquadramenti contrattuali – sull'attività degli addetti, rispetto ai quali l'Azienda ha confermato la piena disponibilità ad attivare la strumentazione già convenuta»;
   nel medesimo incontro le rappresentanze sindacali unite e organizzazioni sindacali hanno espresso l'esigenza di verificare in maniera condivisa nel dettaglio il progetto proposto, nonché le sue ricadute sugli assetti occupazionali con l'obiettivo di esplorare soluzioni in difesa dei livelli occupazionali;
   invero, già nel 2015 Nestlé ha venduto tutta la linea gelati al colosso R&R e nel 2016 ha ceduto tutto il comparto caramelle (compresa la storica Rossana) a Diva; nel corso dello stesso anno la stessa sorte hanno avuto anche il comparto Ore liete (venduto a Tedesco) e tutto il compatto delle Strenne;
   è noto che nello stabilimento di San Sisto, che rappresenta uno dei siti produttivi più importanti di Perugia, sono stati sottoscritti già contratti di solidarietà con lo scopo di assorbire gli esuberi, ma a tutt'oggi forte rimane l'incertezza di molti lavoratori in merito al proprio futuro lavorativo e in merito all'impatto occupazionale delle future scelte aziendali –:
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati, al fine di verificare e conoscere le intenzioni della multinazionale Nestlè in merito allo stabilimento di S. Sisto di Perugia e, nel dettaglio, le soluzioni proposte dall'azienda, con l'obiettivo di favorire l'elaborazione di un progetto industriale condiviso dalle parti sociali interessate che abbia come fine prioritario il mantenimento del ruolo produttivo e dei livelli occupazionali dello stabilimento storico di San Sisto di Perugia. (4-16633)


   PRODANI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dal sito http://ec.europa.eu «a seguito dell'introduzione nel 1997 di un capitolo sull'occupazione nel trattato di Amsterdam, le statistiche del mercato del lavoro servono da base per le politiche dell'Unione Europea»;
   il tasso di occupazione, ossia la quota degli occupati sulla popolazione in età lavorativa, è considerato un indicatore sociale fondamentale, ai fini di analisi, nello studio delle dinamiche del mercato del lavoro;
   secondo un articolo pubblicato dal Fatto quotidiano il 6 aggio 2017, «migliora la percentuale dei giovani laureati italiani che risultano occupati entro tre anni dal conseguimento del titolo»;
   la notizia si riferisce, principalmente, alla pubblicazione dei dati provenienti dall'Eurostat, l'Ufficio statistico dell'Unione europea, che raccoglie ed elabora i dati dell'Unione europea a fini statistici. In particolare, nel 2016, in Italia «risultava occupato il 57,7 per cento delle persone under 35 che hanno terminato l'educazione accademica, a differenza dei Paesi dell'Unione europea, all'interno dei quali gli occupati rappresentavano l'80,7 per cento;
   a differenza degli anni precedenti, il dato ha delineato un incremento rispetto al 53,5 per cento del 2015 e il 49,6 per cento del 2014. In Germania, invece, entro tre anni dalla laurea, lavora il 92,6 per cento delle persone;
   inoltre, analizzando i dati su coloro che hanno conseguito solo il diploma, la situazione appare ancora complicata, seppur in miglioramento rispetto alla situazione presente nel 2014;
   entro tre anni dal diploma di scuola superiore, «in Italia nel 2016 lavorava il 40,4 per cento dei giovani rispetto al 35,9 per cento del 2015 e del 32,2 per cento del 2014. Ciò nonostante, si registra una forte distanza con la media europea (nei 28 Paesi membri dell'UE lavora il 68,2 per cento dei giovani. In Germania l'86,4 per cento del campione esercita un'attività entro tre anni dal conseguimento del titolo)»;
   complessivamente, analizzando tutti gli ISCED (International Standard Classification of Education) «l'Italia ha una percentuale di occupati a tre anni dal termine del percorso educativo del 45,6 per cento, in crescita dal 41,3 per cento del 2015 e dal 37,8 per cento del 2014. Tuttavia, nonostante i miglioramenti, il dato italiano risulta il peggiore dopo quello della, Grecia» –:
   alla luce dei fatti esposti in premessa, quali iniziative e programmi il Governo intenda adottare, in collaborazione con le amministrazioni locali, per migliorare le capacità del Paese di creare opportunità di impiego per i giovani diplomati e laureati, riducendo la distanza con gli altri Paesi europei. (4-16636)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRIBAUDO, FREGOLENT, D'OTTAVIO, LAVAGNO, MATTIELLO, BOCCUZZI e FIORIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la regione Piemonte nell'arco di sei mesi è stata ripetutamente colpita da eventi atmosferici eccezionali, con riferimento: alle piogge alluvionali intercorse fra il 21 e il 26 novembre 2016 per le quali è stato riconosciuto dal Ministero il carattere di eccezionalità; ai rinforzi dei venti, inusuali per intensità, verificatisi il 6 marzo 2017 in tutta la zona pedemontana delle Alpi liguri, nel Cuneese, in un settore di circa 30-40 chilometri, con raffiche che hanno raggiunto valori eccezionali di 134 km/h sia sui rilievi che sulle zone di fondovalle, recando danni eccezionali alle strutture aziendali situate nei territori comunali di Boves, Cervasca, Chiusa Pesio e Peveragno; infine, alle gelate che hanno coinvolto gran parte della penisola nel mese di aprile 2017, mettendo a rischio la produzione agricola nazionale e compromettendo fortemente i raccolti per alcuni settori;
   tali eventi hanno messo a dura prova le aree agricole, le strutture aziendali e in particolare le serre, strutture non assicurabili per danni causati da eventi alluvionali, ai sensi del piano assicurativo agricolo 2016 approvato con decreto del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali n. 28336 del 23 dicembre 2015, nonché infrastrutture, con riferimento ai canali irrigui, alle relative opere di presa, alle strade interpoderali di accesso ai fondi;
   i danni stimati per gli eventi alluvionali ammontano ad oltre 47 milioni di euro; quelli per i venti del 6 marzo a 306.000 euro; i comuni e la regione sono attualmente impegnati nel censimento dei danni delle gelate del mese di aprile;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali non ha ancora avviato i lavori preparatori per il piano di riparto delle somme da prelevarsi dal fondo di solidarietà nazionale e da trasferire alle regioni ai sensi del comma 3 dell'articolo 6 del decreto legislativo 102 del 2004 e pertanto il trasferimento dei fondi necessari ad attivare gli interventi di sostegno alle aziende agricole danneggiate dalle avversità eccezionali del novembre 2016 avverrà in tempi non brevi;
   la giunta regionale ha in seguito deliberato di anticipare la somma di euro 300.000 a ristoro dei danni alluvionali, attingendo ai fondi trasferiti ad Arpea ed attualmente disponibili;
   rispetto ai danni stimati per i venti del 6 marzo 2017, la regione Piemonte è in attesa di riscontro da parte del Ministero per la dichiarazione di eccezionalità di tale evento atmosferico, la quale permetterebbe di attingere al fondo di solidarietà regionale;
   i fondi a disposizione per il ristoro dei danni, in ragione delle numerose necessità intercorse in questi mesi, risultano ormai fortemente ridotti e non consentiranno adeguata risposta a prossimi eventi eccezionali, che in questi anni si sono moltiplicati mettendo a forte rischio la produzione agricola piemontese e nazionale, nonché danneggiando fortemente gli imprenditori e i lavoratori agricoli, che costantemente devono rispondere a tali eventi –:
   quali siano i tempi previsti per l'avvio del piano di riparto delle somme del fondo di solidarietà nazionale, nonché i tempi previsti per dare riscontro alla richiesta della regione Piemonte della dichiarazione di eccezionalità per gli eventi atmosferici del 6 marzo 2017;
   quali siano le intenzioni del Ministro interrogato rispetto all'emergenza scaturita dalle gelate del mese di aprile 2017, che ha compromesso i raccolti di numerosi settori agricoli di rilevanza nazionale, fra i quali quello vitivinicolo; 
   quali siano gli orientamenti del Ministero rispetto all'esigenza di prevenzione e tempestiva, efficace e concreta risposta in relazione agli eventi atmosferici che, condizionati dal cambiamento climatico, producono sempre maggiori danni all'agricoltura italiana e compromettono la tenuta economica dell'intero settore e dei suoi addetti. (5-11392)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOGNATO e MURER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 57, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 22 settembre 1988, n. 447, recante approvazione del codice di procedura penale, statuisce che «sono altresì ufficiali e agenti polizia giudiziaria, nei limiti del servizio cui sono destinate e secondo le relative attribuzioni, le persone alle quali le leggi e i regolamenti attribuiscono le funzioni previste dall'articolo 55», rubricato «funzioni della polizia giudiziaria»;
   l'articolo 21 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, incardina nelle aziende sanitarie locali i compiti e le funzioni in materia di prevenzione e vigilanza sui luoghi del lavoro;
   con decreto ministeriale del 17 gennaio 1997, n. 58 (norma di attuazione del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502), è stata istituita la professione sanitaria di «tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro»;
   lo stesso decreto ministeriale n. 58 del 1997 stabilisce che il tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro è «nei limiti delle proprie attribuzioni, ufficiale di polizia giudiziaria»;
   la legge 26 febbraio 1999, n. 42, statuisce il profilo professionale del «tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro» come professione sanitaria;
   la qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria è condizione imprescindibile per l'espletamento dei compiti di vigilanza e ispettivi tipici del servizio di prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro;
   secondo la normativa, pertanto, solo il tecnico della prevenzione in possesso del relativo titolo abilitante e professionale è ufficiale di polizia giudiziaria; con ciò si viene a determinare un legame inscindibile tra possesso del titolo e qualifica di polizia giudiziaria;
   pertanto, è il possesso del titolo abilitante e non l'essere inquadrato nel servizio di prevenzione il prerequisito per l'attribuzione della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria;
   risulta, anche da segnalazione delle organizzazioni sindacali, che in alcune unità socio-sanitarie locali del Veneto si starebbe procedendo all'attribuzione della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria ad altro personale privo del titolo professionale di «tecnico della prevenzione nell'ambiente e nei luoghi di lavoro»;
   le funzioni in materia di vigilanza nell'ambiente e nei luoghi di lavoro rivestono un ruolo strategico nell'attività di prevenzione delle sicurezza lavorativa, tanto da essere rigidamente disciplinate dalla normativa –:
   se il Ministro sia a conoscenza di casi di attribuzione della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria in difformità dalla vigente normativa e, laddove ciò trovi conferma, quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, per assicurare il rispetto della normativa vigente in materia di attribuzione della citata qualifica nell'ambito della prevenzione sui luoghi e negli ambienti di lavoro. (5-11393)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MONGIELLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 16 marzo 2017, con nota prot. n. 170316–562–gruppo società gestione impianti nucleari richiesta incontro, la Federazione italiana lavoratori chimica tessile energia manifatture, Filctem Cgil, ha richiesto ai Ministri interrogati un incontro per affrontare le problematiche che secondo il contenuto della nota, starebbero interessando la società di cui all'articolo 13, comma 2 lettera e) del decreto legislativo n. 79 del 1999 e, contestualmente, avviare un tavolo di confronto tra le organizzazioni sindacali e le altre parti, al fine di assicurare il corretto funzionamento della stessa società;
   la nota di cui sopra descrive uno stato di stallo e di preoccupante criticità in cui, da ultimo, sarebbe precipitata la società gestione impianti nucleari, denunciando puntuali questioni a supporto di dette problematiche;
   con nota del 27 aprile 2017, le segreterie nazionali dei sindacati Filctem-Cgil, Flaei-Cisl e Uiltec, hanno diramato un comunicato con cui, tra l'altro, informavano di avere avuto un incontro con i vertici della società di cui sopra e con la sua controllata operativa, dalle quali avrebbero avuto rassicurazione sul mantenimento degli impegni occupazionali, con particolare riguardo ai lavoratori interinali;
   è da evidenziare che, presso la predetta società, lavorano circa 1.000 persone con contratto stabile e circa cinquanta, per lo più giovani, con contratti interinali rinnovati periodicamente;
   particolarmente critica sembra essere divenuta la situazione dei lavoratori interinali, i quali, secondo le predette fonti sindacali, starebbero subendo un grave processo di alienazione, ciò in quanto i vertici della società avrebbero deciso di ridurre il personale e si starebbe iniziando proprio dai lavoratori precari;
   il personale precario in questione rappresenta una parte importante dei lavoratori della società; esso infatti è costituito per lo più da professionisti molto giovani dotati di rare conoscenze in materia di radioprotezione, di radiochimica, di condizionamento dei rifiuti radioattivi esistenti e derivanti da attività di dismissione e dalle attività di ricerca;
   si tratta di professionisti aventi conoscenze specialistiche atte a formare una filiera di competenze integrate non riscontrabili in alcuna altra struttura del Paese ed unici in Italia a possedere anche pluriennali abilità e conoscenze operative nel settore della sicurezza nucleare e delle attività gestionali nel settore della disattivazione degli impianti nucleari –:
   se siano a conoscenza della intenzione della società di cui in premessa di non rinnovare i contratti interinali del personale che vi lavora e se non intendano attivare le iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, affinché la stessa società receda dalla possibile decisione di «disfarsi» di tale personale, se del caso valutando misure alternative per ridurre il numero di lavoratori, come l'incentivazione all'esodo del personale più anziano già in possesso dei requisiti pensionistici;
   quali riscontri abbiano fornito, o intendano fornire alla nota della Filctem-Cgil di cui in premessa;
   quali siano, più in generale, la situazione economica e le prospettive di accelerazione delle attività di disattivazione degli impianti nucleari della società in questione. (5-11395)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i contratti di sviluppo, strumento operativo dal 2011, rappresentano il principale strumento agevolativo dedicato al sostegno di investimenti produttivi strategici ed innovativi di grandi dimensioni, aventi ad oggetto la realizzazione di programmi di sviluppo industriali, per la tutela ambientale, di attività turistiche;
   sembrerebbe essere in via di definizione un accordo di programma quadro tra la regione Campania, il Ministero dello sviluppo economico e la società Invitalia, finalizzato alla partecipazione della regione al cofinanziamento dei progetti presentati a valere sui contratti di sviluppo, intento per il quale la regione Campania ha già stanziato 160 milioni di euro;
   l'accordo di programma quadro è stato già da tempo sottoscritto da tutte le altre regioni interessate dai contratti di sviluppo, e sembrerebbe che quello relativo alla regione Campania non sia stato ancora sottoscritto, in quanto la regione richiederebbe condizioni per sottoscrivere l'Apq diverse e più «vantaggiose» rispetto a quelle che caratterizzano gli Apq sottoscritti dalle altre regioni, una richiesta – sembra – giudicata irricevibile da parte del Ministero e di Invitalia;
    la conseguenza di questo ritardo è che, fatta eccezione per i contratti di sviluppo già istruiti e finanziati su iniziativa diretta del Ministero dello sviluppo economico e di Invitalia su richiesta della o delle aziende interessate, senza il coinvolgimento della regione, tutti i contratti di sviluppo che intendono usufruire della corsia preferenziale prevista per i contratti di sviluppo che godono di cofinanziamento regionale, sono fermi e, per la maggior parte di essi non è iniziata nemmeno l'attività istruttoria ordinaria;
   in particolare, si tratta di istanze già presentate, ovvero di presentazione di nuove istanze, mirate a favorire il rafforzamento in via prioritaria delle filiere produttive di eccellenza dell'automotive, dei settori dell'autotrasporto e della cantieristica, dell'aerospazio, dell'abbigliamento e della moda, dell'agroalimentare e dell'agroindustria, del turismo e delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione, nonché finalizzati allo sviluppo dell'industria in chiave 4.0 e della bioeconomia, per come definite dalla vigente disciplina comunitaria, nazionale e regionale –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo, al fine di consentire l'avvio di tutti i progetti a valere sui contratti di sviluppo in Campania.
(4-16626)


   SIMONI, GNECCHI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Richard Ginori di Sesto Fiorentino (FI), manifattura storica risalente al XVII secolo, è stata oggetto di un duro fallimento, risolto in gran parte grazie al concorso delle istituzioni (nazionali e locali), dei sindacati e all'interesse della nuova proprietà per il rilancio dell'azienda e dell'area in cui è storicamente insediata. Accanto all'azienda, infatti, sorge l'antico museo di Doccia, museo di fabbrica che espone capolavori creati nella manifattura dal 1600 ad oggi e che è punto di riferimento culturale per la città e i lavoratori. Il Ministero dei beni e delle attività culturali lo considera il più antico museo d'impresa d'Europa;
   ciononostante, quella che fino a pochi mesi fa sembrava una vicenda avviata ad una rapida e positiva soluzione sembra aver incontrato difficoltà preoccupanti. La nuova proprietà, infatti, non ha ancora riacquisito la proprietà dei terreni su cui sorgono lo stabilimento e il museo, terreni che erano stati alienati dall'azienda Ginori nel 2004, prima del fallimento, e ceduti alla società immobiliare Ginori Real Estate, poi messa in liquidazione;
   nei mesi scorsi, la nuova proprietà Richard Ginori aveva raggiunto un accordo con le tre banche creditrici della Ginori Real Estate, a seguito della liquidazione (Unicredit, BNL e Banca Popolare di Vicenza), formalizzandolo a dicembre 2016 in una proposta d'acquisto. Purtroppo, Unicredit, allo scopo di realizzare un'operazione di cartolarizzazione di crediti deteriorati da essa detenuti, ha ceduto alla banca Dobank la propria quota di credito legata ai terreni sopra menzionati. Dobank, però, ha complicato l'iter della trattativa;
   al momento, quindi, quella che appare all'interrogante una speculazione finanziaria su debiti deteriorati mette a rischio la conclusione di un percorso virtuoso di rilancio di un'azienda storica, di salvaguardia del lavoro e delle conoscenze artigianali e manifatturiere di centinaia di lavoratori e vanifica il lavoro congiunto delle istituzioni e delle parti datoriali. La nuova proprietà, infatti, prima di procedere agli investimenti necessari al rilancio dell'azienda, vuole ovviamente assicurarsi la proprietà dei terreni su cui questa e il museo sorgono;
   il 26 aprile 2017 si è svolto presso il Ministero dello sviluppo economico, un incontro tra la nuova proprietà e gli istituti di credito in questione, riunione aggiornata alla metà di maggio 2017 e dalla quale non sembrano emergere elementi di novità o che preannuncino una risoluzione favorevole. –:
   se e come il Governo intenda promuovere e perseguire una favorevole risoluzione della vicenda, a sostegno di un interesse pubblico, chiaro ed evidente, messo a rischio. (4-16638)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione interrogazione a risposta scritta Santelli n. 4-16553, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 maggio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Occhiuto;

  l'interrogazione a risposta orale Santelli n. 3-03017, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 maggio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Occhiuto.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Fanucci n. 5-10848 del 15 marzo 2017;
   interrogazione a risposta scritta Morani n. 4-16594 del 15 maggio 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Pili n. 5-11368 del 17 maggio 2017.

ERRATA CORRIGE

  L'interrogazione a risposta scritta Pesco e altri n. 4-16479 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 789 del 4 maggio 2017. Alla pagina 47055, prima colonna, alla riga quattordicesima e alla riga diciottesima, la parola «Amer» è sostituita dalla parola «Arner»;

  l'interrogazione a risposta scritta Fantinati n. 4-16615 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 798 del 17 maggio 2017. Alla pagina 47412, prima colonna, alla riga ventitreesima deve leggersi: «dei giovani italiani, scongiurando così il verificarsi» e non come stampato;