Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 19 aprile 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    «il Forteto» era considerata una delle principali comunità toscane di recupero per minori disagiati; la cooperativa agricola, «il Forteto», fondata nel 1977 nella azienda agricola di Bovecchio, comune di Barberino di Mugello (Firenze), negli ultimi anni è stata al centro di una vicenda giudiziaria per abusi sessuali e maltrattamenti anche su minori e bambini presi in affido, costretti a lavori durissimi, punizioni corporali e abusi sessuali;
    Rodolfo Fiesoli, detto il «profeta», insieme al cofondatore Luigi Goffredi, si avvalevano di falsi titoli di studio come quello in psicologia, nel 1985 furono processati e condannati ad una pena di reclusione per maltrattamenti aggravati ed atti di libidine nei confronti degli ospiti della comunità; nonostante questi gravissimi capi di imputazione Fiesoli ha continuato ad essere a capo della comunità e, a parere dei firmatari del presente atto di indirizzo fatto ancora più grave, il tribunale avrebbe continuato ad affidare minori alla struttura, di cui se ne contano almeno 60 fino al 2009; nel 1975 inizia l'esperienza della «Comune del Forteto», progetto basato su una proposta di comunità agricola produttiva caratterizzata da una totale promiscuità sessuale fra i suoi partecipanti. A rivestire il ruolo di leader è Rodolfo Fiesoli, coadiuvato da Luigi Goffredi, entrambi coinvolti, sin dalla fine degli anni Settanta, in un'inchiesta penale per supposti atti di zoofilia e pedofilia commessi all'interno della cooperativa;
    il 30 novembre 1978 Rodolfo Fiesoli viene arrestato su richiesta del giudice Carlo Casini che aveva aperto un procedimento per abusi sessuali ne «il Forteto»;
    il 1o giugno 1979 Fiesoli lascia il carcere per tornare alla comune «il Forteto» dove, lo stesso giorno, affidato dal tribunale dei minori, giunge il primo bambino down; l'allora presidente del tribunale, Giampaolo Meucci, grande amico di don Milani, afferma di non credere nell'indagine del giudice Casini e di ritenere «il Forteto» una comunità accogliente e idonea;
    nel 1982 la cooperativa acquista una proprietà di circa cinquecento ettari nel comune di Dicomano (Firenze) e vi si trasferisce. L'azienda continuerà a prosperare per diventare oggi un'azienda con un fatturato da 18-20 milioni di euro all'anno, con circa 130 occupati;
    nel 1985 viene emessa la sentenza di condanna per Luigi Goffredi e Rodolfo Fiesoli. Fiesoli viene condannato a due anni di reclusione per maltrattamenti nei confronti di una ragazza a lui affidata, atti di libidine violenta e corruzione di minorenne;
    dalla sentenza emerge «istigazione da parte dei responsabili del Forteto alla rottura dei rapporti tra i bambini che erano loro affidati e i genitori biologici»;
    nel 1998 la Corte europea dei diritti dell'uomo riceve la richiesta di ricorso contro l'Italia e, in particolare, contro l'operato del tribunale dei minori di Firenze, da parte di due donne con doppia cittadinanza, italiana e belga, cui il tribunale per i minorenni di Firenze aveva imposto di interrompere ogni relazione con i rispettivi figli, collocati presso la comunità «il Forteto». Le donne, inoltre, denunciarono trattamenti violenti e inumani nei confronti dei minori, con una scolarizzazione pressoché inesistente;
    il 13 luglio 2000 la Corte europea dei diritti dell'uomo ha condannato l'Italia per l'affidamento alla comunità dei due bambini, a pagare una multa di 200 milioni di lire come risarcimento dei danni morali;
    il 20 dicembre 2011 Rodolfo Fiesoli viene arrestato con l'accusa di atti di pedofilia commessi all'interno della cooperativa;
    nella relazione finale della commissione d'inchiesta della regione Toscana (15 gennaio 2013) vengono elencati i nominativi dei politici che a livello locale e nazionale, nonché magistrati e professionisti, avevano frequentazioni con la comunità «il Forteto»;
    il 17 giugno 2015, la sentenza di primo grado ha fissato una condanna a 17 anni e mezzo di reclusione per il «profeta» e fondatore della comunità Rodolfo Fiesoli;
    le conclusioni della relazione finale della Commissione d'inchiesta bis su «individuazione e analisi delle responsabilità politiche e istituzionali relativamente alla vicenda il Forteto» della regione Toscana, Commissione costituita a sua volta da tutte le forze politiche che fanno parte del consiglio regionale toscano, istituita a settembre 2015 e risoltasi il 22 giugno 2016, così dispongono:
     «Tanti attori. Tanti – troppi – segmenti di competenza. Di quei segmenti, ciascuno degli attori del dramma Forteto ha omesso di compiere un pezzetto. Ciascuno si giustifica asserendo di essersi contenuto nel perimetro burocraticamente assegnato dalle normative; troppo poco, quando si tratta dell'integrità dei bambini. Per di più in alcune occasioni, come è stato rilevato ripetutamente, neppure quel minimo sindacale è stato fatto per un Forteto che non solo vive di regole proprie al suo interno, ma riusciva a imporne i riflessi anche all'esterno condizionando l'operato di giudici, medici, assistenti sociali, politici...
     La commissione d'inchiesta sulle responsabilità politiche e istituzionali della vicenda Forteto ha agito nel rispetto delle sue prerogative e dei poteri attribuiti alle commissioni d'inchiesta regionali, limiti che non hanno consentito un approfondimento tale da considerarsi esaustivo. Anche per questo la commissione auspica che vengano al più presto predisposti ulteriori strumenti, come una commissione d'inchiesta parlamentare, che potrebbero far emergere nuove gravi responsabilità ancora sconosciute.
     Non è un caso se una vicenda come quella del Forteto si è verificata in Toscana e non altrove: l'egemonia prima culturale che politica che vi è stata ha provocato inevitabili atteggiamenti di conformismo a ogni livello. Dolo, pigrizia o più semplicemente un conformarsi al sistema che sia, è questa la subcultura al cui interno magistrati, politici e tutti gli altri protagonisti di questa brutta storia si sono mossi. E poiché Il Forteto era considerato automaticamente – e nonostante ogni evidenza – come il fiore all'occhiello del sistema Toscana, la stragrande maggioranza dei soggetti che avevano responsabilità hanno preferito chiudere uno o due occhi incolonnandosi in buon ordine nel corteo plaudente Il Forteto»;
    le motivazioni della sentenza del 15 luglio 2016, emesse dalla II sezione penale della Corte d'Appello di Firenze e depositate l'11 gennaio 2017, hanno confermato, sostanzialmente, l'impianto delle condanne inflitte in primo grado a 10 imputati, che erano coinvolti nella gestione della comunità del Mugello evidenziando, anche, la corresponsabilità della cooperativa del Forteto:
     «... 4) L'appello del responsabile civile ha puntato alla separazione della figura della Cooperativa dai singoli soggetti coinvolti nei maltrattamenti, in assenza a sua detta di una occasionalità necessaria come richiesta dalla giurisprudenza al fine di ritenere il collegamento tra le due posizioni. Invero la sentenza ha pienamente dimostrato il contrario, e non solo sulla scorta degli atti formali di affidamento dei minori alla Cooperativa o al suo Presidente (all'epoca PEZZATI), tutti puntigliosamente elencati alle pagine 954 e 955 e rispondenti alla documentazione allegata agli atti, ma sulla base dell'esame della vicenda sostanziale come emersa dalla istruttoria dibattimentale, in cui i soci della cooperativa, quali erano innanzitutto FIESOLI e GOFFREDI, oltre a tutti gli altri imputati, interagivano direttamente con i minori sull'onda degli spostamenti indifferenziati che il primo operava all'interno della comunità tra “coppie funzionali” da lui designate. Dunque intanto non si può parlare in proposito di famiglie affidatarie nel senso classico della parola, appunto perché non di coppie sposate o conviventi o comunque effettive e reali si tratta, ed in ogni caso sin dalla sua costituzione nel 1977 la Cooperativa del Forteto aveva espresso tra i suoi fini quello di accogliere ed ospitare persone disadattate anche minori di età (articolo 4 lett. j) dello statuto approvato nel 1978) : pertanto l'oggetto sociale (sebbene mutato nel 2014 quando tale lettera è stata soppressa) comprende esplicitamente siffatta opera di assistenza strettamente collegata ai fini mutualistici dell'attività agricola peculiare della comunità. Che poi tale Cooperativa si sia enormemente ampliata, che nel tempo sia nata la Fondazione (nel 1998) e la Associazione (nel 2005), tutto ciò non scalfisce il nucleo fondamentale di partenza e lo stretto rapporto sin dall'inizio intercorso tra il responsabile di fatto della Cooperativa RODOLFO FIESOLI, disinvolto e costante interlocutore del Tribunale per i Minorenni nonché manovratore degli affidi interni alla comunità, ed ogni singolo soggetto entrato nel Forteto, così come si profila più che significativo l'epistolario altrettanto costante tra il presidente della Cooperativa STEFANO PEZZATI e lo stesso Tribunale per i Minorenni o i servizi sociali, sia pure per indicare di volta in volta le coppie di affidatari del nuovo minore ammesso. Altrettanto sintomatica la risposta del medesimo circa la definizione della Cooperativa non come “comunità di accoglienza”, ma come insieme di famiglie affidatarie, al fine di sottrarla al controllo degli enti preposti sulla base della legge sull'affidamento familiare n. 184 del 1983 e le successive delibere del consiglio regionale citate dalla sentenza (pag. ]07), cosicché, mancando – in quanto non istituito se non recentemente – un Centro Affidi come previsto dalla legge regionale, di fatto la cooperativa/comunità è rimasta lungamente svincolata da qualsiasi controllo pubblico. Sulla base di tale equivoco essa si vorrebbe ancora una volta sottrarre oggi alla responsabilità civile da reato, ai sensi dell'articolo 2049 cc. quando gli stessi affidatari, come i minori affidati, divenuti maggiorenni, sono stati fatti soci della medesima cooperativa ed hanno fornito la loro prestazione lavorativa nel caseificio o nell'agricoltura, riscuotendo una minima parte dello stipendio (150 euro mensili o poco più) e lasciando il resto alla cassa comune. In proposito anche alcune recenti pronunce giurisprudenziali, di cui si riportano le massime, confortano la prospettazione del pieno coinvolgimento dell'attuale responsabile civile: “Ai fini della responsabilità civile per fatto illecito commesso dal dipendente, è sufficiente un rapporto di occasionalità necessaria tra il fatto dannoso e le mansioni esercitate dal dipendente, che ricorre quando l'illecito è stato compiuto sfruttando comunque i compiti da questo svolti, anche se il dipendente ha agito oltre i limiti delle sue incombenze e persino se ha violato gli obblighi a lui imposti. (In applicazione di tale principio, la &C. ha ritenuto civilmente responsabile del reato di maltrattamento di minori una cooperativa appaltatrice del servizio di assistenza in favore dei bambini di un nido, presso il quale le imputate avevano svolto l'attività di maestre educatrici alle dipendenze della predetta cooperativa)”» Sez. 6, Sentenza n. 17049 del 14/04/2011.
     «Ai fini della sussistenza della responsabilità civile dell'imprenditore per fatto illecito commesso dal dipendente, non è necessaria l'esistenza di una stabile rapporto di lavoro subordinato essendo sufficiente che l'autore del fatto illecito sia legato all'imprenditore temporaneamente ad occasionalmente e che l'incombenza disimpegnata abbia determinato una situazione tale da agevolare a rendere possibile il fatto illecito e l'evento dannoso. (In applicazione del principio, la Corte ha ritenuto civilmente responsabile del reato di lesioni volontarie aggravate una società che gestiva una casa di riposo per anziani presso la quale l'imputato svolgeva mansioni di assistente)», (Sentenza n. 32461 del 22 marzo 2013);
    posto dunque che la comunità quale affidataria di una serie di minori ha visto al suo interno la commissione di abusi e maltrattamenti da parte di alcuni soci della cooperativa il Forteto, che ha incarnato per anni nei fatti quel modello di commistione tra lavoro agricolo e caseario e gestione collettiva di situazioni di minori disadattati in affidamento, cresciuti in seno ad essa e consegnati via via a coppie funzionali anche mutate nel tempo, e che tale coacervo ha senz'altro contribuito a creare una cortina di protezione rispetto all'esterno, tale da non facilitare di fatto il controllo su quanto di illecito vi avveniva, in danno dei soggetti ospitati e successivamente divenuti soci, le rimostranze della difesa tese all'esclusione del responsabile civile si palesano infondate e correttamente sono state superate dal Tribunale. Rimane la perplessità per quella cortina che ha resistito per così tanto tempo alle intrusioni dall'esterno, mistificando valori di solidarietà;
    si tratta di accoglienza e laboriosità che le istituzioni pubbliche condividevano, non intuendo, in mancanza di controlli seri, ciò che realmente avveniva in seno alla comunità e che non si palesava al visitatore al quale anzi veniva proposto un modello imbellito ed edulcorato di vita comunitaria che gli ospiti interni si guardavano bene dallo smentire;
    non senza da ultimo sottolineare, anche se la risalenza nel tempo non consente un più approfondito esame, che i minori inizialmente ammessi in comunità venivano sfruttati come piccoli operai agricoli, con orari e turni di lavoro massacranti, punizioni anche corporali e quant'altro riportato per citare solo un documento significativo ed impietoso, in atti – nella spassionata lettera del 2003 di Salvatore Amidei, ospite del Forteto poi suicidatosi, descrittiva delle pesanti, insopportabili condizioni di assoggettamento fisico e psicologico dei bambini affidati alle «cure» degli adulti seguaci del Fiesoli,

impegna il Governo:

1) ad avviare ogni iniziativa di competenza al fine di accertare le motivazioni e le eventuali responsabilità politiche e istituzionali per cui la comunità «il Forteto», anche a seguito della condanna in secondo grado di Fiesoli per abusi sessuali e maltrattamenti, abbia successivamente ottenuto decine di minori disagiati in affidamento;

2) ad attivare con urgenza tutte le procedure finalizzate all'eventuale commissariamento della cooperativa «Il Forteto».
(1-01605) «Bonafede, Cozzolino, Ferraresi, Agostinelli, Businarolo, Sarti, Spadoni, Gagnarli, Grillo, Lorefice».


   La Camera,
   premesso che:
    nel maggio 2015, la Commissione europea nella cosiddetta «Agenda europea sulla migrazione», aveva disegnato un nuovo modello di accoglienza per la gestione dei migranti, puntando sulla creazione di hotspot nei luoghi stessi del loro sbarco;
    gli hotspot avrebbero dovuto essere strutture allestite per identificare rapidamente, registrare, foto-segnalare e raccogliere le impronte digitali dei migranti e che dovevano essere create per sostenere i Paesi più esposti ai nuovi arrivi, quindi Italia e Grecia, ma anche Ungheria, per esempio;
    i migranti avrebbero dovuto essere trattenuti negli hotspot, in molti casi allocati in centri già esistenti e attrezzati, fino alla conclusione di tutte le operazioni di identificazione;
    due anni fa non era chiaro come sarebbero state impostate queste strutture: se sarebbero state aree di accoglienza con l'obiettivo di trasferire chi aveva diritto di asilo in altri Paesi, oppure di luoghi di detenzione per gli immigrati irregolari in attesa di un rimpatrio;
    nel settembre 2015 a Bruxelles, i Ministri dell'interno si sono riuniti per definire questa nuova linea straordinaria di accoglienza per una migrazione che vede ogni giorno numeri più elevati di arrivi, soprattutto nelle coste italiane, cominciando con il definire chi avrebbe gestito queste nuove strutture: autorità nazionali e agenti della polizia di frontiera, insieme a tecnici e esperti di agenzie europee come Europol (l'ufficio di polizia europeo), Easo (l'Agenzia europea per il diritto d'asilo), Eurojust (per la cooperazione giudiziaria tra varie autorità nazionali contro la criminalità), Frontex (l'Agenzia europea per la gestione della cooperazione internazionale alle frontiere esterne degli Stati membri dell'Unione europea); il 23 settembre 2016 il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker ha comunicato al vertice dei capi di stato e di Governo l'inizio delle operazioni per attivare gli hotspot;
    la collaborazione tra autorità europee e nazionali avrebbe dovuto essere volta più che altro alla distinzione dei migranti che vogliono presentare richiesta d'asilo, dai migranti cosiddetti «economici», cioè che fuggono dalla povertà e non dalla guerra e dalla violenza, ricordando che il coinvolgimento di Europol e Eurojust ha esclusivamente lo scopo di esercitare un controllo sul terrorismo;
    si convenne che la maggior parte di questi nuovi centri hotspot sarebbe stata creata in Italia, dove gli esperti delle agenzie dell'Unione europea Frontex, Easo, Europol e Eurojust erano già operativi, soprattutto in Sicilia per gestire, assieme ai funzionari italiani, le attività di registrazione dei migranti in arrivo sulle coste italiane. Concretamente, tre sarebbero stati creati in Sicilia (Trapani, Pozzallo, Porto Empedocle) e uno sull'isola di Lampedusa. Mentre, dall'inizio del 2016, avrebbero dovuto aprire anche i centri di Taranto e Augusta;
    ogni centro, secondo le ipotesi in circolazione, avrebbe potuto ospitare fino a 1.500 persone. Il Ministro dell'interno italiano pro tempore Angelino Alfano, aveva indicato in due mesi il tempo necessario a far partire il meccanismo, precisando però che, prima dell'avvio del progetto, sarebbero state necessarie garanzie su rimpatri e ricollocazioni;
    a livello internazionale si pensava di creare un hotspot in Grecia, al porto del Pireo, ad Atene, mentre il problema principale era e resta l'Ungheria, che da mesi si oppone alla redistribuzione dei profughi;
    in realtà, sull'isola siciliana, quasi nulla è cambiato nelle procedure usate per registrare i migranti: sono identificati grazie al foto-segnalamento e alla rilevazione delle impronte. Inoltre, sono sottoposti a un controllo sanitario, come succedeva in precedenza, il tutto entro quarantotto ore dall'arrivo. Queste operazioni sono ancora svolte da personale italiano, con la differenza che, ora, sono controllate da funzionari dell'Ufficio europeo di sostegno per l'asilo (Easo) e dell'Europol presenti sul posto, che però non hanno autorità di intervento;
    l'Alto Commissariato per i rifugiati delle Nazioni Unite (Unhcr) fornisce supporto ai funzionari Easo nel dare le informazioni legali ai migranti in arrivo. Il personale dell'Unhcr è presente a Lampedusa già dal 2006 e, con l'attuazione delle nuove regole, l'agenzia lavora anche negli altri hotspot e nei centri di accoglienza dove i richiedenti asilo saranno ospitati in attesa di ricevere una risposta alla loro domanda. Si tratterà di personale con formazione giuridica, che spiegherà ai migranti il funzionamento del piano di ricollocamento nei Paesi dell'Unione europea, oltre ai loro diritti e ai loro obblighi di richiedenti asilo;
    l'Unhcr ha detto che il programma italiano di ricollocamento è «un primo passo positivo» per risolvere la crisi attuale. Tuttavia, è fondamentale che le informazioni ai migranti siano fornite in modo chiaro, grazie al lavoro di mediatori culturali e a materiale stampato in varie lingue, affinché le nuove misure abbiano successo. Inoltre, è necessario che le condizioni di prima accoglienza siano appropriate in modo da incentivare le persone ad aderire al programma di ricollocamento;
    ma registrare tutti i migranti, di fatto, è molto complicato proprio per i numeri che non accennano a diminuire, anche in queste ultime giornate; le forze dell'ordine italiane non riescono ad avere gli strumenti sufficienti per gestire la situazione, come ha dichiarato il prefetto di Trapani, Leopoldo Falco, secondo cui la maggior parte dei migranti che arrivano in Italia, rifiuta di farsi identificare perché vuole raggiungere altri Paesi dell'Unione europea e le autorità italiane non possono fare altro che lasciarli andare dopo quarantott'ore dall'arrivo, perché questo prevede la legge. Inoltre non ci sono abbastanza strumenti per la detenzione e la conseguente espulsione di chi rifiuta di farsi registrare. Il processo d'identificazione, per Falco, è molto lungo, «in un'ora si riescono a registrare sei o sette persone», anche per questo gestire la registrazione di centinaia di persone arrivate sul territorio italiano non sarà un processo semplice,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di aumentare il numero del personale impegnato nel servizio di identificazione e riconoscimento dei migranti che sbarcano in Italia, promuovendo anche l'utilizzo di strumenti più moderni degli attuali, con un esplicito riferimento a mezzi di natura telematica;
2) a valutare l'opportunità di avvalersi anche di personale con un profilo culturale più vicino a quello dell'educatore professionale, con esperienze interculturali e non solo di personale con profili più simili a quelli delle forze dell'ordine, per favorire il dialogo e la collaborazione;
3) ad assumere iniziative per innestare negli hotspot modalità di lavoro più flessibili che consentano ai funzionari di spostarsi ne luoghi di sbarco, senza attendere che siano i migranti a spostarsi per recarsi nell’hotspot.
(1-01606) «Binetti, Buttiglione, Cera, De Mita, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    le tecnologie innovative, che soltanto fino a qualche anno fa erano relegate al mondo della fantascienza, sono oggi una realtà che sta prendendo sempre più spazio nell'industria dei maggiori Paesi ad economia avanzata, modificandone l'organizzazione ed il processo produttivo, tanto da segnare la nascita di una nuova era industriale;
    i dati delle vendite mondiali dei robot industriali nel 2015 confermano che il settore sta vivendo una fase di espansione, raggiungendo, come conferma il rapporto « The Future of jobs», presentato al World Economic Forum di Davos, gli oltre 150 miliardi di dollari nel 2020; già nei prossimi anni il settore industriale sarà supportato dalla crescente domanda di soluzioni che interessano altri comparti dalla medicina, alla difesa e ai servizi alla persona;
   un trend di sviluppo interessante della tecnologia è raggiunto nel settore dei robot collaborativi, ossia di applicazioni capaci di affiancare l'uomo nell'espletamento delle sue attività, nel quale, in Italia, operano aziende che vantano un ruolo di primo piano nel panorama mondiale, in cui sono oltre 4 mila le aziende attive nella produzione di robot o sono interessate nella filiera produttiva;
    in un anno, tra il 2014 e 2015, il numero dei finanziamenti a start-up e aziende di robotica è stato di circa 2 miliardi di dollari; sono state 31 le acquisizioni aziendali che, nel 2015, hanno prodotto un valore pari a 1,9 miliardi di dollari;
    l'Italia è il sesto mercato mondiale dei dispositivi robotici ed il secondo in Europa, con una leadership nei settori della ricerca e dell'innovazione. I centri di ricerca italiani in robotica rappresentano, infatti, dei poli di eccellenza a livello mondiale, il cui valore supera quello industriale, e sono tra i promotori dei più ambiziosi progetti di ricerca robotica in Europa;
    a livello internazionale, le aree che più stanno investendo nel settore sono le regioni asiatiche e dell'Oceano Pacifico, con un intervento del 65 per cento sugli investimenti totali a livello internazionale, pari a 46.8 miliardi di dollari che, entro il 2019, sarà vicino al raddoppio, segnando una significativa fase di sviluppo di questi Paesi;
    in tale scenario, l'Italia potrebbe avere un discreto successo nell'attuazione di iniziative finalizzate a rendere la tecnologia parte integrante del processo produttivo. L'ambizioso progetto «Industria 4.0» promosso dal Governo, che si propone, attraverso la sola leva fiscale, di rivoluzionare il tessuto industriale del Paese, è tuttavia destinato al fallimento se non inquadrato all'interno di una visione politica più ampia in cui il progresso tecnologico coesista con quello sociale e civile;
    la rivoluzione industriale 4.0 produrrà certamente effetti dirompenti per il tessuto economico del Paese, andando principalmente ad incidere sul mondo dell'occupazione;
    nei prossimi anni si stima, infatti, che saranno centinaia di migliaia i lavoratori espulsi dai processi produttivi, con possibilità scarse o addirittura nulle di essere reimpiegati, mentre coloro che rimarranno all'interno del processo produttivo sconteranno un gap formativo-culturale e di competenze non supportato dall'attuale formazione universitaria;
    secondo il direttore occupazione, lavoro e affari dell'Ocse «la situazione è allarmante, nei Paesi Ocse dal 45 al 60 per cento della forza lavoro, in Italia quasi il 50 per cento ha zero o scarse capacità informatiche. Per questo senza un piano sul lavoro 4.0 anche le grandi opportunità di industria 4.0 possono essere messe seriamente a rischio»;
    la stessa Ocse ha calcolato che l'impatto diretto della robotica sulle dinamiche occupazionali potrebbe mettere a rischio il dieci per cento dei posti lavoro e sposterebbe alla modifica delle mansioni almeno un terzo dei lavoratori;
    anche il citato rapporto «The Future of Jobs» stima che dal 2015 al 2020 si perderanno 5,1 milioni di posti di lavoro in tredici dei Paesi più industrializzati del mondo, tra cui l'Italia; anche se non esiste una correlazione diretta tra la perdita di posti di lavoro e l'avanzamento tecnologico, lo studio ritiene che l'automazione e lo sviluppo delle intelligenze artificiali siano tra i principali fattori responsabili;
    il costo sociale in termini occupazionali che l'innovazione tecnologica inevitabilmente comporterà potrebbe essere compensato da una tassazione sui robot che svolgono lavori umani; tale proposta, lungi dal voler essere demagogica, è stata lanciata anche di recente dal fondatore di Microsoft, Bill Gates, che ha dichiarato «Se gli operai che lavorano nelle industrie guadagnano mediamente 50 mila dollari l'anno, e il loro reddito è regolarmente tassato, anche il lavoro svolto direttamente dai robot dovrebbe essere tassato allo stesso modo». L'uso di robot «può generare profitti con risparmi sul costo del lavoro» e quindi i robot potrebbero pagare imposte minori di quelle umane, ma dovrebbero pagarle. «Non ritengo che le aziende che producono robot si arrabbierebbero se fosse imposta una tassa»;
    le occupazioni più a rischio in quanto più sostituibili dai robot, peraltro, sono quelle meno retribuite e, secondo critici e osservatori, il rischio conseguente è l'ampliamento del divario fra poveri e ricchi;
    in Europa, è stata recentemente approvata una risoluzione in materia di norme di diritto civile sulla robotica che raccomanda l'adozione un quadro di norme comunitarie per disciplinare l'impiego dei robot nella vita reale, soprattutto sotto gli aspetti della responsabilità civile delle macchine e dell'impatto sul mercato del lavoro e sulla privacy;
    il tema è estremamente delicato e merita, quindi, attenzione da parte delle istituzioni nazionali ed europee, soprattutto per quanto concerne l'impatto che l'ascesa delle tecnologie artificiali ha sulla riorganizzazione dei processi produttivi e sull'occupazione,

impegna il Governo:

1) ad assumere le necessarie iniziative affinché lo sviluppo della robotica in Italia avvenga in un contesto normativo univoco e concertato tra tutti soggetti a vari livelli interessati;
2) a presentare al Parlamento una relazione per la valutazione di rischi ed opportunità che lo sviluppo del settore della robotica e dell'intelligenza artificiale può generare per l'economia del nostro Paese;
3) a monitorare l'impatto che il progressivo impiego delle tecnologie artificiali genera sul mercato del lavoro e a prevedere l'adozione di idonee misure, anche di natura fiscale, tese alla salvaguardia degli standard di welfare, necessarie per scongiurare una crisi occupazionale, considerando anche l'opportunità della creazione di specifici percorsi formativi per la riqualificazione dei lavoratori;
4) ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte ad implementare la formazione scolastica delle scuole secondarie di secondo grado e quella universitaria al fine di favorire la nascita di nuove figure professionali idonee alle competenze richieste dalla quarta rivoluzione industriale ed in possesso degli opportuni skills;
5) a sostenere, in questa fase di transizione verso un'economia altamente innovativa e digitalizzata le micro e piccole imprese nel rinnovamento dei loro processi produttivi, integrandoli con quella parte del sistema industriale già interconnessa, quale presupposto per lo sviluppo di una strategia che miri alla più ampia diffusione delle tecnologie avanzate.
(1-01607) «Allasia, Simonetti, Fedriga, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2008 è iniziata una fase di crisi che, pur riducendo il proprio impatto, non si è conclusa. La sua natura è strutturale e collegata a diverse cause. Di fatto, questa crisi ha evidenziato un cambiamento in atto, sempre più importante e dagli effetti più diffusi, nel modo di produrre, consumare, acquistare beni e servizi;
    questo cambiamento è dovuto a trasformazioni introdotte da innovazioni scientifiche e tecnologiche che influenzano la vita delle persone, in particolare le loro abitudini e i loro comportamenti. Di conseguenza, è cambiato, e sta ancora cambiando, in questi anni, lo scenario economico, sociale e persino culturale;
    una progressiva accelerazione dell'innovazione può tendere a rendere le figure professionali inadeguate nel tempo sia per la rapida obsolescenza delle competenze stesse, sia perché i compiti svolti sono parzialmente automatizzati;
    una recente ricerca dell'Ocse sul futuro del lavoro indica che in Italia il 9,6 per cento dei lavori sono caratterizzati da mansioni con una probabilità di elevata automazione ed un 34 per cento con una probabilità media di automazione che comporti cambiamenti significativi nelle mansioni svolte;
    questo fenomeno rischia di rendere subottimale ai fini della contribuzione al bene comune risorse umane importanti oltre a porre alla società, nel suo insieme, il problema del sostentamento e del welfare per queste ultime;
    l'attuale formazione prevede dei momenti della vita, nei quali una persona si forma e quelli nei quali lavora, formalmente strettamente demarcati. La formazione scolare, seguita poi da un'attività lavorativa più o meno lunga e da ulteriori eventi di formazione occasionali. La formazione in generale specializza la persona; una specializzazione che diviene parte dell'identità stessa della persona. Ciò fa sì che, una volta che la professionalità diventa obsoleta, la persona entri in crisi e si senta inutile e obsoleta a sua volta. Questo paradigma potrebbe non essere più attuale se si ipotizza verosimile che le persone, per poter stare al passo con l'accelerazione nel cambiamento che si intravede, debbano alternare nella loro vita, frequentemente, periodi di istruzione a periodi di attività lavorativa, il cosiddetto « lifelong learning» al quale il nostro sistema scolare non è preparato;
    dalla già citata ricerca dell'Ocse, emerge che in Italia, tra le persone con minore competenze per affrontare lavori a base tecnologica, solo l'8 per cento delle persone in età lavorativa partecipa a corsi di formazione;
    con insistenza si sente parlare di come intelligenza artificiale e robot possano trasformare e trasformeranno il mondo del lavoro (sia nella produzione che nel commercio);
    grazie agli sviluppi dell'elettronica e dell'intelligenza artificiale, l'automazione di attività ripetitive, sia nella manipolazione di oggetti materiali, con robot nelle fabbriche, che di manipolazione di oggetti immateriali, con infobot negli uffici, riguarderà settori progressivamente sempre più ampi dell'economia;
    l'automazione si basa sull'adozione e sulla diffusione della tecnologia; mentre alcuni lavori scompaiono, nuovi lavori sono creati direttamente e indirettamente dallo sviluppo tecnologico; tali lavori non rimpiazzano necessariamente quelli vecchi, ma sono accompagnati da un forte effetto moltiplicatore e da un aumento della produttività, essenziale per il nostro Paese con una produttività ferma da decenni;
    lo sviluppo tecnologico, inoltre, presenta prospettive che possono portare benefici alla salute, alla comunicazione, all'inclusione sociale ed al welfare, alla lotta alla fame se inserito nel quadro di politiche e strategie che riportano l'area del possibile all'interno di una visione di futuro;
    recentemente, è emersa nel dibattito internazionale la possibilità di applicare una tassa sui robot, provvedimento difficile da definire nel merito dell'applicazione e potenzialmente dannoso negli effetti in quanto tassa sugli investimenti quindi recessiva;
    non è una questione di mercato, ma di prospettiva della società, dove i sistemi continentali (più di quelli nazionali) possono interpretare un ruolo, se capaci di indicare strategie di sviluppo che generino valore e sappiano distribuirlo;
    si parla di una quarta rivoluzione industriale, dove l'automazione, internet delle cose, una diversa organizzazione delle filiere e dei rapporti tra imprese, consentirà a imprese «virtuose» di trascinare e guidare la crescita economica;
    questo «piano» è parte della strategia complessiva, la anticipa, ma allo stesso tempo evidenzia come ci siano molti aspetti, ricadute, precondizioni che richiedono una riflessione e la costruzione di strumenti e politiche per far sì che una rivoluzione tecnologica trovi corrispondenza nell'evoluzione sociale e nelle politiche nazionali ed europee;
    l'Europa, all'inizio del millennio, ha definito la propria strategia, indicando nella «Società della Conoscenza» il proprio specifico asset nel mercato globale. Questo significa che i Paesi europei riconoscono che il capitale umano e il fattore umano sono elementi su cui investire rispetto ad altri sistemi che hanno puntato, per esempio, sul costo del lavoro come leva di sviluppo. Le imprese europee, quelle sopravvissute al trauma di una competizione con sistemi con un costo del lavoro imparagonabile al nostro, hanno innovato e compreso che l'innovazione, è una leva su cui investire e attraverso la quale competere. Lo hanno fatto anche medie imprese e iniziano a farlo le reti di imprese più piccole;
    tuttavia, di fronte a questa rivoluzione, che aumenterà l'importanza di robot e intelligenza artificiale, non solo nella produzione di beni, ma soprattutto nello scambio e nell'erogazione di servizi, la politica ha il compito di interrogarsi e di prospettare scenari, definire strategie e priorità perché il mondo del lavoro, gli investimenti, il welfare possono trovare opportunità di miglioramento ed evitare rischi di impoverimento o emarginazione;
    è indispensabile attivarsi per raccogliere informazioni, dati, progetti, iniziative, proposte che consentano di definire il quadro per arrivare a promuovere politiche su alcune aree strategiche, dove le norme possano accompagnare un cambiamento virtuoso: la scuola, l'università, la ricerca, i trasporti, la comunicazione, la sicurezza informatica (solo per citare i più sensibili e diretti);
    è necessaria un'attenta analisi delle forme e delle regole del lavoro, dal momento che anche il mondo del lavoro, delle professioni, dei tempi e delle modalità di lavoro si trasformerà, così come mostrano alcuni fenomeni riscontrati in questi anni e interpretati con concezioni e regole del passato;
    va valutato l'aspetto economico e fiscale dell'impatto di una trasformazione della produzione con una forte automazione, in modo che la produzione di ricchezza sia accompagnata anche da un modello di ridistribuzione del valore generato;
    va anche considerato il fenomeno che porta le aziende, per poter meglio gestire il rischio derivato da un cambiamento sempre più vorticoso, abilitate da tecnologie di automazione del coordinamento sempre più evolute, a diventare «elastiche» ovvero a distribuire il rischio di impresa su tutto il proprio ecosistema: fornitori, partner, lavoratori. Questo tipo di impresa, in rapida diffusione, richiede un cambiamento di paradigma nella logica di protezione della persona che oggi avviene di fatto attraverso il posto di lavoro; è imperativo che altre forme vengano identificate per il futuro. Questo modello impone, inoltre, una maggiore necessità per i lavoratori di acquisire competenze di tipo imprenditoriale, obiettivo che il sistema scolare attuale non riesce a gestire;
    le premesse qui esposte lasciano aperto il campo delle possibilità, che oscilla tra rischi e opportunità,

impegna il Governo:

1) a costituire un osservatorio interministeriale, coinvolgendo i Ministeri competenti, che effettui monitoraggi, raccolte di dati ed analisi quantitative e qualitative circa l'adozione di sistemi robotici e di intelligenza artificiale, misurandone gli effetti sulla produttività e sull'occupazione e che proponga periodicamente misure ed interventi per massimizzare i benefici, mitigando gli effetti negativi;
2) a proporre nuovi strumenti e istituti per il lavoro, alla luce di uno scenario di dematerializzazione del lavoro che riduce il suo legame con i tradizionali tempi e luoghi di prestazione, e dell'incremento del lavoro autonomo;
3) ad affrontare il tema di un nuovo sistema di allocazione/riallocazione/formazione delle risorse umane che sia anche molto più attento ai percorsi imprenditoriali, considerando:
   a) l'imprenditorialità e l'incubazione di impresa a tutti gli effetti un percorso formativo tra quelli istituzionalizzati;
   b) la necessità di potenziare e rendere flessibile il sistema della formazione, puntando soprattutto su imprenditorialità, sulla risoluzione dei problemi, competenze trasversali e conoscenza della tecnologia per facilitare la nascita di nuove attività economiche ed il reimpiego delle persone;
   c) la necessità di promuovere l'apertura del sistema della formazione pubblica al mercato, favorendo l'accesso agile all'enorme quantità di offerta formativa che l'innovazione e le tecnologie stanno portando;
   d) la rivalutazione del ruolo tradizionalmente svolto da albi professionali e di nuove forme di intermediazione algoritmica da parte di piattaforme digitali;

4) a promuovere attività di studio, programmazione e incentivazione di nuove forme di welfare e previdenza, che possano accompagnare le attuali e le prossime generazioni di giovani, attraverso prime sperimentazioni di ridistribuzione del valore generato dalle migliori e più avanzate pratiche di Industria 4.0;
5) a realizzare un libro bianco di proposte in materia che riguardino i diversi Ministeri competenti, nell'ottica di un Piano nazionale per le sfide proposte dalla quarta rivoluzione industriale, considerato che l'Italia è il secondo Paese manifatturiero dell'Unione europea;
6) a promuovere, a livello europeo, un dibattito per la definizione di una proposta organica di una politica europea su questi temi per nuovi obiettivi chiave per i prossimi dieci anni.
(1-01608) «Catalano, Quintarelli, Monchiero, Molea, Galgano, Menorello, Oliaro, Vargiu».

Risoluzione in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    il rapporto IVASS del giugno 2016 evidenzia che permane una consistente differenza di prezzo delle polizze assicurative RC auto rispetto agli altri Paesi europei, evidenziando altresì che il costo medio di una polizza auto è in più alto del 34 per cento, in Italia, rispetto alla media dell'Unione europea;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) nel mese di dicembre 2016 ha avviato un procedimento nei confronti delle principali compagnie assicurative attive, in Italia, nell'offerta delle polizze RC auto, per una possibile intesa restrittiva della concorrenza in violazione dell'articolo 101 dei Trattato sul funzionamento dell'Unione europea;
    fenomeni come quello oggetto di procedimento dell'AGCM si sono presentati e ripetuti negli anni passati, viste le numerose condanne inflitte alle compagnie assicurative dall'Autorità, dovute ai comportamenti avuti dalle compagnie verso gli assicurati o, peggio, a iniziative di intesa, tese a limitare la concorrenza, come certificato dalla condanna dell'AGCM del maggio 2015 che ha irrogato due multe, per complessivi 29 milioni di euro, alle compagnie di assicurazioni Generali (12.013.443 euro) e Unipol-Fondiaria, (16.930.031 euro). L'Autorità ha sanzionato così un'intesa restrittiva della concorrenza sulla partecipazione alle gare per la copertura assicurativa RCA dei mezzi di 15 aziende di trasporto pubblico locale (TPL) in altrettante città italiane. L'accordo, durato dal 2010 al 2014, aveva riguardato 58 appalti,

impegna il Governo:

ad adottare una iniziativa normativa che, attraverso la modifica del sistema sanzionatorio utilizzato dalle Authority:
    a) addebiti le sanzioni direttamente agli amministratori delle società interessate, affinché questi ultimi ne rispondano con il proprio patrimonio;
    b) impedisca alle compagnie di farsi carico, tra le spese di gestione, degli importi di dette sanzioni, al fine di evitare conseguenti incrementi di costi, già troppo elevati, dei prodotti assicurativi venduti.
(7-01245) «Impegno, Iacono».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   in un precedente atto di sindacato ispettivo (interpellanza urgente n. 2-01685 presentata dall'interpellante in data 28 febbraio 2017, alla quale ha risposto in data 10 marzo il Sottosegretario alla Giustizia onorevole Gennaro Migliore) era stata sollevata la questione della violazione del diritto di difesa contenuto in un provvedimento del Decano della Rota Romana, che avrebbe reso in via generale non più delibabili le sentenze canoniche dichiarative la nullità del matrimonio concordatario per violazione dell'articolo 8, n. 2, lettera b) dell'Accordo di Villa Madama, dell'articolo 24 della Costituzione e dell'articolo 6 della Convenzione europea dei diritti dell'uomo;
   il giorno precedente la discussione dell'interpellanza, l'articolo di un autorevole vaticanista de La Stampa, Andrea Tornielli, chiariva come fosse stato posto rimedio. Nell'articolo si leggeva difatti che il Segretario di Stato, Cardinale Pietro Parolin avrebbe fatto pervenire, sin dal 18 febbraio 2017, al Decano della Rota una lettera in cui comunicava «che il Santo Padre ha espresso la volontà che sia rispettato il diritto di ogni fedele di scegliere liberamente il proprio avvocato». Per diretto incarico del Pontefice, che così facendo, secondo l'interpellante, sconfessava apertamente il Decano della Rota, era dunque chiesto di «voler modificare la prassi attuale» consentendo alle parti che lo desiderano di scegliersi un patrono di fiducia;
   la notizia era ripresa anche nella risposta del Sottosegretario Migliore, così quasi dichiarando risolti i dubbi giuridici sollevati. L'interpellante replicava domandando al Governo di chiedere contezza alla Santa Sede sia dell'effettiva normativa vigente, sia del numero di sentenze già delibate in regime di lesione del diritto di difesa;
   nei giorni successivi, alcun mandato di fiducia era però accettato in Rota. Risposte del Pontificio Consiglio per i testi legislativi (si veda la lettera del 2 marzo 2017, protocollo n. 15822/2017) a una richiesta di chiarimento in merito, consultabile sul sito internet del medesimo dicastero, e i decreti della Segnatura Apostolica del 7 marzo 2017 citati dal dottor Tornielli provavano che a quelle date (ben successive al 18 febbraio) non fosse stato ancora preso alcun provvedimento presso la Rota Romana. La circostanza sembra provata infine da un articolo di Renato Farina su Libero del 17 marzo 2017 dal sagace titolo «A capo della Sacra Rota c’è un anti Papa», che attesta che a quella data alcunché fosse ancora mutato;
   solo in data 28 marzo 2017, risulta all'interpellante che nella bacheca della Rota appariva una «ordinanza», non pubblicata da alcun organo ufficiale della Santa Sede, né consultabile, nella quale era posta una disciplina che parzialmente modificava quanto stabilito dal precedente discutibile decreto del Decano del dicembre 2015. In essa, per quando consta all'interpellante, pur accennando al diritto di difesa di fiducia, lo si gravava delle spese processuali rispetto al patrocinio di ufficio comunque concesso dall'organo giudicante anche agli abbienti, ma si concludeva, dopo l'estensione in lingua italiana, con le seguenti, parole; «norma utcumque servata de supremae animarum salutis consilio»; inciso che legittimerebbe ancora, a giudizio dell'interpellante, la totale discrezionalità del Decano in materia di difesa delle parti;
   secondo l'interpellante il decreto del Decano del dicembre 2015; che ha leso il diritto di difesa, ha radicalmente impedito il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche, e ciò è avvenuto non già in casi particolari da eccepire da parte del giudice della delibazione, ma in via generale ed astratta;
   la promulgazione della norma, come recita la nota definizione della legge di S. Tommaso, è essenza, della norma stessa (promulgatur dice l'Aquinate), e non già mero corollario per la conoscibilità (si veda Summa Theologiae, Prima Secundae, q. 90, articolo 4);
   ad oggi, la Santa Sede non ha comunicato alcuna risposta ufficiale, né il Governo risulterebbe averla richiesta come domandato dall'interpellante nella sopracitata interpellanza, e la presunta lettera della Segreteria di Stato al Decano della Rota del 18 febbraio 2017 non è stata pubblicata da alcuno nella sua interezza, ne è consultabile in alcun modo;
   un articolo giornalistico del dottor Tornielli non può costituire rassicurazione della revoca di disposizioni normative, anch'esse caratterizzate, ad avviso dell'interpellante da dubbia, promulgazione e pubblicazione;
   anche illustre dottrina canonistica (si veda al proposito lo studio della professoressa Geraldina Boni, professore ordinario di diritto canonico presso l'Università di Bologna) ha gravemente censurato quanto sopra, in materia di rispetto del diritto di difesa, ed ha espressamente eccepito la non delibabilità delle sentenze di nullità sotto molteplici ulteriori e rilevantissimi profili tecnici cui non si può non rinviare (http://www.statoechiese.it);
   in tale confusione ed incertezza normativa, e soprattutto conoscitiva, sorge il sospetto che si voglia celare una normativa in contrasto con il Concordato, in quanto non pubblicata ne conoscibile, e che dunque è improrogabile richiedere una volta per tutte la comunicazione da parte della Santa Sede delle norme generali ed astratte legittimamente pubblicate e con le quali è tutelato, sempre in via generale ed astratta, il rispetto del Concordato, ovvero ne è provata la sua violazione –:
   se il Governo intenda richiedere alla Santa Sede la trasmissione ufficiale della normativa effettivamente e definitivamente vigente in materia sia di patrocinio di fiducia, sia di patrocinio di ufficio nelle cause rotali;
   se risultino al Governo, iniziative per un mutamento di orientamento da parte dei competenti organi della Santa Sede rispetto alle questioni enunciate in premessa;
   come sia garantito, con ogni possibile intervento di competenza, il rispetto pieno del Concordato, della Costituzione, e della Convenzione dei diritti dell'uomo in materia di delibazione delle sentenze canoniche di nullità matrimoniale.
(2-01765) «Brunetta».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno, per sapere – premesso che:
   le risorse europee disponibili per finanziare le politiche di coesione del ciclo di programmazione 2014-2020, comprensive di cofinanziamento nazionale, ammontano per l'Italia a circa 130 miliardi di euro;
   dai dati resi disponibili dall'Agenzia per la coesione e riportati dalla stampa (si veda Sergio Rizzo su Corriere della Sera del 18 aprile 2017) risulterebbe che l'Italia, a metà del ciclo di programmazione, sarebbe tra i Paesi europei che hanno speso meno;
   prendendo in considerazione i tre fondi principali (Fesr, Fse, Feasr), su circa 74 miliardi di euro disponibili il nostro Paese avrebbe utilizzato solo 880 milioni con alcune regioni (si veda la Puglia) che su tutti e tre i fondi sarebbero addirittura a quota zero;
   quanto al fondo sviluppo e coesione (FSC), che ammonta a circa 49 miliardi di euro, esso è stato per la quasi totalità (44 miliardi di euro) destinato dal Governo italiano al finanziamento dei cosiddetti «Patti per il Sud», firmati in 9 regioni e in 12 città metropolitane italiane oltre un anno fa ma le cui delibere sono state registrate dalla Corte dei conti il 2 novembre 2016, come risulta dal sito internet del dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica;
   sempre in merito al finanziamento dei patti per il Sud, l'ultima legge di bilancio ha destinato alle politiche di sviluppo solo 4 miliardi di euro l'anno nel 2017, 2018, 2019, spostando gli altri 35 miliardi a dopo il 2020 prevedendo un meccanismo in base al quale se le regioni non trasformeranno in cantieri le opere previste nei Patti, entro il 2019, quei fondi torneranno al Governo;
   questo meccanismo già nel recente passato ha fatto sì che il Governo, senza in alcun modo sostenere o stimolare le regioni del Sud a rispettare le scadenze di impegno e di spesa dei fondi, si riprendesse «fiumi» di finanziamenti destinati alla crescita del Mezzogiorno per poi utilizzarli per tutt'altro fine (si vedano 5 miliardi di euro destinati al Mezzogiorno che 2 anni fa vennero «deviati» nelle regioni del Nord);
   è accaduto anche che il fondo di sviluppo e coesione fosse destinato al pagamento di debiti piuttosto che ad investimenti, vedi ad esempio il decreto fiscale, articolo 11, con cui il Governo nazionale ad ottobre 2016 attribuì 600 milioni di euro alla regione Campania e 90 milioni di euro alla regione Molise a copertura dei debiti del sistema di trasporto regionale su ferro, mediante corrispondente utilizzo proprio del fondo di sviluppo e coesione 2014-2020;
   i ritardi enormi accumulati dall'Italia nell'utilizzo dei finanziamenti europei a valere sulla programmazione 2014-2020 rischiano di pregiudicare la realizzazione di centinaia di interventi e di opere pubbliche strategiche e determinanti per lo sviluppo del Mezzogiorno;
   ai fisiologici ritardi, peraltro, si aggiunge quest'anno anche l'incertezza del quadro normativo relativo agli appalti, con l'approvazione da parte del Governo di un codice che poi è stato corretto con un decreto e che ha determinato la sospensione e la correzione di centinaia di appalti già in atto, tanto che, per garantire le risorse destinate alla ricostruzione post terremoto, il Governo ha dovuto prevedere 140 deroghe che neanche stanno producendo gli effetti sperati;
   questi finanziamenti sono tra le pochissime risorse disponibili nei bilanci regionali come competenza e cassa e non vengono spesi, perché manca un coordinamento costante con il Governo mancano anche norme atte a garantire che, qualora le regioni non rispettino gli impegni assunti all'atto della sottoscrizione dei programmi, il Governo possa esercitare poteri sostitutivi –:
   se il quadro illustrato in premessa relativo ai tempi della spesa dei fondi comunitari 2014-2020 da parte delle regioni italiane corrisponda al vero;
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per insediare una cabina di regia presso la Presidenza del Consiglio per fare una ricognizione puntuale dello stato attuale dell'utilizzo dei fondi da parte delle regioni e mettere a punto norme che prevedano, regione per regione e caso per caso, che il Governo possa sostituirsi alle regioni stesse non già riprendendosi i fondi e destinandoli ad altro, ma realizzando, per il tramite di un commissario, quelle opere previste nei programmi e non realizzate dalle regioni inadempienti;
   se il Governo, alla luce dei ritardi accumulati e dell’iter di approvazione, correzione e riapprovazione del codice degli appalti, non ritenga, sin d'ora, di dover assumere iniziative per chiedere una deroga all'Unione europea sui tempi di spesa e rendicontazione;
   se non ritengano di dover fornire elementi in merito alla situazione aggiornata dell'utilizzo delle risorse, illustrando la strategia che il Governo intende mettere in atto per scongiurare l'ipotesi che tali risorse destinate al Mezzogiorno vengano «deviate» su altri interventi in altre regioni o vengano definitivamente perse.
(2-01763) «Palese».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO, PESCO, ALBERTI, VILLAROSA, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI e BUSTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   i periodi di lavoro degli autotrasportatori sono regolamentati dalla direttiva 2002/15/CE, recepita dal nostro ordinamento all'articolo 3 del decreto legislativo n. 234 del 2007;
   il limite massimo consentito dall'Unione europea (che non pone distinzioni tra lavoratori discontinui e continui) è di 48 ore settimanali comprensive delle ore straordinarie;
   il regio decreto n. 2657 del 6 dicembre 1923, punto 8, definisce l'autotrasportatore come lavoratore discontinuo ed estende per lo stesso il limite di orario di lavoro ordinario oltre le 39 ore settimanali;
   nel contratto collettivo nazionale del lavoro (Ccnl) trasporto merci e logistica, al lavoratore inquadrato nel livello 3o super sia che gli venga riconosciuta l'applicazione dell'articolo 11, che stabilisce 39 ore settimanali lavorative per il lavoratore continuo, sia che gli venga riconosciuta quella dell'articolo 11-bis, che stabilisce 47 ore settimanali lavorative per il lavoratore discontinuo, la retribuzione base prevista risulta essere la medesima, con la conseguenza che i lavoratori inquadrati nell'identico livello, con uguali mansioni, ricevono un trattamento retributivo diverso e quindi discriminatorio, in contrasto con quanto stabilito all'articolo 36 della Costituzione che indica che la giusta retribuzione deve essere adeguata alla quantità e alla qualità del lavoro svolto;
   anche la Corte costituzionale, con sentenza n. 103 del 1989, ha evidenziato l'obbligo dell'eguale salario a parità di prestazione lavorativa sia sotto il profilo quantitativo, che qualitativo. In detta sentenza, veniva inoltre stabilito che la contrattazione collettiva deve necessariamente conformarsi ai principi dettati dalla Costituzione con il passaggio che richiamava l'articolo 3 indicando che «... per tutte le parti, anche quelle sociali, vige il dovere di rispettare i precetti costituzionali». Ciò significa che il contratto collettivo nazionale del lavoro (Ccnl) di settore vìola detto principio se e nella misura in cui consente che una disparità di trattamento derivi da mero arbitrio dell'imprenditore;
   in sostanza, la Corte costituzionale ha ritenuto intollerabili i trattamenti categoriali e retributivi differenziati ove sostenuti da motivate e giustificabili causali meritocratiche riposanti sulla più elevata professionalità, competenza o rendimento;
   come stabilito attraverso accordi aziendali in deroga al contratto collettivo nazionale del lavoro (Ccnl) la media di ore lavorate per i lavoratori discontinui è stata portata a 58 ore settimanali per un arco di tempo esteso a sei mesi, fino ad un massimo di 61 ore. Spesso, tali limiti vengono superati senza avere notizia di controlli svolti dagli organi preposti;
   il Ccnl stabilisce che il lavoratore inquadrato nel livello 3o super ha diritto ad una retribuzione pari a 1727,22 euro. Se detta retribuzione viene divisa per il coefficiente di 168 ore mensili, pari a 39, ore settimanali, il lavoratore continuo percepirà una retribuzione oraria di 10,28 euro. Diversamente, il lavoratore discontinuo che vede dividere la predetta retribuzione con il coefficiente di 203 ore mensili pari a 47 ore settimanali, percepirà una paga oraria di 8,50 euro. Tale retribuzione è quindi di gran lunga inferiore a quella corrisposta al lavoratore continuo, con la conseguenza che, per il lavoratore discontinuo il rapporto ore di lavoro e retribuzione risulta essere inversamente proporzionale. Tale disparità di trattamento, come già sopra spiegato, è in palese contrasto col dettato costituzionale di cui all'articolo 36 secondo il quale il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla qualità e quantità del lavoro svolto –:
   se il Governo, per quanto di competenza, non ritenga di dover chiarire l'interpretazione dell'articolo 11-bis del sopracitato contratto collettivo nazionale di lavoro nel settore del trasporto merci e logistica al fine di stabilire una corretta retribuzione proporzionata all'orario lavorativo stabilito in 47 ore, evitando così la discriminazione economica tra lavoratori continui e discontinui inquadrati nel livello 3o super. (5-11179)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro per lo sport. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, presso la sede del Coni è stato eletto il nuovo Consiglio nazionale che tra l'altro, l'11 maggio 2017, avrà il compito di scegliere il nuovo presidente;
   su ottantadue membri, soltanto otto sono le donne elette, cioè il 10 per cento del totale dei componenti;
   dal 2014 il Coni si è dotato di un Comitato per le pari opportunità alla presenza dell'allora Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri, Maria Elena Boschi, mentre il Presidente Malagò, rilasciava una intervista a un noto quotidiano nel luglio 2016, affermando: «Non metto in dubbio la necessità di introdurre dei cambiamenti ma fino ad oggi le candidature delle donne nei consigli federali sono state pochissime. In ogni caso non siamo noi che legiferiamo. Possiamo solo dare delle indicazioni e in questi anni ci sono state delle evoluzioni, soprattutto in materia di tutela della maternità. Purtroppo c’è ancora molta strada da fare»;
   tuttavia, ancora oggi, nel mondo sportivo, le donne sono penalizzate sia come atlete sia per quanto riguarda il ruolo di tecnico e di vertice –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza, al fine di garantire il rispetto delle pari opportunità e di promuovere la rappresentanza delle donne sia in qualità di atlete, sia per quanto attiene ai ruoli di vertice. (4-16338)


   VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 26/27 maggio 2017 si terrà a Taormina il G7, l'importante vertice tra i leader delle principali democrazie industrializzate del mondo;
   l'articolo 1, comma 381, della legge 232 del 2016 prevede: «Per l'attuazione degli interventi relativi all'organizzazione e allo svolgimento del vertice tra i sette maggiori Paesi industrializzati (G7), anche per adeguamenti di natura infrastrutturale e per le esigenze di sicurezza, è istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo da trasferire alla Presidenza del Consiglio dei ministri. Per le finalità di cui al primo periodo è autorizzata la spesa di 45 milioni di euro per l'anno 2017»;
   i reflui della città di Taormina vengono depurati nell'impianto sito in Giardini Naxos che ha una potenzialità progettuale pari a circa 75.000 abitanti equivalenti e che viene gestito in house dal Consorzio rete fognante, di cui fanno parte i comuni di Giardini Naxos, Letojanni, Castelmola e Taormina;
   si apprende dalle dichiarazioni del presidente del Consorzio rete fognante riportate in un articolo della Gazzetta del Sud di domenica 26 marzo 2017 che «durante il G7 si rischiano seri problemi». A detta del presidente del Consorzio, se i comuni non verseranno i fondi dovuti all'ente, che si attestano a circa 2 milioni e 800 mila euro, entro 9 aprile verranno licenziati dei dipendenti, per debiti pregressi verranno interrotte le forniture di energia elettrica, non verranno più smaltiti i fanghi e tutto il ciclo della depurazione subirà un gravissimo blocco;
   inoltre, la regione siciliana, con una nota del 1o febbraio 2017, ha diffidato il Consorzio allo scarico e sospeso per 90 giorni l'autorizzazione rilasciata nel 2013 all'impianto, nelle more del ripristino del punto di scarico sottocosta –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa, e se intenda utilizzare parte dei fondi previsti per il G7 per intervenire sulla questione ed evitare che il blocco degli impianti provochi un'emergenza igienico-sanitaria, anche in vista dell'imminente evento nella città di Taormina. (4-16344)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 7 aprile 2017 davanti alle sedi dei consolati italiani dell'America Latina si sono tenute numerose manifestazioni, sit in, cortei (denominate #7A) per richiamare l'attenzione del Governo sul catastrofico stato in cui si trova la rete consolare italiana in America Latina;
   i cittadini italiani e gli oriundi, che hanno preso parte alla manifestazione #7A svoltasi contemporaneamente in Argentina, Brasile, Venezuela, Uruguay, Perù, Paraguay, Bolivia, Repubblica dominicana, Messico, Costa Rica, Cile, Bolivia hanno inteso richiamare l'attenzione del Governo italiano anche attraverso le lettere, consegnate ai consoli e agli ambasciatori italiani, in cui si manifesta la preoccupazione che, senza un intervento immediato per aumentare le risorse, in termini umani ed economici, la rete consolare è destinata a deflagrare;
   nelle lettere, presentate ai consoli e agli ambasciatori italiani disponibili a ricevere le delegazioni dei connazionali organizzatori delle manifestazioni, si denunciano, tra le altre cose:
    l'insufficienza di personale idoneo a garantire servizi adeguati ai nostri connazionali, un problema che ha una ricaduta sulle condizioni di lavoro dei consoli e sui lavoratori consolari, che non riescono a soddisfare la domanda di servizi;
    le attese, a volte di anni, per ottenere il diritto di cittadinanza e di mesi per fare un passaporto;
    la lentezza nelle comunicazioni di dati tra la rete consolare e comuni di origine dei connazionali residenti all'estero;
    la mancanza di uno sportello di informazione efficiente, soprattutto di un servizio per i disabili, anziani e indigenti che non hanno né la conoscenza né la possibilità accedere a internet;
    la lentezza sull'assistenza sociale e sanitaria ai connazionali in stato di bisogno, prodotto di questa situazione, in particolare in un Paese come il Venezuela, che vive una grave crisi economica e umanitaria;
    l'esiguo contributo economico ai consoli onorari, che pur svolgono una lodevole missione con risorse minime, spesso personali, totalmente insufficienti;
    le file in alcune sedi consolari, che danno un'immagine miserevole dei nostri connazionali, e mettono a rischio loro sicurezza in Paesi dove la delinquenza è dilagante;
    l'eliminazione urgente della tassa dei 300 euro sulla cittadinanza italiana nel caso del Venezuela, Paese del Sud America che vive una gravissima crisi economica, politica, sociale e istituzionale;
    la questione sulla riapertura urgente del consolato di Montevideo in Uruguay, dove risiedono più di 120 mila italiani;
    i salari inadeguati dei contrattisti e del personale di ruolo che non è all'altezza della funzione che ricopre –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo a sostegno del potenziamento ed efficientamento della rete consolare italiana, per assicurare un dignitoso funzionamento delle sedi consolari e per far sì che la rete consolare sia la rappresentazione di un'Italia più veloce, moderna, efficiente e al passo con la sempre maggiore globalizzazione. (4-16330)

AFFARI REGIONALI

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLAROSA. — Al Ministro per gli affari regionali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (stabilità 2016), lo Stato italiano ha istituito la carta famiglia, uno strumento concepito per sostenere le famiglie con almeno tre figli minori e che coinvolgerebbe circa 430 mila famiglie numerose;
   la carta, legata all'Isee del titolare, consentirebbe sconti sull'acquisto di beni e servizi oltre che riduzioni tariffarie concesse dai soggetti pubblici o privati che aderiranno all'iniziativa;
   la concreta attuazione della misura prevista nella stabilità 2016 è stata demandata ad un successivo decreto del Ministro del lavoro e politiche sociali (di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze ed il Ministro dello sviluppo economico), e doveva essere effettuata entro tre mesi dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità 2016, quindi presumibilmente entro marzo 2016;
   è da evidenziare il fatto che la carta famiglia non comporta costi per i bilanci pubblici ed è invece un sostegno, anche se minimo, ai nuclei familiari deboli, con almeno tre minori nel nucleo famigliare e, fatto sicuramente non secondario, che tale misura riguarda i consumi in senso stretto, ovvero si tratta di piccole agevolazioni verso fasce deboli di popolazione finalizzate ad incrementare i consumi e conseguentemente le entrate dello Stato tramite tassazione. Un piccolo aiuto concreto già disposto 15 mesi fa dalla legge più importante dello Stato italiano e non ancora concretamente attuato dallo stesso Stato italiano che aveva tre mesi di tempo per farlo;
   ad oggi, aprile 2017, nessun decreto attuativo è stato emanato, nonostante risultino anche atti parlamentari (si veda l'interrogazione Sberna n. 4-13787 e il question time 3-02604) che già da metà 2016 chiedevano aggiornamenti sulla procedura attuativa evidentemente inceppatasi. Puntuale e precisa ma assolutamente insufficiente la risposta del Ministro Poletti durante il question time del 3 novembre 2016 «il tema qui proposto non rientra oggi nelle competenze del Ministero del lavoro e delle politiche sociali...», lasciando anche chiaramente intendere che quanto disposto nella legge di stabilità 2016 probabilmente non verrà mai attuato, in quanto il provvedimento appare, secondo gli interroganti, uno di quei tanti disposti normativi approvati ben sapendo che senza adeguata copertura finanziaria la fattibilità e l'utilità concreta del provvedimento stesso vengono meno –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano intraprendere affinché si concretizzi la piena attuazione della carta famiglia;
   se si intendano assumere iniziative per rendere efficace e pienamente operativo il provvedimento denominato «Carta Famiglia» in quanto impossibile da attuare senza fondi e, alla luce della risposta data dal Ministro del lavoro e delle politiche sociali in Aula durante il question time 3-02640, di dubbia utilità per i cittadini eventualmente beneficiari. (4-16345)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GALLINELLA, DAGA e CIPRINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 12-bis del regio decreto 11 dicembre 1933 n. 1775 così come sostituito dall'articolo 96, comma 3, del decreto legislativo n. 152 del 2006 stabilisce che il provvedimento di concessione allo sfruttamento delle acque è rilasciato se non pregiudica il mantenimento o il raggiungimento degli obiettivi di qualità definiti per il corso d'acqua interessato e se è garantito il minimo deflusso vitale e l'equilibrio del bilancio idrico;
   i piani di gestione distrettuali, così come i piani di tutela delle acque, sono aggiornati ogni sei anni e in diverse regioni del Centro Italia come Marche, Umbria, Abruzzo e Lazio si sta procedendo attualmente all'aggiornamento del piano di tutela delle acque (PTA);
   l'articolo 121, comma 4, del decreto legislativo n. 152 del 2006 specifica che il PTA deve contenere le misure di tutela qualitative e quantitative tra loro integrate e coordinate per bacino idrografico;
   il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 28 luglio 2004 pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 268 del 15 novembre 2004 ha introdotto il concetto di deflusso minimo vitale (DMV) definito come la portata istantanea da determinare in ogni tratto omogeneo del corso d'acqua per garantire la salvaguardia delle caratteristiche fisiche del corpo idrico, chimico-fisiche delle acque nonché il mantenimento delle biocenosi tipiche delle condizioni naturali locali;
   le regioni nei vari distretti idrografici si muovono in ordine sparso e sembra non esistere un'attività di coordinamento per la corretta applicazione del deflusso minimo vitale nei corpi idrici interessati da concessioni; in alcune regioni, anzi, sembrerebbero essere stati introdotti, sia nel primo ciclo che negli aggiornamenti di piano di tutela, dei protocolli di sperimentazione al fine di sterilizzare di fatto le misure imposte dalla legislazione vigente;
   i costi di tali sperimentazioni sono a carico del titolare di concessione allo sfruttamento delle acque (utilizzate per scopo prevalentemente industriale/idroelettrico), ma sembrerebbero non aver mai termine, in quanto gli stessi concessionari hanno tutto l'interesse a non individuare nessuna portata minima;
   ciò potrebbe però generare notevoli pressioni sui corpi idrici (si pensi al fenomeno dell’hydropeaking, ad esempio per i produttori di energia elettrica);
   nell'impianto industriale delle Marmore-Galleto (Terni), a quanto risulta agli interroganti il gestore non restituisce le acque ai piedi dello sbarramento ma a valle, a diverse centinaia di metri dall'opera di presa, interrompendo la continuità idraulica del fiume Velino per il quale, a monte dello sbarramento, nel precedente piano di tutela delle acque era stata fissata una soglia di deflusso minimo vitale superiore a 4 metri cubi al secondo;
   la regione Umbria con delibera di giunta regionale n. 131 del 14 febbraio 2011 ha, di fatto, sospeso il deflusso minimo vitale nei corpi idrici superficiali introducendo dei protocolli di sperimentazione e posticipando («sine die») le misure V10, V2P e V30 del piano di tutela delle acque del 2009;
   per la regione Umbria è in fase di completamento l'aggiornamento del piano regionale di tutela delle acque così come indicato dalla deliberazione di giunta regionale n. 1646 seduta del 28 dicembre 2016 in cui si ripropongono attività di sperimentazione senza sapere a quali risultati hanno portato le precedenti effettuate dopo la delibera di giunta regionale n. 131 del 14 febbraio 2011;
   in riferimento alla misura B07 (determinazione e applicazione dell'Ecological FLOW) dell'aggiornamento del PTA dell'Umbria sarebbero state accolte in blocco tutte le osservazioni della multinazionale ERG riguardanti i protocolli di sperimentazione stabilendo che l'attività di sperimentazione debba partire dal valore di portata attualmente rilasciata dall'utente e non dal deflusso minimo vitale previsto in concessione così come era stato definito dalla regione stessa in prima stesura delle misure del piano di tutela delle acque, al fine di portare ad un beneficio e giovamento immediato al tratto di corpo idrico interessato e rendere fruibile ad ogni orario la cascata più antica del mondo modellata dall'uomo –:
   se sia al corrente di quanto esposto in premessa e se, per quanto di competenza, non intenda assumere le iniziative di competenza in relazione a quello che appare agli interroganti un aggiramento del decreto legislativo n. 152 del 2006 a favore di concessionari ma senza alcuna ricaduta positiva sulla comunità;
   se sia a conoscenza dei criteri per cui, nell'aggiornamento del piano di tutela delle acque della regione Umbria, siano state accolte le osservazioni della ERG per definire l'azione B della misura B-07 che non portano alcun beneficio al tratto di corpo idrico interessato, ad avviso degli interroganti contravvenendo quindi a quanto disposto dalla normativa nazionale;
   se intenda valutare la possibilità di assumere ogni iniziativa di competenza affinché si pervenga alla modifica della misura B-07 di cui sopra al fine di garantire almeno il deflusso minimo vitale per le cascate delle Marmore, tutelando l'ambiente e provando a dare nuovo slancio al turismo regionale, già profondamente provato dal sisma del 2016. (5-11155)


   DE LORENZIS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto di compatibilità ambientale – decreto ministeriale n. 223 – dell'11 settembre 2014 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, rilasciato alla «Trans Adriatic Pipeline» (TAP), prevede l'approdo a San Foca (Melendugno-Lecce) in quanto, secondo la commissione tecnica VIA e VAS (parere n. 1596), questa ipotesi (definita come D1) risulta l'alternativa migliore sotto i profili tecnico, ambientale e paesaggistico per il passaggio del gasdotto TAP, in quanto non vi sono habitat prioritari e aree protette;
   nell'ambito della fase istruttoria svolta dalla Commissione tecnica VIA per vagliare le diverse alternative di localizzazione del progetto, è stato preso in considerazione lo studio «Inventario e cartografia delle praterie di Posidonia nei compartimenti marittimi di Manfredonia, Molfetta, Bari, Brindisi, Gallipoli e Taranto – CRISMA 2006»;
   il suddetto studio è stato redatto sulla base di indagini condotte nel 2004 dal quale si evince dalle cartografie che la Posidonia presente dalle coste brindisine fino a quelle del sud Salento si interrompa in maniera innaturale proprio al confine amministrativo tra Vernole e Melendugno, per ricominciare a crescere al confine amministrativo tra Melendugno e Otranto;
   sulla base degli studi condotti dalla società TAP, sia in sede di presentazione degli elaborati relativi alla procedura di valutazione di impatto ambientale, sia in sede di ottemperanza alle prescrizioni individuate nel decreto ministeriale n. 223 del 2014, si evince la presenza della Posidonia oceanica e di una «prateria densa» di Cymodocea nodosa, entrambe non censite, nel fondale marino interessato dai lavori;
   la Posidonia oceanica è protetta ai sensi della direttiva Habitat 1992/43/CEE (recepita in Italia con decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni), come tipo di habitat prioritario. Alla Posidonia oceanica si fa inoltre riferimento anche nell'ambito della direttiva europea 2000/60/CE (recepita con decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni) e nella implementazione nazionale della direttiva europea strategia marina (2008/56/CE), recepita in Italia con decreto legislativo n. 190 del 2010. Come specie la Posidonia oceanica è protetta ai sensi della Convenzione di Berna e dalla Convenzione di Barcellona (protocollo SPA/BIO);
   la Cymodocea nodosa è una specie inserita nel protocollo SPA/BIO della Convenzione di Barcellona e nella Convenzione di Berna. Sia la Posidonia oceanica che la Cymodocea nodosa svolgono una rilevante funzione ecologica contro l'erosione costiera. Forniscono una serie di microhabitat e risorse alla flora e fauna ad esse associate con un conseguente aumento della ricchezza in specie. Rappresentano aree di nursery per la fauna ittica, dal momento che sono in grado di fornire protezione e rifugio dai predatori;
   il manuale di interpretazione degli «Habitat dell'Unione europea – EUR 28» è un documento di riferimento scientifico per seguire le indicazioni sugli habitat marini riportati nel documento « Guidelines for the establishment of the Natura 2000 network in the marine environment. Application of the Habitats and Birds Directives». Dal suddetto documento risulta che l'habitat identificato dalla direttiva 43/92: «1110 – Banchi di sabbia a debole copertura permanente di acqua marina», quando è associato a Cymodocea nodosa, deve essere ritenuto facente parte degli habitat della direttiva e quindi degno di protezione;
   il deterioramento provocato alle specie e agli habitat protetti dalla Convenzione di Berna e dalla direttiva «habitat» costituisce danno ambientale oggettivo, come definito ai sensi dell'articolo 300 del decreto legislativo n. 152 del 2006 –:
   se non sussistano i presupposti per rivedere le valutazioni della commissione tecnica VIA in ordine al progetto TAP posto che esse sono state compiute sulla base di mappe lacunose e obsolete, sorpassate dalle indagini più recenti e se ritenga opportuno ritirare il decreto di compatibilità ambientale decreto ministeriale n. 223 dell'11 settembre 2014 alla luce della considerazione che il progetto TAP non avrebbe mai potuto considerare l'approdo attuale come possibile, a fronte di una zona di costa che dovrebbe essere tutelata dalle leggi italiane in coerenza con le direttive dell'Unione europea in materia;
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di salvaguardare la Posidonia oceanica e la Cymodocea nodosa presente nell'area. (5-11164)

Interrogazione a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'entrata in vigore della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente in Europa, e del decreto legislativo di recepimento n. 155 del 2010, la regione Veneto ha avviato il processo di aggiornamento del vigente piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera, approvato dal consiglio regionale veneto con deliberazione n. 57 dell'11 novembre 2004;
   la direttiva afferma, tra le premesse, che, ai fini della tutela della salute umana e dell'ambiente nel suo complesso, è particolarmente importante combattere alla fonte l'emissione di inquinanti nonché individuare e attuare le più efficaci misure di riduzione delle emissioni a livello locale, nazionale e comunitario;
   il decreto legislativo n. 155 del 13 agosto 2010 è finalizzato ad individuare obiettivi di qualità dell'aria ambiente volti a evitare, prevenire o ridurre effetti nocivi per la salute umana e per l'ambiente nel suo complesso;
   per violazione della direttiva 2008/50/CE (mancato rispetto dei valori limite del particolato PM10) sono in corso due procedura di infrazione – n. 2015/2043 e n. 2014/2147 – e con nota del 28 maggio 2015, la Commissione ha inviato all'Italia una lettera di costituzione in mora che vede direttamente coinvolta anche la regione Veneto;
   con deliberazione del consiglio regionale n. 90 del 19 aprile 2016 è stato approvato l'aggiornamento del piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera (P.R.T.R.A.), il quale nell'intento di rispettare gli obiettivi di qualità dell'aria posti dalle direttive europee e dalla normativa nazionale, individua misure strutturali e permanenti da attuare su aree vaste;
   nei mesi scorsi, la qualità dell'aria in provincia di Verona è finita sotto osservazione, nell'ambito di una campagna di monitoraggio realizzata da Legambiente Verona;
   a San Martino Buon Albergo, comune veronese di circa 15 mila abitanti, la centralina installata sulla facciata del municipio ha rilevato il superamento del limite giornaliero di 50 microgrammi per metro cubo dei livelli di polveri sottili PM10 nei sei giorni in cui è stata condotta l'indagine, dal 28 gennaio al 2 febbraio 2017;
   la presidente di Legambiente Verona, Chiara Martinelli, ha evidenziato che i risultati «hanno confermato l'allarme generalizzato che riguarda tutto il Veneto. Nel 2016 la provincia di Verona si è aggiudicata il diciannovesimo posto nella classifica delle città italiane con la peggiore qualità dell'aria. Non ci sono più dubbi, questo tema deve diventare una priorità da un punto di vista amministrativo. Le responsabilità non possono più essere banalmente ricondotte a sfavorevoli condizioni climatiche» –:
   di quali elementi disponga il Governo circa le misure per il mantenimento e il risanamento della qualità dell'aria adottate nella regione Veneto nel corso dell'ultima consiliatura, considerato il frequente superamento dei limiti di più inquinanti in molti comuni della provincia;
   se non si ritenga d'intervenire, per quanto di competenza, al fine di limitare il superamento dei valori limite scongiurando, così, l'apertura di procedure d'infrazione dell'Europa a carico del nostro Paese. (4-16329)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'archivio parrocchiale-abbaziale delle parrocchie di Santi Biagio e Martino e di San Vito della casa canonica di San Lorenzo in Campo (Pesaro-Urbino) contiene rari manoscritti restaurati;
   i documenti precedenti al 1836 appartengono al comune di San Lorenzo in Campo in quanto l'Abbazia fu ceduta al comune con decreto del Ministero di grazia e giustizia e dei culti del 31 luglio 1836, n. 3671;
   tale archivio è stato, fino ad ora, opportunamente conservato in armadio metallico acquistato con fondi statali;
   è, ormai, considerata buona prassi conservare i beni culturali nel luogo dove sono stati prodotti e le Marche seguono da sempre questa buona prassi;
   in seguito alla ristrutturazione della casa canonica di San Lorenzo in Campo, il parroco ha chiesto alla Soprintendenza ai beni archivistici l'autorizzazione a trasportare l'archivio delle parrocchie di San Biagio, San Martino e San Vito all'archivio diocesano di Fano (Pesaro-Urbino);
   tale trasferimento non ha una reale e fondata motivazione se non quella pretestuosa della mancanza di una sala di consultazione dell'archivio;
   sembrerebbe che non esista un inventario dei documenti facenti parte dell'archivio che è di notevole importanza per la storia del Ducato di Urbino, testimonia la storia di San Lorenzo in Campo e appartiene a quel territorio e non al vescovo della diocesi di Fano;
   nessuna azione è stata posta in essere per evitare che detto archivio fosse trasferito, da San Lorenzo in Campo all'archivio diocesano di Fano (Pesaro-Urbino);
   sembrerebbe che l'archivio diocesano dove sono stati trasferiti gli archivi parrocchiali di San Lorenzo in Campo, attualmente, sia aperto solo tre ore la settimana ed è destinato a essere chiuso a breve, poiché non si trovano volontari disposti a sostituire la persona che se ne sta occupando. Pertanto, verrebbe meno anche la originaria e pretestuosa ragione fondata sulla mancanza di una sala di consultazione presso la sede di San Lorenzo in Campo;
   la casa canonica, da mesi, è stata riaperta e i locali sarebbero idonei a conservare l'archivio –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno assumere le iniziative di competenza affinché sia restituito l'archivio al comune di appartenenza;
   in ogni caso, quali iniziative il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, che ha compiti di vigilanza sugli archivi ecclesiastici, intenda adottare, in attesa che si riporti l'archivio a San Lorenzo in Campo, per tutelare i documenti più preziosi e significativi. (5-11180)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA, NICCHI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, RICCIATTI, MATARRELLI, QUARANTA, DURANTI, FERRARA, ZARATTI e PIRAS. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   le recenti denunce della CGIL, del quotidiano Il Manifesto, e della trasmissione della Rai 2 Nemo, hanno aperto uno squarcio sulla situazione in cui versa la Biblioteca nazionale;
   il servizio agli utenti è carente e a rischi per la cronica mancanza di organici con il ricorso sistematico ai «volontari», retribuiti a scontrino da 13 anni per una parte e da 5-7 anni per un'altra;
   la paga è al massimo di 400 euro al mese per 20 ore settimanali, corrisposta con scontrini delle spese alimentari; ogni singolo scontrino-buono non può superare i 30 euro; l'associazione che ha la convenzione con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, provvede al sistema dei volontari scontrinisti;
   i volontari vengono inseriti nei turni insieme ai dipendenti con fogli firmati per l'entrata e l'uscita;
   i volontari scontrinisti sono lavoratori «fantasma» su cui la Biblioteca fa affidamento per garantire il servizio;
   questo modo di procedere della Biblioteca e del Ministero appare gravemente lesivo della dignità dei lavoratori –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per procedere alla regolarizzazione del rapporto di lavoro con persone che prestano la loro attività da tanti anni alla Biblioteca nazionale.
(4-16326)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 1o aprile 2017 i carabinieri della stazione Terracina, contestavano al signor Maurizio Bianchi, avvocato di 63 anni, residente nel comune di Terracina, la violazione di divieto di sosta;
   a seguito della contestazione contravvenzionale e pur non sussistendo condizioni di legge, non essendo stata contestata al Bianchi nessuna flagranza di reato tale da giustificare la misura di fermo e/o arresto obbligatorio, i carabinieri avrebbero disposto con atteggiamento intimidatorio e sopraffattore l’«accompagnamento coattivo» del Bianchi presso i locali della caserma, avvenuto con auto di servizio e a sirene spiegate. Il signor Bianchi si era inoltre prontamente scusato e aveva riconosciuto di aver violato il codice della strada;
   giunto in caserma, Bianchi sarebbe stato rinchiuso nel locale d'attesa e privato, dietro intimazione del comandante della stazione, del proprio telefono cellulare, per la durata di 15 minuti, in violazione della sua libertà di autodeterminarsi a qualsivoglia espressione della sua libertà costituzionalmente garantita –:
   se non si ritenga di verificare, per quanto di competenza, se le azioni intraprese dai carabinieri della caserma sopracitata nei confronti del Bianchi non siano state spropositate rispetto all'illecito commesso e se sussistano le violazioni di cui all'esposto presentato dal Bianchi.
(4-16341)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel programma nazionale di riforme allegato al Def 2017, al capitolo «concessioni demaniali» viene indicato che il gettito derivante dai canoni di concessione demaniali si aggira intorno ai 670 milioni di euro: numeri che appaiono modesti in relazione al giro d'affari dei settori coinvolti, nonostante sia da tempo all'ordine del giorno del Governo un intervento per far salire gli introiti dai canoni di concessione per le casse dello Stato e degli enti locali, ma senza risultati significativi;
   nel medesimo documento l'Esecutivo conferma l'obiettivo di voler effettuare una revisione sistematica delle concessioni demaniali, al fine di valorizzare la redditività degli asset pubblici ed individuare possibili strategie di recupero di efficienza, eventualmente intervenendo sulla normativa vigente, secondo obiettivi di medio-lungo periodo che contemplerebbero l'apertura e la contendibilità del mercato, assicurando nel contempo un uso rispondente all'interesse pubblico del bene affidato in concessione;
   la tutela della proprietà dei beni demaniali, per conto dello Stato è esercitata dall'Agenzia del demanio le cui competenze amministrative e tecniche coprono sostanzialmente, per missione istituzionale, tutta la catena del valore immobiliare, incluso quello idrico, che a sua volta comprende il patrimonio pubblico minerario indisponibile delle regioni, al quale afferiscono le acque minerali e termali;
   dall'analisi dei dati contenuti nel Def 2017 emerge che le 307 concessioni di sfruttamento per le acque minerali attive, relative al 2015, hanno generato un gettito per l'erario pari a circa 18 milioni di euro, nonostante il relativo fatturato sfiori nel nostro Paese i 2,5 miliardi di euro. Nello stesso documento viene riportato che: «Sulla base delle caratteristiche degli sfruttamenti, assumendo l'applicazione da parte di tutte le Regioni di un canone calcolato secondo i parametri massimi definiti nelle linee guida del 2006, il patrimonio italiano di acque minerali avrebbe generato introiti più che doppi rispetto a quelli effettivamente registrati»;
   nel quadriennio 2017-2020 giungeranno a scadenza 52 concessioni, per un controvalore di canoni di circa 3,5 milioni di euro (pari al 21 per cento degli introiti derivanti dalle concessioni ancora attive) –:
   a quali società facciano attualmente riferimento le concessioni ancora attive di sfruttamento per le acque minerali e quali siano il gettito, dettagliato per società e singola annualità, del relativo canone dalle stesse corrisposto ed il volume di estrazione. (5-11175)


   SOTTANELLI e ZANETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto della transazione fiscale disciplinato dall'articolo 182-ter della legge fallimentare intenda rendere più agevole il raggiungimento, nell'ambito della crisi d'impresa, di una soluzione concordata in una prospettiva normativa che, a seguito della riforma del 2005, concepisce l'impresa come valore da salvaguardare a beneficio di chi vanta interessi che gravitano intorno ad essa, cioè, lavoratori e creditori (quindi lo Stato stesso);
   tale istituto, secondo la tesi dominante, non avrebbe natura autenticamente negoziale, essendo inserito in una procedura a forte impronta giudiziale; circostanza che porta ad escludere che la transazione sfoci in un vero e proprio accordo tra Fisco e contribuente, rimanendo la stessa confinata a mera determinazione del quantum da soddisfare in maniera concordataria nella fase ormai patologica della crisi;
   anche la consolidata giurisprudenza di merito è concorde nel disconoscere all'istituto valenza di accordo negoziale autonomo, configurandola come sub-procedimento incardinato nell'alveo della procedura di concordato preventivo, con la conseguenza che l'attuale transazione fiscale si riduce oggi ad una mera enunciazione dei crediti erariali, limitandosi spesso ad esprimere il proprio voto in adunanza;
   una revisione dell'attuale normativa – in un quadro di assoluta trasparenza e garanzia per lo Stato, mediante l'introduzione di parametri di riferimento per l'accesso alla procedura – potrebbe favorire l'accesso, da parte dell'Erario, a forme negoziate di recupero dei crediti fiscali, spesso risalenti, in una fase non ancora patologica e, verosimilmente, con maggiori prospettive di recupero;
   si evidenzia la possibilità, rimanendo nell'alveo delle norme già esistenti e senza stravolgimenti dell'ordinamento vigente, di ampliare il campo di applicabilità del predetto articolo 182-ter della legge fallimentare, che non sarebbe più congegnato quale sub-processo di una procedura di concordato ex articolo 160 della legge fallimentare ovvero di accordo di ristrutturazione ex articolo 182-bis della predetta legge, ma sarebbe esteso anche ai piani di risanamento asseverati di cui all'articolo 67, comma 3, lettera d) della legge fallimentare, consentendo a una platea molto più ampia di relazionarsi in termini propositivi con l'Erario, favorendo al contempo l'accesso a forme negoziate di recupero di crediti fiscali;
   una soluzione di questo tipo consentirebbe di contribuire al risanamento di molte aziende in stato di crisi non ancora irreversibile, incrementando il gettito erariale relativo a crediti, in un'ottica di maggiore partecipazione dei soggetti coinvolti –:
   se ed entro quale termine intenda avviare una revisione dell'istituto della transazione fiscale nei termini sovraesposti. (5-11176)


   VILLAROSA, SIBILIA, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in relazione alla risposta fornita al deputato Villarosa dalla Banca d'Italia in data 15 febbraio 2017 a seguito di un quesito posto in occasione dell'audizione dei rappresentanti della stessa Banca d'Italia svoltasi il 17 gennaio 2017, nella quale si afferma che nell'area euro la moneta fiat, banconote e monete in circolazione più riserve di banca centrale, costituisce il 15,8 per cento della massa monetaria considerata nella sua accezione che comprende strumenti più simili alla moneta M1 (cioè la somma di circolante e depositi in conto corrente) ed in relazione alla risposta fornita dal Ministero dell'economia e delle finanze all'interrogazione a risposta immediata in Commissione n. 5-10837 a prima firma del deputato Villarosa, sarebbe opportuno apprendere l'evoluzione del sistema di riserva frazionaria e degli strumenti monetari creati dal sistema bancario denominati «moneta bancaria»;
   come ribadito nella risposta all'interrogazione n. 5-10837, acquisizione di fondi con obbligo di rimborso, in forma di depositi o sotto altra forma, costituisce attività riservata alle banche (ai sensi dell'articolo 11, commi 1 e 2, del Testo unico bancario) –:
   quale sia il dato disaggregato su base annua del volume degli strumenti monetari (cosiddetta moneta bancaria) creati dal sistema bancario italiano e della relativa percentuale di incremento annuo dal 1981 ad oggi e se, nel momento in cui una banca crea un conto deposito (ad esempio dal valore di 50 mila euro) conseguente alla erogazione di un mutuo e non al «deposito diretto» di denaro a «corso legale» da parte di un cliente, questa operazione rientri nella definizione di «raccolta fondi» ai sensi del richiamato articolo 11, commi 1 e 2, del Testo unico bancario, annoverandosi quindi nel calcolo complessivo della moneta bancaria.
(5-11177)


   FRAGOMELI, PELILLO, GNECCHI e ARLOTTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, recante il testo unico sulla documentazione amministrativa, prevede le modalità di raccolta delle informazioni nel caso di impedimento alla sottoscrizione e alla dichiarazione;
   in particolare, la dichiarazione di chi non sa o non può firmare è raccolta dal pubblico ufficiale previo accertamento dell'identità del dichiarante, mentre la dichiarazione nell'interesse di chi si trovi in una situazione di impedimento temporaneo può essere resa dai famigliari al pubblico ufficiale, previo accertamento dell'identità del dichiarante;
   il comma 3 del citato articolo tuttavia disapplica tali disposizioni nel caso di dichiarazioni fiscali;
   la nota dell'INPS del maggio 2015 ha chiarito che per la sottoscrizione della dichiarazione sostituiva unica (DSU), nel caso di dichiarante con documento d'identità rilasciato dal comune attestante l'incapacità perché «illetterato» o «impossibilitato alla firma» si può non far firmare la dichiarazione e si conserva solo il documento in virtù del fatto che in questo caso lo «status» è stato accertato dal comune e dichiarato in base a una certificazione medica o altri atti che sono stati acquisiti dallo stesso Ente;
   i Caf e i professionisti abilitati alla trasmissione delle pratiche fiscali e previdenziali, prima di poter elaborare qualsiasi tipo di pratica devono acquisire il consenso al trattamento dei dati sensibili e una specifica delega, che però non possono essere trattate come gli altri documenti previsti dal citato decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000;
   sarebbe pertanto opportuno risolvere questa situazione di incertezza legata alla sottoscrizione del consenso e delle deleghe necessari all'elaborazione di pratiche fiscali nel caso di soggetti impossibilitati alla firma per impedimento temporaneo o permanente –:
   se non si ritenga di chiarire che, nel caso di documento d'identità rilasciato dal comune attestante lo status di impossibilitato alla firma, per i medesimi effetti della sottoscrizione delle dichiarazioni fiscali e previdenziali e dei documenti necessari alla loro elaborazione e trasmissione, sia sufficiente la conservazione del solo documento di identità rilasciato dal comune che accerta « status» sulla base di una certificazione medica o altri atti che sono stati acquisiti dallo stesso ente.
   (5-11178)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   SBROLLINI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della delibera della regione Veneto n. 3 del 12 gennaio 2017, e per conseguente scelta dell'Ulss 8 Berica, non verrà rinnovato il contratto di lavoro in scadenza dal mese di luglio agli psicologi che attualmente lavorano nella casa circondariale di Vicenza, decretando così l'azzeramento di un servizio di psicologia di conclamata esperienza rivolto alla popolazione detenuta;
   oltre a non tener in nessun conto dell'importante aspetto etico di garantire il posto di lavoro a personale specializzato – che nonostante le ripetute richieste di stabilizzazione – è stato mantenuto in condizioni di precariato per tanti anni, non viene tenuto conto altresì dell'importante ruolo professionale svolto che si sostanzia in interventi individuali e gruppali nelle seguenti attività:
    a) valutazione all'ingresso dell'utente detenuto, con la finalità di rilevare i fattori di rischio relativi alla possibilità di auto ed eterolesività (il carcere è il luogo con una percentuale di suicidi 9 volte maggiore rispetto al resto della popolazione); preparazione alle dimissioni e connessione con le famiglie e collocamento lavorativo;
    b) interventi clinici e di sostegno in un momento critico, in cui oltre alla deprivazione della libertà, vi è una cospicua limitazione delle relazioni familiari, amicali e sociali; questi fattori determinano frequentemente un viraggio verso polarità depressive e/o vedono il riacutizzarsi delle psicopatologie, laddove presenti; colloqui rieducativi, affinché il tempo detentivo non sia un tempo vuoto ma un tempo in cui riflettere sulle pregresse scelte delinquenziali e tossicomaniche, fattore indispensabile per l'attivazione di un cambiamento verso la legalità;
    c) predisposizione di programmi terapeutici finalizzati all'accesso alle misure alternative, in stretta sinergia e raccordo con l'UEPE, con i servizi territoriali, con il privato sociale e con il personale giuridico-pedagogico dell'istituto, affinché il tempo dell'espiazione della pena sia un tempo terapeutico in cui risollevarsi da una problematica di dipendenza che in molti casi è la base su cui si innesta l'atto delinquenziale. Prerequisito essenziale per il positivo andamento della misura alternativa è il rilievo di una adeguata motivazione e l'accertamento dei requisiti di idoneità;
   il carcere di Vicenza, in seguito ad un ampliamento strutturale avvenuto in questi anni, è pronto a raddoppiare il numero di detenuti, che passeranno ad essere circa 400 persone;
   l'importanza del servizio di assistenza psicologica è confermato dall'associazione Antigone che indica, chiaramente che il tasso di recidiva dei detenuti del 68,45 per cento (nell'arco di 7 anni), scende al 19,02 per cento quando il detenuto fruisce di una misura alternativa alla detenzione;
   la Presidenza del Consiglio dei ministri, attraverso il Comitato nazionale per la bioetica nel settembre 2013 definiva con un proprio documento il tema della qualità della «salute mentale» all'interno degli istituti penitenziari come un’«area chiave di intervento» per il miglioramento della qualità della vita dei detenuti e dell'efficacia della pena nelle carceri;
   la Costituzione, all'articolo 36, indica chiaramente che le pene devono tendere alla rieducazione del condannato –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se e come il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza, per garantire l'erogazione dei servizi di assistenza psicologica in tutti gli istituti penitenziari italiani e per garantire la continuità occupazionale di tutti i lavoratori pubblici specializzati nelle mansioni descritte. (4-16331)


   D'ALIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   le misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni, dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, hanno lo scopo di raggiungere il significativo risultato dell'ingresso di nuove risorse per gli uffici giudiziari, mediante procedure di assunzione, aprendo al processo di ringiovanimento professionale e conseguente passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria;
   l'articolo 30 del decreto legislativo n. 165 del 2001, al comma 2-bis, così recita: «le amministrazioni, prima di procedere all'espletamento di procedure concorsuali, finalizzate alla copertura di posti vacanti in organico, devono attivare le procedure di mobilità di cui al comma 1 (cessione di contratto tra amministrazioni pubbliche), provvedendo, in via prioritaria, all'immissione in ruolo dei dipendenti, provenienti da altre amministrazioni, in posizione di comando o di fuori ruolo, appartenenti alla stessa area funzionale, che facciano domanda di trasferimento nei ruoli delle amministrazioni in cui prestano servizio»;
   anche l'articolo 3 del decreto legislativo n. 101 del 2013 convertito dalla legge n. 125 del 2013 ha previsto questo passaggio diretto a domanda presso il Ministero della giustizia;
   il bando di mobilità per n. 1031 posti nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria non ha dato luogo alla soddisfazione delle concrete ed effettive esigenze dell'amministrazione giudiziaria;
   è in atto un bando di concorso pubblico per 800 posti di assistente giudiziario (Gazzetta Ufficiale, 4a serie speciale n. 92 del 22 novembre 2016) che comunque non determina la copertura dei posti vacanti nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria;
   vi è personale proveniente dalle altre amministrazioni e segnatamente dall'amministrazione regionale della Sicilia in posizione di comando presso gli uffici giudiziari utilmente impegnati per sopperire alle gravi carenze di personale degli uffici giudiziari medesimi e ciò ha dato luogo all'acquisizione di competenze professionali tali da consentire lo svolgimento di tutte le relative mansioni in linea con lo standard qualitativo richiesto dalla pubblica amministrazione;
   è consentito, ai dipendenti della regione siciliana che attualmente si trovano in servizio da almeno due anni in posizione di comando presso uffici giudiziari, il passaggio diretto a domanda presso il Ministero della giustizia, il quale abbia dato luogo all'emanazione di relativo bando, per ricoprire i posti vacanti presso i predetti uffici giudiziari con inquadramento nella qualifica corrispondente. Passaggio che ha luogo mediante mera cessione di contratto di lavoro –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative volte a emanare il bando di cui in premessa, dal momento che lo stesso bando consentirebbe l'immissione in servizio immediata e definitiva (a seguito di domanda dell'interessato) del personale attualmente in posizione di comando presso gli uffici giudiziari che ha già conseguito esperienza e competenze necessarie. (4-16332)


   VILLAROSA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione dell'ordine del giorno 9/02496-A/001 presentato dall'interrogante ed accolto dal Governo pro tempore in data 24 luglio 2014, veniva preso l'impegno, poi mantenuto, a mettere in atto tutte le procedure necessarie per predisporre le condizioni idonee per la trasformazione dell'ospedale psichiatrico giudiziario di Barcellona Pozzo di Gotto in casa di reclusione, così come già progettato dal provveditore dell'amministrazione penitenziaria per la Sicilia e dai direttori generali del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria;
   recentemente, dal mese di novembre 2016, la struttura carceraria di Barcellona Pozzo di Gotto è diventata casa circondariale, suddivisa in tre sezioni separate, una relativa alla casa di reclusione, una per la casa circondariale, ed una terza sezione trattamentale speciale per minorati psichici sopravvenuti ed ex internati negli ospedali psichiatrici giudiziari non ancora definitivamente trasferiti altrove. Quest'ultima sezione conta attualmente circa 80 «ospiti» tra uomini e donne, provenienti da tutto il sud Italia ed è una rara e preziosa realtà per l'Italia;
   recentemente l'assessorato regionale siciliano competente ha anche manifestato la disponibilità per un investimento da 3,5 milioni di euro da destinare a questa sezione speciale/trattamentale del carcere;
   pur dando atto al Governo di aver mantenuto l'impegno previsto dall'ordine del giorno del luglio 2014, è doveroso segnalare che l'ampliamento del progetto originario e la conseguente «espansione» in struttura carceraria complessa che occupa (cosa non secondaria) una superficie molto vasta nel centro della città, ha di fatto creato non pochi problemi nella gestione della stessa, in quanto l'ampliamento non ha riguardato anche il personale operante ed in particolar modo gli agenti di polizia penitenziaria attualmente parecchio sottodimensionati, come unità, rispetto alle reali ed attuali necessità;
   la superficie da controllare è vastissima e, ad oggi, gli agenti di polizia penitenziaria, realmente operanti nel ruolo descritto dal nome che portano, sono solamente 60 (da suddividersi nei tre turni previsti al netto di eventuali assenze) e sembra opportuno adeguare il personale (come unità effettive operanti) alle nuove esigenze della struttura carceraria, che ricopre un importante, se non fondamentale, ruolo per tutto il sud Italia, considerate le peculiarità straordinarie di tale struttura;
   anche il numero di visite giornaliere (colloqui, incontri con avvocati e quant'altro) è, ovviamente, cresciuto a dismisura rispetto al precedente utilizzo e garantire le procedure di sicurezza previste con lo scarso (numericamente) personale a disposizione è un'impresa non sempre facile e, si teme, non sempre garantita nonostante gli sforzi di tutti –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se, nell'ambito delle proprie competenze, possa promuovere tutte le iniziative necessarie per l'adeguamento della pianta organica della (ormai divenuta) casa circondariale di Barcellona Pozzo di Gotto considerando le nuove esigenze che la struttura carceraria complessa necessita;
   se intenda accelerare le procedure necessarie per l'accordo generale nazionale che predisporrà le varie piante organiche relative ad ogni provveditorato, in particolar modo, per quanto riguarda Messina, tenendo conto di un nuovo carcere complesso pienamente operante quanto, ovviamente, assolutamente indispensabile per il territorio;
   se nell'immediato, in attesa di provvedimenti definitivi, possa prendere in considerazione l'eventualità di promuovere tutte le iniziative necessarie per la dislocazione di 20 agenti di polizia penitenziaria ad integrazione della pianta organica attuale in modo da fronteggiare nell'immediato le emergenze esposte in premessa. (4-16336)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   il giorno 18 aprile 2017 a Fossano (Cuneo) è crollato un viadotto della tangenziale, di competenza dell'Anas, che attraversa via Marene nelle vicinanze del cimitero cittadino;
   per una mera circostanza fortuita non vi sono stati morti o feriti ma solo danni ad una automobile dei Carabinieri che gli occupanti, sentendo gli scricchiolii provenire dal viadotto stesso, avevano abbandonato in tempo;
   al momento non è possibile stabilire le cause del crollo, ma secondo Adriano Scarzella, ingegnere, vicepresidente dell'ordine ingegneri della provincia Cuneo, l'ipotesi più probabile pare sia il collassamento di un giunto. Sempre secondo lo stesso ingegnere, la rottura potrebbe essere stata provocata da problemi di manutenzione. Per esempio, d'inverno lo spargimento del sale crea infiltrazioni d'acqua e grande corrosione dei trefoli (cavi), che alla lunga possono essere danneggiati. Una volta che il giunto è collassato, si è verificato il cosiddetto «crollo a ginocchio», cioè il cedimento del giunto dall'altra parte;
   la procura della Repubblica di Cuneo ha aperto un procedimento penale, al momento contro ignoti, per stabilire le cause del crollo ed individuare i responsabili. Verrà quindi svolta una perizia per capire se è questione di progettazione, esecuzione di lavori, materiali utilizzati o scarsa manutenzione;
   non è purtroppo il primo episodio di crollo di un viadotto che si verifica in Italia; solo un mese fa, infatti, e crollato un ponte sull'autostrada A14 al chilometro 235+800, all'altezza di Camerano (Ancona), tra le uscite di Loreto e Ancona Sud. In quell'occasione vi furono due morti e tre feriti gravi. Altri casi si sono verificati in Sicilia e in altre regioni dell'Italia;
   la normativa di settore sul controllo dei ponti, in particolare la circolare del Ministero dei lavori pubblici, Presidenza del Consiglio superiore – Servizio tecnico centrale n. 34233 del 25 febbraio 1991, prescrive a carico dei gestori di strutture da ponte stradale la «conoscenza delle caratteristiche delle opere loro affidate [...] sostenute da adeguata documentazione tecnica da istituire per ogni opera [...] contenente tutti i dati salienti relativi alla progettazione [...] e alla gestione», l'esecuzione di verifiche, modulate in: vigilanza, ispezione, manutenzione e restauro, da svolgere a varie scadenze temporali «p.to 9. Gestione dei ponti stradali della Circolare n. 34233/1991»;
   in particolare, la vigilanza dovrebbe essere permanente in modo da «accertare ogni fatto nuovo, l'insorgere di anomalie esterne, come fessurazioni, deformazioni anomale, armature scoperte [...] e [il personale preposto] dovrà immediatamente segnalare tali effetti all'Ufficio da cui dipende»; la documentazione delle operazioni di vigilanza dovrà essere allegata al fascicolo dei documenti «di cui al punto 9.1» della circolare; le ispezioni dovranno essere oggetto di report da «conservare insieme alla documentazione tecnica di cui al punto 9.1»;
   la manutenzione ordinaria dovrebbe prevedere «la riparazione localizzate superficiali delle parti strutturali, da effettuar anche con materiali speciali» e «gli interventi localizzati contro la corrosione»;
   la manutenzione straordinaria dovrebbe prevedere il ripristino di parti strutturali in calcestruzzo armato, la protezione delle armature scoperte, la protezione dei calcestruzzi da azioni disgreganti con eventuale applicazione di film protettivo –:
   se il Ministro interrogato possa chiarire se l'Anas, gestore del viadotto crollato abbia rispettato la normativa sul controllo dei ponti, se abbia eseguito la vigilanza permanente, le ispezioni e la manutenzione ordinaria della struttura, considerato che una tempestiva ottemperanza alle prescrizioni normative sulla gestione dei ponti stradali avrebbe probabilmente potuto evitare il crollo;
   se risulti che il gestore abbia tenuto un registro o un fascicolo tecnico sui controlli effettuati sulle strutture da ponte e in che data risultino i vari livelli di accertamento e riscontro tecnico delle prime;
   se risulti che il gestore abbia eseguito la manutenzione ordinaria, tramite le riparazioni localizzate e gli interventi localizzati contro la corrosione e se disponga di documentazione che provi l'avvenuto svolgimento delle attività prescritte dalla normativa specifica di settore e, in caso positivo, se ne possa illustrare i contenuti.
(2-01764) «Dadone, Paolo Nicolò Romano, Della Valle, Crippa».

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   BORGHI e BARUFFI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il principale centro dell'Emilia colpito dal sisma del maggio 2012 è quello di Mirandola, comune capofila dell'Area nord e centro dei servizi del distretto, nonché dell'Unione dei comuni che aggrega i nove centri della bassa modenese;
   a Mirandola è presente il più grande distretto italiano del biomedicale: i maggiori gruppi internazionali del settore hanno accettato di mantenere le produzioni nei territori colpiti dal sisma a seguito di un patto siglato con le istituzioni che prevede tra l'altro l'ammodernamento delle infrastrutture, in primis la realizzazione dell'autostrada Cispadana e il completamento della tangenziale di Mirandola (variante di Mirandola sulla strada statale 12);
   il primo lotto della tangenziale è stato aperto al traffico nei giorni immediatamente successivi al terremoto proprio per affrontare l'emergenza; nel frattempo la ricostruzione e la ricollocazione post sisma di molti edifici pubblici hanno profondamente modificato la circolazione veicolare della città, determinando un'urgenza ancor più pressante di adeguamento delle infrastrutture;
   secondo le amministrazioni coinvolte, l'analisi aggiornata delle ipotesi progettuali risalenti al 2006 evidenzia la necessità di realizzare solo un primo stralcio funzionale del secondo e conclusivo lotto della variante;
   la nuova e più contenuta ipotesi riguarderebbe un tratto stradale di circa 1300 metri lineari: senza tale collegamento, oltre al traffico presente, anche quello futuro per la Cispadana convergerebbe all'interno del centro abitato;
   il 19 aprile 2016, nel corso di un incontro presso il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, l'amministrazione comunale di Mirandola ha avuto modo di illustrare il progetto, impegnandosi ad approfondirne i contenuti anche al fine di ridurre ulteriormente i costi dell'intervento;
   in seguito l'amministrazione ha provveduto a modificare il progetto secondo le indicazioni emerse nel corso dell'incontro: ora è necessario che Anas proceda all'approvazione in tempi rapidi;
   la realizzazione del secondo lotto della tangenziale di Mirandola risulta indicata come prioritaria nella programmazione strategica regionale, in quanto necessaria al completamento della viabilità verso il capoluogo Modena; le nuove previsioni progettuali e le nuove stime dei costi trasmesse al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti risultano fortemente ridimensionate rispetto al passato –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare, d'intesa con Anas, le necessarie iniziative al fine di sbloccare un'opera strategica per l'area nord modenese, strettamente funzionale alla coerente ricostruzione post sisma 2012. (5-11165)


   PELLEGRINO, MARCON, AIRAUDO, BRIGNONE, CIVATI, COSTANTINO, DANIELE FARINA, FASSINA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, ANDREA MAESTRI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PASTORINO e PLACIDO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 aprile 2017 è crollata una campata dell'asta di svincolo per Marene, in provincia di Cuneo, al chilometro 61,300, in località Fossano, distruggendo un'auto dei carabinieri che sono rimasti, per fortuna, illesi;
   non è il primo caso ma l'ultimo di una gravissima sequenza; il 9 marzo 2017 un ponte è crollato ponte 167, al chilometro 235+800, all'altezza di Camerano (Ancona), tra Loreto e Ancona Sud, una strada a lunga percorrenza, schiacciando un'auto in transito causando due vittime e tre feriti; il 28 ottobre 2016 è stato il cavalcavia di Annone, vicino a Lecco, a crollare sotto il peso di un tir che portava un carico di bobine d'acciaio. L'autoarticolato precipitando travolse le auto che stavano passando sulla strada sottostante. Il bilancio è stato di un morto e quattro feriti;
   il vicepresidente dell'Ordine degli ingegneri della provincia di Cuneo ha dichiarato: «L'ipotesi più probabile, alla luce delle foto che ho visto, è questa: il viadotto pare in parte prefabbricato, cioè composto all'interno da cavi pretensionati. Mi pare abbia ceduto un giunto, nel quale si vedono cavi tranciati, cedendo il giunto, si è verificato il cosiddetto “crollo a ginocchio”, cioè il cedimento del giunto dall'altra parte, la rottura potrebbe essere stata provocata da problemi di manutenzione»;
   è inaccettabile che in Italia ponti e viadotti crollino con una frequenza tale da rappresentare un potenziale pericolo per gli utenti delle strade che hanno il diritto ad una mobilità con standard elevati di sicurezza;
   non è, altresì, ammissibile che costruzioni che hanno poco più di 25 anni possano esporre a questi rischi la popolazione; a questo punto è necessario che Anas, effettui verifiche accurate sulla sicurezza di tutte le strutture simili sul territorio nazionale –:
   quali iniziative urgenti intenda assumere, per le parti di propria competenza, al fine di effettuare una verifica di tutti i ponti sulle rete stradale e autostradale nazionale e di garantire la mobilità in piena sicurezza e, in tale contesto, come intenda garantire che la realizzazione degli stessi, a partire dall'utilizzo di materiali adeguati, e i controlli e le manutenzioni periodiche su ponti e cavalcavia siano attentamente monitorati, verificati e certificati da Anas. (5-11166)


   ZOLEZZI, DAGA, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nella seduta del 1o maggio 2016 il Cipe avrebbe dato il definitivo «via libera» alla realizzazione della bretella Campogalliano-Sassuolo dal costo previsto di 600 milioni di euro circa;
   l'opera si va ad inserire in un'area già pesantemente inquinata: dai dati Arpa – Emilia Romagna i trasporti stradali sono i principali responsabili anche delle emissioni di ossidi di azoto; il traffico incide per il 39 per cento sulle emissioni di monossido di carbonio e rappresenta anche la principale fonte di emissioni di sostanze climalteranti;
   nell'anno 2001 il «collegamento Campogalliano-Sassuolo» è inserito nell'ambito del «corridoio plurimodale dorsale centrale-sistemi stradali e autostradali» con un costo di 175,6 milioni di euro;
   in un successivo rapporto «infrastrutture strategiche» del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il costo viene elevato a 467,13 milioni di euro, quasi il triplo dell'importo iniziale;
   nel 2008 il costo del progetto complessivo viene portato a 563,033 milioni di euro;
   la zona dove è prevista la realizzazione dell'infrastruttura è interessata da una evidente fragilità idrogeologica, come evidenziato nella risoluzione presentata dal deputato Dell'Orco n. 7-00081;
   la futura bretella prevederebbe l'esborso di un pedaggio, ma anche il ricorso al project financing, con il rischio di replicare la dinamica già vista sulla Bre-Be-Mi, realizzata in base a stime di transito completamente irreali e obsolete ed i cui costi di realizzazione sono lievitati nel tempo da 800 a 1800 milioni di euro;
   il progetto coinvolge una porzione di territorio caratterizzato dalla presenza di complessi arborei di altissimo pregio e va a impattare su un'area che si contraddistingue per la presenza del fiume Secchia, soggetto al rischio di alluvioni;
   a giudizio degli interroganti il rischio idrogeologico, ambientale e paesaggistico appare notevole, in quanto il progetto dell'autostrada Campogalliano-Sassuolo incide anche sull'oasi del Colambrone e sull'intero parco regionale del fiume Secchia;
   dal 2001 ad oggi il quadro economico – produttivo si è evoluto in modo sostanzialmente difforme da quanto previsto nel progetto originario, al punto da mettere in discussione non solo la «strategicità» dell'opera ma addirittura la sua utilità, dal momento che le infrastrutture attualmente presenti sono già sufficienti a sopperire alle necessità del territorio –:
   se si ritenga opportuno riconsiderare l'intero progetto, in ottemperanza alle misure di contenimento della spesa pubblica, e assumere iniziative per rivedere lo status di «opera strategica» per la bretella in questione, alla luce dei mutamenti intervenuti nel quadro economico – produttivo e infrastrutturale. (5-11167)


   VELLA e RUSSO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 29 della legge n. 47 del 1985, contemplava il ricorso, da parte della regione alle cosiddette «varianti agli strumenti urbanistici finalizzate al recupero urbanistico degli insediamenti abusivi esistenti sin dalla data del 1o ottobre 1983» entro un quadro di convenienza economica e sociale;
   l'articolo 35, comma 17, della menzionata legge n. 47 del 1985 sanciva che «decorso il termine perentorio di ventiquattro mesi dalla presentazione della domanda quest'ultima si intende accolta ove l'interessato provveda al pagamento di tutte le somme eventualmente dovute a conguaglio ed alla presentazione all'ufficio tecnico erariale della documentazione necessaria all'accatastamento. Trascorsi trentasei mesi si prescrive l'eventuale diritto al conguaglio o al rimborso spettanti»;
   nulla è stato fatto in tema di panificazione urbanistica attuativa mirata al recupero degli insediamenti abusivi di cui al succitato articolo 29 della legge n. 47 del 1985; tanti, troppi condoni edilizi nella regione Campania non risultano ancora esitati a causa delle sopraggiunte normative in tema di vincoli ambientali e/o paesaggistici;
   il comune di Napoli, ricorrendo a procedure semplificate (cosiddette autocertificazioni) ha incassato ben oltre 100 milioni di euro sulla voce «condono edilizio» per tutti gli immobili non sottoposti a vincoli di inedificabilità totale o parziale lasciando questi ultimi senza soluzione di continuità dal 1985 ad oggi;
   ad oggi, sono state emesse migliaia di intimazioni di sfratto con invito al pagamento di canoni arretrati (definite impropriamente «morosità forfettarie») per gli stessi immobili assoggettati a procedura in sanatoria e realizzati dagli stessi occupanti, determinando un problema di ordine sociale relativamente alla questione abitativa e di ordine economico-finanziario per le famiglie napoletane già vessate dalla morsa della crisi economica attuale;
   nessun intervento od opera infrastrutturale (standard urbanistici) risulta realizzato nei comparti abusivi assoggettati a procedure a sanatoria con i proventi di cui alla legge n. 47 del 1985 o della legge regionale n. 16 del 2004 –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per una corretta interpretazione autentica delle disposizioni vigenti in materia di recupero degli insediamenti abusivi al fine di evitare che gli uffici comunali applichino in maniera difforme la normativa in questione, alla luce di quanto accaduto nel comune di Napoli che, pur avendo le dotazioni finanziarie di cui al comma 4 della legge regionale n. 16 del 2004 non ha provveduto, con i proventi derivanti dalle oblazioni e dagli oneri concessori incassati, alla redazione dei piani di recupero degli insediamenti abusivi stessi, intimandone, parimenti e ad avviso degli interroganti illegittimamente, lo sfratto e la discutibile morosità.
   (5-11168)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 18 novembre 2016 è stato approvato, con delibera della giunta regionale del Friuli Venezia Giulia n. 2224, lo schema di protocollo di intesa denominato «Per lo sviluppo delle Infrastrutture, dell'accessibilità ai servizi ferroviari di interesse regionale compreso il trasporto transfrontaliero», protocollo siglato dalla presidente della regione Serracchiani e da Maurizio Gentile in data 22 novembre;
   tra gli interventi previsti nell'allegato 1 alla delibera di giunta regionale n. 2224, risulta anche il raddoppio della linea Udine-Palmanova Cervignano «raddoppio del binario tra la località di Bivio (Futuro PM) Cargnacco-Cervignano»;
   l'investimento economico complessivo relativo agli interventi inseriti nel protocollo è pari a 2,6 miliardi di euro, di cui i 541 milioni stimati per il raddoppio della linea Udine-Palmanova-Cervignano;
   tale opera era ricompresa nel contratto di programma 2012-2016 parte investimenti, siglato tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e RFI e presentato alle Camere l'8 agosto 2014, contratto nel quale, a pagina 44, viene previsto il raddoppio della linea Palmanova-Udine, per un costo di 170 milioni di euro, di cui 5 messi a disposizione dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   anche nell'aggiornamento 2015 del contratto di programma, presentato nell'aprile 2016, per il raddoppio della Palmanova-Udine è previsto un costo complessivo di 170 milioni, di cui 5 già stanziati;
   nonostante il contratto di programma 2012-2016 sia ormai giunto a scadenza, lo schema del nuovo contratto di programma - parte servizi 2016-2021 non risulta essere stato trasmesso ancora alle Camere per la sua approvazione né si conosce se vi siano stati dei mutamenti nella previsione di spesa per l'opera in questione;
   nel settembre 2012, RFI ha presentato l'analisi costi-benefici dell'intero progetto per la nuova linea Alta velocità/Alta capacità Venezia-Trieste che ricomprende anche il raddoppiamento della linea Cervignano-Palmanova Udine;
   a pagina 22 di questo documento, RFI sostiene che lo studio di fattibilità per il raddoppio della Palmanova-Udine in affiancamento alla linea esistente è stato predisposto da Italferr nel 2006 e che il raddoppio della tratta Cervignano-Palmanova rientra, invece, tra gli interventi complessivi del progetto Alta velocità/Alta capacità Venezia-Trieste;
   RFI sostiene altresì che il raddoppio del tratto tra Cervignano e Palmanova consiste in 11 chilometri di cui 6 già in esercizio, per cui i 5 chilometri restanti di raddoppio, tra Strassoldo e Palmanova, da realizzare in affiancamento alla sede esistente, potrebbero rappresentare una possibile alternativa di medio periodo alla soluzione prevista nel progetto preliminare Alta velocità/Alta capacità;
   a pagina 24, RFI afferma che il costo per il raddoppio della linea Cervignano (Strassoldo) fino a Udine (nodo di Udine) costerebbe 250 milioni di euro;
   risulta alla interrogante che per il nodo di Udine, ricompreso nei citati contratti di programma, la regione e RFI abbiano già stanziato 60 milioni di euro, per cui ne rimarrebbero solo 190 per raddoppiare la linea da Strassoldo a Udine (Cargnacco);
   interrogata in merito, l'assessore ai trasporti del Friuli Venezia Giulia rispondeva che «Relativamente alla stima dei costi per il raddoppio della Udine-Cervignano, si tratta di quanto indicato dalle strutture tecniche di Rfi» –:
   se il Ministro possa fornire maggiori informazioni e aggiornamenti in merito alle previsioni di spesa per la realizzazione del raddoppio della linea Cervignano-Palmanova-Udine, con particolare riferimento alla divergente stima dei costi contenuta nell'ultimo contratto di programma, nell'analisi costi-benefici effettuata da RFI nel 2012 e, da ultimo, nel protocollo d'intesa Friuli Venezia Giulia-RFI, tali da escludere l'esposizione a un possibile danno erariale derivante dalla firma del protocollo di cui in premessa;
   se il Ministro possa altresì fornire elementi in merito al contenuto del nuovo contratto di programma - parte servizi 2016-2021, con particolare riguardo alle previsioni di spesa aggiornate per il raddoppio della linea Udine-Cervignano.
   (5-11156)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOSCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 marzo 2017, dopo oltre otto anni di lavoro, è stato definitivamente inaugurato il primo lotto della strada statale 640 Agrigento-Caltanissetta corrispondente alla tratta ricadente in territorio agrigentino, ovvero tra la città di Agrigento e Grottarossa, al confine con la provincia di Caltanissetta;
   un progetto, quello relativo al primo lotto, che ha avuto inizio nel 2005 con l'approvazione ed il finanziamento dell'opera (595 milioni di euro stanziati dal CIPE) di raddoppio ed ammodernamento della strada, precisamente dal chilometri 9+800 al chilometro 44+400;
   con l'inaugurazione del 28 marzo 2017, il primo lotto offre due carreggiate separate da spartitraffico con due corsie per senso di marcia, più la corsia di emergenza;
   per quanto riguarda, invece, il secondo lotto della strada statale 640 ricadente in territorio nisseno, da Canicattì all'innesto con la A19, l'ultimazione dei lavori sarebbe prevista per il 2018, comunque non oltre il mese di marzo del 2019;
   in attesa della fine dei lavori del secondo lotto, la chiusura del ponte Petrusa comporta, tra le altre cose, l'isolamento del centro abitato di Favara, con enormi disagi per studenti e pendolari impossibilitati a raggiungere scuole e posti di lavoro, per i residenti del luogo;
   i disagi già elencati, inoltre, vengono accentuati dalle gallerie che hanno allungato la durata dei lavori, nonché dalle deviazioni presenti lungo il tratto, mentre dopo Caltanissetta la viabilità è compromessa da deviazioni che rallentano di molto il percorso;
   nell'attesa che i lavori vengano completati e che il ponte di Petrusa venga di nuovo aperto al traffico, la realizzazione di una bretella provvisoria, in grado di smaltire il traffico e permettere ai residenti della zona interessata dal secondo lotto del progetto di raggiungere i posti di lavoro e di studio e di evitare di isolare il penitenziario di Petrusa ed il quartiere Fontanelle di Agrigento (sede dell'Ospedale San Giovanni di Dio), sarebbe una risposta adeguata per alleviare i disagi della popolazione –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   se non ritenga opportuno convocare un tavolo tecnico, alla presenza di ANAS e degli amministratori locali, al fine di accelerare la realizzazione di una bretella provvisoria in grado di alleviare i disagi dei residenti della zona interessata dai lavori del secondo lotto della strada statale 640, in attesa del suo completamento previsto, ad oggi, non oltre il mese di marzo del 2019. (4-16333)


   CULOTTA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   recentemente si è appreso a mezzo stampa che un'impresa indiana, la Panchavaktra Group, si è proposta per realizzare un aeroporto nella valle del Mela nel territorio di Messina;
   l'infrastruttura proposta si pone l'obiettivo di fare sistema con il porto di Milazzo, con il fine ultimo di realizzare un polo intermodale di trasporto sia merci che passeggeri;
   intorno a tale ipotesi si sono venuti a coagulare un notevole consenso nella popolazione e aspettative di importanti armatori che vorrebbero aprire nuove rotte fra il porto di Milazzo ed altri porti del Tirreno;
   in merito al porto di Milazzo si presentano talune disfunzioni e ritardi relativi al piano regolatore portuale, la cui redazione è stata avviata dall'autorità portuale di Messina fino dal 13 dicembre 2000, ma per la stesura del quale la stessa ha solo recentemente (16 settembre 2016) assunto l'impegno ad avviare gli incontri propedeutici con i diversi soggetti interessati. L'inerzia decennale dell'autorità portuale di Messina determina, con l'entrata in vigore del decreto legislativo n. 169 del 4 aprile 2016, la necessità di operare in un nuovo scenario, talché la nota del 16 settembre 2016 prima richiamata si presenta, ad avviso dell'interrogante, come tentativo tardivo, stante il fatto che la stessa è stata formulata dopo la pubblicazione del decreto legislativo;
   risulta altresì che la medesima autorità, quale soggetto attuatore, ha in corso di imminente ultimazione degli importanti lavori di potenziamento dello scalo (avviati il 30 luglio 2010), tramite la realizzazione di nuove banchine finanziate dalla regione siciliana per un importo di 12.394.965,57 euro, di cui alla D.D.G n. 2102/14 del 28 dicembre 2008. Per tale opera, tuttavia, la medesima autorità portuale, «profilandosi la necessità di procedere alla chiusura della relativa contabilità», deve attuare nei confronti del soggetto finanziatore la usuale «trasmissione della documentazione amministrativa e contabile giustificativa dei costi sostenuti», come la stessa autorità ha rappresentato al sindaco di Milazzo nella propria nota n. 000008168/2016 del 14 ottobre 2016; osta al predetto necessario adempimento un errore contenuto nella delibera n. 36 del comitato portuale, risalente al lontano 6 novembre 2001, non ancora corretto nonostante le sollecitazioni ripetutamente avanzate dal precedente sindaco di Milazzo e recentemente ancora una volta dal sindaco attuale, «((...) macroscopico errore, di cui si chiede la correzione attraverso atto analogo, contenuto nella Deliberazione di Comitato Portuale n. 36 del 6 novembre 2001 (...)»);
   in ragione di quanto sopra, tutto ciò costituisce un intralcio al prospettato ampliamento dello scalo mamertino, con grave nocumento allo sviluppo della città di Milazzo e del comprensorio che afferisce al suo porto, isole Eolie comprese –:
   quali siano le ragioni in forza delle quali l'autorità portuale di Messina non ha ancora approntato il piano regolatore del porto di Milazzo, e quali iniziative la stessa autorità intenda assumere con riguardo al transito delle specifiche competenze all'autorità di sistema;
   quale sia l'errore contenuto nella delibera n. 36 del comitato portuale del 6 novembre 2001 che impedisce all'autorità portuale di Messina, soggetto attuatore, di perfezionare la rendicontazione delle spese alla regione siciliana e per quali motivi la stessa autorità non abbia provveduto, dopo sedici anni, a correggere tale errore, come ripetutamente richiesto dai sindaci di Milazzo che si sono succeduti nel tempo. (4-16337)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   CARELLA, MELILLI, FERRO, TIDEI, MINNUCCI, PIAZZONI e PILOZZI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Carpineto Romano (Roma) e in alcuni comuni laziali, quali Arcinazzo (Roma), Moricone (Roma), Montelanico (Roma) e altri, esiste il fenomeno dei bovini vaganti senza marchio auricolare che nel corso degli anni, oltre che a un problema sanitario, danno luogo a un problema per la pubblica incolumità, causando incidenti stradali e attaccando le persone;
   su tale problema il primo firmatario del presente atto già in passato ha presentato atti di sindacato ispettivo, l'ultimo il 7 ottobre 2016, seduta n. 688 atto della Camera n. 3-02534 ancora senza risposta;
   la scorsa settimana si sono verificati altri tre incidenti sulla strada regionale 609 Carpinetana e, in uno dei tre, il conducente ha riportato serie fratture agli arti superiori tanto da essere ricoverato in prognosi riservata presso l'ospedale di Tivoli. Nel corso degli anni sono stati richiesti ed ottenuti diversi incontri con la prefettura e con il procuratore della Repubblica di Velletri per risolvere la problematica, ma senza successo –:
   se i Ministri interrogati intendano verificare, per quanto di competenza, se ci sono state omissioni da parte delle autorità statali nell'individuare i proprietari dei bovini che, lasciati liberi di pascolare, hanno provocato e continuano a provocare gravissimi incidenti sulla strada regionale 609 Carpinetana e se non intendano assumere tutte le iniziative di competenza necessarie a risolvere il problema per garantire la sicurezza dei cittadini, sia dal punto vista degli incidenti stradali sia in relazione alla vendita clandestina di carni fuori da ogni controllo sanitario. (3-02971)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIULIETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 aprile 2017 (sabato di Pasqua) ad Umbertide (Perugia) è avvenuta una sparatoria in una strada vicinissima al centro abitato dove una persona è stata ferita;
   probabilmente tutto ciò è avvenuto in relazione allo spaccio di sostanze stupefacenti, ma l'episodio ha creato allarme tra la popolazione; basti pensare che il luogo dove è avvenuta la sparatoria è a pochi metri da un parco pubblico e dal piazzale dove sono ubicate le giostre per ragazzi;
   ad Umbertide, ad esclusione della drammatica vicenda accaduta 10 anni fa che costò la vita al carabiniere Donato Fezzuoglio (medaglia d'oro al valor militare) durante una rapina ad un istituto bancario, mai si era verificato un conflitto da arma da fuoco e questo episodio potrebbe non lasciare intendere nulla di positivo per il futuro;
   Umbertide è una realtà di 17.000 abitanti dove c’è una positiva convivenza civile e i cittadini non vorrebbero certo rinunciarvi;
   Umbertide è collegata tramite la strada E45 con il capoluogo di regione e le altre città umbre e toscane e lo spaccio di sostanze stupefacenti rappresenta uno dei punti nevralgici della criminalità organizzata –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per garantire maggiori controlli delle forze dell'ordine soprattutto in relazione al contrasto del traffico di sostanze stupefacenti in Umbria ed, in particolar modo, ad Umbertide che è stata il luogo dei fatti sopra descritti. (4-16335)


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da oltre 60 anni, a Cosenza, in via Reggio Calabria, sorge una baraccopoli, in cui da diverse generazioni vivono 25 famiglie rom, tutti cittadini italiani, in condizioni di gravissimo disagio;
   fino ad oggi nessuna amministrazione comunale è riuscita a risolvere questo caso e anche numerosi bambini vivono nel peggiore degrado, così come gli abitanti del circondario, essendo il luogo circostante adibito quasi a discarica a cielo aperto;
   il 30 marzo 2017 un intervento ufficiale delle istituzioni ha avviato un processo di smantellamento della baraccopoli tagliando l'energia elettrica e l'acqua, costringendo 15 bambini e 7 persone anziane, di cui alcune gravemente malate, a vivere senza luce e senza gas;
   in seguito all'episodio, un delegato di Fondazione Romanì Italia ha presentato un esposto presso il tribunale di Cosenza per una veloce risoluzione del problema, ma ad oggi non vi è stata alcuna risposta da parte delle istituzioni;
   già quattro mesi fa la Fondazione Romanì Italia aveva presentato al sindaco di Cosenza un'ipotesi di soluzione finalizzata sì a smantellare la baraccopoli, ma attraverso un processo di sviluppo e inclusione della comunità, progetto inizialmente condiviso dal comune ma che si è smentito con l'avvio dello sgombero nella totale assenza di un piano alternativo per le famiglie –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come intendano affrontare la questione, anche alla luce dei profili di ordine pubblico, e garantire un corretto spostamento delle famiglie coinvolte e verso dove, favorendo progetti di inclusione e integrazione, in special modo a tutela dei minori che vivono nella baraccopoli di via Reggio Calabria. (4-16340)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il nostro Paese, ormai da decenni, è soggetto a flussi migratori di varie etnie e natura, quasi sempre incontrollati e irregolari, ma, negli ultimi anni, il fragile equilibrio tra italiani e immigrati si sta spezzando, diventando una pericolosa bomba sociale pronta ad esplodere da un momento all'altro;
   da ultimo, il sindaco di Bronte ha denunciato al prefetto di Catania di aver avuto notizia della programmata apertura nel proprio territorio di alcune comunità per minori non accompagnati per un totale di ottantacinque posti, senza alcuna preventiva richiesta di parere;
   come lamenta il sindaco Graziano Calanna nella missiva, in cui chiede giustamente di tenere conto della così detta «clausola di salvaguardia», ovvero l'intesa «Anci-Viminale», che prevede che ogni comune non possa accogliere più di 2,5 rifugiati per ogni 1.000 abitanti, «di essere accoglienti lo abbiamo già dimostrato, ma Bronte non può ospitare più di quarantotto rifugiati o richiedenti asilo. I sindaci hanno titolo e diritto ad esprimere parere in questa complicata materia, mentre spesso si sentono scavalcati. Siamo noi che conosciamo il territorio e parliamo con la gente»;
   secondo Calanna, nella scellerata ipotesi in cui si « bypassasse» l'istituto della clausola di salvaguardia, fra qualche mese i richiedenti asilo ospitati nella comunità brontese potrebbero ammontare a 107, cifra che supererebbe di gran lunga quella che emerge dalla proporzione stabilita dal Ministero dell'interno (2,5 richiedenti asilo per 1.000 abitanti);
   piccoli comuni, come Bronte, non sono idonei sotto il profilo sanitario e di capacità accoglienza delle istituzioni, come, ad esempio, quelle scolastiche, per ospitare un così elevato numero di richiedenti;
   non si tratta di mancanza di volontà, posto che Bronte ha già dimostrato di essere un Paese accogliente ed ospitale, avendo aderito anni fa allo Sprar, il Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, ma dell'inesistenza di un modello italiano di integrazione: non c’è programmazione, né coordinamento, con il rischio più che concreto di arrivare a una distribuzione delle persone in accoglienza del tutto ineguale;
   lasciati soli a fronteggiare tale «eterna emergenza», i comuni, tra mille difficoltà ed enormi sofferenze, continuano a garantire l'accoglienza, oltre i limiti delle proprie capacità, ma il sistema, in assenza di interventi straordinari, è ormai al collasso;
   non si può lasciare che i nostri territori vadano alla deriva, che città e luoghi di accoglienza diventino lo sversatoio di problemi di cui si dovrebbe far carico l'intera Unione europea;
   in tutto questo, il grande assente è lo Stato che, perseguendo politiche, secondo l'interrogante, a dir poco inaccettabili, come l'abolizione del reato di immigrazione clandestina, ha consentito che il territorio divenisse vittima di «sciacallaggio sociale» –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali urgenti iniziative intenda adottare per affrontare seriamente il fenomeno dell'immigrazione nel territorio in questione e garantire una risposta concreta e immediata alle preoccupazioni avanzate dal sindaco di Bronte. (4-16343)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NESCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il professor Fabio Ditto, residente a Vibo Valentia docente a tempo indeterminato di violino presso l'istituto comprensivo di Briatico (Vibo Valentia), in data 10 febbraio 2012 ha presentato istanza di accesso agli atti ai sensi della legge n. 241 del 1990 presso l'istituto comprensivo statale sito in San Costantino Calabro (Vibo Valentia) per prendere visione dei provvedimenti di aspettativa/congedo formulate dalla professoressa Candida Durante per gli anni scolastici 2009/10, 2010/11 e 2011/12, docente, di ruolo di violino, presso quell'Istituto scolastico;
   secondo quanto raccontato dal Ditto in una segnalazione inviata al Ministero interrogato il 17 gennaio 2013, «tali richieste avanzate dalla professoressa Durante erano finalizzate allo svolgimento di attività di docenza presso altre Istituzioni (di grado superiore) al fine di consentirle di acquisire un titolo di servizio molto importante ed ambito. Ed infatti, in virtù dell'adozione dei predetti provvedimenti di concessione di aspettativa/congedo, la professoressa Durante ha potuto essere destinataria di contratti di lavoro a tempo determinato per l'insegnamento di “violino” presso l'Istituto Musicale Pareggiato “Tchaikovsky” sito in Nocera Terinese (Catanzaro)»;
   va precisato, tuttavia, che, in virtù di quanto disposto dalla legge n. 508 del 1999, tale tipologia di istituti musicali sono pienamente equiparati ai conservatori di musica e, dunque, sono considerati quali istituzioni di alta formazione alla stregua delle università;
   il sistema dell'alta formazione artistica e musicale (Afam) rappresenta un autonomo comparto di contrattazione (denominato, per l'appunto, Afam), differente dal comparto della scuola e dell'università, ed è disciplinato da apposito contratto collettivo nazionale di lavoro (Ccnl Afam);
   tale contratto collettivo nazionale di lavoro attualmente vigente del comparto scuola, applicabile al rapporto di lavoro fra la professoressa Durante e l'istituto comprensivo sito in San Costantino Calabro, specifica chiaramente, all'articolo 18, comma 3, che «il dipendente è inoltre collocato in aspettativa per un anno scolastico senza assegni per realizzare una diversa esperienza lavorativa o superare un periodo di prova»; nonché, all'articolo 36 che «il personale docente può accettare, nell'ambito del comparto scuola (e dunque non Afam, nda) rapporti di lavoro a tempo determinato in un diverso ordine o grado d'istruzione, o per altra classe di concorso, purché di durata non inferiore ad un anno, mantenendo senza assegni, complessivamente per tre anni, la titolarità della sede»;
   con tutta evidenza, pertanto, l'amministrazione (nella persona del dirigente scolastico, dottoressa Maria Luisa Ioppolo che, scrive Ditto, «da informazioni assunte per le vie brevi sembrerebbe essere legata da rapporti di amicizia e/o profonda conoscenza con la professoressa Candida Durante») avrebbe, con modalità non conformi alla legge, adottato i predetti provvedimenti di concessione di aspettativa/congedo, reiterandoli per diversi anni scolastici, allorquando, tutt'al più, si sarebbe potuto procedere in tal senso esclusivamente per anno scolastico;
   se così stessero i fatti, sembrerebbe all'interrogante che il dirigente scolastico, dottoressa Maria Luisa Ioppolo, abbia favorito la propria amica/conoscente, professoressa Candida Durante, adottando i descritti provvedimenti affetti da vizi di legittimità; provvedimenti, questi, che hanno consentito alla predetta professoressa Candida Durante di conseguire un ingiusto vantaggio (e, cioè, svolgere per più di un anno attività di insegnamento presso un'Istituzione di ordine e grado superiore e, quindi, di rango universitario);
   al riguardo, desta all'interrogante legittimo sospetto la circostanza che l'istanza di accesso agli atti ritualmente avanzata dal professor Ditto, sia stata, sempre dalla citata dottoresse Ioppolo, respinta con argomentazioni assai inusuali. In buona sostanza, anziché limitarsi ad applicare quanto disposto dalla legge n. 241 del 1990, il dirigente scolastico ha argomentato il proprio rifiuto sostenendo che la documentazione richiesta non sarebbe stata comunque idonea a farmi ottenere alcun vantaggio. Scrive Ditto nella segnalazione summenzionata inviata al Ministero: «Tali motivazioni, che peraltro sembrano essere adottate con la finalità di “coprire” il proprio discutibile operato, sono infondate non solo nel merito (è evidente che se, in ipotesi, la professoressa Durante fosse esclusa dalla graduatoria da cui attinge l'Istituto Musicale Pareggiato di Nocera Terinese ne trarrei comunque, vantaggio dal momento che ella si trovava collocata in posizione poziore rispetto alla mia), ma anche nel metodo (l'Amministrazione non può peritarsi di formulare un giudizio sugli ipotetici effetti che una mia eventuale azione giudiziaria avrebbe potuto sortire)»;
   in virtù del diniego della dirigente scolastica Maria Luisa Ioppolo, è stato necessario presentare ricorso alla commissione per l'accesso ai documenti amministrativi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, che ha accolto il ricorso nell'adunanza del 17 aprile 2012, intimando alla dirigente di «riesaminare la questione sulla base delle considerazioni svolte»;
   dopo aver visionato finalmente gli atti, in data 8 giugno 2012 il professor Ditto inviava comunicazione scritta all'istituto comprensivo di San Costantino Calabro e per conoscenza al dirigente dell'ambito territoriale provinciale di Vibo Valentia, dottoressa Giacomo Cartella, affinché si procedesse, vista la concessione di dubbia legittimità, al ritiro dell'aspettativa, nei confronti della docente Candida Durante;
   in data 22 giugno 2012 è stata disposta la revoca dell'aspettativa alla docente Durante Candida ed il rientro immediato in servizio presso l'istituto comprensivo di San Costantino Calabro, ma secondo quanto denunciato dal Ditto il rientro della Durante sarebbe avvenuto solo ad anno scolastico concluso, ben 18 giorni dopo dal termine fissato dalla revoca dell'aspettativa, cioè alla scadenza del contratto con l'istituto musicale di Nocera Terinese;
   le illegittimità commesse e illustrate sin qui sarebbero diventate un usus a Vibo Valentia. Secondo quanto riportato da  La Gazzetta del Sud, il dirigente dell'ambito territoriale della provincia di Vibo Valentia ed ex provveditore agli studi di Vibo, dottor Giacomo Cartella, è stato rinviato a giudizio per abuso d'ufficio;
   secondo l'accusa, l'ex provveditore nel conferimento di un incarico a un'insegnante — ancora Candida Durante — avrebbe scavalcato un collega già in servizio (Gregorio Lagadari, parte offesa nel processo);
   nel summenzionato articolo si legge: «al centro della contesa l'assegnazione di quattro ore di insegnamento della materia “Esecuzione e interpretazione di violino” al Liceo Musicale ‘Vito Capialbi’. L'ex provveditore avrebbe affidato l'incarico alla docente, violando un'ordinanza ministeriale sulle assegnazioni provvisorie del personale docente e Ata per l'anno scolastico 2011/2012»;
   tale summenzionata ordinanza prevedeva il possesso di tutti i diplomi accademici di composizione, direttore di orchestra, coro, organo e strumentazione per banda oppure aver già insegnato strumento musicale (nella fattispecie, violino) in una scuola secondaria di secondo grado;
   di tali requisiti l'insegnante «sponsorizzata» dall'ex provveditore non sarebbe stata in possesso; l'ex provveditore, come se non bastasse, avrebbe valutato positivamente le domande della docente Candida Durante, nonostante fosse stata presentata con un ritardo di quasi tre mesi sul termine di scadenza perentorio (1o agosto 2011) fissato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con un'ordinanza ministeriale;
   già solo per questo la domanda, essendo palesemente tardiva, doveva essere cestinata. Quanto ai contenuti della domanda, denuncia ancora Ditto nella sua segnalazione, la docente giustificava il ritardo (di cui quindi la stessa era pienamente consapevole) con l'incredibile motivazione che «l'ordinanza ministeriale non è stata portata a sua conoscenza, e che quando è stata emessa, lei era in ferie»;
   come se non bastasse vicenda simile è accaduta anche nell'ultimo periodo, per quanto si legge su  Il Quotidiano del Sud del 17 marzo 2016;
   nel suddetto articolo si legge che «da circa un anno la Procura della Repubblica di Vibo ha aperto un fascicolo d'indagine sulla vicenda di una nomina di una docente in servizio al Conservatorio di Vibo Valentia, in posizione di comando, autorizzata dal Vicario dell'Ufficio scolastico regionale. Si mira a capire (anche in questo caso, nda) se vi siano state o meno condotte dolose su un incarico che rende esenti dalle attività di insegnamento in quanto relativo ad attività di ricerca o legato all'autonomia scolastica»;
   la genesi della storia, per quanto precisato nel summenzionato articolo, risale al dicembre 2014 quando l'interessata avrebbe presentato istanza al direttore del conservatorio per l'inoltro della richiesta di comando all'ufficio scolastico regionale. E già da qui emergono le prime stranezze: secondo la legge n. 448 del 1998, articolo 26, comma 10, i conservatori o le università – e non i singoli docenti, come nel fatto di specie – possono chiedere all'ufficio scolastico regionale il distacco di un insegnante, il quale deve essere comunque pagato dalla stessa istituzione (conservatorio o università);
   tale delibera dell'istituzione, secondo quanto si legge nell'articolo, mancherebbe, dato che il conservatorio, anziché valutare l'applicabilità dell'istanza della docente, avrebbe trasmesso tutto all'ufficio scolastico regionale che, per suo conto, avrebbe concesso comando all'interessata il 15 gennaio 2015;
   gli interrogativi su tale vicenda, peraltro, non finirebbero qui, dato che – si legge ancora – «la docente in questione risulta “comandata” quando invece starebbe insegnando a tutti gli effetti presso lo stesso conservatorio vibonese»;
   come se non bastasse, nonostante l'intera vicenda sia arrivata sul tavolo del direttore generale dell'ufficio scolastico regionale, dottor Giuseppe Mirarchi, la cosa non pare aver sortito effetti sul «comando», dato che lo stesso «sembra essere stato rinnovato per ulteriori 12 mesi, cioè fino all'agosto di quest'anno»;
   anche in questo caso non c’è, tuttavia, da sorprendersi, dato che anche in razione a quanto accaduto – e illustrato sopra – con l'istituto comprensivo di San Costantino Calabro, nonostante nel luglio 2012 la professoressa Assunta De Felice, vicaria dello stesso istituto, avesse inviato all'ufficio procedimenti disciplinari dell'ufficio scolastico regionale per la Calabria tutto il «materiale» riguardante la vicenda della docente Candida Durante, da parte dell'ufficio preposto ai procedimenti disciplinari non risulta scattata alcuna sanzione, né per la dirigente, dottoressa Maria Luisa Ioppolo, né per il dirigente dottor Cartella, né tantomeno per la docente Candida Durante;
   per quanto sin qui illustrato, è evidente che tra ufficio scolastico regionale, ambito territoriale provinciale e conservatorio di Vibo Valentia, siano stati posti in essere atti in contrasto con le norme vigenti reiterati nel tempo, per cui sono in corso anche procedimenti penali, senza tuttavia che gli interessati siano stati sollevati dal proprio incarico o, perlomeno, soggetti a procedimenti disciplinari –:
   se sia a conoscenza di quanto suesposto;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere, anche promuovendo l'invio in Calabria e, più precisamente, a Catanzaro Lido, di ispettori ministeriali. (5-11157)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato FLC-CGIL, CISL Scuola, UIL Scuola, SNALS, delle Marche, comunicava mediante stampa regionale, di aver abbandonano, il giorno 7 aprile 2017, il tavolo di confronto tra sindacati comparto scuola e ufficio scolastico regionale, a fronte dell'impossibilità di intrattenere corrette e costruttive relazioni sindacali che in passato avevano contraddistinto la regione, poiché, a loro dire, nella regione mancherebbero, oltre a docenti e personale ata, anche i dati reali relativi alla scuola pubblica;
   sempre secondo i sindacati, nelle Marche servirebbe un'integrazione dell'organico dell'autonomia di almeno 1.200 posti;
   sembrerebbe che l'ufficio scolastico regionale, sia privo d'informazioni su nuove iscrizioni di studenti, e di dati sull'organico dei docenti e del personale ata;
   inoltre, per quanto attiene alle procedure concorsuali in atto, l'ufficio scolastico – sempre secondo i sindacati –, convocherebbe le parti interessate solo dopo l'avvenuta pubblicazione sul sito istituzionale, in mancata ottemperanza della normativa vigente;
   a seguito della situazione venutasi a creare, i sindacati hanno scritto al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca denunciando tale situazione, perché fortemente preoccupati per l'imminente fase di distribuzione degli organici e per l'inappropriata gestione della scuola nelle zone colpite dal sisma da parte del direttore scolastico regionale;
   ciò è stato rilevato dalla stessa regione Marche, nella persona dell'assessore alla pubblica istruzione, che, con lettera del sette aprile 2017, segnalava al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Presidente del Consiglio, alle Commissioni competenti di Camera e Senato, informando dell'assoluta necessità dell'integrazione dell'organico di autonomia al fine di garantire la copertura dell'organico ordinamentale in relazione ai fabbisogni essenziali;
   la regione Marche, inoltre, si è trovata nella condizione di dover richiedere al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca un rapporto diretto con gli uffici ministeriali o la nomina di un responsabile nazionale con cui affrontare le problematiche esposte, data la resistenza dell'attuale ufficio scolastico regionale a collaborare con gli enti preposti al fine di trovare soluzioni alle necessarie scelte per l'efficienza della scuola delle Marche;
   si segnala che il direttore scolastico regionale Marche è stato già oggetto di alcune interrogazioni presentate dalla prima firmataria del presente atto alla quale non è mai stata fornita alcuna risposta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se non ritenga di dover assumere urgenti iniziative al fine di verificare quanto denunciato dai sindacati del comparto scuola delle Marche;
   quali siano le iniziative che intende assumere affinché sia incrementato il corpo docenti e il personale ata, come richiesto dalla regione Marche e dai sindacati, necessario a garantire una buona gestione della scuola e il diritto allo studio;
   quali siano le azioni che intende mettere in campo per garantire dall'anno scolastico 2017-2018 scuole adeguate e sicure per gli studenti e i docenti presenti nei territori colpiti duramente dal sisma di agosto 2016 e gennaio 2017;
   se non ritenga di dover convocare tutte le parti interessate, affinché sia fatta chiarezza sulle modalità di gestione dell'ufficio scolastico regionale Marche, in particolare da parte del direttore scolastico. (4-16334)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CIPRINI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   al di fuori del confine nazionale, negli Stati con maggiore presenza di cittadini Italiani, operano da anni associazioni e, in particolare, patronati che svolgono il prezioso compito di prestare assistenza ai nostri concittadini per il disbrigo di svariate pratiche, soprattutto collegate alle prestazioni previdenziali;
   i patronati maggiormente presenti, fanno capo ai maggiori sindacati di rappresentanza che, per citarne alcuni, sono CGIL, CISL, UIL, ACLI;
   le principali norme in materie di patronati si trovano nella legge 30 marzo 2001, n. 152 e nel regolamento del Ministero del lavoro e delle politiche sociali del 10 ottobre 2008, n. 193;
   tali disposizioni riconoscono alle associazioni la facoltà di svolgere in Italia e all'estero attività in materia di sicurezza sociale, di immigrazione ed emigrazione nei confronti dei cittadini italiani;
   l'attività di maggiore intensità dei patronati all'estero è tuttavia quella di consulenza fiscale, assistenza e tutela, anche con poteri di rappresentanza, nei confronti dei nostri connazionali per il disbrigo delle pratiche pensionistiche, dichiarazioni reddituali e altro;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dopo i dovuti accertamenti, ha il compito di erogare i finanziamenti dei patronati, con una valutazione fatta attraverso un sistema a punti che tiene conto dell'organizzazione degli uffici e del volume di attività anche in rapporto all'esito favorevole delle pratiche;
   il finanziamento dei patronati è possibile grazie ai versamenti obbligatori, nella misura dello 0,199 per cento del totale, effettuati da tutti i lavoratori all'Inps, all'Inail e all'Ipsema;
   dal comitato per le questioni degli italiani all'estero, da un dossier giornalistico de « Il Fatto quotidiano», dall'esposto di Marco Tommasini presidente del comitato difesa famiglie, nonché dalla denuncia di un ex sindacalista ed ex responsabile dell'Inca Cgil in Argentina, è emerso chiaramente che il sistema dei patronati all'estero rappresenti un problema di grossa rilevanza, a causa delle gravi inadempienze e irregolarità venute alla luce, che, per negligenza, coinvolgerebbero anche il Ministero del lavoro e delle politiche sociali;
   in particolare, come denunciato dalla puntata de « le iene» del 9 aprile 2017, in data 16 settembre 2015 è stato condannato a 9 anni di detenzione e al risarcimento delle vittime di una truffa, Antonio Giacchetta, direttore del patronato Inca-Cgil di Zurigo, che tra il 2001 e il 2009 si sarebbe intascato i risparmi e le pensioni di circa 70 emigranti;
   l'attività sospetta del patronato gestito dal Giacchetta, sarebbe stata segnalata più volte al Ministero del lavoro e delle politiche sociali che, sebbene obbligato ad attività ispettiva e di controllo, non avrebbe effettuato i controlli e adottato i provvedimenti dovuti ed opportuni;
   l'episodio di Zurigo rappresenta chiaramente, a giudizio dell'interrogante, l'inettitudine del Ministero verso i propri obblighi di vigilanza sull'uso dei fondi pubblici, nonché inadeguatezza del sistema legislativo vigente. Infatti, emerge che gli interventi ispettivi negli ultimi anni hanno fatto registrare controlli solo su 4 Paesi e su circa 476 sedi di patronato, con un probabile avviso di visita preventivo;
   i verbali di collocazione, che riportano tutte le attività dichiarate dai patronati e verificate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, evidenziano che solamente negli anni e nelle sedi dove c’è stata un'ispezione vi è stata una riduzione, a volte consistente, di punteggio, mentre in tutti gli altri casi i dati coincidono determinando di fatto un'autocertificazione dell'attività svolta dai patronati;
   dall'analisi dei dati statistici a disposizione, emergono informazioni che meritano una spiegazione; infatti l'incremento del numero di patronati in territorio straniero spesso appare come inversamente proporzionale al numero di connazionali, potenziali utenti dei servizi degli stessi, e nello specifico dei pensionati;
   il Comitato per le questioni degli italiani all'estero, istituito al Senato, stante quanto sopra, ha chiesto che venga avviato un progetto di riforma del sistema che tutt'ora è rimasto disatteso –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno, nell'ottica di una razionalizzazione della spesa pubblica, assumere iniziative per modificare le norme che attualmente disciplinano le verifiche ispettive, il funzionamento e il finanziamento dei patronati operanti in territorio estero, svolgendo, nelle more, maggiori attività di controllo e d'ispezione allo scopo di scongiurare truffe ai danni dei cittadini, come quella indicata, e di evitare sperpero di denaro pubblico;
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per farsi carico del risarcimento danni a favore dei pensionati truffati in Svizzera dal direttore Inca-Cgil di Zurigo, stante la grave inadempienza e responsabilità relativa all'attività ispettiva imputabile al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, agendo eventualmente in rivalsa nei confronti della Inca-Cgil.
(5-11158)


   DI SALVO, GNECCHI, ALBANELLA, ARLOTTI, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, DAMIANO, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GRIBAUDO, INCERTI, LAVAGNO, PATRIZIA MAESTRI, MICCOLI, PARIS, ROSTELLATO, ROTTA, SIMONI e TINAGLI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il tasso di occupazione femminile rimane ancora lontano dalla media dei Paesi europei e tra le cause strutturali di tale divario vanno certamente annoverati i ritardi nell'adozione di misure di facilitazione della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro;
   solo di recente sono stati adottati strumenti di tipo sperimentale per il sostegno della conciliazione e per la condivisione delle responsabilità genitoriali;
   in particolare, con l'ultima legge di bilancio, è stato prorogato per l'anno 2017 il congedo obbligatorio per il padre lavoratore dipendente, raddoppiandone la fruizione, come già nel 2016, da uno a due giorni, mentre si è previsto un ulteriore incremento da due a quattro giorni per il 2018, cui potrà aggiungersi un ulteriore giorno facoltativo, da fruire alternativamente alla madre lavoratrice;
   opportunamente il legislatore sta preferendo il congedo obbligatorio a quello facoltativo da utilizzare in alternativa alla madre, ma certamente l'entità della misura appare ancora troppo limitata per facilitare quel cambio culturale che necessita al nostro mercato del lavoro rispetto ad un evento fondamentale quale la nascita e alle opportunità sociali ad esso sottese;
   anche con riferimento a questo specifico istituto, il raffronto con altre esperienze in ambito europeo non vedono l'Italia ai primi posti se si considerano gli 11 giorni di congedo obbligatorio riconosciuti al padre lavoratore in Francia, i 15 giorni della Spagna, le due settimane in Danimarca o alle 6 settimane della Norvegia;
   anche in vista di auspicabili ulteriori interventi di incremento del periodo di congedo obbligatorio per il lavoratore padre in caso di nascita o di adozione/affidamento nazionale o internazionale, nonché per la stabilizzazione strutturale di tale istituto, appare necessario poter disporre di una puntuale verifica dell'utilizzazione della misura sin qui riconosciuta –:
   quali siano i dati a disposizione del Ministro interrogato circa l'effettiva fruizione dei congedi di paternità obbligatori e facoltativi, negli anni di sperimentazione ormai maturati. (5-11159)


   MICCOLI, ZACCAGNINI e GNECCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 22 del decreto-legge 3 febbraio 1970, n. 7 convertito dalla legge 11 marzo 1970 n. 83, prevedeva un termine decadenziale di 120 giorni dalla notifica del provvedimento di disconoscimento di giornate lavorative ai lavoratori agricoli o dal momento in cui ne avesse avuto conoscenza, ovvero, qualora l'interessato abbia esercitato la facoltà prevista dal successivo articolo 11 del decreto legislativo n. 375 del 1993, dalla notifica all'interessato del provvedimento conclusivo, ove adottato nei termini previsti dall'articolo 11 del decreto legislativo n. 375 del 1993, ovvero dalla scadenza dei medesimi termini, previsti per la pronuncia della decisione, nel caso del loro inutile decorso, assumendo l'inerzia dell'autorità amministrativa valore di provvedimento tacito di rigetto, conosciuto « ex lege» dall'interessato;
   tale disposizione aveva la duplice finalità di garantire la certezza delle operazioni finanziarie dell'ente previdenziale e di assicurare al soggetto destinatario del provvedimento di disconoscimento delle giornate agricole, di venirne direttamente a conoscenza, con conseguente possibilità di esercitare tempestivamente il proprio diritto di difesa; ed invero, i lavoratori avevano la possibilità di attivarsi tempestivamente senza incorrere in alcuna decadenza;
   la predetta legge è stata poi abrogata dall'articolo 24 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112 («taglia-leggi»), convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sotto la voce n. 2529 dell'Allegato «A»;
   la legge n. 83 del 1970 è tornata poi in vigore per effetto dell'articolo 38 del decreto-legge n. 98 del 2001, convertito dalla legge n. 111 del 2011 con decorrenza dal 6 luglio 2011, recante norme in materia di collocamento e accertamento dei lavoratori agricoli. In particolare, l'articolo 38, comma 6, introduce l'articolo 12-bis nel testo del regio decreto n. 1949 del 1940, prevedendo che gli elenchi nominativi annuali dei lavoratori dell'agricoltura – operai agricoli a tempo determinato, compartecipanti familiari, piccoli coloni – per le giornate di occupazione successive al 31 dicembre 2010, sono notificati ai lavoratori mediante pubblicazione telematica effettuata dall'INPS nel proprio sito internet entro il mese di marzo dell'anno successivo. Il medesimo comma prevede altresì, nel successivo periodo e in ipotesi di riconoscimento o disconoscimento di giornate lavorative avvenuti successivamente alla pubblicazione degli elenchi nominativi annuali, l'obbligo in capo all'INPS di notificare ai lavoratori, sempre utilizzando le modalità telematiche, un elenco trimestrale di variazione;
   la pubblicazione sul portale dell'INPS del riconoscimento o disconoscimento delle giornate di lavoro ha assunto il valore di effettiva notifica, al pari della comunicazione cartacea che ante 31 dicembre 2010 veniva spedita a mezzo raccomandata, obbligando i lavoratori a verificare periodicamente l'avvenuta cancellazione o meno dei contributi, entro il termine perentorio di 30 giorni;
   questa ultima disposizione, introdotta per rendere celere la procedura di accertamento dei rapporti di lavoro in agricoltura, è certamente poco confacente per lavoratori che hanno poca dimestichezza con le procedure telematiche e spesso si verifica che il termine di 30 giorni venga superato;
   il lavoratore purtroppo viene direttamente a conoscenza del disconoscimento adottato nei suoi confronti solo allorquando si vede recapitare, da parte dell'INPS (in questo caso a mezzo di posta raccomandata), la richiesta di restituzione delle prestazioni. Solo a partire dal momento della ricezione della richiesta di indebito che il lavoratore è obbligato a recarsi dal patronato per consultare la posizione previdenziale e scoprire l'avvenuto disconoscimento; peccato che nel frattempo i termini per impugnare il disconoscimento siano ampiamente scaduti –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di assumere iniziative in relazione alla problematica segnalata, soprattutto in ordine al troppo breve termine decadenziale di 30 giorni entro il quale i lavoratori devono attivarsi per verificare l'avvenuta cancellazione o meno dei contributi.
(5-11163)


   VALIANTE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno. — Per sapere – premesso che:
   la regione Campania con decreto dirigenziale n. 910 del 17 dicembre 2007 «Area generale di coordinamento assistenza sociale, attività sociali, sport, tempo libero, spettacolo settore assistenza sociale, programmazione e vigilanza sui servizi sociali» – Intervenuti a favore di persone in situazione di handicap grave privi dell'assistenza dei familiari – ha pubblicato, sul Bollettino ufficiale della regione Campania n. 67 del 31 dicembre 2007, l'avviso per la presentazione di domande inerenti la concessione e l'erogazione di contributi di cui all'articolo 81 della legge n. 388 del 2000 per l'apertura di nuove strutture residenziali per il «Dopo di Noi»;
   l'Associazione temporanea (Unione italiana ciechi e ipovedenti di Salerno, Comune di Casal Velino, Coop. Casa Nazareth ONLUS) – «la certezza del Dopo» partecipava al bando di cui al precedente punto per la realizzazione di un gruppo appartamento ai sensi del regolamento n. 6 del 2006 il cui costo totale è pari a 432.860,00 euro con quota a carico della regione di 332.874,00 euro;
   con decreto dirigenziale n. 9 del 14 gennaio 2009 pubblicato sul Bollettino ufficiale della regione Campania n. 8 del 9 febbraio 2009 è stata approvata la graduatoria finale nella quale il progetto «La certezza del dopo» è risultato beneficiario di un contributo di 332.874,00 euro;
   in data 26 novembre 2009 la regione Campania erogava la somma di 33.287,40 euro pari al 10 per cento del contributo ammesso a finanziamento così come disposto dal disciplinare;
   in data 27 marzo 2012 la Soc. Coop. Casa Nazareth Onlus rinunciava a prendere parte al progetto;
   in data 2 maggio 2012 la Coop. Soc. A.r.l. Cilento Service 2000 dichiarava la disponibilità a subentrare nell'Associazione temporanea di scopo «La certezza del dopo»;
   in data 16 maggio 2012 la regione Campania autorizzava il subentro della Cilento Service 2000;
   i fondi di cui all'oggetto sono caduti in perenzione amministrativa;
   la regione Campania non ha disposto la reinscrizione di tali somme a bilancio;
   l'Associazione temporanea di scopo vanta un credito di 39.781,21 euro (pagamenti SAL I e II) a cui si sommeranno le ulteriori spese preventivate all'atto di presentazione della richiesta di contributo per un importo di 225.000,00 euro;
   sul territorio afferente al piano di zona S/8, comune di Vallo della Lucania, non è presente alcuna struttura residenziale destinata al «Dopo di Noi»;
   la mancata corresponsione dei contributi ha creato una situazione di gravissima difficoltà agli assegnatari dei contributi ed ai loro beneficiari con un elevato aumento dei costi della spesa dei servizi sociali della regione Campania;
   il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha destinato alla regione Campania per l'anno 2016 la somma di 9.000.000 di euro di cui una parte potrebbe essere utilizzata per completare le strutture esistenti –:
   quali elementi si intendano fornire sui fatti descritti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano assumere, anche di carattere normativo e d'intesa con la regione Campania, in relazione alle strutture destinate al «Dopo di noi».
(5-11181)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA, SCOTTO, FERRARA, RICCIATTI, KRONBICHLER, NICCHI, SANNICANDRO, PIRAS, ZARATTI, QUARANTA e DURANTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella più grande fabbrica metalmeccanica italiana, la Sevel di Atessa (Chieti) in Abruzzo, del Gruppo Fca-Peugeot, è accaduto il 12 aprile 2017 l'ennesimo infortunio sul lavoro con un operaio che, battendo la testa violentemente su un braccio meccanico della sua linea, è svenuto;
   i colleghi di lavoro della unità tecnologica di lavoro hanno dato l'allarme, ma sono stati costretti a riprendere il lavoro e ad ignorare l'operaio svenuto a terra;
   si tratta di una scelta aziendale disumana in base alla quale la produzione viene prima del rispetto delle persone;
   i soccorsi peraltro sono stati tempestivi;
   la FIOM CGIL ha denunciato tale increscioso episodio e ha chiamato i lavoratori del reparto allo sciopero –:
   se non intenda, tramite gli uffici periferici del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, accertare la situazione della sicurezza e le condizioni di lavoro alla Sevel di Atessa (Chieti), anche in considerazione degli incessanti ritmi e carichi di lavoro conseguenti alle ottime condizioni di mercato del veicolo commerciale prodotto, il Ducato, che quest'anno raggiungerà una produzione vicina al massimo storico di 290 mila furgoni. (4-16328)


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'Astigiano, negli ultimi 4 anni, il personale di Poste Italiane è calato in maniera considerevole di ben 200 unità, tanto che attualmente è composto da 270 dipendenti del settore recapito e 260 degli uffici su una popolazione di 219 mila abitanti. Il tutto accompagnato dall'introduzione, in vari centri, dei «giorni alterni» di apertura degli uffici e del servizio di recapito. Una novità, quest'ultima, che ha creato molto scontento tra gli abitanti della provincia in particolare dei comuni più piccoli;
   i sindacati di categoria hanno in più occasioni denunciato la grave situazione in cui versa il servizio postale dell'Astigiano ormai al limite del collasso. Un disagio che interessa non solo i comuni periferici quali ad esempio Costigliole d'Asti, Moncalvo, Castagnole delle Lanze, Rocchetta Tanaro, Montechiaro d'Asti, Incisa Scapaccino, Mombercelli, Isola d'Asti, Portacomaro, Buttigliera, Cocconato, Castelnuovo Don Bosco, Bubbio e Villafranca ma anche lo stesso comune capoluogo Asti con solo due uffici postali aperti su otto. Solo per sopperire alle uscite programmate nel 2016 occorrerebbe l'assunzione di 29 nuovi addetti e nulla sembra che si stia facendo in tal senso. Pertanto nel 2017 si prevede un ulteriore aggravamento del servizio postale nell'astigiano già al limite del collasso;
   i sindacati nel mese di novembre 2016 sono scesi in piazza per denunciare tale grave situazione, frutto di una strategia complessiva di privatizzazione della principale azienda postale del nostro Paese, e per chiedere un recapito di qualità, un ambiente di lavoro sicuro e uffici con personale al completo. Tutte cose che comportano necessariamente un effettivo piano di rilancio della logistica e la stabilizzazione del personale precario attualmente operativo e quindi la trasformazione dei loro contratti part time in full time;
   Poste Italiane è una società che svolge un rilevante servizio di interesse pubblico di proprietà della Stato italiano che tramite il Ministero dell'economia e delle finanze e la Cassa depositi e prestiti detiene la maggioranza di controllo;
   dall'entrata in vigore della legge delega 10 dicembre 2014, n. 183, cosiddetto Jobs Act, e dei successivi decreti legislativi, Poste Italiane ha stipulato in tutto il Paese migliaia di contratti a tutele crescenti per supplire alle gravi carenze strutturali ma che nella stragrande maggioranza dei casi però, in aperto contrasto con la stessa normativa citata, non ha proceduto con la stabilizzazione degli assunti pur a fronte della presenza di forti criticità organizzative e di carenze di organico come sopra evidenziato per il caso di Asti. Si tratta, a giudizio dell'interrogante, di un mancato rispetto della normativa sul lavoro che ha ingenerato l'effetto perverso di centinaia di ricorsi contro le mancate stabilizzazioni di Poste Italiane;
   è da stigmatizzare il comportamento di una società che, essendo a totale controllo pubblico e percependo sostanziosi contributi per il servizio svolto, invece di agire con trasparenza e rispetto della legge ad avviso dell'interrogante abusa dei contratti a tempo determinato e del peggioramento della qualità del servizio ottenendo comunque lauti profitti –:
   quali iniziative urgenti intendano intraprendere i Ministri interrogati in primis per sopperire alla carenza di organico del personale di Poste Italiane nell'astigiano, ormai non più tollerabile, e in secundis per il rispetto della disciplina lavoristica sulle assunzioni a giudizio dell'interrogante apertamente disattesa dalla principale azienda dei recapiti del nostro Paese. (4-16339)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 aprile 2017 il quotidiano InfoCilento.it ha pubblicato un articolo a firma Arturo Calabrese dal titolo «Caso alici di Menaica, interviene Tommaso Pellegrino»;
   nell'articolo il giornalista ha riportato la notizia che «la Guardia di Finanza ha bloccato un peschereccio specializzato nella pesca di Alici di Menaica, fuori legge a causa di un cavillo: le reti per le Alici di Menaica, piccole e molte fragili, vengono considerate dal Governo nella categoria detta “ferrettara”, la stessa delle reti per i pescispada, esponenzialmente più grandi, forti e molto più redditizie. Per pescare con questa categoria di reti è necessario un particolare permesso che, ovviamente, i piccoli pescatori non hanno»;
   le reti per la cosiddetta «ferrettara» sono enormi reti utilizzate per la cattura del pescespada;
   si tratta di due tipologie di pesca totalmente differenti che non possono essere equiparate;
   in particolare, la pesca delle alici del Cilento è ecosostenibile ed artigianale, totalmente all'opposto della cosiddetta ferrettara, caratterizzata da un elevato tasso di professionalità ed industrializzazione;
   la piccola economia ittica del Mezzogiorno sta subendo un gravissimo colpo in un momento di grave crisi economica;
   l'indotto economico rappresentato dalla pesca delle alici di Menaica deve essere preservato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione e delle problematiche descritte;
   quali iniziative intenda assumere per dare risposte immediate e concrete alle comunità di pescatori cilentani, alle loro paure ed alle loro speranze;
   se intenda intervenire tempestivamente con l'attivazione di uno specifico «tavolo tecnico», per un accordo di programma quadro, tra i rappresentanti del Governo, della regione Campania e delle associazioni di categoria. (5-11160)

Interrogazione a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la siccità che ha colpito il Veneto negli ultimi mesi sta causando danni ingenti all'agricoltura in un momento delicato come quello della semina e dell'irrigazione dei campi;
   l'assenza di precipitazioni, soprattutto in montagna, ha determinato in Veneto una situazione di grave criticità che, per quanto riguarda le falde, sta superando in negativo ogni record storico relativamente agli ultimi 20 anni, ma le conseguenze si vedono anche su corsi d'acqua piccoli e grandi;
   analizzando il periodo ottobre-marzo, c’è un deficit di 170 millimetri di precipitazioni, a fronte dei 350 millimetri attesi, che difficilmente potrà essere recuperato, in considerazione del fatto che non c’è neve da sciogliere in montagna. Il quadro della situazione lo ha delineato il bollettino Arpav secondo cui il « Water Scarcity Index», l'indicatore che rileva la criticità della situazione idrica, è il secondo peggiore degli ultimi 27 anni: solo nel 2002 la situazione era più critica;
   «La piovosità media di marzo è di 70 mm. Già all'inizio del mese avevamo un deficit di precipitazioni di 124 mm accumulato dal 1o ottobre. Non sappiamo quanto pioverà, ma di certo il deficit della risorsa idrica sta ancora peggiorando», ha spiega Italo Saccardo, responsabile del servizio Idrogeologico dell'Arpav;
   la regione Veneto, dopo il tavolo convocato nei giorni scorsi dagli assessori a protezione civile e all'agricoltura, è orientata a dichiarare lo stato di crisi;
   secondo Coldiretti «servono interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque, campagne di informazione ed educazione sull'uso corretto dell'acqua, un impegno per la diffusione di sistemi di irrigazione a basso consumo, ma anche ricerca e innovazione per lo sviluppo di coltivazioni a basso fabbisogno idrico» –:
   quali iniziative s'intendano assumere per far fronte alla grave siccità in atto e quali misure i Ministri interrogati intendano promuovere per dare un sostegno concreto ed immediato alle aziende agricole colpite dal fenomeno della siccità, che quest'anno si manifesta in forma grave. (4-16327)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
XII Commissione:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da un'indagine dell'Anaao (Associazione medici e dirigenti del Servizio sanitario nazionale), emerge il drammatico sovraffollamento dei pronto soccorso del nostro Paese;
   secondo quanto denuncia il sindacato, non è l'accesso improprio al triage, ma soprattutto la mancanza di posti letto nei reparti che trasformano i servizi di emergenza – urgenza in veri e propri ricoveri, anche per diversi giorni, in grandi stanzoni senza alcun di tipo di privacy;
   secondo gli standard ospedalieri, il limite di permanenza nei pronto soccorsi non dovrebbe superare le due ore, tuttavia, tale limite non è rispettato da tre ospedali su quattro; infatti, nel 2016, circa venticinquemila pazienti hanno sostato in attesa del ricovero tra le ventiquattro e le sessanta ore;
   il dottor Domenico Montemurro, responsabile di Anaao giovani, che ha condotto l'indagine ha spiegato: «oramai a causa della mancanza di posti letto i ricoveri urgenti alimentati dai pronto soccorso sono il 56 per cento del totale e per quelli programmati, come in oncologia o per la piccola chirurgia, le liste d'attesa si allungano: sessantotto giorni per un'ernia inguinale oltre novanta per una tonsillectomia»;
   si è più volte assistito a immagini mandate in onda sui canali tv, di drammatiche situazioni di sovraffollamento di pazienti in barella, uno accanto all'altro in attesa di un posto letto se non addirittura di pazienti messi per terra per poter loro prestare le cure di cui necessitano;
   agli interroganti appare del tutto evidente che lo standard del 3,7 per mille abitanti, sia insufficiente per una popolazione demografica come quella italiana, tenuto conto che negli ospedali pubblici del Paese, negli ultimi dieci anni, sono stati tagliati circa 70.000 posti letto;
   il pronto soccorso rappresenta l'interfaccia tra ospedale e territorio, il primo servizio dove si rivolgono i cittadini con problemi di salute reputati urgenti, tuttavia affollamento, sovraffollamento, mancanza di posti letto nei reparti e insufficienza della dotazione organica di medici e infermieri conferma la totale mancanza di affidabilità ed efficienza che si dovrebbe prefiggere la sanità pubblica –:
   quali ulteriori iniziative urgenti intenda mettere in campo, per quanto di competenza, per implementare la dotazione di organico di medici e infermieri ospedalieri, al fine di migliorare la sanità pubblica e rendere più efficace e snello l'accesso al pronto soccorso, senza che si debba attendere anche per giorni prima di avere un posto letto in reparto. (5-11169)


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, NESCI, LOREFICE, MANTERO, GRILLO e DI VITA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Joseph Polimeni ha rassegnato le dimissioni dall'incarico di commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario della regione Campania;
   la legge n. 190 del 2014; all'articolo 1, comma 569, prevede che la nomina a commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario, effettuata ai sensi dell'articolo 2, commi 79, 83 e 84, della legge 23 dicembre 2009, n. 191, e successive modificazioni, è incompatibile con qualsiasi incarico istituzionale presso la regione soggetta a commissariamento e che il commissario deve avere qualificate e comprovate professionalità. Tale disposizione si applica alle nomine effettuate, a qualunque titolo, successivamente alla data di entrata in vigore della citata legge;
   l'articolo 1, comma 395, legge dell'11 dicembre 2016, n. 232, ha svuotato di fatto l'incompatibilità succitata, garantendo la possibilità per i presidenti di regione di ricoprire il ruolo di «commissario straordinario alla sanità», favorendo i presidenti delle regioni Campania e Calabria, in quanto uniche regioni a cui è stata applicata l'incompatibilità tra presidente e commissario;
   le improvvise dimissioni di Polimeni dall'incarico costringeranno il Consiglio dei ministri a deliberare nuovamente sulla scelta del successore, in un momento come questo per la sanità campana, scalfita da diversi scandali che non le attribuiscono l'immagine di un settore virtuoso, né moralmente né professionalmente;
   risulta da fonti di stampa che il governatore De Luca abbia richiesto di ricoprire l'incarico di commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dei disavanzi sanitari;
   la legge n. 190 del 2014 dispone che «il commissario deve possedere un curriculum che attesti qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria anche in base ai risultati in precedenza conseguiti»;
   il Ministero della salute ha dichiarato al giornale « il Mattino» che «La candidatura di De Luca è una delle possibili in campo e decideremo dopo il 5 aprile a chi affidare il nuovo incarico» –:
   se, per quanto di competenza e in sede di concertazione finalizzata alla nomina del commissario ad acta per la predisposizione, l'adozione o l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo del settore sanitario della regione Campania, si intendano procedere con la nomina del governatore De Luca al predetto incarico. (5-11170)


   FOSSATI, NICCHI, MURER e FONTANELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 194 del 1978, sull'interruzione volontaria di gravidanza, prevede la possibilità di utilizzare metodi abortivi in alternativa all'interruzione volontaria di gravidanza (Ivg) chirurgica, laddove l'articolo 15 cita la possibilità di «aggiornamenti sull'uso delle tecniche più moderne, più rispettose dell'integrità fisica e psichica della donna e meno rischiose per l'interruzione della gravidanza»;
   il miferpristone (RU 486) è il farmaco attualmente utilizzato in quasi tutti i Paesi del mondo, ove l'aborto è legale. L'aborto farmacologico è considerato dall'Organizzazione mondiale della sanità un metodo sicuro ed efficace;
   dal 2009 l'Agenzia italiana del farmaco ha autorizzato l'immissione in commercio della Ru486, per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica, ma a distanza di anni solo una minima percentuale delle donne, ha potuto interrompere la gravidanza con il metodo farmacologico;
   a parere degli interroganti è indispensabile che l'aborto farmacologico sia maggiormente e più diffusamente proposto su tutto il territorio nazionale come valida opzione alle donne, mettendole così in condizione di poter scegliere liberamente quale percorso intraprendere, garantendo e favorendo la sua somministrazione nell'ambito della stessa rete, dei consultori;
   nell'ambito del suo piano di riorganizzazione della sanità, la regione Lazio si sta attivando per rendere l'accesso a quanto disposto dalla legge n. 194 del 1978 il meno gravoso possibile per le donne, anche attraverso la possibilità di effettuare le interruzioni di gravidanza con la Ru486 nei consultori familiari;
   si tratta di un salto in avanti, visto che, in gran parte d'Italia, l'aborto farmacologico non è considerato una pratica ambulatoriale, anzi è consentito in day-hospital soltanto in cinque regioni. Sarà una sperimentazione all'interno di un programma di rilancio globale dei consultori;
   anche in Toscana, a Firenze, sulla base del parere n. 47 del 2014 sul «Protocollo operativo IVG farmacologica» dell'ordine dei medici di Firenze, si sono realizzate alcune esperienze per l'interruzione di gravidanza farmacologica fuori dai reparti di degenza ospedalieri –:
   se non ritenga necessario promuovere l'estensione delle citate esperienze del Lazio, della Toscana e di altre realtà, e avviare tutte le iniziative di competenza utili affinché sia implementato e facilitato, su tutto il territorio nazionale, l'accesso all'aborto con il metodo farmacologico in regime di day hospital e, dove possibile, nei consultori familiari e nei poliambulatori, come previsto dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978, e se non intenda avviare già in occasione del 22 aprile 2017, Giornata per la salute della donna, una campagna informativa sull'uso della Ru486, quale valida alternativa all'interruzione volontaria di gravidanza chirurgica.
   (5-11171)


   LENZI e BARBANTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il decreto n. 64 del 2016 del commissario ad acta per il piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria sulla riorganizzazione della rete ospedaliera, che modifica il decreto n. 9 del 2015, e il successivo decreto del commissario ad acta n. 30 del 2016, non reca secondo gli interroganti un riassetto della rete ospedaliera, conforme al regolamento sugli standard ospedalieri di cui all'Intesa Stato-regioni del 5 agosto 2014 ed al decreto ministeriale n. 70 del 2015;
   nei decreti si evidenziano squilibri territoriali particolarmente evidenti nell'area centro con un eccesso di offerta di specialità di posti letto e di specialità nonché la programmazione della rete ospedaliera tempodipendente trauma viene prevista come priva del punto centrale più importante, denominato Centro di alta specialità, che viene posto genericamente «Fuori Regione»;
   l'indicazione «Fuori Regione» nella patologia politrauma praticamente, invalida l'efficacia dell'intervento che deve essere attuato in un tempo breve dall'insorgere dell'evento e, perciò in una sede facilmente raggiungibile da ogni parte della regione;
   comunque, la sede indicata «Fuori Regione» avrebbe dovuto essere identificata entro il 31 dicembre 2016;
   al momento, la rete politrauma della regione Calabria risulta essere incompleta e, perciò, i trattamenti per questo genere di patologie risultano essere non aderenti a quanto previsto dalle norme ed, in particolare, dal decreto n. 70 del 2015;
   i piani sanitari della regione Calabria 2004-2006 e 2007-2009, in considerazione della posizione centrale, della vicinanza alle vie di comunicazione principali, alle caratteristiche della struttura ospedaliera, alla presenza di una sede elicotteristica H24, avevano indicato nel presidio ospedaliero di Lamezia Terme la sede più idonea per un polo traumatologico regionale;
   i sindaci dei 21 comuni appartenenti all’hinterland dell'area di operatività dell'ospedale di Lamezia Terme hanno preso la decisione di richiedere che la Rete politrauma della regione vada completata destinando il punto centrale, Centro di alta specialità, nell'ospedale di Lamezia Terme;
   una assistenza sanitaria adeguata è un obbligo verso i cittadini sancito dall'articolo 32 della Costituzione e, nelle condizioni attuali l'assistenza erogata con presidio ospedaliero politrauma nella regione Calabria è carente –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, in merito al completamento della rete ospedaliera tempodipendente politrauma e alla richiesta di attivazione, nel presidio ospedaliero di Lamezia Terme, del centro di alta specialità. (5-11172)


   GULLO e BERGAMINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è oramai accertato, dalla scienza medica e dagli studi internazionali, che la sensibilità chimica multipla (MSC) è una patologia rara che si sviluppa in seguito ad un'esposizione acuta o cronica a sostanze tossiche generalmente in commercio e presenti in numerosi detergenti, profumi, prodotti per l'igiene personale, insetticidi, erbicidi, solventi, smog e fumi industriali, materie plastiche, farmaci e altro;
   molti cittadini italiani sono vittima di detta patologia altamente invalidante, com’è noto allo stesso Ministro della salute;
   in una prima fase, tra la fine del 2004 e l'inizio del 2005, alcune regioni hanno riconosciuto la sensibilità chimica multipla come patologia rara: Toscana, Emilia Romagna, Abruzzo. Alcuni malati stanno combattendo, da soli, battaglie giudiziarie e si sono riuniti in associazioni e stanno promuovendo campagne di sensibilizzazione molto seguite in Italia ed all'estero;
   nonostante ciò, ancora detta patologia non è stata inserita nell'elenco delle malattie rare ed i malati risultano di fatto abbandonati dalle istituzioni;
   è quindi necessario quantomeno definire un omogeneo trattamento dei malati che, ad oggi, sono costretti a recarsi all'estero per sottoporsi alle cure a proprie spese, assicurando così la formazione e l'aggiornamento professionale del personale medico, al fine di facilitare l'individuazione dei soggetti affetti da sensibilità chimica multipla, capire la causa e gli effetti, ed evitare l'espansione di detta malattia in modo indiscriminato, ma soprattutto ulteriori sofferenze e disfunzioni in danno dei malati, predisponendo un protocollo di ospedalizzazione per la sensibilità chimica multipla da attuare nei casi di necessità ed urgenza;
   gli articoli 2, 3, 32, 54 della Costituzione impongono una presa di posizione forte e decisa, a tutela dei numerosissimi malati di sensibilità chimica multipla;
   il piano nazionale malattie rare (PNMR) 2013-16 ha evidenziato la necessità di adottare un piano nazionale per le malattie rare entro il 2013 –:
   se e quali iniziative di competenza si intendano adottare per la prevenzione, la diagnosi precoce e la cura della patologia della sensibilità chimica multipla, anche attraverso il suo inserimento nell'elenco delle malattie rare, promuovendo, in collaborazione con le regioni, osservatori di carattere internazionale e nazionale, e assicurando la formazione e l'aggiornamento professionale del personale medico.
(5-11173)


   BINETTI, BUTTIGLIONE, CERA, DE MITA e FUCCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   per la seconda volta in pochi giorni si è verificato un caso di eutanasia. Singolari le coincidenze tra i due fatti, ne sono fautori ed animatori sempre le stesse persone, presumibilmente coordinate da Marco Cappato;
   in Italia, l'eutanasia è proibita dal codice penale che vieta espressamente il suicidio assistito e l'omicidio del consenziente;
   durante i lavori in commissione affari sociali sulle «Dichiarazioni Anticipate di Trattamento» è stato ribadito dal presidente, dalla relatrice e da altri membri della commissione, che l'attuale disegno di legge in materia non ha nulla a che vedere con l'eutanasia, anche se ad altri autorevoli membri della commissioni appare che i confini tra quanto previsto dal disegno di legge e l'eutanasia passiva siano davvero molto labili;
   oggi la presidente Gallo dalla Fondazione Coscioni ha parlato di fallimento della politica, sostenendo che poiché Davide era italiano e pagava regolarmente le tasse in Italia, allora avrebbe avuto il diritto di morire di eutanasia in Italia. L'argomentazione è, secondo gli interroganti, priva di logica, tenendo conto che in Italia chi la pratica e la propaganda dovrebbe essere perseguito per via legale;
   quello che gli interroganti vogliono evidenziare è che Davide, affetto da sclerosi multipla da circa 30 anni, ha vissuto una vita quasi normale, nonostante una serie di disabilità. La sua condizione si era aggravata con il trascorrere degli anni; recentemente passava le sue giornate a letto o in sedia a rotelle, senza potersi nutrire normalmente;
   mentre la sua morte attrae l'attenzione, si deve constatare che non fa notizia la vita di tanti pazienti affetti da sclerosi multipla: circa 110.000 italiani, che attendono dal Servizio sanitario nazionale risposte concrete alle loro esigenze sul piano strettamente farmacologico, su quello assistenziale e anche sul piano sociale;
   molti studi scientifici confermano che, nei pazienti affetti da sclerosi multipla, il sintomo più comune è proprio la depressione, per cui è facile immaginare che anche la richiesta di eutanasia si sia innestata in un vissuto depressivo che rende oggettivamente molto difficile desiderare di vivere, ma rende anche inaccettabile la richiesta di morte, proprio per il forte condizionamento interiore che limita l'autodeterminazione. Diventa così molto più facile essere soggetti a manipolazioni esterne –:
   di quali elementi disponga circa le condizioni cliniche di Davide, la sua storia, attraverso la cartella clinica, per capire in quale condizione psicopatologica si trovasse nel momento del trasferimento in Svizzera, e quali iniziative di competenza intenda assumere per sostenere le persone che presentino gravi patologie come quella di cui in premessa per evitare che possano determinarsi all'eutanasia. (5-11174)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ALIA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la rimodulazione della rete ospedale-territorio nasce dalla necessità di ridistribuire le risorse garantendo alla popolazione meno ospedali, ma più efficienti, ed un territorio in grado di prendersi carico delle esigenze di salute del cittadino H24;
   il modello 118 di Messina si colloca nell'orizzonte sanitario, regionale e nazionale, come punto di riferimento nella risposta sanitaria al cittadino che si trova in condizioni di emergenza sanitaria, già rispettando quelli che sono i dettami del decreto ministeriale n. 70 del 2015 che prevede una medicalizzazione sufficiente dei mezzi di soccorso per garantire «sia il soccorso primario che il secondario urgente (...) 24 ore al giorno nel più breve tempo possibile, in ogni punto del territorio»;
   va ricordato, infatti, che il decreto ministeriale n. 70 prevede un'ambulanza medicalizzata (MSA) ogni 60.000 abitanti, a cui vanno disposti necessari correttivi secondo i seguenti parametri:
    vie di comunicazione: la rete stradale della città di Messina e provincia, stretta lungo la costa e schiacciata dalle montagne, consta prevalentemente di singole vie di percorrenza ad unica corsia, derivate per lo più da ex «mulattiere» che attraversano la costa o si inerpicano verso i paesi montani, con enormi difficoltà di percorrenza a velocità sostenute;
    vincoli orografici e climatologici: presenza di due isole maggiori (Lipari e Salina) ad alta densità di popolazione residente ma soprattutto non residente e turistica, spesso irraggiungibili sia via mare che via aerea per le condizioni meteorologiche;
    tempi di percorrenza per l'arrivo sul luogo e relativa ospedalizzazione del paziente: ospedali di II livello facenti capo alle reti Stemi e Stroke, quindi dotati di emodinamica e di stroke unit, concentrati esclusivamente nel capoluogo di provincia;
    distribuzione dei presidi ospedalieri con Dea o pronto soccorso: presenza di pochi pronto soccorso distanti tra loro, con soppressione ulteriore del pronto soccorso di Barcellona, secondo il documento metodologico per la riorganizzazione del sistema di rete dell'emergenza-urgenza della regione siciliana;
    integrazione di risorse in seguito alle limitazioni operative dei pronto soccorso (ad esempio, ridefinizioni della rete dei pronto soccorso con riconversione di alcuni di questi in punti di primo intervento): nulla è stato previsto per la riconversione del pronto soccorso di Barcellona;
    flussi turistici stagionali: 3.522.814 presenze turistiche nell'anno 2015; 600.000 presenze più della provincia di Palermo, 1,5 milioni più di Catania, 2,1 milioni più di Siracusa;
    rete elisoccorso: 1 solo elicottero che serve prevalentemente le isole minori sfornite di assistenza sanitaria avanzata (solo guardia medica e medico di famiglia);
   a Messina città (237.603 abitanti) è stata destinata solo 1 mezzo di soccorso avanzato; si necessita il correttivo di almeno 3 ulteriori Mezzi di soccorso avanzati alla luce della viabilità, del flusso turistico e della popolazione;
   per il distretto di Taormina e dell'Alcantara non è stato destinato alcun mezzo di soccorso avanzato; si necessita il correttivo di almeno 3 ulteriori mezzi di soccorso avanzati alla luce della viabilità, del flusso turistico, della popolazione, dei vincoli oro-geografici;
   per il distretto di Milazzo non è stato destinato alcun mezzo di soccorso avanzato; si necessita il correttivo di almeno 1 ulteriore mezzo di soccorso avanzato; alla luce della viabilità, del flusso turistico, della popolazione, della presenza di una struttura ad elevato rischio chimico (Raffineria di Milazzo);
   per l'isola di Lipari non è stato destinato alcun mezzo di soccorso avanzato; si necessita il correttivo di un ulteriore mezzo di soccorso avanzato, alla luce del flusso turistico, della popolazione, della lontananza dai presidi ospedalieri HUB e dei vincoli orografici e climatologici;
   vi è pertanto un numero totale minimo di 25 mezzi di soccorso avanzati su tutto il territorio provinciale e isolano, ridotto già di due unità rispetto alla distribuzione attuale dei mezzi di soccorso avanzato –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda promuovere per salvaguardare e implementare il 118 di Messina, al fine di tutelare i livelli essenziali di assistenza alla luce delle peculiari esigenze del territorio e nel rispetto dei vincoli stabiliti dal piano di rientro dai deficit sanitari. (4-16346)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI, ALBERTI, PESCO, VILLAROSA, BUSTO, MASSIMILIANO BERNINI e PAOLO BERNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la ex Gruppo Novelli – Nuova Panem, importante operatore presente nel mercato del pane fresco industriale e dei sostitutivi del pane con una consistente rete distributiva formata da circa 5.000 punti vendita, nelle svariate sedi produttive distribuite in Italia conta circa 500 dipendenti;
   in data 22 dicembre 2016 è stata realizzata, dall'amministrazione straordinaria subentrata a causa del fallimento della Nuova Panem da anni in crisi a causa anche del pesante debito accumulato di circa 120 milioni di euro, la cessione dell'intera azienda alla Alimenti Italiani facente capo al Gruppo iGreco. Tale cessione dapprima accolta con entusiasmo da lavoratori e sindacati, non ha però portato ai benefici sperati. Se da una parte la nuova proprietà vorrebbe presentare un piano industriale finalizzato a dare una prospettiva di sviluppo sulla base della forte mole debitoria pregressa con l'intento di ristrutturare i debiti maturati negli anni con fornitori e istituti bancari investendo nei principali business del Gruppo come il rafforzare le produzioni agricole e il settore della panificazione e del pet food, dall'altra ha però specificato che la mole di investimenti necessari non è attualmente quantificabile a causa della condizione di instabilità economico-finanziaria del Gruppo, aggiungendo di non essere nelle condizioni di fornire un piano industriale preciso per un rilancio della Nuova Panem;
   i sindacati che seguono la vicenda, in una nota hanno dichiarato che l'azienda ha annunciato che la realizzazione del piano industriale prevede un consistente taglio del costo del lavoro e chiede ulteriori sacrifici ai lavoratori;
   al Ministero dello sviluppo economico è da tempo attivo un tavolo di confronto sulla crisi aziendale della Alimenti Italiani –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano, nel tavolo nazionale di confronto con la sopraindicata Alimenti Italia e le rappresentanze sindacali, promuovere iniziative volte ad elaborare un piano per un cambiamento della gestione societaria al fine di assicurare una strategia di sviluppo a lungo termine dell'azienda che ponga al centro delle priorità la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali e l'esclusione dei licenziamenti per ognuno dei lavoratori dell'azienda;
   qualora non si riuscisse ad evitare i licenziamenti dei lavoratori della sopraindicata azienda, se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano assumere iniziative per favorire un piano di ricollocamento per ognuno dei dipendenti licenziati. (5-11161)


   DA VILLA, COZZOLINO, SPESSOTTO, VALLASCAS, BUSINAROLO, CRIPPA e DELLA VALLE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la centrale operativa della polizia municipale di Venezia ha reso noto che il 18 aprile 2017 nell'impianto Versalis di Porto Marghera si è verificata l'attivazione delle torce di sicurezza dell'impianto CR1-3 del cracking a causa di un malfunzionamento del compressore ciclo frigo propilene P207 e del compressore etilene P216;
   da notizie di stampa si tratterebbe di «nulla di preoccupante per la salute dei cittadini: “Si è visto lo sfiato perché all'inizio la torcia brucia in maniera disomogenea, prima che arrivi il vapore. Poi il fumo si dirada – dichiara il direttore dell'agenzia ambientale regionale, Loris Tomiato – i nostri tecnici sono sul posto per capire cosa sia accaduto. L'etilene e il propilene provengono dal ciclo di produzione della virgin nafta”»;
   in analoghi episodi occorsi il 7 agosto e l'8 novembre 2016 l'Ulss 12 veneziana consigliava di «tenere le finestre chiuse» in quanto il fumo emesso dalle torce «può essere irritante per gli occhi e per le vie aeree»;
   è dei primi di marzo di quest'anno la notizia che Eni avrebbe intenzione di investire 50 milioni di euro per la manutenzione e l'ammodernamento del citato impianto Versalis di Porto Marghera, da effettuarsi tra settembre e ottobre prossimi –:
   se i Ministri interrogati intendano fornire maggiori informazioni in merito al citato malfunzionamento, all'entità e alla quantificazione delle sostanze combuste e delle relative emissioni, a quelle che gli interroganti ritengono mancate prescrizioni comportamentali alla popolazione nonché al programma di manutenzione e aggiornamento degli impianti Versalis in premessa, previsto per il prossimo autunno. (5-11162)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con comunicato del 7 aprile 2017, l'Associazione italiana dell'Industria di Marca – Centromarca ha evidenziato le gravissime accuse riversate sull'industria alimentare durante il programma Indovina chi viene a cena, andato in onda su Rai 3 in prima serata lunedì 3 aprile 2017;
   in un dettagliato documento, con un'analisi puntuale della puntata e specifiche osservazioni sui singoli passaggi della trattazione, l'Osservatorio di Pavia contesta la tesi conclusiva che «l'industria alimentare nasconde nei prodotti sostanze che come droghe creano dipendenza (...) così pericolose da causare malattie e decessi» e disapprova la «disinformazione verso il consumatore, trattato come oggetto privo di volontà ed autonomia» ed il tentativo di «forme di corruzione del potere politico e di asservimento della scienza» –:
   se i Ministri abbiano intrapreso le opportune iniziative per quantificare il danno economico per il settore produttivo coinvolto derivante da quanto esposto in premessa e come intendano porvi rimedio, ciascuno nell'ambito delle proprie competenze. (4-16342)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Taglialatela n. 4-15371 del 27 gennaio 2017;
   interrogazione a risposta scritta Bergamini n. 4-15465 del 6 febbraio 2017;
   interrogazione a risposta in Commissione Barbanti n. 5-10770 dell'8 marzo 2017;

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-13525 del 21 giugno 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-11157;
   interrogazione a risposta in commissione Culotta n. 5-10504 del 7 febbraio 2017 in interrogazione a risposta scritta n. 4-16337.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Cominardi e altri n. 5-11069 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 775 del 6 aprile 2017. Alla pagina 46368, prima colonna, dalla riga diciasettesima alla riga diciottesima, deve leggersi: «dovrebbero essere vanificate dalle disposizioni contenute nella legge n. 353 del», e non come stampato.
  Alla pagina 46368, seconda colonna, alla riga dodicesima, deve leggersi: «contenute nella legge quadro n. 353 del», e non come stampato.

  Interrogazione a risposta immediata in assemblea Marcon e altri n. 3-02970 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 780 del 18 aprile 2017. Alla pagina 46641, prima colonna, dalla prima riga alla riga terza, deve leggersi: «cassazione, le stime ufficiali del Ministero dell'economia e delle finanze», e non come stampato.