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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 16 maggio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    nel maggio del 2015 la Commissione europea ha elaborato l’«Agenda europea sulle migrazioni», nella quale, stando allo stesso documento, «confluiscono le varie iniziative che l'Unione europea dovrebbe intraprendere subito e nei prossimi anni per delineare un approccio coerente e globale che permetta di cogliere i vantaggi e vincere le sfide che la migrazione reca in sé»;
    l'Agenda ha formato oggetto di una comunicazione della Commissione al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, ma non è stata trasfusa in alcun atto di valenza prescrittiva;
    nella parte dell'Agenda relativa all’«azione immediata» oltre al salvataggio di vite umane in mare, alla lotta alle reti criminali di trafficanti e al ricollocamento, l'Unione si propone il potenziamento degli «strumenti dell'UE per aiutare gli Stati membri in prima linea», prevedendo l'istituzione di appositi punti di crisi, denominati hotspot;
    in particolare, i punti di crisi dovrebbero rappresentare un nuovo metodo per gestire l'immigrazione irregolare, nell'ambito del quale «l'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO), Frontex ed Europol lavoreranno sul terreno con gli Stati membri in prima linea per condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo. I lavori delle agenzie saranno complementari. Chi presenterà domanda di asilo sarà immediatamente immesso in una procedura di asilo cui contribuiranno le squadre di sostegno dell'EASO trattando le domande quanto più rapidamente possibile. Per chi invece non necessita di protezione, è previsto che Frontex aiuti gli Stati membri coordinando il rimpatrio dei migranti irregolari. Europol ed Eurojust assisteranno lo Stato membro ospitante con indagini volte a smantellare le reti della tratta e del traffico di migranti»;
    la novità dei cosiddetti hotspot è quindi quella di non essere più gestiti solo dalle autorità nazionali dei Paesi interessati ma di poter contare sulla collaborazione delle agenzie europee che si occupano di migrazioni: Frontex, EASO, Europol ed Eurojust;
    nell'Allegato n. 5 alla comunicazione della Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio del 14 ottobre 2015, relativo allo «stato di attuazione delle azioni prioritarie intraprese nel quadro dell'agenda europea sulla migrazione», sono indicati i «punti di crisi designati dall'Italia»: Trapani, Porto Empedocle, Pozzallo, Lampedusa, Taranto e Augusta;
    nella relazione sull'attuazione dei punti di crisi (hotspot) in Italia trasmessa dalla Commissione al Parlamento europeo e al Consiglio nel successivo mese di dicembre, tuttavia, si legge che «nonostante le ripetute esortazioni della Commissione, al momento è pienamente operativo soltanto uno dei sei punti di crisi designati, ovvero Lampedusa»;
    inoltre, la medesima relazione rileva come «Pur riconoscendo gli sforzi delle autorità italiane nell'affrontare il problema del rilevamento delle impronte digitali dei migranti irregolari, il 10 dicembre 2015 la Commissione ha inviato una lettera di costituzione in mora per errata attuazione del regolamento EURODAC e ha invitato le autorità italiane a presentare osservazioni entro due mesi. 12. La Commissione ha osservato discrepanze tra il numero di arrivi irregolari e le statistiche EURODAC sui rilievi dattiloscopici. Dai dati Frontex risulta che tra il 20 luglio 2015 e fine novembre 2015 sarebbero sbarcati in Italia 65.050. Le Statistiche EURODAC indicano che soltanto sono stati sottoposti a rilevamento di impronte inserite in EURODAC solo 29.176 cittadini di paesi terzi»;
    ad oggi gli hotspot attivati in Italia sono ancora solo quattro, Lampedusa, Trapani Pozzallo e Taranto, solo due dei quali realizzati entro i tempi previsti, e, stando ai dati del Viminale del 27 ottobre 2016, ospitano attualmente oltre mille migranti, vale a dire una media di duecentocinquanta persone in ciascun centro, indice di per sé del fallimento dell'ambizione di un rapido smistamento dei soggetti in arrivo;
    nelle aree adibite a hotspot le autorità italiane, supportate dai funzionari europei, eseguono le operazioni di screening sanitario, di prima identificazione e di informazione, nonché accertano la volontà dei singoli migranti di richiedere o meno misure di protezione internazionale e individuano i potenziali candidati alla procedura di ricollocazione;
    dati raccolti dal Ministero dell'interno con riferimento al numero delle persone identificate come irregolari sul territorio nazionale mostrano un aumento delle stesse nel 2016 rispetto all'anno precedente (5.254 rispetto a 3.666), ma dimostrano anche come ne siano stati allontanati meno della metà, mentre gli altri 2.897 non hanno ottemperato all'ordine di rimpatrio e sono riusciti a far perdere le proprie tracce;
    secondo i dati contenuti nel «Rapporto sulla protezione internazionale in Italia 2016», redatto a cura dell'Anci e altri organismi che si occupano di immigrazione in collaborazione con l'Alto commissariato delle Nazioni unite sui rifugiati, a inizio ottobre 2016 nelle strutture di primissima accoglienza erano presenti oltre quattordicimila richiedenti la protezione internazionale;
    questi dati da soli bastano a dimostrare il fallimento del cosiddetto approccio hotspot, peraltro oggetto di forti critiche anche da parte di organizzazioni umanitarie internazionali, che hanno rilevato in diverse occasioni l'eccessiva lunghezza dei tempi di permanenza dei migranti in strutture ideate per avvicendamenti ben più rapidi;
    l'inefficacia dell'approccio hotspot è dimostrata altresì dall'incapacità di contenere i flussi migratori, suo obiettivo primario, e di garantire un'adeguata gestione degli arrivi e della prima accoglienza;
    inoltre, la citata relazione presentata dalla Commissione europea nei dicembre 2015, aveva ribadito che «punti di crisi efficaci sono il presupposto essenziale perché funzioni la ricollocazione», meccanismo che, invece, continua a non funzionare;
    altro elemento essenziale del pacchetto di misure presentate dalla Commissione e negli ultimi anni mai seriamente attuata dai nostri Governi è quello del rimpatrio dei migranti irregolari, basti pensare che nel 2015 i soggetti rimpatriati sono stati appena quattordicimila, meno del dieci per cento degli oltre centocinquantamila arrivati,

impegna il Governo:

1) ad avviare la graduale dismissione dei centri hotspot realizzati sul territorio nazionale, al contempo promuovendo, in collaborazione con gli Stati membri dell'Unione europea e gli organismi internazionali che si occupano dei fenomeni migratori, l'istituzione di centri sul modello degli hotspot nelle località di partenza dei migranti, al fine di verificare la sussistenza dei requisiti per la concessione di misure di protezione internazionale già nei luoghi di origine e disincentivare le partenze;
2) ad adottare le iniziative necessarie a creare un quadro giuridico di riferimento per l'operatività dei centri hotspot e affinché siano posti a carico dei fondi dell'Unione europea;
3) a promuovere in sede europea l'adozione delle iniziative necessarie affinché gli Stati membri riducano in misura sostanziale i tempi di risposta alle domande di ricollocazione delle autorità italiane e incrementino gli impegni nel quadro del programma di ricollocazione;
4) a rafforzare il dialogo con i principali Paesi di origine dei migranti irregolari, al fine di garantire una più facile riammissione di quelli che risultano non avere diritto alla protezione internazionale, anche attraverso l'uso mirato del fondo fiduciario per l'Africa;
5) a promuovere la realizzazione di un sistema di gestione dell'immigrazione e di asilo coerente ed equilibrato in ambito europeo, che passi attraverso la realizzazione del blocco navale davanti alle coste libiche e il rigoroso controllo delle frontiere esterne dell'Unione.
(1-01631) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori ritenuti strategici e di interesse nazionale, con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56, è stata disciplinata la materia concernente i poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in alcuni ambiti definiti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
   l'obiettivo del citato provvedimento era di rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali del Governo, collegata agli istituti della golden share e dell’action spécifique previsti nell'ordinamento inglese e francese, e già oggetto di censure sollevate dalla Commissione europea e di una pronuncia di condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea, in quanto la logica sottesa all'esercizio di quei poteri era di tipo autorizzatorio e discrezionale e con un ambito di tipo soggettivo circoscritto alle imprese ex pubbliche;
    per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, infatti, la Commissione europea ha affermato che i provvedimenti discriminatori (cioè quelli che si applicano esclusivamente agli investitori cittadini di un altro Stato membro dell'Unione europea) sono incompatibili con gli articoli del Trattato relativi alla libera circolazione dei capitali e al diritto di stabilimento, a meno che non rientrino nel quadro di una delle deroghe previste dallo stesso, mentre i provvedimenti non discriminatori (cioè quelli che si applicano ai cittadini nazionali e ai cittadini di un altro Stato membro dell'Unione europea) sono ammessi se si fondano su una serie di criteri obiettivi, stabili e resi pubblici e possono essere giustificati da motivi imperiosi di interesse generale, fermo restando il principio di proporzionalità;
    la principale differenza della nuova disciplina rispetto alla normativa precedente si rinviene nell'ambito operativo, che consente l'esercizio dei poteri speciali rispetto a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica, e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o in mano pubblica;
    in attuazione del citato decreto, con il decreto del Presidente della Repubblica 19 febbraio 2014, n. 35, in materia di poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale e con il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 86, con riguardo ai poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, sono stati definiti gli ambiti soggettivi ed oggettivi, la tipologia, le condizioni e le procedure per l'esercizio dei poteri speciali nei due diversi settori;
    la specifica individuazione degli attivi di rilevanza strategica, avvenuta con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 giugno 2014, n. 108 per il settore della difesa e sicurezza nazionale e con il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85 per i settori energetici, dei trasporti e delle comunicazioni, ha consentito di completare il quadro organizzativo regolamentare del settore;
    i regolamenti hanno altresì previsto il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri per lo svolgimento delle attività propedeutiche all'esercizio dei poteri speciali, la costituzione di un Comitato di coordinamento interministeriale e definito l'architettura funzionale e organizzativa del procedimento;
    il decreto n. 21 del 2012 prevede l'aggiornamento almeno triennale sia dei decreti di individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e di sicurezza nazionale (articolo 1, comma 7), sia dei regolamenti di individuazione delle reti e degli impianti, dei beni e dei rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, nonché della tipologia di atti o operazioni all'interno di un medesimo gruppo ai quali non si applica la disciplina ivi prevista (articolo 2, comma 1);
    dalla Relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali del dicembre 2016, si evince che l'attività posta in essere dal Governo ha dato attuazione alla nuova disciplina in tutti i settori di intervento e con riguardo a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività ritenute di rilevanza strategica;
    dall'avvio formale della procedura (3 ottobre 2014 è stata definita la totalità dei procedimenti relativi alle notifiche effettuate da imprese nazionali ed estere, per le quali, in via generale, non sono emersi elementi tali da imporre veti specifici mediante l'esercizio proprio dei poteri speciali: al 30 giugno 2016, sulle 30 notifiche pervenute, in 17 casi non sono stati esercitati i poteri speciali, per 10 di essi è stata attivata la procedura semplificata di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 agosto 2014, in 2 occasioni è stato espresso il consenso all'operazione con imposizione di specifiche prescrizioni, mentre una operazione è stata esclusa;
    la medesima Relazione segnala, tuttavia, che il meccanismo stabilito dal citato decreto n. 21 del 2012, «spesso entra in gioco in maniera tardiva e cioè solo a seguito di decisioni già programmate e/o assunte dalle aziende», decisioni fortemente sensibili e di importanza strategica;
    negli ultimi anni, si è assistito a una allarmante tendenza che vede l'aumento delle acquisizioni di imprese italiane dall'estero e il forte calo dell'acquisizione di imprese straniere da parte di azionisti italiani: secondo il rapporto 2016 KPMG Mergers and Acquisitions, nel 2015 l'attività M&A cross border conferma ancora una volta la supremazia delle transazioni estero su Italia (201), a fronte di 97 acquisizioni realizzate da aziende italiane all'estero (201 e 89 nel 2014 e 106 e 70 nel 2013), raggiungendo la cifra record di 32,1 miliardi di dollari (+21 per cento rispetto al 2014), contro acquisizioni di imprese estere da parte di soggetti italiani per appena 10 miliardi di euro (-22 per cento rispetto all'anno precedente); inoltre, nel 2015, gli Stati Uniti, che con 46 operazioni completate hanno più che triplicato i controvalori passando da 2,9 miliardi di euro del 2014 a poco meno di 10 miliardi di euro, sono stati affiancati dalla Cina, i cui investimenti in Italia sono cresciuti del 53 per cento, attestandosi a circa 9,1 miliardi di euro, dalla Francia, i cui controvalori sono triplicati rispetto all'anno precedente, raggiungendo 4,2 miliardi di euro, e dalla Svizzera, che ha raddoppiato il valore delle acquisizioni nel nostro Paese (2,6 miliardi di euro); nel periodo 2005-2009, secondo i dati KPMG, invece vi era invece un sostanziale equilibrio tra acquisti di soggetti esteri in Italia e di soggetti italiani all'estero;
    sempre secondo i dati KPMG Corporate Finance, nel 2016 il saldo ha continuato a essere negativo, pur registrando un netto miglioramento sia del dato relativo alle operazioni Italia su estero (142 acquisizioni oltreconfine per un controvalore di 13,5 miliardi di euro, il più elevato degli ultimi anni) sia degli investimenti esteri verso gli asset italiani (240 operazioni realizzate per un controvalore complessivo di 18,9 miliardi di euro);
    la capacità di attrarre investimenti esteri rappresenta un'importante fattore di sviluppo della competitività delle imprese nei mercati internazionali, soprattutto per l'Italia che presenta ampie opportunità di investimento, ma deve necessariamente conciliarsi con la salvaguardia delle dinamiche di mercato e con la protezione degli assetti strategici nazionali, che andrebbe estesa anche al settore finanziario, nei confronti di operazioni di acquisizione finalizzate a sottrarre asset, tecnologie e conoscenze essenziali per la competitività dell'Italia,

impegna il Governo:

1) a valutare, per quanto di competenza, la possibilità di assumere iniziative per:
   a) rafforzare i poteri speciali allo scopo di permettere una più incisiva azione governativa nella fase iniziale dei processi di cessione, collocando a valle di questa l'applicazione concreta dei poteri speciali coerenti con indirizzi e decisioni già preventivamente pianificati;
   b) introdurre un'apposita disciplina finalizzata a incrementare gli obblighi di trasparenza a carico degli acquirenti esteri di partecipazioni societarie in società italiane, in analogia alle normative vigenti in altri Paesi OCSE, a tutela dei livelli di investimento e di occupazione;
   c) tenendo conto della relazione del comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, a cooperare con i gruppi parlamentari per lo sviluppo di iniziative legislative che – nel rispetto della disciplina comunitaria in materia finanziaria e per la libera circolazione dei capitali – promuovano l'estensione della normativa sui poteri speciali dello Stato anche alle società nazionali operanti nel settore finanziario, dopo aver verificato se sia necessario e opportuno superare i limiti previsti dalla legislazione vigente, che considera i poteri speciali applicabili solo ai settori difesa e sicurezza, energia, telecomunicazioni e trasporti, in analogia con quanto hanno stabilito da altri Paesi europei;
2) ad assumere iniziative per aggiornare i decreti di individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e di sicurezza nazionale, nonché delle reti e degli impianti, dei beni e dei rapporti di rilevanza strategica per l'interesse nazionale nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni ai sensi degli articoli 1, comma 7, e 2, comma 1, del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012, n. 56.
(1-01632) «Benamati, Arlotti, Senaldi, Camani, Marchi, Basso, Montroni, Martella, Impegno, Becattini, Peluffo, Bargero, Cani, Iacono, Taranto, Vico, Donati, Scuvera».


   La Camera,
   premesso che:
    negli ultimi anni sono stati adottati diversi provvedimenti normativi tesi a salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori reputati strategici e d'interesse nazionale, attraverso l'introduzione di poteri speciali di governance societaria e di strumenti di difesa dalle scalate ostili;
    in questo ambito, lo strumento prevalente è quello della cosiddetta golden share, istituto giuridico introdotto in diversi Stati europei nel corso degli anni novanta, con l'avvio dei primi processi di privatizzazione delle aziende pubbliche, in forza del quale uno Stato, durante o a seguito di un processo di privatizzazione, totale o parziale, di un'azienda pubblica, si riserva dei poteri speciali, indipendentemente dall'effettivo numero di azioni da esso possedute;
    nel 2012, con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, anche sulla scia della procedura d'infrazione si è intervenuti sulla previgente disciplina della golden share, riformulando le condizioni e l'ambito di esercizio dei poteri speciali dello Stato sulle società operanti nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in taluni ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
    rispetto all'assetto previgente, definito dal decreto-legge 31 maggio 1994, n. 332, che si riferiva specificamente all'esercizio dei poteri speciali da parte dell'azionista pubblico sulle imprese nazionali oggetto di privatizzazione, operanti nei settori dei servizi pubblici, espressamente individuate dal decreto in difesa, trasporti, telecomunicazione e fonti di energia, con il decreto-legge del 2012 i poteri speciali non sono più legati in maniera esclusiva alla partecipazione azionaria pubblica, bensì riferiti a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica;
    il decreto-legge n. 21 del 2012 si era reso necessario proprio per rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina dei poteri speciali dopo che quella contenuta nel decreto-legge n. 332 del 1994 aveva formato oggetto della procedura d'infrazione n. 2009/2255, in quanto lesiva della libertà di stabilimento e della libertà di circolazione dei capitali garantite dal Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, avendo, in particolare, la Corte di Giustizia europea rilevato che tali libertà «possono essere limitate da provvedimenti nazionali giustificati in base agli articoli 46 e 58 del Trattato istitutivo della Comunità europea o da ragioni imperative di interesse generale, ma soltanto qualora le limitazioni siano proporzionate all'obiettivo perseguito»;
    in sede di condanna dell'Italia per le disposizioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 giugno 2004, recante definizione dei criteri di esercizio dei poteri speciali, la Corte ricordava che «i poteri di intervento di uno Stato membro come i poteri di opposizione le cui condizioni di esercizio sono determinate dai criteri in esame, non subordinati ad alcuna condizione ad eccezione di un riferimento alla tutela degli interessi nazionali formulato in modo generico e senza che vengano precisate le circostanze specifiche e obiettive in cui tali poteri verranno esercitati, costituiscono un grave pregiudizio alla libera circolazione dei capitali», e statuiva che «il decreto del 2004 non contiene precisazioni sulle circostanze concrete in cui può essere esercitato il potere di veto e i criteri da esso fissati non sono dunque fondati su condizioni oggettive e controllabili»;
    il decreto-legge n. 21 del 2012 ha, quindi, ridefinito, anche mediante il rinvio ad atti di normazione secondaria, l'ambito oggettivo e soggettivo, la tipologia, le condizioni e le procedure di esercizio dei poteri speciali, quali la facoltà di dettare specifiche condizioni all'acquisito di partecipazioni, di porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all'acquisto di partecipazioni;
    attualmente, i poteri speciali dello Stato nei settori di rilevanza strategica, a norma del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, sono disciplinate dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 giugno 2014, n. 108, che ha individuato le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale, dal decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014 n. 85, che ha individuato gli attivi di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, e dai decreti del Presidente della Repubblica 19 febbraio 2014, n. 35, e 25 marzo 2014, n. 86 che hanno definito le procedure per l'attivazione dei poteri speciali nei diversi settori;
    dalla «Relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali», trasmessa alla Camera dei deputati il 22 dicembre 2016, emerge come, a partire dal 3 ottobre 2014, rispetto alla totalità dei procedimenti relativi alle notifiche effettuate da imprese nazionali ed estere, solo in due casi è stato emesso un decreto con prescrizioni (per la quotazione delle azioni di Enav finalizzato alla vendita di una quota di minoranza del pacchetto azionario detenuto dal Ministero dell'economia e delle finanze, e per la cessione di un ramo d'azienda della «IDS Ingegneria dei Sistemi S.p.a.» ad «Hexagon Geosystems Services S.p.a.»);
    stando alla lettura della Relazione in totale sono stati trenta i procedimenti per notifiche pervenute, quattordici dei quali nei settori della «Difesa e sicurezza nazionale», e sedici nei settori «Energia, trasporti e comunicazioni»;
    oltre alla disciplina della golden share, scopi analoghi di tutela delle società operanti in settori giudicati strategici per l'economia nazionale, seppure con modalità diverse, sono stati perseguiti mediante altri interventi normativi;
    tra questi figura l'introduzione, attraverso la legge finanziaria per il 2006 (legge 23 dicembre 2005, n. 266) nell'ordinamento italiano della cosiddetta « poison pill» (pillola avvelenata) che consente, in caso di offerta pubblica di acquisto ostile riguardante società partecipate dalla mano pubblica, di deliberare un aumento di capitale, grazie al quale l'azionista pubblico potrebbe accrescere la propria quota di partecipazione vanificando il tentativo di scalata non concordata;
    nella medesima logica di salvaguardia delle società d'interesse nazionale, si colloca anche la norma del decreto-legge 31 marzo 2011, n. 34, che ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese;
    l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011, in particolare, ha definito «di rilevante interesse nazionale» le società di capitali operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi;
    ai sensi del comma 7 dell'articolo 1, del decreto-legge n. 21 del 2012, i decreti di individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e di sicurezza nazionale devono essere aggiornati almeno ogni tre anni;
    l'attuale crisi economica ha una portata particolarmente ampia, che sta certamente investendo anche le aziende che operano nei settori della difesa e della sicurezza, sia nazionali che estere, ed è, al contempo, anche una crisi della finanza pubblica degli Stati, e il fatto che i soggetti statuali siano i principali interlocutori e clienti di tali imprese ha acuito in modo significativo la crisi del settore;
    le più recenti ricerche condotte sul tema dimostrano come l'Italia sia la diciottesima economia al mondo per dimensione di investimenti diretti dall'estero, ed evidenziano, al contempo, il forte gap tra il numero di imprese italiane acquisite e investimenti italiani in altri Stati;
    laddove vi siano casi di conclamata difficoltà da parte di imprese dei settori giudicati come strategici per l'interesse nazionale è auspicabile l'intervento di nuovi soggetti imprenditoriali, ma occorre fare attenzione a non svendere le attività e ai livelli di penetrazione di aziende straniere nel mercato nazionale, per tutelare l'interesse della collettività;
    appare indispensabile, infatti, salvaguardare non solo il patrimonio di conoscenza tecnologiche acquisite in anni di studi e ricerche, spesso in collaborazione e con il contributo finanziario di pubbliche amministrazioni, ma anche i rapporti di fornitura in corso con soggetti pubblici, nonché l'assetto produttivo nazionale nel suo complesso e, in particolare, i livelli occupazionali;
    occorre contrastare gli investimenti stranieri sostenuti da strategie volte a sottrarre tecnologie e know how tecnologico, industriale e commerciale, come anche quelli che si prefiggono più o meno esplicitamente una successiva delocalizzazione produttiva, che causano l'indebolimento della competitività e l'abbattimento dei livelli occupazionali;
    il 12 febbraio 2017 il Governo italiano, con quello francese e quello tedesco, si è rivolto alla Commissione europea per segnalare che a fronte delle numerose aziende europee «con forti competenze tecnologiche» acquisite negli ultimi anni da investitori di Stati non appartenenti alla UE «gli investitori europei non godono degli stessi diritti nei rispettivi paesi di origine», e per esprimere preoccupazione «per questa assenza di reciprocità e per la possibile svendita del know how europeo» rispetto alla quale «attualmente non abbiamo strumenti efficaci»,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative per ridefinire ed allargare l'insieme delle aziende ritenute strategiche, non ricomprendendo solo quelle appartenenti a settori strategici, ma allargandolo alle aziende con determinati livelli di fatturato che, una volta acquisite da entità non italiana, potrebbero essere delocalizzate in altre nazioni, arrecando grave danno all'economia ed all'occupazione italiana;
2) a modificare le modalità di intervento al fine di garantire la massima tempestività ed efficacia dell'azione dello Stato a tutela dei settori e delle aziende strategiche, al fine di evitare fenomeni di acquisizione che disperdano il patrimonio conoscitivo in possesso delle aziende nazionali;
3) ad assumere iniziative per inserire nell'attuale normativa, un obbligo di assenso preventivo da parte dello Stato, da rilasciarsi con tempistiche massime di 30 giorni, all'avvio di trattative riguardanti le cessioni in toto od in parte, di aziende dei settori ritenuti strategici;
4) ad assumere iniziative volte a escludere la vendita, in tutto od in parte, di aziende dei settori ritenuti strategici ad aziende di nazioni che non garantiscano la reciprocità con le medesime modalità;
5) ad assumere iniziative normative per obbligare il sistema bancario a segnalare preventivamente al Governo le criticità finanziarie, anche in prospettiva, riguardanti le aziende appartenenti a settori strategici e strategiche;
6) ad assumere iniziative volte a prevedere che le aziende italiane appartenenti a settori strategici ed a tutte quelle appartenenti al settore bancario, finanziario, assicurativo e di telecomunicazioni, sono tenute ad avere management esclusivamente italiano ai vertici;
7) ad individuare precisi strumenti di valutazione atti alla difesa del patrimonio di conoscenza delle aziende italiane, salvaguardandolo nei casi di acquisizione di aziende da parte di investitori stranieri;
8) a rafforzare il contrasto nei confronti di investimenti stranieri chiaramente volti a depauperare il patrimonio aziendale italiano ancor più se considerato strategico;
9) a rivalutare la lista dei settori definiti di rilevante interesse nazionale, incrementandola con qualsiasi attività che, perdurante un drammatico periodo di crisi e di disoccupazione ormai strutturale oltre gli 11 punti percentuali, crei e mantenga l'occupazione stabile;
10) ad assumere iniziative in termini di rivisitazione in questo ambito degli accordi bilaterali con Paesi europei od extraeuropei al fine di evitare le cosiddette «scalate» a danno dei principali asset strategici italiani.
(1-01633) «Rampelli, Rizzetto, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    la natura e la portata del fenomeno migratorio, che attiene allo spostamento di milioni di persone, di ogni nazionalità e provenienti da diverse e drammatiche situazioni, richiede un approccio che vada al di là della gestione di una situazione emergenziale;
    le politiche migratorie dovrebbero in primis basarsi sui presupposti di solidarietà, democrazia e rispetto dei diritti umani, a partire dalla prima accoglienza, garantendo l'accessibilità al diritto d'asilo, in armonia con i principi ed i valori fondativi della stessa Unione Europea;
    il sistema « Hotspot», in tale contesto, di recente attivazione, rappresenta uno dei punti di crisi del complesso delle politiche e delle procedure attuate dai governi europei;
    il termine « hotspot», traducibile in italiano con «punto di crisi», o anche «aree di sbarco attrezzate», viene identificato in riferimento alle frontiere più esposte ai flussi migratori; trattasi di un metodo che riguarda le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo sulle frontiere europee;
    ad oggi, non è, inoltre, stata definita la natura giuridica dei centri adibiti all'espletamento delle procedure hotspot, in quanto non si ritrova nessun atto avente forza di legge che ne definisca i parametri di funzionamento, la natura, nonché le relative caratteristiche;
    tali strutture sono state attivate e funzionano in un regime di fatto di informalità incompatibile con le funzioni che sono chiamate a svolgere. Inoltre, le condizioni delle strutture risultano per lo più in contrasto con la possibilità di fornire una prima accoglienza che sia rispettosa della dignità umana;
    tali carenze sono estremamente gravi in quanto non possono che indebolire, se non violare, il diritto d'asilo come diritto umano universale, soggettivo perfetto, mettendo a rischio anche la tutela di categorie particolarmente vulnerabili, quali i minori e le vittime di tratta. Rappresentano, altresì, un precedente pericoloso anche rispetto alla violazione dei principi dello Stato di diritto;
    l'assenza di norme che regolino in dettaglio tali centri sta creando non poche opacità in merito anche agli affidamenti ad enti gestori sulla base di contratti relativi ad altri tipi di strutture;
    è evidente che, in assenza di adeguamento di tutto il sistema alle norme di diritto interno ed internazionale, che riconduca la gestione dei centri e delle operazioni di identificazione al rispetto dei diritti fondamentali della persona, l'applicazione dell'approccio hotspot è da ritenersi priva di fondamento legale sotto diversi profili,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative normative al fine di chiarire in maniera puntuale ed approfondita la natura giuridica degli hotspot e i relativi parametri di funzionamento, nel pieno rispetto dei diritti fondamentali sanciti dalla Costituzione, superando «l'approccio hotspot» così come si è configurato sinora;
2) a garantire che in tali strutture sia sempre assicurato il servizio di mediazione linguistico-culturale e di informativa legale ai fini dell'effettiva accessibilità al sistema della protezione internazionale;
3) ad assumere iniziative per assicurare la presenza dell'UNHCR e delle associazioni umanitarie all'interno degli hotspot;
4) a prevedere particolari cautele circa le modalità di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali, soprattutto in riferimento a soggetti particolarmente vulnerabili, quali i minori e le vittime di tratta;
5) a proporre nelle competenti sedi europee un'iniziativa tesa a sospendere l'applicazione del regolamento cosiddetto «Dublino III» e a sostenere la necessità di una sua revisione, incentrata sul rispetto e sulla protezione dei diritti umani dei rifugiati e dei richiedenti asilo, al fine di garantire un ambiente più favorevole alla loro accoglienza, con un'adeguata assistenza fisica, psicologica e legale, e con un adeguato percorso di integrazione, nonché su un sistema di mutuo riconoscimento tra gli Stati membri della concessione del diritto di asilo, che estenda ai richiedenti asilo ed ai rifugiati i diritti previsti per i cittadini europei dal Trattato di Schengen, permettendo così un'allocazione libera e, dunque, più razionale dei flussi migratori.
(1-01634) «Roberta Agostini, Piras, Laforgia, Quaranta, D'Attorre, Carlo Galli, Melilla, Rostan, Bossa, Fossati, Cimbro, Scotto, Fontanelli».


   La Camera,
   premesso che:
    l'approccio hotspot è previsto dall'Agenda europea sulle migrazioni del 13 maggio 2015: si tratta di un orientamento che prevede la collaborazione di funzionari europei con le autorità nazionali nelle operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo;
    la Commissione europea aveva quindi proposto di sviluppare un nuovo metodo basato sugli hotspot, per dare sostegno agli Stati membri in prima linea nell'affrontare le fortissime pressioni migratorie alle frontiere esterne dell'Unione europea. L'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (EASO), l'Agenzia dell'Unione europea per la gestione delle frontiere (Frontex), l'Agenzia di cooperazione di polizia dell'Unione europea (Europol) e l'Agenzia per la cooperazione giudiziaria dell'Unione europea (EUROJUST) avrebbero quindi lavorato sul campo con le autorità dello Stato membro, per aiutarlo ad adempiere agli obblighi derivanti del diritto dell'Unione europea e a condurre con rapidità le operazioni di identificazione, registrazione e rilevamento delle impronte digitali dei migranti in arrivo. Il metodo basato sugli hotspot avrebbe dovuto contribuire anche all'attuazione dei meccanismi temporanei di ricollocazione proposti dalla Commissione europea;
    l'approccio hotspot, privo di una specifica cornice giuridica fin dal suo inizio, è al centro di numerose critiche, in particolare per le condizioni in cui versano i centri di trattenimento;
    a riprova della disorganizzazione del Governo sul punto, si rileva che le autorità dell'Unione europea hanno più volte messo in mora l'Italia per l'inefficienza del sistema di identificazione dei migranti/richiedenti asilo;
    dallo studio commissionato dal Parlamento europeo in merito alle «2015 Council Decisions establishing provisional measures in the area of International protection for the benefit of Italy and of Greece», studio proprio in questi giorni all'attenzione del parlamentari europei, emerge chiaramente come le criticità emerse in merito all'attuazione in Italia siano il frutto di un approccio fallimentare all'emergenza migratoria da parte del Governo italiano;
    nello specifico, emergono, tra le altre, le seguenti criticità, ripetutamente denunciate dal gruppo Forza Italia sia nel Comitato Schengen sia nella Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione: ritardi e incertezze nella gestione delle domande di protezione, per la complessità e farraginosità delle procedure, l'inadeguatezza del personale e, soprattutto, per un approccio disordinato ed eccessivamente decentrato, che provoca, tra l'altro, irrazionali duplicazioni di procedure; eccessive e irrazionali movimentazioni dei richiedenti asilo eleggibili per la protezione internazionale, visto che la maggior parte dei centri è al Sud, ma poi i flussi vengono dirottati verso il Centro e il Nord, con eventuale destinazione finale Roma, quale unico hub per l'attuazione della ricollocazione; diffusa incertezza tra i richiedenti asilo sul loro status e sul loro destino, il che provoca scoraggiamento e delusione incentiva gli spostamenti irregolari sul territorio;
    nel documento si denuncia anche un abbandono de facto della logica degli hotspot (rispetto ai quali si evidenzia l'assenza di incardinamento giuridico), basata sulla interazione tra più agenzie e più obiettivi, in favore di un approccio completamente focalizzato sul controllo di frontiera. In particolare, si critica il Governo per l'eccessiva lentezza delle procedure di identificazione: la prima parola che i migranti imparano in italiano – sottolinea lo studio – è «aspetta». Nel documento si citano diversi abusi e una prassi identificativa priva di adeguate garanzie per l'interessato (ad esempio, si critica il fatto che i richiedenti asilo non vengono adeguatamente informati in merito alle opzioni per loro disponibili, indirizzandoli di fatto verso la mancata richiesta di asilo politico). A tal riguardo, è evidente come queste criticità vadano imputate innanzitutto alla caoticità e farraginosità della gestione generale del fenomeno e all'esiguità di uomini e mezzi messi a disposizione per le procedure di identificazione;
    non ci sono stati poi risultati positivi in termini di persone ricollocate e persone rimpatriate;
    le autorità europee hanno poi più volte richiamato l'Italia poiché la mancata identificazione dei migranti, compiuta omettendo di fare controlli rigorosi, avrebbe costituito in realtà un espediente al quale il Governo non avrebbe posto volontariamente rimedio, al fine di dirottare parte del traffico migratorio verso l'Europa del Nord;
    in ogni caso, è evidente che si è innanzi a quello che i firmatari del presente atto di indirizzo appare ad un vero e proprio « bluff». L'attuale regolamento di Dublino, stabilisce «i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un paese terzo o da un apolide (rifusione)», nell'ambito della Convenzione relativa allo status dei rifugiati del 1951 e la relativa direttiva dell'Unione europea. In base al regolamento, una domanda di asilo non può essere presentata in più di uno Stato membro e deve essere esaminata dallo Stato dove il richiedente ha fatto ingresso nell'Unione. Tutto ciò fa sì che il migrante/richiedente asilo, una volta sbarcato sulle coste italiane ed entrato nel sistema nazionale di gestione del fenomeno migratorio, rimanga «in carico» all'Italia anche se varca i confini nazionali;
    anche per questa ragione, molti migranti/richiedenti asilo cercano di sottrarsi al processo di identificazione, al fine di entrare nei sistemi di gestione dei Paesi dell'Europa del Nord, sia perché in essi spesso risiedono familiari e conoscenti, sia perché la protezione offerta da detti Paesi è di livello superiore rispetto a quella garantita in Italia;
    i fotosegnalamenti, inoltre, non sempre vengono compiuti negli hotspot, anzi. Le postazioni mobili con le quali si effettuano i primi fotosegnalamenti – secondo quanto dichiarato dal servizio della polizia scientifica – vengono portate al seguito della polizia e installate nella località in cui lo sbarco avviene, che non sempre coincide con le sedi degli hotspot. Infatti, le attività di fotosegnalamento possono essere svolte anche in tensostrutture allestite sulle banchine dei porti o presso locali adibiti a questo scopo temporaneamente (hangar vari e capannoni), oppure, quando si riesce, addirittura negli uffici di polizia scientifica;
    non esiste nel nostro Paese un protocollo unitario di identificazione dei migranti-richiedenti asilo. Quando un migrante/richiedente asilo giunge in territorio italiano, di fatto, non viene identificato, ma solo «individuato». L'identificazione, infatti, è una procedura scientifica, giuridicamente rilevante, che permette di attribuire a ogni persona, in maniera univoca, una e una sola identità, a prescindere anche da eventuali successive modifiche. Viceversa, l'individuazione è la mera attribuzione di un nome e di una provenienza, che tuttavia possono mutare in maniera arbitraria, senza che vi sia l'effettiva possibilità, in caso di eventuali spostamenti, di pervenire a un'identificazione sicura. In altre parole, manca un'anagrafe unitaria e affidabile dei migranti/richiedenti asilo che arrivano nel nostro Paese e mancano in generale gli strumenti adatti per trattenere ed identificare i migranti;
    di fatto, se non cambia il sistema, gli hotspot diventano fabbriche di clandestinità;
    non è più sostenibile permettere che arrivino sulle coste italiane, migranti irregolari, che non hanno diritto alla protezione internazionale, e che non si abbiano adeguati strumenti per identificarli e trattenerli;
   la soluzione non può nemmeno essere quella dell'accoglienza diffusa, che sembra presupporre l'idea che il problema centrale nelle questioni migratorie sia quello dell'integrazione. Il punto è che il processo di integrazione può riguardare solo persone che abbiano titolo a rimanere sul territorio nazionale. Ma si tratta di una minoranza rispetto alla massa degli stranieri presenti in Italia;
    la maggioranza è invece costituita da persone che chiedono la protezione internazionale, pur non avendone la titolarità;
    più in generale, le iniziative e le misure poste per fronteggiare il fenomeno migratorio, un'emergenza che ha assunto negli ultimi anni carattere strutturale, non hanno fino ad ora avuto esiti positivi, registrando di fatto il fallimento della politica italiana su questo tema, nonché il fallimento di una politica europea comune delle migrazioni. È noto infatti come si è ancora lontanissimi dal raggiungimento degli obiettivi che lo stesso Consiglio europeo ha fissato. Lo dice di fatto lo stesso Consiglio europeo. Lo ammette sostanzialmente lo stesso Governo italiano. Lo dicono soprattutto i numeri: in particolare quelli relativi ai rimpatri, alle riallocazioni, all'immigrazione irregolare. L'Italia aveva il dovere di offrire all'Europa quell'impulso decisivo in grado mettere in campo le misure necessarie per governare il fenomeno migratorio, ma il Governo, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, ha miseramente fallito,

impegna il Governo:

1) ad intraprendere ogni opportuna iniziativa volta a rivedere l'attuale e non più sostenibile sistema di accoglienza, e, in particolare, a promuovere a livello europeo un intervento decisivo volto a rafforzare le frontiere esterne dell'Unione, anche attraverso il potenziamento e l'incentivazione dell'attività di controllo e monitoraggio di Frontex, l'intensificazione dei controlli di frontiera sia in mare che a terra nel Mediterraneo meridionale, sul Mar Egeo e lungo la «rotta balcanica», fornendo adeguato sostegno agli Stati membri in prima linea, assicurando la ricollocazione e il rimpatrio dei migranti, e la costituzione di hotspot nei Paesi di provenienza, definendo un approccio comune europeo per la gestione del flusso dei rifugiati e dei migranti;
2) ad adottare ogni iniziativa volta all'istituzione di un registro unico centralizzato dei migranti richiedenti asilo, in analogia con quanto previsto per i soggetti senza fissa dimora al quarto comma dell'articolo 2 della legge 24 dicembre 1954, n. 1228, gestito dalle prefetture, per esonerare i comuni dal gravoso compito – in termini sia economici sia funzionali – di gestire i profili burocratici del fenomeno migratorio ed in particolare per quel che riguarda la gestione delle pratiche per la residenza;
3) ad adottare ogni iniziativa, anche di tipo normativo, volta a dotare le forze dell'ordine degli strumenti necessari per procedere più speditamente all'identificazione dei migranti/richiedenti asilo, attraverso disposizioni che mirino innanzitutto ad assicurare un tempo adeguato per lo svolgimento delle attività di identificazione, portando a settantadue ore la durata del fermo per l'accertamento dell'identità personale da parte degli organi di pubblica sicurezza;
4)  ad intervenire con opportune iniziative di competenza volte a garantire l'accesso presso gli hotspot ai parlamentari e agli amministratori locali, per assicurare un controllo esterno sulle modalità e sulle condizioni di trattenimento, nonché sul rispetto dei diritti fondamentali e della dignità degli stranieri ivi presenti.
(1-01635) «Gregorio Fontana, Ravetto, Occhiuto, Giammanco».


   La Camera,
   premesso che:
    con lo scopo di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori reputati strategici e di interesse nazionale, nel 2012 il legislatore è intervenuto ridisciplinando organicamente (con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21) la materia dei poteri speciali esercitabili dal Governo in tale settore, anche al fine di aderire alle indicazioni e alle censure sollevate in sede europea;
    per «poteri speciali» si intendono, tra gli altri, la facoltà di dettare specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni, di porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all'acquisto di partecipazioni. Per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, la Commissione europea ha adottato un'apposita comunicazione, con la quale ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su «criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale». Riguardo agli specifici settori di intervento, la Commissione ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, purché, conformemente alla giurisprudenza della Corte di giustizia, sia esclusa qualsiasi interpretazione che poggi su considerazioni di ordine economica. Nel settore fiscale e in quello della vigilanza prudenziale sulle istituzioni finanziarie, o con riguardo ai movimenti di capitali, le deroghe ammesse non devono costituire un mezzo di discriminazione arbitraria, né una restrizione dissimulata al libero movimento dei capitali. In ogni caso, secondo quanto indicato dalla Commissione, la definizione dei poteri speciali deve rispettare il principio di proporzionalità, vale a dire deve attribuire allo Stato solo i poteri strettamente necessari per il conseguimento dell'obiettivo perseguito;
    nel dettaglio, il citato decreto-legge reca anzitutto la nuova disciplina dei poteri speciali esercitabili dall'Esecutivo rispetto alle imprese operanti nei comparti della difesa e della sicurezza nazionale. La principale differenza con la normativa precedente si rinviene nell'ambito operativo della nuova disciplina, che consente l'esercizio dei poteri speciali rispetto a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica, e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o in mano pubblica;
    le esigenze di tutela che si esprimono negli speciali poteri riconosciuti dall'ordinamento per l'intervento nei settori considerati strategici, alla luce del quadro normativo vigente, rispondono a finalità di salvaguardia di fondamentali interessi collettivi che richiedono una attenta opera di interpretazione e, se del caso, adeguamento in funzione del contesto storico attuale;
    infatti, accanto a esigenze di tutela degli interessi pubblici derivanti dalle possibili conseguenze derivanti dalla acquisizione da parte di operatori stranieri di partecipazioni significative e di controllo in aziende operanti nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, già da tempo sono emerse come irrinunciabili istanze di salvaguardia di quegli operatori che, presenti anche in altri settori sensibili per il mantenimento di condizioni di convivenza democratica e di sviluppo economico ordinato, possono estendersi anzitutto al campo delle infrastrutture, delle comunicazioni, dell'energia;
    in questi casi, l'esigenza che emerge non è tanto quella di salvaguardare un aprioristico pregiudizio nazionale: infatti, così ragionando, si rischierebbe di privare il Paese della possibilità di giovarsi di significativi investimenti provenienti dall'estero, e quindi di arricchire il perimetro delle attività medesime proprio per effetto dell'allargamento della partecipazione rinvenibile, attraendo risorse vitali soprattutto in contingenze di scarsa crescita, come quella attuale, capaci anche di fare da traino per la ripresa di processi di investimento in tutta la filiera interessata, con evidenti ricadute positive in termini di crescita economica ed occupazionale complessiva, valorizzazione degli asset interessati, arricchimento del complessivo tessuto economico-produttivo;
    piuttosto, nelle evenienze in esame si tratta di non confondere questa esigenza di vitale capacità di attrazione di investimenti provenienti dall'estero (che anzi andrebbe potenziata e coordinata in maniera organica con l'affidamento chiaro e trasparente della programmazione e regia degli interventi di interesse pubblico ad un centro decisionale in grado di coniugare visione strategica, capacità di attrazione di investimenti esteri in obiettivi mirati, trasparenza di tutto il processo istruttorio, decisionale e di verifica, controllo costante sugli esiti delle azioni intraprese anche per i necessari interventi correttivi), con improponibili svendite di veri e propri patrimoni dell'industria nazionale, di cui nel passato sono state scritte pagine non brillanti attraverso processi di dismissione del patrimonio pubblico in favore di operatori stranieri sovente non corrispondenti ai reali valori in gioco;
    ma accanto a questa esigenza di «attrazione vigile e selettiva» degli apporti che possono venire dall'estero – e che in questa prospettiva ci si augura siano sempre crescenti – si tratta di non abbandonare interi segmenti del tessuto produttivo del Paese, anche ulteriori rispetto a quelli tradizionalmente considerati come settori strategici, come sopra indicati, ove mai emerga non un semplice cambio della proprietà, con l'ingresso nell'assetto di proprietà in ruoli di controllo di soci di provenienza straniera, ma allorché tale processo si accompagni con rischi di impoverimento conseguenti per il sistema-Paese. Come nel caso in cui al cambio di controllo si accompagni il trasferimento all'estero dei centri di programmazione e monitoraggio delle attività di ricerca o a più elevato valore innovativo, la delocalizzazione delle strutture produttive a più intenso assorbimento di lavoro, o di asset che possano rivelarsi significativi per il mantenimento dell'equilibrio socio-economico nella attuale congiuntura economico-produttiva. Il tutto, ovviamente, pur nella salvaguardia dei principi comunitari di non discriminazione e di tutela della libertà di circolazione di merci, servizi, persone e capitali;
    in questo senso, emblematico è il caso del settore finanziario. Se è vero che sussiste – soprattutto in una stagione che si annuncia densa di novità per effetto delle conseguenze della «Brexit» per i mercati finanziari, con interrogativi di non poco conto sulla conservazione del ruolo di Londra come capitale continentale delle attività connesse alla gestione dei servizi finanziari e dei capitali – la naturale capacità degli investimenti soprattutto in questo settore di seguire il contesto in cui le condizioni regolatorie, sociali e di tutela giudiziaria consentono di massimizzare le occasioni di valorizzazione, non può essere taciuto che un ordinamento attento al mantenimento di fondamentali condizioni di stabilità economico-produttive – in quanto pre-requisito della sicurezza sociale ed economica – ha il dovere di vigilare su eventuali rischi derivanti dalla trasformazione di quelle occasioni di investimento in processi di vera e propria destabilizzazione;
    questo in particolare può verificarsi ove mai si assista, per la qualità o il livello dei target presi di mira, il volume delle risorse interessate, le ricadute sulla ricchezza nazionale, pubblica e privata, non solo a fenomeni di spostamento all'estero dei centri decisionali nevralgici, ma di vero e proprio reindirizzamento verso altre opportunità di asset allocation e investimento, per l'appunto estere, della massa di ricchezza riconducibile agli operatori finanziari interessati. E, particolarmente nei casi in cui esponenti di vertice di tale settore possano risultare altresì tra i principali detentori di titoli del debito pubblico italiano – sì denominato in euro, ma pur sempre emesso dalla Repubblica italiana – si assisterebbe alla consegna di fette consistenti di risorse essenziali per l'ordinata gestione sui mercati finanziari di quello che rimane uno dei debiti sovrani di maggiori dimensioni al mondo. Con conseguente rischio di condizionamento o destabilizzazione ove mai taluno di tali operatori esteri possa decidere inopinatamente di cambiare le strategie di investimento medesime, con ricadute sistemiche coerenti con la qualità, le dimensioni o il posizionamento di mercato dei protagonisti o dei valori interessati (come la storia del repentino disinvestimento Deutsche Bank del 2011 dovrebbe rammentare, con tutte le pesanti conseguenze che ne sono poi derivate per il Paese e i singoli investitori);
    analogamente nelle ipotesi in cui, anche in questo caso imposte dalla cronaca, grosse operazioni coinvolgenti settori tradizionalmente avvertiti nel nostro Paese come estranei a quelli meritevoli della stessa attenzione e salvaguardia propria dei più tradizionali settori strategici (ma solo nel nostro ordinamento, non anche in quelli di primari competitor dell'Unione europea, curiosamente corrispondenti agli ordinamenti dai quali provenivano proprio i più attivi raider in tal senso attivi), si siano rivelate ben presto dettati non da (inesistenti) finalità industriali, ma da mere mire predatorie sulla liquidità o sugli asset di maggiore valore immediato nella disponibilità del bersaglio nazionale avuto di mira, magari nel frattempo gravato persino degli oneri finanziari imposti dall'operazione stessa di acquisizione;
    anche in questo caso, la mancanza o il ritardo di una risposta mirata e tempestiva da parte delle istituzioni nazionali deriva dalla assenza di consapevolezza sul significato reale della presenza in economia di operatori qualificati, e sulle ricadute – queste sì strategiche – per l'intero sistema-Paese di un loro eventuale cambio di controllo che si accompagni al trasferimento dei centri decisionali e di indirizzo in altro contesto, del tutto indifferente alle esigenze di mantenimento dell'equilibrio necessario ai mercati;
    questo dimostra che, a dispetto del settore in cui direttamente grandi realtà industriali o finanziarie operano, il carattere strategico rilevante dell'operatore interessato non deve essere mai dissociato da un'attenta valutazione sulle possibili ricadute sull'intero sistema produttivo ed occupazionale del Paese, con riferimento sia agli aspetti coinvolgenti la ricchezza pubblica che quella privata, in una dimensione non limitata alla mera considerazione del contingente, ma attenta alle prospettive che si delineano in un processo di ordinata evoluzione delle premesse poste;
    da questo punto di vista, pertanto, il complesso degli strumenti presenti nell'ordinamento per il conseguimento di tali esigenze rischia di rivelarsi fragile o non completo, in quanto la eventuale inadeguatezza puntualmente emerge solo quando è troppo tardi, e cioè allorché, individuata una falla nei sistemi di difesa degli interessi strategici nazionali come sopra rappresentati, siano state già poste in essere iniziative di mercato che poi diviene problematico e controverso dovere «inseguire», invocando tardivi quanto inappropriati interventi normativi che difettano dei requisiti quanto meno della sistematicità e oggettività, in quanto non discriminatori;
    per tali ragioni, si rende necessario aggiornare il complesso degli strumenti esistenti, in un quadro non di improbabile proposizione di barriere nazionali – improponibile nell'attuale contesto e, a ben vedere, non funzionale alla migliore valorizzazione dei campioni nazionali esistenti per una economia votata allo scambio e alla presenza sui mercati esteri – ma di predisposizione di tutti gli strumenti ai quali in ogni eventualità possa farsi ricorso, solo che emerga la necessità;
    in questo senso, allora, si impone anzitutto la revisione della disciplina esistente, con la valorizzazione di misure improntate a criteri di reciprocità con gli ordinamenti dai quali provengono – secondo valutazioni complessive e sostanziali e non solo formali o apparenti – gli operatori interessati, in maniera da disincentivare eventuali arbitraggi normativi o regolamentari in grado di alimentare processi di «spoliazione» del patrimonio di ricchezza nazionale nei termini descritti;
    in secondo luogo, appare imprescindibile promuovere una considerazione dinamica e allargata dei settori strategici oggetto di tutela tale per cui, pur nel rispetto di fondamentali istanze di carattere europeo di armonizzazione e non discriminazione, possa consentirsi o richiedersi l'intervento di autorità pubbliche (nelle forme e con le misure volta a volta reputate opportune) in tutti quei casi in cui, indipendentemente dal settore merceologico di immediato rilievo, comunque l'operazione di cambio del controllo sia suscettibile di assumere ripercussioni significative sul mantenimento dell'equilibrio economico produttivo del sistema Paese, o sullo stesso contesto sociale nazionale, coinvolgendo aspetti essenziali per la tutela di interessi fondamentali dei cittadini, come nel caso di interventi con rilevanza sistemica nei settori delle infrastrutture, dell'energia, delle comunicazioni, ma anche in quello finanziario, bancario, assicurativo e previdenziale privato, della sanità e dell'assistenza alla persona, l'approvvigionamento alimentare e di beni di prima necessità, e così via;
    la prontezza ed efficacia di questi interventi si misura innanzi tutto in funzione della capacità di fare emergere le strategie sottese alle operazioni predette: se, come detto e ribadito, nessun elemento di allarme si rinviene, in sé, nella nazionalità della proprietà o del controllo di qualsiasi significativa realtà industriale o produttiva, ben diverso può essere l'eventualità in cui questo processo nasconda in realtà la finalità di sottrarre i centri di indirizzo, gestione e controllo, gli asset finanziari e la ricchezza reale delle realtà interessate, il know how indispensabile per competere in uno scenario globale e le punte in termini di ricerca e innovazione al contesto regolatorio esistente, verso porti più consoni a finalità estranee rispetto alle esigenze di salvaguardia del patrimonio industriale del Paese e dei diritti fondamentali dei cittadini. La risposta più adeguata allora diviene quella della amplificazione di adeguate e mai eccessive misure di trasparenza nella rappresentazione degli scenari perseguiti, in maniera da consentire di cogliere tempestivamente la differenza tra legittime operazioni di mercato, e più pericolosi raid speculativi niente affatto sensibili alle possibili conseguenze sulla stabilità e la tutela dell'intera comunità nazionale;
    né, in tale dimensione, deve compiersi l'errore di ritenere emergente una malintesa prospettiva di tutela del mercato e dei consumatori preponderante su qualsiasi altra considerazione. Al contrario, proprio le più genuine istanze di tutela del mercato e dei consumatori impongono di non abbandonare il confronto concorrenziale ad un contesto privo di regole (oggettive, equilibrate, effettive, non discriminatorie e anteriormente poste) in grado di orientare il doveroso sviluppo dell'iniziativa economica verso la concorrente massimizzazione delle esigenze di tutela reale dei consumatori. Infatti, proprio una prospettiva in grado di privilegiare un approccio a più ampio spettro, nei termini segnalati, consente di promuovere costantemente una valutazione attenta alle reali istanze del mercato e dei consumatori in una prospettiva non limitata al breve o brevissimo momento, ma attenta a tutte le ricadute prospettabili. Al punto che si impone l'intervento dell'ordinamento non per limitare la libertà di azione dei singoli – di qualunque provenienza o nazionalità – ma per evitare che tale ampia autonomia possa tradursi in corrispondenti destabilizzazioni di fondamentali condizioni di equilibrio del mercato, che finirebbe per coinvolgere le stesse istanze dei consumatori e la stabilità del sistema economico complessivo,

impegna il Governo:

1) ad adottare ogni opportuna iniziativa volta alla revisione della disciplina esistente in materia di poteri speciali, anche attraverso interventi di competenza nelle sedi europee e internazionali, con il fine di valorizzare misure improntate a criteri di reciprocità con gli ordinamenti degli Stati dai quali provengono gli operatori interessati, in maniera da disincentivare eventuali arbitraggi normativi o regolamentari in grado di alimentare processi di «spoliazione» del patrimonio di ricchezza nazionale;
2) ad assumere iniziative per introdurre una regolamentazione che preveda specifici obblighi di trasparenza, e, in particolare, obblighi di comunicazione preventiva da parte dei potenziali acquirenti di partecipazioni in società ritenute strategiche, esaminando anche le normative vigenti in altri Paesi e nell'Ocse;
3) ad adottare opportune iniziative volte ad estendere la disciplina dei poteri speciali anche ad altri settori rispetto a quelli tradizionali di difesa e sicurezza, secondo valutazioni di rilievo dell'interesse nazionale volta per volta emergente.
(1-01636) «Alberto Giorgetti, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    attraverso il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, è stata disciplinata la materia concernente i poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in alcuni ambiti di rilevanza strategica nei settori dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni;
    con il decreto del Consiglio dei ministri n. 35 del 19 febbraio 2014, in materia di poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, e con decreto del Presidente della Repubblica n. 86 del 25 marzo del 2014, con riguardo ai poteri speciali nei settori dei trasporti, dell'energia e delle comunicazioni, sono state definite le condizioni e i procedimenti per l'esercizio dei poteri speciali nei due settori;
    gli ulteriori decreti del Presidente della Repubblica n. 85 del 25 marzo 2014 e n. 108 del 6 giugno 2014, hanno consentito di completare il quadro organizzativo regolamentare del settore;
    con tali poteri speciali l'Esecutivo può definire specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni, porre il veto all'adozione di delibere relative ad operazioni particolarmente rilevanti, dichiarare nulle le delibere adottate con il voto determinante delle azioni o quote acquisite in violazione degli obblighi di notifica;
    le direttive dell'Unione europea hanno sollevato la necessità di rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali del Governo che era già stata oggetto di censure sollevate dalla Commissione europea, che attraverso la comunicazione 97/C 220/069 ha affermato che «l'esercizio di tali poteri deve essere attuato senza discriminazioni ed è consentito se si basa su criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale»;
    anche la Corte di giustizia europea ha emanato una pronuncia di condanna nei confronti del nostro Paese. Procedure analoghe sono state sollevate anche rispetto alle normative di Regno Unito, Portogallo, Francia, Spagna e Germania;
    la nuova normativa riguarda tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività di rilevanza strategica. In tali casi, il golden power consiste nella possibilità di far valere il veto del Governo alle delibere, agli atti e alle operazioni concernenti asset strategici, in presenza di requisiti richiesti dalla legge, nonché di imporre specifiche condizioni, di porre condizioni all'efficacia dell'acquisto di partecipazioni di soggetti esterni all'Unione europea in società che detengono attivi «strategici», anche, in casi straordinari, opponendosi all'acquisto stesso;
    fino ad oggi il golden power è stato utilizzato dai Governi solo in alcuni limitati casi: secondo la relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali, dal 3 ottobre 2014 al 30 giugno 2016 sono stati emanati solo due decreti con prescrizioni su 30 operazioni notificate e mai posto il veto. Circa il 47 per cento delle notifiche ha riguardato operazioni nel settore della «difesa e sicurezza nazionale», il 23 per cento le comunicazioni, il 17 per cento l'energia, il 13 per cento i trasporti;
    tra il 2007 ed il 2015 si verificato un calo del 42 per cento negli investimenti esteri diretti in entrata e, in attesa di un rilancio della politica industriale europea, l'introduzione non diligentemente esaminata di ulteriori barriere rischia di aggravare una perdita di competitività interna;
    l'esigenza di aggiornare gli strumenti di difesa delle imprese strategiche, adattandoli alle mutate situazioni internazionali, è ormai avvertita anche da altri partner europei;
    in questi ultimi anni diversi sono stati i casi di acquisizioni «ostili» di imprese italiane ad opera di investitori stranieri che hanno portato alla luce un sistema di acquisizione a volte aggressivo, in quanto concentrato sull'acquisto corposo di azioni, su manovre di borsa sulle quali la Consob ha più volte espresso preoccupazione, e sul lancio di offerte pubbliche di acquisto;
    tali comportamenti contrastano con lo spirito e la pratica dell'integrazione economica europea, in una fase politica dell'Unione europea dove al contrario vi sarebbe bisogno di maggiore coesione e trasparenza;
    una modifica della normativa sul golden power dovrebbe tenere ben presente il confine tra gli interessi nazionali e le materie inerenti alla libertà di impresa, ai principi costituzionali e dell'Unione europea, e al diritto alla concorrenza,

impegna il Governo:

1) ad assumere iniziative normative volte a dare corso all'aggiornamento dei regolamenti per l'individuazione delle attività di rilevanza strategica per il sistema della difesa e di sicurezza nazionale;
2) ad adottare iniziative finalizzate a revisionare le norme relative al cosiddetto golden power, conciliando la libertà di iniziativa economica con la salvaguardia degli assetti proprietari delle aziende italiane di rilevanza strategica;
3) ad adottare iniziative volte a prevedere obblighi di trasparenza a carico degli acquirenti, in modo da agevolare la permanenza sul territorio di insediamenti produttivi, professionalità e posti di lavoro, sul modello di quanto già previsto in altri Paesi dell'Unione europea.
(1-01637) «Abrignani, Francesco Saverio Romano, Parisi, Zanetti, Vezzali».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
I Commissione:


   PLANGGER, NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 24 giugno 2016 è stata istituita, presso il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, la struttura di missione «delegazione per l'organizzazione della Presidenza italiana del Gruppo dei Paesi più industrializzati», per la preparazione e l'organizzazione della Presidenza del G7 che si terrà il 26 e 27 maggio 2017 a Taormina;
   nonostante l'ampia struttura di missione, i lavori di allestimento e preparazione all'evento ancora non sarebbero partiti: infatti, secondo quanto riportano organi di stampa «dove atterreranno i grandi del mondo per adesso ci sono sterpaglie, calcinacci, qualche rifiuto. La strada che percorreranno i ministri dell'economia delle sette nazioni più ricche del pianeta, invece, è strettissima, piena di buche, con l'erba e il terreno che qua e là invadono le carreggiate. Gli scali per accogliere gli elicotteri con a bordo le personalità più potenti del mondo, per momento si vedono solo due piazzali in aperta campagna»;
   secondo alcuni articoli di giornale, tutt'oggi, vi sarebbero alcuni ritardi, mentre alcune infrastrutture potrebbero, secondo gli interroganti, essere inutili, come ad esempio uno degli eliporti temporanei destinato al solo Presidente degli USA;
   l'articolo 1, comma 381, della legge 232 del 2016 prevede la creazione di un fondo di 45 milioni di euro «per l'attuazione degli interventi relativi all'organizzazione e allo svolgimento del vertice tra i sette maggiori Paesi industrializzati (G7), anche per adeguamenti di natura infrastrutturale e per le esigenze di sicurezza» –:
   a quanto ammontino complessivamente le risorse pubbliche, a livello centrale e decentrato, direttamente o indirettamente destinate al G7 di Taormina, inclusi il costo e il numero dei consulenti di cui si avvale la struttura di missione presso la Presidenza del Consiglio dei ministri. (5-11358)


   DIENI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE e TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   le assunzioni nella pubblica amministrazione devono essere effettuate, salvo rarissimi casi, ai sensi dell'articolo 97, comma 4, della Costituzione; il Governo farebbe invece ampio ricorso, a quanto consta agli interroganti, ad assunzioni fuori concorso senza che siano chiari i criteri meritocratici seguiti;
   secondo La Verità del 18 aprile 2017, in «Infornata di nomine del ministro indagato», il Ministro Lotti starebbe «per assumere altri 18 ipotetici esperti a spese dello Stato alla modica cifra di 1.230.000 euro lordi l'anno, per un massimo di quattro anni, con possibile proroga per il quinto, costo che alla fine potrebbe superare i 6 milioni di euro»; la procedura si nota, esclusivamente, leggendo tra gli avvisi del sito del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   l'avviso raccoglie «le manifestazioni di interesse per la predisposizione di una short list, cui attingere per l'attribuzione di incarichi di esperto del DIPE, aventi ad oggetto le funzioni precedentemente svolte dalla soppressa Unità Tecnica Finanza di Progetto»; tempo limite per la presentazione delle candidature, 15 giorni dalla pubblicazione, con le vacanze pasquali in mezzo;
   gli esperti inclusi nella lista, secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri dell'8 agosto 2016, potranno esser «nominati con decreto del ministro o del sottosegretario di Stato alla presidenza del Consiglio dei ministri con funzioni di segretario del Cipe, su proposta del capo del Dipe»;
   la graduatoria da cui attingere non sarà ordinata per criteri di merito: appare totale la discrezionalità che sarà dunque impiegata per effettuare le nomine;
   le retribuzioni previste sono significative: i primi 10 esperti prescelti avranno un compenso di 75.000 euro lordi annui e gli altri otto di 60.000;
   secondo l'articolo «Palazzo Chigi: doppi incarichi, rinnovi anticipati e selezioni mai fatte», pubblicato su Il fatto quotidiano del 9 marzo 2017, sarebbe stato concesso un privilegio per 5 tra i 9 componenti del Nars, dato che Ferruccio Sepe, capo del Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, il 7 luglio, tre mesi in anticipo rispetto alle scadenze dei contratti, avrebbe proposto e ottenuto da Luca Lotti di rinnovare 5 contratti per altri due anni con cospicui aumenti, anticipando il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che avrebbe dovuto regolare l'attribuzione degli incarichi, emanato l'8 agosto 2016 –:
   se non intenda assumere iniziative volte ad introdurre, nella procedura di selezione di esperti del dipartimento citato in premessa, ai sensi del decreto del Presidente del Consiglio dell'8 agosto 2016, elementi atti a garantire realmente criteri di merito e se non si intenda comunque limitare gli esperti ad un numero inferiore alle 18 unità massime previste. (5-11359)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il Governo ha chiesto ai familiari delle vittime del terremoto de L'Aquila la restituzione delle somme pagate ai medesimi – che si erano costituiti parte civile – a seguito della sentenza n. 380 del 2012 depositata il 18 gennaio 2013 nel procedimento penale contro la Commissione grandi rischi, organo scientifico della Presidenza del Consiglio dei ministri. L'imputazione era quella di aver rassicurato la popolazione dopo la riunione del 31 marzo 2009, a pochi giorni dalla catastrofe che ha distrutto L'Aquila e alcuni comuni della provincia, provocando la morte di 309 persone;
   i risarcimenti furono, a seguito delle condanne, immediatamente esecutivi, a prescindere dai processi civili in corso;
   il 10 novembre 2014, la sentenza è stata riformata in appello e sei dei luminari sono stati assolti, mentre è stato condannato l'allora vice capo dipartimento dell'area tecnico-operativa;
   il 20 novembre 2015 la Corte di Cassazione ha quindi confermato la sentenza di appello;
   sia nella sentenza di appello che in quella di Cassazione si ritenne che gli imputati non operassero come componenti della Commissione grandi rischi posto che non vi sarebbero state le condizioni formali per una corretta convocazione della Commissione grandi rischi; pertanto essi avevano le vesti di «semplici cittadini». È evidente che se così fosse, diventa necessario sapere se i sette avvocati della difesa, ed eventuali altri, presenti nei giudizi sopra indicati, abbiano avuto corrisposta la loro parcella, visto il venir meno del legame funzionale con la Presidenza del Consiglio –:
   se siano stati pagati a carico dello Stato, e per quale somma, emolumenti, rimborsi, retribuzioni, in qualsiasi forma, a favore degli avvocati della difesa per i processi nei confronti della Commissione grandi rischi, di cui in premessa, nei tre gradi di giudizio. (4-16601)


   FABRIZIO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo recenti fonti giornalistiche, nei giorni scorsi sarebbe stata perfezionata la cessione a Ubi Banca di Nuova Banca delle Marche, di Nuova Banca Etruria e del Lazio e di Nuova Cassa di Risparmio di Chieti;
   secondo quanto riportato in una nota diramata da Banca d'Italia quest'ultima, con propri provvedimenti, avrebbe dichiarato la cessazione della qualifica di «ente ponte» degli intermediari, che proseguiranno la loro attività nell'ambito del gruppo Ubi;
   il Fondo Atlante ha concluso la sua prima operazione acquistando da Banca Marche, Banca Etruria e CariChieti un importo pari a 2,2 miliardi di euro lordi, tra sofferenze ed incagli: si tratterebbe di un prezzo pari al 32,5 per cento del valore facciale, che rappresenta tuttavia una soglia più alta della media delle transazioni di mercato;
   diversi articoli giornalistici riportano la volontà di Ubi Banca di ridurre di circa un terzo il personale di Banca Marche, Banca Etruria e CariChieti, attraverso un piano di ristrutturazione che prevede, entro il 2020, la riduzione di circa 200 milioni di euro degli oneri operativi delle tre banche. In particolare, il preannunciato taglio avverrà sostanzialmente attraverso una riduzione dell'organico di 1.569 risorse (-32 per cento rispetto al 2016), la chiusura di 140 filiali e l'ottimizzazione delle altre spese amministrative;
   il consigliere delegato di Ubi, Victor Massiah, ha affermato che tali tagli sono «inevitabili», in quanto i tre istituti «giungono da un contesto di grande crisi, di grande difficoltà, che implica inevitabilmente delle azioni cosiddette di turnaround che vanno innanzitutto a incidere sulla struttura dei costi e sulla qualità del credito»;
   tali procedure, tuttavia, a quanto risulta all'interrogante sarebbero state concluse senza alcun precedente accordo su un possibile piano di ristrutturazione da implementare con riferimento alle tre banche, al fine di tutelare il personale ad oggi in servizio nelle varie filiali –:
   di quali elementi disponga il Governo circa le modalità secondo le quali sono state concluse le sopracitate procedure di vendita, che non avrebbero contemplato la conclusione di un previo accordo avente ad oggetto un piano di ristrutturazione che tenesse in debito conto degli esuberi e dei 140 sportelli in chiusura, nonché dei conseguenti licenziamenti e quali iniziative di competenza intenda assumere per tutelare personale e risparmiatori. (4-16604)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA, SCOTTO, RICCIATTI, PIRAS, SANNICANDRO, QUARANTA, DURANTI, KRONBICHLER, ZARATTI, NICCHI e FRANCO BORDO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa depositi e prestiti è autorizzata dall'articolo 22 della legge n. 125 del 2013 ad assolvere ai compiti di istituzione finanziaria per la cooperazione internazionale allo sviluppo;
   ai sensi del comma 2 del suddetto articolo il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e l'Agenzia italiana per la cooperazione internazionale allo sviluppo possono stipulare apposita convenzione con la Cassa depositi e prestiti spa al fine di avvalersi della medesima e delle società da essa partecipate per l'istruttoria e la gestione di profili finanziari delle iniziative di cooperazione internazionale allo sviluppo, nonché per la strutturazione di prodotti di finanza per lo sviluppo nell'ambito di accordi con organizzazioni finanziarie europee e internazionali o per la partecipazione a programmi della Unione europea;
   infine, la Cassa depositi e prestiti spa può destinare nei limiti concordati annualmente con il Ministero dell'economia e delle finanze, risorse proprie ad iniziative di cooperazione internazionale allo sviluppo, anche in regime di cofinanziamento con soggetti privati, pubblici o internazionali –:
   quali siano i motivi che hanno sinora impedito la sottoscrizione della suddetta convenzione tra Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Agenzia e Cassa depositi e prestiti che consentirebbe una ulteriore qualificazione delle attività di cooperazione internazionale allo sviluppo del nostro Paese.
   (4-16600)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta immediata:


   STELLA BIANCHI, BORGHI, BERGONZI, BRAGA, BRATTI, CARRESCIA, COMINELLI, DE MENECH, GADDA, GINOBLE, TINO IANNUZZI, MANFREDI, MARIANI, MARRONI, MASSA, MAZZOLI, MORASSUT, REALACCI, GIOVANNA SANNA, VALIANTE, ZARDINI, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   il comune di Roma vive da settimane una situazione di forte criticità nella gestione dei rifiuti con evidente degrado per la città e disagio per i cittadini ed è sull'orlo di una seria emergenza per la fragilità estrema del sistema di raccolta e smaltimento dei rifiuti;
   la chiusura della discarica di Malagrotta nel 2013 ha reso non più rinviabile la costruzione di impianti per il trattamento dei rifiuti adeguati a costruire un ordinato ciclo di gestione dei rifiuti e a garantire a Roma la necessaria autonomia;
   al momento tali impianti ancora mancano: il sistema romano è di fatto obsoleto, fondato su impianti di trattamento meccanico biologico che producono rifiuti da rifiuti; da Roma partono ogni giorno oltre 160 tir verso 8 diverse regioni italiane e 55 siti differenti;
   la giunta presieduta dalla sindaca Raggi ha presentato il 5 aprile 2017 un piano per i rifiuti che non dà soluzioni concrete e sostenibili e non ha ancora presentato un piano per la realizzazione di impianti adeguati in termini di volumi a trattare i rifiuti di Roma, limitandosi a cancellare di fatto i piani per la realizzazione di quattro ecodistretti programmati in precedenza;
   è del 15 maggio 2017 la nomina del nuovo amministratore delegato e presidente di Ama, il quarto nell'arco di undici mesi; solo con un accesso agli atti chiesto dalle consigliere comunali Baglio e Piccolo è stato possibile avere copia del piano industriale di Ama, approvato il 4 maggio 2017 dall'avvocato Giglio, amministratore esautorato il 15 maggio 2017; il piano non contiene gli investimenti necessari a realizzare impianti adeguati e limita di fatto la capacità gestionale della società pubblica Ama, di fatto a vantaggio di altri operatori, anche privati;
   nel fabbisogno indicato dalla regione Lazio risulta la necessità di una discarica di servizio per Roma, ma continua a mancare l'indicazione dell'area;
   Roma fa affidamento in questi mesi su un trasferimento di rifiuti indifferenziati verso l'Austria, giustificato nel suo avvio con la necessità di tempo per programmare e realizzare la rete degli impianti necessari al trattamento dei rifiuti che è stata però bloccata dalla giunta Raggi senza alcuna valida sostituzione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di piani comunali che garantiscano una gestione sostenibile e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per scongiurare il rischio di una seria emergenza rifiuti nella capitale. (3-03023)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale di Zocca (Modena), con la deliberazione n. 24 del 20 marzo 2017, avente per oggetto «Controversia con Herambiente SpA in merito al mancato pagamento del danno ambientale per conferimenti nella discarica di Roncobotto», ha approvato l'accettazione dell'offerta, fatta dall'organismo di mediazione di Bologna, pari a 1.400.65 che equivale a 13,5 euro/tonnellata di rifiuti) per il danno ambientale, mai versato da Herambiente spa al comune di Zocca nelle annualità 2013 e 2014;
   un comunicato del 24 marzo 2017 sul sito della regione Emilia Romagna – cronaca bianca riporta che il comune avrebbe rinunciato a 633 mila euro di ricavo collegati al conferimento di rifiuti nella discarica di Roncobotto, poi chiusa nel 2014, dopo che la gestione del sito è passata da Meta spa a Herambiente spa;
   l'accordo originario con Meta spa prevedeva un riconoscimento da danno ambientale al comune di Zocca pari a 19 euro per tonnellata di rifiuti conferiti nella discarica, mentre con la nuova gestione di Herambiente spa, nel 2014, è stata decisa, anche a seguito di una mediazione, la cifra di 13,5 euro;
   un comunicato su Modena today del 27 marzo 2017 esprime dubbi sull'effettiva tutela degli interessi del (comune da parte dell'agenzia territoriale Emilia-Romagna servizi idrici e Rifiuti (Atersir);
   dalla deliberazione n. 24 del 2017 del consiglio comunale di Zocca di evince che nella potestà regolatoria di Atesir rientrano solo i rifiuti urbani e assimilati agli urbani, mentre la Herambiente spa ha conferito in discarica anche rifiuti speciali, in considerazione dell'ampliamento delle attività di discarica –:
   se il Ministro, nell'ambito delle proprie competenze in materia di danno ambientale ai sensi dell'articolo 299 e seguenti del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, intenda procedere, in accordo con la regione e con gli enti locali, a tutte le iniziative connesse all'individuazione, all'accertamento ed alla quantificazione del danno ambientale effettivamente subito dal territorio di cui in premessa per effetto del conferimento di rifiuti urbani e speciali nella discarica di Roncobotto da parte di Herambiente spa nelle annualità 2013 e 2014, con particolare riguardo all'identificazione dell'effettiva corrispondenza dell'onere a carico del soggetto responsabile al danno subito dal comune.
   (4-16598)


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come si apprende dai media, un daino ferito, il 6 ottobre 2016, ha trovato riparo in un'area verde dello spartitraffico della superstrada Livorno-Pisa-Firenze;
   sempre secondo quanto si apprende dagli organi di stampa, a seguito di una valutazione tra regione, provincia, asl e «una veterinaria» della Lipu è stata presa la decisione di procedere con l'abbattimento dell'animale, anziché di provvedere a soccorrerlo e curarlo come prevede la normativa vigente;
   tale provvedimento, secondo quanto si apprende dalla stampa, sarebbe stato motivato da ragioni di presunta «pericolosità» dell'animale;
   il daino era rimasto ferito in un incidente e per questo avrebbe trovato riparo nello spartitraffico. Appare evidente che ci sia stata omissione di soccorso, per quanto previsto dal nuovo codice della strada che obbliga al soccorso degli animali appartenenti a tutte le specie, sia domestiche che selvatiche da parte di chi lo ha investito, quanto dagli organi preposti alla tutela, soccorso e cura della fauna selvatica;
   le specie selvatiche sono patrimonio indisponibile dello Stato, la cui tutela e soccorso sono demandate alle regioni e alle province, le quali attraverso i centri di soccorso propri o gestiti da associazioni garantiscono l'intervento e il recupero degli animali feriti. È quindi opportuno contattare direttamente la polizia provinciale o il Corpo forestale dello Stato;
   è da rammentare, inoltre, che il veterinario è un libero professionista incaricato di pubblico servizio e che il codice deontologico della professione veterinaria, che consta di un insieme di precetti che la Federazione nazionale degli ordini dei veterinari italiani (FNOVI) ha approvato per regolare il corretto esercizio della professione veterinaria, all'articolo 1 evidenzia: «(...) il rispetto degli animali e del loro benessere in quanto esseri senzienti»; inoltre all'articolo 9 si sottolinea che l'attività del medico veterinario debba esplicarsi «(...) secondo scienza, coscienza e professionalità» e all'articolo 16 si prevede che «Il Medico Veterinario ha l'obbligo, nei casi di urgenza ai quali è presente, di prestare le prime cure agli animali nella misura delle sue capacità e rapportate allo specifico contesto, eventualmente anche solo attivandosi per assicurare ogni specifica e adeguata assistenza»;
   in diversi Paesi, tra cui il Canada, sono in uso specifici dispositivi ad ultrasuoni che fungono da dissuasori per la fauna selvatica, ma anche per cani e gatti in quanto segnalano agli animali l'arrivo dei veicoli. Tali strumenti, economici e di facile applicazione, sono degli strumenti che possono garantire la sicurezza dei passeggeri quanto degli animali;
   considerato che il daino era ferito, non appare idonea, condivisibile e legittima la scelta di abbattimento dell'animale –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in merito all'episodio descritto e, in particolare, in che modo si sia desunta la presunta «pericolosità» dell'animale e se l'abbattimento sia avvenuto nel rispetto di quanto dispone la normativa vigente;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno valutare iniziative per l'apposizione su ogni moto e autoveicolo di ogni stazza di specifico dispositivo ad ultrasuoni, già in uso per esempio in Canada, che, «avvisando» dell'arrivo degli autoveicoli, funziona come dissuasivo per tutti gli animali selvatici ed anche per cani e gatti e previene efficacemente pericolosi incidenti;
   se i Ministri non ritengano necessario assumere iniziative per istituire un numero unico di riferimento per il soccorso agli animali facilitando così l'intervento, il consolidamento e l'implementazione dei servizi di pronto soccorso veterinario delle asl, una attenta ridefinizione e riorganizzazione dei centri di soccorso per gli animali selvatici e un coordinamento tra tutti gli organismi coinvolti al fine di consentire la corretta applicazione della norma e di porre a regime la sua naturale attuazione. (4-16603)


   SARTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della Emilia-Romagna è il primo in Italia sia per numero di concessioni di coltivazione, in terraferma e sul sottofondo marino, con 36 e 39 concessioni, sia per numero di permessi di ricerca in terraferma per quanto riguarda gli idrocarburi, con 31 permessi, a cui si aggiungono 9 permessi nel Mare Adriatico antistante la regione stessa. È, inoltre, il secondo territorio in Italia per concessioni di stoccaggio nel sottosuolo;
   l'attuale giunta dell'Emilia-Romagna ha prestato la propria intesa 8 volte ex articolo 29 del decreto legislativo n. 112 del 1998. Tra queste, il 21 dicembre 2015, per il permesso di ricerca di idrocarburi «Torre del Moro» nella provincia di Forlì-Cesena – società Po Valley Operations LTD a cui, con il decreto ministeriale 8 febbraio 2017, è stato conferito il permesso di ricerca in questione;
   attualmente, sul territorio della regione Emilia-Romagna, sono in corso 9 istanze di permesso di ricerca e 4 di concessione di coltivazione, in terraferma, rendendo circa la metà del territorio regionale potenzialmente interessato da attività antropiche nel sottosuolo;
   dalle risultanze del gruppo di lavoro Ministero dello sviluppo economico-regione Emilia-Romagna per la sicurezza ambientale nell'ambito delle attività antropiche di sottosuolo, emerge quanto segue: «le Società dovranno infatti dimostrare, tramite specificata documentazione, di aver condotto un'attenta caratterizzazione geologica preliminare dell'area, con annesso studio della sismicità locale e storica; particolare attenzione, inoltre, dovrà essere riservata alla caratterizzazione della subsidenza»; nel caso in cui la ricerca dovesse rivelarsi fruttuosa, subentrerebbero ulteriori e maggiori profili di rischio per la salute della popolazione, ben più gravi in termini di inquinamento del suolo, delle acque e dell'aria, nonché conseguenze rilevanti su fenomeni gravi ed irreversibili, già oggi in atto, quali la subsidenza e l'aumento del rischio idrogeologico;
   il canone annuo, legato al permesso di ricerca «Torre del Moro», è inferiore ai 1.000 euro;
   all'interno del perimetro del permesso ricadono aree di riequilibrio ecologico («Pontescolle» e «Parco Naturale del Fiume Savio»);
   gli uffici tecnici dei comuni interessati potranno richiedere polizze fidejussorie a copertura di eventuali danni su infrastrutture pubbliche;
   per l'attività di prospezione è previsto il ricorso all'energizzazione mediante l'utilizzo di autocarri vibroseis, ma non si esclude l'uso di masse battenti e di cariche esplosive;
   nel provvedimento autorizzativo è previsto che il proponente rediga un programma lavori dettagliato con apposite verifiche da parte dei comuni, «con l'indicazione dei tracciati definitivi degli stendimenti e l'ubicazione dei punti di energizzazione»;
   l'esecuzione delle attività previste dal programma lavori è subordinata alla dimostrazione dell'esistenza di tutte le garanzie economiche per coprire i costi di un eventuale incidente, durante le attività, commisurati a quelli derivanti dal più grave incidente nei diversi scenari ipotizzati nell'analisi dei rischi del progetto;
   Po Valley Operations Pty Ltd sembra non avere dubbi sulla fruttuosità della ricerca, come ha annunciato in un comunicato del 3 febbraio 2017;
   la conferenza di servizi, a quanto risulta all'interrogante, non ha svolto approfondimenti per quel che riguarda la fattibilità economica ed ambientale di eventuali infrastrutture per il vettoriamento e trattamento dell'olio;
   il continuo aumento dei permessi di ricerca e prospezione e delle concessioni di coltivazione e stoccaggio, cui è sottoposto il territorio emiliano-romagnolo e di cui il permesso di ricerca «Torre del Moro» rappresenta solo l'ultimo tassello, contrasta con la sua naturale vocazione agroalimentare e turistica, testimoniata dalle 44 certificazioni dop e igp di prodotti (record europeo) e dai 52 milioni di presenze e 11,7 milioni di arrivi (2016) –:
   se non ritenga necessario intervenire per proteggere il territorio della pianura padana, a sud e a nord del Po, dai rischi legati all'accelerazione della subsidenza per estrazioni di idrocarburi, in particolare gassosi;
   se non ritenga necessario assumere iniziative per la creazione di una struttura tecnica che assista i comuni, in particolare quelli di piccole dimensioni, difficilmente dotati delle necessarie professionalità, nei rapporti con le compagnie petrolifere;
   quali siano le risultanze del gruppo di lavoro Ministero dello sviluppo economico – regione Emilia-Romagna, in particolare, se per il permesso di ricerca «Torre del Moro» e, comunque le attività antropiche nel sottosuolo della regione Emilia-Romagna, siano stati svolti approfondimenti di «caratterizzazione geologica preliminare dell'area, con annesso studio della sismicità locale e storica» e particolare attenzione sia stata «riservata alla caratterizzazione della subsidenza».
(4-16605)

DIFESA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della difesa, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la situazione legata alla presenza militare in Sardegna appare molto complessa e caratterizzata da numerose situazioni che preoccupano i cittadini e gli amministratori locali;
   un primo punto riguarda i gravi ritardi con i quali vengono pagati ai comuni interessati gli indennizzi per le servitù militari, con la conseguenza di gravi difficoltà per la situazione finanziaria degli stessi comuni;
   la problematica è stata segnalata dai sindaci degli stessi comuni in una lettera pubblicata su vari giornali il 16 marzo 2017 e indirizzata alla Ministra Pinotti, nella quale si legge che sono quasi 15 i milioni di euro arretrati e che l'ultimo pagamento da parte del Governo risale al 2012 e riguarda il quinquennio 2005-2009;
   nella medesima lettera i sindaci chiedono al Governo di provvedere alla revisione dei metodi e dei tempi di pagamento, in particolare, per quel che riguarda questi ultimi, riducendo il periodo di pagamento da cinque anni, come avviene oggi, ad un anno, liberando, inoltre, le risorse ricevute dai comuni come indennizzo dai vincoli patto di stabilità ed evitando così l'assurda situazione che ad oggi impedisce ai comuni stessi di spendere fondi che pure sono in cassa e che restano inutilizzati;
   legato direttamente al tema precedente è quello del necessario adeguamento del giusto indennizzo previsto per comuni sui cui territori risiedono basi militari. È noto, infatti, che i canoni pagati dal Ministero della difesa sono nettamente inferiori a quelli che i comuni stessi potrebbero ricevere da realtà non militari;
   alla questione della presenza militare in Sardegna, inoltre, fa riferimento anche la vicenda della nuova caserma di Pratosardo a Nuoro;
   rispondendo all'interrogazione n. 3-02347, nella quale si chiedeva conferma dell'arrivo di 250 militari della brigata Sassari nella nuova caserma pronta ma ancora non utilizzata, la Ministra Pinotti, nel giugno 2016, assicurava che la caserma stessa «in tempi brevi sarà occupata e sarà occupata da personale delle Forze armate», fugando, almeno in apparenza, il timore di un uso diverso rispetto a quello militare per la citata caserma di Pratosardo;
   si trattava di una risposta confortante ma, purtroppo a quasi un anno da questa assicurazione, nulla si è ancora mosso e la caserma resta ancora inutilizzata, mentre si ripresentano i timori per l'uso della suddetta caserma;
   infine, non può essere trascurata la questione relativa alla crisi occupazionale in atto per la chiusura, o comunque il ridimensionamento della presenza Nato in Sardegna;
   l'interrogazione n. 3-02912, faceva, tra l'altro, riferimento alle preoccupazioni causate dalla decisione dell'aeronautica tedesca di ritirarsi dalla base di Decimomannu, tra l'altro uno dei comuni firmatari della lettera sopra citata;
   nonostante le ripetute richieste di concreti interventi volti a salvaguardare l'occupazione di coloro che rischiano di perdere il lavoro a Decimomannu, nessuna risposta si è avuta dal Governo;
   da tutto quanto su esposto appare evidente non solo una situazione estremamente preoccupante e grave, ma anche la necessità di ripensare in modo generale la stessa funzione delle basi militari in Sardegna, prendendo atto della necessità di superare la mera funzione di formazione con esercitazioni a fuoco da sostituire in modo prevalente con altri strumenti utili per la ricerca e la tutela dell'ambiente e dei posti di lavoro –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere i Ministri interrogati, anche in accordo con la regione Sardegna e gli enti locali interessati, per affrontare le gravi questioni sopra esposte, tutte tra loro collegate e che richiedono interventi concreti per dare sollievo ad una situazione generale complessa e che non può durare ancora a lungo.
(2-01802) «Capelli, Dellai».

Interrogazioni a risposta immediata:


   MARCON, AIRAUDO, BRIGNONE, CIVATI, COSTANTINO, DANIELE FARINA, FASSINA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, ANDREA MAESTRI, PALAZZOTTO, PANNARALE, PAGLIA, PASTORINO, PELLEGRINO e PLACIDO. — Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   l'11 ottobre 2013 a 60 miglia da Lampedusa ci fu un naufragio in cui morirono 268 siriani, di cui 60 erano bambini. Tutte queste vite potevano essere salvate se l'Italia non avesse «nascosto» la nave Libra-P402, che, trovandosi più vicina di ogni altra al luogo in cui stava per compiersi il naufragio, sarebbe potuta intervenire in tempo utile;
   così facendo l'Italia ha violato l'obbligo di salvataggio di vite umane in mare che è alla base di tutte le leggi nazionali e internazionali della navigazione;
   come ricostruito da Fabrizio Gatti su l'Espresso e la Repubblica il myday fu raccolto dalla Guardia costiera (Mrcc Roma) alle ore 12.26 e l'Italia ha tenuto il coordinamento dei soccorsi fino a un'ora compresa tra le 14.34 e le 15.12, quando è passato a Malta;
   il myday era chiarissimo e grave: il barcone aveva il motore in avaria e aveva imbarcato già 50 centimetri di acqua; c'erano bambini feriti;
   la Mrcc in tutte le comunicazioni intercorse con il Comando della Marina militare (Cincav) e con la Marina militare di Malta (Rcc) tacque la circostanza che il barcone imbarcava acqua e affondava; al Cincav tacque l'avaria del motore; alle autorità maltesi sia Mrcc Roma sia il Cincav non comunicarono mai l'esatta posizione della Libra;
   alle 15.37, dopo oltre tre ore dal primo myday, il capo sezione attività correnti della sala operativa del Cincav ordinò all'ufficiale di servizio della centrale operativa aeronavale del medesimo Cincav di far allontanare la nave Libra, distante solo un'ora di navigazione dal barcone, perché si nascondesse alle motovedette maltesi e così la Libra addirittura si allontanò nella direzione opposta al punto dell'emergenza;
   dalla Libra non venne inviato neanche l'elicottero per verificare la reale situazione di pericolo;
   quando l'autorità maltese scoprì la presenza e la vicinanza della Libra, ne chiese ripetutamente l'impiego via fax e telefonicamente, ma Mrcc Roma e Cincav espressero diniego, almeno fino alle 17.04, quando ormai è troppo tardi, poiché il barcone si rovesciò alle 17.07;
   le richieste di archiviazione delle procure di Roma e Agrigento sono state doverosamente impugnate per la mancata considerazione di tutti gli elementi emersi, ma vi sono anche responsabilità che devono verificare i Corpi coinvolti –:
   essendo chiara, a parere degli interroganti, la violazione delle leggi del mare, quali iniziative di competenza intenda assumere verso i responsabili della perdita di tante vite. (3-03021)


   SCOPELLITI. — Al Ministro della difesa. – Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato nei giorni scorsi ha ritenuto di considerare la possibilità di introdurre un periodo obbligatorio di servizio civile per formare i giovani con competenze che vadano dalla sicurezza sociale fino alla protezione sociale;
   secondo quanto riportato dalla stampa, l'idea sarebbe quella di una legge per dare vita ad una sorta di ferma obbligatoria per utilizzare i giovani in ambiti di sicurezza sociale. Il tema del servizio civile si è riaperto anche in altri Paesi europei, come la Svezia e la Francia;
   il servizio civile, oggi volontario, è uno dei temi della riforma del terzo settore con l'obiettivo di permettere a tutti i giovani di svolgerlo. La riforma approvata non punta quindi all'obbligo, ma all'universalità;
   la proposta sta sollevando un dibattito complesso e «sentito» nel Paese, in particolare fra i giovani;
   numerose e complesse risultano le problematiche legate alla realizzazione di un tale progetto, proprio per la rilevante mole di questioni socio-economiche ad esso collegate;
   questioni di tale portata richiedono studi, confronti, valutazioni profonde e meditate –:
   se il Governo non intenda chiarire in maniera inequivocabile i termini di un tema i cui contorni e la cui importanza non possono essere affidati ad un semplice dibattito mediatico. (3-03022)

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   giungono numerose segnalazioni alla interrogante da parte di militari, relative a parziali o mancati pagamenti del compenso forfettario di guardia (CFG) e del compenso forfettario d'impiego (CFI);
   nello specifico le segnalazioni riguardano lettere ufficiali pervenute ai militari da parte dei comandi di appartenenza, dove si comunica il parziale pagamento (75 per cento) relativo ai mesi di settembre e ottobre 2016, e al mancato pagamento (100 per cento) relativo ai mesi di novembre e dicembre 2016;
   in tali lettere si comunica anche che tali ritardi verranno tramutati in ore di recupero;
   inoltre, anche le missioni o le guardie relative ai primi mesi del 2017 verranno pagate con mesi di ritardo;
   a fronte di tali ritardi o mancati pagamenti di quanto dovuto ai militari, manca una sufficiente trasparenza e tempestiva comunicazione nei confronti degli interessati e ogni comunicazione ufficiale avviene dopo mesi di attesa e comunque senza la minima possibilità di interlocuzione;
   questo stato di cose genera gravi ripercussioni sulla vita professionale, morale e famigliare dei militari interessati, a fronte di un loro costante, quotidiano impegno al servizio dello Stato;
   sulla materia sono state già presentate interrogazioni parlamentari, anche recentemente –:
   quali urgenti iniziative si intendano intraprendere affinché si proceda alla effettiva corresponsione economica di quanto dovuto ai militari, relativamente ai pagamenti sia del compenso forfettario di guardia (CFG) sia del compenso forfettario d'impiego (CFI), escludendo così ogni trasformazione in ore di recupero;
   quali urgenti iniziative si intendano intraprendere affinché i ritardi o i mancati pagamenti lamentati vengano comunque evitati nel futuro;
  quali opportune e urgenti iniziative si intendano adottare per garantire massima trasparenza e tempestive comunicazioni ai militari, anche usufruendo del canale di comunicazione disponibile attraverso il «NOIPA». (4-16596)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la Commissione europea antitrust con comunicato stampa del 4 dicembre 2013 ha informato di aver sanzionato con una multa 8 istituzioni finanziarie internazionali per un totale di euro 1.712.468.000 per la partecipazione a cartelli illegali nei mercati dei derivati finanziari che coprono l'area economica sia europea, sia giapponese, in violazione dell'articolo 101 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea. Dal comunicato si apprende: «Il cartello EIRD operò tra settembre 2005 e maggio 2008. Le parti interessate sono Barclays, Deutsche Bank, RBS e Société Générale. Il cartello mirava a distorcere il normale corso dei componenti del prezzo per questi derivati, gli operatori finanziari di differenti banche discutevano le proposte della loro banca per il calcolo dell'Euribor nonché le loro strategie di prezzo e di trading»;
   alla fine del mese di ottobre 2016, la Commissione europea antitrust ha reso finalmente disponibile on-line una versione non-confidenziale della decisione AT 39914, con la quale sono state sanzionate le istituzioni creditizie menzionate;
   all'interrogazione a risposta immediata in Commissione finanze n. 5-05942 del 2 novembre 2016 il Governo ha risposto: «(...) al 31 dicembre 2004 il valore nozionale dei contratti derivati in essere con le controparti indicate nell'interrogazione, comprensivo dei cross currency swap (CCS), degli interest rate swap (IRS) e delle swaption, era di 15,7 miliardi di euro. Al 31 dicembre 2008 l'analogo valore nozionale dei contratti derivati era di 18,7 miliardi di euro» riferendosi ai contratti sottoscritti con Barclays, Deutsche Bank, RBS e Société Générale, senza indicazioni in merito a quante eventuali estinzioni, novazioni o altre opzioni siano avvenute nel medesimo periodo;
   il 7 dicembre 2016, la Commissione europea antitrust ha informato con un comunicato stampa (IP/16/4304) dell'avvenuta condanna anche di Crédit Agricole, HSBC e JP Morgan Chase, a pagare una multa pari a 485 milioni di euro per la loro partecipazione al medesimo cartello. Il comunicato, in merito alle «azioni per danni» specificava altresì che «Qualsiasi persona o impresa vittima di un comportamento anticoncorrenziale come descritto nel presente caso possono adire i tribunali degli Stati membri e richiedere i danni. La giurisprudenza della Corte e il Regolamento 1/2003 del Consiglio ribadiscono che, nei casi dinanzi ai giudici nazionali, una decisione della Commissione costituisce una prova acquisita che il comportamento fu posto in essere ed era illegale. Anche se la Commissione ha inflitto ammende alle società interessate, i danni possono essere riconosciuti senza che questi siano ridotti a causa della multa della Commissione»;
   nel testo del documento di economia e finanza (DEF) del 2017 a pagina 7 della II sezione si legge: «Nel 2016 si è assistito ad un'ulteriore contrazione della spesa per interessi passivi delle Amministrazioni Centrali rispetto al 2015 (-2,9 miliardi di euro, –4,1 per cento), malgrado l'aumento della componente correlata agli strumenti finanziari derivati, passata da poco più 3,8 miliardi di euro nel 2015 a 5,2 miliardi di euro. I due fattori che hanno influenzano l'andamento di questa specifica componente sono stati la chiusura anticipata di un contratto di interest rate swap (IRS) e l'andamento dei tassi di mercato nel campano a breve termine. L'incremento dovuto alla chiusura anticipata di un contratto rispetto alla scadenza naturale, chiusura d terminata dal verificarsi di un evento di credito, è stato di circa 1 miliardo di euro. L'andamento della curva euro swap nel tratto a breve termine ha prodotto effetti di aggravio di spesa interessi su swap esistenti per circa, 410 milioni di euro.». In seguito, a pagina 66, si legge: «Rispetto al dato di consuntivo 2016, per il 2017 si stima una riduzione di oltre 600 milioni di euro della spesa per interessi prodotta dagli strumenti finanziari derivati, tenendo anche conto dell'eventuale esercizio di swaption nel corso dell'anno. Tale variazione è attribuibile esclusivamente all'assenza di clausole di chiusura anticipata nel 2017 (per memoria, nel 2016 si è avuto un esborso di oltre 1 miliardo di euro afferente a questa voce). Al netto di tale componente, infatti, il sentiero presenterebbe un andamento opposto, con un incremento di spesa tra 2016 e 2017 d circa 400 milioni di euro, dovuto sia alla scadenza di swap valutari (cross currency swap) che tuttavia contribuivano alla sua riduzione, sia alla presenza di nuovi swap generati da opzioni, che invece agiscono in senso contrario. Peraltro, la componente derivati include anche altre part e finanziarie che nel 2017 producono un ulteriore esborso di 1.162 milioni. Nel 2018 il contributo della spesa per interessi da swap cresce a circa 5.140 milioni di euro, importo che include circa 1,6 miliardi dovuti alla probabile chiusura anticipata di alcuni derivati» –:
   per quanto concerne i contratti finanziari derivati definiti interest rate Swap (IRS) e relative Swaption (diritti a subentra in IRS a determinate condizioni) riferibili direttamente o indirettamente al tasso Euribor stipulati dal Ministero dell'economia e delle finanze con le 7 banche condannate, quali siano:
    a) il valore nozionale dei contratti e il valore complessivo delle relative upfront fees incassate o pagate, distinti tra aperti, ristrutturati o estinti anticipatamente tra settembre 2005 e maggio 2008;
    b) il valore nazionale dei contratti aperti (ex novo o per esercizio di swaption) o ristrutturati tra settembre 2005 e maggio 2008, oggi abilità relativi saldi di chiusura comprensivi di ogni flusso di incasso e pagamento, con evidenza del valore delle upfront fees;
    c) il valore nozionale dei contratti (aperti tra settembre 2005 e maggio 2008) ristrutturati entro maggio 2008 e il relativo saldo di ristrutturazione;
    d) il valore nozionale dei contratti (aperti/ristrutturati tra settembre 2005 o maggio 2008) ristrutturati dopo maggio 2005 e i relativi saldi di (ri)ristrutturazione;
    e) il valore nozionale dei contratti (aperti/ristrutturati tra settembre 2005 e maggio 2008) tuttora aperti e relativo fair value (mark to market) ad oggi.
(2-01803) «Alberti, Pesco, Sibilia, Villarosa, Ruocco, Pisano, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Incà, D'Uva, Fantinati, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano, Grande, L'Abbate».

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'economia e delle finanze, attraverso la controllata Cassa depositi e prestiti, rappresenta l'azionista pubblico principale di Poste Italiane;
   la possibilità garantita dalla legge di rinnovo dei contratti a tempo determinato può arrivare fino a 36 mesi;
   Poste Italiane, per le proprie esigenze, adopera da oltre 10 anni lavoratori assunti con contratti a tempo determinato, quindi anche molto prima dell'entrata in vigore del Jobs Act;
   l'interrogante ha colto con attenzione e preoccupazione la documentata denuncia della SLC-CGIL di Bologna sul caso di circa un centinaio di operatori precari di Poste «licenziati» (e sostituiti) con tempistiche sospette; addirittura, secondo la denuncia del sindacato, l'ipotesi insistita sarebbe quella di non rinnovare i contratti in questione in prossimità della scadenza dei 24 mesi, con l'obiettivo tra l'altro di non consentire lo scatto dell'aumento di stipendio, dunque a danno di lavoratori già di per se deboli nella loro posizione;
   tale prassi sarebbe stata messa in atto anche in passato, tant’è che, a conoscenza dell'interrogante, risultano diverse persone che hanno dovuto ricorrere all'apertura di vertenze ancore pendenti davanti al giudice del lavoro per fare valere le proprie prerogative;
   ferme restando le azioni rivendicative di tipo sindacale già annunciate da SLC e NIDIL-Cgil, non pare corretto che una delle più importanti aziende attive nel campo dei servizi pubblici tratti in questo modo una parte dei propri dipendenti –:
   se si sia a conoscenza di episodi del genere in altre zone del Paese;
   se non ritengano di dover intervenire, per quanto di competenza, per garantire la massima stabilità lavorativa all'interno di Poste Italiane, società a maggioranza pubblica;
   se non sia il caso di valutare la valorizzazione di chi ha già prestato opera per Poste Italiane, nel corso degli ultimi 10 anni, in caso di nuove assunzioni.
(4-16599)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   GALGANO. — Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   quello di Lidia Vivoli, 45enne palermitana, ex hostess di Wind Jet, è un femminicidio mancato. Il 25 giugno 2012 il suo compagno di allora l'ha quasi uccisa, cavandosela con una condanna piuttosto lieve (quattro anni e 6 mesi), considerata la gravità delle accuse (tentato omicidio e sequestro di persona), grazie al patteggiamento;
   Lidia trova il coraggio di andare dai carabinieri e di raccontare tutte le violenze subite. Ma la denuncia non è sufficiente per liberarsi di quell'incubo. «Cinque mesi dopo l'arresto ottenne i domiciliari – ricorda la donna – e cominciò a mandarmi messaggi su Facebook. Un giorno me lo ritrovai davanti. Mi disse che voleva tornare con me, che lo stavo rovinando, che me l'avrebbe fatta pagare»;
   l'uomo torna dietro le sbarre per avere evaso i domiciliari, ma ormai la sua pena sta per scadere. E l'ex hostess è terrorizzata all'idea che lui torni a cercarla per ucciderla;
   lei vive nel palermitano, a Bagheria, lui a Terrasini ad appena 50 chilometri di distanza. La 45enne si è ricostruita una vita, ma ora che il suo aguzzino sta per essere rilasciato, però, si sente abbandonata dallo Stato;
   Lidia non sa nemmeno in che giorno esatto l'ex compagno verrà rimesso in libertà. «Visto che le vittime non hanno diritto nemmeno a sapere quando esce il proprio aguzzino, dobbiamo essere noi a fare i conteggi – si lamenta la donna –. Lui è stato condannato a 4 anni e 6 mesi e la sua pena teoricamente finisce a novembre. Considerando però i premi di 45 giorni ogni sei mesi e una probabile penalizzazione per un'evasione dai domiciliari, prevedo che torni libero tra maggio e luglio»;
   Lidia non si dà pace e chiede di non essere lasciata sola, ma le istituzioni sembrano non ascoltarla;
   l'ordinamento non prevede, in questa fase, alcun divieto di avvicinarsi alla persona offesa ed ai luoghi abitualmente frequentati dalla vittima –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare rapide e opportune iniziative finalizzate a colmare il vulnus normativo denunciato in premessa e rendere più efficiente e preparato il sistema giudiziario nella protezione delle donne vittime di tali efferate violenze (una volta che l'assalitore, scontata la pena e rimesso in libertà, torna ad essere una potenziale minaccia per le stesse che potrebbero non scamparla una seconda volta), equiparandole a quelle di mafia e terrorismo. (3-03024)


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   il 30 marzo 2017 il portale «Servizi online uffici giudiziari» del Ministero della giustizia ha diramato un comunicato dal titolo «Rallentamento nei servizi telematici del processo telematico», che recita quanto segue: «A partire dalla giornata del 28 marzo si sono registrati alcuni rallentamenti dei servizi di rete utilizzati dagli uffici giudiziari. Ciò può comportare un ritardo nel rilascio degli esiti dei controlli automatici del processo civile telematico. Non si riscontrano anomalie ai sistemi applicativi. È stata costituita un'apposita unità di crisi per fare fronte alla situazione. Si ricorda che, in base a quanto previsto dal comma 7 dell'articolo 16-bis del decreto-legge n. 179 del 2012, “il deposito con modalità telematiche si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del ministero della giustizia”. Si invitano pertanto i signori avvocati a non reiterare i depositi effettuati nell'attesa dell'emissione dei predetti avvisi relativi ai controlli automatici ed a limitare, quantomeno per le prossime 24 ore, i depositi ai soli atti essenziali»;
   appare evidente che problemi tecnici, come i suddetti casi di rallentamenti riguardanti anche i servizi pec, oltre a produrre ritardi nel sistema giudiziario come nel processo civile telematico, potrebbero rendere impossibile il rispetto dei previsti termini di consegna degli atti giudiziari;
   tali ritardi nei servizi pec degli uffici giudiziari si erano già verificati a gennaio 2015, con successive violazioni della rete informatica del Ministero della giustizia, in particolare, a giugno 2015 il tribunale di Udine ha subito un attacco con «ransomware» di tipo Cryptolcker e a luglio 2015 il gruppo Anonymous Italia ha trafugato 41 database del Ministero della giustizia con indirizzi email, password, codici fiscali e altre informazioni;
   attualmente il servizio proxy-server del Ministero della giustizia, che serve l'intera rete degli uffici giudiziari, risulta centralizzato presso il Ced (Centro elaborazione dati) di Napoli e se ne desume che un eventuale blocco della funzionalità del suddetto Centro elaborazione dati (eventualmente provocato da un attacco informatico) potrebbe comportare il blocco dell'intero sistema del processo civile telematico –:
   quale sia lo stato attuale delle architetture, hardware e software, impiegate per la fornitura dei servizi relativi al processo civile telematico, inclusi i sistemi di protezione da minacce esterne e interne ed eventuali reti di back-up. (3-03025)


   RABINO, FRANCESCO SAVERIO ROMANO e PARISI. — Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   in seguito all'accertamento di 3 casi di legionellosi, il carcere Giuseppe Montalto di Alba è stato sgomberato per consentire la bonifica dell'impianto idrico e di condizionamento: l'operazione ha portato al trasferimento di 122 reclusi;
   il 10 febbraio 2016, il Ministro interrogato, rispondendo ad altro atto di sindacato ispettivo, ha affermato che gli interventi di sanificazione erano stati inseriti dall'amministrazione penitenziaria nel programma triennale 2016-2018;
   il 15 luglio 2016, la Sottosegretaria di Stato per la giustizia, rispondendo ad un'interpellanza, confermò lo stanziamento di 2 milioni di euro e la previsione formulata dal dipartimento per l'amministrazione penitenziaria che ipotizzava il completo recupero dell'istituto per la fine del 2017;
   il 24 gennaio 2017, da fonti di stampa, si è appreso che, secondo la direttrice del carcere Giuseppina Piscioneri, «l'intenzione pare essere quella di accelerare il più possibile l'apertura del reparto dei collaboratori di giustizia con 38 celle»;
   l'apertura anche parziale potrebbe comunque far rientrare parte del personale di polizia penitenziaria attualmente in missione nei diversi istituti del distretto (Asti, Alessandria, Saluzzo);
   non si hanno dettagli su quali saranno le tempistiche di riapertura dell'intera struttura carceraria –:
   quali siano i tempi previsti affinché il carcere Giuseppe Montalto torni ad essere pienamente operativo e quali siano le fasi della riapertura. (3-03026)

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
II Commissione:


   DAMBRUOSO e MUCCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   già in data 15 marzo 2016 veniva interrogato il Ministro della giustizia circa l'evidente carenza di educatori nell'organico del personale in servizio presso la casa circondariale di Bologna;
   anche il personale di polizia penitenziaria risultava in tale data insufficiente rispetto all'organico dichiarato;
   la situazione in cui verte la struttura è a tutt'oggi grave: sono sempre più frequenti episodi di pestaggi tra i detenuti e le aggressioni al personale di servizio, che si uniscono al ripetuto ritrovamento di alcolici;
   il personale di polizia penitenziaria ha denunciato l'illegale reiterato utilizzo, da parte della popolazione detenuta, di alcuni generi alimentari (nel caso specifico, trattasi di frutta, messa a macerare, destinata alla produzione di grappa);
   il flusso di alcolici all'interno dell'istituto porta a supporre, non solo problemi di tipo pratico, causati dallo stato di ubriachezza potenziale di alcuni detenuti ad alto rischio di pericolosità, ma anche una trama delinquenziale sorretta dallo scambio di favori tra detenuti, innescato dalla possibilità di alcuni utenti di disporre di un bene richiesto e non consentito dai normali canali legali;
   a distanza di un anno risulta ancora nettamente insufficiente l'organico della polizia penitenziaria. L'intero reparto detentivo è coperto con una sola unità nel turno notturno. Vi sono anche gravi carenze nelle prime ore del turno mattutino. Il riferimento è specialmente alla fascia oraria tra le 6 e le 8, quando il reparto sopracitato è costantemente sotto unità;
   tenuto conto del continuo peggioramento delle condizioni di lavoro della polizia penitenziaria, è urgente affrontare il problema;
   il personale di polizia penitenziaria previsto è di 552 agenti. Ne sono invece presenti effettivamente solo 403;
   la capienza regolamentare di detenuti è di 492 persone. Il numero effettivo dei presenti è invece di 754 –:
   se non intenda adottare opportune iniziative al fine di normalizzare la presenza della polizia penitenziaria e dei detenuti nelle carceri, nonché migliorare la condizione della popolazione reclusa.
   (5-11360)


   FERRARESI, SARTI, AGOSTINELLI, BONAFEDE, BUSINAROLO e COLLETTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le prove scritte del test attitudinale per il concorso di agente polizia penitenziaria per trecento uomini e cento donne, con bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 28 luglio 2015, si sono svolte tra il 20 ed il 22 aprile 2016, presso la «Fiera di Roma» sotto la diretta organizzazione del dipartimento della polizia penitenziaria; alle prove hanno partecipato circa 15.000 concorrenti;
   secondo quanto appreso dagli organi di stampa e dalla stessa amministrazione penitenziaria, durante lo svolgimento della prova, al seguito di controlli effettuati dal Nic (nucleo investigativo centrale) della polizia penitenziaria, e da due commissari, ottantotto concorrenti sarebbero stati sorpresi in possesso di radiotrasmittenti, auricolari, bracciali contenenti le risposte, cellulari contraffatti, cover dei telefonini con all'interno le soluzioni;
   relativamente all'inchiesta penale – è in corso anche quella a livello amministrativo – la procura di Roma dovrà evidentemente chiarire se elementi del sistema penitenziario, non solo e non tanto a livello centrale, ma anche nelle diramazioni territoriali, abbiano avuto un ruolo e se vi siano figure esterne coinvolte, nonché accertare la fondatezza di talune indiscrezioni secondo le quali partecipanti al concorso abbiano pagato somme di denaro – fino a venticinquemila euro – per ottenere aiuti e soluzioni anticipate delle prove d'esame;
   in seguito agli eventi riportati, a pochi giorni dallo svolgimento della prova dell'aprile 2016, la procedura concorsuale è stata sospesa in attesa degli sviluppi delle indagini da parte della magistratura;
   ad oggi, in merito alla menzionata procedura, non vi è stato alcun aggiornamento da parte dell'amministrazione penitenziaria o del Ministero sui suoi possibili sviluppi, ciò a discapito della maggioranza di partecipanti onesti, che si sono sottoposti alla prova e che ancora non ne hanno conosciuto il risultato, mediante la pubblicazione di una graduatoria;
   dopo oltre un anno, gli incolpevoli partecipanti, visto l'articolo 27 della Costituzione, della prova di aprile 2016, a fronte delle spese sostenute e degli studi effettuati, nonostante le limitazioni personali, economiche e familiari legate alla contingente crisi economica, esigono delle risposte sin qui negate dagli organi che dovrebbero garantire giustizia e trasparenza, anche in considerazione del fatto che alcuni, per limiti di età, non potranno più partecipare ad ulteriori concorsi –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato al fine di pubblicare, quanto prima, gli esiti delle prove concorsuali svolte nell'ambito della procedura di cui in premessa a tutela dei giovani partecipanti che vi aderirono in totale buona fede e che attendono notizie sul proprio futuro. (5-11361)


   CHIARELLI, SCHULLIAN e GEBHARD. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la negoziazione assistita, introdotta con il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, convertito, con modificazioni, dalla legge 10 novembre 2014, n. 162, consiste nell'accordo tramite il quale le parti convengono di cooperare per risolvere in via amichevole una controversia tramite l'assistenza di avvocati;
   con la convenzione di negoziazione per le separazioni di cui all'articolo 6, le parti spesso dispongono anche di diritti su beni immobili, con la conseguenza che l'atto è soggetto a trascrizione nei registri immobiliari, oltre a prodursi gli effetti giuridici di cessazione degli effetti civili o di scioglimento del matrimonio e di modifica delle condizioni di separazione o di divorzio;
   in fase di applicazione della norma, però, sembra emergere una lacuna normativa sulla necessità dell'autenticazione della sottoscrizione dell'atto da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato per poter procedere alla trascrizione, al pari di quanto è stato disposto, in via generale, all'articolo 5, comma 3;
   alcuni conservatori dei registri immobiliari, infatti, hanno iscritto l'avvenuto trasferimento solo con riserva per la mancata autenticazione di un pubblico ufficiale dell'accordo raggiunto, espressamente richiesta invece dall'articolo 5, comma 3;
   recenti pronunce giurisprudenziali hanno, però, riconosciuto che la convenzione di negoziazione assistita in materia di separazione e di divorzio produce gli effetti giuridici dei provvedimenti giudiziali che definiscono uno dei procedimenti di cui sopra e quindi, analogamente al lodo arbitrale, non necessita di ulteriori autenticazioni, come previsto all'articolo 6, comma 3;
   un'ulteriore autenticazione da parte di un pubblico ufficiale delle sottoscrizioni delle convenzioni di negoziazione assistita di separazione o divorzio di cui all'articolo 6 è anche un'altra spesa che le parti devono sostenere e rappresenta sicuramente un disincentivo all'utilizzo di questo strumento, nato per semplificare la procedura –:
   se la convenzione di negoziazione assistita di separazione o divorzio produca già gli effetti dei provvedimenti giudiziali anche ai fini della trascrizione e dell'intavolazione, nei territori in cui vige il sistema del libro fondiario, in assenza di autentica della sottoscrizione da parte di un pubblico ufficiale a ciò autorizzato.
   (5-11362)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   SIBILIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la strada a scorrimento veloce Lioni-Grottaminarda costituisce il completamento del collegamento tra l'A16 Napoli-Bari e l'A3 Salerno-Reggio Calabria e rientra nel più ampio itinerario che da Contursi Terme, lungo l'autostrada A3, raggiunge Lioni con la strada statale 691, nota come «Fondo Valle Sele», e prosegue fino a Grottaminarda lungo l'autostrada A16;
   la Lioni-Grottaminarda incontra nella Valle d'Ansanto un'area di grandissimo pregio ambientale situata tra la cosiddetta Mefite nel comune di Rocca San Felice (Avellino), interessata da una candidatura a patrimonio dell'Unesco, e il complesso termale di San Teodoro nel comune di Villamaina (Avellino);
   la suddetta area sarà interessata dalla costruzione di un viadotto in cemento armato e di una galleria della strada veloce Lioni-Grottaminarda, con un impatto ambientale notevole e il rischio di compromissione dell'intero equilibrio ecologico e geologico, secondo i comitati dei cittadini e delle associazioni locali; in un articolo pubblicato sulla testata giornalistica on line www.lanostravoce.info, datato 8 maggio 2017 e intitolato «Discussioni inutili, la Lioni-Grotta è fondamentale: Calitri, Del Basso De Caro replica ai comitati», il Sottosegretario dichiara: «La Lioni-Grottaminarda è un'infrastruttura di importanza fondamentale e non possiamo attendere altri quarant'anni come è accaduto per la Firenze-Bologna o come rischia di accadere per la Tav in Val di Susa. Si tratta di un'opera per la quale sono stati appostati 220 milioni e che ne costerà 435. Collegherà Contursi alla Napoli-Bari e aprirà i territori. Inoltre, la Conferenza di servizi serve proprio a garantire il rispetto e la salvaguardia della tutela ambientale»;
   i comitati dei cittadini e le associazioni a tutela dell'ambiente stanno manifestando da tempo al fine di sapere: se è stata fatta e a quando risale la valutazione di impatto ambientale e, in subordine, se dopo la valutazione sono state apportate varianti al progetto del tracciato; se lo studio geologico preliminare al progetto esecutivo del viadotto ha tenuto prioritariamente conto della natura mefitica dell'alveo fluviale e, in particolare, se le opere di palificazione fondale da eseguire in profondità con perforazioni di grosso diametro e successivo riempimento di cemento armato possono inficiare il fenomeno geologico attuale; se la Soprintendenza archeologica ha espresso parere preventivo sulle opere in cemento armato a farsi nell'alveo interessato da numerosi e famosi ritrovamenti archeologici risalenti ad epoca romana; se la Soprintendenza ai beni architettonici e al paesaggio ha espresso parere preventivo sull'impatto paesaggistico del viadotto in cemento armato, di altezza 60 metri dall'alveo; se sono state rispettate le distanze previste dal codice del paesaggio rispetto al corso d'acqua che dalle Mefite va a Villamaina; in subordine, se, dopo i pareri espressi dalle Soprintendenze, sono state apportate varianti al progetto del tracciato e, in caso positivo, se queste hanno ottenuto i pareri favorevoli dalla Soprintendenze interessate; se la sezione della carreggiata stradale e le correlate opere di sicurezza stradale vengono realizzate secondo le norme vigenti o se risentono delle norme vigenti in Italia all'epoca della progettazione data in appalto; se i danni economici richiesti dai proprietari dei suoli confinanti con la strada, dovuti alle frane e agli smottamenti innescati dalla natura argillosa dei terreni, siano stati preventivati nel quadro economico del finanziamento dell'opera o se siano da ripagare quali imprevisti con incremento delle spese occorrenti –:
   quali risposte i Ministri interrogati intendano fornire agli interrogativi di cui in premessa al fine di rendere trasparente il percorso tecnico-amministrativo posto in essere per la realizzazione della strada Lioni-Grottaminarda. (4-16597)

INTERNO

Interrogazioni a risposta immediata:


   GIANLUCA PINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   con l'intesa raggiunta il 3 maggio 2017 ad Abu Dhabi, il Capo del Governo di accordo nazionale riconosciuto internazionalmente, Fayez al Sarraj, ed il generale Khalifa Haftar si sono impegnati a smantellare entro un anno tutte le milizie armate esistenti in Libia;
   allo scioglimento delle milizie locali si abbinerà la sottoposizione delle nuove forze armate libiche ad un nuovo consiglio presidenziale partecipato dal generale Haftar;
   tra le milizie locali da sciogliere dovrebbe figurare anche la potente brigata di Misurata, città nella quale il nostro Paese ha inviato truppe ed un ospedale da campo;
   desta tuttavia ulteriori e più serie preoccupazioni la circostanza che parte dell'intesa raggiunta da Sarraj ed Haftar sembri prevedere anche l'annullamento degli accordi raggiunti con il Governo e con l'Unione europea per bloccare i flussi migratori illegali diretti verso il nostro Paese –:
   se e in che misura gli accordi raggiunti da Fayez al Sarraj e Khalifa Haftar possano compromettere la strategia prescelta dal Governo per stabilizzare la Libia e bloccare i flussi migratori diretti verso l'Europa che partono dalle coste di quel Paese. (3-03027)


   SARTI, BRESCIA, LOREFICE, DADONE, D'UVA, FERRARESI, NESCI, DIENI e COLONNESE. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   l'inchiesta «Johnny» della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro ha portato lunedì 15 maggio 2017 all'arresto di 68 persone coinvolte nella gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo di Isola Capo Rizzuto;
   i reati contestati dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro sono 416-bis del codice penale e altri pesanti reati, tutti aggravati dalle modalità mafiose;
   è stata colpita la cosca Arena, capeggiata da Nicola Arena oggi al 4-bis, e tra gli arrestati vi sono Leonardo Sacco, governatore della Confraternita di misericordia e il parroco di Isola Capo Rizzuto, don Edoardo Scordio;
   sfruttando il ruolo del Sacco, la cosca avrebbe messo le mani anche sui centri di Lampedusa, 4 milioni di euro di appalti affidati a imprese costituite dagli Arena;
   Sacco, già vicepresidente delle Misericordie d'Italia, nonché membro del consiglio di amministrazione dell'Aeroporto di Crotone e presidente della squadra di calcio locale, gode di ottimi rapporti politico-istituzionali, malgrado nel 2010 fu padrino al battesimo di uno dei figli degli Arena;
   secondo la direzione distrettuale antimafia, nell'ultimo decennio, circa 32 milioni di euro dei 100 stanziati per la gestione dell'accoglienza migranti sono finiti alla cosca Arena;
   fra i vertici della Confraternita, vi sono personaggi comunque legati ad esponenti politici di primo piano, quali Daniele Giovanardi, fratello di Carlo, rinviato a giudizio come legale rappresentante della Misericordia per omesso versamento di ritenute nel procedimento riguardante il centro di identificazione ed espulsione di Modena, di cui era dirigente, e Lorenzo Montana, suocero del fratello di Angelino Alfano;
   il 26 ottobre 2014 il parlamentare europeo del MoVimento 5 Stelle Ferrara visitò il centro di accoglienza per richiedenti asilo di Crotone riscontrandovi gravi condizioni igienico-sanitarie, tali che presentò un esposto, indirizzato, tra gli altri, al Ministro dell'interno, per avere accesso ai bilanci dell'ente gestore ed alle informazioni sull'appalto riguardante la costruzione degli alloggi sostitutivi dei container, senza ottenere alcuna risposta;
   Sacco, audito nel 2015 dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattamento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate, ricostruiva la gestione delle Misericordie dei centri di accoglienza dal 1999, configurando sostanzialmente, a parere degli interroganti, un monopolio di fatto che nell'ultima gara aggiudicata a novembre 2016 e valida fino ad ottobre 2017 include sia la gestione del centro di accoglienza che l'ex centro di identificazione ed espulsione, ora centro di permanenza per il rimpatrio –:
   quali siano le ragioni per le quali non ha reso pubblici i dati relativi all'esposto in premessa, nonché quali iniziative urgenti di competenza intenda attuare per garantire approfonditi controlli antimafia, accertare eventuali responsabilità, garantire l'applicazione dello schema di capitolato approvato a marzo 2017, in base alle indicazioni dell'Anac, per la gestione delle strutture di accoglienza, procedendo con urgenza ad un piano chiaro volto alla chiusura dei grandi centri di accoglienza per richiedenti asilo, coacervo di criticità costanti, come a Crotone e a Mineo. (3-03028)


   OCCHIUTO e SANTELLI. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   recenti fonti giornalistiche riportano le risultanze della maxi-operazione «Johnny» che avrebbe portato all'arresto di 68 persone, tra cui il governatore della Misericordie Leonardo Sacco ed il parroco, don Edoardo Scordio. Oltre ai suddetti fermi, sono scattati diversi sequestri di appartamenti e macchine di lusso;
   secondo gli investigatori, grazie alle convenzioni stipulate con il Ministero dell'interno, l'organizzazione criminale che faceva capo al clan Arena sarebbe riuscita ad ottenere, in un solo anno, 6 dei 13 milioni di euro per la gestione dei centri di accoglienza, riuscendo ad aggiudicarsi gli appalti indetti dalla prefettura di Crotone per le forniture dei servizi di ristorazione al centro di accoglienza di Isola Capo Rizzuto e di Lampedusa;
   le indagini hanno ricostruito nello specifico quanto accadeva all'interno del centro di accoglienza per richiedenti asilo, attualmente considerata la più grande struttura d'accoglienza d'Europa, con cinque ettari di superficie, che secondo le ricostruzioni delle forze dell'ordine sarebbe stato «infiltrato dai clan della ’ndrangheta», e divenuto terreno fertile, per la famiglia Arena, per l'ottenimento di contratti di appalto e forniture per i 1.500 migranti ospiti;
   emerge ancora una volta, dunque, l'esistenza di un sistema di arricchimento delle cosche calabresi, che non si esimono dall'estendere la loro longa manus in ogni possibile ambito, con una grave distorsione della destinazione di fondi pubblici: secondo l'accusa, infatti, degli oltre 100 milioni di euro assegnati alla struttura, almeno 30 sarebbero stati dirottati verso i clan mafiosi;
   alla luce degli eventi riportati sembrerebbe emergere la debolezza dell'attività di controllo e di monitoraggio governativa che probabilmente, con misure preventive più efficaci, avrebbe potuto evitare o, comunque, interrompere già da diverso tempo le citate attività illecite –:
   se il Ministro interrogato intenda, in primo luogo, fornire chiarimenti, per quanto di competenza, sulla vicenda esposta in premessa e su quanto accaduto nell'ultimo triennio nella città di Isola Capo Rizzuto, in particolare sulle attività preventive sulle misure di controllo messe in opera dal Ministero dell'interno per il monitoraggio sulla gestione del centro di accoglienza per richiedenti asilo e sull'utilizzo dei fondi pubblici, e, in secondo luogo, quali iniziative abbia intenzione di intraprendere al fine di predisporre tempestivamente sistemi di controlli efficaci di tutte le strutture e le associazioni, anche alla luce della necessità di dare una risposta certa ed univoca all'opinione pubblica sulla citata situazione che ha assunto risvolti di estrema gravità. (3-03029)


   RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO, TAGLIALATELA e TOTARO. — Al Ministro dell'interno. – Per sapere – premesso che:
   nell'ambito degli arresti operati la mattina del 15 maggio 2017 a carico di esponenti della cosca Arena, attiva nei territori di Crotone e Catanzaro, è stato fermato anche il governatore della «Fraternita di Misericordia», l'ente che gestisce il centro di accoglienza per richiedenti asilo di «Sant'Anna» di Isola Capo Rizzuto, uno dei più grandi d'Europa, che sarebbe stato infiltrato dal clan della ’ndrangheta;
   l'inchiesta ha dimostrato come la cosca, attraverso la Fraternita, è riuscita ad aggiudicarsi gli appalti indetti dalla prefettura di Crotone per le forniture dei servizi di ristorazione al centro di accoglienza per richiedenti asilo di Isola, appalti che poi il governatore della onlus affidava a imprese appositamente costituite dagli Arena e da altre famiglie di ’ndrangheta per spartirsi i fondi destinati all'accoglienza dei migranti;
   dalle indagini è emerso come l'infiltrazione della cosca Arena nel tessuto economico crotonese e, in particolare, il controllo mafioso delle attività imprenditoriali connesse al funzionamento dell'accoglienza al centro di accoglienza per richiedenti asilo di Isola Capo Rizzuto andava avanti da più di un decennio; stando ai numeri forniti dalla direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, negli ultimi dieci anni dei cento milioni di euro stanziati per la gestione dei centri di accoglienza almeno trentadue sono finiti nelle casse di quella cosca;
   oltre a quello di Isola Capo Rizzuto, la Fraternita di Misericordia era riuscita ad aggiudicarsi gli appalti per le forniture dei servizi di ristorazione anche al centro di accoglienza di Lampedusa, dando luogo alla spartizione di ulteriori milioni di euro tra la cosca Arena e altre famiglie criminali della zona;
   ad avviso degli interroganti, l'inchiesta dimostra, ancora una volta, le collusioni tra trafficanti di uomini, criminalità e circuito dell'accoglienza, in un sistema che di solidarietà ha ben poco e che si basa, invece, sull'aumento degli sbarchi al solo fine di veder aumentare i fondi pubblici per l'accoglienza, facile bottino per le associazioni criminali –:
   quali iniziative intenda assumere per garantire maggiori controlli, in via preventiva, sulle modalità di aggiudicazione dei bandi per la gestione dell'accoglienza e, in via successiva, sull'operato delle ditte e cooperative titolari degli appalti, con particolare riferimento alla rendicontazione delle spese. (3-03030)

RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   LAFORGIA, SPERANZA, SCOTTO, ROBERTA AGOSTINI, ALBINI, FRANCO BORDO, BERSANI, BOSSA, CAPODICASA, CIMBRO, D'ATTORRE, DURANTI, EPIFANI, FAVA, FERRARA, FOLINO, FONTANELLI, FORMISANO, FOSSATI, CARLO GALLI, KRONBICHLER, LEVA, MARTELLI, MATARRELLI, MELILLA, MOGNATO, MURER, NICCHI, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, QUARANTA, RAGOSTA, RICCIATTI, ROSTAN, SANNICANDRO, STUMPO, ZACCAGNINI, ZAPPULLA, ZARATTI e ZOGGIA. — Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. – Per sapere – premesso che:
   le rivelazioni del libro di Ferruccio De Bortoli «Poteri forti o quasi», sul diretto interessamento della Sottosegretaria, onorevole Maria Elena Boschi, all'epoca dei fatti Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, per l'acquisizione da parte di Unicredit di Banca Etruria appaiono di eccezionale gravità, in quanto la tutela del risparmio, a Costituzione vigente, si fonda sul principio della salvaguardia del rapporto di trasparenza e fiducia tra mercato e cittadini. Fattore essenziale per il buon funzionamento del sistema bancario è, infatti, la fiducia che deve considerarsi un bene pubblico;
   secondo De Bortoli l'onorevole Boschi chiese a Ghizzoni di valutare una possibile acquisizione di Banca Etruria e Ghizzoni – che rivestiva la carica di amministratore delegato di Unicredit – commissionò una verifica sulla fattibilità dell'operazione di cui, come noto, non si fece più nulla;
   tale notizia, ad oggi non smentita chiaramente dall'ex amministratore delegato Unicredit Ghizzoni, dall'ex Presidente del Consiglio dei ministri Renzi e, sorprendentemente, da tutto il Partito democratico, che dovrebbe avere a cuore la credibilità e l'onorabilità del Governo di cui è espressione, stride pesantemente con quanto dichiarato dalla stessa Boschi in Parlamento nel dicembre 2015, in occasione della votazione della mozione di sfiducia: «mi si dica se sono mai venuta meno ai miei doveri istituzionali e sarò la prima a lasciare. Mi si dica e mi si dimostri che ho in qualche modo favorito la mia famiglia e non aspetterò nemmeno l'esito del voto»;
   l'interessamento da parte di un esponente di spicco anche dell'attuale Governo e titolare di un ruolo strategico per quanto concerne la nomina di vertici delle società partecipate pubbliche suscita gravi perplessità ad avviso degli interroganti, anche alla luce di quanto disposto dalla normativa che regola le operazioni per i soggetti in conflitto di interesse, considerato che il padre dell'onorevole Boschi, all'epoca dei fatti, era il vice presidente di Banca Etruria, fattispecie giuridica ricadente nella categoria «stretti familiari» di cui alla circolare n. 263 del 27 dicembre 2006 della Banca d'Italia, che stabilisce precise disposizioni sui conflitti di interesse nei confronti di soggetti collegati –:
   quali elementi si intendano fornire alla luce di quanto indicato in premessa e se non sia maturato in seno al Governo il convincimento di chiedere all'onorevole Boschi di rassegnare le proprie dimissioni dal suo incarico in considerazione della salvaguardia del sistema bancario, già duramente messo a repentaglio da una crisi che rischia di indebolire ulteriormente il principio della fiducia nel sistema e acuire lo strisciante sentimento di «anti-Stato» nei confronti delle istituzioni. (3-03020)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la malattia celiaca o celiachia è un'intolleranza permanente al glutine riconosciuta come malattia sociale;
   la normativa di riferimento dettata dalla legge 4 luglio 2005, n. 123, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 7 luglio 2005, n. 156;
   gli interventi della legge n. 123 del 2005 mirano a favorire il normale inserimento nella vita sociale dei soggetti affetti da celiachia;
   è notizia di questi giorni che circa sei milioni di consumatori seguono in modo ingiustificato la dieta senza glutine sprecando oltre 100 milioni di euro per prodotti di cui non avrebbero bisogno con una crescita di mercato pari al 27 per cento;
   a causa della disinformazione, la «moda» del senza glutine cresce in modo esponenziale, perché si pensa che mangiare senza glutine può sembrare più sano;
   secondo il parere di eccellenti nutrizionisti, adottare una dieta senza glutine, pur non essendo celiaci, non ha alcun beneficio, anzi, si può compromettere lo stato di salute poiché i prodotti da forno senza glutine hanno molti additivi, grassi e spesso alto contenuto di zucchero – quindi con un indice glicemico maggiore rispetto ai prodotti da forno con glutine – al fine di dare una corretta consistenza al prodotto;
   viceversa, la dieta senza glutine è vitale per i celiaci: in Italia si stimano circa 600.000 casi, pari all'1 per cento della popolazione, ma i diagnosticati a oggi sono appena 190.000; pertanto il 70 per cento dei celiaci non sa di avere questo problema, ma al contrario il 99 per cento della popolazione che non è celiaca sembra entusiasmarsi ai prodotti gluten-free;
   nel nostro Paese ogni anno si spendono 320 milioni di euro per prodotti senza glutine, ma di questi solo 215 derivano dagli alimenti erogati per la terapia dei pazienti celiaci, stando ai dati Nielsen diffusi dall'Associazione italiana celiachia (AIC) il 13 maggio 2017 prenderà il via la terza edizione della Settimana nazionale della celiachia – promossa dall'Associazione italiana celiachia (Aic), con il patrocinio dell'Associazione nazionale dietisti (Andid) – dedicata alla nutrizione e all'educazione alimentare per vivere al meglio una dieta che per i celiaci non è una scelta alimentare ma l'unica terapia possibile – proprio per sensibilizzare e far conoscere i veri rischi di questa malattia;
   il presidente di Aic, Giuseppe Di Fabio, ha spiegato che: «Nessuna ricerca ha finora dimostrato qualsivoglia effetto benefico per i non celiaci nell'alimentarsi senza glutine, anzi. Gli studi scientifici stanno ampiamente dimostrando che in chi non è celiaco l'esclusione del glutine è inutile»;
   la «moda» del senza glutine, potrebbe pertanto mettere in discussione l'erogazione parziale dei prodotti dietetici senza glutine ai pazienti celiaci, sminuendo in tal modo i diritti e le tutele fondamentali del malato cronico conquistate faticosamente –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   poiché la dieta senza glutine, per i soggetti celiaci non è una scelta alimentare ma l'unica terapia «salvavita», mentre sei milioni di consumatori seguono in modo ingiustificato la dieta senza glutine spendendo oltre 100 milioni di euro per prodotti di cui non avrebbero bisogno, se non ritenga utile promuovere una campagna sociale nazionale d'informazione al fine di evitare l'acquisto e il consumo di alimenti privi di glutine senza necessità in modo da non banalizzare la malattia celiaca.
   (5-11357)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il canile di Cicerale è di proprietà di tale Mauro Cafasso, pluridenunciato, e la sua struttura è stata più di una volta chiusa dai Nas. Il canile è situato nei pressi della contrada San Leo, ed era una struttura mista: canile-allevamento di cinghiali. Il titolare usava un furgoncino intestato alla USL n. 60-Agropoli (Salerno) non autorizzato;
   dopo anni di battaglie, condotte da molte associazioni e dopo l'intervento del Ministero della salute il 16 dicembre 2008, il canile viene sequestrato, il provvedimento è stato eseguito da Nas e carabinieri, assieme ai veterinari della Asl SA3, su disposizione della procura della Repubblica di Vallo della Lucania. Qualche giorno prima c'era stato il sequestro amministrativo di una parte del canile;
   la successiva ispezione ministeriale del 2009 smentisce una buona volta i «buoni» rapporti delle Asl locali: al canile non va tutto bene e viene posta attenzione sui numerosi decessi. La struttura del canile di Cicerale fu chiusa quindi grazie all'intervento dell'allora responsabile della task force per il benessere animale del Ministero della salute, la dottoressa Rosalba Matassa, cui il sindaco diede seguito con specifica ordinanza del 25 maggio 2009 che revocava l'autorizzazione alla detenzione di cani;
    nella medesima indagine giornalistica si legge: «Verbale dei Nas del 23 febbraio 2006: presenti 1.676 cani. Venti giorni prima i Nas ne documentano 1.700, 1.350 adulti e 350 cuccioli. In una lettera a Repubblica, il 22 giugno 2006, Cafasso parla di 1.000 cani. Il dottor Nigro, in una comunicazione del 6 marzo parla di «2250 cani». Secondo i Nas la superficie di Cicerale è di 22.400 mq. Cafasso, in una lettera del 24 novembre 1995 al quotidiano « Cronache del Mezzogiorno», parla di «circa 36mila mq con 200 cani come verificato dai Nas di Salerno qualche mese addietro». In pratica i cani in dieci anni sono passati da 200 a 2.000, in controtendenza rispetto ai rifugi che offrono maggiore spazio per ciascun animale ospitato. A Cicerale gli animali crescono del 1.000 per cento.»;
   a seguito di una serie di segnalazioni che comunicavano la presenza di cani presso la vecchia e chiusa struttura del canile di Cicerale, l'interrogante ha purtroppo potuto verificare a seguito di un sopralluogo, coadiuvato dalla polizia municipale, che, all'interno del canile, sono presenti numerosi cani. La struttura appare funzionante e, ad avviso dell'interrogante, decisamente non in linea con il rispetto della normativa vigente, all'esterno, tra i cumuli di spazzatura e rifiuti di ogni tipo, l'interrogante ha rinvenuto confezioni scadute di farmaci;
   a seguito di una ricerca l'interrogante ha peraltro verificato che alla struttura di Cicerale, almeno per quanto riporta il quotidiano La Repubblica, sarebbero stati affidati proprio i cani presunti responsabili di aver aggredito e ucciso il loro padrone nel novembre 2016 –:
   se il Ministro intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare la situazione attuale del canile di Cicerale, chiuso grazie ad una ispezione dello stesso Ministero della salute nel 2008;
   se e di quali informazioni sia in possesso il Ministro relativamente all'affido al canile di Cicerale dei 2 cani sequestrati a causa dell'aggressione del proprietario e di quali elementi disponga circa le ragioni per cui sono stati affidati ad una struttura sequestrata e chiusa. (4-16602)

Apposizione di firme ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Carnevali e altri n. 1-01612, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Menorello e Miotto e, contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme si intende così modificato: «Carnevali, Alli, Menorello, Fiano, Gelli, Beni, Giuseppe Guerini, Patriarca, Gadda, Sgambato, Moretto, Burtone, Vico, Miotto».

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Brescia e altri n. 1-01439, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 28 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato D'Uva.

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cristian Iannuzzi n. 5-11345, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 maggio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Artini.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Franco Bordo n. 1-01548, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 762 del 20 marzo 2017.

   La Camera,
   premesso che:
    al fine di salvaguardare gli assetti proprietari delle società operanti in settori ritenuti strategici e di interesse nazionale, con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, è stata disciplinata la materia concernente i poteri speciali esercitabili dal Governo nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché in alcuni ambiti definiti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni;
    in attuazione del predetto decreto-legge con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 19 febbraio 2014, n. 35, in materia di poteri speciali nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, e con il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 86, con riguardo ai poteri speciali nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, sono stati definiti gli ambiti soggettivi ed oggettivi, la tipologia, le condizioni e le procedure per l'esercizio dei poteri speciali nei due diversi settori;
    la specifica individuazione degli attivi di rilevanza strategica, avvenuta con il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2014, n. 108, per il settore della difesa e sicurezza nazionale e con il decreto del Presidente della Repubblica 25 marzo 2014, n. 85, per i settori energetici, dei trasporti e delle comunicazioni, ha consentito di completare il quadro organizzativo regolamentare del settore;
    i citati regolamenti hanno altresì previsto il coordinamento della Presidenza del Consiglio dei ministri per lo svolgimento delle attività propedeutiche all'esercizio dei poteri speciali, finalità conseguita con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 6 agosto 2014, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 2 ottobre 2014, che ha fissato le modalità procedimentali per lo svolgimento delle corrispondenti attività;
    l'afflusso di capitali stranieri rappresenta un fattore moltiplicatore per la competitività delle imprese nei mercati internazionali. Con la diffusa incertezza sull'andamento della domanda interna, la capacità di attrarre investimenti esteri si è confermata come un'importante leva di crescita, soprattutto per l'Italia che presenta ampie opportunità di investimento;
    tuttavia, negli ultimi anni a causa del perdurare della crisi economica, le difficoltà di crescita riscontrate nell'area dell'eurozona, la voragine sociale legata all'aumento della disoccupazione nei Paesi dell'Unione europea, la posizione del sistema industriale del Paese si è indebolita, lasciando spazio ad una serie sempre crescente che, lungi dal rappresentare occasioni di rafforzamento del sistema produttivo ed occupazionale, hanno sostanzialmente depauperato il contesto economico dell'Italia;
    inoltre, se si considera anche il fatto che la crisi in corso è anche e soprattutto una crisi della finanza pubblica sono spesso i soggetti statali, il Ministero dell'economia e delle finanze in primis, ad aver avviato una nuova fase di privatizzazioni, purtroppo che sembra ancora non conclusa, che ha messo e mette a repentaglio il patrimonio di lavoro e conoscenza acquisito nel corso degli anni dalle società indirettamente o direttamente controllate dallo Stato, sollevando altresì criticità in materia di tutela di ambiti strategici, come le telecomunicazioni, il risparmio di natura bancaria o finanziaria, il trattamento dei dati personali;
    un caso tipico di questo atteggiamento – oltre a quelli riguardanti Poste italiane o il gruppo delle Ferrovie dello Stato – riguarda l'Enel. A gennaio 2017, a seguito della fusione tra Enel green Power ed Enel, per la prima volta la quota di controllo dello Stato italiano nella società energetica è scesa sotto la quota del 25 per cento, rendendo di fatto l'azienda contendibile a soggetti nazionali o sovranazionali;
    tornando all'esercizio dei poteri speciali da parte del Governo, esso dunque, sembra essere – come del resto ricorda anche la recente relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali – un'arma spuntata sotto un duplice motivo. Il primo motivo riguarda strettamente gli effetti della globalizzazione e l'incapacità dell'Unione europea di agire come attore internazionale. Energia, difesa e reti. Per questi settori più o meno in quasi tutti i Paesi dell'Unione europea esistono golden powers attribuiti allo Stato, con cui un Governo può porre condizioni all'acquisto di partecipazioni strategiche in imprese considerate strategiche. Ma di fronte allo shopping da parte di Paesi al di fuori dell'Unione europea, in particolare quando non sono economie di mercato o non hanno medesimi standard di protezione in tema di diritto del lavoro o diritti sociali, l'Unione europea dovrebbe fare fronte comune;
    in questo senso, appare opportuna la necessità che, anche attraverso forme di cooperazione rafforzata, Italia, Germania e Francia, ma anche gli altri Paesi europei interessati, si facciano portatori di una proposta alla Commissione europea per introdurre il concetto di golden power comunitario a tutela delle tecnologie, delle capacità industriali e occupazionali dell'area dell'Unione europea. Il caso della competizione senza regole della Cina nel campo della siderurgia, oppure del comportamento antielusivo in campo fiscale degli over the top statunitensi come google o apple, impongono l'adozione di una strategia in tal senso, si attiverebbe così anche ad una definitiva armonizzazione delle varie legislazioni nazionali nell'ambito dell'esercizio dei poteri speciali, che tante disparità ha creato in questi anni;
    il secondo versante di criticità riguarda proprio il mercato unico. Infatti all'interno del mercato unico si assiste oggi ad una reviviscenza di singoli nazionalismi economici che, da un lato, coincidono con scorribande finanziarie opache e aggressive (vedi le mire francesi sul risparmio italiano e sul mondo delle telecomunicazioni), dall'altro sfociano in un protezionismo senza precedenti (vedi il caso dell'acquisizione dei cantieri navali Stx da parte di Fincantieri);
    tale comportamento contrasta con lo spirito e la pratica dell'integrazione economica europea, in una fase politica dell'Unione europea dove al contrario vi sarebbe bisogno di maggiore coesione e trasparenza. In questo senso, sul tema degli asset strategici, appare sempre più utile un intervento che sappia colmare le asimmetrie informative che si sono aperte con la parte del recepimento da parte dei vari Paesi della direttiva europea sull'Opa. Asimmetrie che si notano con la Francia, tanto per citare il più intraprendente investitore nel made in Italy, che ha adottato un criterio di reciprocità che riguarda la condizione di imprese in certi settori strategici;
    il considerando n. 12 della direttiva 2013/50/UE, in materia di obblighi di trasparenza riguardanti le informazioni sugli emittenti quotati e di prospetto per l'offerta pubblica o l'ammissione alla negoziazione di strumenti finanziari, consente agli Stati membri di definire obblighi più rigorosi di quelli stabiliti dalla direttiva 2004/109/CE, riguardo al contenuto, alla procedura e ai tempi di notifica delle partecipazioni rilevanti nel capitale di società quotate, nonché consente di richiedere informazioni aggiuntive, incluse, in particolare, le intenzioni degli azionisti;
    non si può non rilevare, tuttavia, come in alcuni casi la cessione o il trasferimento di aziende strategiche del nostro Paese avvenga per indirizzo dello stesso Governo, intento a perseguire in questa fase una politica di privatizzazioni dalla dubbia efficacia, ci si chiede infatti se investire nelle privatizzazioni convenga davvero. Se si prendono le ultime cinque operazioni di privatizzazione a mezzo di collocamento di titoli in Borsa e si confrontano il prezzo di collocamento con quello di Borsa al 24 febbraio 2017, si vede che il bottino è tutt'altro che esaltante. L'operazione più controversa è l'offerta pubblica iniziale di Fincantieri, voluta dall'amministratore delegato Giuseppe Bono e avallata dal Ministero dell'economia e delle finanze: la vendita di circa il 25 per cento della società è stata fatta nel giugno 2014 a 0,78 euro per azione. I titoli, rimasti quasi sempre sotto il prezzo di collocamento, adesso valgono 0,594, cioè il 23,8 per cento in meno. Nel febbraio 2015 il Ministero dell'economia e delle finanze ha venduto la quinta tranche Enel, il 5,74 per cento a un gruppo di banche a 4 euro per azione, il prezzo oggi è lo stesso. Nell'ottobre 2015, il Ministero dell'economia e delle finanze ha venduto Poste a 6,75 euro per azione. Il titolo della società oggi vale 5,94 euro -12 per cento rispetto al collocamento. Infine, le azioni Enav, collocate a luglio 2016 a 3,3 euro, dopo un balzo del 10,6 per cento al debutto i guadagni sono ora a 3,324 euro;
    con riferimento al debito pubblico, la dismissione di un'ulteriore quota di partecipazione dello Stato al capitale di Poste italiane è suscettibile di determinare effetti negativi dovuti al venir meno del versamento dei dividendi distribuiti al Ministero dell'economia e delle finanze da Poste italiane spa. Sono altresì prefigurabili effetti, di carattere eventuale e indiretto e di entità non predeterminabile, dovuti alle variazioni di gettito fiscale per la tassazione, da un lato, dei maggiori dividendi distribuiti a soggetti esterni alla pubblica amministrazione, dall'altro, dei minori interessi sul debito erogati. Come emerso nelle dichiarazioni congiunte delle organizzazioni sindacali i rapporti sempre più intrecciati tra Poste italiane e Cassa depositi e prestiti potrebbero far emergere un conflitto di interessi. È infatti noto che Poste italiane colloca per conto di Cassa depositi e prestiti i cosiddetti buoni postali fruttiferi e libretti di risparmio postale a fronte di commissioni periodicamente contrattate. Le consistenze di Cassa depositi e prestiti per quasi l'80 per cento derivano proprio dalla raccolta di risparmio postale. Dunque si verificherà che Cassa depositi e prestiti, maggiore azionista di Poste, sarà contemporaneamente controparte contrattuale nella definizione del rapporto economico tra emittente e collocatore. Altrettanto allarmanti appaiano poi eventuali effetti della privatizzazione di Poste sul servizio universale. I rapporti tra lo Stato e il fornitore del servizio universale sono disciplinati dal contratto di programma. Il nuovo contratto di programma 2015-2019 tra il Ministero dello sviluppo economico e la società Poste italiane per la fornitura del servizio postale universale è stato firmato il 15 dicembre 2015, come previsto dalla legge di stabilità per il 2015. Il contratto è entrato in vigore il 1o gennaio 2016 e ha ottenuto l'approvazione della Commissione europea, il contributo per l'onere del servizio postale universale è pari a 262,4 milioni di euro all'anno e viene erogato entro il 31 dicembre di ciascun anno di vigenza del contratto, con cadenza mensile. Il servizio universale rappresenta un presidio essenziale per la vita economica e sociale di tutti i territori del nostro Paese. L'ingresso di una nuova compagine azionaria rischia di mettere a repentaglio la capillarità della rete postale italiana e i servizi offerti alla cittadinanza. Inoltre, sono oltre 30 milioni i soggetti (piccole è medie imprese, enti locali, cittadini, pensionati e lavoratori) che hanno un rapporto costante con il Gruppo Poste italiane, una tale massa di dati sensibili rischia di essere gestita da un soggetto totalmente privato, assunto che nell'era della comunicazione e dell'economia digitale costituisce valore il possesso e la gestione di dati individuali, senza effettive garanzie in termini di tutela della privacy e dei dati industriali ed economici sensibili;
    secondo quanto si apprende da fonti stampa, il Ministero dell'economia e delle finanze sta studiando un nuovo assetto della Cassa depositi e prestiti, diventata nel corso degli anni una sorta di banca d'affari pubblica con una dote da 250 miliardi di euro, il risparmio postale degli italiani. Siamo ancora nella fase istruttoria. Ma si ragiona sulla cessione di una quota del 15 per cento simile a quella già oggi posseduta dalle fondazioni bancarie. L'operazione lascerebbe il controllo di Cassa depositi e prestiti nelle mani del Ministero dell'economia e delle finanze, che scenderebbe al 65 per cento. E porterebbe nelle casse dello Stato, per essere destinati all'abbattimento del debito pubblico, circa 5 miliardi di euro. Anche in questo caso si tratterebbe di un'operazione destinata solo ad indebolire il profilo industriale del nostro Paese. L'istituto di via Coito è un tassello fondamentale per sostenere la dimensione socio-economica, come gli investimenti sui social-housing sul disagio abitativo o la ricerca universitaria;
    il 10 aprile 2017 scadono i termini di presentazione del documento di economia e finanze ed il Governo è al lavoro proprio in questi giorni per cercare di capire quali siano gli interventi improrogabili e dove invece si può cercare di tagliare qualcosa alla spesa nazionale. Preme, infatti, la richiesta di Bruxelles di ridurre la spesa pubblica, che negli ultimi anni, in particolare durante il Governo Renzi, ha subito una crescita di ben 25 miliardi di euro, accentuando il debito pubblico. Secondo le prime indiscrezioni, pubblicate nel corso della scorsa settimana dal quotidiano economico Il Sole 24 ore al momento a Palazzo Chigi i riflettori sono puntati su 4 punti fondamentali. I punti più discussi sono incentrati sulla riduzione del cuneo fiscale, sulla revisione della spesa e sull'intervento sulle aliquote Iva in aumento,

impegna il Governo:

1) sul versante europeo:
  a) a promuovere un'iniziativa congiunta, anche attraverso forme di cooperazione rafforzata, per introdurre una legislazione comunitaria completa sull'esercizio dei poteri speciali da parte delle istituzioni europee a tutela delle tecnologie, delle capacità industriali e occupazionali dell'Unione europea, con particolare riferimento ai mercati internazionali e alla competizione operata dai Paesi caratterizzati da economie non di mercato e conseguentemente ad istituire una cabina di regia a livello europeo sulle industrie strategiche, anche a tutela di inappropriate forme di delocalizzazione del lavoro;
  b) a valutare l'assunzione di iniziative a livello di legislazione europea volte a diminuire le asimmetrie informative tra i vari Stati membri derivanti dal recepimento della direttiva europea sull'offerta pubblica d'acquisto;
2) sul versante nazionale:
  a) ad assumere iniziative normative volte a dare corso alle proposte del Comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri Speciali, come evidenziate nell'ultima relazione al Parlamento in materia di esercizio dei poteri speciali, rafforzando in particolare le direttrici di indirizzo e l'integrazione dei meccanismi decisionali;
  b) al fine di migliorare il grado di trasparenza del mercato e incrementare il grado di conoscenza e di informazione degli stakeholder, onde favorire l'assunzione di decisioni consapevoli, a valutare l'adozione di iniziative volte all'estensione del contenuto degli obblighi di comunicazione su chi acquisisce una partecipazione particolarmente importante in una società quotata operante in settori di interesse strategico, imponendo allo stesso di chiarire le finalità perseguite con l'acquisizione, anche con particolare riferimento a tutti quei soggetti che operano nel settore del risparmio di natura bancaria e finanziaria.
(1-01548)
(Nuova formulazione) «Franco Bordo, Ricciatti, Epifani, Folino, Ferrara, Bersani, Laforgia, Roberta Agostini, Albini, Bossa, Capodicasa, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Fava, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Leva, Martelli, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Sannicandro, Scotto, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».

Pubblicazione di un testo ulteriormente riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Lupi n. 1-01525, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 751 del 1o marzo 2017.

   La Camera,
   premesso che:
    il 7 giugno 2014 sono entrati in vigore due regolamenti (il decreto del Presidente della Repubblica n. 85 e il decreto del Presidente della Repubblica n. 86 del 2014) sui poteri speciali (cosiddetti golden power) attinenti alla governance di società operanti in settori considerati strategici, applicativi della riforma operata con il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, al fine di rendere compatibile con il diritto europeo la disciplina nazionale dei poteri speciali del Governo, che era stata oggetto di censure della Commissione europea e di una sentenza di condanna da parte della Corte di giustizia dell'Unione europea. I due regolamenti riguardavano l'individuazione degli attivi di rilevanza strategica e il regolamento per l'individuazione delle procedure per l'attivazione dei poteri speciali;
    per «poteri speciali» si intende la facoltà concessa al Governo di dettare specifiche condizioni all'acquisito di partecipazioni, di porre il veto all'adozione di determinate delibere societarie e di opporsi all'acquisto di partecipazioni. Tali poteri si applicano, in particolare, nei settori della difesa e della sicurezza nazionale, nonché di taluni ambiti di attività definiti di rilevanza strategica nei settori dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni; la normativa suddetta si ricollega agli istituti della golden share e action spécifique previsti rispettivamente nell'ordinamento inglese e francese;
    con la nuova normativa i poteri speciali nei comparti difesa e sicurezza nazionale sono applicabili a tutte le società, pubbliche o private, che svolgono attività considerate di rilevanza strategica, e non più soltanto rispetto alle società privatizzate o in mano pubblica. Con decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2014, n. 108, sono state individuate le attività di rilevanza strategica per il sistema di difesa e sicurezza nazionale rispetto alle quali l'Esecutivo: potrà imporre specifiche condizioni all'acquisto di partecipazioni; potrà porre il veto all'adozione di delibere relative ad operazioni di particolare rilevanza; potrà opporsi all'acquisto di partecipazioni, ove l'acquirente arrivi a detenere un livello della partecipazione al capitale in grado di compromettere gli interessi della difesa e della sicurezza nazionale; potrà dichiarare nulle le delibere adottate con il voto determinante delle azioni o quote acquisite in violazione degli obblighi di notifica, nonché delle delibere o degli atti adottati in violazione o adempimento delle condizioni imposte;
    le disposizioni su sicurezza e difesa sono state estese, attraverso regolamenti, agli asset strategici nel settore dell'energia, dei trasporti e delle comunicazioni, nei quali l'eventuale opposizione tout court all'acquisizione di partecipazioni si può esercitare solo nei confronti di un'azienda extra Unione europea; una volta individuati tali asset, l'Esecutivo può far valere il proprio veto alle delibere, agli atti e alle operazioni, ovvero imporvi specifiche condizioni. A carico dei soggetti interessati, gli obblighi di notifica sono estesi alle delibere, atti o operazioni aventi ad oggetto il mutamento dell'oggetto sociale, lo scioglimento della società, la modifica di clausole statutarie riguardanti l'introduzione di limiti al diritto di voto o al possesso azionario;
    ulteriori diritti speciali in capo all'azionista pubblico sono stati previsti nella disciplina codicistica delle società, nonché, successivamente, nella legge 23 dicembre 2005, n. 266 (legge finanziaria 2006), che ha introdotto nell'ordinamento italiano la cosiddetta « poison pill» (pillola avvelenata) che consente, in caso di offerta pubblica di acquisto ostile riguardante società partecipate dalla mano pubblica, operanti in qualsiasi settore, di deliberare un aumento di capitale, grazie al quale l'azionista pubblico potrebbe accrescere la propria quota di partecipazione, vanificando il tentativo di scalata non concordata; quando la società in cui lo Stato detiene una partecipazione rilevante rientra anche tra le società privatizzate di cui alla legge n. 474 del 1994, la decisione di emettere questa « poison pill» influisce anche sull'efficacia dei tetti azionari, poiché, a partire dal momento in cui lo Statuto autorizza tali strumenti, la norma che prevede i tetti azionari cessa di trovare applicazione;
    da ultimo, l'articolo 7 del decreto-legge n. 34 del 2011 ha autorizzato la Cassa depositi e prestiti ad assumere partecipazioni in società di rilevante interesse nazionale, in termini di strategicità del settore di operatività, di livelli occupazionali, di entità di fatturato, ovvero di ricadute per il sistema economico-produttivo del Paese; in questo ambito sono state definite «di rilevante interesse nazionale» le società di capitali operanti nei settori della difesa, della sicurezza, delle infrastrutture, dei trasporti, delle comunicazioni, dell'energia, delle assicurazioni e dell'intermediazione finanziaria, della ricerca e dell'innovazione ad alto contenuto tecnologico e dei pubblici servizi;
    la normativa sulle offerte pubbliche di acquisto (Opa), fissata dal Testo unico della finanza (TUF), di cui al decreto legislativo n. 58 del 1998, ha, quale obiettivo principale, la tutela dell'investimento azionario da parte dei risparmiatori e degli investitori istituzionali italiani ed esteri rispetto alle decisioni degli azionisti di maggioranza; a questo scopo il legislatore ha stabilito che chiunque acquisti azioni oltre una certa soglia sia obbligato a lanciare un'Opa rivolta a tutti gli azionisti e che analogo obbligo si determini anche quando cambi la maggioranza assoluta all'interno di una società o di un accordo, pattizio che controlla una partecipazione già superiore alla soglia; l'attuale soglia unica del 30 per cento è efficace nel caso di società quotate a capitale diffuso in piccolissime quote, mentre non lo è quando, all'interno di una compagine azionaria frazionata, esista una società o un patto comunque dominante nelle assemblee;
    le direttive dell'Unione europea esigono che sia stabilita una soglia per l'Opa obbligatoria, ma demandano agli Stati membri la sua determinazione; in Europa uno Stato, l'Ungheria, ha due soglie a percentuali fisse, mentre quattro Stati (Spagna, Repubblica Ceca, Danimarca ed Estonia) hanno una soglia a percentuale fissa e un'altra a percentuale variabile, legata al controllo di fatto; in Italia, la precedente soglia unica al 30 per cento, infatti, venne a suo tempo individuata nella convinzione che avrebbe favorito il mercato del controllo laddove nessuno avesse avuto interesse a lanciare un'Opa. L'esperienza di questi ultimi 15 anni, invece, ha dimostrato che, molto spesso, il passaggio del controllo senza Opa ha favorito le rendite di posizione e penalizzato le minoranze azionarie, senza procurare vantaggi alle aziende, anzi non di rado gravandole di debiti ingenti legati al processo di acquisizione e non all'investimento operativo; il decreto-legge n. 91 del 2014, cosiddetto «decreto competitività», ha introdotto la doppia soglia Opa al 25 per cento per le società quotate, escluse le piccole e medie imprese che, invece, potranno scegliere di inserire nello statuto una soglia compresa tra il 20 per cento e il 40 per cento;
    per definire i criteri di compatibilità comunitaria della disciplina dei poteri speciali, comunque definiti, la Commissione europea ha adottato un'apposita comunicazione (97/C 220/06) con la quale ha affermato che l'esercizio di tali poteri deve comunque essere attuato senza discriminazioni ed è ammesso se si fonda su «criteri obiettivi, stabili e resi pubblici» e se è giustificato da «motivi imperiosi di interesse generale». Riguardo a taluni settori di intervento, la Commissione europea ha ammesso un regime particolare per gli investitori di un altro Stato membro qualora esso sia giustificato da motivi di ordine pubblico, di pubblica sicurezza e di sanità pubblica, con esclusione di ragioni di carattere economico e purché conforme alla giurisprudenza della Corte di giustizia;
    inoltre, secondo la Commissione europea, «l'interesse nazionale», invocato come criterio di base per giustificare diversi di questi provvedimenti, «(...) non risulta sufficientemente trasparente e può, quindi, introdurre un elemento di discriminazione nei confronti degli investitori esteri e un'incertezza del diritto». Pertanto, la Commissione europea né nega l'applicabilità se non in connessione e in subordine ai criteri già individuati i quali sottostanno alle ulteriori limitazioni della proporzionalità e della durata nel tempo;
    i singoli Stati mantengono, in assenza di armonizzazione, un certo spazio discrezionale nel definire, nel rispetto dei vincoli posti dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, sia i settori strategici, sia le forme di controllo all'accesso della proprietà delle società operanti in tali settori. Ne deriva una frammentazione del mercato interno. Molti degli Stati membri hanno mostrato, in modo crescente negli ultimi anni, una significativa propensione a prevedere forme di controllo agli investimenti diretti stranieri nei settori strategici, anche se diversi sono i settori considerati strategici e le forme di controllo in concreto previste;
    procedure di infrazione in materia di golden share hanno riguardato la Francia, il Belgio, la Spagna, la Germania, il Portogallo e il Regno Unito. Dall'esame della giurisprudenza che ne è derivata, emerge che la Corte di giustizia europea, una volta rispettate le condizioni di massima individuate dalla Commissione europea, mostra prudenza nel sindacare previsioni statutarie restrittive della libertà di accesso del mercato. La misura nazionale è considerata restrittiva solo ove sia imposta in via imperativa da una norma nazionale. Viceversa, ciò non ricorrerebbe ove la normativa nazionale sia autorizzativa/dispositiva e rimetta di conseguenza alla libera scelta del privato l'adozione o meno di una misura che pur sia astrattamente idonea a limitare o restringere le libertà fondamentali;
    secondo la dottrina dalla giurisprudenza della Corte europea si deduce che «nessuna delle disposizioni di diritto societario comune neppure quelle che prevedono la facoltà, il cui esercizio è rimesso all'autonomia negoziale dei soci, di inserire nello statuto delle clausole che alterino il cosiddetto assetto di default modificando i quorum costitutivi e deliberativi oppure limitando i diritti di voto esercitabili in assemblea, oppure ancora creando strumenti in grado di spezzare il rapporto di corrispondenza tra entità del capitale posseduto e poteri amministrativi – può essere qualificata come restrizione della libera circolazione dei capitali»;
    il nostro Paese è da tempo soggetto ad una serie di acquisizioni da parte di competitor stranieri, sia comunitari che extra comunitari, che, con tutta evidenza, ne stanno riducendo la base produttiva, economica e, da ultimo, finanziaria. Non si disconosce la rilevante importanza, per il nostro Paese, dell'apporto dei capitali esteri, sia come significativo contributo alla crescita economica e all'occupazione, sia come segnale della fiducia degli investitori internazionali. Tuttavia, taluni aspetti di queste cessioni e di queste scalate azionarie mettono comunque in luce una problematica che dovrebbe essere valutata e risolta;
    secondo i dati elaborati a inizio 2017 dai consulenti di Kpmg, multinazionale operante nel settore della consulenza per le imprese e gli Stati, dal 2006 al 2016, la somma investita dagli investitori internazionali in Italia arriva a 200 miliardi di euro dal 2006. Gli stessi esperti considerano questa una cifra sottostimata perché non include l'acquisto di partecipazioni di minoranza o i chip comprati a Piazza Affari. Per Kpmg la cifra reale si spingerebbe sopra i 300 miliardi di euro. Un trend che, negli ultimi anni, ha subito una buona accelerazione con picchi di 27 e 32 miliardi di euro tra il 2014 e il 2015 e 19 puntati nell'anno appena concluso. Le operazioni relative al solo passaggio del controllo del capitale (acquisizioni) sono state 1.340 in dieci anni. Se si includono le quote di minoranza, il numero raddoppia. Nel 2016 gli investitori esteri hanno chiuso 240 operazioni su asset della Penisola, con una crescita del 19,4 per cento;
    in tale ambito, tra la fine del 2015 e il 2016, la Francia ha effettuato operazioni di acquisizione di quote in Italia per 5 miliardi di euro, tra la quota in Telecom Italia e quella appena spuntata in Mediaset. Dal 2006, la Francia ha acquisito quote d'imprese per circa 52 miliardi di euro comprando 185 aziende, 34 lo scorso anno. L'alta finanza italiana è sempre più francese. Unicredit ha da poco venduto, per poco meno di 4 miliardi di euro, la sua Pioneer (un'ottima società di gestione del risparmio con 200 miliardi di soldi italiani investiti sui suoi prodotti) alla francese Amundi. Non esiste, nel credito, un esempio in direzione opposta, cioè acquisizioni da parte di banche italiane in Francia. Basti pensare alle operazioni Bnl-Bnp e Cariparma-Credit Agricole. Ad oggi, le loro operazioni sul suolo italiano stanno generando buoni risultati. Ciò avviene senza grandi sforzi finanziari, visto che Bnp Paribas e Credit Agricole non hanno voluto contribuire al fondo Atlante;
    c’è una sproporzione evidente tra il controvalore delle acquisizioni fatte nell'ultimo decennio da aziende italiane in Francia e i numeri dello shopping francese in Italia. Kpmg calcola che, a fronte dei 52 miliardi di euro spesi dagli investitori francesi in Italia tra il 2006 e il 2016, gli italiani abbiano messo sul piatto appena 7,6 miliardi di euro, se si analizzano i trend dal punto di vista qualitativo, si può notare che le acquisizioni transalpine riguardano principalmente settori strategici come finanza, telecomunicazioni, tecnologia, media e lusso;
    dopo l'acquisizione del 23,9 per cento di Telecom, l'aggressività del gruppo francese Vivendi, società francese attiva nel campo dei media e delle comunicazioni, è venuta di recente allo scoperto nei confronti di Mediaset. Causa scatenante dell'acquisizione del 28,8 per cento di azioni Mediaset da parte di Vivendi, sono state le azioni avviate dal gruppo italiano a seguito della disdetta unilaterale operata dalla multinazionale francese nel luglio 2016 di un accordo su Mediaset premium, sottoscritto ad aprile 2016. Tale scalata appare oggi essersi arenata grazie ad un complesso di fattori favorevoli e concomitanti: la decisa risposta della proprietà Mediaset alle pretese della controparte, le difficoltà finanziarie interne a Vivendi, le prese di posizione del Governo e dell'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. Giova rilevare che il gruppo Vivendi, tra Mediaset e Telecom, ha un portafoglio che, agli attuali prezzi di mercato vale 4,49 miliardi di euro, il che ne fa il terzo investitore francese a Piazza Affari dietro Bpce (5,23) e Lactalis (4,94);
    altro asset strategico nazionale che da tempo è oggetto di attenzione è Assicurazioni generali SpA, la cui ventilata acquisizione da parte del colosso assicurativo francese Axa appare avere conseguenze imprevedibili. Generali è uno dei primi proprietari immobiliari italiani, con un patrimonio di circa 24 miliardi di euro e detiene 500 miliardi di asset, di cui ben 70 investiti in titoli di Stato italiani. È una delle poche compagnie finanziarie italiane ad avere caratura internazionale, essendo presente in 60 Paesi, con 470 società e quasi 80.000 dipendenti. Oltre che quarta compagnia di assicurazioni a livello mondiale, Generali è anche il terzo gruppo industriale italiano, ha 113 miliardi di euro di fatturato e controlla le grandi partecipazioni e scheletri industriali, spine dorsali dell'industria italiana. Infine Generali è socio forte di Monte dei Paschi di Siena assieme ad Axa stessa;
    ulteriori preoccupazioni nascono se si osserva il board che attualmente governa Generali e, in particolare, la sua specifica attività nel nostro Paese. In questo contesto il capo azienda di Generali, Donnet, ha smentito le ricorrenti voci di una fusione con Axa, ma i dossier con progetti che vanno in questa direzione ingombrano le scrivanie delle società di analisi finanziarie e di advisoring finanziario; è anche circolata l'ipotesi di una vendita della divisione francese di Generali ad Allianz, che (eliminando in premessa le sovrapposizioni di mercato oggi esistenti in Francia tra Axa e Generali, con i relativi profili di trust) avrebbe favorito la strada alla fusione stessa;
    in tale quadro, il direttore generale del gruppo Alberto Minali costituisce una sicura garanzia; ma si deve pur rilevare come, anche in periodi recenti, la fisionomia culturale e della stessa struttura di Generali sia segnata da forti elementi chiaramente riconducibili alla Francia. Correttamente è stato osservato (Il Sole 24 Ore) che il risparmio degli italiani rappresenta una delle attività che più interessano la Francia;
    l'unico grande attore finanziario del mercato, (da oltre vent'anni di gestione con la migliore gestione della media del sistema ed un'invidiabile solidità patrimoniale) è Banca Intesa Sanpaolo. Ed è chiaro che un avvicinamento tra Intesa e le Generali costituirebbe, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, l'unica mossa in grado di prevenire l'inevitabile scalata. Tuttavia, Generali ha reagito alla sola notizia dell'interessamento alla fusione di Intesa, acquistando il 3,1 per cento della medesima. A metà febbraio circa, Intesa ha deciso di non proseguire su questa strada;
    differente la filosofia dei gruppi italiani che effettuano acquisizioni in Francia. Qui si tratta, per lo più, di azioni mirate nei settori meno strategici per lo Stato francese, storicamente protezionista nei riguardi delle proprie grandi imprese. Il Governo transalpino ha posto una serie di condizioni da quando si è ufficialmente aperta la trattativa per l'acquisizione di Stx France, controllata dalla coreana STX Offshore & Shipbuilding e dallo Stato stesso, da parte di Fincantieri. Parigi ha una quota del 33 per cento nella ex Chantiers de l'Atlantique. Ha diritto di prelazione sulle azioni ancora in mano ai coreani e, in virtù della legge sulle società strategiche, ha il potere di stroncare sul nascere qualsiasi operazione suscettibile di ledere gli interessi nazionali. Il Governo francese, ad avviso dei presentatori del presente atto, non si blinderà contro Fincantieri, ma ha i mezzi per ottenere un accordo vantaggioso e tutelare know how e occupazione;
    pur nella diversità dei vari contesti, le metodologie di scalata di questi asset sembrano seguire un copione prestabilito: rastrellamento di azioni, intese e acquisizioni strategiche, manovre di borsa, con l'obiettivo di affossare o gonfiare, a seconda delle esigenze, il valore del titolo; se necessario, lancio dell'offerta pubblica di acquisto e, infine, acquisizione. La Borsa non appare più come il luogo dove le imprese si finanziano, ma come il luogo dove si può perdere il controllo della propria impresa, senza che sia possibile intervenire, a causa della preponderante potenza finanziaria della controparte;
    il sistema bancario nazionale, da sempre perno centrale della capitalizzazione delle imprese nazionali, si trova nel cuore di una profonda crisi determinata dalla necessaria ristrutturazione e non è più in grado di capitalizzare le imprese. L'annoso problema dei crediti in sofferenza, eredità della recessione, ha eroso il patrimonio degli istituti. Le banche in questi anni hanno dovuto concentrarsi sempre più sul rafforzamento del loro capitale e in questo modo si è creato un vuoto. Le imprese, pertanto, si ritrovano o sottoquotate o sottocapitalizzate e il loro valore reale è superiore al valore di mercato: questa situazione è stata definita «capitalismo senza capitali»;
    secondo la relazione trasmessa al Parlamento «in materia di esercizio dei poteri speciali», dal Ministro per i rapporti col Parlamento e redatta dal Comitato di coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali (periodo 3 ottobre 2014 al 30 giugno 2016), il golden power finora si è rivelato un'arma spuntata. Il bilancio appena pubblicato dal Governo mette in luce tutte le fragilità di una normativa che appare inadeguata in una fase storica dominata da un'ondata di investimenti esteri. Nel periodo, sono stati emanati solo 2 decreti con prescrizioni su 30 operazioni notificate, e mai si è arrivati a porre il veto. Circa il 47 per cento delle notifiche ha riguardato operazioni nel settore della difesa e sicurezza nazionale, il 23 per cento le comunicazioni, il 17 per cento l'energia, il 13 per cento i trasporti;
    secondo il Comitato, l'attuale meccanismo «entra in gioco in maniera tardiva e cioè solo a seguito di decisioni già programmate e/o assunte dalle aziende». Il rapporto «ritiene auspicabile perseguire obiettivi atti ad indirizzare ed accompagnare le scelte più importanti della vita di una società». L'obiettivo deve essere «(...) assicurare continuità alla protezione degli assetti strategici nazionali attraverso la tutela nei confronti di manovre acquisitive che sottendono all'obiettivo di sottrarre tecnologie e know how industriale e commerciale essenziale per la competitività del sistema Italia». «(...) Il mondo sta cambiando velocemente e anche gli strumenti di difesa devono aggiornarsi, come del resto stanno facendo competitor come Germania e Regno Unito». «(...) Lo squilibrio in termini di fusioni e acquisizioni (merger and acquisitions) è nei numeri e merita di essere approfondito»;
    il decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, predisposto dal Governo pro tempore Monti, disponeva che i provvedimenti attuativi fossero aggiornati ogni tre anni. Quindi si apre proprio nel 2017 una finestra utile per aggiornare la normativa. Componenti del Governo hanno rilasciato alcune dichiarazioni (relative al periodo in cui l'operazione «Mediaset-Vivendi» era all'attenzione della pubblica opinione), per cui il golden power potrebbe essere esteso per campo di applicazione e per modalità di esercizio, ad esempio prevedendo una fase negoziale tra Governo e investitore straniero per confrontarsi sui piani. In entrambi i casi, il Governo punterebbe a ottenere garanzie su permanenza in Italia di asset produttivi strategici, competenze e posti di lavoro. Potrebbero essere fissati nuovi obblighi, in modo particolare per operazioni di fonte extra Unione europea o effettuate da imprese di Paesi che non rientrano tra le economie di mercato. Il Governo afferma che si valuta «(...) l'opportunità di introdurre una regolamentazione che incrementi gli obblighi di trasparenza a carico degli acquirenti, esaminando anche le normative vigenti in altri Paesi e nell'Ocse». Si ritiene possibile l'introduzione di una norma ispirata alla disciplina relativa alla Securities and Exchange Commission, l'autorità di Borsa americana, nella quale si impone all'investitore che supera l'acquisto del 5 per cento di fornire alla Consob un'informativa dettagliata sui piani di investimento, quanto meno in situazioni strategiche o di potenziale conflitto di interessi;
    assistere oggi alla cessione, alla svendita o al trasferimento di aziende centrali non solo per il loro portato economico in termini occupazionali e di sviluppo di indotto, ma persino operanti in settori definiti «strategici», come Telecom Italia, o, a suo tempo, Alitalia, mostra come, nell'attuale fase, l'azione dell'Esecutivo risulti ad avviso dei presentatori del presente atto di indirizzo insufficiente rispetto alla fase di deindustrializzazione che sta attraversando il nostro Paese e che occorra adottare nuove e straordinarie misure a tutela del tessuto produttivo italiano, del risparmio degli italiani, del know how italiano e di conseguenza a tutela della base occupazionale nazionale. In questo quadro, i rischi connessi alla vicenda Assicurazioni Generali SpA-Axa-Unicredit, rappresenta un ulteriore salto di qualità, in quanto è in gioco il risparmio nazionale e il possesso di innumerevoli asset industriali;
    in conclusione, si valuta assai negativamente e si guarda con allarme la serie di acquisizioni estere elencate nella citata relazione, che, per questa parte, non copre l'anno 2016, ma si limita agli anni 2014-2015. Si riporta testualmente: «Nel 2014-2015 sono state acquistate da soggetti esteri tra l'altro imprese siderurgiche italiane (Acciaierie di Temi dalla Germania e di Piombino dall'Algeria), di telefonia (Telecom Italia dalla Francia e Wind dalla Russia), industriali (Pirelli dalla Cina, Italcementi dalla Germania, Indesit dagli USA), farmaceutiche (Rottapharm dalla Svezia, Sorin dagli USA, Sigma-Tau Pharma Ltd dagli USA e Gentium S.p.a. dall'Irlanda), finanziarie (Istituto Centrale delle Banche Popolari Italiane S.p.a. dagli USA, BSI – Banca della Svizzera Italiana dal Brasile), della moda e del lusso (Krizia dalla Cina, oltre a numerose operazioni negli anni precedenti da Francia e paesi arabi in particolare), alimentari (numerose operazioni di dimensioni minori), oltre agli acquisti di quote percentuali limitate ma significative in volume di investimenti di società industriali, finanziarie e bancarie da parte della State Administration of Foreign Exchange cinese e della People's Bank of China (ENI, ENEL, FCA, Telecom Italia, Prysmian, Mediobanca, Generali, Saipem, Terna, Intesa Sanpaolo, UniCredit, Banca Monte dei Paschi di Siena)»,

impegna il Governo:

1) ad avanzare proposte di integrazione della legislazione vigente a livello comunitario, per completare la regolazione comunitaria sui poteri speciali, a tutela delle tecnologie e delle capacità industriali e occupazionali dell'Unione europea, anche in relazione alla competizione messa in atto da Paesi a sistema economico non di mercato;
2) ad operare affinché venga istituita una cabina di regìa europea sui poteri speciali, anche al fine di ridurre le asimmetrie tra i Paesi membri derivanti dal recepimento della direttiva europea in materia e dal concreto esercizio degli stessi in ciascun Paese;
3) tenendo conto della relazione del Comitato di per l'esercizio coordinamento per l'esercizio dei poteri speciali costituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, a cooperare con i gruppi parlamentari per lo sviluppo di iniziative legislative che – nel rispetto della disciplina comunitaria in materia finanziaria e per la libera circolazione dei capitali – promuovano l'estensione della normativa sui poteri speciali dello Stato anche alle società nazionali operanti nel settore finanziario, dopo aver verificato se sia necessario e opportuno superare i limiti previsti dalla legislazione vigente, che considera i poteri speciali applicabili solo ai settori difesa e sicurezza, energia, Telecomunicazioni e trasporti, in analogia con quanto hanno stabilito da altri Paesi europei;
4) a procedere rapidamente alla attuazione di quanto disposto dal comma 7 dell'articolo 1 del decreto-legge 15 marzo 2012, n. 21, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 maggio 2012,   n. 56, aggiornando la normativa per l'individuazione delle attività di rilevanza strategica nel settore difesa e sicurezza nazionale;

5) ad assumere iniziative affinché siano rafforzati, per il soggetto che notifica l'operazione di acquisizione, gli obblighi di assoluta informazione e trasparenza, secondo le richieste del Comitato di coordinamento.
(1-01525)
(Ulteriore nuova formulazione) «Lupi, Tancredi, Garofalo, Vignali, Bosco, Misuraca, Sammarco, Scopelliti».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:

  interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-15977 del 20 marzo 2017;
  interrogazione a risposta in Commissione Nuti n. 5-11045 del 5 aprile 2017;
  interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-11046 del 5 aprile 2017;
  interrogazione a risposta scritta Dieni n. 4-16351 del 20 aprile 2017.