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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 12 maggio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    secondo quanto reso noto dalle associazioni di categoria sulla base dei dati del Crea (Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria), gli eventi calamitosi causati dai cambiamenti climatici hanno provocato in Italia danni alla produzione agricola nazionale, alle strutture e alle infrastrutture per un totale di oltre 14 miliardi di euro nel corso dell'ultimo decennio;
    con la riforma del fondo di solidarietà nazionale introdotta dal decreto legislativo n. 102 del 29 marzo 2004 è entrata a regime la nuova normativa in materia di assicurazioni agricole agevolate, conforme alle disposizioni comunitarie ed in linea con le nuove esigenze economiche derivanti dal processo di modernizzazione delle imprese agricole. Gli agricoltori possono assicurare, usufruendo di un contributo statale: le produzioni agricole da eventi atmosferici avversi e da fitopatie e infestazioni parassitarie; le strutture aziendali da eventi atmosferici avversi; gli allevamenti zootecnici dai danni economici derivati dalle più frequenti epizoozie; il proprio reddito;
    il sistema italiano delle assicurazioni contro le avversità atmosferiche (nonostante un trend positivo che era durato dal 2006 al 2014) ha visto ridursi il valore delle produzioni agricole vegetali assicurate di oltre 1,6 miliardi di euro (diminuzione del 26 per cento) in 2 anni passando dal 6,4 miliardi del 2014, massimo storico del settore, a 4,7 miliardi nel 2016 (dati Ismea, Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare);
    dopo anni di crescita, dal 2015 è evidente la preoccupante tendenza a diminuire il ricorso alla agevolazione pubblica per la difesa del reddito;
    le motivazioni che stanno portando alla crisi del sistema della gestione del rischio sono essenzialmente le seguenti:
     gravi problematiche relative al sistema di gestione del rischio a livello nazionale che hanno portato ad un aumento degli adempimenti (manifestazione di interesse, Pai – domanda di sostegno, domanda di pagamento), a nuovi costi burocratici per le aziende agricole ed a gravissimi ritardi nell'erogazione dei contributi del Psrn – programma di sviluppo rurale nazionale;
     elevato numero di anomalie originato da problemi di interscambio dati tra regioni e sistema informativo agricolo nazionale (Sian) con rallentamento delle pratiche e possibili perdite di contributi;
     le procedure burocratiche relative alle modalità di calcolo delle rese da assicurare che svantaggiano proprio le imprese che producono con maggior valore aggiunto, i giovani che beneficiano dei contributi di primo insediamento e gli accorpamenti aziendali, non consentendo di assicurare le effettive produzioni aziendali;
     i prezzi massimi per assicurarsi, recentemente pubblicati dal Ministero, che per molte colture di pregio risultano talmente penalizzanti ed ingiustificati, alla stregua della realtà del mercato, da non consentire alle imprese, anche se assicurate, di conseguire un indennizzo conveniente ed adeguato alla realtà commerciale, come pure sarebbe possibile in base ai contratti assicurativi;
     continui e comprovati ritardi da parte del Ministero e degli altri enti preposti all'attuazione delle procedure per la gestione e l'erogazione dei contributi, anche sulle polizze per la zootecnia e le strutture per le annualità 2015 e 2016, finanziate con fondi nazionali;
     un sistema assicurativo basato su pacchetti di avversità atmosferiche spesso non confacenti alle esigenze delle imprese agricole;
    per alleviare la situazione di ritardo della pubblica amministrazione, i Condifesa (le associazioni di imprese agricole con finalità mutualistiche che stipulano le polizze collettive di assicurazione per conto dei loro associati) non hanno richiesto una parte dei costi delle polizze, pari ai contributi comunitari, sostenendo conseguentemente una grave esposizione bancaria,

impegna il Governo:

   ad intervenire rapidamente affinché vengano saldati i pagamenti dei contributi a carico del programma di sviluppo rurale nazionale alle aziende per gli anni 2015 e 2016 risolvendo le molteplici anomalie, anche di interscambio di dati, che hanno causato i ritardi, senza penalizzare le imprese che non possono farsi carico delle inefficienze amministrative;
   ad assumere iniziative per utilizzare immediatamente il fondo di solidarietà nazionale, con le modalità previste dal decreto legislativo n. 102 del 2004, per erogare i contributi per gli anni 2015 e 2016 relativi allo smaltimento delle carcasse animali e alle strutture aziendali, consentendo l'immediato rientro delle risorse ai Condifesa che hanno anticipato i contributi pubblici, pagando integralmente i costi delle polizze;
    ad assumere iniziative per superare le numerose incertezze normative circa la compilazione dei piani assicurativi individuali che rendono difficoltoso il lavoro dei Caa (Centro autorizzato assistenza agricola), a partire dalla normativa sulla certificazione delle rese produttive, che deve comprendere la documentazione dei danni atmosferici subìti ad integrazione della produzione ottenuta, dalle rese delle uve fino ai quantitativi consentiti dai disciplinari delle uve a denominazione e ai relativi esuberi di produzione;
   ad assumere iniziative per semplificare le procedure per i controlli a campione sulle aziende agricole beneficiarie del contributo;
   ad assumere iniziative per erogare ai Condifesa i contributi dovuti, realizzando una effettiva semplificazione, già ritenuta possibile dalla Commissione europea e non ancora attuata;
   a prevedere che l'emissione del bando relativo al programma di sviluppo rurale nazionale del 2016 e l'avvio delle procedure che portano all'erogazione dei relativi contributi avvengano inderogabilmente entro il 30 maggio 2017;
   ad assumere iniziative per semplificare e rivedere il sistema nazionale di gestione del rischio e il piano di sviluppo rurale nazionale in modo da consentire l'erogazione dei contributi agli agricoltori entro il 31 dicembre di ogni anno modificando sostanzialmente il decreto ministeriale 12 gennaio 2015, n. 162, e prevedendo una procedura semplificata di accesso al contributo per le aziende agricole;
   ad approvare entro il mese di settembre il piano assicurativo nazionale 2018, consentendo una maggiore flessibilità delle polizze contro le avversità atmosferiche al fine di contenere i costi, adattarsi con maggiore adeguatezza ai rischi climatici cui sono soggette nelle diverse regioni le imprese agricole e prolungare i tempi per l'assicurazione delle colture, come avvenuto anche nel 2015 e nel 2016 dopo ripetute proroghe;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per modificare il principio base della norma comunitaria che consente di finanziare polizze assicurative che indennizzino solo danni superiori alla soglia del 30 per cento rispetto alla media delle produzioni aziendali dei 3 anni precedenti o dei 5 anni precedenti, escludendo quello migliore e quello peggiore, prevedendo una riduzione della soglia di danno al 20 per cento e sostenendo efficacemente in seno al Consiglio dell'Unione europea gli emendamenti recentemente approvati dal Parlamento europeo in Commissione agricoltura.
(7-01258) «Fiorio, Luciano Agostini, Romanini, Taricco, Terrosi, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI, CASTELLI, AGOSTINELLI, CECCONI, CIPRINI, GALLINELLA, DAGA, BUSTO, DE ROSA, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa dell'11 maggio 2017 si è appreso che il Consiglio dell'Unione europea si è riunito in data 10 maggio 2017 in sede di Coreper, non ha trovato un accordo sul dossier «disastri naturali» che finanzia la ricostruzione attraverso il fondo «Fondo europeo di sviluppo regionale»;
   dal comunicato diffuso dalle europarlamentari Rosa D'Amato e Laura Agea del gruppo EFDD si apprendono altri dettagli: «Questo stallo ha il gravissimo effetto di non permettere la votazione di un accordo provvisorio, già previsto per giovedì 18 maggio in Commissione Sviluppo Regionale del Parlamento europeo e dunque di ritardare l'approvazione della modifica del regolamento a dopo l'estate»;
   il parere contrario sarebbe stato espresso dalla Germania forte dell'appoggio di Olanda, Regno Unito, Austria, Svezia, Danimarca e Finlandia;
   l'accordo avrebbe comportato solo un anticipo dei pagamenti, senza nessuna incidenza sul bilancio pluriennale –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   quali iniziative si intendano adottare in sede europea per chiedere che vengano rispettati gli impegni per la ricostruzione delle zone colpite dai sisma del 2016 che nei mesi scorsi sono stati annunciati a più riprese;
   quali iniziative intenda adottare il Governo al fine di garantire la necessaria copertura finanziaria degli interventi di ricostruzione nel caso in cui l'Unione europea non dovesse rendere disponibili le risorse richieste. (3-03018)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Pieve Torina in provincia di Macerata opera un ristorante, «Il vecchio molino», che dal mese di ottobre 2016, dopo aver firmato una regolare convenzione, fornisce i pasti giornalieri per gli uomini dei vigili del fuoco che operano nell'area del cratere sismico;
   da fonti stampa si apprende che i proprietari si trovano attualmente in gravi difficoltà economiche, perché dal mese di dicembre non vengono più pagati per il servizio reso, circa 200 pasti al giorno, e vantano un credito con lo Stato di circa 150 mila euro;
   dalle ultime notizie apprese dal sito « quifinanza.it» sembrerebbe che i gestori del ristorante abbiano ricevuto rassicurazioni per le quali il pagamento dovrebbe avvenire entro alcuni giorni –:
   se il Governo sia a conoscenza dei motivi che hanno portato a questa condizione di mancata corresponsione di quanto dovuto a fronte del servizio reso sulla base di apposita convenzione;
   quante siano le attività che hanno sottoscritto convenzioni con lo Stato per affrontare la fase di emergenza post sisma e che vantano crediti come nel caso esposto in premessa;
   come si intenda intervenire per fare in modo che i pagamenti avvengano con tempistiche in grado di non, mettere in difficoltà le attività che già soffrono per le conseguenze del sisma e lo spopolamento dei territori. (4-16568)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le proprietarie del ristorante il Vecchio Mulino di Casavecchia di Pieve Torina (Macerata), – località duramente colpita dal sisma del 24 ottobre 2016 –, il quattro maggio 2017, lanciavano un disperato appello attraverso il social network Facebook, per denunciare il mancato rimborso da parte dello Stato per la Convenzione stipulata con i vigili del fuoco;
   nell'appello, scrivono che dal mese di novembre 2016 non ricevono più aiuti e rimborsi, pertanto, se lo Stato non garantisce ed eroga le fatture emesse, rischiano di chiudere l'attività;
   la struttura, aveva stipulato una convenzione per 200 pasti al giorno con i vigili del fuoco mettendo a disposizione il locale già all'arrivo dei primi soccorsi proprio per garantire loro il vitto;
   i vigili del fuoco, infatti, hanno una convenzione speciale secondo la quale è lo Stato a dover pagare il vitto;
   le proprietarie – scrivono su Facebook – «Siamo state contattate dai Vigili del Fuoco per fare la convenzione con i pasti. All'inizio facevamo avanti e indietro da Porto Potenza. Procurarsi le materie prime non è stato mai semplice: 200 pasti giornalieri erano tanti e i soldi pian piano finivano»;
   nel mese di novembre 2016 lo Stato invia un primo pagamento, cioè quello riferito alle prime fatture emesse e tale pagamento ha consentito di poter retribuire il personale e pagare i fornitori;
   il loro accorato appello era già stato al centro della cronaca locale e regionale, proprio perché dopo il pagamento del mese di novembre 2016, nulla è più seguito malgrado il ristorante continui l'attività e nonostante un esposto in prefettura;
   le proprietarie sono oppresse dai debiti con i fornitori e, purtroppo, anche il personale – per maggior parte cittadini senza una casa o che ha perso la propria attività – non può essere retribuito per il lavoro svolto;
   la titolare, nei giorni scorsi, chiamava il comando dei vigili del fuoco di Macerata dichiarando a mezzo stampa: «Mi avevano detto di aver richiesto al Ministero la somma di 120.000 euro per pagare tutti i ristoratori delle province di Macerata e Ascoli i pasti consumati nel mese di dicembre, volevo sapere qual'era stato l'esito ma mi hanno detto che il Ministero ha respinto la loro richiesta. Io devo ancora prendere 150.000 euro di pasti, mi hanno pagato solo il mese di novembre, mi sono indebitata con tutti, con i fornitori, con le banche, sul conto mi sono rimasti 500 euro, lavoro con 10 persone a cui non riesco neanche a pagare gli stipendi. Quando mi arriveranno i soldi, dovrò pagare anche gli interessi sulle somme che ho dovuto chiedere» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se quanto sopra affermato dalle proprietarie della struttura corrisponda al vero, e in caso affermativo, quali siano i motivi che hanno impedito i rimborsi pari a 150 mila euro – dopo il solo erogato nel mese di novembre 2016 – da parte dello Stato, nonostante le fatture presentate da «Il Vecchio Mulino di Casavecchia» di Pieve Torina, relative alle spese sostenute per garantire i pasti ai vigili del fuoco;
    se il Governo non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza affinché siano date risposte certe sui tempi e sui modi di rimborso dei pagamenti sostenuti da «Il Vecchio Mulino di Casavecchia» di Pieve Torina, per fare sì che esso non debba chiudere l'attività a causa dei debiti accumulati per i mancati rimborsi mai pervenuti da parte dello Stato;
   quante siano ad oggi le attività con sede nelle zone colpite dal terremoto nei mesi di agosto e ottobre 2016 e gennaio 2017, a cui lo Stato deve ancora erogare i rimborsi per le spese da esse sostenute nell'ambito delle convenzione per i pasti con lo Stato. (4-16572)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il referendum costituzionale del 16 aprile 2017 che renderà la Turchia, dal 3 novembre 2019, una repubblica presidenziale – ha determinato la chiusura del processo di adesione della Turchia all'Unione europea, avviata oltre dieci anni fa. Le conseguenze più evidenti per l'Occidente in generale, non solo per l'Europa, riguarderanno il destino della sua appartenenza alla Nato, perché la Turchia potrebbe entrare nella sfera di influenza della Russia;
   in particolare, questo referendum trascina la Turchia verso un modello più vicino alle autocrazie orientali. È abolita la figura del Primo Ministro e l'Esecutivo viene affidato al capo dello Stato, il quale ha il potere di nominare e dimettere i Ministri e di sciogliere il Parlamento. Al Presidente viene anche trasferita buona parte del potere legislativo con la possibilità di emanare i decreti legge senza mai passare dal Parlamento. Vacilla anche l'autonomia del potere giudiziario perché al presidente o al suo partito è assegnata la nomina dei membri del Consiglio superiore della magistratura. Inoltre, ogni azione giuridica nei confronti del capo dello Stato deve avere l'approvazione di due terzi dei parlamentari;
   il Governo turco, il 29 aprile 2017, ha oscurato Wikipedia, la famosa enciclopedia online gratuita, dal contenuto libero, collaborativo, multilingue. La motivazione ufficiale alla misura protettiva recita «per la sicurezza nazionale e l'ordine pubblico». A quanto si apprende dall'agenzia Anadolu, il Ministro dei trasporti accusa Wikipedia «di essere diventata la fonte di informazione per gruppi che conducono una campagna diffamatoria contro la Turchia nell'arena internazionale». Apparentemente Ankara sarebbe stata messa sullo stesso piano di alcuni gruppi terroristici non meglio identificati, dando l'impressione che la Turchia sia uno stato sostenitore del terrorismo (affermazione, tra l'altro, non del tutto infondata, dati i documenti forniti dal Governo russo in relazione ai rapporti di Ankara con lo Stato Islamico). La notizia è stata inizialmente diffusa dal sito Turkey Blocks, un osservatorio online sulla libertà e l'accesso alla rete nel Paese, il quale ha spiegato che gran parte delle voci di Wikipedia sono attualmente irraggiungibili dagli utenti che utilizzano server turchi;
   non è la prima volta, infatti, che il regime del presidente Erdogan si serve della censura per risolvere i problemi provenienti di internet: non è infatti possibile arrestare o malmenare tutti gli internauti (come è prassi invece con i giornalisti), di conseguenza già diverse volte il Governo di Ankara ha oscurato YouTube o i principali social network come Twitter e Facebook;
   dopo il tentato golpe del 15 luglio 2016, con il pretesto di mantenere la sicurezza nazionale e della lotta al terrorismo, la repressione nei confronti dell'opposizione in Turchia ha raggiunto livelli altissimi, con l'arresto di migliaia tra militari, magistrati, professori, intellettuali, giornalisti e la chiusura di centinaia di giornali e radio critiche nei confronti di Erdogan, tanto che Reporter Senza Frontiere ha posizionato la Turchia al 155o posto al mondo per libertà di stampa, definendola «la più grande prigione per i professionisti dei media»;
   vanno considerati i rapporti commerciali e la presenza massiva di cittadini e di imprese italiane in Turchia;
   va tenuto conto altresì della vicenda del documentarista italiano Daniele Del Grande, arrestato il 9 e rilasciato il 21 aprile 2017 in Turchia –:
   quali concrete iniziative intenda promuovere, in sede europea e internazionale, per far cessare la spirale autoritaria e favorire il processo democratico in Turchia, a partire dal rispetto dei diritti umani e della libertà di stampa e di pensiero;
   quali iniziative intenda adottare per tutelare i cittadini italiani che si trovano in Turchia e promuovere gli scambi culturali e commerciali tra l'Italia e la Turchia, come strumento per favorire la democrazia. (5-11345)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CANCELLERI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il riparto del Fondo unico per lo spettacolo (Fus) tra le fondazioni lirico sinfoniche avviene annualmente, sulla base dei criteri sanciti dal decreto ministeriale 3 febbraio 2014, tali criteri prevedono la ripartizione del 50 per cento in ragione della quantità prodotta, valutata con «punteggi» per alzata di sipario, secondo le varie tipologie di spettacolo ex articolo 2 del citato decreto ministeriale;
   la ripartizione della quota «quantitativa» del Fondo unico per lo spettacolo per le fondazioni lirico sinfoniche per il 2016 è avvenuta secondo gli indicatori di produzione registrati dalle fondazioni lirico sinfoniche nell'anno solare precedente;
   il documento che riporta la ripartizione è il decreto del direttore generale dello spettacolo dal vivo del 17 ottobre 2016 sulla base delle valutazioni della commissione consultiva per la musica di cui al prot. 12330 del 3 ottobre 2016;
   analizzando il prospetto delle varie aliquote ripartite, colpisce vedere che teatri notoriamente molto produttivi stiano molto al di sotto di teatri meno produttivi (come, ad esempio, il Teatro Massimo di Palermo che supera in graduatoria teatri notoriamente più attivi);
   secondo un'analisi condotta dall'interrogante sul prospetto di «autovalutazione» della attività artistica prodotto del Teatro Massimo di Palermo, contenuto nel bilancio 2015, pare presentino delle incongruenze. Infatti, anche effettuando una simulazione «massimalista» sull'attività artistica realmente prodotta (ossia conteggiando ben 2 prove aperte al pubblico e ritenendo tutti i titoli operistici prodotti di categoria «a» ex articolo 2 del decreto ministeriale 3 febbraio 2014) si perverrebbe a 1484,5 punti del Fondo unico per lo spettacolo contro i 1576,5 dichiarati dalla fondazione. Considerato che un punto Fondo unico per lo spettacolo equivale a 4888,18 euro, ad avviso dell'interrogante, sembra rivelarsi un'anomalia nelle risorse spettanti al Teatro Massimo –:
   se il Ministro interrogato intenda intraprendere dei controlli su quanto «autocertificato» dalle fondazioni lirico sinfoniche e quali iniziative intenda assumere nel caso specifico del Teatro Massimo di Palermo, alla luce di quanto segnalato in premessa. (5-11346)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 1 della legge n. 304 del 1986 all'interno degli enti del Ministero della difesa operano professionisti biologi, chimici e psicologi;
   il rapporto di lavoro tra l'amministrazione e questi professionisti è regolato dagli accordi collettivi nazionali stipulati ai sensi dell'articolo 48 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, e del comma 8 dell'articolo 8 del decreto legislativo n. 502 del 1992, così come modificato dal decreto legislativo n. 517 del 1993 e dal decreto legislativo n. 229 del 1999;
   negli anni purtroppo si è assistito ad una progressiva riduzione delle convenzioni sanitarie, contratte dal Ministero della difesa con professionisti esterni sia in senso assoluto che per il monte ore pro-capite concesso;
   la legge n. 304 del 1986 è stata emanata per consentire al dicastero di colmare lacune organiche, attesa la necessità per le Forze armate di garantire il supporto sanitario in tempo di pace e di guerra sia sul territorio nazionale sia in territorio estero, cosicché, se i sanitari, militari di carriera, possono essere inviati all'estero è grazie anche alla presenza dei sanitari convenzionati che assicurano o sopperiscono alle assenze con le proprie prestazioni sanitarie, nei nosocomi, infermerie e presidi sanitari;
   i professionisti convenzionati hanno assolto gli incarichi affidati, nell'osservanza scrupolosa delle clausole contrattuali, regalando alle Forze armate straordinari esempi di abnegazione e spirito di sacrificio, «per aver lavorato oltre gli orari di servizio, in giornate festive quando richieste in orari notturni se necessario»;
   questa categoria di professionisti lavora con il Ministero della difesa da più di vent'anni ed è assimilata ai dipendenti, per effetto dell'applicazione nell'ambito della Difesa, dell'accordo collettivo nazionale per gli specialisti ambulatoriali dei convenzionati con il servizio sanitario nazionale;
   in diverse occasioni la commissione paritetica ha richiamato l'attenzione delle Forze armate, affinché si attivassero in fase di formazione del bilancio per ottenere che lo stanziamento dei fondi previsti per pagare i convenzionati della Difesa fosse allocato sul capitolo di spese obbligatorie, alla stregua delle spese per i dipendenti, perché come per quest'ultimi gli importi di spesa si conoscono preventivamente;
   purtroppo, ciò non è mai avvenuto arrecando gravi disagi ai professionisti che denunciano una progressiva riduzione del monte ore ed il mancato rispetto dell'accordo collettivo nazionale –:
   per quali ragioni si sia fino ad oggi disatteso l'accordo collettivo nazionale stipulato con dette categorie di professionisti e quali iniziative intenda assumere il Governo per la sua effettiva applicazione garantendo piena valorizzazione della loro professionalità, adeguato monte ore e stanziamento di adeguate risorse da allocare nei capitoli delle spese obbligatorie. (4-16566)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'ARIENZO e NARDUOLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Crediveneto, banca di credito cooperativo, creata più di un secolo fa ed ingranditasi in virtù della fusione con altre realtà di credito cooperativo più piccole, non esiste più dal maggio 2016;
   con il manifestarsi della crisi economica, la BCC ha subito un importante deterioramento del credito e, pur tuttavia, si era attestata su livelli di perdita accettabili fino a registrare persino un utile di bilancio nell'ultimo esercizio 2014;
   il 7 maggio 2016, un giorno prima dell'assemblea convocata a Cerea, sul sito della Banca d'Italia, compariva un laconico comunicato: «Il 6 maggio è stato emanato dal Ministro dell'Economia e delle Finanze, su proposta della Banca d'Italia, il decreto di liquidazione coatta della BCC Crediveneto. Le attività e i rapporti con la clientela di Crediveneto sono stati rilevati da Banca Sviluppo (Gruppo ICCREA). L'intervento assicura la tutela di tutti i creditori della banca, inclusi gli obbligazionisti subordinati [...]»;
   l'operazione di liquidazione, sia per quanto riguarda il patrimonio che le passività, è avvenuta al corrispettivo di 1 euro e ha determinato la perdita di 80 posti di lavoro e del capitale sociale costituito dalle quote sottoscritte dai soci;
   tale operazione rientra nell'applicazione della direttiva europea n. 2014/59/EU BRRD che conferisce poteri che la Banca d'Italia può adottare per la gestione della crisi di una banca;
   Banca d'Italia, nell'applicazione di tale direttiva, ad avviso degli interroganti non ha attivato i necessari procedimenti di informativa e in contraddittorio con la compagine sociale, né tramite organismi federativi del movimento del credito cooperativo, né tramite il consiglio di amministrazione ed il collegio sindacale, e non ha effettuato ritualmente e valutazioni del patrimonio con le modalità imposte dalla disciplina di settore;
   l'organo di vigilanza aveva già condotto un'approfondita attività ispettiva nell'anno 2014 rilevando criticità nel comparto dei crediti alla clientela, ma dal verbale non rilevava alcun provvedimento o sanzione nei confronti degli amministratori; Crediveneto subiva una nuova visita ispettiva da parte dell'organo di vigilanza alla fine del 2015;
   sempre con la supervisione dei sopracitati organismi si arrivava alla redazione del bilancio di esercizio 2015 che il consiglio di amministrazione metteva a disposizione dei soci nei termini di legge a metà aprile 2016. Tale bozza di bilancio decretava una perdita di circa 80 milioni di euro riducendo il capitale, sociale da circa 120 a 40 milioni. Pertanto, esistevano ancora risorse per salvaguardare i posti di lavoro e il patrimonio costituito dalle azioni sottoscritte dai soci;
   a causa del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, decretato dal Ministero dell'economia e delle finanze in data 6 maggio 2016, tale bilancio non è mai stato sottoposto all'approvazione dei soci, prevista nell'assemblea dell'8 maggio 2016 mai avvenuta;
   se per il personale dipendente è stato raggiunto un accordo nell'ambito della procedura di cui alla legge n. 223 del 1991 e l'uscita di 68 risorse in diverse modalità, rimangono irrisolti altri due problemi relativi:
    a) ai soci che, in possesso dei soli documenti prodotti dall'amministrazione di Crediveneto, sostengono la tutela dei propri diritti di soci cooperatori ex Crediveneto che riguardano la legittimità della «messa in liquidazione» e il «recupero del valore delle quote del capitale sociale»;
    b) al territorio che, privo di un interlocutore economico di riferimento, lamenta la perduta azione di supporto alla cittadinanza, agli enti, alle associazioni e alle stesse amministrazioni –:
   quali elementi possa fornire il Ministro interrogato in ordine ai presupposti di fatto e di diritto della liquidazione coatta amministrativa della banca Crediveneto, alla luce delle dinamiche sopra citate e di quanto rilevato dai soci;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere per tutelare risparmiatori e soci e salvaguardare i livelli occupazionali e il tessuto produttivo locale duramente colpito dalla perdita di un istituto di credito con finalità mutualistiche e fortemente radicato sul territorio. (4-16570)


   CIMBRO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con rdm. n. 102547/2016 del 31 marzo 2017, il comando generale della guardia di finanza in Roma disponeva il movimento del colonnello L.A.C. da comandante del reparto operativo aeronavale di Como a comandante del Centro addestramento di Bologna;
   dopo aver ereditato nel 2014 un reparto numericamente in deficit e con una professionalità circoscritta, il colonnello C. era riuscito nel corso di soli due anni a sistemare numerose problematiche presenti, facendo sì che finalmente il reparto riuscisse a trovare una propria dimensione professionale, assurgendo al ruolo di sicuro interesse e pregnante presenza nel contesto del territorio lombardo-piemontese. Il trasferimento, dunque, sembrerebbe quasi punitivo, considerata la deminutio in termini di poteri in capo al colonnello, il quale, mentre in passato manteneva sotto la propria azione di comando ben cinque reparti operativi esterni per un totale di circa centocinquanta uomini, con 4 elicotteri e 11 unità navali, con il disposto movimento si ritroverebbe a reggere un ufficio composto unicamente da sei dipendenti;
   a mero titolo d'esempio, oltre ai numerosi obiettivi raggiunti, sempre condivisi con la superiore gerarchia, preme evidenziare come risultasse necessaria la permanenza in loco per almeno un altro anno al fine di concludere una serie di impegni professionali come protocolli d'intesa con le autorità di bacino di elevato risalto operativo oltre che di notevole visibilità per il prestigio del Corpo, con un sicuro vantaggio economico per la Guardia di finanza, destinataria per gli anni 2016-2017 di beni logistici e adeguate sovvenzioni per un controvalore di circa 60.000,00 euro, grazie all'assunzione personale di responsabilità in merito da parte del colonnello C. Inoltre, mentre nel 2014 furono concessi solo 9 encomi semplici e 9 elogi, a partire dal 2015 il numero degli encomi semplici e degli elogi concessi è progressivamente aumentato: rispettivamente 19 e 12 nell'anno 2015, 43 e 41 nel 2016, e infine, nei primi mesi del 2017 sono stati concessi 34 encomi e 5 elogi. Giusti riconoscimenti morali alla professionalità e al sacrificio del personale;
   appare sorprendente, pertanto, la maturazione dell'avvicendamento, senza che il colonnello C. a quanto risulta all'interrogante venisse neppure anticipatamente contattato e atteso che i precedenti comandanti hanno comunque sempre maturato una permanenza presso l'odierna sede di oltre 4 anni di servizio d'istituto. Nel caso del colonnello C. i 4 anni sarebbero maturati nel novembre 2018 e dunque si sarebbe potuto semmai valutare l'avvicendamento nel contesto della prossima pianificazione dei dirigenti per l'anno 2018 –:
   quali siano i motivi alla base di tale trasferimento, dato che il movimento alla sede di Bologna provocherebbe un danno gravissimo e ingiusto, anche alla luce del rilevante lavoro svolto nel contesto lombardo-piemontese. (4-16577)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUPO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 59 del 2016, convertito dalla legge n. 119 del 2016, recente «Disposizioni urgenti in materia di procedure esecutive e concorsuali, nonché a favore degli investitori in banche in liquidazione», all'articolo 4, comma 1, lettera c), ha modificato l'articolo 532, comma 2, c.p.c., in materia di vendita a mezzo di commissionario, stabilendo che «Il giudice fissa altresì il numero complessivo, non superiore a tre, degli esperimenti di vendita, i criteri per determinare i relativi ribassi, le modalità di deposito della somma ricavata dalla vendita e il termine finale non superiore a sei mesi, alla cui scadenza il soggetto incaricato della vendita deve restituire gli atti in cancelleria [...]»;
   il suddetto decreto-legge, all'articolo 4, comma 1, lettera h), prevede altresì che «all'articolo 591, secondo comma, dopo le parole “fino al limite di un quarto” sono aggiunte le seguenti: “e, dopo il quarto tentativo di vendita andato deserto, fino al limite della metà”»;
   inoltre, in base all'articolo 540 c.p.c., qualora vengano restituiti gli atti al giudice e non vi siano istanze di integrazione del pignoramento, questi dispone la chiusura anticipata del processo esecutivo, la restituzione al debitore dei beni oggetto di pignoramento anche quando non sussistano i presupposti di cui all'articolo 164-bis delle disposizioni attuative c.p.c. (secondo cui durante il procedimento esecutivo immobiliare il giudice può, a seguito del primo infruttuoso esperimento di vendita, rendere appetibile il bene pignorato e, nel contempo, consentire la soddisfazione anche parziale del creditore procedente, abbassando il prezzo d'asta ad ogni successivo esperimento di vendita, con riduzione entro il limite di un quarto rispetto al prezzo fissato in precedenza);
   all'interrogante risulta che le novità introdotte dal decreto-legge n. 59 del 2016, benché abbiano effetti retroattivi, non abbiano ad oggi condotto alla chiusura anticipata dei numerosi processi esecutivi in corso;
   il previsto meccanismo dei continui ribassi favorisce perlopiù i terzi offerenti, consentendo di acquistare l'immobile a prezzi ben al di sotto di quelli di mercato, e svantaggia sia il creditore pignoratizio che il debitore esecutato; infatti, il primo, a causa dei continui ribassi, corre il rischio concreto di soddisfarsi con una somma di denaro molto inferiore rispetto al credito inizialmente vantato; il debitore esecutato, d'altro canto, si vedrebbe portar via l'immobile di sua proprietà ad un prezzo così basso da risultare assolutamente inidoneo a soddisfare le pretese dei suoi creditori;
   la conseguenza della mancata applicazione della novità introdotta dal decreto-legge n. 59 del 2016 è lo spoglio del debitore dal possesso del bene che, nelle more della chiusura del processo esecutivo, vede diminuire il proprio valore, senza per altro che i creditori siano soddisfatti –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire i dati relativi all'applicazione della nuova disciplina in materia di espropriazione forzata, così come modificata nel 2016, da parte dei tribunali dei capoluoghi di regione;
   quali benefici processuali la suddetta riforma abbia apportato in termini di economicità e di rapporto tempi/costi ed eventualmente quali criteri di applicazione siano stati seguiti. (4-16567)


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sono presenti negli Emirati Arabi Uniti numerosi cittadini italiani indagati o condannati per gravi reati (fra gli altri: l'ex parlamentare di Alleanza Nazionale, Amedeo Matacena, l'ex amministratore delegato di Eutelia, Samuele Landi, il costruttore Andrea Nucera e la compagna Simona Musso, il boss del narcotraffico Raffaele Imperiale, il magnate Alberico Cetti Serbelloni) per le quali le autorità di giustizia emiratine sistematicamente hanno denegato l'estradizione in assenza di accordi fra i due Paesi, di talché l'eventuale rilascio dell'interessato potrebbe avvenire solo per mera cortesia diplomatica, a mezzo di espulsione dello straniero;
   orbene, a fronte di ciò il Governo italiano aveva finalmente concluso i trattati di estradizione e di mutua assistenza giudiziaria tra l'Italia e gli Emirati Arabi Uniti, quali sottoscritti dalle parti il 16 settembre 2015;
   tuttavia, successivamente risulta che il Governo pro tempore e quello in carica non si sono attivati in alcun modo onde presentare alle Camere con urgenza il dovuto disegno di legge d'iniziativa dell'Esecutivo per l'autorizzazione alla ratifica dei citati trattati, pur considerando che appare dubbia la sua applicazione per le richieste estradizionali anteriormente presentate alle autorità emiratine;
   i dubbi ventilati in ordine all'assenza di riferimenti alla presenza della pena capitale negli Emirati Arabi Uniti non appaiono fondati, laddove medesimo accordo di cooperazione è vigente con altri Paesi, tra cui gli USA, e posto che sussiste giurisprudenza costituzionale che esclude l'estradizione dall'Italia di soggetti potenzialmente assoggettabili alla pena di morte nel Paese di rinvio (Corte costituzionale n. 223 del 1996: cosiddetto caso Venezia per l'estradizione di un cittadino italiano imputato omicidiario verso la Florida, USA);
   l'aspetto della mancata ratifica risulta, inoltre, ancor più grave a fronte del fatto che le competenti autorità emiratine hanno ratificato il trattato sin da metà febbraio 2017, come risulta confermato da notizie di stampa –:
   quali iniziative intenda porre in essere il Ministro interrogato onde pervenire sollecitamente entro la fine della legislatura alla presentazione del disegno di legge di ratifica degli accordi di cooperazione giudiziaria con gli Emirati Arabi Uniti.
   (4-16578)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOGNATO, FRANCO BORDO, FOLINO, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è in corso una vertenza tra le organizzazioni sindacali alcune società concessionarie del servizio autostradale le quali stanno procedendo, unilateralmente, alla progressiva eliminazione nel turno notturno tra le ore 22,00 e le ore 6,00 del personale di servizio addetto alle operazioni di riscossione dei pedaggi, assistenza agli utenti in caso di guasti o malfunzionamento dei varchi automatizzati, controllo degli accessi in autostrada, prospettando altresì di estendere tale riduzione anche agli orari diurni;
   in data 7 febbraio 2017 la direzione generale per la sorveglianza sulle concessionarie autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha emanato una circolare indirizzata a tutte le società concessionarie richiamando le medesime «alla necessità di prevedere per ogni stazione un presidio fisico H24 finalizzato a garantire all'utenza autostradale un'assistenza immediata nei casi di cattivo funzionamento o in qualsiasi altra ipotesi in cui il cliente si trovi in difficoltà», circolare che segue quella del 2 luglio 2014;
   a quanto risulta agli interroganti è attualmente pendente un ricorso innanzi al Consiglio di Stato promosso dalla stessa direzione generale per la sorveglianza sulle concessionarie autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti contro la società «Strada dei parchi spa» concessionaria autostradale dell'A24 e dell'A25, per annullamento della sentenza del Tar la quale si esprimeva sulla circolare del luglio 2014;
   in data 28 marzo durante il tavolo convocato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le parti istituzionali hanno confermato la necessità di mantenere il presidio H24 dei caselli autostradali tramite la presenza fisica del personale addetto;
   in data 18 aprile 2017 si è tenuto uno sciopero nazionale promosso unitariamente dalle organizzazioni sindacali di settore, per riaffermare la necessità di mantenere i presidi di personale in orario notturno presso le stazioni autostradali;
   la scelta delle società concessionarie di eliminare progressivamente i presidi notturni la paventata opzione di estendere la riduzione di personale anche in altre fasce orarie determina una criticità in ordine alla salvaguardia dei livelli occupazionali, nonché rischia di pregiudicare le condizioni generali di sicurezza degli utenti delle infrastrutture autostradali –:
   quali iniziative il ministro intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze, affinché venga assicurata da parte delle società concessionarie autostradali l'osservanza delle disposizioni della direzione generale per la sorveglianza sulle concessionarie in merito al presidio continuativo lungo tutto il «nastro» orario giornaliero o dei caselli autostradali da parte del relativo personale. (5-11344)

Interrogazione a risposta scritta:


   SARRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 2 febbraio 1975 veniva costituita, in Piedimonte Matese (Caserta), la cooperativa Floriana con lo scopo di realizzare un intervento di edilizia residenziale pubblica;
   nello stesso anno il comune concedeva – in diritto di superficie – i suoli e stipulava apposita convenzione, ai sensi dell'articolo 35 della legge n. 865 del 1971, impropriamente con l'Irec (Consorzio interventi regionali edilizia cooperativa), soggetto attuatore dell'intervento e non la cooperativa soggetto committente e beneficiario;
   gli alloggi venivano completati nel 1981 e da allora abitati dagli assegnatari, tutti soci della medesima cooperativa;
   con atto di pignoramento del 3 novembre 1984 l'istituto bancario erogatore del mutuo, agiva nei confronti dell'Irec, aggredendo il compendio immobiliare in questione;
   i soci della cooperativa che già avevano interamente pagato i lavori di realizzazione delle abitazioni, si vedevano costretti – con ulteriore significativo esborso di denaro – anche a tacitare la banca pignorante;
   al fine di dissipare ogni incertezza ed evitare altri inconvenienti, il comune con deliberazione n. 485/90 e con convenzione n. 5/92 precisava che l'assegnazione dei suoli si intendeva ab origine effettuata in favore della cooperativa Floriana quale concessionaria del diritto di superficie e vera committente dei lavori che l'Irec aveva semplicemente provveduto a gestire;
   poiché nella citata procedura esecutiva erano intervenuti altri creditori dell'Irec, la cooperativa Floriana a tanto si opponeva (R.G.8693/92) ottenendo, dal tribunale di Santa Maria Capua Vetere in data 14 aprile 1993, ordinanza di sospensione dell'esecuzione, poiché nessuno dei creditori intervenuti era abilitato, ex articolo 60 del regio decreto 1165/1938, a pignorare case economiche e popolari;
   dichiarato il fallimento dell'Irec dal tribunale di Roma con sentenza n. 690 del 1994, la curatela con istanza del 30 aprile 2002 chiedeva la riassunzione della procedura esecutiva sospesa;
   il tribunale di Santa Maria Capua Vetere, con sentenza 2428/2004, accoglieva l'opposizione della cooperativa Floriana dichiarando definitivamente estinta la predetta procedura esecutiva e ordinando la cancellazione del pignoramento;
   tale pronuncia e stata ribaltata dalla corte di appello di Napoli con sentenza n. 700 del 15 febbraio 2017;
   dopo 33 anni di giudizi e dopo aver pagato sia l'importo delle loro abitazioni, sia il debito con l'istituto di credito (in cui vivono da 33 anni), i soci della cooperativa sono ora esposti al rischio di perdere gli alloggi ormai conferiti nella massa fallimentare;
   risulta evidente che le finalità pubblicistiche sottese ad ogni intervento di edilizia residenziale pubblica (acquisizione coattiva dei suoli, realizzazione di alloggi con caratteristiche predefinite, loro assegnazione con criteri sociali, previsione di agevolazioni fiscali e di accesso al credito e altro) sono incompatibili con quelle proprie del fallimento che mira a vendere i beni liberamente conseguendo il massimo profitto;
   la descritta situazione è, altresì, pregiudizievole per gli interessi dello stesso comune che ha attivato la procedura espropriativa, concesso le aree in diritto di superficie ed adeguato la pianificazione territoriale, il tutto per finalità sociali e non certo speculative –:
   se i Ministri interrogati non intendano adottare iniziative anche di tipo normativo per rafforzare i meccanismi di tutela per gli assegnatari di alloggi di edilizia residenziale pubblica, evitando così che possano determinarsi in futuro casi analoghi a quello descritto in cui gli interessati, nonostante abbiano pagato due volte l'importo degli immobili, prima come assegnatari dell'Irec, poi per risolvere il contenzioso con la banca pignorante, si vedono oggi, dopo ben 33 anni, esposti al rischio di perdere le suddette case per i motivi enunciati in premessa. (4-16569)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   SANTELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   gli sbarchi dei migranti sulle coste italiane hanno già superato la cifra record di 40 mila, oltre 10 mila in più dello stesso periodo del 2016;
   a fronte della stima di almeno 200 mila immigrati per il 2017 il Ministero dell'interno ha completato il piano per la gestione dei migranti, attraverso la trasmissione alle regioni della lista dei nuovi centri permanenti per i rimpatri;
   in Calabria gli stranieri saranno accolti entro il mese di luglio 2017 nella struttura di Mormanno;
   Mormanno, il cui territorio è posizionato strategicamente, rappresenta il cuore del parco nazionale del Pollino, la più grande area protetta in Italia ad alta vocazione turistica;
   l'accoglienza dei migranti in un territorio caratterizzato da un eccellente brand turistico e posizionato nell'area naturale e più estesa dell'Italia, potrebbe ostacolare e compromettere fortemente l'economia dell'intero territorio e la sua prestigiosa bellezza;
   la scelta di strutture d'accoglienza in Calabria, in posti come Mormanno, di certo andrebbe a ledere l'elevata vocazione turistica;
   così facendo, nonostante la presenza sull'intero e vasto territorio calabrese di altri centri, dislocati in zone più predisposte all'accoglienza, la regione rischia di convertire i suoi brand turistici in luoghi deputati all'accoglienza;
   è fondamentale, a fronte di tale scelta, sapere se vi sia stato un accordo tra gli enti preposti e a chi appartenga la struttura scelta, quale sia il grado di coinvolgimento del comune e del parco e, il ruolo esercitato da regione e Ministero –:
   quali siano gli orientamenti del Governo in relazione a quanto esposto in premessa;
   se sia vero che Mormanno figuri nella lista del Ministero dell'interno come centro per i rimpatri regionale;
   ove ciò trovi conferma quali siano le regioni per cui si è arrivati a questa scelta e se siano stati interpellati la regione Calabria e il parco nazionale del Pollino e se sia stato coinvolto nel procedimento decisorio il comune di Mormanno;
   se, vista la posizione di Mormanno, sito nel cuore del Pollino ad alta vocazione turistica, sia stato sentito il parere del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo. (3-03017)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Caserta versa in profonda crisi finanziaria. L'ente, in dissesto e senza fondi in cassa, è incapace di provvedere alla manutenzione degli istituti e delle strade, nonché di pagare gli stipendi ai propri dipendenti (due le mensilità arretrate, ndr). Proprio a causa di questa crisi finanziaria dell'ente chiuderanno anche le scuole superiori;
   la decisione è stata annunciata in una nota a firma del presidente facente funzioni della provincia, Silvio Lavornia, che spiega che «nelle prossime ore, probabilmente domani mattina, sarà firmato il decreto che dispone la chiusura di tutti gli edifici di competenza provinciale che ospitano le scuole superiori e che risultano senza le necessarie autorizzazioni prescritte dalla normativa in materia di antincendio, agibilità, staticità e sicurezza sul lavoro. Di ciò è stata informata anche la direttrice dell'Ufficio Scolastico Regionale della Campania, Luisa Franzese, per l'adozione dei provvedimenti di propria competenza»;
   la decisione è stata assunta al termine dell'incontro tenuto nella tarda mattinata dell'11 maggio presso la prefettura di Caserta, presieduto dal vice prefetto vicario Gerlando Iorio unitamente al vice prefetto Vittoria Ciaramella, e convocato dietro richiesta urgente dello stesso Lavornia, che nei giorni scorsi aveva sollecitato il Palazzo del Governo a convocare sulla vicenda un apposito comitato per la sicurezza e l'ordine pubblico allargato anche ai sindaci del territorio;
   all'incontro ha preso parte il dirigente del settore scuola Paolo Madonna, e il responsabile del Comitato genitori degli studenti delle superiori Umberto Marzuillo, secondo cui «è a rischio il futuro dei nostri figli e dello stesso territorio; concretamente potrebbero saltare gli esami di Stato così come l'inizio del prossimo anno scolastico». Lavornia ha anche relazionato la prefettura sul fatto che a breve, dopo la chiusura dell'istituto tecnico Buonarroti, posto sotto sequestro dalla magistratura, la stessa sorte potrebbe capitare ad altri quattro istituti in cui i carabinieri hanno già effettuato dei sopralluoghi riscontrando, come nel caso del Buonarroti, gravi problemi di staticità dell'edificio. Proprio per questo la provincia ha deciso di rompere gli indugi e chiudere tutti gli istituti;
   Lavornia ha sostenuto: «È l'ultima decisione che avrei voluto prendere in vita mia perché, da insegnante, mai mi sarei sognato di chiudere una scuola soprattutto in un territorio difficile qual’è Terra di Lavoro, contrastando anche con i miei principi di educatore. Il Governo sordo non ha voluto ascoltare le nostre richieste di aiuto, non ha raccolto finora nessun nostro appello rendendo praticamente la Provincia un Ente morto incapace di assolvere a qualsiasi funzione e compito istituzionale attribuitogli tanto dalla Costituzione quanto dalla normativa vigente. Mi dispiace per gli studenti e per le loro famiglie, per i docenti e gli operatori scolastici tutti» –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo al fine di garantire il normale svolgimento dell'attività didattica e la sua continuità;
   quali iniziative urgenti intenda porre in essere il Governo, per quanto di competenza, al fine di consentire alla provincia di Caserta di espletare le sue funzioni istituzionali, ivi compresa quella della gestione degli istituti scolastici;
   se non si ritenga necessario convocare un tavolo di confronto con le parti interessate al fine di risolvere primariamente il problema dei mantenimento in funzione dei plessi scolastici. (4-16571)


   MOLTENI, PAGANO e ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come è noto, secondo i dati periodicamente forniti dal Ministero dell'interno, e come, altresì, diffusamente riportato dalle notizie di stampa, negli ultimi mesi si è assistito ad un vertiginoso aumento degli arrivi di immigrati irregolari che dalla rotta del Mar Mediterraneo centrale sbarcano sulle coste italiane, ormai con cadenza quotidiana e in numero sempre più massiccio;
   secondo i dati forniti dal Ministero dell'interno – dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, tra i porti maggiormente interessanti dagli sbarchi vi è al primo posto quello di Augusta, in provincia di Siracusa, che dall'inizio dell'anno in corso al 26 aprile 2017, ha registrato ben 9.293 arrivi, quasi il doppio rispetto al porto di Catania (5.518) che è, invece, al secondo posto;
   a titolo esemplificativo e secondo quanto si apprende dalla stampa, il 7 maggio 2017 si è verificato un nuovo consistente arrivo di immigrati ad Augusta, precisamente 985 condotti nel porto dalla nave Gregoretti, un numero esorbitante che si somma a quello degli immigrati fatti sbarcare alla stessa data negli altri porti siciliani di Pozzallo (408) dal pattugliatore d'altura Fiorillo e di Messina (507) dalla nave militare spagnola Esps Canarias;
   le attività di recupero e soccorso in mare (search and rescue) sono regolate da una serie di accordi internazionali, principalmente la Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare del 1982 (Convenzione UNCLOS o di Montego Bay), la Convenzione internazionale per la sicurezza della vita in mare del 1974 (Convenzione SOLAS) e la Convenzione internazionale sulla ricerca e il soccorso in mare del 1979 (Convenzione SAR o di Amburgo);
   la Convenzione SAR, in particolare, prevede che i naufraghi debbano essere condotti nel luogo sicuro (place of safety) più vicino e dispone precisi obblighi di cooperazione tra i Paesi responsabili delle aree di ricerca;
   secondo quanto emerso dal rapporto di Frontex « Risk Analysis for 2017», nonché dalle dichiarazioni, riportate anche dalla stampa, del procuratore di Catania, Carmelo Zuccaro, negli ultimi mesi si è assistito ad un improvviso proliferare di unità navali di organizzazioni non governative, fino a 14 assetti navali, che battono bandiera di diversi Stati anche europei, e che tali navi ormai conducono il 40 per cento delle operazioni Sar sulla tratta del Mediterraneo centrale –:
   di quali Paesi battano bandiera le navi che hanno attraccato al porto di Augusta dal 1o al 10 maggio di quest'anno, quali siano i proprietari delle medesime unità navali e il numero degli immigrati fatti sbarcare giornalmente dalle stesse nel porto di Augusta e se degli sbarchi siano avvenuti anche in altri porti della provincia di Siracusa;
   per quale motivo siano stati condotti nel porto di Augusta e, alla luce di quanto disposto dalle convenzioni sopra richiamate, se vi siano quali e quali siano gli accordi in vigore con i Paesi cui battono bandiera le navi che hanno attraccato nei porti di Siracusa. (4-16574)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   CENTEMERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la provincia di Caserta si trova in stato di dissesto finanziario dal 2015 e non è in grado di far fronte alla ordinaria amministrazione, tra cui si colloca il servizio di manutenzione delle scuole superiori, e di garantire loro i servizi minimi;
   in seguito a questa situazione rischiano la chiusura 93 dei 97 istituti superiori della provincia, uno dei quali già chiuso e tre dei quali non apriranno il prossimo lunedì 15 maggio, in quanto privi del certificato di agibilità e della autorizzazione antincendio; la decisione coinvolge circa 56 mila studenti, compresi quelli che devono affrontare la maturità nei prossimi mesi;
   la condizione critica era nota alle autorità già da tempo: la rete informale dei genitori delle scuole superiori casertane aveva incontrato il facente funzioni di presidente della provincia, Silvio Lavornia, alla fine di marzo 2017, proprio in considerazione della impossibilità di gestire anche la minima e ordinaria amministrazione in seguito alla mancata risoluzione della questione del finanziamento alle province rimaste sospese per effetto della mancata riforma costituzionale e dell'approvazione della «legge Delrio»;
   sempre in quel periodo lo stesso Presidente Lavornia aveva annunciato che sarebbe stato costretto suo malgrado a sospendere le attività degli istituti scolastici, non avendo più le capacità minime necessarie ad assicurare la continuità dell'erogazione del servizio;
   la chiusura degli istituti superiori della provincia di Caserta è in generale un evento di una gravità assoluta, che si aggrava ulteriormente se si considera che si è ad un mese dalla fine della scuola e poco più dall'inizio degli esami di Stato, momento che conclude un ciclo scolastico e un periodo della vita di questi studenti che avrebbero il diritto di affrontarlo in un contesto il più possibile sicuro e sereno –:
   quali urgenti ed immediate iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, al fine di assicurare, nel più breve tempo possibile, che gli istituti della provincia vengano riaperti e messi nelle condizioni di accogliere gli studenti nella massima sicurezza, avendo presente che il diritto all'istruzione è sancito dalla Costituzione, che è dovere del Governo rendere effettivo questo diritto e che è ormai risaputo che l'investimento sulla cultura, sull'istruzione e sulle giovani generazioni costituisce un impegno fondamentale per una società civile e volta allo sviluppo e alla crescita. (3-03019)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto zooprofilattico di Torino ha segnalato la presenza di contaminanti quali cesio 137 nei cinghiali prelevati a scopi venatori in Piemonte a conferma della possibilità che i cinghiali veicolino inquinanti pericolosi per la salute umana. Dalle dichiarazioni della direttrice dell'Istituto, Maria Caramelli — su Repubblica Torino in concomitanza del convegno nazionale «Operazione cinghiale: salute ed equilibrio della fauna, tutela e sicurezza del consumatore», del 10 marzo 2017 nella sede torinese dell'Istituto zooprofilattico del Piemonte, Liguria e Valle d'Aosta – si evince il ruolo del cinghiale come «sentinella» della salute dell'ambiente e degli animali domestici in quanto segnalatori della presenza di inquinanti radioattivi e come campanello d'allarme per la circolazione di microrganismi importanti per la salute dell'uomo e per la zootecnia moderna. Da ciò l'evidenza della necessità di rigorosi controlli sanitari ad ampio spettro sugli animali abbattuti, in contrapposizione con l'andamento dei controlli ad oggi stimati, in Italia, inferiori al 10 per cento del totale degli animali uccisi in attività di caccia;
   dal verbale della seduta n. 81 del 2 marzo 2017 della regione Toscana si evince che, secondo l'assessore Remaschi, ammontano sino a quella data a ben 93.306 i cinghiali abbattuti per l'anno in corso, in aumento rispetto alla media di 100.000 animali annui, al netto delle altre specie di ungulati uccisi in attività di caccia e di controllo nel medesimo periodo. L'assessore riferisce che i centri di lavorazione in Toscana sono in tutto 4 (quattro), con solo 1.246 capi lavorati, ed i centri di sosta sono in tutto 9 (nove);
   la sentenza 27 giugno 2012, n. 25364, della Corte di Cassazione ricorda che gli scarti di origine animale sono sottoposti al regolamento 1069/2009 solo ed esclusivamente se siano qualificabili come sottoprodotti ai sensi dell'articolo 183, del decreto legislativo n. 152 del 2006, mentre in ogni altro caso, e a maggior ragione qualora il produttore se ne sia disfatto o li abbia abbandonati, sono soggetti al decreto legislativo n. 152 del 2006 — parte IV; 
   gli attuali numeri di ungulati uccisi, cinghiale in primis, in caccia in braccata e di selezione che si registrano in Toscana sono nettamente superiori ai quantitativi di carne di ungulati per cui sono state garantite le condizioni di refrigerazione e igienico-sanitarie previste dalle vigenti normative e dalla delibera di giunta regionale n. 1185 del 2014;
   secondo diverse fonti stampa e associazioni agricole, ambientaliste e venatorie, un'alta percentuale degli ungulati e dei cinghiali abbattuti durante le battute di caccia subiscono macellazione domestica per essere introdotti, illegalmente e senza adeguati controlli, nel circuito della vendita al dettaglio e nella ristorazione –:
   se il Governo sia a conoscenza della percentuale esatta di cinghiali che è stata sottoposta ad analisi sanitaria in Toscana rispetto ai 93.306 cinghiali abbattuti sino al 2 marzo 2017 dichiarati dell'assessore Remaschi e della percentuale esatta dei controlli sanitari effettuati su tutte le altre specie di ungulati rispetto al relativo numero di esemplari abbattuti alla medesima data, ai fini della tutela zootecnica e sanitaria;
   di quali elementi disponga il Governo circa le modalità di smaltimento della totalità dei rifiuti speciali risultanti dalla macellazione degli ungulati, e dei cinghiali in particolare, eseguita dai cacciatori autorizzati in Toscana sino alla data attuale e delle modalità adottate per garantire la completa tracciabilità dello smaltimento di tali rifiuti speciali, dal momento della loro produzione sino allo sversamento nel sito e alle modalità di smaltimento degli stessi, al fine del contrasto dello smaltimento illegale di rifiuti speciali. (4-16564)


   BUSTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   AMP Capital, una delle più grandi società di investimenti australiane, ha pubblicato un report «Gli allevamenti intensivi ci fanno ammalare ?» teso ad avvertire sull'emergenza sanitaria legata all'antibiotico-resistenza, stimata intorno 15 morti al giorno solo in Italia (7 mila all'anno), 700 mila morti nel mondo nel 2016, 10 milioni di morti entro il 2050;
   una relazione del 2016 commissionata dal Governo britannico Review on Antimicrobial Resistance, riportata dal report di AMP Capital ha stimato che l'impatto economico della resistenza agli antibiotici provocherebbe una riduzione dal 2 per cento al 3,5 per cento del prodotto interno lordo mondiale entro il 2050: circa 100 trilioni di dollari USA;
   secondo molti studi all'origine di questa emergenza ci sarebbe l'utilizzo spropositato di antibiotici negli allevamenti intensivi che da soli consumano oltre il 70 per cento degli antibiotici prodotti nel mondo;
   negli ultimi 50 anni la produzione globale di carne è quasi quadruplicata, passando dagli 80 milioni tonnellate del 1964 ai 318 milioni di tonnellate nel 2014 e tale aumento è dovuto allo sviluppo del sistema di allevamento intensivo;
   le pessime condizioni igieniche e sanitarie degli allevamenti intensivi, il sovraffollamento dei luoghi, le escoriazioni e le infezioni dilaganti tra il bestiame e l'alto livello di stress si traducono in un calo delle difese immunitarie degli animali negli allevamenti e ad un aumento delle dosi di antibiotici utilizzati, speso, a scopo puramente preventivo;
   molti studi scientifici tra cui l'Organizzazione mondiale della sanità parlano su di una vera e propria emergenza sanitaria globale, una nuova pandemia, definita pericolosa al pari dell'Aids e dell'ebola nonché del rischio di un'era post-antibiotica;
   molte aziende, quali la Coop, hanno scelto di contrastare l'antibiotico resistenza. Attraverso la campagna «Alleviamo la salute» tale azienda mira ad «antibiotici-zero» in oltre 1600 allevamenti italiani. Sulla stessa linea colossi come McDonalds e Subway negli Stati Uniti hanno annunciato recentemente l'addio al pollo nutrito con antibiotici;
   alcuni Paesi del nord Europa quali Danimarca, Svezia, Finlandia, Islanda e Norvegia hanno scelto di introdurre restrizioni e controlli all'interno degli allevamenti intensivi. Inoltre, l'Olanda in soli 5 anni ha ridotto del 70 per cento l'uso degli antibiotici negli allevamenti e, ad oggi, è una delle nazioni al mondo con il più basso indice di infezioni antibiotico resistenti;
   diversi atti politici si sono rivolti su questo argomento, tra cui tra cui la mozione a prima firma Mantero, già approvata alla Camera, tesa ad impegnare il Governo ad adottare varie iniziative per prevenire lo sviluppo e la trasmissione delle malattie all'interno degli allevamenti e per incentivare sistemi di allevamento estensivo e allevamenti con metodi biologici, che garantiscano maggior rispetto del comportamento e del benessere animale, nonché una minore incidenza delle infezioni;
   l'Unione europea ha bandito l'uso di antibiotici al fine di stimolare la crescita degli animali da allevamento sin dal 2006 –:
   di quali dati disponga il Ministro interrogato relativamente alla tendenza nell'uso di antibiotici, alla frequenza di isolamento di batteri resistenti e alla mortalità dovuta all'antibiotico-resistenza;
   quali siano i cambiamenti intervenuti a fronte del divieto dell'uso di antibiotici per stimolare la crescita degli animali all'interno degli allevamenti intensivi e quali iniziative siano state predisposte dal 2006 ad oggi;
   quali iniziative intenda mettere in campo il Ministro interrogato per contrastare il fenomeno dell'antibiotico-resistenza, con particolare riguardo al controllo e alla regolamentazione dell'uso degli antibiotico all'interno degli allevamenti intensivi;
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per incentivare un diverso sistema di allevamento, più rispettoso del benessere degli animali ed in grado di mantenere standard di qualità elevati nella produzione di carne ed altri derivati animali. (4-16565)


   BUSTO e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le immagini mostrate dall'ultima puntata della trasmissione «Animali come noi» trasmessa su Rai 2 in data 18 aprile 2017, raccolte dal team investigativo le Free John Doe, avevano portato la asl di Frosinone ad adottare un provvedimento di chiusura per il macello oggetto della denuncia dal 19 al 26 aprile 2017;
   le immagini avevano portato alla luce gravi violazioni del benessere animale e delle prescrizioni igienico-sanitarie sancite dalla normativa vigente, mostrando: operai che trascinano i bufalini per la coda o per le orecchie alla linea di macellazione, sparano loro con la pistola captiva per stordirli senza la camera di macellazione, fanno passare fra lo sparo e la iugulazione diversi minuti con il rischio che gli animali siano sgozzati da coscienti; operai che legano le zampe degli animali insieme e li sgozzano in gruppo; immagini di bufalini lanciati per aria, maltrattati con pungolo elettrico e decapitati da vivi;
   le telecamere registrano la presenza di quello che potrebbe essere un veterinario pubblico, che dà indicazioni agli operai di macellare un bufalino e un vitellino direttamente sul pavimento;
   in data 4 maggio 2017 il macello del frusinate risulta aver ripreso l'attività parzialmente, come emerge dalla risposta della asl di Frosinone alle domande della giornalista Giulia Innocenzi riportate in esclusiva dal giornale online Giornalettismo in data 4 maggio 2017, destando le preoccupazioni e le critiche dei cittadini e delle associazioni a tutela animale; la risposta della asl alla giornalista Giulia Innocenzi rassicura sugli accertamenti in corso per l'identificazione del personale inquadrato, nonché sulle «azioni di verifica su tutti gli impianti del territorio provinciale»;
   i numerosi casi di illeciti avvenuti sull'intero nazionale, tra cui quello del macello di Ghedi (Brescia), hanno evidenziato la necessità di un maggiore controllo dei macelli, argomento sul quale è stata presentata la proposta di legge n. 4296 a prima firma dell'interrogante recante «Disposizioni concernenti l'utilizzo di sistemi di videosorveglianza nei macelli» –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere le iniziative di competenza per assicurare un accurato controllo degli impianti di macellazioni del frusinate;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per aumentare i controlli all'interno della filiera zootecnica a fronte dei numerosi casi di illecito riscontrati;
   se non si ritenga di assumere iniziative normative per impedire, in casi come quello del macello del Frusinate, la possibilità di riapertura, anche parziale, di tali impianti fino ad avvenuto accertamento delle responsabilità degli illeciti riscontrati e del superamento delle relative criticità. (4-16573)


   D'ALIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la commissione percorso nascite, istituita dalla regione Emilia-Romagna, sta esaminando le caratteristiche di quei punti nascita, attivi in regione, che erogano prestazioni inferiori ai 500 parti nell'anno, onde valutare se e dove sia fattibile e sostenibile la richiesta regionale al Ministero di deroga alla chiusura;
   il punto nascita dell'ospedale di Castelnovo ne’ Monti è tra quelli sottoposti a valutazione, dal 2010 ad oggi e in applicazione dell'accordo Stato-regioni è stato ivi adottato un modello operativo accreditato, atto a garantire la sicurezza di gestanti e neonati e degli stessi operatori, al di là del dato numerico dei parti, in tutte le diverse fasi e anche in situazioni di urgenza;
   il P.A.L. (piano attuativo locale) aveva a suo tempo individuato tre poli ospedalieri provinciali di riferimento, vale a dire, da Nord a Sud, Guastalla, Reggio Emilia e Castelnovo Monti, riconoscendo a quest'ultimo una particolare collocazione geografica e orografica che ne rendeva indispensabile la presenza, a servizio di un territorio piuttosto distante dal capoluogo, il cui nosocomio è raggiungibile in tempi non brevi, specie nella stagione invernale;
   il punto nascita dell'Appennino reggiano è già parte integrante del parto di ginecologia e ostetricia del predetto nosocomio, ovvero azienda ospedaliera S. Maria Nuova di Reggio Emilia, un esempio collaudato di equipe interaziendale, che consente agli operatori di svolgere la propria attività nelle due sedi, anche attraverso momenti di turnazione;
   rispetto al requisito di presenza nel punto nascita di una guardia attiva h24 del neonatologo, previsto dalla commissione nascite, è possibile aprire una riflessione, partendo dal fatto che la vicinanza chilometrica, oltre alla facilità di percorrenza stradale, fra gli ospedali di Scandiano e Montecchio rispetto a quello di Reggio Emilia, motivano e prefigurano la futura chiusura di tali due punti nascita, il che comporterebbe il trasferimento delle loro sei unità di personale medico pediatrico all'ospedale di Reggio Emilia, il cui organico passerebbe da 12 a 18 unità, a cui vanno aggiunti i 3 medici pediatri in forza a Castelnovo ne’ Monti;
   questa unificazione produrrà un'unica struttura pediatrica, realizzando una equipe di dimensione tale da consentire, nei punti nascita che rimarranno attivi, la presenza di personale medico pediatrico con guardia attiva h24 e una turnazione di personale altamente specializzato, favorendo contemporaneamente un'adeguata formazione neonatologica acquisita presso il reparto neonatologia centrale, e una siffatta organizzazione soddisferebbe appieno i criteri della commissione percorso nascite nazionale;
   l'unificazione delle due Aziende della sanità reggiane comporta una riorganizzazione dei presidi ospedalieri e dei dipartimenti ospedalieri e in questo riassetto la configurazione geografica e viaria della provincia vede l'indiscutibile necessità di disporre di presidi ospedalieri distribuiti strategicamente sull'asse nord-sud, quali appunto Guastalla, Reggio Emilia, Castelnovo ne’ Monti, com'era nel passato P.A.L. e ciò vale tanto più per il mantenimento del livello di prestazioni del presidio ospedaliero montano, giacché serve un territorio che copre un terzo dell'intera provincia –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative affinché eventuali richieste di deroga alla chiusura di punti nascita con particolare riferimento dal punto nascita di Castelnuovo ne’ Monti, siano esaminate non sulla base di una meccanica applicazione di parametri numerici, ma attraverso la valutazione dei requisiti di sicurezza che l'azienda può riuscire a garantire nel tempo, considerando anche altri fattori di rischio e disagio, che andrebbero scongiurati e che sono ascrivibili alla distanza e al vissuto di coloro che affrontano una gravidanza, persone alle quali dovrebbe essere garantita la possibilità di disporre di vie di comunicazione viaria veloci ed efficienti. (4-16576)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   LOMBARDI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con determina n. 241 dell'8 marzo 2017, l'Autorità anticorruzione ha emesso le linee guida recanti indicazioni sull'attuazione dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 33 del 2013 «Obblighi di pubblicazione concernenti i titolari di incarichi politici di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali», come modificato dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 97 del 2016;
   l'allegato 1 delle linee guida suddette reca una elencazione esemplificativa dei titolari di incarichi politici, di amministrazione, di direzione o di governo e i titolari di incarichi dirigenziali; in particolare, nell'ambito dei titolari di incarichi politici, sono individuati alcuni casi particolari, tra cui quelli relativi ai comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti;
   nello specifico nelle linee guida, si legge «Con riferimento all'individuazione dei comuni cui si applica l'articolo 14, comma 1, lettera f), l'Autorità nella delibera n. 144/2014 aveva ritenuto soggetti agli obblighi di pubblicazione della situazione reddituale e patrimoniale i componenti degli organi di indirizzo politico nei soli comuni con popolazione superiore ai 15.000 abitanti. Ciò in considerazione dell'espressa esclusione della pubblicazione di detti dati per comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, prevista dall'articolo. 1, comma 1, n. 5) della legge 5 luglio 1982, n. 441 richiamata dall'articolo 14. Occorre al riguardo evidenziare che, tra le modifiche introdotte dal decreto legislativo n. 97 del 2016, assume anche rilievo la disposizione dell'articolo 3, comma 1-ter, del d.lgs. 33/2013 che consente ad ANAC di semplificare l'attuazione del decreto trasparenza, tra l'altro, per i comuni con la popolazione inferiore a 15.000 abitanti, come precisato dall'Autorità nell'approfondimento del PNA 2016 dedicato ai piccoli comuni (Delibera 831/2016). Pertanto, alla luce delle osservazioni pervenute in sede di consultazione e in linea con gli obiettivi di semplificazione previsti dal legislatore, l'Autorità ritiene di mantenere ferma l'interpretazione già fornita con la delibera 144/2014. Quindi, nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti, i titolari di incarichi politici, nonché i loro coniugi non separati e parenti entro il secondo grado non sono tenuti alla pubblicazione dei dati di cui all'articolo 14, comma 1, lettera f) (dichiarazioni reddituali e patrimoniali). Resta, invece, fermo l'obbligo di pubblicare i dati e le informazioni di cui alle lettere da a) ad e) del medesimo articolo 14, comma 1 anche in questi comuni»;
   in data 12 aprile 2017, con la delibera n. 382, l'Anac ha sospeso l'efficacia della determina emanata l'8 marzo 2017 a causa del pendente ricorso amministrativo avviato da parte di alcuni sindacati dei dirigenti pubblici e da dipendenti di autorità indipendenti;
   tuttavia, nelle more della definizione del giudizio, sarebbe opportuna, ad avviso dell'interrogante, un intervento del legislatore per consentire l'estensione dell'obbligo di pubblicare le dichiarazioni reddituali e patrimoniali anche nei confronti dei titolari, di incarichi politici (nonché dei loro coniugi e parenti entro il secondo grado) nei comuni con popolazione inferiore ai 15.000 abitanti;
   infatti, nel nostro Paese, sono numerosi i comuni di piccole dimensioni in cui rendere più incisivi gli obblighi di trasparenza per la classe politica e sarebbe utile farlo, al fine di rintracciare eventuali fenomeni corruttivi e, più in generale, illeciti –:
   se il Ministro interrogato non reputi opportuno assumere iniziative volte a modificare l'articolo 1 della legge n. 441 del 1982 come modificata dal decreto legislativo n. 33 del 2013, al fine di estendere gli obblighi di pubblicità sopracitati a tutti i comuni italiani, indipendentemente dalla consistenza numerica della popolazione. (4-16575)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, MARTELLI, ZAPPULLA, GIORGIO PICCOLO, PIRAS, QUARANTA, ZARATTI, MELILLA, DURANTI e NICCHI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il centro studi di Assocalzaturifici ha presentato nel consueto documento Focus export regioni calzaturiere, basato sull'analisi dei dati dell'Istat, le elaborazioni relative al quarto trimestre del 2016;
   dal report si evince come neanche il 2016 sia stato l'anno della (tanto attesa) ripresa dell’export del settore. I dati si assestano su valori medi stabili, rispetto alle rilevazioni precedenti, ma con situazioni diverse da regione a regione;
   il quadro appare, in particolare, sensibilmente diversificato nelle prime 7 regioni a vocazione calzaturiera, con estremi che vanno dal +12,2 per cento dell'Emilia Romagna al –11,7 per cento delle Marche, realtà ancora fortemente penalizzata dalla contrazione delle vendite in Russia e negli Usa;
   la situazione delle Marche – più volte segnalata al Ministro interrogato, con diversi atti di sindacato ispettivo – preoccupa soprattutto per le ripercussioni che il settore calzaturiero ha sull'economia regionale, considerata la storica vocazione della regione in questo settore e la considerevole diffusione di realtà produttive di medie e piccole dimensioni attive nel calzaturiero;
   in alcuni distretti delle Marche il valore dell’export del settore pesa in modo particolarmente drammatico se si considera che il calzaturiero rappresenta nella provincia di Fermo il 62,3 per cento sul totale della manifattura e il 22,7 per cento in quella di Macerata;
   situazione che si riflette anche sul personale impiegato: nel Fermano il 66 per cento degli addetti del manifatturiero lavora nel settore calzaturiero, il 21,4 per cento nel Maceratese;
   è evidente pertanto che un calo dell’export in questo settore, soprattutto se prolungato nel tempo, ha ripercussioni molto gravi sull'intera economia regionale e sul mercato del lavoro –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per sostenere l’export delle imprese calzaturiere delle Marche, considerato che il settore rappresenta uno degli asset più importanti dell'economia regionale.
(5-11343)

Apposizione di una firma ad una mozione e modifica dell'ordine dei firmatari.

  La mozione Carnevali e altri n. 1-01612, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Alli e, contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme si intende così modificato: «Carnevali, Alli, Fiano, Gelli, Beni, Giuseppe Guerini, Patriarca, Gadda, Sgambato, Moretto, Burtone, Vico».

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta orale Covello n. 3-01860 del 19 novembre 2015.

ERRATA CORRIGE

  L'interpellanza urgente Villarosa e altri n. 2-01794 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 792 del 9 maggio 2017. Alla pagina 47178, seconda colonna, alla riga quarantacinquesima sostituire la parola: «Associazione» con la parola: «assessore». Alla pagina 47179, prima colonna, alla riga quindicesima sostituire la parola: «Associazione» con la parola: «assessore».

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   un articolo del quotidiano «La Repubblica» del 22 marzo 2017 ha richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica sulla situazione dei pescatori siciliani, dalle Egadi alle Eolie, fino a Lampedusa, costretti a contendersi i totani con la popolazione locale di delfini, i quali, oltre a nutrirsi, danneggerebbero anche le reti;
   la «concorrenza» tra uomini ed animali spiegherebbe anche l'aumento del numero di cetacei ritrovati sulle spiagge con ferite causate da fiocine o da fucili subacquei;
   la competizione è purtroppo frutto dell'eccessivo sfruttamento del mare che ha impoverito gli stock ittici. Uno sfruttamento che minaccia i pesci di tutti i mari, ma rende la situazione particolarmente critica nel Mediterraneo. Lo attesta uno studio recente dell’Hellenic Centre of Marine Research, apparso su Current Biology, secondo il quale negli ultimi vent'anni la situazione degli stock ittici nel Mare Nostrum è andata sempre peggiorando. La crescita demografica, insieme a tecnologie sempre più sofisticate – per individuare i banchi di pesci si usano anche sistemi satellitari – sono causa di uno sfruttamento dei mari sempre più intensivo. Il risultato è che in molte zone il pesce viene pescato a un ritmo più rapido di quello necessario per garantire il rinnovamento degli stock e quindi la popolazione è destinata a impoverirsi –:
   se l'attività ittica fosse stata svolta in maniera sostenibile, a salvaguardia del patrimonio ittico stesso, oggi non avrebbe ragion d'essere la «competizione» tra uomini e delfini al largo delle coste siciliane;
   tale situazione non può servire da pretesto per limitare la protezione dell'ambiente marino e dei suoi abitanti;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per evitare che le popolazioni di cetacei siano minacciate nel loro habitat naturale e per favorire la riconversione dell'attività ittica salvaguardando il reddito delle famiglie interessate. (4-16006)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che non risultano a questo Ministero informazioni verificate in merito all'asserito aumento degli esemplari di cetacei trovati spiaggiati con ferite di fiocine o di arpioni.
  Sull'argomento, si ricorda che la competenza primaria in materia spetta al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, in quanto responsabile dell'attuazione nazionale della Politica comune della pesca unionale, che ha l'obiettivo di garantire che la pesca e l'acquacoltura siano sostenibili dal punto di vista ecologico, economico e sociale, nonché dell'utilizzo del Fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca (Feamp), per gli interventi di sostegno alla sostenibilità della pesca.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, comunque, nell'ambito della attuazione della direttiva quadro sulla strategia marina (2008/CE/56, MSFD), recepita con il decreto legislativo 190 del 2010, che prevede i cetacei tra gli indicatori del buono stato ambientale, persegue con grande attenzione l'obiettivo del conseguimento di un favorevole stato di conservazione di queste importanti specie bandiera, in cooperazione con le competenti autorità nazionali e regionali, attraverso le misure di protezione e gestione nelle aree marine protette e la designazione di apposite aree di conservazione per i cetacei ai sensi della direttiva Habitat (Sic) e (Zps), e curando la gestione del Santuario dei cetacei pelagos, prima area al mondo dedicata ai mammiferi marini.
  Ad ogni modo, il Ministero continuerà a tenersi informato senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche e si rende disponibile, nell'ambito delle predette competenze collegate all'attuazione della direttiva quadro sulla strategia marina, a fornire un supporto tecnico alle altre autorità nazionali e regionali competenti al fine di favorire il conseguimento di un favorevole stato di conservazione della specie.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CIRIELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Società Autostrade Meridionali spa è l'ente esercente concessionario di Autostrade per l'Italia per la gestione del tratto Napoli-Salerno dell'Autostrada A3;
   nei chilometri, di percorrenza di competenza di tale società sarebbero imposti continui limiti di velocità differenti, che costringono chi guida a prestare attenzione più alle indicazioni delle velocità massime riportate sulla cartellonistica laterale che alla guida sicura;
   tali differenti limiti di velocità, che oscillerebbero tra i 50 e i 100 chilometri orari, generano non poca confusione nel cittadino –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se essi trovino conferma e quali iniziative ritenga opportuno adottare per garantire modalità omogenee per la fissazione dei limiti di velocità. (4-13008)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali di questo ministero.
  L'autostrada A3 Napoli-Salerno è gestita in concessione dalla società Concessionaria autostrade meridionali (Sam); può essere schematicamente divisa nelle seguenti due sotto-tratte:
   da Salerno a Pompei, con sezione autostradale e geometria invariata rispetto alla costruzione dell'infrastruttura;
   da Pompei a Barra-Ponticelli, con sezione autostradale ampliata a tre corsie a seguito dei recenti lavori di adeguamento.

  Nella prima sotto-tratta sono attualmente presenti limiti di velocità pari a 70 chilometri orari per i mezzi pesanti e 80 chilometri orari per i mezzi leggeri. Tale obbligo deriva fondamentalmente dalle sacrificate geometrie dell'asse autostradale, costruito secondo vecchi criteri non corrispondenti alla sopravvenuta normativa di cui al decreto ministeriale del 5 novembre 2001. In particolare la presenza di raggi di curvatura molto ridotti e conseguente limitata distanza di visuale libera per l'arresto, oltreché l'assenza della corsia di emergenza, determinano la necessità dell'obbligo di percorrenza a velocità ridotte.
  Per quanto attiene, invece, la seconda sotto-tratta, sono attualmente previsti limiti di velocità diffusi di 70 chilometri orari per i mezzi pesanti e 80 chilometri orari per i mezzi leggeri, con puntuali innalzamenti a 100 chilometri orari.
  Al riguardo si rappresenta che solo recentemente sono stati ultimati da parte della società concessionaria Sam i lavori relativi alla segnaletica verticale, orizzontale, retrofitting delle barriere Martellona; in tale sotto-tratta sono pertanto in corso i collaudi da parte degli organi nominati e le verifiche ai fini della sicurezza autostradale.
  Conseguentemente, a titolo cautelativo, la società ha ritenuto di limitare a 80 chilometri orari la velocità di percorrenza dei veicoli leggeri, fino a quando non saranno completate le sopra citate attività di collaudo e verifica.
  In detta sotto-tratta è presente il limite di velocità di 70 chilometri orari per i mezzi pesanti, ritenuto necessario a seguito delle verifiche sulla sicurezza, in particolare per eliminare il rischio di invasione della carreggiata opposta, nel caso di veicolo pesante in svio.
  Pertanto a seguito della conclusione delle operazioni di collaudo e verifica tuttora in corso, i limiti di velocità dei veicoli leggeri saranno innalzati dall'attuale 80 chilometri orari ai valori previsti in progetto (mediamente 110 chilometri orari), mentre rimarrà invariato il limite di 70 chilometri orari per i mezzi pesanti.
  La direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali ha comunicato che la società concessionaria ha assicurato che a breve provvederà ad innalzare i limiti di velocità per i veicoli leggeri a 110 chilometri orari delle tratte dove è stato redatto il verbale di agibilità (dal chilometro 10 al chilometro 22). Per i mezzi pesanti permarrà il limite di 70 chilometri orari.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   CULOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   recentemente si è appreso a mezzo stampa che un'impresa indiana, la Panchavaktra Group, si è proposta per realizzare un aeroporto nella valle del Mela nel territorio di Messina;
   l'infrastruttura proposta si pone l'obiettivo di fare sistema con il porto di Milazzo, con il fine ultimo di realizzare un polo intermodale di trasporto sia merci che passeggeri;
   intorno a tale ipotesi si sono venuti a coagulare un notevole consenso nella popolazione e aspettative di importanti armatori che vorrebbero aprire nuove rotte fra il porto di Milazzo ed altri porti del Tirreno;
   in merito al porto di Milazzo si presentano talune disfunzioni e ritardi relativi al piano regolatore portuale, la cui redazione è stata avviata dall'autorità portuale di Messina fino dal 13 dicembre 2000, ma per la stesura del quale la stessa ha solo recentemente (16 settembre 2016) assunto l'impegno ad avviare gli incontri propedeutici con i diversi soggetti interessati. L'inerzia decennale dell'autorità portuale di Messina determina, con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 169 del 4 aprile 2016, la necessità di operare in un nuovo scenario, talché la nota del 16 settembre 2016 prima richiamata si presenta, ad avviso dell'interrogante, come tentativo tardivo, stante il fatto che la stessa è stata formulata dopo la pubblicazione del decreto legislativo;
   risulta altresì che la medesima autorità, quale soggetto attuatore, ha in corso di imminente ultimazione degli importanti lavori di potenziamento dello scalo (avviati il 30 luglio 2010), tramite la realizzazione di nuove banchine finanziate dalla regione siciliana per un importo di 12.394.965,57 euro, di cui alla D.D.G n. 2102/14 del 28 dicembre 2008. Per tale opera, tuttavia, la medesima autorità portuale, «profilandosi la necessità di procedere alla chiusura della relativa contabilità», deve attuare nei confronti del soggetto finanziatore la usuale «trasmissione della documentazione amministrativa e contabile giustificativa dei costi sostenuti», come la stessa autorità ha rappresentato al sindaco di Milazzo nella propria nota n. 000008168/2016 del 14 ottobre 2016; osta al predetto necessario adempimento un errore contenuto nella delibera n. 36 del comitato portuale, risalente al lontano 6 novembre 2001, non ancora corretto nonostante le sollecitazioni ripetutamente avanzate dal precedente sindaco di Milazzo e recentemente ancora una volta dal sindaco attuale, «((...) macroscopico errore, di cui si chiede la correzione attraverso atto analogo, contenuto nella Deliberazione di Comitato Portuale n. 36 del 6 novembre 2001 (...)»);
   in ragione di quanto sopra, tutto ciò costituisce un intralcio al prospettato ampliamento dello scalo mamertino, con grave nocumento allo sviluppo della città di Milazzo e del comprensorio che afferisce al suo porto, isole Eolie comprese –:
   quali siano le ragioni in forza delle quali l'autorità portuale di Messina non ha ancora approntato il piano regolatore del porto di Milazzo, e quali iniziative la stessa autorità intenda assumere con riguardo al transito delle specifiche competenze all'autorità di sistema;
   quale sia l'errore contenuto nella delibera n. 36 del comitato portuale del 6 novembre 2001 che impedisce all'autorità portuale di Messina, soggetto attuatore, di perfezionare la rendicontazione delle spese alla regione siciliana e per quali motivi la stessa autorità non abbia provveduto, dopo sedici anni, a correggere tale errore, come ripetutamente richiesto dai sindaci di Milazzo che si sono succeduti nel tempo. (4-16337)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni acquisite presso la direzione generale per la vigilanza sulle autorità portuali, le infrastrutture portuali ed il trasporto marittimo e per le vie d'acqua interne di questo ministero e l'autorità portuale di Messina.
  Circa i presunti ritardi nell'adozione del piano regolatore portuale (PRP), l'autorità portuale (AP) di Messina ha riferito quanto segue.
  Alla data di estensione della circoscrizione territoriale dell'autorità portuale di Messina al porto di Milazzo nel 2000, esisteva una bozza di piano regolatore portuale redatta da un consulente del comune. Tale bozza si è rivelata inidonea rispetto alle istanze degli enti locali interessati (comuni di Pace del Mela e San Filippo del Mela, oltre che di Milazzo) nonché affetta da evidenti carenze tecniche.
  Il piano regolatore portuale andava concertato con tre amministrazioni comunali distinte, ciascuna con proprie esigenze sul territorio. Una prima bozza è stata presentata nel 2006 e negli anni sono stati avviati dei tavoli tecnici, ma solo nei mesi di giugno e luglio 2016 si è arrivati alla condivisione di una bozza con atti formali. L'autorità portuale ha diverse volte rappresentato agli organi amministrativi e politici locali le difficoltà incontrate.
  Dai desiderata degli enti locali risulta la decisa propensione del porto di Milazzo verso traffici turistici e di collegamento con le isole minori, mentre lo sviluppo commerciale del porto sarà affidato sia al costruendo pontile di Giammoro sia alle nuove banchine e all'escavo del porto, che stanno per essere portati a compimento.
  Allo stato, per la definizione dell’iter del Piano regolatore portuale, l'autorità portuale di Messina attende il completamento del percorso di accorpamento previsto dal decreto legislativo n. 196 del 2016 con l'istituzione dell'autorità di sistema portuale dello stretto nonché l'emanazione delle nuove linee guida dei piani regolatori portuali.
  Inoltre, l'Autorità portuale riferisce che non sussistono problemi di introito da parte della Regione siciliana in tema di rimborso dei pagamenti per la realizzazione delle nuove banchine finanziate dalla regione stessa, essendo il flusso contabile regolare e continuo.
  In ordine alla delibera del comitato portuale n. 36 del 6 novembre 2001, questa è considerata dall'Autorità portuale di Messina e dalla subentrata autorità di sistema portuale un atto definitivo ed efficace, peraltro mai impugnato, in quanto previamente messo all'ordine del giorno e adottato all'unanimità con pienezza di poteri da organo collegiale dotato di numero legale.
  La delibera stabilisce l'acquisizione da parte del comune di Milazzo del progetto di completamento delle opere di accosto relativo al porto e che l'autorità portuale rifonda al comune i costi sostenuti per la redazione del progetto medesimo. In delibera si afferma che il progetto sarebbe stato predisposto da un ingegnere su incarico del comune.
  Con le note citate nell'interrogazione in esame i sindaci pro tempore hanno contestato che il comune abbia mai incaricato direttamente il predetto ingegnere; in questo consisterebbe il presunto «macroscopico errore» che il comune chiede di correggere e soprattutto chiede che l'autorità portuale – oggi autorità di sistema portuale – saldi direttamente la parcella dell'ingegnere.
  A sua volta l'autorità portuale ha sostenuto di poter rifondere, in base alla propria delibera n. 36 del 2001, solo direttamente il comune per il costo da questo sostenuto relativamente al progetto, previo ricevimento della documentazione amministrativa e contabile.
  Tuttavia, fin dal 14 ottobre 2016 con nota indirizzata al comune di Milazzo e per conoscenza alla Regione siciliana, all'avvocatura distrettuale dello Stato di Messina e allo stesso ingegnere, l'autorità portuale si è dichiarata disponibile a comporre la questione insieme al comune e alla regione siciliana.
  Si evidenzia che la questione riguarda esclusivamente la corresponsione del compenso all'ingegnere progettista, senza interferire con il completamento materiale dei lavori di potenziamento del porto di Milazzo, ma semmai con la rendicontazione.
  A margine, l'autorità portuale di Messina riferisce anche che la Panchavaktra Group non ha mai preso contatti con l'autorità stessa per manifestare il proprio intendimento nei confronti del comprensorio infrastrutturale di Milazzo.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   D'ALIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 222 del 2007 è stata istituita l'area di sicurezza, individuata con decreto ministeriale 24 gennaio 2008, ritagliata tra due distinte zone marittime (Reggio Calabria e Catania) cui è stata preposta, in deroga agli articoli, 16 e 17 codice navale e all'articolo 14, comma 1, legge 84 del 1994, l'autorità marittima della navigazione dello Stretto di Messina (AMNS);
   con legge 31 del 2008 articolo 18-ter, è stata demandata ad un decreto ministeriale di natura regolamentare la disciplina dell'organizzazione e delle funzioni dell'AMNS nonché del traffico marittimo dello Stretto;
   la struttura organizzativa dell'autorità e le relative aree funzionali sono state definite con decreto ministeriale 128 del 2008; in particolare essa «ha rango corrispondente sul piano gerarchico organizzativo a quello di Direzione Marittima e dipende dal Comando generale, espleta tutte le funzioni di natura amministrativa e tecnico operativa in materia di sicurezza nell'Area di sicurezza e nei porti ivi ricadenti di Messina, Messina-Tremestieri, Reggio Calabria e Villa San Giovanni» (rilascio di concessioni, autorizzazioni ed emanazione di altri provvedimenti relativi ai servizi tecnico nautici e relativa attività di regolamentazione compresi i procedimenti amministrativi; rilascio dei certificati di sicurezza, inchieste sui sinistri marittimi, disciplina della navigazione e potere di ordinanza; controllo e monitoraggio del traffico marittimo, coordinamento e intervento nelle operazioni di ricerca e soccorso assumendo il ruolo di MRSC ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 662 del 1994, coordinamento e intervento in materia di lotta agli inquinamenti marini, controllo e vigilanza attuazione misure di sicurezza, verifica e mantenimento efficienza risorse strumentali assegnate per l'esercizio funzioni operative di controllo e monitoraggio del traffico marittimo per il perseguimento delle finalità di sicurezza preordinate);
   la legge 24 dicembre 2012, n. 228 articolo 1 commi 159, 160, 161, (legge di stabilità 2013), con un «rinvio» alla fonte regolamentare, ha soppresso l'AMNS e con una reductio ad unum, senza compromettere l'efficienza del dispositivo organizzativo chiamato a garantire l'interesse primario della sicurezza, ha affidato attribuzioni, funzioni e compiti dell'autorità soppressa alla capitaneria che ha assunto la denominazione di capitaneria di porto-autorità marittima dello Stretto, lasciando inalterata la risposta che sul piano normativo aveva ispirato il legislatore del 2007;
   avuta comunicazione ufficiale dell'accorpamento e delle risorse assegnate in data 28 dicembre 2012, il nuovo ente CP-AMS rapidamente si strutturava in linea con il quadro normativo di riferimento secondo una interpretazione letterale e logico-sistematica e avuto riguardo allo spirito della norma, e in data 3 gennaio 2013 ne dava comunicazione al comando generale;
   dopo tre mesi di lineare applicazione, senza pregiudizio alcuno all'interesse pubblica sotteso e alla gestione del personale, si interveniva con DDG n. 313 del 25 marzo 2013, su materia già compiutamente disciplinata da norme di rango superiore, operando con un atto amministrativo a giudizio dell'interrogante di dubbia competenza, una poco chiara rivisitazione di organizzazione, funzioni e compiti di un'autorità istituita con la legge 222 del 2007 (articolo 18-ter, del decreto-legge n. 248 del 2007) regolamentata (decreto ministeriale 128 del 2008) e in toto trasferita al nuovo ente (legge di stabilità 2013);
   incerta appariva la natura e le finalità dell'atto, non ricognitivo, quanto venivano enunciate solo alcune delle attribuzioni affidate dalla legge, non abrogativo di disposizioni aventi forza di legge, che richiamava alcune funzioni e una dipendenza funzionale primaria dal comando generale e gerarchica dal comando della marina, al pari degli altri direttori marittimi senza riconoscere all'autorità il rango di direzione marittima, il ruolo di MRSC, l'autonomia finanziaria necessaria;
   per quasi tre anni la CP-AMS ha operato in un quadro di assoluta incertezza normativa e di mancate risposte, dovendo assolvere a compiti ed attribuzioni affidate dalla legge e assumendo i provvedimenti necessari, di competenza del direttore marittimo, mai avvallati dal comando generale, ma neppure esplicitamente contestati, provvedimenti che solo nelle materie di competenza della direzione generale del Ministero, trovavano sollecito e positivo riscontro;
   la specificità dello Stretto di Messina già normativamente sancita, in deroga alle previgenti norme sulla suddivisione del litorale della Repubblica nelle circoscrizioni marittime, con l'istituzione dell'area di sicurezza dello Stretto e della preposizione ad essa di un'autorità unica, che costituisce il primo ponte istituzionale tra le due sponde, e che sembra trovare ulteriore riconoscimento nella nuova riforma dei porti in una logica di sistema, che non può non assumersi in un'area vasta per i problemi correlati alla conurbazione, all'aumento della mobilità, in particolare ai collegamenti fisici via mare, coniugati all'aumento dei traffici nello Stretto, non può essere mortificata –:
   se la dichiarata dipendenza funzionale e gerarchica della capitaneria di porto-autorità marittima dello Stretto dalla direzione marittima di Catania abbia un fondamento normativo;
   se sia in itinere una qualunque iniziativa normativa che, sconfessando lo spirito innovatore del legislatore del 2007 e in netta contraddizione con i principi che disegnano un nuovo sistema portuale nello Stretto, riproponga modelli organizzativi poco funzionali a garantire la sicurezza marittima nell'ambito della specificità dell'area dello Stretto di Messina;
   se non sia, viceversa necessario ristabilire un quadro di certezza del diritto attraverso la semplice revoca del provvedimento DDG 313 del 2013. (4-12431)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  L'articolo 8, comma 7, del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito con legge 29 novembre 2007, n. 222, istituì, senza oneri aggiuntivi, l'area di sicurezza della navigazione dello Stretto di Messina, alla quale fu nel contempo preposta un'autorità ad hoc (l'autorità marittima dello Stretto – A.M.S.).
  Tale autorità, nell'area suddetta e negli ambiti portuali in essa compresi, fu chiamata ad assolvere compiti amministrativi ed operativi in materia di sicurezza della navigazione, di regolamentazione dei servizi tecnico-nautici, nonché di coordinamento delle operazioni di soccorso e salvataggio in mare.
  L'individuazione dell'area marittima di giurisdizione (che comprende i porti di Messina, Tremestieri, Reggio Calabria e Villa San Giovanni) e del livello di comando dell'autorità marittima dello Stretto avvenne con il decreto ministeriale 24 gennaio 2008 n. 13/T, mentre con il decreto ministeriale n. 128 in data 23 giugno 2008 si fornì una cornice regolamentare all'organizzazione ed alle funzioni dell'autorità marittima della navigazione dello Stretto di Messina, con l'introduzione altresì di un nuovo schema di separazione del traffico per la disciplina della navigazione marittima nel predetto Stretto.
  Con quest'ultimo provvedimento fu specificata la collocazione, sul piano gerarchico-organizzativo, del nuovo ufficio marittimo che assunse, in ragione della sua peculiarità, un rango solo corrispondente a Direzione marittima.
  Recita infatti, testualmente, l'articolo 1, comma 2, del richiamato decreto ministeriale n. 128/2008: «L'Autorità marittima della navigazione dello stretto di Messina [...] ha rango corrispondente, sul piano gerarchico organizzativo, a quello di Direzione marittima e dipende dal comando generale del corpo delle capitanerie di porto».
  Posto infatti che l'architettura di sistema propria dell'amministrazione marittima periferica, come delineata dagli articoli 16 e 17 del codice della navigazione, suddivide la circoscrizione del litorale della Repubblica in direzioni marittime (zone), compartimenti marittimi e circondari marittimi, l'autorità marittima dello Stretto costituì una nuova articolazione della stessa, distinta anche nella denominazione, in ragione di quanto disposto dalla stessa norma istitutiva che volle, dichiaratamente, derogare ai succitati articoli del codice della navigazione.
  Successivamente, con la legge 24 dicembre 2012, n. 228, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» (legge di stabilità 2013 – commi dal 159 al 162 dell'articolo 1), è stato sviluppato il percorso legislativo di adozione di misure strutturali, funzionali alla drastica razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, quali finalità di interesse generale che sono state perseguite anche attraverso la soppressione della autorità marittima dello Stretto quale organo periferico ad hoc ed il contestuale «assorbimento» dei suoi compiti e delle sue funzioni nella capitaneria di porto di Messina (ora ridenominata capitaneria di porto di Messina – autorità marittima dello Stretto.
  In sintesi:
   alla capitaneria di porto di Messina – autorità marittima dello Stretto sono stati attribuiti, ex lege, appunto i compiti e le funzioni in capo all'originaria autorità marittima dello Stretto, come riflesse nel richiamato regolamento di organizzazione, ma fermi restando quelli già propri della stessa capitaneria di porto in quanto ufficio marittimo di livello compartimentale;
   è venuto meno quel rango iniziale (ovvero requiparazione al rango) di direzione marittima (così come il rapporto di dipendenza funzionale diretta dal comando generale delle capitanerie di porto) che traeva giustificazione in scelte di carattere organizzativo datate, ossia collegate ad un assetto generale del livello periferico dell'amministrazione marittima poi superato per effetto della citata norma soppressiva;
   il nuovo ufficio marittimo si incardina nell'ambito della direzione marittima di Catania – sebbene con funzioni più ampie ed autonome rispetto alle altre capitanerie di porto ma circoscritte all'area di sicurezza dello Stretto – rientrando così nell'architettura di sistema generale stabilita dagli articoli 16 e 17 del codice della navigazione.

  Per quanto attiene al concreto svolgimento dei servizi istituzionali individuati dal citato decreto ministeriale n. 128 del 2008, il descritto trasferimento di compiti ad una autorità marittima avente rango di compartimento marittimo non ha determinato particolari criticità.
  Il controllo ed il monitoraggio del traffico marittimo (V.T.S.) e l'attuazione delle misure di sicurezza nell'area dello Stretto – che, è bene ripeterlo, è rimasta invariata – continua ad essere assicurato dal preesistente centro, peraltro efficiente, aggiornato nella sua configurazione, in quanto vero e proprio precursore tra gli omologhi esistenti sul territorio nazionale.
  Il coordinamento e l'intervento nella suddetta area di sicurezza, nell'attività di lotta agli inquinamenti marini, anche in regime di emergenza locale secondo l'articolo 11 della legge 979 del 1982, nel quadro delle pianificazioni operative del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, viene esercitato in ragione delle tipiche attribuzioni a livello di Compartimento marittimo previsto dalla stessa legge.
  Il rilascio di concessioni, autorizzazioni ed altri provvedimenti di regolamentazione anche di polizia marittima relativi ai servizi tecnico-nautici, è disciplinato in ragione delle esistenti norme del codice della navigazione e del pertinente regolamento di esecuzione, nel quale si rinvengono le rispettive, distinte competenze sia della capitaneria di porto sia della direzione marittima (ad esempio, le inchieste formali sui sinistri marittimi sono riconducibili alla direzione marittima di Catania, in base all'articolo 579 del codice della navigazione).
  La gestione delle risorse economiche-finanziarie ricade, peraltro, in capo al cosiddetto «funzionario delegato» esistente presso il servizio amministrativo logistico (S.A.L.) accentrato presso la suddetta direzione marittima.
  In definitiva si sintetizza quanto segue:
   la legge ha operato soltanto un trasferimento di funzioni e compiti alla capitaneria di porto di Messina, senza variazione alcuna dell'area di sicurezza per come individuata dal decreto ministeriale 24 gennaio 2008 n. 13/T;
   sono rispettate anche nell'assetto attuale le esigenze di « spending review», che hanno ispirato le anzidette scelte legislative;
   si mantiene un dispositivo operativo commisurato alle esigenze della suddetta peculiare zona marittima per un'adeguata risposta alle eventuali emergenze relative alla salvaguardia della vita umana in mare;
   si conserva in capo alla capitaneria di porto di Messina il coordinamento S.A.R. (Ricerca e soccorso – Search and rescue) nell'area di sicurezza dello Stretto, con il ruolo ascrivibile ad un Centro secondario di soccorso marittimo (M.R.S.C., Maritime rescue sub center), con il supporto tecnico-operativo del centro V.T.S. di Messina.
   permane altresì lo status di unità costiera di guardia (U.C.G., Unit coast guard) delegata, in prima situazione operativa, dall'11o M.R.S.C. di Catania, nelle zone di mare esterne all'area di sicurezza individuata dal comma 1 dell'articolo 2 del prefato decreto ministeriale n. 128/2008, a similitudine di ogni altra Capitaneria di porto ed ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 28 settembre 1994, n. 662.
  Infine, per quanto attiene al decreto dirigenziale n. 313/2013, il quale reca misure regolanti l'assetto della capitaneria di porto – autorità marittima dello Stretto di Messina, esso costituisce momento di attuazione, in via discendente, delle richiamate norme di rango primario rientrando quindi nella ratio di conseguire, nel contempo, economia di spesa e mantenimento dell'efficacia operativa nello svolgimento in loco dei compiti istituzionali. Tale provvedimento, sebbene sia stato originariamente concepito come transitorio, conserva tuttora la sua violenza di strumento regolatore in grado di consentire alla predetta Autorità marittima di espletare le proprie linee di azione che, come già evidenziato, se per un verso sono assimilabili a quelle dei corrispondenti uffici marittimi di pari rango, per altro verso sono espressione di una peculiare autonomia funzionale che la soppressione della preesistente autorità marittima della navigazione dello Stretto di Messina non ha intaccato ma solo riassegnato a diverso, nuovo soggetto.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   GINOBLE, FUSILLI, D'INCECCO, GALPERTI, MINNUCCI, MELILLI, ANDREA ROMANO, AMATO e FERRO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la rete autostradale italiana è la rete delle autostrade presenti nel territorio della Repubblica italiana con un'estensione di circa 6.500 chilometri;
   le autostrade italiane sono gestite per la maggior parte da società concessionarie, nello specifico dal 1° ottobre 2012 l'ente concedente è il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e non più ANAS e sono in maggioranza soggette al pagamento di pedaggio;
   25 società gestiscono 5.821,5 chilometri e tra queste riveste un ruolo fondamentale la società Strada dei Parchi s.p.a. alla quale viene affidata la gestione delle autostrade A24 (Roma-L'Aquila-Teramo) di 166.5 chilometri e la A25 (Torano-Avezzano-Pescara) di 144.9 chilometri, per un totale di 281,4 chilometri;
   le due autostrade, che rappresentano non solo un servizio di pubblica utilità ma un collegamento strategico tra la dorsale tirrenica e quella adriatica della penisola, attraversano territori altamente sismici, come dichiarati dall'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20 marzo 2003;
   a tal proposito la legge n. 228 del 24 dicembre 2012 (legge di stabilità 2013) all'articolo 1, comma 183, dichiara le autostrade A24 e A25 «opere strategiche per la finalità di protezione civile» e come tali impone l'adeguamento delle stesse alla normativa antisismiche e messa in sicurezza dei viadotti, di impatto ambientale e per lavori di manutenzione straordinaria, e alla normativa che disciplina la realizzazione di tutte le opere necessarie in conseguenza del sisma del 2009. Ove vengano a realizzarsi maggiori oneri per la realizzazione dei citati interventi, il Governo, fatta salva la preventiva verifica presso la Commissione europea della compatibilità comunitaria, rinegozia con la società concessionaria le condizioni della concessione;
   gli interventi di manutenzione previste dalle leggi su citate hanno indotto la società Strada dei Parchi s.p.a. alla richiesta di un aggiornamento del piano economico finanziario (PEF) che risulta essere parte integrante della convenzione, come stabilito dalla legge n. 296 del 27 dicembre 2006; esso è stato depositato l'11 ottobre 2013 con l'avallo delle regioni Lazio e Abruzzo, risulta però ancora all'esame del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   si precisa che il 31 dicembre 2015 la concessionaria Strada di Parchi s.p.a. annuncia, durante una conferenza stampa, l'aumento delle tariffe a partire dal 1° gennaio 2016 e alcuni elementi del piano di investimento presentato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nel 2013. Un progetto di 5,7 miliardi di euro di investimento e 10 mila nuovi posti di lavoro che punta a ridurre il tragitto con la realizzazione di 40 chilometri di nuove gallerie e un nuovo tracciato sull'A25 diretto da Cerchio a Bussi, attraversando la Valle Subequana;
   dal 1° gennaio 2016 la società Strada dei Parchi s.p.a. ha disposto l'aumento delle tariffe, sui tratti di competenza, del 3,45 per cento. L'aumento è il più alto autorizzato dal Governo, dopo quello concesso alla Torino-Milano, ed è ormai diventato appuntamento fisso di ogni inizio anno: 4,78 per cento nel 2010, 8,14 per cento nel 2011, 8,06 per cento nel 2012, 8,28 per cento nel 2014. La rinegoziazione delle condizioni della concessione, in base alla legge n. 228 del 24 dicembre 2012, viene fatta anche al fine di evitare un incremento delle tariffe non sostenibili per l'utenza –:
   se il Ministro interrogato intenda comunicare lo stato dei lavori istruttori relativo al piano economico finanziario della società Strada dei Parchi  s.p.a., entro quali termini sarà approvato e, se sussistano, gli ostacoli e gli impedimenti che ad oggi non hanno ancora permesso l'aggiornamento dello stesso;
   quali siano i presupposti che permettono alla società Strada dei Parchi s.p.a. di ottenere aumenti di tariffa superiori rispetto a quelli accordati alle altre concessionarie autostradali;
   se intenda fornire delucidazioni in merito alla convenzione della società in questione che trasferisce le risorse finanziarie all'ANAS anziché al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. (4-11957)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni acquisite presso la direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali.
  Come riportato nell'atto di sindacato ispettivo, la società Strada dei parchi è concessionaria del collegamento autostradale A24 Roma-L'Aquila-Teramo e del tronco A25 Torano-Pescara in forza della convenzione di concessione sottoscritta, a seguito di procedura di gara, in data 20 dicembre 2001. Ai sensi dell'articolo 4 della convenzione vigente la scadenza della concessione è attualmente fissata al 30 dicembre 2030.
  In data 18 novembre 2009 è stata sottoscritta la convenzione unica, prevista ex lege n. 296 del 2006, integrata con l'atto di recepimento alla delibera Comitato interministeriale per la programmazione economica n. 20 del 13 maggio 2010 sottoscritto il 29 novembre 2010 e divenuto efficace ai sensi della legge n. 101 del 2008.
  In prossimità della scadenza del primo periodo regolatorio, e precisamente in data 21 marzo 2013, i competenti uffici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nel rispetto del dettato convenzionale, hanno chiesto alla società la predisposizione di un programma di investimenti per il successivo quinquennio regolatorio. Si è quindi avviato un confronto con la società, la quale il 30 giugno 2014, ha presentato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti una prima proposta di aggiornamento del piano economico finanziario (PEF) per il periodo 2014-2018, formulata ai sensi dell'articolo 11 della convenzione unica vigente, nonché della legge n. 228 del 2012.
  All'esito delle valutazioni tecniche effettuate, il 24 luglio 2014, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha chiesto di adeguare la proposta assumendo ipotesi coerenti con la normativa e la regolamentazione vigente; nel mese di agosto la società ha inviato una nuova proposta aggiornata, successivamente, nel mese di dicembre 2014.
  Il ministero ha nuovamente eccepito la permanenza di carenze derivanti, tra l'altro dalla presenza di misure compensative non contemplate dalla normativa vigente e dalla presentazione di un programma d'investimenti non sostenibile sotto il profilo tecnico, amministrativo, giuridico ed economico-finanziario: ciò in ragione sia della tipologia degli investimenti, comportanti una previsione di spesa di circa 6 miliardi di euro, sia della richiesta di proroga della concessione pari a 45 anni.
  Nel marzo 2015, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha chiesto una nuova proposta che tenesse conto di un programma d'investimenti distinto in stralci funzionali per dare priorità all'esecuzione degli interventi di messa in sicurezza, da individuare congiuntamente.
  Ad agosto 2015, seppure rappresentando la non condivisione delle richieste effettuate al riguardo, la società ha inoltrato una ulteriore proposta di piano economico finanziario che tuttavia ancora non recepiva quanto convenuto e riconfermava parte delle ipotesi contemplate nelle precedenti versioni, già ritenute non accoglibili.
  Gli investimenti inseriti nella suddetta proposta di piano economico finanziario, pari a 5.673,80 milioni di euro sono;
   adeguamento sismico viadotti 870,65 milioni di euro;
   adeguamento gallerie 159,47 milioni di euro;
   barriere acustiche e interventi di messa in sicurezza 146,68 milioni di euro;
   varianti e nuovi assi di penetrazione euro 4497,00 milioni di euro;

  Unitamente al piano economico finanziario la società ha presentato, di propria iniziativa e senza alcuna richiesta in tal senso da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, uno studio di fattibilità e il relativo progetto preliminare per la realizzazione delle varianti, dell'adeguamento sismico e delle gallerie, oltre che di interventi ambientali e di manutenzione straordinaria.
  Il 22 ottobre 2015, la società ha sottoposto una versione di piano economico finanziario cosiddetto stralcio e, il successivo dicembre, ha trasmesso un aggiornamento sotto l'aspetto sismico della proposta inoltrata ad agosto.
  In seguito, strada dei parchi ha presentato ulteriori proposte di piano economico finanziario, da ultimo il 23 novembre 2016, per un totale di 13 proposte che pur cambiando aspetti tecnici e finanziari, sostanzialmente sono equipollenti alla prima presentata.
  In sede di analisi è stato sempre riscontrato che la suddetta proposta e le successive integrazioni contemplano un programma d'investimenti non limitato alle opere di messa in sicurezza dell'infrastruttura di cui alla legge n. 228 del 2012, bensì includono interventi in variante di tracciato, che determinano, tra l'altro, un significativo incremento di spesa, sino all'importo massimo di 6,9 miliardi di euro. L'equilibrio economico delle proposte presentate è raggiunto con una consistente estensione della durata di concessione (oltre 45 anni), incrementi tariffari per tutto il periodo della concessione, la corresponsione di un valore di subentro e il riconoscimento di misure compensative.
  Tali varianti, come più volte rappresentato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non possono essere incluse nell'aggiornamento del piano economico finanziario in quanto estranee all'ambito applicativo della citata legge n. 228 del 2012.
  Per tali ragioni, si è resa necessaria l'individuazione degli investimenti strettamente riconducibili al dettato normativo afferente l'adeguamento sismico con la messa in sicurezza dei viadotti sul tracciato autostradale esistente, l'adeguamento degli impianti di sicurezza in galleria, l'adeguamento alla normativa in materia d'impatto ambientale e i lavori di manutenzione straordinaria. Tale programma, per una spesa stimata di 1.400 milioni di euro circa per il periodo 2017-2023, risulta maggiormente coerente con il dettato convenzionale e con ipotesi maggiormente in linea in termini di estensione della concessione e di variazioni del valore di subentro rispetto alla normativa comunitaria.
  A conclusione dell'istruttoria sul piano presentato questo Ministero il 13 aprile scorso ha richiesto l'iscrizione all'ordine del giorno del prossimo Comitato interministeriale per la programmazione economica.
  Per i suddetti investimenti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti inoltre ha attivato le interlocuzioni con i servizi dell'Unione europea secondo quanto previsto dalla normativa vigente e dalla citata legge n. 228 del 2012, per la parte in cui afferma che il Governo, fatta salva la preventiva verifica presso la Commissione europea della compatibilità comunitaria, rinegozia con la società concessionaria le condizioni della concessione anche al fine di evitare un incremento delle tariffe non sostenibile per l'utenza. A tal fine, nel mese di luglio 2016 e nel mese di ottobre 2016 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha inoltrato alla Commissione europea la documentazione attinente la proposta di aggiornamento/revisione del piano.
  La regione Lazio e la regione Abruzzo hanno trasmesso sia al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che alla società richiedente il parere di massima favorevole alle varianti proposte dalla società, rispettivamente in data 27 maggio 2016 e 7 giugno 2016, specificando ad ogni modo che un parere esaustivo e completo potrà essere reso nell'ambito della procedura approvativa prevista dalle normative vigenti, con il coinvolgimento di tutte le strutture regionali, secondo le rispettive competenze.
  Per quanto riguarda, gli aumenti sanitari accordati alla società, si rappresenta in primo luogo che, pur condividendo le necessità di valutare iniziative di calmierazione tariffaria, occorre evidenziare che il pedaggio autostradale è una componente fondamentale del rapporto concessorio e che lo stesso, unitamente ad altre risorse, è necessario per realizzare i programmi di manutenzione ordinaria e straordinaria che, come è noto, sono alla base del livello di servizio e sicurezza da garantire a tutti gli utenti dell'infrastruttura anche grazie alle risorse richieste all'utenza stessa che, quindi, allo stato, sono da ritenersi necessarie.
  I criteri per il calcolo dei pedaggi per la rete autostradale italiana sono stabiliti dalla specifica normativa di settore, recepita nella convenzione di concessione stipulata fra la società concessionaria autostradale e il concedente. Nel caso in esame, per strada dei parchi, gli incrementi tariffari sono determinati secondo il corrispondente contratto di concessione, che ha come riferimento le delibere Cipe n. 319 del 1996 e n. 39 del 2007 e che avviene con la seguente formula di revisione tariffaria: DT= DPprogrammata – Xriequilibrio + Kinvestimenti + βΔQ dove DT è la variazione percentuale annuale della tariffa; DP rappresenta il tasso d'inflazione programmato e X riequilibrio è il fattore percentuale di adeguamento annuale della tariffa determinato all'inizio di ogni periodo regolatorio e costante all'interno di esso; a tale riconoscimento, si aggiunge il valore K investimenti, previsto dalla predetta delibera Cipe n. 39 del 2007, che rappresenta la variazione percentuale annuale della tariffa determinata ogni anno in modo da consentire la remunerazione degli investimenti realizzati l'anno precedente quello di applicazione dell'incremento. Alla formula così determinata si aggiunge βΔQ, componente relativa al fattore di qualità calcolata secondo le modalità individuate dalla citata delibera Cipe n. 319 del 1996, nonché da quanto previsto nella convenzione.
  Le formule tariffarie previste dalla normativa stabiliscono una corrispondenza tra il pedaggio e gli investimenti effettivamente realizzati dal concessionario; nello specifico caso di strada dei parchi, per l'anno 2016, è stato riconosciuto l'incremento tariffario in funzione unicamente degli investimenti realizzati dalla società, ossia commisurato alla spesa consuntivata e riconosciuta dalla direzione per la vigilanza sulle concessionarie autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti negli anni 2014 e 2015, rispettivamente pari a 3,22 per cento e 0,23 per cento per un totale di 3,45, per cento.
  Per l'anno 2017 alla strada dei parchi è stato riconosciuto l'incremento tariffario complessivo dell'1,62 per cento di cui lo 0,16 per cento in funzione del parametro K riferito agli investimenti realizzati dalla società concessionaria nel 2016, ossia commisurato alla spesa consuntivata e riconosciuta dalla direzione per la vigilanza sulle concessionarie autostradali del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, l'inflazione programmata nella misura dello 0,90 per cento e lo 0,02 per cento relativo alla qualità. Altresì è stato applicato il differenziale dovuto alla rideterminazione tariffaria per l'anno 2015, in misura pari al +2,33 per cento e all'anno 2016 pari a -1,79 per cento.
  Quanto al trasferimento di risorse finanziarie all'Anas, si fa presente che la società strada dei parchi è l'unica concessionaria autostradale a non aver costruito a proprie spese l'autostrada che gestisce.
  Il corrispettivo di 748,9 milioni di euro è stato offerto dalla società strada dei parchi in sede di gara ed è stato rateizzato, su sua autonoma scelta, come consentito dalla documentazione di gara. L'importo annuale corrisposto dalla società ad Anas non è altro che la rata di un prezzo che, altrimenti, avrebbe dovuto essere corrisposto per intero al momento della sottoscrizione della convenzione di concessione.
  Pertanto, l'importo complessivo dovuto da strada dei Parchi a fronte della convenzione di concessione delle Autostrade A24 e A25 compete per intero ad Anas S.p.A. e non al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, non potendo intendersi ricompreso negli effetti traslativi determinati dall'articolo 36 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito con modificazioni dalla legge n. 111 del 2011, che ha previsto il subentro del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ad Anas S.p.A. nelle funzioni di concedente per tutte le convenzioni di concessione, costruzione e gestione delle autostrade.
  Occorre, altresì, evidenziare che la società concessionaria ha avanzato in data 18 febbraio 2016 una richiesta risarcimento danni, pari a circa un miliardo di euro, nei confronti di Anas relativi alla procedura di gara ed al rapporto concessorio intercorso tra il 2000 ed il 2012, notificando ad Anas ed al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, rispettivamente in data 26 e 29 aprile 2016, un atto di citazione per il suddetto pagamento dei danni.
  La stessa società, non avendo proceduto, alla data di scadenza del 31 marzo 2016, al pagamento in favore di Anas della rata del corrispettivo sopra citato relativo all'anno 2015, è stata diffidata da questo Ministero ad adempiere al pagamento in data 1o giugno 2016, pena l'attivazione della procedura di decadenza prevista dalla convenzione. Per contro, la società ha avanzato ricorso ex articolo 700 del codice di procedura civile avverso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ed Anas, volto all'ottenimento di provvedimenti di urgenza per il riconoscimento al diritto alla sospensione del suddetto pagamento.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   GRIMOLDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un veicolo può essere qualificato e classificato di interesse storico e collezionistico se la costruzione è precedente di almeno 20 a quella della richiesta di iscrizione in uno dei registri di cui all'articolo 60 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285, recante nuovo codice della strada;
   i veicoli immatricolati prima del 1960 iscritti presso un registro storico devono obbligatoriamente essere revisionati presso la sede provinciale della motorizzazione civile;
   i veicoli immatricolati prima del 1960 non iscritti ad un registro storico possono essere revisionati, in alternativa, anche presso centri privati autorizzati;
   risulta oltremodo incomprensibile questa disparità di trattamento che obbliga i veicoli iscritti ai registri (che sono per di più garanzia di valorizzazione e di cura) ad affrontare la revisione con maggiori oneri burocratici e con tempi e spostamenti molto più lunghi rispetto agli altri veicoli di pari vetustà;
   se gli incaricati delle officine private autorizzate svolgono il servizio di revisione per i veicoli costruiti prima del 1960 non iscritti ai registri, si presume che abbiano tutte le competenze necessarie per effettuare i medesimi controlli anche sui veicoli iscritti ai registri –:
   se il Ministro interrogato non ritenga penalizzante e discriminante l'obbligo di effettuare la revisione periodica dei veicoli costruiti prima del 1960 presso le sedi della Motorizzazione civile esclusivamente per quelli iscritti nei registri di cui all'articolo 60 del Codice della strada, e se quindi non intenda semplificare la procedura così come previsto per quei veicoli che non sono iscritti ai registri;
   se non ritenga opportuno equiparare i diritti e i doveri di tutti i proprietari di veicoli costruiti prima del 1960, specificando con gli opportuni provvedimenti, anche di carattere esplicativo, che la revisione obbligatoria può essere effettuata nelle sedi della motorizzazione civile o, in alternativa, presso i centri autorizzati.
(4-14089)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dalla direzione generale per la motorizzazione di questo Ministero.
  Le revisioni dei veicoli di interesse storico e collezionistico sono state disciplinate dal decreto ministeriale 17 dicembre 2009, pubblicato sul supplemento ordinario della Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 19 marzo 2010.
  Detto provvedimento definisce i requisiti dei veicoli in questione, sia sotto il profilo dell'accertamento dell'adeguato modo di conservazione, richiesto dal decreto legislativo 24 giugno 2003, n. 209, concernente la «attuazione della direttiva 2000/53/CE, relativa ai veicoli fuori uso», sia sotto il profilo della verifica delle prescrizioni di sicurezza richieste dall'articolo 215 del decreto del Presidente della Repubblica 16 dicembre 1992, n. 495 per la loro circolazione su strada.
  Pertanto, il decreto ministeriale completa il quadro normativo di riferimento per i veicoli di interesse storico e collezionistico e reca, in particolare, disposizioni concernenti;
   l'iscrizione di un veicolo in uno dei registri, di cui all'articolo 60 del codice della strada, al fine di acquisire la qualifica di «veicolo di interesse storico e collezionistico»;
   la riammissione alla circolazione dei veicoli precedentemente cessati dalla circolazione o di origine sconosciuta;
   la revisione periodica.

  In relazione a quest'ultimo aspetto, il decreto ha introdotto una serie di semplificazioni e agevolazioni.
  In primo luogo è stata allineata la cadenza delle revisione dei veicoli di interesse storico e collezionistico con quella delle autovetture circolanti e cioè a due anni. Si ricorda che prima dell'adozione di detto decreto ministeriale i veicoli in questione, in quanto veicoli atipici, erano obbligati alla revisione annuale.
  Con particolare riferimento ai veicoli costruiti prima del 1o gennaio 1960 è stata prevista la esclusiva competenza degli uffici della motorizzazione civile poiché le verifiche tecniche effettuate nel corso della revisione di tali veicoli possono essere effettuate in deroga a talune prove strumentali (in alcuni casi non è possibile utilizzare il banco a rulli prova freni).
  Le prove in deroga non possono essere effettuate dalle officine di autoriparazione autorizzate alle revisioni ai sensi dell'articolo 80 del Codice della strada.
  Inoltre, non possono usufruire di deroghe per le prove i veicoli circolanti costruiti prima dell'anno 1960 non classificati di interesse storico e collezionistico. Per quest'ultimi, indipendentemente dal soggetto che esegue il controllo tecnico, debbono essere effettuate tutte le prove strumentali previste dalle norme vigenti in materia di revisioni dei veicoli a motore.
  Tuttavia, tenuto conto della particolarità dei veicoli di cui trattasi e al fine di ridurre gli eventuali disagi nei casi in cui sussiste l'obbligo di sottoporre i veicoli a revisione esclusivamente presso le sedi della motorizzazione civile (UMC) è stato disposto che i registri storici, attraverso i propri club o i propri esaminatori regionali, possono presentare ai competenti UMC richiesta di espletamento delle operazioni di revisioni dei veicoli, ai sensi della legge 1o dicembre 1986, n. 870, in una sede attrezzata.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a decorrere dal 1° febbraio 2017 Trenitalia applicherà un aumento delle tariffe per gli abbonamenti di alta velocità pari al trentacinque per cento in più rispetto ai prezzi in vigore nel 2016;
   come riportano le cronache de «Il Mattino di Napoli» del 18 gennaio 2017 tale aumento determinerà una situazione insostenibile per migliaia di pendolari in tutta Italia, i quali si stanno spontaneamente raccogliendo in comitati per la raccolta firme e l'espressione della propria protesta rispetto alla decisione della società ferroviaria;
   alcune associazioni di consumatori hanno già manifestato la propria intenzione di ricorrere al tribunale amministrativo regionale e all'Autorità garante della concorrenza e del mercato, al fine di vedere riconosciuti e tutelati i diritti dei lavoratori pendolari;
   alcuni sindaci di grandi città come Napoli e Torino e i rispettivi presidenti di regione hanno manifestato la propria preoccupazione per gli aumenti previsti a danno dei lavoratori pendolari;
   la suddivisione in fasce orarie e in giorni di viaggio della nuova formula di abbonamento prevista, creerà solo disagi e caos per quelle categorie di lavoratori, come ad esempio i docenti scolastici e il personale Ata, che non hanno un preciso orario di entrata e di uscita ma sono soggetti all'orario scolastico che varia di giorno in giorno –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere per impedire il previsto aumento delle tariffe e per intervenire a tutela dei lavoratori pendolari, affinché non subiscano l'ennesimo aggravio di spesa a carico di stipendi già penalizzati dalla mancanza degli scatti stipendiali.
   (4-15351)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi forniti da Ferrovie dello Stato italiane (Fsi) e dall'Autorità di regolazione dei trasporti (Art), si comunica quanto segue.
  Va premesso che, i servizi a mercato di media/lunga percorrenza, non sono oggetto di alcun corrispettivo pubblico, sono effettuati a rischio di impresa e si sostengono solo con i ricavi da traffico; pertanto, la relativa programmazione si basa su valutazioni di carattere commerciale (rientrano tra i servizi a mercato le Frecce di Trenitalia, ossia Frecciarossa, Frecciargento e Frecciabianca, nonché i treni internazionali).
  Il servizio universale comprende quei treni di media/lunga percorrenza che per poter essere effettuati, necessitano di un corrispettivo pubblico, definito nell'ambito di un contratto di servizio Mit-Mef con Trenitalia, in quanto presentano un conto economico negativo. Nell'ambito di tale contratto di servizio vengono definite la quantità e le caratteristiche dei collegamenti di servizio universale da effettuare, nonché le relazioni da servire, coprendo con corrispettivi la differenza tra i ricavi da traffico previsti e i costi ammessi a remunerazione (rientrano nel servizio universale gli Intercity e gli Intercity notte);
  Da ultimo, i servizi regionali, che assicurano principalmente la mobilità pendolare, sono programmati dalle singole regioni, i cui rapporti con Trenitalia sono disciplinati da contratti di servizio, nell'ambito dei quali vendono definiti, tra l'altro, il volume e le caratteristiche dei servizi da effettuare, sulla base delle risorse economiche rese disponibili dalle stesse regioni.
  In tale quadro, gli abbonamenti per i treni ad alta velocità (Av) sono una tipologia di titoli di viaggio emessa per autonoma scelta commerciale dell'impresa ferroviaria, nell'ambito di un segmento di mercato liberalizzato nel quale Trenitalia è l'unica impresa ad averli mantenuti e ad offrirli all'utenza pendolare.
  Trattandosi di treni a mercato. Trenitalia sostiene l'intero onere economico degli abbonamenti Av, senza ricevere alcuna compensazione con corrispettivi pubblici da Stato o regioni, come accade invece per altre tipologie di servizi (Intercity – Regionali).
  Come dichiarato dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato (Agcm) e ribadito dall'Art, la natura di mercato dei servizi Av implica che ciascuna impresa ferroviaria effettui le proprie scelte commerciali autonomamente, in funzione della loro redditività attesa, senza condizionamenti di alcun tipo in termini di quantità, conseguentemente di prezzo, dei servizi offerti, se non il pieno rispetto di un corretto confronto concorrenziale.
  In particolare, l'Art ha adottato la delibera n. 54 del 2016 avente ad oggetto specifici diritti degli abbonati del trasporto ferroviario sulle tratte Av; tale provvedimento opera, peraltro, dal momento in cui le imprese esercenti i servizi ferroviari di Av decidono, sulla base delle loro scelte commerciali, di intervenire con l'offerta di abbonamenti. L'Autorità non ha quindi previsto un obbligo di offrire servizi in abbonamento, né avrebbe potuto prevedere tale obbligo sulla base del diritto vigente, nel cui ambito, come detto, il servizio di trasporto ferroviario Av è configurato come servizio in regime di mercato.
  L'Autorità ha, bensì, introdotto, misure specifiche a tutela e garanzia dei passeggeri che aderiscano a quelle offerte commerciali. Essa ha, altresì, espresso l'auspicio che tutte le imprese che operano il segmento dell'Av mantengano gli abbonamenti e configurino la propria offerta in modo di favorire la mobilità delle persone e la riduzione dei tempi di spostamento via ferrovia tra grandi città continue.
  Al riguardo, come riferisce Fsi, Trenitalia ha investito significative risorse sui propri sistemi informativi e sui processi di gestione, così da ottemperare anche a quanto disposto dalla citata delibera Art n. 54 del 2016; ciò, tra l'altro, ha permesso di migliorare l'utilizzazione degli abbonamenti, semplificando le modalità di acquisto e prenotazione.
  Inoltre, Fsi evidenzia che per venire incontro alle diverse esigenze di viaggio dei pendolari, dal mese di febbraio 2017, l'abbonamento è stato declinato in quattro diverse versioni a prezzo crescente in relazione alla sua ampiezza d'uso. («giorni feriali lunedì-venerdì, fascia oraria 9.00-17.00»: «Tutti i giorni, sabato e domeniche incluse, fascia oraria 9.00-17.00»; «giorni feriali lunedì-venerdì – senza limitazioni di fasce orarie»: «Tutti i giorni, sabato e domeniche incluse, senza limitazioni di fasce orarie»). Le prime due versioni costano meno del prezzo in vigore a gennaio, le seconde due di più.
  Anche nelle versioni che consentono un più ampio spettro di utilizzo e hanno quindi i prezzi più alti («tutti i giorni, sabato e domeniche incluse, senza limitazioni di fasce orarie» e «giorni feriali lunedì e venerdì – senza limitazioni di fasce orarie»), il costo attuale dell'abbonamento consente ai pendolari che ne fanno pieno utilizzo» un forte risparmio su quanto spenderebbero acquisendo singolarmente ogni viaggio. Lo sconto varia, a seconda delle tratte e della tipologia di abbonamento, dal 70 a oltre l'80 per cento (a titolo di esempio, all'estero, laddove siano presenti formule di abbonamento, i relativi prezzi – oltre ad essere più elevati – non garantiscono livelli di risparmio paragonabili a quelli di Trenitalia).
  Inoltre, FSI fa presente che il prezzo degli abbonamenti, per la quasi totalità delle tratte interessate, non subiva variazioni dal febbraio 2011.
  In ogni caso, Trenitalia ha comunicato la propria decisione di dimezzare, in via transitoria, gli aumenti degli abbonamenti Av. L'operatività dei nuovi prezzi (con aumenti ridotti temporaneamente del 50 per cento) è stata prevista a valere sugli abbonamenti di marzo. Per quanto pagato in più a febbraio è stato, comunque, disposto il rimborso agli abbonati già a partire dal 9 febbraio.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   MOLEA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 164 del 2014, ha equiparato i «marina resort», che sono strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all'interno delle proprie unità da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato, alle «strutture ricettive all'aria aperta» e quindi assoggettate ad aliquota agevolata del 10 per cento (già prevista per altri settori del turismo), con applicazione limitata per un anno sino al 31 dicembre 2014. All'attuazione di quanto disposto dal citato articolo 32 ha provveduto il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 3 ottobre 2014 che ha definito i requisiti minimi ai fini dell'equiparazione;
   successivamente, la legge di Stabilità 2015 ne ha esteso gli effetti sino al 31 dicembre 2015;
   infine, l'articolo 1, comma 365, legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), al fine di rilanciare le imprese della filiera nautica, ha reso definitiva, a decorrere dal 1° gennaio 2016, la riconducibilità dei marina resort alle strutture ricettive all'aria aperta e di conseguenza permanente l'applicazione, alle prestazioni rese ai clienti ivi alloggiati, dell'aliquota ridotta IVA del 10 per cento di cui al n. 120) della Tabella A, Parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, riferita alle prestazioni rese ai clienti alloggiati nelle strutture ricettive, nonché alle prestazioni di maggiore comfort alberghiero rese a persone ricoverate in istituti sanitari;
   la definizione dei requisiti delle strutture ricettive turistiche, afferendo alla materia turismo, rientra tra le competenze che la Costituzione attribuisce alle regioni, sebbene lo Stato possa dettarne norme quadro;
   precedentemente alcune regioni come la Liguria, il Friuli Venezia Giulia e l'Emilia Romagna avevano già varato leggi regionali ad hoc sul principio di equiparazione dei «marina resort» alle strutture ricettive all'aperto e continuano ad applicare, se la struttura portuale ha i requisiti di «marina resort», l'Iva agevolata in luogo di quella al 22 per cento;
   con sentenza 26 gennaio 2016, n. 21, la Corte costituzionale, a cui si era rivolta la regione Campania sollevando la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 32 del decreto-legge n. 133 del 2014, sostenendo contro i suoi stessi interessi che tali disposizioni non erano applicabili sul suo territorio, ha sancito l'illegittimità parziale della norma laddove non contempla che la configurazione delle suddette strutture debba avvenire nel rispetto di requisiti stabiliti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, previa intesa nella Conferenza Stato-regioni;
   altre regioni, come la Sardegna e la stessa Campania, a quanto consta all'interpellante, hanno deciso di non applicare la sentenza della Corte costituzionale e di varare norme che permettano di applicare l'IVA turistica al 10 per cento in luogo del 22 per cento sui posti barca in transito;
   questa confusione normativa sta di fatto ostacolando la stipula e il rinnovo di molti contratti di ormeggio e creando incertezza e disorientamento in molti clienti italiani ed esteri –:
   se il Governo non ritenga opportuno adottare iniziative conseguenti alla dichiarata illegittimità costituzionale parziale della norma sui «marina resort» di cui all'articolo 32, comma 1, del decreto- legge n. 133 del 2014, come successivamente modificata, e fornire chiarimenti in merito all'applicazione dell'Iva sui posti barca ormeggiati. (4-16404)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni pervenute dal Ministero dell'economia e delle finanze.
  In relazione alla sentenza della Corte costituzionale del 26 gennaio 2016, n. 21, e all'applicazione dell'IVA sui posti barca ormeggiati, si osserva l'articolo 32, comma 1, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (decreto Sblocca Italia), convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, e modificato dall'articolo 1, comma 237, della legge 23 dicembre 2014, n. 190 (legge di Stabilità 2015) prevedeva che al fine di rilanciare le imprese della filiera nautica, dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto e fino al 31 dicembre 2015, le strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all'interno delle proprie unità da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato, secondo i requisiti stabiliti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, rientrano nelle strutture ricettive all'aria aperta.
  Nelle more della vigenza del richiamato articolo 32, considerata la necessità di individuare, ai sensi della medesima disposizione, i requisiti minimi che le suddette strutture organizzate per la sosta e il pernottamento dei turisti devono possedere per l'equiparazione alle strutture ricettive all'aria aperta, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il parere del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, emanava il decreto ministeriale 3 ottobre 2014, entrato in vigore il 14 ottobre 2014, il quale disponeva la presenza di determinati requisiti al fine di poter equiparare dette strutture a quelle cosiddette ricettive all'aria aperta.
  Per quanto concerne i profili IVA, l'equiparazione delle strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all'interno delle proprie unità da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato alle strutture ricettive all'aria aperta ha comportato che le prestazioni rese ai clienti alloggiati nei marina resort sono assoggettate all'aliquota ridotta del 10 per cento, di cui al numero 120) della Tabella A, Parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, invece che a quella ordinaria.
  In merito all'ambito applicativo della normativa in esame, l'Agenzia delle entrate si è pronunciata con la circolare del 19 febbraio 2015, n. 6/E, individuando quali dei tanti servizi offerti dai porti turistici possono usufruire dell'aliquota IVA ridotta.
  Successivamente, il comma 365 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di Stabilità 2016) ha modificato l'articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014, che ha equiparato, per un periodo di tempo limitato, le strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all'interno delle proprie unità da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato (cosiddetta marina resort), alle strutture ricettive all'aria aperta, rendendo permanente tale equiparazione.
  Tuttavia, la Corte Costituzionale, con sentenza n. 21 del 2016, ha dichiarato l'illegittimità costituzionale del citato articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014, come modificato dall'articolo 1, comma 365, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, nella parte in cui non prevedeva che la configurazione delle strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all'interno delle proprie unità da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato come strutture ricettive all'aria aperta debba avvenire nel rispetto dei requisiti stabiliti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, previa intesa nella conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano.
  L'amministrazione finanziaria, con la circolare 18 maggio 2016, n. 20/E, ha precisato come la sentenza in commento rientri tra le cosiddette sentenze additive, che incidono sulla legge senza annullarla, ma trasformandola, aggiungendo alla norma un'ulteriore previsione che, in osservanza della Costituzione, avrebbe dovuto necessariamente essere prevista sin dalla sua origine. La Consulta, pertanto, ha integrato le norme inserendo la necessità del ricorso a moduli cooperativi, con la previsione di un intervento di un organismo misto, deputato istituzionalmente alla composizione di interessi contrapposti tra lo Stato e le autonomie locali, qual è la conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato e le regioni. La natura dell'intervento operato dalla Corte (sentenza additivo e non abrogatoria) comporta, in linea di principio, che la legge modificata conservi intatta la sua efficacia in ogni sua parte che non sia incompatibile con la modifica introdotta.
  Successivamente, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, acquisita l'intesa della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano nella seduta del 9 giugno 2016, ha emanato il decreto ministeriale 6 luglio 2016, il quale individua i requisiti minimi ai fini dell'equiparazione delle strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all'interno delle proprie unità da diporto ormeggiate nello specchio acqua appositamente attrezzato alle strutture ricettive all'aria aperta.
  Tutto ciò premesso, per gli aspetti di competenza, il Ministero dell'economia e delle finanze ritiene che, laddove i marina resort siano dotati di tutti gli impianti e di tutti i servizi elencati dettagliatamente dal decreto ministeriale 6 luglio 2016, nonché rispettino tutti i requisiti che saranno previsti dalla normativa regionale di settore, alle prestazioni rese ai clienti ivi alloggiati si applichi l'aliquota IVA agevolata del 10 per cento, ai sensi del numero 120) della Tabella A, parte III allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   POLVERINI e OCCHIUTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo in materia di servizi per il lavoro e politiche attive del lavoro (decreto legislativo n. 150 del 2015) ha previsto la soppressione di una direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali (MLPS), la costituzione di una nuova Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL), il riordino dell'Isfol, divenuto ora Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (Inapp), e il commissariamento di Italia Lavoro s.p.a., ora Anpal servizi spa il cui amministratore unico coincide con il presidente di ANPAL;
   tra i compiti di Anpal vi è anche quello di «promozione e coordinamento, in raccordo con l'Agenzia per la coesione territoriale, dei programmi cofinanziati dal Fondo Sociale Europeo, nonché di programmi cofinanziati con fondi nazionali negli ambiti di intervento del Fondo Sociale Europeo» (articolo 9 lettera f);
   tra le funzioni assegnate all'Inapp (già Isfol) vi sono anche lo studio, ricerca, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro e dei servizi per il lavoro, ivi inclusa la verifica del raggiungimento degli obiettivi da parte dell'Anpal (articolo 10, comma 2, lettera b) del decreto legislativo n. 150 del 2015);
   all'Inapp viene riconosciuta la possibilità di gestire progetti comunitari, anche in collaborazione, con enti, istituzioni pubbliche, università o soggetti privati operanti nel campo della istruzione, formazione e della ricerca;
   ai fini della gestione delle risorse comunitarie, questa connotazione conferirebbe all'Inapp la possibilità di essere individuato come «Organismo Intermedio», ossia come quel soggetto che agisce sotto la responsabilità di un'autorità di gestione e che svolge mansioni per conto di questa autorità nei confronti dei beneficiari che attuano le operazioni;
   al contrario, l'Anpal, nella sua funzione di «gestione di programmi comunitari» potrebbe ricoprire il ruolo di autorità di gestione, ossia di organismo individuato dallo Stato membro quale responsabile della gestione e attuazione del programma operativo conformemente al principio della sana gestione finanziaria;
   nell'ambito della programmazione nazionale FSE 2014-2020 e, nello specifico dei PON SPAO e Inclusione, l'Inapp è riconosciuto come ente in house del Ministero del lavoro e delle politiche sociali a cui può essere assegnata l'esecuzione di talune azioni/progetti. Pertanto, annualmente veniva definita una pianificazione attuativa ed operativa relativa alle attività di studio, analisi, monitoraggio e valutazione da realizzare;
   la titolarità dei principali programmi operativi nazionali su cui confluiscono le risorse comunitarie del Fondo Sociale Europeo (FSE): il PON SPAO (Programma operativo nazionale sistemi di politiche attive per l'occupazione), con l'obiettivo di promuovere azioni di supporto alle riforme strutturali riportate nel Programma Nazionale di Riforma in tema di occupazione, mercato del lavoro, capitale umano, produttività; e il PON IOG (Programma operativo nazionale iniziativa occupazione giovani) con cui è stata data attuazione al programma «Garanzia Giovani», non è più in capo al Ministero del lavoro e delle politiche sociali ma all'Anpal, in cui sono transitate gran parte delle competenze e del personale della soppressa direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   questo rischia di compromettere per gli interpellanti la sussistenza finanziaria dell'Inapp il cui bilancio è stato storicamente alimentato prevalentemente dal FSE, tramite i Pon;
   il venir meno della direzione generale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e la comparsa di un nuovo soggetto, l'Anpal, pone il problema di relazione tra l'Anpal e l'istituto incaricato, tra le altre cose, della valutazione dei risultati dell'Agenzia, ora responsabile della gestione delle risorse comunitarie;
   le attività che precedentemente l'Inapp realizzava in qualità di ente in house del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ora dipendono da una decisione di Anpal che dovrà essere valutata dall'istituto per le sue attività –:
   se il duplice ruolo di presidente dell'Agenzia e di amministratore unico di Anpal Servizi Spa non comporti un sostanziale conflitto di interessi e una sovrapposizione di competenze tra due soggetti che dovrebbero avere compiti differenziati e funzioni separate;
   come il Governo ritenga che l'aspetto che definisca una dipendenza dell'Inapp dalle decisioni di Anpal rispetto ai progetti comunitari da gestire si concilii con i principi di terzietà del valutatore rispetto al valutato e di separazione delle funzioni;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per garantire all'Inapp risorse sufficienti alla realizzazione dei suoi compiti istituzionali anche al fine di garantirne l'imparzialità nel valutare l'Anpal;
   quali siano i risparmi di spesa previsti con gli interventi di riforma nel settore, dal momento che parte delle risorse liberate dalla riorganizzazione dell'Isfol (ora Inapp) e del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dovranno coprire le spese di funzionamento della nuova Agenzia, compreso le spese del personale, interno ed esterno;
   se non ritenga utile fornire elementi completi sullo stato di avanzamento della riforma delle politiche attive del lavoro in Italia, e in merito alla complessiva riorganizzazione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'Inapp, di Anpal Servizi spa e di Anpal, soprattutto con riferimento ai profili di spesa;
   quali iniziative intenda assumere per garantire l'attuazione del decreto legislativo n. 150 del 2015 in tutte le sue parti, soprattutto in quella concernente la definizione dei livelli essenziali delle prestazioni materia di politiche attive del lavoro da garantire tutti i cittadini sul territorio.
(4-16099)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in esame – inerente al processo di riforma delle politiche attive del lavoro in Italia, con particolare riferimento ai rapporti tra l'Anpal e l'Inapp – si rappresenta quanto segue.
  Le politiche attive nel nostro Paese sono state storicamente un punto debole delle politiche per il lavoro principalmente basate sugli strumenti di politica passiva (ammortizzatori e prepensionamenti). A tale debolezza ha inteso rispondere la riforma del lavoro realizzata con il cosiddetto Jobs Act che, tra le finalità principali, ha il potenziamento delle politiche attive mediante l'istituzione dell'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro (ANPAL) con funzioni di coordinamento generale della rete dei servizi per le politiche del lavoro facenti capo a soggetti pubblici e privati, e che si avvale del supporto tecnico di Anpal servizi s.p.a. (già Italia Lavoro s.p.a.).
  Tanto premesso, con riferimento a quanto evidenziato dagli interroganti in ordine al duplice ruolo del presidente Anpal – che è al contempo amministratore unico di Anpal Servizi s.p.a. – occorre precisare che l'articolo 4, commi 13 e 14, decreto legislativo n. 150 del 2015 evidenzia una chiara volontà di realizzare una piena convergenza e immedesimazione delle competenze e attività dell'Anpal e con quelle di Anpal Servizi s.p.a. Il comma 13, in particolare, prevede che l'ANPAL subentri nella titolarità delle azioni di Anpal Servizi s.p.a., e che il suo presidente ne divenga amministratore unico, senza diritto a compensi, con contestuale decadenza del consiglio di amministrazione di Anpal Servizi s.p.a. In attuazione della predetta normativa, il 12 settembre dello scorso anno, l'Anpal ha acquisito la titolarità delle azioni di Anpal Servizi s.p.a. che è pertanto divenuta società in house di Anpal. Tale titolarità deve peraltro avere un carattere di stabilità come si desume dal comma 14 dell'articolo 4 del predetto decreto legislativo n. 150 del 2015 che stabilisce, tra l'altro, il divieto per ANPAL di trasferire la titolarità delle azioni di Anpal Servizi s.p.a.
  Alla luce delle suesposte considerazioni, dunque, la scelta del legislatore di attribuire al presidente Dell'Anpal anche il ruolo di amministratore unico di Anpal Servizi s.p.a., lungi dal creare un conflitto di interessi, è volta a realizzare un più proficuo coordinamento dell'azione dei due soggetti.
  In linea con il nuovo assetto di governance delle politiche del lavoro in Italia, ridisegnato dal decreto legislativo n. 150 del 2015, l'Isfol, ente pubblico di ricerca vigilato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali – che da dicembre scorso ha preso il nome di Istituto nazionale per l'analisi delle politiche pubbliche (INAPP) – svolge, ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 150 del 2015, attività di analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro e dei servizi per il lavoro e, più in generale, si occupa di tutte le politiche economiche che hanno effetti sul mercato del lavoro.
  L'Inapp beneficia di un contributo ordinario annuo, a carico del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che, per il 2017, ammonta ad euro 24.483.680,00 così come stabilito dalla legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio per il 2017). Tale contributo consente all'istituto di disporre di risorse autonome per lo svolgimento delle funzioni attribuitegli dal decreto legislativo n. 150 del 2015, tra cui la verifica degli obiettivi raggiunti dall'Anpal. Pertanto, la paventata dipendenza del valutatore (INAPP) dal valutato (ANPAL) non sussiste atteso che l'attività di valutazione è svolta con le risorse del Ministero del lavoro. L'impiego da parte dell'INAPP delle risorse comunitarie disposte, in qualità di autorità di gestione, dall'ANPAL, come previsto dal decreto legislativo n. 150 del 2015, riguarderà invece altre attività dell'istituto stesso senza confusione con le funzioni di valutazione.
  Con riferimento ai profili di spesa, va sottolineato che il decreto legislativo n. 150 del 2015 ha previsto l'istituzione dell'Anpal senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica e che per i costi di funzionamento si provveda con le risorse umane, finanziarie e strumentali già disponibili a legislazione vigente. Le risorse destinate al funzionamento dell'Anpal derivano quindi dai risparmi operati nell'ambito del bilancio del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Inapp. La riorganizzazione che ha coinvolto il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e l'Inapp, con i conseguenti trasferimenti di personale e oneri di funzionamento in capo all'Anpal, è pertanto avvenuta a costo zero.
  Riguardo poi allo stato di attuazione della riforma delle politiche attive, si fa presente che, nel corso del 2016:
   è stato approvato lo statuto dell'Anpal – che definisce le disposizioni generali per il suo funzionamento e le attribuzioni dei singoli organi – e sono state individuate le risorse umane, strumentali e finanziarie del Ministero del lavoro e delle politiche sociali e dell'Isfol da trasferire all'Anpal;
   è stato istituito il portale dell'Anpal che consente, tra l'altro, la registrazione on-line dei disoccupati – ai sensi dell'articolo 19 del decreto legislativo 150 del 2015 – allo scopo di valutarne il livello di occupabilità.

  Inoltre, a decorrere dal 1o gennaio 2017:
   è stato formalizzato il trasferimento all'Anpal di 109 unità di personale dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali e di 93 dall'Inapp;
   l'Anpal ha istituito – nell'ambito dell'attuazione del programma operativo nazionale sistemi di politiche attive per l'occupazione e del programma garanzia giovani – due import anti incentivi per stimolare l'occupazione:
    il primo, il cui stanziamento è di 530 milioni di euro, si sostanzia in uno sgravio contributivo riconosciuto alle imprese che assumono a tempo indeterminato, nelle regioni del Mezzogiorno, giovani di età compresa tra i 16 e i 24 anni e persone disoccupate con almeno 25 anni, prive di impiego regolarmente retribuito da almeno 6 mesi;
    il secondo, il cui stanziamento è di 200 milioni di euro, consiste anch'esso in uno sgravio contributivo destinato alle imprese che assumono giovani Neet, di età compresa tra i 16 e i 29 anni, ammessi al programma garanzia giovani.

  Infine, si precisa che è stata di recente avviata – con l'invio delle prime 30 mila lettere – la sperimentazione del cosiddetto assegno di ricollocazione consistente in una dote graduata in funzione del profilo personale di occupabilità del disoccupato (da 1.000 a 5.000 euro) e spendibile presso i centri per l'impiego o presso i soggetti accreditati ai servizi per il lavoro a livello nazionale e a livello regionale.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   RIZZO, MARZANA, FRUSONE, BASILIO, CORDA e TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Punta Izzo, rappresenta insieme a Punta Carcarella la natura definizione del Porto Xifonio della baia di Augusta (Siracusa);
   ad oggi, questo splendido scorcio di macchia mediterranea, che si estende per diversi chilometri quadrati, è nelle disponibilità della Marina militare come soggiorno marino, con annesso stabilimento elioterapico per ufficiali e sottufficiali, nonché come circolo ricreativo per i dipendenti della difesa alle dirette dipendenze del Comando Marittimo Sicilia (Marisicilia);
   nel mese di giugno 2016, la cronaca locale ha riportato la notizia (diffusa da I Siciliani giovani e MeridioNews) della possibile riapertura del poligono di tiro chiuso ad inizio degli anni 90 e che occupa una fetta non indifferente del promontorio costiero;
   risulta evidente, dalla presenza di bossoli di vario tipo e calibro abbandonati tra gli scogli di Punta Izzo, che l'area non sia mai stata oggetto di bonifica e che di fatto sia abbandonata da oltre 25 anni;
   diverse associazioni ambientaliste, allarmate da queste notizie, hanno diramato un comunicato stampa contro «lo svolgimento di qualsiasi esercitazione militare nell'area in questione» in virtù del «pesante impatto ambientale» e dei «rischi per la sicurezza» creati da questo genere di attività, oltre che per le ricadute negative «sul piano socio-culturale». Il comunicato annunciava l'avvio di «una campagna per la smilitarizzazione, la bonifica e l'istituzione di una riserva naturale e culturale a Punta Izzo»;
   nonostante la smentita del Comando di Marisicilia che «non esiste al momento nessun progetto per la riattivazione di un poligono di tiro», l'anomala attenzione pubblica e mediatica, a quanto risulta agli interroganti inaspriva la sorveglianza su Punta Izzo con l'istituzione della ronda di un automezzo con a bordo due militari in mimetica. Da allora i bagnanti che accedono all'area sono spesso allontanati dalla Capitaneria di Porto –:
   quali programmi vi siano in atto per l'utilizzo del sito della Marina militare di Punta Izzo relativamente alle zone non utilizzate;
   se l'area di cui in premessa sia stata oggetto di bonifica nel recente passato o se possa fornire elementi su progetti di futura bonifica del territorio in questione;
   se si intenda valorizzare dal punto di vista naturalistico e turistico tale istmo attraverso l'avvio di un tavolo di confronto con le associazioni ambientalistiche e il comune di Augusta competente per territorio;
   se il Governo non intenda valutare se sussistano i presupposti per non utilizzare tale area come zona militare, anche temporaneamente per il periodo estivo, al fine d'incentivare il turismo.   (4-14295)

  Risposta. — In merito alla valorizzazione del comprensorio di Punta Izzo «dal punto di vista naturalistico e turistico», si precisa che si tratta di un'area militare che riveste particolare interesse per la Marina militare.
  È utilizzata, infatti, dalla Forza armata per attività addestrative periodiche che non richiedono l'uso di armi, come, per esempio, esercitazioni di ricerca e soccorso (anche con mezzi navali e aerei), prove e allenamento di efficienza fisica del personale militare, addestramento in concorso con le Forze di polizia.
  L'eventuale apertura del sito al turismo durante il solo periodo estivo non è possibile, al momento, per motivi legati alla sicurezza dei luoghi, in quanto il territorio circostante presenta scogliere, asperità e manufatti difensivi risalenti all'ultimo conflitto, tali da renderne pericoloso l'accesso da parte di personale esterno.
  All'interno del comprensorio di Punta Izzo – che ospita anche alloggi di servizio per il personale militare, stabilimento elioterapico, circolo ricreativo dei dipendenti civili della Difesa – si trova il poligono, inattivo dal 1983 perché interferiva con il traffico aereo locale.
  Considerato che ormai l'area non è più interessata dal sorvolo di aerei civili, si sta valutando la possibilità di ripristinare l'uso del poligono (mai dismesso) che, eventualmente, necessiterebbe di lavori di manutenzione di modesta entità.
  Riguardo, infine, all'opportunità di bonificare il territorio, nel premettere che all'esterno del poligono, delimitato da una recinzione in calcestruzzo, non risulta vi siano bossoli abbandonati, si segnala che è stata avviata un'attività di ricognizione preliminare dello stato ambientale di tutta l'area, in esito alla quale potranno essere pianificati, qualora ritenuti necessari, gli interventi di bonifica.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaDomenico Rossi.


   SAMMARCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   non appaiono avere esito positivo i tentativi di riportare l'Accademia nazionale di danza all'ordinaria amministrazione e ad una direzione di prestigio che rilanci l'istituzione nel panorama culturale nazionale e internazionale;
   la sentenza della sesta sezione del Consiglio di Stato n. 02853/12016REG.PROV.COLL N. 05459/2015 REG.R1C. del 21 gennaio 2016, resa nota nel luglio 2016, ha dichiarato la vigenza della norma di cui all'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 1236 del 1948, nella parte in cui prescrive che il direttore dell'Accademia nazionale di danza debba essere «compositrice di danza di riconosciuto valore»;
   inoltre, la sentenza ha accolto anche il motivo di appello diretto a contestare la situazione di conflitto di interessi in cui si è venuto oggettivamente a trovarsi il maestro Carioti. «Questi – si legge testualmente nella sentenza –, infatti, in qualità di commissario straordinario dell'Accademia nazionale di danza, ha prima indetto le elezioni per la nomina del direttore, poi emanato, con suo decreto del 10.10.2014, n. 7949/2, il “Regolamento per le elezioni di direttore dell'Accademia Nazionale di danza”, ed infine partecipato in qualità di candidato alle stesse elezioni disciplinate dal “suo” regolamento. Il cumulo soggettivo delle diverse qualifiche ricoperte vale a creare quella situazione di “sospetto” di violazione del principio di imparzialità (...)»;
   da più parti era stato richiesto, anche al fine di stemperare le tensioni interne all'istituzione, che il Ministero procedesse alla nomina di un direttore «per chiara fama» che avesse anche la qualità di «compositore di danza di riconosciuto valore»; il precedente Ministro ha invece proceduto alla nomina, con durata sino al 31 dicembre 2016, di un commissario straordinario nella persona del giurista, professore Giulio Vesperini, con l'incarico di assicurare il regolare avvio del nuovo anno accademico e proporre e sottoporre al consiglio di amministrazione gli atti necessari per procedere alle nuove elezioni del direttore;
   in particolare, secondo il decreto di nomina, il nuovo commissario avrebbe dovuto sottoporre al consiglio di amministrazione la modifica dello statuto dell'Accademia al fine di introdurre «una compiuta disciplina dei requisiti per la carica di Direttore idonea a consentire una adeguata selezione della platea dei potenziali candidati alla carica», e l'adozione del regolamento per l'elezione del direttore;
   con nota del 15 dicembre 2016 (MIUR.AOODGFIS.REGISTRO UFFICIALE(U).0017166), su parere conforme del dipartimento della funzione pubblica e della ragioneria generale dello Stato, il Ministero ha «bocciato» la modifica proposta dal commissario all'articolo 6, comma 7, dello statuto dell'Accademia nazionale di danza, secondo la quale «il Direttore è eletto tra i docenti a tempo indeterminato di prima e seconda fascia», chiedendo che fossero candidabili solo i docenti di prima fascia, cioè esclusivamente gli insegnanti di danza;
   il commissario non ha tenuto conto che gli atti da adottare devono essere conformi a quanto statuito dal Consiglio di Stato, per non incorrere in una violazione della pronuncia definitiva emessa dal massimo organo di giustizia amministrativa;
   a giudizio dell'interrogante appare anche disattesa quella parte della sentenza del Consiglio di Stato in cui si conferma che il direttore deve essere un professionista di arte coreutica di riconosciuto valore;
   così facendo il commissario, ad avviso dell'interrogante, disattende la sentenza del Consiglio di Stato, con conseguente vizio del nuovo statuto e del nuovo regolamento per elezione del direttore –:
   se non ritenga opportuno adottare iniziative urgenti al fine di assicurare la piena coerenza dello statuto dell'Accademia nazionale di danza e del regolamento elettorale per l'elezione del direttore della prestigiosa istituzione alle disposizioni del decreto legislativo n. 1236 del 1948 ed alle statuizioni della sentenza del Consiglio di Stato citata in premessa. (4-15894)

  Risposta. — L'interrogazione in esame riguarda l'attività del commissario nominato presso l'Accademia nazionale di danza e il rispetto di quanto indicato dalla sentenza della sesta sezione del Consiglio di Stato (n. 2853/12016) circa i requisiti necessari per la nomina del direttore della stessa Accademia.
  Al riguardo, si evidenzia che i compiti sono stati compiti affidati al Commissario con il provvedimento di nomina, in osservanza a quanto disposto dal Consiglio di Stato in occasione della emanazione della citata sentenza relativa alla procedura elettorale finalizzata alla nomina del direttore dell'istituzione.
  Nella fase di approvazione dello statuto, i competenti Ministeri hanno solo formulato alcune osservazioni con riferimento prioritario alla composizione dell'elettorato passivo, constatando invece che tutte le altre modifiche proposte dagli organi in osservanza di quanto disposto dal Consiglio di Stato erano state approvate. Tali osservazioni sono state puntualmente recepite dagli organi dell'Accademia.
  In altri termini, l'attività del commissario ha consentito di giungere alla proposta e all'approvazione dello statuto dell'Accademia completo ora di disposizioni che disciplinano più dettagliatamente la procedura finalizzata all'individuazione del direttore, sulla base delle osservazioni del giudice amministrativo.
  Successivamente all'approvazione dello Statuto, avvenuta con decreto direttoriale n. 3532 del 21 dicembre 2016, il commissario ha potuto quindi emanare il nuovo regolamento per l'elezione del direttore e perciò indire le elezioni stesse, fissandone la data al 24 gennaio 2017. L'elezione del nuovo direttore è, quindi, avvenuta all'esito del ballottaggio del 26 gennaio 2017.
  Con decreto prot. n. 95 del 22 febbraio 2017 si è, quindi, proceduto alla nomina del nuovo direttore dell'Accademia nazionale di danza.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la discarica di Cisma con una capienza di circa 550 mila metri cubi, ubicata a metà strada tra i territori di Augusta e Melilli, in provincia di Siracusa, risulta essere tra le più grande del meridione. Nonostante le prescrizioni imposte dalla regione (dall'assessorato regionale territorio ambiente, dall'ufficio speciale aree ad elevato rischio di crisi ambientale – Aerca), confermate nella valutazione di impatto ambientale e nell'autorizzazione integrata ambientale disponevano che «occorresse dare priorità di trattamento/smaltimento a quei rifiuti provenienti dal territorio dei comuni di Augusta, Floridia, Melilli, Priolo Gargallo, Siracusa e Solarino», in quanto l'area è considerato già «ad elevato rischio ambientale», sono stati smaltiti in tale discarica ben 9.142 tonnellate di rifiuti speciali costituiti da polverino ottenuto come residuo trattenuto dagli elettrofiltri utilizzati nella depurazione dei fumi dell'altoforno dell'acciaieria dell'Ilva di Taranto. Inoltre, il polverino viene trasportato sui cassonetti dei tir come fosse sabbia e non in dei contenitori ermetici come predisposto in conferenza di servizi;
   la magistratura di Siracusa sta indagando in merito alla regolarità dello smaltimento dei rifiuti dell'Ilva e da fonti di stampa («Corriere TV» del 23 settembre 2015) si apprende che nei confronti della società Cisma Ambiente spa, proprietaria della discarica «sussiste pericolo di condizionamento da parte della criminalità organizzata»;
   il Ministro Galletti, rispondendo ad una interrogazione in merito a tale questione, affermava che «che i rifiuti sono stati classificati e caratterizzati dal produttore, così come prescrive la legge, con codice CER 10.02.08, cioè rifiuti non pericolosi» e che «lo stesso commissario Ilva ha precisato che tale materiale è stato inviato altrove solo in questa fase transitoria, ove non vi è ancora possibilità di utilizzo o smaltimento quale rifiuto in situ Ilva di Taranto, essendo infatti previsto nella programmazione di Ilva che esso sia gestito in house una volta attuato il Piano di gestione dei rifiuti aziendale»;
   in considerazione anche delle indagini della magistratura, risulta inammissibile, a giudizio degli interroganti, che un dicastero si possa affidare, specialmente per questione di vitale rilevanza ambientale, alla classificazione di rifiuto fornita dal produttore, invece di rivolgersi alle autorità di controllo competenti –:
   se il Ministro, non ritenga di assumere, nell'ambito delle proprie competenze e fatte salve le specifiche attribuzioni regionali, le opportune iniziative volte, ad appurare l'effettiva pericolosità dei rifiuti provenienti dall'Ilva, nonché la conformità alla normativa vigente dell'intera operazione, anche in relazione al supposto carattere temporaneo e transitorio e, conseguentemente, se non ritenga opportuno avvalersi della collaborazione dell'Ispra per verificare attentamente a quale tipo di classificazione sia assoggettabile questo tipo di rifiuti;
   quali siano stati i criteri della scelta di operare il trasferimento dei predetti rifiuti dalla Puglia alla Sicilia;
   quando terminerà il trasferimento dei predetti rifiuti che doveva considerarsi «in via transitoria», visto che ad oggi il polverino non è stato rimosso e continuano ancora le spedizioni di questo materiale;
   se non si ritenga necessario porre in essere, nei limiti delle proprie competenze in riferimento agli impianti della Cisma Ambiente spa, un approfondito monitoraggio della situazione epidemiologica e ambientale dell'area circostante;
   se abbia adottato o intenda adottare le iniziative di competenza, anche normative, che evitino la sistematica violazione delle vigenti norme in materia ambientale, di tutela del territorio, di trattamento e trasporto dei rifiuti da parte dei gestori degli impianti. (4-15109)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Con riferimento allo smaltimento dei rifiuti speciali, «polverino» dell'acciaieria dell'Ilva di Taranto, l'ARPA di Siracusa ha comunicato di aver effettuato, in data 22 aprile 2015, congiuntamente al libero consorzio comunale, un sopralluogo presso il porto di Augusta per svolgere accertamenti sulla gestione dei rifiuti provenienti dallo stabilimento Ilva mediante trasporto navale. Durante il sopralluogo è stato prelevato un campione di rifiuto (polverino d'altoforno) e sono stati esaminati i F.I.R. da cui è emerso che al rifiuto era stato attribuito il codice CER 100208 e che lo stesso era destinato all'impianto Cisma. Veniva, peraltro, acquisita documentazione relativa all'autorizzazione all'imbarco e allo sbarco da parte delle capitanerie di Porto di Taranto e di Augusta.
  Inoltre, in data 30 aprile 2015, il personale Arpa ha effettuato, congiuntamente al libero consorzio comunale, un ulteriore sopralluogo presso la discarica Cisma, durante il quale è stato accertato il completamento delle operazioni di abbancamento del rifiuto in questione ed è stata acquisita documentazione. I risultati delle analisi effettuate dal laboratorio dell'Arpa hanno confermato che si trattava di rifiuti speciali non pericolosi.
  Successivamente, in data 22 novembre 2016, in conseguenza di un ulteriore conferimento di rifiuti dall'Ilva, sbarcati nel porto di Catania e destinati alla discarica Cisma, il personale Arpa ha effettuato un nuovo sopralluogo presso la medesima discarica. Dall'esame documentale è emerso che tali rifiuti erano di due diverse tipologie, corrispondenti ai codici CER 100208 e 100214 per complessivi 32.359.680 chilogrammi. I rifiuti erano in fase di abbancamento e nel corso del sopralluogo sono stati acquisiti campioni. Anche in questo caso i risultati delle analisi effettuate dal laboratorio dell'Arpa hanno confermato che si trattava di rifiuti speciali non pericolosi.
  Si segnala, altresì, che la predetta Agenzia ha chiesto ad Ispra di valutare l'opportunità di effettuare specifiche verifiche anche sulla caratterizzazione e attribuzione del codice CER nel corso di una prossima ispezione.
  Si fa comunque presente che l'Ispra, relativamente ad altro atto di sindacato ispettivo, ha comunicato che la dichiarazione MUD relativa ai dati 2016 sarà presentata dai soggetti tenuti entro il 30 aprile 2017 e che, pertanto, ad oggi l'istituto non è in grado di evidenziare il protrarsi dei conferimenti in questione.
  Si rappresenta inoltre che, secondo quanto riferito dal Sub-commissario dell'Ilva, il meccanismo di trasporto attivato ha ridotto comunque l'impatto ambientale in considerazione del fatto che lo stesso non avviene interamente su gomma.
  Per completezza di informazione, si evidenzia che, con legge n. 132 del 2016, è stato istituito il sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente, finalizzato ad armonizzare da un punto di vista qualitativo e quantitativo le attività delle agenzie sul territorio, nonché a realizzare un sistema integrato di controlli coordinati dall'Ispra, le cui funzioni sono principalmente volte a rendere omogenee le attività del Sistema Nazionale nonché a disciplinare i «livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali».
  Con riferimento alla possibilità di porre in essere un approfondito monitoraggio della situazione epidemiologica, il Ministero della salute fa presente che ha commissionato lo studio epidemiologico Sentieri, essendo il territorio di Melilli ubicato nel SIN di Priolo, e che lo stesso studio è in corso di aggiornamento. Inoltre, segnala che la regione siciliana, proprio per venire incontro alle aspettative delle popolazioni residenti, ha rafforzato gli strumenti per la sorveglianza epidemiologica, rendendo disponibili nell'area in questione tutti i principali sistemi idonei a garantire un monitoraggio dello stato di salute, quali:
   creazione del Registro nominativo regionale della mortalità (Rencam), attivo a copertura regionale dall'anno 2004 e in grado di consentire il monitoraggio dell'andamento del principale indicatore di salute in aree a rischio ambientale;
   realizzazione di indagini epidemiologiche ad hoc e valorizzazione della base di dati dei ricoveri ospedalieri, al fine di consentire il monitoraggio della morbosità per patologie a bassa letalità attraverso l'analisi del ricorso alle strutture ospedaliere tramite le SDO;
   estensione, con legge regionale 5 del 2009, della rete regionale dei registri tumori. Al riguardo si è passati dalla copertura della sola provincia di Ragusa (6 per cento della popolazione regionale) ad oltre il 91 per cento, con l'inclusione anche dell'area in questione;
   registro regionale dei mesoteliomi (in collaborazione con l'Ispesl, il Registro Tumori di Ragusa e l'OER);
   sistema di sorveglianza sulle malformazioni congenite al fine di adeguare la rilevazione agli standard internazionali.

  Peraltro, la regione, con il piano di prevenzione regionale, ha avviato, attraverso le aziende sanitarie, i programmi di sorveglianza e promozione della salute nel campo dei fattori di rischio modificabili e il potenziamento dello screening oncologico, oltre alla razionalizzazione dell'offerta territoriale diagnostico assistenziale.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero continuerà a tenere alta l'attenzione sulla questione, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   dall'edizione del 28 novembre 2016 de IlFattoQuotidiano.it si è appreso che alcuni ricercatori dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv) già impegnati nel monitoraggio dell'attività vulcanica e tellurica dell'isola di Ischia sarebbero stati impiegati per studiare la fattibilità della costruzione di una centrale geotermica privata;
   nell'articolo vengono riportati dei dettagli della vicenda che è stata ricostruita grazie a una lettera interna dell'Istituto di cui IlFattoQuotidiano.it è entrato in possesso. La lettera, era destinata ai vertici dell'Istituto e metteva a conoscenza di una serie di fatti ritenuti anomali circa il progetto di realizzazione della centrale geotermica a Serrara Fontana sulle falde del monte Epomeo;
   il progetto è osteggiato sia da molti cittadini che dagli operatori turistici che ritengono la centrale un pericolo per un'area già soggetta a terremoti periodici anche di notevole intensità;
   anche la comunità scientifica pone dei dubbi sulla opportunità di costruire una centrale geotermica sull'isola temendo che in un contesto così fortemente ci sia il rischio di innescare terremoti. Tra questi il geologo Franco Ortolani che da anni studia i fenomeni sismici ha affermato che «l'area interessata al progetto è già notoriamente sismica naturalmente. La reiniezione di fluidi estratti (attività prevista dal progetto) può causare sismicità indotta con eventi di magnitudo fino a 2,4»;
   la società Ischia Geotermia si è rivolta all'Osservatorio vesuviano dell'Ingv per avere un parere scientifico sul progetto e l'Osservatorio avrebbe dato l'incarico a tre giovani ricercatori la cui retribuzione è a carico della Protezione civile;
   nel testo della lettera sopra ricordata sono state contestate la legittimità di utilizzare personale retribuito con i fondi della protezione civile e il fatto che l'Ente non sarà poi chiamato a legittimare i risultati dello studio che saranno comunque utilizzati per sostenere la validità di un progetto privato;
   la direttrice dell'Osservatorio vesuviano incalzata sulla vicenda da IlFattoQuotidiano.it sostiene che le attività commissionate da Ischia Geotermia «risultavano essere di grande rilevanza e impatto per il Dipartimento di Protezione civile in quanto finalizzate ad acquisire nuovi dati sperimentali e a definire i modelli necessari allo sviluppo degli scenari di pericolosità sismica e vulcanica per l'area investigata». Perciò si è deciso di utilizzare «personale esperto», cioè «tre ricercatori con contratto su fondi Protezione civile-Ingv». Inoltre «Ischia Geotermia Srl riconosce altresì che i dati acquisiti a seguito delle esplorazioni effettuate potranno essere liberamente utilizzati da Ingv Osservatorio Vesuviano per scopi scientifici e/o di protezione civile»;
   nell'articolo 1 del regolamento di organizzazione e funzionamento dell'Ingv tra le altre cose si legge che l'istituto persegue la finalità di fornire, nell'ambito del perseguimento delle proprie finalità, servizi a terzi in regime di diritto privato;
   l'istituto, inoltre, è componente del servizio nazionale di protezione civile di cui all'articolo 6 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, e le attività di cui alle lettere a), relativamente alla valutazione del rischio e della pericolosità, c), d) ed e) del primo comma del presente articolo sono svolte in regime di convenzione con il dipartimento della protezione civile –:
   come questo tipo di «consulenze» si concilino con quanto indicato nel regolamento riportato in premessa, dal quale si evince che le attività per conto di terzi non rientrano tra quelle svolte in convenzione con il dipartimento della protezione civile ma tra quelle in regime di diritto privato;
   se vi siano altri casi simili verificatisi sul territorio nazionale, ossia se anche in altre occasioni sia stato utilizzato personale dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia a spese della Protezione civile per svolgere incarichi commissionati da privati. (4-15895)

  Risposta. — L'interrogazione in esame, sulla base di una notizia apparsa su un articolo di stampa, riferisce di alcuni ricercatori dell'istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, già impegnati nel monitoraggio dell'attività vulcanica e tellurica dell'isola di Ischia, che sarebbero stati impiegati per studiare la fattibilità della costruzione di una centrale geotermica privata. L'interrogante chiede, pertanto, come questo tipo di attività si concili con quanto indicato nel regolamento dell'Istituto e se vi siano casi similari verificatisi sul territorio nazionale.
  Corre l'obbligo di precisare, in premessa, che l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV):
   promuove ed effettua attività di ricerca nel campo delle discipline geofisiche, della vulcanologia e delle loro applicazioni;
   svolge funzioni di sorveglianza sismica e vulcanica del territorio nazionale;
   è componente del servizio nazionale della protezione civile;
   si articola in sezioni territoriali, una delle quali è l'osservatorio vesuviano di Napoli.

  Passando al merito della questione rappresentata, è opportuno, sin da subito, chiarire che nel mese di agosto 2016 l'osservatorio vesuviano dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (INGV-OV) ha stipulato un contratto di ricerca con la società Ischia Geotermia S.r.l. Tale accordo ha previsto la realizzazione di una campagna di misure di magnetotellurica presso l'isola di Ischia, con lo scopo di individuare i volumi in cui sono presenti fluidi idrotermali, nonché la presenza di faglie e/o fratture. Tali ricerche risultano di grande rilevanza e impatto per le attività che INGV-OV svolge per il dipartimento di protezione civile (DPC), in quanto finalizzate ad acquisire nuovi dati sperimentali e a definire i modelli necessari allo sviluppo degli scenari di pericolosità sismica e vulcanica per l'area investigata.
  Stante l'importante potenziale impatto delle attività sulla valutazione dei rischi naturali nell'isola di Ischia, come detto di interesse per lo stesso dipartimento di protezione civile, l'Istituto ha ritenuto necessario che le misure oggetto del contratto di ricerca dovessero essere realizzate da personale esperto proprio in misure geofisiche per fini di monitoraggio, ovvero da tre ricercatori con contratto su fondi (dipartimento di protezione civile-Ingv di cui all'Allegato A della Convenzione tra le due amministrazioni.
  Si precisa che i ricercatori in questione sono dipendenti dell'Istituto e non del dipartimento di protezione civile.
  Non corrisponde al vero quindi l'affermazione «la società Ischia Geotermia si è rivolta all'Osservatorio vesuviano dell'Ingv per avere un parere scientifico sul progetto e l'Osservatorio avrebbe dato l'incarico a tre giovani ricercatori la cui retribuzione è a carico della Protezione civile». Infatti, si ribadisce che l'oggetto del contratto di ricerca stipulato non ha contemplato la fornitura di alcun parere scientifico da parte di INGV-OV in merito al progetto di esplorazione geotermica, ma solo l'esecuzione di un'indagine geofisica avente lo scopo di evidenziare la presenza di fluidi nella crosta superficiale dell'isola. Ancora, si ribadisce che i tre giovani ricercatori, la cui retribuzione è a valere sui fondi dell'allegato A della Convenzione DPC-INGV, hanno effettuato misure ed ottenuto dati scientifici che sono stati utilizzati dall'Istituto per scopi di protezione civile, come previsto dal contratto di ricerca stipulato con Ischia Geotermia.
  Per di più, l'articolo 1 del regolamento di organizzazione e funzionamento dell'Istituto, richiamato nell'interrogazione, non contrasta in alcun modo con il ruolo dell'Istituto come componente del servizio nazionale di protezione civile.
  I ricercatori in questione, appunto per questo, non sono stati affatto impiegati «per studiare la fattibilità della costruzione di una centrale geotermica privata», ma hanno impiegato le loro competenze per l'acquisizione di misure di alto interesse scientifico, senza nessuna valutazione o sostegno di sorta degli aspetti industriali.
  A conferma di ciò, si informa, altresì, che le misure acquisite e i risultati delle relative analisi sono stati presentati al Tavolo di lavoro su Ischia tenutosi il 15 dicembre scorso presso la sede dell'istituto di Napoli. Si tratta di un'iniziativa prevista dall'accordo quadro tra dipartimento di protezione civile e istituto, che ha come obiettivo lo sviluppo di prodotti pre-operativi e operativi relativamente alla costruzione degli scenari di pericolosità dell'isola. Il Tavolo è composto da ricercatori dell'Istituto e di varie università e registra la presenza di un funzionario del dipartimento protezione civile che assicura il raccordo tra le attività scientifiche espletate e le azioni di protezione civile. Gli stessi risultati, inoltre, sono inseriti nella «relazione II semestre 2016 sul Vulcano Ischia» trasmessa al dipartimento di protezione civile.
  Da quanto esposto, è evidente che i tre giovani ricercatori, che hanno svolto le attività previste dal contratto di ricerca stipulato con Ischia Geotermia S.r.l., hanno operato in aderenza alla loro funzione di personale impiegato per studi ed attività di rilevanza per il dipartimento di protezione civile.
  Si precisa, peraltro, che l'utilizzo dei dati a fini di ricerche di Protezione Civile è conforme con quanto riportato all'articolo 6 del contratto di ricerca che recita «Ischia Geotermia S.r.l. riconosce, altresì, che i dati acquisiti a seguito delle esplorazioni effettuate nel corso del presente incarico potranno essere liberamente utilizzati da INGV-OV per scopi scientifici e/o di protezione civile».
  Alla luce di quanto esposto, si evince che le attività di ricerca di cui si parla, effettuate sull'isola d'Ischia, sono del tutto corrette. Infatti, come già evidenziato, i risultati prodotti dalle attività previste dal contratto di ricerca sono stati utilizzati anche a fini di protezione civile, come espressamente specificato nel contratto stesso. Inoltre, tra le attività che l'istituto svolge per la protezione civile rientrano anche, e specialmente, quelle inerenti il miglioramento delle conoscenze scientifiche dei vulcani napoletani, monitorati dall'INGV-OV.
  Nel caso specifico, la convenzione, quindi, non è stata in alcun modo finalizzata a sostenere il progetto geotermico di Ischia Geotermia, ma solo svolta per la raccolta di dati di magnetotellurica utili anche ai fini della ricerca di base e di potenziale finalità pure per la protezione civile.
  Concludendo, infine, si sottolinea che l'istituto ha deliberato che in caso di attività industriali non preparatorie, ma in corso, così come previsto dagli «Indirizzi e linee guida» emanati dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il monitoraggio sismico e gli studi relativi verranno svolti eminentemente per gli enti pubblici e territoriali coinvolti e non direttamente con le società operanti, proprio al fine di mantenere la terzietà dell'Istituto.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaValeria Fedeli.


   VACCARO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il comando provinciale di Siena dell'Arma dei carabinieri è ubicato in largo Salvo D'Acquisto in Siena in un moderno immobile di proprietà privata in locazione. Con l'avvento dell'euro il canone, a quanto risulta all'interrogante, ha raggiunto i 600.000 euro annuali. In 15 anni (dal 2000 al 2015) lo Stato ha sborsato 9 milioni di euro per canone di affitto, a cui vanno aggiunti gli importi corrisposti in lire dal 1992 al 2000. In più per la stazione Siena Centro in Piazza San Francesco, 11, sempre a quanto consta all'interrogante, viene pagato un canone mensile di 20.000 euro;
   si fanno ricorrenti le voci di un futuro trasferimento del Comando provinciale di Siena dell'Arma dei carabinieri presso i locali della Banca d'Italia di via della Stufa Secca che dovrebbero essere liberati a seguito di una riorganizzazione che priverebbe la città di Siena della sede provinciale della Banca d'Italia che, tra l'altro, appare poco idonea per posizione e difficoltà di accesso soprattutto ai mezzi. Anche in questo caso ci sarebbero dei canoni di locazione da pagare;
   a Siena esiste, invece, un'antica, storica ed artistica caserma denominata «Santa Chiara» di proprietà demaniale, pressoché inutilizzata. Fin dall'anno 2013 l'Arma dei carabinieri ha inoltrato domanda al Ministro della difesa per ottenere il trasferimento al Santa Chiara nell'ottica della spending review. Il Ministro non ha accolto l'appello e, anzi, sembra all'interrogante averlo osteggiato imponendo il trasferimento nell'attuale sede senese della sede provinciale Banca d'Italia che, a seguito di una riorganizzazione, la città di Siena dovrebbe perdere entro pochi mesi. Questa sede, oltre ad apparire poco idonea per la posizione e l'accesso ai mezzi, comporterà il pagamento di un canone mensile alla Banca d'Italia presumibilmente molto elevato;
   la giunta in carica nel comune di Siena e soprattutto il sindaco con delega diretta all'urbanistica, sembrano interessati ad evitare il trasferimento del comando provinciale alla ex caserma Santa Chiara che, secondo voci, sarebbe oggetto di interessi immobiliari che ne vorrebbero un centro residenziale;
   è importante evidenziare che l'ex distretto militare Santa Chiara è un Convento dell'Ordine Vallombrosano fondato nel 1218 e denominato «Abbadia Nuova» che nel 1556 passò alle suore clarisse di Santa Chiara per venire in seguito soppresso dalle leggi napoleoniche. Dopo l'Unità d'Italia divenne sede del XII distretto Militare fino a quando i distretti non hanno subito il trasferimento presso i capoluoghi di regione. Delimitato da una poderosa cerchia muraria del trecento, mantiene pressoché intatti il grande chiostro ed il monumentale fortino fatto erigere da Baldassare Peruzzi nel 1527 (rara struttura difensiva della metà del 1500). Al suo interno un piccolo parco ed i resti della chiesa romanica andata purtroppo distrutta nell'ultimo conflitto mondiale. È dotato di monumentali sotterranei, di un sito archeologico e di una vasta aiuola mantenuta a prato verde e delimitata da cipressi secolari in luogo dell'antico cimitero monastico. Grazie alla sensibilità degli ultimi tre comandanti (i generali Pasquale Caporaso, Sandro Celi e Pierluigi Venturi) succedutisi alla guida del distretto, l'intero complesso è stato sapientemente gestito nel pieno rispetto del suo valor architettonico –:
   se il Governo intenda considerare l'opportunità di trasferire il comando provinciale di Siena dell'Arma dei carabinieri nell'ex distretto militare «Santa Chiara» (bene demaniale) evitando, in tal modo, ad avviso dell'interrogante sia un inefficiente impiego di denaro pubblico con il pagamento di ingenti canoni di locazione, sia una probabile destinazione impropria del complesso. (4-15981)

  Risposta. — Lo strumento militare è stato oggetto negli ultimi anni di diversi adeguamenti per rispondere a molteplici esigenze contingenti.
  Con legge n. 244 del 2012 è stata disposta una rilevante contrazione numerica delle Forze armate, per un volume pari a circa il 25 per cento della sua consistenza, e introdotto nuove modifiche organizzative.
  Al contempo, sul piano infrastrutturale, si è da tempo dato avvio a un processo di razionalizzazione, dismettendo gli immobili in disuso in favore di strutture idonee a soddisfare i requisiti di economicità, funzionalità e sicurezza.
  Proprio in linea con i requisiti citati, la caserma Santa Chiara, infrastruttura attualmente in consegna al 186o reggimento paracadutisti, non risulta rispondente alle esigenze del comando generale dell'arma che ha già individuato una diversa sede funzionale.
  Pertanto, l'immobile in argomento sarà reso disponibile per una sua alienazione, valorizzazione e gestione nelle forme ritenute più vantaggiose dall'Amministrazione difesa.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaGioacchino Alfano.


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, la sezione misure di prevenzione del tribunale di Catania ha disposto la nomina di un amministratore giudiziario e il sequestro delle azioni delle società del gruppo Tecnis (Artemis spa, Cogip holding e Tecnis spa), al termine di un'indagine condotta dal Ros dei carabinieri in relazione a presunte infiltrazioni mafiose nelle società del gruppo;
   in particolare, secondo quanto hanno riportato autorevoli quotidiani nazionali, i militari del raggruppamento operativo speciale avrebbero documentato «l'asservimento del gruppo imprenditoriale alla cosca mafiosa di Catania alla quale sono state garantite ingenti risorse economiche ed è stata consentita l'infiltrazione del redditizio settore degli appalti pubblici»;
   il 22 ottobre 2015 i vertici dell'azienda sono stati arrestati nell'ambito dell'inchiesta sugli appalti Anas, mentre nel successivo mese di novembre il prefetto di Catania ha adottato una misura interdittiva antimafia nei confronti dell'azienda;
   il gruppo Tecnis risulterebbe essere la principale impresa di costruzioni del sud d'Italia con centinaia di commesse e cantieri distribuiti in diverse regioni;
   la notizia dei provvedimenti assunti dall'autorità giudiziaria desta una legittima inquietudine, da una parte, per il presunto coinvolgimento in vicende legate ad attività di mafia di un'importante impresa di costruzioni che opera nel settore delle opere pubbliche, dall'altra, per il futuro dei cantieri condotti dall'azienda;
   in particolare, la Tecnis spa si è aggiudicata in questi anni l'appalto per la realizzazione del 5° e del 6° lotto (circa 17 chilometri) della strada Sassari-Olbia, tra i comuni di Monti e Berchidda;
   in quel tratto i lavori non sarebbero mai iniziati sia perché la Tecnis spa è subentrata a seguito di un ricorso sia per le sopraggiunte vicende giudiziarie che avevano portato all'arresto dei vertici del gruppo;
   è il caso di rilevare che la Sassari-Olbia è un'opera di grande rilevanza per la Sardegna, dove si registra un grave ritardo infrastrutturale e viario che negli anni ha accentuato fenomeni come l'isolamento e lo spopolamento delle zone interne;
   la necessità di realizzare un'opera viaria di collegamento tra i due principali centri del nord Sardegna, rispondente ad adeguati standard di qualità e sicurezza, è emersa negli anni soprattutto a seguito dello stato di pericolosità e del sottodimensionamento del vecchio tracciato;
   i lavori per la realizzazione dell'opera, appaltati dall'Anas, hanno subito negli anni numerosi ritardi, oltre a un preoccupante aumento dei costi;
   le vicende giudiziarie della Tecnis rischiano di ritardare ulteriormente la conclusione di un'opera particolarmente attesa dai cittadini della Sardegna, per le implicazioni che avrà sulla qualità della vita, sulla sicurezza e sulle opportunità di crescita delle economie locali –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare per evitare che un'opera di grande rilevanza per la Sardegna possa subire dei ritardi per effetto delle vicende giudiziarie in cui è coinvolta un'impresa d'appalto;
   se non intendano verificare se la stazione appaltante, l'Anas, abbia seguito tutte le procedure necessarie per verificare la regolarità della documentazione prodotta dalla Tecnis spa in fase di gara;
   quali iniziative di competenza intendano adottare per prevenire situazioni di illegalità negli appalti pubblici e garantire la massima trasparenza e la regolarità delle procedure previste. (4-12305)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del consiglio dei ministri, sulla base delle informazioni pervenute da Anas s.p.a. si evidenzia quanto segue.
  In ordine ai lavori di adeguamento della strada statale Sassari Olbia, Anas ha fatto presente che detti lavori, progettati nel loro complesso a livello di preliminare, sono stati suddivisi in 10 lotti, per un importo totale di circa 930 Meuro.
  Nove di tali lotti sono stati appaltati, nell'arco di circa un anno, da giugno 2012 a giugno 2013, sulla base del progetto preliminare; uno, quello terminale ad Olbia, è stato appaltato su progetto definitivo. Tutti gli appalti prevedevano la redazione del progetto esecutivo e l'esecuzione dei lavori.
  I lotti 0, 1, 7 e 8, per complessivi 27 chilometri degli 80 chilometri previsti, sono stati aperti al traffico il 23 giugno 2016; il lotto 3 invece, consegnato ad agosto 2014, sarà ultimato entro la fine del 2017, mentre il lotto 9 verrà ultimato nella primavera 2017.
  I ritardi nell'esecuzione dei lavori sono stati causati da vari fattori e principalmente dal ritardo nella eliminazione delle interferenze da parte di enti gestori, dalle prescrizioni formulate nel corso della progettazione esecutiva e dalle difficoltà economiche del settore delle costruzioni, avvertito in particolare da alcune imprese, oltre a problemi giudiziari che hanno interessato due esecutori di tre lotti.
  I lotti 2 e 4 hanno subito forti ritardi in fase di redazione del progetto esecutivo, in parte per l'acquisizione dei pareri idraulici da parte del genio civile della regione Sardegna, in parte per ritardi dell'impresa.
  La progettazione del lotto 2 è stata approvata nella seduta del Consiglio di amministrazione dell'Anas del 1o agosto 2016 e la consegna dei lavori è prevista per novembre 2016, mentre per il lotto 4 è prevista l'approvazione della progettazione esecutiva per il mese di ottobre 2016.
  Anas altresì, con specifico riferimento alle criticità segnalate dagli interroganti per i lotti 5 e 6, ha fornito i seguenti elementi informativi.
  In merito al letto 5 i lavori, consegnati all'impresa I.C.S. Grandi Lavori S.p.A. il 6 giugno 2014, sono stati sospesi successivamente alla sentenza del Consiglio di Stato del 19 marzo 2015, che ha accolto il ricorso dell'impresa Tecnis S.p.A., dichiarando l'inefficacia del contratto stipulato, per cui Anas, in data 9 giugno 2015 ha disposto la risoluzione del contratto con l'impresa ICS e la nuova contrattualizzazione con il soggetto ricorrente.
  Durante l’iter procedurale propedeutico alla stipula del contratto, il prefetto di Catania, in data 12 novembre 2015, ha emesso un provvedimento interdittivo antimafia nei confronti dell'impresa Tecnis; successivamente, il tribunale di Catania con decreto del febbraio 2016 ha disposto, tra l'altro la misura dell'amministrazione giudiziarie ex articolo 34 del decreto legislativo n. 159 del 2011, nominando il professore Saverio Ruperto amministratore giudiziario.
  Di conseguenza, con provvedimento del presidente dell'Anas, in data 25 febbraio 2016, è stata annullata la determina del 9 giugno 2015 con cui veniva disposto il subentro dell'impresa Tecnis nell'appalto in argomento, in ossequio a quanto disposto dal Consiglio di Stato. A tale provvedimento l'impresa Tecnis ha promosso ricorso per l'annullamento innanzi al Tar Lazio – Roma, previa sospensione. Il tar con ordinanza n. 2367 del 2016 del 5 maggio 2016, ha accolto l'istanza cautelare e con sentenza n. 04520 del 2016 accoglieva e, per l'effetto annullava l'atto impugnato.
  In data 3 agosto 2016, con provvedimento del presidente dell'Anas, è stato conferito mandato alla direzione appalti e acquisti di procedere alla stipula del relativo contratto.
  Il contratto con l'impresa Tecnis è stato firmato in data 14 febbraio 2017 ed i lavori sono stati consegnati in data 23 febbraio 2017 con ultimazione degli stessi entro il mese di marzo 2019.
  In merito invece ai lavori del lotto 6, appaltati all'impresa Tecnis, Anas ha evidenziato che detti lavori sono stati consegnati nel mese di febbraio 2015 con ultimazione fissata al 13 febbraio 2017.
  L'ultimazione dei lavori, prevista per giugno 2018, è già in ritardo di più di un anno rispetto a quella contrattuale e l'avanzamento del cantiere è solo del 26,5 per cento.
  Il rallentamento delle attività di cantiere è ascrivibile alle vicende giudiziarie che hanno coinvolto l'impresa Tecnis che ha recentemente prodotto un aggiornamento del cronoprogramma dei lavori in relazione al quale Anas ha richiesto modifiche/integrazioni per rilevate non conformità al contratto di appalto.
  Infine, rispetto al costo complessivo iniziale preventivato, per i lotti in esecuzione pari a circa 546 Meuro ANAS ha riferito che ci sono state delle variazioni che non hanno comportato aumento di spesa.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'attività di infrastrutturazione della rete viaria in Sardegna assume un significato di particolare rilievo in relazione alla estensione del territorio regionale (oltre 24 mila chilometri quadrati) e alla notevole dispersione della popolazione, con la densità demografica più bassa d'Italia e un numero altissimo di piccoli comuni;
   tale situazione di difficoltà è vissuta con particolare sofferenza dalla popolazione dell'Ogliastra, territorio con forte disagio economico e grandi problemi di collegamento con il capoluogo dell'isola;
   la viabilità tra Cagliari e Tortolì (principale cittadina dell'Ogliastra) era sostenuta in modo assolutamente insufficiente dalla strada statale 125;
   negli ultimi quarant'anni, la città di Tortolì ha avuto un notevole sviluppo demografico sino ad arrivare all'attuale popolazione di circa 30.000 residenti, che sostanzialmente raddoppia nei mesi estivi;
   la cittadina di Tortolì gode di importanti prospettive di sviluppo, anche legate al proprio porto che consente risparmi significativi nella durata della traversata da Genova e Civitavecchia ed è strategico per tutti i traffici merci e passeggeri della Sardegna centrale;
   negli ultimi vent'anni, la vecchia strada statale 125, di collegamento tra Cagliari e Ogliastra, è stata sostituita attraverso la progettazione e la parziale realizzazione della nuova strada statale 125;
   la realizzazione della nuova strada statale 125 è ancora lontana dal definitivo completamento, anche a causa della difficile situazione economica complessiva che ha determinato diverse rimodulazioni del progetto iniziale ed ha sinora escluso, dai lotti consegnati, proprio il tratto (di soli cinque chilometri di lunghezza complessiva) in prossimità dell'abitato di Tortolì;
   il tratto dal chilometro 132 al chilometro 138,200 della «vecchia» strada statale 125 orientale sarda, ricadente nel comune di Tortolì versa da decenni in uno stato di totale abbandono (ulteriormente aggravato dalla recente chiusura dell'innesto di pubblico transito al chilometro 137,435), dalle condizioni di forte degrado in cui versa l'innesto di pubblico transito al chilometro 196,930 e dall'insufficiente segnaletica verticale di divieto di svolta, di recente installazione;
   nello stesso tratto di strada manca da tempo la segnaletica orizzontale (striscia continua di mezzeria);
   la chiusura dell'innesto di pubblico transito al chilometro 137.435 preclude l'accesso agli istituti agrari e al convitto di Tortolì, lasciando praticabili invece gli altri accessi abusivi, privi di segnaletica con il risultato di peggiorare la circolazione stradale e di aumentarne la pericolosità;
   da tale situazione, vengono anche penalizzate le attività dei residenti e dei proprietari di terreni agricoli adiacenti alla SS 125 (compresi i nuovi insediamenti previsti dal PUC approvato), già compromesse dalla gravissima situazione economica del territorio dell'Ogliastra che non riesce a trarre beneficio dalla presenza del porto di Arbatax, dell'aeroporto di Tortolì e degli insediamenti industriali e turistici presenti nel territorio;
   lo stato di grave degrado in cui versa l'innesto al chilometro 136,950 moltiplica il rischio a carico del traffico proveniente dalle località balneari del lido di Orrì e di Cea che, nei mesi estivi, ospitano decine di migliaia di residenti e turisti;
   la gestione dei tratti ancora operativi della vecchia strada statale 125, l'ultimazione dei lavori sull'ultimo tratto di soli cinque chilometri sulla nuova strada statale 125 e la definitiva realizzazione del nuovo tracciato della stessa sono affidate all'ANAS;
   l'ANAS è il gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale, il cui socio unico è il Ministero dell'economia e delle finanze ed è sottoposta al controllo ed alla vigilanza tecnica ed operativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   reiterate ed inutili sono state le segnalazioni e le denunce relative ai disagi e ai pericoli ad indirizzo dell'ANAS e dell'amministrazione comunale di Tortolì da parte dei cittadini –:
   quali iniziative, per quanto di propria competenza, intendano adottare sui vertici dell'ANAS per risolvere in modo definitivo i gravissimi pericoli connessi alla circolazione stradale sulla vecchia strada statale 125 orientale sarda, per ridurre le pesanti ricadute sociali ed economiche imputabili allo stato di abbandono generale in cui versa il suddetto tratto di strada, nonché per rendere quanto più rapida possibile l'apertura del corrispondente tratto viario della nuova strada statale 125. (4-01990)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si comunica quanto pervenuto da Anas s.p.a.
  L'itinerario della nuova strada statale (SS) 125 orientale sarda nel tratto Cagliari-Tortolì, individuato d'intesa con le amministrazioni territoriali interessate, consiste nella realizzazione di una nuova strada in variante alla strada statale 125 di circa 110 chilometri di lunghezza, con una sezione tipo C1 (una corsia per senso di marcia). L'intervento è stato articolato in quattro diversi tronchi suddivisi, a loro volta, in lotti e stralci che vengono realizzati seguendo la progressiva assegnazione delle risorse finanziarie necessarie. Ad oggi, sono stati completati circa 92 chilometri dell'intero collegamento viario e sono in corso di completamento gli ultimi tre stralci funzionali.
  In particolare, Anas riferisce quanto segue.

  Strada statale 125 – tronco Tertenia Tortolì 4o lotto 2o stralcio (4,7 chilometri) – lavori in corso.
  Il progetto definitivo a base di appalto, redatto ed approvato da Anas, il 29 settembre 2014, prevede un costo complessivo pari a circa 40,400 milioni di euro, di cui 28,600 per lavori a base di appalto.
  La progettazione esecutiva e la realizzazione dell'intervento sono stati aggiudicati all'impresa Oberosler cav. Pietro s.r.l. con un ribasso offerto del 34,22 per cento, per un importo complessivo pari a circa 19,300 milioni di euro; la conclusione dei lavori è prevista per febbraio 2018.
  Nell'ambito dello sviluppo del progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo a base di gara, si è reso necessario acquisire alcune nuove aree ed è emersa la necessità di introdurre alcune varianti progettuali connesse al recepimento delle prescrizioni inerenti le mitigazioni ambientali, le interferenze e la bonifica da ordigni bellici.
  È stata, pertanto, autorizzata la stipula di un atto aggiuntivo che ha comportato un aumento dell'importo contrattuale dei lavori a circa 20 milioni di euro. In particolare, per le motivazioni sopra evidenziate, l'importo è salito ad euro 20.048.026,89 con un aumento di euro 681.880,63 pari al 3,52 per cento.
  Nel febbraio 2016 è stata effettuata, sulle aree interessate dall'intervento, la bonifica da ordigni bellici richiesta dall'autorità militare che ha rilasciato il certificato di collaudo della bonifica nello scorso mese di febbraio; a partire da tale data, è stato possibile avviare le attività di cantiere.

  Strada statale 125 – tronco Tertenia San Priamo 1o lotto 1o stralcio (5,6 chilometri) – lavori in corso.
  Il progetto definitivo a base di appalto è stato redatto ed approvato da Anas per un importo complessivo pari a circa 58,200 milioni di euro.
  La progettazione esecutiva e la realizzazione dell'intervento sono stati aggiudicati all'impresa De Sanctis Costruzioni S.p.a., con un ribasso d'asta del 38,71 per cento e un costo complessivo di circa 27 milioni di euro.
  Nell'ambito dello sviluppo del progetto esecutivo, redatto in conformità al progetto definitivo a base di gara, si è reso necessario acquisire alcune nuove aree ed è emersa la necessità di introdurre alcune varianti progettuali connesse alla necessità di rimozione delle interferenze ed al recepimento delle prescrizioni avanzate da parte del servizio territoriale delle opere idrauliche di Nuoro alla luce dei nuovi disposti normativi della regione Sardegna di cui alle deliberazioni dell'autorità di bacino n. 1 del 20 maggio 2015 e n. 2 del 27 ottobre 2015 e delle richieste avanzate da parte della soprintendenza archeologia della Sardegna.
  Pertanto, con disposizione Anas del 23 gennaio scorso, è stato approvato il progetto esecutivo dell'intervento per un importo complessivo dei lavori pari a circa 29,450 milioni di euro e, contestualmente, autorizzata la stipula di un atto aggiuntivo; in particolare, per le motivazioni sopra evidenziate l'importo è salito ad euro 29.445.652,07 con un aumento di euro 2.287.178,50 pari all'8,42 per cento.
  È stata dichiarata quindi, la pubblica utilità dell'opera ed avviate da Anas le attività propedeutiche agli espropri delle nuove aree. Le procedure di occupazione dei terreni si concluderanno entro la fine del corrente mese di aprile.

  Strada statale 125 – tronco Tertenia San Priamo 1o lotto 1o stralcio (7,7 chilometri) – gara di appalto integrato complesso aggiudicata.
  L'intervento è stato appaltato, ai sensi dell'allora articolo 53 comma 2 lettera c) decreto legislativo n. 163 del 2006, sulla base del progetto preliminare con acquisizione della progettazione definitiva in fase di offerta. La gara è stata aggiudicata il 27 dicembre 2016 e sono in corso le verifiche propedeutiche alla dichiarazione di efficacia dell'aggiudicazione definitiva.
  Il progetto definitivo sarà sottoposto alla conferenza dei servizi per acquisire i pareri di tutti gli enti e le amministrazioni interessate all'opera. L'appaltatore procederà, quindi, alla redazione del progetto esecutivo ed alla realizzazione dei lavori.

  Strada statale 125 – manutenzione.
  A seguito delle recenti ed abbondanti precipitazioni che si sono abbattute sulla Sardegna con danneggiamenti al piano viabile della statale, sono stati programmati interventi di ripristino del manto e, in particolare, nel tratto compreso tra il chilometro 135,200 e il chilometro 136,800.
  Il tratto tra il chilometro 133,100 e il chilometro 135,200 risulta, invece, in buono stato di manutenzione.
  Anas segnala, altresì, che tra il chilometro 132,400 e il chilometro 136,900 della strada statale 125 non è stata tracciata la striscia longitudinale di separazione dei sensi di marcia poiché, essendo la carreggiata inferiore ai 5,50 metri di larghezza, non risulta possibile delineare corsie più strette di 2.75 metri, così come stabilito dall'articolo 40 del codice della strada (decreto legislativo n. 285 del 1995 e successive modificazioni e integrazioni) e dall'articolo 140 del relativo regolamento di esecuzione (decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 1992).
  Per quanto attiene, poi, all'innesto situato al chilometro 137,435, in destra della statale, Anas evidenzia che il comune di Tortolì aveva precedentemente inoltrato istanza di regolarizzazione all'Anas. Tale richiesta aveva ottenuto parere favorevole condizionato da alcune prescrizioni obbligatorie senza le quali non sarebbe stato possibile concedere l'autorizzazione d'uso. Ad oggi, la citata amministrazione comunale non ha ottemperato a tali prescrizioni.
  Inoltre, a seguito del censimento degli accessi sulla statale, Anas riferisce di aver accertato che quello ricadente al chilometro 136,950 si affaccia su una stradina comunale di Tortolì. Nel corso del 2016, sono state impartite, all'amministrazione comunale competente, delle prescrizioni che, a tutt'oggi, non risultano recepite.
  Infine, Anas evidenzia che i lavori di ripristino del tratto della strada statale 125 orientale sarda, interessato dall'evento franoso del 14 ottobre 2016, verificatosi al chilometro 194+200 nel territorio comunale di Dorgali (Nu), sono stati consegnati all'impresa esecutrice «Alpi srl» di Trieste.
  Il costo complessivo dell'intervento risulta di oltre 800 mila euro e la durata dei lavori è di 90 giorni, decorrenti dalla data di consegna, avvenuta l'8 febbraio 2017.
  Il citato intervento si articola in due fasi:
   a) messa in sicurezza del costone roccioso dal quale si è staccata la frana;
   b) ripristino del corpo stradale.

  Per completezza di informazione, Anas segnala che nel corso delle lavorazioni previste al punto b) la strada statale 125 sarà percorribile a senso unico alternato.
Il Viceministro delle infrastrutture e dei trasportiRiccardo Nencini.


   ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 183 del decreto legislativo n. 152 del 2006 (aggiornato dal decreto legislativo n. 205 del 2010), alla lettera aa), definisce lo «stoccaggio» come: l'insieme delle attività di «smaltimento» consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti, nonché delle attività di «recupero» consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti;
   diversamente, la lettera bb) dello stesso articolo definisce il «deposito temporaneo» come un «raggruppamento» di rifiuti effettuato prima della raccolta nel luogo in cui gli stessi sono prodotti e nel rispetto di alcune precise condizioni;
   altro requisito fondamentale del deposito temporaneo è il luogo fisico in cui esso viene istituito, vale a dire il luogo di produzione dei rifiuti;
   in generale, il deposito temporaneo può essere effettuato solo nel luogo in cui i rifiuti sono originati, al fine di evitare movimentazioni di rifiuti che, a parte nelle aree private, vanno sempre autorizzate, rappresentando un momento della gestione dei rifiuti;
   l'accento sugli aspetti fisici e temporali del deposito temporaneo, e sul fatto che su questi poggia principalmente la distinzione dallo stoccaggio, è ribadito dalla Corte di Cassazione (Cassazione penale, sezione III, n. 11650/11) secondo la quale, per poter parlare di deposito temporaneo e controllato di rifiuti, occorre il rispetto di tutte le condizioni dettate dalla norma sopra citata ed, in particolare, del raggruppamento dei rifiuti nel luogo di produzione ed il rispetto dei tempi di giacenza riferiti alla natura e quantità dei rifiuti. In caso di mancato rispetto di tali condizioni si parlerà non più di deposito temporaneo, ma di deposito preliminare o di stoccaggio, attività per le quali è necessaria una preventiva autorizzazione;
   considerando il deposito temporaneo come un prolungamento dell'attività dalla quale si originano i rifiuti che precede ogni e qualsiasi fase della gestione (raccolta, trasporto, smaltimento o recupero) e lo stoccaggio, invece, come un'attività integrante della gestione dei rifiuti prodotti, sono il luogo e i tempi a determinare le differenze tra i due concetti;
   come è logico che sia, il deposito temporaneo deve essere effettuato dal produttore del rifiuto, tuttavia il decreto legislativo n. 152 del 2006 introduce una figura nuova nella fattispecie che è quella del «soggetto affidatario del deposito temporaneo»;
   tale novità è contenuta nel secondo periodo dell'articolo 208, comma 17, del citato decreto, laddove si dispone che «La medesima esclusione opera anche quando l'attività di deposito temporaneo nel luogo di produzione sia affidata dal produttore ad altro soggetto autorizzato alla gestione dei rifiuti. Il conferimento di rifiuti da parte del produttore all'affidatario del deposito temporaneo costituisce adempimento agli obblighi di cui all'articolo 188, comma 3.»;
   questa innovazione, sul piano pratico, consente che si verifichi uno spostamento di responsabilità (anche penale) dal produttore al soggetto gestore espressamente codificato dalla norma in merito a tutto ciò che concerne la gestione del deposito temporaneo. Tuttavia, per evitare che questa previsione vada a costituire solo un espediente attraverso il quale il produttore si possa deresponsabilizzare in merito al deposito dei rifiuti da lui prodotti, l'affidamento del deposito temporaneo ad un soggetto terzo deve avvenire nel rispetto delle seguenti condizioni:
    a) il deposito, dei rifiuti deve essere effettuato all'interno del luogo di produzione;
    b) il produttore dei rifiuti affidi l'attività del deposito temporaneo ad altro soggetto, autorizzato alla gestione dei rifiuti, il quale presenti quindi capacità e idoneità tecnica;
    c) sia il produttore sia l'affidatario del deposito temporaneo provvedano all'annotazione delle informazioni sulle caratteristiche qualitative e quantitative dei rifiuti nel registro di carico e scarico entro 24 ore dalla produzione del rifiuto stesso;
   la normativa vigente non entra nel merito delle strutture di travaso, per cui – come è avvenuto anche in talune linee guida regionali – sembra essere sostenibile richiamare l'articolo 265 del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 recante «Disposizioni transitorie», il quale al comma 1 così recita: «1. Le vigenti norme regolamentari e tecniche che disciplinano la raccolta, il trasporto, il recupero e lo smaltimento dei rifiuti restano in vigore sino all'adozione delle corrispondenti specifiche norme adottate in attuazione della parte quarta del presente decreto. Al fine di assicurare che non vi sia alcuna soluzione di continuità nel passaggio dalla preesistente normativa a quella prevista dalla parte quarta del presente decreto, le pubbliche amministrazioni, nell'esercizio delle rispettive competenze, adeguano la previgente normativa di attuazione alla disciplina contenuta nella parte quarta del presente decreto, nel rispetto di quanto stabilito dall'articolo 264, comma 1, lettera i). Ogni riferimento ai rifiuti tossici e nocivi continua ad intendersi riferito ai rifiuti pericolosi.»;
   a parte le difficoltà di ricomposizione di un sistema normativo quale quello ambientale, anche in seguito all'avvento del titolo V della parte II della Costituzione, e quindi del rapporto tra la normativa regionale sopraggiungente e la normativa secondaria preesistente, rimane quindi utilizzabile, peraltro come avviene anche per i criteri quali-quantitativi di assimilazione, la delibera del Comitato interministeriale del 27 luglio 1984, che distingue chiaramente tra «contenitori» destinati alla raccolta dei rifiuti urbani e gli «impianti» finalizzati al loro stoccaggio provvisorio;
   secondo quanto stabilito al paragrafo 2.1 della prefata delibera «Nei casi in cui le Regioni (o altri Enti) nell'ambito dei loro piani di organizzazione del servizio, prevedano la realizzazione di stazioni di trasferimento (...) in funzione del successivo avvio al trattamento definitivo, per tali stazioni devono essere adottate le caratteristiche costruttive per gli impianti di stoccaggio per quanto applicabili e fissati tempi massimi di permanenza dei rifiuti;
   ad eccezione di tali casi non sono ammessi stoccaggi provvisori di RU dal momento della raccolta a quello del loro scarico negli impianti di trattamento»;
   la delibera interministeriale del 1984, a quanto risulta agli interroganti, è l'unico documento di carattere nazionale che ad oggi possa orientare in qualche modo le funzioni dei centri di stoccaggio temporaneo dei rifiuti, detti anche «centri di trasferenza» o «di trasbordo» o «di trasferimento» o ancora «piattaforme» o «centri» per la messa in riserva o altre definizioni più o meno aderenti alla realtà. Già il fatto che non esista nemmeno una definizione univoca di queste strutture è sintomatico della poca chiarezza del quadro normativo. Detta circolare, al capitolo 4.1 relativo allo stoccaggio provvisorio di rifiuti tossico-nocivi, ovvero pericolosi, stabilisce fra le altre cose che «se lo stoccaggio avviene in cumuli, questi devono essere realizzati su basamenti resistenti all'azione dei rifiuti (...) e devono essere protetti dall'azione delle acque meteoriche e, ove allo stato pulverulento, dall'azione del vento», nonché al punto 4.1.4 che i recipienti mobili devono essere provvisti di idonee chiusure per impedire la fuoriuscita del contenuto, accessori e dispositivi atti ad effettuare in condizioni di sicurezza le operazioni di riempimento e svuotamento e mezzi di presa per rendere sicure ed agevoli le operazioni di movimentazione;
   la delibera in questione non regolamenta lo stoccaggio dei rifiuti non pericolosi, ma nel tempo si è assistito ad una estensione dei requisiti previsti per i rifiuti pericolosi anche a quelli non pericolosi, nonché ad una regolamentazione regionale o locale più o meno stringente a seconda dei casi;
   regioni ed enti locali hanno cercato, nel tempo, di provvedere a riempire il vuoto normativo anche per distinguere i centri oggetto della presente interrogazione dai centri di raccolta di cui all'articolo 183, comma 1, lettera mm), del decreto legislativo n. 152 del 2006. Il medesimo articolo definisce anche le operazioni di stoccaggio come «le attività di smaltimento consistenti nelle operazioni di deposito preliminare di rifiuti di cui al punto D15 dell'allegato B alla parte quarta del presente decreto, nonché le attività di recupero consistenti nelle operazioni di messa in riserva di rifiuti di cui al punto R13 dell'allegato C alla medesima parte quarta» e deposito temporaneo, ovvero «il raggruppamento dei rifiuti e il deposito preliminare alla raccolta ai fini del trasporto di detti rifiuti in un impianto di trattamento, effettuati, prima della raccolta, nel luogo in cui gli stessi sono prodotti, da intendersi quale l'intera area in cui si svolge l'attività che ha determinato la produzione dei rifiuti o, per gli imprenditori agricoli di cui all'articolo 2135 del codice civile, presso il sito che sia nella disponibilità giuridica della cooperativa agricola, ivi compresi i consorzi agrari, di cui gli stessi sono soci, alle seguenti condizioni:
    1) i rifiuti contenenti gli inquinanti organici persistenti di cui al regolamento (CE) 850/2004, e successive modificazioni, devono essere depositati nel rispetto delle norme tecniche che regolano lo stoccaggio e l'imballaggio dei rifiuti contenenti sostanze pericolose e gestiti conformemente al suddetto regolamento;
    2) i rifiuti devono essere raccolti ed avviati alle operazioni di recupero o di smaltimento secondo una delle seguenti modalità alternative, a scelta del produttore dei rifiuti: con cadenza almeno trimestrale, indipendentemente dalle quantità in deposito; quando il quantitativo di rifiuti in deposito raggiunga complessivamente i 30 metri cubi di cui al massimo 10 metri cubi di rifiuti pericolosi. In ogni caso, allorché il quantitativo di rifiuti non superi il predetto limite all'anno, il deposito temporaneo non può avere durata superiore ad un anno;
    3) il «deposito temporaneo» deve essere effettuato per categorie omogenee di rifiuti e nel rispetto delle relative norme tecniche, nonché, per i rifiuti pericolosi, nel rispetto delle norme che disciplinano il deposito delle sostanze pericolose in essi contenute;
    4) devono essere rispettate le norme che disciplinano l'imballaggio e l'etichettatura delle sostanze pericolose;
    5) per alcune categorie di rifiuto, individuate con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministero per lo sviluppo economico, sono fissate le modalità di gestione del deposito temporaneo»;
   a titolo esemplificativo, si riportano alcuni casi recenti: la città metropolitana di Genova, con il provvedimento dirigenziale n. 3042 del 5 agosto 2015 avente ad oggetto «approvazione del “Piano di Prevenzione e Gestione delle acque di prima pioggia e di lavaggio” relativo all'insediamento produttivo costituito dall'area di messa in riserva di rifiuti sita nel Comune di Rapallo, in Località Tonnego “Piazzale Inferiore”, di titolarità del Comune di Rapallo» ha inteso tutelare l'area sulla quale insiste il centro dal possibile dilavamento di acque inquinate, assoggettandola appunto al piano di prevenzione e gestione delle acque di prima pioggia e di lavaggio. A questo proposito si fa presente che, nel caso di specie, il centro di trasbordo è stato realizzato nelle immediate adiacenze del sito ex discarica di Rapallo e che, ritenendolo non necessario, non è stato previsto alcun sistema di raccolta delle acque di prima pioggia, limitandosi a una canalizzazione che scarica nel Rio Remenon;
   da fonti di stampa (Il Secolo XIX, a firma di Marco Fagandini) si apprende che nel suddetto centro di trasferenza un operaio è morto a causa di un malore dopo aver finito la pulizia delle vasche di raccolta del percolato. Ad oggi non si conoscono le cause del decesso, ma non è escluso che la procura di Genova, che ha aperto un'inchiesta, disponga l'autopsia per accertarle con esattezza e verificare se sussista o meno un collegamento con l'operazione svolta dall'operaio;
   durante il consiglio comunale di Rapallo del 5 settembre 2016 il consigliere Federico Solari ha sollevato l'ipotesi di una rottura delle tubazioni di canalizzazione delle acque, con presenza di liquami sul terreno presumibilmente dovuti alle rotture o a perdite d'acqua dai cassoni nei quali sono raccolti i rifiuti;
   nel caso del centro di trasferenza di Tito (Potenza), in base a quanto risulta dalla relazione della Commissione parlamentare d'inchiesta sugli illeciti nel ciclo dei rifiuti sulla regione Basilicata del 2013 (Pag. 55), le principali operazioni condotte dai carabinieri del NOE di Potenza nel settore dei rifiuti (doc. 1049/2), oltre a quella già illustrata riguardante il termovalorizzatore Fenice, hanno consentito di accertare, nell'ultimo biennio, numerose fattispecie di reato;
   in particolare, in occasione del controllo effettuato sulla stazione di trasferenza dei rifiuti solidi urbani, asservita ai comuni del «bacino centro» della provincia di Potenza, si è accertato che:
    1) erano stati smaltiti in discarica rifiuti contraddistinti dal C.E.R. 19.12.12, nonostante fossero privi dei requisiti per l'ammissibilità;
    2) era stata effettuata un'attività di trattamento rifiuti, per mezzo del trituratore, in assenza di autorizzazione;
    3) era stato realizzato un deposito incontrollato di rifiuti speciali pericolosi e non;
    4) vi era stata fuoriuscita di liquido, verosimilmente «percolato», risultato contenere valori superiori a quelli di legge per alluminio, ferro, manganese, mercurio, rame, zinco, BOD e COD;
   il 18 dicembre 2014 il NOE (nucleo operativo ecologico) dei carabinieri di Roma, dietro richiesta del giudice per le indagini preliminari (GIP) del tribunale di Roma, dottor Massimo Battistini, ha disposto il sequestro preventivo del «centro di trasferenza» all'interno della discarica di Colle Fagiolara, a Colleferro;
   da fonti di stampa risultano due persone indagate dalla forestale di Polla per il reato di smaltimento illecito di rifiuti nell'impianto di trasferenza nella zona industriale di Polla (Salerno). La procura della Repubblica di Lagonegro, a termine delle indagini, ha emesso l'avviso di garanzia nei confronti di una ditta operante nel settore dei rifiuti presso l'Impianto di trasferenza dei rifiuti solidi urbani in località Sant'Antuono a Polla. Gli indagati sono P.C. e G.S., accusati a vario titolo dei reati penali per gestione di rifiuti non a norma di legge, secondo le prescrizioni vigenti in materia ambientale (in violazione agli articoli 256, 279 del decreto legislativo n. 152 del 2006, articolo 674 del codice penale, e articoli 68, 64, 55 e 18 del decreto legislativo n. 81 del 2008 – ndr), per fatti accaduti nei trascorsi mesi, tra gennaio e febbraio 2016, come accertato dal sovrintendente Pietro Rubino del comando forestale di Polla, dipendente dal comando provinciale del Corpo forestale dello Stato di Salerno, diretto dal vice questore aggiunto Maria Gabriella Martino;
   il sottufficiale della forestale nel gennaio 2015, a seguito di segnalazione, constatata la gravità della gestione del percolato derivante dall'impianto, nonché gravi anomalie anche in ordine al sistema di aspirazione, nonché del sistema antincendio, subito dopo le formalità di rito ha denunciato i soggetti ritenuti responsabili a vario titolo, tra cui il liquidatore della società Ergon e il commissario liquidatore custode giudiziario dell'impresa Consorzio Centro Sportivo Meridionale Bacino SA3 e direttore tecnico dell'impianto, che ad oggi risultano entrambi indagati –:
   se ritenga opportuno procedere alla predisposizione di un'apposita iniziativa normativa, se ne sussistano i presupposti anche di natura regolamentare, al fine di aggiornare la disciplina sui centri di trasferimento dei rifiuti e, in caso affermativo, quali tempi preveda per la sua approvazione;
   se intenda assumere iniziative per chiarire quali siano le operazioni sui rifiuti consentite nei centri in questione e quali quelle vietate;
   se, ed in quali tempi, il Ministro intenda fissare le modalità di gestione del deposito temporaneo come previsto dall'articolo 183, comma 1, lettera bb), sub 5), del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche alla luce della recente novella che ha interessato l'istituto;
   quale sia la disciplina normativa nazionale applicabile a questo tipo di centri, anche alla luce del riferimento alla delibera interministeriale citata in premessa, quest'ultima peraltro atto non legislativo e comunque risalente. (4-14679)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, occorre premettere che, in particolare per il deposito temporaneo, sono state introdotte nel tempo delle modifiche. Si richiama, infatti, il deposito temporaneo cosiddetto «conto terzi». In altre parole, il produttore dei rifiuti poteva affidare la gestione del suo deposito temporaneo ad un soggetto terzo, sempre che questi fosse già autorizzato alla gestione dei rifiuti sulla base dell'articolo 208, comma 17, il quale disponeva che il deposito temporaneo potesse non essere autorizzato anche quando tale operazione fosse affidata, nel luogo di produzione, dal produttore ad altro soggetto autorizzato alla gestione di rifiuti. Successivamente, però, il decreto legislativo 16 gennaio 2008, n. 4, ha modificato il sopracitato articolo 208 espungendo proprio le parti di cui sopra, sicché è venuta meno la possibilità dell'affidamento del deposito temporaneo ad un terzo autorizzato.
  Ciò premesso, si evidenzia dunque che le attività che riguardano il deposito temporaneo dei rifiuti e che non richiedono il rilascio di una specifica autorizzazione sono solo quelle svolte presso il luogo di produzione dei rifiuti e che la responsabilità per la corretta gestione dei rifiuti, pur se collocati in deposito temporaneo, permane in capo al produttore degli stessi e non può in alcun modo essere traslata ad un altro soggetto. Tale forma di deposito deve soddisfare i requisiti stringenti riportati dall'articolo 183, comma 1, lettera bb) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
  Con riferimento alle stazioni di trasferenza dei rifiuti, la citata delibera interministeriale del 1984 recante «disposizioni per la prima applicazione dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 10 settembre 1982, n. 915, concernente lo smaltimento dei rifiuti», al punto 2.1.2 nel merito delle disposizioni sul trasporto dei rifiuti, specifica che «tali aree sono previste dalle regioni o da altri enti qualora per esigenze di organizzazione del servizio di raccolta e smaltimento dei rifiuti sia opportuno prevedere la realizzazione di strutture di trasferimento». Tali aree dovrebbero quindi essere utilizzate unicamente ai fini del trasporto intermodale ovvero del trasferimento del carico dei rifiuti da un mezzo ad un altro. Presso tali aree non dovrebbero essere quindi ammesse altre operazioni sui rifiuti. Poiché presso tali impianti i rifiuti giungono dopo la raccolta dal luogo di produzione, devono essere adottate le norme tecniche sullo stoccaggio dei rifiuti e stabiliti i tempi di permanenza.
  La delibera interministeriale non sembra, quindi, voler indicare che tali attività possano avvenire in deroga al possesso dei titoli di autorizzazione che dovrebbero essere rilasciati ai sensi dell'articolo 208 o ai sensi del Titolo III-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. La stessa delibera precisa infatti che tali fasi intermedie di gestione sono le uniche ammissibili dopo che i rifiuti sono stati raccolti e non sono possibili altre interruzioni nel trasporto prima che i rifiuti stessi abbiano raggiunto gli impianti di recupero o di smaltimento.
  Diverso è, invece, il caso dei centri di raccolta comunali dei rifiuti, di cui all'articolo 183, comma 1, lettera cc) del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, presso i quali sono raccolti e depositati i rifiuti urbani e assimilati conferiti in maniera differenziata dalle utenze domestiche e dagli altri soggetti tenuti al ritiro dalle utenze domestiche e al conferimento di specifiche tipologie di rifiuti, al fine di agevolare l'incremento dei livelli di raccolta differenziata e il successivo trasporto agli impianti di recupero e trattamento. Tali centri sono invece disciplinati dal decreto ministeriale 8 aprile 2008 (Gazzetta Ufficiale 28 aprile 2008, n. 99).
  Per quanto concerne la disciplina dei centri di trasferenza dei rifiuti e dunque anche quali siano le attività eventualmente ammissibili o meno presso tali aree, si rimette alle autorità regionali competenti al rilascio dei titoli autorizzativi di stabilirle all'interno dei relativi decreti autorizzatori. Infatti, le attività consentite in queste aree sono quelle definite nell'autorizzazione rilasciata ai sensi dell'articolo 208 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che al comma 11 individua le condizioni e le prescrizioni necessarie per garantire l'attuazione dei principi di cui all'articolo 178 e contiene almeno i seguenti elementi: a) i tipi ed i quantitativi di rifiuti che possono essere trattati; b) per ciascun tipo di operazione autorizzata, i requisiti tecnici con particolare riferimento alla compatibilità del sito, alle attrezzature utilizzate, ai tipi ed ai quantitativi massimi di rifiuti e alla modalità di verifica, monitoraggio e controllo della conformità dell'impianto al progetto approvato; c) le misure precauzionali e di sicurezza da adottare; d) la localizzazione dell'impianto autorizzato; e) il metodo da utilizzare per ciascun tipo di operazione; f) le disposizioni relative alla chiusura e agli interventi ad essa successivi che si rivelino necessarie.
  Ad ogni modo, nell'ambito delle proprie competenze, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti. Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, VIGNAROLI, DAGA, MICILLO e MANNINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel 1994 fu dichiarato lo stato d'emergenza per la gestione dei rifiuti solidi urbani (RSU) in regione Campania; il 31 marzo 1998 un'ordinanza del Ministro dell'interno pro tempore Giorgio Napolitano spinse alla realizzazione di impianti per produzione di combustibile derivato dai rifiuti (CDR) e alla successiva costruzione di un numero adeguato di inceneritori; un processo, a giudizio degli interroganti, poco virtuoso che determinò, in numerosi siti di stoccaggio campani, l'accumulo delle «ecoballe»; oltre 5,4 milioni di tonnellate di questo materiale attende destinazione;
   al mancato smaltimento di previsione si devono aggiungere le inadeguate misure di sicurezza che provocarono un importante inquinamento. I comitati ambientalisti locali proposero il recupero, cosiddetto «spinto», di materia; al momento, però, i governatori succedutisi alla guida della regione, ad avviso degli interroganti, non hanno rivolto adeguata attenzione al problema e innumerevoli sono le inchieste giudiziarie, riassunte nel libro «Ecoballe» di Paolo Rabitti;
   con deliberazione n. 418 del 16 settembre 2015, la giunta regionale campana del governatore De Luca ha previsto una struttura tecnica, denominata «Struttura di missione per lo smaltimento del RSB», con obiettivo di rimozione dei rifiuti stoccati e la successiva bonifica dei siti, in linea con l'articolo 2, comma 7, del decreto-legge n. 185 del 2015. Il primo stralcio operativo riguarda 800.000 tonnellate di rifiuti;
   il decreto n. 39 del 15 aprile 2016 ha aggiudicato la procedura di gara dei lotti 2-4-5-6-8; il lotto 4, riguardante i siti di Giugliano (Napoli) e depuratore Marcianise (Caserta) pari a 81.525 tonnellate, è stato assegnato al raggruppamento temporaneo di imprese (RTI) Ecosistem srl (mandataria) e Econet srl per lo smaltimento delle ecoballe in impianti di proprietà della RTI a Lamezia Terme, di proprietà di Valor RIB Lda in Portogallo;
   da fonti di stampa (Il Fatto Quotidiano 22 settembre 2016 di Fabrizio Geremicca) si è appreso che lo smaltimento delle ecoballe procede a rilento; ad oggi, mancano le autorizzazioni per spostarle in Bulgaria (dove c’è una forte sollevazione popolare) e Romania, poiché i siti scelti in partenza non sono stati confermati; solo l'1 per cento delle ecoballe previste è stato trasferito alla data del 30 agosto 2016, nei siti gestiti da Herambiente a Mantova e Ravenna, mediante autoarticolati da 29 tonnellate l'uno;
   da un accesso agli atti, presso l'ente provinciale di Mantova, si è appreso che le ecoballe sono giunte a Castiglione delle Stiviere (Mantova), e non a Lamezia Terme, dal depuratore di Marcianise (Caserta) nella quantità di 4.767 tonnellate (al 30 settembre 2016), per un totale di rifiuti, proveniente dalla Campania, di 16.567 tonnellate, mentre, nel 2015, erano giunti dalla Campania all'impianto di Castiglione 46.520 tonnellate di rifiuti. Queste ecoballe vengono trattate per l'incenerimento; tale procedura potrebbe essere eseguita nelle aree limitrofe alle ecoballe stesse per realizzare un parziale recupero di materia;
   a Castiglione si lotta da anni contro l'autorizzazione della discarica Cava Pirossina (si veda al proposito l'interrogazione regione Lombardia, consigliere del MoVimento 5 Stelle Fiasconaro);
   i solventi clorurati impattano in falda, determinando l'incremento significativo delle patologie tumorali nel territorio comunale; è notizia recente quella dello smaltimento di inquinati da sostanze fluorurate presso gli impianti della Indecast (interrogazione n. 4-14574 presentata dal primo firmatario del presente atto) –:
   se il Ministro interrogato non intenda chiarire, per quanto di competenza, le ragioni della nuova destinazione delle ecoballe di cui in premessa e del rallentamento della procedura;
   se non intenda adoperarsi per valutare l'appropriatezza del sistema nazionale di trattamento e del successivo smaltimento delle ecoballe, e se non intenda promuovere strategie meno costose di smaltimento a filiera corta mirate al recupero di materia in linea con i princìpi di economia circolare. (4-14738)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, secondo quanto riferito dalla regione Campania, si fa presente che la Rti Ecosistem S.r.l./Econet S.r.l., aggiudicataria del lotto 4 (siti di stoccaggio nel comune di Giugliano in Campania, località Masseria del Pozzo e nel comune di Marcianise, presso il depuratore), in sede di gara ha dichiarato di avvalersi degli impianti Valor Rib (Portogallo), Ecosistem S.r.l. in Lamezia Terme (CZ) ed Econet S.r.l., Zona industriale Lamezia Terme (CZ). Tuttavia, in data 4 luglio 2016, il medesimo Rti aggiudicatario, ha chiesto, ai sensi degli articoli 2 e 10 del capitolato speciale d'appalto, di essere autorizzato a conferire, per il recupero, i rifiuti presso altri impianti italiani siti nel nord Italia, in possesso delle autorizzazioni richieste dalla normativa vigente per l'attività di recupero dei rifiuti. A seguito di suddetta istanza, in data 7 luglio 2016, la «Struttura di Missione per lo smaltimento dei rifiuti stoccati in balle (RSB)» ha autorizzato il conferimento dei rifiuti presso gli impianti di Herambiente S.p.a. Pertanto, le ecoballe rimosse dal sito di stoccaggio presso il depuratore di Marcianise (CS) sono state conferite presso rimpianto di Herambiente S.p.A. d Ravenna e di Castiglione delle Stiviere (MT).
  Successivamente, in data 28 settembre 2016, il Rti aggiudicatario ha chiesto l'autorizzazione anche all'utilizzo dell'impianto di recupero R3 DECO S.p.a. di Chieti, rilasciata con nota prot. n. 650317 del 6 ottobre 2016. Ai sensi delle autorizzazioni richieste, le ecoballe rimosse dal sito di stoccaggio presso il depuratore di Marcianise (CS) sono state conferite per il recupero presso gli impianti di Herambiente S.p.A. siti in Ravenna e in Castiglione delle Stiviere (MT) e presso gli impianti della Deco S.p.A. (CH).
  Per quanto concerne il conferimento dei rifiuti presso impianti bulgari la regione Campania segnala che, ad oggi, è in corso il procedimento di autorizzazione ai sensi del Regolamento CE n. 1013/2006 di una notifica di trasporto rifiuti per 100.000 tonnellate. Allo stato nessun rilievo è stato mosso dal Ministero dell'ambiente bulgaro.
  Inoltre, la stessa regione, per quanto concerne le iniziative adottate, rappresenta che, con DGR n. 828 del 23 dicembre 2015, è stato approvato il Piano straordinario di interventi proposto dal presidente della regione Campania, in attuazione di quanto previsto dall'articolo 2, comma 2, del decreto-legge n. 185 del 25 novembre 2015, aggiornato con successiva DGR n. 418 del 27 luglio 2016, con la previsione della realizzazione di due nuovi impianti per il trattamento con recupero di materia di un'aliquota del rifiuto stoccato in balle (uno già previsto nel Piano approvato con DGR 828/2015 ed uno in sostituzione dell'impianto Stir di Giugliano) e la realizzazione di due nuovi impianti dedicati al trattamento dei rifiuti in balle per la produzione di CSS, di cui uno da realizzarsi nell'area dello Stir di Caivano e uno in un'area da identificare nelle aree limitrofe ai siti di stoccaggio di maggiori dimensioni.
  Infine, per quanto di competenza di questo Ministero, si evidenzia che il piano regionale della regione Campania, approvato lo scorso 16 dicembre 2016, contiene in allegato il piano straordinario degli interventi predisposto dalla regione ai sensi dell'articolo 2 del decreto-legge n. 185 del 2015, nel quale sono descritte le modalità di gestione delle ecoballe secondo modalità che privilegiano le attività di recupero di materia.
  Si rassicura, comunque, che il Ministero dell'ambiente prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.