Camera dei deputati

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 18 aprile 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'integrazione degli stranieri e dei loro figli rappresenta, in questa particolare fase storica, un tema assolutamente centrale nell’«agenda», sia economica sia sociale, del nostro Paese e dell'intera Unione europea;
    appare dunque evidente la necessità di incoraggiare forme crescenti di partecipazione attiva degli immigrati e dei loro figli nel tessuto sociale, passando dalla educazione e dallo studio al mercato del lavoro e, più in generale, alla partecipazione sociale attiva: si tratta di condizioni imprescindibili al fine di garantire la coesione sociale del Paese di accoglienza, per riconoscere diritti e favorire la creazione di cittadini autonomi capaci di intraprendere un reale percorso di integrazione e di contribuire alla crescita del nostro Paese;
    l'Italia è un Paese che sta invecchiando: figura, infatti, tra i Paesi demograficamente più «vecchi» del vecchio continente, e cioè di un'Europa che spesso ci appare lenta e non adeguata alle sfide che la modernità e la crisi economica e sociale le presentano con crescente intensità;
    va considerato, inoltre, come, come ad oggi, circa l'8 per cento della nostra ricchezza, del nostro Pil, sia il risultato del lavoro e della contribuzione di cittadini stranieri (gli ultimi dati Istat ci dicono che, solo nel 2015, gli immigrati hanno versato 10,9 miliardi di euro la previdenza pubblica italiana, di cui sono fruitori solo marginali) e che circa un bambino su sei, che nasce in Italia, e va a scuola in Italia, sia figlio di cittadini stranieri: nell'anno scolastico 2015/2016 gli studenti stranieri iscritti sono stati 814.851, il 9,2 per cento del totale degli iscritti, di cui il 54,7 per cento nati in Italia;
    appare, dunque, sempre più urgente poi il riconoscimento della cittadinanza italiana ai bambini nati in Italia da genitori stranieri o giunti nel nostro Paese da piccolissimi;
    sono infatti evidenti i pericoli e le ingiustizie connesse con un mancato riconoscimento di cittadinanza per bambini e adolescenti destinati a vivere in Italia, che vengono trattati da stranieri, minacciandone non solo i diritti e l'integrazione, ma danneggiandone l'educazione e la costruzione di un'identità di cittadini di questa Repubblica. È arrivato il momento che diritti e doveri vadano di pari passo, che l'integrazione di bambini nati e cresciuti qui, che hanno compiuto un ciclo scolastico in Italia, che crescono con i cittadini italiani nelle stesse scuole, abbiano il diritto di essere cittadini a tutti gli effetti e che non debbano essere costretti ad aspettare il compimento della maggiore età solo per poter iniziare un lungo iter burocratico che consenta loro di veder riconosciuto dallo Stato uno status che è già il loro di fatto, e cioè cittadini, e cittadine, italiani;
    la Camera ha approvato nel mese di ottobre 2015 la riforma della legge 5 febbraio 1992, n. 91 in materia di acquisto della cittadinanza italiana per i minori (testo unificato derivante dall'abbinamento di 26 proposte di legge vertenti sullo stesso tema): si è trattato di un deciso passo in avanti per rendere l'Italia un Paese più civile, più giusto, anche più ricco;
    l'approvazione definitiva, che sta tardando da allora, di un provvedimento di questa portata, potrebbe rappresentare qualcosa di più di un'opportuna soluzione tecnica e giuridica tout court, bensì costituirebbe invece una misura di importanza niente affatto secondaria, anzi prioritaria, di pari rango rispetto alle misure di politica economica, di politica estera, insomma parte importante dell'agenda parlamentare per il suo valore costituzionale, di attuazione viva e operante nella legge dei valori costituzionali,

impegna il Governo

1) a promuovere, nell'ambito delle proprie competenze e nelle more dell'approvazione definitiva del testo di legge richiamato in premessa, la cultura della integrazione e della cittadinanza in ogni sua forma, anche favorendo progetti di formazione e integrazione, in linea con le indicazioni delle più importanti agenzie internazionali, come dimostrato anche dalla copiosa produzione di documenti sul tema delle Nazioni Unite, dell'Unesco, dell'Oms, del Consiglio d'Europa e dell'Unione europea.
(1-01599) «Di Lello, Becattini, Capozzolo, Carella, Censore, D'Incecco, Dallai, Di Gioia, Gandolfi, Giacobbe, Gribaudo, Giuseppe Guerini, Marchi, Mattiello, Minnucci, Mongiello, Giuditta Pini, Rocchi, Romanini, Rostellato, Sgambato, Tentori, Tidei, Valeria Valente, Zaccagnini, Zan».


   La Camera,
   premesso che:
    il 25 marzo 2017 si sono celebrati i sessanta anni dalla firma dei Trattati di Roma e dell'inizio di un percorso che sino a tempi recenti ha assicurato non solo pace, ma anche prosperità al continente europeo;
    il testo finale della «Dichiarazione di Roma», lungi dal definire un minimo comune denominatore europeo, al fine di ottenere la sottoscrizione di tutti e 27 gli Stati aderenti e di contenere la sottolineatura che l'Unione europea è «indivisa e indivisibile», non poteva che essere il risultato di compromessi e ambiguità tali che dalla sua interpretazione ognuno si potrà appellare a ciò che più convince, interessa e conviene;
    sul problema dei profughi e migranti si limita a indicare una generica politica «efficace, responsabile, sostenibile, rispettosa delle norme internazionali», senza nemmeno accennare ad una cooperazione europea per l'esercizio di filtri più efficaci, soprattutto sul versante mediterraneo;
    ancora più evanescente appare il paragrafo dedicato all'economia, che non indica alcuna priorità decisiva, se non l'affermazione che si vuole la crescita sostenibile, la coesione, la convergenza, tenuto conto della diversità dei sistemi nazionali, la lotta contro la disoccupazione e la discriminazione e l'esclusione sociale;
    il Consiglio dei capi di Stato e di governo dell'Unione, riuniti a Bruxelles il 9 e 10 marzo 2017 ha riproposto quanto, a Versailles, Germania, Francia, Italia e Spagna, il 7 marzo 2017, avevano annunciato: l'idea di un'Europa a più velocità, che, di fatto già da alcuni decenni è attuata grazie alle varie «cooperazioni rafforzate». Un'idea che difficilmente potrà rilanciare in modo efficace il progetto europeo;
    nessuna riflessione per un rilancio di un processo di «federalismo competitivo», in cui i vari Stati competono virtuosamente tra loro per trovare le soluzioni migliori; nessuna idea per un'Unione più moderna e più giusta o per una riflessione su un modello confederale o federale; nessun accenno allo storico deficit democratico delle istituzioni europee;
    il «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria», più noto come «Fiscal Compact», all'articolo 16, stabilisce che, al più tardi entro cinque anni dalla data dalla sua entrata in vigore (1o gennaio 2013), «sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del trattato sull'Unione europea e del trattato sul funzionamento dell'Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea»;
    tra fine 2017 e inizio 2018, quindi gli Stati membri dovranno decidere che futuro riservare al Fiscal compact e come modificarlo, ricordando che, per l'inserimento nei trattati europei, è richiesta l'unanimità degli Stati membri;
    il Fiscal compact è stato firmato in occasione del Consiglio europeo del 1o-2 marzo 2012 da tutti gli Stati membri dell'Unione europea ad eccezione di Regno Unito e Repubblica ceca (che ha aderito nel 2014);
    il suddetto trattato, concordato al di fuori della cornice giuridica dei trattati europei, all'articolo 3, ha impegnato le Parti contraenti ad applicare e ad introdurre, entro un anno dalla sua entrata in vigore, con norme vincolanti e a carattere permanente, preferibilmente di tipo costituzionale, o di altro tipo purché ne garantiscano l'osservanza nella procedura di bilancio nazionale, diverse regole, in aggiunta a e senza pregiudizio per gli obblighi derivanti dal diritto dell'Unione europea:
     a) il bilancio dello Stato dovrà essere in pareggio o in attivo; tale regola si considera rispettata se il disavanzo strutturale dello Stato è pari all'obiettivo a medio termine specifico per Paese, con un deficit che non eccede lo 0,5 per cento del Pil;
     b) gli Stati contraenti potranno temporaneamente deviare dall'obiettivo a medio termine o dal percorso di aggiustamento solo nel caso di circostanze eccezionali, ovvero eventi inusuali che sfuggono al controllo dello Stato interessato e che abbiano rilevanti ripercussioni sulla situazione finanziaria della pubblica amministrazione, oppure in periodi di grave recessione, a patto che tale disavanzo non infici la sostenibilità di bilancio a medio termine;
     c) qualora il rapporto debito pubblico/Pil risulti significativamente al di sotto della soglia del 60 per cento, e qualora i rischi per la sostenibilità a medio termine delle finanze pubbliche siano bassi, il valore di riferimento del deficit può essere superiore allo 0,5 per cento, ma in ogni caso non può eccedere il limite dell'1 per cento del Pil;
     d) qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60 per cento, le parti contraenti si impegnano a ridurlo mediamente di 1/20 all'anno per la parte eccedente tale misura. Il ritmo di riduzione, tuttavia, dovrà tener conto di alcuni fattori rilevanti, quali la sostenibilità dei sistemi pensionistici e il livello di indebitamento del settore privato;
    il Parlamento italiano, oltre a ridisegnare la propria disciplina contabile ordinaria, con la legge costituzionale 12 aprile 2012, n. 1, ha introdotto nella Costituzione il pareggio di bilancio, modificando gli articoli 81, 97, 117 e 119 della Costituzione;
    già nel gennaio 2014 la Camera dei deputati, approvando tre diversi atti di indirizzo ha evidenziato l'opportunità ed ha impegnato il Governo ad agire in sede europea per un riesame dei meccanismi posti a presidio delle regole della governance economica al fine dell'introduzione di una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine. Con lo scopo di liberare risorse da destinare alle politiche di sviluppo e crescita;
    in vista della scadenza del dicembre 2017, nell'ambito dell'Unione europea, sta operando un gruppo di lavoro sulla revisione del Fiscal compact, che starebbe seguendo l'idea di rendere il Fiscal compact più flessibile, incorporandolo, contestualmente, nel Trattato di Maastricht;
    la necessità di dover «ratificare» il Fiscal compact nei Trattati europei può costituire un'opportunità unica per inserire la norma di buon senso volta a scorporare gli investimenti che creano valore. Inoltre, è un'occasione sia per rivedere i parametri di Maastricht, che non hanno retto alla prova di circa un quarto di secolo di esperienza, sia per ripensare le basi stesse dell'unione monetaria – senza per questo percorrere la via del ritorno alle monete nazionali – a cominciare dall'esistenza di una moneta senza un bilancio comune e una condivisione dei rischi. Una tale riflessione diventa ancora più importante per l'Italia, anche in prospettiva di un probabile prossimo ridimensionamento del Quantitative easing da parte della Bce;
    il Trattato di Maastricht venne firmato nella convinzione che si sarebbe presto giunti a una piena integrazione politico-statuale europea; invece, venne creata una valuta priva di Stato e furono trasferite alle istituzioni comunitarie le politiche monetarie e la garanzia del mercato unico,

impegna il Governo:

1) nell'ambito di una revisione del Fiscal Compact, a promuovere una rinegoziazione complessiva di tutti gli altri trattati dell'Unione europea vigenti, nessuno escluso;
2) ad assumere iniziative per fare dell'Italia la promotrice e la protagonista, con le opportune alleanze, di un processo di rinegoziazione globale nell'Unione europea, nella direzione della flessibilità, del riconoscimento delle diversità territoriali, del rifiuto di soluzioni uniche – specialmente fiscali e di bilancio – imposte indiscriminatamente all'intera Unione;
3) sul piano interno, a perseguire una politica di consistente riduzione di tasse-spesa-debito, visto che non è infatti in discussione il principio astratto del pareggio di bilancio, ma il livello concreto di tassazione e di spesa pubblica al quale questo pareggio viene conseguito.
(1-01600) «Capezzone, Palese, Altieri, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    nel preambolo alla carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, che a partire dal Trattato di Lisbona è stata equiparata come valenza ai trattati istitutivi dell'Unione europea si legge: «l'Unione si fonda sui valori indivisibili e universali di dignità umana, di libertà, di uguaglianza e di solidarietà; l'Unione si basa sui principi di democrazia e dello stato di diritto. [...]. L'Unione contribuisce al mantenimento e allo sviluppo di questi valori comuni, nel rispetto della diversità delle culture e delle tradizioni dei popoli europei, dell'identità nazionale degli Stati membri e dell'ordinamento dei loro pubblici poteri a livello nazionale, regionale e locale; essa cerca di promuovere uno sviluppo equilibrato e sostenibile e assicura la libera circolazione delle persone, dei beni, dei servizi e dei capitali nonché la libertà di stabilimento»;
    gli articoli 99 e 104 del Trattato di Roma istitutivo della Comunità economica europea (così come modificato con il Trattato di Maastricht e dal Trattato di Lisbona) trovano attuazione attraverso il rafforzamento delle politiche di vigilanza sui deficit ed i debiti pubblici, nonché con un particolare tipo di procedura di infrazione;
    la procedura per deficit eccessivo (pde), che ne costituisce il principale strumento, è stata implementata dal Patto di stabilità e crescita (psc). Stipulato nel 1997, il Patto di stabilità e crescita ha rafforzato le disposizioni sulla disciplina fiscale nell'unione economica e monetaria, di cui agli articoli 99 e 104 del suddetto trattato di Roma, ed è entrato in vigore con l'adozione dell'euro, il 1o gennaio 1999;
    in base al Patto di stabilità e crescita, gli Stati membri devono continuare a rispettare nel tempo i parametri di deficit pubblico (3 per cento) e di debito pubblico (60 per cento del prodotto interno lordo);
    da più parti si è sottolineata l'eccessiva rigidità del patto, perché questa, se non applicata considerando l'intero ciclo economico, genera rischi involutivi derivanti dalla contrazione della politica degli investimenti;
    l'Ocse (Organizzazione per la cooperazione e lo sviluppo economico) ha in diversi studi fatto presente come il prodotto interno lordo non sia un indicatore esaustivo per parametrare il benessere di un Paese e dei suoi cittadini, e che bisogna tener conto anche di altri indicatori, come la qualità e il costo delle abitazioni, salari, sicurezza dell'impiego e disoccupazione, l'educazione, la coesione sociale, la qualità dell'ambiente, la salute, la sicurezza e altri;
    la politica economica europea nel suo complesso non è riuscita a risolvere gli enormi squilibri tra i Paesi dell'Unione europea, in particolare i problemi di decadimento sociale e di mancati livelli minimi di benessere dei cittadini, accentuati dalla crisi sopraggiunta a partire dal 2007;
    le misure di austerità adottate in Italia, e non solo, non hanno prodotto gli effetti positivi sperati, anzi hanno acuito effetti ciclici negativi;
    le misure di austerità avevano come scopo di diminuire la spesa pubblica e miravano a equilibrare il bilancio, con l'ovvia conseguenza di ridurre ulteriormente la spesa nazionale senza risultati notevoli in termini di crescita, recupero, nonché in termini di riduzione del rapporto debito/prodotto interno lordo;
    tali politiche di austerità hanno prodotto come risultato una riduzione della domanda aggregata e, direttamente e indirettamente, hanno indebolito il potere d'acquisto dei lavoratori (ad esempio, riducendo la spesa per i servizi pubblici, sanità e istruzione);
    le cattive performance dell'Italia, stando ai dati, sono da ricercarsi nelle cattive politiche legislative e, in particolare, relative alla non tutela dei posti di lavoro;
    oltre a essere dannose, le politiche di austerity sono anche tarate su vincoli oramai anacronistici. Il numero «3» del famoso vincolo del 3 per cento deficit/Prodotto interno lordo deriva da una mera espressione algebrica e serviva a stabilizzare il rapporto debito/Prodotto interno lordo al valore medio (60 per cento) dei primi Paesi che, negli anni ’90, sono entrati nell'Unione monetaria europea, tutto ciò a condizione che il Prodotto interno lordo reale crescesse, in media, attorno al 3 per cento annuo. Tale obiettivo (60 per cento rapporto debito/Prodotto interno lordo) e tale ipotesi (3 per cento crescita annua Prodotto interno lordo) si sono rivelati nei trascorsi 20 anni, secondo i presentatori del presente atto, palesemente irrealistici;
    tale parametro non era nato da considerazioni di tipo politico, e a maggior ragione non lo è dopo 20 anni dal suo primo utilizzo, ma è stato riutilizzato acriticamente e sistematicamente senza nessuna correlazione coi Paesi a cui si riferisce;
    oltre all'anacronismo della misura di austerity, va tenuto presente che da ricerche effettuate sia dal Fondo monetario internazionale, che in ambito accademico, emerge che, in periodo di crisi finanziaria, i moltiplicatori assumono valori molto più alti. Da ciò si desume che è proprio nei momenti di crisi che l'investimento genera i maggiori benefici;
    essendo oramai chiaro che tali vincoli sono troppo penalizzanti per la nostra economia, appare evidente che la miglior strategia da adottare per superare lo stallo in cui è precipitato il nostro Paese e rilanciarne la crescita economica, è quella di superare tali vincoli;
    servirebbero politiche, sia a livello nazionale che europeo, coerenti con un sano sviluppo delle economie europee, tendenti quindi a migliorare il benessere dei cittadini, con policy atte a aumentare gli investimenti, nonché l'occupazione e la stabilità del salario, sia con politiche di sostegno al reddito, che eliminando qualsivoglia politica di precarizzazione del mercato del lavoro,

impegna il Governo:

1) a intervenire nelle sedi europee rifiutando in modo perentorio l'inserimento del Fiscal compact nei Trattati europei, e quindi opponendo il veto dell'Italia;

2) a intervenire nelle sedi europee assumendo iniziative volte a modificare i trattati europei per promuovere il ritorno ad una Unione europea dei popoli, realmente dedita alla creazione e allo sviluppo di un'unione ove si concretizzino i valori fondamentali comuni codificati nelle Costituzioni degli Stati nella parte in cui promuovono la solidarietà tra i popoli;

3) ad assumere iniziative per rimuovere le deleterie disposizioni di austerity inserite con legge costituzionale n. 1 del 2012;

4) a intervenire nelle sedi europee, in attesa di una coerente rivisitazione dei trattati, per promuovere una interpretazione estensiva dei trattati esistenti in modo da contrastare le attuali interpretazioni promotrici di politiche di austerità e passare a interpretazioni foriere di espansione economica;

5) a intervenire, anche nelle sedi europee, per rilanciare il principio di una gestione autonoma del debito da parte degli Stati, basata non più su politiche di austerity, ma di riduzione progressiva del debito, attraverso la crescita economica;

6) a programmare una politica di crescita basata su obiettivi chiari e ben definiti e sulla promozione dell'innovazione nei settori chiave come quello dell'energia pulita;

7) ad assumere iniziative per scorporare dal computo dell'indebitamento netto gli investimenti pubblici relativi a finanziamenti per opere innovative, per la ricerca, per la salute, il benessere dei cittadini, la coesione sociale, l'occupazione e la sicurezza dell'impiego e per gli obiettivi di missione intrapresi dai Paesi per il loro rilancio economico;

8) a intervenire in sede europea per una armonizzazione interna dei montanti di surplus/deficit tra i vari Paesi dell'Unione europea;

9) a non considerare in alcun caso come vincolante l'obiettivo di mantenere al 3 per cento il rapporto deficit/Prodotto interno lordo;

10) a considerare come vincolanti gli indicatori di benessere equo  e sostenibile recentemente individuati nel documento di economia e finanza, rendendoli programmatici;

11) a promuovere misure adeguate di sostegno al reddito e di inclusione sociale, di entità non inferiore a quelle già adottate dagli altri Paesi europei, considerando anche le proposte di legge depositate in Parlamento su tali temi.
(1-01601) «Caso, Cariello, Brugnerotto, Castelli, D'Incà, Sorial, Cecconi».


   La Camera,
   premesso che:
    nel suo programma legislativo per il 2017, la Commissione europea, illustrando le misure cui dar corso per assicurare «un'Unione economica e monetaria più profonda e più equa», sottolinea come il Libro bianco sul futuro dell'Europa, che dovrà indicare le tappe per riformare l'Unione europea a 27 Stati membri sessant'anni dopo i Trattati di Roma, comprenderà un ampio capitolo sul futuro dell'Unione economica monetaria, nel quale saranno incluse una revisione del patto di stabilità e crescita incentrata sulla stabilità e misure per conformarsi all'articolo 16 del Fiscal Compact ossia per integrarne il contenuto nel quadro giuridico dell'Unione europea;
    firmato in occasione del Consiglio europeo dell'1 e 2 marzo 2012 da tutti gli Stati membri dell'Unione europea a eccezione del Regno Unito e della Repubblica ceca, il Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'Unione economica e monetaria (cosiddetto Fiscal Compact) incorpora e integra in una cornice unitaria alcune delle regole di finanza pubblica e delle procedure per il coordinamento delle politiche economiche, in buona parte già introdotte o in via di introduzione nel quadro della governance economica europea. Tra gli elementi principali ivi contenuti meritano di essere richiamati:
     a) l'impegno delle parti contraenti ad applicare e introdurre, entro un anno dall'entrata in vigore del trattato, con norme costituzionali o di rango equivalente, la «regola aurea» in base alla quale il bilancio dello Stato deve essere in pareggio o in attivo. Sotto tale profilo si evidenzia che in Italia, il 17 aprile 2012, è stata approvata la legge costituzionale n. 1 del 2012, volta a introdurre in Costituzione il principio del pareggio di bilancio, nel rispetto dei vincoli derivanti dall'ordinamento dell'Unione europea. Con successiva legge «rinforzata» n. 243 del 2012, approvata a maggioranza assoluta dei membri di ciascuna Camera ai sensi del nuovo comma 6 dell'articolo 81 della Costituzione, sono state dettate le norme fondamentali e i criteri volti ad assicurare l'equilibrio tra le entrate e le spese dei bilanci e la sostenibilità del debito del complesso delle pubbliche amministrazioni;
     b) l'impegno delle parti contraenti, qualora il rapporto debito pubblico/Pil superi la misura del 60 per cento, a ridurlo mediamente di 1/20 l'anno per la parte eccedente tale misura;
     c) la possibilità, per qualsiasi parte contraente che consideri un'altra parte contraente inadempiente rispetto agli obblighi stabiliti dal patto di bilancio, di adire la Corte di giustizia dell'Unione europea, anche in assenza di un rapporto di valutazione della Commissione europea;
     d) la potestà, per le parti contraenti, di fare ricorso a cooperazioni rafforzate nei settori essenziali per il buon funzionamento dell'eurozona, senza tuttavia recare pregiudizio al mercato interno;
     e) l'istituzione di «vertici euro» informali dei Capi di Stato e di governo delle parti contraenti la cui moneta è l'euro, insieme con il Presidente della Commissione europea;
    come noto, il Fiscal Compact è entrato in vigore il 1o gennaio 2013, dopo essere stato ratificato – come previsto dall'articolo 14 del medesimo trattato – da dodici Paesi dell'Eurozona (Austria, Cipro, Germania, Estonia, Spagna, Francia, Grecia, Italia, Irlanda, Finlandia, Portogallo, Slovenia), oltre che da quattro Paesi non aderenti alla zona euro (Lettonia, Lituania, Romania e Danimarca). Il nostro Paese ha ratificato il Fiscal Compact con la legge n. 114 del 23 luglio 2012. Ultimo Paese a ratificare è stato il Belgio, in data 21 marzo 2014;
    per quanto concerne il livello cui i singoli Stati membri hanno dato seguito agli impegni assunti, firmando e ratificando il Fiscal Compact, uno studio del Servizio Studi e Ricerche del Parlamento europeo (ERPS), pubblicato nel mese di giugno del 2016 (Fiscal Compact Treaty: Scorecard for 2015), evidenziava, a tre anni dall'entrata in vigore, un quadro contrastato;
    gli sforzi per rispettare i termini del Fiscal Compact – incluse le norme volte a rafforzare la disciplina di bilancio – hanno registrato forti variazioni tra uno Stato membro e l'altro. Alcuni Paesi sono riusciti a ridurre significativamente il deficit pubblico, mantenendo una posizione di bilancio solida, in linea con i requisiti del Fiscal Compact. Altri Paesi sono riusciti a tagliare il debito pubblico con la cadenza prevista dal trattato, ma altri ancora hanno realizzato progressi decisamente più limitati. Ciò ha indotto numerosi studiosi ed economisti ad affermare che il Fiscal Compact è stato «inefficace», facendo riferimento, per esempio, ai bilanci di Francia e Italia nel 2015, che risultavano entrambi palesemente disallineati rispetto al Fiscal Compact, oltre a violare gli impegni precedentemente assunti in materia di riduzione deficit. Lo studio del Parlamento europeo si sofferma sulle posizioni espresse dal Fmi e dalla Bce, che hanno entrambi sottolineato come il rispetto del quadro fiscale dell'Unione europea «sia rimasto debole», nonostante gli sforzi per rafforzare l'efficacia delle politiche economiche e il loro coordinamento. Parallelamente, la Corte dei conti europea, in un suo rapporto, ha evidenziato la crescente complessità del quadro di governance dell'economia, che rischia inevitabilmente di comprometterne l'efficacia;
    ormai si discute da anni, sia a livello parlamentare sia extraparlamentare, della necessità di porre con forza il tema della revisione del Fiscal Compact relativamente ai parametri e ai vincoli legati alla riduzione del debito, del rapporto deficit-Pil e della distinzione netta, nell'ambito del patto di stabilità, delle risorse di parte corrente da quelle in conto capitale per gli investimenti;
    già nel gennaio 2014 l'Assemblea della Camera dei deputati approvava tre mozioni, firmate sia da parlamentari di maggioranza che di opposizione e sulle quali il Governo aveva espresso parere favorevole, con cui si evidenziava l'opportunità, e si impegnava in tal senso l'Esecutivo, di agire in sede europea per un riesame degli attuali meccanismi posti a presidio delle regole della governance economica al fine dell'introduzione di una maggiore flessibilità degli obiettivi di bilancio a medio termine al fine di liberare risorse da destinare alle politiche di sviluppo economico e alla crescita;
    ciononostante, al netto degli sforzi profusi dal Governo in sede europea, sino ad oggi, purtroppo, è stato perpetuato un approccio estremamente miope e rigido nella gestione della politica di bilancio e dell'integrazione europea perché si è continuato a governare secondo principi di austerità impraticabili che hanno solo aggravato crisi e recessioni, con l'interdizione di ogni forma di eurobond garantiti pro quota dagli Stati nazionali ed una contraddizione evidente fra politica fiscale restrittiva e politica ultraespansiva della Bce che avrebbe dovuto compensarne gli effetti con la sola leva monetaria;
    a ciò si aggiungono i risultati modestissimi del cosiddetto «Piano Junker», l'arretramento degli investimenti pubblici e del loro potenziale traino agli investimenti privati, gli altissimi livelli di disoccupazione soprattutto giovanile e, infine, il dilagare di una gravissima sofferenza sociale e povertà diffusa;
    in tale contesto, appare quanto mai urgente che il Governo assuma una posizione forte, puntando innanzitutto all'eliminazione di quei paletti rigidi che oggi bloccano la crescita e gli investimenti pubblici in infrastrutture e trasporti, ricerca, innovazione, formazione, politiche per il lavoro e green economy;
    come si ricorderà anche l'ex Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi, nel corso di un comizio svoltosi in data 29 ottobre 2016 in Piazza del Popolo a Roma, aveva dichiarato: «Noi diciamo che siccome nel 2017 casualmente a Roma si riuniranno i capi di governo e in UE arriva a scadenza il tema del Fiscal Compact, noi non accetteremo di inserirlo nei trattati UE» e il riferimento al citato articolo 16 del Fiscal Compact appariva chiaro in quanto esso prevede che «al più tardi entro 5 anni (ovverosia entro l'anno 2017), dalla data di entrata in vigore del presente trattato (1o gennaio 2013), sulla base di una valutazione dell'esperienza maturata in sede di attuazione, sono adottate in conformità del Trattato sull'Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea le misure necessarie per incorporare il contenuto del presente trattato nell'ordinamento giuridico dell'Unione europea»;
    del resto, appare a tutti chiara la necessità di avviare un confronto critico teso ad una revisione profonda del Fiscal Compact e delle regole europee del bilancio. Il criterio con cui affrontare questo lavoro è noto e dovrebbe essere quello, come più volte auspicato, dell'eliminazione dai vincoli di bilancio di tutte le spese pubbliche definite, con estrema cura e precisione, di investimento, secondo regole e monitoraggi costruiti in modo rigoroso a livello comunitario e applicati da organismi comunitari del tutto indipendenti dai governi e dagli apparati nazionali. Per questa quota di investimenti nazionali riconosciuti come spese di investimento dovrebbe, inoltre, risultare agevole costruire forme di copertura comunitaria a debito e/o forme di garanzia diretta e indiretta del bilancio comunitario, a cui occorrerebbe garantire uno zoccolo fiscale europeo più significativo;
    una strada per trovare una soluzione c’è ed è possibile ed il Governo ha l'opportunità e la possibilità di chiedere e ottenere una modifica del Fiscal Compact che vada nella direzione di una golden rule relativa a spese di investimento, anche nazionali, concordate con e controllate dalla Commissione europea al fine di evitare abusi e usi impropri;
    solo in questo modo l'Italia e l'Europa potranno tornare a crescere e ristabilire un clima di consenso presso le loro popolazioni;
    l'avvento di Trump e ancor prima la Brexit, il ritorno di politiche protezionistiche e di scenari geopolitici che si sperava definitivamente chiusi negli archivi del passato, non lasciano dubbi circa l'assoluta necessità di una svolta europea in questo senso. I lavoratori, i loro diritti, le tutele, il welfare subirebbero effetti devastanti da un improvviso ritorno alle monete nazionali, alle barriere doganali e valutarie, alle svalutazioni competitive, all'inflazione galoppante e un debito pubblico sempre più alto;
    per il nostro Paese la situazione appare molto delicata per diversi fattori che sono sotto gli occhi di tutti. Negli ultimi mesi, lo spread è cresciuto di circa 80 punti base; la crescita rimane stentata, e la performance dell'Italia continua ad occupare l'ultimo posto tra i principali Paesi europei; la Commissione europea ha chiesto una manovra correttiva di 3,4 miliardi di euro; a fine anno, o forse anche prima, verrà meno il Quantitative Easing della Bce, e quindi i tassi di interesse saliranno con effetti preoccupanti sui nostri conti; con la manovra del prossimo anno dovremo, inoltre, compensare le clausole di salvaguardia di poco meno di 20 miliardi di euro;
    occorre dunque una nuova strategia da declinare a livello europeo che oltre a mettere in sicurezza dei conti, punti a indirizzare tutte le risorse disponibili ad un massiccio programma di spese per investimenti (almeno mezzo punto di Pil l'anno per tre anni), spese che negli ultimi 10 anni sono state ridotte di oltre 10 miliardi di euro,

impegna il Governo:

1) ad adoperarsi, costruendo le opportune alleanze, affinché il Fiscal Compact sia modificato nella direzione di una golden rule sugli investimenti anche nazionali da esercitare almeno entro il limite del 3 per cento oppure, in caso contrario, a contrastare l'inserimento del Fiscal Compact nei Trattati europei;
2) a intraprendere ogni iniziativa di competenza presso le sedi europee volta a modificare le regole sulla misurazione del pareggio strutturale, attraverso un metodo di calcolo condiviso fra la Commissione europea, il Fmi e l'Ocse, e, in particolare, a riconsiderare quelli che per i presentatori del presente atto sono parametri astrusi e particolarmente penalizzanti per l'Italia, quali l’Output Gap e il NAWRU, in base ai quali per il nostro Paese è considerato di «equilibrio», rispetto a possibili tensioni inflazionistiche, un livello di disoccupazione oltre il 10 per cento ancora per i prossimi anni, con la conseguenza di comprimere la possibilità di adottare politiche espansive e anti-cicliche, adoperandosi affinché siano rivisti i criteri in base ai quali la Commissione calcola i disavanzi strutturali: in particolare, proponendo di rivedere il sistema di calcolo insieme a Fmi e Ocse in modo da avere valutazioni condivise a livello internazionale;
3) ad adottare iniziative presso le competenti sedi europee affinché la Germania ridimensioni il proprio surplus commerciale entro il limite indicato dai Trattati in vigore.
(1-01602) «Melilla, Albini, Capodicasa, Laforgia, D'Attorre, Scotto, Speranza, Zoggia, Bersani, Ragosta, Epifani, Roberta Agostini, Franco Bordo, Bossa, Cimbro, Duranti, Fava, Ferrara, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Leva, Martelli, Matarrelli, Mognato, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ricciatti, Rostan, Sannicandro, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    l'Agenda europea sulla migrazione, presentata il 13 maggio 2015 dalla Commissione europea, per fronteggiare e migliorare la gestione dei migranti, prefigura l'istituzione di un nuovo metodo basato sui punti di crisi (gli hotspot) collocati nei luoghi dello sbarco;
    gli hotspot costituiscono il fulcro della nuova strategia europea sui flussi migratori e sono strutture in cui le forze dell'ordine nazionali, coadiuvate da funzionari delle agenzie europee Frontex, Europei, Eurojust e Easo, sottopongono il migrante alle operazioni di rilevamento foto dattiloscopico e segnaletico e, al contempo, forniscono informazioni sulla procedura di protezione internazionale, sul programma di ricollocazione in altri Stati membri dell'Unione europea e sulla possibilità di ricorso al rimpatrio volontario assistito;
    l'accordo sulla creazione dei punti di crisi è stato raggiunto in occasione del Consiglio europeo del 25 e 26 giugno 2015 e, a settembre 2015, il Governo italiano ha presentato una roadmap, individuando 6 distinte sedi di hotspot: Lampedusa, Pozzallo, Porto Empedocle, Trapani, Augusta e Taranto (quattro quelle attive alla data odierna, ossia Lampedusa con 500 posti di capienza, Taranto, Trapani e Pozzallo, con 400 posti);
    in base alla circolare n. 14106 del 6 ottobre 2015 del Ministero dell'interno si è puntualizzato che gli sbarchi dei migranti avvengano in uno dei siti hotspot individuati, affinché possano essere garantite nell'arco di 24/48 ore le operazioni di screening sanitario, pre-identificazione (con accertamento di eventuali vulnerabilità), registrazione e fotosegnalamento e i rilievi dattiloloscopici degli stranieri;
    sempre secondo quanto specificato nella roadmap del settembre 2015, redatta dal Ministero dell'interno in attuazione dell'Agenda, dopo l'identificazione negli hotspot, le persone richiedenti la protezione internazionale vengono trasferite nei vari regional hub presenti sul territorio nazionale; le persone, invece, rientranti nella procedura di ricollocazione devono essere trasferite nei regional hub dedicati; le persone in posizione irregolare, e che non richiedono protezione internazionale devono, infine, essere trasferite nei Centri di identificazione ed espulsione;
    a giugno 2016, il Ministero dell'interno ha, inoltre, emanato le «Procedure operative standard» (SOP – Standard Operating Procedures) applicabili agli hotspot in cui vengono spiegate le modalità operative per le attività da svolgere all'interno dei centri;
    le impronte digitali sono l'unico strumento che le forze dell'ordine hanno per effettuare controlli incrociati sull'identità degli stranieri, perché, a fronte delle notorie carenze dei sistemi anagrafici di molti Paesi di origine degli stranieri, le impronte digitali costituiscono l'unico dato univoco ed individualizzante che, una volta inserito nella banca dati nazionale (casellario centrale di identità) e in quella europea (Eurodac), permette di fissare il dato storico del passaggio di un soggetto in un determinato luogo;
    nello specifico, il regolamento Eurodac distingue i migranti presenti sul territorio europeo in tre categorie: richiedenti asilo (categoria 1), persone fermate in relazione all'attraversamento irregolare di una frontiera esterna dell'Unione europea (categoria 2) e persone fermate perché illegalmente soggiornanti sul territorio di un paese dell'UE (categoria 3);
    Eurodac, istituita nel 2003, è una banca dati dell'Unione europea per le impronte digitali dei richiedenti asilo per agevolare l'applicazione del regolamento di Dublino, che determina lo Stato membro competente per l'esame di una domanda di asilo presentata nell'Unione europea;
    gli hotspot hanno quindi due finalità strettamente connesse: procedere all'immediata identificazione di tutti i migranti che giungono via mare nell'area di Schengen e definirne la posizione giuridica. In passato, invece, si procedeva ai trasferimenti in maniera indifferenziata – addirittura si procedeva ai trasferimenti anche di soggetti non fotosegnalati – rimandando a un momento successivo, nelle sedi di destinazione, il fotosegnalamento e l'ulteriore perfezionamento di un'eventuale manifestazione di volontà di richiedere la protezione internazionale;
    gli hotspot altro non sono, quindi, che centri, per forza di cose chiusi, finalizzati esclusivamente all'identificazione dei migranti. Dopodiché, una volta presentata la domanda di asilo, si passa immediatamente alle altre fasi dell'accoglienza e, quindi, senza alcuna ulteriore possibilità di trattenimento coatto;
    l'Italia è il Paese europeo che assorbe il maggior numero di migranti che giungono via mare; infatti, nel 2013, erano stati circa 43.000, nel 2016, sono stati oltre 181.000 e, nel 2017, si stimano circa 250.000 arrivi. L'utilizzo della via del mare aumenta di pari passo con la chiusura delle frontiere degli altri Stati europei a seguito dell'adozione di un regime di visti e ingressi particolarmente restrittivo verso i Paesi di quelle zone;
    il rischio di questa impressionante ondata migratoria è quello che il nostro Paese si trasformi in un'area della disperazione con ovvie conseguenze: delinquenza e assistenzialismo cronico, senza tuttavia dimenticare quello che costituisce un pericolo di questo esodo e cioè il terrorismo;
    nella Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza 2015, presentata in Parlamento a marzo 2016, si legge che «La massa di persone in movimento verso lo spazio comunitario, oltre a costituire un'emergenza di carattere umanitario, sanitario e di ordine pubblico, può presentare insidie sul piano della sicurezza»;
    l'Europol, che supporta gli Stati membri nella prevenzione di tutte le forme gravi di criminalità e di terrorismo internazionali, riconosce il ruolo fondamentale di tali centri;
    negli hotspot particolare attenzione viene, oltretutto, assicurata anche all'identificazione di possibili vittime di tratta di esseri umani, inclusi i minori;
    il Ministro dell'interno ha annunciato la realizzazione di ulteriori cinque strutture post sbarco destinate al controllo dei migranti soccorsi, individuando le sedi a: Crotone, Reggio Calabria, Palermo, Messina e Corigliano Calabro,

impegna il Governo:

1) a valutare l'opportunità di assumere iniziative per fornire un quadro normativo di riferimento per le strutture di hotspot, tenendo conto delle esigenze logistico-operative e in coerenza con gli specifici indirizzi normativi europei;

2) al fine di fronteggiare potenziali situazioni particolarmente critiche ed emergenziali del fenomeno migratorio, a valutare l'opportunità di implementare il numero degli hotspot da dislocare sul territorio nazionale;

3) in coerenza con quanto previsto dalle «Procedure operative standard» (SOP – Standard Operating Procedures), a valutare l'opportunità di assumere iniziative normative per prevedere che l’hotspot possa essere non solo «fisso», inteso come luogo fisico stabile, ma anche «mobile», cioè costituito da team specializzato che, lavorando in mobilità, garantisca il funzionamento dell’hotspot approach anche nei casi di sbarchi avvenuti in porti distanti dagli specifici centri già operativi.
(1-01603) «Palese, Altieri, Capezzone, Chiarelli, Ciracì, Corsaro, Distaso, Fucci, Latronico, Marti».


   La Camera,
   premesso che:
    all'origine, il fiscal compact avrebbe dovuto essere un atto europeo – si pensava a un regolamento – per «compattare» (copyright Mario Draghi) in un testo unico tutte le normative che erano state adottate nel periodo della grande crisi dell'eurozona (Six Pack, Two Pack);
    per il Regno Unito un regolamento avrebbe avuto un'influenza eccessiva anche per i Paesi non euro, limitando, per esempio, la libertà di circolazione dei servizi finanziari, e si oppose;
    per superare questa impasse si usò la formula dell'accordo internazionale, la stessa utilizzata in precedenza anche per Schengen, e fu inserito l'articolo 16, per cui a 5 anni data dalla firma (quindi nel 2017) si sarebbe valutata la possibilità di recepire l'accordo internazionale nell'ambito dei Trattati europei (come è effettivamente accaduto, in altra sede e con altri tempi, per Schengen);
    l'appuntamento dei 5 anni non è una scadenza, non è un rinnovo, non è neanche un tagliando/controllo. Al massimo, quello che un Paese può fare è, come per ogni accordo internazionale, ritirare la firma e uscire dal fiscal compact. Resta comunque, come Stato dell'Unione europea vincolato a tutte le regole del Six Pack e del Two Pack, che rimangono in vigore;
    l'unico vincolo di cui ci si libererebbe sarebbe l'equilibrio di bilancio, se non fosse che lo si è inserito nella Costituzione. Quindi si sarebbe tenuti a rispettarlo comunque, salvo nuove modifiche costituzionali;
    l'uscita da fiscal compact preclude la possibilità di ricorso, qualora ve ne fosse bisogno, alle risorse del fondo Salva-Stati;
    piuttosto, è necessario cancellare l’«imbroglio» del dopo Maastricht, e tornare al suo spirito originario con la sospensione delle norme che ne hanno modificato l'impianto iniziale;
    tornare a Maastricht significa recuperare la lezione di Guido Carli. Fu su proposta dell'allora Ministro del tesoro, infatti, che nel testo fu inserita una clausola che, con riferimento ai parametri fissati, consentiva agli Stati «di tenere conto della tendenza ad avvicinarsi al valore di riferimento e di eventuali cause eccezionali o temporanee di scostamento da quei parametri»;
    il patto di stabilità del 1997 (e le modifiche successive) ha cambiato, tra l'altro con modalità di dubbia legittimità, proprio questo punto fondamentale del Trattato, inviso ovviamente ai tedeschi, in quanto contrario alla loro dottrina calvinista e alla loro ossessione nei confronti dell'inflazione;
    così facendo, è stato dato un segnale alla speculazione e ai mercati, che si sono scatenati a scommettere sulla prevedibilità del non rispetto di quei «paletti», considerati troppo rigidi e per questo irrealizzabili. Le conseguenze sono sotto gli occhi di tutti, soprattutto negli ultimi anni;
    è ora di tornare all'Europa vera, solidale, illuminata, lungimirante, della crescita, vincendo così anche i populismi e gli estremisti. «Sì» alla genialità di Maastricht, ma basta agli egemonismi e ai «ricatti» tedeschi;
    solo così l'Italia e l'Europa tornerebbero più forti, in grado di affrontare le sfide e le difficoltà più grandi. Abbiamo le idee e gli strumenti per ridisegnare il futuro. O ne saremo travolti;
    il trattato di Maastricht fu firmato il 7 febbraio 1992, ma il passaggio clou di tutte le negoziazioni fu l'Ecofin (riunione dei ministri economici e finanziari) del 21 settembre 1991;
    grazie alla clausola citata, inserita su proposta italiana, gli Stati che non rispettavano i «paletti» di Maastricht non erano costretti a realizzarli attraverso un piano di rientro a tappe forzate che avrebbe richiesto misure di politica economica restrittive, bensì adottando politiche virtuose che comportassero miglioramenti progressivi. Vale a dire senza stress eccessivo, e controproducente, bensì impegnandosi a sforzi graduali e compatibili con lo stato dell'economia e del tessuto sociale e produttivo del Paese, senza costringerlo a imprese impossibili;
    viene, cioè, fissato l'obiettivo, ma il suo conseguimento è affidato alle politiche che ciascun Governo adotta autonomamente, tenendo conto delle specificità e delle concrete condizioni della propria economia. Per cui il grado di conseguimento dell'obiettivo varia da Paese a Paese e di anno in anno. «I criteri di convergenza economica rispetto a debito, deficit, inflazione e tassi di interesse da inserire nel Trattato non devono essere applicati in maniera meccanica e occorre lasciare la possibilità di sviluppare un'attenta valutazione politica», annunciò in conferenza stampa, soddisfatto, Guido Carli;
    i parametri, dunque, furono fissati, ma con una dose di flessibilità. Il deficit, per esempio, doveva essere minore o uguale al 3 per cento del prodotto interno lordo, certo, ma andava comunque tutto bene anche se i singoli Stati dimostravano che il rapporto diminuiva in modo sostanziale e continuo nel tempo, raggiungendo livelli sempre più vicini al valore di riferimento. Allo stesso modo, il debito non doveva superare il 60 per cento del prodotto interno lordo, a meno che il Paese non dimostrasse di essere in grado di ridurre quel rapporto in misura sufficiente, avvicinandosi al valore di riferimento con un ritmo adeguato;
    pochi anni dopo, nel 1997, il trattato di Maastricht è stato modificato proprio in questo punto fondamentale. Ma non attraverso un nuovo Trattato, che avrebbe comportato la ratifica dei parlamenti nazionali o un referendum popolare, come era già avvenuto per Maastricht; bensì attraverso dei regolamenti, che non necessitano di alcun via libera popolare, diretto o indiretto per via parlamentare;
    con il patto di stabilità, quindi, dei regolamenti sono stati elevati al rango di Trattati, allorquando essi possono solo disciplinare l'applicazione delle disposizioni previste dai trattati, senza mai entrare, però, in contraddizione con questi ultimi;
    i regolamenti in questione, che costituiscono il patto di stabilità, sono il n. 1466/97 e il n. 1467/97, del 17 giugno 1997, entrati in vigore a marzo 1998. Con un colpo di mano, introducono quel principio di rigidità che Guido Carli era riuscito a evitare. Pertanto il rispetto dei vincoli di bilancio diventa forzato e indipendente dai governi e dalle politiche che essi intendono implementare, nonché incurante delle fasi di congiuntura economica sfavorevole;
    inoltre, vengono inseriti meccanismi di sorveglianza e sanzionatori che, oltre a far venire meno la filosofa portante del trattato di Maastricht, tolgono di fatto agli Stati membri la piena autonomia nelle scelte di politica economica. Si realizza così, con strumenti giuridicamente inadeguati (si ripete: due regolamenti e non un trattato), il primo vero «scippo» di sovranità degli Stati nazionali da parte dell'Europa. Anzi, per essere precisi, di Germania e Francia. Il tutto senza alcun dibattito politico-parlamentare. D'altronde, i regolamenti non lo richiedevano. Tattica perfetta dell'asse franco-tedesco;
    il patto di stabilità resta in vigore fino al 6 dicembre 2011, e pochi giorni dopo, il 13 dicembre 2011, ne entra in vigore uno nuovo e rinforzato. Le misure in esso contenute, denominate six pack, sono scritte in 5 regolamenti e una direttiva approvate dal Parlamento europeo a novembre 2011. Stessi principi dei due precedenti regolamenti, stessi meccanismi di sorveglianza e sanzionatori;
    anche in questo caso (Consiglio europeo del 17 giugno 2010), qualcuno fece inserire una clausola di flessibilità, sulla linea di quanto fatto in passato da Guido Carli: l'allora Presidente del Consiglio italiano, Silvio Berlusconi, che insistette a lungo affinché nel percorso di avvicinamento agli obiettivi di bilancio si tenesse conto dei cosiddetti «fattori rilevanti», vale a dire delle specificità delle economie dei singoli Paesi, e del ciclo economico;
    in particolare, la proposta di Berlusconi era incentrata sulla previsione di «attribuire importanza maggiore ai livelli, all'andamento e alla sostenibilità globale dell'indebitamento degli Stati» e che, pertanto, nel calcolo del rapporto debito/prodotto interno lordo si comprendesse, al nominatore, oltre al debito pubblico, anche quello di famiglie e imprese;
    prendendo in considerazione l'indebitamento aggregato, infatti, l'Italia è seconda solo alla Germania. E rivedendo in tal senso i parametri del six pack, sarebbe chiamata a uno sforzo di riduzione del debito pubblico ridotto almeno alla metà rispetto alle manovre del 3 per cento annuo del prodotto interno lordo per 20 anni previste dalle regole attuali e che oggi strozzano il nostro Paese;
    è nato così il fiscal compact, approvato dai capi di Stato e di governo a Bruxelles il 2 marzo 2012, e ratificato in Italia il 19 luglio 2012. Nonostante esso rechi «Trattato sulla stabilità, il coordinamento e la governance nell'unione economica e monetaria», neanche il fiscal compact ha il rango di trattato in grado di modificare Maastricht, in quanto non è stato adottato all'unanimità, visto che è mancato il voto dell'Inghilterra. Per questo oggi, a cinque anni di distanza, ci si trova a valutare, come previsto dall'articolo 16 dello stesso, la possibilità di recepire l'accordo internazionale nell'ambito dei Trattati europei,

impegna il Governo

1) ad intervenire in tutte le sedi europee, assumendo ogni opportuna iniziativa volta al ritorno all'impianto originale del trattato di Maastricht e alla sospensione di tutte le modifiche intervenute successivamente, in primis il fiscal compact, attraverso strumenti legislativi inadeguati e, per alcuni versi, di dubbia legittimità, che hanno squilibrato il sistema europeo.
(1-01604) «Brunetta».

Risoluzione in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 375, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, ha previsto l'applicazione delle tariffe elettriche agevolate (cosiddetto «Bonus elettrico») ai soli clienti economicamente svantaggiati, prevedendo, in particolare, una revisione della fascia di protezione sociale tale da ricomprendere le famiglie economicamente disagiate e attribuendo all'allora Ministero delle attività produttive, d'intesa con i Ministri dell'economia e delle finanze e del lavoro e delle politiche sociali, il compito di definire i criteri per l'applicazione;
    in attuazione della direttiva europea 2003/54/CE, che già prevedeva l'adozione da parte degli Stati membri di misure a tutela e a favore di clienti vulnerabili, il bonus è stato esteso non solo ai clienti domestici in condizioni di disagio economico, ma anche a quelli in gravi condizioni di salute che necessitano dell'utilizzo di apparecchiature medico-terapeutiche necessarie per la loro esistenza in vita e alimentate ad energia elettrica;
    lo stesso bonus previsto per la componente elettrica è riconosciuto agli stessi soggetti per le utenze di gas e settore idrico;
    con il decreto ministeriale del 28 dicembre 2007 n. 29998 sono stati definiti i criteri di accesso e di erogazione dei bonus. In particolare, quanto al parametro di accesso al beneficio e all'individuazione della fascia di clienti finali in disagio economico, il Ministero ha ritenuto opportuno utilizzare l'indicatore di situazione economica equivalente, Isee, di cui al decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 109, quale strumento ampiamente utilizzato sul territorio nazionale per l'accesso a prestazioni sociali e assistenziali. Per gli utenti domestici con grave disagio fisico, invece, il riconoscimento è stato subordinato alla presenza, nel luogo di erogazione della prestazione elettrica, di un soggetto affetto da grave malattia, costretto ad utilizzare apparecchiature elettromedicali necessarie per il mantenimento in vita;
    quanto alle modalità di accesso ai bonus è stato previsto, sia per i soggetti con disagio economico, che per quelli con grave malattia fisica, che il riconoscimento avvenga «su richiesta» dell'utente il quale dovrà presentare un'apposita domanda presso il comune di residenza o presso un altro ente designato dal comune (CAF, ad esempio), utilizzando gli appositi moduli e depositando la necessaria documentazione a dimostrazione della sussistenza delle condizioni previste per il riconoscimento del beneficio (l'attestazione Isee per i casi di disagio economico ovvero, nei casi di persone affette da grave malattia, il certificato Asl che attesti la situazione di grave condizione di salute e la necessità di utilizzare le apparecchiature elettromedicali per supporto vitale);
    il recente decreto ministeriale del Ministero dello sviluppo economico del 29 dicembre 2016 ha ampliato la platea dei possibili beneficiari del bonus, elevando la soglia Isee da 7.500 euro (prevista dal precedente decreto ministeriale del 2007) ad euro 8.107,5; ma ha, altresì, confermato le modalità di accesso al bonus che continuerà ad essere erogato su richiesta dell'utente, seppure agevolato nella presentazione, con l'introduzione della possibilità di inoltrare la richiesta in via telematica;
    i criteri e le modalità di accesso stabilite a livello ministeriale, fanno sì che, allo stato attuale, i bonus siano attribuiti soltanto da una minoranza degli aventi diritto. I dati offerti dalle associazioni dei consumatori rappresentano una situazione sconcertante: secondo uno studio di 15 associazioni dei consumatori, realizzato nell'ambito del progetto «Bonus a sapersi», sarebbero circa due milioni le famiglie che potrebbero beneficiare degli sconti e che non lo hanno richiesto; su base annua, nel 2016, solo il 34 per cento degli aventi diritto al bonus elettrico lo ha di fatto richiesto (il 27 per cento per gli aventi diritto al bonus gas). Di questi, oltre un terzo non avrebbe rinnovato la domanda;
    le ragioni della mancata erogazione del bonus, pur sussistendone i presupposti, vanno ricercati, secondo i dati emersi dallo studio, nella complessità dell’iter di accesso al beneficio;
    in un tale contesto, sarebbe dunque auspicabile un intervento di riforma volto alla semplificazione dei criteri di accesso e delle modalità di erogazione, al fine di garantire l'attribuzione dei bonus alla totalità degli aventi diritto;
    in tal senso, andrebbe rivista la procedura di riconoscimento del bonus, preferendo, all'attuale sistema «a richiesta» dell'utente, l'erogazione automatica del bonus direttamente da parte del fornitore del servizio, proprio in considerazione delle condizioni di disagio e di sofferenza, come peraltro già previsto (a decorrere dal 2010) per i possessori della Social Card (per i quali l'erogazione del bonus avviene automaticamente in bolletta senza alcuna richiesta dell'utente);
    tale finalità potrebbe essere concretamente attuata anche attraverso la revisione dei parametri di accesso al beneficio, con particolare riferimento alle condizioni di disagio economico, che potrebbero individuarsi su base reddituale (e non più in funzione dell'indicatore della situazione economica equivalente), agevolando in tal modo anche lo scambio delle informazioni necessarie all'erogazione dei bonus tra le autorità competenti (contrariamente a quanto accadrebbe per i dati necessari alla compilazione dell'Isee,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere che l'erogazione dei bonus energetici per gli utenti domestici in stato di disagio economico o con grave malattia avvenga in modo automatico senza la necessità della preventiva richiesta dell'utente interessato, al fine di garantire le medesime condizioni di accesso al beneficio da parte della platea degli aventi diritto;
   in attuazione del precedente impegno, a valutare l'opportunità di rivedere le condizioni di accesso al bonus, sostituendo l'indicatore Isee con un indicatore su base reddituale, tenendo conto delle condizioni socio-economiche e dell'ampiezza e composizione del nucleo familiare degli attuali beneficiari dei bonus e valutando la possibilità, compatibilmente con i saldi di finanza pubblica, di ampliare la platea dei beneficiari.
(7-01244) «Crippa, Sibilia, Vallascas, Alberti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   sono sempre più frequenti le denunce di sbarco in Italia di navi provenienti da Ucraina, Russia, Romania e Canada cariche di grano;
   l'ultima denuncia è del giornalista Gianni Lannes che afferma che «31 anni dopo il disastro nucleare di Chernobyl, il belpaese seguita ad importare sempre più frumento contaminato e manipolato. I controlli dell'Istituto superiore di sanità sono addirittura inesistenti, relativamente alla contaminazione radioattiva del grano trasformato in pasta e pane e così via»;
   al giornalista è stata commissionata ufficialmente un'inchiesta dall'associazione Granosalus;
   nei porti della penisola, isole comprese, il fenomeno della navi cariche di grano sospetto continua incessante;
   le navi utilizzate per questo commercio di pessima mercanzia, sono spesso portarinfuse e carrette del mare che trasportano anche rifiuti pericolosi e battono nel 100 per cento dei casi bandiera ombra, ossia fuorilegge;
   il quadro che emerge dai rilievi proposti nell'inchiesta richiamata è di una gravità assoluta;
   questi i porti e le navi sospette giunte in Italia:
    al porto di Ravenna, secondo i rilievi satellitari e i riferimenti acquisiti dall'inchiesta, risultano giunte le seguenti navi:
     Nave EASTERN HOPE portarinfuse sotto bandiera delle Isole Marshall. La EASTERN HOPE ha una portata di 28.399 tonnellate. Era partita da Illichivs'k in Ucraina il 26 marzo 2017;
     Nave BARLAS general cargo sotto bandiera di Panama. La BARLAS ha una portata di 1.606 tonnellate. Il 29 marzo è partita da Illichivs'k in Ucraina;
   Nave JILDA general cargo costruita nel 2006 sotto bandiera di Panama. La JILDA ha una portata di 3.375 tonnellate. Il 17 marzo è partita dal porto di Braila in Romania;
   Nave PRIWALL costruita nel 1992 sotto bandiera di Antigua & Barbuda. La PRIWALL ha una portata di 3735 tonnellate. Il 27 marzo è partita da Kherson in Ucraina;
   Nave KURUOGLU 3 costruita nel 1990 – Turchia. La KURUOGLU 3 ha una portata di 6.734 tonnellate. Il 29 marzo è partita da Yuzhnyy in Ucraina;
   Nave CATHARINA 1 costruita nel 1984 – Malta. La CATHARINA 1 ha una portata di 3.250 tonnellate. Il 15 marzo è partita dal porto di Kherson in Ucraina;
   Nave AMALIYA è una bulk carrier costruita nel 2004 bandiera di Malta. La AMALIYA ha una portata di 28.436 tonnellate. Il 28 marzo è partita dal porto di Illichivs'k in Ucraina;
    al porto di Manfredonia è arrivata la seguente nave:
     Nave ASTRO general cargo costruita nel 1989 bandiera delle Isole Cook. Portata di 4.599 tonnellate. Il 26 marzo è partita da Navodari in Romania;
    al porto di Barletta, le seguenti navi:
     Nave TANAIS general cargo sotto bandiera della Russia. La TANAIS ha una portata di 7.078 tonnellate. Il 26 marzo è partita da Yeysk in Russia. A fine gennaio 2017 aveva scaricato grano a Pozzallo in Sicilia, mentre il 16 marzo era a Taganrog in Russia;
    al porto di Bari:
     Nave TRANSOCEAN portarinfuse costruita nel 1982 sotto bandiera di St. Vincent & Grenadines. La TRANSOCEAN ha una portata di 21.304 tonnellate. È giunta dalla Romania;
     Nave HACI HILMI II è una general cargo costruita nel 1992 sotto bandiera della Turchia. La HACI HILMI II ha una portata di 6.443 tonnellate. Il 22 marzo è partita da Nikolaev in Ucraina;
    al porto di Taranto:
     Nave MARIKANA portarinfuse costruita nei 1992 sotto bandiera del Belize. La MARIKANA ha una portata di 22.201 tonnellate. Il 30 marzo è partita da Novorossiysk in Russia;
     Nave CAPE ARMERIA portarinfuse – Panama. La CAPE ARMERIA ha una portata di 181.393 tonnellate. È partita dal porto di Sept-Iles in Canada;
    al porto di Catania:
     Nave KERIM general cargo – Panama. La KERIM ha una portata di 5.400 tonnellate. Il 28 marzo è partita da Kherson in Ucraina;
    al porto di Oristano:
     Nave KALELI ANA general cargo costruita nel 1976 – Comoros. La KALELI ANA ha una portata di 6.302 tonnellate. Il 26 marzo è partita da Mariupol in Ucraina;
     Nave SULTAN BEY general cargo costruita nel 2008 – Malta. La SULTAN BEY ha una portata di 6.036 tonnellate. Il 24 marzo è partita da Nikolaev in Ucraina;
    al porto di Trieste:
     Nave YASAR KEMAL portarinfuse costruita nel 2001 – Panama. La YASAR KEMAL ha una portata di 52.827 tonnellate. Il 21 marzo è partita da Novorossiysk in Russia;
     Nave KAREWOOD BRAVE general cargo del 2006 – Bahamas. La KAREWOOD BRAVE ha una portata di 6.315 tonnellate. Il 24 marzo è partita da Yeysk in Russia;
    al porto di Genova:
     Nave METIN DADAYLI general cargo del 2007 – Turchia. La METIN DADAYLI ha una portata di 5.229 tonnellate. Il 28 marzo è partita da Novorossiysk in Russia –:
   se il Governo sia a conoscenza di questo traffico da aree contaminate;
   se e quali controlli siano stati effettuati su queste navi;
   se non si ritenga di dover imporre severi controlli;
   se non si ritenga di dover assumere iniziative per prevedere etichette in grado di indicare, con precisione, la provenienza e l'origine del grano e delle sementi che giungono in Italia.
(2-01762) «Pili».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno ha adottato nei giorni scorsi un piano di chiusura e soppressione del presidio di sicurezza nel baricentro ferroviario della Sardegna, nel comune di Macomer;
   in questi giorni, nonostante il grande servizio reso dalle strutture della polizia di Stato nel centro intermodale di Macomer appena inaugurato si sta nuovamente perseguendo la chiusura di questa importante struttura di presidio territoriale;
   in particolare, il Ministero dell'interno ha disposto con decreto del capo della polizia n. 559 del 31 marzo 2017 la soppressione del posto di polizia ferroviaria di Macomer da sempre crocevia dello snodo ferroviario della Sardegna;
   questi uffici sono stati lasciati senza personale di fatto sancendone l'inutilità, o meglio, l'inoperosità e pertanto comportandone, a giudizio dell'interrogante, arbitrariamente e ingiustificatamente la chiusura;
   appare grave e inaccettabile un piano di dismissione dei presidi delle forze dell'ordine dove è indispensabile garantire la sicurezza delle comunità locali;
   il coordinamento locale del Movimento Unidos Macomer ha reiteratamente denunciato tale situazione e il pericolo per la popolazione studentesca e viaggiante in genere in conseguenza di tale soppressione;
   il presidio fondamentale del quale si deve scongiurare e revocare la chiusura è appunto quello della polizia ferroviaria di Macomer, unico presidio di questa categoria presente in provincia di Nuoro;
   quel che appare più grave è che nelle scorse settimane è stato inaugurato il nuovissimo centro intermodale della Sardegna centrale con l'obiettivo di garantire la gestione organica dei trasporti tra gli assi principali di scorrimento ferroviario dell'isola;
   il già grave e compromesso livello di efficienza della rete ferroviaria dell'isola viene ulteriormente colpito sul piano della sicurezza gravata sempre di più da fenomeni di recrudescenza che finiscono per rendere pericolosa e insicura la fruibilità di queste reti di trasporto;
   sono ormai frequenti atti vandalici e mancanza di tutela dei passeggeri che oggi vedono il venir meno di un presidio importante come quello di Macomer;
   si tratta di un ulteriore grave e inaccettabile atto di abbandono e dismissione di servizi dello Stato verso le zone interne della Sardegna;
   tali politiche restrittive hanno spogliato di mezzi e uomini e hanno portato il 20 gennaio 2017 a rimodulare le turnazioni di vari presidi per garantire un'adeguata presenza sul territorio con i già menzionati sacrifici da parte degli operatori –:
   se non si ritenga di dover immediatamente revocare il decreto richiamato e qualsiasi piano di dismissione e attivare un confronto con le autorità locali per valutare l'importanza di questi presidi di sicurezza;
   se non si ritenga di dover coinvolgere le organizzazioni sindacali per valutare le possibili ottimizzazioni funzionali dei presidi, al fine di garantire efficienza e sicurezza;
   se non si ritenga di dover tener conto delle condizioni insulari della Sardegna e delle particolari condizioni delle zone interne della regione;
   se non si ritenga di dover tener conto, ai fini della revoca del decreto, dell'apertura recentissima del nuovo centro intermodale a disposizione della centrale stazione ferroviaria di Macomer.
(5-11148)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   uno scarno comunicato dell'Aeronautica militare informava di un incidente occorso nella giornata di giovedì 13 aprile 2017 nelle campagne di Orroli, nel centro della Sardegna;
   il comunicato riportava la seguente evasiva formula comunicazionale: «In relazione alla notizia relativa all'incidente che ha coinvolto un elicottero del 15o Stormo dell'Aeronautica Militare, durante la fase di rientro alla Base di Decimomannu al termine di una missione operativa, si puntualizza che il velivolo, seguendo un percorso di volo pianificato, per cause in corso di accertamento, impattava, tranciandolo, un cavo elettrico non segnalato della bassa tensione. Peraltro, i danni materiali riportati dall'elicottero sono stati di entità tale da non pregiudicarne il volo, né la sicurezza del personale a bordo. Appena l'elicottero è rientrato a Decimomannu, il Comando della Base ha prontamente provveduto ad informare le Autorità competenti, così come previsto dalla normativa e dalle procedure in vigore. Allo stesso tempo, l'Aeronautica Militare ha nominato una Commissione d'Investigazione per fare piena luce sulla dinamica dell'accaduto» –:
   per quale motivo un elicottero dell'Aeronautica in esercitazione a Quirra sorvolasse a bassa quota la zona di Orroli sino a tranciare un cavo elettrico di bassa tensione;
   se e per quale motivo fosse stato autorizzato e da chi un piano di volo che attraversasse quell'area e se nel piano di volo fosse previsto un sorvolo a tale bassissima quota;
   se e per quale motivo il velivolo stesse volando a tale quota senza disporre della necessaria visibilità tale da non accorgersi di un cavo di bassa tensione della distribuzione elettrica;
   se le autorità aeronautiche intendano avanzare una denuncia nei confronti della società elettrica per mancata segnalazione del cavo aereo considerato il rischio corso;
   se intendano fornire chiarimenti esaustivi, senza alcuna omissione sulle ragioni di un sorvolo a così bassa quota per altro non compreso in alcuna dichiarata esercitazione militare;
   se l'Aeronautica abbia ricevuto richiesta di danni da parte della società elettrica;
   se l'impatto sia avvenuto passando sopra o sotto il cavo elettrico a bassa tensione;
   se non intendano far conoscere gli esiti della commissione d'investigazione nominata dall'Aeronautica militare;
   se non si ritenga disporre di un'immediata inchiesta amministrativa da parte delle autorità civili preposte e se quel volo radente fosse stato comunicato ed eventualmente autorizzato;
   se si trattasse di un'esercitazione autorizzata dal Comipa (Comitato paritetico misto per le servitù militari) e a conoscenza della regione autonoma della Sardegna. (5-11151)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il settore televisivo locale è sostenuto da contributi e provvidenze pubbliche erogate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri — dipartimento editoria – e dal Ministero dello sviluppo economico — dipartimento comunicazioni;
   la legge n. 208 del 2015 prevede che le attuali norme di contribuzione (legge n. 448 del 1998 e successive modificazioni) vengano abrogate con effetto a decorrere dalla data in cui entrerà in vigore il «nuovo regolamento» ad oggi non ancora approvato;
   risultano ancora oggi non erogati sia i contributi relativi all'anno 2015, che il bando per la presentazione delle domande per il riconoscimento dei contributi relativi all'anno 2016;
   tale situazione sta diventando insostenibile per le imprese televisive locali il cui settore sta affrontando un momento di grande difficoltà conseguente alla crisi del mercato pubblicitario, ai cambiamenti tecnologici e alla concorrenza delle nuove piattaforme –:
   se, per quando di competenza, si intendano porre in essere iniziative volte alla risoluzione delle problematiche sopra richiamate. (4-16305)


   FORMISANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la lentezza della giustizia civile è, notoriamente, una della cause primarie che allontanano gli investitori internazionali dal mercato italiano e rendono più difficile la ripresa dell'economia italiana rispetto agli altri Paesi industrializzati;
   l'eccessiva durata dei procedimenti giudiziari è una palese violazione non solo dell'articolo 111 della Carta costituzionale, ma anche dell'articolo 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali;
   l'anomala lunghezza dei tempi della giustizia, gli intralci burocratici ingiustificati e i costi sempre più elevati, inoltre, allontanano i cittadini dalle istituzioni e alimentano la sfiducia nello Stato;
   uno degli strumenti più importanti per rendere la giustizia più efficiente è il processo civile telematico su cui lo Stato, da anni, ha investito risorse ingenti al fine di semplificare le procedure, di abbreviare i tempi e di ridurre i costi dei procedimenti giudiziari;
   uno dei punti fondamentali del processo civile telematico sono le notifiche telematiche, regolamentate dal decreto-legge n. 179 del 2012 che, tra l'altro, ha stabilito l'obbligo, per tutte le pubbliche amministrazioni, compresi tutti gli enti pubblici non economici nazionali, regionali e locali, di comunicare al Ministero della giustizia entro il 30 novembre 2014, il proprio indirizzo di posta elettronica certificata, al quale ricevere le comunicazioni e notificazioni;
   a quanto consta all'interrogante l'Istituto nazionale di previdenza sociale, a distanza di oltre due anni dalla scadenza del termine fissato dal decreto-legge n. 179 del 2012, non ha ancora provveduto, senza alcuna motivazione, a comunicare al Ministero della giustizia il proprio indirizzo di posta elettronica certificata;
   in tal modo, l'Inps costringe tutti coloro che avviano un ricorso contro l'Istituto a procedure più complesse, più costose e più defatiganti, vanificando gli sforzi della riforma che era finalizzata proprio a rendere più semplice e più veloce l'accesso alla giustizia;
   al di là del mancato adeguamento alla legge l'Inps, in tal modo, viene meno alla sua funzione istituzionale e alle caratteristiche valoriali, fra cui legalità e trasparenza, alle quali si richiama nel suo bilancio sociale;
   molti degli assistiti dell'Inps sono persone che hanno pensioni di sopravvivenza, che non possono permettersi spese legali molto onerose e che si rivolgono al tribunale come ultima ratio quando vedono che non hanno alcuna speranza di vedere riconosciuti i loro diritti in via amministrativa;
   inoltre, l'Inps ha un contenzioso di oltre un milione di vertenze che ne fa, di gran lunga, il soggetto più presente nelle aule giudiziarie e che, ovviamente, è appesantito ulteriormente dall'inadempienza del processo telematico, con un ulteriore aggravamento delle responsabilità della dirigenza dell'Istituto –:
   se il Governo e, in particolare, i Ministri ai quali spetta la vigilanza sull'INPS, siano a conoscenza della mancata osservanza da parte dell'Inps della scadenza indicata dal decreto-legge n. 179 del 2012 e quali iniziative intendano porre in essere affinché l'Istituto sia messo in condizioni di comunicare il prima possibile il suo indirizzo di posta elettronica certificata al Ministero della giustizia; 
   se non ritengano opportuno, per quanto di competenza, accertare le eventuali responsabilità della mancanza di cui sopra che secondo l'interrogante ha creato un danno, oltre che ai cittadini, anche all'immagine dello Stato. (4-16311)


   SANDRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'abolizione dei buoni lavoro (voucher), disposta dal decreto-legge 17 marzo 2017, n. 25 (che prevede, all'articolo 1, l'abrogazione degli articoli da 48 a 50 del decreto legislativo n. 81 del 2015, ovvero la soppressione della disciplina delle prestazioni di lavoro accessorio), senza la ricerca di valide ed immediate alternative, costituisce un pericoloso passaggio per l'economia del nostro Paese e per il benessere dei cittadini, con effetti particolarmente penalizzanti per determinate categorie;
   le ragioni addotte a sostegno del provvedimento sono state individuate nella necessità di eliminare l'abuso del lavoro accessorio e la sua applicazione indiscriminata;
   lo stralcio integrale della disciplina, però, si rileverà secondo l'interrogante un boomerang soprattutto per quelle categorie di lavoratori che utilizzavano i voucher in maniera genuina per rispondere ad effettive esigenze di lavoro occasionale, saltuario e limitato nel tempo;
   i voucher, infatti, in virtù della loro estrema flessibilità, costituivano uno strumento di sostegno per le categorie più deboli (pensionati, disoccupati, giovani) e soprattutto famiglie e la loro abolizione si rivelerà, alla fine, un costo aggiuntivo;
   il vuoto normativo penalizza, in maniera pesante, proprio quelle famiglie che hanno registrato un ampio utilizzo dei buoni lavoro nell'ultimo anno, in quanto meno attrezzate per provvedere agli adempimenti previsti per la formalizzazione di un rapporto di lavoro;
   verrà a mancare completamente uno strumento normativo per dare regolarità ai tanti rapporti che si avviano in ambito familiare; infatti, i soggetti maggiormente utilizzati in ambito familiare si troveranno ora a fare i conti con una assoluta mancanza di regolamentazione;
   con l'abolizione integrale si è superato anche quanto era stato proposto il 14 marzo 2017, in occasione della presentazione in commissione lavoro alla Camera dei deputati del testo unificato elaborato dal comitato ristretto e adottato come testo base dalla commissione (atto n. 584) relativo a «Modifiche al decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, in materia di disciplina del lavoro accessorio»; nella proposta emendativa a tale decreto si prevedevano alcune possibilità di estensione di utilizzo dei voucher (anche per agevolare famiglie con assistenza ai disabili o per le stesse persone con disabilità);
   escludere anche le famiglie che assistono i disabili dall'utilizzo dei buoni lavoro costituisce un provvedimento oltremisura penalizzante ed era cosa saggia secondo l'interrogante la proposta di mantenere invariata la possibilità di ricorrervi, almeno per questo tipo di categorie così bisognose di sostegno, ma l'intervento « tranchant» del Governo ha posto fine ad ogni discussione;
   in base a quanto recentemente reso noto al Governo, resosi conto della pericolosità di un'assenza di regolamentazione che potrebbe sfociare nella riesplosione del lavoro nero o di pratiche altrettanto illegittime, sarebbe allo studio un nuovo tipo di contratto a chiamata, semplificato, rispetto a quello attualmente esistente, non troppo dissimile da alcune peculiarità dei vecchi buoni lavoro –:
   se sia vero che il Governo intende rivedere la disciplina sul lavoro accessorio, in particolar modo colmando il vuoto normativo rimasto a seguito dell'abolizione integrale della precedente regolamentazione in materia e se non si intendano assumere iniziative normative specifiche per le famiglie, con particolare riferimento all'assistenza e al sostegno alle famiglie con disabili. (4-16319)


   NUTI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO e MANNINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto emerge da alcuni articoli di stampa, il comune di Palermo verserebbe in una situazione di grave mancanza di liquidità tale da aver portato la giunta guidata dal sindaco Leoluca Orlando ad autorizzare il ricorso all'anticipazione di tesoreria ben due volte dall'inizio dell'anno: una prima volta autorizzando il ricorso sino a 182 milioni di euro, con deliberazione di giunta municipale n. 3 del 13 gennaio 2017, e una seconda volta sino a 303 milioni di euro, con deliberazione di giunta municipale n. 66 del 4 aprile 2017;
   l'anticipazione di tesoreria è uno strumento che comporta ingenti costi, costituiti dagli interessi che devono essere pagati agli istituti bancari che provvedono a fornire la liquidità: a copertura del primo ricorso all'anticipazione di tesoreria, la giunta ha approvato la spesa di 400 mila euro di interessi con deliberazione di giunta municipale n. 16 del 1o febbraio 2017, mentre ancora non è stata approvata la copertura dell'eventuale ulteriore spesa per l'ampliamento dell'anticipazione di cassa approvato nell'aprile 2017;
   il sindaco ha dichiarato che tale provvedimento è dovuto «al protrarsi dei ritardi nei trasferimenti di competenza dello Stato e della Regione» e che «per quanto riguarda lo Stato, nel 2017 non sono stati versati ancora i fondi relativi al Coime e il Comune ha quindi già anticipato oltre 13 milioni»;
   nella conferenza stampa del 12 aprile 2017, ha poi dichiarato che lo Stato in passato trasferiva al comune 267 milioni di euro all'anno, circa 23 milioni di euro al mese, per un importo complessivo tra gennaio ed aprile di 92 milioni di euro, mentre i trasferimenti per l'anno 2017 ammontano a 31 milioni di euro;
   secondo i dati forniti dal sito web della direzione centrale della finanza locale del Ministero dell'interno, emerge che, nel 2016, sono stati trasferiti 192 milioni di euro nel 2016, 156 milioni nel 2015, 189 milioni nel 2014, 204 milioni nel 2013 e 252 milioni nel 2012; risulta che i trasferimenti dal 1o gennaio al 12 aprile 2016 ammontavano a meno di 29 milioni di euro; ad esempio, nel 2015, i trasferimenti sono iniziati solo a partire da maggio;
   si tratta di dati totalmente discordanti da quelli annunciati dal sindaco;
   attualmente, il comune di Palermo pare non soddisfi già 4 dei 10 parametri obiettivi che gli enti locali devono rispettare in tema di finanza locale: nel caso al termine dell'anno non riesca a restituire le anticipazioni di tesoreria per un limite superiore al 5 per cento, non raggiungendo quindi il quinto parametro su 10, verrà dichiarato in deficit strumentale, con gravi ripercussioni sulla tenuta finanziaria dell'ente –:
   se corrisponda al vero che lo Stato sta ritardando ad effettuare trasferimenti finanziari al comune di Palermo e a quanto ammonterebbero i trasferimenti statali per l'anno in corso e negli ultimi 5 anni;
   se corrisponda al vero che lo Stato debba trasferire risorse al comune di Palermo relative alla società municipalizzata locale Coime e per quale ammontare;
   quali siano i parametri obiettivi che il comune di Palermo attualmente già non starebbe soddisfacendo;
   quali siano le risultanze delle ispezioni promosse dal 2015 ad oggi da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica presso la Ragioneria generale dello Stato e dell'Ispettorato per la funzione pubblica presso il dipartimento per la funzione pubblica, al fine di verificare la regolarità della situazione amministrativo-contabile presso l'ente comune di Palermo e se, alla luce di quanto esposto in premessa, non si intendano promuovere ulteriori approfondimenti. (4-16325)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, per sapere – premesso che:
   il giorno 9 aprile 2017, domenica delle palme, particolare solennità religiosa per tutte le comunità cristiane nel mondo, due attentati suicidi in Egitto, nelle chiese copte gremite di fedeli di Tanta ed Alessandria, provocavano 47 morti e più di cento feriti, nel primo caso addirittura in diretta televisiva;
   immediata è stata la rivendicazione dell'attentato da parte della cellula egiziana di Daesh operante ormai da alcuni anni nella penisola del Sinai che ha già preso di mira unità militari e di polizia e l'industria turistica, attribuendosi, tra l'altro la strage del volo Metrojet 9268 con la morte delle 224 persone a bordo;
   non è la prima volta che la comunità copta è fatta oggetto di attentati da parte dei terroristi islamici. Il 12 dicembre 2016, nella cattedrale di Abassia al Cairo, durante una preghiera comune con i mussulmani, ci furono 25 morti;
   questi attentati contro i cristiani d'Egitto, i più gravi dall'apparizione di Daesh, giungono a tre settimane dall'arrivo di Papa Francesco in Egitto il quale ha peraltro confermato il viaggio previsto per il 28 e 29 aprile prossimi;
   non ci si può accontentare di attribuire la causa di queste stragi solo all'intolleranza religiosa e alla volontà di pulizia etnica; questi elementi che pure esistono e sono gravi non possono nascondere il carattere di atto politico rivolto a minare l'integrità e l'unità del Paese e, con esso, a destabilizzare il Medioriente e più in generale la comunità internazionale, azione che peraltro procede da anni, con modalità sconosciute nel passato, esemplari a tale proposito i tanti focolai di guerre civili che si accendono in Africa centrale, nella penisola arabica e in Medioriente;
   l'uso della violenza contro la comunità cristiana mira a rompere un equilibrio religioso antichissimo che ha permesso, nei secoli, l'integrazione, lo sviluppo di cultura e dialogo e che rappresenta una delle maggiori ricchezze dell'Egitto e dell'area mediorientale;
   accanto all'impegno delle religioni rivolto ad intensificare il dialogo e la conoscenza reciproca, accanto ai passi dedicati ad accelerare il cammino ecumenico e il dialogo interreligioso che non mancano ma vanno intensificati e portati al livello di base, è necessaria un'azione politica;
   il 23 settembre del 2015 la Camera dei deputati ha approvato una mozione che impegna il Governo «a rafforzare (...) l'applicazione della libertà di religione e della protezione delle minoranze religiose nei Paesi a rischio, nel rispetto della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo» nonché a «destinare parte dei fondi per la cooperazione allo sviluppo per il sostegno di progetti di tutela delle minoranze religiose e per la promozione di una cultura di tolleranza religiosa»;
   la situazione determinatasi in Egitto chiama il nostro Paese in primis, ma anche tutti gli altri partner europei e le istituzioni comunitarie, nonché quelle internazionali a un di più di presenza e responsabilità per assicurare alla popolazione egiziana un presente e un futuro di pacifica convivenza e in assoluta sicurezza;
   occorre affrontare la situazione egiziana nel quadro di una politica mediterranea, perché è in tutta questa area, dal Nord Africa alla Turchia, che i radicalismi cercano di cancellare secoli di convivenza e dialogo fra le fedi. L'interesse dell'Italia e dell'Europa è la pacificazione e lo sviluppo e occorre capire che l'impegno per la libertà religiosa è il terreno su cui poggiano le possibilità di stabilizzazione di tutta quest'area di cui siamo parte;
   il tragico e barbaro rapimento di Giulio Regeni, con la sua scomparsa avvenuta in circostanze ancora da chiarire, dal momento che non sono stati trovati i responsabili, dà al nostro Paese titoli ulteriori per guidare iniziative volte ad assicurare un contrasto efficace della minaccia terroristica in un paese chiave come l'Egitto per gli equilibri mediterranei –:
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere, in via bilaterale e attraverso e le istituzioni comunitarie, per rivestire quel profilo e quelle responsabilità descritti nelle premesse, ovvero per rendere più incisivo il ruolo dell'Italia in Egitto, con particolare riferimento ai temi dei diritti umani e della libertà religiosa.
(2-01759) «Preziosi, Arlotti, Bargero, Basso, Bazoli, Bergonzi, Berlinghieri, Borghi, Carrescia, Casati, Colaninno, Cova, Covello, D'Incecco, Donati, Fioroni, Fragomeli, Galperti, Giulietti, Grassi, Gribaudo, Tino Iannuzzi, Iori, Lodolini, Nicoletti, Palma, Patriarca, Piccione, Prina, Quartapelle Procopio, Paolo Rossi, Rubinato, Francesco Sanna, Sbrollini, Scuvera, Senaldi, Taricco, Tartaglione, Zanin, Zardini, Monaco, Miotto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SGAMBATO, GIOVANNA SANNA, LACQUANITI, GIORGIS, MALISANI, SCHIRÒ, INCERTI, AMATO, MARCHI, VENTRICELLI, ZAMPA, COMINELLI, MASSA, MICCOLI, BOCCUZZI, CARRA, CARROZZA, FIORIO, BARGERO, SCUVERA, DE MARIA, BENI, TERROSI, D'OTTAVIO, FABBRI, CARELLA, MISIANI, MARANTELLI, MATTIELLO, MONTRONI, CAROCCI, LATTUCA, CENNI, MICHELE BORDO, CUOMO, BARUFFI, TULLO, MARCO MELONI, LUCIANO AGOSTINI, BERRETTA, ROSSOMANDO, MAZZOLI, DELL'ARINGA, SIMONI, GIACOBBE, ALBANELLA, META, CASELLATO, LAURICELLA e GIUSEPPE GUERINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprendono, con il passare delle ore, notizie provenienti dalla Russia e riguardanti la creazione in Cecenia di campi di concentramento per omosessuali dove vengono rinchiuse persone attirate attraverso l'utilizzo di social network e poi imprigionate dalle autorità locali;
   gli omosessuali verrebbero sottoposti ad atroci torture dalle stesse autorità, tanto che alcuni di loro avrebbero perso la vita in conseguenza di tali violenze fisiche;
   l'Italia non può assistere inerme ed in silenzio ad una simile vergogna, tanto più inaccettabile se si considera che i destinatari di tale efferatezza sarebbero gli omosessuali solo perché colpevoli di avere orientamenti sessuali diversi;
   a tal proposito, va ricordato che la Repubblica autonoma cecena rientra nella Federazione russa e, sulla scia di quanto legiferato nel 2014 dalla Duma, ha introdotto le deprecabili e famigerate norme che vietano la «propaganda omosessuale tra i minori»;
   le atroci violenze perpetrate ai danni degli omosessuali in Cecenia, che sembrerebbero confermate, pongono in seria discussione il rispetto dello stato di diritto nella Federazione russa a guida Putin, oltre che le convenzioni internazionali sui diritti civili e politici dell'uomo e la Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo –:
   quali iniziative di competenza intenda mettere in campo il Ministro interrogato, per fare luce sull'accaduto e per frenare la diffusione di tali pratiche di violenza disumana, anche e soprattutto attraverso la richiesta sia al Governo russo di indagare sui fatti denunciati e sia alla Comunità internazionale di inviare osservatori internazionali in Cecenia. (5-11143)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   sempre più spesso si verificano in varie zone d'Italia situazioni anomale connesse all'alternarsi di eventi meteorologici estremi di grande intensità e violenza con periodi di forte siccità. Tali eventi sono legati ai mutamenti climatici in corso e sollecitano politiche più efficaci e credibili sia sul fronte della mitigazione dei processi in atto che sul fronte dell'adattamento agli stessi; come si evince dall'allarme lanciato da Coldiretti e da alcuni articoli apparsi sui quotidiani nazionali, come quello su La Stampa del 9 aprile 2017, in Italia, specie nel Settentrione, è attualmente segnalata una gravissima siccità, con temperature massime superiori di 2,5 gradi la media e il calo del 53 per cento stagionali delle precipitazioni che, a marzo, hanno fatto scendere insolitamente il fiume Po in magra allo stesso livello di inizio estate del 2016. In Veneto non piove dal 5 gennaio 2017;
   il più grande fiume italiano al Ponte della Becca, dove le anomalie sono particolarmente evidenti, registra un livello idrometrico di appena –1,91 metri, quasi un metro in meno rispetto allo stesso periodo dello scorso anno. Le precipitazioni in Italia sono risultate sotto la media lungo tutto l'inverno con un picco negativo a dicembre in cui è caduta addirittura il 67 per cento di acqua in meno sulla Penisola;
   anche il fiume Adige è in secca: dovrebbe avere una portata media di almeno 80 metri cubi d'acqua al secondo, ma questa è scesa fino a 37 e il mare Adriatico alla foce risale e il cuneo salino in senso inverso per cinque chilometri spinge con l'alta marea ed entra nella terra portando anche le seppie in mezzo alle campagne. E con l'acqua del mare, questa natura al contrario semina il sale che brucia le coltivazioni;
   gli effetti dei cambiamenti climatici producono pesanti conseguenze sull'agricoltura italiana perché si moltiplicano sfasamenti stagionali ed eventi estremi con precipitazioni brevi, ma intense e con repentino passaggio dal maltempo al sereno. I cambiamenti climatici impongono una nuova sfida per le imprese agricole e per l'insieme delle attività umane che devono interpretare le novità segnalate dalla meteorologia e gli effetti sui cicli delle colture, sulla gestione delle acque e sulla sicurezza del territorio. È questo quanto anche emerge da una analisi dei dati Ucea, unità di ricerca per la climatologia e la meteorologia applicate all'agricoltura;
   le recenti deboli piogge non sembrano poi ribaltare la situazione di criticità idrica –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda mettere in campo il Ministro interrogato per far fronte, assieme alle regioni più coinvolte e agli altri dicasteri interessati, alla grave siccità dei primi mesi del corrente anno al fine di garantire equilibrio di prelievo e consumo d'acqua dolce, anche in riferimento al livello idrico dei bacini idrografici dei laghi alpini e subalpini, tutelando così anche il loro valore ambientale e turistico relativamente alle utenze domestiche, agricole e industriali; se non si intendano mettere in campo iniziative per la tutela della produzione agroalimentare nazionale. (5-11150)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Campania la qualità dell'aria è monitorata dall'Arpac;
   i dati sulla qualità dell'aria all'interno della città di Napoli e della provincia sono allarmanti, non solo per quanto concerne gli sforamenti ma anche per la scarsa documentazione degli inquinanti presenti nell'aria;
   come risulta dalle interrogazioni del consigliere della regione Campania Marì Muscarà (prot. 52 del 7 marzo 2017, prot. 80 del 14 giugno 2016 nonché prot. 119 dell'8 novembre 2016) numerosi sono i punti critici nel monitoraggio della qualità dell'aria;
   tra i vari problemi risulta che le rilevazioni non forniscono indicazioni sulla composizione chimica e granulometrica del particolato PM 10 e PM 2,5, impedendo una chiara identificazione dell'origine del problema e dunque l'attuazione di interventi limitati e correttivi;
   a differenza di altre Arpa regionali, in Campania non risultano monitorati i livelli di inquinanti quali metalli pesanti, Ipa e in particolare benzo(a)pirene, pericolosi per la salute umana;
   il sito internet dell'Arpac non riporta tutte le informazioni necessarie a garantire la tempestività dell'informazione alle amministrazioni ed al pubblico, nonché l'attuazione di interventi in tempi brevi;
   alla data dell'8 settembre 2016 non risultavano indicati i livelli degli inquinanti nelle «aree limitrofe agli impianti di trattamento dei rifiuti» cosiddetta area STIR dal giorno 11 agosto 2016;
   sono riportati nei bollettini giornalieri dati «n.v.» (non validabili) per PM 10, PM 2,5, benzene e altri fattori ad esempio, per le zone di San Felice a Cancello, Pomigliano e San Vitaliano;
   al monitoraggio effettuato non corrispondono interventi correttivi, in particolare per l'area STIR, a fronte di un 60 per cento (media del mese di ottobre) di dati non disponibili, non si rivengono interventi di manutenzione delle centraline;
   nel territorio della «Terra dei fuochi» l'inquinamento dell'aria è sentito più che altrove. Ad inquinare maggiormente sono pneumatici, piombo e metalli, scarti tessili dell'industria della moda, acidi, materiale plastico, e persino scorie radioattive. Tali sostanze contaminano il terreno, le acque e soprattutto l'aria, a causa delle discariche abusive e dei roghi provocati per occultare lo sversamento dei prodotti tossici;
   in tale territorio, oltre ai tumori, è stata registrata un'alta percentuale di malformazioni congenite, soprattutto in prossimità delle discariche illegali (http://www.informazioneambiente.it/terra-dei-fuochi/);
   il decreto legislativo n. 155 del 2010 prevede un numero minimo di stazioni senza tuttavia impedire l'istallazione di punti di misura aggiuntivi, nel rispetto dei principi di efficienza, efficacia ed economicità, al fine di limitare al minimo le porzioni di territorio prive di punti misura;
   il decreto non esclude il mantenimento e l'adeguamento delle stazioni di misura da traffico unitamente a quelle di controllo su inquinanti specifici laddove necessario per ottenere il monitoraggio di tutti gli inquinanti previsti;
   un territorio come quello della «Terra dei fuochi» abbisogna di maggior attenzione sotto questo punto di vista –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati, anche con l'ausilio dell'Ispra, intendano intraprendere al fine di risolvere le problematiche di cui sopra;
   se i Ministri non ritengano necessario assumere, con urgenza, iniziative volte a monitorare in maniera maggiormente efficace, anche con l'intervento del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, dell'Ispra e dell'Istituto superiore della sanità, i rischi ambientali e sanitari del territorio della «Terra dei fuochi» rilevando la criticità della situazione.
(4-16302)


   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2008/98/CE relativa ai rifiuti stabilisce un quadro giuridico per il trattamento dei rifiuti nell'Unione europea, studiato in modo da proteggere l'ambiente e la salute umana, sottolineando l'importanza di adeguate tecniche di gestione, riutilizzo e riciclaggio dei rifiuti, volte a ridurre le pressioni sulle risorse e a migliorare il loro uso e che all'uopo stabilisce una gerarchia dei rifiuti che nell'ordine deve prevedere: prevenzione, riutilizzo, riciclaggio, recupero, smaltimento;
   l'Italia nel recepimento della gerarchia della gestione dei rifiuti ha stabilito nel decreto legislativo n. 152 del 2006 all'articolo 179 che la gestione dei rifiuti avviene nel rispetto della seguente gerarchia:
    a) prevenzione (articolo 180);
    b) preparazione per il riutilizzo (articolo 180-bis);
    c) riciclaggio (articolo 181);
    d) recupero (articolo 181);
    e) smaltimento (articolo 182);
   nel dicembre 2015 la Commissione europea ha adottato un ambizioso pacchetto di misure sull’«economia circolare» per aiutare le imprese e i consumatori europei a effettuare la transizione verso un'economia, dove le risorse vengono utilizzate in modo più sostenibile, attraverso un maggior ricorso al riciclaggio e al riutilizzo;
   il pacchetto ha posto un obiettivo comune a livello di Unione europea per il riciclaggio del 75 per cento dei rifiuti di imballaggio entro il 2030;
   Trenitalia s.p.a. è un'azienda partecipata al 100 per cento da Ferrovie dello Stato Italiane, ed è la principale società italiana per la gestione del trasporto ferroviario passeggeri;
   a far data da lunedì 10 aprile 2016 sui convogli ad alta velocità di Trenitalia sono state modificate le modalità del servizio di cortesia e ristoro ai clienti dei convogli di premium e prima classe cui vengono servite bevande e snack;
   le nuove modalità prevedono un aumento ingiustificato del packaging, che prevede che lo snack e il fazzoletto umidificato precedentemente consegnati in modo separato siano consegnati in un sacchetto di carta, unitamente ad un bicchiere di cartone aggiuntivo, a sua volta avvolto in un sacchetto di cellophane, e che venga consegnata una bottiglia di plastica di acqua di default, là dove, in precedenza, si offriva un bicchiere di acqua a richiesta e snack e fazzoletti erano serviti separati;
   le nuove modalità del servizio vedono un indubbio ed ingiustificato aumento delle quantità di rifiuti da imballaggio prodotti, in direzione opposta e contraria agli obiettivi europei che vedono nella riduzione il primo obiettivo, e quindi il più importante, della gerarchia dei rifiuti, da perseguire –:
   se il Governo non intenda verificare quanto sopra esposto e valutare gli impatti sulla riduzione dei rifiuti delle nuove modalità di servizio di snack e bevande sui convogli di Trenitalia. (4-16303)


   BORGHESI, GRIMOLDI e GUIDESI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione europea chiede agli Stati membri, con il regolamento (UE) n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio approvato il 22 ottobre 2014 recante disposizioni volte a prevenire e gestire l'introduzione e la diffusione delle specie esotiche invasive, di intervenire per l'eradicazione e il controllo delle specie aliene invasive, considerate una grave minaccia per la conservazione della biodiversità nel territorio dell'Unione europea;
   in seguito il 13 luglio 2016, la Commissione europea con il regolamento di esecuzione (UE) 2016/1141 adotta un elenco delle specie esotiche invasive di rilevanza unionale in applicazione del regolamento (UE) n. 1143/2014 del Parlamento europeo e del Consiglio;
   tra le specie vi è la nutria, già oggetto di precedenti interrogazioni, lo scoiattolo grigio, numerose piante e altri e animali. Tra questi vi è l'Ibis Sacro (Threskiornis aethiopicus), diffuso ormai con migliaia di soggetti in Piemonte, Lombardia, Veneto e Emilia Romagna;
   questo uccello esotico compete con gli Ardeidi per i luoghi riproduttivi, scacciando le specie autoctone, e con altri uccelli acquatici nelle aree di alimentazione come risaie, marcite e prati;
   la presenza dell'Ibis Sacro sta quindi danneggiando le specie di uccelli europei e italiani, tra i quali molti sono inclusi nell'allegato 1 della direttiva 147/2009/CE;
   a oggi, nessun provvedimento di controllo numerico, né di eradicazione per questa specie è in atto nelle regioni sopra citate. Questo configura una violazione degli obblighi comunitari, che prevedono interventi degli Stati membri per l'eradicazione o il controllo numerico delle specie aliene invasive, insieme alla tutela e conservazione delle specie autoctone;
   i regolamenti sopra citati prevedono la preparazione di un Piano nazionale per il controllo e l'eradicazione di queste specie –:
   quali siano le iniziative che il Ministro interrogato intenda intraprendere per mettere in pratica i dettami dei regolamenti comunitari, tenuto conto che le disposizioni sono obbligatorie a tutti gli effetti onde evitare di incorrere in eventuali procedure di infrazione europea.
(4-16313)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in località Giardinetto nei pressi di Troia (Foggia) è presente da ormai 20 anni una discarica abbandonata e non bonificata di rifiuti tossici e pericolosi provenienti da Paesi europei ed extra europei, quali la Corea;
   tale discarica abusiva contiene circa 250.000 tonnellate di rifiuti, residui di lavorazioni industriali contenenti metalli pesanti, nocivi e pericolosi interrati e stimati 67.000 tonnellate spartiti in due dei cinque capannoni, con coperture in amianto in evidente stato di deterioramento e le cui fibre si disperdono nell'aria, e sui piazzali artificiali sotto forma di montagne artificiali;
   nella nota di risconto della regione Puglia AOO_SP4 – 0000571 del 29 ottobre 2015 ad una richiesta dell'interrogante di aggiornamento è riportato che:
    1) nella sentenza n. 225 del 2015 ex Lucera del tribunale di Foggia – articolazione territoriale di Lucera – sezione penale – è stato disposto «il dissequestro dei beni sottoposti a sequestro e restituzione agli aventi diritto previo compimento di tutte le operazioni necessarie per la bonifica, a norma di Legge»;
    2) la regione Puglia a seguito dell'intervento di dissequestro ha chiesto alla Società I.A.O s.r.l. di avviare le attività di caratterizzazione;
    3) la società ha comunicato di non essere nelle condizioni di poter assolvere all'obbligo di avvio delle attività ambientali come previste dall'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni e ha chiesto alle pubbliche amministrazioni l'adozione dei provvedimenti sostitutivi previsti ex lege;
    4) con nota prot. 9846 del 22 ottobre 2015 è stato richiesto alla provincia di Foggia ed al comune di Troia, ciascuno per la parte di propria competenza, di avviare le procedure disciplinate dagli articoli 244, comma 2, e 250 del testo unico ambientale;
   ad oggi non risulta essere stato eseguito nessun lavoro di caratterizzazione né tanto meno di messa in sicurezza –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, anche promuovendo una verifica del Comando dei carabinieri, per la tutela dell'ambiente, al fine di monitorare la situazione del sito gravemente inquinato e pericoloso per la salute dei cittadini e dell'ambiente nell'ottica di pervenire al più presto alla sua messa in sicurezza e bonifica. (4-16322)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MALPEZZI, COSCIA, PILOZZI, ROCCHI e SGAMBATO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel maggio 1944 migliaia di ragazze e bambine furono ripetutamente violentate, talvolta anche alla presenza dei genitori, ma non solo, alcune rimasero anche vittime, le famose «Marocchinate», ovvero gli stupri e le brutali violenze che subirono le popolazioni della provincia di Frosinone da parte dei goumier, le truppe marocchine inquadrate nel Corpo di spedizione francese in Italia, una ferita che rimarrà aperta per sempre, non solo per le popolazioni del Basso Lazio;
   a Vallecorsa è stato eretto anche un monumento alla «Mamma Ciociara», a memoria e per restituire onore al sacrificio di tante donne ciociare;
   in questi giorni, si legge sul social facebook, della prossima uscita del film intitolato «La Ciociara, liberamente ispirata al romanzo di Alberto Moravia». Proprio quel romanzo che raccontò al mondo una piccola parte di quelle atrocità compiute durante la Seconda Guerra Mondiale. A preoccupare è quel «liberamente ispirata», dato che il rifacimento del film di De Sica è diretto da Mario Salieri, tra i registi più in voga del genere porno. L'attrice principale non è ovviamente Sofia Loren ma Roberta Gemma, indiscussa star del genere hard;
   seppure sul profilo Facebook di Salieri appaiono locandine più o meno caste, è certo che il rifacimento cinematografico di quei drammatici momenti è in versione pornografica e ciò sdegna tutti;
   pagine della storia devono essere trattate con il rispetto che meritano; anche solamente il sapere che esiste un film di questo genere, avrebbe sulle famiglie delle vittime di quelle violenze un impatto psicologico non indifferente. Ci si chiede come si fa a costruire qualcosa che si ritiene artistico su questo dolore –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per promuovere iniziative volte a diffondere una corretta ricostruzione dei drammatici eventi storici di cui in premessa e tutelare la memoria delle vittime, la dignità dei familiari e di tutti gli italiani. (5-11152)

Interrogazione a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   al fine di ottemperare alla sentenza della Corte di giustizia europea di condanna dello Stato italiano per la gestione dei rifiuti in Campania, la regione Campania, nell'agosto 2015, ha approvato gli «Indirizzi per l'aggiornamento del piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani in Campania», tra i cui obiettivi vi è il raggiungimento dell'autosufficienza in materia di trattamento della frazione organica dei rifiuti provenienti da raccolta differenziata;
   in data 12 maggio 2016, la regione Campania ha emesso un avviso per manifestazione di interesse alla localizzazione di impianti di compostaggio;
   in data 18 maggio, con proprio protocollo n. 2825, il comune di Rocca d'Evandro ha trasmesso una comunicazione in cui esprimeva il proprio interesse alla realizzazione dell'impianto di compostaggio, la quale non era stata, tuttavia, preceduta da alcuna deliberazione di giunta o di consiglio comunale;
   neanche dopo la manifestazione d'interesse questa è mai stata ratificata, né in seno alla giunta, né in seno al consiglio comunale, e, anzi, il comune di Rocca d'Evandro non ha mai inserito, nel programma annuale e triennale delle opere pubbliche, la possibile realizzazione di un impianto di compostaggio;
   inoltre, il comune di Rocca d'Evandro non ha mai emanato delibere di giunta o di consiglio con cui viene condivisa l'alienazione o la concessione dei lotti identificato nella scheda informativa trasmessa alla regione;
   i lotti identificati nella scheda informativa ed identificati in catasto al foglio 1, particella 1576,6093,5919, sono gravati da usi civici e vincoli paesaggistici, e sono, come da visura catastale, territori coperti da bosco, oltre a ricadere in un parco urbano di interesse regionale;
   la distanza dal primo centro abitato, indicata nella scheda informativa a 3,8 chilometri, è palesemente errata considerato che il più vicino centro abitato è situato a meno di duecento metri di distanza;
   i lotti identificati, inoltre, distano appena venti metri dalla linea delle ferrovie percorsa dai treni ad alta velocità, e la realizzazione dell'impianto a una distanza così ridotta comprometterebbe il transito dei treni per la probabile presenza di gabbiani ed altri volatili attirati dai rifiuti soli di urbani frazione umida;
   i lotti identificati per la realizzazione dell'impianto distano meno di quattro chilometri dal termovalorizzatore di San Vittore del Lazio, nel quale, come da nota dell'Arpa Lazio protocollo n. 65094 dell'8 agosto 2013, «è stato riscontrato il parametro mercurio pari a 6mg/Nm3 pari a 120 volte superiore al limite di legge»;
   con decreto dirigenziale della regione Campania del 10 marzo 2017, n. 7, con riferimento all'oggetto «Impianto per il trattamento della frazione organica da raccolta differenziata da realizzarsi nel comune di Rocca d'Evandro (CE)» è stato nominato il responsabile unico del procedimento, con incarico di programmazione, progettazione, affidamento ed esecuzione dell'impianto;
   con delibera di giunta regionale del 21 febbraio 2017, n. 86, è stato istituito un apposito capitolo di bilancio con l'iscrizione di somme per il triennio 2017-2019, tra le cui finalità di spesa è stato inserito anche l'impianto da realizzarsi in Rocca d'Evandro;
   con nota del sindaco di Rocca d'Evandro trasmessa alla cittadinanza in data 4 aprile 2017 è stato comunicato che «ad oggi, non esiste nessun atto politico-amministrativo tra comune di Rocca d'Evandro e regione Campania attinente la realizzazione dell'impianto di compostaggio da trentamila tonnellate» –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati rispetto ai fatti esposti in premessa, con particolare riguardo all'esigenza di salvaguardare i vincoli paesaggistici ricadenti sull'area citata, e quali iniziative di competenza intendano assumere per favorire l'individuazione di soluzioni efficienti e razionali alle criticità nel settore dei rifiuti che hanno dato luogo alla procedura di infrazione. (4-16324)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   LA RUSSA. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Cassano d'Adda, in provincia di Milano, risiedono quasi ventimila abitanti e da un centinaio d'anni vi ha sede una compagnia dei carabinieri;
   circa tre anni fa, per ragioni di contenimento della spesa è stato deciso di non rinnovare il contratto di affitto della caserma e, anche a causa di una accresciuta esigenza di sicurezza in quella zona, la compagnia è stata trasferita nel limitrofo comune di Pioltello;
   al trasferimento avrebbe dovuto, tuttavia, fare seguito la collocazione a Cassano di almeno una tenenza o semplice stazione a presidio della città, fatto sin qui non avvenuto a causa della mancata individuazione, da parte dell'amministrazione comunale, di locali adeguati;
   un sito recentemente proposto dall'amministrazione all'Arma dei carabinieri è stato immediatamente scartato a causa sia della sua ubicazione all'interno di un condominio, sia per la scarsa accessibilità dei locali;
   i locali che sino a poco tempo fa ospitavano la pretura, attualmente non utilizzati, potrebbero costituire una valida soluzione per collocare la sede dei carabinieri;
   di recente, a Cassano, è avvenuto l'arresto di un sospetto terrorista islamico, come anche nei paesi limitrofi di Inzago e Vaprio –:
   se il Governo sia informato dei fatti esposti in premessa e se non ritenga di assumere le opportune iniziative, per quanto di competenza, volte a promuovere la ricollocazione della stazione dei carabinieri di Cassano in locali idonei al fine di garantire la sicurezza dei residenti e del territorio. (4-16316)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta immediata:


   MARCON, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, PAGLIA, PELLEGRINO, FRATOIANNI, GREGORI e PLACIDO. – Al Ministro dell'economia e delle finanze. – Per sapere – premesso che:
   la Corte di cassazione, con ordinanza n. 8945 del 6 aprile 2017, ha ribadito che: «nel settore scolastico la clausola 4 dell'accordo quadro sul rapporto a tempo determinato recepito dalla direttiva n. 1999/70/CE, di diretta applicazione, impone di riconoscere l'anzianità di servizio maturata dal personale del comparto scuola assunto con contratti a termine, ai fini dell'attribuzione della medesima progressione stipendiale prevista per i dipendenti a tempo indeterminato dai contratti collettivi nazionali di lavori succedutisi nel tempo»;
   in tal modo, la Corte di cassazione, in forza della suddetta direttiva, ha inteso valorizzare i principi affermati dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, per i quali si fa obbligo agli Stati membri di assicurare ai lavoratori precari le medesime condizioni di impiego riservate ai lavoratori assunti a tempo indeterminato, e ciò a prescindere dalla legittimità del termine apposto al contratto;
   tale pronunciamento rischia di entrare a gamba tesa e di complicare la partita attualmente aperta tra il Ministro interrogato ed il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in merito all'intenzione da parte di quest'ultimo di voler utilizzare tutte le risorse stanziate dalla legge di bilancio per il 2017 per l'incremento dell'organico dell'autonomia, al fine di consolidare in diritto circa 20.000 posti comuni dell'organico di fatto ai quali aggiungere 5.000 posti di sostegno in deroga;
   il 12 aprile 2017 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, interrogato alla Camera dei deputati, ha testualmente dichiarato che: «Dal punto di vista degli oneri per ciascun posto consolidato occorrerà pagare la differenza tra lo stipendio di un docente di ruolo e un supplente: si tratta di due mensilità in più, quelle di luglio e agosto, oltre alla progressione di carriera. Per questo motivo il costo dell'operazione è inferiore a quanto occorrerebbe per istituire nuovi posti e i 400 milioni di euro disponibili a regime sono sufficienti per consolidare circa 25.000 posti». Ha poi rassicurato il mondo scolastico dichiarando che «Sono in corso interlocuzioni tra i tecnici del mio Ministero e del Ministero dell'economia e delle finanze per affinare i conti»;
   invero la Ragioneria generale dello Stato contesta le stime del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sostenendo che per la sola ricostruzione di carriera occorrerebbe almeno il doppio delle risorse stanziate per l'operazione, e cioè circa 800 milioni di euro all'anno, con ciò facendo intendere di essere disposta a finanziare non più di 8.000 stabilizzazioni –:
   quali siano, anche alla luce di quanto statuito il 6 aprile 2017 dalla Corte di cassazione, le stime ufficiali del Ministero dell'economia e delle finanze. (3-02970)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la recente riforma della riscossione dei tributi locali avvenuta con l'approvazione del decreto-legge n. 193 del 22 ottobre 2016, convertito dalla legge n. 225 del 1o dicembre 2016, sancisce, dal 1o luglio 2017, la cancellazione di Equitalia e l'individuazione in via esclusiva di un nuovo soggetto deputato all'accertamento, liquidazione e riscossione, spontanea e coattiva, delle entrate tributarie o patrimoniali proprie degli enti locali e delle società da essi partecipate;
   tutte le precedenti riforme di settore hanno garantito pari dignità ai lavoratori e piena tutela occupazionale;
   la Filcams CHIL denuncia che «oggi il personale di Equitalia, anche a tempo determinato, viene trasferito ex articolo 2112. c.c. nel nuovo soggetto nazionale (Agenzia delle Entrate – Riscossione) mentre vengono del tutto, ed in maniera francamente incomprensibile, ignorate le equiparabili professionalità dei dipendenti delle società nate per scorporo di ramo d'azienda, ex lege 248 del 2 dicembre 2005, la stessa riforma che istituì l'attuale Equitalia»;
   l'associazione di categoria (A.N.A.C.A.P.) ha annunciato pesantissime ripercussioni occupazionali ed alcune aziende hanno già avviato procedure di licenziamento;
   «nonostante i reiterati appelli» – denuncia la Filcams CGIL – «tra cui una formale richiesta di audizione inviata dai Sindacati alle Commissioni Finanze e Bilancio (datata 9 gennaio 2017), nemmeno i provvedimenti adottati dal Consiglio dei Ministri dell'11 aprile 2017 contemplano misure correttive delle legittime aspettative dei lavoratori e delle lavoratrici delle società escluse (tra cui la SOGET SpA), che, giorno dopo giorno, vivono l'incertezza e l'esasperazione ed esprimono viva preoccupazione per il loro futuro» –:
   se sia stato informato di detta vertenza;
   quali iniziative intenda eventualmente assumere affinché venga ripristinata pari dignità per l'intera platea di lavoratori e lavoratrici interessati.
(5-11144)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata:


   SPESSOTTO, DELL'ORCO, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, DE LORENZIS e CARINELLI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 145 del 2013 «destinazione Italia», convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2014, è intervenuto in materia di accordi stipulati dalle società di gestione degli aeroporti con i vettori aerei, prevedendo l'obbligo di espletamento di procedure concorrenziali per la scelta, da parte dei gestori aeroportuali, dei vettori ai quali erogare contributi, sussidi o altre forme di emolumento per lo sviluppo delle rotte;
   l'articolo 13, comma 14, del decreto-legge stabilisce che, per l'erogazione di contributi per lo sviluppo di rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, le società di gestione esperiscano procedure di scelta concorrenziali e trasparenti, così da consentire la più ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati;
   la norma prevede che i gestori aeroportuali comunichino all'Enac e all'Autorità di regolazione dei trasporti l'esito delle procedure concorrenziali, ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di trasparenza e competitività;
   entro il 31 gennaio di ciascun anno, le società aeroportuali devono inoltre comunicare ad Enac l'ammontare dei contributi versati dalle stesse società ai vettori, anche sotto forma di contratti di co-marketing, dati che non risultano ad oggi effettivamente reperibili ed accessibili;
   negli ultimi anni, nonostante gli indirizzi comunitari e nazionali in relazione ai principi di trasparenza e competitività per lo sviluppo delle rotte aeree, grazie alla conclusione di contratti di co-marketing tra gestori aeroportuali e vettori, con la compartecipazione di regioni, province e comuni, le compagnie low cost hanno goduto di contributi pubblici – stimati intorno ai 100 milioni di euro annui circa – giunti attraverso «fondi di sviluppo rotte e marketing» stanziati dagli aeroporti italiani;
   sebbene le norme comunitarie in materia di aiuti di Stato prescrivano la pubblicazione, a cadenza semestrale, sui siti degli aeroporti, delle procedure selettive per godere degli incentivi, l'obbligo viene disatteso, attraverso la pubblicazione di bilanci poco chiari, complice la mancata previsione, all'interno delle linee guida dell'agosto 2016, di procedure sanzionatorie per i gestori che non rispettano suddetto obbligo;
   parimenti è slittato a luglio del 2017 il termine previsto per la realizzazione del registro degli aiuti dove i gestori devono comunicare gli incentivi erogati per lo sviluppo di rotte aeree da parte dei vettori –:
   se il Ministro interrogato intenda fornire un elenco aggiornato degli scali aeroportuali italiani che hanno attualmente in corso accordi di co-marketing, con l'indicazione dei relativi importi, precisando se corrisponda a realtà l'importo stimato di 100 milioni di euro di cui in premessa. (3-02965)


   RABINO, FRANCESCO SAVERIO ROMANO e PARISI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   ogni giorno in Piemonte sono 165 mila i pendolari che prendono il treno per spostarsi per ragioni di lavoro o di studio, il 9,5 per cento in meno rispetto al 2011. È quanto emerso dal rapporto «Pendolaria» curato da Legambiente, secondo cui «è questa la più evidente e diretta conseguenza dei tagli al servizio ferroviario regionale che dal 2010 ad oggi hanno portato alla soppressione di intere linee con un taglio complessivo del servizio pari all'8,4 per cento»;
   con l'avvenuta elettrificazione della linea Alba-Bra, l'attenzione delle istituzioni locali è tornata a focalizzarsi sul treno quale mezzo di trasporto indispensabile per il Piemonte meridionale, nonché quale strumento in grado di decongestionare le arterie stradali e offrire al pubblico nuove possibilità di mobilità anche a scopo turistico;
   in quest'ottica i comuni dell'asse Alba-Asti hanno già siglato un protocollo d'intesa, precondizione per spingere la regione ad attivarsi per la riapertura dell'asse ferroviario Alba-Asti, fondamentale per il collegamento di tutta l'area verso est (in direzione Milano) e verso sud (in direzione Genova);
   la tratta Alba-Asti venne chiusa nel 2010 a causa dei problemi strutturali della galleria «Ghersi», coinvolta dal cedimento di tutta la collina soprastante, e non certo per mancanza di utenza, tanto che a tutt'oggi i pullman sostitutivi sono affollati di pendolari e studenti. Rete ferroviaria italiana ha stimato in 12 milioni di euro gli oneri per il ripristino;
   la riattivazione della linea ferroviaria è sostenuta da mesi dal tavolo tecnico sulla mobilità sostenibile che riunisce i comuni dell'Unesco, gli ordini professionali di architetti, ingegneri, dottori agronomi e forestali, oltre a numerose associazioni del territorio;
   la chiusura della linea ferroviaria che da Neive, attraverso Castagnole, porta ad Asti appare ingiustificata, in quanto non coinvolta dai disagi dovuti al cedimento della galleria «Ghersi» ed una sua celere riapertura potrebbe portare giovamento all'intero sistema di trasporti della zona;
   le linee ferroviarie citate non sono di solo interesse locale, in quanto ricadenti negli scenari delle Langhe, del Roero e del Monferrato, divenute Patrimonio dell'Umanità Unesco –:
   se e come il Governo sia intenzionato a sostenere, nei limiti delle proprie competenze, in sinergia con Rete ferroviaria italiana e la regione Piemonte, la riapertura della tratta ferroviaria Alba-Asti.
(3-02966)


   CENTEMERO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   la tranvia Milano-Limbiate è una linea interurbana che collega Milano a Limbiate su un asse viario a intenso flusso;
   a causa delle carenze infrastrutturali venne previsto l'intervento di riqualificazione della tranvia extraurbana Milano-Limbiate, nella tratta Comasina-deposito Varedo, finanziato con le risorse della legge n. 133 del 2008. Tali risorse sono state impegnate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con decreto 28 dicembre 2010, n. 4107, a conclusione della procedura di cui al decreto ministeriale n. 99 del 2009;
   il Cipe, con delibera 6 dicembre 2011, n. 91, esaminate e condivise le valutazioni effettuate dalla competente commissione di alta vigilanza, ha approvato il programma degli interventi ammissibili a finanziamento ai sensi della citata legge n. 133 del 2008 per un contributo di euro 58.934.983,20, pari al 60 per cento del costo dell'opera ammissibile a finanziamento, pari a euro 98.224.972,00;
   con decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, il Governo pro tempore ha revocato e destinato le risorse finalizzate alla realizzazione della riqualificazione tranvia extraurbana Milano-Limbiate, 1o lotto funzionale, anche in attuazione dell'articolo 1, comma 101, della legge 27 dicembre 201, n. 147, alla società Expo s.p.a. per fare fronte al mancato contributo della provincia di Milano;
   lo sviluppo della mobilità sostenibile è uno dei pilastri fondamentali per la riduzione delle emissioni di gas inquinanti nell'atmosfera;
   la regione Lombardia ha recentemente investito 13,6 milioni di euro per la messa in sicurezza della linea Milano-Limbiate. Il finanziamento è stato concesso per interventi urgenti di ammodernamento e adeguamento alle norme di sicurezza dell'attuale linea tramviaria. A questi si aggiungeranno anche ulteriori 20 milioni di euro per l'acquisto di altre vetture;
   ad oggi l'Ufficio ministeriale che vigila sulla sicurezza dei trasporti ad impatti fissi (Ustif) ha più volte minacciato l'interruzione del servizio, a causa di mancati adeguamenti alle norme di sicurezza;
   in sede di esame del disegno di legge di stabilità per il 2016, con l'approvazione dell'ordine del giorno n. 9/03444-A/349, il Governo aveva già manifestato la propria disponibilità a valutare il rifinanziamento dell'infrastruttura; volontà confermata anche con l'accoglimento dell'ordine del giorno 9/3495/58, nel mese di gennaio 2016, che impegnava l'Esecutivo a reperire le risorse necessarie al rifinanziamento –:
   se e quali iniziative urgenti intenda adottare affinché venga ripristinato il finanziamento finalizzato alla riqualificazione della tranvia extraurbana Milano-Limbiate. (3-02967)


   LAURICELLA, BERRETTA, TULLO, CULOTTA, CARLONI, MURA, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   il 7 luglio 2014 si è verificato il crollo del viadotto Petrulla, situato lungo la strada statale n. 626/dir che collega i comuni di Licata, Ravanusa, Canicattì e Campobello di Licata in Sicilia;
   a seguito del crollo del viadotto la viabilità della zona ha evidentemente subito pesanti ripercussioni; il perpetuarsi della situazione di interruzione ha comportato da tre anni a questa parte una gravissima limitazione dell'economia del territorio, con il sostanziale isolamento del territorio di Licata e gravose difficoltà di collegamento tra i paesi circostanti;
   in particolare, la difficoltà dei cittadini dell'entroterra nel raggiungere il mare e le spiagge di Licata ha recato un rilevante danno economico agli operatori turistici della zona, che hanno visto diminuire in modo sostanziale le presenze nelle ultime due stagioni;
   una vera e propria situazione di emergenza, quindi, su cui si è intervenuti fin dall'inizio con determinazione e con la volontà di agire rapidamente, stante la gravità e la risonanza anche nazionale avuta dall'evento;
   fin dal 2014 la direzione dell'Anas ha agito con impegno e consapevolezza della serietà del problema e, dopo il dissequestro del viadotto da parte dell'autorità giudiziaria, sono state attivate le procedure per la gara d'appalto e nel febbraio 2016 si è dato inizio ai lavori;
   ad oggi, benché l'Anas abbia provveduto a ripristinare il viadotto Salso, si procede con evidente ritardo nel completamento delle opere di ripristino del viadotto Petrulla: a quanto risulta agli interroganti, lo stato di avanzamento dei lavori è solo al 10,23 per cento e non viene indicata una data precisa di conclusione dei lavori;
   il 3 febbraio 2017 si è tenuto un incontro tra il sindaco di Licata e la direzione regionale dell'Anas, nel corso del quale è stato assicurato al sindaco che il ripristino del viadotto Petrulla sarà completato entro la fine del mese di aprile 2017 –:
   quali siano i tempi previsti per il completamento delle opere di ripristino del viadotto Petrulla, in considerazione dei pesanti disagi che da quasi tre anni i cittadini e gli operatori economici della zona di Licata stanno affrontando per l'interruzione di un tratto cruciale delle infrastrutture viarie. (3-02968)


   GAROFALO, D'ALIA, BOSCO, CALABRÒ, MAROTTA, MINARDO, MISURACA e SCOPELLITI. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. – Per sapere – premesso che:
   nel quadro complessivo di crisi economica che il Paese sta attraversando, uno degli elementi che ne determinano il rallentamento è senza dubbio la carenza e l'inadeguatezza delle infrastrutture nel settore dei trasporti, in particolar modo al Sud;
   infatti, risulta evidente come il sistema infrastrutturale del Mezzogiorno sia decisamente meno sviluppato e moderno rispetto a quelli presenti in altre parti d'Italia. Il complesso sistema dei trasporti e dei collegamenti con il resto del Paese, composto da strade, autostrade, ferrovie, da porti ed aeroporti, sconta gravissimi ritardi ed inefficienze;
   fondamentale, in un'ottica di rilancio del Sud attraverso l'implementazione delle infrastrutture, appare la realizzazione definitiva del «corridoio Sud» che rappresenta l'asse portante di una tale operazione;
   a determinare queste carenze è anche la rilevante differenza di investimenti che si sono verificati nel corso degli anni, proprio nel settore delle infrastrutture, tra Nord e Sud del Paese;
   occorrerebbe, pertanto, un impegno forte e risoluto del Governo al fine di implementare le opere infrastrutturali presenti nel Mezzogiorno: ciò consentirebbe non solo di superare la marginalità oggi presente nel Sud del Paese, ma anche di favorire la ripresa dell'intero sistema economico e produttivo, nonché dell'occupazione;
   la realtà dei trasporti e delle infrastrutture nell'area dello Stretto è drammaticamente evidente: le occasioni perse sono state infinite e si parla ancora e persino di studi di fattibilità quando esiste da tempo un progetto redatto sulla base di una precisa scelta delle modalità operative (ponte e non tunnel);
   inoltre, ad oggi il tratto ferroviario della Salerno-Reggio Calabria viene ancora escluso dal progetto generale di alta velocità, dal momento che se ne parla ancora soltanto in termini di «velocizzazione» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di implementare gli investimenti (nel più breve tempo possibile, atteso che, oltre all'impegno economico, l'altro tema fondamentale dell'intera questione è rappresentato dal tempo) destinati alle infrastrutture del Mezzogiorno e, quindi, al fine di evitare che questa parte del Paese subisca un drammatico, ineluttabile declino determinato anche e soprattutto da carenze di collegamento, che inducono a prevedere concretamente la desertificazione di un intero territorio. (3-02969)

Interrogazione a risposta orale:


   BALDELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 25 gennaio 2016 la Camera ha approvato sostanzialmente all'unanimità, e con il parere favorevole del Governo, la mozione n. 1-01085, a prima firma dell'interrogante, sull'utilizzo da parte degli enti locali dei proventi delle sanzioni incassate attraverso l'uso degli autovelox, che, ex articolo 142 del codice della strada, devono essere destinati alla realizzazione di interventi di manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, e del cui utilizzo i comuni devono rendere conto inviando una relazione telematica al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   in quella sede, il Governo si è impegnato, attraverso una riformulazione del dispositivo della mozione proposta dal Governo stesso, a presentare al Parlamento, entro il 30 settembre 2016, un report sullo stato di attuazione di tali disposizioni normative che, in particolare, indichi quanti e quali enti locali siano stati inadempienti rispetto agli obblighi di legge in esame;
   tale impegno, proposto dal Governo e sancito con un voto sostanzialmente unanime dell'Assemblea, non risulta ad oggi essere stato mantenuto dal Governo stesso –:
   se il Governo, dopo oltre quindici mesi, non intenda ottemperare all'impegno di presentare al Parlamento il report annunciato nella mozione, e se non intenda, inoltre, intervenire, sempre in ottemperanza degli impegni assunti con l'approvazione del documento di indirizzo in questione, con proposte normative specifiche volte a sanzionare effettivamente le distorsioni e le violazioni del codice della strada perpetrate dalle amministrazioni locali che aggirano o trasgrediscono quanto disposto dalla legge. (3-02958)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada Roma-Latina è un progetto approvato dal Cipe che ha autorizzato un finanziamento pari a 480 milioni di euro per la realizzazione del primo lotto. Questa nuova infrastruttura dovrebbe consentire a chi proviene dall'area industriale nord della provincia di Latina e dalla parte sud della provincia di Roma, evitando il grande raccordo anulare, un aggancio diretto all'autostrada A1 – unico corridoio europeo esistente per la mobilità delle persone e delle merci in Italia e in Europa;
   all'interrogante, risulta che il via libera definitivo al progetto, sia stato deciso sulla base della valutazione di impatto ambientale n. 388 del 30 novembre 2009 ed approvato con delibera del CIPE 88/2010 pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale del 26 agosto 2011. Nel frattempo, la zona in questione ha visto nascere e svilupparsi il quartiere Torrino Mezzocammino, la cui presenza cambia in modo decisivo il quadro di impatto ambientale precedentemente delineato. Inoltre, il progetto approvato non è stato realizzato entro cinque anni dalla pubblicazione del provvedimento e non risulta una formale richiesta di proroga da parte del proponente prima della scadenza, ma soprattutto si ritiene che dall'esecuzione dei lavori potrebbero derivare ripercussioni negative, non preventivamente valutate, sull'ambiente;
   il progetto sul sito ufficiale di Autostrade del Lazio mostra che l'autostrada Roma-Latina si sovrapporrà all'attuale Pontina solo per il 50 per cento e pertanto le opere previste non si concretizzeranno nella messa in sicurezza dell'attuale tracciato di questa strada regionale. I tratti in sovrapposizione – che comunque andranno smantellati per adeguare il fondo stradale alla velocità autostradale di 130 km/h – vanno da Borgo Piave ad Aprilia Sud, e da Pomezia Nord a Malpasso (Tor de’ Cenci), mentre da Aprilia sud a Pomezia nord il nuovo tracciato è completamente esterno alla Pontina senza contare che il tratto Tor de’ Cenci-Spinaceto resterà un imbuto con file di auto interminabili;
   il 29 marzo 2017 il Tar ha respinto il ricorso contro l'annullamento dell'aggiudicazione della gara d'appalto per la realizzazione dell'autostrada Roma-Latina e della bretella Campoverde-Valmontone;
   la costruzione del tratto autostradale Roma-Latina implica un forte impatto sul delicato ecosistema protetto dei siti di interesse comunitario di Castel di Decima e Castel Porziano in prossimità dell'area di Tor De’ Cenci;
   la realizzazione del tratto di Cisterna-Valmontone provocherà l'espropriazione di circa 46 aziende agricole lungo il tracciato e la compromissione di decine di aziende collocate sui 200 metri fuori dal tracciato provocata dall'inquinamento dei gas di scarico delle auto sulle produzioni agricole biologiche (la quasi totalità), con la compromissione del monumento naturale di Giulianello, del turismo naturalistico e storico-naturale –:
   se i Ministri interrogati siano informati dei fatti esposti in premessa;
   se intendano chiarire se sia stata richiesta la proroga della valutazione di impatto ambientale e se questa tenga conto delle modifiche intervenute al progetto preliminare;
   quali iniziative intendano intraprendere per mettere in sicurezza la «Pontina» al fine di consentire la riduzione della congestione del traffico e l'ottimizzazione della circolazione dei pendolari e delle merci senza l'aggravio di un pedaggio;
   se intendano assumere iniziative per la sospensione dei lavori o delle attività autorizzate, nelle more delle determinazioni correttive da adottare, ai sensi dell'articolo 28, comma 1-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e per rivedere il progetto al fine di ridurre l'impatto sull'ecosistema protetto dei siti di interesse comunitario in prossimità dell'area di Tor De’ Cenci;
   se intendano intervenire urgentemente affinché l'autostrada sia sostenibile dal punto di vista ambientale;
   quali iniziative di competenza intendano mettere in campo per tutelare le produzioni agricole che rappresentano una risorsa per l'economia degli abitanti del territorio. (5-11146)


   RICCIATTI, FOLINO, FRANCO BORDO, MOGNATO, PIRAS, QUARANTA, SCOTTO, NICCHI, DURANTI, MELILLA, SANNICANDRO, ZARATTI e KRONBICHLER. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 2016 la società Trenitalia ha attuato un piano di razionalizzazione che ha visto una drastica riduzione della presenza di impianti ed uffici nelle Marche;
   in virtù di tale piano e con l'obiettivo di ridurre il numero degli impianti, la società ha disposto la chiusura dell'officina di manutenzione mezzi di Fabriano (Ancona);
   nello stesso anno è stata disposta la chiusura della linea ferroviaria Ancona-Ancona Marittima, linea infrastrutturale – peraltro di recente ammodernamento – che consentiva il trasporto di circa 600 passeggeri al giorno;
   nel 2016, ancora, la dirigenza del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane Spa ha disposto la chiusura delle strutture marchigiane del settore ferroviario merci, con soppressione degli uffici commerciali e dei presidi di distribuzione del lavoro al personale;
   da ultimo, fonti sindacali segnalano l'annunciata chiusura da parte di Trenitalia dell'impianto passeggeri lunga percorrenza (Frecciabianca), con sede ad Ancona, che conta uffici amministrativi, di distribuzione dei servizi al personale, di controlli sulla qualità del servizio;
   tale drastica riorganizzazione della presenza di impianti ed uffici nel territorio marchigiano ha avuto, e sta avendo, significative ripercussioni sull'occupazione nel settore, in una regione che ha visto, negli ultimi anni, un preoccupante incremento della disoccupazione;
   contestualmente, il trasporto ferroviario da e per la regione Marche registra significativi disagi ed una costante diminuzione della qualità del servizio. Si annoverano, infatti, numerosi episodi di ritardi e frequenti soppressioni di corse dovute a guasti, vetustà delle vetture e una non ottimale manutenzione;
   tali criticità sono state più volte segnalate al Ministro interrogato, con diversi atti di sindacato ispettivo a firma della prima firmataria del presente atto e di altri parlamentari, a volte anche in modo congiunto, eletti nelle circoscrizioni delle Marche –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, per garantire livelli qualitativi dignitosi per il trasporto ferroviario nelle Marche;
   se non ritenga opportuno fornire elementi in merito alle politiche di smantellamento di impianti ed uffici ferroviari nella regione Marche, attuate da Trenitalia e da società controllate. (5-11154)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogazione a risposta immediata in commissione 5-10845, riguardante la difficile situazione degli aeroporti calabresi e specie di quello di Reggio Calabria, il sottosegretario di Stato Umberto del Basso De Caro il 15 marzo 2017 rispondeva che «il 3 marzo scorso, vista la sospensiva del Consiglio di Stato, è stato possibile aggiudicare la gara alla società Sacal, che attualmente gestisce Lamezia Terme. Possiamo così iniziare a parlare di una rete di aeroporti calabresi che avrà la possibilità, la capacità e le condizioni per attirare traffico e rilanciare il tessuto sociale ed economico della regione Calabria»;
   il 10 aprile 2017, a quanto emerge da notizie apparse sulla stampa locale, il presidente, Pierluigi Mancuso, il direttore generale, ed Ester Michienzi, responsabile Ufficio legale di Sa.cal s.p.a., società che gestisce i tre aeroporti calabresi, sono stati posti agli arresti domiciliari nell'ambito di un'inchiesta sulla gestione dello scalo condotta dalla procura di Lamezia Terme;
   i reati per i quali si procede, a vario titolo, andrebbero dalla corruzione e dal peculato sino al falso, all'abuso d'ufficio ed a varie forme di concussione;
   sarebbero emersi nello specifico illeciti relativi all'affidamento di consulenze «fantasma» per decine di migliaia di euro e ad artefatte selezioni di personale per incarichi interni vari affidati a soggetti che, in generale, sono risultati in possesso di requisiti inferiori rispetto agli altri concorrenti illegittimamente esclusi, ricorrendo ad atti falsi;
   si contesterebbe inoltre l'irregolare gestione del progetto «Garanzia Giovani», finanziato con fondi pubblici, finalizzato ad inserire in un tirocinio retribuito, presso Sacal s.p.a, per il quale le emergenze investigative avrebbero dimostrato che, in ragione di pressioni indebite, anche perpetrate da politici locali e dirigenti pubblici, siano stati selezionati soltanto amici e parenti degli indagati, attraverso interventi artificiosi sulle procedure di selezione previste dal bando pubblico;
   sarebbero stati accertati, inoltre, numerosi episodi di peculato da parte della dirigenza della «S.a.cal. s.p.a», concretizzatisi in viaggi, pranzi e soggiorni per scopi personali, effettuati presso strutture ricettive di lusso, con indebita imputazione dei relativi costi, spesso assai elevati, al bilancio della società a partecipazione pubblica –:
   se, alla luce di quanto rappresentato in premessa, il Ministro interrogato intenda confermare la posizione espressa dal sottosegretario di Stato di cui in premessa secondo la quale attraverso l'affidamento a Sa.cal s.p.a. della gestione dei tre aeroporti calabresi passino «la capacità e le condizioni per attirare traffico e rilanciare il tessuto sociale ed economico della regione Calabria» o se non ritenga invece di assumere iniziative per rivedere urgentemente le linee d'intervento per il salvataggio degli aeroporti di Reggio Calabria e Crotone. (4-16318)


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la SaCal spa è la società partecipata a capitale misto pubblico e privato che gestisce l'aeroporto internazionale di Lamezia Terme, aeroporto denominato di interesse nazionale e di particolare rilevanza strategica nel Consiglio dei ministri del 27 agosto 2015;
   l'11 aprile 2017, l'operazione «Eumenidi», condotta a partire dal 2015 dai militari del gruppo della Guardia di finanza di Lamezia Terme e dagli agenti della polizia di frontiera, nel locale aeroporto internazionale, coordinati dalla locale procura della Repubblica, ha condotto agli arresti domiciliari del presidente della società aeroportuale, Massimo Colosimo, del direttore generale, Pierluigi Mancuso, e della responsabile dell'ufficio legale, Ester Michienzi nonché a 12 richieste di sospensione dai pubblici uffici e 40 perquisizioni, tutte legate a vicende di gestione della SaCal, nei confronti di altrettante persone indagate nell'inchiesta, tra cui esponenti delle istituzioni, imprenditori e ufficiali pubblici;
   l'indagine Eumenidi ha accertato numerosi episodi di peculato da parte della dirigenza SaCal, viaggi, pranzi e soggiorni personali in strutture di lusso, con indebita imputazione degli elevati costi al bilancio della società. Numerosi illeciti sono stati riscontrati soprattutto nella gestione del progetto, finanziato con fondi pubblici, denominato «Garanzia giovani», finalizzato all'inserimento di giovani meritevoli e con specifici prerequisiti in un tirocinio retribuito: in seguito a pressioni indebite, anche da parte di politici e dirigenti pubblici, e a interventi illeciti sulle procedure di selezione previste dal bando, sarebbero stati inseriti nel suddetto progetto soltanto amici e parenti degli indagati;
   in seguito alla dichiarazione di fallimento della Sogas, nel febbraio 2017, la SoCal si era aggiudicata l'appalto di gestione provvisoria degli aeroporti di Reggio Calabria e Crotone;
   in seguito alle disposizioni eseguite presso la dirigenza SoCal si parla di commissariamento della suddetta;
   le vicende giudiziarie che hanno travolto i vertici della SaCal hanno scoperchiato un sistema malato che in questi anni ha fatto del principale scalo calabrese un terreno di spartizione di interessi opachi, un grumo di poteri politico – affaristico – clientelari gravitanti intorno al capoluogo e a poche famiglie imprenditoriali e la politica locale, pur avendo gli elementi per intervenire non lo fece, preferendo confermare fiducia ad amministratori già dalle prime indagini nell'agosto 2015 entrati nell'occhio di quello che oggi appare un vero ciclone giudiziario;
   la dirigenza locale di Sinistra Italiana aveva chiesto l'azzeramento del consiglio di amministrazione a guida Colosimo dopo l'operazione «Perseo» della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro che aveva coinvolto l'allora vicepresidente SaCal Gianpaolo Bevilacqua, denunciando le possibili infiltrazioni di esponenti dei clan lametini e calabresi nell'ente, poi emerse da varie inchieste della magistratura, con appartenenti a famiglie mafiose assunte all'interno dell'aeroporto, poi finiti agli arresti per fatti criminosi –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere i Ministri interrogati per favorire, nel territorio di cui in premessa, una progettualità non piegata a logiche di potere e interessi di parte, secondo imprescindibili criteri di etica e competenza manageriale, in particolare al fine di garantire l'immagine e lo sviluppo dell'aeroporto internazionale di Lamezia Terme. (4-16323)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la provincia di Caserta, con deliberazione di consiglio provinciale n. 37 del 29 dicembre 2015, esecutiva come per legge, ha dichiarato lo stato di dissesto finanziario ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 267 del 2000, a causa della sopravvenuta impossibilità di garantire l'assolvimento delle funzioni e dei servizi indispensabili, determinata dall'imposizione, da parte della manovra finanziaria per il 2015 (legge n. 190 del 2014), di insostenibili obblighi di contenimento della spesa, accompagnati da conseguenti oneri di riversamento dei risparmi, così conseguiti nelle casse dello Stato;
   il contributo richiesto, per l'esercizio 2015, alla provincia di Caserta, è stato di un'entità tale (euro 31.273.307,73) da risultare, secondo gli interpellanti, palesemente dissimile rispetto a quelli chiesti agli altri enti, se confrontato in ambito nazionale;
   in ambito regionale, la provincia di Salerno ha versato euro 24.920.650,48, quindi oltre 6 milioni di euro in meno rispetto a Caserta, e che, a livello nazionale, città metropolitane e province come Bologna (5,327 milioni di euro), Brescia (23,226 milioni di euro, Varese (4,836 milioni di euro), Genova (5,374 milioni di euro), Bari (12,510 milioni di euro) e Milano (18,155 milioni di euro) si sono viste imporre contributi certamente più sostenibili, pur in presenza di un tessuto socio-economico più strutturato rispetto a quello casertano, dal punto di vista finanziario;
   solo le città metropolitane di Roma e Napoli sono state più penalizzate della provincia di Caserta, che certamente per consistenza demografica ed estensione territoriale sono, con ogni evidenza, del tutto incomparabili con la realtà casertana;
   tra l'altro la quantificazione del contributo complessivo per il 2016 (euro 41.000.000,00 circa), pur se fondata su criteri in parte riformati rispetto al 2015, conduce al paradossale risultato che le risorse disponibili nel bilancio della provincia di Caserta, considerate al netto del contributo de quo, sono largamente insufficienti alla copertura delle spese che lo stesso Ministero dell'interno ha certificato come inderogabili;
   nelle condizioni date, la provincia di Caserta è venuta a trovarsi nella oggettiva impossibilità di procedere all'approvazione di un bilancio di previsione stabilmente riequilibrato, non essendo il livello della spesa ulteriormente comprimibile in misura sufficiente a colmare lo squilibrio, ammontante, in termini previsionali, in euro 63.324.152,00;
   diversi incontri e manifestazioni si sono tenuti tra sindaci, associazioni e sindacati e che hanno visto la partecipazione anche di dirigenti scolastici, visto che la grave situazione finanziaria non consente loro tra l'altro di provvedere a fare manutenzione straordinaria e ordinaria negli istituti scolastici;
   la provincia di Caserta presenta peculiarità assolutamente eccezionali, non equiparabili a nessun'altra provincia italiana, in quanto a compromettere irrimediabilmente le condizioni finanziarie dell'ente è bastata la singolare quantificazione del contributo per l'anno 2015, che non ha avuto eguali a livello nazionale; pertanto, solo il mancato consolidamento, a decorrere dall'esercizio in corso, degli oneri di che trattasi, a partire dalla quota 2015, può offrire alla provincia di Caserta l'opportunità di evitare l'imminente blocco totale di tutte le attività e di non rinunciare al ruolo istituzionale riconosciutoLe dalla nostra Costituzione;
   l'esercizio finanziario 2017 risulta, quindi, ad oggi, privo di una programmazione contabile cui si possa riconoscere carattere autorizzatorio della gestione finanziaria, ponendo con straordinaria urgenza il problema della continuità stessa delle funzioni e delle attività dell'ente;
   il decreto-legge recante misure in favore degli enti locali, tra cui le province, approvato nell'ultimo Consiglio dei ministri di martedì 11 aprile 2017 non contiene alcuna norma e/o stanziamento che possa alleviare o far superare alla provincia di Caserta la drammatica situazione finanziaria che vive l'ente ed eliminare l'emergenza per le scuole e le strade della provincia di «Terra di Lavoro», a rischio di imminente chiusura per l'impossibilità della stessa provincia di garantire la manutenzione anche ordinaria delle infrastrutture e degli immobili, oltre che le spese fisse per utenze e funzionamento –:
   se intenda assumere iniziative quanto prima per l'adozione di un provvedimento ad hoc per la provincia di Caserta al fine di scongiurare l'interruzione dei pubblici servizi oltre che di evitare dolorose ripercussioni sui cittadini del territorio.
(2-01760) «Sgambato, Marchi, Lacquaniti, D'Ottavio, Bargero, Amato, Casellato, Incerti, Carella, Montroni, Giovanna Sanna, Ventricelli, Rocchi, Dell'Aringa, Zampa, Manfredi, Famiglietti, Rampi, Naccarato, Paola Boldrini, Cuomo, Carloni, Di Lello, Berretta, Giacobbe, Cominelli, Sbrollini, Mazzoli, Meta, Stella Bianchi, Patrizia Maestri, Paolo Rossi, Marantelli, Grassi».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, QUARANTA, D'ATTORRE, ROBERTA AGOSTINI, PIRAS, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO, KRONBICHLER, SCOTTO e NICCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il piano nazionale di razionalizzazione della polizia di Stato prevede la chiusura di 54 sedi di polizia postale dislocate su tutto il territorio nazionale;
   saranno pertanto soppressi numerosi presidi con conseguente redistribuzione del personale addetto alle questure;
   gli uffici di polizia postale svolgono una delicatissima e qualificata funzione di contrasto alle crescenti attività criminali perpetrate attraverso gli strumenti informatici, quali accessi abusivi a sistemi informatici, frodi informatiche e truffe e-commerce, furti d'identità, diffamazioni e minacce sui social network, pedopornografia;
   tra le sedi interessate dal piano di razionalizzazione e che potrebbero essere chiuse nei prossimi mesi figura quella di Pesaro;
   come per altri presidi, i dati relativi alle denunce effettuate presso gli uffici di polizia postale di Pesaro mostrano un'attività con volumi significativi (con oltre 400 denunce all'anno), che andranno a sovraccaricare, in caso di chiusura, l'unico presidio che residuerà nella regione: quello di Ancona;
   la redistribuzione del personale attualmente in servizio presso i presidi di polizia postale nelle questure comporterà, inoltre, una dispersione di professionalità che andrebbero al contrario sostenute e potenziate, considerato il costante aumento, nel numero e nel grado di offensività, dei reati informatici;
   sebbene il piano di razionalizzazione abbia il corretto obiettivo di ridurre i costi amministrativi, questo non può avvenire a discapito delle attività di istituto della polizia;
   ad avviso degli interroganti, lo smantellamento della sede della polizia postale di Pesaro priverà il territorio di un importante presidio di sicurezza e prevenzione per i cittadini, considerato che, oltre all'attività di repressione dei reati, la polizia postale svolge anche una importantissima attività a contatto diretto con i cittadini, con iniziative educative, di formazione ed informazione;
   tra queste attività risulta particolarmente meritoria quella svolta presso le scuole, nei confronti sia di studenti e docenti che di genitori, per prevenire reati che destano un forte allarme sociale come il cyberbullismo, la pedopornografia e l'adescamento di minori –:
   se il Ministro interrogato non intenda, anche alla luce delle criticità illustrate in premessa, rivedere il piano di ridimensionamento al fine di scongiurare la perdita delle attività svolte dalla polizia postale di Pesaro;
   quali misure intenda promuovere per garantire il prezioso e insostituibile lavoro che i presidi territoriali hanno sino ad oggi svolto in ordine alle attività di prevenzione, educazione e formazione contro i rischi della rete internet. (5-11147)


   TONINELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dalla stampa locale (articolo su La Provincia di Cremona dell'8 aprile 2017, pagina 14), i vertici del Ministero dell'interno hanno presentato alle organizzazioni sindacali un documento, intitolato «Nuova architettura della polizia postale e delle telecomunicazioni», che, nell'ambito della generale razionalizzazione dei presidi di polizia, prevede la soppressione della sezione della polizia postale di Cremona. Nello specifico, il Ministero «per adeguarsi alle nuove necessità operative e alla trasformazione che ha subito il settore» avrebbe rappresentato la necessità di operare una vasta razionalizzazione che interesserà tutto il territorio nazionale in base al genere dei reati che vengono perseguiti dalla polizia postale. In Lombardia, secondo le intenzioni del dipartimento, rimarrebbero infatti attivi solamente il compartimento di Milano e le sezioni di Brescia, Como e Sondrio. Nelle province nelle quali non vi sarà più la sezione specializzata di polizia postale, sarebbe secondo tale progetto istituita nelle questure una «sezione reati informatici», all'interno delle squadre mobili. Se quanto riportato dovesse essere confermato sarebbe necessaria anzitutto chiarezza circa la determinazione del piano di razionalizzazione in un ambito come quello in questione, che si suppone andrebbe invece rafforzato in generale e che si presume andrebbe particolarmente rafforzato in aree caratterizzate da intensa attività economica e quindi dei reati ad essa connessa, che notoriamente hanno una incidenza sempre maggiore a livello telematico. Chiariti i termini generali di tale razionalizzazione andrebbero chiariti i criteri che, nello specifico caso della Lombardia, hanno portato ad individuare gli uffici che dovranno chiudere, anche in relazione alle peculiarità del territorio e della necessità di garantire la sicurezza in questo settore, anche al fine di garantire l'apparato finanziario, produttivo e commerciale nel suo complesso;
   infine, si pone il problema, denunciato dalle organizzazioni sindacali di settore di tutelare il personale coinvolto, con la sua professionalità e la conseguente attività svolta al servizio dei cittadini –:
   in base a quali criteri il piano di razionalizzazione di cui in premessa sia stato predisposto, sia in generale sia nello specifico caso della regione Lombardia e, in particolare, in relazione alla sezione di polizia postale della provincia di Cremona;
   quali misure si intendano adottare per salvaguardare ad un tempo la professionalità del personale della sezione in questione e il livello di tutela garantito in questo settore nell'ambito territoriale cremonese. (5-11149)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un'intervista apparsa sui quotidiano «Giornale di Sicilia» in data 11 aprile 2017 il procuratore generale di Caltanissetta, Sergio Lari, ha lanciato l'allarme sui «processi di radicalizzazione di alcuni soggetti all'interno di alcuni centri per immigrati»;
   stando alle dichiarazioni del procuratore «attraverso monitoraggi della Polizia postale, sono state trovate sul web tracce di questi processi», ma non ha rivelato altro a causa dell'esistenza di indagini in corso;
   secondo il magistrato l'allarme terrorismo «è un rischio concreto. Questo è un territorio delicato. Nel nisseno, per come emerge da alcuni dati comunicati dalla procura, ma parlo anche di Enna, vi è la presenza di numerosi centri di accoglienza e di uno dei pochi centri – il Centro di identificazione ed espulsione – che accoglie soggetti scarcerati»;
   dalle indagini condotte sinora sui processi di radicalizzazione, i soggetti coinvolti «operano a livello italiano ed europeo», e in un caso si sarebbe già arrivati all'emissione di un'ordinanza di custodia cautelare;
   anche Anis Amri, il cittadino tunisino che la sera del 19 dicembre 2016 ha messo a segno l'attentato di Berlino, era stato detenuto sia nel carcere di Agrigento sia nel Centro di identificazione ed espulsione di Caltanissetta, e dopo l'attentato è comunque rientrato in Italia –:
   di quali elementi aggiuntivi disponga il Ministro interrogato in merito ai fatti di cui in premessa, e quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di prevenirli e di garantire la sicurezza di tutti i cittadini italiani. (4-16296)


   MINARDO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la situazione concernente gli sbarchi dei migranti nella regione Sicilia si sta facendo sempre più complessa e critica. Ormai da molti mesi gli sbarchi si sono fatti sempre più costanti e costituiscono un eventuale pericolo sanitario per i cittadini data l'eventuale possibilità che gli stessi migranti siano portatori di malattie anche infettive;
   pertanto è necessario prevedere presidi sanitari speciali organizzati e dotati di personale idoneo a fare immediati controlli sanitari nei luoghi di sbarco dei migranti come i porti di Pozzallo e di Augusta, al fine di prevenire eventuali malattie dovute agli sbarchi dei migranti. Ciò a tutela della salute di tutti i cittadini;
   a tal fine l'interrogante propone di prevedere l'implementazione delle risorse economiche dello Stato alla regione Sicilia per consentire l'istituzione dei predetti presidi –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, per dotare la regione Sicilia di presidi sanitari idonei e adeguati a effettuare i necessari controlli a tutela della salute dei cittadini, in considerazione di quanto esposto in premessa. (4-16297)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Gambaro di Ferriere è un piccolo paese di montagna, che si trova a 4 chilometri da Ferriere e a 65 da Piacenza, nel quale sono rimaste, in totale, solo 18 persone a vivere tutto l'anno, di cui 4 minori e 8 con più di 70 anni;
   qualche giorno fa i residenti hanno avuto notizia che a Gambaro il proprietario di un albergo, ormai in disuso da più di trent'anni, ha messo a disposizione lo stabile per l'accoglienza di 30 richiedenti protezione internazionale, tutti uomini, in accordo con la cooperativa «Multiethnic destination international» di Piacenza;
   secondo quanto riportato dalla stampa, pare che la stessa cooperativa avrebbe chiesto alla prefettura, oltre alla gestione della struttura a Gambaro, di poter aprire un altro centro di accoglienza per altri 40 richiedenti protezione internazionale in strada dell'Anselma, a Piacenza, e per ulteriori 30 ad Albone di Podenzano;
   come riportato sempre dai quotidiani nei giorni scorsi, la notizia avrebbe preoccupato fortemente sia i residenti, ma anche gli stessi amministratori del piccolo borgo, che hanno annunciato iniziative di protesta per esprimere il loro forte dissenso all'arrivo di immigrati nel proprio comune, privo delle condizioni per l'accoglienza anche per motivi di ordine pubblico;
   difatti, Gambaro, un paesino a spiccata vocazione turistica, anche per la presenza di un castello storico, è situato ad una altezza di 900 metri sul mare e, durante i lunghi inverni, non è raggiungibile e rimane isolato a causa delle intense nevicate, mentre, negli altri mesi, è servito solo da due pullman al giorno verso il capoluogo;
   a Ferriere è stata chiusa, da tempo, la caserma dei carabinieri e il servizio di emergenza sanitario è presente solo nei fine settimana e, pertanto, in caso di bisogno, sia le forza dell'ordine, che il servizio sanitario dovrebbero arrivare dal paese più vicino, che si trova a 20 chilometri di montagna;
   altresì, l'albergo messo a disposizione a Gambaro, pare, non sia dotato di impianti a norma di legge e che versi in stato fatiscente, con solo 2 locali adibiti a servizi igienici su 10 stanze, in condizioni peraltro pessime;
   il caso di Gambaro non è isolato ma si aggiunge ad altri sempre nella zona, come quello di Cassano di Ponte dell'Olio, e rappresenta un'idea, a giudizio dell'interrogante, totalmente sbagliata di accoglienza e gestione dell'immigrazione, in quanto è altissimo il rischio di scontro sociale tra i pochi residenti e i richiedenti asilo situati nella struttura;
   Gambaro, come in generale tutti i comuni dell'arco appenninico emiliano-romagnolo, è già gravato da numerosi disagi, caratterizzati dal continuo spopolamento, oltre che dal costante taglio di servizi, e l'inserimento di richiedenti asilo in numero maggiore rispetto alla popolazione non rappresenta una gestione logica dell'immigrazione –:
   quali controlli siano stati effettuati preventivamente dalla prefettura competente in merito alle condizioni urbanistiche ed edilizie della struttura sita a Gambaro di cui in premessa, nonché circa l'idoneità della stessa ad essere adibita a centro di accoglienza;
   quali siano le somme finora erogate alla Multiethnic Destination International per la gestione di centri di accoglienza per richiedenti protezione internazionale dal 2015 ad oggi;
   inoltre, quale sia il numero, l'identificazione anagrafica, la nazionalità e le condizioni sanitarie degli immigrati che sarebbe intenzione del Governo alloggiare a Gambaro;
   quanti di questi abbiano già formalizzato domanda di protezione internazionale, a quale punto sia la procedura per l'esame delle domande ed eventualmente gli esiti delle stesse;
   anche alla luce delle considerazioni sopra esposte, in particolare della volontà espressa dai residenti, quali iniziative intenda assumere tempestivamente il Ministro interrogato al fine di non consentire l'apertura di un centro di accoglienza a Gambaro. (4-16300)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 12 aprile la Camera ha approvato in via definitiva il disegno di legge di conversione del decreto-legge 17 febbraio 2017, n. 13, recante disposizioni urgenti per l'accelerazione dei procedimenti in materia di protezione internazionale, nonché per il contrasto dell'immigrazione illegale (C. 4394);
   l'articolo 19, comma 1, ridenomina i «Centri di identificazione ed espulsione» (CIE), di cui all'articolo 14 del decreto legislativo n. 286 del 1998, in «Centri di permanenza per i rimpatri» (CPR) e viene, altresì, disposto che, al fine di assicurare la più efficace esecuzione dei provvedimenti di espulsione dello straniero, il Ministro dell'interno, adotti le iniziative per garantire l'ampliamento della rete dei centri di cui al comma 1, in modo da assicurare la distribuzione delle strutture sull'intero territorio nazionale (comma 3, primo periodo). Per centri di nuova istituzione verranno scelte strutture di proprietà pubblica, per le quali sono previsti adeguamenti e ristrutturazioni per realizzare strutture «idonee a garantire condizioni di trattenimento che assicurino l'assoluto rispetto della dignità della persona»;
   tale attenzione, purtroppo, non viene specificata per l'affidamento dei servizi all'interno dei nuovi CPR, per la cui spesa di gestione è autorizzato un esborso di euro 3.843.000 nel 2017, di euro 12.404.350 nel 2018 e di euro 18.220.090 a decorrere dal 2019 (comma 3, quinto e sesto periodo);
   a questo proposito si ricorda che il «Rapporto sui centri di identificazione ed espulsione – (aggiornamento gennaio 2017)» della Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica, dove si rinnova l'urgenza di risolvere tutte le criticità della gestione delle strutture di trattenimento e di rispettare gli standard definiti a livello centrale, poiché si assiste al «perpetrarsi di forti disuguaglianze nella gestione delle diverse strutture» e, l'aspetto maggiormente preoccupante è che «negli ultimi anni per effettuare le gare d'appalto per l'affidamento della gestione dei centri, si è provveduto con la modalità a ribasso e ciò inevitabilmente comporta un abbassamento della qualità dei servizi forniti ai trattenuti»;
   nonostante per gli appalti pubblici esista un'ampia normativa e la trasparenza debba rappresentare un requisito fondamentale, non esiste, purtroppo, una lista aggiornata e dettagliata in questo ambito (l'unica presente sul sito del Ministero dell'interno risale al 28 luglio 2015). Non si conoscono quindi né i soggetti che hanno in gestione questi centri, né i fondi che ricevono per il servizio che svolgono –:
   se il Governo non ritenga opportuno rendere pubblico e accessibile l'elenco degli enti e delle associazioni gestori dei servizi erogati all'interno dei «centri di identificazione ed espulsione», ora «centri di permanenza per i rimpatri», ai fini della trasparenza e del rispetto del diritto di accesso agli atti della pubblica amministrazione;
   come intenda rispondere in relazione alle preoccupazioni sollevate dalla Commissione straordinaria per la tutela e la promozione dei diritti umani del Senato della Repubblica, riguardo alle criticità dovute all'affidamento della gestione dei centri con la modalità al ribasso, e se non ritenga possibile adoperarsi affinché, specialmente per questo delicato settore, siano effettuate scelte in base a criteri eticamente più validi. (4-16306)


   VARGIU. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 marzo 2017, un gruppo di ultras del Cagliari Calcio si è reso protagonista di gravi fatti contro l'ordine pubblico nella città di Sassari, che hanno determinato l'attivazione del Daspo contro 66 persone, individuate come responsabili dei fatti dalla questura di Cagliari;
   unitamente a tale provvedimento, in data 5 aprile 2017, la prefettura di Cagliari avrebbe emanato una ulteriore disposizione che, a fini precauzionali di tutela dell'ordine pubblico, rende obbligatoria la «tessera del tifoso» per tutti coloro che intendono accedere alle partite casalinghe del Cagliari Calcio, sino al termine dell'attuale stagione calcistica;
   per effetto di tale decisione della prefettura, nella stessa giornata del 5 aprile 2017, il Cagliari Calcio ha diramato una propria nota in cui comunica che i circa 500 tifosi possessori dell'abbonamento «a voucher» per l'attuale stagione calcistica, oltre ad essere obbligati a sottoscrivere la tessera del tifoso (eccezionalmente offerta al costo di 1 euro sino al 9 aprile 2017) sarebbero inibiti nell'utilizzo del loro abbonamento (come se anch'essi avessero subito la Daspo) per motivi legati all'impossibilità di aggiornare i sistemi di lettura dei voucher ai tornelli dello stadio;
   secondo la stessa logica di tutela dell'ordine pubblico, il Cagliari Calcio ha comunicato che qualsiasi tifoso (compresi gli abbonati «a voucher») volesse assistere estemporaneamente ad una singola partita casalinga della squadra del cuore, è anch'egli obbligato a sottoscrivere la tessera del tifoso;
   appare del tutto comprensibile il desiderio di portare ordine, decoro e passione sportiva vera all'interno dello stadio del Cagliari, scoraggiando qualsiasi ipotesi di partecipazione violenta agli eventi agonistici;
   va tuttavia rilevato come la tessera del tifoso non nasce con l'obiettivo di «schedare» gli appassionati di calcio, ma con quello di selezionare e agevolare i servizi resi ai sostenitori ufficiali della squadra, creando una sorta di «comunità privilegiata», riconosciuta dalla società e coesa al proprio interno, anche attraverso iniziative comuni, orientate alla tutela dei valori del tifo sportivo;
   non appare pertanto in nessun modo giustificato l'obbligo di adesione alla comunità dei tifosi associati tramite tessera del tifoso per tutti coloro che non intendono in alcun modo partecipare a tale comunità privilegiata, ma hanno comunque piacere di sostenere allo stadio la propria squadra del cuore, ogni volta che possono;
   il provvedimento restrittivo appare ancora più ingiustificato in considerazione della tradizionale correttezza della tifoseria cagliaritana, che non può certo essere indistintamente assimilata agli atti di teppismo del 25 marzo 2017, ascrivibili ad un gruppo assai limitato di violenti, peraltro ben noto agli ambienti delle forze dell'ordine e già giustamente circoscritto e sanzionato attraverso i provvedimenti Daspo irrogati;
   l'obbligo generalizzato di tessera del tifoso rischia altresì di favorire l'assimilazione culturale di tutti i tifosi del Cagliari alle quote marginali di teppisti puniti con il Daspo con l'effetto involontario di allontanare dallo stadio proprio quella parte più tranquilla e più sportiva di tifoseria occasionale, di giovani, di famiglie la cui partecipazione fisica agli eventi sportivi aiuta a migliorarne le condizioni di sicurezza –:
   se non ritenga opportuno assumere immediatamente ogni iniziativa di competenza perché sia revocato l'obbligo di adesione alla comunità dei tifosi dotati di «tessera del tifoso» per tutti coloro che intendono continuare a seguire le partite casalinghe del Cagliari Calcio attraverso l'ordinario strumento dell'abbonamento «a voucher» o con l'acquisto sporadico del singolo biglietto per le gare di proprio interesse. (4-16309)


   RAMPI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come in altre parti del Paese, anche nel territorio di Monza e Brianza, si manifestano alcune problematiche rispetto ad una gestione efficace, ragionata e di basso impatto nell'accoglienza dei richiedenti asilo;
   vanno considerate le difficoltà della popolazione e dei comuni, in particolare di quegli amministratori locali che, con senso di responsabilità e delle istituzioni, si prodigano per garantire una doverosa accoglienza umana a chi ne ha bisogno e attenzione ai disagi della popolazione;
   vanno ripetendosi sul territorio episodi di matrice neofascista che strumentalizzando tali vicende, hanno ad oggi impedito il corretto svolgimento delle sedute del consiglio comunale tanto a Desio quanto a Monza; fatti gravissimi per il valore delle istituzioni e della democrazia. E stanno fattivamente interferendo con il regolare svolgimento della campagna elettorale a Monza –:
   se il Ministro interrogato intenda seguire con il massimo livello di attenzione, il tema e quali iniziative di competenza intenda assumere, in particolare, per garantire che nessuno possa, con la violenza, interferire con lo svolgimento di attività fondamentali della nostra democrazia, quali quelle dei comizi elettorali e dei consigli comunali, respingendo ogni inopportuna minimizzazione di tali episodi. (4-16314)


   ALLASIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in molte città italiane dilagano i fenomeni dell'abusivismo e della contraffazione, tanto che in alcuni centri si assiste alla nascita spontanea di veri e propri suk, dove ogni merce viene scambiata senza tracciabilità e rispetto delle regole della concorrenza;
   il caso particolare riguarda la città di Torino, dove in una via del centro si sono riunite circa 150 persone, ancora da identificare, per dar vita ad un mercato di scambio, senza permesso e, stando alle denunce di due consiglieri, rispettivamente della Lega nord e del Partito democratico, con la sostanziale tolleranza della stessa amministrazione locale;
   quanto accaduto è di estrema gravità; il fenomeno ha infatti ripercussioni non solo sul commercio regolare, inquinando il mercato con merci di dubbia provenienza o contraffatte, ma anche sulla tenuta stessa del sistema economico e sociale del territorio;
   l'illegale occupazione dello spazio urbano non è stata efficacemente contrastata dalle forze dell'ordine e rischia quindi, in mancanza di adeguati controlli, di ripresentarsi ogni qual volta ve ne sia l'occasione, andando ad alimentare un fenomeno ormai fuori controllo;
   il danno di immagine ed il degrado che gli ambulanti abusivi recano alla città di Torino è smisurato; oltretutto, l'esercizio abusivo dell'attività, che non è circoscritto ma si snoda nelle diverse vie commerciali della città, impedisce la regolare percorribilità delle stesse, con ricadute sulla sicurezza e sull'ordine pubblico –:
   se intenda promuovere specifici incontri, con tutti i soggetti coinvolti, al fine di sviluppare un più efficace sistema di controllo del territorio che consenta di monitorare e contrastare, anche alla luce dei risvolti di ordine pubblico, la nascita spontanea di veri e propri mercati abusivi nei centri delle città italiane, con particolare riguardo a Torino, dove il fenomeno è molto diffuso e rischia di minare il tessuto economico e sociale della città. (4-16315)


   FANTINATI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da alcune inchieste giornalistiche, pubblicate nelle scorse settimane, è emerso che sono quasi 5 mila i ristoranti del nostro Paese finiti nelle mani della criminalità organizzata;
   l'attenzione dei clan mafiosi sul mondo della ristorazione spazia dal franchising ai locali esclusivi, da bar alla moda a trattorie e ristoranti di lusso;
   queste attività costituiscono la migliore copertura per mascherare guadagni frutto di attività illecite: traffico di droga, estorsioni, strozzinaggio. I pubblici esercizi – grazie alla complicità di imprenditori collusi che vendono una parte delle proprie quote – sono assai utili alle associazioni criminali in quanto hanno una facciata di legalità dietro la quale è difficile risalire ai veri proprietari e all'origine dei capitali;
   a Zimella, un comune di cinquemila abitanti, tra le province di Verona e Vicenza, è in attività un ristorante pizzeria «La Fortezza» al centro della fitta rete di rapporti tra famiglie calabresi attive in Veneto e in odore di ’ndrangheta;
   come riferiscono le cronache locali, il ristorante è il punto di riferimento dei ’ndranghetisti veneti, tesi confermate anche dalle dichiarazioni del pentito Angelo Salvatore Cortese;
   proprietario del locale è Domenico Multari, boss calabrese con numerosi precedenti e condanne per sequestro di persona, omicidio colposo, ricettazione e bancarotta fraudolenta, a cui i magistrati antimafia, nel 2011, avevano sequestrato tre milioni in immobili, auto e quote societarie, e 500 mila euro, nel 2012, soprattutto di immobili. Scrive Il Mattino di Padova: «A fronte di redditi dichiarati (in 10 anni) per 40 mila euro, Multari aveva dimostrato un volume d'affari incompatibile con la sua dichiarazione dei redditi. In realtà, sospettano gli investigatori, parte del suo patrimonio è ancora protetto da prestanome, tra cui imprenditori e professionisti veneti» –:
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per potenziare gli organici, le capacità e gli strumenti degli organi inquirenti presenti sul territorio della provincia di Verona al fine di agevolare il controllo delle aree che vedono la presenza massiva e ramificata di numerose famiglie mafiose e implementare le attività di contrasto delle organizzazioni criminali. (4-16317)


   DE MENECH. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   i recentissimi fatti di sangue avvenuti nel ferrarese, a Portomaggiore, con l'uccisione della guardia volontaria Valerio Verri e il gravissimo ferimento con tre colpi di arma da fuoco dell'agente della polizia provinciale di Ferrara, Marco Ravaglia, mettono in evidenza, per gli interroganti, la grave discriminazione oggi esistente rispetto al trattamento giuridico e di garanzie fra il personale di polizia operante sul territorio italiano;
   Marco Ravaglia è rimasto ferito, a seguito di un controllo di servizio, da Igor Vaclavic durante la sua fuga nelle campagne ferraresi;
   Marco Ravaglia è un agente della polizia provinciale di Ferrara;
   il corpo di polizia provinciale nasce come principale forza a tutela del territorio e in particolare vigilanza ittico-venatoria ed ambientale;
   gli operatori delle polizie provinciali italiane (circa 2000 unità) svolgono, in aree prevalentemente extra-urbane e rurali, molteplici attività di polizia giudiziaria, in particolare per il rispetto di una vasta normativa nel campo della tutela ambientale (lotta al bracconaggio, controllo del ciclo e del traffico di rifiuti, uso delle acque e del suolo, inquinamenti, edilizia, cave, e altro), oltre alla vigilanza sui 120.000 chilometri di rete viaria provinciale;
   riemerge, così, ancora una volta, la situazione che stanno vivendo gli agenti del corpo di polizia provinciale che, a seguito della riforma delle province, non è più considerato esercitare una funzione fondamentale per gli enti di area vasta, e non ha trovato, ad oggi, una collocazione stabile e giuridicamente sicura;
   tutto ciò deve far riflettere sulla necessità di prevedere il mantenimento delle professionalità delle polizie provinciali anche nell'ambito della nuova riorganizzazione, riconoscendo e tutelando le professionalità maturate in campo ambientale, evitando di disperdere il patrimonio umano formato e ricco di esperienze presente nei corpi di polizia provinciale;
   alcune regioni, in questi mesi, hanno assorbito le funzioni attualmente svolte dai corpi e dai servizi di polizia provinciale, in materia di controllo e tutela della fauna selvatica, di polizia ittico-venatoria, nonché le funzioni di polizia relative alle attività di tutela dell'ambiente e dello smaltimento dei rifiuti delegate dallo Stato, istituendo dei servizi di vigilanza;
   risulta indispensabile garantire ai corpi di polizia provinciale le qualifiche di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza necessarie all'espletamento delle funzioni affidate e assicurare agli stessi diritti come l'istituto dell'equo indennizzo e del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio, nonché l'accesso alle banche dati ministeriali per finalità istituzionali;
   la riorganizzazione delle polizie provinciali deve, quindi, prevedere che i dipendenti seguano la nuova assegnazione delle funzioni e delle competenze che oggi fanno capo alle province, in particolare nei campi di tutela ambientale, di vigilanza del territorio, ittica e venatoria, così come stabilito dalla legge 7 aprile 2014, n. 56;
   la scala geografica di riferimento per gestire al meglio funzioni come quelle sopra descritte è sicuramente quella sovracomunale, delle aree vaste (province), o delle regioni –:
   come il Governo intenda superare questa situazione di stallo e quali iniziative normative intenda assumere per collocare in maniera definitiva il personale delle polizie provinciali in un ambito definito (province o regioni), garantendo nel contempo le qualifiche di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza necessarie all'espletamento delle funzioni affidate e gli stessi diritti degli altri operatori di polizia. (4-16320)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI BENEDETTO, BRESCIA, MARZANA, D'UVA, LUIGI GALLO, VACCA e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 9 febbraio 2017, n. 8, modifica parzialmente il decreto 17 ottobre 2016, n. 189, al fine di fronteggiare l'eccezionale reiterarsi di eventi sismici, in concomitanza con il verificarsi di eccezionali condizioni climatiche avverse e calamità naturali che hanno interessato le aree terremotate di Abruzzo, Lazio, Marche e Umbria;
   il citato decreto prevede l'approvazione di piani finalizzati ad assicurare il ripristino, per il regolare svolgimento dell'anno scolastico 2017-2018, delle condizioni necessarie per la ripresa della normale attività scolastica, educativa e didattica;
   gli interventi funzionali al realizzazione di tali piani devono essere comunicati al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e si avvalgono della procedura di cui all'articolo 63, comma 1 e 2, del decreto 18 aprile 2016, n. 50;
   grazie a un emendamento proposto dal MoVimento Cinque Stelle, al testo del decreto n. 8 del 2017, la previsione di interventi urgenti per le verifiche di vulnerabilità sismica è stata estesa non solo alle scuole situate all'interno del «cratere» sismico ma anche a tutte quelle che sorgono in zone a rischio sismico 1 e 2, vale a dire in Abruzzo, Campania, Calabria, Friuli e tutto il dorso appenninico. Il disposto prevede anche la progettazione degli eventuali interventi di adeguamento antisismico che risultino necessari a seguito delle suddette verifiche;
   per tali finalità, sono destinate agli enti locali le risorse di cui all'articolo 1, commi 161 e 165, della legge 13 luglio 2015, n. 207, vale a dire quelle che residuano, alla data di entrata in vigore della stessa legge, a seguito di finanziamenti, attivati con la Cassa depositi e prestiti negli anni 1986, 1987, 1988, e 1991. Si precisa che almeno il 20 per cento del totale deve essere destinato agli enti locali che si trovano nelle quattro regioni interessate dal sisma;
   la maggior parte delle scuole italiane è stata costruita prima dell'entrata in vigore della normativa antisismica, quindi, ad oggi solo l'11,7 per cento di esse risulta adeguata;
   è importante rilevare anche che i dati risultanti dalle verifiche di vulnerabilità sismica devono essere pubblicati on-line, sui siti degli istituti scolastici, al fine di renderli accessibili a chiunque;
   attualmente nelle Marche le scuole danneggiate sono oltre 362, mentre quelle inagibili sono 166 (40 totalmente); in Abruzzo 268 istituti sono danneggiati e 17 parzialmente o completamente inagibili; in Umbria 10 scuole su 50 risultano inagibili e, infine, nel Lazio otto scuole sono ferme, compresi i due istituti di Amatrice e quello di Accumoli; la situazione è in continua evoluzione e le segnalazioni da parte dei comuni continuano ad aumentare;
   durante la manifestazione nazionale, tenutasi in data 1o aprile 2017, in piazza Montecitorio, i comitati locali hanno lamentato la totale mancanza delle informazioni relative alla tempistica degli interventi e alle risorse messe a disposizione per gli stessi –:
   se ritenga opportuno assumere iniziative per prevedere la fissazione di termini per la predisposizione e l'approvazione dei piani di cui all'articolo 14, comma 2, lettera a-bis), del decreto n. 189 del 2016;
   quali iniziative saranno predisposte al fine di vigilare sulle procedure semplificate;
   quale sia l'ammontare delle risorse non utilizzate all'entrata in vigore della legge n. 107 del 2015, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 1, comma 161, della stessa legge;
   se si ritenga sufficiente rivalersi su risorse residuate da finanziamenti, attivati a partire dall'anno 1986, al fine di sostenere gli interventi di adeguamento antisismico, nonché le indagini di vulnerabilità sismica;
   quali iniziative intenda intraprendere al fine di rendere accessibili i dati relativi alle verifiche di vulnerabilità sismica e agli interventi di adeguamento. (5-11145)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MINNUCCI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da diverso tempo sia i dirigenti di diverse scuole primarie, sia gli stessi genitori o associazioni degli stessi, hanno espresso la volontà di concedere alle famiglie interessate la possibilità per i propri figli di consumare, per il pranzo, un pasto portato da casa, invece che aderire al servizio mensa garantito dal comune;
   la questione è tornata alla ribalta soprattutto grazie ad una recente sentenza della Corte di appello di Torino (n. 1049 del 21 giugno 2016) secondo cui l'esercizio del diritto allo studio, e anche della scelta del tempo pieno, non può essere subordinato ad un servizio a pagamento come quello della mensa scolastica, che deve rimanere facoltativo e non un obbligo. Né risulta praticabile, nel caso non ci si avvalga del servizio mensa, la scelta di far uscire l'alunno all'orario del pasto. Il tempo dedicato alla mensa fa parte, infatti, del percorso educativo del bambino, rientra nel tempo scuola e non costituisce una pausa, così come dettato anche dalla circolare Miur n. 29 del 5 marzo 2004;
   nonostante tali indicazioni, però, è accaduto in diverse scuole, tra cui una scuola primaria della provincia di Roma e specificatamente di Castelnuovo di Porto, che la possibilità di permettere il pasto da casa sia stata preclusa dalle Asl competenti per il territorio sulla base delle norme igienico-sanitarie vigenti che vieterebbero l'attuazione di tale sistema nello stesso luogo dove si svolge il servizio mensa ordinario sia per scongiurare rischi fisici, biologici e microbiologici che potrebbero determinarsi con l'introduzione di alimenti dall'esterno, dei quali non è controllabile né verificabile la modalità di produzione, sia per il rischio non trascurabile di scambi reciproci tra gli alunni, che potrebbero incontrare particolari allergie;
   appare evidente il contrasto normativo tra l'autonomia del dirigente scolastico, nell'organizzazione interna della scuola che presiede, e le prescrizioni igienico-sanitarie che le Asl sono deputate a far seguire in merito a questo argomento. Questo contrasto è ulteriormente accentuato da una vera e propria assenza di norme generali e statali che definiscano in modo chiaro e definitivo la materia –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di questa problematica, dovuta ad un evidente vuoto normativo, e quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, per ovviare alla stessa. (4-16304)


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2 del decreto-legge n. 77 del 15 aprile 2005, stabilisce che l'alternanza scuola-lavoro, nell'ambito del sistema dei licei e del sistema dell'istruzione e della formazione professionale, persegue le seguenti finalità: «attuare modalità di apprendimento flessibili e equivalenti sotto il profilo culturale ed educativo, rispetto agli esiti dei percorsi del secondo ciclo, che colleghino sistematicamente la formazione in aula con l'esperienza pratica; arricchire la formazione acquisita nei percorsi scolastici e formativi con l'acquisizione di competenze spendibili anche nel mercato del lavoro; favorire l'orientamento dei giovani per valorizzarne le vocazioni personali, gli interessi e gli stili di apprendimento individuali; realizzare un organico collegamento delle istituzioni scolastiche e formative con il mondo del lavoro e la società civile, che consenta la partecipazione attiva dei soggetti di cui all'articolo 1, comma 2, nei processi formativi; correlare l'offerta formativa allo sviluppo culturale, sociale ed economico del territorio»;
   con una nota del 28 marzo 2017, n. 3355, il direttore generale del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha maggiormente chiarito al punto e) che, rientrano nelle attività di alternanza scuola-lavoro, esperienze coerenti con i risultati di apprendimento previsti dal profilo educativo dell'indirizzo di studi frequentato dallo studente;
   in questi mesi sono state denunciate presso i vari organi di stampa nazionali diverse esperienze negative legate a tale progetto. Una fra tutte riguarda la denuncia proveniente dagli studenti dell'I.I.S.S. Pacinotti di Taranto, chiamati a svolgere il loro percorso di alternanza scuola-lavoro presso l'Ilva, azienda da anni ormai oggetto di varie inchieste giudiziarie, nonché responsabile dei gravi problemi ambientali, occupazionali e di sicurezza che attanagliano la città di Taranto;
   tali esperienze, unite a tanti altri episodi oppugnabili emersi soprattutto nella regione Puglia, destano molta preoccupazione sui criteri di scelta, che paiono essere del tutto incoerenti rispetto al quadro formativo degli studenti e dei loro rispetti diritti/tutele. Si parla infatti di ore lavorative superiori rispetto al previsto, condizioni igienico-sanitarie scarse, mansioni inidonee e per nulla affini al percorso scolastico –:
   se, considerate le varie denunce e le normative vigenti, si intendano porre in essere iniziative dirette di monitoraggio e controllo, valutando la possibilità di un cambio di destinazione dei luoghi di lavoro o di esclusione preventiva di tutte quelle attività che non rientrano nel quadro formativo degli studenti o che posso essere soggette a inchieste giudiziarie in merito al mancato rispetto delle disposizioni di legge in materia di sicurezza e salute.
(4-16308)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore ittico attraversa, da tempo, una gravissima crisi che, come ripetutamente denunciato dai rappresentanti del comparto, in assenza di interventi mirati da parte dello Stato, anche di natura economica, rischia di avere un ulteriore peggioramento;
   la legge n. 232 del 2016, articolo 1, comma 244, prevede che: «Al fine di garantire la continuità del reddito degli operatori del settore della pesca, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, da adottare entro sessanta giorni dalla data di sottoscrizione di accordi e contratti collettivi da parte delle organizzazioni sindacali e imprenditoriali del settore comparativamente più rappresentative a livello nazionale, ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo 14 settembre 2015, n. 148, e comunque entro il 31 marzo 2017, presso l'INPS è istituito il Fondo di solidarietà per il settore della pesca (FOSPE)»;
   il decreto istitutivo previsto dalla menzionata legge, ad oggi, ancora non risulta adottato, nonostante l'urgenza che la situazione di crisi e la carenza di tutele sociali del settore richiede –:
   quali siano i motivi del ritardo nell'adozione del decreto citato in premessa e se il Governo non ritenga, nel rispetto della tempistica indicata dalla legge n. 232 del 2016, di dover immediatamente provvedere alla sua adozione. (4-16299)


   MELILLA, ZARATTI, ZACCAGNINI, ALBINI, FOSSATI, QUARANTA, SANNICANDRO, RICCIATTI, NICCHI, KRONBICHLER, DURANTI, SCOTTO e PIRAS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal 1784 esiste a Roma l'istituto statale per i sordi. È stata la prima scuola per sordi in Italia e una delle prime istituzioni pubbliche ad occuparsi di disabili;
   è un centro di eccellenza con attività formative, con corsi di «lingua dei segni» anche per udenti o di italiano e inglese per sordi;
   è stato calcolato un bacino di utenza regionale di 10 mila persone;
   da alcuni anni sono venuti a mancare importanti finanziamenti, e al personale non sono stati corrisposti gli stipendi;
   per la trasformazione di questo istituto è necessario un regolamento che a distanza di 20 anni dall'approvazione della legge «Bassanini», il Governo non è stato in grado di definire, con danni gravi per il suo finanziamento e per la pianta organica –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere per salvare l'istituto statale per i sordi di Roma. (4-16301)


   LOMBARDI, CIPRINI, COMINARDI, TRIPIEDI, CHIMIENTI e DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Piaggio, leader nella produzione di ciclomotori, comprende, oltre allo storico stabilimento di Pontedera, i marchi di Guzzi e Aprilia; occupa complessivamente in Italia circa 3.585 lavoratrici e lavoratori a cui vanno aggiunti tutti coloro che sono occupati nell'indotto e i lavoratori stagionali. Negli anni scorsi si è avviato un processo di progressiva riduzione delle attività sul territorio nazionale dopo un investimento in India e in Vietnam (3612 dipendenti) da cui giungono veicoli, motori e parte rilevante della componentistica; gli ultimi veicoli lanciati sul mercato Liberty e Medley, ad esempio, sono prodotti in Vietnam e venduti in Europa;
   nel corso dell'ultimo incontro con la direzione aziendale, il presidente Colaninno ha preannunciato un progetto di robotizzazione delle linee di montaggio, per il momento con riferimento al solo stabilimento di Pontedera;
   tale progetto, per dichiarazione esplicita dello stesso presidente, comporterà una drastica riduzione degli addetti, circa il 50 per cento;
   in questa direzione il comune di Pontedera ha siglato un'intesa con il gruppo Piaggio per la costituzione di una società ingegneristica per la concreta realizzazione del piano di automazione stesso;
   tale progetto si inserisce all'interno di un piano industriale che non contempla investimenti significativi in nuove produzioni negli stabilimenti italiani, mentre al contempo conferma la volontà di accrescere il processo di acquisto della componentistica nel sud-est asiatico;
   il gruppo Piaggio negli ultimi anni, in particolar modo a seguito della crisi del 2008, ha abbondantemente attinto agli ammortizzatori sociali, cassa integrazione, solidarietà e mobilità;
   il risultato è stato un decremento sostanzioso del numero di addetti;
   nei prossimi mesi il gruppo non potrà più attingere ad altri ammortizzatori sociali, quindi si preannuncia una ristrutturazione pesante in termini di occupazione sia per i dipendenti degli stabilimenti che per quelli dell'indotto –:
   se il Ministro interrogato non reputi urgente convocare un tavolo tecnico con i rappresentanti dei lavoratori e dell'azienda al fine di adottare le misure conservative dei posti di lavoro, per impedire che i progetti di automazione, nell'ambito del piano «Fabbrica 4.0», determinino drammatiche ripercussioni sul piano occupazionale. (4-16307)


   FORMISANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Atitech è una delle più grandi MRO (maintenance, repair and overhaul, industria per i servizi di manutenzione di aeromobili) d'Europa, indipendente e situata a Napoli, presso l'aeroporto internazionale di Capodichino, in una regione ad alta densità per l'industria aeronautica; l'azienda fornisce servizi di manutenzione, rivolta ai più diffusi modelli di aerei al mondo, ed ha come obiettivo, l'affermazione su mercati internazionali attraverso la fornitura di servizi di alta qualità a «prezzi competitivi»;
   la società Atitech spa nasce nel 1989 da una «costola» di Ati-Aereo trasporti italiani, rilevata da Alitalia, e si può annoverare tra le eccellenze italiane; buona parte dei clienti che si rivolgono ai tecnici di Atitech spa arrivano da tutte le parti del mondo;
   oggi, purtroppo, la crisi che sta vivendo il maggior cliente, Alitalia, minaccia gravi ripercussioni a danno dell'azienda napoletana, con il rischio ipotizzato della sua totale chiusura; Alitalia, infatti, è in procinto di «tagliare» nuovamente la propria flotta narrow-body costituita in toto proprio dalla tipologia di aerei sulla quale Atitech risulta certificata e titolare di un contratto in esclusiva fino al 2020;
   alla Atitech, nel 2008 è stato concesso, ai sensi dell'articolo 1-bis del decreto-legge n. 249 del 2004, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 291 del 2004, il trattamento straordinario di integrazione salariale per i dipendenti;
   l'azienda, destinataria di tale provvedimento per 158 lavoratori in esubero, non ha espletato l'intero iter perché le proprie maestranze hanno saputo conquistare nel libero mercato una posizione di leadership nel panorama delle aziende che si occupano di manutenzione e revisione degli aerei;
   Alitalia CAI, socia in Atitech con il 15 per cento delle azioni, nel tentativo di ridurre i propri costi operativi, ha già chiesto una riduzione dei prezzi attualmente praticati;
   Atitech, pertanto, si trova a dover far fronte a due gravi problematiche costituite, da una parte, dalla concomitanza della riduzione dei carichi di lavoro, e dall'altra dalla riduzione dei prezzi attuati alla società che assicura il 40 per cento dell'attività all'altra;
   il 2 luglio 2017 avrà termine la cassa integrazione guadagni straordinaria per ristrutturazione aziendale, e la società si troverà così a dover affrontare due importanti quesiti, scegliere di cessare l'attività o tagliare una parte di personale che inevitabilmente sarà individuato fra quello con maggiore anzianità (maggiori costi) e, quindi, con maggiore esperienza, proprio quella che fa la differenza con i competitor;
   purtroppo, l'azienda è stata informata solo in data 28 dicembre 2016, alle ore 20,00, con posta elettronica certificata del Ministero del lavoro e delle politiche sociali dell'avvenuta trasmissione all'INPS dell'elenco degli aventi diritto;
   il breve tempo avuto a disposizione non ha permesso una corretta informazione ai lavoratori che sono stati in tal modo penalizzati; purtroppo, la scelta di non usufruire dal primo momento della «seconda salvaguardia» si sta rivelando una grave conseguenza per tutti; infatti, nessuno avrebbe mai immaginato che l'ex compagnia di bandiera corresse il rischio di fallire per la seconda volta –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative, affinché venga ripristinata in toto la «seconda salvaguardia» che consentirebbe a tutti quei lavoratori aventi diritto di accedervi, visto il breve preavviso dato agli stessi;
   se non ritenga che, con la «seconda salvaguardia», si possa evitare il fallimento della società Atitech spa, che avrebbe ben più gravi svantaggi per le finanze pubbliche e un ritorno d'immagine per l'economia italiana sicuramente negativo, non essendo stato tentato il salvataggio di una delle eccellenze industriali italiane. (4-16312)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la siccità che ha colpito il Veneto negli ultimi mesi sta causando danni ingenti all'agricoltura in un momento delicato come quello della semina e dell'irrigazione dei campi;
   l'assenza di precipitazioni, soprattutto in montagna, ha determinato, in Veneto, una situazione di grave criticità che, per quanto riguarda le falde, sta superando in negativo ogni record storico relativamente agli ultimi 20 anni. Ma le conseguenze si vedono anche su corsi d'acqua piccoli e grandi;
   analizzando il periodo ottobre 2016–marzo 2017, c’è un deficit di 170 millimetri di precipitazioni, a fronte dei 350 millimetri attesi, che difficilmente potrà essere recuperato, in considerazione del fatto che non c’è neve da sciogliere in montagna. Il quadro della situazione lo ha delineato il bollettino Arpav secondo cui il «Water Scarcity Index», l'indicatore che rileva la criticità della situazione idrica, è il secondo peggiore degli ultimi 27 anni: solo nel 2002 la situazione era più critica;
   «La piovosità media di marzo è di 70 mm. Già all'inizio del mese avevamo un deficit di precipitazioni di 124 mm accumulato dal 1o ottobre. Non sappiamo quanto pioverà, ma di certo il deficit della risorsa idrica sta ancora peggiorando», ha spiega Italo Saccardo, responsabile del servizio Idrogeologico dell'Arpav;
   la regione Veneto, dopo il tavolo convocato nei giorni scorsi dagli assessori alla Protezione civile e all'agricoltura, è orientata a dichiarare lo stato di crisi;
   secondo Coldiretti «servono interventi di manutenzione, risparmio, recupero e riciclaggio delle acque, campagne di informazione ed educazione sull'uso corretto dell'acqua, un impegno per la diffusione di sistemi di irrigazione a basso consumo, ma anche ricerca e innovazione per lo sviluppo di coltivazioni a basso fabbisogno idrico» –:
   quali iniziative s'intendano assumere per far fronte alla grave siccità in atto e quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare per dare un sostegno concreto ed immediato alle aziende agricole colpite dal fenomeno della siccità che, quest'anno, si manifesta in forma grave. (4-16298)

SALUTE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   l'Avis (Associazione volontari italiani sangue) comunale di Salerno è convenzionata con l'Azienda ospedaliera universitaria di Salerno e con la Asl Salerno. Per tali convenzioni fino al 31 luglio 2014 sono state effettuate raccolte di sangue con i vari ospedali dell'Asl Salerno presso i punti di raccolta dei poliambulatori ed altri non poliambulatori ma ritenuti idonei dai responsabile dei centri trasfusionali, a volte utilizzando anche l'autoemoteca dell'Avis, oltre alle raccolte esterne gli stessi donatori volontari venivano a fare i prelievi presso la sede Avis (Unità di raccolta fissa) in Salerno via Pio XI n. 1;
   a seguito dell'approvazione del decreto 50 GRC del 16 luglio 2014 quanto sopra non sarebbe stato possibile se non si fosse proceduto all'accreditamento delle strutture (quindi sede Avis di Salerno e dell'autoemoteca), nonché dei poliambulatori (ma questo rientrava tra le competenze dell'Asl di Salerno);
   l'Avis comunale di Salerno ha inoltrato domanda indirettamente, tramite il SIT, dell'azienda ospedaliera universitaria di Salerno, ritenendo che la sua unità di raccolta fissa potesse (giustamente) ritenersi un'articolazione funzionale del SIT, così come l'unità di raccolta presso l'ospedale «Fucito» di Curteri di Mercato S. Severino e della struttura sanitaria di Castiglione di Ravello; domanda presentata il 31 luglio 2014;
   a tale richiesta, la regione ed il Centro regionale sangue (Crs) non hanno dato alcun seguito senza nemmeno rispondere a tale richiesta;
   successivamente, l'Avis di Salerno ha inoltrato la stessa il 3 novembre 2014: viene risposto dalla regione Campania (direzione generale per la tutela della salute ed il coordinamento del sistema sanitario regionale UOD 06 assistenza Sanitaria), con comunicazione del 21 novembre 2014, che la domanda non poteva essere accolta: 1) perché inoltrata oltre i termini prescritti; 2) perché non risulta nell'elenco dell'Unità di raccolta censite dal Centro regionale sangue; si precisa che, con comunicazione del 6 aprile 2011, il centro regionale sangue attribuiva all'Avis di Salerno, per la stipula delle convenzioni, il codice UNI 11650, lo stesso richiesto dalla regione e che sarebbe mancante (la comunicazione del codice nome di competenza dell'Associazione ma del centro regionale sangue della regione o di altri strutture competenti);
   a questo punto l'Avis di Salerno fa presente, con comunicazione del 26 novembre 2014, l'inesattezza di tale comunicazione e chiedendo, vista la necessità di dover raccogliere sangue, di voler provvedere per «un accreditamento provvisorio»;
   nulla è seguito a tale comunicazione;
   il 2 febbraio 2015, a seguito del decreto-legge n. 192 del 31 dicembre 2014 l'Avis di Salerno inoltra una nuova richiesta di accreditamento. Nessun tipo di risposta da parte della regione;
   a questa richiesta ne fa seguito un'altra il 2 giugno 2015 e 16 luglio 2015 richiedendo di valutare le richieste inoltrate ed in subordine di «accreditare temporaneamente la struttura»;
   il 2 ottobre viene inviato dal centro regionale sangue «la scheda di rilevazione dati anagrafici per SISTRA», la stessa viene debitamente compilata ed inviata al centro regionale sangue;
   successivamente il 16 novembre 2015 si sollecita e si chiede accreditamento;
   a tutt'oggi non ci sono state risposte (20 febbraio 2017) –:
   alla luce di quanto esposto, ferme restando le competenze regionali, se non si ritenga opportuno acquisire elementi, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro del disavanzo sanitario della regione Campania su una controversia che rischia di compromettere un'opera di volontariato sociale presente a Salerno e provincia da circa 60 anni e che rappresenta un patrimonio storico e sociale di indubbia e fondamentale utilità anche in considerazione dell'accordo concluso in sede di Conferenza Stato-regioni contenente le linee guida per l'accreditamento dei servizi trasfusionali e delle unità di raccolte del sangue e degli emocomponenti.
(2-01761) «Castiello».

Interrogazioni a risposta immediata:


   ROCCELLA. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   si apprende da articoli di stampa che nella regione Lazio si avvierà una sperimentazione per effettuare aborti farmacologici nei consultori regionali;
   lo scopo dichiarato è di alleggerire il carico di lavoro negli ospedali, dove il numero degli obiettori di coscienza causerebbe problemi nell'accesso, e di «umanizzare» il percorso abortivo;
   dai numeri relativi alla situazione del Lazio riguardo all'applicazione della legge n. 194 del 1978, riportati nella relazione annuale al Parlamento, non emergono però criticità per il carico di lavoro del personale non obiettore, sia per le strutture ospedaliere che per i consultori;
   l'articolo 8 della legge n. 194 del 1978 prevede esplicitamente che l'aborto avvenga in strutture ospedaliere o in «poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione», e non in consultori;
   inoltre, tre pareri distinti del Consiglio superiore di sanità indicano che l'aborto medico debba avvenire in regime ospedaliero;
   il primo, nel 2004, ritiene che: «alla luce delle conoscenze disponibili, i rischi dell'interruzione farmacologica di gravidanza si possono considerare equivalenti ai rischi di interruzione chirurgica solo se l'interruzione di gravidanza avviene in ambito ospedaliero»;
   il secondo, nel 2005, ritiene che: «pertanto l'associazione di mifepristone e misoprostolo debba essere somministrata in ospedale pubblico o in altra struttura prevista dalla predetta legge e la donna debba essere ivi trattenuta fino ad aborto avvenuto»;
   nel 2010, il Consiglio superiore di sanità afferma che è «necessario, al fine di garantire il rispetto della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, che il percorso dell'interruzione volontaria di gravidanza medica avvenga in regime di ricovero ordinario fino alla verifica della completa espulsione del prodotto del concepimento»;
   in questi anni non sono cambiati i prodotti chimici autorizzati per uso abortivo (mifepristone e prostaglandine) in base ai quali sono stati forniti i pareri riguardo a questa procedura abortiva;
   nella relazione al Parlamento sull'applicazione della legge n. 194 del 1978, trasmessa il 7 dicembre 2016, sono inoltre riportati due decessi di donne a seguito di aborto farmacologico. Si tratta dei primi due decessi a seguito di aborto segnalati dall'entrata in vigore della legge stessa, confermando la maggiore mortalità, anche in Italia, per aborto farmacologico rispetto a quello chirurgico, considerando che per quest'ultimo dal 1978 ad ora non sono stati segnalati decessi;
   secondo la letteratura scientifica la mortalità per aborto chimico è dieci volte maggiore di quella per aborto chirurgico –:
   se il Governo sia a conoscenza della documentazione scientifica e amministrativa alla base della sperimentazione suddetta e come l'aborto farmacologico si concili con la normativa nazionale. (3-02959)


   MUCCI e MONCHIERO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, «cresci Italia», era stato previsto il potenziamento del sistema farmaceutico con l'apertura di oltre 4.000 nuovi esercizi assegnati tramite concorsi regionali «al fine di favorire l'accesso alla titolarità delle farmacie da parte di un più ampio numero di aspiranti, aventi i requisiti di legge, nonché garantendo una più capillare presenza sul territorio del servizio farmaceutico»;
   da allora sono stati indetti i concorsi a cui hanno partecipato migliaia di farmacisti e sono state pubblicate quasi tutte le graduatorie, ma risultano poche le aperture di nuove farmacie;
   le principali cause sono da rinvenire nei numerosi ricorsi a tribunali amministrativi regionali e nei ritardi nel lavoro delle commissioni regionali. L'Emilia-Romagna, ad esempio, ha impiegato un anno e mezzo dalla pubblicazione della graduatoria per portare a termine il primo interpello, quando i tempi previsti dal bando sarebbero stati di circa sette mesi (cinque giorni per la risposta all'interpello, quindici giorni per l'accettazione della sede, sei mesi per aprire l'esercizio come da bando). Nelle Marche non è ancora stato svolto alcun interpello e la graduatoria è stata pubblicata ad agosto 2015. Nel Lazio, per via di un ricorso al tribunale amministrativo regionale, risulta tutto fermo a marzo 2016, pure in Lombardia è tutto fermo;
   risulta evidente come i tempi di validità della graduatoria, stabiliti in due anni, vadano prolungati al più presto, in quanto le graduatorie risultano quasi tutte vicine alla scadenza;
   se così non fosse si dovrebbe ricorrere, entro breve, a indire nuovi concorsi regionali, con ulteriore aggravio di spese per lo Stato e un ulteriore allungamento dei tempi per le aperture previste;
   in tal senso, si è espressa anche la Commissione salute della Conferenza delle regioni, chiedendo di modificare l'articolo 11, comma 6, del decreto-legge n. 1 del 2012 sulle liberalizzazioni –:
   se e quali iniziative concrete, eventualmente anche di carattere normativo, abbia intenzione di porre in essere affinché le disposizioni dettate dal decreto-legge n. 1 del 2012 trovino immediata e concreta applicazione. (3-02960)


   MARTELLI, NICCHI, FOSSATI, PIRAS, SCOTTO, QUARANTA, RICCIATTI, ZARATTI, ZAPPULLA, ALBINI, CARLO GALLI, LAFORGIA, CAPODICASA, DURANTI, FRANCO BORDO, FONTANELLI, ROBERTA AGOSTINI, MELILLA, MURER, KRONBICHLER, MOGNATO, LEVA e CIMBRO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   in relazione all'applicazione della legge n. 194 del 1978 l'Italia torna alla clandestinità. Da Nord a Sud l'80 per cento dei ginecologi, e oltre il 50 per cento di anestesisti e infermieri, non applica più la legge n. 194 del 1978;
   la conseguenza è che le donne respinte dalle istituzioni sono costrette a rivolgersi a chi pratica illegalmente l'aborto. Con grossi rischi per la salute e per la vita stessa delle donne;
   il Ministero della salute stima 20.000 aborti clandestini nel 2008, 40.000/50.000 probabilmente quelli reali; 75.000 sono gli aborti spontanei nel 2011 dichiarati dall'Istat, ma un terzo di questi frutto probabilmente di interventi «casalinghi» finiti male;
   il Comitato per i diritti umani dell'Onu ha espresso preoccupazione sulla situazione italiana, per le difficoltà di accesso agli aborti legali, a causa del numero di medici che si rifiutano di praticare l'interruzione di gravidanza per motivi di coscienza;
   lo stesso Comitato dell'Onu ha sottolineato il fenomeno del ricorso all'aborto clandestino, oltre a sottolineare quale dovrebbe essere il ruolo dello Stato che dovrebbe adottare misure necessarie per garantire il libero e tempestivo accesso ai servizi di aborto legale, con un sistema di riferimento valido –:
   quali iniziative intenda porre in essere il Governo per garantire la piena applicazione della legge n. 194 del 1978, così come sottolineato dal Comitato dei diritti umani dell'Onu, e contrastare la pratica illegale degli aborti, contribuendo in questo modo anche a combattere il fenomeno delle organizzazioni criminali che sul territorio italiano gestiscono le strutture clandestine che mettono a grave rischio la salute e la vita delle donne.
(3-02961)


   TAGLIALATELA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, GIORGIA MELONI, MURGIA, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO e TOTARO. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   il blocco delle assunzioni nel comparto della sanità ha fatto sì che molti professionisti abbiano dovuto trasferirsi in regioni diverse da quella di origine per poter continuare a svolgere il proprio lavoro;
   con particolare riferimento alla regione Campania, tuttavia, i risparmi di spesa attesi dal blocco assunzionale non hanno dato gli esiti sperati, posto che molte strutture ospedaliere hanno fatto ricorso a personale impiegato con contratti a termine stipulati con agenzie per il lavoro temporaneo;
   questa pratica ha determinato l'immissione nei reparti ospedalieri di personale giovane ed inesperto, reclutato, a giudizio degli interroganti, secondo modalità non sempre trasparenti, e ha creato, negli anni, una rete clientelare che non porta certo giovamento al sistema sanitario regionale campano;
   ad oggi, in Campania, nonostante lo sblocco del turnover e le direttive regionali del commissario ad acta per il piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Campania, si continuano a bandire o prorogare gare d'appalto per lavori in somministrazione;
   il decreto del commissario ad acta n. 6 dell'11 febbraio 2016 ha stabilito che «le aziende sanitarie dovranno rispettare pedissequamente le procedure di reclutamento indicate nella circolare presidenziale n. 1824 del 15 aprile 2014, avendo cura di evitare di mettere in atto procedure diverse dall'indizione di pubblici concorsi, precedute, per ritenuti casi di urgenza, dall'indizione di avvisi pubblici, e di non ricorrere a forme alternative di reclutamento»;
   inoltre, l'assunzione di personale medico e infermieristico, che potrebbe verificarsi attingendo alle vigenti graduatorie di concorsi già svolti, comporterebbe un minor costo di circa il 30 per cento rispetto al lavoro in somministrazione –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, per il tramite del commissario ad acta per il piano di rientro del disavanzo sanitario di cui in premessa, affinché non si faccia più ricorso da parte delle strutture mediche e ospedaliere della Campania al lavoro in somministrazione e le stesse, a fronte di carenze di personale, ricorrano all'assunzione dei soggetti iscritti nelle graduatorie in esito a regolari concorsi, tutelando il loro legittimo auspicio all'immissione in servizio. (3-02962)


   CAPELLI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   il 16 maggio 2014 la regione Sardegna, la Qatar foundation endowment e l'Ospedale pediatrico Bambin Gesù sottoscrivevano un'intesa per l'attivazione di un tavolo tecnico-sanitario per la definizione dell'offerta e dell'attività del nuovo ospedale pianificato sul mai nato progetto del San Raffaele;
   il 22 maggio 2014 la Presidenza del Consiglio dei ministri pro tempore si impegnava a sostenere l'iniziativa della regione nella realizzazione del progetto con Qatar foundation endowment;
   l'8 luglio 2014 la giunta della regione Sardegna approvava la deliberazione necessaria per attivare le procedure di competenza;
   all'interno del decreto-legge «sblocca Italia» sono inserite due specifiche deroghe alla normativa vigente, valevoli per il triennio 2015-2017, la prima concede alla regione la facoltà di non considerare i posti letto accreditati nella struttura sanitaria ai fini del rispetto del parametro massimo di 3,7 posti letto per 1.000 abitanti previsto dalle leggi regionali;
   inoltre, la stessa regione può incrementare fino al 6 per cento il tetto di incidenza della spesa per l'acquisto di prestazioni sanitarie fornite da soggetti privati, con costi a carico del bilancio regionale stesso;
   la Commissione affari sociali della Camera dei deputati ha riconosciuto la portata fortemente innovativa del progetto, chiedendo il monitoraggio da parte della regione Sardegna e del Ministero della salute sull'effettiva rispondenza della qualità delle prestazioni sanitarie erogate dell'ex Ospedale San Raffaele di Olbia al contenuto del protocollo sopra citato, chiedendo anche la fissazione di un limite temporale per l'adozione da parte della regione del piano di razionalizzazione della rete ospedaliera;
   il 27 agosto 2014 il project manager della Qatar foundation endowment dichiarava che l'ospedale avrebbe aperto il 1o marzo 2015;
   il 28 maggio 2015 il Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore si esprimeva positivamente sul progetto del Mater Olbia, simbolo della rinascita dell'Italia;
   nel novembre 2015 veniva annunciata una prima apertura delle strutture per il dicembre successivo. Da allora, però, molte sono state le date di possibile apertura annunciata e non realizzata;
   ad aprile 2016 la nuova data di apertura veniva posticipata al giugno 2017;
   la regione Sardegna deve assicurare, a partire dal 1o gennaio 2018, con il programma di riorganizzazione della rete ospedaliera, il rispetto dei parametri nazionali previsti, includendo anche quelli relativi al nuovo ospedale di Olbia trascorso il triennio in deroga –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere il Governo per affrontare la situazione sopra esposta, anche in vista della scadenza alla fine del 2017 del regime di deroga accordato alla regione. (3-02963)


   RONDINI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   nel silenzio generale, i servizi per le dipendenze denunciano da anni che si è abbassata l'età di primo approccio con le sostanze legali e illegali; tra i consumi dei giovanissimi vi sono sostanze ancor più pericolose e la dimenticata eroina (o meglio le sostanze oppioidi) sta godendo una seconda giovinezza, anche se con modalità di assunzione diverse da una volta. Il costo delle sostanze illegali si è abbassato, recando con sé la possibilità di forme di poliabuso alla portata di molte tasche;
   i dati emersi dallo studio Espad Italia dell'Istituto di fisiologia clinica del Consiglio nazionale delle ricerche di Pisa (Ifc-Cnr), che ha coinvolto 30 mila studenti italiani tra i 15 e i 19 anni, riportano come seicentocinquantamila studenti delle superiori nell'ultimo anno hanno fumato cannabis o sniffato cocaina, preso eroina, allucinogeni o stimolanti. Spesso più sostanze contemporaneamente, come se non ci fosse differenza;
   in un quadro che vede sempre più italiani, sono oltre tre milioni sotto i 35 anni, consumare abitualmente hashish, dove alcuni stupefacenti registrano finalmente una flessione nei consumi, il dato più inquietante riguarda il ritorno dell'eroina: ben 320 mila persone che hanno fumato, sniffato o si sono iniettate il derivato dell'oppio che è in costante aumento;
   tra i quindicenni l'eroina risulta essere la droga più popolare dopo la cannabis: il 2 per cento dei maschi 15enni, circa 5.000 ragazzi, ha dichiarato di averne consumato almeno una volta nel mese precedente all'indagine. Ulteriore allarme viene dal fatto che 3.000 15enni se la sono iniettata;
   tra i maschi quindicenni, due su 3 hanno consumato anche eroina, cocaina, allucinogeni e/o stimolanti negli ultimi 12 mesi, mentre 3 su 4 hanno fatto uso di cannabis. E tra loro si segnala il maggior impiego di nuove sostanze sintetiche: il 62 per cento, infatti, ha usato spice, la cannabis sintetica, e il 57 per cento painkiller, farmaci antidolorifici per sballare. In aumento anche l'uso di smart drug, le droghe cosiddette furbe perché al limite tra legalità ed illegalità, facilmente reperibili sul web sotto forma di prodotti naturali o come gli sciroppi all'oppio, percentuale raddoppiata rispetto al 2010 –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire predisponendo campagne informative e sostenendo, anche economicamente, le associazioni che si impegnano quotidianamente per la lotta contro il consumo di stupefacenti, colpite da pesanti tagli nel corso degli anni. (3-02964)

Interrogazione a risposta orale:


   GALGANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   hanno destato sgomento i recenti fatti di cronaca che hanno coinvolto il reparto di rianimazione dell'ospedale San Carlo di Potenza, con la morte, prima di un'anziana signora, Angelina Croce in Venetucci, una donna di 70 anni di Picerno venuta a mancare dopo essere stata ricoverata e, pochi giorni dopo, di un professionista potentino, Antonio Tesoro, morto in circostanze analoghe;
   la procura di Potenza ha aperto un fascicolo d'indagine per appurare le reali cause della morte. Su disposizione del pubblico ministero Vincenzo Lanni è stata sequestrata la cartella clinica della donna, che era giunta in ospedale;
   all'origine della decisione della procura di avviare le indagini sul primo dei due casi, ci sarebbe la denuncia presentata dai familiari della donna che hanno lamentato di non aver avuto dai medici elementi chiari sulle cause della morte della loro congiunta. Il figlio, in particolare, mercoledì mattina si è recato al posto di polizia presente presso lo stesso nosocomio potentino raccontando che nessuno dei vari medici con cui aveva parlato dopo il decesso aveva indicato con chiarezza le cause della morte;
   a quanto raccontato dai familiari, gli stessi medici avrebbero parlato di valori tutti in regola da parte della loro congiunta, qualcuno avrebbe anche aggiunto che era stato fatto tutto quanto era possibile fare, ma i familiari non avrebbero compreso la causa del decesso –:
   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, affinché venga rapidamente fatta luce su entrambe le vicende, che potrebbero ledere nell'opinione pubblica l'ottima reputazione di una struttura, quella dell'ospedale di Potenza, che nel corso degli anni ha dato prova di efficacia e efficienza. (3-02957)

Interrogazione a risposta scritta:


   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI, ZOLEZZI, NESCI e COLONNESE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Campania risultano attivi i seguenti registri tumori:
    1) il registro tumori dell'Asl NA3 Sud (attivo dal 1996 e che comprende anche Acerra e Casalnuovo);
    2) il registro tumori dell'Asl di Salerno (attivo dal 1997);
    3) il registro tumori di Caserta (attivo dal 2012);
   vi sono inoltre altri 4 registri, afferenti ognuno a una ASL (ASL Napoli 2 Nord, ASL Napoli 1 Centro, ASL Benevento, ASL Avellino), che sono in fase di avvio e precisamente:
    ASL Napoli 2 Nord (comprendente 32 comuni con una copertura di circa 1.032.000 abitanti);
    ASL Napoli 1 Centro (comprendente 3 comuni con una copertura di circa 1.010.000 abitanti);
    ASL Benevento (comprendente 78 comuni con una copertura di circa 290.000 abitanti);
     ASL Avellino (comprendente 119 comuni con una copertura di circa 440.000 abitanti);
   in particolare con delibera n. 651 del 4 luglio 2013, in ottemperanza dei decreti del commissario ad acta n. 104 e 141 del 2012, è stato istituito il registro dei tumori sub-provinciale dell'ASL Napoli 2 Nord. Il registro è ubicato presso la U.O.C. «epidemiologia e prevenzione» afferente al dipartimento di prevenzione sito in Casavatore in Via Nicola Amore n. 2 al primo piano e con successiva delibera, la n. 707 del 18 luglio 2013, è stato individuato quale responsabile della gestione del suddetto registro il dottor Giancarlo D'Orsi, responsabile dell'U.O.S. «Epidemiologia descrittiva e valutativa»;
   per quanto riguarda i comuni campani rientranti nella terra dei fuochi, a causa dell'elevatissimo inquinamento che si registra nella zona dovuto allo smaltimento illegale – anche a mezzo combustione – di molteplici tipologie di rifiuti, vi sono numerosi studi medici che dimostrano la stretta correlazione esistente tra inquinamento ambientale e lo stato di salute dei cittadini che popolano tali territori;
   con deliberazione del Consiglio dei ministri in data 23 luglio 2009 il Governo ha proceduto alla nomina del Presidente pro tempore della regione Campania quale commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario ai sensi dell'articolo 4, comma 2, del decreto-legge 1o ottobre 2007, n. 159, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 novembre 2007, n. 222 –:
   di quali dati siano in possesso i Ministri interrogati in ordine allo stato di attuazione del registro tumori dell'ASL Napoli 2 nord nonché per i comuni rientranti nel territorio della «terra dei fuochi»;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per razionalizzare il sistema di raccolta e analisi dei dati relativi all'inquinamento ambientale in modo da chiarire il nesso esistente tra l'inquinamento ambientale e l'aumento dei casi di tumore. (4-16310)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 3 aprile 2017 è stato pubblicato in Gazzetta ufficiale (n. 78) il decreto del Ministero dello sviluppo economico (7 dicembre 2016) concernente le modalità di conferimento dei titoli concessori unici, dei permessi di prospezione, di ricerca e delle concessioni di coltivazioni di idrocarburi nella terraferma, nel mare territoriale e nella piattaforma continentale;
   lo stesso decreto (Capo III, articolo 15) prevederebbe – fermo restando il divieto di conferimento di nuovi titoli minerari nelle aree marine e costiere protette e nelle 12 miglia dal perimetro esterno di tali aree – la possibilità di consentire «attività da svolgere nell'ambito dei titoli abilitativi già rilasciati, anche apportando modifiche al programma dei lavori originariamente approvato»;
   la lettera a) comma 3 dell'articolo 15 precisa inoltre che sarebbero autorizzate: «le attività funzionali alla coltivazione, fino ad esaurimento del giacimento, e all'esecuzione dei programmi di lavoro approvati in sede di conferimento o di proroga del titolo minerario, compresa la costruzione di infrastrutture e di opere di sviluppo e coltivazione necessarie all'esercizio»;
   sulla base di tale decreto, sembrerebbe all'interrogante nuovamente consentite le attività di ricerca, prospezione e coltivazione anche nelle aree comprese entro le 12 miglia;
   va considerata la situazione particolare di aree come la costa veneta e in particolare del Delta del Po, zone tuttora soggette al fenomeno della subsidenza e interessate da una sempre più preoccupante aumento dell'erosione costiera –:
   se i Ministri interrogati, considerati i rischi che le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi determinano per diverse aree fragili del nostro Paese e del rilevante impatto del fenomeno della subsidenza in aree come il Delta del Po, non intendano assumere iniziative per ritirare o modificare il decreto in questione. (5-11153)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la società statunitense Aleanna Resources, forte di un permesso ottenuto dal Ministero dello sviluppo economico e poi successivamente autorizzata dalla regione Emilia Romagna, avrebbe intenzione di procedere con l'esecuzione di sondaggi per la ricerca di idrocarburi (petrolio, metano e butano) nel sottosuolo di un'area denominata «Fantozza» che si estende per 102,3 chilometri quadrati tra i comuni di Guastalla, Novellara, Campagnola, Fabbrico, Reggiolo, Rolo, Rio Saliceto (RE) e, per una parte più limitata, di Novi e Carpi nel modenese;
   detti sondaggi preventivi dovrebbero avvenire mediante operazioni di «rilievo sismico tridimensionale» con uso di vibratori meccanici;
   la regione Emilia Romagna, dopo avere in un primo momento sospeso il progetto, ne ha certificato la fattibilità nel corso del 2016 sbloccando l’iter, tanto che rappresentanti della società statunitense si sono già messi in contatto con gli agricoltori proprietari dei fondi interessati, la maggior parte dei quali si è però dichiarata contraria tramite petizioni e prese di posizione sulla stampa locale;
   il consiglio provinciale di Reggio Emilia ha approvato all'unanimità, nel marzo 2013, un ordine del giorno che afferma «la propria contrarietà a progetti di ricerca idrocarburi che prevedano nuove trivellazioni nelle zone interessate dal sisma del 2012»; diverse intenzioni e atti in questo senso sono stati portati avanti anche dall'Unione comuni Bassa Reggiana e dall'Unione comuni Pianura Reggiana; il consiglio comunale di Novellara, sempre nel 2013, ha approvato, all'unanimità, una delibera che esprime gli stessi contenuti; il tutto sull'onda delle mobilitazioni promosse da associazioni e comitati, capaci di raccogliere oltre 4.000 firme di cittadini contrari, consegnate ad assessori e consiglieri regionali;
   alla mobilitazione odierna del mondo ambientalista, occorre aggiungere la persistente, diffusa e comprensibile preoccupazione della cittadinanza riguardo al tema più generale delle trivellazioni, in una zona che ricade nel cratere del terremoto del maggio 2012;
   la zona in oggetto risulta essere già molto sfruttata; si ricorda la presenza degli impianti petroliferi del Cavone (in esaurimento), tra i comuni di Novi, San Possidonio e Mirandola (Mo), nonché l'importante giacimento di gas metano compreso tra i comuni di Correggio, Rio Saliceto, Bagnolo e Campagnola (Reggio Emilia), individuato sin dal 1951; in particolare, nei decenni passati furono trivellati 52 pozzi a diverse profondità, alcuni dei quali rimasti in produzione fino al 2002, anche se la concessione scadeva nel 2017, perché risultava che «il livello maggiormente produttivo del campo» fosse esaurito; ciò nonostante, nel 2012, una società australiana (Po Valley) chiese di perforare il terreno di Correggio (anche allo scopo di effettuare prove di stoccaggio), suscitando la costituzione di un locale comitato No Triv e la «ferma contrarietà» del sindaco dell'epoca Marzio Iotti; il Ministero dello sviluppo economico, nei documenti emessi dall'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse, ha dichiarato l'area correggese «sito non idoneo allo stoccaggio»;
   gli stessi amministratori locali reggiani sembrano essere stati presi alla sprovvista, tanto da avere richiesto un incontro ai rappresentanti di Aleanna Resources che si è concluso con una nota che predica cautela: «data la complessità dell'area, e la presenza di emergenze storiche, architettoniche e ambientali, i sindaci intendono procedere con un attento percorso di approfondimento e confronto sull'eventuale impatto delle ricerche, che necessariamente dovrà coinvolgere anche i cittadini»;
   non è chiaro il motivo per cui la regione abbia ritenuto di dare il via libera a questo permesso, dati questi precedenti, né risulta sensata l'opportunità di operazioni del genere in una zona di alto pregio naturalistico e agricolo –:
   se non si intenda revocare il permesso di cui in premessa, anche in vista delle prossime ed eventuali nuove procedure di valutazione d'impatto ambientale (presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare) e di concessione mineraria (presso il Ministero dello sviluppo economico). (4-16321)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Mucci n. 4-15223 del 17 gennaio 2017;
   interrogazione a risposta scritta Capelli n. 4-16162 del 4 aprile 2017.