Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 12 aprile 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la libera professione intramuraria, anche nota come attività intramoenia, è quella relativa alle prestazioni erogate al di fuori del normale orario di lavoro dai medici di un ospedale ad integrazione e supporto dell'attività istituzionalmente dovuta, utilizzando le strutture ambulatoriali e diagnostiche dell'ospedale stesso a fronte del pagamento da parte del paziente di una tariffa;
    le prestazioni sono generalmente le medesime che il medico deve erogare, sulla base del suo contratto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale, attraverso la normale operatività come medico ospedaliero, ma in regime di intramoenia al cittadino è garantita la possibilità di scegliere il medico a cui rivolgersi per la prestazione;
    in cambio dell'utilizzo delle strutture sanitarie pubbliche, ai fini dell'erogazione delle prestazioni in ambito intramoenia, il medico devolve alla struttura per l'utilizzo dei locali, dei servizi di segreteria, delle apparecchiature e di quant'altro sia necessario allo svolgimento della prestazione circa il sei per cento del proprio fatturato;
    sulla base della vigente legislazione, al medico è concesso di operare anche in regime di intramoenia extramuraria, vale a dire in strutture ambulatoriali esterne all'azienda sanitaria, pubbliche o private non accreditate, con le quali l'azienda stipula apposita convenzione;
    l'esercizio dell'attività libero-professionale intramuraria è consentita a condizione che non comporti un incremento delle liste di attesa per l'attività istituzionale, non contrasti o pregiudichi né i fini istituzionali del Servizio sanitario nazionale e regionale, né gli obiettivi aziendali, e non comporti, per ciascun dirigente, un volume di prestazioni o un volume orario superiore a quello assicurato per i compiti istituzionali;
    il riconoscimento della possibilità per i medici di scegliere di svolgere l'attività intramuraria, tradotta in legge in principio dal decreto legislativo n. 229 del 1999, nasce dalla duplice esigenza di tutelare la professionalità dei medici la possibilità dei pazienti di scegliere un professionista determinato;
    in seguito, tuttavia, l'evoluzione normativa dell'attività libero-professionale nel settore sanitario si è connotata per la sua particolare complessità, essendo segnata da continue oscillazioni legislative fra il propendere per l'adozione di meccanismi ad alta rigidità e, all'opposto, per la progressiva liberalizzazione dell'ambito di applicazione e delle modalità di tale attività;
    negli anni, e in particolare con riferimento alla libera attività extramuraria, tale categoria di prestazioni sanitarie è stata oggetto di pesanti critiche, che riconducevano allo svolgimento delle stesse da parte dei medici i ritardi nell'effettuazione delle prestazioni nell'ambito del servizio sanitario prettamente pubblico e, di conseguenza, l'allungamento delle liste d'attesa;
    altresì, è stato rilevato in più occasioni come l'adattamento delle strutture pubbliche allo svolgimento della professione intramuraria abbia comportato un notevole aggravio amministrativo, e come anche negli anni in cui l'attività intramoenia ha segnato una costante crescita gli introiti per le casse dello Stato siano stati, in proporzione alquanto modesti, a causa del contestuale aumento dei costi;
    nello scorso quinquennio, invece, a fronte della perdurante crisi economica che ha investito l'economia nazionale, è diminuito il ricorso alle prestazioni sanitarie in regime intramoenia e, al contempo, sono letteralmente esplose le liste d'attesa per usufruire delle medesime prestazioni in regime pubblico;
    solo nella regione Lazio, ad oggi sono sessantaseimila, i pazienti in lista d'attesa per le prestazioni del Servizio sanitario nazionale, che si trovano costrette ad attendere anche per mesi perché non hanno denaro sufficiente per farsi curare privatamente;
    questo stato di cose configura una discriminazione sociale di fatto che contravviene alla missione istituzionale della sanità pubblica, volta a garantire cure adeguate per tutti i cittadini;
    nel diritto alla salute sancito dalla nostra Costituzione rientra non solo l'erogazione delle prestazioni sanitarie, ma anche il fatto che questo avvenga in tempi utili a contestare l'avanzare delle malattie;
    l'ammissibilità dell'attività libero-professionale presuppone che essa non si concretizzi nella lesione di interessi a valenza pubblicistica di cui è portatrice la struttura sanitaria,

impegna il Governo:

1) ad adottare le opportune iniziative, per quanto di competenza, volte a subordinare lo svolgimento dell'attività libero-professionale intramuraria al rispetto dei tempi fissati dalla legge per l'erogazione delle prestazioni in regime pubblico;
2) a promuovere una stretta cooperazione con le regioni per la condivisione di interventi improntati ai criteri di accessibilità ai servizi e tempestività di erogazione delle prestazioni, nel rispetto della garanzia dell'uso delle classi di priorità e della piena attuazione del sistema di prenotazione in rete;
3) in attuazione del nuovo Piano nazionale di governo delle liste di attesa, a realizzare una gestione delle medesime liste che garantisca una comunicazione trasparente e aggiornata dei dati in esse contenuti.
(1-01597) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Giorgia Meloni, Murgia, Nastri, Petrenga, Rizzetto, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    esiste in medicina un divario incolmabile tra la domanda legata a un bisogno potenzialmente infinito e l'offerta, condizionata da risorse comunque limitate;
    questo divario rende impossibile una risposta esaustiva al bisogno di prestazioni ambulatoriali e di diagnostica strumentale, tanto più in un sistema di tipo universalistico come quello italiano, favorendo il prodursi di liste d'attesa;
    quella del medico è una professione liberale, il cui esercizio non può essere negato neanche al medico dipendente;
    lo strumento dell’intra-moenia ha consentito di coniugare i due ambiti di attività del medico, quello legato al rapporto di dipendenza e quello di tipo libero-professionale;
    l'attività intra-moenia ha inoltre contribuito a far emergere il reddito legato alla libera professione, evitando ogni forma di evasione fiscale;
    grazie alle trattenute operate per l'uso delle strutture, essa rappresenta per le aziende sanitarie anche una fonte di risorse aggiuntive e orienta verso le aziende pubbliche anche quote di domanda che si sarebbero orientate verso le strutture private, permettendo una più piena utilizzazione delle strutture (per esempio sale operatorie e grandi attrezzature diagnostiche) anche al di fuori degli orari legati alla attività istituzionale;
    più che all’intra-moenia, il problema delle liste d'attesa è legato alla cattiva gestione delle aziende sanitarie e alla inadeguatezza dei meccanismi di governance;
    esempi concreti di cattiva governance si riferiscono alla mancata differenziazione delle priorità di accesso per le prestazioni e alla non identificazione di adeguati tempi di attività ambulatoriale per il personale medico, alla impossibilità per il paziente di esercitare il diritto di scelta dell'unità erogante la prestazione e quello del singolo medico per l'attività di tipo istituzionale;
    ogni ostacolo al diritto dei medici all’intra-moenia non si risolve a vantaggio delle prestazioni da attività di lavoro dipendente, ma ha dimostrato piuttosto di favorire la medicina privata e, all'interno di questa, di promuovere l'offerta low cost con tutti i rischi di qualità e di sicurezza ad essa connessi;
    questo fenomeno è aggravato dalla riduzione (in termini reali se non in valore assoluto) della spesa sanitaria, dal diffondersi di polizze per la copertura di prestazioni con assicurazioni integrative, dall'esorbitanza di alcuni ticket per le prestazioni sanitarie rispetto ai costi delle prestazioni private nella medicina low cost,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi, per quanto di sua competenza, e in raccordo con le regioni, sia potenziata l'attività ambulatoriale e di diagnostica, anche attraverso l'assunzione di personale medico e ricorrendo allo strumento delle prestazioni aggiuntive;
2) ad attivarsi, per quanto di competenza e in raccordo con le regioni, affinché siano garantiti adeguati spazi per l'esercizio dell'attività intra-moenia all'interno delle strutture di tutte le aziende sanitarie, evitando la necessità di ricorso alla cosiddetta intra-moenia allargata;
3) a favorire la sburocratizzazione dell'attività intra-moenia e a garantire ad essa pari dignità rispetto all'attività istituzionale per quanto riguarda i sistemi di prenotazione ed il supporto di segreteria;
4) a valutare la possibilità di un accordo in sede di Conferenza Stato-regioni, finalizzato a una migliore governance della domanda di prestazioni e alla qualificazione della risposta, al fine di abbattere i tempi di attesa identificando anche opportuni meccanismi sanzionatori a carico delle regioni e dei manager inadempienti.
(1-01598) «Gigli, Dellai».

Risoluzione in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    secondo le ultime rilevazioni Istat in materia, nel 2015, gli esercizi ricettivi in Italia registrano complessivamente circa 392,8 milioni di presenze (+15 milioni sul 2014, pari a +4,0 per cento) e 113,4 milioni di arrivi (+7 milioni, pari a +6,4 per cento); negli esercizi alberghieri le presenze sono circa 263 milioni e gli arrivi 89 milioni (rispettivamente +3,1 per cento e +5,6 per cento sull'anno precedente);
    la permanenza media, pari a circa 3 notti per cliente, risulta sostanzialmente stabile. Negli esercizi extra-alberghieri si contano 129,8 milioni di presenze (+5,7 per cento rispetto al 2014) e 24,4 milioni di arrivi (+9,2 per cento), qui la permanenza media è di 5,33 notti (-0,18 sull'anno precedente); nel 2016 si stima che le vacanze rappresentino circa l'81 per cento dei viaggi effettuati dai residenti in Italia negli esercizi ricettivi della penisola (+7,9 sul 2014). I viaggi di lavoro, che rappresentano il 19,4 per cento dei viaggi e il 9,2 per cento delle notti, diminuiscono invece di circa il 22 per cento; si stima che i residenti prenotino direttamente circa il 67 per cento dei viaggi con pernottamento negli esercizi ricettivi italiani, mentre il 22,5 per cento delle partenze avviene senza prenotazione preventiva (entrambe le stime sono stabili rispetto al 2014). Circa la metà dei viaggi viene prenotato tramite Internet (47,9 per cento), con un'incidenza maggiore nel caso dei viaggi di vacanza (50,8 per cento, in aumento dal 42,8 per cento del 2014);
    dall'ultimo Rapporto nazionale sul turismo in libertà in camper e in caravan (2015) pubblicato dall'Apc – Associazione produttori caravan e camper, emerge in modo chiaro come questa particolare tipologia di turismo sia una preziosa risorsa che, ogni anno, attrae un notevole afflusso di turisti stranieri nel nostro Paese; in tutto sono 2,7 milioni i turisti stranieri che, nel 2015 (ultimo dato disponibile), hanno scelto di visitare l'Italia in autocaravan, camper o tenda, pari al 5,4 per cento del movimento turistico internazionale totale nella nostra penisola ed equivalenti a 22,9 milioni di notti trascorse in campeggi, punti di sosta o aree attrezzate, per un fatturato di 1,1 miliardi di euro annui. Per quanto riguarda i Paesi di provenienza, i turisti stranieri che vengono in Italia per una vacanza in autocaravan, camper o tenda sono principalmente tedeschi, olandesi, austriaci e francesi che, complessivamente, rappresentano circa il 76 per cento dei flussi generali e il 75 per cento della spesa totale per turismo incoming in libertà;
    per quanto riguarda il turismo interno, invece, dal Rapporto dell'Apc emerge come, secondo le stime del Ciset-Centro internazionale di studi sull'economia turistica dell'università Ca’ Foscari di Venezia, elaborate a partire dagli ultimi dati resi disponibili dall'Istat, nel 2015, sono circa 3 milioni gli italiani che hanno trascorso lungo lo Stivale, una vacanza in camper, caravan o tenda, pari al 5,6 per cento dell'intero turismo domestico, per un totale di 30 milioni di notti e una spesa annua superiore a 1,5 miliardi di euro; analizzando nel dettaglio le tipologie del turismo in libertà, il rapporto mette in evidenza come il turismo incoming in autocaravan continui a svilupparsi rispetto alle altre modalità di viaggio (caravan e tenda), consolidando nettamente il trend dell'anno precedente. I turisti in autocaravan aumentano del +5 per cento, mentre i pernottamenti del +2,5 per cento. Ancora più significativa la crescita della spesa, che si attesta su +7,5 per cento rispetto al 2014. Diminuisce invece il turismo in caravan e tenda (turisti -0,1 per cento, pernottamenti -1,5 per cento, anche se in maniera più contenuta rispetto agli anni precedenti. La spesa di questi vacanzieri cresce intorno al +2 per cento;
    negli ultimi decenni, a causa dell'evoluzione lavorativa, con la crescente occupazione del mondo femminile e con l'allungamento del periodo attivo, il ceto medio italiano ha radicalmente modificato le proprie abitudini per le vacanze estive, preferendo al turismo itinerante, un turismo sociale e familiare, ovvero la permanenza nel medesimo luogo di villeggiatura con la presenza congiunta e/o complementare di figli, genitori e nonni per la custodia dei minori durante le vacanze estive;
    per tale ragione l'utilizzo delle roulotte ha subito una radicale trasformazione: il turismo itinerante con la roulotte al seguito che ha caratterizzato epoche storiche precedenti, è stato sostituito negli ultimi vent'anni da un turismo da campeggio più tendente alla fidelizzazione ed alla permanenza nello stesso luogo di villeggiatura; il nuovo modello turistico ha modificato le abitudini dei campeggiatori, anche con riferimento alla custodia della roulotte nel periodo invernale. Piuttosto che trasportarla ogni fine estate a casa, al fine di evitare le difficoltà a trovare in città condizioni comode, economiche e sicure per il suo rimessaggio, si preferisce di norma ricorrere alla presa in custodia delle roulotte, nel periodo autunnale ed invernale, nel campeggio presso il quale si è già deciso di tornare l'anno successivo per le vacanze;
    la presa in custodia invernale, nella totalità dei campeggi italiani, avviene, dunque, ormai da decenni lasciando la roulotte nella medesima piazzola nella quale è posizionata nel periodo estivo. Tale scelta non è certo preordinata all'utilizzo continuativo del bene, dato che la roulotte è indiscutibilmente e senza ombra di dubbio indisponibile per tutto il periodo di chiusura del campeggio (circa 9 mesi su 12), ma è conseguente solamente a motivi di buon senso e convenienza. Nella sostanza, vista la non disponibilità del bene nelle stagioni di chiusura, non esiste differenza alcuna sulla collocazione della roulotte, per la presa in custodia; la legge 8 dicembre 2015, n. 221 recante Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali, ha modificato il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380 (Testo unico sull'edilizia), specificando che le roulotte inserite nei campeggi non sono soggette a «permesso a costruire». Infatti ai sensi dell'articolo 3, lettera E5), del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 (appunto come radicalmente rivoluzionato con la sopracitata norma), le roulotte non necessitano, a prescindere dalle loro caratteristiche tecniche e dalla presenza o meno di provvisori ancoraggi a terra, di permesso di costruire, purché ricomprese «in strutture ricettive all'aperto per la sosta e soggiorno di turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore»;
   anche numerose leggi regionali prevedono espressamente che «nei periodi di chiusura delle strutture ricettive all'aria aperta è possibile tenere in custodia i mezzi di pernottamento dei clienti e i relativi accessori purché gli stessi non siano utilizzati»; in particolare la suprema Corte di cassazione (IV sezione Penale, sentenza Sezione 4 Num. 13496, anno 2017), sul sequestro ancora oggi in atto di uno dei più importanti campeggi sito nella riviera marchigiana, con quasi 200 mila presenze turistiche annue, ha evidenziato che: «i manufatti mobili (roulotte, caravan) perdono il loro carattere di precarietà e diventano stabili ogniqualvolta siano destinati a soddisfare un bisogno non temporaneo (anche se non permanente). Con la conseguenza che la stabile collocazione in un'area destinata a campeggio di più manufatti, astrattamente mobili, di pernottamento, può risolversi nella realizzazione, ad opera del gestore dell'area, di uno stabile insediamento abitativo, che comporta il sostanziale stravolgimento dell'originario assetto definito mediante pianificazione, e, dunque, una forma di lottizzazione abusiva»;
   tale impostazione giurisprudenziale mette concretamente a rischio un settore economicamente rilevante e dal grande impatto in termini di ecosostenibilità ambientale, spesso in regioni come quella delle Marche che, colpite dai recenti eventi sismici, hanno al contrario estremo bisogno di rinvigorire il proprio tessuto turistico-ricettivo, anche al fine di rafforzare l'occupazione e l'imprenditorialità,

impegna il Governo:

   in virtù della salvaguardia e del potenziamento delle misure di green economy, a valutare di assumere iniziative, per quanto di competenza, anche normative, in linea con quanto già disposto con la legge 8 dicembre 2015, n. 221 e le varie legislazioni regionali, per favorire lo sviluppo delle attività e dei mezzi destinati al turismo all'aria aperta, con particolare riferimento alla possibilità di tenere in custodia i mezzi di pernottamento anche nei periodi di chiusura delle strutture ricettive;
   a valutare di assumere iniziative volte a riconoscere il ruolo strategico del turismo all'aria aperta per lo sviluppo economico, sociale e occupazionale del Paese;
   ad assumere iniziative per sostenere il ruolo delle imprese operanti nel settore turistico all'aria aperta, con particolare riguardo alle micro, piccole e medie imprese, e al fine, di migliorare la qualità dell'organizzazione, delle strutture e dei servizi, con particolare riferimento alle realtà localizzate nei territori colpiti dai recenti eventi sismici.
(7-01243) «Ricciatti, Epifani, Ferrara, Roberta Agostini, Albini, Bersani, Franco Bordo, Bossa, Capodicasa, Cimbro, D'Attorre, Duranti, Fava, Folino, Fontanelli, Formisano, Fossati, Carlo Galli, Kronbichler, Laforgia, Leva, Martelli, Matarrelli, Melilla, Mognato, Murer, Nicchi, Giorgio Piccolo, Piras, Quaranta, Ragosta, Rostan, Sannicandro, Scotto, Speranza, Stumpo, Zaccagnini, Zappulla, Zaratti, Zoggia».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   VALLASCAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a metà gennaio 2017 le regioni centrali della Sardegna, in particolare i territori della provincia di Nuoro, sono state colpite da un'ondata straordinaria di maltempo, con piogge e nevicate intense, che ha determinato una situazione di grave emergenza che si è protratta per numerosi giorni;
   è il caso di rilevare che, anche per effetto delle presunte inefficienze e dei presunti ritardi che avrebbe del sistema della protezione civile della Sardegna, per numerosi giorni, intere comunità sono rimaste isolate, mentre le aree rurali erano irraggiungibili, con grave compromissione delle attività economiche, a prevalenza agropastorali, e della conduzione e sopravvivenza del bestiame;
   in merito ai citati ritardi della protezione civile regionale, è il caso di riferire che il quotidiano la Nuova Sardegna del 19 gennaio 2017 riportava che «Il termometro sottozero non spegne la polemica rovente dei sindaci barbaricini contro Stato e Regione. Loro accusano di essere stati lasciati soli»;
   secondo quanto riportato dagli organi di stampa, i territori maggiormente colpiti sono stati quelli della Barbagia e, in particolare, i comuni di Fonni, Desulo, Orune, Ovodda, Aritzo, Bitti, solo per citare i casi più gravi;
   in particolare, il notiziario online « Cronache nuoresi» del 18 gennaio 2017 riporta che: «Monta la polemica a Orune in questa lunga e durissima emergenza data dall'ondata di neve e gelo che da giorni attanaglia tutta l'Isola [...] Da giorni molti pastori sono bloccati negli ovili del Comunale e delle località limitrofe. Stessa sorte per coloro che conducono le greggi nell'agro di Pattada o di Buddusò. Le precipitazioni nevose sono state talmente abbondanti che molte di queste località non sono raggiungibili neanche con i trattori. Molte strade di penetrazione agraria, inoltre, sono interrotte da alberi sradicati»;
   l'ondata di maltempo, oltre ad avere messo a rischio l'incolumità degli abitanti dei territori interessati, avrebbe causato ingenti danni all'assetto del territorio nel suo complesso, alla vegetazione e alla rete viaria, prevalentemente di vecchia concezione ovvero costituita da strade di penetrazione agraria;
   anche a seguito di un recente sopralluogo, l'interrogante ha potuto constatare la persistenza dei danni causati dal maltempo in alcuni territori;
   nell'agro di Orune, ad esempio, dove è presente una vegetazione caratterizzata dalla prevalenza di sugherete e leccete, è possibile rilevare l'alto numero di arbusti sradicati e dei rami spezzati che occupano sia le strade rurali sia i terreni agricoli e da pascolo;
   oltre al danno economico – che deriva dalla perdita di alberi, legnatico e sughero, e dalla ridotta superficie utilizzabile per il pascolo – la persistenza sul terreno di alberi e rami rischia di rappresentare un gravissimo pericolo per gli incendi in previsione dell'imminente stagione estiva che, tra l'altro, si preannuncia particolarmente siccitosa;
   il citato rischio è aggravato anche dall'insufficienza del sistema approntato dalla regione Sardegna per la campagna antincendi estiva, a causa di una ridotta disponibilità di uomini, mezzi e risorse, con riferimento anche agli organici del corpo dei vigili del fuoco. Il tale senso l'interrogante ha presentato un atto di sindacato ispettivo, il n. 3-01622, rimasto senza risposta;
   risulta oltremodo urgente intervenire per mettere in sicurezza terreni e strade delle aree della Sardegna colpite dal maltempo, rimuovendo, in particolare, alberi, rami e foglie: materiali che potrebbero facilitare l'insorgere e la propagazione degli incendi accentuandone, inoltre, la pericolosità –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo, per quanto di competenza, per mettere in sicurezza le strade e i terreni dei comuni della Barbagia interessati dall'ondata di maltempo che ha colpito la Sardegna nel gennaio 2017;
   se il Ministro dell'interno non ritenga opportuno, in previsione della prossima campagna antincendi estiva, programmare un rafforzamento degli organici del corpo dei vigili del fuoco. (3-02955)


   BOLOGNESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 5 aprile 2017, la Procura militare di Roma ha rinviato a giudizio, per il reato di concorso in truffa militare pluriaggravata, sei ufficiali del Contingente militare nazionale impiegato nel teatro operativo afghano in qualità di Comandante ITALFOR Kabul, Capo Sezioni Acquisti del CAI–I Herat, Direttore del CAI–I e Capo Servizio Amministrativo del CAI–I Herat. Sono: Antonio Muscogiuri, Pasquale Napolitano, Giuseppe Rinaldi, Ignazio Orgiu, Amedeo De Maio, Sergio Walter Maria Li Greci;
   secondo la procura militare, nel corso del 2010, gli ufficiali avrebbero posto in essere reiterati artifici e raggiri consistenti nell'omettere di rilevare il pur noto dato della difformità del livello di blindatura di n. 3 veicoli militari rispetto alle caratteristiche pattuite nel contratto stipulato il 15 giugno 2009 tra il servizio amministrativo CAI di Kabul e la ditta «ALI MOHAMMAD BAFAITZ TRADING CO.LTD» nonché, tra l'altro, di aver acquisito, a corredo della pertinente pratica amministrativa, un certificato di blindatura contraffatto;
   nonostante la sottoblindatura dei veicoli forniti dalla ditta di BAFAIZ, il Comando CAI–I Herat emise, in suo favore, l'ordine di pagamento delle fatture;
   dal tenente colonnello Muscogiuri, nel 2010 Comandante Italfor Kabul, dipendeva il capitano Marco Callegaro, capo cellula amministrativa del Comando Italfor, trovato morto, la notte tra il 24 e il 25 luglio 2010, nel suo ufficio, ucciso da un colpo di pistola. Dall'indagine su questo presunto suicidio ha preso avvio l'inchiesta della procura militare della Repubblica di Roma che ha portato al recente rinvio a giudizio dei suddetti ufficiali e dalla quale sono emersi inquietanti elementi sulla presenza di un'annotazione sull'agenda personale di Callegaro, nel giorno del suo rientro ad Herat, in cui si legge «riviste certe cose. presa coscienza», e sull'invio ad amici, poche ore prima della morte, di documentazione riservata della missione e di mail ove si parlava di contrasti legati alla contabilità amministrativa generale del comando Italfor Kabul e di dissidi tra Callegaro e altri tre ufficiali; 
   poco dopo la notifica del provvedimento, il 6 aprile, anche il tenente colonnello Muscogiuri è stato trovato senza vita, impiccato nel sottotetto del Comando Truppe Alpine di Bolzano –:
   se risponda al vero che, nonostante l'emersione del problema delle sottoblindature dei veicoli militari le Forze Armate hanno continuato, successivamente al 2010, a stipulare contratti commerciali con la ditta «ALI MOHAMMAD BAFAITZ TRADING CO. LTD» e se questi attualmente sussistono, ed eventualmente per quali forniture;
   se il Governo intenda comunicare come venivano effettuate le transazioni a favore della predetta società e quali garanzie di trasparenza la stessa offriva a tutela delle normative italiane ed internazionali in materia di antiriciclaggio;
   se risponda al vero che la Ditta «ALI MOHAMMAD BAFAITZ TRADING CO. LTD», dopo il 2010, risultava iscritta in una « black list» di società che non garantivano i parametri di affidabilità richiesti dalla legge;
   se intenda adottare iniziative per verificare a quali gare d'appalto fanno riferimento i telai dei mezzi blindati sui quali siano stati feriti o siano deceduti, tra il 2010 e il 2011, militari italiani impegnati nella missione Italfor e per appurare, per quanto di competenza, quali rapporti intercorsero tra il Bafaitz e il capitano Callegaro con riferimento all'acquisto di blindati in uso alla missione;
   se al Governo risulti che l'Agenzia informazioni e sicurezza esterna (Aise) abbia svolto, prima e dopo il 2010, un'attività informativa sul conto del citato cittadino afghano Ali Mohammad Bafaitz, la sua società e sui rapporti economici intrattenuti dallo stesso con altri soggetti in Italia e all'estero. (3-02956)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CRIPPA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   circa 120 lavoratori svolgono al momento attività per il Gestore dei Servizi energetici S.p.A (Gse) in virtù di un contratto d'appalto avente ad oggetto il servizio di contact center;
   Gse è una società per azioni controllata al 100 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze e si occupa della erogazione di incentivi economici destinati alla produzione di energia da fonti rinnovabili. Per tale finalità svolge, altresì, una attività di informazione e sensibilizzazione, tesa a promuovere la cultura dell'uso delle energie compatibili con le esigenze ambientali;
   al momento, i lavoratori sopracitati costituiscono l'unica ed esclusiva unità lavorativa a livello nazionale a cui gli utenti del Gse (titolari degli impianti di produzione di energia elettrica e quindi percettori di incentivi statali) possono e devono rivolgersi al fine di sollevare e risolvere questioni di carattere giuridico, economico, amministrativo, procedurale, informatico, eccetera;
   dal 2010 i lavoratori già citati lavorano quindi per il Gse in virtù di gare d'appalto aggiudicate a società che si sono susseguite nel tempo e che, una volta fallite, hanno «concesso» i lavoratori ad altre società costringendoli di volta in volta a rinunciare ai diritti anteriormente maturati (ferie, permessi orari, e altro);
   dal 21 febbraio 2017 i lavoratori hanno aperto lo stato di agitazione perché rischiano di perdere il posto lavorativo in conseguenza dell'assegnazione della gara per la gestione del servizio ad Almaviva Contact, che solo qualche mese fa ha licenziato circa 1.600 dipendenti;
   in tutta l'incertezza del momento, sembrerebbe che, anche nel caso in cui i lavoratori dovessero mantenere il proprio posto di lavoro, tale condizione verrà mantenuta solo grazie alla cosiddetta «clausola sociale», cioè un mezzo che di fatto consentirebbe e faciliterebbe il trasferimento di lavoratori a basso costo creando una sorta di guerra tra poveri;
   in pratica, i lavoratori stessi diventerebbero «pedine da spostare» da una società ad un'altra ad una velocità proporzionale a quella dei cambi di appalto;
   quello del Gse è un contact center ad alta specializzazione che offre un servizio di qualità non facilmente erogabile da una società di call center più generalista. Il rischio di un'operazione di esternalizzazione simile è dunque che a risentirne siano le prestazioni rese ai clienti;
   considerando poi che il contact center in oggetto è un servizio ad uso quasi esclusivo di operatori del settore energetico e non del cliente finale, il buon senso vorrebbe che un'alta specializzazione come quella richiesta per svolgere tale servizio debba essere internalizzata –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente dei fatti esposti in premessa;
   se non si possa considerare di assumere iniziative per quanto di competenza nei confronti di GSE per l'inserimento stabile dei lavoratori di cui in premessa nell'organizzazione imprenditoriale del Gse, e al fine di porre fine a queste continue gare di appalto che oltre a comportare un aggravio ingiustificato della spesa pubblica, generano secondo l'interrogante disoccupazione, precarietà e sfruttamento dei lavoratori. (5-11127)


   SIMONETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   trova conferma a mezzo stampa la notizia di un ritardo nel debutto dell'Ape volontaria;
   sebbene il Governo abbia dichiarato che il rinvio dovrebbe essere contenuto al massimo una quindicina di giorni, sembra che l'Esecutivo stia ancora lavorando alla piattaforma informatica che dovrà gestire il tutto, mentre sembra accreditato che la percentuale massima di Ape volontaria che potrà essere chiesta oscillerà tra un minimo del 75 per cento ad un massimo del 90 per cento della rata;
   le ultime info circolanti sempre a mezzo stampa indicano il nuovo limite minimo a 150 euro e quello massimo articolato nelle seguenti quattro fasce:
    il 75 per cento della pensione netta se l'anticipo sarà inferiore a 36 mesi;
    l'80 per cento per un periodo compreso tra i 24 ed i 36 mesi;
    l'85 per cento per un periodo compreso tra i 12 ed i 24 mesi;
    il 90 per cento per un anticipo inferiore a 12 mesi;
   ciò che, tuttavia, è maggiormente preoccupante sono le dichiarazioni – riportate su Il Sole 24 ore di martedì 11 aprile 2017 – del consigliere economico dell'unità di coordinamento della politica economica della Presidenza del Consiglio dei ministri, ovvero che l'Ape non è un anticipo pensionistico, ma un anticipo finanziario a garanzia pensionistica, sottolineando che non si tratta di andare in pensione prima, ma di avere un prestito ponte dai 63 anni fino alla maturazione del requisito anagrafico per l'assegno previdenziale;
   queste affermazioni celano, a parere dell'interrogante, una realtà a dir poco allarmante e cioè che la sottoscrizione del prestito e l'adesione all'Ape non comporta alcuna certificazione del diritto alla pensione;
   in altri termini, qualora nei prossimi tre anni dovesse sciaguratamente intervenire una riforma delle pensioni «Fornero-bis», che elevasse di colpo ulteriormente il requisito anagrafico di accesso alla pensione, coloro che oggi hanno optato per la sottoscrizione dell'Ape rischiano di essere gli «esodati» di domani –:
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali non ritenga opportuno prevedere nei decreti attuativi che, al momento della sottoscrizione dell'Ape, l'Inps invii al datore di lavoro anche la certificazione attestante il raggiungimento dei requisiti per il diritto alla pensione di vecchiaia a salvaguardia di futuri ed eventuali interventi pensionistici di innalzamento del requisito anagrafico;
   se, il Governo non ritenga doveroso accompagnare il debutto dell'Ape con una capillare campagna informativa sui rischi derivanti dalla scelta di accedervi.
   (5-11128)


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa l'interrogante ha appreso che il tenente colonnello Antonio Muscogiuri, imputato in concorso con altri 5 ufficiali per il reato di truffa militare pluriaggravata, è stato rinvenuto impiccato all'interno di un locale della caserma dove prestava servizio;
   l'indagine che vede coinvolto il militare deceduto, svolta dalla Procura militare di Roma, si è conclusa con la richiesta di rinvio a giudizio anche di altri 5 militari: Napolitano Pasquale (capitano E.I.), Rinaldi Giuseppe (colonnello A.M.), Orgiù Ignazio (tenente colonnello E.I.), De Maio Amedeo (tenente colonnello E.I.), Li Greci Sergio Walter Maria (colonnello A.M.). Tutti gli imputati dovranno comparire davanti al Gup del tribunale militare di Roma il prossimo 20 aprile 2017;
   il segretario del Partito per la tutela dei diritti dei militari, Luca Marco Comellini, il giorno 6 aprile scorso ha dichiarato: «Il decesso del colonnello Antonio Muscogiuri getta ombre inquietanti sulla vicenda già oggetto di un procedimento penale che lo vedeva imputato insieme ad altri 5 ufficiali delle forze armate a pochi giorni dall'udienza preliminare davanti al Gup militare di Roma. L'indagine sui fatti per i quali la Procura militare di Roma ha chiesto il rinvio a giudizio di Muscogiuri prese le mosse dalla morte di un altro ufficiale, il capitano Marco Callegaro, avvenuta nella notte tra il 24 e il 25 luglio 2010 nel suo ufficio all'aeroporto di Kabul. Fin dal 15 febbraio 2011, con una interrogazione dell'allora deputato radicale Maurizio Turco, avevamo rivolto al ministro della difesa dell'epoca alcune domande che sono state ignorate ma le cui risposte, oggi, alla luce degli sviluppi delle indagini condotte dalla Procura militare di Roma, serviranno, nel processo, a chiarire i molti lati oscuri della morte di Callegaro. Noi non abbiamo mai creduto alla tesi del suicidio del capitano Marco Callegaro e questo tragico nuovo decesso ci fa sorgere altri dubbi e altre domande che ci spingono a ritenere opportuno, se non doveroso, costituirci parte civile nell'udienza preliminare che si svolgerà il prossimo 20 aprile presso il Tribunale militari di Roma.»;
   l'atto di sindacato ispettivo a cui fa riferimento Comellini, al quale il Ministro interrogato non ha mai risposto, è l'interrogazione a risposta scritta n. 4-10855 depositata il 15 febbraio 2011;
   l'interrogante ritiene che il comportamento del Ministro della difesa sia assolutamente censurabile sotto i profili della correttezza istituzionale, del dovere di leale collaborazione tra gli apparati dello Stato e della trasparenza dell'azione del vertice politico e militare –:
   se non intenda dare urgentemente risposta all'interrogazione richiamata in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare per garantire alle competenti autorità giudiziarie la massima e doverosa collaborazione da parte dei vertici militari affinché nulla sia taciuto o omesso o in qualsiasi altro modo sia impedito l'accertamento della verità sulla morte del capitano Marco Callegaro e del tenente colonnello Antonio Muscogiuri. (5-11139)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 36 della legge n. 121 del 1981 disciplina l'ordinamento del personale della Polizia di Stato indicando al comma 4 che: «Al personale appartenente al ruolo degli ispettori sono attribuite specifiche funzioni di sicurezza pubblica e di polizia giudiziaria, con particolare riguardo all'attività investigativa – sono altresì attribuite funzioni di direzione, di indirizzo e coordinamento di unità operative e la responsabilità per le direttive o istruzioni impartite nelle predette attività e per i risultati conseguiti. In caso di temporanea assenza o di impedimento, possono sostituire il titolare nella direzione di uffici o di reparti. Devono essere previste quattro qualifiche e determinate le corrispondenti funzioni»;
   con decreto ministeriale del 24 settembre 2013 veniva indetto il concorso riservato al personale interno per 1400 posti e con decreto ministeriale 17 dicembre 2015 di 320 posti, aperto anche agli esterni, rispetto al ruolo per vice ispettori della Polizia di Stato e che a tutt'oggi entrambi i concorsi non risultano ancora conclusi;
   l'ultimo concorso fatto per il ruolo degli ispettori era stato indetto con il decreto ministeriale 23 novembre 1999;
   il Governo sta procedendo ad un riordino delle carriere della Polizia di Stato;
   la dotazione organica del ruolo degli ispettori della Polizia di Stato vede una gravissima carenza di nomine, lasciando scoperti circa 15 anni di designazioni del ruolo;
   la Polizia di Stato è un corpo civile ma «militarmente organizzato» per la tutela dello Stato e dei cittadini da reati e turbative dell'ordine pubblico;
   il deficit organico nel ruolo degli ispettori crea un oggettivo problema nell'organizzazione funzionale degli uffici, tanto da poter incidere sulla reale sicurezza dello Stato –:
   come il Ministro interrogato intenda scongiurare questo grave deficit organizzativo venutosi a creare nella Polizia di Stato nel ruolo degli ispettori. (4-16268)


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ha avuto inizio alcuni mesi fa il processo nei confronti della dottoressa Del Vecchio – medico legale –, licenziata dalla ASL di Imperia per falso ideologico commesso da pubblico ufficiale in atti pubblici. Sembrerebbe infatti che per ben 46 volte in 2 mesi abbia compilato certificati di morte senza aver visitato le salme;
   nel corso della puntata della trasmissione «Le Iene» andata in onda il 9 aprile scorso è stato messo in evidenza come la dottoressa Del Vecchio risulti essere lo stesso medico legale che certificò nel dicembre 1995 la «morte naturale» per arresto cardiocircolatorio a soli 39 anni del comandante Natale De Grazia, il quale era all'epoca a capo delle indagini sulla cosiddetta «nave dei veleni» Rigel, affondata e mai più ritrovata a largo della costa calabrese e sospettata di trasportare rifiuti tossici;
   la morte del comandante De Grazia suscitò molti sospetti tanto da far richiedere a distanza di un anno una seconda autopsia che venne affidata nuovamente alla dottoressa Del Vecchio, la quale riconfermò che il decesso era avvenuto per cause naturali, portando conseguentemente la procura ad archiviare il caso;
   nel 2013 in base a quanto emerso dalle relazioni della Commissione eco-mafie risulterebbe che il comandante De Grazia non sia morto di morte improvvisa, ma piuttosto per causa tossica;
   la stessa relazione sollevò anche molte perplessità sulle autopsie svolte dalla dottoressa Del Vecchio giudicandole superficiali e effettuate con mezzi obsoleti e soprattutto che non vi fu alcun accertamento circa l'ipotesi avvelenamento –:
   se alla luce delle circostanze ricordate in premessa risultino avviate indagini, posto che a parere dell'interrogante sarebbe necessario fugare ogni dubbio sulle cause della morte e in maniera tale che questo caso non venga ascritto tra i tanti misteri italiani irrisolti. (4-16269)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Regolamento generale per la protezione dei dati personali (General data protection regulation 2016/679), ordinamento di riforma della legislazione europea in materia di protezione dei dati, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale dell'Unione europea il 4 maggio 2016. Dovrà essere applicato, a decorrere dal 25 maggio 2018, in tutti gli Stati membri per garantire un'uniformità tra le normative nazionali e le disposizioni della nuova disciplina;
   il sito online www.protezionedatipersonali.it ha spiegato, nell'articolo del 7 marzo 2017, come lo scopo del General data protection regulation «sia la definitiva armonizzazione della regolamentazione all'interno dell'Unione europea»; ha evidenziato, inoltre, come nuovo ordinamento sia più esplicito della direttiva 95/46, proclamando la tutela del diritto alla protezione dei dati sensibili inteso come diritto fondamentale delle persone fisiche;
   il sito online www.agendadigitale.ue sottolinea «sicuramente innovativo ed in linea con le attuali esigenze di protezione delle informazioni. È strutturato in modo tale da garantire coerenza, bilanciamento e controllo dei poteri degli stakeholders coinvolti. (...) La maggior parte delle aziende pubbliche e private, ad oggi, non possiede le caratteristiche e le risorse per adeguarsi: molte problematiche sono rimaste irrisolte dall'entrata in vigore della direttiva 95/46/EC. (....) i recenti episodi di sorveglianza massiva dei cittadini, da parte delle nazioni leader in ambito informatico hanno rivelato come la popolazione sia stata «spiata» con strumenti illeciti e lesivi della libertà personale. In ultimo, il General data protection regulation prevede onerose sanzioni a chi non si adegua»;
   secondo un articolo pubblicato il 20 marzo 2017 sul sito online www.key4biz.it, «Elizabeth Denham, responsabile del Garante privacy del Regno Unito ICO (Information Commission Office), ha chiesto al Parlamento di Londra maggiori fondi per rispondere in maniera adeguata alla crescente attività che graverà sugli uffici in vista del nuovo Regolamento»;
   l'ex responsabile dell'ICO, Christopher Graham, ha fatto notare che «(...) le crescenti preoccupazioni dell'opinione pubblica in tema di privacy e la domanda pubblica di trasparenza dei dati, combinata con l'entrata in vigore fra un anno del nuovo Regolamento Ue, implicano la necessità di incrementare i fondi a disposizione dell'ICO»;
   Graham ha evidenziato come la richiesta di finanziamenti extra sia finalizzata all'assunzione di «nuovo personale da destinare nello specifico alla lotta contro gli hacker e a contrastare le falle di sicurezza dei siti web (...). La nuova campagna di assunzioni prevede 200 nuove risorse fra analisti, avvocati, tecnici, ispettori per far fronte alle crescenti sfide della priyacy. L'obiettivo è creare una rete di rapporti con i Garanti di tutto il mondo;
   con l'entrata in vigore della nuova disciplina, le aziende che non rispettano le regole non comunicando nei termini stabiliti intrusioni (data brach) o furti di dati personali rischiano multe fino a 20 milioni di euro o fino al 4 per cento del loro fatturato globale, a seconda che si tratti di un errore umano o di un cyberattacco, a fronte di sanzioni massime comminabili oggi pari a 500 mila sterline (circa 575 mila euro);
   The Telegraph, nell'articolo del 12 marzo 2017, ha riportato le dichiarazioni di un portavoce dell'ICO, in merito all'applicabilità del General data protection regulation: « occorrerà assicurare alle organizzazioni che gestiscono informazioni personali gli strumenti necessari per tutelarle in primis con l'obbligo di nominare un data protection officer all'interno di tutte le aziende e di tutti gli uffici pubblici»;
   a parere degli interroganti, le modalità con cui affrontare l'allineamento fra la normativa nazionale e le disposizioni del regolamento, così come nel Regno Unito, devono essere approfondite urgentemente anche in Italia –:
   se in merito all'applicazione dei General data protection regulation, ritenga che gli strumenti di cui dispone l'Autorità garante per la protezione dei dati personali siano sufficienti o sia necessario un loro adeguamento in funzione delle intervenute necessità;
   quali iniziative di competenza si intenda porre in essere, sentita l'Autorità citata, per garantire la corretta applicazione presso le aziende, sia pubbliche che private, delle disposizioni presenti nel General data protection regulation. (4-16288)


   LUPO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2014 (legge 147 del 2013) al comma 6 dell'articolo 1 individua le risorse del Fondo di sviluppo e coesione per il periodo di programmazione 2014-2020 (54.810 milioni di euro, di cui 43.848 milioni iscritti in bilancio) destinandole a sostenere gli interventi per lo sviluppo, anche di natura ambientale, secondo la chiave di riparto dell'80 per cento nelle aree del Mezzogiorno e del 20 per cento in quelle del Centro-Nord;
   il Comitato interministeriale per la programmazione economica, con delibera n. 26 del 2016 del 10 agosto 2016, dispone il Fondo sviluppo e coesione 2014-2020: Piano per il Mezzogiorno. Assegnazione risorse;
   mediante appositi accordi interistituzionali denominati «Patti per il sud» ed al fine di dare unità programmatica e finanziaria all'insieme degli interventi a aggiuntivi a finanziamento nazionale rivolti al riequilibrio economico e sociale tra le diverse aree del Paese assegna 13,412 miliardi di euro alle regioni e alle città metropolitane del Mezzogiorno, tra queste si trova la città di Palermo con un'assegnazione di 332 milioni di euro;
   con delibera n.25 del 10 agosto 2016, il Comitato interministeriale per la programmazione economica definisce le aree tematiche di interesse, il riparto economico tra le stesse e prevede che i piani operativi, siano progressivamente definiti dalla cabina di regia, che ne assicurerà il necessario raccordo tra i diversi livelli istituzionali di Governo;
   con delibera n. 89 del 9 maggio 2016, la giunta comunale di Palermo prende atto che il sindaco e il Presidente del Consiglio dei ministri, in data 30 aprile 2016, hanno sottoscritto il Patto per il Sud della città di Palermo;
   in data 2 novembre 2016 la Corte dei Conti ha posto il visto sulla delibera del CIPE n. 25 del 10 agosto 2016;
   con delibera n. 223 del 10 novembre 2016 la giunta comunale della città di Palermo prende atto delle 66 schede che identificano singolarmente gli interventi progettuali inseriti nel patto per lo sviluppo della città di Palermo;
   in data 24 novembre 2016, con lettera prot. n. 1886017 il sindaco della città di Palermo, a fronte del notevole lasso di tempo intercorso tra la stipula del patto, l'approvazione della Corte dei Conti e l'attesa per il provvedimento con cui il dipartimento per le politiche di coesione disciplina i criteri e le modalità per il trasferimento delle risorse, chiede al capo area tecnica della riqualificazione urbana e delle infrastrutture di rimodulare gli obiettivi sanciti con il suddetto patto in maniera da proporne di nuovi immediatamente cantierabili e altresì chiede di inoltrare proposta di modifica all'interno del patto al fine di inserire misure necessarie a garantire il decoro urbano e la messa in sicurezza del territorio;
   in data 13 dicembre 2016, la Presidenza del Consiglio dei ministri, Dipartimento per la programmazione e il coordinamento della politica economica, effettua la ricognizione sull'andamento dei patti per il Sud, dalla quale si evince, nella sezione obbiettivi di spesa per il 2017, che la città di Palermo non ha avviato alcun intervento;
   in data 27 dicembre 2016, a seguito della lettera prot. n. 1886017 e con delibera n. 299, la giunta comunale di Palermo prende atto della nuova individuazione dei singoli progetti, n. 90, inerenti gli assi di intervento del patto per il sud della città di Palermo –:
   se il Governo abbia ricevuto la proposta di modifica del Patto per il Sud per la città di Palermo, che prevede nuove misure atte a garantire il decoro urbano e la messa in sicurezza del territorio, e se i nuovi progetti esecutivi, n. 90, citati in premessa, proposti dal comune di Palermo, siano stati approvati. (4-16291)


   GIORGIA MELONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 6 e il 7 aprile 2017 gli Stati Uniti hanno lanciato 59 missili da due portaerei al largo del Mediterraneo contro la base militare siriana di Al Shayrat, che hanno colpito hangar, depositi di munizioni, apparecchiature radar e altri bersagli tattici e danneggiato e due piste d'atterraggio della base;
   l'attacco rappresenta la reazione americana per la strage di Khan Sheikhoun nella quale, tre giorni prima, un bombardamento con armi chimiche aveva causato la morte di più di ottanta persone, tra cui ventotto bambini;
   la sera dell'attacco il Presidente degli Stati Uniti ha annunciato di aver «ordinato un attacco mirato contro la base da cui è partito l'attacco chimico», perché «martedì il dittatore della Siria, Bashar al-Assad, ha lanciato un terribile attacco con armi chimiche contro civili innocenti, uccidendo uomini, donne e bambini. Per molti di loro è stata una morte lenta e dolorosa. Anche bambini piccoli e bellissimi sono stati crudelmente uccisi in questo barbaro attacco. Nessun bambino dovrebbe mai soffrire tale orrore», affermando, altresì, che «la Siria ha ignorato gli avvertimenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu»;
   stando alle dichiarazioni di un portavoce dell'Alto rappresentante per la politica estera europea l'amministrazione americana avrebbe sostanzialmente avvertito l'Unione europea prima dell'attacco;
   all'indomani dell'attacco missilistico il Presidente del Consiglio Gentiloni ha definito «l'azione ordinata stanotte da Trump» «una risposta motivata da un crimine di guerra», accusando apertamente «il regime di Assad» di «un crimine di guerra», perché «chi fa uso di armi chimiche non può contare su attenuanti e mistificazioni»;
   anche il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Alfano ha parlato di una «azione militare Usa proporzionata nei tempi e nei modi, quale risposta a un inaccettabile senso di impunità nonché quale segnale di deterrenza verso i rischi di ulteriori impieghi di armi chimiche da parte di Assad, oltre a quelli già accertati dall'Onu»;
   il Governo siriano ha negato di avere la responsabilità dell'attacco con le armi chimiche perpetrato e gli accertamenti in merito, affidati a una inchiesta delle Nazioni unite, sono tuttora in corso;
   la posizione assunta dal Governo rispetto all'iniziativa unilaterale dell'amministrazione americana lascia supporre che probabilmente sia in possesso di ulteriori informazioni circa la responsabilità del Presidente siriano nell'attacco di Idlib –:
   di quali informazioni disponga in merito all'attacco perpetrato con le armi chimiche nella zona gli Idlib che possano giustificare l'espressione del convinto sostegno all'attacco messo in atto dagli Stati Uniti. (4-16294)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   QUARTAPELLE PROCOPIO, ZAN, GIULIANI, SGAMBATO, MALISANI, PATRIZIA MAESTRI e CARNEVALI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato da autorevoli testate della stampa russa quali «Novaya Gazeta» nel fine settimana del 2 aprile ci sarebbero stati in Cecenia dei rastrellamenti di persone omosessuali, si parla di circa cento persone, ad opera della polizia locale cui sarebbero seguite torture e forse, in tre casi, anche esecuzioni extra giudiziali;
   la rivelazione si basa su testimonianze di agenti locali e federali oltre che sul Russian LGBT Network, la notizia è stata poi confermata anche dalla più grande esperta del Caucaso del nord, Ekaterina L. Sokiryanskaya, coordinatrice per la Russia dell'International Crisis Group (Gruppo di crisi internazionale);
   gli omosessuali sarebbero stati rinchiusi in una specie di bunker e qui sottoposti a torture ed umiliazioni. A rivelare le immagini di tortura e i racconti di morte della prigione cecena, il semiclandestino movimento Russian Lgbt Network, l'unica cellula di attivisti Lgbt (Lesbiche, gay, bisessuali e transessuali) che in tutto il paese ha attivato una linea verde in coordinamento con attivisti e difensori dei diritti umani russi;
   agli omosessuali torturati sarebbe stato chiesto di rivelare altri nomi di persone con il loro stesso orientamento sessuale;
   azioni di sensibilizzazione e di mobilitazione sono state promosse in diversi parti d'Europa, e anche il Presidente del Parlamento europeo, l'italiano Antonio Tajani ha pubblicamente denunciato l'accaduto con un intervento alla plenaria del Parlamento europeo dai toni perentori: «dalla Cecenia arrivano notizie preoccupanti di uccisioni di cittadini a causa dei loro orientamenti sessuali, chiedo alle autorità cecene di fornire al più presto notizie precise e dettagliate su ciò che sta accadendo»;
   risulta pertanto di assoluta importanza che, accanto alla società civile e alle istituzioni rappresentative anche i governi facciano sentire la propria voce per assicurare il rispetto dei diritti umani in Cecenia che è una repubblica della federazione russa la quale, essendo membro del Consiglio d'Europa, risulta tra i soggetti tenuti al rispetto della «Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali» del 1950 –:
   se e come intenda accertare la veridicità dei fatti sopra riportati e in tal caso come pensa di rappresentare alla Federazione russa e nelle sedi istituzionali internazionali la condanna del nostro Paese di tali, gravi e reiterate violazioni dei diritti umani fondamentali. (5-11129)


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, SCAGLIUSI, DI BATTISTA e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   sul sito ufficiale dell'Agenzia italiana per la cooperazione allo sviluppo, sezione Libano e Siria, si apprende da una nota che: «l'aggravarsi della crisi e l'aumento dell'instabilità della Siria in termini di sicurezza hanno portato il MAECI/DGCS a sospendere, il 14 marzo 2012, le attività dell'Ambasciata d'Italia a Damasco e a rimpatriare tutto lo staff della sede diplomatica. L'intero Programma della Cooperazione Italiana allo Sviluppo in Siria è da considerarsi pertanto sospeso»;
   allo stato attuale l'escalation della guerra in Siria sta comportando l'annientamento del Paese, con gravissime ripercussioni sulle condizioni di vita della sua popolazione;
   il CIHEAM Bari è un centro di formazione postuniversitaria, ricerca scientifica applicata e progettazione di interventi in partenariato sul territorio nell'ambito dei programmi di ricerca e cooperazione internazionale e l'Istituto agronomico Mediterraneo di Bari (Iamb) è stato il primo a essere fondato dal citato centro;
   nel novembre 2015 l'interrogante ha chiesto con l'atto n. 5-07061, senza ancora nessuna risposta da parte del Governo, quale fosse l'ammontare destinato allo Iamb per la Siria e i Paesi limitrofi e per quali progetti, alla luce del conflitto in corso;
   tra le varie delibere approvate, con quella del 20 febbraio 2017, n. 1, il Comitato congiunto per la cooperazione allo sviluppo (Cics) ha approvato il «finanziamento a CIHEAM – Bari per l'iniziativa, della durata di 12 mesi, a favore della Siria e Paesi limitrofi denominata Sostegno all'agricoltura e allevamento per il popolo siriano – Terza fase pari a 1.300.000 Euro, a valere sugli stanziamenti del Decreto Missioni dell'esercizio finanziario 2016, fatte salve eventuali variazioni da apportare in sede tecnica, in invarianza di spesa: Annualità 2017 Euro 1.300.000,00» –:
   come tale decisione possa conciliarsi con l'attuale situazione in atto in Siria e Paesi limitrofi; in che modo verranno utilizzati tali finanziamenti e quali saranno i beneficiari del progetto nel contesto attuale siriano. (5-11132)

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIBAUDO e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nella Repubblica democratica del Congo, la tensione dell'ultimo anno per l'attesa decadenza del Presidente Joseph Kabila è sfociata in una guerra civile che vede, ogni giorno, decine di morti, ammazzati per le strade e nei villaggi;
   sono state trovate di recente 13 fosse comuni, da aggiungere ad altre 10 che le autorità internazionali avevano già scoperto nei mesi scorsi; le stesse autorità presenti sul territorio stimano, al ribasso, la presenza di almeno 400 morti;
   il conflitto si è aperto nella provincia del Kasai fra le forze governative e i ribelli locali, che si sono rivoltati dopo l'uccisione deh loro capo, fondando una milizia chiamata Kamuina Nsapu; si è inasprito all'inizio del 2017, quando il Governo ha inviato nella regione un reggimento dell'esercito regolare;
   le violenze sembrano essere dirette contro alcune etnie, oltre che contro le istituzioni religiose, ricordando i massacri che hanno contraddistinto nel passato il continente africano;
   all'inizio di marzo 2017, il padre congolese Jeannot Mandefu, che ha trascorso molti anni in Italia, ha inviato un messaggio ad una famiglia della provincia di Cuneo, denunciando un regno del terrore, in cui si massacrano popolazioni e ammazzano i bambini; dal Kasai le violenze si allargano a macchia d'olio nel Paese;
   la politica è in una situazione di stallo poiché il Presidente Kabila, che a fine 2016 aveva accettato un accordo con le forze di opposizione, ottenuto grazie alla mediazione della Chiesa, per nuove elezioni nel corso di quest'anno e una successiva transizione pacifica, sta invece approfittando dell'instabilità politica e militare per rimanere ancora in carica, visto che, dopo due mandati, la Costituzione gli impedisce di ricandidarsi;
   dalle zone delle violenze stanno ormai fuggendo associazioni di volontariato, anche italiane, mentre l'esercito regolare è arrivato ad arrestare gli studenti dell'Università di Kananga, e il vescovado e il seminario della capitale Kinshasa sarebbero stati attaccati e saccheggiati;
   la Repubblica democratica del Congo è uno dei Paesi più importanti dell'area, con 67 milioni di abitanti, più di 300 etnie diverse e infinite possibilità di sviluppo date dalle ricchezze della natura, la cui instabilità mette a rischio di ulteriori conflitti anche i Paesi confinanti;
   la comunità internazionale, già presente con una missione dell'Onu, non può rimanere silente di fronte a questi efferati massacri che rischiano di far ripiombare il Paese negli incubi che lo hanno perseguitato dalla seconda metà degli anni ’90 fin quasi a 10 anni fa, quando l'attuale Presidente vinse le sue prime elezioni;
   l'attuale presenza dell'Italia nel consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite rafforza il nostro dovere di garantire il rispetto dei diritti umani in tutto il mondo –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato affinché vengano trovate, in sede internazionale, soluzioni condivise che mettano fine alle violenze in Congo e assicurino libere elezioni entro il 2017;
   quali iniziative siano in atto per assicurare la sicurezza di tutti gli operatori umanitari e di tutti i cittadini italiani che sono attualmente presenti nella Repubblica democratica del Congo. (4-16266)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'aeroporto di Roma-Fiumicino, noto con il nome commerciale di Aeroporto Leonardo da Vinci è il più grande aeroporto internazionale italiano per numero di passeggeri (oltre 41,7 milioni nell'anno 2016) ed assieme all'Aeroporto di Ciampino, forma il sistema aeroportuale romano, gestito dalla società Aeroporti di Roma (AdR); in applicazione della legge quadro 26 ottobre 1995, n. 447, il 31 ottobre 1997 è stato emanato il decreto del Ministro dell'ambiente, di concerto con il Ministro dei trasporti e della navigazione, che, tra l'altro, assegna ad Enac il potere di istituire per ogni scalo aereo una commissione aeroportuale; tra i compiti assegnati a dette commissioni vi è quello di definire nell'intorno aeroportuale i confini delle tre zone A, B e C (aree di rispetto), all'interno delle quali vengono identificati limiti acustici, definiti in termini di valori dell'indice LVA e relativi vincoli urbanistici; il decreto ministeriale 2 dicembre 1999 prevede che le zone di rispetto negli aeroporti debbano essere stabilite mediante la predisposizione preliminare di una «impronta acustica» rappresentativa dei livelli di LVA generati dall'aeroporto sul territorio circostante, sulla base del calcolo di curve isolivello di rumore elaborate con l'ausilio di modelli matematici, validati dall'ISPRA; nell'ambito di alcune commissioni aeroportuali, come quella per l'aeroporto di Fiumicino, si è provveduto a definire la zonizzazione acustica attraverso un'interpretazione «semplificata» della norma, che ha portato a determinare i confini delle zone A, B e C utilizzando direttamente l'impronta acustica, in cui le curve di isolivello acustico di indice LVA vengono identificate esattamente con i confini delle suddette zone; tale interpretazione, non analizzando il territorio compreso nell'impronta acustica, può comportare una significativa presenza di edifici residenziali in zona B, in contraddizione con la definizione data dal decreto ministeriale 31 ottobre 1997, per la quale nella zona B non devono essere presenti edifici abitati; tale metodo risulta in evidente contrasto con quanto affermato dal decreto ministeriale 31 ottobre 1997 e dal successivo decreto ministeriale 3 dicembre 1999, ove si prevede che i confini delle aree di rispetto debbano essere definiti tenendo conto del piano regolatore aeroportuale, degli strumenti di pianificazione territoriale e urbanistica vigenti e delle procedure antirumore adottate; tale criterio «pianificatorio» della zonizzazione è presupposto per consentire l'adozione delle procedure antirumore previste e per la predisposizione da parte delle società di gestione aeroportuali, dei piani di risanamento previsti dalla vigente normativa, le cui azioni di abbattimento e mitigazione devono essere intraprese a tutela della popolazione maggiormente esposta; esiste una elevata presenza di popolazione residente (1363 ab. – dati popolazione 2011) nelle aree dell'intorno aeroportuale in cui l'indicatore LVA supera il 65 dBA, esposta al rumore di origine aeronautico, come documentato nel report/Agenti fisici–05 dell'Arpa Lazio; risulta allo scrivente che è attualmente in corso presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la procedura di valutazione d'impatto ambientale relativa al piano di sviluppo aeroportuale dello scalo Leonardo da Vinci, che prevede un aumento di oltre il 17 per cento degli attuali movimenti aerei annui –:
   se i Ministri, interrogati non intendano disporre una verifica sulla validità dell'attuale zonizzazione acustica aeroportuale dello scalo Leonardo da Vinci di Roma-Fiumicino ed eventualmente investire la commissione aeroportuale di cui all'articolo 4 – del decreto ministeriale 31 ottobre 1997 affinché venga adottata una nuova zonizzazione acustica dell'aeroporto Leonardo da Vinci, redatta mediante l'applicazione del criterio «pianificatorio», in modo da poter definire le aree dove sia stimato o rilevato il superamento dei limiti previsti e dove emergono le criticità acustiche vigenti e dalla quale scaturiscono gli eventuali piani di risanamento da porre in essere. (5-11125)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZOLEZZI, VIGNAROLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 febbraio 2017 è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il decreto 29 dicembre 2016, n. 266, attuativo dall'articolo 38 della legge 28 dicembre 2015, n. 221, che ha introdotto l'articolo 180, comma 1-octies nel decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   introducendo l'autorizzazione previo invio di una segnalazione certificata di inizio attività ai sensi dell'articolo 19 della legge 7 agosto 1990, n. 241 al comune territorialmente competente, per impianti che trattano meno di 130 tonnellate all'anno di frazione organica per l'attività di compostaggio di comunità;
   il compost prodotto è impiegato, secondo il piano di utilizzo, in terreni a disposizione delle utenze conferenti, anche se non localizzati in prossimità dell'ubicazione dell'apparecchiatura, nonché per la concimazione di piante e fiori delle medesime utenze;
   è regolamentata la figura del conduttore dell'impianto;
   il recupero di materia organica appare una priorità ambientale, a causa della scarsità di carbonio nei suoli del nostro Paese e in molte aree mediterranee e per l'eccesso di azoto nelle falde acquifere, con squilibri ambientali ed economici ingarvescenti dovuti a fertilizzazione chimica e a eccesso di spandimenti di fanghi di depurazione, digestati agroindustriali e da trattamento anaerobico dei rifiuti stessi;
   in pratica, l'agricoltura si trova doppiamente penalizzata da matrici ambientali sempre più impattate che mettono a rischio la crescita dei prodotti e da crescenti costi per i fertilizzanti (azoto e fosforo in particolare), quando sarebbe possibile creare una filiera di recupero di materia. L'impurità dei rifiuti organici conferiti è un problema e la ratio del decreto n. 266 del 2016 è quella di individuare un conduttore che lavori a valle della raccolta ma valuti anche la qualità dei conferimenti;
   ad oggi, il mercato del compost prodotto copre per meno dell'1 per cento su scala nazionale i costi della raccolta (dati Ispra 2016) su un totale di circa 4 miliardi di euro spesi ogni anno per la gestione dell'organico e del verde;
   i cittadini italiani hanno avuto ottime risposte ai programmi di raccolta differenziata per cui è facile ipotizzare che, incrementando la cultura del compostaggio, si potrebbe migliorare la qualità della frazione organica raccolta e stimolare privati e imprese a compostare direttamente il materiale organico in ottica di prevenzione;
   presso il plesso scolastico per l'infanzia «Bentivogli» a Castenaso (Bologna), è in corso una pratica di «orto sinergico» che prevede il compostaggio del materiale organico della mensa scolastica. Tale pratica risulta gradita e altamente didattica anche per il passaggio dalla pedagogia all'andragogia; i bimbi insegnano ai genitori che la materia organica naturalmente può ritornare alla terra in maniera equilibrata e fornire nuovi frutti in pochi mesi, senza fertilizzazione chimica;
   durante le fasi di compostaggio si sviluppano anche elevate temperature che potrebbero essere recuperate come energia termica –:
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano assumere iniziative, per promuovere, anche prevedendo adeguate risorse economiche, azioni pedagogiche, particolarmente in ambito scolastico, sul tema della trattazione del materiale organico;
   se i Ministri interrogati, per quanto di competenza, non intendano assumere iniziative, anche normative, per stimolare il recupero di calore nelle fasi di compostaggio aerobico. (4-16263)


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   Scala Coeli, comune in provincia di Cosenza, conta 1.111 abitanti, produce perciò una scarsissima porzione di rifiuti (293 chilogrammi per abitante all'anno), non produce rifiuti speciali, trattandosi di una cittadina a scarsa propensione industriale e ha, fra l'altro, avviato il progetto di raccolta differenziata porta a porta;
   il comune del cosentino sorge in una zona protetta dal marchio DOP Bruzio menzione geografica «Colline Joniche Presilane», ed è immersa in vigneti e terreni coltivati con agricoltura biologica ai sensi del regolamento CEE 2092/91. In questa zona, inoltre, resiste l'allevamento dei bovini di razza podolica, ormai sempre più rari;
    la discarica di Scala Coeli è stata autorizzata da decreto dirigenziale regionale n. 4180 del 2010 del 29 marzo 2010, ed è attiva e funzionante dal mese di maggio 2015. La discarica non solo si trova nella zona a vocazione agricola e biologica sopra citata, ma anche a pochissima distanza dai torrenti affluenti del fiume Nicà, ovvero nella stessa area in cui alcuni scavi hanno rinvenuto tombe di periodo ellenistico. Nonostante la già imponente superficie di 60.000 metri quadri, con capienza fino a 250 tonnellate al giorno di rifiuti, la ditta che gestisce la discarica ha richiesto alla regione Calabria la possibilità di raddoppiarne la superficie. L'analisi del progetto è stata avviata nel gennaio 2017;
   l'ampliamento della discarica non è voluto da molti sindaci del circondario. In primis il comune di Crucoli, il comune che sarebbe maggiormente colpito dall'estensione della discarica e che ha attualmente la maggior porzione di territorio in cui essa ricade, e che ha deliberato parere negativo in proposito, il quale, forse per avere espresso il proprio parere negativo non risulta, a quanto consta agli interroganti, esser stato ancora convocato per il tavolo dell'analisi del progetto. Allo stesso modo, il progetto è osteggiato da numerose associazioni di cittadini e di tutela dell'ambiente del territorio. Pare infatti insensato l'ampliamento di una discarica in una zona ad alto rischio di impatto ambientale, senza una vera necessità rispetto allo smaltimento dei rifiuti della zona, e dopo l'approvazione da parte della regione Calabria, nel dicembre del 2016, del piano rifiuti, il quale prevede l'obiettivo di discariche zero entro il 2020;
   infine, la discarica si trova a cavallo tra la provincia di Crotone e la provincia di Cosenza. Sull'unica via di accesso per la discarica vige un'ordinanza provinciale di Crotone, datata 2015, che vieta il transito ai veicoli eppure non viene fatta rispettare –:
   di quali elementi dispongano i Ministri interrogati in relazione a quanto esposto in premessa e se intendano promuovere ogni iniziativa di competenza, anche in considerazione delle particolari caratteristiche dell'area, che vede rilevanti produzioni con marchio DOP, e in definitiva per tutelare l'ambiente e la salute dei cittadini. (4-16287)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dopo l'incidente di Chernobyl, nel 1987 in Italia fu indetto un referendum avente come oggetto la localizzazione delle centrali sul territorio nazionale. Nel 1988, il nuovo «Piano energetico nazionale» stabilì la moratoria dell'utilizzo del nucleare da fissione quale fonte energetica. Nel 1990, l'ENEL, ha provveduto a disattivare le proprie centrali e ad attuare la procedura dello smantellamento degli impianti nucleari. La discussione sull'eventuale possibile ritorno alla tecnologia nucleare nella produzione, che è stata aperta negli anni tra il 2005 ed il 2008, si è conclusa con il referendum abrogativo del 2011;
   la centrale nucleare di Krško, in Slovenia, è situata a circa 120 chilometri dal confine con il Friuli Venezia Giulia, in direzione del vento di Bora;
   il rapporto di Greenpeace del 2013 ha focalizzato l'attenzione su alcune centrali nucleari europee estremamente problematiche, descrivendo questi impianti come «una fonte di rischio, non solo per i cittadini del Paese che le ospita, ma anche per quelli degli Stati confinanti. Lo stabilimento di Krško minaccia oltre l'Italia, ovviamente la Slovenia, ma anche Croazia, Ungheria e Austria. Il punto più critico è che la centrale è costruita in un'area sismicamente attiva»;
   durante il convegno di sismologia tenutosi a Mosca nell'agosto 2012, gli esperti dell'Istituto di oceanografia e geofisica sperimentale hanno presentato uno studio in cui si è calcolato, per la zona di Krško, la probabilità di scosse fino ad una di magnitudo 7,2.;
   l'11 ottobre 2016, nel corso dell'audizione avente come tema la pericolosità sismica di Krško, sono intervenuti il dottor Sirovich, il professore Suhadolc e il dottor Decker;
   i tre esperti hanno ricordato come il «sito sia stato epicentro di diversi terremoti: magnitudo Richter tra 5 e 5,5 nel 1628 e nel 1924, magnitudo 6 nel 1917, magnitudo 4,2 nel 2015 ed, in particolare, nel 1989 una scossa di magnitudo 3,9 ha impresso alla centrale una accelerazione già superiore a quella di progetto»; hanno, poi, sottolineato come «(...) a Krško possano ripresentarsi terremoti forti almeno quanto quello già verificatosi nel 1917, ma probabilmente anche ben più forti, e potrebbero avere conseguenze gravissime (...). Non esiste comunque un'autorità scientifica super partes, che controlli i progetti; quindi essi rimangono affidati quasi esclusivamente ai consulenti che, ovviamente, tendono ad assecondare la committenza»;
   secondo gli studiosi, «i Paesi aderenti all'Unione europea possono sottoporre i propri eventuali dubbi in fatto di normative nucleari, siti specifici, stress test e altro alla conferenza europea ENSREG. In tale sede, l'Italia è rappresentata dall'ISPRA che ha il compito di veicolare anche le eventuali osservazioni dei cosiddetti portatori di interessi o di competenze (...)»;
   l'8 marzo 2017, il programma televisivo Tagadà ha trasmesso un servizio di Caroselli dedicato a Krško nel quale, oltre ad analizzare le criticità della centrale, sono stati intervistati alcuni esperti;
   Andrej Stritar, direttore dell'Agenzia per la sicurezza nucleare della Slovenia, ha ricordato il guasto della centrale avvenuto nel 2008, il terremoto di magnitudo 4,4 accaduto nel 2014 e il malfunzionamento registrato il 16 febbraio 2017;
   infine, ribadendo la costante attività sismica dell'area, nel rispondere alla domanda di Caroselli su cosa potrebbe accadere all'impianto nel caso in cui si verificasse una scossa di magnitudo 7, ha dichiarato che occorrerebbe «toccare ferro»;
   il giornalista de il Piccolo Manzin, contattato dalla redazione di La7, ha riferito, in aggiunta, che secondo l'Agenzia nucleare francese «ci sono delle possibilità di rischi sismici molto importanti, proprio nell'area dove è collocata la centrale di Krško, e ai quali la stessa centrale non riuscirebbe a fare fronte»;
   in ultimo, Concettina Giovani di Arpa Friuli Venezia Giulia ha dichiarato che «in caso di Bora, proveniente da Krško fino alla città di Trieste, o venti forti, le radiazioni provenienti dalla centrale, nel giro di poche ore, potrebbero arrivare nel territorio italiano» –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere, di concerto con le autorità slovene, per chiarire definitivamente la pericolosità sismica dell'area e indicare le possibili misure di prevenzione e di tutela;
   quali interventi intenda porre in essere, d'accordo con le autorità slovene e l'Unione Europea, ai fini di assicurare l'adeguamento sismico della centrale di Krško;
   quali iniziative di competenza intenda adottare in ordine al rispetto dei parametri relativi alla valutazione dell'impatto ambientale, nonché per attivare tutti gli strumenti necessari finalizzati a tutelare la salute dei cittadini. (4-16289)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   VALLASCAS. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano l'Unione Sarda dell'11 aprile 2017 ha pubblicato la notizia secondo la quale la casa d'aste Christie's sarebbe in procinto di vendere all'alta un bronzetto di epoca nuragica: la messa all'incanto sarebbe fissata il giorno 25 aprile 2017 a New York;
   in particolare, secondo i dati acquisiti dall'articolista, la datazione del reperto, che rappresenterebbe una sacerdotessa e sarebbe alto 13,3 centimetri, sarebbe stimata attorno all'ottavo secolo avanti Cristo, mentre la base d'asta sarebbe compresa tra i 50 mila e i 70 mila dollari;
   l'articolo riporterebbe, tra le altre cose, le dichiarazioni di un'archeologa, già direttrice della Soprintendenza di Nuoro e Sassari, secondo la quale sarebbe sempre più frequente il fenomeno dell'offerta di materiali, «probabilmente trafugati, e poi messi nel mercato. “Evidentemente questo copioso materiale trova i canali giusti per uscire dall'Italia. La manovalanza fa solo il lavoro sporco poi sono i colletti bianchi a tentare di piazzare gli oggetti”»;
   l'archeologa avrebbe altresì riconosciuto «la sacerdotessa bronzea come il bronzetto che poco più di un anno fa comparve in un'altra asta, rimasto evidentemente invenduto»;
   tra le altre cose, l'articolista rivelerebbe che sarebbero in corso, da parte del Nucleo tutela del patrimonio culturale di Cagliari, «indagini per capire innanzitutto se dietro la vendita o la tentata vendita del reperto ci sia un'attività illecita [...]. Il percorso a ritroso inizia cercando di risalire all'identità del proprietario e a come ne sia venuto in possesso. Naturalmente la proprietà va dimostrata con tanto di documentazione in regola con le leggi»;
   secondo quanto rivela il giornale, la legislazione italiana sul patrimonio culturale è abbastanza chiara e stringente, ma negli anni, gli strumenti per contrastare il possesso e la commercializzazione nonché per trattenere reperti archeologici nei confini nazionali si sarebbero rivelate abbastanza facili da eludere;
   il giornale riferirebbe, riportando le dichiarazioni del comandante il Nucleo tutela del patrimonio culturale, che «Sul caso sono già in corso i contatti con l'Interpol. I nostri rapporti sono continui, anche perché molti dei nostri oggetti prendono la strada dell'estero»;
   nel complesso, sembrerebbe che il traffico illecito di reperti archeologici italiani sia un fenomeno frequente, in particolare, non sarebbe la prima volta che oggetti sardi di altissimo pregio, testimonianza delle civiltà antiche dell'Isola, siano stati trafugati per essere venduti illegalmente in tutto il mondo;
   è il caso di sottolineare lo straordinario valore testimoniale dei bronzetti, valore ulteriormente accresciuto dal numero limitato di reperti nella disponibilità delle istituzioni pubbliche e dal fatto che buona parte di essi sarebbero stati trafugati;
   a questo proposito, è opportuno richiamare l'unico censimento esistente, del 1966, ad opera dell'archeologo e accademico dei Lincei Giovanni Lilliu, secondo il quale il numero delle statuette ancora superstiti ammonterebbe a più di un migliaio: più di 500 esposte in musei Sardi e Italiani ed un numero maggiore facente parte di collezioni pubbliche o private, sparse nel mondo –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per fare sì che sia fatta chiarezza sulla vicenda e per bloccare con sollecitudine la vendita all'incanto prevista per il 25 aprile 2017;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per fare sì che il reperto di cui in premessa sia riportato in Italia e sia messo a disposizione della Soprintendenza per i beni archeologici competente in Sardegna.
(3-02954)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BERGAMINI e COZZOLINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la comunità agricola Il Forteto era una struttura destinata ad accogliere minorenni in condizioni di disagio che si trova in provincia di Firenze che si presentava come una comunità produttiva e alternativa alla famiglia tradizionale;
   in realtà sia la struttura che uno dei suoi fondatori, Rodolfo Fiesoli sono stati al centro di vicende giudiziarie legate allo sfruttamento minorile e agli abusi sessuali: il 17 giugno 2015 infatti Fiesoli è stato condannato a 17 anni e mezzo di reclusione per maltrattamenti e abusi sessuali, pena ridotta nel luglio 2016 dai giudici di secondo grado a 15 anni e 10 mesi;
   la vicenda scosse fortemente la Toscana al punto che la regione si costituì parte civile nel processo e in merito furono istituite due commissioni regionali d'inchiesta;
   la vicenda i giornalisti Francesco Dini e Duccio Tronci hanno scritto un libro «Setta di Stato – Il caso Forteto», edito dalla casa editrice AB, che avrebbe potuto essere presentato al Salone del libro di Torino che si terrà dal 18 al 22 maggio prossimi se la regione Toscana, regione ospite della trentesima edizione del festival, non avesse negato all'associazione Toscanalibri, che avrà uno spazio per la presentare la propria produzione letteraria incentrata proprio sulla Toscana, l'autorizzazione alla presentazione;
   «Setta di Stato – Il caso Forteto» è un'inchiesta giornalistica sulla comunità del Forteto, allora guidata dal «profeta» Rodolfo Fiesoli, che racconta della vita nella struttura attraverso le testimonianze dirette di chi, da bambino, ha vissuto l'incubo dell'affidamento alla comunità;
   il Salone del Libro di Torino è promosso dalla Fondazione per il libro, la musica e la cultura che annovera tra i suoi soci fondatori anche il Ministero dei beni culturali e delle attività culturali e del turismo; tra gli obiettivi che si propone la Fondazione ci sono collaborazioni con enti pubblici in favore della diffusione della cultura;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, così come altre alte cariche dello Stato compaiono inoltre in qualità di partner istituzionali della manifestazione che, tra gli obiettivi che si propone, annovera anche quello di costituire una grande kermesse culturale;
   la diffusione della cultura non può prescindere dalla libera circolazione delle idee, ma soprattutto non può prescindere dalla circolazione delle informazioni, dal coraggio della trasparenza e dal rifiuto di qualsiasi forma di censura –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato, per quanto di competenza e in considerazione del ruolo non solo istituzionale che ricopre nella realizzazione del Salone del Libro di Torino, al fine di impedire che siano adottati filtri censori su ciò che può o non può essere presentato al festival e al fine di sostenere una diffusione della cultura e delle informazioni che tenga conto anche degli aspetti critici e delle vicende meno edificanti della storia del nostro Paese.
(4-16272)


   COMINELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono attive, in tutte le regioni, 2273 bande musicali. A titolo esemplificativo, come segnalato dall'Associazione bande musicali di Brescia, in questa sola provincia lombarda sono attive 113 bande che a livello di tavolo permanente con le federazioni associate rappresentano circa 700 bande musicali, e oltre 50.000 mila tra allievi e musicanti;
   si tratta di un patrimonio di grande valore artistico, sociale, culturale e formativo, nonché espressione delle comunità locali. Le bande musicali sono, infatti, da secoli un fenomeno culturale tipico del territorio italiano, centri di aggregazione sociale per diverse generazioni in grado di avvicinare un ampio pubblico alla conoscenza e alla fruizione della musica popolare, la cui importanza è sancita dall'articolo 117 della Costituzione, oltre a rappresentare un importante vivaio per i Conservatori di musica italiani;
   inoltre la banda come realtà che ha sempre fatto da sfondo all'immaginario collettivo italiano, rappresenta un fenomeno sociale di grande importanza: la banda è un fenomeno vivo e, sia pure in maniera frammentaria, rimane uno dei modi fondamentali di fare musica nel nostro Paese, parte integrante della nostra storia popolare, erede della grande tradizione musicale italiana;
   un importante riconoscimento al ruolo delle formazioni bandistiche è arrivato con il decreto ministeriale prot. 529 del 30 giugno 2016, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, che attribuisce alle bande il ruolo di insegnamento nelle scuole per l'apprendimento pratico della musica per tutti gli studenti;
   con la legge di stabilità 2016 era stata introdotta la possibilità per i contribuenti di destinare il due per mille Irpef alle associazioni culturali, ma ciò non è stato confermato e quindi reso possibile anche per l'anno 2017 e le bande sono state escluse dall'elenco delle associazioni che potevano beneficiare di del contributo –:
   se non ritenga opportuno assumere le necessarie iniziative normative per tornare indietro su questa decisione che incide negativamente su un segmento importante della cultura musicale del nostro Paese e di fatto penalizza direttamente migliaia di musicisti e studenti. (4-16276)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della riunione del CISR (Comitato interministeriale per la sicurezza della Repubblica) del 17 febbraio 2017 il Presidente del Consiglio dei ministri Paolo Gentiloni ha presentato un nuovo decreto in sostituzione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri Monti del 24 gennaio 2013;
   il nuovo provvedimento ha lo scopo di definire un programma nazionale per la sicurezza cibernetica;
   in una nota del Dis (Dipartimento delle informazioni per la sicurezza) viene spiegato che il provvedimento «nelle more del recepimento della direttiva europea NIS (Network and Information Security) rafforza il ruolo del CISR che emanerà direttive con l'obiettivo di innalzare il livello della sicurezza informatica del paese, e si avvarrà, in questa attività, del supporto del coordinamento interministeriale delle amministrazioni CISR (il cosiddetto CISR tecnico) e del DIS»;
   al direttore generale del Dis, il cosiddetto decreto Gentiloni attribuisce «il compito di definire linee di azione che dovranno portare ad assicurare i necessari livelli di sicurezza dei sistemi e delle reti di interesse strategico, sia pubblici che privati, verificandone ed eliminandone le vulnerabilità» e il dipartimento, in queste attività, potrà avvalersi della collaborazione di accademici, ricercatori e industrie del settore;
   altra novità che riguarda il Dis è la reintroduzione, al suo interno, del Nucleo sicurezza cibernetica (Nsc) che dovrà assicurare «la risposta coordinata agli eventi cibernetici significativi per la sicurezza nazionale in raccordo con tutte le strutture dei ministeri competenti in materia»;
   il decreto, inoltre, prevede un forte interazione con l'Agenzia per l'Italia digitale (AgID) del dipartimento della funzione pubblica, con il Ministero dello sviluppo economico, con il Ministero dell'interno, con il Ministero della difesa e con il Ministero dell'economia e delle finanze;
   in una intervista pubblicata sul quotidiano La Repubblica il 5 marzo 2017 (http://www.repubblica.it/cronaca/2017/03/15/news) il Capo di Stato maggiore della difesa, generale Claudio Graziano, ha dichiarato che: «Non avevamo compreso la dimensione della minaccia, ma ci stiamo attrezzando. Abbiamo creato il CIOC, Comando Interforze Operazioni Cibernetiche, che è già in funzione e dal 2018 sarà a pieno regime. Stiamo pensando anche a un reclutamento straordinario, e ho già dato direttive in tal senso, perché tra i giovani ci sono delle grandi capacità: basta un hacker per mettere in crisi un sistema di computer. Già oggi nella scuola di Chiavari abbiamo una sala per simulare azioni cyber, gestita in collaborazione con l'Università di Genova, ma dobbiamo cercare all'esterno queste professionalità, soprattutto negli atenei (...) In patria difenderemo la sicurezza delle nostre reti, mettendo le strutture a disposizione degli altri dicasteri. Si tratta di un comando che nasce in stretto coordinamento con le altre agenzie di sicurezza. Nelle missioni all'estero ogni comandante potrà contare su tutti gli strumenti cyber, anche di natura offensiva»;
   le parole del Capo di Stato maggiore della difesa lasciano intendere che le attività di approntamento del Comando interforze operazioni cibernetiche stiano procedendo nei tempi e nei modi previsti, tuttavia, non è stato ancora chiarito quali saranno le capacità operative del nuovo comando e come si interfaccerà, dal punto di vista tecnico-operativo, con gli altri enti preposti alla sicurezza cibernetica nazionale –:
   quali saranno le specifiche competenze attribuite al Comando interforze operazioni cibernetiche nel quadro del sistema nazionale di sicurezza cibernetica. (5-11134)


   FRUSONE, BASILIO, CORDA, TOFALO, RIZZO, DI BATTISTA e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nella trasmissione le « Iene» del 5 aprile 2017 (http://www.iene.mediaset.it), dal titolo «Il sottosegretario al derby con l'auto blu ?», si documenta come il sottosegretario alla difesa, onorevole Domenico Rossi, abbia utilizzato l'auto di servizio per recarsi a poco meno di un chilometro (piazzale Clodio) dallo stadio Olimpico, sia trasbordato su un auto di un amico, ed abbia raggiunto in quel modo il settore vip dello stadio;
   già in passato – sempre un servizio delle « Iene» – aveva documentato l'abitudine del sottosegretario Rossi di utilizzare l'auto di servizio per spostarsi dall'ufficio a casa. Intervistato dal giornalista il sottosegretario Rossi si impegnava a non utilizzarla più per gli spostamenti casa/ufficio;
   il Presidente del Consiglio pro tempore, Matteo Renzi, in una conferenza stampa a Palazzo Chigi del 18 aprile 2014, aveva dichiarato, infatti, che da ora in poi «i sottosegretari dovranno andare in ufficio a piedi, o utilizzando il taxi, o gli autobus, la bicicletta o la propria auto privata». Dunque, mai più auto di servizio per i sottosegretari;
   in attuazione del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, all'articolo 15, che ha modificato il comma 2 dell'articolo 5 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, è stato adottato il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 25 settembre 2014 («Determinazione del numero massimo e delle modalità di utilizzo delle autovetture di servizio con autista adibite al trasporto di persone»), il quale ha previsto la riduzione delle autovetture di servizio con autista adibite al trasporto di persone da parte dell'amministrazione centrale dello Stato, ciascuna della quali è tenuta a ridurre il numero delle autovetture utilizzabili, fino a un massimo di cinque autovetture;
   l'impiego disinvolto delle auto blu da parte dei rappresentanti del Governo e dei funzionari e dirigenti ministeriali è vissuto dall'opinione pubblica come una mancanza di sensibilità e di rispetto da parte della politica e degli apparati pubblici nei confronti di tutti i cittadini;
   quali provvedimenti intenda assumere, o abbia già assunto, il Ministro interrogato, per quanto di competenza, per rendere operativi gli impegni per limitare l'uso delle auto blu ai sottosegretari di Stato e al personale dirigente, anche in riferimento all'episodio esposto in premessa. (5-11135)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MICCOLI. — Al Ministro della difesa, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il «tunnel di Mussolini» è un progetto per una rete metropolitana romana che, iniziato nel 1941 dalla Stefer (Società delle tramvie e ferrovie elettriche), avrebbe dovuto collegare il quartiere periferico di Centocelle al centro della città. L'opera è rimasta incompiuta, i lavori si sono interrotti definitivamente negli anni ’50 e da allora le gallerie vengono utilizzate come fungaie, poi discariche per motorini rubati, ferri vecchi e rifiuti vari, infine come teatro di attività e traffici illegali – in particolare nel tratto verso Viale Palmiro Togliatti;
   a nulla sono valsi gli sforzi dei volontari e della Associazioni dei cittadini che, riconoscendone la valenza storica, a dicembre 2016, lo hanno «svuotato» dei rifiuti con l'intento di far visitare il luogo a piedi o in bicicletta;
   il 4 gennaio 2017, l'incuria, i rifiuti costantemente abbandonati nel parco hanno generato un incendio «covante» (in gergo senza sviluppo di fiamme sulla superficie del combustibile e sviluppatosi in carenza di ossigeno) di tale entità da richiedere l'intervento in forze dei pompieri del comando provinciale di Roma per sedarlo. In particolare, la valvola di sfogo della diossina, proveniva da una voragine di 25 metri tra i palazzi (altezza civico 3 di via di Centocelle) la quale, apertasi dal 26 dicembre del 2015, continua a produrre fumi tossici che tuttora si propagano dal quartiere Quadraro fino a Torpignattara;
   il 10 febbraio 2017 è stata emanata una ordinanza, da parte della sindaca di Roma, per la «bonifica urgente dell'area». Da provvedimento, entro 15 giorni dalla notifica dell'atto, il dipartimento tutela ambientale avrebbe dovuto rimuovere i rifiuti ed entro un mese predisporne lo smaltimento. Malgrado ciò, l'immondizia ha continuato ad essere sversata nel tunnel – azione divenuta oggetto di una indagine della magistratura – producendo esalazioni nocive e nauseabonde, tali da appestare la zona circostante. Alla luce di ciò, il 6 aprile 2017, la protezione civile ha disposto la chiusura «parziale e provvisoria» del parco di Centocelle per motivi di «sicurezza ed incolumità pubblica». Nel frattempo i Comitati dei cittadini proseguono a gran voce nella richiesta di bonifica dell'intera area annunciata dall'atto amministrativo;
   in una intervista del 1o marzo 2017, pubblicata su Repubblica.it, la Ministra della difesa Roberta Pinotti ha annunciato la progettazione di un «Pentagono italiano», un unico comando per rendere concreta l'integrazione dei vertici. La scelta del luogo parrebbe ricadere sul Parco di Centocelle, dove l'on. dichiara, «di aver già trasferito dal centro storico le 1500 persone della Direzione generale degli armamenti, e lì c’è il Coi, il comando operativo che gestisce tutte le missioni all'estero e in Italia. E lì si è pensato di costruire la struttura con i vertici di tutte le forze armate. Spazi e cubature sono disponibili, abbiamo ipotizzato strade e infrastrutture...» ed ancora – «abbiamo presentato una prima richiesta all'interno del budget per le infrastrutture previsto nella legge di stabilità» –:
   se siano a conoscenza dei fatti e del grave permanere delle criticità e dei possibili pericoli per l'incolumità pubblica e nel caso, quali iniziative intendano intraprendere anche valutando la possibile convocazione di un tavolo di concertazione, che veda coinvolti oltre agli enti locali, le Associazioni e i Comitati di cittadini che da anni si battono per la riqualifica del parco di Centocelle;
   se, in relazione all'utilizzo dell'area annunciato dal Ministero della difesa, intendano dare maggiori informazioni alle amministrazioni locali. (5-11141)

Interrogazione a risposta scritta:


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   come è a tutto noto, il compenso forfettario di impiego (C.F.I.) rappresenta una particolare indennità introdotta dalla legge n. 86 del 2001 in favore del personale dell'Esercito, della Marina, dell'Aeronautica, dell'Arma dei Carabinieri e della Guardia di Finanza impegnato in esercitazioni o in operazioni militari caratterizzate da particolari condizioni di impiego prolungato o continuativo oltre il normale orario di lavoro;
   la predetta indennità, che viene attribuita per i giorni di effettivi impiego per il lavoro straordinario e per il recupero compensativo, può essere concessa soltanto a condizione che l'impiego prolungato straordinario si protragga senza soluzione di continuità per almeno quarantotto ore e si sostituisce a tutti gli altri istituti previsti per il lavoro prestato oltre il regolare orario giornaliero;
   il compenso forfettario di impiego è finalizzato a remunerare esclusivamente l'impiego di personale non dirigenziale in esercitazioni e operazioni militari prolungate e continuative ed il quantum spettante ad ogni unità si differenzia in ragione sia del livello che delle giornate lavorative (giorni feriali, giorni prefestivi e giorni festivi);
   da segnalazioni pervenute e da notizie pubblicate da organi di stampa emerge che il personale dell'Esercito impegnato nell'operazione « Summer Tempest», svoltasi nel secondo bimestre del 2016 presso Capo Teulada in Sardegna, non avrebbe ricevuto il compenso forfettario di impiego, nonostante la tipologia delle operazioni svolte e le ore di impiego effettivamente prestate fossero coerenti con quanto disposto dalla legge;
   in particolare sembrerebbe che le esercitazioni svoltesi in Sardegna e durate circa quattro mesi non avrebbero avuto la copertura economica necessaria a sostenere tutte le spese e che ai partecipanti alla predetta missione sarebbe stata comunicata preventivamente tale circostanza;
   l'istituto del compenso forfettario di impiego, oltre ad essere disciplinato da apposita previsione normativa, è stato altresì oggetto di due pronunce del TAR Sicilia che, prima nel 2009 e poi nel 2012, ha condannato la pubblica amministrazione al pagamento di tutti gli arretrati non corrisposti a titolo di compenso forfettario di impiego in favore del personale in servizio antimmigrazione svolto a Lampedusa, evidenziando il principio secondo cui ad ogni prestazione lavorativa deve corrispondere la retribuzione per questa fissata ex ante e che pertanto, a fronte di una attività effettivamente espletata, deve corrispondersi per intero la retribuzione di cui all'articolo 3 della legge n. 86 del 2001;
   inoltre, nelle medesime sentenze, il giudice amministrativo ha sottolineato che risulta del tutto irrilevante la circostanza che la Pubblica Amministrazione abbia subordinato la concessione del compenso forfettario di impiego alla presenza di risorse economiche, posto che l'istituito non si aggiunge, ma si sostituisce alla retribuzione prevista per il lavoro straordinario, in quanto metodica retribuita nella quale sono assorbiti sia la remunerazione per le ore di straordinario sia il connesso recupero –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se gli stessi corrispondano al vero;
   quali misure urgenti intenda adottare al fine di corrispondere, in tempi rapidi, il compenso forfettario a tutto il personale impiegato nell'operazione « Summer Tempest»;
   se non ritenga opportuno subordinare l'organizzazione delle future operazioni militari, implicanti l'impiego continuativo e straordinario di aliquote di personale, al preventivo stanziamento di adeguate risorse economiche finalizzate alla completa copertura finanziaria delle spese, nel rispetto di quanto previsto dalla legge.
   (4-16274)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la coesione territoriale e il Mezzogiorno. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 18 del 27 febbraio 2017 che ha convertito il decreto n. 243 del 2016, il decreto Sud, all'articolo 7-quater prevede un «bonus Sud», ossia maggiori agevolazioni rispetto alla legge n. 208 del 2015 in termini di aiuti e tassi di credito di imposta di cui possono beneficiare le imprese che investono nelle regioni del Mezzogiorno e, in particolare, i contributi vengono alzati al 25 per cento per le grandi imprese, al 35 per le medie e fino al 45 per cento per le piccole imprese. Ciò rende particolarmente «appetibile» l'aiuto e molte sono infatti le imprese che dal 1o marzo 2017, data di entrata in vigore della legge di conversione, hanno provato ad avanzare la richiesta;
    risulta, all'interrogante, anche da notizie di stampa (Italia Oggi dell'11 aprile 2017) che le imprese stanno incontrando notevoli dubbi e difficoltà nell'accesso a tali aiuti, in quanto l'Agenzia delle entrate prevede che ciascuna azienda debba presentare la domanda, utilizzando un apposito software, chiamato CIM, e che la domanda viene poi inviata telematicamente all'Agenzia. Tuttavia, pare che tale software messo a disposizione dell'Agenzia, sia fermo al 30 giugno 2016 e non sia stato quindi adeguato alle modifiche migliorative per imprese introdotte con la legge n. 18 del 2017 in vigore dal 1o marzo 2017. Da ciò deriva che le aziende, ad oggi, non sono messe nelle condizioni di beneficiare del contributo, così come previsto dalla suddetta legge e, di conseguenza, non sanno se possono o meno avviare gli investimenti;
   sempre da notizie di stampa (Il Sole 24 Ore dell'11 aprile 2017) si apprende che altrettanti problemi si starebbero verificando, sempre nell'ambito delle agevolazioni previste dal «bonus Sud», con l'Inps. La misura prevede l'esonero contributivo per le aziende che assumono a tempo indeterminato nel Mezzogiorno, ma pare che, a causa di circolari a quanto consta all'interrogante contraddittorie, emanate dall'istituto, non risulti chiaro se, a poter beneficiare degli esoneri siano solo le trasformazioni di contratti da tempo determinato a tempo indeterminato o anche le nuove assunzioni di disoccupati da almeno sei mesi –:
   se quanto riportato in premessa corrisponde al vero;
   se il Governo non ritenga di dover subito intervenire sia presso l'Agenzia delle entrate sia presso l'Inps, affinché provvedano ad adeguare i propri sistemi e affinché sia fatta immediata chiarezza sui termini e i criteri delle agevolazioni previste e sia consentito alle imprese di poter beneficiare sia del credito di imposta per nuovi investimenti, sia della decontribuzione per nuovi assunti. (4-16270)


   PAOLA BOLDRINI e BRATTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa di risparmio di Ferrara s.p.a. è stata posta in regime di amministrazione straordinaria con decreto n. 151 del 27 maggio 2013 del Ministero dell'economia e delle finanze, più volte prorogato, ai sensi dell'articolo 98, comma 3, del decreto legislativo n. 385 del 1993, (Testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia) e successivamente sottoposta alla procedura di risoluzione da parte della Banca d'Italia, con provvedimento del 21 novembre 2015, approvato dal Ministro dell'economia e delle finanze con decreto del 22 novembre 2015, ai sensi dell'articolo 32 del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180;
   in attuazione della direttiva 2014/59/UE, il decreto legislativo n. 180/2015 ha introdotto nel nostro ordinamento il sistema del bail-in, che ha trovato immediata applicazione anche per la Carife ai sensi del decreto-legge n. 183 del 22 novembre 2015, recante «Disposizioni urgenti per il settore creditizio»;
   di conseguenza, molte famiglie e pensionati hanno visto compromessi il valore dei loro risparmi;
   con l'articolo 1, comma 855, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, è stato previsto un Fondo di solidarietà alimentato dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (FIDT), disciplinato dall'articolo 96 del Testo Unico Bancario, da destinare al risarcimento parziale – pari all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto degli strumenti finanziari – in favore degli obbligazionisti subordinati;
   i destinatari del rimborso forfettario sono stati specificamente individuati dal decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 giugno 2016, n. 119 nelle persone fisiche, imprenditori individuali, anche agricoli, e nei coltivatori diretti, o i loro successori mortis causa, che hanno acquistato gli strumenti finanziari subordinati nell'ambito di un rapporto negoziale diretto con la Banca in liquidazione che li ha emessi;
   successivamente, il decreto-legge 23 dicembre 2016, n. 237, convertito con modificazioni dalla legge 17 febbraio 2017 n. 15, recante disposizioni urgenti per la tutela del risparmio nel settore creditizio, il cosiddetto «salva banche», ha esteso l'accesso al fondo di solidarietà anche ai coniugi more uxorio e ai parenti degli obbligazionisti fino al secondo grado di parentela e agli affini, prorogando al 31 maggio i termini di presentazione dell'istanza di rimborso;
   recentemente è stato annunciato che al massimo entro i primi giorni di aprile si sarebbe portata a compimento l'integrazione del regolamento del FITD, conseguente alle modifiche legislative che hanno allargato la platea degli interessati, e si sarebbe proceduto alla raccolta delle nuove domande;
   attualmente sono stati corrisposti ai risparmiatori Carife rimborsi 12,7 dei 51 milioni di euro di risparmi coinvolti;
   in questa seconda fase dovrebbero essere ripresentate le istanze respinte nei mesi scorsi, in tutto 168, in quanto rientranti nelle tipologie precedentemente escluse dall'operazione di rimborso;
   il FITD non ha ancora comunicato le nuove procedure di richiesta del rimborso, nonostante il termine per presentare istanza sia fissato al 31 maggio, e la documentazione da produrre sia spesso molto complessa;
   considerato altresì che:
    la presentazione dell'istanza di indennizzo forfettario preclude, a specifiche condizioni di tipo reddituale e/o patrimoniale, la possibilità di esperire la procedura arbitrale prevista dalla legge n. 208 del 2015, per la cui definizione delle modalità di accesso, si attende ancora l'emanazione del previsto decreto ministeriale –:
   quali siano le ragioni che, a tutt'oggi, impediscono al Fondo interbancario di tutela dei depositi di pubblicare il regolamento aggiornato alle modifiche normative intervenute;
   come intenda intervenire per quanto di competenza per garantire il rispetto dei termini per presentare le domande di rimborso degli investitori coinvolti di Carife;
   quali siano le ragioni del ritardo nell'emanazione dell'atteso decreto relativo alla procedura per accedere all'arbitrato ai soggetti esclusi dal risarcimento. (4-16280)


   PALESE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 2008 la regione Puglia ha creato sei società in-house (una per ogni Asl della Puglia) denominate Sanitaservice, con ragione sociale di srl, con socio unico la Asl territoriale di riferimento, con il compito di gestire i servizi di supporto (strumentali) alle attività istituzionali delle Asl stesse;
   fin dalla nascita tali società hanno fatto discutere non poco e sono state spesso oggetto di interrogazioni ed inchieste giornalistiche e giudiziarie, per i metodi di gestione ritenuti poco trasparenti e, soprattutto, per i criteri con cui la regione autorizzò tali società, all'atto della loro nascita, alla internalizzazione di migliaia di dipendenti a tempo indeterminato, in assenza di selezioni, di criteri meritocratici e addirittura in assenza di verifiche dei requisiti indispensabili per l'accesso al pubblico impiego, quale ad esempio la verifica dei carichi pendenti;
   si apprende dalla stampa (La Gazzetta del Mezzogiorno del 9 aprile 2017) che la società Sanitaservice di Foggia sarebbe stata oggetto di accertamenti da parte della Guardia di finanza, al termine dei quali sarebbe emerso che la società non avrebbe versato l'Iva per 4,3 milioni di euro certamente nell'anno 2011 e, presumibilmente, neanche negli altri anni, per le fatture emesse nei confronti della Asl di Foggia per i servizi di fornitura ausiliari, addetti alle pulizie e personale del 118;
   gli stessi accertamenti avrebbero rivelato che alla fine dell'anno, pare almeno per 2 anni nel 2011 e nel 2012, la società avrebbe emesso una nota di credito da 900 mila euro in favore della Asl di Foggia e che nell'anno 2013, all'atto della riconferma dell'amministratore della società, in aggiunta al suo compenso annuale, sarebbe stata prevista un'aggiunta del 5 per cento sui redditi o sugli utili della società;
   sempre stando alle stesse notizie di stampa, sembrerebbe che la Sanitaservice di Foggia sia stata l'unica delle 6 società a non far pagare l'Iva alla Asl, ma sembrerebbe pure che secondo la regione Puglia quell'Iva non andrebbe pagata da nessuna Asl;
   se si dovesse stabilire che la Asl di Foggia deve versare l'Iva non versata finora si determinerebbe un «buco» nei conti di almeno 27 milioni di euro dal 2011 ad oggi, così come se dovesse emergere che quell'Iva non era dovuta neanche dalle altre Asl, si determinerebbe ulteriore caos nei conti delle Sanitaservice del resto della Puglia;
   negli ultimi anni in Parlamento sono stati presentati svariati emendamenti mirati alla soppressione dell'obbligo di imporre l'Iva per le società in house e per le Onlus ma sono stati respinti, stante la contrarietà sia della ragioneria generale dello Stato, sia dell'Europa –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle notizie riportate in premessa e se sostanzialmente, corrispondano al vero e, in caso affermativo, quali iniziative di competenza intenda assumere;
   se, in merito alla questione Iva, il Ministro dell'economia e delle finanze non ritenga di dover chiarire in via definitiva se essa vada applicata o meno nelle fatture delle società in house;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano assumere posto che, sia se ha sbagliato la Sanitariaservice di Foggia a non pagare l'Iva, sia se hanno sbagliato le altre 5 società ad applicarla, ciò determinerà un «buco» da almeno 27 milioni di euro nei conti della sanità pugliese che si ripercuoterà sulla già bassa qualità del servizio sanitario pugliese che appare all'interrogante al di sotto dei LEA e che grava sulle finanze dei cittadini pugliesi.
(4-16285)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CANCELLERI, SARTI e D'UVA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel 2006 il tribunale di Caltanissetta sequestra l'intero patrimonio dell'imprenditore Di Vincenzo sospettato di avere legami con la mafia. Nello stesso periodo il tribunale di Palermo dispone, per lo stesso motivo, il sequestro del patrimonio del gruppo imprenditoriale Zummo;
   l'amministrazione del patrimonio di entrambe le imprese viene affidata allo stesso amministratore giudiziario, il dottor Elio Collovà;
   durante la puntata de «Le iene» del 2 aprile 2017, nel servizio dal titolo «Quando l'antimafia cerca di fare affari», si apprende la storia della costruzione del cosiddetto «palazzo della legalità», sito nella città di Caltanissetta. In particolare, dal servizio emergerebbe che:
    la ditta Di Vincenzo aveva a disposizione un terreno e gli operai, ma non aveva liquidità; il gruppo imprenditoriale Zummo, essendo formato da 4 aziende, disponeva invece di una certa liquidità;
    dalla fusione delle 4 aziende che costituivano il gruppo Zummo, il dottor Collovà forma la Ag Sinergie;
    la Ag Sinergie, con il patrimonio dell'ex gruppo Zummo, acquista, nel 2011, l'area edificabile di circa 5.440 metri quadrati e di proprietà di una controllata del gruppo Di Vincenzo, al prezzo di 6.400.000 euro con una perizia sintetica dove non ci sono le fonti e dei parametri che giustifichino il valore;
    da una stima condotta da esperti del settore immobiliare, il prezzo pagato dalla Ag Sinergie è praticamente il doppio di quello stimato;
    tale vendita è stata autorizzata dal tribunale competente;
    la Ag Sinergie, per costruire il palazzo e pagare gli amministratori e i professionisti nominati, necessitava di ulteriori fondi e accese un mutuo per 9 milioni di euro con Banca Nuova. L'amministratore giudiziario, i coadiutori, i tecnici, i periti dell'amministrazione giudiziaria, stando alle carte mostrate nel servizio, avrebbero incassato quasi 10 milioni di euro. 2 milioni di euro allo stesso Collovà, 600 mila euro un architetto di Palermo fratello del procuratore antimafia Vittorio Teresi e, tra gli altri, 1 milione e 294 mila euro un avvocato palermitano, cugino acquisito dell'amministratore giudiziario. Inoltre, dal video di presentazione della costruzione, si legge che il direttore tecnico nominato è Fabrizio Collovà, figlio dell'amministratore. Tutti incarichi vidimati dai tribunali e non riferiti alla sola costruzione del palazzo, bensì alla complessiva gestione dei beni sotto sequestro per tutti i sette anni;
   ad ottobre 2016, la Corte d'appello di Palermo ha disposto il dissequestro dei beni, ritenuti di provenienza lecita a Francesco Zummo, comprendendo il citato palazzo della legalità;
   Di Vincenzo è stato assolto in via definitiva perché il fatto non sussiste, ma i beni non sono stati dissequestrati perché non è riuscito a dimostrare come ha costruito parte del suo impero;
   a seguito della mancata presentazione dei bilanci del gruppo Di Vincenzo Srl e nonostante i vari tavoli tra il Ministero dello sviluppo economico, i sindacati, l'Anbsc e l'amministrazione giudiziaria, sono stati licenziati i 41 dipendenti che vi lavoravano;
   il sistema sequestro-confisca-gestione dell'azienda da parte dello Stato non ha funzionato, tanto che gran parte degli immobili del palazzo della legalità sono invenduti e rimane il mutuo da 9 milioni di euro contratto durante l'amministrazione Collovà –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti;
   quali analisi conoscitive e azioni ispettive di propria competenza intendano avviare, al fine di verificare la correttezza delle procedure adottate in merito ai fatti esposti. (5-11126)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIBAUDO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2 della legge 24 aprile 1941, n. 392, prevede che lo Stato eroghi ai comuni un contributo annuo alle spese sostenute per il mantenimento dei locali ad uso degli uffici giudiziari;
   tale articolo risulta abrogato dalla legge 23 dicembre 2014, n. 190, la quale prevede altresì che tali spese siano trasferite interamente al Ministero della giustizia, a decorrere dal 1° settembre 2015; tale trasferimento non scioglie però i rapporti in corso, né modifica la titolarità delle posizioni di debito e di credito sussistenti al momento del trasferimento stesso;
   nell'ordine della razionalizzazione del sistema giudiziario, a far data dal 13 settembre 2013 il tribunale di Cuneo ha accorpato i tribunali di Mondovì e Saluzzo, che sono stati soppressi;
   con decreto ministeriale datato 8 agosto 2013 è stato autorizzato l'utilizzo degli immobili già sedi di quei tribunali, che sono divenute articolazioni territoriali del tribunale di Cuneo;
   il comune di Saluzzo ha dunque proseguito in questi anni nel sostegno alle spese necessarie al mantenimento dei locali e dell'operatività dei locali del tribunale, onde garantire la funzionalità dell'amministrazione della giustizia; alla data attuale, gli uffici del tribunale e della procura sono stati trasferiti a Cuneo, ma il palazzo di giustizia continuerà ad essere parzialmente occupato da alcuni uffici giudiziari;
   a fronte della richiesta presentata dal comune di Saluzzo al Ministero della giustizia, di determinare ed erogare il contributo dovuto per l'anno 2015 vista la mai cessata gestione dell'immobile adibito ad uffici giudiziari, il direttore reggente dell'Ufficio VI della direzione generale risorse materiali e delle tecnologie ha risposto in data 21 marzo 2017 che tale contributo risulta ancora da determinare;
   il Rendiconto al netto dei rilievi e del fitto presunto da parte del comune di Saluzzo, per l'anno 2015, è di 89.161,27 euro di spese documentate per il funzionamento ed il mantenimento dei locali del tribunale;
   il comune di Saluzzo è dunque impossibilitato a mettere a consuntivo il contributo mancante, determinando così uno squilibrio involontario nel bilancio del comune;
   inoltre, il comune di Saluzzo negli ultimi anni è stato messo fortemente in difficoltà dalla forte riduzione dei contributi statali al funzionamento e di mantenimento degli uffici giudiziari rispetto ai rendiconti presentati: nel 2011, a fronte di spese per 164.436,16 sono stati rimborsati 102.986,37 (pari al 62,63 per cento); nel 2012 a fronte di una spesa di 156.389,90, il rimborso è stato di soli 40.473,71 euro (25,88 per cento), mentre nel 2014 per una spesa di euro 103.962,43 è stato riconosciuto il rimborso di euro 46.301,63 (44,53 per cento);
   tale squilibrio ha comportato un ammanco di risorse da investire sul territorio e nello welfare locale, e la medesima situazione persiste per un gran numero di comuni italiani precedentemente sedi di tribunale –:
   quale sia il contributo a favore del comune di Saluzzo per le spese da esso affrontate nel mantenimento dei locali del tribunale per l'anno 2015;
   quando il Ministero della giustizia sia intenzionato ad erogare detto contributo;
   se non si ritenga necessario integrare i contributi versati per gli anni 2011, 2012, 2013 e 2014, visto che in misura prevalente le spese rendicontate sono state sopportate dal comune di Saluzzo e dalla fiscalità locale pur essendo di competenza dello Stato. (4-16275)


   MAROTTA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in ambito forense si definisce equo compenso la «corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto, alle caratteristiche della prestazione legale»;
   la liberalizzazione delle prestazioni professionali sulle professioni, contenuta nel decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, ha disposto in merito alle tariffe professionali prevedendo l'abrogazione dell'inderogabilità dei minimi. Successivamente, con il decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, è stata prevista la soppressione delle tariffe anche come semplice riferimento;
   la riforma dell'ordinamento forense, introdotta con legge n. 247 del 2012, intervenendo nuovamente sulla materia dei compensi, prevede ai sensi dell'articolo 13, comma 2, che il compenso spettante al professionista sia pattuito di regola per iscritto all'atto del conferimento dell'incarico professionale anche tenuto conto dei compensi previsti dal decreto del Ministro della giustizia adottato ai sensi del comma 6, del medesimo articolo 13 ed aggiornati periodicamente;
   il Consiglio nazionale forense da anni segnala l'esistenza di Convenzioni che presentano un eccessivo squilibrio contrattuale in favore del committente e non rispettose della proporzione tra compenso pattuito e qualità e quantità del lavoro svolto dal legale su mandato;
   tali Convenzioni sono proposte dagli iscritti all'ordine degli avvocati dai cosiddetti «clienti forti»: banche assicurazioni, grandi gruppi economici, Equitalia, nonché taluni bandi «al ribasso» promossi da alcuni comuni, poi rigorosamente bloccati dai giudici amministrativi, e presentano clausole di natura vessatoria e compensi irrisori, in particolare a danno dei giovani avvocati;
   già dai primi mesi del 2017 il Ministro interrogato ha proposto un disegno di legge «sull'equo compenso», il cui punto focale del provvedimento è il rapporto dei professionisti con i grandi committenti: in particolare sarebbe prevista la possibilità di pretendere un compenso adeguato, senza tuttavia perdere la commessa, affidando al giudice il compito di accertare la nullità di qualsiasi patto teso a garantire un compenso non equo all'avvocato e di determinare giudizialmente il compenso corretto, tenendo conto dei parametri fissati dal ministero della giustizia;
   il contenuto del disegno di legge è il risultato del tavolo di lavoro avviato tra il Ministero e il Consiglio nazionale Forense. In particolare, esso prevede che saranno ritenute vessatorie nonché nulle, anche su eccezione rilevabile dal giudice, le modifiche unilateralmente le condizioni, l'attribuzione al committente della facoltà di: 1) recedere dal contratto senza congruo preavviso; 2) di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto; 3) di pretendere prestazioni aggiuntive gratuite; 4) di prevedere l'anticipazione delle spese della controversia a carico dell'avvocato o l'esclusione dal rimborso spese;
   giova altresì ricordare che la sentenza dell'8 dicembre 2016 n. c-532/15 della Corte di Giustizia UE, che ha affermato la legittimità in ambito europeo dei minimi tariffari inderogabili;
   il disegno di legge sopra illustrato non risulta al momento approvato dal Consiglio dei ministri e quindi presentato alle Camere. Architetti, Ingegneri e Avvocati hanno organizzato una manifestazione che si svolgerà a Roma il 13 maggio 2017, prevedendo di «di unire le voci dei professionisti per chiedere al Governo l'introduzione di una normativa sul giusto compenso per la qualità delle prestazioni e su altri temi importanti, quali l'equità fiscale e il diritto/dovere a una formazione qualificata di alto livello» –:
   quali intendimenti abbia il Ministro interrogato sulla questione evidenziata in premessa. (4-16283)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   progetti di sistemazione dell'area di Marisabella nel Porto di Bari risalgono già agli anni ’70 per la realizzazione di una colmata e di un ampliamento del Molo Pizzoli, successivamente arenatisi per vicende di mala gestio fino al 2004 con il rilascio dell'autorizzazione al dragaggio e alla movimentazione e immersione di materiali. Nel 2006 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, escluso il progetto dalla procedura di valutazione di impatto ambientale, prescrisse uno specifico piano di monitoraggio, da effettuare ante operam, relativo alla fase di costruzione, a quella di gestione del porto ed anche alla qualità dell'ambiente. L'Autorità portuale avrebbe dovuto predisporre un piano di sicurezza, un programma di manutenzione e controllo ed un programma di intervento d'urgenza. Era stata prevista una banca dati per la consultazione e l'informazione del pubblico;
   nel 2008 si è svolta la gara pubblica per i lavori di ampliamento, manutenzione e completamento delle strutture portuali e, nel 2012, è stato sottoscritto il contratto con l'impresa esecutrice;
   al momento della consegna dei lavori, affidati alla direzione dell'ingegner Mario Mega, emergevano gravi impedimenti all'esecuzione delle opere sia di tipo materiale (attesa la necessità di provvedere ad una previa attività di bonifica da ordigni bellici), sia procedimentale (attesa la scadenza già nel 2008 dell'autorizzazione e la mancata esecuzione del monitoraggio ambientale). Ne è seguita, nel 2014, una prima sospensione dei lavori;
   una nuova sospensione dei lavori è stata disposta per consentire una perizia suppletiva e di variante per la realizzazione di una vasca colmata con impermeabilizzazione del fondo e delle pareti a seguito delle concentrazioni di inquinanti rilevati nei sedimenti;
   l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale in una comunicazione del 16 febbraio 2017 ha rivelato che il volume dei sedimenti sciolti da dragare sono di circa 140.000 m3 e non di 70.000; inoltre, ha rilevato la mancanza della planimetria delle aree di dragaggio aggiornata con l'ubicazione e l'entità dei nuovi accumuli di sedimenti. Ha, infine, evidenziato la necessità di effettuare un nuovo monitoraggio ambientale;
   nella medesima comunicazione l'Ispra puntualizza che «l'avvio delle procedure di formalizzazione degli incarichi potrà avvenire solo a valle dell'aggiornamento del piano» –:
   se i Ministri interrogati, anche alla luce di quanto esposto in premessa, ritengano che vi sia stata negligenza e imperizia negli accertamenti preliminari alla consegna dell'opera imputabili all'Autorità portuale, quale stazione appaltante e alla direzione lavori, e nelle soluzioni progettuali, attese le varianti richieste che comportano costose modifiche e un anomalo andamento dei lavori con slittamento delle tempistiche di realizzazione dell'opera e con aggravio di esborso dei soldi dei contribuenti;
   se il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti possa riferire se in favore dell'Ingegner Mario Mega sia previsto un incarico nell'attuale Autorità di sistema portuale di Bari e, in caso affermativo, quali siano i requisiti di esperienza e competenza nel settore dell'economia portuale e dei trasporti e nelle materie amministrativo-contabili che questi possegga;
   se i Ministri interrogati possano riferire se vi sia stato un aggravio dei costi di gestione e manutenzione nella vicenda descritta in premessa e se intendano promuovere ogni iniziativa di competenza utile affinché possa essere accertato un eventuale danno erariale;
   quando il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda procedere ad una nuova campagna di indagine ambientale anche al fine di adeguare il piano di monitoraggio alle nuove variazioni del volume dei sedimenti;
   se i Ministri possano riferire elementi in ordine alla richiesta di predisposizione dei piani (piano di sicurezza, programma di manutenzione e controllo e programma di intervento d'urgenza) e alla prevista banca dati rendendo noto il sito per la consultazione e l'informazione del pubblico;
   quali iniziative di competenza intendano assumere i Ministri interrogati per gestire il completamento dell'opera.
(5-11137)


   NICOLA BIANCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il servizio mobilità e disabilità – patenti speciali e rinnovo patenti dell'azienda sanitaria di Sassari è finalizzato all'accertamento dei requisiti psico-fisici per l'idoneità alla guida dei veicoli a motore, per particolari tipologie di utenti che chiedono il rilascio o il rinnovo della patente di guida; nonché alle revisioni disposte dalle autorità competenti nel caso di ritiro della patente di guida, ai sensi dell'articolo 186 del decreto legislativo del 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni (guida sotto l'influenza dell'alcool) e dell'articolo 187 (guida sotto l'effetto di sostanze stupefacenti) e alla richiesta di revisione della patente per altri motivi, quali nuove patologie o eventi che mettono in dubbio le capacità psico-fisiche del patentato;
   ai sensi dell'articolo 119, comma 4, del decreto legislativo del 30 aprile 1992, n. 285, e successive modificazioni (nuovo codice della strada), l'accertamento dei requisiti fisici e psichici è effettuato da commissioni mediche locali costituite dai competenti organi regionali ovvero dalle province autonome di Trento e di Bolzano che provvedono altresì alla nomina dei rispettivi presidenti nei riguardi: a) dei mutilati e minorati fisici; b) di coloro che abbiano superato i sessantacinque anni di età ed abbiano titolo a guidare autocarri di massa complessiva, a pieno carico, superiore a 3,5 tonnellate, autotreni ed autoarticolati, adibiti al trasporto di cose, la cui massa complessiva, a pieno carico, non sia superiore a 20 tonnellate, macchine operatrici; c) di coloro per i quali è fatta richiesta dal prefetto o dall'ufficio competente del Dipartimento per i trasporti terrestri; d) di coloro nei confronti dei quali l'esito degli accertamenti clinici, strumentali e di laboratorio faccia sorgere al medico dubbi circa l'idoneità e la sicurezza della guida; d-bis) dei soggetti affetti da diabete per il conseguimento, la revisione o la conferma delle patenti C, D, CE, DE e sottocategorie;
   secondo quanto riportato nel sito internet della Asl di Sassari si accede al servizio suddetto effettuando una prenotazione presso la segreteria della commissione medica locale. Si consiglia di «prenotare la visita almeno quattro mesi prima della scadenza della patente, poiché le richieste sono numerose dato che il bacino di utenza supera il territorio della Asl di Sassari»;
   da quanto si apprende dal quotidiano locale La Nuova Sardegna, che in data 9 aprile 2017, ha pubblicato un articolo dal titolo «Sassari, rinnovo delle patenti: un anno di attesa» i tempi di attesa per accedere al servizio mobilità e disabilità – patenti speciali e rinnovo patenti sarebbero pari a circa dodici mesi, nonostante le quattro sedute settimanali della commissione, pertanto molto più lunghi rispetto a quelli segnalati nel sito internet della Asl;
   secondo quanto riportato dal giornale sardo, la causa di tale intasamento sarebbe la chiusura dell'ufficio competente di Olbia, con i due medici militari che lo avevano in carico che sono andati in pensione e non sono stati sostituiti, e il rifiuto dell'azienda sanitaria di Nuoro di prendere casi fuori provincia per cui tutti i casi della Gallura sarebbero stati spostati a Sassari;
   si legge nel medesimo articolo citato che la partecipazione alla commissione, limitata a medici dell'unità operativa di medicina legale integrati da quelli militari o della polizia, avverrebbe fuori dal normale orario di lavoro –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle informazioni esposte in premessa e, in caso affermativo, quali iniziative intendano adottare, per quanto di competenza, in riferimento alla criticità evidenziata che sta creando non poche difficoltà ai cittadini sardi. (5-11140)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i cittadini della provincia di Treviso, annualmente, versano milioni di euro nelle casse pubbliche attraverso il pagamento di sanzioni dovute per violazione dei limiti di velocità: nel 2016, 3,3 milioni di euro sono stati ricavati da accertamenti rilevati con l'utilizzo di autovelox lungo la tangenziale e, nel 2017, le rilevazioni potrebbero raddoppiare in seguito al recente potenziamento dei sistemi di controllo della velocità lungo suddetta strada;
   Treviso è al settimo posto nella classifica su base nazionale delle città in cui è più alto il costo di ciascun verbale e questo crea una disparità di trattamento fra cittadini di diverse regioni e, all'interno della stessa regione, di diverse città. In proporzione, a Castelfranco Veneto (che ha circa la metà degli abitanti di Treviso e lo stesso grado di incidentalità) vengono incassati solo 250 mila euro, ovvero circa il 12 per cento di quanto viene incassato a Treviso;
   alcuni interventi, secondo l'interrogante mascherati come migliorativi della sicurezza stradale, sembrano mirati specificamente a penalizzare i cittadini trevigiani, come i limiti di 70 km/h imposti in alcuni rettilinei, ad esempio il tratto della strada regionale 53 nei comuni di San Martino di Lupari, Cittadella e Fontaniva. Al contrario, alcuni interventi fondamentali per garantire l'incolumità degli automobilisti, come la riparazione dei numerosi lampioni non funzionanti in tangenziale, non vengono messi in atto –:
   se, in base alle informazioni in possesso del Ministro interrogato sul livello di incidentalità stradale nei diversi comuni italiani, sia stato rilevato che la presenza di postazioni fisse di rilevamento della velocità, che indubbiamente assicurano delle entrate economiche consistenti, rappresentino anche statisticamente il sistema migliore per conciliare esigenze viabilistiche e di sicurezza, ovvero se il Governo intenda individuare, per quanto di competenza, nuovi e più efficaci strumenti ai soli fini della prevenzione dei sinistri e per migliorare la sicurezza stradale. (4-16271)


   BERGAMINI e BALDELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la riforma Delrio sulle province (legge 7 aprile 2014, n. 56 «Disposizioni sulle Città Metropolitane, sulle Province, sulle Unioni e Fusioni di Comuni») rientra tra i provvedimenti più deleteri per il nostro Paese ed ha il triste primato di aver dilaniato i bilanci degli enti locali in pochi anni;
   in 3 anni l'emergenza ha assunto valenza di carattere nazionale: nel 2017, alle 76 province delle regioni a statuto ordinario, mancheranno 651 milioni per coprire le spese ordinarie per le funzioni fondamentali;
   la mancanza di risorse ha dato impulso ad una nuova alternativa di rientro messa in atto dagli enti locali: far cassa attraverso il proliferare del numero di autovelox;
   negli ultimi anni c’è stata una diffusione spropositata di apparecchi per la rilevazione delle infrazioni, l'imposizione di limiti di velocità non giustificati dalle reali necessità e la messa in atto di vere e proprie condotte vessatorie, che si allontanano dall'obiettivo iniziale per il quale tutto ciò era stato introdotto, la sicurezza stradale;
   con l'approvazione della mozione Baldelli (n. 1-01085) la Camera ha impegnato il Governo: ad adottare ogni iniziativa utile a mettere fine agli episodi di utilizzazione impropria degli apparecchi o sistemi di rilevamento della velocità attraverso l'utilizzo di dispositivi di controllo a distanza, di cui all'articolo 142, comma 12-bis, del codice della strada, nell'inosservanza, peraltro, dell'obbligo di utilizzo delle risorse per manutenzione e messa in sicurezza delle infrastrutture stradali, posto dal comma 12-ter dello stesso articolo ed a proporre al Parlamento, nel primo provvedimento utile, modifiche normative atte a disciplinare il meccanismo sanzionatorio attualmente previsto nell'articolo 142, comma 12-quater, ultimo periodo, sì da superare le difficoltà oggettive rappresentate dall'impossibilità di «intercettare» i predetti proventi – direttamente introitati dagli enti stessi, anche se inadempienti – per decurtarli della percentuale prevista a titolo di sanzione per l'inosservanza dei predetti obblighi nonché a presentare al Parlamento, entro il 30 settembre 2016, un report sullo stato di attuazione delle disposizioni di cui all'articolo 142, commi da 12-bis a 12-quater, che, in particolare, indichi quali e quanti enti locali sono stati inadempienti rispetto agli obblighi di legge in esame;
   indagini di ricerca sottolineano, però, come i dati provenienti da tutte le amministrazioni provinciali confermino l'andamento del fenomeno, divenuto autentico business mascherato da nobili fini di prevenzione per la pubblica sicurezza;
   un'analisi dei bilanci di previsione di alcune province può darci l'esatta dimensione di questa pratica: ad Ascoli si è passati da un incasso previsto da multe di 10 mila euro a quasi 3 milioni attuali, a Rieti da 800 mila euro ad oltre 3 milioni, a Brescia da 21 milioni a 33 milioni di euro, a Milano è previsto un incremento di 22 milioni di euro rispetto al 2016, a Roma si stima un incremento di 21 milioni di euro nelle entrate derivanti dalle multe, a Lucca si prevedono incassi per 5,5 milioni di euro con 90 mila abitanti, a Novara l'incasso stimato è di 2 milioni e 350 mila euro con 105 mila abitanti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno verificare, come previsto dalla mozione n. 1-01085, se gli enti locali abbiano rispettato l’iter previsto dalla normativa vigente in merito all'utilizzazione dei sistemi di rilevamento della velocità attraverso l'utilizzo di dispositivi di controllo a distanza o se permangano, come pare evidente dai dati espressi in premessa, condotte oppressive messe in atto col solo obiettivo di far cassa attraverso le multe e quale percentuale dei proventi delle multe venga effettivamente investita in sicurezza stradale;
   quali siano i tempi necessari a dare esecuzione a quanto previsto dalla succitata mozione Baldelli. (4-16278)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   IORI, MARCHI e GANDOLFI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a quanto risulta dalla riunione del servizio della Polizia delle comunicazioni tenutasi il 5 aprile 2017 per presentare il piano di razionalizzazione dei presidi della suddetta polizia postale, nonostante il continuo incremento dei reati perpetrati tramite il web, verranno chiuse 54 sezioni della polizia delle comunicazioni delle 72 tuttora esistenti; se il piano prospettato lo scorso anno, prevedeva il mantenimento degli uffici sede di procure distrettuali competenti in materia di reati di esclusiva pertinenza della Polizia postale, non si comprende come mai alcune città debbano avere un ufficio della polizia postale ed altre no;
   in Emilia Romagna verranno chiuse 5 sezioni su 7 e ben 35 dipendenti specializzatisi da almeno un decennio con indagini e corsi di aggiornamento, verranno destinati ad un non ancora noto tipo di servizio che potrebbe anche non aver nulla a che fare con i reati informatici;
   per l'Emilia Romagna è prevista la salvaguardia, oltre che della sede compartimentale di Bologna (procura distrettuale presente), anche degli uffici di Parma e Rimini (procura distrettuale non presente); e non appare plausibile pensare ad una ripartizione territoriale con una sezione per l'Emilia ed una per la Romagna, poiché in realtà non potranno essere variate le competenze territoriali per i moltissimi reati compiuti tramite il web e pertanto i cittadini di Parma avranno un ufficio specializzato su indagini di tale tipo a differenza di quelli di Reggio Emilia o di Modena;
   è di fondamentale importanza l'acquisizione delle notizie di reato dove è preminente l'utilizzo di sistemi informatici. Senza le opportune conoscenze si rischia di omettere particolari riferimenti informatici che successivamente renderanno impossibili le indagini. Cosa accaduta più volte alla sezione di Reggio Emilia nelle indagini delegate da altri uffici;
   la sezione di Reggio Emilia, nonostante l'ormai numero esiguo di dipendenti, 4, contro gli 8 di tre anni fa, mai sostituiti, ha comunque trattato nel 2016, ben 580 fascicoli di indagine e denunciato 100 persone. Riceve inoltre quotidianamente decine di telefonate e mail da cittadini incappati in truffe, estorsioni, frodi informatiche, attacchi di virus, problematiche con i social network e altro, smistate molte volte dalla questura o dalle stazioni dei Carabinieri alle quali viene fornita sempre una risposta esaustiva anche per aumentare il senso di sicurezza dei cittadini;
   altro aspetto rilevante e meritevole di attenzione è costituito dagli incontri con le scolaresche: quest'anno oltre ai 28 incontri con gli alunni reggiani, e due con la cittadinanza che sarà quasi impossibile ripetere;
   infine è imminente la firma del rinnovo della convenzione con Poste italiane, che proseguirà quella ormai esistente da tantissimi anni, con la quale poste forniva e fornirà uffici, autoveicoli e strumenti informatici per l'operatività della polizia postale; a tale riguardo non si capisce perché il dipartimento voglia perdere una parte delle forniture dato che un punto della summenzionata convenzione prevede che l'accordo subirà modifiche parziali o totali a seconda del numero dei presidi che verranno chiusi –:
   se il Ministro non ritenga opportuno, a fronte delle considerazioni sopra riportate, evitare la soppressione delle sezioni di polizia postale e delle comunicazioni di cui in premessa che porterebbe al depotenziamento di una specialità resa sempre più necessaria, in particolare considerando che le sezioni presenti sul territorio di Reggio Emilia, oltre alla prevenzione e al contrasto del fenomeno, garantiscono un rapporto diretto con i cittadini attraverso la quotidiana attività per acquisire denunce, esposti e richieste sui reati online nonché costituiscono una risposta alla crescente esigenza di prevenzione e contrasto dei reati informatici commessi tramite la rete interne soprattutto a danno dei minorenni. (5-11130)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che l'Anpi di Milano e una serie di associazioni antifasciste hanno inviato un esposto – accompagnato da un dossier fotografico – al prefetto Luciana Lamorgese e al questore Marcello Cadorna, e un appello al sindaco Giuseppe Sala, con l'obiettivo di impedire la manifestazione neofascista che, ogni anno, va in scena il 25 aprile al Campo X del Cimitero Maggiore, dove sono sepolti i reduci della Repubblica sociale italiana, che viene messa in scena con parata organizzata provocatoriamente proprio nella giornata della Liberazione dai gruppi di estrema destra Lealtà e Azione e CasaPound;
   dal 2012, per l'estrema destra milanese e lombarda, il corteo al Campo X, coi saluti romani, il tricolore, le aquile della Rsi e i drappi di Salò issati illegalmente sulle tombe, è diventato ormai un rituale annuale, contro il quale a nulla sono servite le denunce di questi anni;
   di fronte alle incertezze della giurisprudenza e alle interpretazioni dei giudici che hanno portato, nel corso degli anni, a sentenze sul saluto romano come richiamo all'ideologia fascista e i valori politici di discriminazione razziale e di intolleranza, che non sono andate sempre nella stessa direzione, è bene ricordare che, invece, la legge italiana non ha dubbi al riguardo;
   a partire dalla Costituzione, che nella XII disposizione transitoria, vieta «la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista»;
   la legge 20 giugno 1952 n. 645 (legge Scelba), considerata attuazione diretta della XII disposizione transitoria e finale della Costituzione, così come modificata nel 1975 (anno in cui è stato sancito il passaggio di tale fattispecie da contravvenzione a delitto, con pena innalzata fino a tre anni) stabilisce che: «si ha riorganizzazione del disciolto partito fascista quando una associazione, un movimento, o comunque un gruppo di persone non inferiore a cinque, persegue finalità antidemocratiche proprie del partito fascista, esaltando, minacciando o usando la violenza quale metodo di lotta politica o propugnando la soppressione delle libertà garantite dalla Costituzione o denigrando la democrazia, le sue istituzioni e i valori della Resistenza, o svolgendo propaganda razzista, ovvero rivolge la sua attività alla esaltazione di esponenti, princìpi, fatti e metodi propri del predetto partito o compie manifestazioni esteriori di carattere fascista». La norma, dunque, non si riferisce alle sole riorganizzazioni, ma punisce tutti i comportamenti che esaltano il fascismo;
   la legge Mancino, entrata in vigore il 25 giugno del 1993, sanziona e condanna gesti, azioni e slogan legati all'ideologia nazifascista che hanno, inoltre, lo scopo di incitare alla violenza e alla discriminazione, vietando anche l'utilizzo di simbologie legate al fascismo o al nazismo. All'articolo 2 si legge che «chiunque, in pubbliche riunioni, compia manifestazioni esteriori od ostenti emblemi o simboli propri o usuali delle organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi» come sopra definiti «è punito con la pena della reclusione fino a tre anni e con la multa da lire duecentomila a lire cinquecentomila.». Lo stesso articolo fa riferimento alla propaganda negli stadi prevedendo la reclusione da tre mesi ad un anno per chiunque si rechi alle competizioni agonistiche con emblemi o simboli del fascismo –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se, per quanto di competenza, non ritenga opportuno esprimersi al riguardo;
   se non ritenga urgente e necessario, alla luce delle sempre maggiori manifestazioni, cortei e commemorazioni di estrema destra inneggianti il nazi-fascismo e i suoi rappresentanti, monitorare il fenomeno e adottare misure, anche normative, per impedire lo svolgimento di simili manifestazioni e scongiurare il dilagare di forze politiche nazi-fasciste. (4-16264)


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ciclicamente notizie di stampa riportano di operazioni di polizia nel cosiddetto «Bosco della droga» di Rogoredo, quartiere sud di Milano, senza ottenere risultati definitivi in merito allo spaccio di sostanze stupefacenti;
   nonostante gli sforzi delle forze dell'ordine i proclami e le promesse della giunta Sala i residenti denunciano che la situazione è addirittura peggiorata, con un aumento di minorenni alla ricerca di droga, una minor presenza di polizia locale e forze dell'ordine e scarsissimi controlli;
   gli abitanti lamentano come le centrali di spaccio si siano stabilite in via Orwell e in Via Sant'Arialdo gli spacciatori continuano a occupare il territorio e i disperati continuano a essere ben visibili nella stazione e nel quartiere;
   l'assessore Rozza aveva promesso di ripulire il bosco a gennaio prevedendo una risoluzione definitiva del problema. Promessa che è stata clamorosamente disattesa, con gli abitanti del quartiere esasperati che chiedono al Comune di attuare una strategia più radicale per risolvere il problema;
   dati alla mano i presìdi diminuiscono, le postazioni fisse sono un miraggio e non c’è alcun controllo del sottopassaggio autostradale dove si crea lo smistamento delle sostanze stupefacenti. Il problema principale è che manca una definitiva bonifica del sito e un progetto per l'area;
   appare all'interrogante assolutamente inadeguata l'attività del comune che, con la previsione di blitz sporadici, possa risolvere la situazione senza dare una concreta sistemazione al boschetto e ai dintorni, con la speranza di un definitivo blocco del traffico di droga –:
   se il Ministro interrogato essendo a conoscenza della situazione di cui in premessa, non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di aumentare l'organico di polizia presente a Milano al fine di azzerare una delle piazze di spaccio più importanti della regione, dando sicurezza ai cittadini che desiderano, da tempo, più controlli stabili e di sapere cosa ne sarà della zona di Rogoredo e dei comuni limitrofi. (4-16265)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi, il sistema di accoglienza italiano ospita 174 mila stranieri, in leggero calo rispetto alle 176.554 presenze che si registravano al 31 dicembre 2016;
   con oltre quindicimila presenze, il Lazio è la seconda regione per numero di profughi ospitati;
   all'interno dell'area metropolitana di Roma, oltre alle strutture già attive risulta ancora da assegnare un bando della prefettura di Roma per l'accoglienza di ulteriori tremila stranieri nel periodo dal 1o aprile al 31 dicembre 2017;
   nel corso degli ultimi nove mesi, nel territorio del municipio XII, sono state installate ben due strutture per l'accoglienza dei migranti nella capitale: un hub gestito dalla Croce rossa a via Ramazzini, nel quartiere Monteverde, e un Centro di accoglienza straordinaria Cas a largo Perassi, che ospitano un totale di circa ottocento persone;
   il 30 novembre 2016, la prefettura di Roma – ufficio territoriale del Governo – ha indetto un'indagine di mercato volta ad individuare un immobile nel territorio della capitale da destinare a hub di prima accoglienza per cittadini stranieri richiedenti asilo;
   con nota del 14 marzo 2017, pubblicata sul sito della prefettura di Roma, è stato reso noto che la commissione a tal fine istituita ha ritenuto idonei due immobili proposti dal Fondo Alpha della società di gestione del risparmio «IDeA FIMIT sgr» e dalla società immobiliare «Parco dei Tigli srl» per i quali è stato avviato l’iter per la presa in locazione presso l'Agenzia del demanio;
   la struttura proposta da «IDeA FIMIT sgr» risulterebbe essere quella di vicolo di Casal Lumbroso 77, ricadente nel quartiere Massimina, nel municipio XII, un immobile che risulta non essere idoneo dal punto di vista strutturale e igienico-sanitario, ubicato per altro in un territorio problematico dal punto di vista ambientale, della sicurezza e del decoro urbano;
   dopo l'Hotel Gelsomino sull'Aurelia e le tendopoli all'interno della sede della Croce rossa di via Ramazzini, attualmente gestita in regime di proroga a seguito della scadenza della convenzione prevista per il 31 dicembre 2016, nonostante sia stata riconosciuta dalla prefettura carente dei necessari requisiti urbanistici e sanitari, ancora una volta gli abitanti dei municipio XII dovranno fare i conti con i disagi causati dall'emergenza migranti;
   con le mozioni n. 19 del 12 ottobre 2016 e n. 24 del 2 novembre 2016, entrambe proposte dal gruppo consiliare Fratelli d'Italia-Alleanza Nazionale, il consiglio del municipio XII, ha votato a maggioranza, rispettivamente, sia la chiusura dell’hub di via Ramazzini, sia la contrarietà all'apertura del centro di accoglienza per migranti a largo Tomaso Perassi;
   il territorio del municipio XII non può rappresentare, da solo, la soluzione per la gestione dei flussi migratori nella città di Roma e nell'intera area metropolitana;
   in occasione della recente audizione della prefetta Basilone nella commissione consiliare contro le mafie della regione Lazio, è emerso che su 120 comuni della provincia di Roma chiamati a dare la propria disponibilità ad accogliere migranti, solo sette sindaci hanno risposto in modo positivo –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di quali elementi di chiarimento disponga in merito alla partecipazione dei citati rappresentanti istituzionali ai tavoli di confronto;
   se non ritenga di adottare le iniziative di competenza per rivedere la decisione in merito alla destinazione a centro di accoglienza del citato immobile del quartiere Massimina;
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di garantire una equa distribuzione sul territorio dei migranti.
(4-16281)


   SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Biella è stato allestito come struttura di temporanea accoglienza l'edificio di viale Macallè n. 51, attualmente con destinazione urbanistica «uffici», sulla base dell'articolo 11 del decreto legislativo 18 agosto 2015, n. 142, che recita «Nel caso in cui è temporaneamente esaurita la disponibilità di posti all'interno delle strutture di cui agli articoli 9 e 14, a causa di arrivi consistenti e ravvicinati di richiedenti, l'accoglienza può essere disposta dal prefetto, sentito il Dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno»;
   anche per le strutture provvisorie, le relative norme sembrano fare riferimento ad alberghi, dormitori, o case di abitazione, in quanto, secondo il decreto legislativo 142 del 2015, i centri di accoglienza anche provvisori, devono soddisfare i criteri di cui all'articolo 10, tra i quali, il rispetto della sfera privata, la salute fisica, la sicurezza e la protezione dei richiedenti;
   l'edificio di viale Macallè presenta, invece, la struttura di un edificio per uffici, completamente diversa dai criteri del citato articolo 10;
   sarebbe stato opportuno, pertanto, un cambio di destinazione d'uso, inteso non solo come una semplice pratica burocratica ma come una necessità di adattamento dell'edificio per uffici ad un edificio che possa corrispondere ai canoni delle strutture alberghiere;
   da quanto si evince dalla nota della prefettura di Biella inviata al comune di Biella, protocollo n. 0004713 del 15 marzo 2017, ai fini dell'utilizzo dell'edificio di Via Macallè, la Cooperativa Anteo gestore dell'edificio, e il prefetto di Biella si sono basati sulla circolare n. 5178 del Ministero dell'interno, che fa riferimento a «strutture di altra natura (caserme, scuole e altro) assimilabili a dormitori», per dimostrare la possibilità di utilizzare, come strutture di accoglienza temporanee, edifici con caratteristiche urbanistiche differenti da quelle dell'uso residenziale;
   tale circolare, emanata esclusivamente per definire le misure di prevenzione incendi da adottare nei centri di accoglienza, è completamente estranea a questioni di carattere urbanistico e dispone espressamente le norme antincendio da utilizzare l'eventualità in cui i centri di accoglienza siano ubicati o in strutture ricettive turistico-alberghiere – decreto ministeriale 9 aprile 1994 – o in strutture ricettive di altra natura (caserme, scuole e altro) – allegato 1 al decreto ministeriale 7 agosto 2012, e allegato al decreto ministeriale 9 aprile 1994 – o all'interno di edifici di civile abitazione – allegato al decreto ministeriale n. 246 del 1987;
   in tale circolare non si fa alcun riferimento agli edifici per uffici e, a parere dell'interrogante, nemmeno si potrebbero includere gli edifici per uffici nella indicazione «ecc.» di tale circolare, in quanto la normativa prevenzione incendi relativa agli uffici è diversa da quelle richiamate nella circolare, e si basa sul decreto ministeriale 22 febbraio 2006 e al decreto ministeriale 8 giugno 2016;
   l'utilizzo dell'edificio struttura di temporanea accoglienza, è stato pertanto disposto sulla base di un preventivo sopralluogo e vaglio degli organi tecnici dei vigili del fuoco e dell'Asl, di Biella, caricando, in questo modo, di enormi responsabilità i funzionari pubblici e i tecnici di tali uffici –:
   se il Ministro non intenda assumere iniziative, anche normative, relative all'individuazione delle strutture idonee ad offrire la temporanea accoglienza di migranti, in modo tale da escludere quelle con destinazione urbanistica «Uffici», come quello in viale Macallè n. 51, a Biella e assegnando al prefetto la completa responsabilità per l'utilizzo di tali strutture ed evitando che siano lasciate di fatto eccessive responsabilità in tale ambito ai dirigenti dei vigili del fuoco e alle aziende sanitarie locali e, soprattutto, prevedendo inoltre un parere vincolante del sindaco del comune interessato ai fini dell'utilizzo di tali strutture. (4-16292)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MANZI e CARRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   tra gli interventi urgenti a favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici del 2016 e del 2017, il decreto-legge 9 febbraio 2017, n. 8, prevede una serie di misure rivolte al mondo della scuola per garantire il regolare svolgimento dell'attività educativa e didattica;
   in particolare oltre alle deroghe alla normativa vigente finalizzate a rendere valido l'anno scolastico 2016/2017 e a consentire comunque la valutazione degli studenti, si prevede, con riferimento agli immobili e mediante provvedimenti del commissario straordinario, la predisposizione e approvazione di piani diretti ad assicurare il ripristino delle condizioni necessarie per la ripresa o per lo svolgimento della normale attività scolastica educativa e didattica nell'anno scolastico 2017/2018, senza incremento della spesa di personale;
   tali disposizioni interessano i comuni, indicati negli allegati 1 e 2 del decreto-legge n. 189 del 2016, nonché altri comuni delle regioni interessate dagli eventi sismici in questione, limitatamente, in tal caso, a quelli nei quali risultano edifici scolastici distrutti o danneggiati;
   le misure sopra esposte sono state accolte con favore dalle organizzazioni sindacali coinvolte, che già in un documento consegnato al Ministero lo scorso gennaio avanzavano tali richieste per far fronte alle difficoltà del post terremoto, senza arrecare ulteriori disagi alle popolazioni colpite;
   restano tuttavia irrisolte alcune problematiche che pur erano state esposte dalle rappresentanze sindacali in vista del probabile decremento degli alunni, tra le quali quelle relative al mantenimento delle autonomie scolastiche attualmente esistenti, anche in deroga a quanto previsto dalla normativa vigente;
   i dubbi e le incertezze legate alla fase della ricostruzione stanno infatti portando molti genitori ad iscrivere i propri figli in altre aree geografiche, penalizzando di fatto gli istituti scolastici nelle aree terremotate e compromettendo la loro possibilità di ottemperare ai requisiti minimi per il mantenimento dell'autonomia, amplificando il rischio di impoverimento dei servizi e di spopolamento del territorio –:
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto sopra esposto e nella consapevolezza degli sforzi fino ad ora compiuti dal Governo per garantire in tempi brevi il ritorno alla normalità nei territori colpiti dagli eventi sismici, ritenga opportuno garantire, anche in caso di decremento degli alunni e in deroga alla normativa vigente, il mantenimento delle autonomie scolastiche attualmente esistenti, dato l'approssimarsi del nuovo anno scolastico e la necessità di fornire maggiori garanzie e rassicurazioni alle famiglie coinvolte.
(5-11131)


   CAROCCI, COCCIA, GHIZZONI, ROCCHI e CRIMÌ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo della legge n. 104 del 1992 stabilisce che la Repubblica:
    a) garantisce il pieno rispetto della dignità umana e i diritti di libertà e di autonomia della persona handicappata e ne promuove la piena integrazione nella famiglia, nella scuola, nel lavoro e nella società;
    b) previene e rimuove le condizioni invalidanti che impediscono lo sviluppo della persona umana, il raggiungimento della massima autonomia possibile e la partecipazione della persona handicappata alla vita della collettività (...);
    c) persegue il recupero funzionale e sociale della persona affetta da minorazioni fisiche, psichiche e sensoriali e assicura i servizi e le prestazioni per la prevenzione, la cura e la riabilitazione delle minorazioni, nonché la tutela giuridica ed economica della persona handicappata;
    d) predispone interventi volti a superare stati di emarginazione e di esclusione sociale della persona handicappata;
   il «Bando accesso medici alle scuole di specializzazione A.A. 2015/2016» ha previsto, per i candidati con disabilità, l'utilizzo di ausili o misure compensative nello svolgimento della prova e l'organizzazione delle prove di esame al fine di adottare tutte le misure per far fronte alle singole esigenze dei candidati;
   in questo senso, nel bando è chiaro ed esplicito il riferimento all'articolo 20 della legge n. 104 del 1992 che stabilisce che, nelle prove d'esame nei concorsi pubblici e per l'abilitazione alle professioni, la persona handicappata sostiene le prove d'esame con l'uso degli ausili necessari e nei tempi aggiuntivi eventualmente necessari in relazione allo specifico handicap;
   tuttavia, nel summenzionato bando, non vi è – invece – alcun riferimento al successivo articolo 21 della legge n. 104 del 1992 che reca «Precedenza nell'assegnazione di sede» e per cui: la persona handicappata, con un grado di invalidità superiore ai due terzi o con minorazioni iscritte alle categorie prima, seconda e terza della tabella A annessa alla legge 10 agosto 1950, n. 648, assunta presso gli enti pubblici come vincitrice di concorso o ad altro titolo, ha diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili. E ancora, al comma successivo, i soggetti di cui sopra hanno la precedenza in sede di trasferimento a domanda;
   non introducendo la precedenza nell'assegnazione di sede delle persone disabili, si crea di fatto una discriminazione, perché un disabile che abbia totalizzato un punteggio che gli permetterebbe di entrare in una scuola di specializzazione, ma non nella propria città, si trova costretto a rinunciare, data l'oggettiva difficoltà di trasferimento in un'altra sede (difficoltà riconosciuta per tutte le altre professioni proprio dalla legge n. 104 del 1992);
   sono evidenti le ragioni per cui un trasferimento risulta impossibile per una persona disabile: difficoltà nel trovare una soluzione abitativa (presenza di barriere architettoniche), inaccessibilità di stazioni ferroviarie e mancanza di assistenza per salire sui treni (se non dopo una comunicazione di almeno 24 h prima), mancanza di servizi pubblici attrezzati, necessità per alcuni studenti disabili di trattamenti/visite mediche che devono essere effettuati dagli specialisti che li hanno già in cura;
   inoltre, se anche vi fossero le condizioni per trasferirsi, questo risulterebbe impossibile nei tempi previsti dal concorso: l'ultima graduatoria dopo i vari scorrimenti è stata emanata il 26 ottobre e per il 1o novembre (6 giorni dopo) è stato previsto l'inizio delle attività didattiche –:
   se non ritenga necessario considerare di inserire nel bando di concorso per l'accesso alle scuole di specializzazione in medicina per l'anno accademico 2017/2018 quanto già previsto dalla legge n. 104 del 1992 e valido anche per altre professioni, in modo da permettere a tutti di accedervi senza discriminazioni. (5-11138)

Interrogazione a risposta scritta:


   NICOLA BIANCHI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'amianto è un minerale naturale molto resistente al calore, largamente utilizzato per decenni in particolare nell'edilizia, nell'industria e nei trasporti per il suo basso costo di lavorazione. È stata ampiamente riconosciuta la pericolosità del minerale per la salute. La legge 27 marzo 1992, n. 257, reca le «Norme relative alla cessazione dell'impiego dell'amianto»;
   il 14 marzo 2013 il Parlamento europeo ha approvato una risoluzione sulle minacce per la salute sul luogo di lavoro legate all'amianto e le prospettive di eliminazione di tutto l'amianto esistente con cui, tra le altre cose, esorta «gli Stati membri a garantire che tutti i casi di asbestosi, mesotelioma e malattie collegate siano registrati per mezzo di una raccolta sistematica di dati sulle malattie professionali e non professionali legate all'amianto, a classificare e registrare ufficialmente le placche pleuriche come una malattia legata all'amianto e a fornire, con l'assistenza di osservatori ad hoc, una mappatura attendibile della presenza di amianto; sottolinea che il registro e la mappa a livello dell'UE dovrebbero includere l'ubicazione esatta dei siti pubblici e privati contenenti amianto e segnalare chiaramente le discariche di rifiuti di amianto, in modo da evitare la movimentazione inconsapevole di questi materiali sotterrati e contribuire alla prevenzione e alle azioni correttive»;
   secondo l'Osservatorio nazionale amianto (Ona) l'amianto è oggi presente in 2.400 scuole con il rischio di esposizione per circa 350.000 allievi e 50.000 persone tra personale docente e non docente;
   da quanto risulta dal V Rapporto del Registro nazionale mesoteliomi, che riferisce dei casi di mesotelioma rilevati dalla rete dei COR del ReNaM con una diagnosi compresa nel periodo 1993-2012, sono stati 63 i casi di mesotelioma maligno (MM) con almeno un periodo di esposizione ad amianto (41 maschi e 22 femmine) nell'ambito professionale dell'istruzione;
   in data 5 aprile 2017, come si apprende dal quotidiano locale La Nuova Sardegna, è stata stabilita la chiusura della scuola secondaria di primo grado dell'Istituto Comprensivo di Sennori, nel sassarese, nella cui struttura è presente l'amianto, in seguito alla perforazione di alcune pareti ai fini dell'installazione di quattro lavagne luminose con il conseguente spargimento di possibili polveri nei locali dell'edificio;
   si legge nel medesimo giornale locale sardo che il responsabile del servizio di prevenzione protezione (Rspp) dell'istituto abbia spiegato alle famiglie degli studenti della scuola «che nel plesso non hanno ancora una mappatura precisa dell'amianto. Mentre il sindaco ha fatto presente che esiste un piano amianto (aggiornato pochissimi mesi fa) che riporta una pianta delle zone in cui sono presenti i pannelli con la fibra» dannosa –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle informazioni esposte in premessa e, in caso affermativo, se non ritengano opportuno intervenire urgentemente, per quanto di competenza, affinché il personale docente e non docente e gli studenti della scuola citata non corrano ulteriori rischi di esposizione all'amianto;
   quali iniziative i Ministri interrogati, per quanto di competenza, intendano adottare affinché si proceda nel più breve tempo possibile, alla totale messa in sicurezza delle scuole in cui è tuttora presente l'amianto, individuando e rendendo disponibili le risorse necessarie per la bonifica dei suddetti edifici, visti gli enormi rischi per la salute derivanti dall'esposizione ambientale alla sostanza dannosa che sono stati ampiamente dimostrati. (4-16277)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PATRIZIA MAESTRI, GIACOBBE, ALBANELLA, ROMANINI e CARLONI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2009 è stata avviata un'indagine dell'Ispettorato del lavoro – Direzione Provinciale di Roma, sui collaboratori dei parlamentari che prestano la propria opera presso la Camera dei deputati e il Senato della Repubblica;
   tale attività avrebbe comportato un lungo lavoro, dato che i risultati della stessa sono stati pubblicati dagli organi di informazione solo nel 2013;
   come sottolineato da un articolo di Gianluca Di Feo e Primo Di Nicola, «Colf o portaborse ? Un palazzo di collaboratori in nero», pubblicato da L'Espresso nel marzo 2013, a 635 deputati corrispondevano solo 272 collaboratori accreditati per l'accesso ai Palazzi;
   nel corso delle verifiche effettuate sui collaboratori impiegati presso le sedi della Camera dei deputati, sarebbero state riscontrate 58 irregolarità – pari circa al 20 per cento dei controlli complessivi effettuati – in materia lavoristica, previdenziale e assicurativa;
   per i collaboratori di senatori invece sarebbero state riscontrate 21 irregolarità e le sanzioni comminate sarebbero state pari a circa 19 mila euro;
   in due casi vi sarebbero state controversie, nate a seguito dell'ispezione, risolte con conciliazioni davanti ai giudici;
   al cambio di legislatura, visto il fisiologico ricambio degli eletti, si sono stipulati nuovi contratti di lavoro ma non si è avuto un effettivo riscontro circa un miglioramento delle condizioni contrattuali dei collaboratori parlamentari, mentre diverse ulteriori controversie legali lasciano supporre, ad avviso degli interroganti, la presenza di sacche non sanate di irregolarità;
   peraltro secondo il Manuale di classificazione dei datori di lavoro emanato dalla Direzione Centrale Entrate dell'Inps, il parlamentare può assumere direttamente assistenti e collaboratori esterni, utilizzando l'inquadramento CSC 70701 (messaggio Inps 14042 del 13 maggio 1987) –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quali siano i dati effettivi risultanti dalle indagini operate dall'Ispettorato del lavoro – Direzione provinciale di Roma sui rapporti contrattuali intercorrenti tra parlamentari e i loro collaboratori nell'anno 2009 e se non intenda promuovere analoga attività ispettiva anche nella presente legislatura;
   se non intenda sostenere, per quanto di competenza, in sede parlamentare, le eventuali iniziative legislative, anche alla luce del contributo delle associazioni maggiormente rappresentative costituite da collaboratori parlamentari, finalizzate a disciplinare il rapporto di lavoro tra i parlamentari e i propri collaboratori, sulla base dei princìpi di trasparenza e di contenimento delle spese delle Istituzioni parlamentari. (5-11133)


   PATRIZIA MAESTRI, ALBANELLA, GIACOBBE, GRIBAUDO e DI SALVO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, all'articolo 8, comma 3, ha riconosciuto ai lavoratori affetti da patologie oncologiche o da gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti, per i quali residui una ridotta capacità lavorativa, il diritto alla trasformazione del rapporto di lavoro a tempo pieno in lavoro a tempo parziale; 
   il comma 4 del suddetto articolo riconosce altresì una priorità nella trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale a quei lavoratori che assistano persona convivente (coniuge, figli o genitori) con totale e permanente inabilità lavorativa con connotazione di gravità che abbia necessità di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita a causa di patologie oncologiche o gravi patologie cronico-degenerative ingravescenti;
   la medesima priorità, al comma 5, è riconosciuta, a richiesta, anche al lavoratore e della lavoratrice, con figlio convivente di età non superiore a tredici anni o con figlio convivente portatore di handicap ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 104 del 1992;
   la trasformazione del contratto di lavoro da tempo pieno a tempo parziale rappresenta, per molti lavoratori e soprattutto per molte lavoratrici, il migliore strumento per conciliare i tempi di vita e di lavoro e per scongiurare l'allontanamento e l'esclusione dal mercato del lavoro e delle professioni per dedicarsi alla cura familiare;
   purtroppo, la normativa così declinata lascia ampio margine di discrezionalità alle imprese che spesso, in assenza di specifici incentivi, rifiutano di accondiscendere alle richieste di part time dei lavoratori e delle lavoratrici inducendo, pertanto, molti di essi ad abbandonare l'occupazione e ad uscire dal mercato del lavoro –:
   se il Ministro interrogato disponga di dati statistici riguardanti i lavoratori e le lavoratrici che hanno volontariamente abbandonato la propria occupazione entro il periodo di congedo parentale spettante ai sensi del Capo V del decreto legislativo 26 marzo 2001, n. 151 e se possa renderli noti;
   se non ritenga altresì di assumere iniziative normative volte a sostenere le imprese che favoriscono la trasformazione dei contratti di lavoro da tempo pieno a tempo parziale ai sensi dei commi 4 e 5 dell'articolo 8 del decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81. (5-11136)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOCCADUTRI, AIELLO e CARBONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Influenza aviaria (nota anche come peste aviaria) è una malattia infettiva contagiosa altamente diffusiva, dovuta ad un virus influenzale (orthomyxovirus), che colpisce diverse specie di uccelli selvatici e domestici, con sintomi che possono essere inapparenti o lievi (virus a bassa patogenicità), oppure gravi e sistemici con interessamento degli apparati respiratorio, digerente e nervoso ad alta mortalità (virus ad alta patogenicità); si tratta di un virus che può trasmettersi agli umani, come è stato definitivamente dimostrato a partire dal 1997;
   l'associazione nazionale allevatori e produttori avicunicoli (Assoavi) ha confermato la positività in Pcr per virus di influenza aviaria sottotipo H5N8 in carcasse prelevate in un allevamento di galline ovaiole da consumo nel comune di Mordano (Bologna); la caratterizzazione della sequenza aminoacidica del sito di clivaggio dell'emoagglutinina è in corso da parte del centro di referenza;
   lunedì 10 aprile 2017 hanno avuto inizio le operazioni di abbattimento; in particolare è stata messa alla firma l'ordinanza regionale per l'istituzione delle zone di protezione e sorveglianza –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendono assumere i Ministri interrogati in merito alla vicenda descritta in premessa, in particolare affinché la popolazione possa essere debitamente informata in merito alla vicenda e possa essere salvaguardata la salute pubblica;
   quante uova siano state sottoposte al sequestro nell'allevamento de quo;
   quali marche di uova, incluse quelle cosiddette lable, possano essere state coinvolte nell'epidemia e in quali punti vendita sono collocati i prodotti potenzialmente a rischio;
   quali allevamenti e territori limitrofi possano essere stati contagiati dal virus e quali misure si intendano adottare affinché sia circoscritto il rischio di una epidemia;
   quali iniziative siano state assunte per informare le catene della grande distribuzione sulla possibilità di avere nelle proprie forniture confezioni di uova potenzialmente contaminate. (4-16279)


   VARGIU. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per lo sport. — Per sapere – premesso che:
   i commi da 611 a 614 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 del 23 dicembre del 2014 (legge di stabilità per il 2015) hanno imposto agli enti locali di disfarsi delle partecipazioni societarie cosiddette «non indispensabili», disponendo che i comuni dovessero predisporre la stesura del relativo piano di dismissioni entro il 30 marzo 2015;
   in tal senso, il comune di Cagliari deliberava nel 2015 la dismissione della partecipazione (69,57 per cento) nella Società Ippica srl (16,06 per cento camera di commercio, 14,38 per cento Agris Sardegna), proprietaria di oltre 22 ettari di terreno, prospicienti la spiaggia del Poetto di Cagliari;
   la società Ippica srl ha l'obiettivo statutario di promuovere la cultura e l'allevamento, del cavallo sardo, organizzando l'attività sportiva ed economica correlata;
   la società Ippica srl è in perdita di esercizio ininterrottamente negli ultimi dieci anni e ha licenziato quasi interamente il proprio personale (ridotto ad un'unità), appaltando la gestione minima degli impianti alle associazioni amatoriali;
   tale società è amministrata da un consiglio che non percepisce alcun compenso ed è presieduta da un funzionario comunale;
   l'assemblea ordinaria della società Ippica srl, in ottemperanza al disposto della legge n. 190 del 2014, in considerazione dell'ingente patrimonio immobiliare in capo alla società stessa, ha deliberato di procedere alla liquidazione della società con attribuzione ai soci del patrimonio immobiliare;
   in tal senso, il comune di Cagliari ha fissato il termine del 30 aprile 2016 per la delibera di scioglimento e del 30 giugno dello stesso anno per l'assemblea straordinaria di liquidazione;
   in data 1o giugno 2016, il presidente della società Ippica srl ha disposto la pubblicazione di un bando di affidamento di immobili e manifestazione di interesse sull'Ippodromo di Cagliari, con scadenza al 22 settembre 2016;
   in data 3 febbraio 2017, il Consiglio di amministrazione della società Ippica srl ha promosso una nuova procedura selettiva per l'affidamento della gestione di tre campi e della pista dell'Ippodromo, mentre in data 7 marzo 2017 il sito della stessa società dava notizia della conclusione della procedura selettiva;
   alla liquidazione della società Ippica srl verrà comunque a mancare uno storico supporto alla cultura e all'allevamento del cavallo in Sardegna e al sostegno degli sport equestri nell'isola, che si aggiunge al sostanziale abbandono delle storiche attività di Tanca Regia, Foresta Burgos e Ozieri e alla liquidazione in Agris dell'Istituto di incremento ippico –:
   se risulti quale sia il motivo per cui la procedura di liquidazione della Società Ippica srl, partecipata dal comune di Cagliari, non sia andata a buon fine, a parere dell'interrogante contravvenendo il disposto della legge n. 190 del 2014 e la conseguente delibera attuativa dello stesso comune di Cagliari;
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati con riferimento allo scioglimento della Società Ippica srl e per salvaguardare il patrimonio culturale, sportivo ed economico rappresentato dal cavallo sardo, nonché per tutelare la protezione genealogica, l'allevamento, l'allenamento alla pratica sportiva e la tutela dell'equitazione diportistica e sportiva in Sardegna. (4-16293)

SALUTE

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nella giornata di lunedì 10 aprile 2017 nell'ospedale Brotzu di Cagliari è deceduta una giovane madre che il sabato precedente aveva dato alla luce due gemelli nell'ospedale Cto di Iglesias;
   la scomparsa della giovane madre di Iglesias ferisce un'intera comunità e pone interrogativi che non vanno omessi, seppur nel profondo rispetto del dolore;
   si tratta di interrogativi che vanno posti, non per la mera ricerca della polemica, della contestazione, ma per fare chiarezza, per evitare semmai che si piangano altre madri e altre morti;
   si ha il dovere morale innanzitutto di auspicare chiarezza sui fatti e le drammatiche conseguenze;
   il sottoscritto interrogante ha la certezza, che i medici, il personale paramedico, abbiano fatto di tutto e di più per salvare la vita della giovane madre;
   osservando i fatti si ha il dovere di rilevare e far rilevare che qualcosa non ha funzionato;
   si tratta ancora una volta di una gestione della sanità pubblica in Sardegna, nel Sulcis in particolar modo, che conferma disorganizzazione e malasanità;
   sono numerosi e reiterati gli atti di sindacato ispettivo, ancora senza risposta, che il sottoscritto interpellante ha sottoposto al Ministro relativamente ad evidenti e gravi situazioni inerenti l'ospedale Cto, la chiusura dell'ospedale Santa Barbara e la complessiva gestione delle strutture ospedaliere nel territorio del Sulcis;
   non è ipotizzabile prevedere quali episodi abbiano inciso nella vita di questa giovane ragazza, la magistratura ha aperto un fascicolo, ma resta la scansione temporale di quel parto a generare molti dubbi e tante perplessità;
   la sequenza dei fatti è chiara: sabato mattina il parto cesareo al Cto di Iglesias, nascono i due gemellini, la sera di sabato le prime avvisaglie di qualcosa che non sta andando per il verso giusto;
   alle 23 di sabato 9 aprile scatta l'allarme sangue. La procedura che viene messa in campo è da brivido. A quanto consta all'interrogante i telefoni degli ospedali si rincorrono. Al Cto non c’è il sangue. Non c’è nemmeno al Santa Barbara. Occorre tipizzare il sangue della paziente. Il personale per questa operazione non è in servizio. Si deve allertare l'autista reperibile che vive fuori Iglesias. Deve andare al Santa Barbara, prelevare il frigomedico, andare al Cto prendere le provette del sangue della paziente e correre a Carbonia, ospedale Sirai, attendere la lavorazione e ritornare al Cto con il plasma. Non bastano due ore. Le sacche del sangue non sono sufficienti. Nel cuore della notte ne serve altro. Si salta solo la procedura della tipizzazione, già fatta in precedenza. Ma il percorso è analogo. Corsa al Sirai a Carbonia e ritorno, un'altra ora almeno per raggiungere Iglesias;
   appare gravissimo che nell'ospedale Santa Barbara di Iglesias non esista più la scorta di sangue per le emergenze;
   è grave che i frigomedici portatili siano dislocati al Santa Barbara e non, invece, al Cto dove ci sono i reparti facendo perdere alle operazioni un altro quarto d'ora preziosissimo per i pazienti;
   nella sequenza temporale, l'indomani, domenica 10 aprile, la situazione è grave;
   viene disposto il trasferimento al reparto di rianimazione dell'ospedale Santa Barbara, ma, a quanto risulta all'interrogante, nosocomio chiuso in tutto e per tutto in gran fretta, senza accertarsi dell'efficienza del trasferimento nel devastato cantiere del Cto;
   risulta operativo al Santa Barbara di Iglesias solo il reparto di rianimazione;
   lo sballottamento della paziente è solo agli inizi;
   sino a domenica, a quanto consta all'interrogante, gli ospedali coinvolti in questo vai e vieni sono tre: Cto, Santa Barbara ad Iglesias, Sirai di Carbonia per l'approvvigionamento del sangue;
   nella giornata di domenica subentra il quarto ospedale, il Brotzu di Cagliari, dove la paziente viene trasferita e dove morirà il giorno dopo;
   è di gravità inaudita che nel 2017, in un Paese civile, si debba rincorrere la vita per quattro ospedali nel giro di 48 ore;
   il diritto alla vita e alla salute viene messo troppo spesso a repentaglio da gestioni dissennate e stolte di chi pensa che la salute sia un costo e non un sacrosanto diritto;
   in questo caso c’è di peggio, una gestione che fa acqua da tutte le parti compresa una Asl, quella del Sulcis, che risulta all'interrogante essere senza ambulanze del 118 efficienti ed è, costretta a rivolgersi alle associazioni di volontariato per avere i mezzi di soccorso –:
   se il Ministro interrogato non intenda, per quanto di competenza, promuovere una verifica immediata e puntuale dei fatti riscontrabili relativamente al decesso della giovane madre, riscontrando i tabulati delle entrate in servizio e delle procedure di approvvigionamento del sangue e la stessa organizzazione procedimentale della sanità nella asl di pertinenza;
   se non intenda inviare ispettori ministeriali considerata la gravità del decesso e il grave rischio che non siano stati garantiti i livelli essenziali di assistenza per la gestione strutturale delle strutture ospedaliere della regione Sardegna con particolare riferimento a quelle del Sulcis Iglesiente.
(2-01758) «Pili».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, COLONNESE, LOREFICE, GRILLO e NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 29 marzo 2017 la commissione sanità dell'Ars (Assemblea regionale siciliana) ha espresso il proprio parere favorevole alla nuova Rete ospedaliera regionale;
   in seguito a ciò sono esplose diverse polemiche sui potenziali errori presenti nel piano, che hanno già dato origine ad alcune proteste presso l'assessorato tra cui, si ricorda, quella delle associazioni dei malati reumatici che hanno chiesto di bloccare i tagli previsti dalla rete ai posti letto per le loro cure;
   gli errori di cui si parla, oltretutto, si aggiungerebbero a quelli già rilevati in commissione sanità all'Ars su alcuni reparti modificati, nonché sulla tabella relativa agli ospedali privati disconosciuta dalle cliniche stesse rispetto a quanto concordato con l'assessorato;
   è infatti notizia del 3 aprile 2017, in particolare, che la commissione sanità-salute dell'Ars potrebbe aver approvato un progetto di nuova rete ospedaliera non coincidente con quello pubblicato dal sito della regione siciliana;
   il problema, nello specifico, riguarderebbe il documento con le modifiche ai posti letto degli ospedali approvato dalla giunta regionale, passato in commissione sanità all'Ars e inviato a Roma per la decisione finale dei Ministeri dell'economia e delle finanze e della salute;
   dal punto di vista politico il gruppo parlamentare regionale del Movimento 5 Stelle ha già chiesto che venga fatta luce sulla vicenda della doppia versione del documento della rete ospedaliera siciliana e che il progetto inerente alla nuova rete ospedaliera torni all'esame della suddetta commissione, poiché in sintesi, per colpa dell'emergenza, si sarebbe votato un documento sbagliato ricevuto via e-mail appena il giorno prima della convocazione;
   un errore grossolano, già indicato come mero refuso, che suscita non poche perplessità sulla potenziale superficialità e sulla qualità di questo documento che – è stato sostenuto – dovrebbe necessariamente tornare in commissione per un esame più approfondito;
   il dirigente generale dell'assessorato Ignazio Tozzo ha infatti affermato che la regione ha pubblicato il documento sbagliato, assicurando però che si tratta di un errore materiale che «non infici la sostanza della rete e la stessa procedura» e annunciando che avrebbe verificato «subito cosa è successo e soprattutto se il documento inviato a Roma è quello corretto»;
   peraltro, vi sarebbe, a quanto consta agli interroganti, un difetto di congruità tra la versione originaria del documento inizialmente elaborata nella fase istruttoria, anche sulla base di elementi e contenuti in parte concordati con i diversi portatori di interessi coinvolti, e quella definitivamente approvata in seguito a deliberazione;
   tuttavia il 4 aprile 2017 il documento ha ricevuto il parere positivo da parte dei Ministeri dell'economia e delle finanze e della salute e attende ora di essere attuato –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti esposti in premessa;
   se il Ministro della salute possa illustrare nel dettaglio l’iter procedurale al termine del quale ha espresso il proprio parere favorevole relativamente alla nuova rete ospedaliera siciliana, indicando in particolare se la versione del documento su cui si è espresso corrisponda effettivamente a quella definitivamente approvata dall'Assemblea regionale siciliana, considerato che, nel procedimento di approvazione del documento concernente la nuova rete ospedaliera siciliana vi sarebbero diverse criticità, come evidenziato in premessa, e quali ulteriori iniziative di propria competenza intenda intraprendere in merito. (5-11124)


   CAROCCI e TULLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 15 della legge n. 166 del 2016 ha modificato e integrato la precedente disciplina legislativa in materia di raccolta e donazione di medicinali non utilizzati dettata dall'articolo 157 del decreto-legge n. 219 del 2006;
   le innovazioni legislative introdotte escludono che la donazione dei medicinali non utilizzati a organizzazioni non lucrative di utilità sociale (Onlus) e l'utilizzazione dei medesimi medicinali da parte di queste possa riguardare anche i medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope;
   il citato articolo 15 nulla dice in merito a quanto previsto dalla legge 24 dicembre 2007, n. 244 ove all'articolo 2 era prevista la possibilità di donare a Residenze sanitarie assistenziali, a onlus o a alle Asl le confezioni di medicinali in corso di validità, ancora integre e correttamente conservate (commi 350, 351, 352);
   la raccolta e il riutilizzo conformemente a quanto previsto dalla legge n. 244 del 2007 di medicinali contenenti sostanze stupefacenti psicotrope ha avuto un positivo ed ampio sviluppo soprattutto da parte delle organizzazioni che provvedono a fornire ai pazienti cure palliative nell'ambito della terapia di dolore;
   il combinato disposto dell'articolo 15 della legge n. 166 del 2016 e i commi di cui sopra dell'articolo 2 della legge n. 244 del 2007, determina dubbi interpretativi e rilevanti conseguenze in ordine alla loro applicazione, sia con riguardo alla possibilità da parte delle Onlus interessate a ricevere donazioni, sia per quanto riguarda la possibilità di utilizzare i medicinali contenenti sostanze stupefacenti attualmente nella loro disponibilità per averli acquisiti conformemente a quanto previsto dalla legge n. 244 del 2007;
   tutti gli oppioidi con effetti stupefacenti utilizzati per la terapia del dolore sono regolamentati dalla legge 15 marzo 2010 n. 38 e dal decreto ministeriale attuativo 31 marzo 2010 e non più soggetti ad obbligo di registrazione su apposito registro e quindi equiparati a tutti gli altri farmaci –:
   se il Ministro interrogato possa chiarire l'interpretazione dei commi dal 350 al 352 dell'articolo 2 della legge n. 244 del 2007 alla luce della sopravvenuta disciplina dettata all'articolo 15 della legge n. 166 del 2016;
   se con riguardo al comma 350 possa chiarire se la norma si riferisce anche ai medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope, tenuto conto che tale fattispecie presenta caratteristiche peculiari perché si prevede l'ulteriore utilizzo, da parte delle Asl o di organizzazioni non lucrative di utilità sociale debitamente autorizzate, di medicinali che tali soggetti già legittimamente utilizzavano per un paziente, e che i parenti, in caso di suo decesso, non intendono trattenere;
   se, alla luce della normativa sopra richiamata, le organizzazioni non lucrative che legittimamente detengano medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope possano utilizzare tali medicinali per l'assistenza ai pazienti, e, in caso negativo, quali iniziative, anche normative, si intendano assumere, per consentire alla organizzazioni non lucrative, debitamente autorizzate a svolgere assistenza a pazienti bisognosi di cure palliative, l'utilizzo di medicinali contenenti sostanze stupefacenti o psicotrope ancora del tutto validi quando tali medicinali non siano reclamati dal paziente all'atto della dimissione da una residenza sanitaria assistenziale o dai famigliari in caso di decesso del paziente nell'ipotesi di assistenza domiciliare o in hospice. (5-11142)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   per la prima volta in Italia la regione Lazio ha disposto l'avvio, a partire dal prossimo mese di maggio, di un progetto sperimentale volto a consentire la somministrazione della pillola abortiva Ru486 nei consultori familiari, dunque in regime ambulatoriale al di fuori degli ospedali;
   la sperimentazione durerà diciotto mesi, farebbe parte del piano di riorganizzazione della sanità regionale, e sarebbe motivata dal fatto che il quindici per cento delle interruzioni di gravidanza effettuate nel Lazio avviene oggi attraverso per via farmacologica;
   la deospedalizzazione dell'aborto farmacologico, tuttavia, si pone in netto contrasto con la legge sull'interruzione volontaria di gravidanza, in base alla quale la somministrazione della Ru486 può avvenire solo all'interno di strutture ospedaliere o poliambulatoriali, proprio perché l'aborto farmacologico richiede una prolungata assistenza;
   la legge 29 luglio 1975, n. 405, istitutiva dei consultori familiari, attribuisce a tali strutture il compito di tutelare non solo la salute della donna ma anche quella del concepito, un ruolo diametralmente opposto a quello che ora si intende mettere in carico ai consultori del Lazio;
   ancora, stando alla legge 22 maggio 1978, n. 194, sulla tutela sociale della maternità e l'interruzione volontaria della gravidanza, ai consultori è riservato il ruolo di assistere e informare la donna in stato di gravidanza, «contribuendo a far superare le cause che potrebbero indurre la donna all'interruzione della gravidanza»;
   ad avviso dell'interrogante la decisione della regione Lazio non solo contravviene alle vigenti normative ma promuove un uso improprio della pillola abortiva, impiegata con eccessiva leggerezza, oltre a mettere a rischio la salute di tutte le donne –:
   considerato che la citata decisione appare all'interrogante in netto contrasto con norme che regolano a livello nazionale l'interruzione volontaria di gravidanza, quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo. (4-16267)


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, PARENTELA, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   i fertilizzanti comprendono composti destinati a fornire sostanze nutritive alla pianta e prodotti che ne facilitano lo sviluppo tramite il miglioramento delle caratteristiche del suolo, la facilitazione dell'assunzione di nutrienti, il miglioramento di alcune caratteristiche della pianta o la resa complessiva. Il loro utilizzo sarebbe responsabile per circa il 60 per cento dell'incremento produttivo in agricoltura degli ultimi 50 anni. Contemporaneamente i fertilizzanti hanno determinato un impatto negativo sulla qualità dei suoli e delle acque di falda, sulla biodiversità e sulla salute umana;
   i fertilizzanti fosforici contengono cadmio, cromo e altri metalli pesanti e vengono distribuiti nei suoli e sulle foglie come induttori di resistenza, accumulandosi in funzione della microbiologia del suolo e della genetica della pianta. Gli alimenti che accumulano in misura maggiore cadmio sono quelli tipici della dieta mediterranea quali le verdure e gli ortaggi (quelli a foglia larga e gli spinaci in particolare), la frutta, i cereali e loro derivati (riso), ma anche il fegato, i funghi, i molluschi, la polvere di cacao e le alghe essiccate. La popolazione italiana risulta, di conseguenza, maggiormente esposta a tale contaminante a fronte della tradizionale cultura mediterranea;
   secondo l'Istituto sperimentale didattico di Venezie i metalli pesanti rappresentano uno dei rischi alimentari più importanti per i consumatori. Il cadmio, in particolare, viene classificato come cancerogeno, con effetti di tossicità soprattutto a livello renale. L'esposizione è maggiore nelle persone che conducono un'alimentazione a base prevalentemente vegetale in linea con la dieta mediterranea, il tipo di alimentazione raccomandato dalle indicazioni sanitarie internazionali;
   secondo il Reach, il cadmio è un cancerogeno accertato oltre ad essere tossico per il fegato ed i reni e causare demineralizzazione delle ossa. Seconda l'ECHA, una parte significativa delle popolazione europea è esposta a livelli di Cadmio in grado di provocare effetti negativi al fegato ed alle ossa;
   due regolamenti comunitari (Reg. 420/2011/CE e Reg. 488/2014/CE) definiscono i limiti massimi di cadmio consentiti negli alimenti, e due opinioni scientifiche (Efsa 2009 e 2011) confermano che il limite di assunzione settimanale ammissibile è pari a 2,5 microgrammi per chilogrammo di peso corporeo (1μg = 1 miliardesimo di chilogrammi);
   è in discussione presso il Parlamento europeo il Regolamento sui fertilizzanti, di modifica della legislazione sulle regole per l'utilizzo di sottoprodotti animali e derivati non destinati all'alimentazione (regolamento 1069/2009) e di quello sull'immissione sul mercato di prodotti per la protezione delle piante (Reg. 1107/2009). Tra tutte le modifiche proposte, a detta degli interroganti, quella più controversa riguarda i limiti per il cadmio che, secondo la proposta della Commissione, dovrebbero ridursi progressivamente da 60 mg/Kg nella fase iniziale, 40 mg/Kg dopo 3 anni e 20 mg/Kg dopo 12 anni dall'entrata in vigore del nuovo testo legislativo. Il parere del M5S in sede europea e quello degli interroganti è che i limiti proposti per il cadmio non porterebbero a benefici significativi e risulti necessario lo stabilimento di un limite del 20 mg/Kg al fine di smaltire il metallo accumulato nei suoli in tempi molto più rapidi, a fronte del rischio sanitario accertato per l'uomo –:
   quale sia la posizione dell'Italia in merito al regolamento sui fertilizzanti che verrà discusso in sede europea;
   se il Governo intenda promuovere in tutti gli ambiti di propria competenza, una riduzione del cadmio nei concimi fosfatici, ai fini della tutela della salute umana;
   se il Governo non ritenga di attivare una serie di iniziative volte al monitoraggio degli alimenti e dei suoli e all'eventuale bonifica di questi ultimi, in considerazione del limite di assunzione individuato dalle agenzie sanitarie internazionali. (4-16284)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   DIENI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo «Il poltronificio (senza fine) di Calabria Lavoro» pubblicato sul Corriere della Calabria il 6 aprile 2017 informa circa il protrarsi di un malcostume tipico, specie nella regione Calabria, che purtroppo non accenna a cessare;
   l'azienda Calabria Lavoro, ente in house della regione dovrebbe favorire le politiche attive per l'occupazione e per l'imprenditoria attraverso il merito, ma i commissari che si sono succeduti, per scelte politiche, dal 2014 ad oggi – Pasquale Melissari, Antonio De Marco e Fortunato Varone – e avrebbero contrattualizzato decine di persone facendo ricorso alla chiamata diretta;
   l'ultimo caso riguarderebbe quattro consulenti rinnovati con puntualità per la vicinanza alla dirigenza o alla politica, mentre gli 81 esperti della Misura 7.1 che si sarebbero visti annullare la procedura di valutazione con decreto del commissario Luigi Zinno a febbraio, a seguito «di incompatibilità ed inadempienze procedurali» sarebbero ancora in attesa di conoscere la loro sorte;
   altre anomalie sarebbero ravvisabili riguardo al progetto Garanzia Giovani del quale la regione Calabria, con la delibera 21 del 5 febbraio 2015, e il direttore generale del dipartimento lavoro, con proprio decreto del 28 dicembre 2015, hanno approvato la riprogrammazione del piano esecutivo, vista la «necessità di garantire le scadenze previste per l'attuazione delle misure previste nel Par Calabria», affidandone le attività al Formez Pa che aveva «maturato, con riferimento al tema della capacità istituzionale di assistenza inerente le politiche del lavoro, una significativa esperienza sia a livello generale che di singole aree territoriali»:
   contestualmente veniva approvato il progetto esecutivo e la convenzione per un importo complessivo pari a 911 mila euro;
   la convenzione prevede la fine delle attività il 31 dicembre 2016, il progetto esecutivo (pubblicato sul Burc del 25 gennaio) specifica l'intero range temporale che si doveva estendere dal 1o agosto 2015 (quindi prima del decreto del direttore generale al 31 dicembre 2016, mentre nell'anagrafica del progetto pubblicata sul sito del Formez Pa si precisa che la «Convenzione tra la Regione Calabria e Formez Pa per la realizzazione del Progetto “Assistenza tecnica all'attuazione della Garanzia Giovani in Calabria – del 17/07/2015” preveda “Data inizio: 28/01/2016” e “Data fine: 31/07/2017”»;
   Formez Pa dovrebbe garantire assistenza per uffici e centri per l'impiego, che avrebbero dovuto migliorare le loro performance operative nella gestione del piano;
   il piano non sembra tuttavia funzionare in modo adeguato: come spiega l'articolo «Lavoro “finto” in Calabria: Garanzia Giovani, il flop da milioni di euro» pubblicato il 5 aprile 2017 «Il flop di “Garanzia Giovani” è stato certificato anche dalla Corte dei conti europea [...]Garanzia Giovani è stato, soprattutto in Calabria, un vero e proprio sciacallaggio nei confronti dei giovani disoccupati»;
   per raggiungere questi non esaltanti risultati Formez Pa avrebbe utilizzato propri esperti, dei quali diversi vicini alla dirigenza del Partito democratico;
   sarebbe il caso di Irene Smorto, moglie del presidente del consiglio comunale di Reggio Calabria Demetrio Delfino, di Ileana Zumbo, con un passato da componente dello staff dell'ex assessore regionale Nino De Gaetano, di Michele Fallico, esponente dei Giovani Democratici della provincia di Crotone e di Mario Valente, segretario regionale dei Giovani democratici –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come spieghi le anomalie descritte relativamente all'attività di consulenza di Formez Pa nell'ambito del progetto Garanzia Giovani della regione Calabria, oltre all'impiego in numero significativo di personale, a quanto consta agli interroganti, vicino ai dirigenti del Partito democratico calabrese;
   se non ritenga di intervenire con iniziative di propria competenza, anche di carattere normativo, per evitare che le società in house, come nel caso di Calabria Lavoro e Formez Pa, diventino un veicolo per consentire surrettiziamente assunzioni di personale vicino ai partiti politici.
(4-16282)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CATALANO e GALGANO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con lettera del 31 marzo 2017 l'Autorità di garanzia per la concorrenza e il mercato ha inoltrato a Governo e Parlamento una segnalazione relativa ad alcune previsioni presenti nel disegno di legge A.S. n. 2647, recante «Disciplina dell'attività di home restaurant»;
   l'Autorità, richiamando preliminarmente il quadro europeo in materia di sharing economy, in base al quale «restrizioni in termini di accesso al mercato possono essere previste (...) soltanto se sono non discriminatorie, giustificate da un ben individuato “motivo imperativo d'interesse generale”, ai sensi dell'articolo 4, punto 8, della Direttiva Servizi (Direttiva 2006/123/CE), proporzionate e necessarie», ha anzitutto censurato il fatto che sia stata prevista, come unica modalità per lo svolgimento dell'attività di home restaurant, quella dell'utilizzo di piattaforme telematiche, così escludendo ogni possibile rapporto diretto tra cuoco e fruitore, nonché l'obbligo di operare ogni transazione mediante le piattaforme digitali, che renderebbe più oneroso per il cliente disdire il servizio;
   anche la qualificazione dell'attività in termini di sola occasionalità si rivelerebbe non necessaria né proporzionata, tenendo conto che si è pure prevista una modalità di home restaurant ad obblighi attenuati, ossia il social eating;
   i conseguenti limiti massimi di coperti e di reddito annuo previsti per l’home restaurant si porrebbero «piuttosto in palese contrasto, oltre che con i principi di liberalizzazione previsti dal decreto legislativo n. 59 del 2010, che recepisce la Direttiva Servizi, e dai successivi decreti di liberalizzazione, anche con il dettato costituzionale di libera iniziativa economica e di tutela della concorrenza»;
   infine, sempre secondo l'Autorità di garanzia per la concorrenza e il mercato, apparirebbe «priva di motivazioni e ingiustificatamente restrittiva l'esclusione delle attività di B&B e Case Vacanza in forma non imprenditoriale e della locazione dalla possibilità di ampliare l'offerta di servizi extralberghieri con quella del servizio di home restaurant»;
   in conclusione, le norme di cui sopra non sarebbero necessarie e proporzionate agli obiettivi di tutela di interessi pubblici e, in particolare, della salute dei fruitori, che sarebbe già adeguatamente garantita «dall'obbligo di rispettare le norme sull'igiene degli alimenti (richiamate all'articolo 4, comma 6) e dagli obblighi di copertura assicurativa (articolo 3, comma 6)» –:
   quale sia la valutazione del Governo rispetto ai rilievi di cui sopra formulati dall'Autorità di garanzia per la concorrenza e il mercato e come intenda darvi seguito. (5-11122)


   VENITTELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il cosiddetto switch off – ovvero il passaggio dal segnale televisivo analogico a quello digitale – si è concluso, nel maggio 2012, con la copertura dell'intero territorio nazionale;
   a distanza di cinque anni, alcune aree della provincia di Campobasso presentano ancora problemi di ricezione, in particolare dei canali Rai, ma persistono difficoltà anche con i canali Mediaset e altri canali generalisti;
   l'interrogante aveva già segnalato la situazione al Ministero dello sviluppo economico con un atto di sindacato ispettivo, in seguito – a gennaio 2015 – l'ispettorato territoriale del Ministero dello sviluppo economico e Raiway erano intervenuti e per un certo periodo la ricezione dei canali era risultata regolare;
   da alcuni mesi, però, il problema si è ripresentato e, ad oggi, non risulta ancora risolto, nonostante le reiterate proteste dei cittadini e le segnalazioni dei sindaci dei comuni interessati dal disservizio;
   sembra, a quanto consta all'interrogante, che i problemi di ricezione dipendano dall'utilizzo delle frequenze del canale 39 UHF – utilizzato dalla Rai per la diffusione dei propri programmi – da parte di alcune emittenti private della zona;
   l'interruzione frequente e prolungata delle trasmissioni del servizio pubblico radiotelevisivo rappresenta un grave danno per migliaia di cittadini della provincia di Campobasso, anche in considerazione del fatto che, per tutti, resta obbligatorio il pagamento del canone a fronte di un servizio non erogato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle difficoltà nella ricezione del segnale televisivo in alcune aree del Paese ed in particolar modo nell'area della provincia di Campobasso e quali iniziative intenda assumere, con urgenza, per ripristinare la ricezione di tutti i canali della società concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, un diritto che deve essere garantito a tutti i cittadini attraverso la copertura integrale del territorio nazionale con il segnale televisivo digitale.
   (5-11123)

Interrogazioni a risposta scritta:


   OLIARO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo gli ultimi dati Istat diffusi dall'Ufficio studi Confartigianato nel 2016 le esportazioni totali liguri aumentano dell'8,7 per cento rispetto all'anno precedente, superando i 6,7 miliardi di euro, a fronte di un +1,2 per cento di crescita nazionale (oltre 400 miliardi di euro). Ai primi posti per volume di esportazioni si collocano la Lombardia (quasi 110 miliardi, +1 per cento) il Veneto (oltre 56,6 miliardi, +1,2 per cento), l'Emilia Romagna (54,7 miliardi, +1,3 per cento);
   considerando invece l'esportazione dei settori ad alta concentrazione di micro e piccole imprese, che pesa per il 14,2 per cento (955 milioni di euro) sull’export del totale manifatturiero regionale, a fronte di questa crescita regionale totale dell'8,7 per cento, nel 2016 l'esportazione delle micro e piccole imprese della Liguria registra un calo dell'11,9 per cento, sul quale pesano gli andamenti di Genova e La Spezia. Nello spezzino l’export totale cresce del 2,6 per cento (886 milioni), mentre le microimprese perdono il 17,6 per cento (265 milioni di merce esportata). A Genova l’export totale (oltre 3,9 miliardi) aumenta dell'8,7 per cento, mentre la divisione ad alta concentrazione di micro e piccole imprese (487 milioni) cala del 13,2 per cento. Quasi invariato l'andamento delle esportazioni tra le microimprese a Imperia (+0,3 per cento, 150 milioni di euro), a fronte invece di un calo generale dell’export in provincia (-5,7 per cento, 268 milioni). Infine Savona registra i risultati migliori della regione, con un export totale in crescita del 15,3 per cento (quasi 1,7 miliardi) e quello relativo alla divisione ad alta concentrazione di microimprese (53 milioni) in aumento dell'1,2 per cento rispetto al 2015;
   a livello nazionale, l'andamento dell’export delle microimprese mostra un aumento dell'1,3 per cento per un totale di oltre 117 miliardi di euro di export. Anche in questo caso, ai primi posti per volumi di merce movimentata troviamo la Lombardia (30 miliardi, +3,6 per cento), Veneto (24,8 miliardi, +1,3 per cento) ed Emilia Romagna (14,7 miliardi, +2,4 per cento);
   tra i settori a maggior concentrazione di microimprese più rilevanti per le vendite all'estero c’è quello alimentare: nel 2016 il trend ligure delle esportazioni per questo segmento resta positivo del 4 per cento, con 360 milioni di euro di merce esportata. In calo solo Imperia (106 milioni di euro, –1,6 per cento), mentre dati positivi registrano Genova (201 milioni, +6,7 per cento), Savona (32 milioni, +7,7 per cento) e La Spezia (21 milioni, +1,9 per cento);
   anche a livello nazionale la dinamica è positiva: +3,6 per cento per un totale di quasi 24 miliardi di prodotti alimentari esportati –:
   nonostante rispetto agli anni passati si registrino lievi segnali di ripresa dell’export delle microimprese, quali iniziative si intenda adottare per sostenere e rilanciare questo importante segmento dell'economia italiana, nonché per promuovere e valorizzare maggiormente i nostri prodotti sui mercati internazionali. (4-16273)


   LUIGI DI MAIO, D'AMBROSIO e FRUSONE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 10 novembre 1999 la società Isosar srl (incorporata da Energas spa) depositò presso il Ministero dell'ambiente istanza di valutazione di impatto ambientale per la realizzazione di un deposito costiero di GPL nel territorio del comune di Manfredonia (Foggia);
   trattasi di un deposito costiero di GPL a sud di Siponto, vicino a zone umide fra le più importanti d'Europa (riconosciute SIC e ZPS), sul confine del Parco Nazionale del Gargano costituito da una estesa area impiantistica di quasi 20 ettari, con annessi strada di collegamento alla strada statale 89, gasdotto interrato di collegamento al terminale marittimo di lunghezza pari a 10 chilometri (5 su terraferma e 5 su parte sottomarina) e raccordo ferroviario di circa 1,5 chilometri con la vicina stazione ferroviaria di Frattarolo;
   il gasdotto è sito in zona di alto pregio marino e usa ad attività produttive peschiere, mentre sia il gasdotto su terraferma sia il raccordo ferroviario sono locati in area SIC e ZPS «Valloni e steppe Pedegarganiche»;
   il consiglio comunale di Manfredonia il 17 settembre 2015 ha rigettato l'idea di una nuova fase di industrializzazione ad alto rischio. Tale posizione è stata ampiamente confermata da manifestazioni popolari di protesta e soprattutto dalla volontà popolare attraverso consultazione referendaria comunale del 13 novembre 2016, laddove il 96,02 per cento dei cittadini pari a 24.613 votanti ha espresso la sua contrarietà all'impianto;
   il nulla osta di fattibilità ha rilevato un inadeguato approfondimento degli eventi che possono svolgere un ruolo nell'innescare scenari incidentali con cause interne e esterne allo stabilimento, comprendendo anche cause naturali (analisi eventi NaTech) (prescrizione vii); ovvero «Natural–Technological», come incendi, esplosioni e rilasci tossici che possono verificarsi all'interno di complessi industriali e lungo le reti di distribuzione a seguito di eventi calamitosi di matrice naturale. La mappatura sismica del territorio italiano prevede, in ordine crescente di pericolosità, zone di quarta, zone di terza, seconda e prima categoria, nelle quali è obbligatorio utilizzare diversi accorgimenti antisismici, secondo le prescrizioni della normativa. Secondo la classificazione sismica del territorio regionale pugliese, pubblicata sul BURP n. 33 del 18 marzo 2004, il comune di Manfredonia risulta classificato in zona 2. Le norme antisismiche attualmente in vigore a livello nazionale sono le norme tecniche per le costruzioni (decreto ministeriale del 14 gennaio 2008) che forniscono riferimenti utili per la progettazione degli impianti nuovi ed esistenti, ma non esaustivi. L'analisi degli incidenti mostra che il sisma spesso non compromette la struttura portante di un edificio, ma gli impianti in esso contenuti, determinandone la messa fuori servizio e diventare essi stessi, a seguito del sisma, fonte di innesco di incidenti rilevanti;
   il deposito in questione dovrebbe, inoltre, sorgere a 10 chilometri in linea d'aria dall'aeroporto militare di Amendola «Luigi Rovelli Comando 32o Stormo»; nell'aeroporto militare è presente il modello di UAV (Unmanned Aerial Vehicle) MQ 9 Predator B (Reaper), in servizio presso la nostra forza aerea e consegnato di recente al 28o Gruppo velivoli teleguidati del 32o Stormo; inoltre, l'aeroporto sarà il primo aeroporto di Italia ad ospitare il caccia multiruolo F-35 aumentando ancor di più l'importanza strategica di tale zona; lo stesso aeroporto militare sorge sulla strada statale 89, arteria interessata dalla quasi totalità del traffico su gomma per il trasporto del GPL a mezzo auto cisterne –:
   se in sede di conferenza di servizi conclusiva indetta presso il Ministero dello sviluppo economico per il prossimo 13 aprile 2017, ex articolo 57 del decreto-legge n. 5 del 2012, il Ministro interrogato terrà conto delle valutazioni espresse in premessa, dell'esito della consultazione popolare del novembre 2016 e quali iniziative intenda adottare a salvaguardia dei cittadini. (4-16286)


   SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'annosa questione dei lavoratori della Agile (ex Eutelia), l'azienda di consulenza e servizi tecnologici in amministrazione straordinaria con migliaia di lavoratori coinvolti, è ancora irrisolta, sebbene il Governo continui a definire la vertenza chiusa;
   lavoratori e lavoratrici di Agile sono prossimi alla scadenza degli ammortizzatori sociali, col rischio di trovarsi a breve in una situazione di indigenza, senza reddito e senza prospettive occupazionali;
   gli interessati chiedono la riapertura del tavolo di crisi, al fine di cercare soluzioni che possano favorire la propria ricollocazione lavorativa, l'accesso alla pensione o strumenti alternativi di sostegno al reddito;
   in particolare chiedono un nuovo tavolo di confronto per verificare:
    le possibili soluzioni definite nell'accordo Infracom nell'estensione della «banda larga»;
    se le attività svolte in tirocinio formativo nei tribunali, possano sfociare in rapporti a tempo determinato in grado di ridare reddito e/o sospensione della mobilità ai lavoratori;
    l'accesso alle attività di riutilizzo dei beni confiscati alle «mafie»;
    in rapporto con l'Enea, le attività nel campo del risparmio energetico, sulle quali diversi lavoratori di Agile ex Eutelia si sono specializzati;
    l'applicazione di ulteriori salvaguardie ai lavoratori più vicini alla pensione e forme di reddito per coloro che hanno perso qualsiasi sostegno al reddito –:
   se il Governo abbia intenzione di riaprire il tavolo di crisi sulla vertenza Agile e considerare le richieste degli interessati o, comunque, avviare un confronto che possa permettere di salvaguardare i livelli occupazionali ed evitare a migliaia di famiglie di perdere un'essenziale fonte di reddito. (4-16290)


   DE ROSA, ZOLEZZI, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 236 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 il Consorzio nazionale per la gestione, raccolta e trattamento degli oli minerali usati (COOU) ha personalità giuridica di diritto privato senza scopo di lucro e adegua il proprio statuto in conformità allo schema tipo approvato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, entro centoventi giorni dalla pubblicazione in Gazzetta Ufficiale;
   nell'ambito dell'attività di vigilanza svolta dai predetti dicasteri, il COOU è tenuto a trasmettere annualmente il bilancio preventivo e consuntivo nonché una relazione tecnica sulla propria attività nell'anno solare precedente;
   in base all'articolo 11, comma 8, del decreto legislativo 27 gennaio 1992, n. 95, in attuazione delle direttive 75/439/CEE e n. 87/101/CEE relative alla eliminazione degli oli usati, il collegio sindacale del COOU, è composto di cinque membri, dei quali, ex articolo 2459 codice civile, tre sono nominati rispettivamente dai Ministri del tesoro, delle finanze e dell'industria. Come noto, il presidente del collegio dei sindaci del COOU, dottoressa Laura Vecchi, funzionario del Ministero dello sviluppo economico, è stata nominata dalla direzione del dicastero nell'anno 1995, rivestendo tale ruolo da ben ventidue anni consecutivi. Nella relazione al bilancio del 31 dicembre 2009, redatta ai sensi dell'articolo 2409-ter, primo comma, lettera c) del codice civile, la predetta presidente, tutt'ora in carica, dichiarava che lo stesso bilancio fosse stato redatto con chiarezza, in conformità alle norme che lo disciplinano. Nella relazione, la presidente del collegio, aveva espresso alcune precisazioni riguardo all'aumento del contributo obbligatorio dovuto dalle imprese partecipanti al consorzio: «Riteniamo importante rilevare, anche se ne è stata data ampia e puntuale informativa dall'organo amministrativo, che il contributo unitario inizialmente fissato in euro 25/ton. è stato nel mese di maggio 2009 elevato ad euro 75/ton. per effetto del crollo dei prezzi internazionali del prodotto di riferimento e portato ad euro 155/ton. dal settembre 2009 come conseguenza dell'applicazione della Legge 166/09 che ha affidato al Consorzio il compito di farsi carico degli eventuali maggiori, costi della rigenerazione non recuperabili dal mercato. Il Consorzio ha infatti riconosciuto anche se non integralmente pagato (...) alla rigenerazione nel periodo 28 settembre-31 dicembre 2009 la somma di euro 8.746.709 a costo nel bilancio 2009»;
   il presidente del COOU, in audizione presso la Commissione parlamentare cosiddetta Ecomafie, il 15 marzo 2017 ha riconosciuto che la modifica dello statuto effettuata dal Consiglio di amministrazione del COOU nel dicembre 2009, non sia stata autorizzata in sede ministeriale (e pertanto nemmeno pubblicata nelle dovute forme di legge);
   anche alla luce della recente sentenza del tribunale di Roma n. 2818 del 13 febbraio 2017, è stata accertata illegittimità del Consiglio di amministrazione del COOU di approvare delibere, nella misura in cui ogni modifica statutaria è valida ed efficace solo a seguito di approvazione della stessa con decreto emanato in concerto dai due Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dello sviluppo economico –:
   se i Ministri interrogati, segnatamente il Ministero dello sviluppo economico, anche alla luce della presenza consolidata di oltre ventidue anni nell'organo di vigilanza di un proprio rappresentante, possano assicurare la legittimità e la regolarità contabile dei bilanci del consorzi, che secondo gli interroganti appaiono in contrasto con l'articolo 236 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   se i Ministri interrogati, infine, ritengano che l'aumento del contributo obbligatorio del COOU a carico dei produttori, stabilito dal consiglio di amministrazione, in quanto sostanzialmente traslato ai consumatori finali quale voce di costo del lubrificante, possa rappresentare una forma dissimulata di sussidio alla filiera della rigenerazione degli olii usati.
(4-16295)

Apposizione di una firma ad una mozione.

  La mozione Lenzi e altri n. 1-01592, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cinzia Maria Fontana.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Marotta n. 3-02945, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lupi.

  L'interrogazione a risposta scritta Costantino e Fratoianni n. 4-16246, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Daniele Farina.

  L'interrogazione a risposta scritta Realacci n. 4-16254, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 aprile 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rubinato.

Cambio presentatori, apposizioni di firme e indicazione dell'ordine dei firmatari a interrogazioni a risposta in Commissione.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Amoddio n. 5-10820, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 marzo 2017, è da intendersi sottoscritta anche dal deputato Verini, che ne diventa il primo firmatario, e dal deputato Ermini. Contestualmente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari deve intendersi così modificato: Verini, Ermini, Amoddio.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Amoddio n. 5-10995, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 marzo 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Ermini. Il deputato Verini ne diventa il primo firmatario e, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine delle firme deve intendersi così modificato: Verini, Ermini, Amoddio.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Rondini n. 1-01581, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 776 del 7 aprile 2017.

   La Camera,
   premesso che:
    alla fine degli anni novanta dal Ministro della sanità pro tempore Bindi veniva introdotto il sistema della libera professione « intramoenia» nelle aziende sanitarie pubbliche con il quale, alle aziende sanitarie pubbliche e private classificate, veniva attribuito il compito di governare direttamente le prestazioni sanitarie rese a favore dei cittadini sia in regime istituzionale gratuitamente che in regime libero professionale intramoenia, promettendo a tutti un'assistenza congrua e certa;
    la previsione era che, con il nuovo sistema della libera professione intramoenia, si sarebbe assistito all'abbattimento delle liste d'attesa per le prestazioni sanitarie. Con questa innovazione si garantiva altresì un più corretto utilizzo delle risorse umane finalizzato al miglioramento della qualità e della efficienza dei servizi sanitari;
    a distanza di circa vent'anni si deve purtroppo constatare che questi obiettivi sono stati largamente disattesi: le liste d'attesa per le prestazioni specialistiche nell'ambito delle cure primarie si sono enormemente allungate, esattamente come quelle per le prestazioni in regime di ricovero. Inoltre, sia le prestazioni ambulatoriali che quelle in regime di ricovero, hanno visto esplodere le prestazioni rese nel settore profit del Servizio sanitario nazionale sia convenzionato-accreditato che privato puro, con la conseguenza che il settore pubblico del Servizio sanitario nazionale ha subìto fenomeni di fuga di professionalità che hanno determinato un impoverimento sia in termini di qualità che di efficienza;
    allo stato le prestazioni sanitarie sono, in gran parte del territorio nazionale e, per quanto consta ai firmatari del presente atto, per ammissione dello stesso Ministero della salute, al di sotto dei livelli minimi di assistenza, le risorse sono male utilizzate, la Corte dei conti valuta un 20 per cento della spesa sanitaria dissipata in sprechi o altro, il personale dipendente è in costante diminuzione ed ha un'età media che supera i 55 anni e della rete delle cure primarie ancora non si scorge traccia concreta;
    in un panorama dove gran parte del territorio nazionale nega un livello minimo di assistenza sanitaria, vi sono regioni come la Lombardia, il Veneto, l'Emilia Romagna e la Toscana in cui i sistemi sanitari sono un modello di efficienza e la soddisfazione dei pazienti è ai massimi livelli per qualità e fruibilità;
    la gestione diretta della libera attività professionale dei medici è naufragata miseramente perché non sono stati resi disponibili spazi pubblici adeguati per questa attività, perché sono stati imposti balzelli sempre più gravosi, perché sono stati erti ostacoli burocratici ma, soprattutto, perché non sono state adeguatamente curate e organizzate le attività istituzionali, le quali in questi venti anni avrebbero dovuto essere sottoposte ad un profondo processo di riorganizzazione coerente con il cambiamento del comparto della sanità;
    in sostanza le aziende sanitarie pubbliche che assumevano il compito di governare direttamente anche la libera professione dei propri dipendenti, oltre a continuare a garantire le prestazioni e i servizi istituzionalmente dovuti, al fine di migliorare i servizi stessi, hanno finito per determinare un fallimento totale di entrambi gli obiettivi, ormai certificato;
    molti medici sono stati costretti ad abbandonare il rapporto esclusivo per poter svolgere liberamente la propria professione, con la conseguenza che subiscono pesanti penalizzazioni economiche che si proiettano drammaticamente anche sul futuro previdenziale. Il cittadino, nella confusione e nei gravi disservizi che si sono determinati, si vede oggettivamente costretto a ricorrere a prestazioni « intramoenia» dell'azienda in quanto la stessa azienda gli prospetta liste d'attesa improponibili, oppure si deve rivolgere al settore privato profit e, se non ha nessuna possibilità economica, si riversa disperatamente nei pronto soccorsi ospedalieri. Il sistema qui richiamato sta sostanzialmente negando ai cittadini i servizi istituzionali dovuti e, allo stesso tempo, sta limitando di fatto il diritto di libertà di cura agli stessi;
    la grave carenza di prestazioni e servizi pubblici, le liste di attesa e gli ostacoli, spesso a parere dei firmatari del presente atto demagogicamente posti alla libera professione dei medici pubblici, oltre a favorire le strutture sanitarie profit, sta incrementando notevolmente e pericolosamente il fenomeno emergente della medicina « low cost». Al danno si aggiunge la beffa, infatti si ripropone ciclicamente sui media il tentativo, ridicolo e truffaldino, da parte di esponenti politici, di correlare ancora le liste di attesa con l'attività professionale privata dei medici pubblici;
    tutto ciò è assurdo e fuorviante ci si chiede perché mai il malfunzionamento delle aziende sanitarie, che per loro carenze organizzative producono liste di attesa, dovrebbe essere collegato a quello che i medici pubblici fanno nel loro tempo libero,

impegna il Governo:

1) ad attivarsi affinché le aziende sanitarie pubbliche si concentrino a svolgere unicamente i compiti istituzionali previsti dall'articolo 32 della Costituzione nelle finalità individuate dalla legge n. 833 del 1978, istitutiva del Servizio sanitario nazionale, assicurando l'universalità delle cure in un sistema solidale e finanziato con la fiscalità generale, garantendo ai cittadini la libertà di cura, affrancandoli dalla costrizione di dover ricorrere alla «prestazione intramoenia» per aggirare le liste d'attesa, in quanto il cittadino ha il diritto di rivolgersi privatamente ai medici di provata esperienza ma in modo libero;
2) ad adottare iniziative di competenza affinché nelle regioni in cui i livelli di assistenza risultino sotto la media rispetto alle regioni più efficienti, venga istituito un tavolo permanente di monitoraggio, al fine di garantire una sostanziale riduzione dei tempi di attesa e della verifica della qualità dei servizi erogati in termini di appropriatezza ed efficienza;
3) a predisporre una riforma del sistema per vincolare rigorosamente le aziende sanitarie pubbliche ad una corretta gestione dei servizi sanitari, assolvendo ai propri compiti istituzionali e assicurando puntualmente tutti i Lea di cui il Servizio sanitario nazionale si fa garante, pena la decadenza degli amministratori incapaci e/o incompetenti;
4) ad adottare le iniziative di competenza, in raccordo con le regioni, affinché, al fine di rendere nuovamente «libera» la libera professione dei medici pubblici che, dopo aver assolto, ineccepibilmente e correttamente il proprio lavoro istituzionale, debbono poter svolgere la libera professione col solo vincolo di agire nel rispetto della legge riguardante tutte le professioni e delle norme deontologiche, siano omogeneizzate ed aggiornate le linee guida per l'esercizio dell'attività medica.
(1-01581)
«Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione La Marca n. 5-09511 del 20 settembre 2016;
   interrogazione a risposta scritta Rampelli n. 4-16222 del 7 aprile 2017.