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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 31 marzo 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'Aids rimane una delle cause principali di morte fra gli adolescenti: nel 2015 ha causato 41.000 vittime fra i ragazzi tra i 10 e i 19 anni, secondo il settimo rapporto sui bambini e l'Aids « For Every Child: End AIDS». Il mondo «ha fatto enormi progressi per porre fine all'AIDS, ma la battaglia è ancora lontana dall'essere conclusa, soprattutto per quanto riguarda i bambini e gli adolescenti», ha dichiarato il direttore generale Unicef Anthony Lake;
    nel rapporto viene sottolineato che sono stati fatti considerevoli progressi nella prevenzione della trasmissione materno infantile dell'Hiv. Nel mondo, fra il 2000 e il 2015, sono stati evitati 1,6 milioni di nuovi contagi fra i bambini. Nel 2015 sono state colpite 1,1 milioni di persone fra bambini, adolescenti e donne;
    secondo l'Unicef i bambini fra 0 e 4 anni che convivono con l'Hiv rispetto a tutti gli altri gruppi di età, vanno incontro ai maggiori rischi di morte causata dall'Aids, e questi casi sono spesso diagnosticati e curati troppo tardi. Solo alla metà dei bambini nati da madri sieropositive viene effettuato un test per l'Hiv, nei primi due mesi di vita, e in Africa Subsahariana l'età media dei bambini, che cominciano a ricevere cure e ai quali le madri hanno trasmesso il virus dell'Hiv, è di circa 4 anni;
    nel 2015 nel mondo erano circa 2 milioni gli adolescenti fra i 10 e i 19 anni che convivevano con l'Hiv. Nell'Africa Subsahariana, la regione maggiormente colpita, 3 nuovi casi su 4 registrati fra gli adolescenti dai 15 ai 19 anni hanno colpito le ragazze;
    il 2015 è stato un anno record per la diffusione del virus nel continente europeo: 153.407 casi rispetto ai 142.000 dell'anno precedente. Circa l'80 per cento delle persone con Hiv si trova nei Paesi dell'Europa dell'Est, il 3 per cento nel Centro Europa e il 18 per cento negli Stati dell'Ovest. In Italia le nuove diagnosi di infezione Hiv nel 2015 sono state più di 3.000;
    si osserva un aumento dell'età mediana al momento della diagnosi di infezione da 26 anni per i maschi e 24 anni per le femmine nel 1985 a, rispettivamente, 39 e 36 anni nel 2015 (sono escluse le persone di età inferiore ai 15 anni);
    i casi di Aids, secondo gli ultimi dati disponibili, registrati in Italia nel 2015 sono stati circa 789, pari a un'incidenza di 1,4 per 100.000 residenti, e i casi di prevalenza ammontano a 23.385 nel 2013. Inoltre, il 28,8 per cento delle persone diagnosticate come Hiv positive è di nazionalità straniera;
    la popolazione immigrata straniera è andata fortemente crescendo negli ultimi anni in Italia e spesso è di provenienza da Paesi ad alta endemia (cioè dove è alta la diffusione del virus). La proporzione di stranieri tra le nuove diagnosi di infezione da Hiv è aumentata dall'11 per cento nel 1992 a un massimo di 32,9 per cento nel 2006, nel 2015 è stata del 28,8 per cento, con un numero assoluto di casi pari a 99. Negli stranieri non vi sono forti differenze di genere (nel 2015 il 58,6 per cento erano uomini e 41,4 per cento donne), l'età mediana è più bassa rispetto a quella degli italiani e la modalità di trasmissione più importante è quella per via eterosessuale. Tra gli stranieri, l'incidenza dell'Hiv è più elevata in Abruzzo, Campania, Molise, Puglia, Sicilia e Sardegna. Tra gli stranieri, la quota maggiore di casi era costituita da eterosessuali femmine (36,9 per cento), mentre tra gli italiani da Msm (48,1 per cento);
    analizzando l'andamento temporale delle notifiche di Aids si è passati da un caso del 1982 (il primo noto in Italia) ai 5.653 del 1995, con una crescita che è stata costante fino alla metà degli anni novanta. Dal 1996 si è assistito ad una riduzione dei nuovi casi, dapprima molto rapida e dal 2001 meno marcata. Rapportando i nuovi casi sulla popolazione residente (tassi di incidenza), le regioni più colpite nel 2010 sono state nell'ordine: Toscana, Lazio, Liguria, Lombardia ed Emilia-Romagna, con un gradiente Nord-Sud nella diffusione della malattia essendo meno colpite le regioni meridionali e insulari;
    nel biennio 2012-2013 si stima che, in Italia, i decessi annuali con Aids sono circa 645 (ultimi dati disponibili); complessivamente, nel periodo 1983-2013, i decessi sono stati oltre 43 mila, con un andamento temporale simile a quello dei nuovi casi, ma il decremento dalla seconda metà degli anni novanta è stato molto più marcato per merito dell'introduzione della terapia antiretrovirale. Si è così passati dai primissimi decessi del 1983 ai 4.582 del 1995 con una crescita costante, dopo di che si è avuta una forte diminuzione fino ai valori attuali;
   il calo dei nuovi casi e dei decessi non è l'unico fenomeno che si è registrato nell'ultimo decennio. Vi sono stati numerosi altri cambiamenti che si sono potuti osservare grazie all'esistenza di sistemi di sorveglianza nazionali, regionali e provinciali dell'infezione da Hiv (cioè dello stato di sieropositività) che si affiancano a quelli della malattia conclamata (Aids). Tramite questi sistemi di monitoraggio epidemiologico, che operano con procedure rispettose della privacy, è stato possibile riconoscere con tempestività i cambiamenti che si sono verificati negli ultimi anni nelle caratteristiche di diffusione dell'Hiv e la maggior durata dello stato di infezione pre-Aids in seguito all'introduzione di nuove terapie, farmacologiche. A questo proposito il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, con decreto del 31 marzo 2008, ha promosso l'attivazione del sistema di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione da Hiv, provvedendo ad aggiungere l'infezione da Hiv all'elenco della classe III delle malattie infettive sottoposte a notifica obbligatoria. Sulla scorta di tale decreto, varie regioni stanno organizzando l'attivazione del sistema regionale di sorveglianza;
    l'Aids è attualmente una malattia prevalentemente a trasmissione sessuale (MST). In passato, sia in Italia che in Europa, l'Hiv si trasmetteva prevalentemente mediante lo scambio di siringhe infette tra chi faceva uso di droghe iniettabili (come ancora sta avvenendo in molte parti del mondo, ad esempio in Europa Orientale od in Asia). Attualmente però la modalità principale di trasmissione è quella sessuale, in particolare quella eterosessuale. Le notifiche di infezione di Hiv associate a trasmissione sessuale sono aumentati dall'8,0 per cento del 1985 all'85,5 per cento del 2015. Questi cambiamenti impongono il superamento del concetto di categoria a rischio (omosessuali, tossicodipendenti, e altro); è necessario pertanto ragionare in termini di comportamenti a rischio, cioè rapporti sessuali non protetti, elevato numero di partner, non conoscenza dello stato di eventuale sieropositività del partner, scambio di siringhe. Si assiste, inoltre, ad un cambiamento delle modalità di trasmissione. Lo stesso fenomeno si registra anche dall'analisi dei casi conclamati di Aids: prima del 2000 il 61,4 per cento era dovuto a scambio di siringhe, mentre la trasmissione sessuale (etero, omo e bisessuale) interessava il 35,8 per cento, nel biennio 2014-2015 questi valori sono rispettivamente dell'11,3 per cento e del 79,8 per cento;
    ciò si verifica sia in seguito ai cambiamenti nei comportamenti individuali, sia per effetto della terapia farmacologia che ritarda, anche di molto, la progressione dell'Hiv. Si è così passati da un'età di mediana della diagnosi di Aids di 34 anni negli uomini e di 32 anni nelle donne nel 1995 a, rispettivamente, 45 e 43 anni nel 2015. Si preferisce utilizzare l'età mediana a quella media quando vi sono intervalli di valori piuttosto ampi;
    ciò è l'effetto della terapia antiretrovirale ad alta efficacia che ritarda sensibilmente la comparsa di sintomi, allunga anche di molto la sopravvivenza e soprattutto migliora la qualità di vita dei pazienti con Aids conclamato. Un altro dato interessante è che oltre il 79,9 per cento dei casi di Aids diagnosticati nel 2015 non ha fatto terapia antiretrovirale prima della diagnosi;
    ancora troppe persone in Italia scoprono di aver contratto l'Hiv quando compaiono i primi sintomi dell'Aids: nel 2015 il 74,5 per cento delle persone a cui è stata fatta diagnosi di Aids ha fatto il primo test di Hiv prima di 6 mesi. È quello che i tecnici chiamano ritardo di diagnosi. Questo fenomeno è segnale di una bassa percezione del rischio, soprattutto fra chi si infetta per via sessuale e fra gli stranieri. Si stima, infatti, che un quarto delle persone Hiv positive, in Italia, non conosca il proprio stato di sieropositività. È importante, invece, riconoscere precocemente l'avvenuta infezione da Hiv, da un lato per intraprendere la terapia farmacologica antiretrovirale che rallenterà fortemente la progressione del virus e dall'altro per assumere comportamenti consapevoli verso il prossimo. Questi vanno sempre attuati indipendentemente dal conoscere o meno il proprio stato di sieropositività. Il ritardo di diagnosi è più frequente in chi ha contratto l'infezione per via sessuale (in particolare quella eterosessuale). La diagnosi precoce permette, inoltre, non solo di avviare prima la terapia farmacologica, ma anche e soprattutto di modularla sulla singola persona riducendone gli effetti collaterali;
    dal 1994 non si registrano nuovi casi sia tra gli emofilici, che tra i trasfusi e sono in netto calo i nuovi casi di Hiv pediatrico (negli ultimi anni poche unità all'anno). Ciò è il frutto, da un lato, del controllo costante della provenienza del sangue: selezione ed educazione dei donatori ad una maggior consapevolezza e controllo di laboratorio di ogni singola sacca; dall'altro, è l'effetto dell'applicazione delle linee guida che prevedono l'effettuazione del test Hiv in gravidanza ed il trattamento antiretrovirale nelle donne gravide risultate positive. Sebbene questa pratica dovrebbe essere assicurata a tutte le donne gravide, a livello mondiale, purtroppo, solo una bassa percentuale delle donne incinta può effettuare questo test. Senza varcare i confini del nostro Paese, molti obiettivi rimangono ancora da perseguire, soprattutto in ambito educativo: non è ancora soddisfacente la conoscenza dell'Hiv di come si trasmette e di come si prevenga il contagio. Troppe persone, soprattutto giovani, non conoscono l'uso corretto dei sistemi di protezione durante i rapporti sessuali (ad esempio preservativo) o non ne accettano a priori l'uso pur avendo comportamenti fortemente a rischio;
    gli ultimi dati disponibili riportano che 200.507 sono le pillole dei cinque giorni dopo vendute in farmacia da gennaio a ottobre 2016, nel 2014 erano 13.401. Nel giro di due anni, sempre nello stesso periodo, l'aumento è di 15 volte. Tra il 2014 e il 2015 la crescita è del 664,2 per cento tra il 2015 e il 2016 del 95,8 per cento. La loro funzione è mettere al riparo da una possibile gravidanza dopo un rapporto non protetto (o in cui il metodo contraccettivo ha fallito). Tale incremento di vendite è da considerarsi un ulteriore campanello di allarme riguardo comportamenti sessuali a rischio, che non coinvolge solo la possibilità di gravidanze, ma di un serio rischio di contrarre malattie a trasmissione sessuale tra cui l'Hiv,

impegna il Governo:

1) a dare piena attuazione al muovo piano nazionale contro l'Aids, permettendo di adeguare la lotta alla malattia al nuovo contesto storico e sociale in cui si inserisce, prevedendo la messa a punto e la realizzazione di modelli di intervento per ridurre il numero delle nuove infezioni; per facilitare l'accesso al test facendo emergere il «sommerso», garantire a tutti l'accesso alle cure, favorire il mantenimento cura dei pazienti diagnosticati e in trattamento, migliorare lo stato di salute e di benessere delle persone che vivono con Hiv e Aids, coordinare i piani di intervento sul territorio nazionale, tutelare i diritti sociali e lavorativi delle persone che vivono con Hiv e Aids, promuovere la lotta allo stigma e promuovere l'informazione e il coinvolgimento attivo delle popolazioni a rischio;
2) a promuovere, all'interno delle scuole, a partire dall'ultimo anno delle medie, la cultura e la conoscenza delle patologie parenterali, portando all'interno delle strutture figure professionali quali infermieri e medici infettivologi per educare alle buone pratiche e alla prevenzione;
3) a promuovere la pubblicità progresso a scopo divulgativo e informativo, prevedere la distribuzione di opuscoli e cartoline esplicative sull'Aids in ambienti frequentati da giovani e non solo, come in locali da ballo e di divertimento in genere, nonché negli ambulatori dei medici di base e specialisti;
4) ad assumere iniziative di competenza affinché i medici di base, nel prendere contatti con i propri pazienti di giovane età, si adoperino per dare loro tutte le informazioni necessarie sul tema.
(1-01567) «Rondini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2008 è stato istituito il sistema di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezione di Hiv con decreto ministeriale del 31 marzo 2008 (Gazzetta Ufficiale n. 175 del 28 luglio 2008). In seguito alla pubblicazione del decreto ministeriale, in modo progressivo, tutte le regioni si sono uniformate raggiungendo, nel 2012, la copertura completa del territorio italiano. Allo stato attuale il registro delle nuove diagnosi di infezioni da Hiv e il registro nazionale dell'Aids non sono unificabili, né compatibili in quanto il flusso informativo, la scheda di raccolta dati e l'identificativo individuale sono diversi;
    il centro operativo Aids (Coa) dell'Istituto superiore di sanità, fin dal 1984, raccoglie i dati relativi alle notifiche di Aids e, dal 2008, i dati delle nuove diagnosi di infezione da Hiv;
    il «Notiziario dell'Istituto superiore di sanità, volume 29, numero 9, supplemento 1, del dicembre 2016, ha pubblicato l'aggiornamento delle nuove diagnosi di infezione da Hiv e dei casi di Aids in Italia alla data del 31 dicembre 2015;
    nel 2015 sono state riscontrate oltre 3.400 nuove diagnosi di infezione da Hiv, pari a 5,7 nuovi casi per 100.000 residenti; le regioni più interessate dalle nuove diagnosi sono state il Lazio, la Lombardia, la Liguria e l'Emilia-Romagna;
    le nuove diagnosi nell'anno 2015 hanno riguardato, in oltre il 70 per cento dei casi, uomini con una età media di 39 anni, mentre per le donne l'età media è risultata essere di 36 anni; il fatto maggiormente allarmante è che l'incidenza più alta è stata riscontrata nella fascia di età tra i 25 e i 29 anni, ovvero oltre il 15 per cento dei nuovi casi ogni 100.000 abitanti;
    nel 2015 ben l'85 per cento delle nuove diagnosi di infezione da Hiv riscontrate sono derivanti da rapporti sessuali non protetti, nel 2015, nel 54,5 per cento dei casi, segnalati con una nuova diagnosi di Hiv, era già in fase avanzata di malattia, un segnale preoccupante per quanto riguarda la prevenzione;
    nel 2015, il 32,4 per cento delle persone con una nuova diagnosi di infezione da Hiv ha eseguito il test per la presenza di sintomi che facevano sospettare un'infezione da Hiv o l'Aids; solo il 27,6 per cento in seguito a un comportamento a rischio non specificato e il 13,2 per cento casualmente nel corso di accertamenti per un'altra patologia;
    per quanto riguarda l'Aids, in Italia, dal 1982, ad oggi sono stati registrati oltre 68.000 casi di questi oltre 43 mila sono deceduti;
    nel 2015, sono stati diagnosticati 789 nuovi casi di Aids con una incidenza di 1,4 nuovi casi per 100.000 residenti, secondo l'aggiornamento pubblicato dal Notiziario dell'Istituto superiore di sanità, l'incidenza di Aids è in lieve diminuzione negli ultimi tre anni;
    nel 2015, solo meno di un quarto delle persone diagnosticate con Aids ha eseguito una terapia antiretrovirale prima della diagnosi, questo segnala il fatto che si tratta di poche persone che hanno eseguito una terapia antiretrovirale prima della diagnosi nella consapevolezza della propria sieropositività; nell'ultimo decennio, è aumentata la proporzione delle persone con nuova diagnosi di Aids che ignorava la propria sieropositività e ha scoperto di essere Hiv-positiva nei pochi mesi precedenti la diagnosi di Aids, passando dal 53,8 per cento del 2006 al 74,5 per cento del 2015;
    è del tutto evidente che la sottovalutazione del rischio e la, ancora, insufficiente prevenzione non consentono un efficace contrasto del virus dell'Hiv, tenuto conto che negli ultimi anni si è fatta strada una idea che il problema era superato, restando relegato al sud del mondo;
    l'Hiv continua a diffondersi anche a causa di una evidente minore tensione e scarsa presenza di campagne di comunicazione e di prevenzione che, al contrario, sono un elemento essenziale con particolare riguardo alla popolazione più giovane;
    la prevenzione in passato è risultata essere efficace, lo dimostrano i dati relativi agli emofiliaci, ai trasfusi e il calo evidenziatosi tra i casi di Hiv pediatrico, grazie alla effettuazione del test Hiv in gravidanza ed il trattamento antiretrovirale nelle donne in gravidanza riscontrate come positive;
    i dati sopra riportati affermano con chiarezza che la trasmissione del virus Hiv preponderante è quella sessuale; da qui la necessità di riprendere con maggiore forza e continuità una informazione e sensibilizzazione capillare, rivolta in particolare verso giovani e stranieri, una informazione che può contribuire concretamente a ridurre il numero dei nuovi contagi;
    l'Italia aderisce agli obiettivi dell'Unaids per la sconfitta del virus entro il 2030, che prevedono, tra l'altro, di rendere consapevoli del proprio stato sierologico il 90 per cento delle persone con Hiv. Oggi, invece, nel nostro Paese, almeno una persona con Hiv su 4 non conosce il proprio stato sierologico e circa la metà delle persone che hanno contratto il virus scopre molto tardi il proprio stato, fattore che pregiudica l'efficacia delle terapie e che può favorire la diffusione del virus;
    la Lila, in occasione della Giornata mondiale di lotta all'Aids, tra il novembre 2016 e il 1o dicembre 2016, ha offerto un servizio di self test in 9 città presso le sedi della Lila, effettuando oltre 700 test rapidi per l'Hiv che sono stati eseguiti in meno di 15 giorni; il 41 per cento dei quali « first test», ovvero riferibili a persone che effettuavano per la prima volta questo accertamento;
    l'esperienza dell'iniziativa della Lila, gratuita e con spese a carico dell'associazione, conferma l'efficacia dei test e la necessità di facilitare l'accesso al test, promuovendo la consapevolezza del proprio stato sierologico. La gratuità, l'anonimato, la raggiungibilità in orari non coperti dai servizi tradizionali, l'offerta di counselling, la natura non-istituzionale della struttura, una relazione non-giudicante e alla pari, sono stati gli elementi di forza di questo approccio al test denominato «community-based»; questo modello è raccomandato da tutte le più importanti agenzie internazionali, Unaids e Oms in primis, che lo giudicano fondamentale per arrivare a target altrimenti difficilmente raggiungibili;
    l'iniziativa della Lila ha messo in risalto il carattere commerciale del self-test disponibile dal dicembre 2016 nelle farmacie italiane; un test sul quale è lecito esprimere dubbi e perplessità, infatti si tratta di un prodotto, potenzialmente efficace, ma che deve essere accompagnato da reti di sostegno e di servizi, mentre oggi questi tipi di test per l'Hiv avvengono senza alcun tipo di supporto relazionale ed informativo;
    il Ministero della salute ha inviato alla Conferenza Stato-regioni il nuovo Piano nazionale di interventi contro Hiv e Aids. Un piano molto articolato che parte dalla constatazione del rischio del «sommerso» e della necessità di ritornare a parlare della malattia e di come evitarla attraverso comportamenti consapevoli, in particolare rivolto ai giovani, e alla continuità delle terapie, dato che si stima infatti che il 15 per cento dei 120 mila affetti dal virus non sia stato inserito o mantenuto in cura,

impegna il Governo:

1) a procedere nella unificazione dei due sistemi di sorveglianza delle nuove diagnosi di infezioni da Hiv e dei malati di Aids, con implementazione di una scheda di segnalazione, uniforme per tutte le regioni, utilizzata sia per la prima diagnosi di infezione da Hiv che per la prima diagnosi di Aids;
2) ad approntare programmi di prevenzione combinati, che comprendano azioni efficaci e continuative su comportamenti a rischio tra i quali: A) esercizio consapevole della sessualità, corretto uso del profilattico maschile e femminile, B) interventi di riduzione del rischio e del danno nelle popolazioni chiave, attraverso l'implementazione di programmi di offerta gratuita e sostituzione di siringhe sterili e di distribuzione di profilattici maschili e femminili; C) programmi di offerta gratuita del test Hiv, terapia sostitutiva, interventi sulle persone con infezioni sessualmente trasmesse; D) interventi farmacologici, attuando strategie di prevenzione basate sull'utilizzo dei farmaci antiretrovirali; E) interventi strutturali per ridurre la vulnerabilità all'infezione da Hiv legata a condizioni quali la povertà, la disuguaglianza di genere, la discriminazione e l'emarginazione sociale, con particolare riferimento alla discriminazione omo-transfobica;
3) a potenziare la presenza, a livello territoriale, di centri sanitari pubblici che possano offrire test gratuiti di Hiv e del counselling, anche in assenza di prescrizione medica; centri sanitari che, a loro volta, siano chiamati a promuovere l'esecuzione dei test ai soggetti interessati anche da operatori sanitari o non sanitari adeguatamente formati con il coinvolgimento delle associazioni;
4) ad avviare programmi di sperimentazione di counselling e testing, anche in contesti extra ospedalieri, quali ad esempio i gruppi di comunità;
5) a procedere ad una valutazione dell'impatto e della diffusione dell'auto-test Hiv, reperibile in farmacia, al fine di escluderlo da finalità essenzialmente commerciali, prevedendo che alla consegna all'acquirente dell'auto-test, al momento della vendita, anche in caso di acquisto on-line, sia comunicata una informativa del Ministero della salute, recante il numero verde 800.861.061 del Servizio sanitario nazionale di counselling multilingue dell'Istituto superiore di sanità da contattare per avere supporto, assistenza e ogni altra informazione relativa all'utilizzo del test e all'interpretazione del risultato, tenuto conto dei limiti temporali per l'affidabilità del test, coinvolgendo in tale contesto anche le associazioni che intervengono in materia;
6) ad assumere iniziative atte ad ottemperare agli obiettivi e agli impegni che l'Italia ha assunto in sede di Unaids per la sconfitta del virus entro il 2030 e che prevede di rendere consapevoli del proprio stato sierologico il 90 per cento delle persone con infezioni da Hiv;
7) ad assumere iniziative per prevedere la distribuzione gratuita, con particolare riferimento alle scuole e università, del profilattico nell'ambito di un'efficace prevenzione dell'infezione da Hiv;
8) ad avviare, d'intesa con le regioni, i comuni e le associazioni per la prevenzione e la lotta contro l'Hiv, iniziative permanenti di informazione e prevenzione attraverso opuscoli o spot televisivi, radiofonici o on line, relative all'igiene sessuale e alla possibilità di test gratuiti e di appositi numeri verdi nei luoghi di lavoro e nelle scuole;
9) a garantire e attuare quanto previsto dalla legge n. 135 del 1990, in materia di anonimato del test Hiv, prevedendo altresì iniziative di efficace contrasto alle discriminazioni nei confronti delle persone con Hiv.
(1-01568) «Gregori, Brignone, Marcon, Airaudo, Civati, Costantino, Daniele Farina, Fassina, Fratoianni, Giancarlo Giordano, Andrea Maestri, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pastorino, Pellegrino, Placido».


   La Camera,
   premesso che:
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, concernente la definizione e aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza, di cui all'articolo 1, somma 7, del decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 502, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 65 del 18 marzo 2017 – suppl. ordinario n. 15, in attuazione del combinato disposto degli articoli 32 e 117 della Costituzione, definisce i nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA) e dunque le prestazioni che il Servizio sanitario nazionale deve garantire, gratuitamente o tramite compartecipazione, a tutela della salute individuale e collettiva, attraverso le strutture pubbliche oppure attraverso le strutture private accreditate che quindi sono remunerate, in base a tariffe stabilite e declinate in diversi nomenclatori che il nuovo decreto del presidente del Consiglio dei ministri non ha ancora predisposto;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017, dopo ben 15 anni, ha sostituito il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 2001 e buona parte dei provvedimenti normativi ad esso correlati, con un impatto economico finanziario stimato in 800 milioni di euro, quale risultato di una diffusa e diversificata opera di compensazione, non chiaramente desumibile dall'esame del decreto, scaturente dall'eliminazione di talune prestazioni e l'introduzione di nuove;
   sulla base delle quantificazioni effettuate in sede di intesa Stato-regioni dell'11 febbraio 2016, al fine di garantire la sostenibilità economico-finanziaria dei LEA, sono stati ritenuti necessari 113.063 milioni di euro per il 2017 e 114.998 milioni di euro per il 2018 laddove invece la legge di bilancio per il 2017 prevede un livello del finanziamento del Fondo sanitario nazionale pari a 113.000 milioni di euro per il 2017 e 114.000 milioni di euro per il 2018;
   attraverso il recente Accordo Stato-regioni per il riparto del Fondo sanitario nazionale per l'anno 2017 è stato confermato il «taglio» di 422 milioni al finanziamento per la sanità da parte dello Stato a seguito del mancato accordo con le regioni autonome e pertanto il livello del finanziamento del Fondo si attesta a e 112.578 milioni di euro, ulteriormente diminuito rispetto a quanto richiesto dalle regioni a garanzia della esigibilità dei LEA;
   il decreto sui nuovi LEA ha un'impostazione diversa dal precedente decreto poiché attraverso i numerosi e corposi allegati intende riportare, anche se non in maniera esaustiva, tutte le tipologie di assistenza, di servizi e prestazioni incluse nei livelli essenziali di assistenza, evitando quindi un rimando ai diversi decreti ministeriali che contengono tutte le diverse esenzioni ed elencazioni;
   appare opportuno apportare specifiche modifiche e integrazioni, da attuare o da valutare in fase di predisposizione della proposta di primo aggiornamento dei LEA che, sulla base dell'Intesa Stato-regioni del 7 settembre 2016, spetta alla Commissione nazionale per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e la promozione dell'appropriatezza nel Servizio sanitario nazionale, assicurando che ogni modifica e/o integrazione e delisting sia rigoroso dal punto di vista metodologico e sostenuto da criteri etici e scientifici che siano resi pubblici e noti, con una chiara e contestuale indicazione delle ricadute organizzative ed economiche per i cittadini e per il Servizio sanitario nazionale;
   nell'ambito della prevenzione collettiva e della sanità pubblica, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 12 gennaio 2017 include il Nuovo piano nazionale vaccini (NPNV) 2016-2018, già diffuso e richiamato nell'Intesa del 7 settembre 2016, e introduce nuovi e costosi vaccini che, senz'altro, non possono definirsi né obbligatori e né fortemente raccomandati e, ciò nonostante, sono posti a carico del Servizio sanitario nazionale con specifici fondi stanziati dalla legge di bilancio 2017 che ha destinato e vincolato 100 milioni di euro per il 2017, 127 milioni per il 2018 e 2018 e 186 milioni a decorrere dal 2019, stanziamenti che peraltro non corrispondono alle stime effettuate nella relazione tecnica decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, pari a 303 milioni di euro (solo per i nuovi vaccini) sulle quali sono state poi operate ulteriori stime al ribasso che, come evidenziato anche dalla nota del servizio di bilancio del Senato, appaiono aleatorie anche sulla base di presunti risparmi derivanti dall'abbattimento dei costi connessi alla gestione delle malattie che con tali vaccinazioni verrebbero debellate; le stime di spesa sull'impatto economico dei nuovi vaccini non sono infatti sorrette da una valutazione, anche sperimentale, dell'impatto avuto, in termini di riduzione dei costi sanitari diretti e indiretti e degli effetti/esiti in termini di salute, in quelle regioni che li hanno già introdotti; s'introducono, con costi rilevanti per i vaccini che in nessun Paese europeo sono inseriti nei corrispondenti programmi vaccinali;
   all'allegato 1 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui nuovi LEA, tra le azioni di prevenzione della salute collettiva, appare opportuno inserire un efficace programma informativo sui vaccini ed anche un piano diretto ad un uso consapevole del consumo degli antibiotici, tenuto conto che la comunità scientifica internazionale, è ormai ampiamente concorde nel sostenere la necessità di contrastare il fenomeno «dell'antibiotico resistenza», tramite una inversione di tendenza che porti ad un corretto utilizzo (mirato, razionale e parsimonioso) degli antibiotici attualmente a disposizione;
   la continuità dell'assistenza per tutta la giornata e per tutti i giorni della settimana, come prevista all'articolo 5 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, prevede che le aziende sanitarie si organizzino in modo da assicurare le prestazioni non differibili anche nelle ore serali e notturne e nei giorni prefestivi e festivi, ma non sono indicate in maniera esauriente le modalità e le risorse atte a garantirla né si fa cenno alla continuità delle cure che secondo l'OMS rappresenta «uno degli indicatori più sensibili del buon funzionamento di un Servizio Sanitario»; a riguardo è altresì necessario assicurare il servizio delle «dimissioni protette» così da realizzare sia la continuità assistenziale e sia l'effettiva integrazione tra gli interventi in regime di ricovero ospedaliero e l'attività ambulatoriale specialistica e distrettuale di base, come già richiesto nel parere approvato dalla Commissione XII in data 14 dicembre 2016;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevede che il servizio sanitario nazionale garantisce attraverso le farmacie convenzionate la fornitura dei medicinali appartenenti alla classe a) la cui erogazione non sia affidata direttamente alle strutture sanitarie regionali; a riguardo risulta assente un'indicazione concernente l'equivalenza terapeutica e in relazione al prezzo più basso permane la limitazione riferita «ai medicinali aventi uguale composizione in principi attivi, nonché forma farmaceutica, via di somministrazione, modalità di rilascio, numero di unità posologiche e dosaggio unitario uguali»; nell'ambito dell'assistenza farmaceutica erogata attraverso i servizi territoriali e ospedalieri, sarebbe opportuno prevedere che la dispensazione dei farmaci appartenenti al «Prontuario della distribuzione diretta per la presa in carico e la continuità assistenziale ospedale — territorio», dei farmaci ad alto costo non ricompresi nel sopracitato prontuario e destinati a pazienti affetti da pluripatologie in politerapia, nonché dei farmaci classificati in fascia H ovvero ad esclusiva dispensazione ospedaliera avvenga esclusivamente tramite la distribuzione diretta delle ASL o degli ospedali;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, include nell'assistenza integrativa anche l'erogazione dei dispositivi medici monouso e garantisce tali ausili ai soggetti che si trovino nelle specifiche condizioni indicate dalla disposizione medesima; a riguardo sarebbe necessario assicurare, come già richiesto nel parere approvato dalla Commissione XII del 14 dicembre 2016, che tale trasferimento non comporterà alcuna conseguenza agli aventi diritto attualmente indicati nel DM 27/8/99 n. 322, e assicurare altresì che i dispositivi per soggetti incontinenti, stomizzati e diabetici, siano erogati in misura rispondente alle esigenze delle singole e specifiche disabilità;
   in riferimento all'assistenza specialistica ambulatoriale, il nuovo nomenclatore riporta per ciascuna prestazione, tra le altre cose, anche eventuali note riferite a condizioni di erogabilità o indicazioni di appropriatezza prescrittiva e include numerose prestazioni che prima erano garantite in regime di day hospital o day surgery; le condizioni di erogabilità e le indicazioni di appropriatezza prescrittiva, sono peraltro numerose (circa 328) ed assorbono quelle già inserite nel DM 9/12/2015 (103); tali condizioni, unitamente all'introduzione del cosiddetto meccanismo « reflex» che garantisce il secondo accertamento diagnostico o clinico solo qualora l'esito del primo lo richieda, rischiano di rappresentare di fatto un limite alla garanzia dei livelli essenziali di assistenza;
   appaiono ingiustificate talune esclusioni di procedure diagnostiche e/o terapeutiche invasive riguardanti talune branche come ad esempio quella dell'ematologia effettuate quotidianamente per i pazienti affetti da malattie del sangue e che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attribuisce ad altre specialità che raramente le effettuano, con la conseguenza di un notevole esborso economico per i pazienti che saranno costretti a pagare di tasca propria tali prestazioni;
   parimenti appare ingiustificato il mancato riferimento alla branca specialistica in reumatologia per le prestazioni di specialistica ambulatoriale, nonostante le patologie (circa duecento condizioni) riferibili a tale branca siano le più diffuse, per prevalenza, tra quelle croniche, come ad esempio l’«artrosi ed artrite» che interessano più del 16 per cento (ISTAT) delle cronicità e coinvolgono circa 9 milioni di abitanti;
   per le prestazioni odontoiatriche permangono ancora inaccettabili condizioni di erogabilità legate anche alla vulnerabilità sociale ossia alla condizione di svantaggio sociale ed economico e comunque solo per talune prestazioni; alla generalità dei cittadini è invece garantita la sola visita odontoiatrica e il trattamento delle urgenze;
   nei nuovi livelli essenziali di assistenza sono attualmente escluse tutte le prestazioni diagnostico-terapeutiche a favore dei pazienti allergopatici, compresi quelli a rischio di condizioni potenzialmente fatali come l'anafilassi; a riguardo si evidenzia che più di 150 milioni di europei soffrono di malattie allergiche croniche e la metà di esse sono sotto-diagnosticate o trattate in modo errato a causa del mancato riconoscimento e della carenza di medici specialisti; secondo dati forniti dall'Accademia europea di allergologia ed immunologia clinica — Eaaci, circa il 20 per cento dei pazienti con allergie vive con una grave forma debilitante della propria condizione e lotta ogni giorno con la paura di un possibile attacco d'asma, shock anafilattico o addirittura la morte a causa di una reazione allergica; a fronte di una domanda di prestazioni sanitarie da parte dei pazienti molto elevata ed una offerta di personale formato da parte delle università molto bassa (ogni anno accedono alla specializzazione circa 30-50 medici in tutto il territorio nazionale), si assiste ad una carenza di tutela dei pazienti; le più recenti linee guida internazionali sulla gestione dell'anafilassi raccomandano, oltre che di evitare l'esposizione agli allergeni, trattamenti immunoterapici specifici, mediante visite specialistiche allergologiche;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri garantisce alle persone affette da disabilità o menomazione l'erogazione di protesi, ortesi ed ausili tecnologici nell'ambito di un piano riabilitativo-assistenziale e sulla base di condizioni o limiti di erogabilità e si demanda alle regioni l'individuazione delle procedure autorizzative per usufruire di tali dispositivi senza che siano indicati criteri e modalità omogenee su tutto il territorio nazionale; inoltre se da un lato s'inseriscono protesi e ortesi tecnologicamente avanzate, soprattutto nel settore delle tecnologie informatiche e di comunicazione, dall'altro si eliminano taluni dispositivi ortopedici molto diffusi come ad esempio i plantari o scarpe ortopediche che la relazione tecnica al provvedimento ha indicato come «oggetti di frequente prescrizione inappropriata»; inoltre il nuovo nomenclatore protesico, non riferisce in maniera esaustiva la diversa collocazione operata nell'elenco «su misura» o nell'elenco «di serie» che, come noto, comporta una differente gestione di acquisizione da parte delle strutture sanitarie senza che sia istituito un repertorio che renda tracciabile ogni dispositivo presente sul mercato; peraltro appare opportuno che per alcuni ausili particolarmente complessi sia sempre assicurata la necessaria personalizzazione nell'acquisizione non altrimenti assicurata con gare ad evidenza pubblica;
   l'integrazione tra le prestazioni dell'area sanitaria e le prestazioni dei servizi sociali è demandata ad un Accordo Stato regioni che dovrà definire le linee di indirizzo per garantire l'omogeneità e l'integrazione nonché l'utilizzo delle risorse, anche con riferimento al Fondo per le non autosufficienze introdotto con la stabilità 2016 che deve essere diretto all'assistenza diretta per le persone con gravissima disabilità e per gli anziani non autosufficienti, favorendo la loro permanenza nel domicilio; in relazione all'assistenza sociosanitaria residenziale e semiresidenziale alle persone non autosufficienti, con disabilità e con disturbi mentali alcuni trattamenti sono solo parzialmente a carico del Servizio sanitario nazionale;
   in riferimento alla disabilità è opportuno colmare i vuoti lamentati dalle diverse associazioni sia in riferimento all'esigenza di introdurre la definizione di disabilità quale relazione esistente con le barriere socio-ambientali che impediscono la piena ed effettiva partecipazione alla società e sia assicurando l'accessibilità di tutti i servizi sanitari, nel rispetto dell'articolo 25 della Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, sia prevedendo espressamente il diretto coinvolgimento della persona con disabilità e della sua famiglia nella predisposizione del percorso assistenziale, garantendo la continuità assistenziale attraverso il progetto individuale previsto dall'articolo 14 della legge n. 328 del 2000; a riguardo il mero richiamo alla citata Convenzione ONU, effettuato nelle premesse del provvedimento definitivamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, non appare esaustivo e risolutivo delle carenze segnalate;
   nell'ambito dell'assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, pur declinandone le attività, appare necessario richiamare i Consultori che a tal fine andrebbero ulteriormente potenziati;
   in relazione alla diagnosi precoce delle malattie metaboliche ereditarie (il cui impatto economico è stimato in 15 milioni di euro), appare opportuno fare riferimento alla legge n. 167 del 2015 affinché siano garantite tutte le risorse e le disposizioni previste in tale legge, come ad esempio l'effettuazione degli screening anche ai nati al di fuori delle strutture pubbliche; a riguardo il mero richiamo alla citata legge, effettuato nelle premesse del provvedimento definitivamente pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, non appare esaustivo e risolutivo della carenza segnalata;
   le procedure analgesiche nel corso del travaglio e del parto fisiologico saranno garantite solo nelle strutture di I e II livello e con un numero di parti pari o maggiore ai 500 e, pur apprezzando che nel testo pubblicato in Gazzetta Ufficiale è stato introdotto un chiaro riferimento all'analgesia epidurale, come richiesto dal M5S durante l'esame in Commissione XII, permane la carenza di un chiaro richiamo alla libera scelta della donna nonché una stima adeguata di risorse economiche e umane per la sua concreta realizzazione, tenuto conto della necessità di garantire il personale anestesista; sempre in relazione al parto si demanda in maniera generica alle regioni l'adozione di misure per incentivare il parto fisiologico, sulla base di una percentuale da fissare secondo criteri uniformi su tutto il territorio nazionale e in coerenza con gli standard internazionali e a riguardo si evidenzia l'opportunità che tale percentuale o comunque delle indicazioni di massima fossero già inserite nei LEA e che si prevedano dei meccanismi disincentivanti sul parto cesareo intervenendo anche sul costo di rimborso e sui meccanismi di accreditamento e convenzionamento con le strutture private ove è più diffuso il ricorso al taglio cesareo, escludendo anche qualsiasi possibilità di accreditamento per quelle strutture che prevedono meccanismi incentivanti per i medici che generano maggiori rimborsi, e prevedendo protocolli per l'effettuazione del VBAC (parto vaginale per pre-cesarizzate); in relazione alla tutela della maternità, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri non garantisce più l'esecuzione di villocentesi e amniocentesi per le donne di età pari o maggiore di 35 anni mentre per contro saranno garantite indagini prenatali di tipo non invasivo;
   le procedure connesse alla procreazione medicalmente assistita eterologa, come previsto all'articolo 49 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, relativamente alla donazione dei gameti, saranno in massima parte a carico dei cittadini, nella misura che sarà differentemente determinata da ciascuna regione, a seconda delle risorse a disposizione;
   appare evidente che si rischia di reiterare un distinguo implicito tra procreazione omologa e procreazione eterologa (già censurato dalla Consulta in relazione alla legge 40) e demandare alle regioni la determinazione dei costi connessi alla PMA eterologa può non garantire a tutti i cittadini questa procedura tenuto conto che le strutture pubbliche che garantiscono tale procedura sono pochissime, con liste di attesa di fatto inaccessibili e, in taluni casi, anche i costi imposti dalle regioni sono inaccessibili;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri definisce l'appropriatezza dei ricoveri ordinari, in day surgery e in day hospital demandando alle regioni l'adozione di misure per incentivare l'appropriatezza sulla base di una percentuale che sarà fissata dalla Commissione LEA per ciascun DRG ad alto rischio di non appropriatezza ed inoltre si prevede il trasferimento di numerose prestazioni dal regime di ricovero al regime ambulatoriale; a riguardo si teme che gli ambulatori pubblici potrebbero non essere in condizioni di gestire, in termini di risorse umane e tecnologiche, tali prestazioni od anche che l'erogazione delle prestazioni possa risultare frammentata con ulteriori costi per i cittadini;
   in riferimento al reperimento di cellule staminali a carico del servizio sanitario nazionale appare opportuno assicurare che lo stesso debba avvenire in «banche pubbliche» o comunque che rispettano le norme o i principi che sostengono la donazione di cellule staminali a fini solidaristici e non la donazione autologa; sul punto si segnala l'enorme criticità legata alle banche estere che raccolgono le cellule staminali del cordone ombelicale e con rilevanti introiti aggirano di fatto la norma che in Italia vieta la cosiddetta conservazione «autologa», a uso e consumo personale del neonato;
   l'elenco delle malattie rare è stato revisionato con l'introduzione di circa 110 nuove malattie rare e dal nuovo elenco sono state escluse alcune patologie come la celiachia o la sindrome di Down rispetto alle quali sarebbe opportuno chiarire quali siano le conseguenze assistenziali; appare inoltre opportuno il riconoscimento delle malattie rare cardiache come risultanti in un network sulle patologie rare cardiache recentemente approvato dalla Commissione europea;
   in riferimento all'esenzione dalla partecipazione al costo delle prestazioni di assistenza correlate alle malattie croniche e invalidanti, a fronte dell'inserimento di 6 nuove patologie, sono state ridotte alcune prestazioni legate alla ipertensione senza danno d'organo per una stima di minori oneri/maggiori entrate pari a circa 16 milioni; in Italia sono 16 milioni le persone che soffrono di ipertensione arteriosa e ogni anno ne muoiono 280 mila a causa di malattie cardiovascolari e fra loro, per ovvie ragioni, la stragrande maggioranza è rappresentata dai cittadini più anziani, talché proprio loro, saranno costretti a rivolgersi alla sanità privata mentre chi non se lo potrà permettere (chi ha una pensione minima non potrà permetterselo) resta la rinuncia alle prestazioni; nelle esenzioni per malattie croniche, in relazione all'ipertensione, non risultano più in esenzione le prestazioni come il potassio, l'esame delle urine, l’holter delle 24 ore e la radiografia toracica;
   appare necessario prevedere, nella fase di aggiornamento dei LEA, un termine entro il quale devono essere adottati gli Accordi stato regioni finalizzati alla fissazione di criteri uniformi per l'individuazione di limiti e modalità di erogazione delle prestazioni che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri demanda alle regioni, così da non correre il rischio che numerose disposizioni rimangano inapplicate;
   sarebbe auspicabile che, in tempi brevi e comunque entro le scadenze previste per l'aggiornamento dei LEA che, sulla base dell'Intesa Stato/regioni del 7 settembre 2016, spetta alla Commissione nazionale per l'aggiornamento dei livelli essenziali di assistenza e la promozione dell'appropriatezza nel servizio sanitario nazionale, siano rispettate le osservazioni e condizioni, alcune delle quali richiamate in premessa al presente atto ed inserite nel parere approvato dalla Commissione Affari sociali in occasione dell'esame dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sui i nuovi livelli essenziali di assistenza (LEA),

impegna il Governo:

1) a garantire le adeguate risorse economiche necessarie a sostenere l'esigibilità dei nuovi LEA che, mentre nel Patto per la salute 2014-2016, già per il 2016, prevedeva un livello di finanziamento di 115,444 miliardi, è stato poi progressivamente ridotto anche rispetto all'intesa Stato-regioni dell'11 febbraio 2016 che riteneva necessari 113.063 milioni di euro per il 2017 e 114.998 milioni di euro per il 2018, laddove invece la successiva legge di bilancio per il 2017 ha previsto un livello del finanziamento del Fondo sanitario nazionale pari a 113.000 milioni di euro per il 2017 e a 114.000 milioni di euro per il 2018, fino a ridursi ulteriormente per l'anno 2017 il cui riparto effettivo, confermato con il recente Accordo Stato-regioni, vede il livello del finanziamento del Fondo attestarsi a euro 112.578 milioni di euro;
2) a rendere pubbliche e note le motivazioni scientifiche di ogni modifica e/o integrazione e di ogni delisting, secondo una rigorosa procedura metodologica e con una chiara e contestuale indicazione delle ricadute organizzative ed economiche per i cittadini e per il Servizio sanitario nazionale;
3) a prevedere nel prossimo aggiornamento dei LEA, nell'ottica di assicurare una reale incidenza sulle leggi di mercato e abbassare i costi dei vaccini, la vendita non in associazione di vaccini così da assicurare anche la libera scelta ai trattamenti sanitari da parte degli assistiti ed introdurre efficaci norme sul conflitto d'interesse e sulla trasparenza, nonché ad introdurre campagne istituzionali di informazione e di educazione sanitaria che inducano ad una scelta informata e consapevole sull'uso prudente di antimicrobici, volte ad incoraggiare tutti i cittadini ad agire in modo proattivo per ridurre le malattie infettive e la minaccia alla resistenza antibiotica;
4) ad introdurre nel prossimo aggiornamento dei LEA un repertorio dei dispositivi protesici erogabili e i requisiti di accreditamento dei soggetti erogatori dei dispositivi medesimi nonché il nomenclatore tariffario così da avere e/o fornire strumenti adeguati per valutare esaustivamente l'impatto economico delle diverse prestazioni garantite e la susseguente efficacia;
5) ad introdurre nel prossimo aggiornamento dei LEA, in relazione ai percorsi assistenziali integrati, i principi e i criteri direttivi per garantire l'omogeneità e l'integrazione sul territorio nazionale nonché l'utilizzo delle risorse, comprese con riferimento al Fondo per le non autosufficienze introdotto con la stabilità 2016, al fine di sostenere l'assistenza diretta per le persone con gravissima disabilità e per gli anziani non autosufficienti, favorendo la loro permanenza nel domicilio;
6) ad introdurre nel prossimo aggiornamento dei LEA un esplicito riferimento ai consultori, contemplandone anche un efficace potenziamento e una capillare diffusione, in relazione all'assistenza distrettuale, domiciliare e territoriale ad accesso diretto, per le donne, i minori, le coppie e le famiglie;
7) ad introdurre nel prossimo aggiornamento dei LEA, in relazione alle diagnosi precoce delle malattie metaboliche ereditarie, un esplicito riferimento alla legge n. 167 del 4 agosto 2016 (non già solo nelle premesse al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, affinché sia chiaro che le risorse e le prestazioni in essa previste siano tutte garantite, ivi inclusa la previsione che gli sreening siano assicurati a tutti i neonati a prescindere dalla struttura di nascita;
8) ad introdurre, in riferimento alle procedure analgesiche nel corso del travaglio e del parto, un chiaro riferimento alle procedure sia farmacologiche e sia naturali, con garanzia del personale dedicato ad assicurare l'analgesia epidurale in tutti i punti nascita, nonché un'adeguata attività di counselling per la libera e informata scelta della donna;
9) in riferimento al trasferimento di talune prestazioni in regime di day surgery, di day hospital e in regime ambulatoriale, a pubblicare tempestivamente sul sito istituzionale del Ministero della salute quali siano queste prestazioni, adottando la massima prudenza e chiarezza nell'identificazione delle strutture ambulatoriali a ciò accreditate e assicurando che le strutture pubbliche abbiano le dotazioni umane e tecnologiche atte a garantire che le prestazioni trasferite siano effettuate in condizioni di massima sicurezza per gli assistiti;
10) a rivalutare la necessità di inserire nei LEA le prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche riguardanti talune branche specialistiche come ad esempio quella in reumatologia le cui patologie (circa duecento condizioni) sono le più diffuse, per prevalenza, tra quelle croniche, come ad esempio l’«artrosi ed artrite» che interessano più del 16 per cento (ISTAT) delle cronicità e coinvolgono circa 9 milioni di abitanti, nonché quella dell'ematologia le cui prestazioni sono effettuate quotidianamente per i pazienti affetti da malattie del sangue e che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attribuisce ad altre specialità che raramente le effettuano;
11) a rivalutare la necessità di inserire nei LEA, con specifici codici identificativi DRG, tutte le prestazioni sanitarie allergologiche relative ai casi inquadrabili come anafilassi per sospetta ipersensibilità a veleno di insetti, a farmaci ed alimenti al fine di un più rapido accesso alla diagnosi eziologica delle allergopatie, e della riduzione del numero di decessi per tali condizioni;
12) a rivalutare la necessità di inserire nell'elenco delle malattie rare anche quelle cardiache come risultanti nel network sulle patologie rare cardiache recentemente approvato dalla Commissione europea;
13) a chiarire nel prossimo aggiornamento dei LEA che l'esclusione dall'elenco delle malattie rare della celiachia e della sindrome di Down non comporterà alcuna conseguenza in termini assistenziali;
14) a rivalutare la necessità di reinserire nel prossimo aggiornamento dei LEA le prestazioni legate alla ipertensione senza danno d'organo, eliminate nei nuovi LEA, tenuto conto che in Italia sono 16 milioni le persone che soffrono di ipertensione arteriosa e ogni anno ne muoiono 280 mila a causa di malattie cardiovascolari e fra loro, per ovvie ragioni, la stragrande maggioranza è rappresentata dai cittadini più anziani, talché proprio loro, saranno costretti a rivolgersi alla sanità privata mentre chi non se lo potrà permettere (e chi ha una pensione minima non potrà permetterselo) resta la rinuncia alle prestazioni;
15) ad intervenire affinché nel prossimo aggiornamento dei LEA sia chiaro che tutti i costi connessi alle procedure di procreazione medico assistita sia omologa e sia eterologa, ivi inclusi i costi per la donazione eterologa, sono a carico del Servizio sanitario nazionale indicando altresì i principi e i criteri direttivi a cui le regioni devono attenersi per garantire tale prestazione;
16) ad incentivare il parto fisiologico e disincentivare i parti cesarei inappropriati indicando nel prossimo aggiornamento dei LEA la percentuale di appropriatezza già desumibile dagli standard internazionali, intervenendo sul DRG e sul costo di rimborso del parto cesareo (rimborsare solo nel rispetto di tali percentuali) nonché sui meccanismi di accreditamento e convenzionamento con le strutture private ove è più diffuso il ricorso al taglio cesareo, escludendo anche qualsiasi possibilità di accreditamento per quelle strutture che prevedono meccanismi incentivanti per i medici che generano maggiori rimborsi; a prevedere altresì, sempre nell'ottica di ridurre il ricorso al taglio cesareo inappropriato, un riferimento anche al VBCA e all'individuazione di protocolli che lo rendano possibile;
17) ad intervenire affinché l'amniocentesi e la villocentesi siano garantite a tutte le donne in gravidanza, con costi a carico del Servizio sanitario nazionale, a prescindere dall'età materna e dagli esiti degli screening indicati nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, o in subordine a ripristinare la gratuità per le donne di oltre 35 anni di età, garantendo altresì un'adeguata informazione sul grado di attendibilità e di rischio delle diverse indagini prenatali, così da consentire alla donna una scelta informata e consapevole sulle procedure diagnostiche disponibili, invasive e non. 
(1-01569) «Lorefice, Nesci, Cecconi, Colonnese, Grillo, Mantero, Silvia Giordano, Di Vita, Baroni, Dall'Osso».

Risoluzione in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
   il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, attraverso specifiche risorse assegnategli annualmente dalla legge di bilancio, finanzia iniziative di ricerca applicata, sia promuovendo la libera espressione da parte dei ricercatori sia individuando priorità tematiche;
   così come espresso nel piano strategico per l'innovazione e la ricerca nel settore agricolo alimentare e forestale (2014-2020), le politiche per l'innovazione in ambito agricolo si collocano nella strategia per una crescita intelligente ed inclusiva e costituiscono un ponte tra le politiche di ricerca e quelle di sviluppo rurale;
   come previsto dal comma 381 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità per il 2015), «l'Istituto nazionale di economia agraria (INEA) è incorporato nel Consiglio per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (CRA), che assume la denominazione di Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria» (CREA);
   sia l'INEA che il CRA, negli anni, hanno ampiamente usufruito, per la selezione del loro personale di ricerca, di contratti a tempo determinato e di collaborazione tanto che, ad oggi, il nuovo ente, Consiglio per la ricerca in agricoltura e l'analisi dell'economia agraria (CREA), conta nel proprio organico numerosi ricercatori che versano in condizioni di precariato;
   da una ricognizione svolta su base volontaria, e di concerto con le principali organizzazioni sindacali, nella prima decade di marzo 2017 i lavoratori con contratti di precariato che prestano servizio presso il CREA sarebbero circa seicento unità, su una pianta organica di circa millecinquecento dipendenti;
   l'eccessivo ricorso a contratti a tempo determinato e di collaborazione è facilmente riscontrabile in diverse sedi del CREA dislocate sul territorio nazionale, dove i ricercatori precari spesso ricoprono l'intera pianta organica del personale, a titolo esemplificativo, si riportano alcune casistiche: il «Centro di politiche e bioeconomia» del Friuli-Venezia Giulia con il cento per cento di ricercatori precari o il «CREA-PB» di Palermo dove i ricercatori precari ricoprono l'87,5 per cento della pianta organica;

impegna il Governo:

ad assumere iniziative, anche di carattere normativo, volte a vincolare le risorse finanziare assegnate al CREA ad opera della legge di bilancio 2017 al fine di intraprendere un percorso di stabilizzazione dei ricercatori precari dell'Ente medesimo.
(7-01234) «Lupo, L'Abbate, Gallinella, Gagnarli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Parentela».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   con delibera del 25 novembre 2013, la regione Marche ha bandito un concorso per 13 dirigenti a tempo indeterminato;
   con il suddetto bando, la regione ha omesso di attingere a graduatorie ancora aperte, ignorato i risultati dell'esito della procedura di mobilità esterna, impedito di concorrere a più di un concorso se pure in possesso dei requisiti, e ha attribuito un punteggio per titoli che sembrerebbe cucito su misura esattamente e concretamente per favorire alcuni concorrenti danneggiando altri dipendenti con pregressa esperienza in altre regioni;
   il bando, oggetto di innumerevoli critiche fu indetto da Spacca dopo che la Corte costituzionale bocciò una legge che tentava di stabilizzare 13 dirigenti nominati. È da rilevare che una gran parte dei dirigenti, che dovevano essere stabilizzati con la legge regionale sono risultati vincitori del concorso in oggetto;
   il bando e stato oggetto di impugnativa presso il tribunale amministrativo regionale e la regione, nonché piuttosto che ritirare il bando, ha resistito in giudizio (a spese del contribuente);
   con sentenza n. 223 pubblicata il 21 marzo 2017, il Tar ha accolto il ricorso dei due aspiranti dirigenti della regione Marche e ha annullato il recente concorso. I ricorrenti hanno impugnato sia le procedure che lo svolgimento e così è stato annullato il decreto del Segretario generale della giunta regionale con il quale era stato indetto il concorso. Il Tar ha salvato solo una posizione, quella della segreteria della giunta e attività di supporto alla segreteria generale;
   i dirigenti nominati grazie al bando annullato sono: Lorenzo Bisogni, Roberto Luciani, Sabrina Speciale, Giovanni Santarelli, Monica Moretti, David Piccinini, Daniela del Bello, Maria di Bonaventura, Mario Smargiasso, Serenalla Carota, Simona Teoldi;
   la sentenza del tribunale amministrativo regionale è immediatamente esecutiva a prescindere dal fatto che sia stata o meno notificata alle parti e gli atti adottati dai dirigenti decaduti sono nulli;
   dalla pubblicazione della sentenza è passata, ormai, una settimana e la regione Marche non ha ancora provveduto ad ottemperare alla sentenza e i dirigenti nominati con il concorso annullato dal tribunale amministrativo regionale, continuano a svolgere le loro funzioni (autorizzati dai vertici dell'ente) e a percepire, conseguentemente, l'immutato stipendio da dirigenti, si va a configurare così un potenziale danno erariale;
   solo a seguito della eventuale sospensiva che il Consiglio di Stato potrebbe (eventualmente) concedere alla regione, contro la sentenza del tribunale amministrativo regionale, i dirigenti sarebbero legittimati, seppur temporaneamente, ad adottare atti validi;
   fino ad allora la regione non sta ottemperando alla sentenza e ciò, oltre a configurare un possibile abuso d'ufficio, costituisce sicuramente un comportamento politicamente inaccettabile. Il fatto è gravissimo potrebbe produrre conseguenze a catena irrimediabili;
   ad avviso della interrogante, in attesa delle determinazioni del Consiglio di Stato, la regione dovrebbe declassare i dirigenti decaduti, affidandone le competenze, ad interim, ad altri dirigenti regionali che ci risulta siano oltre sessanta –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto;
   se e quali iniziative di competenza intenda intraprendere, anche ai sensi dell'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001, presso la regione Marche, alla luce di quanto esposto in premessa che per l'interrogante potrebbe avere gravi conseguenze sulle casse dello Stato. (5-11021)


   DE LORENZIS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa (sul Nuovo Quotidiano di Puglia, edizione Lecce, «Mazzette intascate per i lavori del filobus». A giudizio Buonerba, a firma di Erasmo Marinazzo, del 9 marzo 2017), del rinvio a giudizio del professor Massimo Buonerba, consulente giuridico dell'ex sindaco di Lecce, Adriana Poli Bortone, per una assunta «tangente» di circa 660 mila euro nel maxi appalto da 21 miliardi di euro per la creazione della rete del filobus a Lecce;
   nel merito, il professore Buonerba risponde dell'accusa di concussione per induzione: le indagini, condotte con il Nucleo di polizia tributaria della Guardia di finanza, gli contestano di aver intascato due tangenti, una da 186 mila euro e l'altra da 473 mila euro;
   si tratta di un'opera per la filovia cittadina nata male fin dall'inizio e già in corsa in gravi ritardi registrati sia per la sua realizzazione sia per l'avvio stesso dell'infrastruttura, fino a far ipotizzare una possibile revoca dei finanziamenti concessi dal Cipe;
   sulla Gazzetta ufficiale n. 59 del 10 marzo 2012 è stata pubblicata la delibera n. 90/2011 con la quale il Cipe ha raccomandato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di «adottare ogni iniziativa per la messa in esercizio del sistema filoviario di Lecce; di informare, essendo ormai decorso il termine indicato dalla C.A.V., nella seduta del 9 marzo 2011, per l'apertura al pubblico del servizio di trasporto, la procura della Corte dei conti anche ai fini dell'accertamento di eventuali responsabilità erariali; di valutare la sussistenza dei presupposti per un'eventuale revoca parziale del contributo assentito»;
   l'opera, risulta all'interrogante, esser costata circa 22 milioni di euro, di cui 12 milioni a carico dello Stato, ai sensi della legge n. del 1992, 3 milioni a carico della regione Puglia e 8 a carico dei contribuenti leccesi –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riferito in premessa;
   se abbia provveduto ad informare la competente procura della Corte dei conti sia in relazione ai fatti all'epoca rappresentati dal Cipe, che alle nuove notizie di reato;
   quali iniziative di competenza si intenda adottare – in attesa del pronunciamento della magistratura – al fine di garantire la legalità, approfondendo eventuali responsabilità interne alle strutture ministeriali incaricate dell'opera citata, se del caso attivando un'indagine interna;
   se intenda rendere noti i dirigenti e i funzionari responsabili del procedimento e delle autorizzazioni e possa riferire quali siano i ruoli e gli incarichi ricoperti dai medesimi attualmente precisando se siano state adottate iniziative volte ad evitare che i medesimi possano gestire procedimenti analoghi;
   se possa rendere noto quali di tali funzionari a seguito delle autorizzazioni rilasciate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti abbiano ricevuto premi di produttività o di risultato ovvero emolumenti aggiuntivi a qualsiasi titolo e se possa venire quantificare l'importo di ciascuno di questi compensi;
   di quali elementi disponga con riguardo all'eventuale rinvio a giudizio di persone che furono anche marginalmente coinvolte dall’iter autorizzativo, nonché in ordine alle relative ipotesi di reato, e ad eventuali provvedimenti, anche disciplinari intrapresi, volti a tutelare l'onorabilità della medesima istituzione;
   se il Ministro interrogato intenda attivarsi al fine di procedere per il recupero delle somme erogate. (5-11027)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro per gli affari regionali. — Per sapere – premesso che:
   con nota del 21 marzo 2017 della Presidenza del Consiglio dei ministri, Ispettorato per la funzione pubblica, indirizzata al dipartimento ambiente della regione Calabria, si narra di «una segnalazione con la quale si lamenta il mancato trasferimento alla Regione di dipendenti della Provincia di Cosenza in forza della legge n. 56/2014, nonostante la legge regionale n. 14/2015 e ss.mm. abbia disposto il trasferimento delle funzioni di cui alla legge regionale n. 34 del 2002, a suo tempo proprie delle Province, alla Regione»;
   nella medesima nota si rammenta che «in effetti l'articolo 4 del D.P.C.M. del 26/9/2014 sui criteri per l'individuazione dei beni e delle risorse finanziarie, umane, strumentali e organizzative connesse con l'esercizio delle funzioni provinciali, stabilisce che il personale e i rapporti di lavoro interessati al trasferimento vanno individuati, fra l'altro, tenuto conto dello svolgimento in via prevalente di compiti correlati alle funzioni oggetto di trasferimento»;
   di più, nella citata nota si rileva che dalla «corrispondenza intercorsa con la Provincia di Cosenza trasmessa dai segnalanti» dipendenti, «risulta che i predetti sono stati da ultimo ricompresi negli elenchi dei dipendenti interessati dal trasferimento sul presupposto sopra citato»;
   la nota in parola prosegue: «Pur nel rispetto delle determinazioni di codesto Ente, nonché tenendo conto che spetta eventualmente solo agli interessati valutare se ricorrere a propria tutela, si invita a fornire chiarimenti in merito, in particolare perché non risulta evidente se, a conclusione del procedimento di trasferimento del personale di cui si tratta, codesta Amministrazione abbia adottato, specificamente nei confronti degli esponenti, un provvedimento debitamente motivato ai sensi dell'articolo 3 della l. 241/90 e ss.mm.ii. almeno per definire i termini del loro attuale rapporto di impiego (datore di lavoro, compiti e mansioni ai quali sono adibiti...)»;
   con atto stragiudiziale del 21 marzo 2017, a firma degli avvocati Sabina Pietramala e Giandomenico De Simone, gli intesi dipendenti della provincia di Cosenza hanno diffidato il dipartimento organizzazione risorse umane della regione Calabria, in persona del dirigente generale, dottor Bruno Zito, nel termine di 30 giorni dalla ricezione dell’«atto, a voler dare esecuzione ai provvedimenti» di trasferimento «e con urgenza provvedere all'immissione nei ruoli regionali» degli assistiti «dipendenti mantenendo le rispettive professionalità e qualifiche»;
   nel prefato atto stragiudiziale, peraltro, si legge che «tutte le richieste formulate dai dipendenti interessati ai competenti Uffici regionali sono rimaste prive di riscontro; che l'ingiustificata inerzia attuata dalla Regione Calabria nell'esecuzione degli indicati provvedimenti ha causato e sta causando non pochi disagi ai dipendenti» assistiti, «con ingenti danni alle professionalità acquisite nel settore di provenienza»;
   nel ricordato atto stragiudiziale si legge, ancora, «che gli stessi» dipendenti assistiti «alla luce delle competenze del settore Ambiente e Demanio idrico ormai trasferite alla Regione Calabria, di fatto risultano definitivamente esonerati dalle effettive mansioni, in quanto non autorizzati a lavorare le pratiche depositate presso gli Uffici di provenienza»;
   l'atto in predicato informa «che quindi tale descritta situazione, frutto di una condotta colposa ed omissiva da parte della Regione Calabria, in violazione dei principi generali e delle più elementari norme regolatrici dell'azione amministrativa, sta causando anche enormi disagi all'utenza, le cui richieste per quanto sopra rimangono inevase» –:
   se e quali chiarimenti abbia fornito nel merito la regione Calabria, per giustificare la mancata immissione nei ruoli regionali dei dipendenti di cui si tratta e se il Governo intenda chiedere, con urgenza, chiarimenti, per quanto di competenza, anche sui conseguenti «enormi disagi all'utenza» lamentati di cui in premessa. (4-16127)


   SPESSOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sul sito istituzionale di ANAS s.p.a. è stato pubblicato un avviso di selezione per l'assunzione, a tempo determinato, di 3 avvocati dirigenti incaricati di assicurare la gestione diretta dei contenziosi giudiziali e stragiudiziali di Anas;
   l'avviso è stato promosso ai sensi dell'articolo 13 del Regolamento per il reclutamento del personale (presupposti e modalità di selezione dei profili dirigenziali) che al comma 1 così recita: «Il Direttore Risorse Umane e Organizzazione può ravvisare la necessità di avviare un iter selettivo per profili dirigenziali qualora risultino posizioni manageriali vacanti oppure riscontri l'esigenza di istituire una nuova posizione e non risultino presenti all'interno della Società professionalità adeguate alla copertura del ruolo.»;
   risulta all'interrogante che Anas abbia al suo interno oltre 100 avvocati che curano i contenziosi dell'azienda per circa 2,5 miliardi di euro e che molti di questi risultino specializzati proprio nelle materie richieste dal bando;
   non risulta altresì all'interrogante che, in contrasto con il suddetto regolamento, siano stati avviati processi selettivi interni all'azienda intesi all'individuazione dei profili dirigenziali da assumere;
   tale procedura di selezione, considerata la posizione di mercato e l'esperienza richiesta ai candidati dal bando, avrebbe un costo stimato di circa 1 milione di euro/anno;
   a questo si aggiunga che l'iscrizione all'Albo speciale, diversamente da quanto richiesto dall'avviso di selezione, è espressamente vietata dall'articolo 23 della legge forense, recentemente confermata dal Consiglio nazionale forense con sentenza n. 188/2015, per cui se ne deduce che verrà assunto del personale che non potrà svolgere la funzione prevista dal bando;
   si fa presente inoltre che l'Anas si avvale del patrocinio dell'Avvocatura dello Stato motivo per cui, a detta dell'interrogante, la ricerca dei tre nuovi dirigenti appare ingiustificata ed integrerebbe un danno erariale;
   dalla lettura del bando si evince, inoltre, che i tre assunti non avranno alcun ufficio da coordinare;
   la gestione di ANAS spa è, da tempo, al centro di attenzione in numerosi atti di sindacato ispettivo che hanno segnalato all'interno dell'azienda, oltre al ricorso a procedure irregolari di selezione del personale, inefficienze, assenza di una sana gestione, compensi esorbitanti dei vertici societari, ed Anas risulta aver già assunto, in violazione delle norme, 14 dirigenti tra cui un avvocato a tempo determinato;
   si ricorda inoltre come la legge n. 124 del 2015 recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», ponga dei limiti alle assunzioni, limiti recentemente sospesi dal decreto «mille proroghe» per Anas esclusivamente per personale da destinarsi all'esercizio delle strade;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti suesposti e quali iniziative di competenza intendano assumere per ricondurre gli aspetti dell'attività di Anas sopra richiamati al rispetto di quanto stabilito dalla legge. (4-16133)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   GADDA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, con sempre maggiore preoccupazione, si è assistito ad un susseguirsi di norme e comportamenti discriminatori in Cantone Ticino nei confronti di lavoratori e cittadini italiani:
   il 9 febbraio 2014, l'iniziativa popolare denominata «Contro l'immigrazione di massa» ha modificato la Costituzione federale prevedendo tetti massimi e contingenti annuali per gli stranieri che esercitano un'attività economica in Svizzera, compresi i lavoratori frontalieri, perseguendo un principio di preferenza agli svizzeri;
   nel novembre 2014 il Gran Consiglio del Canton Ticino ha incrementato le imposizioni fiscali per i frontalieri: residenti entro la fascia di confine, portando al 100 per cento il moltiplicatore comunale al fine di scoraggiare la presenza italiana in Svizzera;
   il 24 marzo 2015, il Gran Consiglio del Canton Ticino ha approvato una legge sulle imprese artigianali che introduce elementi restrittivi e ostativi nei confronti dei professionisti italiani che intendono stabilire in Svizzera la propria società;
   nel mese di aprile 2015, il dipartimento delle istituzioni del Ticino, con la successiva conferma del Consiglio di Stato nel mese di maggio 2016, introduce l'obbligo della presentazione dell'estratto del casellario giudiziale e dei carichi pendenti, per i lavoratori frontalieri che chiedono il rinnovo o il rilascio ex novo del permesso di lavoro G (il permesso per lavoratore frontaliere);
   il 25 settembre 2016 nel Ticino si è tenuta una nuova iniziativa popolare promossa per inserire nella Costituzione cantonale il principio di «preferenza agli indigeni» che ha visto prevalere la posizione più radicale;
   il 5 dicembre 2016, a seguito di un tentativo di rapina alla filiale della banca Raiffeisen di Molinazzo di Monteggio (Canton Ticino, Svizzera), le autorità ticinesi hanno disposto la chiusura di alcuni valichi di confine con l'Italia tra cui quello di Ponte Tresa, impedendo – per circa due ore – a quasi 5 mila persone, molti cittadini italiani lavoratori frontalieri, di fare ritorno a casa;
   nel mese di febbraio, il consigliere di Stato Norman Gobbi aveva espresso delle posizioni offensive nei confronti dei nostri connazionali, collegando un episodio di corruzione in un ufficio pubblico alla nazionalità italiana del dipendente coinvolto dalle indagini;
   come già segnalato nell'interrogazione a prima firma dell'interrogante n. 4-14990, risulta all'interrogante che le autorità italiane non siano state prontamente avvisate dalle autorità elvetiche della imminente chiusura della frontiera, esponendo in tal modo i territori italiani coinvolti ad una situazione potenzialmente pericolosa e complessa sotto il profilo del ordine pubblico;
   l'interrogante ricorda che la mozione 1/00952 Borghi ed altri, approvata dalla Camera dei deputati, ha indicato al Governo la necessità di condizionare le determinazioni italiane da assumere nell'ambito delle relazioni internazionali con la Svizzera, ad una positiva cooperazione ed effettiva disponibilità da parte delle istituzioni elvetiche in tutti gli ambiti. La stessa mozione, in riferimento agli accordi in materia fiscale, ha impegnato il Governo a rivalutare tale ratifica in relazione alla formulazione di specifiche assicurazioni formali tendenti ad escludere la validità e l'applicazione di qualsivoglia iniziativa discriminatoria –:
   se, in occasione della chiusura dei valichi di frontiera avvenuta il 5 dicembre 2017, le autorità svizzera abbiano provveduto a comunicare all'Italia l'imminente chiusura della frontiera, nel rispetto delle procedure fissate dal regolamento UE 2016/399 del Parlamento europeo (codice frontiere Schengen) e perseguendo in tal modo una politica di reciproca collaborazione;
   se il Governo ritenga che le affermazioni del consigliere di Stato Norman Gobbi siano lesive della dignità dei nostri connazionali e quali iniziative si siano intraprese;
   se e come il Governo intenda riconsiderare le relazioni internazionali con la Confederazione elvetica alla luce del protrarsi di comportamenti che appaiano agli interroganti evidentemente ostili e discriminatori da parte del Cantone Ticino nei confronti di lavoratori e cittadini italiani. (4-16132)

AFFARI REGIONALI

Interrogazione a risposta scritta:


   MANNINO. — Al Ministro per gli affari regionali, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 19 novembre 1997, n. 422, individua le funzioni e i compiti che sono conferiti alle regioni ed agli enti locali in materia di servizi pubblici di trasporto di interesse regionale e locale con qualsiasi modalità effettuati ed in qualsiasi forma affidati e fissa, altresì, i criteri di organizzazione dei servizi di trasporto pubblico locale;
   la programmazione dei servizi compete alle regioni le quali: definiscono gli indirizzi per la pianificazione dei trasporti locali e per i piani di bacino; predispongono e aggiornano il piano regionale dei trasporti, tenendo conto dei piani di bacino; approvano il programma triennale dei servizi di trasporto pubblico locale attraverso cui attuare il piano regionale; definiscono – insieme agli enti locali e nel rispetto dei criteri di omogeneità tra regioni – quantità e standard di qualità dei servizi di TPL; stabiliscono la ripartizione delle competenze in materia di trasporto pubblico locale, delegando agli enti locali tutte le funzioni e i compiti che non richiedono l'unitario esercizio regionale;
   le regioni altresì – articolo 3-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138 – organizzano lo svolgimento dei servizi pubblici locali a rete di rilevanza economica definendo il perimetro degli ambiti o bacini territoriali ottimali e omogenei tali da consentire economie di scala e di differenziazione idonee a massimizzare l'efficienza del servizio e istituendo o designando gli enti di governo degli stessi;
   l'AMAT S.p.A. – società per azioni di proprietà della città metropolitana di Palermo – ha per oggetto la progettazione, l'organizzazione, la realizzazione, la gestione e l'esercizio di sistemi di trasporto di persone e di cose, pubblici e privati, comprese la gestione di flotte, con qualunque mezzo e forma effettuati, nonché le altre attività anche strumentali e/o connesse alla mobilità – ivi compresi anche i servizi di manutenzione e di riparazione di parchi rotabili di qualsiasi tipologia, per conto proprio e di terzi – alla viabilità ed al traffico;
   secondo quanto evidenziato nella relazione sulla gestione al bilancio al 31 dicembre 2015, l'attività del servizio del trasporto pubblico in ogni sua forma esercitata viene espletata in condizioni di forte squilibrio gestionale e la situazione finanziaria di AMAT S.p.A. – che vanta, peraltro, un credito complessivo nei confronti del comune di Palermo per servizi resi pari a 73.114.666 euro – risulta caratterizzata da una significativa esposizione debitoria da ricondursi essenzialmente al disimpegno unilaterale dell'amministrazione regionale consistente nel mancato trasferimento da parte della regione stessa di oltre il 50 per cento dei corrispettivi per il servizio di trasporto pubblico locale maturati nel 2015 in esecuzione del contratto di servizio, oltre alle somme ancora dovute per l'annualità 2014 (nello specifico, 30.408.877 euro per il 2015, e 34.979.424 euro per il 2014;
   il taglio degli stanziamenti da parte della Regione Sicilia da impiegare sul trasporto pubblico locale ed il forte ritardo accumulato da quest'ultima nei pagamenti delle somme dovute al comune di Palermo stanno determinando una pesante ricaduta in termini di funzionamento e di efficienza sulla tenuta complessiva del sistema di trasporti nel capoluogo siciliano, nel quale si riscontra un generale stato di inadeguatezza dei servizi offerti ai cittadini –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per agevolare l'attività di collaborazione istituzionale tra il comune di Palermo e la regione Siciliana in ordine alla tematica richiamata nelle premesse, nonché in relazione all'esigenza di garantire un adeguato livello di qualità del servizio del trasporto pubblico locale, anche tramite il risanamento finanziario della società AMAT S.p.a.;
   quali iniziative di competenza intenda porre in essere anche tramite i servizi ispettivi di finanza pubblica, in relazione alla situazione economico-finanziaria, per assicurare la tempestiva erogazione da parte della regione siciliana di tutti i corrispettivi dovuti al comune di Palermo necessari per provvedere al risanamento dell'equilibrio economico e finanziario della società AMAT S.p.a. e per garantire un adeguato livello di qualità del servizio di trasporto pubblico locale. (4-16139)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DALLAI, SANI, CENNI, FIORIO, BARBANTI e COPPOLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   si registrano ormai in tutta Italia attacchi di lupi e di ibridi ad aziende con particolare frequenza in Toscana: l'ultima in ordine temporale ha riguardato il comune di Monteriggioni, in località Quercegrossa (provincia di Siena), dove, nella notte del 28 marzo 2017, sono stati uccisi 30 capi di cui 22 pecore e 8 montoni, oltre ad un cane che faceva la guardia;
   secondo le associazioni regionali di categoria tali aggressioni sono passate dalle 30 mensili del 2014 alle 60 del 2016, per un danno complessivo per gli allevatori nell'ultimo triennio di 1 milione e 45 mila euro;
   le criticità determinate dai danni causati all'agricoltura ed alla zootecnia dagli animali selvatici hanno assunto dimensioni notevoli, con ripercussioni allarmanti che incidono negativamente, oltre che sui bilanci economici delle aziende agricole, anche sull'equilibrata coesistenza tra attività umane e specie animali;
   a causa degli attacchi, gli allevatori subiscono infatti perdite economiche ingentissime aggravate dalle spese per lo smaltimento delle carcasse e dai danni indiretti (in seguito alle aggressioni molte pecore abortiscono e cessano di produrre latte rendendo impossibile per le aziende il mantenimento degli impegni assunti con i fornitori) e soprattutto dai lunghi tempi di attesa dei rimborsi da parte dello Stato;
   l'incremento della frequenza di attacchi da parte di lupi agli allevamenti sta inoltre causando un inasprimento della tensione sociale. Tale fenomeno assume quindi i connotati di una vera e propria emergenza, che ha sollecitato da tempo l'avvio urgente di iniziative da parte delle istituzioni pubbliche, volte a prevedere un sistema adeguato di misure preventive e di contrasto;
   la regione Toscana (una delle maggiormente colpite da tali episodi) sta mettendo in campo misure per ricercare un equilibrio tra le esigenze delle attività degli allevatori, che sono parte costitutiva dell'economia e dell'identità territoriale, e la tutela della biodiversità: il 2 dicembre 2016 ha infatti approvato un decreto con cui sono stati messi a disposizione 700 mila euro che, sommati ad un precedente stanziamento di 400 mila euro, dovrebbero consentire di risarcire tutte le domande presentate nel 2015 e gran parte del 2016;
   quasi tutte le regioni dell'Italia (ad eccezione di Sicilia, Sardegna e Calabria) hanno normative che prevedono l'assegnazione di contributi a favore degli allevatori che subiscono una perdita del patrimonio zootecnico per un evento predatorio causato dal lupo o da canidi. Le varie normative regionali fanno comunque riferimento a leggi nazionali e quindi a finanziamenti statali:
    legge n. 157 del 1992 che, all'articolo 26, prevede l'istituzione presso le regioni di un fondo dedicato al risarcimento dei danni provocati dalla fauna selvatica, in particolare quella protetta;
    legge n. 394 del 1991 che, all'articolo 15, prevede che l'ente parco è tenuto a indennizzare i danni provocati dalla fauna selvatica del parco;
    legge n. 291 del 1991 che prevede, all'articolo 3, indennizzi agli imprenditori agricoli per le perdite di capi di bestiame causate da cani randagi o inselvatichiti;
   l'approvazione e l'attuazione del «Piano nazionale per la gestione del lupo» è bloccato da mesi in Conferenza Stato-regioni, a causa di alcune divergenze nei contenuti. Tale documento prevede misure specifiche per favorire la convivenza fra lupi ed attività agricola ed in particolare l'utilizzo di recinti elettrificati, procedure rapide per i rimborsi ed il contrasto agli incroci fra lupo e cane –:
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere il Governo, per quanto di competenza, al fine di prevenire e contrastare gli attacchi di lupi e di ibridi alle aziende in relazione alla crescita esponenziale di tali episodi ed ai ritardi sull'approvazione del «Piano nazionale per la gestione del lupo», soprattutto per ciò che riguarda la tempistica dei risarcimenti dei danni a carico degli allevatori. (5-11023)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   NARDUOLO e MOGNATO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   i carnevali storici rappresentano una secolare e viva espressione della cultura popolare italiana sono anche manifestazioni dal forte potenziale turistico, con ricadute economiche importanti su tutta filiera ricettiva del territorio;
   in data 8 ottobre 2015 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo pubblicava sul proprio sito istituzionale l'avviso pubblico per il finanziamento delle manifestazioni carnevalesche storiche;
   il bando metteva a disposizione 1 milione di euro per il sostegno di iniziative promosse da organismi pubblici o privati, senza scopo di lucro, per promuovere le manifestazioni carnevalesche più significative e meritevoli nei territori italiani;
   le manifestazioni ammesse al contributo dovevano avere almeno 20 edizioni documentabili, realizzate a decorrere dal 1990, e costituire una componente essenziale dell'offerta turistica dei territori;
   le istanze presentate sono state esaminate da una apposita Commissione di valutazione, composta da 5 membri scelti anche tra esperti del mondo del turismo, della cultura, dell'arte e dello spettacolo, e gli esiti sono stati pubblicati sul sito del Ministero in data 20 febbraio 2017;
   in data 16 febbraio 2017, rispondendo all'interrogazione n. 5-10605 presentata dall'onorevole Stefano Borghesi, il sottosegretario ai beni culturali e al turismo Antimo Cesaro dichiarava: «Sono allo studio le possibili iniziative per individuare risorse per dare continuità all'attività di promozione avviata, nella piena consapevolezza della rilevanza culturale delle manifestazioni in oggetto e delle importanti ricadute in termini di flussi turistici, anche internazionali, che ne derivano» –:
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno inserire i carnevali storici tra le attività finanziate stabilmente dal Fondo unico per lo spettacolo di cui al decreto ministeriale 1o luglio 2014, così come modificato dal decreto ministeriale 5 febbraio 2016, riconoscendone così il valore storico e culturale nell'ambito della tradizione italiana e contribuendo a rafforzarne le condizioni di attrattività e competitività turistica territoriale. (4-16126)


   PINNA, BECATTINI, CANI, CARELLA, CARLONI, FALCONE, GNECCHI, MURA, FRANCESCO SANNA e GIOVANNA SANNA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la professione di guida turistica in Italia non gode di una disciplina organica e chiara. Tuttavia, con la legge europea 2013, n. 97 del 6 agosto 2013 è stato fatto un importante passo avanti seppur indotto dalla Commissione europea, che nell'ambito della procedura EU Pilot 4277/12/MARK ha contestato la compatibilità della legislazione nazionale delle guide turistiche con la normativa europea, laddove la legge italiana prevedeva che l'abilitazione all'esercizio della professione avesse validità solo nella regione o provincia di rilascio, violando la direttiva 2006/123/CE relativa ai servizi nel mercato interno che stabilisce la portata nazionale dell'autorizzazione ad esercitare la professione. Inoltre, sulla base di tali considerazioni, la Commissione ha richiesto al Governo un calendario dettagliato per la definizione di un testo normativo in materia di guide turistiche;
   specificatamente, l'articolo 3 della legge europea 2013, al primo comma, prevede che l'abilitazione alla professione di guida turistica sia valida su tutto il territorio nazionale, invertendo la situazione frammentaria nonché discriminatoria in cui versavano le guide italiane e, al comma 2, precisa il regime di libera prestazione dei servizi per le guide turistiche degli Stati membri;
   tuttavia, nell’iter di approvazione della legge, è stata apportata una modifica sostanziale che ha minato il suddetto principio. Infatti, è stato aggiunto un terzo comma al suddetto articolo che deroga i precedenti, prevedendo l'individuazione di «siti di particolare interesse storico, artistico o archeologico per i quali occorre una specifica abilitazione»;
   a dare attuazione alla disposizione di cui sopra sono stati i decreti del Ministero dei beni, delle attività culturali e del turismo del 7 aprile e dell'11 dicembre 2015: con i quali sono stati rispettivamente individuati più di tremila siti di «particolare interesse» ed è stata definita una specifica abilitazione all'esercizio della professione rilasciata da parte delle regioni e delle province autonome, contrastando evidentemente con quanto previsto dai primi due commi dell'articolo 3 – rischiando di avviare una nuova procedura di infrazione – nonché con la sentenza della Corte costituzionale n. 178 del 2014;
   a tal riguardo il Tar del Lazio, accogliendo il ricorso n. 04787/2016 contro il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha stabilito con sentenza n. 02831/2017 l'annullamento dei due decreti ministeriali di cui sopra e affermato che il terzo comma del suddetto articolo «non può che essere interpretato in via restrittiva, nel senso di attribuire al Ministero un potere eccezionale di escludere l'applicazione della disciplina generale di cui al comma 1», rilevando che: «sono evidenti l'illogicità e irragionevolezza del decreto ministeriale 7 aprile 2015, che ha individuato più di tremila siti [...] e della disciplina del decreto dell'11 dicembre 2015, che ha previsto una specifica abilitazione». Tale decisione comporta la caduta di tutte le limitazioni all'esercizio della professione di guida su base nazionale e delle conseguenti delibere approvate dalle regioni –:
   quali provvedimenti intenda adottare il Ministro interrogato nel rispetto delle disposizioni dell'articolo 3 della legge n. 97 del 6 agosto 2013, a seguito della sentenza del tribunale amministrativo regionale per il Lazio n. 02831/2017 e alla luce dell'invito a una interpretazione restrittiva della previsione legislativa contenuta nel terzo comma del suddetto articolo;
   se ritenga opportuno assumere iniziative volte a provvedere, nel rispetto dei principi costituzionali ed europei, a una revisione organica e complessiva della disciplina della professione di guida turistica, che non si limiti ai profili oggetto dell'articolo 3 della legge europea 2013, ma riguardi anche i requisiti di accesso all'abilitazione e le relative modalità di verifica, uniformi su tutto il territorio nazionale, al fine di assicurare la valorizzazione e la tutela del patrimonio naturale, storico e artistico italiano. (4-16128)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ZOGGIA, BERSANI e RAGOSTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Banca Popolare di Vicenza è stata fondata a Vicenza nel 1866 ed è la prima Banca popolare sorta in Veneto;
   attualmente è controllata dal «Fondo Atlante», costituito per far fronte alle emergenze bancarie;
   la Banca Popolare di Vicenza ha chiuso l'offerta pubblica di transazione (Opt) con i soci «azzerati» raccogliendo adesioni pari al 70,3 per cento delle azioni incluse nel perimetro della proposta, al netto dei soci irreperibili e delle posizioni già oggetto di specifica analisi;
   l'esercizio 2016 si è chiuso con una perdita di 1,9 miliardi di euro, dopo gli 1,4 miliardi di rosso accumulati nel 2015. Sul risultato, si legge in una nota della banca, hanno pesato accantonamenti e rettifiche per 1,72 miliardi di euro;
   per risollevarsi, la B.P. di Vicenza ha chiesto la Bce di autorizzare l'ingresso dello Stato nel capitale. Il ricorso agli aiuti di Stato «è un processo articolato e complesso, che richiede la preventiva decisione della Direzione Generale della Concorrenza (DG Comp) della Commissione Europea sulla compatibilità dell'intervento con la normativa in materia di aiuti di Stato i cui esiti sono allo stato incerti». «Il rafforzamento patrimoniale rappresenta un presupposto per la continuità aziendale e per il positivo completamento dell'operazione di fusione»;
   il peggioramento degli indici di liquidità, invece, ha spinto la banca a chiedere alla Banca d'Italia e al Ministero dell'economia e delle finanze di poter emettere altri titoli con garanzia dello Stato fino a un massimo di 2,2 miliardi con una durata di 3 anni. Nel mese di marzo la situazione della liquidità «è peggiorata quale conseguenza della significativa uscita di raccolta commerciale a seguito dei timori di bail-in connessi alle incertezze sul processo di ricapitalizzazione». Nel 2016 la raccolta diretta era già scesa del 14,4 per cento a 18,8 miliardi per via degli «impatti reputazionali» sul gruppo;
   in una nota della banca si legge i requisiti patrimoniali consolidati pro-forma della Banca Popolare di Vicenza al 31 dicembre, includendo la seconda tranche del versamento in conto futuro aumento di capitale effettuato dal Fondo Atlante;
   nel dettaglio dell'offerta, la transazione si è rivolta a larga parte della base sociale della Banca Popolare di Vicenza, circa 94.000 azionisti, avviata il 10 gennaio e conclusasi alle ore 13.30, sulla base dei preliminari esaminati dal cda riporta adesioni di 66.712 azionisti, pari al 71,9 per cento del totale, portatori del 68,7 per cento delle azioni comprese nel perimetro dell'Offerta medesima. Al netto delle posizioni irrintracciabili e di quelle già oggetto di specifica analisi, la percentuale degli azionisti aderenti è pari al 72,9 per cento, corrispondenti al 70,3 per cento delle azioni BPVi rientranti nel perimetro dell'offerta di transazione. «Il cda – recita la nota – ha espresso la propria soddisfazione, ancorché non sia stata raggiunta la soglia di adesioni dell'80 per cento prevista nel Regolamento dell'Offerta». Il cda ha poi chiesto alle strutture della Banca di completare nel minor tempo possibile i controlli necessari per disporre di un dato certo e definitivo così da consentire, per quanto possibile in occasione della riunione consiliare del 13 aprile di decidere in merito alla rinuncia alla condizione sospensiva rappresentata dal raggiungimento della soglia dell'80 per cento delle adesioni e di procedere, conseguentemente, al versamento del riconoscimento economico di 9 euro per azione spettante agli azionisti che abbiano aderito all'offerta –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda intraprendere al fine di scongiurare il precipitare della crisi che la Banca popolare di Vicenza sta attraversando. (5-11028)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   AMODDIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la situazione degli uffici giudiziari del tribunale di Siracusa è caratterizzata da una preoccupante carenza di organico che inevitabilmente influisce sui tempi e sui carichi di lavoro. Nella relazione analitica presentata dall'associazione nazionale magistrati (Anm) sui carichi di lavoro e sulla situazione degli organici del tribunale e della procura di Siracusa, con riferimento ai flussi in entrata sia nel settore penale che nel settore civile, si evince che la riduzione di un posto dell'organico del tribunale ed il mancato incremento dell'organico della procura sono frutto di un'assoluta sottovalutazione della complessiva situazione di tali uffici, in specie sotto il profilo delle sopravvenienze, come del resto era stato sottolineato sia dal Consiglio giudiziario, nel parere reso nel 2016, che dallo stesso Consiglio superiore della magistratura, nella seduta del 23 novembre 2016, i quali avevano segnalato la necessità di un incremento dell'organico sia del tribunale che della procura della repubblica di Siracusa. L'elevato tasso di turn over dei magistrati, nonché le peculiari caratteristiche del territorio siracusano – in specie la presenza di un polo industriale di enormi dimensioni, i dati del rapporto percentuale tra popolazione e fenomeni criminali e l'elevata incidenza dei flussi migratori e degli sbarchi – unitamente alla ripetuta assenza di aspiranti nei recenti bandi per la copertura dei posti vacanti, avrebbero reso necessaria, da parte del Consiglio superiore della magistratura, l'assegnazione di un numero di M.O.T. pari alle attuali scoperture dell'organico del tribunale e la procura. La drammatica situazione in cui versano il tribunale e la procura avrebbe imposto una revisione in aumento degli organici di entrambi gli uffici i quali – nonostante l'elevata produttività comprovata dai dati degli indici di ricambio e di smaltimento – registrano pendenze pro capite ampiamente superiori alle medie nazionali e tali difficili condizioni di lavoro, che non consentono di assicurare risposte tempestive alle istanze di giustizia, sono – inevitabilmente – suscettibili di pregiudicare l'indipendenza e l'autonomia dei magistrati, soggetti sia a continui rilievi disciplinari che ad esposti e contestazioni, provenienti dal foro e dai cittadini, ma anche la stessa dignità nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali. I numeri riportati dalla giunta distrettuale dell'Anm parlano di una media di milleduecento procedimenti annui in entrata per ciascun magistrato, a fronte di una media degli altri uffici del distretto di settecento procedimenti. La carenza di organico del tribunale di Siracusa, nel novembre 2016, era stata sollevata anche dal Consiglio superiore della magistratura, che aveva espresso preoccupazione per la riduzione della pianta organica dei giudici, ridotta da 31 a 30 unità. Risulta evidente, sulla base dei flussi e dei carichi di lavoro e considerando l'elevata presenza di magistrati di prima nomina che non possono svolgere le funzioni giudice per le indagini preliminari e di giudice dell'udienza preliminare che gli uffici del tribunale di Siracusa si gravano di un carico di lavoro tra i più elevati al livello nazionale il che comporta, inevitabilmente, condizioni di lavoro estreme e tempi di giustizia molto lunghi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle carenze d'organico del tribunale di Siracusa;
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per modificare la pianta organica di procura e tribunale per contrastare la maggiore consistenza dei flussi degli affari civili e penali. (5-11026)

Interrogazione a risposta scritta:


   DISTASO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o settembre 2015 le spese per il funzionamento degli uffici giudiziari sono in capo al Ministero della giustizia, come stabilito dal regolamento approvato dal Consiglio dei ministri del 3 luglio di quell'anno, attuativo di quanto in precedenza previsto dai commi 527-530 dell'articolo 1 della Legge di stabilità 2015 (legge n. 190 del 2014);
   in tale contesto si inserisce la vicenda della sezione lavoro del tribunale di Bari che, come emerso nella stampa locale, i vertici dello stesso tribunale intendono trasferire a Modugno con l'accordo per il momento della Conferenza permanente per il funzionamento degli uffici giudiziari e in attesa del definitivo via libera del Ministero della giustizia;
   sulle ragioni di questo ventilato spostamento, si apprende da un comunicato del sindacato Avvocati di Bari che non risulterebbero essere stati concessi incontri chiarificatori da parte del presidente del tribunale di Bari ai rappresentanti del suddetto sindacato; le ragioni dello spostamento potrebbero riguardare diversi profili:
    a) la necessità di riorganizzare gli archivi dei fascicoli del tribunale di Bari;
    b) intervenire sul piano riorganizzativo in vista della soppressione, a partire dal 2018 in virtù di quanto disposto dal decreto legislativo n. 155 del 2012, delle articolazioni periferiche del tribunale di Bari che hanno sede in Altamura, Modugno e Rutigliano;
    c) la necessità di utilizzare l'immobile di Modugno, appartenente al Demanio e sul quale un mutuo è stato di recente rinegoziato;
   a fronte di un'operazione considerata di dubbia utilità pratica, si rischia di ingenerare una non necessaria frammentazione degli uffici giudiziari di Bari con le udienze di primo grado per le cause di lavoro da svolgersi a Modugno e quelle d'appello che invece continuerebbero a svolgersi nel capoluogo pugliese;
   risulta inoltre che l'immobile di Modugno interessato necessiti di numerosi e probabilmente molto costosi interventi di ristrutturazione per essere reso realmente fruibile, mentre è una certezza che il tribunale di Bari versa in condizioni del tutto deficitarie sul piano strutturale e della sicurezza di chi vi opera, sempre in attesa di sviluppi sulla paventata nuova «cittadella della giustizia» –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle sue competenze, sia a conoscenza delle ragioni alla base della decisione di trasferire a Modugno la sezione lavoro del tribunale di Bari;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per l'avvio di una più approfondita istruttoria in merito ai possibili disagi che, dal punto di vista dell'organizzazione e del funzionamento degli uffici giudiziari, potrebbero derivare da tale decisione;
   se intenda raccogliere elementi di valutazione in merito alle condizioni precarie del tribunale di Bari e alla necessità di fare chiarezza sul futuro dello stesso. (4-16136)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'articolo 32, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 164 del 2014, ha equiparato i «marina resort», che sono strutture organizzate per la sosta e il pernottamento di turisti all'interno delle proprie unità da diporto ormeggiate nello specchio acqueo appositamente attrezzato, alle «strutture ricettive all'aria aperta» e quindi assoggettate ad aliquota agevolata del 10 per cento (già prevista per altri settori del turismo), con applicazione limitata per un anno sino al 31 dicembre 2014. All'attuazione di quanto disposto dal citato articolo 32 ha provveduto il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti 3 ottobre 2014 che ha definito i requisiti minimi ai fini dell'equiparazione;
   successivamente, la legge di Stabilità 2015 ne ha esteso gli effetti sino al 31 dicembre 2015;
   infine, l'articolo 1, comma 365, legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), al fine di rilanciare le imprese della filiera nautica, ha reso definitiva, a decorrere dal 1o gennaio 2016, la riconducibilità dei marina resort alle strutture ricettive all'aria aperta e di conseguenza permanente l'applicazione, alle prestazioni rese ai clienti ivi alloggiati, dell'aliquota ridotta IVA del 10 per cento di cui al n. 120) della Tabella A, Parte III, allegata al decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, riferita alle prestazioni rese ai clienti alloggiati nelle strutture ricettive, nonché alle prestazioni di maggiore comfort alberghiero rese a persone ricoverate in istituti sanitari;
   la definizione dei requisiti delle strutture ricettive turistiche, afferendo alla materia turismo, rientra tra le competenze che la Costituzione attribuisce alle regioni, sebbene lo Stato possa dettarne norme quadro;
   precedentemente alcune regioni come la Liguria, il Friuli Venezia Giulia e l'Emilia Romagna avevano già varato leggi regionali ad hoc sul principio di equiparazione dei «marina resort» alle strutture ricettive all'aperto e continuano ad applicare, se la struttura portuale ha i requisiti di «marina resort», l'Iva agevolata in luogo di quella al 22 per cento;
   con sentenza 26 gennaio 2016, n. 21, la Corte costituzionale, a cui si era rivolta la regione Campania sollevando la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 32 del decreto-legge n. 133 del 2014, sostenendo contro i suoi stessi interessi che tali disposizioni non erano applicabili sul suo territorio, ha sancito l'illegittimità parziale della norma laddove non contempla che la configurazione delle suddette strutture debba avvenire nel rispetto di requisiti stabiliti dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sentito il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, previa intesa nella Conferenza Stato-regioni;
   altre regioni, come la Sardegna e la stessa Campania, a quanto consta all'interpellante, hanno deciso di non applicare la sentenza della Corte costituzionale e di varare norme che permettano di applicare l'IVA turistica al 10 per cento in luogo del 22 per cento sui posti barca in transito;
   questa confusione normativa sta di fatto ostacolando la stipula e il rinnovo di molti contratti di ormeggio e creando incertezza e disorientamento in molti clienti italiani ed esteri;
   se il Governo non ritenga opportuno adottare iniziative conseguenti alla dichiarata illegittimità costituzionale parziale della norma sui «marina resort» di cui all'articolo 32, comma 1, del decreto- legge n. 133 del 2014, come successivamente modificata, e fornire chiarimenti in merito all'applicazione dell'Iva sui posti barca ormeggiati.
(2-01738) «Molea».

Interrogazioni a risposta scritta:


   FASSINA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti stampa (ilFattoquotidiano.it), da qualche giorno, l'accesso al sito di informazione aeronautica e agenzia di stampa « Avionews» all'interno dell'aeroporto di Fiumicino sarebbe stato bloccato;
   sempre secondo notizie di stampa, si è appreso che la decisione di bloccare la pagina di Avionews è stata assunta dall'azienda israeliana Check Point Software Technologies, produttrice di dispositivi di rete e software, che gestisce questi aspetti informatici dell'aeroporto;
   accedendo al sito era possibile leggere anche la spiegazione del divieto: «L'accesso a Avionews è bloccato in base alla politica di sicurezza dell'organizzazione. Categoria: armi»;
   a ilFattoquotidiano.it la faccenda è stata segnalata la mattina di mercoledì 29 marzo 2017 da diverse fonti: passeggeri in transito nell'aeroporto di Roma, dipendenti Alitalia di base a Fiumicino, piloti, assistenti di volo. Alcune di queste fonti mettevano in relazione il blocco del sito Avionews a Fiumicino con la circostanza che il giorno prima l'agenzia di stampa aveva ospitato un articolo molto dettagliato e molto critico di analisi del piano Alitalia scritto da Gaetano Intrieri, docente all'università Tor Vergata di sistemi complessi. L'ostracismo sarebbe stato una ritorsione censoria nei confronti di quello scritto –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, volte ad appurare per quale motivo la società di gestione dell'Aeroporto di Fiumicino abbia esternalizzato un settore così delicato e strategico del sistema aeroportuale ad una società straniera;
   se s'intendano avviare verifiche ispettive, per quanto di competenza, al fine di comprendere modalità, soggetti e criteri che hanno sotteso alla scelta di oscurare il sito di cui in premessa, pur essendo un'agenzia di stampa regolarmente registrata presso l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni. (4-16130)


   D'UVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a norma dell'articolo 16 della legge 12 agosto 1982 n. 531, è stato costituito il Consorzio unificato per le Autostrade Siciliane (CAS) fra il Consorzio per l'autostrada Messina-Palermo, il Consorzio per l'autostrada Messina-Catania-Siracusa e il Consorzio per l'autostrada Siracusa-Gela, con lo scopo, ex articolo 2 dello Statuto che lo disciplina, del «completamento dei lavori di costruzione non ancora realizzati delle autostrade Messina-Palermo, Messina-Catania-Siracusa e Siracusa-Gela e la realizzazione di eventuali altre iniziative nel settore autostradale e stradale di cui il Consorzio dovesse risultare concessionario o affidatario, nonché l'esercizio dell'intera rete assentita in concessione o affidata.»;
   il consorzio per le autostrade siciliane, attualmente concessionario Anas, è da tempo sottoposto ad indagini penali e contabili a causa di presunti sprechi di denaro pubblico e per la mancanza di adeguati sistemi di sicurezza e di manutenzione nei tratti autostradali da esso direttamente gestiti, peraltro in aperta violazione dello stesso contratto di concessione;
   rispondendo ad una precedente interrogazione al riguardo, in data 17 dicembre 2015 (5-07200), il Sottosegretario di Stato alle infrastrutture e trasporti ha dichiarato: «le criticità esposte sono già all'attenzione dei competenti uffici del MIT e, come è noto, già dal 2006 ha avviato una procedura di contestazione nei confronti del CAS per gravi inadempienze alla Convenzione. Tale procedura si è conclusa con il decreto interministeriale n. 457 del 5 luglio 2010 che ha disposto la decadenza dalla concessione assentita al CAS. Tuttavia, tale provvedimento è stato dichiarato nullo con sentenza del Consiglio di Giustizia Amministrativa nel 2011.»;
   questi ha proseguito rappresentando che «è stata avviata, infatti, nel gennaio 2013, una ulteriore procedura di contestazione formale che potrebbe condurre ad un nuovo pronunciamento di decadenza dalla concessione qualora il citato Consorzio dovesse perseverare, non risolvendo i mancati adempimenti contestati, sia di natura tecnica che amministrativa, relativi al quinquennio 2009-2013. La descritta procedura di contestazione e stata formalizzata in data 4 dicembre 2014 con atto di diffida e messa in mora per un nuovo pronunciamento di decadenza della concessione; a seguito delle controdeduzioni addotte dal Consorzio, le stesse sono state rigettate e, ad oggi, è in fase conclusiva la relativa istruttoria che potrà produrre, come detto, una nuova disposizione di decadenza. In aggiunta a tale contestazione formale e per fatti successivi all'avvio della stessa, il MIT ha ulteriormente avanzato contestazioni per inadempimenti di natura tecnica e amministrativa al CAS, al 30 giugno dell'anno 2014 relativamente al 2013 e al 30 giugno dell'anno 2015 relativamente al 2014, per gli inadempimenti alla vigente convenzione.»;
   nonostante le contestazioni ripetutamente avanzate, il Consorzio per le autostrade siciliane, che è rimasto concessionario delle arterie autostradali siciliane, continua tuttavia ad omettere, se non per interventi marginali, l'esecuzione delle manutenzioni ordinarie e straordinarie necessarie alla messa in sicurezza della sede stradale, che presenta numerose buche, asfalto dissestato e molteplici restringimenti, risultando vistosamente inadatta alla percorrenza veloce ed estremamente pericolosa per l'incolumità di coloro che ne usufruiscono –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, intenda verificare la persistenza di gravi inadempienze da parte del Consorzio per le autostrade siciliane nei sistemi di sicurezza e manutenzione stradale delle arterie affidate alla sua diretta gestione, indicando altresì quali iniziative urgenti intenda adottare, nel caso di accertata inadempienza, per garantire nel più breve tempo possibile il livello di sicurezza imposto dalle norme di legge nelle autostrade siciliane. (4-16131)

INTERNO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   il 30 novembre 2016, la prefettura di Roma – ufficio territoriale del Governo ha indetto una indagine di mercato, volta ad individuare un immobile da destinare ad hub di prima accoglienza per cittadini stranieri richiedenti asilo nell'ambito della Città metropolitana di Roma Capitale;
   in una nota del 14 marzo 2016, pubblicata sul sito della prefettura di Roma, è stato reso noto che la Commissione appositamente istituita ha ritenuto idonei numero 2 immobili in locazione da utilizzare per l'accoglienza di migranti richiedenti asilo, proposti dalla Idea Fimit SGR Spa Fondo Alfha e dalla Immobiliare Parco dei Tigli Srl, per i quali è stato avviato l'iter locativo presso l'Agenzia del demanio;
   come riportato da diversi organi di stampa, una delle due strutture residenziali preposte, che dovrebbero poter ospitare oltre mille richiedenti asilo, risulterebbe essere individuata in vicolo del Casal Lumbroso 77, quartiere Massimina – XII Municipio Roma, di proprietà della Idea Fimit SGR Spa Fondo Alpha, che è inutilizzata da 15 anni e presumibilmente in stato di deterioramento, tant’è vero che, come evince dal sito del comune di Roma, assessorato all'urbanistica e il dipartimento programmazione e attuazione urbanistica – U.O. Città Consolidata hanno già avviato una prima fase del processo partecipativo riguardante il piano di recupero del complesso stesso. Tale destinazione contrasta con quella ipotizzata dalla prefettura di Roma;
   il quartiere di Massimina, da sempre carente di servizi, trasporti pubblici e pubblica sicurezza, vede la presenza della discarica di Malagrotta, di altri impianti industriali e del campo rom La Monachina; tutto ciò desta disagio nel territorio. La struttura limitrofa allo stabile di vicolo Casal Lumbroso n. 77, peraltro, è già stata utilizzata per accogliere famiglie con difficoltà;
   la decisione di destinare la suddetta struttura ad hub per l'accoglienza per migranti ha suscitato, fin da subito, proteste da parte dei residenti della zona di Massimina e Casal Lumbroso, che hanno organizzato legittime manifestazioni e fiaccolate per esprimere il proprio dissenso e per dimostrare, al contempo, la loro indignazione. Un'area fortemente compromessa che accoglie già centinaia di profughi tra l'Hotel Gelsomino sull'Aurelia, la tendopoli all'interno della sede della Croce rossa italiana di via Ramazzini e il Centro di accoglienza e espulsione di Ponte Galeria;
   il 3 aprile è prevista un'altra fiaccolata, a partire dalle ore 19, per le vie del quartiere Massimina/Casal Lumbroso;
   una nota pubblicata il 17 marzo 2017 sul sito del comune di Roma Capitale riporta che «in merito alla paventata apertura di un HUB per migranti in zona Massimina/Casal Lumbroso, la stessa Amministrazione ha prontamente inoltrato un'apposita richiesta di chiarimenti alla Prefettura onde avere esatta contezza dello stato della procedura amministrativa [...] La Presidente e la Giunta hanno manifestato palesemente e in più occasioni l'assoluto diniego all'apertura di nuovi centri di accoglienza nel Municipio Roma XII, che da solo accoglie oltre 500 persone tra l'HUB di Via Ramazzini e il Centro di Accoglienza Straordinaria (CAS) di Largo Perassi. Qualora il centro a Massimina venisse aperto, questo ulteriore carico non sarebbe ammissibile e, nel caso, questa Amministrazione si batterà in tutte le sedi, istituzionali e non, affinché questo non avvenga [...]»;
   per quanto è dato sapere, la prefettura di Roma non ha mai interpellato e/o coinvolto né le istituzioni territoriali, né gli enti di competenza, tanto meno gli abitanti dei quartieri Massimina/Casal Lumbroso nella scelta dell'ipotesi di apertura di un hub per migranti –:
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e, in particolare, se corrisponda al vero la notizia che una delle due strutture individuate da destinare ad hub sia la struttura, situata in vicolo Casal Lumbroso n. 77, Roma, e come si giustifichi tale decisione, alla luce della volontà contraria più volte espressa sia dagli esponenti delle istituzioni locali, che dai residenti della zona di Massimina/Casal Lumbroso e delle altre località limitrofe;
   qualora tale scelta fosse confermata, quali iniziative urgenti di competenza il Ministro interpellato intenda adottare per rivedere la decisione circa l'immobile in questione, che ha sede in un territorio già sensibilmente delicato dal punto di vista della sicurezza e dell'ambiente;
   se, nel caso specifico, l'immobile da destinare ad hub di Massimina/Casal Lumbroso sia strettamente attenzionato e monitorato;
   se non intenda chiarire il significato di «hub» e la relativa natura giuridica rispetto all'ordinamento vigente;
   se corrisponda al vero la circostanza che alcun tentativo di mediazione con i residenti del quartiere sia stato effettuato da parte della prefettura competente e se non intenda avviare iniziative affinché si proceda nell'immediato ad ascoltare le ragioni degli abitanti del quartiere Massimina e Casal Lumbroso;
   se corrisponda al vero che l’hub di accoglienza a Massimina/Casal Lumbroso dovrebbe ospitare dai 500 ai 1.000 migranti richiedenti asilo e se non ritenga che una presenza così numerosa in una sola struttura, in un quartiere di sole 5.000 famiglie circa, non possa creare problemi sia alla convivenza tra gli stessi migranti, sia alla socialità tra gli abitanti del quartiere;
   se ritenga di fornire dettagli sullo stato di idoneità della struttura di cui in premessa, con particolare riguardo alle verifiche riguardanti il rispetto di tutti gli standard di sicurezza igienico-ambientali.
(2-01739) «Vignaroli, Brescia».

Interrogazioni a risposta scritta:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   martedì 28 marzo 2017, alle 10.12 del mattino, una gioielleria situata in via Vittorio Emanuele, nel pieno centro di Como, veniva assalita da due rapinatori, uno dei quali estraeva una pistola, intimando in inglese al titolare dell'esercizio di stendersi per terra;
   un amico del titolare, presente al momento dei fatti all'interno della gioielleria, veniva invece afferrato per la testa e scaraventato sul pavimento;
   i due rapinatori provvedevano quindi a svuotare le vetrinette della gioielleria, già aperte, concludendo la sottrazione dei preziosi in pochissimo tempo, pare addirittura meno di un minuto;
   quanto accadeva nella gioielleria veniva tuttavia notato da alcune passanti, una delle quali aveva il coraggio e la freddezza di attendere l'uscita dei rapinatori, per fotografarli e poi chiamare le forze dell'ordine;
   stando alla stampa locale, tuttavia, le forze dell'ordine altro non potevano fare che effettuare un sopralluogo ed acquisire i filmati ripresi dalle videocamere attive nell'area, per ricostruire la vicenda ed identificare i colpevoli;
   in presenza di malviventi tanto ben organizzati, veloci e determinati a colpire anche gli esercizi commerciali nel pieno centro di Como, sembra evidente la necessità di potenziare la presenza locale delle forze di polizia –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere, ed in che tempi, per contrastare le attività della criminalità a Como ed in particolare se il Governo intenda o meno potenziare i locali presidi delle forze dell'ordine, in modo tale da garantire più efficacemente la sicurezza del centro cittadino. (4-16129)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 marzo 2017, in occasione del 60o anniversario dei Trattati di Roma, la capitale è stata attraversata da diverse manifestazioni, organizzate da una pluralità di soggetti politici e sociali;
   nelle settimane precedenti erano stati diffusi numerosi allarmi relativi alla possibilità che in questo contesto potessero verificarsi disordini e problemi di ordine pubblico, al punto da indurre il Governo a limitare di fatto il diritto costituzionale di manifestazione;
   fra le varie misure adottate, si evidenziano la scelta di impedire preventivamente l'accesso alla capitale a soggetti ritenuti potenzialmente pericolosi per l'ordine pubblico, così come la consegna di foglio di via ad effetto immediato a chi fosse controllato e valutato allo stesso modo, o il trattenimento in caserma per l'intera giornata;
   desta forte preoccupazione la notifica ad alcuni manifestanti di foglio di via con divieto di ritorno per due anni nel territorio del comune di Roma, in assenza di esplicita e preventiva autorizzazione;
   non si comprende infatti sulla base di quale principio si decida di limitare la libertà di movimento sul territorio nazionale di cittadini italiani sulla base di un atto amministrativo e in assenza di qualsiasi pericolo immediato e contingente per la sicurezza o la sanità pubblica;
   non appare infatti giustificabile un vincolo ad un diritto garantito dall'articolo 16 della Costituzione per un tempo prolungato nel futuro, che non trova alcuna ragione oggettiva o soggettiva –:
   sulla base di quali princìpi e valutazioni la questura di Roma abbia emesso fogli di via con divieto di ritorno per due anni nella Capitale, dato che lo scopo dichiarato era la tutela dell'ordine pubblico nella giornata del 25 marzo 2017;
   se non ritenga di dover intervenire per revocarne gli effetti. (4-16134)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Fondo agevolazioni ricerca (FAR) è stato istituito con decreto ministeriale 8 agosto 2000, n. 593 recante: «Modalità procedurali per la concessione delle agevolazioni previste dal decreto legislativo 27 luglio 1999, n. 297»;
   il decreto ministeriale sopra citato operava un riordino e una razionalizzazione di tutto il sistema di agevolazione alla ricerca industriale e sviluppo sperimentale, riunendo in un unico testo regolamentare il complessivo pacchetto agevolativo diretto alle imprese che investono in ricerca e sviluppo;
   con il decreto ministeriale 19 febbraio 2013 n. 115, recante «Modalità di utilizzo e gestione del Fondo per gli investimenti nella ricerca scientifica e tecnologica (FIRST)», venne sostituita la previgente normativa ministeriale istituente il FAR, prevedendo una apposita disciplina della fase transitoria di applicazione delle nuove disposizioni del FIRST (inclusiva del FAR), con conseguente abrogazione del suddetto decreto ministeriale n. 593 del 2000. Il decreto ministeriale n. 115 del 2013, inoltre, prevedeva che, per il completamento degli adempimenti connessi alla realizzazione dei progetti presentati in vigenza di precedenti disposizioni restassero vigenti i criteri e le modalità procedurali stabilite dal decreto ministeriale n. 593 del 2000 e successive modificazioni;
   il Parco tecnologico padano s.r.l., polo di eccellenza della Lombardia nel settore della ricerca, alla data del 15 ottobre 2016 risultava insolvente sul piano di ammortamento relativo ad un progetto presentato ai sensi dell'articolo 10 del decreto ministeriale n. 593 del 2000 relativo allo «Sviluppo di sistemi integrati per la caratterizzazione, il miglioramento, la selezione e la propagazione di razze animali e vegetali»;
   tale circostanza costituisce motivo di decadenza dalle agevolazioni, se il predetto Parco tecnologico padano non avesse fatto recapitare – adempimento al quale ha dato puntuale esecuzione – alla direzione generale per il coordinamento, la promozione e la valorizzazione della ricerca – ufficio II, le sue controdeduzioni, questi avrebbe provveduto alla revoca delle agevolazioni concesse;
   il Parco tecnologico padano, in una nota inviata al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 15 dicembre 2016, fa notare come questi sia stato sempre rispettoso dei termini di rimborso avvalendosi, con riferimento alle sole ultime due rate della compensazione del proprio debito residuo, con il maggior credito maturato nei confronti del Ministero – richiesta inoltrata fin dal febbraio 2015 – per ulteriori progetti ammessi alle agevolazioni a valere sul FAR;
   il 26 gennaio 2017 il Parco tecnologico padano, in risposta ad una nota del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 18 gennaio 2017, ha inoltrato una scheda riepilogativa dei progetti in corso e degli importi e credito e a debito calcolati in base ai costi rendicontati e al netto delle anticipazioni già erogate;
   allo stato attuale, risulta all'interrogante, che non siano ancora state messe in liquidazione le somme di cui sopra – le richieste sono ferme da più di un anno senza alcuna plausibile giustificazione – verso le quali il Parco tecnologico padano, ma non solo, vanta un credito;
   risulta inoltre che, entro il 30 marzo 2017, l'ufficio IV della suddetta direzione dovrà procedere alla chiusura della rendicontazione dei progetti PON ancora aperti;
   il Parco tecnologico padano ha ripetutamente sollecitato l'erogazione della differenza dovuta in suo favore, il cui ritardo sta provocando allo stesso uno stato di grave tensione finanziaria. La prospettata revoca delle agevolazioni, che potrebbe irrimediabilmente compromettere le sorti del parco, sarebbe davvero grave ed ingiustificata, a fronte della compensazione invocata e comunque del puntuale rispetto delle obbligazioni poste a carico del Parco tecnologico padano e dei crediti tutt'ora vantanti verso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda sopra citata e quali iniziative urgenti intenda adottare per porre in liquidazione le somme verso le quali il Parco tecnologico padano, come anche altri soggetti, sono creditori e archiviare definitivamente il provvedimento di revoca delle agevolazioni e porre in essere, quindi, la compensazione.
(5-11019)


   MALISANI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   notizie sui quotidiani riferiscono che a un mese dalla collocazione in quiescenza del dirigente titolare dell'ufficio scolastico regionale, dottor Pietro Biasiol, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non ha ancora provveduto a nominare il suo sostituto;
   tale assenza sta determinando, secondo l'Associazione nazionale dei presidi e i sindacati di categoria, un progressivo mal funzionamento del sistema scolastico regionale, già gravato dal problema della carenza di dirigenti scolastici che ha provocato un abnorme ricorso all'istituto delle reggenze che rendono gran parte delle istituzioni scolastiche prive di un dirigente titolare stabile;
   attualmente l'ufficio scolastico regionale per il Friuli Venezia Giulia si articola in n. 6 uffici dirigenziali non generali, di cui n. 1 ufficio per la trattazione degli affari riguardanti l'istruzione in lingua slovena ex articolo 13 della legge 23 febbraio 2001, n. 38, e in n. 7 posizioni dirigenziali non generali per l'espletamento delle funzioni tecnico-ispettive –:
   se non si ritenga oltremodo urgente nominare un nuovo dirigente titolare dell'ufficio scolastico del Friuli Venezia Giulia;
   se non si ritenga opportuno rivedere – tenuto conto anche delle peculiarità linguistiche della regione a statuto speciale – l'articolo 1 del decreto ministeriale 18 dicembre 2014 n. 913 recante Organizzazione e compiti degli uffici di livello dirigenziale non generale istituiti presso l'Ufficio scolastico regionale per il Friuli Venezia Giulia (riorganizzazione avviata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 febbraio 2014, n. 98, regolamento di organizzazione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca) il quale ha declassato l'ufficio scolastico regionale per il Friuli Venezia Giulia dichiarandolo di «livello dirigenziale non generale». (5-11024)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICCHI, SCOTTO e BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la terza fascia d'Istituto comprende oltre i neolaureati, migliaia di insegnanti, anche docenti con pluriennale esperienza di servizio che, per diversi motivi, non hanno ancora ottenuto l'abilitazione;
   detti docenti sono membri delle commissioni di esame, interrogano, firmano i registri, e, al pari di quelli di ruolo e degli altri precari, sono assolutamente indispensabili nel garantire quotidianamente, e negli anni, la didattica e il funzionamento delle nostre scuole;
   è necessario rimuovere le disparità, e definire una fase transitoria che permetta finalmente di valorizzare migliaia di lavoratori della scuola, docenti qualificati ma privi della usuale abilitazione;
   il 16 marzo 2017, la Commissione cultura della Camera ha concluso l'esame dello schema di decreto legislativo relativo al «riordino, adeguamento e semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso nei ruoli di docente nella scuola secondaria, per renderlo funzionale alla valorizzazione sociale e culturale della professione», e attuativo della delega prevista ai commi 180, 181 e 182 della legge 107/2015, cosiddetta «Buona Scuola»;
   il suddetto decreto attuativo si pone, ancora una volta, secondo gli interroganti, come ingiustamente penalizzante nei confronti di lavoratori che prestano servizio da molti anni;
   tra le condizioni poste nel parere approvato in Commissione al citato schema di decreto attuativo, si chiede che tutti i docenti in possesso, alla data di entrata in vigore del presente decreto, di titolo abilitante all'insegnamento nella scuola secondaria o di specializzazione di sostegno, siano inseriti entro l'anno scolastico 2017/2018 in una speciale graduatoria regionale di merito, ad esaurimento, sulla base anche dei titoli posseduti, ivi incluso il servizio prestato presso istituzioni scolastiche statali o paritarie, e della valutazione conseguita in una apposita prova;
   dalla suddetta previsione risulta penalizzato chi – pur non essendo ancora abilitato – è in possesso di almeno tre annualità di servizio continuative;
   per i suddetti docenti, la commissione cultura ha, invece, previsto nel suddetto parere la possibilità di essere ammessi a partecipare a speciali sessioni concorsuali loro riservate. I vincitori di tali concorsi saranno ammessi, in ordine di graduatoria e nel limite del numero dei posti banditi, al percorso triennale di formazione iniziale, tirocinio e inserimento nella funzione di docente (FIT) con esonero dalle attività del secondo anno e dall'acquisizione dei crediti previsti per il secondo e terzo anno;
   i lavoratori di terza fascia delle graduatorie di istituto, pur lavorando da anni e in maniera continuativa, non hanno avuto la possibilità di accedere ad un percorso abilitante speciale (Pas) –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente assumere iniziative normative al fine di prevedere per i docenti di terza fascia delle graduatorie d'Istituto con esperienza lavorativa di almeno tre annualità di servizio continuativo, l'immissione in una «graduatoria transitoria», ossia una graduatoria regionale di merito (GRM), come per i colleghi attualmente abilitati, procedendo quindi alla fase di abilitazione con corso-concorso abilitante per titoli e servizio. (4-16135)


   CAPODICASA e ZAPPULLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la VI sezione del Consiglio di Stato, con la sentenza n. 1973 del 16 aprile 2015, ha annullato il decreto ministeriale n. 235 del 2014, nella parte in cui non consentiva, ai docenti in possesso del diploma magistrale abilitante (in quanto conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002), l'iscrizione anche nelle graduatorie ad esaurimento, atteso che la legge n. 296 del 2006 impone al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca di inserire nelle graduatorie ad esaurimento «i docenti già in possesso di abilitazione» al momento della trasformazione delle graduatorie permanenti in graduatorie ad esaurimento;
   il Consiglio di Stato, con le successive sentenze n. 3628 del 21 luglio 2015 nn. 3673 e 3675 del 27 luglio 2015, n. 3788 del 3 agosto 2015, n. 4232 del 10 settembre 2015 e n. 439 del 2015, nel ribadire l'illegittimità del decreto ministeriale n. 235 del 2014, ha confermato che la legge n. 296 del 2006 impone di inserire nelle graduatoria ad esaurimento i diplomati magistrali del vecchio ordinamento poiché «i diplomati magistrali con il titolo conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, al momento della trasformazione delle graduatorie da permanenti ad esaurimento, erano da considerare in possesso del titolo abilitante;
   con ordinanza del 27 aprile 2016 il Consiglio di Stato in adunanza plenaria ha confermato il pieno diritto dei diplomati magistrale, con titolo conseguito entro l'anno scolastico 2001/2002, ad essere inseriti nelle graduatorie ad esaurimento, «considerato che non appare opportuno discostarsi dall'orientamento già espresso dalla Sezione Sesta nelle sentenze citate nella ordinanza di rimessione (cfr. per tutte Sentenza n. 1973 del 2015) e in numerose altre pronunce cautelari, secondo cui i soggetti muniti di diploma magistrale conseguito entro l'anno 2001/2002 hanno titolo per essere inseriti nelle graduatoria ad esaurimento»;
   il tribunale amministrativo regionale del Lazio, con sentenza già passata in giudicato n. 143277 del 2015, ha accolto un recente ricorso presentato dai diplomati magistrali del vecchio ordinamento con la seguente motivazione: «Considerato, pertanto, che il decreto ministeriale n. 235/2014 – di cui il decreto ministeriale impugnato in questa sede è parte integrante e che, nella relativa previsione, ne ripete pedissequamente i contenuti – è stato annullato in parte qua con la sentenza di cui in precedenza con efficacia che è stata ritenuta, da parte del Collegio, in analogo e precedente contenzioso, operare erga omnes nei confronti di chi si trovi nella medesima posizione»;
   nonostante la citata copiosa giurisprudenza favorevole in subiecta materia, la Corte d'appello di Brescia, con una decisione sorprendente (sentenza n. 93 del 2017, pubblicata il 13 marzo 2017), ha respinto i ricorsi dei diplomati magistrale condannandoli finanche al pagamento delle spese legali;
   la sentenza del Consiglio di Stato n. 1793 del 2015 ha fatto venire meno con efficacia erga omnes le disposizioni regolamentari («i criteri») che non consentivano l'inserimento nelle graduatoria ad esaurimento dei docenti diplomati magistrali entro l'anno scolastico 2001/2002, per cui anche «i soggetti diversi dalle parti presenti nel giudizio preso a riferimento possono far valere gli effetti connessi o conseguenti a tale annullamento, con eliminazione, altresì, degli atti successivamente emanati dall'amministrazione» (così Consiglio di Stato sezione IV del 4 maggio 2004, n. 2754) –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere le iniziative per garantire l'applicazione erga omnes della sentenza del Consiglio di Stato n. 1973 del 16 aprile 2015, con conseguente riconoscimento a tutti i docenti in possesso del diploma magistrale abilitante del diritto di ottenere l'inserimento nelle graduatorie ad esaurimento. (4-16137)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   il Ministro della Salute, Beatrice Lorenzin il 16 gennaio 2017 dichiarava: «I controlli e le ispezioni dei Nas sono cominciati prima di Natale così come avevamo concordato, su tutto il territorio nazionale. E i numeri lo confermano. Un'attività – afferma il Ministro – continua e che va ben oltre i casi e le emergenze che finiscono sui giornali, come il caso di Nola. Non solo dunque controlli nei pronto soccorso ma in tutta la rete dei servizi sanitari e della sicurezza alimentare»;
   sono decine i casi di mala gestione delle strutture ospedaliere in tutta Italia, segnalate con reiterati atti di sindacato ispettivo, con la richiesta di interventi diretti del Ministro attraverso l'invio di ispettori ministeriali o deleghe a strumenti operativi sul territorio;
   sono altresì numerosi i casi di gestione sanitaria e di servizi connessi legati a situazioni riscontrati in tutte le regioni per le quali sono stati sollecitati interventi diretti del Ministro, anche attraverso atti di sindacato ispettivo;
   nell'ambito del monitoraggio della qualità delle attività sanitarie regionali con riferimento ai livelli essenziali delle prestazioni erogate rientrano obbligatoriamente le strutture connesse all'erogazione di servizi essenziali come appunto la gestione delle mense;
   la situazione relativa alla gestione degli ospedali dei presidi ospedalieri del Sulcis Iglesiente, già grave per quanto riguarda la parte sanitaria, come evidenziato con atti di sindacato ispettivo reiterati presentati dal sottoscritto interpellante, risulta preoccupante anche per quanto riguarda la parte relativa alla garanzia di qualità dei servizi essenziali a partire dalla gestione dei pasti ai pazienti;
   l'appalto dopo infiniti ritardi e proroghe è stato affidato con un ribasso rilevantissimo ad un'azienda di Bolzano, la Markas, che ad oggi non risulta in grado di gestire il servizio secondo quanto previsto dal capitolato a partire dalla mancata attivazione del centro cucine di Portoscuso;
   risulta all'interrogante che ad oggi i pasti vengano confezionati a Decimomannu, fuori dalla stessa Asl e a distanza rilevante, pregiudicando qualità del servizio stesso, e poi trasferiti nelle strutture ospedaliere del Sulcis;
   le mense dell'ospedale CTO sono chiuse per lavori e risulta impossibile garantire anche le minime operazioni di lavaggio e sanificazione degli stessi vassoi dei pazienti;
   si tratta di una gravissima carenza sul piano del servizio essenziale del funzionamento di una struttura ospedaliera con il mancato adempimento delle stesse prescrizioni contrattuali;
   risulta all'interrogante che la società aggiudicataria dell'appalto, abbia infatti, ridotto drasticamente anche gli stipendi dei lavoratori, per cui emergerebbe una situazione gravissima di lesione dei diritti dei lavoratori;
   sembra si tratti di un atteggiamento assai diffuso delle imprese d'appalto, oggetto di numerosissimi atti di sindacato ispettivo e denunce presso gli uffici periferici del lavoro;
   i lavoratori della precedente gestione, come previsto, sono stati riassunti, ma molti dipendenti sono drasticamente passati dalle 40 ore settimanali alle 15, in contrasto con le stesse disposizioni contrattuali;
   nell'offerta di gara era specificato che il centro cottura principale sarebbe stato a Portoscuso cosa che non si sta in alcun modo verificando, approvvigionando i pasti da un'altra Asl, con tutto quello che questo comporta;
   l'Ispettorato del lavoro ha ulteriormente rinviato un incontro per affrontare la situazione relativa a questo drastico ridimensionamento sia del quadro orario che retributivo;
   si tratta di una riduzione a giudizio dell'interrogante del tutto ingiustificata e illegittima, considerato che la gara prevedeva un monte ore predefinito;
   appare inaccettabile la giustificazione di un affidamento d'urgenza, considerato che l'azienda Asl ha assegnato l'appalto alla società che risultava vincitrice d'appalto già da un anno;
   il rischio è che i dipendenti debbano affrontare due anni di appalto in queste condizioni;
   alla base di tutto ci sarebbe un ribasso del 40 per cento per il quale la Asl ha chiesto la verifica di congruità che puntualmente non si sta riscontrando nell'effettivo esercizio del servizio –:
   se non ritenga il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per quanto di propria competenza, di acquisire elementi rispetto dei contratti di lavoro e dei livelli retributivi, anche attraverso le strutture delegate, ed adoperarsi onde evitare che siano perseguite azioni tese a far gravare sui lavoratori ribassi ingiustificabili nelle offerte di gara;
   se non ritenga il Ministro della salute di valutare se siano garantiti i livelli essenziali di assistenza negli ospedali di pertinenza della Asl Sulcis, anche con riferimento alle condizioni gestionali degli ospedali stessi e dei relativi effetti, a partire dal servizio pasti e mensa.
(2-01740) «Pili».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il comma 179 dell'articolo 1 della legge n. 232 del 2016 (legge di stabilità 2017) prevede l'Ape agevolato (Ape sociale) quale misura di anticipo previdenziale, senza oneri aggiuntivi a carico del lavoratore, individuando una serie di soggetti quali potenziali beneficiari;
   tra i soggetti potenzialmente interessati vi sarebbero anche i lavoratori « caregiver» purché siano familiari conviventi di primo grado della persona disabile assistita e che abbiano come requisiti 63 anni di età anagrafica e 36 anni di anzianità contributiva;
   tale misura tuttavia presenta evidenti limiti nel caso in cui il lavoratore in possesso dei requisiti predetti si trovi ad assistere un disabile grave, senza genitori, senza coniuge e senza discendenza e quindi non di «primo grado» pur in possesso dei benefici previsti dalla legge n. 104 del 1992;
   senza allargare in maniera eccessiva le maglie per l'accesso ai requisiti per l'Ape sociale si pone un problema di equità e giustizia sociale per i congiunti di secondo grado che svolgono funzione riconosciuta di caregiver;
   sono in corso di svolgimento una serie di incontri anche con le parti sociali in vista della definizione dei decreti legislativi di attuazione della citata misura ed in tale sede potrebbe essere affrontata tale evidente criticità –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e se intenda, nell'ambito della definizione dei decreti attuativi di cui in premessa, introdurre la possibilità, in assenza di familiari di primo grado, anche per i congiunti di secondo grado, siano essi fratelli o sorelle, conviventi del disabile grave ed in possesso comunque dei requisiti richiesti, di poter accedere alle misure previste per la cosiddetta Ape sociale ponendo rimedio ad una evidente discriminazione. (5-11020)


   LOMBARDI, COMINARDI, CHIMIENTI, CIPRINI, DALL'OSSO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2000 nasceva Te.ss, società interamente di proprietà del gruppo Telecom, dotata di 400 dipendenti, al fine di gestire i servizi amministrativi del personale di tutte le aziende del gruppo e di estendere progressivamente tali servizi ad altri clienti esterni a Telecom, per posizionarsi come leader nel mercato di riferimento;
   tra il 2000 e il 2002, i dipendenti con mansioni di amministrazione del personale di Telecom Italia e di Seat, attraverso una cessione di ramo d'azienda, venivano trasferiti in Te.ss;
   nel 2002 il gruppo Accenture, multinazionale della consulenza finanziaria, acquistava Te.ss, dando vita a Accenture HR Services;
   il primo contratto tra Telecom Italia e Accenture HR Services prevedeva che quest'ultima svolgesse in esclusiva il servizio di amministrazione del personale fino al mese di dicembre 2009 e tale contratto è stato rinnovato sino a dicembre 2014; 
   il 12 febbraio 2010, a seguito della crisi occupazionale verificatasi in Tim, Accenture HR Services ha avviato le procedure di riduzione di personale e collocamento in mobilità, per un esubero complessivo di 85 lavoratori. Le misure di licenziamento interessano ancora oggi le sedi di Milano, Firenze, Venezia, Roma, Palermo, mentre, nel 2011, sono state definitivamente chiuse quelle di Torino, Bologna e Napoli. Di seguito è stata attivata una contrattazione di solidarietà che coinvolge tutto il personale di Accenture HR Service fino al 31 dicembre 2017;
   agli interroganti risulta difficile comprendere come Accenture HR Services, controllata da una multinazionale che si definisce leader mondiale nel proprio settore, possa trovarsi in crisi dopo aver acquisito importanti commesse come Telecom Italia e General Electrics e si teme che le politiche industriali realizzate negli ultimi anni – in questo caso, ma anche in altri in cui Tim ha affidato attività in outsourcing –, abbiano l'unico obiettivo di generare profitto per le grosse aziende che, in barba all'interesse dei lavoratori e, più in generale, dell'economia del Paese, non si preoccuperebbero affatto di investire né sui sistemi informativi, né sullo sviluppo delle risorse;
   inoltre, Tim ha di recente dichiarato di volersi avvalere della facoltà contrattualmente prevista di recedere dall'accordo concluso con Accenture HR Services (la cui naturale scadenza era stata fissata al 2022), ritirando la commessa e reinternalizzando, a partire dal 1o gennaio 2018, l'attività di amministrazione del personale, senza però riassumere i suoi ex dipendenti;
   dovrebbe dunque dedursi che le esternalizzazioni effettuate abbiano prodotto, a distanza di anni, problemi occupazionali, con rilevanti riflessi sociali, ma anche risultati diseconomici –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato, per quanto di competenza, sulla vicenda descritta in premessa, in particolare sulla gestione finanziaria di Accenture HR Services, e se intenda promuovere l'apertura di un tavolo istituzionale tra le parti, volto ad individuare soluzioni che permettano di salvare le lavoratrici e i lavoratori dell'azienda, mantenendo i livelli occupazionali. (5-11022)


   GIACOBBE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   gli addetti della grande distribuzione organizzata sono circa 300 mila;
   la contrattazione collettiva per il terziario, distribuzione e servizi si sviluppa attraverso più contratti nazionali sottoscritti uno da Confcommercio, uno da Confesercenti, uno dalle Centrali Cooperative con le federazioni di categoria di CGIL, CISL, UIL;
   a gennaio 2013, Federdistribuzione, associazione cui aderiscono alcune aziende della grande distribuzione organizzata, pur non essendo mai stata firmataria di Contratto collettivo nazionale di lavoro, ha, per conto delle sue associate, annunciato alle organizzazioni sindacali la disdetta del CCNL da loro applicato, ovvero il CCNL terziario, distribuzione e servizi, sottoscritto da Confcommercio, con scadenza 31 dicembre 2013, affermando di voler sottoscrivere un autonomo Contratto nazionale;
   risulta che il 13 aprile 2016, a 28 mesi dall'inizio dei negoziati, si sono interrotte le trattative per la definizione di tale primo contratto collettivo nazionale di lavoro per le aziende aderenti a Federdistribuzione; le ragioni sono ricondotte, da parte delle organizzazioni sindacali dei lavoratori alle condizioni inderogabili e non negoziabili poste da Federdistribuzione per la sigla del contratto, vale a dire, tra le altre cose:
    a) la definizione di aumenti salariali che determinerebbe al 31 dicembre 2018 una massa salariale di 1.831 euro al 4o livello a fronte dei 3.000 euro previsti alla stessa data e al medesimo livello d'inquadramento dal contratto applicato ai dipendenti delle altre aziende del commercio, ossia alla stragrande maggioranza delle lavoratrici e dei lavoratori del settore;
    b) deroga sull'applicazione della contrattazione nazionale anche in assenza di accordo decentrato;
   dal 2013 ad oggi, dunque, nessun contratto nazionale è stato sottoscritto da Federdistribuzione;
   Federdistribuzione ha in più occasioni dichiarato che le imprese ad essa aderenti applicano il Contratto collettivo nazionale di lavoro del terziario sottoscritto il 6 aprile 2011, il quale è però scaduto il 31 dicembre 2013, ed anche il suo regime di ultrattività è venuto definitivamente a cessare il 30 marzo 2015;
   le imprese rappresentate da Federdistribuzione si trovano nella condizione di non applicazione di contratto collettivo nazionale vigente;
   appare necessario un chiaro indirizzo da parte del Ministero verso gli organi vigilanti, alla luce della normativa secondo la quale la fruizione di diversi benefici fiscali e contributivi, compreso l'esonero contributivo per le nuove assunzioni previsto dai commi dal 178 al 180 dell'articolo 1, della legge n. 208/2015 è espressamente condizionata al rispetto da parte del datore di lavoro «degli accordi e contratti collettivi nazionali, nonché di quelli regionali, territoriali o aziendali, laddove sottoscritti, stipulati dalle organizzazioni sindacali dei datori di lavoro e dei lavoratori comparativamente più rappresentative sul piano nazionale» –:
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per assicurare che sia garantito il rispetto dei contratti collettivi, nazionali, aziendali e territoriali, sottoscritti dalle organizzazioni datoriali e sindacali comparativamente più rappresentative, anche come requisito per la fruizione di benefici fiscali e contributivi, ciò al fine di evitare ulteriori incertezze e consentire agli organi ispettivi di effettuare le opportune verifiche e se del caso provvedere alle sanzioni. (5-11025)

SALUTE

Interrogazione a risposta scritta:


   DE GIROLAMO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come appreso dalla trasmissione TV, «Quinta Colonna», il programma condotto da Paolo Del Debbio su Rete 4, durante la puntata del 13 febbraio 2017, in cui l'interrogante era ospite, la vicenda dei dipendenti (addetti alle pulizie ed ausiliariato) dell'Asl Salerno è al centro dell'agenda politica della regione Campania da tempo e, negli ultimi 3 anni, ha assunto contorni molto delicati;
   durante la puntata in questione è stato approfondito il tema della sanità nocerina, in particolare dell'ospedale Umberto Io, con approfondimenti sui disagi e sulle promesse fatte dal Governatore De Luca in ambito sanitario in campagna elettorale, non mantenute;
   situazione critica confermata da recenti servizi di tg locali e da numerosi articoli del giornale Città di Salerno, che ha ricostruito la vicenda a partire soprattutto da inizio 2015, quando alcuni lavoratori sono saliti sul cornicione della sede Asl, minacciando di buttarsi giù, in protesta contro la volontà di riduzione delle ore di lavoro e stipendio e contro lo spacchettamento dei servizi di logistica e sanificazione;
   Antonio Squillante, direttore generale Asl all'epoca, aveva auspicato un incontro tra tutti gli attori della vicenda: dipendenti interessati, «Dussmann Service» (settore pulizie) e Cns (responsabile per l'ausiliariato);
   il confronto c’è stato già durante il febbraio 2015, ma i disagi e le proteste sono continuate fino ad oggi;
   il 24 ottobre 2016, Antonio Giordano, nuovo direttore generale Asl, aveva rilevato la necessità di garantire un servizio integrato per pulizie, sanificazione e ausiliarato negli ospedali, nei distretti e nei dipartimenti aziendali. Il manager chiese, in una lettera alla SO.RE.SA. S.p.a. (Società regionale per la sanità), l'autorizzazione all'espletamento della procedura in autonomia, per affidare il servizio con durata triennale;
   la SO.RE.SA ha risposto, il 15 novembre 2016, indicando che la nuova gara d'appalto per le pulizie doveva passare per la «Consip» (società di cui il Ministero dell'economia è azionista unico) e non andava bandita autonomamente, specificando che la categoria di servizi di pulizia rientra tra quelle per cui c’è l'obbligo di ricorrere alle convenzioni Consip e la gara, già bandita, riportava come data di attivazione febbraio 2017;
   come si apprende da articoli di giornale ci si trova di fronte a presupposti rischiosi per il futuro di circa 800 operatori che rischiano di perdere il lavoro o di vederne ridimensionati orario e stipendio;
   il 10 dicembre 2016 c’è stata una riunione in regione con i rappresentanti degli 800 lavoratori che ha portato all'impegno da parte della regione di verificare se sia possibile evitare il passaggio alla convenzione Consip e, se ciò fosse impossibile, quantomeno a garantire che non si scenda sotto le attuali soglie salariali, occupazionali e lavorative –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di ulteriori sviluppi della vicenda e se non intendano adoperarsi, per quanto di competenza, per salvaguardare la condizione lavorativa e retributiva dei dipendenti in questione. (4-16138)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Molea n. 5-10962 del 27 marzo 2017.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AGOSTINELLI e BONAFEDE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i siti di interesse nazionale in Italia sono stati istituiti a partire dal 1998 con la legge 9 dicembre 1998, n. 426;
   attualmente la disciplina dei Sin è contenuta nel testo unico ambientale (decreto legislativo n. 52 del 2006);
   l'articolo 252 del testo unico ambientale attribuisce al Ministero dell'ambiente sia la titolarità del procedimento di bonifica (articolo 252, comma 4) che i poteri sostitutivi per il caso di inerzia nell'esecuzione degli interventi da parte del responsabile dell'inquinamento o da parte del proprietario del sito contaminato (articolo 252, comma 5);
   i siti di interesse nazionale presenti nel territorio delle Marche sono il sito di «Falconara Marittima» e quello del «Basso Bacino del fiume Chienti»;
   il Sin di Falconara è stato istituito con legge n. 179 del 2002 e successivamente perimetrato con decreto ministeriale 26 febbraio 2003; con decreto del Ministero per i beni e le attività culturali del 25 marzo 2004 il sito è stato anche sottoposto a vincolo architettonico, ai sensi dell'articolo 2, comma 1, lettera a) del decreto legislativo n. 490 del 1999;
   nel sito di interesse nazionale di Falconara è compreso anche lo stabilimento della ex Montedison;
   la fabbrica nacque intorno al 1920 con la ragione sociale «Società Prodotti Chimici Colla e Concimi Anonima», divenendo poi, nel 1929, di proprietà della «Montecatini» e, successivamente, «Montedison». Nel 1989 lo stabilimento ha cessato ogni attività;
   attualmente i proprietari dell'area ex Montedison sono tre:
    a) l'Immobiliare Del Poggio, proprietaria della parte più estesa dell'area (area stabilimento di 11,29 ettari su 11,80);
    b) l'Agricola92, proprietaria di una piccola frazione (area attigua allo stabilimento di 0,51 ettari);
    c) la Rocca Mare, proprietaria dell'arenile;
   nel 2001 la procura della Repubblica di Ancona, in seguito alla segnalazione di alcune anomalie riscontrate nelle acque di un pozzo poco distante, disponeva il sequestro del sito (procedimento n. 4181/01 14 RGNR mod. U), conferendo incarico di consulenza tecnica al dottor Nedo Biancani;
   nella relazione del consulente si concludeva che «l'intera area abbisogna di un intervento di bonifica e/o di messa in sicurezza in conformità al decreto ministeriale n. 471 del 1999», stimando il costo dell'intervento in 70 milioni di euro;
   nonostante l'approvazione dei piani di caratterizzazione in due apposite conferenze di servizi (una in data 11 gennaio 2005 per l'area di proprietà della immobiliare Del Poggio e l'altra in data 7 marzo 2007 per le aree di proprietà della Agricola92 srl e della azienda Rocca Mare), è mancata, ad oggi, la doverosa presentazione dei risultati della analisi di rischio che i proprietari dei siti inquinati sono tenuti a fornire, entro 6 mesi dalla approvazione del piano di caratterizzazione ai sensi dell'articolo 242 comma 4 del testo unico delle norme in materia ambientale;
   le indagini di caratterizzazione parziali condotte dalle aziende proprietarie riportano la presenza di metalli pesanti cancerogeni, per valori in alcuni casi superiori di quasi seicento volte rispetto ai limiti di legge, evidenziando in particolare le seguenti criticità:
    a) presenza di grandi quantità di rifiuti e scorie di lavorazione;
    b) nei terreni eccedenze rispetto ai limiti della colonna A, tabella 1, allegato 5 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per i seguenti parametri: arsenico, cadmio, cobalto, mercurio, piombo, rame, zinco, solfati, floruri, fosfati, idrocarburi leggeri e pesanti, PCB e PCDD/PCDF; risultava in particolare la presenza di 59.626 milligrammi di piombo per ogni chilo di terra su un limite legale di 100; 260 milligrammi di mercurio quando il limite legale è 1; 10 milligrammi di Pcb su un limite legale di 0,06;
    c) nelle acque di falda superamento dei limiti fissati nella tabella 2 dell'allegato 5 al titolo V, parte quinta, del decreto legislativo n. 152 del 2006, in particolare una presenza di piombo in quantità 6 volte superiori rispetto al limite legale (63 μg/l rispetto al limite di 10 μg/l), di manganese 15 volte superiore (valore massimo 780 μg/l rispetto al limite di 50 μg/l) ed una presenza di ferro addirittura 24 volte più invasiva (4895 μg/l rispetto al limite di 200 μg/l);
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con lettera del 10 luglio 2010, a fronte della perdurante inerzia delle aziende proprietarie nel fornire i risultati completi delle indagini di caratterizzazione (cosiddette analisi di rischio sito specifica ex articolo 252, comma 4, TUA), rilevata altresì l'inottemperanza delle stesse anche in relazione alle attività di messa in sicurezza e bonifica dei siti contaminati, metteva formalmente in mora i proprietari dell'area, disponendo che: «...in caso di ulteriore inadempienza da parte di codeste Aziende attiverà, previa formale messa in mora, i poteri sostitutivi in danno delle medesime società inadempienti...» e richiedendo ad ISPRA «di valutare il danno ambientale relativo al sito di interesse nazionale di Falconara Marittima, a cominciare dalle aree ex Montedison»;
   da allora, nonostante la perdurante inerzia dei proprietari, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha omesso il doveroso esercizio dei poteri sostitutivi di cui all'articolo 252, comma 5, testo unico delle norme in materia ambientale, con conseguente grave nocumento per l'ambiente e la salute dei cittadini;
   si apprende da fonti stampa che l'area è interessata da un progetto di recupero che prevede la realizzazione di un parco integrato turistico commerciale, pur non essendo ancora stati eseguiti i doverosi interventi di messa in sicurezza e bonifica;
   il promotore dell'iniziativa è la società General consulting srl che ha già a presentare il progetto nei comuni di Falconara Marittima e Montemarciano e che agirebbe per conto di investitori stranieri, la cui identità non è stata resa nota;
   l'investimento previsto per la realizzazione dell'intervento di recupero è di circa 140 milioni di euro, di cui 5 milioni destinati alla realizzazione degli interventi di bonifica;
   il progetto prevede, oltre alla costruzione di un polo commerciale e di altre strutture permanenti, anche l'integrale bonifica del sito;
   secondo le dichiarazioni rilasciate dall'amministratore delegato della General Consulting, le operazioni di bonifica avverranno nel rispetto del vincolo di interesse archeologico apposto nel 2004 dal Ministero per i beni e delle attività culturali; quindi tutte le strutture saranno mantenute e sarà ricostruita per intero anche la struttura Le Arche, la più importante da un punto di vista architettonico, crollata la scorsa primavera;
   i 5 milioni previsti per la bonifica del sito potrebbero essere assolutamente insufficienti e, ciò, non solo alla luce della citata relazione peritale del dottor Nedo Biancani, redatta nel 2001 su incarico della Procura di Ancona (che stimava un costo di 70 milioni di euro), ma anche in considerazione della circostanza che il mantenimento dei manufatti esistenti, necessario per rispettare il vincolo archeologico apposto nel 2004 dalla sovrintendenza, comporta una notevole lievitazione dei costi di bonifica –:
   per quali ragioni, ad oggi, non siano stati ancora realizzati i necessari interventi di bonifica e nemmeno adottate, quam minime, le misure per la messa in sicurezza del sito;
   per quali ragioni, ad oggi, a fronte della perdurante inerzia dei proprietari, anche con riguardo alla omessa trasmissione della analisi rischio specifica, non siano stati ancora attivati da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i poteri sostitutivi di cui all'articolo 252, comma 5, testo unico delle norme in materia ambientale;
   a che punto sia la procedura di valutazione del danno ambientale già attivata presso l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale con lettera del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 10 luglio del 2010;
   quali provvedimenti intendano adottare, anche sul piano sanzionatorio, oltre che nei confronti degli attuali proprietari del sito, anche nei confronti dei precedenti proprietari e dei responsabili dell'inquinamento, in specie alla luce del principio comunitario «chi inquina paga»;
   ove ne siano già a conoscenza, se intendano rendere noti i nomi degli investitori stranieri per conto dei quali agisce la General Consulting, non essendo ravvisabili ragioni ostative alla divulgazione, essendo il parco integrato turistico commerciale un intervento di recupero rispondente ad un interesse generale, certamente prevalente rispetto non meglio definite esigenze di privacy;
   se ritengano congrui i 5 milioni di euro previsti dal progetto della General Consulting per la realizzazione degli interventi di bonifica inclusi nella realizzazione del parco integrato turistico commerciale e, ciò, soprattutto alla luce della relazione peritale redatta nel 2001, su incarico della procura di Ancona, che invece stimava i costi di bonifica in 70 milioni di euro;
   se la bonifica del sito, anche in funzione di una consistente riduzione dei costi, non richieda l'abbattimento dei manufatti esistenti e, quindi, se sia opportuno il mantenimento del vincolo archeologico apposto con il decreto ministeriale del 25 marzo 2004. (4-06784)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente il sito di bonifica di interesse nazionale di «Falconara Marittima», sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione-generale del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Le attività dello stabilimento prevedevano la produzione di fertilizzanti e acido solforico a partire dalla pirite arrostita. Attualmente l'area ex Montedison è ripartita nelle seguenti proprietà (13,4 ha):
   Azienda agricola del Poggio di Collarini Aldo & C. s.a.s. ora Immobiliare del Poggio S.r.l. (area di stabilimento);
   Ditta Agricola 92 (area attigua allo stabilimento);
   Ditta Rocca Mare s.r.l. (arenile antistante lo stabilimento).

  Le proprietà Immobiliare del Poggio e Rocca Mare sono separate, per tutta la loro estensione, dall'attraversamento ferroviario della linea Ancona – Bologna (proprietà Rfi). Sul lato mare è inclusa, inoltre, nel perimetro d'interesse nazionale, un'area di demanio pubblico.
  Il sito in esame, di superficie complessiva pari a circa 160.000 mq, è stato in passato sede di uno stabilimento per la produzione di fertilizzanti granulari fosfatici, acido solforico e superfosfato. L'area, attualmente dismessa è oggetto di un progetto di recupero e riconversione che prevede la realizzazione di un «Parco integrato turistico commerciale».
  Relativamente agli interventi di bonifica, alle analisi di rischio ed alle misure di messa in sicurezza/prevenzione delle aree ex Montedison, si sottolinea che i risultati del piano di caratterizzazione sono stati restituiti ed esaminati nelle conferenze di servizi del Sin.
  Immobiliare del Poggio e Agricola 92.
  Si ritiene necessario, in primo luogo, evidenziare che la tempistica per la restituzione dei risultati analitici è stata condizionata dai seguenti eventi:
   cambio della normativa di riferimento nel febbraio 2006, per cui è stata effettuata la conversione delle concentrazioni dei risultati analitici ottenuti ai sensi dell'ex decreto ministeriale n. 471 del 1999 sulla base della frazione di scheletro (decreto legislativo n. 152 del 2006);
   variazione della destinazione d'uso del sito, approvata con delibera n. 288 della giunta del comune di Falconara Marittima in data 1o dicembre 2010, che ha contribuito ulteriormente a modificare lo scenario ambientale dell'area in esame, a causa del passaggio da area verde e/o uso residenziale ad uso industriale, di gran parte dei terreni. Detti risultati sono stati anche validati da Arpa.

  La conferenza di servizi decisoria del 23 aprile 2013 ha deliberato di chiedere alle aziende Immobiliare del Poggio e Agricola 92 di trasmettere una relazione tecnica riepilogativa dei risultati delle indagini di caratterizzazione finalizzato a chiarire definitivamente il quadro complessivo del sito in previsione della redazione dell'analisi di rischio e del relativo progetto di bonifica.
  La medesima conferenza di servizi decisoria, in merito alle acque di falda, tenuto conto del tempo intercorso tra le campagne di monitoraggio delle acque di falda eseguite nel 2006-2007 e l'ultima relativa al 2011, ha deliberato, inoltre, di chiedere alle menzionate aziende di effettuare una campagna di monitoraggio delle acque sotterranee, su base annuale e con cadenza bimestrale.
  La conferenza di servizi istruttoria del 13 novembre 2014 ha esaminato la relazione riepilogativa dei risultati del piano di caratterizzazione, il Rapporto sulla presenza di Pcb e diossine/furani nel sito ex Montedison, i risultati delle indagini per la determinazione dei parametri sito-specifici e per la conversione delle concentrazioni da decreto ministeriale n. 471 del 1999 a decreto legislativo n. 152 del 2006 nonché quelli della campagna di monitoraggio delle acque di falda (luglio e novembre 2013; febbraio e marzo 2014) ed infine il protocollo operativo delle indagini integrative relative ai vapori di mercurio finalizzate all'elaborazione dell'analisi di rischio sito-specifica dell'area «ex Montedison», trasmessi da Immobiliare del Poggio S.r.l.
  La citata conferenza ha preso atto degli elaborati relativi alle indagini di caratterizzazione del suolo e delle acque finalizzati a chiarire definitivamente il quadro della caratterizzazione del sito e in previsione della redazione dell'analisi di rischio e del relativo Progetto di bonifica nonché del rapporto di valutazione dei risultati delle indagini in contraddittorio dei pareri sito-specifici e per la conversione delle concentrazioni da decreto ministeriale n. 471 del 1999 a decreto legislativo n. 152 del 2006, trasmesso dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente delle Marche (Arpam), finalizzati alla determinazione dei dati sito-specifici per l'elaborazione dell'analisi di rischio sanitario ambientale.
  Successivamente, la stessa conferenza ha chiesto alla provincia di Ancona di dare corso, avvalendosi dell'Arpa, alle indagini tecniche e amministrative necessarie per identificare i responsabili della contaminazione riscontrata nelle acque di falda, ai sensi e per gli effetti degli articoli n. 242, comma 12, 244 e 312, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, ma anche la rimozione della presenza di ceneri di pirite mediante rimozione delle stesse; inoltre, ha espresso parere favorevole al protocollo operativo delle indagini integrative relative ai vapori di mercurio finalizzate all'elaborazione dell'analisi di rischio sito-specifica dell'area «ex Montedison», trasmessa dalle aziende Immobiliare del Poggio Srl e Agricola 92 Srl., ha chiesto a queste ultime la trasmissione di un elaborato relativo alla stima del rischio sanitario associato al percorso volatilizzazione da falda, al fine dell'adozione di eventuali idonee misure di prevenzione, ai sensi dell'articolo n. 242 e 245 del decreto legislativo n. 152 del 2006, per la tutela della salute di coloro che si trovano ad operare nell'area.
  Infine, ha sottolineato che, a prescindere dalla responsabilità, la contaminazione eventualmente riscontrata può determinare rischi per la salute dei fruitori del sito. Ferma la responsabilità degli autori della contaminazione, i proprietari non responsabili delle aree contaminate devono assumere, pertanto, tutte le misure di prevenzione finalizzate a circoscrivere, limitare ed impedire che la contaminazione delle acque di falda metta a rischio la salute dei fruitori delle aree.
  Ai sensi dell'articolo 245, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche il proprietario o il gestore dell'area, non responsabile della contaminazione, deve attivare idonee misure di prevenzione secondo le procedure di cui all'articolo 242 dello stesso decreto. Si tratta di un vero e proprio obbligo di garanzia in virtù del quale non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo con tutte le conseguenze di legge.
  In merito alle aree in esame, tenuto conto che:
   1. le attività svolte dall'impianto di fertilizzanti in precedenza attivo sul sito sia riconducibile ad attività lavorative con presenza di sorgenti naturali di radiazioni di cui al Capo III-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995 e successive modifiche;
   2. la norma di cui all'articolo 126-bis, nel contemplare la possibile adozione di opportuni provvedimenti da parte delle Autorità competenti — ai sensi della legge n. 225 del 1992 – dispone che si debba tenere conto dei principi generali per gli interventi ai sensi dell'articolo 115-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995 e successive modificazioni e integrazioni nonché delle necessità di rischio di esposizione nella situazione concreta;
   3. il sito è oggetto di un progetto di recupero e riconversione che prevede la realizzazione di un «Parco integrato turistico commerciale»;

  la competente Direzione generale di questo Ministero, nel gennaio 2016, ha ritenuto opportuno rinviare alle competenze del prefetto di Ancona l'adozione dei provvedimenti previsti dall'articolo 126-bis, da intendersi come procedimento amministrativo separato e distinto da quello previsto dall'articolo n. 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni relativo alla bonifica dei siti di interesse nazionale di competenza di questo Ministero, precisando che solo all'esito del procedimento amministrativo di cui all'articolo 126-bis del (decreto legislativo n. 230 del 1995 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare potrà, pertanto, procedere ai successivi adempimenti di competenza, nell'ambito del procedimento amministrativo di bonifica di cui al citato articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006.

  In data 10 gennaio 2017 la Prefettura di Ancona – ufficio territoriale del Governo, a seguito delle valutazioni tecniche della commissione tecnica istituita ad hoc, ha rappresentato a questo Ministero che nel caso di specie non risultano sussistere i presupposti e le condizioni per l'adozione dei provvedimenti dell'articolo 126-bis del decreto legislativo n. 230 del 1995 e successive modificazioni e integrazioni.
  Alla luce di quanto comunicato dalla prefettura, il Ministero dell'ambiente sta procedendo ai successivi adempimenti di competenza, nell'ambito del procedimento amministrativo di bonifica di cui all'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni e pertanto è in corso l'istruttoria sulla documentazione relativa all’iter di bonifica ad oggi trasmessa dalle citate aziende.
  Si ricorda, infine, che poiché per la citata area esiste il progetto di recupero e riconversione per la realizzazione del «Parco integrato turistico commerciale», gli Enti locali hanno in previsione una proposta di Variante del Prg di Falconara Marittima e Montemarciano per il recupero del sito ex Montedison e in data 20 dicembre 2016 si è tenuta, a livello locale, una riunione relativa alla procedura di consultazione preliminare (scoping) della Valutazione ambientale strategica (VAS).
  In relazione a detta procedura questo Ministero in data 19 dicembre 2016 ha rappresentato agli enti locali territorialmente competenti che:
   il Ministero dell'ambiente si era espresso in precedenza con nota prot. 26981/TRI/DI del 25 ottobre 2010, in merito all'esatta definizione d'uso del sito, sottolineando che «qualora l'area ex Montedison fosse bonificata traguardando la colonna B della Tabella 1, allegato 5, titolo V-parte Quarta del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successivamente l'area medesima fosse destinata ad un uso residenziale/verde pubblico, i presenti e futuri titolari dell'area medesima dovranno presentare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, una idonea variante al progetto di bonifica approvato e realizzato, che traguardi la colonna A della medesima tabella 1, che dovrà essere approvata mediante decreto ministeriale, realizzata e certificata prima del riutilizzo dell'area stessa»;
   quanto disposto dal decreto legislativo n. 152 del 2006 articolo 253 in merito agli «Oneri reali e privilegi speciali» e l'articolo 251 comma 2 in merito a ciò che deve essere riportato dal certificato di destinazione urbanistica, nonché dalla cartografia e dalle norme tecniche di attuazione dello strumento urbanistico generale del Comune.

  Area RFI.
  Il sito occupa una superficie di circa 1800 mq dell'area di pertinenza dello stabilimento ex Montedison e sarà oggetto dell'intervento di legge obiettivo denominato «Collegamento Orte – Falconara con linea Adriatica – Nodo di Falconara». La RFI S.p.A. ha trasmesso il piano delle indagini di caratterizzazione del tratto iniziale della «Variante di Falconara», ricadente nell'area di pertinenza dello stabilimento ex Montedison.
  Nell'aprile 2014, questo Ministero ha preso atto del Piano di indagine trasmesso da Rfi, sulla base delle osservazioni formulate da Arpam.
  Successivamente, nell'ottobre 2014, RFI ha trasmesso il documento «Risultati del Piano di caratterizzazione ambientale della porzione del tratto di collegamento Orte-Falconara con linea Adriatica – Nodo di Falconara, ricadente nell'area dello stabilimento ex Montedison, trasmesso da S.p.A».
  Nel novembre 2014, Arpam ha trasmesso il «Rapporto di valutazione dei risultati analitici per le matrici suolo/sottosuolo e acque sotterranee del piano di caratterizzazione ambientale – nodo di Falconara – sito di interesse nazionale falconara marittima», nel quale considera validabili i risultati trasmessi dall'azienda.
  Si evidenzia altresì che la conferenza di servizi istruttoria del 13 novembre 2014 ha: ritenuto approvabile il piano delle indagini di caratterizzazione dell'area in esame, trasmesso da Rfi S.p.a.; preso atto dei risultati del piano di caratterizzazione nonché del «Rapporto di valutazione dei risultati analitici per le matrici suolo/sottosuolo e acque sotterranee del Piano di caratterizzazione ambientale – nodo di Falconara – sito di interesse nazionale Falconara marittima», trasmesso da Arpam.
  In relazione allo stato qualitativo dei suoli, visti i risultati delle indagini eseguite dal laboratorio di parte che hanno evidenziato superamenti delle Csc per arsenico, ha chiesto all'azienda Rfi la presentazione dell'analisi di rischio sito – specifica per i suoli, al fine di verificare l'eventuale necessità di presentare il progetto di bonifica dei suoli.
  In riferimento al superamento delle Csc per il parametro manganese nelle acque sotterranee che non trova correlazione con i contaminanti presenti nel suolo, ha chiesto all'azienda Rfi di effettuare sull'area in oggetto ulteriori attività di monitoraggio delle acque di falda, concordando le modalità con Arpam.
  La medesima conferenza, inoltre, ha deliberato di approvare il piano di caratterizzazione ambientale della porzione del tratto di collegamento Orte — Falconara con la linea Adriatica – nodo di Falconara, ricadente nell'area dello stabilimento ex Montedison, trasmesso da RFI S.p.A..
  Nel dicembre 2014, la stessa RFI ha trasmesso una serie di documenti:
   1. Analisi di rischio sito specifica relativa al sito Rfi adiacente all'ex stabilimento Montedison di Falconara Marittima, completa di stima del rischio sanitario associato al percorso di volatilizzazione da falda e dei risultati delle indagini previste dal «Piano di indagine integrativo finalizzato alla elaborazione dell'analisi di rischio»;
   2. Valutazione del rischio sanitario per inalazione dei vapori delle acque di falda per il sito RFI di Via Monti e Tognetti.

  Tali documenti, unitamente ad altri elaborati relativi all'area Rfi, sono stati esaminati dalla conferenza di servizi istruttoria del 24 giugno 2016. In particolare in tale sede sono stati esaminati i seguenti documenti relativi all'area Rfi.
  I risultati delle indagini di caratterizzazione del sito di via Monti Tognetti e Analisi di rischio sanitario ambientale, si rappresenta quanto segue. In primo luogo si ricorda che la società Rfi, nel dicembre 2014, aveva trasmesso la documentazione «Valutazione del rischio sanitario per inalazione dei vapori delle acque di falda per il sito RFI di Via Monti e Tognetti». Scopo dello studio era stato valutare la possibile sussistenza di condizioni di rischio di esposizione dei lavoratori Rfi, associate alle concentrazioni dei composti organici volatili rilevati nelle acque di falda in concentrazione superiore alle Csc del decreto legislativo n. 152 del 2006. L'azienda precisava che laddove, a seguito dell'indagine di caratterizzazione di prossima esecuzione, si fossero rilevati superamenti delle Csc diversi da quelli adottati per l'analisi del rischio presentata, sarebbe stata cura della stessa Rfi predisporre un'analisi del rischio sanitario ambientale sito-specifica finalizzata alla definizione degli obiettivi di bonifica, sostitutiva del presente documento. Sulla citata documentazione era stato acquisito il parere Ispra del marzo 2016 con il quale, sulla base di una serie di osservazioni, si richiedeva all'Azienda di ripresentare una nuova analisi di rischio.
  L'azienda ha successivamente realizzato la caratterizzazione integrativa ed ha trasmesso i «Risultati delle indagini di caratterizzazione del sito di via Monti Tognetti e Analisi di rischio sanitario ambientale sito specifica ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006; l'esame istruttorio ha riguardato quest'ultimo documento.
  La conferenza di servizi istruttoria in merito alla documentazione trasmessa dalla società Rfi del febbraio 2016 ha:
   chiesto all'azienda, sulla base dei pareri tecnici trasmessi dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) ed alle valutazioni fornite da Arpa, la rielaborazione dell'analisi di rischio nel rispetto di una serie di indicazioni;
   chiesto al comune di Falconara di trasmettere le informazioni sulla destinazione d'uso dell'area individuata dagli strumenti urbanistici vigenti entro 10 giorni dalla notifica del verbale, ai fini del confronto dei dati della caratterizzazione con la tabella di riferimento dei suoli prevista dal decreto legislativo n. 152 del 2006;
   chiesto ad Rfi di trasmettere la documentazione attestante il passaggio di proprietà dell'area officina denominato (Ex Squadra Rialzo).

  Per quanto riguarda l'attività di monitoraggio acque sotterranee nel sito Rfi «area ferroviaria di via Monti e Tognetti» – dicembre 2014 – gennaio 2016, sulla base della documentazione trasmessa da Arpa Marche 2016, si rappresenta quanto segue.
  Si evidenzia che Arpa Marche, nella documentazione trasmessa, conclude precisando che lo stato qualitativo delle acque sotterranee nel sito Rfi risulta confrontabile con i dati ottenuti dalla ditta durante l'esecuzione del piano della caratterizzazione e validati da Arpam.
  La conferenza di servizi istruttoria, quindi, ha chiesto all'Arpa Marche di coordinare le campagne di monitoraggio delle acque di falda per tutte le aree ricomprese nel Sin di Falconara Marittima avviando, a cadenza annuale, detta campagna coordinata, trasmettendo ai partecipanti della conferenza dei servizi una relazione generale annuale relativa a tutte le aree all'interno del SIN nonché la sintesi delle valutazioni effettuate per l'intera campagna di monitoraggio.
  La conferenza di servizi istruttoria ha chiesto, altresì:
   alle aziende di partecipare alle attività organizzate da Arpa Marche e richieste dalla presente conferenza di servizi istruttoria;
   ad Arpa Marche di inviare l'elenco delle ditte che non collaborano all'esecuzione della campagna di monitoraggio delle acque di falda.

  Per quanto concerne l'analisi di rischio sito specifica – collegamento Orte — Falconara con la linea Adriatica – nodo di Falconara, sulla base della documentazione trasmessa dalla società Rfi nell'agosto 2015, si rappresenta quanto segue.
  La conferenza di servizi istruttoria del 24 giugno 2016, con riferimento all'area di circa 1800 mq interessata dalle opere ferroviarie previste dal progetto del «nodo di Falconara — variante di Falconara» ha:
   preso atto di quanto comunicato da Arpa Marche nel giugno 2016, confermando il superamento delle CSC per il parametro Manganese nelle acqua di falda;
   chiesto ad Arpa Marche di verificare l'assenza di materiali matrici di riporto e rifiuti nell'area che non consentirebbero l'applicazione di una analisi di rischio sito specifica;
   previsto che, nel caso in cui dovesse essere confermata la presenza di materiali matrici di riporto, dovrà essere seguita la vigente normativa in materia;
   chiesto la rielaborazione dell'analisi di rischio nel rispetto di una serie di indicazioni riportate nel verbale medesimo della conferenza, nel caso in cui dovesse essere confermata l'assenza di materiali matrici di riporto, sulla base dei pareri tecnici trasmessi da Ispra ed alle valutazioni fornite da Arpa.

  La conferenza di servizi istruttoria, inoltre – atteso che l'area oggetto dell'intervento è ubicata nella zona periferica sud delle aree di pertinenza dello stabilimento ex Montedison ora di proprietà dell'azienda immobiliare del Poggio s.r.l e dell'azienda agricola 92, e considerata la nota di questo Ministero del gennaio 2016 – ha precisato che la società Rfi, prima di qualsiasi altro intervento sull'area e prima della formale esecuzione delle attività di realizzazione del collegamento Orte – Falconara, dovrà acquisire il formale parere positivo del prefetto di Ancona per l'adozione dei provvedimenti previsti dall'articolo 126-bis decreto legislativo n. 230 del 1995, da intendersi come procedimento amministrativo separato e distinto da quello previsto dall'articolo 252 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni relativo alla bonifica dei Sin.
  In relazione all'analisi di rischio sito specifica relativa al sito Rfi adiacente all'ex stabilimento Montedison di Falconara Marittima, completa di stima del rischio sanitario associato al percorso di volatilizzazione da falda e dei risultati delle indagini previste dal «Piano di indagine integrativo finalizzato alla elaborazione dell'analisi di rischio», sulla base della documentazione trasmessa dalla RFI nel dicembre 2014, si rappresenta quanto segue.
  La conferenza di servizi istruttoria del 24 giugno 2016, con riferimento al documento denominato «Analisi di rischio sito specifica relativa al sito Rfi adiacente all'ex stabilimento Montedison di Falconara Marittima» sulla base del parere tecnico trasmesso da ISPRA, ha chiesto la rielaborazione dell'analisi di rischio nel rispetto di una serie di indicazioni riportate nel verbale della stessa conferenza nonché quelle di Arpa.
  Proprietà Rocca Mare s.r.l.
  L'area in oggetto è costituita da una porzione di arenile. Le recenti campagne di monitoraggio delle acque sotterranee, eseguite nel biennio 2013-2014, hanno mostrato superamenti delle Csc per le acque di falda nei piezometri PZC11, PZC12 e PZC14, tutti ubicati all'interno dell'area in esame, per i parametri fluoruri, tetracloroetilene, ferro e manganese.
  Si fa presente che la conferenza di servizi decisoria del 23 aprile 2013 ha deliberato di chiedere: alla provincia di Ancona, al comune di Falconara Marittima e all'Arpam di accertare, anche attraverso sopralluogo, l'attendibilità delle dichiarazioni effettuate dall'azienda la quale ritiene che «la cosiddetta fascia residua di 9.800 mq in realtà si è essenzialmente estinta vuoi per l'erosione marina, vuoi per la presenza di infrastrutture di soggetti terzi (Rfi e consorzio Gorgovivo)»; nonché alla Rocca Mare Srl di trasmettere, nei tempi tecnici strettamente necessari, i risultati delle indagini di caratterizzazione dell'area residua di competenza, nel caso in cui fosse confermata la presenza dell'area a titolarità della stessa Rocca Mare Srl.
  Il «Piano di riqualificazione delle aree ex Montedison», presentato per le vie brevi dall'azienda Immobiliare del Poggio, prevede un recupero della fascia di spiaggia in esame. I rappresentanti della Società sono risultati assenti alla Conferenza del 13 novembre 2014 anche se regolarmente convocati.
  La conferenza ha chiesto, pertanto, alla provincia di Ancona, al comune di Falconara Marittima e all'Arpam di relazionare in merito al sopralluogo richiesto ai fini della verifica dello stato dei luoghi come rappresentato dall'azienda già in occasione della Conferenza di servizi decisoria del 23 aprile 2013.
  La stessa conferenza, poi, in merito alle acque di falda, visti i risultati delle indagini che hanno evidenziato i superamenti delle Csc per il parametri floruri, tetracloroetilene, ferro e manganese, che al momento non trovano correlazione con i contaminanti presenti nel suolo, ha chiesto alla Rocca Mare Srl la trasmissione di un elaborato relativo alla stima del rischio sanitario associato al percorso volatilizzazione da falda, al fine dell'adozione di eventuali idonee misure di prevenzione, ai sensi dell'articolo 245 del decreto legislativo 152 del 2006, per la tutela della salute di coloro che si trovano ad operare nell'area.
  L'elaborato relativo alla stima del rischio sanitario ed alle misure di prevenzione e messa in sicurezza eventualmente adottate, dovrà essere trasmesso al Ministero dell'ambiente e agli enti locali competenti in materia di tutela della salute pubblica, ai fini delle conseguenti azioni.
  La già menzionata conferenza ha sottolineato, inoltre, che, a prescindere dalla responsabilità, la contaminazione eventualmente riscontrata può determinare rischi per la salute dei fruitori del sito. Ferma la responsabilità degli autori della contaminazione, i proprietari non responsabili delle aree contaminate devono, pertanto, assumere tutte le misure di prevenzione finalizzate a circoscrivere, limitare ed impedire che la contaminazione delle acque di falda metta a rischio la salute dei fruitori delle aree. Ai sensi dell'articolo 245, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006, anche il proprietario e il gestore dell'area, non responsabili della contaminazione, devono attivare idonee misure di prevenzione secondo le procedure di cui all'articolo 242 dello stesso decreto. Si tratta di un vero e proprio obbligo di garanzia in virtù del quale non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo con tutte le conseguenze di legge.
  La conferenza, infine, ha chiesto alla Provincia di Ancona di dare corso, avvalendosi dell'Arpa, alle indagini tecniche e amministrative necessarie per identificare i responsabili della contaminazione riscontrata nelle acque di falda ai sensi e per gli effetti degli articoli 242, comma 12, 244 e 312, comma 2, del decreto legislativo n. 152 del 2006 per le aree in esame (Rocca Mare, immobiliare del Poggio ed Agricola 92).
  Per quanto concerne gli aspetti finanziari si rappresenta quanto segue.
  Le risorse stanziate dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per il Sin in parola, a valere sui fondi del decreto ministeriale n. 308 del 2006, sono pari a complessivi euro 3.272.727,00 e sono già state trasferite alla regione Marche con decreto dirigenziale prot. n. 1537/TRI/DI/G/SP del 24 maggio 2011.
  Per quanto concerne l'utilizzo delle sopracitate risorse destinate al sito di interesse nazionale «Falconara Marittima», si segnala che in data 20 luglio 2010 è stato sottoscritto, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Marche, la provincia di Ancona, il comune di Falconara Marittima e l'autorità portuale di Ancona, l'accordo di programma «Per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel sito di bonifica di interesse Nazionale di Falconara Marittima», per l'ammontare complessivo di euro 3.272.727,00, tutti a valere sul predetto decreto ministeriale n. 308 del 2006.
  Per quanto riguarda l'attuazione degli interventi, si evidenzia che l'Accordo in parola ha individuato, alla stipula, Ispra e Arpa Marche quali soggetti attuatori degli interventi A1) e B1). Tuttavia, in fase di definizione dell'atto convenzionale con i citati enti, Ispra ha rappresentato la propria indisponibilità a realizzare i suddetti interventi.
  Il comitato di indirizzo e di controllo, tenutosi in data 26 giugno 2012, ha, pertanto, affidato l'attuazione degli interventi A1), A3) — per il quale era già stata Arpa individuata Arpa Marche quale soggetto attuatore – B1) alla sola Arpa Marche.
  Dopo una lunga negoziazione, è prossima alla stipula una convenzione attuativa tra la regione Marche ed ARPÀ Marche.
  Il medesimo comitato del 26 giugno 2012, inoltre, su istanza della regione Marche, ha deliberato di posticipare l'attuazione dell'intervento A4) integrazione del piano della caratterizzazione secondo le prescrizioni dettate dalla conferenza dei servizi decisoria (area parrocchia di S. Maria della Neve e S. Rocco) alla conclusione dell'intervento A5), valutando l'opportunità di rimodularne i contenuti e l'importo, anche in base ai risultati della caratterizzazione dell'impronta di fondo scavo di cui al medesimo intervento A5).
  Si segnala, infine, che l'attuazione dei rimanenti interventi disciplinati nel citato accordo di programma è affidata alla regione Marche e che gli interventi medesimi, sono in corso di attuazione.
  Dell'attività istruttoria sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, a tenersi informato e a svolgere un'attività di monitoraggio, anche al fine di valutare un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ANTEZZA, AMODDIO, ARLOTTI e IACONO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 aprile 1013, il signor Mario Murgia, in qualità di legale rappresentante l'AIEA – VBA (Associazione italiana esposti amianto – sezione Val Basento, Matera) e vice presidente della AIEA nazionale (con sede in Milano), depositava presso  la procura della Repubblica del tribunale di Matera un esposto-denuncia relativo alle «decine di morti che solo nell'ultimo decennio si sono verificate tra i dipendenti dello stabilimento ANIC/EniChem spa, sito presso l'area industriale di Pisticci Scalo (Matera), per varie letali patologie, in larghissima maggioranza di natura tumorale, addebitabili, con altissimo grado di probabilità logica e credibilità razionale, a sostanze cancerogene cui questi lavoratori sono stati esposti per lunghi periodi di tempo sul posto di lavoro; a partire dall'amianto»;
   a supporto delle asserzioni circa la massiccia quantità di fibre e polveri di amianto, che i lavoratori dello stabilimento di Pisticci Scalo erano costretti ad inalare, si possono consultare i numerosi piani di bonifica approvati e autorizzati dalle ASL regionali e acquisiti dalla sede locale del Ministero del lavoro e delle politiche sociali a seguito delle ispezioni effettuate per il rilascio della certificazione dell'attività lavorativa presso lo stabilimento in questione;
   a dimostrazione della pericolosità dell'amianto e a riprova degli effetti devastanti che esso ha causato e continua a causare sulla salute degli ex lavoratori dello stabilimento Enichem di Pisticci Scalo, si fa presente che è da tempo attiva presso l'ospedale Madonna delle Grazie di Matera, la «Sorveglianza sanitaria dei lavoratori ex esposti ad amianto»;
   si tratta di una struttura sanitaria che registra e monitora lo stato di salute dei lavoratori a suo tempo esposti all'amianto nell'ex ANI/EniChem di Pisticci e nelle altre società dell'indotto e che garantisce, tra l'altro, la denuncia di malattie professionali;
   ad oggi sono numerosissime le persone sottoposte a visita periodica, e altrettanto numerose sono le patologie riscontrate tra gli ex dipendenti dell'opificio di ANI/EniChem di Pisticci Scalo;
   grazie alla sorveglianza sanitaria istituita presso l'Unità operativa di medicina del lavoro dell'Ospedale di Matera e alle anamnesi precoci, numerosi ex dipendenti dello stabilimento hanno avuto la possibilità di prevenire un esito infausto perché sono stati sottoposti ad interventi non invasivi e circoscritti. Gli interventi rapidi sulle patologie degenerative hanno evitato l'eventuale crescita della massa tumorale e la successiva diffusione delle stesse cellule tumorali;
   ai lavoratori ex esposti alle fibre di amianto, ai quali è stata diagnosticata una patologia tumorale asbesto correlata, viene attualmente assicurato, un monitoraggio continuo con la dovuta assistenza sanitaria. Tale impegno ha permesso di costituire un prezioso database che testimonia l'esistenza del rischio amianto presso lo stabilimento di Pisticci;
   il dato più allarmante è rappresentato dal consistente numero di ex dipendenti deceduti per patologie maligne asbesto-correlate che purtroppo continuano a manifestarsi con sempre crescente insorgenza;
   oltre alle patologie quali mesotelioma, carcinoma polmonari, asbestosi, placche pleuriche, certamente causate dall'amianto, non si può sottacere la presenza di altre sostanze tossiche e nocive che hanno contribuito al manifestarsi di patologie oncologiche dell'apparato urogenitale, dell'apparato gastrointestinale, delle leucemie, del morbo di Parkinson, con percentuali di incidenza superiore ai dati riportati dallo «Studio Sentieri»;
   i dati sono disponibili per la consultazione presso la Sorveglianza sanitaria regione Basilicata, Ospedale Madonna delle Grazie di Matera, unità operativa medicina del lavoro e prevenzione;
   appare all'interrogante necessario fornire ogni strumento giuridico, anche sul piano giudiziario, che possa garantire, in tempi brevi, i diritti delle persone esposte all'amianto –:
   se il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative di carattere normativo volte ad assicurare che i procedimenti giudiziari concernenti l'esposizione alle fibre «killer» di amianto e alle altre sostanze tossiche e nocive, che vedono coinvolte persone con limitate aspettative di vita, si concludano entro tempi certi e ravvicinati. (4-04243)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo in esame gli interroganti – premesse alcune considerazioni concernenti numerose e gravi patologie, in vari casi aventi conseguenze mortali, diagnosticate sui dipendenti dello stabilimento ANIC/Enichem s.p.a. di Pisticci Scalo (Matera) e per la maggior parte addebitabili, a seguito di congrua valutazione probabilistica, alla prolungata esposizione dei lavoratori a sostanze cancerogene quali le fibre di amianto – chiedono se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative normative, volte ad assicurare che i procedimenti giudiziari concernenti l'esposizione alle fibre killer di amianto, in particolare ove siano coinvolte persone con limitate aspettative di vita, si concludano in tempi certi e ravvicinati.
  Per quanto attiene all'esposto-denuncia presentato alla procura della Repubblica presso il tribunale di Matera, l'ufficio giudiziario ha riferito che sono in corso diversi procedimenti penali originati da tale notizia di reato, pendenti nella fase delle indagini preliminari, nel cui ambito sono state anche svolte specifiche consulenze tecniche.
  Il complesso tema dell'amianto involge competenze e profili diversi, e chiama in causa il nostro Paese per il numero considerevole delle vittime di asbestosi e mesotelioma che, nel corso degli anni, hanno contratto malattie lungolatenti dapprima nelle attività estrattive e produttive e, dopo la legge che nel 1992 ne ha dismesso l'uso, nelle operazioni di manutenzione, bonifica e trattamento dei rifiuti, in violazione delle norme poste a tutela della salute e dell'ambiente.
  La necessità di gestire, ancora oggi, ingenti quantitativi di materiali contaminati e la manifestazione di patologie, eziologicamente riconducibili all'inalazione prolungata delle fibre di amianto, a notevole distanza temporale dall'esposizione, rende la tematica tuttora attuale, proponendo avvertite istanze di giustizia, sia con riferimento alla salvaguardia dell'ambiente e del territorio, che alla tutela delle persone danneggiate.
  La materia investe, quindi, valori di prioritario rilievo, ed ha troppo a lungo sofferto di una intempestiva ed inadeguata risposta delle istituzioni.
  La considerazione per cui le valutazioni scientifiche sulla pericolosità dell'amianto hanno richiesto articolati percorsi di sintesi non può giustificare la stratificazione di una normativa disorganica e frammentaria, che moltiplica competenze diverse e non coordinate, e che finisce per risolversi in un vuoto di tutela.
  Non è stato, finora, raggiunto l'obiettivo unitario di conferire coerenza attraverso un assetto normativo unitario e sistematico, capace di garantire adeguatamente l'uniformità e l'effettività delle decisioni giudiziarie, la salvaguardia dei beni comuni e la tutela dei diritti di rango costituzionale.
  Si iscrivono, però, in questa prospettiva recenti iniziative normative, che manifestano la chiara volontà del Governo di assicurare forme sempre più efficaci di difesa dell'ambiente e della salute, e di tutela delle vittime, attraverso il riconoscimento di maggiori diritti e strumenti di ristoro.
  La difesa dell'ambiente ha conosciuto un deciso potenziamento grazie agli sforzi profusi per varare la riforma degli «ecoreati», una delle novità legislative più rilevanti realizzate.
  Con la legge n. 68 del 22 maggio 2015 è stato, difatti, introdotto nel codice penale un nuovo titolo, specificamente dedicato ai reati contro l'ambiente, all'interno del quale hanno trovato ingresso i nuovi delitti di inquinamento ambientale, di disastro ambientale, di traffico e abbandono di materiale radioattivo e di impedimento al controllo. In relazione a tali condotte, finalmente inquadrate in puntuali fattispecie di reato, è stato previsto un trattamento sanzionatorio severo ed, inoltre, è stata prevista la responsabilità della persona giuridica nei casi in cui il reato sia commesso nell'interesse di una società.
  La tutela delle vittime dell'amianto si colloca, invece, entro le coordinate tracciate, più in generale, dalla recente legislazione, che ha conferito un rinnovato ruolo nella dinamica del procedimento penale alla persona offesa dal reato, potenziandone il diritto di difesa attraverso il riconoscimento dell'ammissione al patrocinio a spese dello Stato, anche al di fuori dei limiti di reddito previsti per il beneficio.
  La delineata prospettiva investe, più in generale, la piena esplicazione del principio del superiore interesse della vittima, ora recepito con il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, di attuazione della direttiva vittime di reato, in vigore dal 20 gennaio 2016, che realizza in concreto il diritto a garanzie nel contesto dei servizi di giustizia riparativa, in una rinnovata prospettiva di elisione ed attenuazione delle conseguenze antigiuridiche del reato, nel doveroso adeguamento agli standard europei.
  Nella legislatura in corso, sono stati presentati due disegni di legge, attualmente all'esame del Parlamento, specificatamente finalizzati alla tutela processuale delle vittime dell'amianto:
   a) il disegno di legge n. S/1942, presentato il 22 maggio 2015, avente ad oggetto «Disposizioni per l'ammissione delle vittime dell'amianto e dei loro familiari al patrocinio a spese dello Stato svincola l'ammissione al beneficio dalle condizioni reddituali, prevedendo la relativa copertura finanziaria;
   b) il disegno di legge S/8, presentato il 15 marzo 2013, avente ad oggetto «Norme a tutela dei lavoratori, dei cittadini e dell'ambiente dall'amianto, nonché delega al Governo per l'adozione di un testo unico in materia di amianto», prevede – tra l'altro – l'assistenza legale gratuita, le cui modalità saranno disciplinate attraverso un decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro della giustizia.

  Se approvata, tale previsione normativa si aggiungerà alla disciplina prevista dal decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 30 maggio 2002 in materia di gratuito patrocinio ed a quella concernente il pagamento dei contributo unificato nelle cause di lavoro e previdenza. Inoltre, tale previsione assume una portata generale in quanto si riferisce all'assistenza legale e, dunque, investe anche la fase precedente l'insaturazione del giudizio civile.
   Le istanze di complessiva razionalizzazione della materia in un unitario disegno di legge sono, inoltre, rimesse alle iniziative normative elaborate dalla II Assemblea nazionale sull'amianto, promossa, nello scorso novembre, dalla Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno degli infortuni sul lavoro.
  Il disegno di legge (A.S. 2702) costituirà un «Testo unico sull'amianto», a tutela della salute collettiva, e si propone il riordino, il coordinamento e l'integrazione della normativa in materia di amianto, al fine di disciplinare i vari settori di interesse, contestualmente individuando gli incentivi per pervenire ad una bonifica obbligatoria su tutto il territorio nazionale, e di garantire efficacia all'azione legislativa e amministrativa, nonché certezza di giustizia alle vittime e alle loro famiglie.
  In materia di tutela della sicurezza del lavoro, il disegno di legge mutua le disposizioni già contenute nel testo fondamentale di riferimento, il decreto legislativo 9 aprile 2008, n. 81, ed amplia il catalogo delle attività lavorative che espongono a rischi, anche indiretti. Si prevede che ogni attività potenzialmente rischiosa debba essere condotta utilizzando i migliori strumenti tecnologici e le più avanzate conoscenze tecniche, con lo scopo di garantire una sorveglianza più capillare; si onera il datore di lavoro a periodiche relazioni all'autorità di vigilanza e all'effettuazione trimestrale delle misurazioni, che coinvolgono anche l'ambiente contiguo all'area di lavoro.
  Non viene trascurata, poi, la disciplina della tutela della salute collettiva, comprese le prestazioni sanitarie per i soggetti ed i lavoratori esposti o già esposti all'amianto, a carico del Servizio sanitario nazionale e dell'Inail.
  Viene istituita l'Agenzia nazionale amianto, presso la Presidenza del Consiglio dei ministri con compiti multidisciplinari, tra i più importanti dei quali vi è il coordinamento della vigilanza in materia ambientale, assicurativa, previdenziale e di tutela della salute e della sicurezza nei luoghi di lavoro.
  Il provvedimento normativo interviene, inoltre, nella materia della prescrizione modificando l'articolo 157 codice penale, segnatamente sui termini di prescrizione dei reati di danno, dolosi e colposi, nonché dei reati di pericolo. Si propone, inoltre, il raddoppio dei termini di prescrizione per l'irrogazione delle sanzioni amministrative da reato agli enti collettivi.
  Quanto agli aspetti processuali, infatti, si modificano gli articoli 221 e 225 del codice di procedura penale; i termini delle indagini preliminari e della prescrizione vengono raddoppiati in caso di processi per i reati di disastro, lesioni e morte per malattie asbesto-derivate; si stabilisce l'obbligo di assunzione della testimonianza e della perizia con le forme dell'incidente probatorio, anticipandole dunque nella fase delle indagini, per tener conto del rischio che le vittime dell'amianto abbiano una ridotta aspettativa di vita. E inoltre contemplata l'ammissione delle vittime e dei loro familiari al patrocinio a spese dello Stato nei processi per disastro, omicidio, lesioni.
  Sotto il profilo del potenziamento delle forme stabilità 2016 ha già previsto che «Le prestazioni assistenziali di cui all'articolo 1, comma 116, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, a favore dei malati di mesotelioma che abbiano contratto la patologia o per esposizione familiare a lavoratori impiegati nella lavorazione dell'amianto ovvero per esposizione ambientale comprovata e che siano deceduti nel corso dell'anno 2015 possono essere erogate agli eredi, nella misura fissata dal decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 4 settembre 2015 ripartita tra gli stessi, su domanda, corredata di idonea documentazione, presentata dai medesimi entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge. Le prestazioni di cui al presente comma sono erogate a valere sulle disponibilità presenti nel Fondo per le vittime dell'amianto, di cui all'articolo 1, comma 241, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, istituito presso l'INAIL, nei limiti delle somme individuate dal citato decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 4 settembre 2015 e destinate alla copertura delle spese per le prestazioni in favore degli aventi diritto per l'anno 2015».
  Il comma 250 dell'articolo 1 della legge 11 dicembre 2016, n. 232, cosiddetta Legge di stabilità 2017, ha altresì introdotto, entro alcuni limiti finanziari, il diritto alla pensione di inabilità per i soggetti affetti da alcune malattie connesse all'esposizione lavorativa all'amianto anche per i casi in cui manchi il presupposto dell'inabilità assoluta; inoltre, esso introduce modifiche ai relativi requisiti contributivi.
  I richiamati interventi normativi potenziano, dunque, le forme di tutela in ambito previdenziale – in favore dei lavoratori esposti continuativamente alle fibre di amianto – rappresentata dal riconoscimento di periodi di contribuzione figurativa, ai sensi dell'articolo 13, comma 8, legge 27 marzo 1992, n. 237.
  Le azioni risarcitorie per danni conseguenti alla nocività dell'ambiente lavorativo determinata dall'esposizione all'amianto trovano, invece, il loro generale punto di riferimento nel disposto dell'articolo 2087 del codice civile, in relazione alle fonti disciplinanti gli obblighi del datore di lavoro ai fini di prevenire i rischi derivanti dall'esposizione a tali sostanze.
  Al fine di assicurare la massima tempestività nella decisione delle relative controversie, le predette forme di tutela sono azionabili secondo le disposizioni generali dettate per il contenzioso in materia di lavoro e previdenza obbligatoria, di cui agli articoli 409 e seguenti e 442 e seguenti del codice di procedura civile, ferma restando la facoltà, nei casi in cui l'accertamento dello stato di luoghi o persone abbia carattere di urgenza, di richiedere l'espletamento di atti di istruzione preventiva, in specifico riferimento al disposto contenuto nell'articolo 696 del codice di procedura civile.
  Le caratteristiche di concentrazione, dunque, sono tipiche del rito già applicabile alle controversie in esame.
  La ricerca di maggiore celerità di questi processi si inserisce, pertanto, piuttosto nell'ambito delle iniziative, di carattere sia normativo generale sia organizzativo, che negli ultimi tre anni ho posto in essere per la maggiore efficienza – in particolare – del processo civile.
  Se infatti, sul piano normativo, ho proposto la riforma del processo civile (A.S. 2284, in corso di esame alla Commissione giustizia), con delega al Governo di dettare disposizioni volte ad accelerarne le procedure, sin dall'inizio del mio mandato ho, altresì, messo in campo ogni sforzo per far fronte ad una situazione di cronica criticità, tanto sul versante del personale amministrativo, quanto su quello dell'organico magistratuale.
  Dal processo civile telematico, che è una realtà, alle diverse procedure relative al personale amministrativo, che permetteranno l'immissione in servizio di oltre 5.000 unità, sino alla assunzione di circa 1.000 nuovi magistrati entro il prossimo biennio: tutte misure che, insieme alle altre sinora varate, già hanno prodotto il risultato di una ragguardevole riduzione dell'arretrato (da circa 5.200.000 procedimenti civili pendenti nel 2013 a circa 3.820.000 al 30 giugno dello scorso anno) e che, si auspica, ancor più ne produrranno in futuro.
  Alle medesime finalità di accelerazione dell'accertamento processuale, nel rispetto delle garanzie, mira anche il disegno di legge sul processo penale, tuttora in discussione in Senato.
  La definitiva approvazione delle riforme processuali in itinere consentirà di salvaguardare più efficacemente anche i diritti delle vittime dell'amianto, nel profondo convincimento che dall'effettività della tutela giudiziaria passi davvero il grado di civiltà di una comunità.
  Merita, infine, di essere segnalata l'istituzione, nel maggio 2016, di un Tavolo interistituzionale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, nell'ambito della Conferenza unificata, al quale partecipa il Ministero della giustizia. I compiti affidati al tavolo hanno ad oggetto l'individuazione delle misure del piano nazionale amianto che richiedono adeguate coperture finanziare, l'aggiornamento periodico del Piano stesso e l'individuazione delle misure prioritarie.
  I componenti del tavolo hanno individuato l'urgenza di adottare un provvedimento che imponga alle regioni di individuare le aree idonee a ricevere rifiuti da amianto, nonché di assicurare trasparenza al mercato, istituendo un albo pubblico delle imprese che effettuano lo smaltimento e pubblicando i prezzi praticati.
  Il tavolo è attualmente impegnato anche nella predisposizione di proposte funzionali alla semplificazione delle procedure di smaltimento nei casi di cosiddetto micro raccolta e all'incentivazione della rimozione di quantità piccole di rifiuti provenienti dalle abitazioni civili.
  Al tavolo è altresì affidata la valutazione della predisposizione di un testo unico in materia e l'indizione di una conferenza nazionale sull'amianto a cadenza periodica.
  Il complesso delle iniziative adottate è, dunque, orientato a garantire i diritti dei lavoratori esposti all'inalazione di fibre di amianto ad ottenere ogni forma di tutela prevista dalla legge, nel senso prospettato dagli interroganti.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   scadrà il 31 dicembre 2016 il termine che consente di attingere ancora alla graduatoria dei circa 4.100 idonei del concorso bandito nel 2008 per l'assunzione di 814 persone nel corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   è prevedibile, data l'ampiezza del bacino di coloro che a quel concorso sono risultati idonei e non sono ancora stati assunti, che allo scadere del termine del 31 dicembre saranno ancora molto numerosi coloro che non sono stati chiamati;
   il problema è particolarmente acuto per i cosiddetti «idonei civili», che sarebbero 3.500;
   nel frattempo, il Ministero dell'interno avrebbe approvato il bando di un nuovo concorso per 250 posti nel corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   la scelta di procedere allo svolgimento di un nuovo concorso quando è ancora possibile attingere a persone che hanno già superato le prove attitudinali di selezione non sembra all'interrogante né economica né moralmente accettabile;
   è stata peraltro ventilata la possibilità che si continui ad assumere gli idonei del concorso del 2008 fino a quando non sarà disponibile la graduatoria del nuovo concorso la cui indizione sarebbe stata recentemente approvata dal Ministero dell'interno;
   neppure in questo caso, peraltro, pare realistico ipotizzare un piano di assunzioni ad esaurimento concernente gli idonei del concorso del 2008 –:
   se il Governo ritenga possibile prorogare ulteriormente la validità della graduatoria degli idonei del concorso bandito nel 2008, cosiddetto degli 814, e fino a quando;
   quali siano le previsioni del Governo in merito al numero massimo probabile dei risultati idonei al concorso del 2008 che potranno essere chiamati, sia in caso di scadenza effettiva al 31 dicembre 2016 della graduatoria che in caso di proroga della validità della medesima;
   se il Governo intenda o meno assumere iniziative per assicurare l'assunzione di tutti gli idonei del concorso indetto nel 2008 per 814 vigili del fuoco. (4-14297)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene chiesta l'adozione di iniziative di carattere normativo volte ad ottenere un'ulteriore proroga della graduatoria del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco, indetto nel mese di novembre del 2008, sì da consentire l'assunzione di tutti i candidati risultati idonei.
  In proposito, si fa presente che la graduatoria del predetto concorso è stata più volte prorogata per esigenze di contenimento della spesa pubblica, in deroga a quanto previsto dall'articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
  Da ultimo, l'articolo 1, comma 368, della legge di bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016) ha prorogato la graduatoria fino al 31 dicembre 2017.
  Si rappresenta, inoltre, che in ragione delle assunzioni effettuate nel corso degli anni, la graduatoria in questione ha visto uno scorrimento di circa 4.500 idonei a fronte di un concorso bandito per 814 posti. Questi numeri costituiscono un'importante risposta alle aspettative dei circa 7.600 idonei del concorso medesimo.
  Quanto alla nuova procedura concorsuale a 250 posti nella qualifica di vigile del fuoco, si informa che il relativo bando è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale concorsi ed esami n. 90 del 15 novembre 2016. Successivamente, nella Gazzetta Ufficiale – IV serie speciale concorsi ed esami – del 31 gennaio 2017, è stato pubblicato il diario della prova preselettiva che si terrà dal 29 maggio al 12 giugno 2017.
  Questo concorso consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano operativo che su quello funzionale. Si rammenta, infatti, che l'età media degli idonei del concorso a 814 posti risulta essere superiore a 36 anni.
  Nelle more dell'ultimazione di tale procedura concorsuale, l'Amministrazione dell'interno continuerà, ovviamente, ad utilizzare la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti ancora in vigore, come già detto, fino al 31 dicembre 2017.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   BATTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Società italiana degli autori e degli editori (SIAE) ha nominato, in data 16 novembre 2016, la Commissione «Sillumina – copia privata per i giovani, per la cultura» per la valutazione di progetti che riceveranno finanziamenti a fondo perduto con i proventi derivanti dalla raccolta della copia privata, in attuazione di quanto previsto dalla legge di stabilità 2016 e dall'atto di indirizzo del Ministro interrogato del 28 marzo 2016;
   a norma dell'articolo 71-septies della legge n. 63 del 1941 la Siae ha il diritto di trattenere il 10 per cento dei proventi derivanti da copia privata e destinarlo al finanziamento di progetti e per attività che favoriscano la promozione culturale nazionale ed internazionale dei giovani under 35 residenti nel territorio italiano, in atti visive, performative e multimediali, cinema, teatro e danza, libro e musica;
   la Commissione, che deve decidere nel termine di 45 giorni, è stata nominata dopo la chiusura del bando ed è composta da Gino Castaldo, che ha lavorato presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al Comitato di redazione del portale nazionale della musica italiana; Severino Salvemini, il quale è stato membro del consiglio d'amministrazione di diversi enti, quali ad esempio il Teatro alla Scala, la Biennale di Venezia, Cinecittà Holding; Emanuela Giordano, che ha già ricoperto incarichi in collaborazione con la SIAE, per la quale ha fatto parte della Commissione di valutazione del concorso di drammaturgia SIAE e ha condotto un laboratorio teatrale, patrocinato dalla stessa; Alessandro Ferdinando Leon, presidente di Cles srl (Centro di ricerche e studi sui problemi del lavoro, dell'economia e dello sviluppo), che risulta tra l'altro essere fornitrice della SIAE per il bando in questione, relativamente al supporto tecnico; Mario Stella Richter, professore universitario, in passato sub-commissario della SIAE e attualmente membro del Comitato di gestione della SIAE;
   secondo quanto previsto dall'atto di indirizzo, alla sezione «vigilanza e pubblicità», si stabilisce che, entro 60 giorni dalla chiusura della procedura di selezione, la Siae debba presentare apposito rendiconto alla direzione generale circa i progetti selezionati e le quote stanziate per ciascuno di essi. Tuttavia, non si fa alcun riferimento alla circostanza nella quale residuino fondi non utilizzati –:
   se il Ministro sia a conoscenza della predetta situazione in relazione la Commissione valutatrice del bando «Sillumina» e se ritenga che la scelta dei commissari sia stata oculata, se le professionalità individuate siano adeguate o se, piuttosto, non si ravvisino incompatibilità o conflitti di interessi ed eventualmente come si intenda agire in merito per quanto di competenza;
   come si giustifichi il fatto che la nomina della commissione atta a valutare i progetti sia stata resa nota solo dopo la chiusura del bando stesso, in contrasto con quanto si legge nell'atto di indirizzo. (4-14895)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, in relazione alla commissione nominata dalla Siae per la selezione dei progetti dell'iniziativa «S'illumina. Copia privata per i giovani, per la cultura», finanziati con i proventi derivanti dalla raccolta della copia privata, chiede di conoscere le valutazioni dell'amministrazione riguardo la commissione: adeguatezza dei componenti, possibilità di incompatibilità o esistenza di conflitti di interesse e riguardo al fatto che essa sia stata nominata dopo la chiusura del bando, in contrasto con l'atto di indirizzo del Ministro del 28 marzo 2016.
  Il 15 novembre 2016 è terminato il periodo utile per l'invio dei progetti di partecipazione ai bandi della procedura di selezione «S'illumina. Copia privata per i giovani, per la cultura» (di seguito: selezione), indetta dalla Siae secondo le modalità e nelle aree tematiche di cui all'atto di indirizzo emanato dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi dell'articolo 1, comma 335, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016).
  Con nota del 16 novembre la Siae ha informato la direzione generale Biblioteche e istituti culturali del Ministero che, in pari data, il Consiglio di gestione aveva proceduto alla nomina dei membri della commissione competente ad esaminare le domande pervenute, nomina di cui il Ministero ha facoltà di prendere unicamente atto.

  Nel sottolineare infatti che il Ministero non ha alcun potere nei confronti delle libere scelte che la Siae opera nell'ambito della selezione – esulando totalmente tutta la procedura dai poteri di vigilanza svolti dal dicastero ai sensi della legge n. 2 del 2008 e dello statuto della società stessa ed essendo prevista una vigilanza unicamente sulla corretta applicazione dell'atto di indirizzo – si rileva la formale rispondenza dei componenti nominati ai requisiti di esperienza e di chiara fama di cui al punto 3.1 dell'atto di indirizzo, nonché a quelli più generali di onorabilità e professionalità. Ai sensi della normativa vigente, è peraltro normale che la commissione sia stata nominata all'indomani della chiusura dei bandi della selezione, atteso che l'atto di indirizzo nulla statuisce sulla tempistica da seguire e considerato che nelle procedure ad evidenza pubblica, la nomina dei commissari avviene sempre dopo la scadenza del termine per la presentazione delle domande o delle offerte, per evidenti esigenze di garanzia e di indipendenza della procedura.
  Ricevuti e analizzati, da un punto di vista formale, i curriculum vitae dei commissari, se pure la loro trasmissione fosse finalizzata unicamente ad una presa d'atto dell'Amministrazione, sembra si possa affermare che non possono residuare dubbi sulla competenza professionale e l'esperienza maturata da ciascun designato negli ambiti artistici delineati dall'atto di indirizzo e dai bandi stessi.
  Con riguardo al termine posto nell'atto di indirizzo, entro cui concludere l'assegnazione delle risorse (l'atto, al § 3.1, dispone che le risorse siano assegnate entro la fine del 2016), si rende noto che, in data 25 novembre 2016, la Siae ha inviato al Ministero una richiesta di differimento del predetto termine, in considerazione della gravosa attività istruttoria da svolgere in conseguenza dell'elevato numero di progetti pervenuti. L'Amministrazione, valutato il carattere ordinatorio del termine fissato, ha ritenuto di poter consentire un differimento, con la raccomandazione tuttavia di non eccedere i sessanta giorni oltre la fine dell'anno solare.
  Da ultimo si rappresenta che nella sezione vigilanza e pubblicità, di cui all'atto di indirizzo, è stabilito che la rendicontazione che Siae deve presentare al Ministero, per la verifica di congruità, attiene esclusivamente alle spese effettuate per l'espletamento della procedura di evidenza pubblica. Pertanto attualmente è possibile affermare unicamente che le quote percentuali stanziate per ciascun bando, chiaramente fissate nell'atto di indirizzo, sono correttamente riportate nei singoli bandi della selezione.
  Si precisa che non è prevista l'ipotesi di inutilizzazione di fondi, in quanto questi dovranno essere interamente impiegati per l'assegnazione dei premi ai progetti maggiormente meritevoli in scorrimento di graduatoria.
  Riguardo alla selezione la Siae gode di un ampio margine di autonomia, garantitole dalla legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 335, che stabilisce che «al fine di favorire la creatività dei giovani autori, il 10 per cento di tutti i compensi incassati ai sensi dell'articolo 71-septies, calcolato prima delle ripartizioni effettuate dalla Società italiana degli autori ed editori (Siae) ai sensi dei commi 1 e 3 del presente articolo, è destinato dalla società, sulla base di apposito atto di indirizzo annuale del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ad attività di promozione culturale nazionale e internazionale», ponendo dunque in capo al Ministero l'unico onere di emanare un atto di indirizzo annuale teso ad individuare le attività culturali beneficiarie dei fondi.
  L'Amministrazione, comunque, segue con attenzione lo svolgimento della procedura, riservandosi, per il futuro, gli eventuali rilievi di merito e/o di metodo necessari od opportuni.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   BENEDETTI, BASILIO, MASSIMILIANO BERNINI e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 157 del 1992 recante: «Norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio» stabilisce che «le Regioni, con apposite norme, sentite le organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e le province interessate, ripartiscono il territorio agro-silvo-pastorale destinato alla caccia programmata ai sensi dell'articolo 10, comma 6, in ambiti territoriali di caccia, di dimensioni subprovinciali, possibilmente omogenei e delimitati da confini naturali»; la suddetta legge stabilisce che «negli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia (ATC) deve essere assicurata la presenza paritaria, in misura pari complessivamente al 60 per cento dei componenti, dei rappresentanti di strutture locali delle organizzazioni professionali agricole maggiormente rappresentative a livello nazionale e delle associazioni venatorie nazionali riconosciute, ove presenti in forma organizzata sul territorio. Il 20 per cento dei componenti è costituito da rappresentanti di associazioni di protezione ambientale presenti nel Consiglio nazionale per l'ambiente e il 20 per cento da rappresentanti degli enti locali» (articolo 14, comma 10);
   tra i molteplici poteri dei comitati direttivi degli Ambiti territoriali di caccia (Atc) c’è anche quello di autorizzare i cacciatori a sconfinare, ossia ad entrare in ambiti di caccia diversi da quelli di «residenza»;
   i criteri stabiliti di composizione negli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia non sempre vengono rispettati, con il rischio evidente in taluni casi, come avviene nei cinque Atc della provincia di Padova — ente delegato dalla regione come autorità competente in materia amministrativa sulla caccia – che i posti riservati alle associazioni di protezione ambientale siano impropriamente occupati da rappresentanti delle associazioni venatorie, come si evince anche dalle seguenti nomine: il 12 febbraio 2008 nel comitato direttivo dell'Atc PD3 vengono nominati Bertan Walter, componente della Giunta di Federcaccia Padova e Presidente di Sezione della Federcaccia di Trebaseleghe (Padova) e Scremin Loris, Vice Presidente della Sezione Associazione Cacciatori Veneti di San Martino di Lupari (Padova); nel Comitato Direttivo dell'A.T.C. PD2 vengono nominati Stella Oscar, Presidente di Federcaccia Padova, Vice Presidente di Federcaccia Veneto e Presidente di Sezione della Federcaccia di Cervarese S.Croce (Padova) e Soffia Francesco, componente della Giunta di Federcaccia Padova; il 31 gennaio 2012, viene nominato come componente del Comitato Direttivo dell'Ambito Territoriale di Caccia PD3 Ottorino Scquizzato, indicato dall'Associazione «Ambiente e è vita», associazione che partecipa alle kermesse venatorie dell'Associazione Cacciatori Veneti; il 6 maggio 2014, nel Comitato Direttivo dell'Ambito Territoriale di Caccia PD1, viene nominato Zanon Ervè, Presidente di Sezione della Federcaccia di Cadoneghe (Padova);
   il fatto che associazioni come «ambiente e, è vita» ed «Ekoclub», legate al mondo venatorio, siano state riconosciute dal Ministero dall'ambiente e della tutela del territorio e del mare come associazioni di protezione ambientale, consente ai cacciatori di essere nominati nella quota di rappresentanza di queste ultime –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei gravi fatti descritti in premessa e quali utili iniziative di competenza intenda intraprendere per la corretta applicazione della legge n. 157 del 1992, in particolare per quanto riguarda la costituzione degli organi direttivi degli ambiti territoriali di caccia, affinché vengano rispettati, nella sostanza, i criteri stabiliti dall'articolo 14, comma 10, soprattutto per evitare che i posti riservati alle associazioni ambientaliste siano impropriamente occupati da rappresentanti delle associazioni venatorie;
   se non ritengano di assumere le iniziative di competenza, anche sul piano normativo o, se necessario, in sede di conferenza Stato-regioni, affinché, nella costituzione dei suddetti organi direttivi, onde evitare il rischio di sovrapposizione tra associazioni venatorie ed associazioni di protezione ambientale, vengano nominati esponenti di quest'ultime che siano chiaramente esterni ad associazioni venatorie;
   se non si ritenga necessario assumere iniziative affinché il riconoscimento delle associazioni di protezione ambientale da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avvenga previa rigorosa verifica della circostanza per cui le loro attività non siano in alcun modo legate al mondo venatorio. (4-15170)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa alla composizione degli organi direttivi degli Ambiti territoriali di caccia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale e dal segretariato generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, richiamare gli aspetti relativi alla procedura attraverso la quale il Ministero dell'ambiente raccoglie e aggiorna le informazioni relative alle associazioni di protezione ambientale presenti nell'elenco pubblicato sul sito istituzionale.
  Un'associazione, costituitasi da almeno tre anni, che operi nel campo della tutela ambientale, può inoltrare istanza al Ministero dell'ambiente per ottenere, se in possesso dei previsti requisiti, il riconoscimento come associazione di protezione ambientale ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 349 del 1986 che recita: «Le associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e quelle presenti in almeno cinque regioni sono individuate con decreto del Ministro dell'ambiente sulla base delle finalità programmatiche e dell'ordinamento interno democratico previsti dallo statuto, nonché della continuità dell'azione e della sua rilevanza esterna...».
  Con il citato articolo 13, infatti, il legislatore ha stabilito specifici criteri normativi, in base ai quali la stessa pubblica amministrazione, attraverso esplicito riconoscimento e mediante apposito decreto ministeriale, è chiamata ad individuare le associazioni ambientaliste a carattere nazionale. Tali criteri sono:
   a) la diffusione territoriale nazionale o in almeno cinque regioni;
   b) il perseguimento di finalità programmatiche di tutela ambientale;
   c) l'ordinamento democratico interno previsto dallo statuto;
   d) la continuità e rilevanza esterna dell'attività associativa.

  La sussistenza in capo all'ente di tali condizioni risulta, quindi, presupposto necessario per il riconoscimento ministeriale, e ciò in quanto essi rappresentano indici rivelatori della capacità dell'associazione di farsi portatrice dell'interesse diffuso alla tutela dell'ambiente.
  I dati relativi alle associazioni di protezione ambientale individuate ex articolo 13 della citata legge n. 349/1986 e pubblicati nel sito web istituzionale sono raccolti in prima istanza al momento della presentazione della richiesta di riconoscimento e sono verificati in sede di periodico aggiornamento della permanenza dei requisiti richiesti dal richiamato articolo 13. Il procedimento di aggiornamento viene svolto di norma con periodicità triennale, con le modalità che saranno descritte di seguito. Le informazioni sono inoltre modificate ogniqualvolta l'associazione medesima comunica le variazioni intervenute: è infatti compito dell'associazione riconosciuta, così come avviene per le nuove istanze, tenere informata l'amministrazione in caso di modifiche rilevanti riguardanti l'assetto associativo.
  L'ultimo aggiornamento dell'elenco delle associazioni di protezione ambientale riconosciute è stato avviato dal Ministero dell'ambiente nel novembre 2015 e, ad oggi, è in fase di conclusione.
  Al fine, infatti, di assicurare uniformità e coerenza dell'azione amministrativa ed evitare possibili disparità di trattamento, il Ministero dell'ambiente provvede a invitare tutte le associazioni inserite nell'elenco a compilare un questionario di aggiornamento, con richiesta di presentare la pertinente documentazione.
  In relazione all’iter da seguire per la verifica dei requisiti delle associazioni di protezione ambientale, il Ministero provvede dapprima al controllo formale della documentazione, tenendo conto sia delle dichiarazioni fornite dal legale rappresentante dell'associazione, sia di quanto dichiarato con la documentazione prodotta. Successivamente, nel merito, provvede ad accertare il persistere dei requisiti indicati dal citato articolo 13 con un'attenta verifica, valutando il rispetto dei criteri interpretativi del Consiglio nazionale per l'ambiente del 1988, unitamente al parere dell'avvocatura generale dello Stato dell'11 ottobre 2011 e dei più recenti orientamenti giurisprudenziali, per le questioni relative che si presentano di volta in volta.
  In seguito, il Ministero invita tutte le associazioni a riscontrare le relative note inviate a seguito di istruttoria, entro e non oltre 60 giorni dal ricevimento delle stesse, con la richiesta di fornire i relativi documenti e chiarimenti, salvo istanza dell'associazione interessata di un ulteriore termine, eventualmente necessario ed adeguatamente motivato.
  Il tempo necessario per portare a conclusione il procedimento di aggiornamento dell'elenco dipende, quindi, dalla necessità di ciascuna associazione di poter dare riscontro alle note di richiesta chiarimenti e integrazioni, in modo da salvaguardare i principi di correttezza e buon andamento dell'azione amministrativa. La conclusione del procedimento di aggiornamento, di conseguenza, avrà bisogno di un più appropriato periodo di tempo, questo a beneficio dell'interesse pubblico che la disposizione normativa in esame è precipuamente preordinata a soddisfare.
  In particolare, per quanto riguarda le associazioni in esame, si fa presente che, oggi, sono ancora in fase di aggiornamento.
  Il primo riscontro operato, in sede istruttoria, attiene al carattere associativo dell'ente e alla previsione di un «ordinamento interno democratico». L'indagine sul rispetto di tale principio è effettuata attraverso un attento studio delle norme statutarie e regolamentari. Inoltre, il parere dell'avvocatura del 2011 individua alcuni indici significativi e le condizioni essenziali da ricercare all'interno delle norme statutarie e più specificamente «la libertà di iscrizione per tutti coloro che intendono partecipare alla vita dell'associazione, condividendone le finalità; l'attribuzione all'Assemblea dei soci di poteri di nomina e di revoca degli amministratori e di approvazione dei bilanci; l'attribuzione ai soci del diritto di voto nelle Assemblee deliberative, indipendentemente dalla circostanza che essi possano appartenere a categorie distinte; la riserva di un ragionevole numero di cariche direttive a componenti di sesso femminile, secondo il princìpio dell'equilibrio di genere».
  Come è noto, dalla lettura dell'articolo 13 della legge n. 349 del 1986, altro requisito da accertare attraverso l'esame delle attività concretamente svolte dall'ente, è quello relativo «alle finalità programmatiche» delle associazioni di protezione ambientale a carattere nazionale e presenti in almeno cinque regioni.
  Il generico riferimento legislativo alla finalità statutaria della protezione ambientale ha reso necessaria l'individuazione, per la via interpretativa, di specifici criteri discriminanti che consentissero una più netta demarcazione delle associazioni ambientalistiche aventi effettivamente titolo al riconoscimento previsto dal citato articolo 13. Da questo punto di vista, è apparso rispondente alla ratio della legge interpretare il riferimento alla finalità della protezione ambientale nel senso più ampio del termine, ritenendo inclusi nell'ambito di operatività della norma soltanto quei soggetti che abbiano come fine istitutivo la protezione della qualità dell'ambiente nella sua globalità.
  La specifica della protezione dell'ambiente in senso globale, deve risultare, in questo senso, centrale e prevalente rispetto agli eventuali altri fini perseguiti dall'associazione. Da questo punto di vista, si ritiene che la centralità e globalità del fine della protezione ambientale debba essere individuata non soltanto attraverso la lettura del testo statutario ma, altresì, attraverso una approfondita valutazione della concreta attività posta in essere dalle associazioni ambientalistiche in senso lato.
  Sulla base di tale impostazione, si è ritenuto dovessero essere escluse dal novero delle associazioni aventi diritto al riconoscimento ai sensi dell'articolo 13 tutte quelle associazioni che non abbiano tra i fini principali della loro costituzione la protezione dell'ambiente ma considerino quest'ultima come un corollario di altre attività.
  L'articolo 13 della citata legge n. 349 del 1986 prevede, inoltre, come ulteriore requisito per il riconoscimento delle associazioni di protezione ambientale quello della «rilevanza esterna».
  Si ritiene che esso implichi la capacità delle associazioni ambientalistiche di suscitare interesse e coinvolgimento da parte dell'opinione pubblica attraverso lo svolgimento delle proprie attività istituzionali.
  Al fine di consentire, da parte del Ministero dell'ambiente, un'attenta valutazione della continuità dell'attività e della sua rilevanza esterna si richiede al legale rappresentante di illustrare adeguatamente e sottoscrivere una relazione dettagliata sulle azioni effettuate nell'ultimo triennio, evidenziando le date di svolgimento, i territori interessati e la descrizione delle attività di natura ambientale riferita all'ultimo triennio e in almeno cinque delle regioni in cui si dichiara la presenza.
  Alla luce di quanto detto, l'attività istruttoria riguardante le due Associazioni in esame, ha riguardato la verifica di un'attività continuativa pluriennale in campo ambientale, in particolare volta a valutare la capacità di suscitare interesse e coinvolgimento dell'opinione pubblica; la piena autonomia e indipendenza per le associazioni derivate da altre, sia per la struttura giuridica, sia perché dotate di soci propri e la presenza di un ordinamento interno democratico.
  Il procedimento di verifica ha investito sia la fase demandata ad istruttori esperti e specializzati, per il riscontro di irregolarità formali e/o criticità di natura sostanziale rispetto a quanto richiesto nel questionario inviato, sia quella ulteriore, demandata alla competenza di un organo collegiale (commissione di valutazione delle istruttorie), istituito con decreto del segretario generale dell'11 dicembre 2015, che provvede, al riguardo, a fornire un parere tecnico-giuridico sulla riconoscibilità delle associazioni ovvero, in presenza di incompletezza documentale, a richiedere le relative integrazioni.
  Nello specifico, l'Ekoclub International con decreto del Ministero dell'ambiente n. 862 del 26 giugno 1992, otteneva il riconoscimento di associazione di protezione ambientale ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 349 del 1986. La natura di associazione ambientalistica dell'Ekoclub International era confermata con atto del 4 ottobre 1999, adottato dal Ministero dell'ambiente nel ritenuto presupposto che, malgrado alcune successive marginali modificazioni statutarie, permanevano le condizioni di rappresentatività del sodalizio come previste dall'indicato articolo 13 della legge n. 349 del 1986.
  Da una prima fase istruttoria sulla verifica della persistenza dei requisiti richiesti dall'articolo 13 della citata legge, l'associazione presentava alcune criticità riferite all'ordinamento interno democratico, alcune irregolarità formali ed inoltre la mancanza della continuità e rilevanza esterna dell'attività nell'ultimo triennio, ben esplicitate nella nota di richiesta di chiarimenti inviata all'associazione con nota del 22 luglio 2016.
  In particolare, dalla lettura dello statuto, erano state riscontrate alcune problematiche per le quali si rendevano necessarie integrazioni e chiarimenti, tra cui, l'assenza della riserva di un ragionevole numero minimo di cariche direttive a componenti di sesso femminile, secondo il principio dell'equilibrio di genere e le caratteristiche e le modalità di partecipazione alla vita associativa del socio simpatizzante.
  L'associazione, con nota del 13 gennaio 2017, avvalendosi della facoltà prevista dalla legge n. 241 del 1990, ha presentato per iscritto le proprie osservazioni.
  In riferimento alle criticità mosse all'interno dello statuto, l'associazione provvede a quella relativa all'assenza della riserva di un ragionevole numero di cariche direttive a componenti di genere femminile, apportando una modifica dello statuto, in tal senso, all'articolo 10 dello stesso prevedendo che le liste debbano contenere almeno il 30 per cento di candidati di genere femminile.
  Quanto al secondo aspetto, rilevato dalla nota citata, l'associazione fa presente di aver abolito la categoria del «socio simpatizzante» dichiarando che i soci saranno di due sole categorie, entrambi con eguali diritti.
  Al riguardo, con riferimento al numero dei soci, in sede di istruttoria sono stati evidenziati gli articoli 33 e seguenti («affiliazioni») del regolamento di attuazione dello statuto di Ekoclub International Onlus che va a disciplinare il sistema di affiliazioni e/o convenzioni dell'associazione con enti organismi privati o pubblici, o con qualsiasi altra associazione, ed è stato richiesto all'associazione con nota del 22 luglio 2016 di dare un riscontro dettagliato del numero esatto dei propri soci, allegando copia delle eventuali convenzioni stipulate con le altre associazioni.
  Tutto ciò è stato segnalato alla luce di quanto disposto dal Consiglio Nazionale per l'Ambiente nella seduta 11 gennaio 1988, che stabilisce che «le Associazioni derivate da altre possono ottenere il riconoscimento, se ed in quanto siano pienamente autonome e indipendenti dalla prima, sia per la loro struttura giuridica, sia riguardo gli organi direttivi, sia purché dotati di soci propri».
  Nella documentazione integrativa inviata dall'associazione con nota del 13 gennaio 2017, sulla questione in oggetto, Ekoclub International dichiara che «da quel di non subisce alcun influsso esterno... Né al momento sono vigenti convenzioni che attengano al tesseramento». Ancora dichiara di riconoscere che «quando Ekoclub International sorse, fu per iniziativa di Federcaccia, ma ad oggi, tale legame non si può dire tale da condizionare l'azione di Ekoclub International che non esita ad effettuare controlli proprio sull'attività venatoria».
  In riferimento all'attività, invece, nella prima fase istruttoria, da un'attenta lettura della documentazione trasmessa in allegato all'istanza, in relazione alla «continuità» e «rilevanza esterna» dell'azione in campo ambientale svolta dall'associazione, si sono rilevati interventi in materia di protezione ambientale descritti in modo del tutto generico, senza contestualizzazione temporale e territoriale ed è emersa una discontinua e poco consistente attività di protezione ambientale, facendo configurare una carenza nel requisito della continuità e della rilevanza esterna dell'azione di tutela ambientale, riferita all'ultimo triennio e in almeno cinque delle regioni in cui si dichiara la presenza.
  A seguito della nota di richiesta chiarimenti sopracitata inviata dal Ministero dell'ambiente, l'associazione ha provveduto a presentare una documentazione integrativa ed esplicativa dell'attività attraverso numerosi allegati afferenti all'attività, con la trasmissione delle Relazioni delle varie sezioni locali in cui vengono illustrate le diverse azioni in campo ambientale svolte dall'ente nell'ultimo triennio. Dalla attività dichiarata non si evince un carattere venatorio, in quanto vengono documentate azioni in materia di rifiuti e discariche abusive, azioni di controllo con riferimento ad animali domestici e di affezione, azioni di collaborazione in operazioni di ripopolamento, censimento e recupero di fauna in difficoltà e azioni di controllo antibracconaggio venatorio ed ittico e di educazione ambientale soprattutto nelle scuole.
  Per quanto concerne l'associazione culturale e di volontariato denominata «Ambiente e/è Vita» Onlus, costituita nel 1995, la stessa è attualmente riconosciuta come associazione di protezione ambientale ai sensi dell'articolo 13 della legge n. 349 del 1986 in base al decreto ministeriale n. 480 del 9 luglio 2012.
  Dallo statuto depositato e dalla documentazione in possesso degli uffici le finalità dell'associazione sono: la conservazione della natura, la difesa dell'ambiente, la salvaguardia delle culture locali, la tutela e la valorizzazione del territorio in tutti i suoi aspetti.
  Nel perseguire tali finalità, l'associazione dichiara di promuovere e organizzare in particolare:
   attività di studio e di ricerca: svolgimento di corsi;
   iniziative editoriali e giornalistiche: pubblicazione di libri, periodici e quaderni, produzione di materiale audiovisivo e gestione di emittenti radio e televisive;
   mostre, spettacoli, feste, opere di sensibilizzazione dei pubblici poteri;
   denunce ed esposti alla magistratura, petizioni, proposte di legge di iniziativa popolare;
   iniziative di volontariato e di intervento sociale rivolte alla tutela e alla salvaguardia del territorio;
   gestione di aree naturali protette, oasi naturalistiche, aree e strutture di recupero, cura e protezione della fauna.

  Da una prima fase istruttoria sulla verifica della persistenza dei requisiti richiesti dall'articolo 13 della citata legge, l'associazione presentava alcune irregolarità formali e alcune criticità riferite all'ordinamento interno democratico.
  Nello specifico, si evidenziavano disposizioni statutarie lesive del principio di sovranità assembleare in quanto limitative dei pieni poteri dell'assemblea per le modifiche statutarie e per la nomina degli organi direttivi e rappresentativi dell'associazione.
  In riferimento all'attività, il legale rappresentante dell'associazione ha documentato gli interventi svolti negli ultimi tre anni, ordinati in senso cronologico e suddivisi per anno e regione, presentando una relazione dettagliata e puntuale sulle attività svolte nel triennio 2012-2015. Dalla analisi delle attività dichiarate e documentate dall'associazione si riscontra la permanenza dei requisiti della rilevanza e della continuità dell'attività di protezione ambientale.
  Dalla stessa non si evince che le attività siano di carattere venatorio, in quanto le azioni dichiarate riguardano in larga parte la vigilanza, il controllo e l'accertamento dei reati a danno dell'ambiente, tra i quali, l'uccisione delle specie protette, l'abbandono dei rifiuti, l'inquinamento dei corsi d'acqua e il taglio abusivo delle piante. Inoltre, sono state documentate numerose interventi di educazione ambientale, soprattutto nelle scuole, attività seminariali, manifestazioni e mostre tematiche.
  Si fa presente infine che, allo stato, la valutazione della permanenza dei requisiti richiesti per il riconoscimento delle associazioni in argomento è in fase di esame da parte della competente commissione che dovrà pronunciarsi nel merito.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BERRETTA. — Al Ministro della difesa, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   i lavoratori italiani delle basi militari degli USA nel territorio nazionale operano per il settore difesa del Governo italiano in virtù della Convenzione sullo statuto delle forze (SOFA), firmata a Londra il 19 giugno 1951 e ratificata dall'Italia con la legge 1335 del 1955 (trattato di Londra o NATO SOFA), che stabilisce le norme generali relative alla presenza di personale di uno o più Paesi Nato sul territorio di un altro Paese dell'Alleanza e sono assunti direttamente dalle Forze armate degli USA, svolgendo una funzione pubblica a contratto privato;
   Carmelo Cocuzza ha lavorato per tredici anni presso il dipartimento Usa « Navy Exchange» della base militare di Sigonella, che gestisce tutte le unità commerciali fornitrici di servizi e merci in favore dei militari statunitensi e delle loro famiglie;
   nell'anno 2000 Carmelo Cocuzza è stato licenziato dal posto di lavoro che occupava presso il «Navy Exchange» di Sigonella come lavoratore civile, in quanto accusato di aver falsificato il cartellino d'ingresso;
   la giustizia italiana si è chiaramente pronunciata sull'irregolarità della decisione, stabilendo il reintegro e un risarcimento per i danni subiti, quantificato in una indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto oltre ai contributi previdenziali;
   in particolare, risale al 2004 la sentenza dal tribunale del lavoro di Catania, che ha disposto il reintegro del lavoratore e che, però, non ha trovato applicazione;
   di seguito, la Corte d'appello, con sentenza n. 812 del 7 ottobre 2010, ha sancito il reintegro retroattivo applicando la tutela reale al lavoratore per licenziamento invalido;
   il 4 marzo 2014, la Corte di cassazione, sezione lavoro, ha confermato la sentenza d'appello con sentenza 4983/14;
   a tutt'oggi, a quanto risulta all'interrogante, il datore di lavoro non ha dato esecuzione alla sentenza suddetta, che riconosce a Carmelo Cocuzza tutte le retribuzioni dal momento del licenziamento fino al reintegro, oltre ai contributi previdenziali;
   un ufficiale giudiziario ha attivato l’iter procedurale volto a rendere esecutivo il titolo rappresentato dalla sentenza, ma invano;
   l'autorità all'interno della base resta comunque sottoposta al Governo italiano e al suo rappresentante;
   si sta mettendo in discussione il rispetto della giustizia italiana, che ha deciso che un lavoratore e nostro connazionale debba essere risarcito ed anche reintegrato nel posto di lavoro presso il dipartimento Usa « Navy Exchange» della base militare di Sigonella, considerato che la base USA non ha provveduto né a riassumere il lavoratore né a risarcirlo per i danni subiti, opponendosi di fatto al pignoramento definitivo –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative di competenza intendano avviare affinché l'autorità americana presente a Sigonella non ostacoli la piena esecuzione di quanto disposto con sentenza della Corte di cassazione, sezione lavoro, n. 4983 del 4 marzo 2014.
(4-12426)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante segnala la vicenda giudiziaria di Carmelo Cocuzza, cittadino italiano licenziato dalla base NATO di Sigonella e nei cui confronti l'autorità giudiziaria italiana, nel rilevare l'irregolarità del licenziamento stesso, ha disposto il reintegro ed il risarcimento per i danni subiti: l'interrogante chiede che, in relazione a tale vicenda, vengano avviate quindi tutte le iniziative necessarie, affinché l'autorità statunitense presente a Sigonella non ostacoli la piena esecuzione della sentenza, nel processo definito dalla Corte di cassazione, sezione lavoro, con pronuncia del 4 marzo 2014, n. 4983.
  Sul punto deve essere preliminarmente precisato che, come comunicato dal Ministero della difesa, il rapporto di lavoro del personale italiano impiegato presso le basi militari nazionali concesse in uso agli statunitensi è disciplinato da contratto di natura privatistica con il Governo degli Stati Uniti ed è sottoposto alla giurisdizione italiana.
  Pertanto, come precisato dal Ministero degli affari esteri, ai lavoratori italiani delle basi militari U.S.A. in territorio nazionale si applicano le norme della convenzione sullo Status of force agreement (cosiddetto Sofa) del 1951, ai sensi delle quali la controversia giuslavoristica che oppone il signor Cocuzza al suo datore di lavoro, il Governo degli Stati Uniti, è esclusivamente regolata dal diritto interno italiano.
  L'istruttoria avviata dalla competente articolazione ministeriale e gli elementi forniti, per i profili di competenza, dal Ministero degli affari esteri hanno restituito una ricostruzione dei fatti in tutto coincidente con quella offerta dall'interrogante.
  Secondo quanto accertato, il signor Cocuzza ha impugnato il licenziamento per giusta causa intimatogli in data 21 settembre 2000 dal Governo degli Stati Uniti d'America, ottenendo dal giudice del lavoro del tribunale di Catania una sentenza (la sentenza n. 425 del 2004) di reintegrazione nel posto di lavoro, ai sensi dell'articolo 18 dello Statuto dei lavoratori (nella formulazione all'epoca vigente), successivamente confermata dalla corte d'appello di Catania con la sentenza non definitiva del 19 aprile 2007, n. 291 e con la successiva sentenza definitiva del 7 ottobre 2010, n. 812, passata in giudicato a seguito della sentenza di rigetto della Corte di cassazione del 4 marzo 2014, n. 4983.
  L'articolazione ministeriale competente aggiunge che il signor Cocuzza ha chiesto ed ottenuto, in data 19 luglio 2014, dal tribunale del lavoro di Catania l'emissione di un decreto ingiuntivo provvisoriamente esecutivo (n. 1750 del 2014) per la complessiva somma di euro 357.287,62, «quale retribuzione globale di fatto dovuta (...) dal licenziamento fino alla data del 30/04/2014, comprensivi di interessi legali e rivalutazione monetaria». Tale ingiunzione di pagamento, con formula esecutiva del 22 luglio 2014, è stata notificata al debitore.
  Di fronte al mancato spontaneo pagamento, il signor Cocuzza ha notificato, quindi, al Governo degli Stati Uniti d'America un atto di precetto, spedito il 9 dicembre 2015, ai sensi dell'articolo 142 codice di procedura civile.
  Un primo tentativo di esecuzione del conseguente pignoramento – su beni esistenti nel Navy Exchange store – non ha dato esito positivo: in data 12 febbraio 2016, infatti, le autorità americane hanno negato all'ufficiale giudiziario, attivatosi a tal fine, l'accesso alla base. Secondo quanto comunicato dal Ministero degli affari esteri, gli Stati Uniti, con una nota verbale del 24 febbraio 2016, hanno informato di aver rilevato un difetto di notifica dell'atto di precetto necessario all'esecuzione del pignoramento in esecuzione della suddetta sentenza, opponendo l'ambasciata degli Stati Uniti d'America che i beni esistenti all'interno del Navy Exchange store non sarebbero pignorabili, trattandosi di beni importati ai sensi dell'articolo dello statuto delle truppe della NATO (convenzione di Londra del 19 giugno 1951) e, in quanto tali, non commerciabili.
  Mi preme ricordare che l'azione avviata dal legale rappresentante dell'interessato per ottenere l'esecuzione delle sentenze emesse in suo favore è stata oggetto di ripetuti contatti del Ministero degli affari esteri con entrambe le parti, anche attraverso il coinvolgimento, nell'incontro con l'ambasciata degli Stati Uniti avvenuto il 25 febbraio 2016, di un rappresentante dell'ufficio affari internazionali della direzione generale per la giustizia civile del Ministero della giustizia; ancora con successiva nota del 4 marzo 2016, trasmessa da parte italiana all'ambasciata degli Stati Uniti, è stato ribadito quanto già espresso nel corso dell'incontro del 25 febbraio.
  L'ambasciata degli Stati Uniti ha manifestato l'intenzione di dare mandato a un rappresentante legale in Italia e ha informato che avrebbe avviato contatti diretti con il signor Cocuzza.
  Grazie anche all'interlocuzione del Governo con l'ambasciata degli Stati Uniti, la situazione si è recentemente sbloccata.
  Il dipartimento per gli affari di giustizia del Dicastero ha comunicato, infatti, che il signor Cocuzza ed il suo procuratore (nei cui confronti erano state distratte le spese ed i compensi liquidati nel titolo azionato) hanno promosso l'esecuzione forzata con atto di pignoramento mobiliare eseguito in data 9 luglio 2016 nei confronti degli Stati Uniti d'America, per la somma di euro 361.912,98, oltre accessori, su merci e derrate alimentari presenti presso un esercizio sito all'interno della base di Sigonella.
  Successivamente, lo Stato debitore ha proposto istanza di conversione del pignoramento, versando immediatamente la somma di euro 81.398,09 su di un libretto di deposito vincolato.
  Con ordinanza del 2 novembre 2016, il giudice dell'esecuzione ha ammesso lo Stato debitore al richiesto beneficìo della conversione del pignoramento, concedendo la possibilità di versare le ulteriori somme, complessivamente pari a 300.237,04, oltre accessori, in due soluzioni mensili di pari importo; lo Stato debitore, infine, ha richiesto ed ottenuto l'autorizzazione ad effettuare il pagamento dell'intera somma in un'unica rata, entro il termine perentorio del 22 dicembre 2016.
  Quindi, all'udienza del 2 febbraio 2017 i creditori hanno chiesto l'assegnazione delle somme spettanti: ed in data 8 febbraio 2017 il giudice dell'esecuzione ha depositato l'ordinanza di assegnazione delle somme in favore dei creditori medesimi.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   FRANCO BORDO, DANIELE FARINA, QUARANTA, COSTANTINO e D'ATTORRE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, la Do.Ra., un'associazione neo-nazista operante in Lombardia, ha promosso una petizione on-line sul sito change.org, il cui oggetto è la chiusura, «fino all'ultima sezione», dell'Associazione nazionale partigiani italiani (Anpi);
   ulteriore, e ancor più grave, è anche la richiesta presente nella petizione che «vengano processati per crimini di guerra tutti i partigiani ancora in vita»;
   la comunità militante dei dodici raggi (Do.Ra.) opera da qualche anno in provincia di Varese; i dodici raggi rimandano al «sole nero», simbolo del castello diventato negli anni del nazismo la sede delle Ss (Schutz-staffeln, «squadre di protezione»). La base è a Caidate, frazione di Sumirago, dove l'associazione ha promosso diversi eventi e raduni; emblematica è la manifestazione, con il posizionamento di simboli runici al sacrario della battaglia partigiana del Monte San Martino, dove sono commemorati i caduti antifascisti di un noto episodio resistenziale del 1943. Con quella iniziativa, più volte ripetuta, la comunità intende ricordare, tuttavia, i morti dell'esercito nazista e fascista;
   la petizione illustrata non può che destare estrema preoccupazione poiché offende non soltanto l'Anpi, la Resistenza tutta, ma anche tutti i cittadini del nostro Paese, che pongono le basi della loro civile convivenza sui valori della Costituzione, nata dalla lotta partigiana e della liberazione dal nazifascismo, ponendosi, a monte, in contrasto, dunque, con la Carta costituzionale;
   tale iniziativa fa il paio con il raduno dei nazifascisti di Forza Nuova all'Arco della Pace, svoltosi a Milano – peraltro in un luogo simbolo della città – sabato 14 gennaio 2017, con il nulla osta della prefettura e della questura di Milano; si tratta di un fatto estremamente grave, a giudizio degli interroganti considerata la pregiudiziale antifascista, alla base della nostra Costituzione –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti riportati in premessa;
   se non ritenga di attivarsi immediatamente, per quanto di competenza, per acquisire ulteriori elementi circa la petizione promossa dalla Do.Ra, associazione neonazista, in quanto questa si pone secondo gli interroganti in aperto contrasto con i principi base della Costituzione italiana;
   se non intenda assumere iniziative di competenza affinché, nel pieno rispetto dei principi fondamentali dell'ordinamento italiano e in attuazione degli stessi, vengano impedite iniziative di stampo neonazista e fascista sul territorio, anche in relazione ai profili d'ordine pubblico.
(4-15275)

  Risposta. — In relazione a quanto evidenziato nell'interrogazione in esame, si assicura che il Ministero dell'interno continua a dedicare la massima attenzione all'attività dei movimenti politici estremistici, qualunque ne sia l'orientamento, per prevenire e reprimere le iniziative che possano sfociare in atti illeciti.
  In particolare, l'attività di prevenzione si sviluppa in un attento monitoraggio ed un'accurata raccolta informativa, al fine di cogliere il minimo segnale di turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica e di deviazione dalle regole del diritto e della pacifica convivenza.
  Tale attività riguarda anche le associazioni, che come la «Comunità militante dei dodici Raggi DO.RA.» si ispirano chiaramente ad un'ideologia di estrema destra vicina ai principi del nazionalsocialismo. Nel caso in questione ciò appare comprovato anche dalla pubblicazione sul sito dell'associazione, recentemente riattivato, di messaggi rievocativi di eventi storici associati a simboli del nazismo e del fascismo. Il movimento, attestato su posizioni di orientamento skinhead, ha adottato come simbolo il «sole nero» noto emblema nazista dal significato esoterico.
  Tra le diverse manifestazioni promosse dal sodalizio nel corso degli anni si registrano quelle commemorative in occasione del «giorno del ricordo delle vittime delle foibe» e diversi concerti d'area, organizzati nella sede di Sumirago.
  Le Forze di polizia hanno puntualmente segnalato all'autorità giudiziaria tutte le iniziative dei componenti dell'associazione per le quali potevano ritenersi sussistenti ipotesi di reato. Le denunce hanno riguardato, in particolare, alcuni episodi di intolleranza razziale. Da ultimo, cinque esponenti dell'associazione «DO.RA.» sono stati deferiti per i reati di riunione pubblica non preavvisata, deturpamento e invasione di terreni, commessi il 4 dicembre 2016 presso il Sacrario ai caduti partigiani di San Martino di Duno (Varese).
  Quanto alla petizione presentata dall'associazione contro l'Associazione nazionale partigiani d'Italia, si informa che la questura di Varese ne ha fatto oggetto di un rapporto trasmesso all'autorità giudiziaria per le valutazioni di competenza rispetto alla sussistenza di comportamenti che integrino fattispecie di reato.
  Si informa, inoltre, che nell'agosto del 2014 la pagina facebook del sodalizio è stata oscurata, su iniziativa dello stesso gestore del social network. Attualmente, l'associazione gestisce solo un sito
web.
  In merito ad eventuali ulteriori misure che possono essere intraprese, va ricordato come l'ordinamento vigente consenta l'adozione di un provvedimento di scioglimento di movimenti che si ispirano al fascismo solo a seguito di una sentenza penale irrevocabile che abbia accertato il verificarsi in concreto della fattispecie della riorganizzazione del disciolto partito fascista.
  Allo stato attuale non risulta che l'associazione in questione sia stata destinataria di pronunce giurisdizionali che legittimino l'adozione di siffatto provvedimento di rigore.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   BRIGNONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la commissione tecnica per il piano nazionale di conservazione e gestione del lupo, riunitasi il 24 gennaio 2017, ha espresso parere favorevole alla bozza che, nell'ultimo anno, è stata al vaglio delle regioni e nella quale, per la prima volta dopo quarantasei anni, sono previsti gli abbattimenti di lupi;
   istituire la caccia al lupo è contro qualsiasi logica ed etica ambientale e rischia di rimettere in discussione lo stato di conservazione della specie in Italia, giacché potrebbe avere un effetto indiretto ma probabile, d'incentivo agli atti di bracconaggio contro la specie;
   secondo il Piano, gli abbattimenti dovrebbero essere contenuti nel cinque per cento della popolazione di lupo stimata, ma tale azione si considera inutile e dannosa perché potrebbe peggiorare il problema dei danni alla zootecnia con il rischio di legittimare il diffuso bracconaggio sulla specie;
   da rilevare che, secondo stime nazionali, sarebbero oltre 300 i lupi che ogni anno in Italia sono già vittime di atti illegali o d'investimenti stradali, senza contare che se il piano fosse approvato senza alcuna modifica, si rischia di tornare indietro di decenni in materia di conservazione e tutela della specie;
   per i lupi non sono possibili abbattimenti realmente selettivi e gli effetti di tali abbattimenti sono sempre imprevedibili poiché i comportamenti predatori non diminuirebbero, ma potrebbero invece aggravarsi, come successo in altri Paesi;
   la misura degli abbattimenti non avrebbe alcun effetto positivo sulle tensioni sociali e anzi potrebbe aggravarle, con la richiesta di nuovi e continui abbattimenti e una maggiore tolleranza verso atti di bracconaggio e di «giustizia privata»;
   sono state messe in campo numerose petizioni e rimostranze da parte di associazioni ambientaliste contro il piano e circa centonovanta mila cittadini hanno aderito alla petizione del WWF – rimasta senza risposta – chiedendo al Ministro competente di non autorizzare l'abbattimento dei lupi;
   in base alla normativa vigente, le regioni promuovono e attuano interventi per la protezione di specie di particolare interesse scientifico e concedono un indennizzo agli allevatori per i danni causati ai bovini, ovini, caprini equini, da lupi, cani randagi o ferali;
   tuttavia, gli allevatori lamentano la velocità degli indennizzi; ma i ritardi non possono essere attribuiti alle norme vigenti in materia di conservazione e tutela del lupo, e non saranno certamente risolti con il nuovo piano;
   per ridurre gli attacchi dei lupi al bestiame, secondo alcuni esperti, potrebbero essere molto utili alcuni strumenti, quali: stalli notturni mobili elettrificati e cani da pastore ben tenuti, gestione dei parti e delle fecondazioni – in modo da far partorire le manze e le cavalle in luoghi sicuri –, pulizia dei pascoli per evitare il proliferare di cespugli e arbusti in modo da evitare al lupo di fare agguati, collocazioni di fontanili e abbeveratoi in spazi aperti –:
   se, i Ministri interrogati non ritengano necessaria una revisione del piano per evitare l'abbattimento della specie, rafforzando piuttosto le altre azioni – previste dal piano – per la prevenzione dei danni, il monitoraggio della specie, le attività d'informazione e formazione degli allevatori quale forma di tutela del lupo stesso e di sostegno a una zootecnia estensiva già fortemente minacciata dal mercato globale;
   se non ritengano opportuno assumere iniziative volte a introdurre nuove procedure per garantire gli indennizzi;
   se non ritengano opportuno ottimizzare il sistema di accertamento e risarcimento dei danni provocati dai lupi e dai cani selvatici al bestiame;
   con quali modalità siano stati raccolti i dati relativi al censimento della popolazione dei lupi in Italia, in occasione della redazione del piano nazionale di conservazione e gestione del lupo;
   se non intendano rendere pubblici i dati del suddetto piano, con riferimento in particolare all'attuale popolazione dei lupi nel nostro Paese e chiarire l'efficacia e l'utilità dell'abbattimento «selettivo» della specie. (4-15409)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al piano di conservazione e gestione del lupo in Italia in discussione in sede di Conferenza Stato-regioni, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si segnala che la bozza di piano cui si fa riferimento non è quella in discussione in sede di conferenza Stato-regioni.
  Peraltro, la bozza di piano oggi in discussione supera gran parte delle criticità sollevate, proprio in ragione del costruttivo confronto tecnico fra amministrazioni centrali e regionali che ha portato alla chiusura tecnica del procedimento.
  Rispetto alla possibilità di rendere pubblico il Piano prima della sua approvazione da parte della Conferenza si segnala che di prassi, fino alla chiusura del procedimento, tali atti sono riservati e accessibili solo alle Amministrazioni concertanti.
  Riguardo i dati nazionali richiesti, si evidenzia che il lupo in Italia è una fra la specie più studiate e meglio conosciute, con una popolazione minima stimata di 1070 individui per la popolazione appenninica e di 100 individui per la popolazione alpina.
  La forte ripresa del lupo negli ultimi decenni ha portato a riconoscere la specie in uno stato di conservazione soddisfacente rispetto ai parametri della direttiva «Habitat» e a migliorare la sua classificazione da minacciata a vulnerabile nella classificazione della lista rossa IUCN, rappresentando gli esiti di un successo per il nostro Paese.
  Per assicurare una maggiore e più coerente gestione e conservazione del lupo, a partire dal 2016 è stato avviato un lavoro per la redazione di un nuovo piano di azione per il lupo.
  L'ultimo piano redatto da Ispra, infatti, risaliva al 2002, dunque, sono stati consultati e raccolte le proposte di oltre 70 esperti, per la redazione del nuovo Piano, che è stato costantemente condiviso con Ispra e coordinato dal Professor Luigi Boitani, uno dei massimi esperti di lupo di fama internazionale, appartenente all'unione zoologica italiana.
  Il piano in questione è stato posto in consultazione ai maggiori portatori di interessi ed è il risultato di un lungo percorso di dibattito e condivisione, nonché di diverse riunioni tecniche in sede di Conferenza Stato-regioni, nel corso delle quali sono state accolte la maggior parte delle proposte e degli emendamenti formulate dalle regioni stesse.
  I principi fondanti del «Piano» sono la conservazione e tutela della specie ma anche la risoluzione sostenibile dei conflitti con le attività antropiche.
  Il «Piano» prevede 22 azioni di conservazione: misure per la prevenzione dei danni da predazione, nucleo antibracconaggio composto dai Carabinieri forestali e dalle polizie locali, l'addestramento di cani al rilievo di bocconi avvelenati, le vaccinazioni dei cani randagi per ridurre l'ibridazione con i lupi e le predazioni altrimenti spesso attribuite ai lupi, oltre ad una più stretta regolamentazione dello strumento delle deroghe al divieto generale di rimozione già previsto dalla legislazione vigente.
  Tali deroghe, infatti, sono autorizzabili solo a seguito di precise condizioni e in piena conformità con la normativa comunitaria e nazionale.
  Esse non rappresentano assolutamente l'apertura della caccia al lupo o un mezzo di controllo della specie, trattandosi, peraltro, di attività vietate per legge.
  Il piano, a fronte di una serie di strumenti, che sono quelli delineati nelle 22 azioni, non preclude in via assoluta la possibilità del ricorso ad una deroga, che in particolari situazioni critiche potrebbe rappresentare l'unico strumento risolutivo, a condizione che siano stati soddisfatti tutti i prerequisiti previsti.
  Tali prerequisiti consistono nella richiesta di deroga avanzata dall'Amministrazione regionale, che quindi ha il pieno controllo sull'attivazione del processo; la documentazione prodotta dalla regione che attesti lo stato favorevole della popolazione del lupo e la non incidenza della deroga sulla conservazione della popolazione stessa; la documentazione prodotta dalla regione che attesti la messa in opera delle più idonee misure di prevenzione e di controllo del randagismo canino; la documentazione prodotta dalla regione che attesti l'assenza di altre soluzioni valide; la documentazione prodotta dalla regione sull'attuazione delle misure di competenza previste dal piano.
  Sulla base di quanto detto, l'Ispra è chiamata ad una valutazione caso per caso e deve accertare la sussistenza di tali requisiti e la piena rispondenza delle condizioni fissate dalla normativa vigente per questo tipo di deroga.
  Solo a seguito del parere di Ispra, il Ministero può autorizzare la rimozione di singoli individui, in un contesto che deve mantenere un carattere di eccezionalità.
  Pertanto, i passaggi sopra rappresentati evidenziano che si tratta di un procedimento amministrativo molto elaborato, che è sottoposto ad un parere dell'ISPRA e che non costituisce un automatico riconoscimento della deroga.
  Si segnala, inoltre, che in sede di riunione tecnica della Conferenza Stato-regioni dal 24 gennaio 2017 il testo è stato approvato in sede tecnica: è noto infatti che si ponga come punto di compromesso ed equilibrio fra le diverse istanze, ed ha raccolto la piena approvazione da parte di gran parte delle regioni, in quanto, la sola regione Lazio – in quella sede – ha espresso perplessità, in particolare sulla parte relativa all'applicazione delle deroghe.
  Le azioni di prevenzione rappresentano il nucleo centrale del piano, nella cui redazione è stato dato particolare risalto a tale aspetto, al fine di aumentarne l'efficacia e l'utilizzo. Tali azioni, inoltre, costituiscono un elemento di fondo irrinunciabile per avanzare l'eventuale richiesta di rimozione di un lupo.
  Il piano per il lupo tutela la specie, la difende dai rischi, bilancia il rapporto spesso difficile con le attività umane. E per questo uno strumento assolutamente irrinunciabile, di elevato valore scientifico.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente continuerà a operare senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione sul tema.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'interno ha approvato il bando di un nuovo concorso per 250 posti nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   risulterebbero iscritti a bilancio i fondi necessari all'assunzione di 850 nuovi vigili del fuoco;
   nel frattempo, tuttavia, sarebbe rimasta indeterminata la sorte degli oltre 4 mila idonei della graduatoria del concorso bandito nel 2008 per il reclutamento di 814 vigili del fuoco, mentre si approssima la data di scadenza che la concerne, fissata per il 31 dicembre 2016;
   stando ad alcune dichiarazioni rese da noti esponenti politici, delle assunzioni continuerebbero comunque ad esser fatte attingendo alla graduatoria del concorso promosso nel 2008 per 814 posti anche oltre il prossimo 31 dicembre, fino alla pubblicazione della graduatoria dei vincenti del nuovo concorso per 250 posti appena indetto;
   malgrado quanto affermato, all'approvazione del bando per il nuovo concorso non sarebbe stata associata alcuna ufficializzazione della proroga del termine del 31 dicembre 2016 per la graduatoria del concorso cosiddetto degli 814;
   gli idonei del concorso degli 814 non ancora chiamati sono circa 4.100;
   di questi 4.100, 600 risultano essere vigili del fuoco discontinui e 3.500 idonei civili;
   risulterebbe inoltre riaperta un'altra graduatoria, quella relativa alla cosiddetta «stabilizzazione» del personale discontinuo, che da quattro anni detiene il privilegio di dividere al 50 per cento le chiamate con la graduatoria del concorso per 814 posti;
   dalla riapertura della graduatoria dei discontinui da stabilizzare, tra l'altro composta da persone di età media elevata, sarebbero già 2.500 coloro che ne hanno beneficiato;
   si prevede altresì che la graduatoria degli stabilizzandi venga esaurita con le assunzioni perfezionate durante il 2016 –:
   quali concrete iniziative il Governo intenda assumere per assicurare l'assunzione di tutti gli idonei del concorso indetto nel 2008 per 814 vigili del fuoco. (4-14293)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene chiesta l'adozione di iniziative di carattere normativo volte ad ottenere un'ulteriore proroga della graduatoria del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco, indetto nel mese di novembre del 2008, sì da consentire l'assunzione di tutti i candidati risultati idonei.
  In proposito, si fa presente che la graduatoria del predetto concorso è stata più volte prorogata per esigenze di contenimento della spesa pubblica, in deroga a quanto previsto dall'articolo 35, comma 5-
ter, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
  Da ultimo, l'articolo 1, comma 368, della legge di bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016) ha prorogato la graduatoria fino al 31 dicembre 2017.
  Si rappresenta, inoltre, che in ragione delle assunzioni effettuate nel corso degli anni, la graduatoria in questione ha visto uno scorrimento di circa 4500 idonei a fronte di un concorso bandito per 814 posti. Questi numeri costituiscono un'importante risposta alle aspettative dei circa 7.600 idonei del concorso medesimo.
  Giova ricordare poi che, a distanza di quasi otto anni dal concorso a 814 posti, l'Amministrazione dell'interno è stata autorizzata a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica.
  Il relativo bando di concorso è stato pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale – concorsi ed esami n. 90 del 15 novembre 2016. Successivamente, nella Gazzetta Ufficiale – IV serie speciale concorsi ed esami – del 31 gennaio 2017, è stato pubblicato il diario della prova preselettiva che si terrà dal 29 maggio al 12 giugno 2017.
  Questo concorso consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano operativo che su quello funzionale. Si rammenta, infatti, che l'età media degli idonei del concorso a 814 posti risulta essere superiore a 36 anni.
  Nelle more dell'ultimazione di tale procedura concorsuale, l'Amministrazione dell'interno continuerà, ovviamente, ad utilizzare la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti ancora in vigore, come già detto, fino al 31 dicembre 2017.
  Quanto alla procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari indetta nell'agosto del 2007, si informa che la relativa graduatoria è andata esaurita per effetto dell'assunzione di tutti i candidati utilmente collocati, ad eccezione di 4 unità che, all'atto della convocazione, hanno presentato idoneo certificato medico e potranno essere assunte nei prossimi mesi previo superamento della visita medica e delle prove di accertamento del mantenimento dell'idoneità motoria.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CATALANO e PINNA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è in corso la sessione 2014 degli esami per l'abilitazione all'esercizio della professione forense, le cui prove scritte si sono svolte il 16, 17 e 18 dicembre 2014 e le cui prove orali si svolgeranno negli appelli di luglio (su opzione del candidato) e di settembre (secondo l'ordine di convocazione stabilito dalle singole commissioni);
   ai sensi dell'articolo 2, comma 3, del relativo bando, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 71 del 12 settembre 2014, le prove orali consistono «nella discussione, dopo una succinta illustrazione delle prove scritte, di brevi questioni relative a cinque materie, di cui almeno una di diritto processuale, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto civile, diritto commerciale, diritto del lavoro, diritto penale, diritto amministrativo, diritto tributario, diritto processuale civile, diritto processuale penale, diritto internazionale privato, diritto ecclesiastico e diritto comunitario» nonché «nella dimostrazione di conoscenza dell'ordinamento forense e dei diritti e doveri dell'avvocato»;
   le materie della prova orale sono state scelte dai candidati al momento dell'iscrizione all'esame, prima degli scritti, e quindi circa 8 mesi fa;
   in data 1o luglio 2015, è giunta ai candidati, dall'indirizzo email «noreply. esameavvocatura@giustizia.it», la seguente comunicazione: «su disposizione di tutte le commissioni si comunica che: il diritto del lavoro include il relativo d. processuale e diritto sindacale; diritto amministrativo include il relativo d. processuale; diritto processuale penale include l'Ordinamento Penitenziario; Diritto commerciale non include il d. fallimentare»;
   la comunicazione, lungi dal rappresentare una mera precisazione, a giudizio degli interroganti ha contenuti innovativi, divergenti rispetto alla previsione del bando e tali da ledere in maniera significativa l'affidamento dei candidati;
   in particolare, non si comprende come possano le commissioni affermare che «diritto processuale penale include l'Ordinamento Penitenziario», considerato non solo che le due materie trattano testi normativi distinti, ma soprattutto che la netta diversità tra le stesse (e non riconducibilità della seconda nella prima) risulta agli interroganti confermata dalla quasi – se non proprio dall'assoluta – totalità della manualistica scientifica, che tratta le materie in separati testi, e dalla struttura dei vari corsi di laurea in giurisprudenza offerti dagli atenei italiani;
   ancor più significativamente, la netta diversità tra le due materie è asseverata dall'inequivoca formulazione dell'articolo 46, comma 3, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, che, nel disporre il futuro contenuto dell'esame (stante la proroga biennale del regime previgente) dispone che «nella prova orale il candidato illustra la prova scritta e dimostra la conoscenza delle seguenti materie: ordinamento e deontologia forensi, diritto civile, diritto penale, diritto processuale civile, diritto processuale penale; nonché di altre due materie, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto commerciale, diritto comunitario ed internazionale privato, diritto tributario, diritto ecclesiastico, ordinamento giudiziario e penitenziario»;
   risulta infine agli interroganti che, quantomeno in Lombardia, diverse rivendite di manualistica scientifica siano state colte impreparate, non prevedendo la necessità di rifornirsi di adeguate scorte di manuali trattanti la materia dell'ordinamento penitenziario;
   gli interroganti si sono incentrati, nelle considerazioni di cui sopra, sulla questione della materia dell'ordinamento penitenziario, ritenendo tuttavia di dubbia legittimità rispetto alla tutela dell'affidamento dei partecipanti, anche i contenuti addizionali riferiti ad altre materie contenute nella comunicazione di cui sopra;
   in particolare, in riferimento alle materie diritto del lavoro e diritto amministrativo, l'obbligo di portare all'esame la relativa procedura pone specifici problemi alla luce del citato articolo 2, comma 3, del bando, che impone ai candidati la scelta di «almeno una (materia, ndr) di diritto processuale»;
   in forza della citata disposizione è stato imposto ai candidati di includere obbligatoriamente nella rosa delle materie per l'orale una a scelta tra diritto processuale civile e diritto processuale penale;
   una tale interpretazione si fonda sulla presunzione che il bando si riferisca al solo diritto del lavoro sostanziale e al solo diritto amministrativo sostanziale, con esclusione di quelli processuali;
   diversamente argomentando, l'obbligo di scegliere una materia processuale avrebbe dovuto ritenersi già soddisfatto con la scelta da parte del singolo candidato del diritto amministrativo o del diritto del lavoro;
   la non prevedibile aggiunta, a esame in corso e circa 8 mesi dopo la scelta delle materie della prova orale, di ulteriori contenuti non specificati nel bando risulta secondo gli interroganti scorretta nei confronti delle migliaia di candidati ammessi alle prove orali, e soprattutto di coloro che hanno optato per l'appello di luglio, i quali avranno pochissimo tempo a disposizione per studiare tali contenuti diversi e ulteriori rispetto a quelli originari;
   è certo che, se posti davanti alla scelta delle materie dell'esame orale con la completa conoscenza delle intenzioni della commissione d'esame, i candidati avrebbero potuto operare una selezione consapevole delle stesse (ed è presumibile che avrebbero operato una selezione diversa);
   in ogni caso, al di là della corretta interpretazione da dare alle disposizioni del bando, un tale livello di incertezza in un esame di Stato costituisce di per sé un fatto grave;
   a ciò si aggiunga che le modalità di assunzione e comunicazione della decisione della commissione d'esame sono, ad avviso degli interroganti, carenti anche sotto il profilo formale, mancando qualsivoglia riferimento alle ragioni e alle modalità di assunzione della decisione nonché a estremi che ne consentano l'identificazione provvedimentale –:
   se quanto premesso corrisponda al vero;
   di quali notizie disponga il Governo;
   se la comunicazione telematica di cui in premessa sia stata inviata a tutti i candidati e se il suo contenuto sia stato diffuso anche con altre modalità;
   quali urgenti iniziative intenda adottare il Governo, per tutelare l'affidamento dei candidati rispetto al contenuto del bando;
   in particolare, quali urgenti iniziative intenda adottare per verificare l'effettiva possibilità di ricomprendere all'interno delle materie previste dal bando i contenuti addizionali di cui alla comunicazione del 1o luglio 2015, secondo un'ottica di prevedibilità e alla luce delle prassi scientifiche, dottrinali e delle norme di legge;
   quali consequenziali iniziative intenda quindi adottare qualora tale indagine avesse, per uno o più di tali contenuti addizionali, esito negativo. (4-09753)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti lamentano criticità nell'espletamento delle prove d'esame di avvocato nella sessione 2014, relativamente alle materie oggetto di prova orale.
  Richiamano, a tal proposito, una nota che, in data primo luglio 2015, sarebbe pervenuta ai candidati, ammessi alle prove orali, dall'indirizzo email «noreply.esameavvocatigiustizia.it», del seguente tenore: «su disposizione di tutte le commissioni si comunica che: il diritto del lavoro include il relativo d. processuale e diritto sindacale; diritto amministrativo include il relativo d. processuale; diritto processuale penale include l'Ordinamento Penitenziario; Diritto commerciale non include il d. fallimentare», ritenendo come la comunicazione «lungi dal rappresentare una mera precisazione, a giudizio degli interroganti ha contenuti innovativi, divergenti rispetto alla previsione del bando e tali da ledere in maniera significativa l'affidamento dei candidati».
  Chiedono, pertanto, di conoscere «se quanto premesso corrisponda al vero»; «se la comunicazione telematica di cui in premessa sia stata inviata a tutti i candidati e se il suo contenuto sia stato diffuso anche con altre modalità», «quali urgenti iniziative intenda adottare il Governo per tutelare l'affidamento dei candidati rispetto al contenuto del bando», «in particolare, quali urgenti iniziative intenda adottare per verificare l'effettiva possibilità di ricomprendere all'interno delle materie previste dal bando i contenuti addizionali di cui alla comunicazione del 1o luglio 2015, secondo un «ottica di prevedibilità e alla luce delle prassi scientifiche, dottrinali e delle norme di legge» ed, infine «quali consequenziali iniziative intenda adottare qualora tale indagine avesse, per uno o più di tali contenuti addizionali, esito negativo».
  Nella relazione trasmessa dalla competente articolazione ministeriale, viene preliminarmente evidenziato come, in applicazione della disciplina all'epoca vigente, prevista dal regio decreto-legge 27 novembre 1933, n. 1578, e successive modificazioni ed integrazioni, il bando di esame per l'abilitazione alla professione forense emesso con d.m. in data 11 settembre 2014, all'articolo 2, comma 3, avesse espressamente previsto che «Le prove orali consistono: nella discussione, dopo una succinta illustrazione delle prove scritte, di brevi questioni relative a cinque materie, di cui almeno una di diritto processuale, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto civile, diritto commerciale, diritto del lavoro, diritto penale, diritto amministrativo, diritto tributario, diritto processuale civile, diritto processuale penale, diritto internazionale privato, diritto ecclesiastico e diritto comunitario; nella dimostrazione di conoscenza dell'ordinamento forense e dei diritti e doveri dell'avvocato».
  Ha, inoltre, riferito la competente direzione generale come la comunicazione e-mail menzionata dagli interroganti sia stata inviata dalla segreteria esami avvocato presso la corte di appello di Milano a tutti i candidati ammessi a sostenere le prove orali del citato distretto.
  Interpellato a riguardo, il presidente della prima sottocommissione ha confermato di avere fornito ai candidati le indicazioni oggetto di contestazione, precisando che le determinazioni in merito al contenuto degli esami orali sono state concordate da tutti i presidenti delle sottocommissioni istituite presso la corte di appello di Milano in un'apposita riunione svoltasi il 16 giugno 2015.
  Si è trattato, pertanto, di una autonoma ed isolata iniziativa, assunta in sede distrettuale dalle commissioni di esame, rispetto alle quali non è attribuita al Ministero alcuna funzione di sovraordinazione.
  Non risulta, peraltro, che alcuno dei candidati interessati abbia promosso alcuna iniziativa, anche di tipo contenzioso, lamentando situazioni di pregiudizio sotto il profilo dell'affidamento, come rappresentato nell'interrogazione.
  Evidenzio, infine, come, a decorrere dalla sessione 2017, troverà applicazione la nuova disciplina contenuta nella legge 31 dicembre 2012, n. 247, la quale, all'articolo 46, dispone che «Nella prova orale il candidato illustra la prova scritta e dimostra la conoscenza delle seguenti materie: ordinamento e deontologia forensi, diritto civile, diritto penale, diritto processuale civile, diritto processuale penale, nonché di altre due materie, scelte preventivamente dal candidato, tra le seguenti: diritto costituzionale, diritto amministrativo, diritto del lavoro, diritto commerciale, diritto comunitario ed internazionale privato, diritto tributario, diritto ecclesiastico, ordinamento giudiziario e penitenziario».
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CIMBRO, GARAVINI, GNECCHI, GRIBAUDO, IACONO, LA MARCA, ANDREA MAESTRI, MARANTELLI, MOGNATO e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di questa legislatura si è avuto più volte di segnalare al Ministero, attraverso interrogazioni e interpellanze, i numerosi, gravi episodi di manifesto attacco ai valori antifascisti della Costituzione, inequivocabili segnali della recente avanzata delle nuove destre sul territorio lombardo: dai festival neonazisti di Rogoredo, Castano Primo e Cantù, all'insediamento nelle istituzioni comunali del territorio milanese di formazioni politiche di ispirazione chiaramente fascista. Due ulteriori, recenti accadimenti meritano di essere qui riportati;
   il 30 novembre 2016, nell'aula consiliare di Turbigo, si è tenuto un convegno promosso dall'Associazione Memento, una branca di Lealtà e Azione, nota organizzazione di estrema destra, e dal centro Studi dedicato a Ezio Maria Gray, fascista, antisemita e aderente nel 1943 alla Repubblica di Salò; al gerarca fascista, si ricorda, era stata intitolata una via della città nel 2014;
   l'evento è stato patrocinato dal comune, il quale non ha fatto mancare i suoi saluti istituzionali. (Lo stesso comune aveva negato il patrocinio, poco tempo prima, a un evento con Don Andrea Gallo, e a un altro con il monsignor Bettazzi, vescovo di Ivrea);
   il Presidente dell'AMPI provinciale di Milano Roberto Cenati ha ritenuto l'iniziativa, « Italianski Karasciò», italiani brava gente, un tentativo di strumentalizzazione della tragica vicenda dell'invio del Corpo di spedizione italiano in Russia nel 1942 insieme agli alleati nazisti – corpo che subì pesantissime perdite, novantamila caduti. Questa tragedia, infatti, «rappresenta una delle più gravi responsabilità del fascismo di fronte al popolo italiano e ha contribuito a rendere sempre più vivi e forti il risentimento e l'ostilità degli italiani verso il fascismo»;
   pochi giorni fa, venendo al secondo, recente, episodio, il gruppo neonazista Do.ra ha profanato il Sacrario del San Martino, la battaglia che costituisce uno dei primi e significativi esempi di opposizione all'occupazione nazifascista, e l'inizio della lotta partigiana nel Nord Italia;
   l'ANPI provinciale di Milano, nell'esecrare l'oltraggiosa e ignobile azione, ha manifestato altresì la sua «preoccupazione per il rifiorire di movimenti neonazisti e neofascisti nel cuore dell'Europa e nel nostro Paese», rilevando come sia «di estrema gravità la situazione creatasi nel Varesotto, dove il gruppo neonazista Do.ra, la più numerosa e organizzata comunità nazionalsocialista italiana, apertamente razzista, fa da anni apologia di fascismo, negando la Shoah» –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda mettere in atto per, porre finalmente, un argine all'avanzata, anche culturale, di movimenti neonazisti e neofascisti che si pongono apertamente in contrasto con i valori della Repubblica. (4-14988)

  Risposta. — In relazione a quanto evidenziato nell'interrogazione in esame, si assicura che il Ministero dell'interno continua a dedicare la massima attenzione all'attività dei movimenti politici estremistici, qualunque ne sia l'orientamento, per prevenire e reprimere le iniziative che possano sfociare in atti illeciti.
  In particolare, l'attività di prevenzione si sviluppa in un attento monitoraggio ed un'accurata raccolta informativa, al fine di cogliere il minimo segnale di turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica e di deviazione dalle regole del diritto e della pacifica convivenza.
  Tale attività riguarda anche le associazioni, che come la «Comunità militante dei dodici Raggi DO.RA.» si ispirano chiaramente ad un'ideologia di estrema destra vicina ai principi del nazionalsocialismo. Nel caso in questione ciò appare comprovato anche dalla pubblicazione sul sito dell'associazione, recentemente riattivato, di messaggi rievocativi di eventi storici associati a simboli del nazismo e del fascismo. Il movimento, attestato su posizioni di orientamento
skinhead, ha adottato come simbolo il «sole nero» noto emblema nazista dal significato esoterico.
  Tra le diverse manifestazioni promosse dal sodalizio nel corso degli anni si registrano quelle commemorative in occasione del «giorno del ricordo delle vittime delle foibe» e diversi concerti d'area, organizzati nella sede di Sumirago.
  Le forze di polizia hanno puntualmente segnalato all'autorità giudiziaria tutte le iniziative dei componenti dell'associazione per le quali potevano ritenersi sussistenti ipotesi di reato. Le denunce hanno riguardato, in particolare, alcuni episodi di intolleranza razziale. Da ultimo, cinque esponenti dell'associazione «DO.RA.» sono stati deferiti per i reati di riunione pubblica non preavvisata, deturpamento e invasione di terreni, commessi il 4 dicembre 2016 presso il Sacrario ai caduti partigiani di San Martino di Duno (Varese).
  D'altra parte, si fa presente che, recentemente, l'associazione Do.Ra ha promosso, su un sito
web, una petizione on-line con l'intento di chiedere «la messa fuorilegge dell'associazione nazionale partigiani d'Italia, la chiusura di tutte le sezioni e i processi per crimini di guerra dei partigiani ancora viventi». La questura di Varese ha presentato rapporto all'Autorità giudiziaria in ordine a tale petizione, per le valutazioni di competenza rispetto alla sussistenza dei comportamenti che integrino fattispecie di reato.
  Si informa, inoltre, che nell'agosto del 2014 la pagina
facebook del sodalizio è stata oscurata, su iniziativa dello stesso gestore del social network. Attualmente, l'associazione gestisce solo un sito web.
  In merito ad eventuali ulteriori misure che possono essere intraprese, va ricordato come l'ordinamento vigente consenta l'adozione di un provvedimento di scioglimento di movimenti che si ispirano al fascismo solo a seguito di una sentenza penale irrevocabile che abbia accertato il verificarsi in concreto della fattispecie della riorganizzazione del disciolto partito fascista.
  Allo stato attuale non risulta che l'associazione in questione sia stata destinataria di pronunce giurisdizionali che legittimino l'adozione di siffatto provvedimento di rigore.
  Venendo all'altra iniziativa segnalata con l'interrogazione, «
Italianski Karasciò», tenutasi a Turbigo il 30 novembre 2016 con il patrocinio dell'amministrazione comunale, si rappresenta che si è trattato di un convegno organizzato dall'associazione «Memento» e dal «Centro Studi di Ezio Maria Gray» con la collaborazione delle associazioni d'Arma «Unirr» (Unione nazionale reduci di Russia) e «Anac» (Associazione nazionale arma di cavalleria).
  Scopo dichiarato dell'evento era quello di un approfondimento di carattere storico-culturale sul corpo di spedizione italiano in Russia e sui suoi novantamila caduti, tra cui undici militari originari proprio di Turbigo.
  L'amministrazione comunale, interpellata in merito alla decisione di concedere il proprio patrocinio all'evento, ha sottolineato come la richiesta fosse pervenuta anche a nome di un'associazione (l'Associazione nazionale arma di cavalleria) formalmente riconosciuta dal Ministero della difesa.
  Si informa infine che, secondo quanto comunicato dalle Forze di polizia, l'iniziativa in questione si è svolta senza alcun problema sotto i profili dell'ordine e della sicurezza pubblica e senza azioni o manifestazioni di carattere apologetico del disciolto partito fascista.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CIPRINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle dogane indiceva nel 2011 un concorso pubblico per esami per il reclutamento di 69 dirigenti di seconda fascia;
   secondo quanto pubblicato dal giornale «LaVerità» del 9 ottobre 2016 alcuni candidati hanno ottenuto i compiti con le tracce già svolte su una copia «taroccata» di una Gazzetta Ufficiale (che conteneva lo svolgimento dei quesiti), unico supporto ammesso durante la prova;
   secondo il giornale «LaVerità»: «Già la prova preselettiva dello stesso concorso era stata oggetto di un esposto-denuncia con il quale si ipotizzava che le domande e le risposte dei quiz fossero già nelle mani di un gruppo di funzionari candidati. Nell'esposto si segnalava alla Procura di Roma come oltremodo sospetto che i primi 50 in graduatoria fossero reggenti di uffici alle dirette dipendenze o di membri della commissione esaminatrice, o del direttore Giuseppe Peleggi, o del vice direttore Alessandro Aronica, oppure sindacalisti di spicco. Nella denuncia veniva evidenziata anche una sorta di “parentopoli” con protagoniste almeno tre coppie di coniugi: dal funzionario del Ministero dell'economia e finanze con la moglie in Direzione centrale che arriva quarto (lei, invece, ottava), all'altra coppia, anche lui del Mef che arriva 43° posto, lei in Direzione centrale si piazza al 26° per finire al decimo posto in cui si colloca il marito di una delle funzionarie dello staff del direttore generale Peleggi. Ma l'esposto era finito in archivio»;
   alla successiva prova scritta due partecipanti vengono colti con gli appunti attinenti alle tracce del tema e, avviate le indagini, «i carabinieri entrano con un mandato di perquisizione negli uffici dell'Agenzia alla ricerca della prova dell'esistenza di alcune email inviate dai vertici dell'ente pubblico a tre o quattro candidati alla selezione» poiché, secondo l'ipotesi dell'accusa, nei file allegati alle email dovrebbe nascondersi la copia della Gazzetta Ufficiale alterata;
   il giornale rivela che «Uno dei destinatari di queste email, che ha ammesso di aver ricevuto l'aiutino, non ha superato la prova e, intervistato dai cronisti della trasmissione di Rai 3 Report, ha mostrato la copia della Gazzetta Ufficiale falsificata, spiegando che sarebbe stato Paolo Raimondi, capo segreteria del direttore Peleggi, a passargli quel documento»;
   secondo quanto riportato da www.corriere.it del 21 settembre 2016 «Le ipotesi di reato, per il momento, vanno dal tentativo di abuso d'ufficio, alla violazione di una legge del 1925 che punisce chi copia durante i concorsi pubblici. I nomi degli indagati non sono al momento noti, ma ci sarebbe almeno uno dei membri della Commissione esaminatrice, Alberto Libeccio, che tra l'altro pochi mesi prima del concorso aveva tenuto un corso di formazione proprio su una delle tracce poi uscite all'esame, e il capo segreteria del Direttore generale Giuseppe Peleggi, Paolo Raimondi. Un'ex dirigente dell'agenzia delle dogane dichiara a Report che sarebbe stato proprio Raimondi, evidentemente con altri, a falsificare la Gazzetta»;
   ormai entro il 2016 non si arriverà alla nomina dei nuovi dirigenti come stabilito dal decreto-legge n. 78 del 2015 con la conseguenza nefasta per cui il Governo sarà costretto ad una nuova proroga delle cosiddette posizioni organizzative speciali anche in palese contrasto con la sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015 –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta e quali urgenti iniziative abbia intrapreso o intenda intraprendere, per quanto di competenza, sul piano amministrativo e disciplinare, nei confronti dei responsabili dei fatti descritti in premessa a tutela del buon andamento e imparzialità dell'amministrazione;
   quali iniziative intenda assumere per garantire la regolarità e la trasparenza dei concorsi relativi ai dirigenti delle Agenzie delle dogane nel rispetto della sentenza della Corte costituzionale n. 37 del 2015. (4-15060)

  Risposta. — Si fornisce riscontro all'interrogazione con richiesta di risposta scritta n. 4-15060, presentata dalla deputata Ciprini, il cui testo si allega in copia, avente ad oggetto il concorso pubblico per il reclutamento di sessantanove dirigenti di seconda fascia indetto presso l'Agenzia delle dogane e dei monopoli e, più in generale, i concorsi per l'accesso a posizioni dirigenziali presso la medesima agenzia seguenti alla pronuncia della Corte costituzionale n. 37 del 2015.
  In merito al documento di sindacato ispettivo in questione, l'Agenzia delle dogane e monopoli ha riferito quanto segue.
  Tale documento richiama, in premessa, quanto riportato da alcuni organi di informazione in ordine a presunte irregolarità commesse nel corso delle prove scritte del concorso pubblico per il reclutamento di sessantanove dirigenti di seconda fascia bandito da questa agenzia nel dicembre del 2011.
  Esso, inoltre, ricalca in parte il contenuto di altre interrogazioni/interpellanze, tra le quali la n. 4-14709 presentata dalla medesima deputata Ciprini, la n. 2-01477 del deputato Pesco e la n. 3-00219 della deputata Ruocco, per le quali sono stati a suo tempo forniti elementi di riscontro.
  Preliminarmente, si fa presente che questa Amministrazione ritiene doverosa una propria astensione da ogni pronunciamento riguardo alle notizie, richiamate dall'interrogante, relative alle indagini penali in corso, attesa la necessità di non interferire con l'azione della Magistratura procedente.
  Entrando nel merito dell'interrogazione, si deve rilevare che gli articoli di stampa di cui sono stati riportati alcuni stralci non sono esenti da inesattezze.
  Al riguardo, la medesima Agenzia delle dogane e dei monopoli riferisce che non risponderebbe al vero l'affermazione, ripresa dal contenuto di un articolo del giornale La Verità del 9 ottobre 2016, secondo cui la Gazzetta Ufficiale era l’«unico supporto ammesso durante la prova» scritta d'esame.
  I chiarimenti forniti, al riguardo, dalla commissione d'esame (pubblicati sul sito internet di questa agenzia, e tuttora accessibili mediante il percorso: Amministrazione trasparente – bandi di concorso – concorsi pubblici – concorsi in svolgimento – concorso, per esami, a complessivi 69 posti di dirigente di seconda fascia presso l'Agenzia delle dogane – Modalità di espletamento delle prove scritte del concorso pubblico a 69 posti di dirigente – Chiarimenti) riportano testualmente: «La commissione esaminatrice ha autorizzato la consultazione di codici non commentati e dei seguenti testi, parimenti non commentati: codice doganale comunitario (Reg. CEE 12 ottobre 1992, n. 2913); disposizioni di applicazioni del codice stesso (Reg. CEE 2 luglio 1993, n. 2454); testo unico delle disposizioni legislative in materia doganale (decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43); testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative (decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504), aggiornati al 30 giugno 2013.
  Per codice si intende anche il codice che contiene raccolte di norme riferite alla medesima materia. Saranno pertanto ammessi nell'aula d'esame codici quali quelli di diritto amministrativo e tributario.
  Come specificato all'articolo 3 della determinazione direttoriale in argomento, per codice non «commentato» si intende il testo sprovvisto di circolari, richiami dottrinali e giurisprudenziali, note, commenti raffronti e annotazioni anche a mano. Non può essere definita nota, ed è dunque ammissibile, l'eventuale richiamo a margine dell'articolo riportante la norma che ne ha disposto l'introduzione o riferimenti normativi correlati.
  Non saranno ammessi codici commentati cui siano state strappate, espunte o, in qualunque modo, rese non consultabili le pagine contenenti i commenti.
  Parimenti, non saranno ammessi leggi o decreti singoli (legge n. 241/90; decreto legislativo n. 165/2001; legge n. 190/2012 ecc.), né stampe o fotocopie di codici e di norme, fatta eccezione per i testi in materia di dogane e accise espressamente indicati».

  In secondo luogo, quanto all'ipotizzata irregolarità della prova preselettiva, la procura della Repubblica di Roma – come peraltro riportato nell'articolo in questione – ha proceduto all'archiviazione del relativo esposto.
  Con riferimento, poi, al fatto che, durante l'espletamento delle citate prove, sarebbe esistita una presunta «parentopoli», si osserva che, dei concorrenti che ne avrebbero asseritamente fatto parte, soltanto uno è risultato idoneo nella successiva fase della prova scritta e, poi, nella prova orale.
  Per quanta attiene alla restante ricostruzione, in essa viene formulato un rilievo riguardo alla prima prova scritta del concorso, i cui argomenti corrisponderebbero ai contenuti di un corso di formazione tenuto nel 2012 – un anno prima dello svolgimento della prova d'esame – dal dottor Libeccio.
  Al riguardo, il tribunale amministrativo regionale del Lazio, investito del contenzioso volto all'annullamento del bando di concorso di cui trattasi, con sentenze n. 6095 e 6097 depositate il 28 aprile 2015 – dopo aver esaminato tutte le tracce potenzialmente oggetto delle prove, comprese dunque quelle non sorteggiate – aveva escluso la violazione della par condicio perché «... i ricorrenti non considerano che gli istituti giuridici oggetto della prima prova: A) hanno portata generale e sono ampiamente trattati anche nella manualistica relativa al pubblico impiego privatizzato, oltre che negli approfondimenti della dottrina e nelle raccolte di giurisprudenza; B) risultano senz'altro coerenti con le conoscenze generalmente richieste ad un candidato che partecipi ad un concorso pubblico nel quale, tra le materie oggetto della prova scritta, vi sono anche il “diritto del lavoro, con particolare riguardo alla disciplina del pubblico impiego e alla contrattazione collettiva del comparto di appartenenza delle Agenzie fiscali” ed il “diritto amministrativo”. Inoltre non vi è contestazione sul fatto che il materiale didattico relativo al predetto corso di formazione tenuto dal dottor Libeccio nel mese di luglio 2012 ossia un anno prima dello svolgimento delle prove scritte sia stato reso disponibile sul sito intranet dell'ADM (Agenzia delle Dogane e dei Monopoli, n.d.r.) e fosse, quindi accessibile da parte di tutti i dipendenti dell'Agenzia, al pari del materiale didattico relativo a qualsiasi altro corso di formazione organizzato dall'Agenzia per i propri dipendenti».
  Tali motivazioni sono state successivamente condivise dal Consiglio di Stato in sede di appello, con due distinte pronunce.
  Si osserva, infine, che gli incarichi provvisori di funzioni dirigenziali, cessati a seguito della sentenza n. 37 del 2015 della Corte costituzionale, hanno natura assai diversa dall'istituto delle menzionate posizioni organizzative temporanee, cui l'Agenzia ha fatto ricorso in applicazione del secondo comma del medesimo articolo 4-bis del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, il quale autorizza i dirigenti delle Agenzie fiscali a delegare a funzionari della terza area le funzioni relative agli uffici di cui hanno assunto la direzione interinale, escluse le attribuzioni a essi riservate per legge.
  Tale disposizione, infatti, conferisce ai dirigenti ad interim la facoltà – all'esito di rigorose procedure selettive basate su criteri oggettivi e trasparenti – di individuare, ciascuno per l'Ufficio cui è preposto, il funzionario più idoneo cui delegare parte delle proprie funzioni, delle quali essi conservano la titolarità.
  Diversamente, l'istituto del conferimento provvisorio di incarichi dirigenziali a funzionari sprovvisti della relativa qualifica – cui l'Agenzia ha fatto ricorso, in applicazione di specifiche disposizioni normative, al fine di colmare parzialmente e temporaneamente la grave carenza di dirigenti riscontrabile nel proprio organico – prevedeva una procedura comparativa – anch'essa oggettiva e rigorosa, perfezionata nel corso del tempo – al termine della quale veniva attribuita a funzionari di terza area di comprovata esperienza la piena titolarità delle funzioni in argomento, per il tempo strettamente necessario all'acquisizione, mediante le procedure previste e disciplinate dall'ordinamento, di dirigenti di ruolo.
  Per quanto concerne, infine, la richiesta di conoscere le eventuali iniziative, intraprese o da intraprendere, nei riguardi dei «responsabili dei fatti» oggetto dell'interrogazione in questione, si deve riferire che, alla stregua delle informazioni attualmente in possesso di questa Amministrazione, non sussistono le condizioni stabilite dalla legge e dai contratti collettivi di lavoro per l'assunzione di iniziative disciplinari o di altra natura in dipendenza della vicenda in esame.
La Sottosegretaria di Stato per l'economia e le finanzePaola De Micheli.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si legge da una nota stampa della segreteria nazionale del sindacato di polizia Consap sarebbe stata diffusa la notizia circa l'intenzione dei vertici del dipartimento della pubblica sicurezza di procedere alla firma del decreto di annullamento del concorso per agenti di polizia riservato ai volontari in ferma prefissata;
   nella Gazzetta Ufficiale del 29 gennaio 2016 veniva pubblicato il bando del concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 559 allievi agenti della polizia di Stato, riservato ai sensi dell'articolo 2199, comma 4, lettera a), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale;
   la prova scritta si era svolta a maggio 2016, ma dalla graduatoria sarebbero emerse delle anomalie e da molti degli esclusi si sarebbero lamentate presunte irregolarità e scarsa chiarezza delle procedure con l'annuncio di numerosi ricorsi;
   il dipartimento di pubblica sicurezza, in attesa di effettuare le verifiche richieste, sospendeva la pubblicazione del diario degli accertamenti di idoneità fisica psichica e attitudinale di quanti avevano superato lo scritto;
   di fronte a tale situazione, invece di effettuare ogni utile e concreta azione affinché vengano individuati eventuali responsabili, evitando di coinvolgere chi con trasparenza, senso di legalità e profonda dedizione allo studio si è impegnato per superare la prova preselettiva, il dipartimento della pubblica sicurezza starebbe ipotizzando l'annullamento dell'intera procedura concorsuale;
   secondo la Consap, se la decisione fosse confermata, «anziché individuare e perseguire chi ha sbagliato, si preferisce sparare nel mucchio colpendo tanti bravi ragazzi che hanno studiato sodo e, per conseguire il sogno della loro vita di entrare in Polizia, hanno sacrificato affetti e in molti casi il lavoro sino ad allora espletato –:
   quali urgenti iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per fare immediatamente chiarezza sull'accaduto, scongiurando il rischio di annullamento dell'intera procedura concorsuale, che penalizzerebbe soprattutto chi ha studiato e fatto tanti sacrifici per conseguire il sogno di una vita. (4-14992)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante rileva come, dopo le anomalie verificatesi durante la prova scritta tenutasi nel maggio 2016, non sia stato dato ulteriore seguito al concorso pubblico per il reclutamento di 559 allievi agenti della Polizia di Stato; chiede, quindi, di non procedere all'annullamento della procedura concorsuale.
  In effetti dal 4 al 6 maggio 2016 si sono svolte le prove scritte a quiz del predetto concorso riservato esclusivamente ai volontari in ferma prefissata delle Forze Armate.
  Le indagini svolte dall'autorità giudiziaria sullo svolgimento delle prove hanno evidenziato la concreta possibilità che le stesse fossero state inficiate da irregolarità.
  Il capo della polizia, quindi, al fine di salvaguardare l'imparzialità delle operazioni di selezione, ha deposto, in data 12 dicembre 2016, la revoca del decreto di nomina della commissione esaminatrice del concorso e di tutti gli atti relativi alla prova scritta.
  Di seguito sono state predisposte le attività occorrenti alla ripetizione della prova d'esame, che vedrà la partecipazione esclusivamente dei 13.857 candidati che hanno sostenuto quella precedente.
  In particolare, nella
Gazzetta ufficiale, serie speciale «Concorsi ed esami» del giorno 13 gennaio 2017, è stato dato avviso della predetta revoca e in quella del successivo 24 gennaio è stato pubblicato il diario della ripetizione della prova d'esame che si è svolta dal 6 all'11 marzo 2017 presso la Scuola per ispettori e sovrintendenti della Guardia di finanza di Coppito, in provincia di L'Aquila.
  L'Amministrazione ha ravvisato, altresì, la necessità che del contenuto delle predette
Gazzette ufficiali fossero informati tutti i candidati che avevano sostenuto le prove concorsuali nei giorni dai 4 al 6 di maggio 2016 e non solo i 936 posizionatisi utilmente nella graduatoria relativa agli esiti delle prove scritte.
  A tal fine, si è provveduto, da un lato, a pubblicare un avviso sul sito della Polizia di Stato, dall'altro, a portare tutti i potenziali interessati a conoscenza delle determinazioni assunte dell'amministrazione, attraverso gli indirizzi di posta elettronica da loro indicati all'atto della presentazione
on-line della domanda di partecipazione al concorso.
  Si informa, infine, che, al di là della procedura concorsuale in questione, l'Amministrazione dell'interno ha programmato un altro concorso pubblico per la medesima qualifica.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CORDA, VALLASCAS, NICOLA BIANCHI, LOMBARDI, PINNA, TOFALO, TERZONI, D'AMBROSIO, DE ROSA, BUSTO, SEGONI, RIZZO, MASSIMILIANO BERNINI, MUCCI, ARTINI, DI BATTISTA, BONAFEDE, ZOLEZZI, PRODANI, CURRÒ, PETRAROLI, MARZANA, FICO, CRISTIAN IANNUZZI, DIENI, TONINELLI e DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole, alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è in atto in tutta Italia una corsa alle trivellazioni per la ricerca di giacimenti di idrocarburi;
   in Sardegna le attività di ricerca della società privata Saras spa interessano quasi 40 comuni e in particolare i comuni di Assemini, Decimomannu, Decimoputzu, Cagliari, Capoterra, Elmas, Monastir, Nuraminis, San Sperate, Sestu, Uta, Villasor, Villaspeciosa, Oristano, Cabras, Riola Sardo, Nurachi e Baratili San Pietro, Zeddiani, Tramatza, Siamaggiore, Solarussa, Arborea, Palmas Arborea, Santa Giusta, Marrubiu, Terralba, San Nicolò Arcidano, Uras, Guspini, Mogoro, San Gavino Monreale, Villacidro, Samassi, Sanluri, Serramanna, Serrenti;
   il rilascio di decine di concessioni per la ricerca di idrocarburi sia in mare che in terraferma, da parte del Ministero dello sviluppo economico, ha fatto della Sardegna un territorio assai ambito per l'avviamento di attività di ricerca di giacimenti di gas naturali e idrocarburi;
   tra le numerose istanze presentate al Ministero dello sviluppo economico, i due permessi a mare richiesti da Saras Spa sembrerebbero essere stati respinti, mentre, invece, non risulta essere stato respinto il Progetto Eleonora, previsto nel Comune di Arborea (provincia di Oristano), che prevedrebbe svariate attività a forte rischio ambientale tra le quali perforazioni esplorative che potrebbero raggiungere i 3.000 metri di profondità, innescando un processo di irreversibile salinizzazione dei terreni agricoli;
   il sito di Arborea è conosciuto in tutta Europa per l'elevata qualità della sua produzione agricola e zootecnica, e costituisce un insieme di realtà economiche tra le più floride dell'Isola, con importanti ricadute economiche e occupazionali; le attività invasive del Progetto Eleonora sarebbero effettuate in una zona che, come già denunciato da esperti e associazioni ambientaliste, è prossima ad aree tutelate dalla convenzione internazionale di Ramsar (2 febbraio 1971) sulle zone umide d'importanza internazionale (decreto del Presidente della Repubblica n. 448 del 1976), dal vincolo paesaggistico (decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modifiche e integrazioni), da vincolo di conservazione integrale (legge regionale n. 23 del 1993), dal Piano paesaggistico regionale (decreto del Presidente della Regione n. 82 del 7 settembre 2006), sito che rientra nella rete Natura 2000, tutelato per la presenza di uccelli palustri, destinato a riserva naturale regionale (Legge regionale n. 31 del 1989, allegato A), oltre che essere Sito di Importanza comunitaria (SIC) e Zona di protezione speciale (ZPS) (Direttiva n. 92/43/CEE);
   in caso di scoperta di giacimenti, i diritti di produzione, le cosiddette royalties, sarebbero riconosciute alla regione Sardegna (si parla del 10 per cento dei ricavi, cioè, a seconda delle stime, tra 1 e 3 milioni di euro l'anno), mentre nulla sembra previsto per comune e provincia;
   analoghi miraggi di ricadute positive, per i territori locali, in termini di ricavi e posti di lavoro, si sono rivelati, nei decenni passati, amarissime disillusioni, avendo questo tipo di iniziative industriali lasciato dietro di sé solo disoccupazione, inquinamento e fondati sospetti di malattie anche genetiche;
   grazie all'azione del comitato popolare «No al progetto Eleonora», impegnato nella mobilitazione dei cittadini contro il progetto, la regione Sardegna ha avviato una procedura di VIA;
   oltre al progetto Eleonora la società privata Sargas (sotto il diretto controllo della Saras spa) intende avviare nel comune di Arbus un progetto denominato Igia, che prevede attività di ricerca di idrocarburi in un'area di circa 187 chilometri quadrati nel Medio Campidano;
   anche contro la realizzazione di questo progetto, come di tutti gli altri, si è registrata una forte presa di posizione da parte delle popolazioni interessate e degli stessi consigli comunali, fra cui Marrubiu (26 aprile 2012), Arborea (7 maggio 2012), San Nicolò Arcidano (11 giugno 2012), Solarussa (27 giugno 2012), Terralba (23 agosto 2012), Uras (28 settembre 2012), Santa Giusta (30 gennaio 2013) i quali hanno formalizzato la totale contrarietà a ogni ipotesi di trivellazione per ricerca di idrocarburi liquidi o gassosi;
   il consiglio provinciale di Oristano in data 19 luglio 2012 ha espresso la sua totale contrarietà nei confronti del progetto Eleonora e quindi alle perforazioni finalizzate alla ricerca di gas naturale nel territorio –:
   nell'ambito delle rispettive competenze, se siano a conoscenza di quanto evidenziato nella premessa, se risulti corrispondente al vero e con quali atti e quali finalità siano intervenuti o intendano intervenire;
   se non ritengano di voler promuovere l'avvio di una conferenza di servizio e/o un tavolo di confronto tra tutte le istituzioni interessate a livello nazionale, regionale e locale, sospendendo nel frattempo ogni autorizzazione già concessa e ogni procedura di concessione tuttora in corso relativa a progetti di ricerca di giacimenti di idrocarburi nel territorio della Sardegna, con particolare riferimento a quelli denunciati in premessa;
   in quale modo ritengano di intervenire per la tutela dell'ambiente, della salute, dello sviluppo economico e delle politiche agricole, essendo tali progetti (e gli sfruttamenti industriali di eventuali giacimenti) potenzialmente disastrosi per gli ecosistemi della zona, per la salute delle popolazioni e per le attività economiche attualmente esistenti anche intervenendo ove ne ricorrono i presupposti alle procedure di valutazione di impatto ambientale avviata dalla regione autonoma Sardegna. (4-00249)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha ripristinato il limite delle 12 miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere in mare. La disposizione stabilisce che i titoli abilitativi già rilasciati siano fatti salvi dall'estensione del limite alle 12 miglia per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. La norma ha vietato nuove attività di trivellazione entro le 12 miglia (20 chilometri) salvaguardando così le vocazioni proprie delle coste italiane e non vanificando gli investimenti messi in atto da soggetti pubblici e privati, a volte molto consistenti, per lo sviluppo e la promozione del turismo.
  Con riferimento alla predetta normativa, il 17 aprile 2016 si è tenuto il referendum per decidere se abrogare o meno la parte della disposizione che permette a chi ha già ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme
offshore entro 12 miglia dalla costa, di poter rinnovare la concessione fino all'esaurimento del giacimento, che ha avuto esito negativo per il mancato raggiungimento del quorum.
  Ciò premesso, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Si evidenzia altresì che i provvedimenti di compatibilità ambientale relativi alle attività di prospezione geofisica di determinate aree in mare sono preliminari rispetto ad eventuali attività di ricerca e produzione di idrocarburi, che potranno essere realizzate in futuro previe ulteriori e distinte valutazioni di impatto ambientale: le prospezioni vagliate con esito positivo nel procedimento Via, e non ancora autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico, mirano infatti a stabilire se in determinate aree siano presenti idrocarburi e in quale quantità, con lo studio preliminare della struttura geologica del sottosuolo, mediante l'emissione di onde acustiche rivolte verso il fondale e prodotte al largo, al fine di acquisire dati ed elementi utili per l'eventuale successiva fase di ricerca.
  In tale fase di prospezione non è prevista alcuna installazione di piattaforme, che potranno eventualmente essere allocate solo a seguito di riscontri positivi delle prospezioni medesime e, comunque, dopo diversi anni, previa nuova valutazione di impatto ambientale e ulteriore diversa autorizzazione da parte del Ministero dello sviluppo economico.
  In relazione al coinvolgimento delle istituzioni locali, si precisa che, ai fini autorizzativi delle istanze di rilascio di titoli minerari in mare, è prevista l'intesa con la regione o le regioni interessate. Difatti, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'ambito della procedura di Via sono valutate e considerate tutte le osservazioni pervenute sia da parte dei privati cittadini che da parte delle amministrazioni coinvolte: tale valutazione è debitamente riportata nei provvedimenti di compatibilità ambientale del Ministero con le eventuali controdeduzioni e prescrizioni.
  Con l'intervento normativo effettuato con il decreto-legge «Sblocca Italia» si è inteso favorire lo sviluppo delle risorse energetiche nazionali, introducendo misure che garantiscano la ripresa delle attività produttive e la razionalizzazione delle procedure burocratiche, senza modificare alcunché in termini di partecipazione del territorio ai procedimenti di rilascio dei titoli minerari. Per il conferimento di tali titoli, compreso il titolo concessorio unico, è prevista, infatti, l'acquisizione dell'intesa regionale e la partecipazione di tutti gli enti locali interessati che continuano ad essere coinvolti nell'ambito dell'endoprocedimento di Via, potendo prendere visione del progetto e manifestare i propri pareri.
  Con la legge di stabilità 2016 sono state tuttavia apportate delle modifiche alla normativa vigente in materia, senza alterare, anche in questo caso, la posizione degli enti locali: è stato riscritto l'articolo 38 del decreto «Sblocca Italia», eliminando il carattere strategico, urgente ed indifferibile delle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, mantenendo per queste soltanto la pubblica utilità, ed è stato inoltre eliminato il piano delle aree; è stato altresì modificato in senso più restrittivo l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, limitando ulteriormente lo svolgimento delle attività minerarie in mare.
  Ad ogni modo, la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Si evidenzia, inoltre, che dopo l'incidente del 2010 nel Golfo del Messico, gli Stati membri della Comunità europea hanno dato avvio a una revisione delle politiche dell'Unione europea volte a garantire la sicurezza delle operazioni relative al settore degli idrocarburi.
  Con l'emanazione della direttiva 2013/30/UE è stato avviato un processo per ridurre per quanto possibile il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e di limitarne le conseguenze, aumentando così la protezione dell'ambiente marino e delle economie costiere dall'inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, limitando possibili interruzioni della produzione energetica interna dell'Unione e migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente.
  Riducendo il rischio di inquinamento marino, la direttiva assicurerà la protezione dell'ambiente marino e in particolare il raggiungimento o il mantenimento di un buono stato ecologico al più tardi entro il 2020, obiettivo stabilito nella direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino).
  In merito al permesso di ricerca «Eleonora», secondo quanto riferito dal Ministero dello sviluppo economico, l'unico ad oggi presente sul territorio della regione Sardegna, si fa presente che lo stesso è stato rilasciato dai competenti uffici regionali, così come la relativa istanza per la modifica del programma lavori e l'autorizzazione alla realizzazione del pozzo esplorativo nell'area del permesso di ricerca sono stati presentati dalla Società interessata agli uffici regionali competenti in materia estrattiva.
  Il conferimento dei titoli minerari in terraferma nonché le relative autorizzazioni, nella regione autonoma Sardegna, sono infatti, in virtù dello statuto speciale della regione, di competenza regionale.
  Con riferimento alle attività
offshore in materia di idrocarburi, per le quali lo Stato ha invece competenza sia per il rilascio dei titoli minerari e per la gestione degli stessi che per il controllo delle relative attività, si rappresenta che, sempre secondo quanto riferito dal Ministero dello sviluppo economico, attualmente non sussistono istanze presentate nelle zone di mare limitrofe la regione Sardegna né tantomeno titoli già conferiti o attività in corso.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli Interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   COSTANTINO, FRATOIANNI, PALAZZOTTO e MARCON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 26 gennaio 2017 le questure di Roma, Torino, Brindisi e Caltanissetta hanno ricevuto una circolare diramata dal direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere, Giovanni Pinto, con l'oggetto «Audizioni e charter Nigeria»;
   con la circolare si intende avviare, in accordo con l'ambasciata della Nigeria, il rimpatrio di «sedicenti cittadini nigeriani» irregolari che si trovano sul territorio italiano, obiettivo che si realizza tramite un volo charter in Nigeria;
   le questure sollecitate devono perciò dal 26 gennaio al 18 febbraio 2017 riservare presso i loro Centri di identificazione ed espulsione, 50 posti per donne e 45 posti per uomini, 95 persone che, in seguito alle audizioni svolte dal personale dell'ambasciata, verranno poi rimpatriate. Qualora nei Centri di identificazione ed espulsione sopracitati non ci fosse spazio la circolare spiega che si può ricorrere ad «eventuali dimissioni anticipate (...) nell'immediato e senza eccezione alcuna (...) sino a esaurimento delle aliquote assegnate» di altri cittadini irregolari trattenuti nelle strutture; vengono disposti inoltre «mirati servizi finalizzati al rintraccio di cittadini nigeriani in posizione illegale»;
   la circolare non fornisce spiegazioni su come dovranno essere svolti questi servizi (parla infatti di intese che le questure dovranno prendere con la direzione centrale), ma, vista la priorità e la frettolosità dell'operazione, lascia intendere l'avvio di una vera e propria «caccia al nigeriano»;
   i ristrettissimi tempi con cui dovrà essere completata l'operazione fanno credere che le audizioni per la verifica dei requisiti saranno sommarie e sbrigative;
   la Nigeria è un Paese colpito da una crisi umanitaria di proporzioni enormi, un Governo sospettato di essere stato eletto in seguito a brogli, martoriato dalle incursioni terroristiche di Boko Haram, che 2009 ha ucciso più di 20 mila persone e sequestrato altre centinaia, motivo per cui le organizzazioni che tutelano i rifugiati, tra cui l'UNHCR, hanno dichiarato che i respingimenti dei nigeriani che scappano dal Paese infrangono i diritti di protezione internazionale;
   a questo si aggiunga la drammaticamente nota situazione riguardante il traffico ormai accertato di donne nigeriane vittime di tratta che arrivano in Italia per il mercato della prostituzione;
   Italia e Nigeria hanno stipulato, nel febbraio 2016, un accordo che prevede collaborazione per rimpatri dei migranti nigeriani;
   nel frattempo, la politica di riapertura e rafforzamento dei Centri di identificazione ed espulsione è fortemente sostenuta dal Governo italiano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, viste le numerose violazioni di norme interne ed internazionali sul trattamento dei rifugiati, non ritenga di dover assumere iniziative per sospendere immediatamente l'operazione di cui alla circolare del direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere. (4-15463)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede chiarimenti in merito alla circolare avente ad oggetto « Audizioni e Charter in Nigeria», diramata il 26 gennaio 2017 dal direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere. In particolare, chiede se non si ritenga opportuno sospendere immediatamente l'operazione di cui alla circolare stessa.
  Il Ministero dell'interno-dipartimento della pubblica sicurezza, al fine di dare effettività alla politica di rimpatrio degli stranieri rintracciati sul territorio nazionale in posizione irregolare, cura l'organizzazione di attività propedeutiche al conseguimento del suddetto obiettivo.
  In tale contesto trova collocazione il telegramma del 26 gennaio 2017 inviato alle questure, allo scopo di procedere alle audizioni a fini identificativi di sedicenti cittadini nigeriani.
  È evidente, infatti, che per agevolare l'identificazione degli stranieri rimpatriabili, ancorché sprovvisti di documenti, sia necessario predisporre il preliminare rintraccio dei medesimi, al fine di programmare le necessarie interviste individuali curate dai funzionari delle rappresentanze consolari dei Paesi di presunta origine.
  Tale attività operativa (lungi dal poter essere ricondotta al concetto di espulsioni collettive) non pone mai in secondo piano l'indubbio dovere delle autorità provinciali preposte di procedere all'adozione di provvedimenti di rimpatrio, valutati sempre individualmente, dopo l'accurato esame del singolo caso e nel totale rispetto dei diritti dell'individuo.
  La suddetta azione di indirizzo, da più di un decennio in uso, è finalizzata solo ad una razionale gestione dell'esigua disponibilità recettiva dei centri di identificazione ed espulsione, ora centri di permanenza per i rimpatri, coniugando l'esigenza di ottimizzazione delle risorse, in termini di uomini e di mezzi, posti a disposizione del Dipartimento della pubblica sicurezza, e il dovere di economicità dell'azione amministrativa.
  In tali occasioni, l'allontanamento dal territorio nazionale è eseguito per mezzo di voli charter opportunamente organizzati per lo più sotto l'egida di Frontex, ai quali intervengono, peraltro, altri Stati membri, organismi internazionali e monitor sia italiani che stranieri, in linea con quanto previsto sia da dispositivi di indirizzo dell'Unione europea (decisione 2004/573/CE del Consiglio dell'Unione europea, del 29 aprile 2004) che dal Trattato di Prum (articolo 23).
  Tali operazioni, pianificate con cadenza periodica, devono essere organizzate in anticipo rispetto alla data prevista per il volo, data la loro complessità dovuta all'intervento di più Stati.
  Le modalità operative appena descritte sono state seguite anche nel caso in questione.
  In tale contesto, il trattenimento negli ex centri di identificazione ed espulsione rappresenta lo strumento necessario a consentire l'identificazione e la conseguente emissione del titolo di viaggio dello straniero destinatario di una decisione di rimpatrio, quest'ultima adottata sempre, come detto, sulla base di una valutazione caso per caso. Il numero dei posti riservati è determinato in base alla ricettività di tali strutture, tenuto conto che per le donne è previsto un unico centro loro dedicato con la disponibilità di 125 posti che devono soddisfare le esigenze di tutto il territorio nazionale.
  Naturalmente, il diritto di richiedere protezione internazionale è sempre assicurato, per tutti, sino al momento della partenza, come del resto è sempre prevista l'informazione sull'argomento all'interno delle strutture di trattenimento.
  Si soggiunge che il 20 febbraio 2017 il dipartimento della pubblica sicurezza ha emanato una nuova circolare ai Questori per chiarire, nei termini appena esposti, l'esatta portata delle disposizioni contenute nel telegramma del 26 gennaio.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 8 marzo 2006 n. 139, disciplina l'ordinamento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, stabilendo all'articolo 9 che «Il personale volontario può essere richiamato in servizio temporaneo in occasione di calamità naturali o catastrofi e destinato in qualsiasi località. Il personale di cui al comma 1 può inoltre essere richiamato in servizio: a) in caso di particolari necessità delle strutture centrali e periferiche del Corpo nazionale; b) per le esigenze dei distaccamenti volontari del Corpo nazionale, connesse al servizio di soccorso pubblico; c) per frequentare periodici corsi di formazione, secondo i programmi stabiliti dal Ministero dell'interno»;
   il Conapo dei vigili del fuoco ha ripetutamente denunciato l'insufficienza del personale e il ricorso ormai sistematico al personale discontinuo e volontario;
   nello scorso anno, l'organico dei vigili del fuoco è stato incrementato a fronte, di una netta riduzione dei fondi destinati alla retribuzione del personale volontario del corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   i tagli al fondo su menzionato hanno, di fatto, decurtato i turni di lavoro nelle caserme degli operatori discontinui e volontari, provocando una notevole situazione di disagio in numerosi soggetti che, non avendo raggiunto i criteri minimi per raggiungere qualche forma di sostegno al reddito, ora non hanno alcuna forma di sostentamento necessario a vivere dignitosamente –:
   quali siano le iniziative che intende intraprendere affinché gli operatori i volontari e discontinui possano essere stabilizzati;
   se non ritenga opportuno promuovere una riforma del servizio volontario e discontinuo volta a stabilizzare prioritariamente gli operatori volontari e discontinui, rispetto al bando di ulteriori concorsi;
   in che modo intenda arginare le difficoltà in cui si trovano attualmente gli addetti volontari e discontinui rimasti senza lavoro a causa dei tagli al fondo su menzionato. (4-08154)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, nel lamentare la riduzione dei fondi destinati all'impiego e alla retribuzione del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, chiede l'adozione di iniziative volte all'assunzione e stabilizzazione di tale componente.
  Si assicura che il Ministero dell'interno ha avvertito da sempre l'esigenza di non disperdere l'alta professionalità maturata da tale importante categoria di personale in anni di impiego correlati sia alle emergenze presso i distaccamenti volontari sia ai richiami in servizio per le esigenze delle strutture centrali e periferiche del Corpo.
  Ciò è testimoniato, innanzitutto, dalla previsione a regime, in favore dei vigili volontari, di una riserva del 25 per cento dei posti nei concorsi pubblici per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco.
  Tale riserva ha consentito, alla data del 31 dicembre 2016, l'assunzione di 935 vigili volontari attraverso lo scorrimento della graduatoria del concorso pubblico a 814 posti di vigile del fuoco.
  Un ulteriore segnale di attenzione è costituito dall'indizione in via eccezionale, nell'agosto del 2007, di una procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari aventi determinati requisiti di anzianità e servizio.
  Al riguardo, si informa che la relativa graduatoria è andata esaurita per effetto dell'assunzione di tutti i candidati utilmente collocati, ad eccezione di 4 unità che, all'atto della convocazione, hanno presentato idoneo certificato medico e potranno essere assunte nei prossimi mesi previo superamento della visita medica e delle prove di accertamento del mantenimento dell'idoneità motoria.
  Un'ulteriore procedura di stabilizzazione comporterebbe un'ulteriore deroga al principio costituzionale dell'accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso pubblico. Essa richiederebbe, pertanto, un meditato e mirato intervento legislativo, che dovrà farsi carico anche di reperire la necessaria copertura finanziaria.
  Sempre nell'ottica di valorizzare la componente volontaria, ulteriori iniziative in favore di essa sono contenute nello schema di decreto legislativo predisposto in attuazione della legge n. 124 del 2015, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri nella seduta del 23 febbraio 2017.
  In particolare, è stata prevista l'elevazione dal 25 al 35 per cento della quota dei posti riservati ai vigili volontari nei concorsi per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco ed è stata introdotta ex novo una riserva del dieci per cento per tutte le procedure concorsuali pubbliche per l'accesso alle altre qualifiche del personale del Corpo.
  Inoltre, per l'accesso al ruolo degli operatori e degli assistenti del Corpo nazionale è stata prevista una prelazione in favore del personale volontario che alla data della selezione sia iscritto negli appositi elenchi da almeno tre anni e abbia effettuato non meno di centoventi giorni di servizio.
  Si soggiunge che con una recente direttiva dipartimentale sono state impartite specifiche indicazioni ai comandi provinciali dei vigili del fuoco per introdurre la possibilità di rilasciare al personale volontario attestati di frequenza ovvero attestati di idoneità, – «spendibili» anche nel settore privato – per addetto alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze nelle attività lavorative.
  Si rappresenta, inoltre, che si sta procedendo anche alla rivisitazione del regolamento governativo (decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004) che disciplina le procedure per il reclutamento, l'avanzamento e l'impiego del personale volontario del Corpo nazionale.
  Si ritiene che il complesso delle misure appena illustrate costituiscano un evidente segnale di attenzione per questa componente di fondamentale importanza per l'efficacia del dispositivo nazionale di soccorso pubblico.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   D'ARIENZO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la procura della Repubblica di Vicenza ha scoperto che nel carcere di Montorio – Verona – si è tenuto un momento conviviale organizzato da un detenuto per festeggiare il proprio compleanno;
   la foto dei festeggiamenti sarebbe stata posta sul social Facebook;
   dalla stampa si apprende che il medesimo detenuto avrebbe fatto uso di un cellulare per comunicare all'esterno dell'istituto di detenzione;
   emerge, quindi, che dall'interno del penitenziario sia possibile l'uso di internet, nonché l'utilizzo di telefoni, entrambe concessioni vietate ai detenuti;
   se tutto venisse confermato, sarebbero manifesti il disagio e l'imbarazzo per le palesi violazioni delle regole;
   sarebbe negativo l'impatto sugli operatori della polizia penitenziaria, in quanto si creerebbe una sorta di «franchigia» nei confronti di situazioni analoghe;
   l'interrogante ritiene imprescindibile la tutela, la salvaguardia e l'incolumità del personale di polizia in servizio che, nei fatti, potrebbe risultare intimorito a svolgere la propria attività se dovesse prevalere una sorta di impunità da parte di chiunque;
   la credibilità della polizia penitenziaria è condizione essenziale per l'attuazione pratica del principio della rieducazione della pena detentiva;
   il carcere di Montorio già in passato è stato al centro di situazioni che hanno motivato specifici approfondimenti da parte dei livelli dirigenziali di competenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti;
   se il festeggiamento in parola sia stato autorizzato;
   se non sia utile approfondire l'accaduto con una specifica attività ispettiva, per quanto di competenza, finalizzata all'assunzione delle iniziative previste nei casi di specie. (4-13069)

  Risposta. — L'atto di sindacato ispettivo in esame si riferisce alla vicenda accaduta presso l'istituto penitenziario di Verona «Montorio», ove, secondo quanto riportato dai locali organi di stampa, alcuni detenuti avrebbero partecipato ai festeggiamenti di un compleanno, postando successivamente le fotografie dell'evento sul social network Facebook.
  L'interrogante, nel manifestare preoccupazione per l'accaduto, che confermerebbe la possibilità per i detenuti di accedere ad internet e di utilizzare telefoni cellulari, chiede di sapere se il Ministro della giustizia sia informato dei fatti, se il festeggiamento sia stato autorizzato, e se ritenga necessario approfondire i fatti con una specifica attività ispettiva.
  Sulla base degli elementi acquisiti dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è stato riscontrato che il 3 maggio 2016, in una camera di pernottamento della casa circondariale di Verona, un gruppo di detenuti, di media sicurezza ed a circuito penitenziario aperto, durante il tempo di socialità e pranzando insieme, pare per festeggiare il compleanno di un recluso (individuato in Emanuel Demaj), con un telefono cellulare illecitamente posseduto ha scattato una fotografia, che poi è risultata pubblicata sul social network Facebook. La fotografia, ripresa dal quotidiano locale «L'Arena», ritrae otto detenuti seduti a tavola intenti a consumare il pranzo.
  La direzione dell'istituto di Verona ha aperto un procedimento disciplinare per i fatti in parola; all'atto della contestazione degli addebiti, tutti i detenuti coinvolti si sono riconosciuti nell'immagine pubblicata, ma hanno negato di sapere il nome di colui che aveva effettuato lo scatto, limitandosi a riferire che sarebbe stato un non meglio identificato detenuto marocchino, a loro dire già stato trasferito in altra sede.
  Il detenuto Emanuel Demaj, dal suo canto, ha confermato di essere stato lui l'autore della pubblicazione della fotografia sul social Facebook, assumendosi la responsabilità dell'invio.
  All'esito del procedimento disciplinare, tutti i detenuti sono stati sanzionati con quindici giorni di esclusione dalle attività in comune, il massimo della sanzione, secondo quanto previsto dall'ordinamento-Penitenziario.
  Premesso che durante l'orario di apertura delle celle è consentito ai detenuti di aggregarsi tra loro anche per la consumazione di pietanze, si rappresenta che, in ordine al possesso di oggetti non consentiti, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha comunicato come già in passato si siano verificati, presso l'istituto in questione, illeciti ingressi di telefoni cellulari.
  Ha anche evidenziato che rispetto al fenomeno, purtroppo non limitato all'istituto di Verona, è alta l'attenzione del personale di Polizia penitenziaria, appositamente sensibilizzato sull'importanza di una vigilanza accurata, al fine di prevenire l'introduzione e l'uso di oggetti non consentiti.
  In tal senso, come comunicato dal DAP, si è orientato anche il competente Provveditore regionale, affinché siano intensificati i controlli, in particolare, sui pacchi provenienti dall'esterno e nel corso dei colloqui.
  Va, inoltre, rilevato che l'istituto di Verona «Montorio» nel mese di ottobre 2015 è stato sottoposto a visita ispettiva, all'esito della quale – sebbene siano stati rilevati il buon operato della direzione e l'adeguatezza dei percorsi trattamentali, che prevedono diverse manifestazioni e un ruolo molto attivo della comunità esterna – si è concluso come permangano criticità, riconducibili all'inadeguato contributo dei capi area sicurezza e trattamele.
  Al fine di superare tali criticità, la Commissione ispettiva ha impartito delle prescrizioni operative, volte ad assicurare un miglior governo dell'istituto, anche sotto il profilo della sicurezza, invitando i predetti capi area sicurezza e trattamentale all'esercizio più deciso del loro ruolo e a supportare meglio l'operato della direzione.
  Per completezza informativa, preme evidenziare che della vicenda è stata investita anche l'Autorità giudiziaria.
  In particolare, la procura della Repubblica di Verona, interpellata sui fatti, ha comunicato di avere aperto in data 4 maggio 2016 un procedimento, sulla base di due verbali provenienti dalla casa circondariale di Verona «Montorio», da cui emergeva come l'ispettore Salvatore Basiricò, in servizio presso il predetto istituto, aveva riconosciuto ed identificato, con l'aiuto di altro personale ivi addetto, dieci detenuti ritratti nella foto pubblicata sul quotidiano «L'Arena», tra i quali figurava anche il Demaj.
  Dal suo canto, la procura della Repubblica di Vicenza ha comunicato che, nell'ambito di un procedimento che vedeva tra gli indagati anche il Demaj per i delitti di rapina, porto d'armi, estorsione e associazione per delinquere – definitosi in data 17 maggio 2016 con sentenza di condanna anche del predetto Demaj alla pena di anni 16 e mesi 4 di reclusione – era stato accertato, previa acquisizione di tabulati telefonici e intercettazioni dell'utenza del fratello del Damaj, che quest'ultimo, durante la detenzione, aveva potuto disporre, in successione, di 7 SIM card telefoniche, inserite di volta in volta in 23 diversi telefoni cellulari, e che lo stesso ne faceva ancora utilizzo. La perquisizione eseguita il 31 marzo 2016 presso l'istituto di Verona consentiva di rinvenire anche un telefono smartphone abilitato all'accesso ad internet, in cui era inserita una delle SIM card precedentemente usate dal Demaj; il telefono è stato rinvenuto nella cella n. 204, prossima a quella del Demaj, mentre nella lavanderia, accessibile a tutti i detenuti della sezione, è stato trovato un seghetto di 15 cm.
  Sulla base degli elementi forniti, emerge che la vicenda è stata debitamente gestita dalla direzione dell'istituto e i responsabili dell'accaduto sono stati adeguatamente e tempestivamente sanzionati; più in generale, si rassicura l'interrogante che l'Amministrazione penitenziaria presta la massima attenzione al tema, nella piena consapevolezza della delicatezza della questione, provvedendo, con iniziative a livello centrale, a monitorare i casi di ingresso illecito negli istituti dei telefoni cellulari ed impartendo direttive volte a rafforzare i controlli da parte del personale di Polizia penitenziaria.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Verona risulta essere la seconda provincia del Veneto sia per numero di abitanti sia per estensione del territorio, oltre che importante sede di rilevanti e numerosi insediamenti industriali e commerciali e strategiche reti stradali, autostradali e ferroviarie;
   oltre ai propri residenti, Verona è visitata da oltre 20 milioni di turisti ogni anno;
   Verona rappresenta il 19 per cento della popolazione e il 17 per cento del territorio Veneto;
   la presenza dei vigili del fuoco professionisti e la copertura del territorio risultano essere la seguente:
    a) tre sedi di servizio operative a fronte di una media di 6 sedi di servizio per ogni altra provincia della regione;
    b) una sede di servizio ogni 1.032 chilometri quadrati mentre la media regionale è di una sede ogni 472 chilometri quadrati, in pratica, una sede di servizio ogni 307.888 abitanti, contro una media regionale di una sede ogni 126.348 abitanti;
    c) sulla base dei vigili del fuoco operativi sul territorio, la copertura risulta essere pari ad una unità ogni 4.016 abitanti, contro una media regionale di una unità ogni 2.548 abitanti;
   risulta evidente che intere aree della provincia, peraltro, densamente abitate, non possono godere della pronta reazione dei vigili del fuoco in caso di emergenza;
   sul lago di Garda presso il presidio nautico di Bardolino, il natante a disposizione è completamente inadeguato;
   pare che anche alcuni mezzi in uso/dotazione sino inefficienti e non disponibili;
   i dati esposti dimostrano l'inadeguatezza del sistema di sicurezza che i vigili del fuoco devono garantire per legge –:
   se il Ministro sia a conoscenza dello stato e delle condizioni dei vigili del fuoco di Verona e se ritenga adeguato il dispositivo in essere;
   se non ritenga urgente un riesame del contesto al fine di adeguare efficacemente la pronta reazione del Corpo nazionale attraverso l'incremento dei presidi permanenti con personale di professione, in particolare con l'istituzione di distaccamenti nelle aree oggi totalmente scoperte;
   se non sussista l'urgenza di incrementare il personale in forza presso il comando provinciale di Verona. (4-13314)

  Risposta. — Negli ultimi anni il Ministero dell'interno ha dedicato una particolare attenzione al potenziamento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; dotazioni incrementate di oltre 2 mila unità di personale, grazie a due provvedimenti legislativi adottati nel biennio 2013-2014.
  Più di recente, sono state intraprese iniziative normative volte ad immettere nei ruoli operativi ulteriori 848 unità di personale, la cui assunzione in servizio avverrà alla fine del corso di formazione in via di svolgimento.
  Si soggiunge che in questo periodo sono intervenute due importanti misure in tema di ripianamento delle vacanze di organico:
   da un lato, il ripristino totale, a partire da quest'anno, del turn over del personale del Corpo, dopo oltre un decennio di blocco parziale;
   dall'altro, l'autorizzazione del Dipartimento della funzione pubblica a bandire un concorso pubblico a 250 posti di vigile del fuoco, a distanza di quasi otto anni dall'ultimo concorso per l'assunzione di personale appartenente a tale qualifica. Il relativo bando è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale – Concorsi ed esami n. 90 del 15 novembre 2016.

  Tali misure consentiranno, tra l'altro, di incidere sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano organizzativo che funzionale.
  Resta fermo che in occasione dei nuovi innesti di personale potranno essere opportunamente prese in considerazione le esigenze del Comando provinciale di Verona, in vista di un eventuale potenziamento dell'organico effettivo.
  In relazione alla specifica richiesta di apertura di nuove sedi permanenti nell'ambito della provincia di Verona, si osserva che attualmente tale opzione non risulta in valutazione, anche in ragione dell'adozione del recente piano di razionalizzazione delle strutture del Corpo nazionale con il quale si è provveduto a bilanciare, nel miglior modo possibile, la distribuzione del personale nei vari Comandi garantendo le esigenze di sicurezza e tutela di tutti i territori.
  Tra l'altro, proprio in sede di ripartizione delle dotazioni organiche operata con il predetto piano, il Comando di Verona ha ottenuto un aumento di personale operativo (riferito cioè a capi reparto, capi squadra e vigili del fuoco) per complessive 26 unità.
  Ad oggi, dunque, il Comando può contare su 280 unità complessive a fronte di una pianta organica di 298, con una carenza in linea con la carenza media nazionale.
  La funzionalità del nuovo modello organizzativo nazionale sarà oggetto nei prossimi mesi di una verifica complessiva, al cui esito, il servizio di soccorso pubblico assicurato dal Comando dei vigili del fuoco di Verona potrà essere opportunamente riconsiderato.
  Per quanto riguarda, invece, la situazione del parco dei mezzi di soccorso, si informa che attualmente il predetto Comando provinciale dispone di 142 mezzi in stato di efficienza e risulta in linea con la media nazionale sia per la quota parte di mezzi non disponibili (per riparazioni o manutenzioni ordinarie – 20 giorni per mezzo), sia per l'età media dei mezzi (15 anni).
  Più in generale, si rappresenta che i recenti interventi normativi consentiranno di ridurre le criticità legate al fenomeno dell'invecchiamento dei mezzi, acuito negli ultimi anni dai provvedimenti di contrazione della spesa pubblica.
  In particolare si fa riferimento:
   alla legge n. 160 del 2016 che ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2018;
   al decreto-legge 189 dello stesso anno, che ha autorizzato la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2016 e di 45 milioni di euro per l'anno corrente;
   e, infine, alla legge di bilancio 2017 che ha stanziato 70 milioni di euro per l'anno in corso e 180 milioni di euro annui per il periodo 2018-2030 da ripartire tra le Forze di polizia e il Corpo nazionale.

  Circa la questione del dispositivo di soccorso acquatico sul lago di Garda, si premette che, ai sensi della legge 13 maggio 1940, n. 690, il lago di Garda non rientra tra i porti per i quali il Corpo nazionale è tenuto ad assicurare con mezzi e materiali propri il dispositivo di soccorso pubblico e di contrasto agli incendi.
  Ciononostante, fino ad oggi, il Corpo nazionale ha assicurato due presidi nautici antincendio sul lago in questione, presso i distaccamenti di Bardolino e Salò, sia pure con le difficoltà dovute alla limitatezza di risorse finanziarie.
  Peraltro, si segnala che l'articolo 13, comma 2, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 febbraio 2014, n. 72, ha assegnato al Comando generale del Corpo delle capitanerie di porto la competenza allo svolgimento delle attività di ricerca e soccorso in mare e nei laghi maggiori ove sia istituito apposito proprio presidio. Poiché sul lago di Garda è presente un presidio della Capitaneria di porto, spetta a tale corpo l'esercizio primario delle suddette funzioni di soccorso.
  Si informa, inoltre, che nel febbraio 2016, presso la prefettura di Verona si è tenuto un incontro con i rappresentanti della direzione marittima di Venezia, dei Comandi interregionali e regionali dei vigili del fuoco del Veneto e Trentino Alto Adige e della Lombardia, nonché dei Comandi territoriali del medesimo Corpo di Brescia, Trento e Verona. Tra le questioni all'ordine del giorno è stata posta la verifica dell'attualità del dispositivo dei soccorsi configurato con il «Protocollo operativo di intervento per il lago di Garda», sottoscritto il 12 gennaio 2010 presso la stessa prefettura, dalla Direzione marittima di Venezia, dal Comando dei vigili del fuoco di Verona e dalle forze di polizia territoriali, al fine di definire le responsabilità e le modalità di coordinamento dei mezzi nautici degli enti firmatari.
  In tale contesto, si è ritenuto che l'assegnazione al comando di Savona dell'unità navale RAFF 6 prima in dotazione al distaccamento dei vigili del fuoco di Bardolino e la contestuale assegnazione a quest'ultimo del gommone RIB/M 010, proveniente dal Comando di Genova, non abbiano intaccato l'efficacia complessiva del dispositivo di sicurezza.
  Si soggiunge, infine, che è in fase avanzata un progetto di co-finanziamento tra i sindaci dei comuni della costa veronese del lago di Garda e il dipartimento dei vigili del fuoco (quest'ultimo in funzione di stazione appaltante) per l'acquisto di una nuova imbarcazione antincendio destinata alle esigenze di soccorso sul lago di Garda.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   DEL GROSSO, VACCA, SIBILIA e D'AMBROSIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi in Molise, nel territorio ricompreso nella provincia di Campobasso, risulta incompiuta l'infrastruttura strategica di preminente interesse nazionale e di prioritario interesse regionale, compresa fra gli interventi di cui alla legge obiettivo n. 443/01 denominata Acquedotto Molisano Centrale, necessaria per l'adduzione idropotabile delle sorgenti del Biferno ai comuni del Basso Molise, ad oggi quindi migliaia di utenze risultano essere servite da acqua proveniente dal potabilizzatore della diga del Liscione che con frequenza fa riscontrare alterazioni dei parametri normativi, atti ad assicurare acqua di buona qualità in uscita dal trattamento di potabilizzazione;
   con delibera CIPE n. 110 del 29 marzo 2006 veniva approvato il progetto definitivo per la costruzione dell'Acquedotto Molisano centrale (CUP G59J04000020001) per l'importo di euro 92.960.000 (IVA inclusa) presentato da regione Molise;
   attraverso convenzione stipulata in data 9 ottobre 2006 la regione Molise affidava all'azienda speciale Molise Acque (già ERIM), per la durata di mesi 48 tutte le funzioni e le attività per la realizzazione dei lavori di cui trattasi, successivamente Molise Acque esperiva procedura di evidenza pubblica per la scelta del contraente, mediante, appalto integrato (progettazione esecutiva e costruzione) ex articolo 53 comma II lettera b) decreto legislativo n. 163 del 2006 ovvero con criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa. Esperita la procedura di gara con D.D. n. 033 del 22 luglio 2007, Molise Acque aggiudicava l'appalto con ribasso del 15,17 per cento all'ATI consorzio cooperative costruzioni (capogruppo) Falcione-Favellato-Giuzio-Zurlo e con delibera di consiglio di amministrazione n. 14/07 del 27 giugno 2007 Molise Acque ha approvato il progetto esecutivo redatto dall'impresa aggiudicataria;
   nella fase di esecuzione dell'opera, secondo quanto riportato dalla direzione generale della giunta Area IV, si sono rilevate delle criticità che hanno comportato il blocco dei lavori e l'instaurazione di contenzioso fra stazione appaltante e impresa, sfociato nella rescissione contrattuale;
   il presidente della giunta regionale del Molise con decreto n. 198 del 30 giugno 2009 ha nominato il dottor ingegner Donato Carlea commissario straordinario per la realizzazione dell'Acquedotto Molisano centrale ai sensi dell'articolo 20 del decreto-legge 29 novembre 2008 n. 185 convertito con legge n. 2 del 28 gennaio 2008;
   successivamente il comune di Montenero di Bisaccia con nota prot. n. 2011/00001539 del 15 febbraio 2011, ha richiesto al commissario straordinario di spostare l'ubicazione del serbatoio per la zona marina e di attuare i necessari provvedimenti al fine di garantire nel periodo estivo, che l'eventuale integrazione idrica avvenga esclusivamente con acqua proveniente dall'Acquedotto Molisano Centrale e non con quella derivante dal potabilizzatore della diga del Liscione; inoltre il comune di Petacciato con nota prot. n. 2286 del 10 marzo 2011 ha chiesto al commissario straordinario di modificare il tracciato della condotta ed individuare un nuovo sito di ubicazione del serbatoio di accumulo, al fine di garantire un maggior apporto idrico alla zona marina in fase di espansione;
   con nota prot. n. 7764/11 il presidente della regione Molise invitava il commissario straordinario a redigere un nuovo studio di fattibilità per la definizione degli ulteriori lavori integrativi della zona costiera che dimostrasse, anche rispetto all'attuale portata dell'acquedotto, la fattibilità delle opere correlate alla richiesta dei comuni di Montenero di Bisaccia e Petacciato e del soggetto gestore (Azienda speciale Molise Acque) ai fini del recepimento delle relative risorse finanziaria;
   con ordinanza prot. n. 254/AMC del 15 aprile 2011 è stato approvato lo studio di fattibilità redatto dalla struttura commissariale;
   con nota del presidente della regione Molise n. 0010338/11 del 18 aprile 2011 il commissario straordinario per la realizzazione dell'Acquedotto Molisano centrale e interconnessione con lo schema basso Molise è stato autorizzato ad attuare le procedure di competenza per la redazione della variante progettuale relativa alle ulteriori opere in Montenero di Bisaccia, Petacciato e Termoli;
   con delibera della giunta regionale del Molise n. 457 del 9 luglio 2012, su precisa indicazione del presidente della giunta regionale è stata prevista la destinazione di euro 5.412.000,00 delle risorse regionali al commissario straordinario per la variante progettuale;
   la perizia di cui trattasi, secondo una nota del responsabile unico del procedimento, geometra Domenico Montagano, «costituisce un momento di sintesi della attività svolte in forte collaborazione fra il commissario straordinario il soggetto gestore (Molise Acque) e i comuni costieri, nell'ottica del superamento di circostanze impreviste ed imprevedibili sopravvenute»;
   l'importo complessivo della perizia di variante ammonta a euro 88.894.161,24 di cui:
   euro 83.269.373,31 – finanziati dal CIPE con delibera n. 110 del 29 marzo 2006;
    euro 302.787,93 finanziati per compensazione ai sensi dell'articolo 133, comma 4, del decreto legislativo n. 163 del 2006, con decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 30 settembre 2010;
    euro 5.412.000,00 destinati con delibera 457 del 9 luglio 2012 della giunta della regionale del Molise;
   la perizia di cui trattasi approvata in linea tecnica dal commissario straordinario, è stata inviata alla struttura tecnica di missione presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la istruttoria di rito, convocazione della conferenza di servizio e definitiva approvazione da parte del CIPE;
   si evidenzia che nella giornate del 7 e 8 marzo 2007 è stata svolta una verifica da parte del servizio ispettivo dell'Autorità di vigilanza sui contratti pubblici di lavori servizi e forniture che ha portato alla deliberazione 142 del 10 maggio 2007 con conseguente trasmissione degli atti alla Procura generale della Corte dei conti e per conoscenza alla procura regionale Molise presso la medesima Corte e copia della stessa deliberazione è stata altresì trasmessa alla procura della Repubblica per i profili di competenza –:
   se il Governo, alla luce di Quanto sopra esposto, non ritenga opportuno predisporre le misure necessarie a:
    a) comprendere a fondo le motivazioni alla base dei ritardi nell'esecuzione dell'opera anzi descritta accertando eventuali responsabilità e il relativo incremento dei costi legati al suddetto ritardo anche a seguito della deliberazione della AVCP 142 del 10 maggio 2007;
    b) predisporre tutte le misure necessarie al fine di ultimare l'istruttoria di rito presso la struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e relativa approvazione definitiva da parte del CIPE a seguito dell'ultima variante progettuale, in modo da dare riscontro in tempi celeri e certi ai cittadini del basso Molise in merito alla definitiva ultimazione dell'infrastruttura strategica di preminente interesse nazionale e di prioritario interesse regionale, necessaria per l'adduzione idropotabile delle sorgenti del Biferno ai comuni del Basso Molise. (4-09577)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Preme evidenziare, in primo luogo, che l'acquedotto molisano centrale costituisce una infrastruttura strategica di preminente interesse nazionale e di prioritario interesse regionale; tale infrastruttura, come è noto, è compresa fra gli interventi di cui alla legge obiettivo: n. 443 del 2001, per l'adduzione idropotabile dalle sorgenti del Biferno ai comuni del Basso Molise.
  Il progetto definitivo dell'opera è stato approvato con delibera Cipe n. 110 del 29 marzo 2006 per l'importo di 92.960.000 euro (Iva inclusa).
  In merito al quesito posto dagli interroganti circa le motivazioni alla base dei ritardi nell'esecuzione dell'opera, la regione Molise, interpellata al riguardo, ha evidenziato quanto segue.
  Durante l'esecuzione dell'opera si sono rilevate diverse criticità che hanno determinato alcuni ritardi rispetto al programma dei lavori: prima fra tutte l'avvio di un contenzioso tra l'azienda speciale regionale Molise acque e l'impresa aggiudicataria dell'appalto, superato poi con la stipula di un atto conciliativo in data 17 settembre 2009 da parte del Commissario straordinario, ingegnere Donato Carica, al quale, con decreto n. 198 del 30 giugno 2009, il Presidente della regione aveva trasferito l'attuazione dell'intervento, anche per la risoluzione delle sopravvenute problematicità.
  A seguito, poi, dell'emergenza idrica avvenuta agli inizi del 2011, estesa a tutta la zona del basso Molise, interessata dall'intervento in oggetto, lo stesso commissario straordinario, subentrato nelle funzioni di stazione appaltante all'azienda speciale regionale Molise acque, ha proceduto alla redazione di una perizia di variante per la cui realizzazione la regione Molise, con deliberazione di giunta n. 457 del 9 luglio 2012, ha assegnato una somma di 5.412.000,00 subordinandone la formale concessione all'approvazione della stessa perizia da parte del Cipe, ai sensi della procedura prevista dalla normativa vigente all'epoca (articolo 169 del decreto legislativo n. 163 del 2006).
  In sintesi, l'importo complessivo dei lavori ammonta a 88.984.161,24 euro, di cui:
   euro 83.269.373,31 euro finanziati dal Cipe con la citata delibera n. 110 del 29 marzo 2006;
   euro 302.787,93 euro finanziati, per compensazione, ai sensi dell'articolo 133, comma 4 del decreto legislativo n. 163 del 2006, con decreto del 30 settembre 2010 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   euro 5.412.000,00 euro assegnati dalla regione Molise con deliberazione di giunta n. 457 del 9 luglio 2012.

  La regione Molise sostiene che gli ulteriori ritardi nell'esecuzione dell'opera sono quindi anche da attribuire alla intervenuta esigenza di redigere la perizia di variante in parola, che, nel suo contenuto tecnico, rende maggiormente funzionale e flessibile il sistema di alimentazione, consentendo un maggiore e più efficace utilizzo della risorsa idrica e la riduzione al minimo dell'utilizzo di acqua proveniente dal potabilizzatore della diga di ponte Liscione.
  In merito al completamento dell'istruttoria per l'approvazione della perizia di variante, la Direzione generale per le dighe e le infrastrutture idriche ed elettriche di questo Dicastero (subentrata nei compiti alla cessata struttura tecnica di missione solo dal luglio 2015), una volta acquisiti i necessari documenti, ha provveduto a completare l'istruttoria. La perizia è stata quindi inviata in data 2 marzo 2016 al Cipe ed approvata nella seduta del 1o maggio 2016.
  Tuttavia, la citata delibera Cipe di approvazione (n. 21 del 1o maggio 2016) è attualmente ancora in attesa della registrazione della Corte dei conti in quanto la stessa ha sollecitato l'acquisizione di ulteriori documenti, ritenuti necessari allo svolgimento delle funzioni di controllo; successivamente, la Direzione generale competente, previa acquisizione dalla regione Molise e dal commissario straordinario per la realizzazione dell'acquedotto molisano centrale, ha trasmesso, il 21 ottobre 2016 e il 2 dicembre 2016, al Dipartimento per la programmazione ed il coordinamento della politica economica (Dipe) tutta la documentazione richiesta dalla Corte dei conti per consentire la registrazione della delibera in parola (n. 21/2016) di approvazione della perizia di variante. Ad oggi, la Direzione generale riferisce di non avere notizie circa l'esito della trasmissione.
  Infine, in merito agli esiti della deliberazione dell'Avcp n. 142 del 10 maggio 2007, per quanto noto, non risultano provvedimenti intrapresi, per i rispettivi profili di competenza, dalla procura generale e/o regionale della Corte dei conti né dalla procura della Repubblica.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta n. 90 del 18 novembre 2008 – IV serie speciale concorsi ed esami veniva indetto un concorso pubblico, per titoli ed esami, a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco del ruolo dei vigili del fuoco del Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   a seguito delle prove preselettive, fisico/motorie, pratica e, infine, a quella orale venne pubblicata, sul bollettino ufficiale del personale del Ministero dell'interno n. 1/25 del 16 luglio 2010, la graduatoria finale del concorso;
   in essa, figuravano, oltre ai vincitori, poi regolarmente assorbiti, 7599 candidati classificati come idonei;
   ad oggi, nella graduatoria tuttora vigente, restano 4120 idonei da assorbire;
   il viceministro dell'interno, Filippo Bubbico, rispondendo all'interrogazione a risposta immediata n. 5-08430 presentata dalla sottoscritta, affermava che «l'Amministrazione dell'interno ha appena avviato un percorso legislativo volto a consentire un ulteriore potenziamento di 400 unità di personale operativo dei vigili del fuoco da attingere alle due graduatorie vigenti fino al 31 dicembre 2016», come risulta nell'allegato 2 in bollettino della Commissione I di mercoledì 20 aprile 2016;
   egli aggiungeva che «un'altra misura significativa è costituita dall'autorizzazione, contenuta nel decreto-legge n. 78 del 2015, all'assunzione straordinaria nei ruoli iniziali del Corpo Nazionale di 250 vigili del fuoco per le esigenze di soccorso pubblico connesse allo svolgimento del Giubileo straordinario, da attingere, in parti uguali, dalle graduatorie della stabilizzazione dei vigili del fuoco volontari e del concorso a 814 posti di vigile del fuoco»;
   le due immissioni non esauriscono il numero degli idonei presenti nella graduatoria relativa al concorso pubblico a 814 posti di vigile del fuoco indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4° serie speciale, n. 90 del 18 novembre 2008 né nella graduatoria relativa alla procedura selettiva, per titoli ed accertamento della idoneità motoria, indetta con decreto ministeriale n. 3747 del 27 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4° serie speciale, n. 72 dell'11 settembre 2007, che sono le due graduatorie vigenti fino al 31 dicembre 2016;
   va inoltre rilevato che nella graduatoria del concorso pubblico per 814 posti di vigile del fuoco, il 25 per cento dei posti venivano riservati dal bando al personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco che, alla data di indizione del bando stesso, fossero iscritti negli appositi elenchi da almeno tre anni ed avessero effettuato non meno di 120 giorni di servizio: tale quota, ad oggi, non risulta ancora completamente assorbita, vanificando per diversi vigili del fuoco discontinui, che prestano il loro servizio a beneficio della collettività da un lungo periodo di tempo, la possibilità di ottenere l'inquadramento;
   il viceministro, nella risposta all'atto dell'interrogante, aggiungeva inoltre che «poiché l'ultimo provvedimento di proroga di tali graduatorie scadrà il prossimo 31 dicembre, informo che, a distanza di quasi otto anni dall'ultimo concorso per vigile del fuoco, questa Amministrazione è stata autorizzata, nello scorso mese di dicembre, a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica»;
   al di là delle valutazioni di merito sull'opportunità di consentire la scadenza delle graduatorie attualmente vigenti nella presenza di un numero tanto consistente di idonei, che peraltro risulterebbero rientrare in una media d'età inferiore ai 30 anni, è opportuno rilevare che la fase concorsuale impiega tempistiche rilevanti a fronte delle quali, senza ulteriori interventi normativi, è prevedibile ipotizzare che, dopo il 31 dicembre 2016, si andrà incontro ad un considerevole periodo di tempo in cui, in attesa di una nuova graduatoria, non sarà possibile attingere alle precedenti –:
   se, alla luce di quanto sopra considerato, abbia intenzione di mettere in atto iniziative di carattere normativo per consentire la proroga della graduatoria relativa al concorso pubblico a 814 posti di vigile del fuoco indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4° serie speciale, n. 90 del 18 novembre 2008 e della graduatoria relativa alla procedura selettiva, per titoli ed accertamento della idoneità motoria, indetta con decreto ministeriale n. 3747 del 27 agosto 2007, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale, 4° serie speciale, n. 72 dell'11 settembre 2007, almeno fino alla pubblicazione della nuova graduatoria derivante dalla prossima selezione per 250 posti di vigili del fuoco.
(4-13383)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame viene chiesta l'adozione di iniziative di carattere normativo volte ad ottenere un'ulteriore proroga della graduatoria del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco, indetto nel mese di novembre del 2008.
  In proposito, si fa presente che la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco è stata più volte prorogata per esigenze di contenimento della spesa pubblica, in deroga a quanto previsto dall'articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
  Da ultimo, l'articolo 1, comma 368, della legge di bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016 ha prorogato la graduatoria fino al 31 dicembre 2017.
  Si rappresenta, inoltre, che in ragione delle assunzioni effettuate nel corso degli anni, la graduatoria del concorso in parola ha visto uno scorrimento di circa 4500 idonei a fronte di un concorso bandito per 814 posti. Questi numeri costituiscono un'importante risposta alle aspettative dei circa 7.600 idonei del concorso medesimo.
  Quanto alla nuova procedura concorsuale a 250 posti nella qualifica di vigile del fuoco, si informa che il relativo bando è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale concorsi ed esami n. 90 del 15 novembre 2016. Successivamente, nella Gazzetta Ufficiale – IV serie speciale concorsi ed esami – del 31 gennaio scorso, è stato pubblicato il diario della prova preselettiva che si terrà dal 29 maggio al 12 giugno 2017.
  Questo concorso consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano operativo che su quello funzionale. Si rammenta, infatti, che l'età media degli idonei del concorso a 814 posti risulta essere superiore a 36 anni.
  Nelle more dell'ultimazione di tale procedura concorsuale, l'Amministrazione dell'interno continuerà, ovviamente, ad utilizzare la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti ancora in vigore, come già detto, fino al 31 dicembre 2017.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FANTINATI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 21 dicembre 2016, sono arrivate a Verona le 17 opere trafugate dal Museo di Castelvecchio il 19 novembre 2015 e ritrovate in Ucraina l'11 maggio 2016;
   i quadri sono arrivati all'aeroporto Catullo direttamente da Kiev, accompagnati dal sindaco di Verona, dal Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, insieme alle forze dell'ordine e al conservatore della Pinacoteca del Museo;
   inquietante epilogo di una lunga e controversa trattativa col Governo ucraino per la restituzione dei dipinti, arriva ora la notizia – non smentita nella sostanza – del pagamento di un «riscatto» da parte del Governo italiano;
   notizie di stampa riferiscono di un milione di euro – Fondi dei contribuenti italiani «donati» dalla Farnesina e, a riprova, viene citata una nota del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, diramata il 20 dicembre (il giorno precedente il rientro delle tele) che ufficializza l'erogazione di un milione di euro in «aiuti umanitari» all'Ucraina volti «ad attenuare l'impatto del conflitto in corso nelle regioni orientali del Paese», finanziando la distribuzione di generi alimentari alla popolazione più vulnerabile (700 mila) e l'attività di sminamento nelle aree teatro di guerra (300 mila, destinati all'Unicef);
   questa della ritardata restituzione dei preziosi capolavori di Castelvecchio è, ad avviso dell'interrogante, una vicenda dai contorni oscuri che non ha mai trovato una giustificazione convincente;
   ora, alla luce di questi nuovi elementi, si fa più forte il sospetto che il presidente ucraino Petro Poroshenko – insignito, a giudizio dell'interrogante, senza merito, della cittadinanza onoraria dal sindaco Tosi – con i continui rinvii per la riconsegna delle tele di Castelvecchio, stesse, in realtà, trattando per avere una contropartita dal Governo italiano, in questo caso «mascherata» da aiuto umanitario –:
   se si intenda chiarire cosa è realmente avvenuto «dietro le quinte» della riconsegna dei quadri e quali siano le motivazioni che hanno provocato il grave ritardo;
   se nel versamento di un milione di euro da parte del Governo italiano, considerata anche la quasi contestualità, vi siano elementi di relazione con la restituzione di cui sopra. (4-15133)

  Risposta. — La restituzione delle opere di Castelvecchio ha avuto luogo lo scorso 21 dicembre in occasione della visita a Kiev del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, Franceschini. Si è trattato dell'ultimo atto di un'operazione complessa in quanto caratterizzata da un articolato iter amministrativo-giudiziario previsto dalla normativa ucraina e condotta a buon fine anche grazie al prezioso lavoro, per parte italiana, del comando carabinieri per la tutela del patrimonio culturale, della polizia di Stato, della procura della Repubblica di Verona e della magistratura. Sin dal momento in cui le tele sono state recuperate a seguito di una operazione congiunta di polizia italo-ucraina (era il 6 maggio dello scorso 2016), il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, anche per il tramite dell'ambasciata d'Italia a Kiev, è rimasto in stretto contatto con le autorità ucraine per sollecitare e favorire il tempestivo completamento delle procedure necessarie alla restituzione delle tele all'Italia.
  Anche a livello politico la questione è stata più volte sollevata presso le controparti ucraine nel corso di numerosi contatti bilaterali. Si ricorda, solo per citarne alcuni, il passo compiuto dall'allora Presidente del Consiglio Renzi presso il Presidente Poroshenko a margine del vertice NATO di Varsavia (8 luglio 2016) e quello compiuto dal sottoscritto in occasione della visita in Italia del Presidente della Commissione esteri del Parlamento ucraino, Hopko (26 maggio 2016). Vanno poi ricordati i numerosi contatti avuti dal nostro ambasciatore a Kiev tanto con i suoi interlocutori presso la Presidenza della Repubblica quanto presso la procura ucraina, incaricata di supervisionare le operazioni di restituzione.
  Nelle more del completamento della procedura necessaria al rientro delle opere in Italia, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha acconsentito a che le tele fossero temporaneamente esposte presso il museo delle belle arti «Khanenko» di Kiev nel contesto di una mostra, inaugurata lo scorso 13 giugno del presidente Poroshenko.
  Gli adempimenti necessari per la restituzione delle opere sono stati completati a novembre del 2016. La restituzione delle opere era inizialmente prevista nell'ambito di un incontro in Italia di Poroshenko con il Presidente del Consiglio, che si sarebbe dovuto svolgere a fine mese. Venuta a cadere tale ipotesi, in suo luogo è stata organizzata la visita a Kiev del Ministro Franceschini, nel corso della quale è avvenuta la definitiva restituzione delle opere di Castelvecchio al nostro Paese.
  Vorrei sottolineare come non esista alcun legame fra la restituzione delle tele e il contributo erogato dall'Italia a favore di agenzie delle Nazioni unite. Esso è stato disposto a seguito dell'Appello umanitario delle Nazioni unite per l'anno 2017, contenente richieste complessive per oltre 214 milioni di dollari. L'appello è stato lanciato il 5 dicembre 2016 e questo spiega la tempistica dell'erogazione del milione di euro. Inoltre, come reso noto dalla nota del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale citata dall'interrogante, tale contributo prevede un trasferimento di fondi non al Governo ucraino ma al programma alimentare mondiale (700.000 euro) ed all'UNICEF (300.000 euro). Sono dunque queste due agenzie dell'ONU i destinatari di questi fondi, nonché i responsabili della loro gestione, che viene effettuata secondo standard e parametri propri del sistema onusiano.
  In particolare, il finanziamento al programma alimentare Mondiale è stato rivolto alla distribuzione di razioni alimentari ed aiuti alle categorie più vulnerabili della popolazione civile residente nelle regioni orientali del Paese, al fine di attenuare l'impatto umanitario del conflitto in corso. Il contributo all'UNICEF è stato concesso per la realizzazione di un progetto nel settore dello sminamento umanitario, finalizzato all'organizzazione di corsi di educazione al rischio a favore dei bambini in età scolare e prescolare residenti nelle aree in cui sono presenti mine, residuati bellici esplosivi e ordigni esplosivi improvvisati.
  Si ricorda infine che, sin dall'inizio della crisi umanitaria in Ucraina – e quindi ben prima dell'erogazione di questo contributo di un milione di euro – la cooperazione italiana è intervenuta con iniziative volte ad alleviare le sofferenze della popolazione civile e la cui realizzazione è stata affidata alla Croce rossa nazionale ucraina (2014), all'Alto commissariato delle Nazioni unite per i rifugiati (2015) e all'organizzazione mondiale della sanità (ottobre 2016).
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   FANTINATI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i vigili del fuoco sono fiore all'occhiello del soccorso pubblico italiano;
   «Trascorsi più di 150 giorni dalla proclamazione dello stato di agitazione, visto l'inaccettabile silenzio delle competenti strutture del Ministero dell'interno, ci vediamo costretti a manifestare pubblicamente il disagio del personale»: questa è la motivazione con cui 43 su 44 vigili del fuoco presenti in tutta la provincia di Verona hanno dato vita ad uno sciopero;
   il 19 novembre 2016, per le vie della città si snoderà una marcia intitolata «Cammina con i vigili del fuoco per la sicurezza di Verona» che si concluderà davanti Palazzo Barbieri, sede del comune, dove è previsto un presidio;
   l'esiguità di questi numeri testimonia la grave scarsità di organico a cui si aggiungono, come scrivono i sindacati di categoria, «una sede centrale fatiscente che non rispetta nemmeno le norme sismiche, mezzi di soccorso vetusti (più di 25 anni), un contratto scaduto dal 2009, il mancato riconoscimento della specificità e della pericolosità del lavoro e un inquietante silenzio della burocrazia ministeriale»;
   nel dettaglio: la provincia di Verona può contare su 3 sedi operative sul territorio, a fronte di una media di 6 sedi di servizio per ogni provincia (11 a Venezia, 5 a Padova, 6 a Treviso e a Vicenza);
   la copertura del territorio per le sedi di servizio prevede una sede ogni 1032 chilometri quadrati, mentre la media regionale è di una sede ogni 427 chilometri quadrati e una sede di servizio ogni 307.888 abitanti, contro una media regionale di una sede ogni 126.348 abitanti; la presenza di vigili del fuoco operativi sul territorio risulta essere pari ad una unità ogni 4.016 abitanti contro una media regionale di una unità ogni 2.548 abitanti;
   Verona, secondo recenti dati dell'Istat, risulta essere la seconda provincia del Veneto per numero di abitanti, dopo Padova, e la seconda città del Veneto per estensione di territorio, dopo Belluno. A questi dati si aggiunga una importante presenza di insediamenti industriali e commerciali, oltre ad una fra le maggiori reti stradali, autostradali e ferroviarie del nord Italia;
   è, partendo da queste evidenti e, a parere dell'interrogante, ingiustificate carenze, che le rappresentanze sindacali, da decenni, chiedono l'apertura di almeno due sedi permanenti classificate SD2 (30 unità operative ciascuno), una nella zona est del Veronese – a San Martino Buon Albergo – ed una nella zona del Villafranchese –:
   quali iniziative, anche con carattere d'urgenza, s'intendano adottare al fine di provvedere al potenziamento e all'ammodernamento dei dispositivi di soccorso di Verona e della sua provincia e giungere alla soluzione dell'annosa questione degli organici e delle sedi operative dei vigili del fuoco di Verona. (4-14801)

  Risposta. — Negli ultimi anni, il Ministero dell'interno ha dedicato una particolare attenzione al potenziamento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco; dotazioni incrementate di oltre 2 mila unità di personale, grazie a due provvedimenti legislativi adottati nel biennio 2013-2014.
  Più di recente, sono state intraprese iniziative normative volte ad immettere nei ruoli operativi ulteriori 848 unità di personale, la cui assunzione in servizio avverrà alla fine del corso di formazione in via di svolgimento.
  Si soggiunge che in questo periodo sono intervenute due importanti misure in tema di ripianamento delle vacanze di organico:
   da un lato, il ripristino totale, a partire da quest'anno, del turn over del personale del Corpo, dopo oltre un decennio di blocco parziale;
   dall'altro, l'autorizzazione del Dipartimento della funzione pubblica a bandire un concorso pubblico a 250 posti di vigile del fuoco, a distanza di quasi otto anni dall'ultimo concorso per l'assunzione di personale appartenente a tale qualifica. Il relativo bando è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale-Concorsi ed esami n. 90 del 15 novembre 2016.

  Tali misure consentiranno, tra l'altro, di incidere sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano organizzativo che funzionale.
  Resta fermo che in occasione dei nuovi innesti di personale potranno essere opportunamente prese in considerazione le esigenze del Comando provinciale di Verona, in vista di un eventuale potenziamento dell'organico effettivo.
  In relazione alla specifica richiesta di apertura di due nuove sedi permanenti nell'ambito della provincia di Verona, si rappresenta che attualmente tale opzione non risulta in valutazione, anche in ragione dell'adozione del recente piano di razionalizzazione delle strutture del Corpo nazionale con il quale si è provveduto a bilanciare, nel miglior modo possibile, la distribuzione del personale nei vari comandi garantendo le esigenze di sicurezza e tutela di tutti i territori.
  Tra l'altro, proprio in sede di ripartizione delle dotazioni organiche operata con il predetto piano, il Comando di Verona ha ottenuto un aumento di personale operativo (riferito cioè a capi reparto, capi squadra e vigili del fuoco) per complessive 26 unità.
  Ad oggi, dunque, il Comando può contare su 280 unità complessive a fronte di una pianta organica di 298, con una carenza in linea con la carenza media nazionale.
  La funzionalità del nuovo modello organizzativo nazionale sarà oggetto nei prossimi mesi di una verifica complessiva, al cui esito, il servizio di soccorso pubblico assicurato dal Comando dei vigili del fuoco di Verona potrà essere opportunamente riconsiderato.
  Per quanto riguarda, invece, la situazione del parco dei mezzi di soccorso, si informa che attualmente il predetto Comando provinciale dispone di 142 mezzi in stato di efficienza e risulta in linea con la media nazionale sia per la quota parte di mezzi non disponibili (per riparazioni o manutenzioni ordinarie – 20 giorni per mezzo), sia per l'età media dei mezzi (15 anni).
  Più in generale, si rappresenta che i recenti interventi normativi consentiranno di ridurre le criticità legate al fenomeno dell'invecchiamento dei mezzi, acuito negli ultimi anni dai provvedimenti di contrazione della spesa pubblica.
  In particolare si fa riferimento:
   alla legge n. 160 del 2016 che ha autorizzato la spesa di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2018;
   al decreto-legge 189 dello stesso anno, che ha autorizzato la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2016 e di 45 milioni di euro per l'anno corrente;
   e, infine, alla legge di bilancio 2017 che ha stanziato 70 milioni di euro per l'anno in corso e 180 milioni di euro annui per il periodo 2018-2030 da ripartire tra le forze di polizia e il Corpo nazionale.

  Infine, per quanto concerne il rinnovo contrattuale del comparto «Soccorso pubblico», sempre la legge di bilancio per il 2017 ha stanziato apposite risorse da destinare alla determinazione di oneri aggiuntivi, rispetto a quelli previsti dalla legge di stabilità per il 2016, per la contrattazione collettiva relativa al triennio 2016-2018 e per i miglioramenti economici del personale delle amministrazioni statali in regime di diritto pubblico, tra cui il personale del Corpo nazionale.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FANTINATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   recenti notizie di stampa (quotidiani locali e l'edizione regionale dell'Ansa) riferiscono un episodio inquietante: nei giorni scorsi, in un ristorante cinese di Padova, sono state servite a clienti anch'essi cinesi, delle zampe di orso, carne che in Italia è proibita;
   alcuni clienti, allarmati dalla stranezza del piatto servito ad un tavolo di avventori cinesi, hanno chiesto l'intervento dei Nas che, nel corso della perquisizione, hanno trovato carne e pesce – 55 chili scaduto o in scadenza – senza etichettature e dunque di dubbia provenienza;
   il pubblico ministero Benedetto Roberti – titolare delle indagini – ha messo sotto inchiesta il titolare del ristorante con l'accusa di violazione delle norme per la protezione della fauna selvatica omeoterma e per il prelievo venatorio. In pratica, per aver ucciso, cucinato e servito le zampe di un orso italiano. Ha disposto, inoltre, una serie di controlli in tutti i ristoranti cinesi della provincia di Padova;
   l'orso è cacciabile soltanto in alcuni Paesi europei, come la Svezia e la Slovenia, dietro autorizzazione. In Italia, la sua carne è consumabile solamente se ne è dimostrata la provenienza da questi Paesi;
   lo strumento normativo internazionale per il monitoraggio del commercio degli animali e delle piante (vivi, morti o parti e prodotti derivati) è la Convenzione di Washington, denominata in sigla C.I. T.E.S., con la funzione, dunque, di contrastare lo sfruttamento commerciale che, assieme alla distruzione degli ambienti naturali nei quali vivono, è una delle principali cause dell'estinzione e rarefazione in natura di numerose specie;
   entrata in vigore in Italia nel 1980, C.I.T.E.S. è attualmente applicata da 178 Stati. In Italia l'attuazione della Convenzione di Washington è affidata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e al Ministero dello sviluppo economico. Quest'ultimo svolge un ruolo fondamentale, ai sensi della normativa vigente, attraverso il servizio CITES del Corpo forestale dello Stato che, oltre a essere autorità amministrativa per le contestazioni di natura amministrativa, si occupa del rilascio dei certificati CITES necessari alla riesportazione e utilizzo commerciale di numerose specie di animali e piante protette e del controllo tecnico-specialistico ai fini del rispetto della Convenzione;
   la legge n. 157 dell'11 febbraio 1992 disciplina l'esercizio dell'attività venatoria sulla fauna selvatica, in quanto patrimonio indisponibile dello Stato e tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale e, in particolare, all'articolo 2, comma 1, lettera a), fa esplicito riferimento all'orso come specie particolarmente protetta, anche sotto il profilo sanzionatorio –:
   se i Ministri interrogati siano conoscenza dell'episodio e quali iniziative di competenza intendano intraprendere per monitorare il fenomeno;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative normative per accogliere la richiesta avanzata dal WWF circa la necessità di dotare il Paese di un piano nazionale per fronteggiare il fenomeno illegale della cattura, dell'uccisione e dell'importazione di specie selvatiche;
   completato l'accorpamento del Corpo forestale dello Stato all'Arma dei carabinieri, in attuazione della legge 7 agosto 2015, n. 124, come verrà garantita l'attività attualmente svolta nell'ambito della Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione. (4-15189)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la vigilanza sul bracconaggio e sul commercio di specie faunistiche è di competenza del corpo forestale dello Stato e dei corpi di Polizia delle Amministrazioni regionali che curano le attività ispettive di polizia giudiziaria, avvalendosi altresì degli agenti di vigilanza venatoria volontaria delle associazioni in base alle disposizioni di cui agli articoli 27 e 28 della legge n. 157 del 1992.
  Il corpo forestale dello Stato, oggi confluito nell'Arma dei carabinieri con l'istituzione del «comando unità per la tutela forestale ed agroalimentare dei carabinieri», continua ad occuparsi anche dei reati contro il patrimonio faunistico tutelato da direttive comunitarie e convenzioni internazionali e dispone altresì di un nucleo specializzato per la lotta contro il bracconaggio (NOA). Tale nucleo annualmente pone sotto sequestro attrezzi per la caccia vietati, richiami vivi detenuti illegalmente, armi e munizioni e fauna selvatica abbattuta illegalmente, opera inoltre controlli sulle attività commerciali che pongono in vendita parti o prodotti derivati da specie faunistiche protette e particolarmente protette, comminando sanzioni penali per i trasgressori.
  Si segnala, altresì, che il commercio di specie floro-faunistiche protette e loro parti, risulta altresì normato dalla convenzione di Washington del 3 marzo 1973 (CITES).
  Al fine di rafforzare la vigilanza contro il bracconaggio, si ricorda che in relazione al caso EU-Pilot 5283/13 è stato predisposto un Piano d'azione nazionale per il contrasto del fenomeno del bracconaggio, attualmente trasmesso alla Conferenza Stato-Regioni per la sua approvazione. Per quanto focalizzato sugli uccelli selvatici, il Piano punta ad un rafforzamento delle attività di vigilanza, con evidenti ricadute positive per tutti gli illeciti su specie protette.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FASSINA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio dei ministri, in data 29 dicembre 2016, ha deliberato la proroga della gestione straordinaria, per ulteriori sei mesi, del X Municipio (Ostia) di Roma Capitale, risultato condizionato da iniziative criminali;
   il primo affidamento della gestione del X Municipio ad una commissione straordinaria era avvenuto il 27 agosto 2015 per la durata di diciotto mesi;
   nel deliberato del Consiglio dei ministri si legge che la proroga consentirà il proseguimento delle operazioni di risanamento delle istituzioni locali;
   questa decisione, a giudizio dell'interrogante, determina, di fatto, il prolungamento della privazione del diritto costituzionale che hanno i cittadini del Municipio X di eleggere direttamente i propri rappresentanti nel consiglio municipale;
   la decisione del prolungamento del commissariamento è avvenuta senza alcuna rendicontazione ai cittadini sui risultati ottenuti in questi quasi sedici mesi;
   i problemi del litorale, in particolare relativi alle infiltrazioni della criminalità organizzata, si possono affrontare con piena efficacia soltanto attraverso la partecipazione democratica e il coinvolgimento attivo delle diffuse energie sane presenti sul territorio;
   il rinvio delle votazioni per il rinnovo del consiglio municipale e del conseguente ritorno alla normalità democratica, oltre ad essere vissuto come un'ingiustizia, continua a far gravare su Ostia uno stigma con evidenti ricadute negative sul tessuto sociale e economico e rischia di indebolire il fronte della ricostruzione morale e politica –:
   quali siano le motivazioni e le ragioni istituzionali che hanno spinto ad un'ulteriore proroga della gestione straordinaria del X Municipio, così consentendo il prolungamento di quella che l'interrogante giudica la privazione di un diritto costituzionalmente sancito. (4-15119)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede di conoscere le motivazioni che hanno portato alla proroga della gestione straordinaria del Municipio X (Ostia) di Roma Capitale e al conseguente prolungamento della privazione per la cittadinanza del diritto di eleggere i propri rappresentanti nel Consiglio municipale. Lamenta, peraltro che la proroga sarebbe stata disposta senza alcuna rendicontazione ai cittadini sui risultati ottenuti dalla Commissione straordinaria.
  Al riguardo, si rappresenta che il decreto del Presidente della Repubblica del 30 dicembre 2017, con il quale si è deciso di prorogare di ulteriori sei mesi l'amministrazione straordinaria del municipio di Ostia, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale del 30 gennaio 2017, unitamente alla relazione del Ministro che illustra le motivazioni di tale scelta. Tali documenti sono consultabili anche on line e quindi pienamente accessibili a tutti.
  Il provvedimento è stato adottato, tenuto conto dei fenomeni di infiltrazione e condizionamento da parte della criminalità organizzata a suo tempo riscontrati, che hanno trovato conferma, peraltro, anche nelle recenti condanne nel frattempo intervenute, con l'aggravante del metodo mafioso, nei confronti di esponenti dei clan Spada e Fasciani, nonché dell’ex dirigente dell'ufficio tecnico del Municipio X.
  Come rappresentato nella relazione del Ministro allegata al decreto di proroga, la situazione generale dell'ente e la necessità di completare gli interventi già avviati dalla commissione straordinaria sono state esaminate nel corso di una Riunione tecnica di coordinamento interforze, alla quale ha partecipato anche il procuratore della Repubblica aggiunto presso il tribunale di Roma, e di una seduta del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica tenutesi presso la Prefettura di Roma, rispettivamente, il 24 novembre e il 2 dicembre del 2016.
  In tali sedi, è stato ritenuto ancora concreto il rischio di illecite interferenze della criminalità organizzata nell'istituzione municipale e, quindi, è stato espresso parere favorevole al prosieguo della gestione commissariale, sì da consentirle il completamento delle attività di risanamento delle istituzioni locali, di riorganizzazione dei servizi e di recupero della legalità e della trasparenza già avviate.
  Il proseguimento della gestione commissariale risponde anche all'esigenza di ricostituire le condizioni necessarie affinché i rappresentanti degli organi elettivi possano essere scelti liberamente dal corpo elettorale, nel rispetto dei principi democratici, senza influenze illecite da parte della criminalità organizzata.
  In merito all'eccepita mancata «rendicontazione» dell'attività sinora svolta dalla commissione straordinaria, si rileva che, ai sensi della normativa vigente, la necessaria pubblicità e trasparenza dell'attività amministrativa è garantita dall'obbligo di pubblicazione sul sito istituzionale dell'ente di tutti i provvedimenti adottati, direttamente consultabili on line da qualunque interessato.
  In ogni caso, la commissione ha assicurato, sin dal suo insediamento, la massima disponibilità, in ogni occasione, al pieno e costante confronto con tutte le espressioni della società civile.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FEDRIGA, MOLTENI e CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sulla base delle disposizioni del decreto del Ministro dell'interno dell'11 marzo 2008, il 18 novembre seguente venne indetto un concorso per 814 posti nelle carriere iniziali dei vigili del fuoco;
   degli 814 posti a concorso, il 45 per cento era destinato a militari in ferma volontaria prolungata cessati senza demerito dal servizio, il 25 per cento ai vigili del fuoco volontari iscritti da almeno tre anni nelle liste e con non meno di 120 giorni di richiamo come vigili del fuoco discontinui, il 20 per cento a chi avesse svolto il servizio civile presso i vigili dei fuoco per non meno di un anno ed il residuo 10 per cento aperto ai civili esterni;
   la graduatoria finale degli idonei del concorso veniva pubblicata nel luglio 2010, al termine delle prove preselettive e delle prove motorie ed orali sostenute dai candidati;
   tre mesi più tardi, nell'ottobre 2010, la graduatoria veniva ritoccata;
   all'ottobre 2010, risultavano idonee 7.599 persone, il 69 per cento delle quali, pari a 5.236, costituite da civili esterni;
   negli anni successivi venivano indetti corsi di formazione propedeutici all'arruolamento nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   ai corsi 70 e 71 del 2011 partecipavano 1.554 candidati, tutti provenienti dal concorso indetto nel 2008;
   ai corsi 72 e 73 del 2013, invece, prendevano parte 936 persone, tra le quali 468 candidati del concorso del 2008 (50 per cento);
   la situazione si ripeteva nel 2014, con i corsi 74 e 75, a frequentare i quali venivano chiamate 1.218 persone, fra le quali altri 609 idonei del concorso del 2008;
   nel 2015, si è indetto un solo corso, il settantaseiesimo, al quale hanno partecipato 962 persone, fra le quali altre 481 del concorso del 2008, originariamente indetto per 814 posti;
   al termine di questi corsi, tutti i 599 ex militari del concorso 814 risultavano incorporati, così come i 148 provenienti dal servizio civile, mentre erano stati assunti solo 898 dei 1.616 discontinui e 1.881 civili su 5.236;
   nel 2016 potrebbe essere ultimata la procedura di stabilizzazione prevista per il personale precario dal decreto ministeriale del 30 luglio 2007, che ha assorbito il 50 per cento dei posti nei corsi 72, 73, 74, 75 e 76;
   diventerebbe quindi possibile assorbire gradualmente, ma anche più velocemente, i residui candidati idonei del concorso per 814 posti del 2008;
   per effetto delle disposizioni contenute nell'articolo 4, comma 4, del decreto-legge n. 101 del 2013, la graduatoria del cosiddetto concorso 814 è valida fino al 31 dicembre 2016;
   esiste un problema di sottodimensionamento degli organici dei vigili del fuoco che rischia di compromettere in più aree del Paese l'efficienza e l'efficacia del soccorso tecnico urgente;
   non è invece certo che per colmare le vacanze organiche si percorra questa strada e sembra invece possibile che si preferisca ricorrere ad una nuova procedura concorsuale, senza quindi ultimare l'incorporazione degli idonei del cosiddetto concorso per 814 posti –:
   se il Governo intenda promuovere, durante il 2016, nuovi corsi per l'incorporazione degli idonei del cosiddetto concorso per 814 posti e dei beneficiari residui della procedura di stabilizzazione di cui al decreto ministeriale del 30 luglio 2007;
   se il Governo intenda effettivamente coprire le vacanze organiche future nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco attingendo alle graduatorie degli idonei del suddetto concorso per 814 posti fino al loro esaurimento, come imporrebbero ovvie considerazioni di economicità, o se invece si ritenga di ricorrere a nuove procedure di selezione e per quali ragioni. (4-12580)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto viene chiesta l'adozione di iniziative per assicurare l'assunzione di tutti gli idonei del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco, indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008, al fine di colmare la carenza di organico del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In proposito, si fa presente che la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco è stata più volte prorogata per esigenze di contenimento della spesa pubblica, in deroga a quanto previsto dall'articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 165 del 2001.
  Da ultimo, l'articolo 1, comma 368, della legge di bilancio 2017 (legge n. 232 del 2016) ha prorogato la graduatoria fino al 31 dicembre 2017.
  Si rappresenta, inoltre, che in ragione delle assunzioni effettuate nel corso degli anni, la graduatoria del concorso in parola ha visto uno scorrimento di circa 4500 idonei a fronte di un concorso bandito per 814 posti. Questi numeri costituiscono un'importante risposta alle aspettative dei circa 7.600 idonei del concorso medesimo.
  Giova ricordare poi che, a distanza di quasi otto anni dal concorso a 814 posti, l'Amministrazione dell'interno è stata autorizzata a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica.
  Il relativo bando di concorso è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale concorsi ed esami n. 90 del 15 novembre 2016. Successivamente, nella Gazzetta Ufficiale – IV serie speciale concorsi ed esami – del 31 gennaio 2017, è stato pubblicato il diario della prova preselettiva che si terrà dal 29 maggio al 12 giugno 2017.
  Questo concorso consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano operativo che su quello funzionale. Si rammenta, infatti, che l'età media degli idonei del concorso a 814 posti risulta essere superiore a 36 anni.
  Nelle more dell'ultimazione di tale procedura concorsuale, l'Amministrazione dell'interno continuerà, ovviamente, ad utilizzare la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti ancora in vigore, come già detto, fino al 31 dicembre 2017.
  Quanto alla procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari indetta nell'agosto del 2007, si informa che la relativa graduatoria è andata esaurita per effetto dell'assunzione di tutti i candidati utilmente collocati, ad eccezione di 4 unità che, all'atto della convocazione, hanno presentato idoneo certificato medico e potranno essere assunte nei prossimi mesi previo superamento della visita medica e delle prove di accertamento del mantenimento dell'idoneità motoria.
  Con riferimento al ripianamento della carenza di organico del Corpo nazionale, si rappresenta che i Governi di questa legislatura, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, hanno dedicato una particolare attenzione al tema.
  Ciò è testimoniato dalle iniziative legislative (decreti-legge n. 101 del 2013, n. 90 del 2014 e n. 113 del 2016) che hanno consentito di potenziare l'organico teorico di oltre 2.400 unita.
  Si segnala, inoltre che, a decorrere dal 2016, il turn over è stato ripristinato nella sua totalità dopo oltre un decennio di blocco parziale legato alle varie manovre di contenimento della spesa pubblica. In sostanza, mentre, ad esempio, ancora nell'anno 2015 il turn over era pari al 55 per cento delle cessazioni dal servizio nell'anno 2014, dall'anno scorso detta percentuale è tornata al 100 per cento delle cessazioni.
  L'insieme di tali misure ha permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 848 unità nella qualifica di vigile del fuoco, la cui assunzione in servizio avverrà alla fine del corso di formazione, attualmente in via di svolgimento.
  Ulteriori assunzioni saranno possibili facendo leva sulle risorse del Fondo per il pubblico impiego istituito con la legge n. 232 del 2016 (legge di bilancio 2017). Come noto, quota parte di tale fondo è destinato ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente, nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, ivi compreso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In conclusione, si assicura che il Ministero dell'interno continuerà a dedicare la massima attenzione alla problematica della carenza di organico del Corpo nazionale, fermo restando che ogni ulteriore iniziativa è rimessa alla volontà del Parlamento, che dovrà farsi carico anche di reperire le necessarie coperture finanziarie.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FEDRIGA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dalla II SB relazione semestrale 2015 del commissario straordinario del Governo per le fondazioni lirico-sinfoniche, al paragrafo 4.2.2.1, emerge un riconoscimento del percorso virtuoso intrapreso dalla fondazione teatro lirico G. Verdi di Trieste;
   si legge, infatti, che «I risultati economici del 2014 e 2015 sono migliori rispetto allo storico (...)», ma anche che «Le entrate (...) non tengono il passo con le attese, prevalentemente a causa di contributi FUS minori rispetto alle previsioni»;
   la ripartizione FUS 2014/2015, in effetti, evidenzia una percentuale negativa (- 44,1 per cento) a fronte di un ricavo del +34 per cento e di un incremento delle presenze di +16 per cento;
   a tale riguardo, l'interrogante rileva poca trasparenza nella mancata pubblicazione degli esiti di riparto dei fondi 2015 in base ai punteggi attribuiti dalla commissione consultiva per la musica agli elementi utili alla valutazione qualitativa delle attività delle fondazioni lirico-sinfoniche;
   sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo infatti sono pubblicati soltanto gli esiti relativi all'anno 2014;
   nonostante la commissione ministeriale per il riparto del fondo unico per lo spettacolo relativamente alla parte qualitativa per l'anno 2016 si sia riunita il 28 settembre 2016, nessuna notizia/risultato si ha ancora in merito;
   sussiste il timore che il teatro Verdi di Trieste possa essere nuovamente penalizzato, nonostante continui a registrare una gestione virtuosa ed una crescita dei numeri relativamente alla stagione sinfonica 2016 e agli abbonamenti della stagione lirica 2016/2017 –:
   quali siano le ragioni del segno negativo pari a –44,1 per cento nel riparto dei fondi per «qualità/produzioni» relativo all'anno 2015 alla fondazione Teatro Lirico G. Verdi di Trieste, posto che i dati positivi del ricavo (+34 per cento) e delle presenze (+16 per cento) dovrebbero essere un buon indice di qualità della rassegna proposta e di gradimento da parte dell'utenza;
   per quali motivi gli esiti relativi all'anno 2015 non siano stati ancora pubblicati sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   quali siano gli esiti del riparto per il 2016. (4-14527)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame nel quale l'interrogante chiede di conoscere «quali siano le ragioni del segno negativo pari a –44,1 per cento nel riparto dei fondi per “qualità/produzioni” relativo all'anno 2015 alla fondazione Teatro Lirico G. Verdi di Trieste, posto che i dati positivi del ricavo (+34 per cento) e delle presenze (+16 per cento) dovrebbero essere un buon indice di qualità della rassegna proposta e di gradimento da parte dell'utenza; per quali motivi gli esiti relativi all'anno 2015 non siano stati ancora pubblicati sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; quali siano gli esiti del riparto per il 2016».
  I contributi alle fondazioni lirico-sinfoniche, a valere sul Fondo unico dello spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985, n. 163, sono assegnati con i criteri e le procedure indicate nel decreto ministeriale 3 febbraio 2014.
  Nel 2014, la Fondazione lirico-sinfonica G. Verdi ha ricevuto un contributo sul Fondo unico dello spettacolo pari a euro 9.605.374,96 (Fus complessivo assegnato al settore delle Fondazioni lirico-sinfoniche: euro 183.974.694,00), con un punteggio di 37 punti qualità conseguito dal predetto ente, a seguito della valutazione della commissione consultiva musica.
  Nel 2015, a seguito della valutazione della commissione consultiva musica, la flessione in termini di qualità di 15 punti rispetto al 2014 (-40,54 per cento), ha comportato che il contributo per il teatro triestino sia stato di euro 9.166.288,43 (Fus complessivo assegnato al settore delle Fondazioni lirico-sinfoniche: euro 181.990.592,00), con una flessione all'anno precedente di euro 439.086,53, pari a –4,57 per cento.
  Nel 2016, a fronte di un Fus assegnato al settore delle fondazioni lirico-sinfoniche di euro 182.272.058,30, il contributo riconosciuto al Teatro lirico G. Verdi di Trieste è stato di euro 8.750.437,69 con una flessione rispetto al contributo FUS 2015 di euro 415.850,74, pari al –8,90 rispetto al 2014 e al –4,54 rispetto al 2015. Il punteggio di qualità assegnato dalla commissione consultiva musica alla predetta fondazione, è passato da 22 punti del 2015 a 24 punti del 2016.
  La flessione riportata dal Teatro lirico di Trieste nel 2016 rispetto al 2015 è sostanzialmente imputabile alla diminuzione della quota afferente al cosiddetto «premio» (sub quota ex articolo 6, comma 1, del decreto ministeriale 3 febbraio 2014, pari al 5 per cento e calcolato sul Fus di settore da ripartire tra le dodici fondazioni non dotate di forma organizzativa speciale) suddiviso in parti uguali tra le fondazioni «virtuose» che hanno realizzato il pareggio di bilancio nel triennio precedente la ripartizione.
  Nel 2016 il «premio» riconosciuto al Teatro G. Verdi di Trieste, quale fondazione «virtuosa», è stato pari a euro 1.447.145,25 contro euro 1.806.203,10 del 2015, a fronte di un Fus pressoché invariato, in quanto, nel 2016, il premio è stato ripartito tra cinque fondazioni rispetto alle quattro del 2015.
  Il risultato finanziario conseguito dal Teatro lirico di Trieste, pertanto, ha tenuto conto del fatto che il sistema di contribuzione statale – di cui al decreto ministeriale 3 febbraio 2014 – nel settore lirico-sinfonico assume un carattere dinamico che recepisce i risultati, in termini quantitativi e qualitativi, della fondazione triestina e li pone in relazione con i risultati delle altre undici fondazioni lirico-sinfoniche.
  Il decreto di riparto 2015 è stato pubblicato sul sito della direzione generale Spettacolo all'indirizzo: http://www.spettacolodalvivo.beniculturali.it/index.php/fondazioni-liriche/640-anno-2015-riparto-fus-per-le-fondazioni-lirico-sinfoniche).
  Il 26 ottobre 2016, è stato pubblicato sul sito della direzione generale spettacolo il decreto direttoriale 17 ottobre 2016, con cui è stato ripartito il FUS tra le fondazioni lirico-sinfoniche (http://www.spettacolodalvivo.beniculturali.it/index,php/fondazioni-liriche/643-anno-2016-riparto-fus-per-le-fondazioni-lirico-sinfoniche).
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   FIORIO, SANI, OLIVERIO, CENNI, LUCIANO AGOSTINI, TERROSI, TENTORI, TARICCO, CARRA, ANTEZZA, MONGIELLO, ROMANINI e PRINA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane è un ente dotato di personalità giuridica di diritto pubblico, sottoposto ai poteri di indirizzo e vigilanza del Ministero dello sviluppo economico;
   le funzioni e le risorse umane di Buonitalia spa in liquidazione sono state trasferite, (in coerenza con le disposizioni previste dall'articolo 12, comma 18-bis, della legge numero 135 del 2012) all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane con il decreto 28 febbraio 2013 del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro delle sviluppo economico di concerto con il Ministro dell'economia e delle Finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione;
   la legge numero 147 del 2013 ha rafforzato tale disposizioni, novellando la legge numero 135 del 2012, e specificando che i «dipendenti a tempo indeterminato in servizio presso la predetta società al 31 dicembre 2011, previo espletamento di apposita procedura selettiva di verifica dell'idoneità, da espletare anche in deroga ai limiti alle facoltà assunzionali, sono inquadrati, anche in posizione di sovrannumero rispetto alla dotazione organica dell'ente, riassorbibile con le successive vacanze, nei ruoli dell'ente di destinazione sulla base di un'apposita tabella di corrispondenza approvata con il predetto decreto. I dipendenti trasferiti mantengono il trattamento economico fondamentale, percepito al momento dell'inquadramento»;
   nonostante tali disposizioni di legge ad oggi 19 ex dipendenti di Buonitalia non sono stati ancora assunti dall'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane;
   con risposta all'interrogazione 4-02452, il vice ministro dello sviluppo economico Carlo Calenda ha evidenziato come l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, abbia completato tutte le attività propedeutiche allo svolgimento della procedura selettiva, ma contrariamente a quanto previsto dalla normativa, l'Agenzia ha avviato un vero e proprio concorso sul modello di quelli adottati in precedenza per la selezione di personale esterno –:
   per quale motivo l'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane non ha rispettato le norme previste dalla legge n. 135 del 2012 e dalla legge n. 147 del 2013 e quali provvedimenti urgenti intenda intraprendere affinché gli ex dipendenti di Buonitalia, citati in premessa, vengano effettivamente assunti dopo una selezione propedeutica all'inquadramento professionale. (4-12392)

  Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta quanto segue.
  Si vuole ricordare che, l'articolo 12, comma 18-
bis, del decreto-legge n. 95 del 2012 subordinava il trasferimento dei personale di Buonitalia SpA in liquidazione presso l'Ice-Agenzia all'emanazione, mediante apposito decreto, di una tabella di corrispondenza che ne consentiva l'inquadramento nei ruoli dell'ente, previo espletamento di una procedura selettiva di verifica dell'idoneità.
  La norma in parola – sia nella sua stesura originaria, sia come modificata dalla legge n. 147 del 2013, la quale, si rammenta, è fonte sovraordinata e posteriore al decreto 28 febbraio 2013 di trasferimento delle funzioni e delle risorse umane di Buonitalia all'Ice – non prevedeva, dunque, alcun trasferimento automatico ed immediato del personale.
  L'Ice-Agenzia, sentiti i Ministeri coinvolti ed in condivisione con l'Avvocatura generale dello Stato, si è attenuta al dettato normativo: nell'ottobre 2014, a seguito della registrazione da parte della Corte dei conti, si è concluso l’
iter di approvazione del decreto interministeriale 30 maggio 2014 recante la tabella di equiparazione; nel dicembre 2014 si è svolta la verifica d'idoneità.
  Sentita l'Ice-Agenzia al riguardo, la stessa ha informato che nessuno degli ex dipendenti di Buonitalia SpA raggiunse la sufficienza: pertanto, non si erano verificate le condizioni per il loro trasferimento ed inquadramento presso l'ICE-Agenzia.
  L'attuazione data al citato articolo 12, comma 18-
bis, del decreto-legge n. 95 del 2012 da Ice-Agenzia sembra essere conforme a varie decisioni rese sulla vicenda dal giudice amministrativo: la sentenza n. 338/2014, pronunciata dalla sezione II-ter del Tar del Lazio, ha interpretato la norma ricostruendo la procedura di trasferimento del personale esattamente nei termini in cui l'Agenzia l'ha poi attuata: la sequenza procedimentale prevede l'emanazione della tabella di equiparazione; l'espletamento, sulla scorta di quella, della prova selettiva di verifica dell'idoneità e, infine, per coloro che avranno superato la prova, il trasferimento presso l'ente di destinazione.
  In un altro giudizio, il giudice amministrativo ha condiviso tale impostazione (si vedano i decreti nn. 6382, 6383 e 6384 del 12 dicembre 2014, pronunciati dal Tar del Lazio, Roma, sezione III-
bis), respingendo l'istanza con cui gli ex dipendenti Buonitalia chiedevano la sospensione cautelare della procedura selettiva in ragione di un asserito loro trasferimento già prodottosi ope legis dalla data di emanazione del decreto 28 febbraio 2013.
  Ulteriore conferma della correttezza dell'interpretazione seguita da ICE-Agenzia emana anche dalle sentenze del Tar del Lazio, Roma, sezione III-
bis, nn. 930, 943 e 964 del 2016, le quali, pur disponendo l'annullamento della prova selettiva espletata dall'ICE-Agenzia – censurata dal tribunale per aver indetto una vera e propria procedura concorsuale in luogo di una procedura selettiva idoneativa, risultata, così, particolarmente rigorosa – hanno comunque confermato le necessità di procedere alla selezione, senza che possa configurarsi un trasferimento automatico del personale.
  Da ultimo, il Consiglio di Stato, con ordinanze nn. 2137, 2138 e 2139 del 10 giugno 2016 ha accolto la domanda di sospensione dell'esecutività delle citate sentenze del Tar del Lazio, rinviando l'esame del merito all'udienza del 15 giugno 2017.
  In sede civile, le sentenze di primo grado sfavorevoli ad ICE-Agenzia sono state tutte appellate.
  Da ultimo, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 4479/2016, ha annullato la precedente sfavorevole pronuncia del giudice del lavoro.
  Con una decisione assai articolata, la Corte ha fatto proprie tutte le tesi prospettate dall'Agenzia: corretta sequenza procedimentale, successione delle norme nel tempo, illogicità e incostituzionalità della tesi di controparte, natura privatistica di Buonitalia. Coerentemente, il collegio ha escluso che vi sia stato un rilevante e colpevole ritardo dell'Amministrazione nell'espletamento delle procedure.
  Le udienze degli ulteriori giudizi civili – tre giunti alla fase di appello, uno ancora in attesa della decisione di primo grado – si terranno nel corso del 2017.
  In precedenza, anche in fase cautelare ed esecutiva, sono intervenute decisioni che confermano la legittimità dell'operato dell'Agenzia (così il giudice dell'opposizione, che ha invocate i decreti ingiuntivi notificati da alcuni ex-dipendenti Buonitalia trib. Roma, sezione lavoro, sentenza n. 1226/2015; così la corte d'appello, che ha sospeso la prima sentenza del giudice del lavoro giunta al suo esame – Roma, ordinanza n. 95 del 2015 – affermando l'imprescindibilità dell'espletamento della procedura selettiva di verifica dell'idoneità ai fini del trasferimento del personale Buonitalia).

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoIvan Scalfarotto.


   FREGOLENT. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le Palazzine denominate «Ex Moi» di Torino, realizzate nel 2006, sono al centro da anni ad una situazione di grave disagio urbano, di degrado, caratterizzata da numerosi episodi di violenza, vandalismo e microcriminalità;
   gli ultimi gravissimi episodi si sono verificati il 24 ed il 25 novembre 2016, giornate nelle quali sono stati registrati scontri tra gli immigrati presenti nelle palazzine ed altri abitanti del quartiere, con danneggiamenti a negozi e cassonetti della spazzatura, lancio di bombe carta, sassi e bottiglie;
   il prefetto di Torino ha inviato cinquanta militari sul luogo per garantire l'ordine pubblico nell'attesa che si muovano i primi passi per liberare le palazzine;
   gli edifici, gestiti da alcuni centri sociali, sono stati occupati inizialmente da profughi con lo status riconosciuto di «rifugiati» provenienti dal Nord d'Africa e successivamente da numerose altre etnie di immigrati. Secondo alcune stime sarebbero circa 1.000 le persone presenti attualmente in tali edifici;
   l'eterogenea composizione sociale ed etnico-religiosa degli occupanti ha generato conseguentemente episodi di tensione, nonostante gli sforzi operati da enti e associazioni assistenziali, aggravando la complessità di un contesto abitativo e sociale già oggettivamente problematico non solo per motivi di sovraffollamento ma anche per le attività micro-criminali che si svolgono nell'area, quali lo spaccio di sostanze stupefacenti e la ricettazione;
   la società proprietaria del plesso residenziale ha sollecitato a più riprese lo sgombero delle palazzine, assoggettate peraltro a sequestro penale preventivo disposto dal Gip di Torino su richiesta della procura della Repubblica;
   in risposta ad una interrogazione sulla vicenda (n. 5-03431) in data 29 giugno 2016 il Governo pro tempore, pur monitorando costantemente la situazione e riconoscendone la gravità, ha sollevato criticità e motivazioni di carattere umanitario che stanno ad oggi sconsigliando uno sgombero tout court degli stabili. Lo stesso Governo ha previsto un aggiornamento della situazione nel mese di settembre 2016;
   il sindaco di Torino ha annunciato pubblicamente nel mese di agosto 2016 che dal mese di settembre sarebbe stato effettuato «il censimento delle palazzine che verranno successivamente sgomberate»;
   risulta ad oggi all'interrogante che il censimento sopra citato annunciato da tempo non sia stato però ancora effettuato –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere, coinvolgendo gli enti e le istituzioni locali, per risolvere la grave situazione di pericolo che interessa da anni le palazzine «ex Moi», garantendo la sicurezza dei cittadini residenti negli edifici limitrofi e i diritti degli immigrati rifugiati con il rispetto dell'ordine pubblico ed il contrasto al degrado sodale.
(4-15417)

  Risposta. — L'interrogante, nel richiamare la risposta formulata da questa Amministrazione ad una sua precedente interrogazione vertente anch'essa sulla situazione delle palazzine ex MOI di Torino, occupate abusivamente da migranti, chiede di conoscere le iniziative che il Ministero dell'interno intenda assumere, anche coinvolgendo gli altri enti competenti, per risolvere la grave situazione di pericolo che interessa da anni quel contesto.
  Al riguardo, si rappresenta che in questi mesi la prefettura di Torino ha continuato a seguire la situazione delle palazzine ex MOI sia per garantire l'ordine e la sicurezza pubblica nell'area, sia per supportare l'Amministrazione comunale nella definizione e nel finanziamento di progetti che consentano l'avvio di interventi per la liberazione degli immobili e l'idonea sistemazione alloggiativa dei migranti.
  Su tali temi si sono tenute in prefettura varie riunioni del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, alla presenza del sindaco di Torino, nelle quali è stata verificata – tra l'altro – l'impraticabilità di un intervento di sgombero contemporaneo di tutte le palazzine occupate e si è concordato, quindi, di operare con gradualità.
  In tale contesto, il comune ha assunto l'impegno di effettuare il censimento di una delle palazzine, al fine di individuare gli stranieri che hanno titolo a fruire di un'assistenza, il cui numero si stima in circa 250 persone. Il censimento sarà avviato a breve.
  Nella stessa direzione, l'Amministrazione medesima sta elaborando, d'intesa con il prefetto, le progettualità di dettaglio per l'individuazione, l'approntamento e la gestione di strutture per la riallocazione provvisoria e gli interventi assistenziali immediati finalizzati all'integrazione e all'autonomia degli aventi titolo. A tali iniziative parteciperanno anche enti del privato sociale, che hanno già dato la disponibilità a collaborare.
  Di tale percorso è stata informata la società proprietaria del complesso immobiliare con la quale da tempo è in corso una mediazione per definire soluzioni che siano compatibili con la complessità del problema.
  Si soggiunge che, per sostenere le predette progettualità, il Ministero dell'interno ha corrisposto recentemente al comune di Torino un contributo di 500 mila euro finalizzato a interventi assistenziali straordinari.
  Nell'interrogazione si fa riferimento anche ad alcuni scontri e disordini accaduti il 23 e 24 novembre 2016.
  Detti episodi sono stati oggetto di esame in un'apposita riunione del Comitato provinciale per l'ordine e sicurezza pubblica, nel corso della quale è stata disposta l'immediata intensificazione dei servizi di vigilanza da parte delle forze dell'ordine e della polizia municipale con l'apporto di un'aliquota di personale delle forze armate assegnate alla provincia di Torino nell'ambito della «operazione strade sicure».
  Nel mese di gennaio 2017 la vigilanza dell'area è stata ulteriormente intensificata, attraverso l'incremento dell'aliquota dei militari e l'istituzione di un servizio di prossimità con pattuglie appiedate della polizia di Stato.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GADDA, SENALDI e ROSSI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la mattina di sabato 1o novembre 2014 di quest'anno, alle spalle del sacrario ai Caduti del San Martino in località Duno (Varese), è comparsa una distesa di duecento rune celtiche rovesciate in legno, posizionate dietro ad una runa celtica più grande con incisi una svastica e il numero «’43» alla base della quale è stata depositata una corona d'alloro riportante, lungo il fiocco tricolore, la frase «ai martiri dell'onore». Accanto alle rune è stato rinvenuto uno striscione con la scritta «Guerriero d'Europa risorgi» inserita tra due rune celtiche, di cui una rovesciata, accompagnate dalla firma «Do.Ra.» utilizzata dal gruppo di estrema destra «Dodici raggi», già conosciuto alle forze dell'ordine, e che già in passato si è reso protagonista di altri simili atti;
   lo striscione non è la sola prova della ascrivibilità di questo gesto al gruppo neo nazifascista attivo nella provincia di Varese: sulla pagina Facebook «Il Manipolo d'avanguardia» sono state, infatti, pubblicate diverse fotografie scattate dagli aderenti stessi rivendicandone la paternità;
   come correttamente rappresentato dall'associazione «Osservatorio democratico», che ha studiato la simbologia dei regimi nazista e fascista, la runa agliz significa «protezione» ed è stata adottata dalla società SS, al pari di quella rovesciata (denominata Toten-rune) che invece è simbolo di morte e infatti era utilizzata sulle tombe dei soldati SS tedeschi, insieme con le Agliz utilizzate per indicare la data di nascita e di scomparsa;
   il gruppo «Dodici raggi» è lo stesso che il 20 aprile 2013 aveva organizzato nella località di Folla, nel comune di Malnate (Varese), un concerto di band musicali attive negli ambienti dell'estrema destra, in occasione dell'anniversario della nascita del dittatore Adolf Hitler, e che lo scorso novembre 2013 avevano già interessato il sacrario di San Martino con striscioni e corone d'alloro inneggianti ai combattenti nazisti e fascisti che si resero complici delle atrocità messe in atto dai due regimi in tutta Europa nel secolo scorso;
   all'interrogante preme sottolineare che il santuario ai Caduti del San Martino ricorda il sacrificio compiuto da molti partigiani che hanno perso la loro vita per la libertà del popolo italiano: in quella terra, giacciono le spoglie dei membri della formazione partigiana «Gruppo cinque giornate» che presero parte alla battaglia avvenuta tra il 13 e il 15 novembre 1943, sotto la guida dell'allora colonnello Croce;
   la stessa formazione partigiana è stata pioniera della lotta di liberazione, donando alla Resistenza un esempio di coraggio per quanti in quegli anni hanno combattuto contro gli oppressori;
   la provincia di Varese, che vanta la città di Busto Arsizio premiata con la Medaglia di Bronzo al valor militare per la battaglia di liberazione, è recentemente interessata con sempre maggiore insistenza da iniziative di propaganda nazi fascista, che, si tiene a precisare, è incompatibile con l'ordinamento costituzionale italiano;
   ai fatti sopra descritti ed altri simili, qui non richiamati esplicitamente, l'interrogante segnala che negli ultimi mesi vi sono stati diversi atti intimidatori di vandalismo e aggressione ai danni di sedi dell'Associazione nazionale partigiani italiani (ad esempio, quella di Busto Arsizio) e di sedi del Partito Democratico (la sede del Partito provinciale a Varese e da ultimo la sede del circolo di Castellanza);
   il deturpamento di monumenti dedicati ai Caduti della Resistenza, il vile attacco alle sedi dell'associazione e del Partito Democratico, il continuo richiamo al regime fascista, nazista e alla Repubblica Sociale Italiana costituiscono secondo l'interrogante una chiara violazione delle disposizioni di legge sancite dalla XII disposizione transitoria della Costituzione (che vieta la riorganizzazione, sotto qualsiasi forma, del disciolto partito fascista) e previste nella legge 20 giugno 1952, n. 645;
   il Ministro dell'interno, nella risposta alla precedente interrogazione 4-00400 concernente i fatti avvenuti nel 2013, ha assicurato la massima attenzione da parte delle forze dell'ordine per le attività dei gruppi politici estremisti e delle frange più radicali, tra cui la comunità militante «Dodici Raggi», al fine di accertare la presenza, nelle loro manifestazioni, di simboli fascisti o eventuali richiami al disciolto partito fascista o a ideologie inneggianti la discriminazione razziale, etnica o religiosa;
   a parere dell'interrogante, il posizionamento di duecento rune celtiche – aventi chiaro riferimento a quelle utilizzate dalle SS tedesche – il posizionamento di una in particolare avente incisa una svastica, e lo striscione rinvenuto nei pressi del sacrario sono un esplicito richiamo all'ideologia nazista e ai combattenti della RSI oltre che essere un atto di oltraggio alla memoria della liberazione per il luogo scelto dal gruppo per questo gesto di ignobile e irrispettosa propaganda;
   si segnala al Ministro interrogato che, peraltro, il gruppo «Dodici Raggi» ha utilizzato in diverse occasioni, ultima in ordine di tempo l'azione avvenuta al sacrario di Duno, lo stemma del comune di Varese sormontato da un'aquila anziché da San Vittore. L'utilizzo del simbolo della città può avvenire solo su autorizzazione dell'amministrazione che ne possiede la proprietà intellettuale e non può, certo, essere arbitrariamente modificato con l'inserimento di altri simboli (soprattutto se a contenuto ideologico) perché ciò costituisce un vilipendio ed un'offesa alla storia della comunità varesina –:
   se il Ministro sia a conoscenza del grave fatto avvenuto il 1o novembre di quest'anno alle spalle del sacrario ai Caduti del San Martino, in località Duno (Varese);
   se il Ministro condivida la preoccupazione per il grave susseguirsi di atti di violenza e di intimidazione di matrice politica di estrema destra che hanno interessato monumenti dedicati alla Resistenza, sedi dell'Associazione nazionale partigiani italiani e sedi del Partito Democratico in provincia di Varese così come nell'intero territorio nazionale;
   se al Ministro risulti vi siano legami tra la propaganda avanzata dal gruppo «Dodici Raggi» e le recenti aggressioni avvenute ai danni della sede del Partito Democratico di Castellanza (Varese);
   vista la crescente dimensione del fenomeno, se il Ministro intenda istituire un osservatorio per il monitoraggio di episodi di neofascismo;
   se siano state avviate indagini in merito ai fatti descritti in premessa che, ad avviso degli interroganti, potrebbero integrare i presupposti di cui all'articolo 4 della legge 20 giugno 1952, n. 645. (4-07077)

  Risposta. — In relazione a quanto evidenziato nell'interrogazione in oggetto, si assicura che il Ministero dell'interno continua a dedicare la massima attenzione all'attività dei movimenti politici estremistici, qualunque ne sia l'orientamento, per prevenire e reprimere le iniziative che possano sfociare in atti illeciti.
  In particolare, l'attività di prevenzione si sviluppa in un attento monitoraggio ed un'accurata raccolta informativa, al fine di cogliere il minimo segnale di turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica e di deviazione dalle regole del diritto e della pacifica convivenza.
  Tale attività riguarda anche le associazioni, che come la «Comunità militante dei dodici Raggi Do.Ra,» si ispirano chiaramente ad un'ideologia di estrema destra vicina ai principi del nazionalsocialismo. Nel caso in questione ciò appare comprovato anche dalla pubblicazione sul sito dell'associazione, recentemente riattivato, di messaggi rievocativi di eventi storici associati a simboli del nazismo e del fascismo. Il movimento, attestato su posizioni di orientamento skinhead, ha adottato come simbolo il «sole nero» noto emblema nazista dal significato esoterico.
  Tra le diverse manifestazioni promosse dal sodalizio nel corso degli anni si registrano quelle commemorative in occasione del «giorno del ricordo delle vittime delle foibe» e diversi concerti d'area, organizzati nella sede di Sumirago.
  Le forze di polizia hanno puntualmente segnalato all'autorità giudiziaria tutte le iniziative dei componenti dell'associazione per le quali potevano ritenersi sussistenti ipotesi di reato, Le denunce hanno riguardato, in particolare, alcuni episodi di intolleranza razziale. Da ultimo, cinque esponenti dell'associazione «Do.Ra.» sono stati deferiti per i reati di riunione pubblica non preavvisata, deturpamento e invasione di terreni, commessi il 4 dicembre scorso presso il sacrario ai caduti partigiani di San Martino di Duno (Varese).
  D'altra parte, si fa presente che, recentemente, l'associazione Do.Ra ha promosso, su un sito web, una petizione on-line con l'intento di chiedere «la messa fuorilegge dell'associazione nazionale partigiani d'Italia, la chiusura di tutte le sezioni e i processi per crimini di guerra dei partigiani ancora viventi». La questura di Varese ha presentato rapporto all'Autorità giudiziaria in ordine a tale petizione, per le valutazioni di competenza rispetto alla sussistenza dei comportamenti che integrino fattispecie di reato.
  Si informa, inoltre, che nell'agosto del 2014 la pagina facebook del sodalizio è stata oscurata, su iniziativa dello stesso gestore del social network. Attualmente, l'associazione gestisce solo un sito web.
  Per quanto attiene agli atti vandalici compiuti negli ultimi mesi del 2014 ai danni di alcune sedi dell'associazione A.n.p.i. e del partito democratico, verosimilmente di matrice politica riconducibile alla destra estrema, si rappresenta che le attività info-investigative svolte dalle forze di polizia non hanno consentito di evidenziare, al momento, diretti collegamenti con i militanti dei sodalizio in questione.
  In merito ad eventuali ulteriori misure che possono essere intraprese, va ricordato come l'ordinamento vigente consenta l'adozione di un provvedimento di scioglimento di movimenti che si ispirano al fascismo solo a seguito di una sentenza penale irrevocabile che abbia accertato il verificarsi in concreto della fattispecie della riorganizzazione del disciolto partito fascista.
  Allo stato attuale non risulta che l'associazione in questione sia stata destinataria di pronunce giurisdizionali che legittimino l'adozione di siffatto provvedimento di rigore.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GADDA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 5 dicembre 2016, a seguito di un tentativo di rapina alla filiale della banca Raiffeisen di Molinazzo di Monteggio (Canton Ticino, Svizzera), le autorità elvetiche hanno disposto la chiusura di alcuni valichi ai confini con l'Italia, e precisamente quello commerciale di Ponte Tresa e quello di Cremenaga, distanti pochi chilometri l'uno dall'altro;
   la chiusura ha interessato il confine stradale ed è proseguita per circa due ore, impedendo il passaggio anche ai cittadini italiani lavoratori frontalieri che intendevano fare ritorno a casa, non solo in auto ma anche a piedi lungo gli attraversamenti pedonali;
   sono state circa 5 mila le persone interessate dal disagio e che sono rimaste incolonnate in attesa che le Guardie di confine svizzere consentissero nuovamente il passaggio di tutti i mezzi, auto, moto e furgoni;
   l'articolo 22 del regolamento UE 2016/399 del Parlamento europeo (codice frontiere Schengen) dispone in via generale che «le frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia fatta una verifica di frontiera» e all'articolo 24 del medesimo regolamento è disposto che «gli Stati membri eliminano tutti gli ostacoli allo scorrimento fluido del traffico presso i valichi di frontiera»;
   il regolamento in argomento consente in via eccezionale e per periodi limitati di tempo in caso di «minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato» il ripristino di detti controlli, secondo le procedure indicate nei successivi articoli;
   all'interrogante appare che la chiusura del valico di frontiera avvenuta il 5 dicembre sia stata disposta in violazione del Regolamento, sia per quanto concerne la procedura seguita, sia per quanto concerne la giustificazione addotta che non sembrerebbe rientrare tra quelle previste dall'articolo 25 del regolamento stesso;
   risulta inoltre che le autorità italiane non siano state prontamente avvisate, esponendo in questo modo i valichi italiani a una situazione potenzialmente pericolosa sotto il profilo dell'ordine pubblico;
   all'interrogante preme sottolineare che questo episodio giunge al termine di una serie di atti e comportamenti ostili ai danni dei lavoratori transfrontalieri italiani, perpetuati in Cantone Ticino ormai quotidianamente;
   con la mozione Borghi ed altri n. 1/00952 il Governo pro tempore è stato impegnato a chiedere un chiarimento formale alla Confederazione elvetica in merito alle numerose decisioni discriminatorie assunte dal Canton Ticino in contrasto alla libera circolazione delle persone;
   risulta quanto mai urgente un intervento del Governo presso le autorità federali svizzere, in linea con quanto previsto dalla mozione sopra citata, affinché non si ripetano azioni unilaterali lesive dei diritti dei lavoratori transfrontalieri italiani e delle prerogative dello spazio Schengen di cui la Svizzera fa parte dal 2008 –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere immediatamente affinché non si ripetano azioni unilaterali da parte svizzera, ad avviso dell'interrogante in violazione del trattato di Schengen, e lesive dei diritti dei cittadini italiani lavoratori transfrontalieri;
   se il Governo intenda richiedere un chiarimento formale alla Confederazione elvetica in merito alla chiusura del valico di frontiera di Lavena Ponte Tresa avvenuto, il 5 dicembre 2016. (4-14990)

  Risposta. — In relazione ai quesiti posti dall'interrogante, si precisa che già in passato il Governo è intervenuto, attraverso l'ambasciata d'Italia a Berna, per sensibilizzare le autorità elvetiche sulle problematiche inerenti i lavoratori transfrontalieri italiani e per tutelare gli interessi dei connazionali, con l'obiettivo di garantire la piena applicazione dell'accordo di libera circolazione UE-Svizzera e di preservare l'eccellente livello delle relazioni bilaterali.
  Nello specifico, la vicenda dello scorso 5 dicembre 2016 è stata posta all'attenzione delle Autorità ticinesi da parte dell'ambasciata d'Italia a Berna, nel corso di un incontro con il delegato per le relazioni esterne e consigliere diplomatico per il Canton Ticino, Francesco Quattrini.
  Il consigliere Quattrini ha convenuto che la chiusura temporanea del valico di Lavena Ponte Tresa ha provocato disagi per i cittadini, italiani e svizzeri, che transitavano nell'area, i quali hanno dovuto attendere oltre due ore prima di vedere riaperta la frontiera. Tuttavia, ha spiegato che la misura adottata dalle autorità elvetiche era stata motivata unicamente da ragioni di sicurezza, nell'ambito dell'operazione avviata dalla polizia svizzera per la ricerca degli autori di una tentata rapina alla filiale della banca Raiffeisen, avvenuta nell'area interessata. Pertanto, la chiusura della frontiera era volta a tutelare l'ordine pubblico e non ad impedire la circolazione dei frontalieri.
  Le considerazioni svolte dal consigliere Quattrini sono coerenti con quanto comunicato anche dal rappresentante del Governo ticinese nella conferenza dei governi cantonali, Norman Gobbi, il quale ha ribadito lo scopo meramente precauzionale dei provvedimenti adottati dalle autorità elvetiche.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   GALLINELLA, L'ABBATE e GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Ecolabel è una certificazione «verde» controllata dalla Commissione europea che attesta, attraverso l'apposizione di un'etichetta ecologica volontaria, i prodotti o servizi a ridotto impatto ambientale lungo tutto il ciclo di vita, con un ridotto uso di sostanze dannose e, al contempo, buone performance tecniche;
   Ecolabel UE è stato istituito nel 1992 dal regolamento n. 880/92 ed è oggi disciplinato dal regolamento (CE) n. 66/2010 in vigore nei 28 Paesi dell'Unione europea e nei Paesi appartenenti allo Spazio economico europeo – SEE (Norvegia, Islanda, Liechtenstein);
   i criteri di questa certificazione, stabiliti a livello europeo con un'ampia partecipazione di parti interessate tra cui anche associazioni europee di consumatori e ambientaliste, riguardano anche aspetti importanti inerenti alla salute e alla sicurezza dei consumatori, e riguardano inoltre, ove pertinente, i principali aspetti sociali ed etici dei processi produttivi;
   secondo diverse indagini, in particolare portate avanti dall'associazione Altroconsumo, è emerso che la Ecolabel è, tra le certificazioni «verdi», quella con un disciplinare più robusto e migliori risultati, sia in termini ambientali che di efficacia, seguono le certificazioni ICEA; tutto il resto dei marchi green sembra non rispondere alle stesse caratteristiche;
   da diverse fonti di stampa è emersa l'intenzione della Commissione europea di eliminare la certificazione Ecolabel da alcune categorie di prodotti, pur non essendo ancora pubblici i risultati del procedimento di revisione della certificazione (REFIT) previsto già dal febbraio 2015;
   i risultati parziali degli studi di valutazione condotti nel 2014 hanno, però, dimostrato che il 95 per cento di chi ha risposto alla consultazione pubblica è favorevole alla continuazione dello schema Ecolabel così come è;
   esso, infatti, permette ai cittadini europei di fare acquisti sostenibili, districandosi tra la proliferazione di etichette e di pubblicità fuorvianti sull'ecosostenibilità (spesso «verdi» solo nel nome, o comunque con scarse performance tecniche), ma ha anche la funzione di sostenere le imprese a commercializzare in Europa prodotti sostenibili che rispondono a criteri identici in tutti i Paesi dell'Unione europea;
   anche in Italia la certificazione Ecolabel ha raggiunto risultati importanti, sia per il numero di prodotti riconosciuti, sia per l'importanza che ormai riveste per i cittadini che decidono di orientarsi su una spesa ecosostenibile, ma efficace –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Governo non intenda intervenire in sede europea affinché venga riconsiderata la decisione della Commissione europea di rivedere la certificazione Ecolabel, quantomeno non prima della pubblicazione dei risultati del procedimento di revisione (REFIT), considerando i benefici, sia in termini di efficacia che di impatto ambientale, di tutti i prodotti ai quali oggi è applicata. (4-15441)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla possibile revisione della certificazione Ecolabel in sede europea, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il Ministero dell'ambiente è consapevole dell'utilità e della rilevanza dello strumento di certificazione ambientale. Infatti, in questi anni si è attivato per promuovere ed estendere l'adesione delle aziende italiane allo schema Ecolabel.
  Sull'argomento, si ricorda che: l'Italia, con 337 licenze Ecolabel, è il secondo Paese come numero di licenze dopo la Francia che ne ha 486; diverse aziende, in particolare di alcuni settori produttivi come quello della carta tessuto, o quello delle piastrelle, o del turismo, hanno puntato su questo strumento per migliorare e valorizzare ambientalmente le proprie produzioni e le proprie attività, scegliendo il marchio Ecolabel come principale strumento di comunicazione verso i consumatori; e il Governo italiano nel recepire le direttive europee sugli appalti pubblici, ha scelto di rendere obbligatorio il riferimento ai criteri minimi ambientali sviluppati nell'ambito del Piano d'azione nazionale sul Green Public Procurement, in questo ambito il riferimento ad uno strumento come Ecolabel è particolarmente utile e, in alcuni casi, indispensabile.
  Per quanto riguarda gli impegni del Governo in merito alla promozione di Ecolabel si segnala la campagna di comunicazione su Ecolabel che nel mese di dicembre 2016 ha interessato le reti televisive nazionali con la proiezione di un filmato di 30 secondi sul marchio Ecolabel. Tale filmato è attualmente in programmazione sulle reti di trasporto pubblico (metro ed autobus) delle principali città italiane (Roma e Milano) e sarà oggetto di uno spot radiofonico.
  Si ritiene, pertanto, che la Commissione debba puntare al rafforzamento di questo strumento piuttosto che, come sembrerebbe, non rinnovare i criteri Ecolabel su prodotti come la «carta tessuto», dove, si ricorda, vi sono 133 licenze in Europa, corrispondenti a una grande varietà di prodotti (fazzolettini, tovaglioli, carta igienica, e altro).
  In relazione alle questioni poste, in ordine all'opportunità di intervenire in sede europea su quanto ventilato in alcuni ambienti della Commissione europea circa la volontà di proseguire le attività relative all'Ecolabel, va segnalato come il Ministero dell'ambiente ha già segnalato la propria posizione positiva in tal senso in occasione dell'ultimo Consiglio Ambiente del 19 dicembre 2016, sostenendo una analoga richiesta fatta da altri Paesi europei.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si rassicura che il Ministero continuerà a tenere alto il livello di attenzione su dette questioni.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GINEFRA e VENTRICELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con determina del 23 luglio 2014 il comune di Gioia del Colle ha approvato il bando di gara avente ad oggetto la realizzazione di «lavori di ristrutturazione ed adeguamento funzionale di immobile da adibire a centro ristorazione sociale – Concessione gestione per la durata di anni nove del centro realizzato». Veniva fissato in euro 438.048,00 il valore stimato della concessione del servizio gestione del centro di ristorazione, ed in euro 408.677,79 il valore dell'intervento strutturale sull'immobile per le attività di ristrutturazione ed adeguamento funzionale;
   con determinazione n. 1203 Reg. Gen., del 25 novembre 2014, il comune di Gioia del Colle ha disposto l'aggiudicazione definitiva dell'appalto in favore del gruppo «Ladisa S.p.A. – Restyle Costruzioni s.r.l.»;
   in data 5 febbraio 2016 il centro di ristorazione sociale subiva danni da incendio, presumibilmente di natura dolosa;
   qualche settimana prima dell'incendio, il centro di ristorazione sociale subiva già un primo danneggiamento; in particolare, veniva infranta una vetrata posta sulla facciata dell'edificio mediante il lancio di una pietra ad opera di ignoti;
   in data 2 febbraio 2016 una dipendente della Ladisa s.p.a. e responsabile dell'area di Gioia del Colle e comuni limitrofi, subiva il furto dell'autovettura aziendale. Il furto dell'autovettura, di proprietà della Ladisa s.p.a., veniva prontamente denunciato alla stazione dei carabinieri di Gioia del Colle;
   in data 16 gennaio 2016 l'amministratore unico della Ladisa s.p.a., subiva il furto della propria autovettura parcheggiata in Bari alla Via Dante. Il furto dell'autovettura è stato immediatamente denunciato alla questura di Bari;
   verso metà febbraio, anche una dirigente della Ladisa s.p.a. subiva il danneggiamento della propria autovettura Smart parcheggiata in Bari in prossimità della propria abitazione;
   la Ladisa, dando seguito alla richiesta del comune di Gioia del Colle, si faceva successivamente carico dei lavori di ripristino del centro di ristorazione sociale a seguito dell'evento incendiario, individuando come impresa esecutrice dei lavori altra società di costruzioni, in luogo della Restyle che non ha mai ritenuto di doversi fare carico degli stessi;
   due giorni prima della data annunciata per l'inaugurazione del nuovo centro di cottura, nella notte tra il 4 ed il 5 di ottobre, lo stesso veniva nuovamente danneggiato a causa di un evento incendiario di natura dolosa;
   giunta sul posto alle ore 08:00 del 5 ottobre, la responsabile di zona provvedeva ad allertare immediatamente i carabinieri, i quali giungevano dopo poco sul luogo dell'incendio per i primi rilievi del caso;
   di tutti questi accadimenti, regolarmente denunciati dall'azienda barese, si sono occupati gli organi di informazione locali –:
   se sia stato informato di tali eventi;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per prevenire il ripetersi di tali azioni vandaliche e per consentire il regolare svolgimento delle attività del centro barese ripristinando un clima di serenità tra gli operatori e i proprietari della stessa Ladisa s.p.a. (4-14431)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante, nel richiamare l'attenzione del Ministro dell'interno sugli incendi che il 5 febbraio e il 5 ottobre dello scorso anno hanno danneggiato il centro comunale di ristorazione sociale gestito dalla società Ladisa spa a Gioia del Colle, chiede di conoscere quali iniziative si intendano assumere per prevenire il ripetersi di simili episodi e consentire il regolare svolgimento dell'attività della struttura.
  Effettivamente, nella nottata del 5 febbraio 2016 si è sviluppato un incendio nei locali del predetto centro di ristorazione, la cui realizzazione era stata da poco ultimata. I primi accertamenti svolti dalle forze di polizia in collaborazione con i Vigili del fuoco hanno rilevato la natura dolosa dell'incendio.
  Sulla vicenda sono stati immediatamente esperiti i conseguenti approfondimenti info-investigativi, nell'ambito dei quali è stato anche ascoltato il direttore generale della Ladisa, il quale ha riferito di non aver ricevuto alcuna richiesta estorsiva.
  Lo stesso ha comunque evidenziato che la società era già stata interessata, ancorché indirettamente, da alcuni episodi criminosi quali: il furto di un'autovettura di proprietà del padre, il furto di un'autovettura aziendale in uso ad una dipendente e il danneggiamento di una vetrata del centro di ristorazione.
  Quanto all'incendio dello scorso 5 ottobre, si riferisce innanzitutto che l'evento non ha impedito al sindaco di Gioia del Colle di procedere, il giorno successivo, all'inaugurazione del centro di ristorazione con una cerimonia alla quale hanno partecipato anche il Prefetto e i vertici provinciali delle Forze dell'ordine.
  A seguito dell'incendio, rivelatosi anch'esso di natura dolosa, i fatti criminosi riguardanti la struttura in questione sono stati esaminati nel corso di un'apposita riunione del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, tenutasi presso la prefettura di Bari con la partecipazione del procuratore della Repubblica presso il locale Tribunale.
  In tale sede, è stata disposta l'attuazione di un servizio di vigilanza dinamica della struttura comunale e l'ulteriore intensificazione delle attività di controllo del territorio comunale, mediante servizi straordinari con l'impiego di pattuglie del Comando provinciale dei carabinieri e della compagnia di intervento operativo dell'11o battaglione carabinieri «Puglia».
  Sul fronte delle indagini, si comunica che la compagnia dei carabinieri di Gioia del Colle si è orientata su più fronti investigativi, tra i quali anche quello connesso ad una possibile ipotesi estorsiva.
  Il prosieguo dell'inchiesta giudiziaria si è rivelato complesso, atteso il quadro giudiziario emerso, pertanto le indagini sono state affidate, d'intesa con l'Autorità giudiziaria, al nucleo investigativo del comando provinciale dei carabinieri di Bari. Esse sono tuttora in corso e coperte da segreto istruttorio.
  Su un piano più generale, si assicura che la situazione della sicurezza pubblica nel Comune di Gioia del Colle è sotto controllo, come testimoniato anche dall'indice della delittuosità che ha registrato nel 2016 una riduzione di oltre il 14 per cento rispetto all'anno precedente. Ugualmente gli indici dei reati di danneggiamento e di danneggiamento seguito da incendio hanno evidenziato una flessione pari, rispettivamente, al 4 e al 38 per cento.
  Comunque la situazione è oggetto di costante attenzione da parte della Prefettura di Bari e viene costantemente monitorata dalle forze dell'ordine non solo per i profili di prevenzione generale e controllo del territorio, frutto di intese in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, ma anche attraverso indagini coordinate dalla locale direzione distrettuale antimafia.
  Per completezza, si rappresenta che nel comune di Gioia del Colle è dispiegato un rilevante apparato di sicurezza composto complessivamente da 93 unità di personale, di cui 11 appartenenti alla Polizia di Stato in servizio presso il distaccamento della polizia stradale, 25 appartenenti alla guardia di finanza in servizio presso la tenenza e, infine, 57 militari dell'arma dei carabinieri, quest'ultima presente nella cittadina con una compagnia e una stazione.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GIULIETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco (CNVVF) è in grave carenza di organico e i tagli di bilancio adottati negli ultimi anni stanno determinando gravi ripercussioni nella organizzazione del lavoro dei vigili del fuoco (VVF) che operano nelle varie regioni d'Italia;
   la carenza di organico ha costretto l'adozione di turni massacranti e l'impossibilità di garantire interventi di soccorso tecnico urgente, in misura idonea a fronteggiare tutte le necessità; si è passati a ciò, sempre a causa della consistente carenza di organico ed al fine di garantire un minimo di operatività delle squadre reputate al soccorso, ad una necessaria contrazione delle unità operative a bordo dei mezzi;
   le emergenze che hanno investito il Paese, anche nel recente passato purtroppo sono state tante e particolarmente onerose. Tra queste possiamo ricordare, a titolo esemplificativo ma non esaustivo, l'alluvione che ha colpito la regione Sardegna nel novembre scorso, dove il CNVVF ha dato il massimo per fronteggiare gli effetti dell'evento calamitoso, anche in una grave situazione di carenza di organico;
   se fossero confermati gli ulteriori tagli all'organico del CNVVF come pervenuta dall'ultima bozza sul riordino di quest'ultimo, porterebbe allo stremo la struttura, che già dal 31 dicembre 2015 vedrebbe l'organico ridursi di ulteriori 797 unità permanenti, per i pensionamenti previsti, e che questi fossero rimpiazzati da eventuali 6000 richiami di volontari, per prevenire questa ulteriore carenza di organico causata dai tagli lineari dei precedenti governi;
   le ultime iniziative adottate dal Governo sono state adottate nel recente decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, recante disposizioni urgenti per il perseguimento di obiettivi di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni dove è stato approvato il potenziamento di 1000 unità, divise tra le 2 graduatorie vigenti, prorogate fino e non oltre il 31 dicembre 2016;
   le risorse per tali assunzioni sono state ricavate senza oneri aggiuntivi per le casse erariali in cui il legislatore ha ritenuto, giustamente, di investire quei fondi destinati ai richiami di personale discontinuo non professionista e generatore di precariato, in assunzioni di personale permanente assunto dalle due graduatorie vigenti, che di fatto assicurano un auspicabile rinnovamento anagrafico, di cui il corpo necessita, in quanto l'età media del personale operativo è attualmente di 44 anni;
   tali misure che si apprestano ad essere varate con il Piano di riordino del dispositivo di soccorso pubblico, non volgono più nella direzione tracciata fino ad ora, ma se non si interverrà si riavrà l'ennesima inversione di rotta nella conduzione del CNVVF verso una nuova precarizzazione del personale operativo;
   la stessa norma con l'articolo 8 prevede l'esaurimento delle due graduatorie vigenti entro quella data precludendo l'indizione di nuovi concorsi». Le suddette graduatorie garantiscono un bacino di idonei di circa 8000 unità pronte a sopperire, a seguito di corso di formazione professionale, alla citata grande carenza di organico del CNVVF;
   allo stato lo smaltimento delle attuali graduatorie avrebbe un costo pari a zero per le proprie casse non dovendo sostenere nessuna spesa per un nuovo concorso e si darebbe il giusto riconoscimento agli idonei presenti in queste due graduatorie, già sottoposti a visita medica;
   la necessità di sopperire a tale esigenza evidenzia il controsenso enorme che si verrebbe a creare se il turn over, allo stato attuale, venisse lasciato inalterato o depotenziato. Lasciare inalterate percentuali o addirittura ridurre già le percentuali del turn over, ridurrebbe ulteriormente l'effettiva capacità lavorativa del CNVVF di fronteggiare adeguatamente le emergenze che investono, ormai quotidianamente, la collettività nazionale;
   in tali frangenti il CNVVF ha rappresentato, e continua a rappresentare un valido punto di riferimento per i cittadini e per le amministrazioni locali e nazionali interessate dalle situazioni emergenziali;
   in questi anni sono stati fatti solo tagli lineari, magari sottovalutando la grande importanza che il CNVVF ha per la sicurezza di tutti i cittadini italiani. Ricordo che gli oneri derivanti dalle assunzioni delle 1000 unità previste a seguito dell'articolo 8, del citato decreto-legge, sono stati fronteggiati con riequilibrio finanziario delle risorse già attribuiti da parte del dipartimento dei vigili del fuoco;
   la graduatoria del concorso pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale-IV serie speciale concorsi ed esami, n. 90 del 18 novembre 2008 bando di concorso per titoli ed esami a 814 posti, nella qualifica di vigile del fuoco è stata approvata il 14 luglio 2010 con successive modifiche, decretando un totale di 7599 idonei e che tra agosto 2010 e gennaio 2012 ha chiamato a visita medica pronti per l'assunzione circa 3500 idonei che alla data odierna ne risultano assunti solo 2000 circa;
   la suddetta graduatoria risulta valida fino e «non oltre» dicembre 2016 ed è necessario prorogarla al fine di evitare l'indizione di un nuovo concorso a partire dal 1° gennaio 2017 che comporterebbe un onere superiore a quello dello scorrimento della sopracitata graduatoria;
   in considerazione della necessità della copertura degli organici del ruolo in questione e alla luce della economicità richiesta dell'attuale situazione della finanza pubblica –:
   se non ritenga, necessario ed urgente predisporre un iniziative per ripristinare turn-over e che proroghi la validità della graduatoria del/dei concorso/i fino al 2018 al fine dello scorrimento della stessa;
   se non ritenga necessario garantire una copertura ed efficienza di organico e un netto risparmio sulla spesa pubblica, al fine di garantire l'operatività del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e la sicurezza dei cittadini. (4-04192)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto viene chiesta l'adozione di iniziative per assicurare l'assunzione di tutti gli idonei del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco, indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008, al fine di colmare la carenza di organico del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In proposito, si fa presente che la graduatoria di tale concorso è stata più volte prorogata per esigenze di contenimento della spesa pubblica, in deroga a quanto previsto dall'articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 165/2001.
  Da ultimo, l'articolo 1, comma 368, della legge di bilancio 2017 (legge n. 232/2016) ha prorogato la graduatoria fino al 31 dicembre 2017.
  Si rappresenta, inoltre, che in ragione delle assunzioni effettuate nel corso degli anni, la graduatoria del concorso in parola ha visto uno scorrimento di circa 4500 idonei a fronte di un concorso bandito per 814 posti. Questi numeri costituiscono un'importante risposta alle aspettative dei circa 7.600 idonei del concorso medesimo.
  Giova ricordare poi che, a distanza di quasi otto anni dal concorso a 814 posti, l'amministrazione dell'interno è stata autorizzata a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica.
  Il relativo bando di concorso è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale concorsi ed esami n. 90 del 15 novembre 2016. Successivamente, nella Gazzetta Ufficiale – IV serie speciale concorsi ed esami – del 31 gennaio scorso, è stato pubblicato il diario della prova preselettiva che si terrà dal 29 maggio al 12 giugno prossimi.
  Questo concorso consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano operativo che su quello funzionale. Si rammenta, infatti, che l'età media degli idonei del concorso a 814 posti risulta essere superiore a 36 anni.
  Nelle more dell'ultimazione di tale procedura concorsuale, l'amministrazione dell'interno continuerà, ovviamente, ad utilizzare la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti ancora in vigore, come già detto, fino al 31 dicembre 2017.
  Quanto alla procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari indetta nell'agosto del 2007, si informa che la relativa graduatoria è andata esaurita per effetto dell'assunzione di tutti i candidati utilmente collocati, ad eccezione di 4 unità che, all'atto della convocazione, hanno presentato idoneo certificato medico e potranno essere assunte nei prossimi mesi previo superamento della visita medica e delle prove di accertamento del mantenimento dell'idoneità motoria.
  Con riferimento al ripianamento della carenza di organico del Corpo nazionale, si rappresenta che i Governi di questa legislatura, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, hanno dedicato una particolare attenzione al tema.
  Ciò è testimoniato dalle iniziative legislative (decreti legge n. 101/2013, n. 90/2014 e n. 113/2016) che hanno consentito di potenziare l'organico teorico di oltre 2.400 unità.
  Si segnala, inoltre che, a decorrere dal 2016, il turn over è stato ripristinato nella sua totalità dopo oltre un decennio di blocco parziale legato alle varie manovre di contenimento della spesa pubblica. In sostanza, mentre, ad esempio, ancora nell'anno 2015 il turn over era pari al 55 per cento delle cessazioni dal servizio nell'anno 2014, dall'anno scorso detta percentuale è tornata al 100 per cento delle cessazioni.
  L'insieme di tali misure ha permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 848 unità nella qualifica di vigile del fuoco, la cui assunzione in servizio avverrà alla fine del corso di formazione, attualmente in via di svolgimento.
  Ulteriori assunzioni saranno possibili facendo leva sulle risorse del Fondo per il pubblico impiego istituito con la legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017). Come noto, quota parte di tale fondo è destinato ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente, nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, ivi compreso il corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In conclusione, si assicura che il Ministero dell'interno continuerà a dedicare la massima attenzione alla problematica della carenza di organico del corpo nazionale, fermo restando che ogni ulteriore iniziativa è rimessa alla volontà del Parlamento, che dovrà farsi carico anche di reperire le necessarie coperture finanziarie.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LA RUSSA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a partire dai primi anni settanta vi è sempre stata una attiva collaborazione tra il Governo italiano e quello maltese, prima nel settore dell'assistenza tecnico militare e poi più specificatamente in quello della difesa;
   in forza di un accordo sottoscritto nel 1981 tra i due Governi furono istituite la Delegazione italiana di assistenza tecnico militare (DIATM) e la Missione italiana di cooperazione tecnica a Malta (MICTM) con il compito di addestrare volontari da inserire nelle forze armate e di polizia maltesi, e di realizzare opere di genio civile;
   nel 1988 in seguito alla firma di un nuovo memorandum di intesa tra il Ministero degli esteri maltese e il Ministero della difesa italiano è stata istituita la Missione italiana di assistenza tecnico militare (MIATM) maggiormente incentrata sulla formazione del personale sia dell'aeronautica, sia delle forze armate di terra;
   dal 2011 la cooperazione tra i due Paesi ha, infine, assunto una nuova connotazione, con il passaggio dall'assistenza tecnico-militare alla collaborazione nel settore della difesa, sancito dalla costituzione della Missione italiana di collaborazione nel campo della difesa (MICCD);
   attualmente la MICCD si compone di oltre venti militari appartenenti all'Esercito, alla Marina, all'Aeronautica, ed al Corpo delle capitanerie di porto, e fornisce il supporto di risorse specialistiche di uomini e mezzi nei settori dell'addestramento delle forze armate e del servizio di ricerca e soccorso, nonché nella realizzazione di infrastrutture e opere pubbliche;
   da notizie in possesso dell'interrogante sembrerebbe che la base italiana a Malta sia in procinto di essere chiusa;
   l'attività svolta dalle Forze armate italiane nell'ambito della collaborazione con le autorità maltesi è sempre stata di notevole importanza sia sotto il profilo strettamente tecnico sia sotto quello politico, e in particolar modo oggi, con i pesanti rischi legati al terrorismo internazionale che affliggono l'Europa appare opportuno mantenere l'operatività della base italiana a Malta –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e, se del caso, non ritenga di rivedere tale decisione soprattutto alla luce dei mutati scenari geopolitici internazionali. (4-12203)

  Risposta. — La Missione italiana di collaborazione nel campo della difesa (Miccd) di Malta, che al momento ha un organico di 19 militari, è attualmente interessata da un processo di rimodulazione organica in senso riduttivo, che non comporterà comunque una cessazione delle sue attività, consentendo di mantenere una presenza nazionale sull'isola e lo svolgimento delle attività di cooperazione concordate bilateralmente.
  Nel merito dei quesiti posti con l'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta che a Malta non è presente una base italiana: la Miccd è ospitata all'interno di una caserma delle forze armate maltesi, come previsto dal Memorandum d'intesa tra il Governo della Repubblica italiana ed il Governo della Repubblica di Malta sulla collaborazione nel campo della difesa attualmente in vigore.
  Ciò detto, la riconfigurazione della missione deriva dalla riduzione dei compiti assegnati, conseguente al ripiegamento della componente elicotteristica italiana che avrà luogo a partire dal 1o gennaio 2017.
  Infatti, con l'acquisizione da parte maltese di capacità autonome nel settore del Search and Rescue (Sar), attività attualmente svolta dalla missione italiana con assetti elicotteristici nazionali ed equipaggi misti italo-maltesi, sarà possibile il rientro in Patria di tali assetti e la conseguente riduzione dei nostri compiti, determinando – a partire dal 1o gennaio 2017 – una rimodulazione della Miccd su n. 2 Ufficiali.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaDomenico Rossi.


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Federazione nazionale coordinamenti vigili del fuoco ha evidenziato che il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a seguito dell'approvazione delle norme recanti le disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), non avrebbe ottenuto alcun potenziamento degli organici e non avrebbe ottenuto nemmeno stanziamenti destinati ad assumere nuove unità, ma si sarebbe provveduto a finanziare assunzioni extra turn over rimodulando il capitolato di spesa destinato al personale volontario utilizzando un fondo già in seno all'amministrazione stessa;
   attualmente, secondo la Federazione, l'unica certezza è data dalle 600 unità con fondi già disponibili stabiliti dall'ultima tranche derivante dall'assunzione di 1000 unità vigili del fuoco ai sensi del decreto-legge 24 giugno 2014 n. 90, convertito dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, e dall'anticipo del turn over 2014 e 2015 in vista del Giubileo straordinario della misericordia di 355 unità derivante dal decreto-legge 78 del 2015 (decreto enti locali), i cui rispettivi corsi di formazione sono partiti il 7 settembre di 600 unità, 9 dicembre di 250 unità e 21 dicembre 2015 con 105 unità;
   la Federazione segnala, inoltre, che, considerando la massiccia ondata di pensionamenti, prevista del prossimo triennio e l'anticipo delle 355 unità, di cui 250 da assumere come era previsto nel 2016, si possa verificare un vuoto di assunzioni, come già avvenuto nel 2012, quando il Corpo nazionale dei vigili del fuoco fu quasi al collasso;
   ad oggi esisterebbe, dai dati forniti, la possibilità di utilizzare circa 4000 unità tra gli idonei al concorso pubblico, per 814 posti, e la graduatoria di stabilizzazione del personale volontario approvata con decreto ministeriale 1996 del 2008 valida fino al 31 dicembre 2016;
   sembrerebbe opportuno, a parere della Federazione, provvedere ad un «potenziamento preventivo» nel breve periodo, che, in termini di assunzioni, permetterebbe di non gravare ulteriormente sulla cronica carenza in organico nella figura di vigile permanente, che sta causando a numerose sedi di servizio ed al relativo personale, enormi problemi nell'allestire un'adeguata attività di soccorso tecnico urgente;
   inoltre, è parere dell'interrogante che si possa prevedere una proroga che permetta alle attuali graduatorie di continuare lo scorrimento anche nell'anno 2017, dando una risposta soddisfacente al personale discontinuo e civile collocato al proprio interno, pensando anche ad uno «scorrimento parallelo», con la nuova procedura concorsuale in itinere, autorizzata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 dicembre 2015, il cui iter concorsuale durerà diversi mesi –:
   a che punto sia l’iter di trasformazione delle unità derivanti dal concorso a vice ispettore antincendio in vigile del fuoco per un complessivo di 300 unità extra, che la Federazione sostiene sia stato decretato agli inizi del 2015;
   se non ritenga necessario, per far fronte alle carenze di organico del Corpo, assumere iniziative per prorogare al 2017 lo scorrimento delle attuali graduatorie degli idonei al concorso pubblico, per 814 posti, e la graduatoria di stabilizzazione del personale volontario approvata con decreto ministeriale 1996 del 2008 valida fino al 31 dicembre 2016. (4-12278)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto viene chiesta l'adozione di iniziative per assicurare l'assunzione di tutti gli idonei del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco, indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008, al fine di colmare la carenza di organico del corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In proposito, si fa presente che la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco è stata più volte prorogata per esigenze di contenimento della spesa pubblica, in deroga a quanto previsto dall'articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 165/2001.
  Da ultimo, l'articolo 1, comma 368, della legge di bilancio 2017 (legge n. 232/2016) ha prorogato la graduatoria fino al 31 dicembre 2017.
  Si rappresenta, inoltre, che in ragione delle assunzioni effettuate nel corso degli anni, la graduatoria del concorso in parola ha visto uno scorrimento di circa 4500 idonei a fronte di un concorso bandito per 814 posti. Questi numeri costituiscono un'importante risposta alle aspettative dei circa 7.600 idonei del concorso medesimo.
  Giova ricordare poi che, a distanza di quasi otto anni dal concorso a 814 posti, l'Amministrazione dell'interno è stata autorizzata a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica.
  Il relativo bando di concorso è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale concorsi ed esami n. 90 del 15 novembre 2016. Successivamente, nella Gazzetta Ufficiale – IV serie speciale concorsi ed esami – del 31 gennaio scorso, è stato pubblicato il diario della prova preselettiva che si terrà dal 29 maggio al 12 giugno prossimi.
  Questo concorso consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano operativo che su quello funzionale. Si rammenta, infatti, che l'età media degli idonei del concorso a 814 posti risulta essere superiore a 36 anni.
  Nelle more dell'ultimazione di tale procedura concorsuale, l'amministrazione dell'interno continuerà, ovviamente, ad utilizzare la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti ancora in vigore, come già detto, fino al 31 dicembre 2017.
  Quanto alla procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari indetta nell'agosto del 2007, si informa che la relativa graduatoria è andata esaurita per effetto dell'assunzione di tutti i candidati utilmente collocati, ad eccezione di 4 unità che, all'atto della convocazione, hanno presentato idoneo certificato medico e potranno essere assunte nei prossimi mesi previo superamento della visita medica e delle prove di accertamento del mantenimento dell'idoneità motoria.
  Con riferimento al ripianamento della carenza di organico del corpo nazionale, si rappresenta che i Governi di questa legislatura, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, hanno dedicato una particolare attenzione al tema.
  Ciò è testimoniato dalle iniziative legislative (decreti-legge n. 101/2013, n. 90/2014 e n. 113/2016) che hanno consentito di potenziare l'organico teorico di oltre 2.400 unità.
  Si segnala, inoltre che, a decorrere dal 2016, il turn over è stato ripristinato nella sua totalità dopo oltre un decennio di blocco parziale legato alle varie manovre di contenimento della spesa pubblica. In sostanza, mentre, ad esempio, ancora nell'anno 2015 il turn over era pari al 55 per cento delle cessazioni dal servizio nell'anno 2014, dall'anno scorso detta percentuale è tornata al 100 per cento delle cessazioni.
  L'insieme di tali misure ha permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 848 unità nella qualifica di vigile del fuoco, la cui assunzione in servizio avverrà alla fine del corso di formazione, attualmente in via di svolgimento.
  Ulteriori assunzioni saranno possibili facendo leva sulle risorse del Fondo per il pubblico impiego istituito con la legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017). Come noto, quota parte di tale fondo è destinato ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente, nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, ivi compreso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In conclusione, si assicura che il Ministero dell'interno continuerà a dedicare la massima attenzione alla problematica della carenza di organico del Corpo nazionale, fermo restando che ogni ulteriore iniziativa è rimessa alla volontà del Parlamento, che dovrà farsi carico anche di reperire le necessarie coperture finanziarie.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LIUZZI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti stampa (La Nuova – 10 marzo 2016) che il 9 marzo 2016 intorno alle ore 12,00, gli abitanti della zona compresa tra le province di Taranto e Matera, hanno avvertito un doppio boato che ha fortemente spaventato la popolazione;
   i cittadini della provincia di Matera (Pomarico, Miglionico, Montescaglioso e Ferrandina) che hanno avvertito distintamente i due rimbombi, hanno contattato il corpo dei vigili del fuoco esprimendo una forte preoccupazione e chiedendo spiegazioni sul fenomeno avvertito;
   risulta, sempre da fonti stampa, che contemporaneamente nello stesso circondario è scoppiato un incendio nel comune di Santa Maria D'Irsi di cui pare sia stata esclusa la correlazione con il boato;
   il Centro nazionale terremoti (Ingv) non ha rilevato nella zona interessata ai boati alcuna scossa di terremoto;
   il giorno 10 marzo 2016 la stampa locale ha ipotizzato come causa dei boati «un boom sonico generato dal passaggio ravvicinato di due jet militari. Tecnicamente è stato il suono prodotto dall'onda d'urto generata da un oggetto quando questo si muove in un fluido con velocità superiore a quella del suono. Un boato sonico viaggia attraverso l'aria quindi arriva in diversi luoghi in diversi momenti» (La Nuova – 10 marzo 2016);
   lo stesso giorno, l'Osservatorio ambientale del comune di Montescaglioso (MT) ha presentato una richiesta formale di chiarimenti sulle cause dei boati registrati il 9 marzo 2016, indirizzata al presidente della regione Basilicata, all'assessore all'ambiente, al sindaco di Montescaglioso (MT) e alla stazione locale dei carabinieri;
   l'Osservatorio ambientale del comune di Montescaglioso (MT), oltre a segnalare i fatti prima citati, ha evidenziato nell'atto «che la zona indicata è oggetto di ben due richieste di screening per la ricerca di idrocarburi denominate rispettivamente “il perito” e “La capriola”; in data 16 novembre 2015 i sottoscritti avevano presentato una richiesta indirizzata al Consiglio Regionale di Basilicata, al Sindaco di Montescaglioso per avere chiarimenti su episodi simili registrati in quel periodo»; «alla richiesta presentata in data 16 novembre 2015 erano state date solo risposte non ufficiali che attribuivano la causa dei boati al passaggio di un aereo che aveva superato il muro del suono o allo spurgo di una condotta del gas»;
   i componenti dell'Osservatorio ambientale hanno altresì richiesto agli enti destinatari della segnalazione di attivarsi indipendentemente dal fatto che gli episodi registrati il 9 marzo 2016 siano legati ad attività estrattive;
   nella zona del metapontino, come da notizie stampa, si erano già registrati dei boati nel 2013 e, successivamente, nell'ottobre 2015 che irrompevano nella quiete pubblica provocando paura e sgomento;
   sullo stesso tema, il 15 ottobre 2015, il Ministro della difesa rispondeva ad un'interrogazione in Commissione (n. 5-00076) del deputato Giovanni Burtone, nella quale si evidenziava il fatto che non vi fossero risposte ufficiali che spiegassero in modo chiaro ed esaustivo i boati improvvisi avvertiti dalla popolazione del metapontino. Come allora, anche il giorno 10 marzo 2016 la stampa ha ipotizzato potessero essere fragori legati alle esercitazioni militari in aria;
   il Ministro rispondeva dicendo che «non disponendo di elementi più dettagliati circa il luogo, il giorno e l'ora degli eventi cui fa riferimento l'Onorevole interrogante» non era possibile dare una risposta esaustiva e specificava che «All'interno di tale area si svolge regolarmente attività di volo a quote superiori ai 35000 ft (circa 12.000 metri) che sono, generalmente, sufficienti ad evitare le conseguenze connesse a “bang sonici”»;
   i fatti citati in premessa, confermati delle numerose testimonianze degli abitanti della provincia di Matera, necessitano di elementi dettagliati circa il luogo, il giorno e l'ora per formulare una risposta ufficiale che spieghi il fenomeno –:
   se sia a conoscenza di fatti sopra citati;
   quali siano l'origine, l'entità e le conseguenze dei boati e se intenda formulare una risposta ufficiale ed esauriente da offrire alla popolazione della zona interessata al fenomeno citato in premessa;
   se intenda porre in essere tutte le iniziative di competenza necessarie volte alla salvaguardia dei cittadini, affinché il caso in questione non si ripeta in futuro. (4-13900)

  Risposta. — Nell'esprimere, in primo luogo, il mio sentito rincrescimento per gli episodi accaduti, non si può non condividere il sentimento di preoccupazione degli abitanti della zona interessata dal fenomeno.
  Nel merito delle questioni rappresentate, lo Stato maggiore dell'aeronautica ha comunicato che i boati avvertiti dalla popolazione nelle circostanze di tempo e di luogo indicate, sono riconducibili a due attività di volo effettuate il 9 e il 10 marzo 2017.
  Le esercitazioni sono state condotte in aderenza alle norme e alle procedure previste, con riferimento, soprattutto, alla quota minima al di sopra della quale possono essere svolti i voli supersonici.
  Nel corso di queste attività, gli assetti aerei hanno superato il muro del suono per circa 1 minuto complessivo, ma sempre a quote ben superiori al livello di volo consentito, circa 12.000 metri.
  In particolare, le esercitazioni adibite ad attività supersonica che prevedono, in questo caso, il sorvolo delle aree comprese tra le regioni Puglia, Calabria e Basilicata, sono compiutamente disciplinate e regolamentate dalla direttiva di forza armata «Regole del volo per il traffico aereo operativo».
  L'utilizzo di tali spazi aerei è programmato dall'aeronautica militare giornalmente e ogni pianificazione viene comunicata anche alle competenti autorità dell'aviazione civile che devono conoscere l'entità del traffico aereo militare e i dettagli del piano di volo, sia per esigenze organizzative che di sicurezza.
  Quanto all'opportunità di avviare «iniziative» volte alla «salvaguardia dei cittadini», si precisa che l'attività supersonica condotta ai fini dell'addestramento – e non, quindi, per esigenze reali di difesa aerea – prevede ben definiti limiti procedurali, temporali, geografici e di quota.
  Nello specifico, può essere svolta:

   nei soli giorni feriali, dalle ore 9.00 alle ore 20.00;
   sotto il controllo radar di una unità operativa della difesa aerea integrata;
   al di fuori dello spazio aereo della regione alpina e solo in specifiche aree;
   al di sopra di 36.000 piedi, corrispondenti a 12.000 metri circa.

  Eventuali violazioni, anche involontarie, sono oggetto di registrazione da parte dell'equipaggio sulla documentazione ufficiale relativa al volo e vengono tempestivamente notificate allo Stato Maggiore Aeronautica per le azioni di competenza.
  Si assicura che su tali aspetti vi è la massima attenzione, allo scopo di ridurre al minimo l'impatto sugli abitanti delle aree interessate da esercitazioni di volo e di evitare interferenze con il traffico civile.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaDomenico Rossi.


   LO MONTE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nei mesi scorsi, il Parlamento venezuelano ha decretato lo stato di emergenza sanitaria; una decisione che si attendeva da mesi, vista la mancanza cronica di medicine e nuovamente la presenza di malattie che erano state debellate dal Paese nel secolo scorso;
   malattie nuove, come il virus Zika; altre conosciute e bene o male controllate, come i virus del dengue e del chicunguya; e altre ancora debellate dal secolo scorso, come il paludismo, la scabbia, la tubercolosi e il «mal de Chaga» sono tutte patologie che oggi destano preoccupazione per la repentina diffusione;
   la mancanza di medicine sta mettendo seriamente in pericolo la vita dei venezuelani. Stando alle cifre offerte da Ferfaven (Federación de Farmacias de Venezuela), si stima in oltre il 60 per cento la mancanza di farmaci. Ma altre fonti offrono cifre ancora più drammatiche;
   la carenza di medicinali, stando a quanto affermano gli esperti, sarebbe la conseguenza logica del debito del Governo con i laboratori farmaceutici; un debito che sembrerebbe attestarsi attorno ai 3 mila milioni di dollari e che non permette ai laboratori d'importare le materie prime per la produzione di medicinali;
   è sempre più difficile per i venezuelani trovare una medicina in farmacia. Gli scaffali dei negozi delle grandi catene farmaceutiche, ma anche quelli delle piccole farmacie, sono pieni di bevande gassate, patatine fritte, a volte biscotti ma non medicine. Sono queste le grandi assenti. Mancano gli antidolorifici e gli antifebbrili per bambini, le pasticche per il dolore di testa e il mal di gola, i farmaci antiacidi e digestivi, gli sciroppi per la tosse;
   insomma, mancano le medicine più elementari e di uso comune. Ma non solo. Grandi assenti, nelle farmacie, sono anche gli antibiotici, gli antidepressivi, i farmaci antipertensivi e ipoglicemizzanti, gli anticoncezionali e le soluzioni per combattere l'aids;
   negli ospedali pubblici, la carenza cronica di medicamenti si è andata aggravando sempre di più: mancano i biochimici e i reagenti per i laboratori, le lastre per gli esami di radiologia, e le materie prime per gli esami di medicina nucleare;
   il servizio di cardiologia dell'ospedale universitario di Caracas ha denunciato recentemente il decesso di 13 malati per mancanza di materiale chirurgico e la morte di altri 42 infermi che, rimandati a casa, erano in attesa di un'operazione al cuore;
   il 13 febbraio 2016 anche il presidente della commissione «Giustizia e Pace» della Conferenza episcopale del Venezuela, monsignor Roberto Liickert León, arcivescovo di Coro, in un documento pubblicato in occasione della Giornata del malato ha denunciato: «Negli ultimi mesi si è intensificata in modo sistematico la mancanza di farmaci per tutti i tipi di malattie, ma soprattutto per il diabete, l'epilessia, l'Hiv, le malattie cardiovascolari, che ha già provocato la morte di molte persone, senza avere nessuna risposta dalle agenzie governative ... Allo stesso tempo la crisi dovuta alla carenza di cibo causa altre minacce per la salute della popolazione venezuelana tra cui: la malnutrizione per mancanza di apporto di nutrienti e vitamine, un basso indice glicemico incontrollato provocato dall'assenza di una dieta corretta, causa di una condizione mentale e sociale alterata che genera ansia, paura e angoscia ... la salute è un diritto umano, e non può essere sottomessa agli interessi ideologici di gruppi, enti o amministrazioni» –:
   quali iniziative i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere, anche in collaborazione con le autorità europee, al fine di intervenire con misure appropriate per diminuire o quantomeno ridurre le sofferenze del popolo venezuelano dovute alla mancanza di medicinali;
   quali iniziative, in collaborazione con le istituzioni europee, si possano intraprendere al fine di limitare e contenere la possibile crisi umanitaria e sanitaria che potrebbe valicare i confini del Venezuela. (4-13050)

  Risposta. — Il Venezuela sta attraversando una delle fasi più critiche della sua storia, che si ripercuote su una fascia di popolazione sempre più ampia, le cui condizioni economiche, sociali e sanitarie sono fortemente deteriorate.
  La Farnesina segue con molta attenzione l'evoluzione della grave situazione nel Paese sudamericano. Per poter intervenire con efficacia, ha rafforzato la capacità operativa delle sedi, inviando nel 2016 cinque unità di personale da Roma (tre al consolato generale a Caracas e due all'ambasciata). Il Ministro Alfano ha inoltre dato disposizioni affinché altre sei unità partano prossimamente e quattro impiegati siano assunti a contratto localmente. L'Ambasciata a Caracas agisce in stretto coordinamento con la nostra rete diplomatico-consolare nel Paese e con gli enti rappresentativi della collettività italiana, al fine di fornire adeguata comunicazione e assistenza ai connazionali e creare le condizioni per interventi tempestivi a loro tutela.
  Il Governo italiano si mantiene altresì in stretto raccordo con le Istituzioni europee, sia attraverso i gruppi di lavoro a Bruxelles, sia nel coordinamento della nostra Ambasciata a Caracas con la delegazione europea presente in loco e con le ambasciate dei Paesi partner, al fine di monitorare la situazione ed esercitare le opportune azioni di sensibilizzazione verso le Autorità nazionali.
  Per quanto concerne la grave penuria di medicinali, su istruzione della Farnesina l'ambasciatore italiano in Venezuela ha più volte rappresentato al Ministro degli affari esteri venezuelano, signora Delcy Rodriguez, la forte preoccupazione del Governo italiano per la situazione in loco, proponendo delle modalità operative per far pervenire dall'Italia alcuni medicinali essenziali ai nostri connazionali, in particolare agli anziani. Nonostante il parlamento venezuelano abbia emanato un decreto di stato d'emergenza, il ministro Rodriguez ha negato che nel paese vi sia un'emergenza sanitaria e ha aggiunto che, in caso di necessità, il Governo venezuelano potrebbe richiedere ad alcuni organismi internazionali, come la FAO e l'OMS, la fornitura dei farmaci mancanti.
  Le nostre istanze in materia di assistenza ai connazionali residenti in Venezuela sono state reiterate a luglio dello scorso anno dal Ministro degli esteri pro-tempore Gentiloni alla sua omologa Delcy Rodriguez e lo scorso ottobre dal sottoscritto durante una missione a Caracas. La signora Rodriguez, sensibilizzata sulla necessità che i nostri connazionali possano ricevere i medicinali di cui necessitano, si era personalmente impegnata a sopperire alle esigenze della collettività e le era stata consegnata una lista di medicinali indispensabili e urgenti che tuttavia non sono mai stati distribuiti. Non ha inoltre avuto maggior fortuna la disponibilità manifestata dalla Farnesina ad alleviare, tramite le Nazioni Unite, la situazione di scarsità nel paese di beni di prima necessità.
  Si assicura che la Farnesina, anche sulla base dell'impulso ricevuto dal Parlamento, assume ogni iniziativa utile ad ottenere dal Governo venezuelano un atteggiamento costruttivo per superare la situazione critica in cui versa il Paese; è altresì impegnata, insieme all'Ambasciata d'Italia a Caracas, a cercare di alleviare la presente crisi connessa alla mancanza di medicinali e di generi alimentari di prima necessità, il cui afflusso è tuttavia necessariamente subordinato all'autorizzazione del governo venezuelano.
  Continua pertanto la costante pressione sulle autorità venezuelane affinché acconsentano all'invio di forniture d'emergenza che il Governo italiano è disposto da tempo a far pervenire alla comunità italiana ivi residente.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 6 ottobre è stato pubblicato il rapporto della CEPEJ per l'anno 2014, relativo all'analisi dei dati quantitativi e qualitativi raccolti nei 45 Stati del Consiglio d'Europa e Israele, sui bilanci dei sistemi giudiziari, professionisti della giustizia, sull'organizzazione dei sistemi giudiziari e sull'efficienza e sulla qualità del servizio pubblico della giustizia;
   i dati trasmessi dal Governo italiano, relativi ai giudici di pace e ai giudici onorari di tribunale sono errati, quelli sui vice procuratori onorari incompleti: diversi da quelli predisposti nel 2014 dal Ministero della giustizia;
   alla Commissione, che distingue tra giudici professionali, a tempo parziale, a tempo pieno e occasionale, e giudici non professionali, il Governo ha fornito dati errati:
    1) classificando i giudici di pace e i giudici onorari di tribunale come giudici non professionali;
    2) indicando un numero dei giudici di pace e dei giudici onorari di tribunale inferiore a quello esistente: 3.068 contro i 4.029;
    3) omettendo di comunicare il numero degli altri giudici non di ruolo in servizio (esperti di sorveglianza, componenti degli organi giudiziari per i minorenni in primo e secondo grado – oltre 1.500 nel 2014, secondo il Consiglio superiore della magistratura – e i giudici delle commissioni tributarie);
   tale errata rappresentazione di fatto ha occultato l'esistenza di una magistratura precaria, priva di tutela sociale e sottopagata, e ha di conseguenza impedito alla Cepej di valutare anche il grado di indipendenza dei giudici falsamente etichettati come onorari, in base al loro trattamento economico (valutazione che la Cepej non opera sui magistrati non professionali, in quanto non svolgono in via prevalente le funzioni di giudice e traggono il proprio reddito da altri lavori);
   il Governo ha omesso di comunicare che nel 2014 i vice procuratori onorari erano 1.776 (come indicato nella stessa relazione al disegno di legge per la legge n. 57 del 2016), e che essi sono impiegati in rappresentanza del pubblico ministero nell'80 per cento dei processi penali di primo grado davanti al tribunale e nel 100 per cento dei processi penali davanti al giudice di pace, impedendo alla Cepej di misurare l'impatto del loro impiego sul carico di lavoro particolarmente oneroso dei pubblici ministeri di carriera (2.108, nel 2014 – dati CSM), di fatto nuovamente omettendo di rappresentare la natura precaria di una parte di magistrati professionali;
   il Movimento Sei Luglio ricorda che la violazione dei diritti dei magistrati onorari è oggetto di procedimenti in corso alla Commissione europea e al Comitato europeo dei diritti sociali e all'esame del Parlamento europeo. Per contrastare l'invio errato del Governo, Movimento Sei Luglio sta mettendo a punto denunce integrative per consentire agli organi europei di vigilare correttamente e ammonire l'Italia, affinché applichi la normativa europea –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e se non ritenga opportuno intervenire affinché venga inviata tempestivamente alla Cepej la documentazione corretta predisposta dal Ministero della giustizia;
   se non consideri urgente assumere iniziative affinché sia applicata compiutamente la normativa europea relativa all'impiego della magistratura cosiddetta onoraria estendendo a questa categoria gli stessi diritti e le stesse garanzie dei magistrati di ruolo. (4-14581)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in discussione, gli interroganti lamentano la incompletezza e la erroneità dei dati forniti dal Governo italiano ai fini della redazione del rapporto CEPEJ per l'anno 2014, relativo all'analisi dei flussi quantitativi e qualitativi raccolti nei 45 Stati del Consiglio d'Europa e Israele, sui bilanci dei sistemi giudiziari, sui professionisti della giustizia, sull'organizzazione dei sistemi giudiziari e sull'efficienza e sulla qualità del servizio pubblico della giustizia.
  In particolare, secondo gli interroganti, le anomalie avrebbero ad oggetto le statistiche relative ai magistrati onorari in servizio (giudici onorari di tribunale, vice procuratori onorari, giudici di pace) e la erronea classificazione dei giudici di pace e dei giudici onorari di tribunale come giudici non professionali.
  Tale errata rappresentazione di fatto avrebbe comportato – secondo la prospettazione offerta – l'occultamento della esistenza di una magistratura precaria, priva di tutela sociale e sottopagata, con conseguente ostacolo frapposto alla esatta comprensione, da parte della Commissione europea, del grado di indipendenza dei giudici onorari, anche in base al loro trattamento economico.
  Si evidenzia, al riguardo, come la violazione dei diritti dei magistrati onorari sia oggetto di procedimenti in corso dinanzi alla Commissione europea ed al comitato europeo dei diritti sociali e sia, altresì, all'esame del Parlamento europeo.
  Chiedono, pertanto, se il Governo non intenda emendare i rappresentati errori di trasmissione e se non consideri urgente intervenire al fine di estendere ai magistrati onorari «gli stessi diritti e le stesse garanzie dei magistrati di ruolo».
  La questione della magistratura onoraria è all'attenzione prioritaria del mio Dicastero, in considerazione del fondamentale e prezioso apporto che essa assicura al funzionamento degli uffici e, in generale, all'amministrazione della giustizia.
  L'esigenza di rafforzamento delle tutele e delle garanzie della magistratura onoraria è da tempo avvertita dal Governo e, proprio al fine di rispondere adeguatamente a tale esigenza, è stata emanata la legge delega n. 57 del 2016.
  Le direttrici fondamentali ivi declinate sono le seguenti: statuto unico della magistratura onoraria; rideterminazione del ruolo e delle funzioni dei giudici onorari e dei vice procuratori onorari, anche delegabili dal magistrato professionale; regolamentazione dei compensi; articolazione di un regime previdenziale e assistenziale adeguato in ragione dell'onorari età dell'incarico; disciplina di un regime transitorio per i magistrati onorari in servizio alla data della riforma apportata con i provvedimenti delegati; previsione dell'intrinseca temporaneità dell'incarico, che costituisce elemento costituzionalmente necessario in ragione della natura onoraria dell'ufficio.
  La legge delega intende, inoltre, assicurare alla magistratura onoraria un complesso di tutele atto a garantire il rispetto delle indicazioni fornite dalla Commissione europea, salvaguardando effetto utile delle direttive europee sul lavoro a tempo parziale e determinato, sulla sicurezza e sulla salute sul lavoro.
  In particolare, la legge delega fa carico al legislatore delegato di predisporre una disciplina transitoria «per i magistrati onorari in servizio al momento di entrata in vigore del decreto legislativo ovvero dell'ultimo dei decreti legislativi emanati in attuazione della delega».
  In considerazione dei delicati profili, anche di rilievo costituzionale, che l'esercizio della delega comporta, ho recentemente rivolto la seguente richiesta di parere al Consiglio di Stato: «se, in sede di attuazione dei citati criteri di delega in materia di disciplina transitoria, si possano predisporre – quanto meno relativamente a coloro che alla scadenza dei quattro quadrienni previsti dal citato comma 17 dell'articolo 2 raggiungeranno un'età effettivamente incompatibile con un nuovo inserimento nel mercato del lavoro – misure di stabilizzazione con attribuzione dello statuto del pubblico impiegato».
  Si tratta, dunque, di comprendere se siffatte misure siano, per un verso, compatibili con le finalità e la ratio della legge delega e, per l'altro, se e in quali limiti siano conciliabili con il complessivo assetto dell'ordinamento interno, delineato, in primo luogo, dai principi costituzionali di cui agli articoli 106, primo comma, e 97, ultimo comma, Costituzione.
  È stata, inoltre, avviata una interlocuzione con la Commissione europea, finalizzata a verificare, anche in quella sede, tutti i profili di compatibilità delle soluzioni normative praticabili con Passetto sovranazionale.
  Il 15 febbraio 2017, raccogliendone le istanze, ho incontrato una delegazione di procuratori della Repubblica, alla presenza di rappresentanti del Consiglio superiore della Magistratura e dell'Associazione nazionale magistrati, al fine di ricevere contributi e proposte, finalizzate all'adozione di misure che tengano in considerazione sia le aspettative dei magistrati onorari attualmente in servizio, sia le esigenze di funzionalità degli uffici giudiziari.
  In quella sede, ho rappresentato la più ampia apertura del Governo ad esplorare la possibilità di stabilizzazione dei magistrati onorari, che da tempo prestano il loro servizio in favore dello Stato, invitando anche l'A.N.M. ad esprimere le proprie valutazioni sulle soluzioni prospettate.
  Il Governo, pertanto, è impegnato nel definire uno statuto adeguato per la magistratura onoraria, in attuazione della legge delega n. 57 del 2016, ma non trascurando la valutazione delle esigenze di quanti, tra i magistrati onorari, prestano servizio da lungo tempo, in forza delle ripetute proroghe di legge sinora succedutesi.
  Con riferimento, infine, alla congruenza dei dati relativi alla magistratura onoraria, trasmessi dal Governo ai fini della predisposizione del rapporto Cepej per l'anno 2014, la competente articolazione del mio Dicastero ha evidenziato come gli stessi siano stati forniti nel rispetto delle istruzioni della Commissione europea che, alla domanda n. 49 del questionario, prescrivono di qualificare « non-professional judge» tutte le tipologie di magistrati che non rientrano strettamente nel ruolo della magistratura ordinaria.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 28 gennaio 2017, gli «idonei del concorso pubblico per 814 vigili del fuoco» hanno inviato una lettera a deputati e senatori in relazione all'esigenza di «provvedere in tempi celeri alla grave carenza di organico inerente il Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco, evidenziata ancor di più dagli ultimi eventi calamitosi»;
   si ricorda che, con la legge di bilancio 2017 e il successivo decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244 è stata garantita la proroga al 31 dicembre 2017 della graduatoria del concorso a 814 posti nel ruolo di vigile del fuoco bandito nel 2008;
   il 25 gennaio 2017 il Presidente del Consiglio ha riferito al Senato che il Governo sta lavorando ad un decreto sulla gestione delle calamità naturali «per fronteggiare le emergenze, le risorse ci sono: ci sono 4 miliardi nella legge di bilancio», prevedendone anche altre;
   in virtù degli impegni presi dal Governo, gli «idonei del concorso pubblico per 814 vigili del fuoco» sollecitano ad aumentare i fondi per coprire la dotazione organica dei vigili del fuoco, come dichiarato in Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati anche dal capo dipartimento del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, Bruno Frattasi, secondo il quale l'attuale carenza di personale operativo, comprendente anche una parte di personale non idoneo al servizio tecnico urgente, si aggira attorno alle 3.000 unità;
   questa carenza potrebbe quindi essere colmata (data la coincidenza dei numeri) con l'esaurimento della graduatoria per 814 vigili del fuoco che in questo momento contiene circa 3.500 idonei, tra i quali sono presenti i discontinui e volontari facenti già parte del Corpo nazionale dei vigili del fuoco (quindi personale con delle esperienze già acquisite) ai quali è stata garantita una riserva del 25 per cento dei posti banditi;
   inoltre, l'età media del personale attualmente in servizio è di 47 anni e, quindi, secondo il gruppo degli idonei, questa carenza potrebbe essere colmata con l'esaurimento della graduatoria, che comprende persone con età media di 32 anni;
   nel novembre 2016 il Governo ha indetto un nuovo bando di concorso pubblico a 250 posti per la qualifica di vigile del fuoco per il quale la prevedibile massiccia partecipazione di candidati rischia di provocare un iter concorsuale con tempistiche molto lunghe, che molto probabilmente produrrà un nuovo bacino assunzionale non prima della fine del 2018: la graduatoria al concorso pubblico 814, quindi, risulta essere l'unico bacino disponibile per colmare la grave carenza di organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco –:
   se il Governo, per garantire gli interventi di soccorso nei territori duramente colpiti dagli eventi calamitosi degli ultimi mesi, non ritenga opportuno intervenire in tempi brevi, con iniziative anche normative, affinché sia colmata la grave carenza di organico inerente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco e sia esaurita la graduatoria del concorso a 814 posti nel ruolo di vigile del fuoco bandito nel 2008. (4-15407)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto viene chiesta l'adozione di iniziative per assicurare l'assunzione di tutti gli idonei del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco, indetto con decreto ministeriale n. 5140 del 6 novembre 2008, anche al fine di colmare la grave carenza di organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In proposito, si fa presente che la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco è stata più volte prorogata per esigenze di contenimento della spesa pubblica, in deroga a quanto previsto dall'articolo 35, comma 5-ter, del decreto legislativo n. 165/2001.
  Da ultimo, l'articolo 1, comma 368, della legge di bilancio 2017 (legge n. 232/2016) ha prorogato la graduatoria fino al 31 dicembre 2017.
  Si rappresenta, inoltre, che in ragione delle assunzioni effettuate nel corso degli anni, la graduatoria del concorso in parola ha visto uno scorrimento di circa 4500 idonei a fronte di un concorso bandito per 814 posti. Questi numeri costituiscono un'importante risposta alle aspettative dei circa 7.600 idonei del concorso medesimo.
  Giova ricordare poi che, a distanza di quasi otto anni dal concorso a 814 posti, l'Amministrazione dell'interno è stata autorizzata a bandire una nuova procedura selettiva per l'immissione di 250 giovani in tale qualifica.
  Il relativo bando di concorso è stato pubblicato nella Gazzetta Ufficiale concorsi ed esami n. 90 del 15 novembre 2016. Successivamente, nella Gazzetta Ufficiale – IV serie speciale concorsi ed esami – del 31 gennaio scorso, è stato pubblicato il diario della prova preselettiva che si terrà dal 29 maggio al 12 giugno prossimi.
  Questo concorso consentirà di incidere, attenuandolo, anche sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano operativo che su quello funzionale. Si rammenta, infatti, che l'età media degli idonei del concorso a 814 posti risulta essere superiore a 36 anni.
  Nelle more dell'ultimazione di tale procedura concorsuale, l'amministrazione dell'interno continuerà, ovviamente, ad utilizzare la graduatoria del concorso pubblico a 814 posti ancora in vigore, come già detto, fino al 31 dicembre 2017.
  Quanto al ripianamento della carenza di organico del corpo nazionale, si rappresenta che i Governi di questa legislatura, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, hanno dedicato una particolare attenzione al tema.
  Ciò è testimoniato dalle iniziative legislative che hanno consentito:
   da un lato, di potenziare l'organico teorico di oltre 2.400 unità (si vedano i decreti-legge n. 101/2013, n. 90/2014 e n. 113/2016);
   dall'altro, di incrementare le presenze effettive presso le strutture dei vigili del fuoco (riguardo a quest'ultimo aspetto, si segnala il ripristino totale, a partire dal 2016, del turn over del personale del Corpo, dopo oltre un decennio di blocco parziale).

  L'insieme di tali misure ha permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 848 unità nella qualifica di vigile del fuoco, la cui assunzione in servizio avverrà alla fine del corso di formazione, attualmente in via di svolgimento.
  Ulteriori assunzioni saranno possibili facendo leva sulle risorse del fondo per il pubblico impiego istituito con la legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017). Come noto, quota parte di tale fondo è destinato ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente, nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, ivi compreso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  In conclusione, si assicura che il Ministero dell'interno continuerà a dedicare la massima attenzione alla problematica della carenza di organico del Corpo nazionale, fermo restando che ogni ulteriore iniziativa è rimessa alla volontà del Parlamento, che dovrà farsi carico anche di reperire le necessarie coperture finanziarie.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI, PASTORINO e PELLEGRINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 26 gennaio 2017 il direttore centrale dell'immigrazione e della polizia delle frontiere Giovanni Pinto ha inviato un telegramma alle questure italiane per «attività di contrasto dell'immigrazione clandestina» per procedere, d'intesa con l'ambasciata della Nigeria, al rimpatrio di cittadini nigeriani in posizione irregolare sul territorio italiano;
   nel testo viene spiegato che dal 26 al 18 febbraio 2017, nei Centri di identificazione ed espulsione di Roma, Torino, Brindisi e Caltanissetta vanno riservati 95 posti (50 donne e 45 uomini) per «sedicenti cittadini nigeriani rintracciati in posizione irregolare» che, in seguito alle «audizioni ai fini identificativi» da parte di responsabili dell'ambasciata, saranno poi rimpatriati con un volo charter in Nigeria. Audizioni che, a giudizio degli interroganti, per il poco tempo a disposizione per il raggiungimento dell'obiettivo, non verificheranno senz'altro le reali motivazioni ed esigenze dei cittadini nigeriani presenti in Italia, come ad esempio delle donne vittime di tratta. Oppure, essi non verranno informati in modo esaustivo e completo sulla procedura di richiesta della protezione internazionale;
   l'operazione ha precedenza assoluta e, se nei Centri di identificazione ed espulsione non c’è spazio, bisogna renderlo disponibile anche «mediante eventuali dimissioni anticipate» di altri irregolari che sono già trattenuti in quei centri, praticabili «nell'immediato e senza eccezione alcuna (...) sino a esaurimento delle aliquote assegnate»;
   affinché sia raggiunto il numero di 95 posti e garantita la riuscita dell'operazione «audizioni Nigeria febbraio 2017» e la successiva espulsione collettiva, il direttore dispone che vengano effettuati «mirati servizi finalizzati al rintraccio di cittadini nigeriani in posizione illegale»;
   il telegramma non spiega con quali modalità l'operazione dovrà essere svolta, ma parla di «intese» che le questure dovranno prendere con la direzione centrale. Si può ipotizzare, quindi, che in questo periodo i controlli si faranno più serrati e discriminanti nei luoghi di ritrovo della comunità e che riguarderanno ovviamente più persone nella speranza di individuare una o un nigeriano;
   quella che agli interroganti appare una frenetica e cinica «caccia» alla persona nigeriana, innescata dal telegramma ha il chiaro obiettivo di dimostrare che l'accordo con la Nigeria è utile e funziona, come secondo il Governo lo è quello firmato ad agosto con il Sudan e come lo saranno quelli che saranno firmati con altri Paesi africani come il Niger, Mali, Senegal ed Etiopia nel futuro, anche grazie alla proposta italiana alla Ue del Migration compact, che nasconde, dietro agli aiuti alla cooperazione e allo sviluppo, accordi con Paesi africani per la regolamentazione dei flussi che, con le azioni di espulsione collettiva fatte sulla base della nazionalità, quindi discriminatorie e che non valutano caso per caso ogni persona, sono secondo gli interroganti in palese contrasto con i diritti umani e la legge italiana;
   l'operazione «audizioni Nigeria febbraio 2017», attivata con il telegramma di Pinto, vuole anche essere da rafforzativo al «mantra» sull'utilità dei Centri di identificazione ed espulsione e sulla necessità di aprirne altri, tante volte ribadito dal Ministro dell'interno e, dare un segnale di serietà alla tanto sbandierata «fermezza» da parte del Governo che, proprio per questo, esegue dei veri e propri rastrellamenti, riempie un charter di 95 migranti calpestando i loro diritti e le disposizioni contenuti nella legge italiana, per rimpatriarli in Nigeria, uno Stato dove le atrocità commesse dall'organizzazione terroristica jihadista sunnita Boko Haram dovrebbe automaticamente dare a qualunque cittadino nigeriano il diritto di asilo, specie alle donne vittime di tratta;
   il contenuto del telegramma diramato, ad avviso degli interroganti, si pone in contrasto con:
    norme interne e internazionali ed è suscettibile di impegnare la responsabilità, non solo politica ma anche giuridica (civile se non addirittura penale) del Ministero e quella personale del funzionario che l'ha sottoscritta;
    il diritto alla protezione internazionale e il principio di non refoulement di cui alla Convenzione di Ginevra del 1951 sulla protezione dei rifugiati e all'articolo 10, comma 3, della Costituzione;
    gli articoli 2, 19, comma 1, e 13 del testo unico immigrazione, con particolare riferimento alla obbligatoria tutela dei diritti umani fondamentali, al divieto di espulsioni collettive, alla decisione motivata caso per caso delle misure espulsive, al divieto di rimpatriare cittadini stranieri verso Paesi in cui sia messa in pericolo la loro incolumità –:
   se il Governo sia a conoscenza di tutti i particolari descritti in premessa e se non ritenga di fornire ogni utile elemento riguardo all'operazione «audizioni Nigeria febbraio 2017», chiarendo in che termini sia sovrapponibile alle attuali politiche di gestione dei flussi migratori e se preveda di programmare operazioni di questo tipo nel prossimo futuro;
   se non si ritenga opportuno interrompere immediatamente l'operazione suddetta, ad avviso degli interroganti fortemente in contrasto con i diritti interni e internazionali e la legge. (4-15462)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante chiede chiarimenti in merito al telegramma avente ad oggetto l'attività di contrasto dell'immigrazione irregolare, diramato il 26 gennaio scorso dal direttore centrale dell'immigrazione e della Polizia delle frontiere. In particolare, chiede se non si ritenga opportuno interrompere immediatamente l'operazione di cui al telegramma medesimo.
  Il Ministero dell'interno dipartimento della pubblica sicurezza, al fine di dare effettività alla politica di rimpatrio degli stranieri rintracciati sul territorio nazionale in posizione irregolare, cura l'organizzazione di attività propedeutiche al conseguimento del suddetto obiettivo.
  In tale contesto trova collocazione il telegramma del 26 gennaio 2017 inviato alle questure, allo scopo di procedere alle audizioni a fini identificativi di sedicenti cittadini nigeriani.
  È evidente, infatti, che per agevolare l'identificazione degli stranieri rimpatriabili, ancorché sprovvisti di documenti, sia necessario predisporre il preliminare rintraccio dei medesimi, al fine di programmare le necessarie interviste individuali curate dai funzionari delle rappresentanze consolari dei Paesi di presunta origine.
  Tale attività operativa (lungi dal poter essere ricondotta al concetto di espulsioni collettive) non pone mai in secondo piano l'indubbio dovere delle Autorità provinciali preposte di procedere all'adozione di provvedimenti di rimpatrio, valutati sempre individualmente, dopo l'accurato esame del singolo caso e nel totale rispetto dei diritti dell'individuo.
  La suddetta azione di indirizzo, da più di un decennio in uso, è finalizzata solo ad una razionale gestione dell'esigua disponibilità recettiva dei centri di identificazione ed espulsione, ora centri di permanenza per i rimpatri, coniugando l'esigenza di ottimizzazione delle risorse, in termini di uomini e di mezzi, posti a disposizione del dipartimento della pubblica sicurezza, e il dovere di economicità dell'azione amministrativa.
  In tali occasioni, l'allontanamento dal territorio nazionale è eseguito per mezzo, di voli charter opportunamente organizzati per lo più sotto l'egida di Frontex, ai quali intervengono, peraltro, altri Stati membri, organismi internazionali e monitor sia italiani che stranieri, in linea con quanto previsto sia da dispositivi di indirizzo dell'Unione europea (decisione 2004/573/CE del Consiglio dell'Unione europea, del 29 aprile 2004) che dal Trattato di Prum (articolo 23).
  Tali operazioni, pianificate con cadenza periodica, devono essere organizzate in anticipo rispetto alla data prevista per il volo, data la loro complessità dovuta all'intervento di più Stati.
  Le modalità operative appena descritte sono state seguite anche nel caso in questione.
  In tale contesto, il trattenimento negli ex centri di identificazione ed espulsione rappresenta lo strumento necessario a consentire l'identificazione e la conseguente emissione del titolo di viaggio dello straniero destinatario di una decisione di rimpatrio, quest'ultima adottata sempre, come detto, sulla base di una valutazione caso per caso. Il numero dei posti riservati è determinato in base alla ricettività di tali strutture, tenuto conto che per le donne è previsto un unico centro loro dedicato con la disponibilità di 125 posti che devono soddisfare le esigenze di tutto il territorio nazionale.
  Naturalmente, il diritto di richiedere protezione internazionale è sempre assicurato per tutti, sino al momento della partenza, come del resto è sempre prevista l'informazione sull'argomento all'interno delle strutture di trattenimento.
  Si soggiunge che il 20 febbraio scorso il dipartimento della pubblica sicurezza ha emanato una nuova circolare ai gestori per chiarire, nei termini appena esposti, l'esatta portata delle disposizioni contenute nel telegramma del 26 gennaio.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'11 gennaio 2017 il quotidiano on-line «Ravenna Notizie» ha pubblicato la notizia secondo la quale il 3 gennaio 2017 la società statunitense Aleanna Resources LLC, avrebbe presentato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una nuova istanza per l'avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale sul progetto di ricerca idrocarburi nell'area protetta «La Stefanina», in cui ricadono alcuni territori situati nei comuni di Ravenna, Alfonsine, Comacchio e Argenta. Le osservazioni devono essere presentate entro 60 giorni e all'esito positivo è subordinata l'autorizzazione;
   le esplorazioni nell'area Stefanina Nord coinvolgerebbero zone protette e naturali di immensa bellezza come le Valli del Mezzano, le valli di Comacchio e il parco regionale del Delta del Po, e siti con la potenziale presenza di almeno 66 specie di interesse comunitario e due habitat di interesse comunitario. Quelle, invece, nell'area Stefanina Sud riguarderebbero le zone protette «Valli di Comacchio» e «Biotopi di Alfonsine e del Fiume Reno», la Riserva Regionale di Alfonsine «Fascia boscata del canale dei Mulini», l'area contigua al parco del delta del Po e quella «Valli di Comacchio e Bonifica del Mezzano», con la potenziale presenza di almeno 67 specie di interesse comunitario;
   già in data 12 settembre 2016, la società Aleanna Resources presentò la medesima istanza, che però, come si apprende da fonti di stampa del 13 ottobre 2016, veniva sospesa da parte del Ministero per la carenza della documentazione necessaria;
   nell'articolo dell'11 gennaio si riferisce che, in caso di autorizzazione, «le attività di rilievo geofisico 3D si protrarrebbero per circa due mesi, sondando il terreno alla ricerca di idrocarburi mediante l'uso di camionette Vibroseis. Queste scuoterebbero il terreno inviando nel sottosuolo segnali (cioè onde elastiche) analizzandone la risposta, basandosi sullo stesso principio che sta alla base della tecnica per le prospezioni marine denominate «airgun». Vi sarebbero dunque, anche nelle aree protette, ben 26 linee «di vibrata» alla Stefanina Sud e altre 15 alla Stefanina Nord, a distanza di 500 metri ognuna nell'area nord e di 420 nell'area sud. In totale sarebbero circa 5.400 i punti di presa dati. Quando agissero le camionette, si sprigionerebbe una forza d'intensità pari a 10,000 chilogrammi peso ad una frequenza compresa fra i 6 e i 64 Hertz»;
   risulta agli interroganti inopportuno e pericoloso imporre una simile attività, premessa per successive estrazioni, su un territorio tutelato da vincoli ambientali, già ampiamente compromesso da subsidenza, inquinamento, dissesto idrogeologico e rischio simico elevato –:
   se trovi conferma la notizia della presentazione di una nuova istanza per l'avvio della procedura di valutazione di impatto ambientale da parte della Aleanna Resources LLC;
   considerato l'elevato livello di attenzione e preoccupazione dei comuni coinvolti per i rischi che le attività potrebbero provocare, come si intendano coinvolgere, in forme più partecipative, le amministrazioni comunali e la popolazione, prima di qualsiasi concessione di autorizzazione;
   se non si ritenga opportuno e urgente, considerando la particolare vulnerabilità del territorio e le sue tutele ambientali, assumere iniziative per preservarlo da ogni attività di ricerca di idrocarburi ed estrazioni e interrompere ogni procedura in essere. (4-15179)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle direzioni generali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il Ministero dell'ambiente è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale (VIA) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Si precisa che i provvedimenti di compatibilità ambientale relativi alle attività di prospezione geofisica di determinate aree in mare sono preliminari rispetto ad eventuali attività di ricerca e produzione di idrocarburi, che potranno essere realizzate in futuro previe ulteriori e distinte valutazioni di impatto ambientale.
  Le prospezioni vagliate con esito positivo nel procedimento di valutazione di impatto ambientale, e non ancora autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico, mirano infatti a stabilire se in determinate aree siano presenti idrocarburi e in quale quantità, con lo studio preliminare della struttura geologica del sottosuolo, mediante l'emissione di onde acustiche rivolte verso il fondale e prodotte al largo, al fine di acquisire dati ed elementi utili per l'eventuale successiva fase di ricerca.
  In tale fase di prospezione, non è prevista alcuna installazione di piattaforme, che invece potranno eventualmente essere allocate solo a seguito di riscontri positivi delle prospezioni medesime e, comunque, fra diversi anni, previa nuova valutazione di impatto ambientale e ulteriore diversa autorizzazione da parte del Ministero dello sviluppo economico.
  La verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dalla progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Per quanto concerne la partecipazione dei soggetti interessati al procedimento di rilascio dell'autorizzazione dei permessi di ricerca, si evidenzia che, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'ambito della procedura di VIA sono valutate e considerate tutte le osservazioni pervenute sia da parte dei privati cittadini che da parte delle amministrazioni coinvolte e sono debitamente riportate nei provvedimenti di compatibilità ambientale del Ministero con le eventuali controdeduzioni e prescrizioni.
  Nello specifico, la società AleAnna Resources LLC, in data 21 settembre 2016, ha presentato l'istanza di valutazione di impatto ambientale per il progetto relativo al conferimento del permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi denominato «la Stefanina», localizzato nelle province di Ferrara e Ravenna.
  La competente direzione generale del Ministero, avendo rilevato che la documentazione tecnico-amministrativa presentata dalla società proponente non era completa, e che non erano stati espletati correttamente tutti gli adempimenti necessari per rendere procedibile l'istanza, essendo stata, inoltre, la scelta della testata per la pubblicazione degli avvisi (il quotidiano «La Repubblica», in edizione nazionale e locale) ritenuta poco adeguata a raggiungere la totalità del pubblico interessato, in data 12 ottobre 2016, ha richiesto alla società AleAnna Resources LLC le integrazioni documentali ed amministrative necessarie per il prosieguo delle attività istruttorie. Acquisita la documentazione integrativa prodotta dalla Società proponente necessaria ai fini dell'avvio della procedura di Valutazione d'impatto ambientale, tra cui anche gli avvisi al pubblico sui quotidiani «la Repubblica» edizione nazionale del 14 settembre 2016, «la Repubblica» edizione locale del 15 settembre 2016 e «la Repubblica», «la Nuova Ferrara» e il «Corriere di Romagna» del 3 gennaio 2017, è stato comunicato, in data 17 gennaio 2017, la procedibilità dell'istanza e l'avvio delle attività istruttorie di valutazione di impatto ambientale per il progetto relativo al conferimento del permesso di ricerca di idrocarburi liquidi e gassosi denominato «la Stefanina».
  La pubblicazione degli avvisi al pubblico sui quotidiani in edizione regionale è funzionale al raggiungimento della massima diffusione dell'informazione dell'avvio del procedimento, secondo quanto previsto dall'articolo 24, comma 2 decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni.
  La documentazione progettuale presentata a corredo dell'istanza, insieme con le osservazioni del pubblico e i pareri pervenuti nel corso del procedimento, è pubblicata sul portale delle valutazioni ambientali del Mattm, alla pagina web http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/1628.
  L'istruttoria è attualmente in esame presso la commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS di questo Ministero.
  Si evidenzia, altresì, che l'area di rilievo geofisico oggetto dell'istanza interessa parzialmente, per la porzione nord (La Stefanina Nord) la ZPS IT4060008 «Valli del Mezzano» e per la zona La Stefanina Sud, il SIC/ZPS IT4060004 «Valli di Comacchio» ed il SIC/ZPS IT4070021 «Biotopi di Alfonsine e del Fiume Reno», in corrispondenza delle aree lungo il fiume Reno.
  L'intervento in questione è pertanto oggetto di procedura integrata VIA-V.Inc.A: gli aspetti riconducibili all'applicazione dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 e successive modificazioni e integrazioni, in materia di valutazione di incidenza, saranno dunque valutati, ope legis, all'interno della procedura di VIA.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MATTIELLO, BOCCUZZI, D'OTTAVIO, FREGOLENT, PAOLA BRAGANTINI e ROSSOMANDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il giorno 14 dicembre 2016 è stato inaugurato nella città di Torino il «Centro di rappresentanza della Repubblica Popolare di Donetsk in Italia», presso i locali della Fondazione Magellano sita in via Conte Rosso 3;
   la cosiddetta «Repubblica Popolare di Donetsk» è un territorio occupato dell'Ucraina, che ha dichiarato unilateralmente l'indipendenza e che non è riconosciuto, né dalle Nazioni Unite, né dall'Unione europea, né, tantomeno, dal nostro Paese;
   i separatisti che occupano e controllano milita ente il territorio sono stati indicati dal JIT-Joint Investigation Team, nel rapporto presentato il 28 settembre 2016, come esecutori materiali dell'abbattimento del volo Malesyan Airline MH17, dove, ricordiamo, il 17 luglio 2014 persero la vita 298 civili nei cieli dell'Ucraina: il più grave atto terroristico degli ultimi anni in Europa per numero di vittime;
   secondo quanto riportato dagli organi di informazione, il suddetto «Centro di rappresentanza della Repubblica Popolare di Donetsk in Italia» «mira al riconoscimento internazionale della neonata Repubblica, che si è staccata dall'Ucraina nel 2014, attraverso una rete di relazioni diplomatiche con le istituzioni italiane, collaborazioni con il mondo della cultura e partnership produttive e commerciali» (il Giornale, 15 dicembre 2016);
   alla inaugurazione del suddetto centro ha o preso parte i consiglieri regionali del Piemonte Gianna Gancia, capogruppo della Lega Nord, Gilberto Pichetto, capogruppo di Forza Italia, e il coordinatore dell'iniziativa Maurizio Marrone, capogruppo di Fratelli d'Italia – Alleanza nazionale, che ha dichiarato: «La missione del Centro di rappresentanza è semplice: costruire il percorso per il definitivo riconoscimento internazionale della Repubblica Popolare di Donetsk, un percorso che passa dalle relazioni diplomatiche con le istituzioni italiane, dalle collaborazioni che siamo pronti a realizzare nel mondo della cultura e delle università, fino ai ponti che vogliamo costruire con l'imprenditoria italiana interessata a stringere partnership produttive e commerciali con la DNR. Parliamo di una regione storicamente molto ricca per le sue miniere di carbone e per il suo complesso industriale metallurgico. Sono tanti i settori produttivi in cui la rinascita economica del Donbass, può offrire valide opportunità d'investimento alle nostre imprese, a partire da quelle, e sono moltissime, ingiusta ente colpite nell'export dalle sanzioni economiche contro la Federazione Russa firmate dalla UE e sottoscritte dal governo italiano» (Sputnik Italia, 15 dicembre 2016) –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   se non si ritenga che l'apertura di un «Centro di rappresentanza della Repubblica di Donetsk in Italia» si ponga in contrasto con le scelte di politica estera dell'Italia e dell'Unione europea;
   quali iniziative il Governo, per quanto di competenza intenda assumere rispetto a tale iniziativa. (4-15137)

  Risposta. — L'Italia è molto attenta agli sviluppi della crisi in Ucraina e alle prospettive di una possibile soluzione concordata, sostenendo la linea negoziale condotta nell'ambito del «Formato Normandia» (Ucraina, Russia, Francia, Germania) e del gruppo di contatto trilaterale dell'Osce (Ucraina, Russia, Osce).
  Tutti gli sforzi del nostro Governo per giungere ad una progressiva normalizzazione del dialogo con Mosca è condotta dall'Italia insieme ai partner europei, del G7 e della Nato. In tale contesto, unanime è l'orientamento politico di non riconoscere la legittimità delle sedicenti Autorità di Donetsk e Lugansk, aree sotto il controllo di gruppi separatisti, riaffermando il sostegno alla sovranità dell'Ucraina, alla sua integrità territoriale e alla sua indipendenza.
  A seguito dell'apertura, il 14 dicembre 2016 a Torino presso i locali della «Fondazione Magellano», dell'associazione «Centro di rappresentanza in Italia della Repubblica Popolare di Donetsk» sono state avviate, attraverso gli organi territorialmente competenti, delle ricerche sull'iniziativa. All'inaugurazione, pubblicizzata attraverso alcune locandine diffuse su Facebook, hanno partecipato circa 40 persone, tra cui giornalisti e rappresentanti politici.
  L'atto costitutivo dell'associazione è stato sottoscritto il 7 novembre 2016 nella sede del ristorante russo «Otium Sibiriaki» e poi registrato all'Agenzia delle entrate di Torino il 25 novembre 2016.
  Secondo lo statuto, l'organismo è «un'associazione indipendente, volontaristica, apolitica e senza scopo di lucro, fondata sui valori della libertà, per la realizzazione degli interessi comuni e per la cooperazione tra persone fisiche e giuridiche ed altre organizzazioni tra la Repubblica italiana e la Repubblica popolare di Donetsk in ambito economico, commerciale, culturale e di reciproca collaborazione tra i due Paesi».
  Non risulta che l'associazione, di natura privata, abbia alcun rapporto con le istituzioni. In ogni caso non potrebbe in alcuna misura godere di riconoscimento, né tantomeno di
status diplomatico né, quindi, avere alcun titolo di rappresentanza.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nelle province di Teramo e di Ascoli, il Ministero dello sviluppo economico ha rilasciato il permesso denominato «Colle dei Nidi» alle società Gas Plus Italiana, Medoilgas e Petrorep Italia per un progetto industriale di ricerca di idrocarburi sia liquidi che gassosi nei comuni di Bellante, Campli, Controguerra, Corropoli, Mosciano Sant'Angelo, Nereto, Sant'Omero, Torano Nuovo, Tortoreto e Spinetoli. L'area interessata è pari a 83,19 chilometri quadrati;
   la regione Abruzzo ha concordato con la scelta del Governo, la conferenza dei servizi del 16 aprile 2010 è andata deserta, è stata rilasciata l'Intesa il 24 gennaio 2013;
   l'Abruzzo è la regione verde d'Europa con oltre un terzo del suo territorio tutelato da parchi e riserve naturali nazionali e regionali, in provincia di Teramo sono presenti il parco nazionale del Gran Sasso Monti della Laga, un'area protetta marina nazionale, e varie riserve regionali;
   contro la scelta del Governo nazionale di fare in Abruzzo un distretto petrolifero nazionale si sono schierate le istituzioni regionali e locali, le forze sociali, ambientaliste con una forte mobilitazione popolare –:
   quale sia l’iter autorizzativo del progetto «Colle dei Nidi» nelle province di Teramo e Ascoli Piceno;
   se non intenda rivedere queste scelte energetiche centrate sugli idrocarburi e liberare l'Abruzzo da questa ipoteca negativa di regione del petrolio. (4-01652)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In relazione all'attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi, si evidenzia che con l'intervento normativo effettuato con il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto «Sblocca Italia») si è inteso favorire lo sviluppo delle risorse energetiche nazionali, introducendo misure che garantiscano la ripresa delle attività produttive e la razionalizzazione delle procedure burocratiche, senza modificare alcunché in termini di partecipazione del territorio ai procedimenti di rilascio dei titoli minerari. Per il conferimento di tali titoli, compreso il titolo concessorio unico, è prevista, infatti, l'acquisizione dell'intesa regionale e la partecipazione di tutti gli enti locali interessati che continuano ad essere coinvolti nell'ambito dell'endoprocedimento di Via, potendo prendere visione del progetto e manifestare i propri pareri.
  Con la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) sono state tuttavia apportate delle modifiche alla normativa vigente in materia, senza alterare, anche in questo caso, la posizione degli enti locali: è stato riscritto l'articolo 38 del decreto «Sblocca Italia», eliminando il carattere strategico, urgente ed indifferibile delle attività di ricerca ed estrazione di idrocarburi, mantenendo per queste soltanto la pubblica utilità, ed è stato inoltre eliminato il piano delle aree; è stato altresì modificato in senso più restrittivo l'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo n. 152 del 2006, limitando ulteriormente lo svolgimento delle attività minerarie in mare.
  La disposizione in base alla quale l'autorizzazione per le opere necessarie allo svolgimento delle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi e quelle di stoccaggio sotterraneo di gas naturale ha effetto di variante urbanistica, qualora dette opere comportino variazione degli strumenti urbanistici, non rappresenta invece una novità, richiamando una norma già esistente nell'ordinamento, in materia energetica. L'articolo 1, comma 82-bis della legge 23 agosto 2004, n. 239, così come modificato dalla legge 23 luglio 2009, n. 99, già prevede infatti i medesimi effetti per l'autorizzazione allo svolgimento delle opere in parola.
  Inoltre, la legge di stabilità 2016 ha ripristinato il limite delle 12 miglia dalla costa per le perforazioni petrolifere in mare. La disposizione stabilisce che i titoli abilitativi già rilasciati siano fatti salvi dall'estensione del limite alle 12 miglia per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale. La norma ha vietato nuove attività di trivellazione entro le 12 miglia (20 chilometri) salvaguardando così le vocazioni proprie delle coste italiane e non vanificando gli investimenti messi in atto da soggetti pubblici e privati, a volte molto consistenti, per lo sviluppo e la promozione del turismo.
  Con riferimento alla predetta normativa, il 17 aprile 2016 si è tenuto il referendum per decidere se abrogare o meno la parte della disposizione che permette a chi ha già ottenuto concessioni per estrarre gas o petrolio da piattaforme offshore entro 12 miglia dalla costa, di poter rinnovare la concessione fino all'esaurimento del giacimento, che ha avuto esito negativo per il mancato raggiungimento del quorum.
  In ordine alle questioni relative all'impatto ambientale dei progetti, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di Valutazione di impatto ambientale (Via) per tutte le attività inerenti la prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi a mare e a terra su tutto il territorio nazionale. L'autorizzazione finale all'avvio di tali attività spetta invece al Ministero dello sviluppo economico, preposto appunto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici incisi o comunque interessati da dette attività, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Si evidenzia altresì che i provvedimenti di compatibilità ambientale relativi alle attività di prospezione geofisica di determinate aree in mare sono preliminari rispetto ad eventuali attività di ricerca e produzione di idrocarburi, che potranno essere realizzate in futuro previe ulteriori e distinte valutazioni di impatto ambientale.
  Le prospezioni vagliate con esito positivo nel procedimento Via, e non ancora autorizzate dal Ministero dello sviluppo economico, mirano infatti a stabilire se in determinate aree siano presenti idrocarburi e in quale quantità, con lo studio preliminare della struttura geologica del sottosuolo, mediante l'emissione di onde acustiche rivolte verso il fondale e prodotte al largo, al fine di acquisire dati ed elementi utili per l'eventuale successiva fase di ricerca.
  In tale fase di prospezione, non è prevista alcuna installazione di piattaforme, che invece potranno eventualmente essere allocate solo a seguito di riscontri positivi delle prospezioni medesime e, comunque, fra diversi anni, previa nuova valutazione di impatto ambientale e ulteriore diversa autorizzazione da parte del Ministero dello sviluppo economico.
  Nel rispetto delle normative vigenti in materia di tutela dell'ambiente, di tutela del paesaggio e del patrimonio storico ed artistico, il Ministero dello sviluppo economico coordina la sua attività con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che valuta la compatibilità ambientale di progetti di estrazione degli idrocarburi.
  La verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Con particolare riguardo al coinvolgimento informativo degli enti locali in relazione alle istanze di rilascio di titoli minerari in mare, si precisa che ai fini autorizzativi è comunque prevista l'intesa la con la regione o le regioni interessate. Difatti, ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006, nell'ambito della procedura di Via sono valutate e considerate tutte le osservazioni pervenute sia da parte dei privati cittadini che da parte delle amministrazioni coinvolte: tale valutazione è debitamente riportata nei provvedimenti di compatibilità ambientale del Ministero con le eventuali controdeduzioni e prescrizioni.
  Si segnala inoltre che, come recentemente statuito dalla Corte di giustizia Ue (sentenza 11 febbraio 2015 nella causa C-531/13), la decisione sul se le trivellazioni esplorative debbano essere sottoposte o meno a Via spetta ai singoli Stati membri, che possono a tal fine fissare soglie e criteri applicativi oppure decidere di valutare singolarmente i vari progetti. Tanto a comprova del fatto che la normativa italiana sia più restrittiva di quella comunitaria secondo la quale la trivellazione finalizzata ad estrarre gas e petrolio per poter determinare la convenienza commerciale del giacimento, non rientra tra i progetti per i quali è sempre obbligatoria la valutazione d'impatto ambientale.
  Si evidenzia, infine, che dopo l'incidente del 2010 nel Golfo del Messico, gli Stati membri della Comunità europea hanno dato avvio a una revisione delle politiche dell'Unione europea volte a garantire la sicurezza delle operazioni relative al settore degli idrocarburi.
  Con l'emanazione della direttiva 2013/30/UE è stato avviato un processo per ridurre per quanto possibile il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e di limitarne le conseguenze, aumentando così la protezione dell'ambiente marino e delle economie costiere dall'inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, limitando possibili interruzioni della produzione energetica interna dell'Unione e migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente.
  Riducendo il rischio di inquinamento marino, la direttiva assicurerà la protezione dell'ambiente marino e in particolare il raggiungimento o il mantenimento di un buono stato ecologico al più tardi entro il 2020, obiettivo stabilito nella direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino).
  Questo Ministero è peraltro attento al processo di transizione energetica verso la decarbonizzazione. L'Italia vanta già il 17 per cento di produzione di energie rinnovabili collocandosi tra i primi paesi al mondo, con punte di eccellenza nel fotovoltaico.
  Proprio il 4 maggio 2016 il Ministero dell'ambiente ha ospitato i lavori del Coordinamento free, realtà che riunisce molte associazioni impegnate in campo ambientale, sul terreno delle rinnovabili e dell'efficienza energetica. Si è parlato di veicoli elettrici, bike e car-sharing per ridurre traffico e inquinamento, così come di autosufficienza energetica attraverso le fonti alternative. Per questo motivo il Ministero, nel solco del percorso tracciato con la legge 28 dicembre 2015, n. 221 (cosiddetto «Collegato ambientale»), vuole essere catalizzatore di un confronto tra livelli istituzionali, per individuare quelle sperimentazioni che possono creare nuove opportunità e insieme rappresentare un modello esportabile a livello nazionale.
  Inoltre, il nostro è tra i Paesi più virtuosi in termini di riduzione delle emissioni: grazie alle politiche e alle misure messe in atto per il periodo 2013-2020, l'Italia si colloca tra i Paesi con emissioni pro-capite più basse in Europa, tra i Paesi più efficienti a livello globale, e tra i Paesi con una maggiore percentuale di produzione di energia da fonti rinnovabili in Europa.
  L'accordo di Parigi del dicembre 2015 sui cambiamenti climatici ha costituito un decisivo passo avanti nel percorso della lotta al surriscaldamento globale essendo il primo vero accordo globale legalmente vincolante finalizzato a rafforzare la risposta alla minaccia dei cambiamenti climatici.
  L'Unione europea, e l'Italia in seno ad essa, sono in una posizione speciale in qualità di pionieri della lotta ai cambiamenti climatici e possiedono tutti gli strumenti e la necessaria ambizione per guidare tale sforzo anche nel prossimo futuro.
  Della questione sono comunque interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori e utili informazioni, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune toscano di Roccastrada stata da poco annunciata l'imminente chiusura della locale stazione dei carabinieri, attualmente ubicata presso i locali del palazzo comunale;
   la notizia ha suscitato sconcerto e allarme nella popolazione residente, visto che negli ultimi anni si sta registrando nella zona un aumento dei furti, soprattutto nel corso delle ore notturne;
   la notizia è giunta al termine di una lunga e complessa vicenda che ha preso avvio nel 1999 quando la proprietà dell'immobile che ospitava allora la stazione ha avviato una procedura di sfratto per morosità a fronte del mancato pagamento del canone da parte del Ministero;
   nelle more della procedura per sfratto, nel 2007 l'amministrazione comunale aveva acquistato una palazzina di proprietà dell'ENEL con destinazione specifica ed esclusiva ad ubicarvi la nuova stazione dei carabinieri;
   nel 2009 è stato approvato il progetto definitivo per la ristrutturazione dell'immobile a tali fini ma i lavori non sono mai iniziati, e la vicenda è dapprima finita nel silenzio, poi l'amministrazione comunale ha lamentato l'impossibilità di trovare un valido accordo economico con il Ministero; infine ha lamentato la scarsezza di fondi che impediva la messa in opera dei lavori –:
   se siano informati dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda, assumere in merito. (4-09962)

  Risposta. — La stazione carabinieri di Roccastrada, dal giugno 2013 è stata temporaneamente trasferita, su concorde parere della prefettura di Grosseto, presso la sede della vicina stazione di Ribolla, a causa delle precarie condizioni infrastrutturali dell'immobile sede della caserma, peraltro, già oggetto di sfratto esecutivo.
  Ciò anche in considerazione della disponibilità assicurata dal sindaco pro tempore di reperire un immobile da destinare a sede della stazione di Roccastrada e di ristrutturarlo a cura dell'amministrazione comunale.
  Tuttavia, i lavori non sono mai iniziati per l'indisponibilità economica della stessa amministrazione comunale.
  Nell'agosto 2014, in considerazione delle criticità relative al reperimento a Roccastrada di un nuovo stabile da destinare a caserma Carabinieri, nonché tenuto conto dei positivi elementi acquisiti dalle forze di polizia territoriali sulla situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica locale e della valutazione espressa nel corso di una riunione tecnica di coordinamento interforze, è stato disposto l'accorpamento (in termini di competenza territoriale) del citato presidio alle vicine stazioni di Ribolla e Roccatederighi (già competenti su parte di quel territorio comunale).
  Attualmente, in attesa che venga attuata la riconfigurazione (che prevede due stazioni – Ribolla e Roccatederighi), la stazione carabinieri di Roccastrada continua ad avere sede nel comune di Ribolla, nello stesso immobile utilizzato dai carabinieri della stazione di Ribolla.
  Si fa presente, inoltre, che l'organico complessivo dell'Arma sul quel territorio comunale è di 16 unità, con un rapporto percentuale, in relazione ai residenti, più favorevole rispetto ai dati nazionali, in grado, quindi, di assicurare un servizio continuativo di prevenzione nelle 24 ore, associato ad una adeguata azione investigativa.
  Si precisa, infine, che il 10 settembre 2015, a seguito della riconfigurazione del dispositivo dell'Arma dei carabinieri nella provincia di Grosseto, le stazioni di Ribolla, Roccatederighi e Roccastrada sono transitate dalla compagnia di Massa Marittima alla dipendenza gerarchica della compagnia di Follonica.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaDomenico Rossi.


   MERLO e BORGHESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è oramai sotto gli occhi del mondo intero la drammatica situazione economica e sociale in cui versa oggi il Venezuela;
   questo stato di cose comporta enormi problemi di sicurezza per la popolazione, compresa la nutrita comunità italo venezuelana;
   nel Paese risiedono 150.000 connazionali, più mezzo milione di discendenti;
   dalle notizie pubblicate sui media locali si evince che gli italiani residenti in questo Paese spesso sono intimoriti dai criminali e non denunciano, pertanto, tutti i casi di rapimento che accadono per timore di essere assassinati;
   lo Stato non dispone di strumenti sufficienti per proteggere i connazionali dalla criminalità organizzata;
   una lunga serie di delitti e sequestri — sembra oltre un centinaio all'anno – si registra ai danni dei cittadini italiani residenti in Venezuela, noti anche come rapimenti lampo, alcuni dei quali, purtroppo, si sono risolti drammaticamente con la morte violenta del sequestrato;
   i ripetuti incontri istituzionali tra le autorità italiane e venezuelane, realizzati nell'ottica del rilancio delle relazioni di aiuti bilaterali, non hanno sino ad ora procurato un sostanziale intervento risolutivo delle problematiche con le quali è chiamata a confrontarsi la collettività italiana residente in Venezuela, in particolare sotto il profilo della sicurezza;
   la presenza di un «esperto antisequestri», in ambasciata, è stata di grande aiuto in passato, intervenendo in situazioni delicate con grande professionalità e affiancando le famiglie colpite dalla criminalità;
   con la riduzione drastica dei fondi, questa figura è stata eliminata, privando così la comunità italiana di un servizio fondamentale sia dal punto di vista operativo, nelle trattative con i criminali, che dal punto di vista dell'assistenza agli italiani familiari delle vittime di (La Voce del 13 agosto 2007 – sequestro Doriana Rocca e Mercedes Montiel in Pardi, evidenzia che le stesse sono tornate a casa sane e salve. Loreto Rocca, padre di Doriana ringrazia: «...L'esperto dell'Ufficio Antisequestro dell'Ambasciata d'Italia. Ci è stato sempre vicino. Ci ha consigliato; ci ha aiutato a superare i momenti di paura. Insomma, per noi è stato un vero e proprio “angelo custode”»);
   quali iniziative di competenza il Governo intenda mettere in atto per coadiuvare le azioni delle autorità venezuelane volte a proteggere la collettività italiana, date le dimensioni assunte dal fenomeno dei sequestri negli ultimi tempi;
   se si intendano assumere iniziative per ripristinare in maniera urgente presso l'ambasciata di Caracas la figura dell'esperto antisequestri, la cui azione in passato si è dimostrata efficace per i crimini in cui sono coinvolti i nostri connazionali;
   se non si ritenga opportuno intervenire presso le autorità venezuelane affinché, per la questione dei «sequestri lampo», ci possa essere una collaborazione tra Venezuela e Italia, semmai anche valutando se sussistano i presupposti per la costituzione di una « task force nazionale», costituita da rappresentanti delle istituzioni e delle forze dell'ordine, da inviare in missione in Venezuela, con lo scopo di favorire tutti gli interventi necessari e di stare vicino alle famiglie vittime di questi delitti per dimostrare che l'Italia non si ricorda degli emigrati soltanto nelle commemorazioni ufficiali, ma è presente soprattutto nei momenti di difficoltà come questi. (4-12627)

  Risposta. — Il Venezuela sta attraversando una delle fasi più critiche della sua storia, che si ripercuote anche sulla numerosa comunità italiana residente nel Paese, le cui condizioni economiche e sociali sono fortemente deteriorate.
  La Farnesina segue con molta attenzione l'evoluzione della grave situazione nel paese sudamericano. Per poter intervenire con efficacia, ha rafforzato la capacità operativa delle sedi, inviando nel 2016 cinque unità di personale da Roma (tre al consolato generale a Caracas e due all'ambasciata). Il Ministro Alfano, come ha avuto modo di annunciare nel corso del suo recente intervento al Senato, ha dato disposizioni affinché altre sei unità partano prossimamente e quattro impiegati siano assunti a contratto localmente. L'Ambasciata a Caracas agisce in stretto coordinamento con la nostra rete diplomatico-consolare nel paese e con gli enti rappresentativi della collettività italiana, al fine di fornire adeguata comunicazione e assistenza ai connazionali e creare le condizioni per interventi tempestivi a loro tutela.
  Sulle questioni legate alla sicurezza, l'ambasciata sta svolgendo un lavoro a tutto campo, grazie anche all'esperto che opera in loco e che si occupa delle denunce di violenze o minacce da parte dei connazionali, oltre che di eventuali casi di sequestri. Al riguardo, si precisa che sin dal 2005, su richiesta della Farnesina, è stato disposto l'invio di un esperto antisequestro in Venezuela, con l'obiettivo di fornire un contributo investigativo alle Autorità locali nel contrasto a tale fenomeno e assicurare al contempo adeguata assistenza alle famiglie dei connazionali coinvolti.
  Nell'ambito di tale collaborazione di polizia, sono state svolte in questi anni numerose missioni periodiche da parte di funzionari specializzati della polizia o dell'arma dei Carabinieri, l'ultima delle quali è terminata nell'aprile 2015. A partire da quella data, le funzioni di coordinamento con le autorità locali sui casi di sequestro, così come quelle di competenza dell'esperto anti-droga, sono state concentrate nell'unica figura dell'esperto in materia di sicurezza che opera presso la rappresentanza diplomatica.
  La sicurezza viene poi posta sistematicamente all'ordine del giorno degli incontri con gli esponenti del governo di Caracas. L'Ambasciata italiana è l'unica fra le rappresentanze occidentali che ha concordato con il Ministero degli affari esteri venezuelano un programma di incontri bilaterali a cadenza regolare per fare il punto sulle segnalazioni e le richieste della collettività italiana. Nel Paese infatti si registra un continuo innalzamento degli indici di criminalità, come purtroppo testimoniato anche dall'omicidio del funzionario del consolato generale a Caracas, Mauro Monciatti, deceduto il 6 giugno scorso in circostanze che restano purtroppo ancora non chiarite. Su questa vicenda si continuerà a chiedere alle Autorità venezuelane di fare chiarezza.
  Nell'attuale contesto di crisi economica, particolare attenzione viene riservata dalla Farnesina alla situazione dei pensionati italiani nel Paese, che rappresentano una delle categorie sociali più vulnerabili. Come ricordato dal Ministro Alfano, è stato finalmente risolto il problema del tasso di calcolo del cambio per le integrazioni al minimo delle pensioni. Si è così riusciti ad assicurare, a partire dal mese di gennaio di quest'anno, un'integrazione al minimo pensionistico italiano a favore dei 3.780 connazionali percettori delle pensioni più colpite dall'inflazione. Si tratta di un risultato importante e la Farnesina è naturalmente pronta a valutare altre situazioni problematiche che dovessero riguardare i nostri pensionati.
  La Farnesina intende inoltre rafforzare, nei limitati margini di cui dispone, le risorse finanziarie destinate all'assistenza della nostra collettività.
  Nell'anno da poco concluso, gli uffici consolari in Caracas e Maracaibo hanno complessivamente effettuato 954 interventi di assistenza e si assicura che, in questo ambito, si continuerà a mantenere alta l'attenzione.
  Si ricorda anche l'azione portata avanti a favore e a tutela delle nostre imprese operanti in Venezuela. Abbiamo a più riprese fatto presente al Governo venezuelano come l'accumularsi di pesanti crediti da parte di quasi tutte le nostre imprese stia divenendo insostenibile. Siamo ovviamente consapevoli della situazione delle finanze venezuelane ma continuiamo a chiedere perlomeno un segnale di buona volontà che rassicuri le imprese italiane che hanno creduto nel Venezuela e nel suo sviluppo.
  Si assicura infine che la Farnesina è impegnata, insieme all'Ambasciata d'Italia a Caracas, a cercare di alleviare la presente crisi connessa alla mancanza di medicinali e di generi alimentari di prima necessita, il cui afflusso è tuttavia necessariamente subordinato all'autorizzazione del Governo venezuelano. Continua pertanto la costante pressione sulle autorità venezuelane affinché acconsentano all'invio di forniture d emergenza che il Governo italiano è disposto da tempo a far pervenire alla comunità italiana ivi residente.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la nazione venezuelana è alle prese con una grave crisi economica e sociale mai registrata oggi al mondo; infatti la maggior parte della popolazione vive in uno stato di povertà assoluta; numerose persone a causa della perdita delle prestazioni assistenziali (trattamento minimo, maggiorazioni sociali, assegni familiari) hanno anche dissipato il loro reddito di sussistenza;
   in questo Paese si registra l'inflazione più alta del mondo, basti pensare che 10 «bolivares» valgono meno della carta usata per riprodurre la moneta stessa e anche le pensioni sono state quasi riportate a zero, in quanto la moneta locale venezuelana si è svalutata velocemente generando così un processo di iperinflazione senza precedenti; la Banca centrale venezuelana ha dichiarato che l'inflazione negli ultimi anni ha sfiorato il 700 per cento;
   per gli italiani che ricevono, in convenzione con l'Italia, un'integrazione della loro pensione la situazione è particolarmente grave. I pensionati italiani lì percepiscono circa 10 euro al mese. Una ristrettezza che non gli permette di vivere in modo adeguato;
   la condizione rispetto all'economia e alla gestione pubblica di questo Stato è insostenibile. Il Venezuela ha il secondo più alto tasso di omicidi pro capite al mondo e negli ultimi 10 mesi ciò ha riguardato in particolar modo cittadini italiani. Mancano medicine, il latte per i bambini, generi per l'igiene e di prima necessità e manca in certe zone anche l'acqua potabile. La situazione è sull'orlo del collasso;
   in questo Paese risiedono almeno 150.000 connazionali, più di mezzo milione di discendenti, disperati e senza protezione che meritano urgentemente l'attenzione del nostro Governo –:
   vista la situazione di emergenza per la comunità italiana in Venezuela, se non si intendano assumere iniziative per rendere disponibili, in via urgente ed eccezionale, fondi necessari per l'assistenza sociale e fondi per i consolati che sono impegnati a fare assistenza diretta ai connazionali che vivono una situazione disagiata sotto il profilo umano, facendo sì che i pensionati italo-venezuelani possano percepire l'equipollente reale della pensione minima al valore di mercato. (4-12630)

  Risposta. — Il Venezuela sta attraversando una delle fasi più critiche della sua storia, che si ripercuote anche sulla numerosa comunità italiana residente nel Paese, le cui condizioni economiche e sociali sono fortemente deteriorate.
  La Farnesina segue con molta attenzione l'evoluzione della grave situazione nel Paese sudamericano. Per poter intervenire con efficacia, ha rafforzato la capacità operativa delle sedi, inviando nel 2016 cinque unità di personale da Roma (tre al consolato generale a Caracas e due all'ambasciata). Il Ministro Alfano, come ha avuto modo di annunciare nel corso del suo recente intervento al Senato, ha dato disposizioni affinché altre sei unità partano prossimamente e quattro impiegati siano assunti a contratto localmente. L'ambasciata a Caracas agisce in stretto coordinamento con la nostra rete diplomatico-consolare nel Paese e con gli enti rappresentativi della collettività italiana, al fine di fornire adeguata comunicazione e assistenza ai connazionali e creare le condizioni per interventi tempestivi a loro tutela.
  Sulle questioni legate alla sicurezza, l'ambasciata sta svolgendo un lavoro a tutto campo, grazie anche all'esperto che opera in loco e che si occupa delle denunce di violenze o minacce da parte dei connazionali, oltre che di eventuali casi di sequestri. Al riguardo, si precisa che sin dal 2005, su richiesta della Farnesina, è stato disposto l'invio di un esperto antisequestro in Venezuela, con l'obiettivo di fornire un contributo investigativo alle Autorità locali nel contrasto a tale fenomeno e assicurare al contempo adeguata assistenza alle famiglie dei connazionali coinvolti.
  Nell'ambito di tale collaborazione di polizia, sono state svolte in questi anni numerose missioni periodiche da parte di funzionari specializzati della Polizia o dell'Arma dei carabinieri, l'ultima delle quali è terminata nell'aprile 2015. A partire da quella data, le funzioni di coordinamento con le autorità locali sui casi di sequestro, così come quelle di competenza dell'esperto anti-droga, sono state concentrate nell'unica figura dell'esperto in materia di sicurezza che opera presso la Rappresentanza diplomatica.
  La sicurezza viene poi posta sistematicamente all'ordine del giorno degli incontri con gli esponenti del Governo di Caracas. L'ambasciata italiana è l'unica fra le Rappresentanze occidentali che ha concordato con il Ministero degli affari esteri venezuelano un programma di incontri bilaterali a cadenza regolare per fare il punto sulle segnalazioni e le richieste della collettività italiana. Nel Paese infatti si registra un continuo innalzamento degli indici di criminalità, come purtroppo testimoniato anche dall'omicidio del funzionario del Consolato Generale a Caracas, Mauro Monciatti, deceduto il 6 giugno 2016 in circostanze che restano purtroppo ancora non chiarite. Su questa vicenda si continuerà a chiedere alle autorità venezuelane di fare chiarezza.
  Nell'attuale contesto di crisi economica, particolare attenzione viene riservata dalla Farnesina alla situazione dei pensionati italiani nel Paese, che rappresentano una delle categorie sociali più vulnerabili. Come ricordato dal Ministro Alfano, è stato finalmente risolto il problema del tasso di calcolo del cambio per le integrazioni al minimo delle pensioni. Si è così riusciti ad assicurare, a partire dal mese di gennaio di quest'anno, un'integrazione al minimo pensionistico italiano a favore dei 3.780 connazionali percettori delle pensioni più colpite dall'inflazione. Si tratta di un risultato importante e la Farnesina è naturalmente pronta a valutare altre situazioni problematiche che dovessero riguardare i nostri pensionati.
  La Farnesina intende inoltre rafforzare, nei limitati margini di cui dispone, le risorse finanziarie destinate all'assistenza della nostra collettività. Nell'anno da poco concluso, gli uffici consolari in Caracas e Maracaibo hanno complessivamente effettuato 954 interventi di assistenza e si assicura che, in questo ambito, si continuerà a mantenere alta l'attenzione.
  Si ricorda anche l'azione portata avanti a favore e a tutela delle nostre imprese operanti in Venezuela. Abbiamo a più riprese fatto presente al Governo venezuelano come l'accumularsi di pesanti crediti da parte di quasi tutte le nostre imprese stia divenendo insostenibile. Siamo ovviamente consapevoli della situazione delle finanze venezuelane ma continuiamo a chiedere perlomeno un segnale di buona volontà che rassicuri le imprese italiane che hanno creduto nel Venezuela e nel suo sviluppo.
  Si assicura infine che la Farnesina è impegnata, insieme all'Ambasciata d'Italia a Caracas, a cercare di alleviare la presente crisi connessa alla mancanza di medicinali e di generi alimentari di prima necessità, il cui afflusso è tuttavia necessariamente subordinato all'autorizzazione del Governo venezuelano. Continua pertanto la costante pressione sulle autorità venezuelane affinché acconsentano all'invio di forniture d'emergenza che il Governo italiano è disposto da tempo a far pervenire alla comunità italiana ivi residente.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la chiusura dell'ambasciata italiana di Santo Domingo, è stata realizzata con una scarna comunicazione nella quale si è deciso che tutta la struttura svanisse e venisse affidata all'ambasciata di Panama, che deve garantire anche i servizi consolari per altri Paesi di secondario accreditamento, come Haiti, Antigua e Barbuda, Saint Kitts e Nevis;
   è stato pertanto triplicato il lavoro dell'ambasciata di Panama, inoltre, le modalità per accedervi, oltre che le difficoltà economiche del viaggio rendono la burocrazia di una semplice domanda una montagna invalicabile, con costi insostenibili per la popolazione ivi residente;
   la sede dell'ambasciata della Repubblica Dominicana ha sempre avuto una notevole rilevanza, in quanto è stata il riferimento per una numerosa comunità italiana;
   la soppressione di una delle più rilevanti sedi consolari dell'America centrale, a differenza di quelle di Paesi come il Nicaragua (ove risiedono 927 italiani) o El Salvador (1879 italiani residenti), piccoli territori per numero di abitanti e per esigenze burocratiche risulta essere, ad avviso degli interroganti, il frutto di una valutazione organizzativa poco funzionale, in quanto riguarda un territorio ove sono presenti 150.000 cittadini tra italiani residenti e turisti che visitano questo Paese;
   tale disposizione, inoltre, pare agli interroganti porsi in palese contrasto con il criterio dell'invarianza dei servizi, indicato nel decreto-legge n. 95 del 2012 sulla spending review, di cui vorrebbe costituire attuazione; infatti la sede che la sostituisce si trova a 1509 chilometri ed è raggiungibile solo in aereo e con alti costi, e pertanto la scelta appare agli interroganti illogica ed incoerente con le stesse finalità indicate all'interno del relativo decreto –:
   se il Ministro interrogato intenda adottare le opportune iniziative per riaprire l'Ambasciata italiana a Santo Domingo, vista l'importanza della sopracitata sede e in considerazione della sentenza con cui il Tar del Lazio, a giugno 2015 ha annullato il decreto che ha soppresso la sede diplomatica italiana nella Repubblica Dominicana. (4-12861)

  Risposta. — Nel rispondere ai quesiti degli interroganti, si conferma l'obiettivo di una rapida riapertura dell'ambasciata a Santo Domingo. Questo per venire incontro alle istanze della comunità italiana residente in loco, ma anche per confermare con le Autorità domenicane i solidi legami bilaterali in campo politico, economico e culturale.
  Dopo la decisione adottata dal Consiglio dei ministri del 4 ottobre 2016, sono state finalizzate le procedure di carattere diplomatico e amministrativo propedeutiche all'apertura dell'Ambasciata. A partire dal 1o febbraio 2017, il funzionario, già operativo a Santo Domingo in qualità di capo della sezione distaccata dell'ambasciata a Panama, assumerà la reggenza della nuova ambasciata in qualità di incaricato d'affari
ad interim, coadiuvato dall'unità di personale in servizio nella sede.
  Il Consiglio dei ministri ha nominato l'ambasciatore in data 27 gennaio presso la Repubblica dominicana, il quale assumerà l'incarico una volta che saranno espletate le procedure diplomatiche di gradimento. Progressivamente, nel corso della primavera, l'organico della nuova sede sarà rafforzato con l'invio di altre unità di ruolo per consentire il pieno funzionamento della sede.
  Per quanto riguarda il settore consolare, nel continuare l'attività di assistenza finora assicurata dalla sezione distaccata dell'ambasciata a Panama, la sede provvederà progressivamente, nel corso dei mesi a venire e proporzionalmente alle risorse umane e materiale assegnate, a riattivare i restanti servizi consolari. L'ambasciata, in ogni caso, avrà cura di aggiornare e fornire ogni utile informazione alla collettività localmente residente, sia tramite il proprio sito istituzionale che con altri mezzi.
  Un discorso a parte va fatto infine per il servizio visti. Per motivi tecnici, la sua riattivazione non avverrà immediatamente all'atto della riapertura della nostra sede diplomatica a Santo Domingo, che tuttavia potrà continuare a fornire tale servizio attraverso le stesse modalità utilizzate fin ora. Le domande di visto continueranno quindi ad essere raccolte a Santo Domingo attraverso la società di
outsourcing attualmente incaricata ed inviate per la loro trattazione alla nostra ambasciata a Panama. Una volta processate, le domande verranno inoltrate a Santo Domingo per la riconsegna agli interessati dei passaporti e degli eventuali visti emessi.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   MICILLO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con l'ormai noto termine «terra dei fuochi» si intende quella vasta area che comprende un territorio di oltre 1000 chilometri quadrati all'interno del quale sono situati oltre 50 comuni facenti parte della provincia di Napoli e Caserta. All'interno di tale area vivono oltre 2 milioni e mezzo di persone;
   il fenomeno dello smaltimento di rifiuti, spesso speciali, attraverso l'incendio degli stessi, è oggi, più che mai, diffuso e oltremodo frequente;
   i cumuli di rifiuti infatti continuano ad essere riversati nelle campagne e ai margini delle strade per poi essere dati alle fiamme;
   la combustione di rifiuti, sia urbani che speciali, continua a produrre fumi e detriti pericolosi per la salute dei cittadini che vivono nelle zone interessate; la diossina e le diverse sostanza tossiche sprigionate dai numerosi roghi che è possibile avvistare ogni giorno raggiungono livelli preoccupanti. Un siffatto inquinamento è molto pericoloso, in quanto tali sostanze tossiche penetrano la catena alimentare attraverso gli animali da allevamento per poi raggiungere anche l'uomo;
   gravi, come ben si sa, sono le ripercussioni di immagine e conseguentemente economiche per le aziende agroalimentari del territorio;
   con il decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, Disposizioni urgenti dirette a fronteggiare emergenze ambientali e industriali ed a favorire lo sviluppo delle aree interessate, pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 289 del 10 dicembre 2013, entrato in vigore il 10 dicembre 2013, decreto-legge convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, pubblicata in Gazzetta Ufficiale 8 febbraio 2014, n. 32, il Governo ha introdotto il reato di combustione illecita dei rifiuti ed ha cercato di arginare il preoccupante fenomeno;
   l'11 luglio 2013 è stato siglato il cosiddetto «patto per la terra dei fuochi» finalizzato proprio ad arginare il fenomeno di cui sopra; firmatari di tale patto sono stati regione Campania, provincia di Napoli, provincia di Caserta, prefettura di Napoli, prefettura di Caserta, Anci Campania, comuni della provincia di Napoli (Acerra, Afragola, Caivano, Calvizzano, Casandrino, Casalnuovo di Napoli, Casoria, Cercola, Crispano, Frattamaggiore, Frattaminore, Giugliano in Campania, Marano, Marigliano, Melito di Napoli, Mugnano, Napoli, Noia, Palma Campania, Pomigliano d'Arco, Qualiano, Roccarainola, Sant'Antimo, San Giuseppe Vesuviano, Somma Vesuviana, Terzigno e Villaricca) comuni della provincia di Caserta Agro Aversano (Aversa, Carinaro, Casaluce, Casal di Principe, S. Marcellino, Lusciano, Trentola Ducenta, Frignano, San Cipriano di Aversa, Gricignano di Aversa, Cesa, Teverola; Litorale Domitio: Castelvolturno, Mondragone, Villa Literno), comuni della zona atellana (Orta di Atella, Sant'Arpino Succivo); Arpa campania, asl Napoli 1, asl Napoli 2, asl Napoli 3, asl Caserta, compartimento Anas, FAI – Fondo Ambiente Italia, Guardie ambientali d'Italia, Legambiente Campania, ISDE Medici per ambiente ed un delegato del Ministro dell'interno per roghi rifiuti;
   è notizia recente che, proprio in relazione al patto per la terra dei fuochi, è arrivato il «via libera» definitivo del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e della regione con cui vengono stanziati sette milioni e cinquecento mila euro a favore di molti comuni all'interno del territorio della terra dei fuochi. I comuni interessati dal finanziamento sono i seguenti: Giugliano, Parete, Villaricca e Melito (1 milione di euro), Caivano e Crispano (500 mila euro), Frattamaggiore e Sant'Antimo (499 mila euro), Saviano e Nola (399 mila euro), Marigliano, Brusciano, Castello di Cisterna e Mariglianella (728 mila euro), Marano (250 mila euro), Striano, San Giuseppe Vesuviano, Palma Campania e Somma Vesuviano (505 mila euro), Afragola (249 mila euro), Casalnuovo e Pomigliano d'Arco (249 mila euro), Qualiano e Calvizzano (499 mila euro), Mugnano (30 mila euro), Villa Literno (30 mila euro), Casandrino (30 mila euro), Castelvolturno e Mondragone (470 mila euro), Aversa (30 mila euro), Villa di Briano (30 mila euro), Orta di Atella (30 mila euro), Casamarciano (30 mila euro), Terzigno (30 mila euro), Sant'Arpino (30 mila euro), Casal di Principe, San Cipriano e Casapesenna (90 mila euro), Caserta e Maddaloni (340 mila euro), Napoli (30 mila euro), Carinaro e Scisciano (60 mila euro), Cesa (121 mila euro), Trentola Ducenta e San Marcellino (495 mila euro), Casaluce (30 mila euro), Acerra (30 mila euro), Casoria (30 mila euro), Cercola (31 mila euro);
   i fondi stanziati a favore dei comuni interessati risultano tuttavia non sufficienti. Si tratta infatti di poco più di 7 milioni di euro per più di 50 comuni del Napoletano e del Casertano che sono fortemente interessati, da molti anni, da un inquinamento senza pari. Vi sono inoltre dei dati che lasciano davvero perplessi come il caso del comune di Acerra il quale, a fronte di una richiesta di 248 mila euro ha ottenuto solo 30 mila euro, il minimo stabilito dalla regione. Altro dato che lascia allibiti è la cifra destinata alla città di Napoli a fronte dei 250 mila euro richiesti ne sono stati stanziati appena 30 mila;
   il 12 luglio 2016 si è tenuto, presso la prefettura di Napoli, negli uffici della protezione civile, l'incontro tra una delegazione del Movimento 5 Stelle composta dal primo firmatario del presente atto, le senatrici Paola Nugnes (Commissione ambiente e Commissione parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti e su illeciti ambientali ad esse correlati) e Vilma Moronese (Commissione permanente territorio, ambiente, beni ambientali), Vincenzo Viglione (consigliere regionale M5S in Commissione ambiente, energia e protezione civile della regione Campania), Rosalba Rispo (portavoce consigliere M5S Parete), Gennaro Cozzolino (portavoce consigliere M5S Ercolano) da un lato, e il viceprefetto Donato Cafagna, Commissario antiroghi in Campania ed il Commissario di Governo per le bonifiche Mario De Biase, dall'altro lato. Durante tale incontro sono emerse tutte le criticità che ancora affliggono quel territorio campano;
   per monitorare la situazione in cui versa la terra dei fuochi, non si può fare riferimento esclusivamente al dato fornito dal personale dei vigili del fuoco, in quanto questi ultimi riportano esclusivamente i roghi che vengono da loro sedati. Spesso e volentieri, infatti, capita che i vigili del fuoco, come nel caso in cui vengano appiccati più roghi all'interno di uno spazio ristretto ed a distanza di poco tempo l'uno dall'altro, non fanno in tempo a sedare più roghi contemporaneamente. Dato, questo, che deve ovviamente essere relazionato con la circostanza che il personale impegnato per lo spegnimento dei roghi tossici è carente dal punto di vista numerico e non congruo con quella che è la portata del problema che affligge il territorio. Così come non è frequente il caso che i roghi si spengano senza l'intervento del personale specializzato e quindi il rogo non viene registrato; il 18 luglio 2016 in una zona periferica di Napoli, grossomodo all'altezza del complesso Ikea, si è verificato uno degli incendi più gravi del 2016. Il rogo ha interessato il campo rom di contrada Salice tra i comuni di Afragola e Casoria. Sono stati interessati principalmente baracche, pneumatici e rifiuti vari che erano presenti nel campo. Alcune persone di etnia rom hanno riferito al personale di Polizia di aver visto uomini non meglio identificati scendere da un furgone bianco per spargere benzina sui rifiuti poco prima del rogo. L'incendio era talmente vasto che è stato possibile vedere la colonna di fumo nero a diversi chilometri di distanza e la puzza di copertoni bruciati ha raggiunto il centro di Napoli con tutto il suo carico di impurità (http://corrieredelmezzogiorno.corriere.it);
   i militari che attualmente sono impegnati nella lotta ai roghi non sembrano bastare per arginare l'ormai triste frequente fenomeno;
   da notizie di stampa risulta che attualmente sono circa 200 i militari dell'Esercito impegnati nelle province di Napoli e Caserta nell'operazione «Terra dei Fuochi», 200 uomini divisi in 48 pattuglie sulle aree a maggiore rischio di incendi di rifiuti abbandonati. Al momento, nell'operazione sono impegnati i militari del reggimento «Guide», un reparto di stanza a Salerno, inquadrato nella brigata «Garibaldi», dipendente dalla divisione «Acquì», (http://www.ilmattino.it);
   la città di Giugliano in Campania sembra essere una delle più colpite dal fenomeno dei roghi tossici estivi. Nella prima decade di luglio 2016 è stata la zona Asi a bruciare a pochi passi dalla Resit. Quello che fa più paura e rabbia ai cittadini è il vedere – e soprattutto «sentire bruciare» proprio quell'area che è stata oggetto di tante denunce (http://www.teleclubitalia.it) –:
   se il Governo sia a conoscenza dello stato attuale in cui versa il territorio della terra dei fuochi;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere per arginare il fenomeno sopra descritto e per tutelare la salute dei cittadini che abitano la zona, nonché la salute dei cittadini tutti;
   quali iniziative si intendano intraprendere per aiutare gli operatori economici del settore agroalimentare che vengono danneggiati dalla situazione sopradescritta;
   di quali dati ufficiali siano in possesso relativamente al fenomeno dei roghi tossici che, ormai quotidianamente, vengono accessi nella zona della terra dei fuochi;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere al fine di potenziare e rendere maggiormente efficiente il personale impegnato nel sedare i roghi tossici che interessano il territorio in questione;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere al fine di prevenire il fenomeno della combustione dei rifiuti all'interno del territorio della «terra dei fuochi»;
   quali tempi vi siano in ordine all'effettiva messa a disposizione dei fondi di cui in premessa in favore dei comuni della «terra dei fuochi»;
   se intendano assumere iniziative per stanziare ulteriori fondi a favore dei comuni della «terra dei fuochi» dal momento che le cifre erogande sono non sufficienti;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per arginare il fenomeno sopra descritto in considerazione del fatto che i roghi, sono, il più delle volte, di origine dolosa. (4-13833)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente si sottolinea che le problematiche ambientali connesse alla cosiddetta Terra dei Fuochi rappresentano una priorità per questo Ministero. Le iniziative di contrasto e di prevenzione di un fenomeno così pluri-fattoriale richiedono un lavoro di raccordo complesso, nel quadro delle attività promosse dal patto per la Terra dei Fuochi, e coordinate presso la cabina di regia inter-istituzionale con le prefetture, la regione Campania e gli enti locali.
  Tra le numerose misure adottate si evidenziano, in particolare, il potenziamento dei controlli delle forze dell'ordine (138 fermi di persone sospette; sono stati censiti e segnalati 1809 siti di abbandono di rifiuti; sono stati effettuati interventi su 356 luoghi di incendio in atto; 756 controlli sui rivenditori di pneumatici, 477 su opifici tessili, 459 in agricoltura, 1660 su cantieri edili; hanno inoltre elevato 4020 contravvenzioni per violazioni amministrative e 1329 denunce per violazioni ambientali; hanno eseguito 108 arresti, di cui 75 per il reato di incendio di rifiuti, 564 sequestri di aree interessate da scarico abusivo e combustione di rifiuti, 340 sequestri di veicoli impiegati per il trasporto; hanno infine comminato quasi 500.000 euro di sanzioni amministrative).
  Sul versante roghi, l'anno 2016 ha confermato la tendenza in costante diminuzione degli incendi dolosi di rifiuti nelle aree delle province di Napoli e di Caserta. Con esclusivo riferimento ai comuni della cosiddetta Terra dei Fuochi, si registrano punte di oltre il 70 per cento in meno rispetto allo scorso anno. Tale risultato è stato possibile anche grazie al controllo ad ampio raggio da parte delle Forze dell'ordine, delle polizie locali e degli ispettorati del lavoro, dell'Inps e dell'Inail, mirate sulle aziende che trattano le categorie merceologiche connesse agli abbandoni e ai roghi sulle aree nelle quali sono insediate.
  Si segnala inoltre che il protocollo Ministero ambiente incaricato del Governo – Ecopneus ha consentito ai comuni aderenti di rimuovere gratuitamente oltre 16.000 Tonnellate di gomme abbandonate su strade e aree pubbliche.
  L'individuazione ed il potenziamento delle opportune azioni dirette a fronteggiare dette emergenze ambientali, rappresentano una priorità per il Ministero dell'ambiente che presiede il Comitato Interministeriale istituito con decreto-legge n. 136 del 2013 (convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6) con il compito di «determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale, monitoraggio, anche di radiazioni nucleari, tutela e bonifica nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della regione Campania».
  Nell'ambito del citato comitato è stata istituita apposita commissione quale organo tecnico-operativo, la quale ha avviato un approfondito esame delle diverse e complesse questioni poste all'attenzione dalle linee di indirizzo fornite dal comitato interministeriale, giungendo nel maggio scorso all'adozione di un programma degli interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori della cosiddetta Terra dei Fuochi.
  Nello specifico, il piano elaborato dalla commissione, caratterizzato da interventi di ampio respiro, mira a coniugare il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole, con quello delle iniziative di screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà che attengono allo smaltimento abusivo dei rifiuti.
  Il documento è stato oggetto di esame ed approvato dal comitato interministeriale, che si è riunito presso il Ministero dell'ambiente il 2 agosto 2016, il quale ha altresì deliberato la sua trasmissione alla cabina di regia per la programmazione del fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, ai fini del successivo esame da parte del CIPE.
  Per quanto concerne le linee finanziarie strumentali agli interventi indicati nel programma della Commissione, si fa presente che il fabbisogno economico complessivo per le misure previste è pari a 103,425 milioni di euro.
  Si segnala, inoltre, che in attuazione delle disposizioni urgenti previste dal predetto decreto-legge 136 del 2013, il Ministero dell'ambiente ha intrapreso un'approfondita istruttoria, previa consultazione degli Istituti di ricerca interessati, al fine di elaborare lo schema di regolamento concernente i parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica condiviso con gli altri Ministeri concertanti.
  Si fa presente, infine, che la Legge 28 dicembre 2015, n. 208 (Legge di Stabilità 2016) ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un fondo con una dotazione di 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, per l'effettuazione di interventi di carattere economico, sociale ed ambientale nei territori della Campania noti come «Terra dei fuochi».
  Nel novembre 2016 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha predisposto la bozza di decreto nel quale sono stati individuati gli interventi e le amministrazioni competenti cui destinare le rimanenti risorse pari a 297 milioni di euro, inviata al Ministro dell'economia e delle finanze per condivisione e le valutazioni di competenza ai fini della successiva firma da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Infine, si segnala che sulla questione sono interessate altre amministrazioni e pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori utili elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco costituisce un patrimonio inestimabile per la sicurezza del Paese;
   i vigili del fuoco sono distribuiti su tutto il territorio nazionale, che presidiano con 377 distaccamenti, 219 dei quali gestiti dai vigili volontari;
   gli uomini in organico sono 31.600, cui vanno aggiunti 20.000 volontari attivi, pari ad 1/5 del totale iscritto nelle liste dei vigili volontari;
   l'orientamento emerso nelle ultime sessioni di bilancio è alla riduzione di distaccamenti ed organici, a fronte di un bisogno di sicurezza che certamente non si è andato riducendo nel corso degli anni ed è anzi aumentato in dipendenza dell'aggravarsi degli effetti del dissesto idrogeologico nazionale;
   gli interventi ordinari del soccorso tecnico-urgente sono circa 700 mila all'anno;
   le retribuzioni spettanti al personale del Corpo nazionale permangono significativamente inferiori a quelle attribuite agli effettivi degli altri corpi dello Stato;
   per effetto dei tagli e delle limitazioni imposte al turnover, il personale soccorritore sta andando incontro anche ad un pericoloso invecchiamento. Già adesso l'età media dei vigili del fuoco è di circa 46 anni;
   i vigili volontari e discontinui sono da anni destinatari di misure che l'interrogante giudica vessatorie, inclusa quella che pone a carico degli aspiranti i costi da sostenere per le visite mediche propedeutiche alla loro partecipazione ai concorsi finalizzati al reclutamento;
   si segnalano altresì in molte realtà locali gravi insufficienze negli equipaggiamenti e nei materiali di consumo, attestate queste ultime dai debiti crescenti contratti con i fornitori di carburante;
   tutto questo accade mentre è allo studio la stabilizzazione di oltre 170 mila precari del mondo della scuola –:
   quali siano le ragioni alle spalle della scelta di ridurre distaccamenti ed organici del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, colpendone in particolare la componente volontaria e discontinua mentre invece si pensa ad una stabilizzazione di massa per la scuola, e come si conti di ovviare contestualmente all'accresciuta domanda di interventi del servizio tecnico-urgente. (4-08246)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante evidenzia la riduzione dei distaccamenti e delle dotazioni organiche del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a fronte di un fabbisogno di sicurezza che è andato aumentando nel corso degli anni. In tale ambito, ritiene che sia stato penalizzato, in particolare, il personale volontario del Corpo, di cui lamenta la mancata stabilizzazione al contrario di quanto avvenuto per i «precari» del mondo della scuola.
  Quanto a quest'ultimo aspetto, si assicura che il Ministero dell'interno ha da sempre tenuto in grande considerazione il contributo di alta professionalità assicurato dal personale volontario del Corpo nazionale.
  Ciò è testimoniato, innanzitutto, dalla previsione a regime, in favore di tale componente, di una riserva del 25 per cento dei posti nei concorsi pubblici per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco.
  Tale riserva ha consentito, alla data del 31 dicembre scorso, l'assunzione di 935 vigili volontari attraverso lo scorrimento della graduatoria del concorso pubblico a 814 posti di vigile del fuoco.
  Un ulteriore segnale di attenzione è costituito dall'indizione in via eccezionale, nell'agosto del 2007, di una procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari aventi determinati requisiti di anzianità e servizio.
  Al riguardo, si informa che la relativa graduatoria è andata esaurita per effetto dell'assunzione di tutti i candidati utilmente collocati, ad eccezione di 4 unità che, all'atto della convocazione, hanno presentato idoneo certificato medico e potranno essere assunte nei prossimi mesi previo superamento della visita medica e delle prove di accertamento del mantenimento dell'idoneità motoria.
  Un'ulteriore procedura di stabilizzazione comporterebbe un'ulteriore deroga al principio costituzionale dell'accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso pubblico. Essa richiederebbe, pertanto, un meditato e mirato intervento legislativo, che dovrà farsi carico anche di reperire la necessaria copertura finanziaria.
  Sempre nell'ottica di valorizzare la componente volontaria, ulteriori iniziative in favore di essa sono contenute nello schema di decreto legislativo predisposto in attuazione della legge n. 124/2015, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri nella seduta del 23 febbraio scorso.
  In particolare, è stata prevista l'elevazione dal 25 al 35 per cento della quota dei posti riservati ai vigili volontari nei concorsi per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco ed è stata introdotta ex novo una riserva del dieci per cento per tutte le procedure concorsuali pubbliche per l'accesso alle altre qualifiche del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Inoltre, per l'accesso al ruolo degli operatori e degli assistenti del Corpo nazionale è stata prevista una prelazione in favore del personale volontario che alla data della selezione sia iscritto negli appositi elenchi da almeno tre anni e abbia effettuato non meno di centoventi giorni di servizio.
  Si soggiunge che con una recente direttiva dipartimentale sono state impartite specifiche indicazioni ai Comandi provinciali dei vigili del fuoco per introdurre la possibilità di rilasciare al personale volontario attestati di frequenza ovvero attestati di idoneità, – «spendibili» anche nel settore privato – per addetto alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze nelle attività lavorative.
  Si rappresenta, inoltre, che si sta procedendo anche alla rivisitazione del regolamento governativo (decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004) che disciplina le procedure per il reclutamento, l'avanzamento e l'impiego del personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Si ritiene che il complesso delle misure appena illustrate costituiscano un evidente segnale di attenzione per questa componente di fondamentale importanza per l'efficacia del dispositivo nazionale di soccorso pubblico.
  Per quanto riguarda gli oneri finanziari connessi agli accertamenti clinico-strumentali e di laboratorio per il reclutamento dei volontari, che in precedenza gravavano sugli aspiranti volontari per effetto dell'articolo 4, comma 14, della legge n. 183/2011, si rappresenta che essi sono ora a carico dell'amministrazione dell'interno in virtù dell'articolo 1, comma 122, della legge n. 208/2015 (di stabilità 2016).
  Restano a carico dell'Amministrazione medesima anche gli oneri derivanti dagli accertamenti periodici già iscritto nei quadri del personale volontario.
  Con riferimento al tema della carenza di organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, si rappresenta che i Governi di questa legislatura, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, hanno portato avanti, in piena sintonia con il Parlamento, tre iniziative legislative (decreti-legge n. 101/2013, n. 90/2014 e n. 113/2016) che hanno consentito di potenziare la dotazione teorica di oltre 2.400 unità.
  Si segnala, inoltre che, a decorrere dal 2016, il turn over è stato ripristinato nella sua totalità dopo oltre un decennio di blocco parziale. In sostanza, mentre, ad esempio, ancora nell'anno 2015 il turn over era pari al 55 per cento delle cessazioni dal servizio nell'anno 2014, dall'anno scorso detta percentuale è tornata al 100 per cento delle cessazioni.
  L'insieme di tali misure ha permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 848 unità nella qualifica di vigile del fuoco, la cui immissione in servizio avverrà alla fine del corso di formazione, attualmente in via di svolgimento.
  Ulteriori assunzioni saranno possibili facendo leva sulle risorse del Fondo per il pubblico impiego istituito con la legge n. 232/2016 (legge di bilancio 2017). Come noto, quota parte di tale fondo è destinato ad assunzioni di personale a tempo indeterminato, in aggiunta alle facoltà assunzionali previste a legislazione vigente, nell'ambito delle amministrazioni dello Stato, ivi compreso il Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  Quanto, infine, all'asserita riduzione dei distaccamenti, si ritiene che il percorso intrapreso da questa Amministrazione, con riferimento alle strutture centrali e territoriali del Corpo nazionale, si possa qualificare più correttamente come riassetto organizzativo imperniato sull'ottimizzazione delle risorse esistenti e sulla razionalizzazione del funzionamento delle strutture medesime.
  È stato, infatti, predisposto e approvato ed è in corso di attuazione, ad invarianza di spesa, un progetto di riordino delle strutture in questione che, partendo dalle esigenze del territorio, ha ridefinito la mappatura delle sedi (centrali e distaccate), riclassificandole in base a indicatori oggettivi riconducibili al rischio territoriale, alla popolazione, all'estensione territoriale, allo sviluppo industriale e commerciale. In tale ambito, si è provveduto a bilanciare nel miglior modo possibile la distribuzione del personale nei vari comandi provinciali, garantendo le esigenze di sicurezza e tutela di tutti i territori.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MOLTENI e CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del capo del dipartimento della pubblica sicurezza, adottato il 9 dicembre 2015, il capo della polizia pro tempore, Alessandro Pansa, sospese cautelativamente l'assistente capo Fabrizio Rossi, reo di aver rilasciato alla trasmissione televisiva Ballarò un'intervista, con voce camuffata e volto oscurato, nella quale aveva reso dichiarazioni su argomenti riservati «mostrando ai giornalisti materiale obsoleto e deteriorato in dotazione alla Polizia di Stato»;
   nel decreto sopracitato si asseriva altresì che Fabrizio Rossi aveva prelevato materiale di vecchio tipo «non più in uso al personale della Polizia di Stato per poi esibirlo» all'intervistatore con il chiaro intento di denigrare l'istituzione di appartenenza;
   in difesa dell'assistente capo della polizia di Stato, il segretario generale del Sap, Gianni Tonelli, iniziava allora uno sciopero della fame che sarebbe durato per 61 giorni, allo scopo di evidenziare la natura politica ed intimidatoria della punizione irrogata all'assistente capo, privato senza vero giusto motivo anche della retribuzione e quindi posto in una situazione oggettivamente difficile anche in ragione della sua condizione di padre di una bambina di sei anni;
   l'11 ottobre 2016 il Tar del Lazio si pronunciava però a favore di Fabrizio Rossi, sospendendo il provvedimento di sospensione cautelare dal servizio che questi aveva impugnato;
   il Sap sarebbe inoltre recentemente venuto in possesso di un documento della digos, nel quale si confermerebbe che in realtà Fabrizio Rossi aveva detto il vero ed esibito materiale obsoleto, ma ancora effettivamente in uso alla polizia di Stato, allo scopo ultimo non di denigrare l'istituzione ma di rafforzare la richiesta di nuovi e migliori equipaggiamenti;
   si invocano da più parti interventi riparatori nei confronti di Fabrizio Rossi, che prima della sospensione cautelativa aveva anche ottenuto una promozione per meriti straordinari –:
   quali iniziative riparatrici il Governo intenda assumere per ristorare il grave torto subito l'assistente capo della polizia di Stato Fabrizio Rossi, ingiustamente sospeso cautelativamente dal servizio solo per aver raccontato alla Rai in quali difficili condizioni operino le forze di polizia del nostro Paese. (4-14647)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in oggetto viene richiamata l'attenzione sulla vicenda, risalente al novembre 2015, che ha portato l'amministrazione dell'interno ad adottare un provvedimento di sospensione cautelare dal servizio e ad avviare un procedimento disciplinare nei confronti dell'assistente capo della Polizia di Stato Fabrizio Rossi, in servizio presso il commissariato di pubblica sicurezza «Vescovio» di Roma.
  L'atto di sindacato prende spunto da una novità intervenuta nello scorso mese di ottobre, cioè la riammissione in servizio del predetto dipendente per effetto dell'annullamento da parte del TAR Lazio del provvedimento di sospensione cautelare.
  In relazione a tale circostanza, l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative si intendano assumere per ristorare l'assistente capo del danno subito.
  La vicenda, come è noto, ha avuto origine da un'intervista mandata in onda durante la trasmissione televisiva di Rai 3 «Ballarò» del 24 novembre 2015, nel corso della quale l'assistente capo – in divisa, con voce camuffata e volto oscurato – ha rilasciato dichiarazioni non autorizzate su argomenti riservati, mostrando ai giornalisti materiale obsoleto e deteriorato in dotazione alla Polizia di Stato e qualificando le dotazioni in uso alla Polizia medesima come inadeguate e pericolose.
  A seguito di tale episodio, il capo della polizia, su proposta del questore di Roma, ha adottato, il 9 dicembre 2015, un provvedimento di sospensione cautelare dal servizio per gravi motivi disciplinari, motivato dalla gravità della condotta, ritenuta peraltro lesiva dell'immagine e del prestigio dell'Amministrazione della pubblica sicurezza, anche in ragione dell'ampia risonanza mediatica dei fatti contestati.
  Il provvedimento cautelare è stato emesso in relazione all'avvio, nel successivo mese di gennaio 2016, di un procedimento disciplinare volto alla destituzione del dipendente per le violazioni previste dall'articolo 7, numeri 1, 2 e 4, del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 1981.
  In un secondo momento – nell'aprile 2016 –, per gli stessi fatti la Procura della Repubblica presso il tribunale di Roma ha formulato nei confronti dell'assistente capo la richiesta di rinvio a giudizio per i reati di falsità ideologica e materiale, diffusione di notizie atte a turbare l'ordine pubblico, peculato e abbandono del posto di servizio.
  La conseguente assunzione da parte dell'assistente capo della qualità di imputato ha comportato la necessaria sospensione del procedimento disciplinare avviato nei suoi confronti, fino alla definizione del giudizio penale.
  Di riflesso, ha cessato di spiegare i suoi effetti anche l'originario provvedimento di sospensione cautelare dal servizio per gravi motivi disciplinari.
  In questo contesto, sempre ad aprile 2016, il capo della polizia, nelle more della definizione del giudizio penale nei confronti del dipendente, ha adottato, su proposta del questore di Roma, un nuovo decreto di sospensione cautelare dal servizio, motivato stavolta da gravi motivi penali.
  Avverso tale provvedimento l'interessato ha proposto ricorso al TAR Lazio, con richiesta incidentale di sospensiva.
  L'11 ottobre scorso il giudice adito ha accolto l'istanza cautelare, senza tuttavia entrare nel merito dei fatti sottostanti all'adozione del provvedimento impugnato che saranno oggetto di trattazione nell'udienza del prossimo 6 giugno.
  Pertanto il 19 ottobre scorso, il capo della Polizia ha disposto la riammissione in servizio dell'assistente capo, a decorrere dal successivo 22 ottobre, con riserva di definire la posizione amministrativa del dipendente all'esito del giudizio pendente.
  In merito agli sviluppi penali della vicenda, si rappresenta che lo scorso 16 novembre l'assistente capo è stato rinviato a giudizio dal giudice per le indagini preliminari per i reati di falsità ideologica e materiale commessa da un pubblico ufficiale in atti pubblici, interruzione di un servizio pubblico o di pubblica utilità e, infine, abbandono del posto di servizio, venendo prosciolto, invece, dal reato di peculato. L'udienza dibattimentale si terrà il prossimo 22 marzo.
  Alla luce di quanto esposto, risulta chiaro che la condotta dell'assistente capo è tuttora oggetto di accertamento sia in sede penale che in sede giurisdizionale amministrativa, in cui è intervenuta, al momento, solo una decisione interlocutoria di natura cautelare.
  Occorre, pertanto, attendere la definizione di tali procedimenti per far piena luce sui vari risvolti della vicenda e consentire all'amministrazione dell'interno di assumere le determinazioni di competenza in ordine agli aspetti disciplinari e a tutti gli altri profili conseguenti.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse recentemente su alcuni quotidiani ed anche sul sito http://milano.corriere.it/, si è appreso che qualche giorno fa, giovedì 1 settembre, Lisa Bosia Mirra, deputata socialista svizzera, sarebbe stata intercettata e fermata dalle Guardie di confine svizzere al valico di San Pietro di Stabio, alla frontiera con l'Italia, mentre accompagnava e faceva entrare illegalmente in territorio elvetico quattro immigrati clandestini minorenni;
   in particolare, secondo quanto riferito dalla Polizia cantonale e dalle Guardie di confine, Lisa Bosia Mirra sarebbe stata alla guida di un'auto con targa ticinese che «fungeva da staffetta a un furgone, sempre con targa svizzera, guidato da un 53enne e con a bordo quattro migranti africani minorenni»;
   conseguentemente, nei confronti della deputata Lisa Bosia Mirra e del 53enne residente nel Canton Berna, con cui è stata fermata dalle Guardie di confine, sarebbe stata formulata l'ipotesi di reato di favoreggiamento dell'entrata illegale e l'inchiesta sarebbe coordinata dalla Procuratrice pubblica Margherita Lanzillo;
   Lisa Bosia Mirra, dopo diversi interrogatori per far luce sulla vicenda, sarebbe stata denunciata a piede libero per favoreggiamento dell'entrata illegale e, confermate tutte le accuse, per lei l’iter giudiziario sarebbe in corso, mentre l'uomo che era alla guida del furgone si troverebbe in stato di fermo;
   inoltre, si apprende altresì da quanto riportato dagli organi di stampa, per la gravità della fattispecie di reato contestato ai due e per il proseguimento dell'inchiesta, sarebbe stato attivato anche il Gruppo Interforze Repressione Passatori (GIRP), unità specializzata nel contrasto del fenomeno dei passatori e composta da agenti della Polizia cantonale, da Guardie di confine e da inquirenti di Fedpol;
   la deputata svizzera socialista Lisa Bosia Mirra è anche presidente di una associazione elvetica, la Firdaus, che per più di un mese e mezzo, da luglio scorso, ha distribuito pasti agli immigrati clandestini accampati nei pressi della stazione di Como, come documentato da diversi servizi e articoli di stampa;
   da notizie apparse il 23 agosto 2016 (http://www.rsi.ch), pare che l'amministrazione comunale di Como improvvisamente abbia deciso di affidare tale compito invece alla Caritas lariana;
   a fronte di tale decisione e ripensamento da parte dell'amministrazione comunale, Lisa Bosia Mirra pare avrebbe affermato che «Firdaus non può che rispettare la decisione, in quanto “a Como siamo ospiti«” –:
   se e quali rapporti abbia avuto l'associazione elvetica Firdaus e la sua presidente, la deputata svizzera Lisa Bosia Mirra, con le istituzioni italiane, in particolare con il comune e la prefettura, relativamente alla gestione e accoglienza degli immigrati clandestini accampati presso la stazione di Como e a quale titolo fosse ospite in territorio italiano per prestare tali attività, se risulti che tale associazione sia operativa e presente in altre zone di confine con il territorio svizzero, infine se la stessa sia stata beneficiaria di risorse o denaro pubblico per le predette attività prestate a Como o in altre località italiane. (4-14092)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede di conoscere quale sia il ruolo svolto dall'associazione elvetica Firdaus e dal suo presidente Lisa Bosia Mirra nell'accoglienza dei migranti presenti nella città di Como e se tale organismo abbia rapporti con la Prefettura e il comune capoluogo o abbia beneficiato di risorse o denaro pubblico per la predetta attività.
  Al riguardo, si rappresenta che, all'esito di specifiche verifiche, è possibile affermare che né la prefettura né il comune di Como hanno mai intrattenuto rapporti istituzionali con l'associazione elvetica denominata
Firdaus.
  L'assessore ai servizi sociali del comune ha tenuto a precisare che, nel corso di una riunione periodica di coordinamento per la grave emarginazione sociale tenutasi alla fine dello scorso mese di agosto, è stata affrontata anche la tematica dell'assistenza ai migranti che stazionavano nell'area antistante la stazione ferroviaria Como San Giovanni. In tale sede, è intervenuta, sullo specifico punto, la parlamentare di minoranza della Confederazione elvetica Lisa Bosio Mirra, in qualità di referente dell'associazione Firdaus.
  Nell'occasione, la parlamentare è stata invitata a non fornire alcun tipo di assistenza agli stranieri, stante l'operatività di altri enti a ciò specificatamente autorizzati.
  Infine, si informa che questa Amministrazione non ha mai elargito contributi economici, o altro, alla menzionata associazione, né risulta che lo abbia fatto il comune di Como.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   MURA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a Monastir (provincia di Cagliari) è attiva una delle Scuole di formazione e aggiornamento del personale di polizia penitenziaria, dipendente dal Ministero della giustizia;
   la struttura rappresenta un importante punto di riferimento per il personale di polizia penitenziaria, dirigenza e personale comparto Ministeri ed è l'unico centro di addestramento e formazione all'uso delle armi per differenti corpi militari e di polizia;
   da settimane la stampa locale e le organizzazioni sindacali riportano la notizia della chiusura della scuola e della volontà del Governo di trasformare la struttura in Centro di primo soccorso e accoglienza per rifugiati;
   se corrispondesse al vero, la scelta sarebbe doppiamente sbagliata: per il futuro del personale della scuola e della funzione che questa svolge per la formazione del personale, che sarebbe costretto ad andare altrove; per l'accoglienza ai migranti richiedenti asilo, non essendo l'edificio in alcun modo adatto – per posizione e disposizione dei locali – ad offrire ospitalità e assistenza per lungo periodo –:
   quale sia il futuro della scuola di formazione di Monastir, delle sue aule didattiche attrezzate e dell'eccellente poligono interno alla struttura, da sempre luogo di addestramento del corpo di polizia penitenziaria sarda e di altri corpi militari;
   se non ritenga che la scuola, non solo non debba essere dismessa, ma debba e possa essere potenziata, concentrandovi attività formative di diverso genere e trasferendo nei locali di Monastir uffici dell'amministrazione penitenziaria che oggi sono sparsi tra Cagliari e la provincia;
   se non consideri urgente individuare un'altra sede per il centro di primo soccorso ed accoglienza in Sardegna, sede che rappresenti davvero un punto di accoglienza e assistenza per migranti in fuga da guerre e fame e che, per favorirne l'integrazione, sia in città e non all'interno di strutture o ex strutture militari. (4-04967)

  Risposta. — L'atto ispettivo in esame lamenta la chiusura dell'ex scuola di formazione della polizia penitenziaria di Monastir, paventandone l'utilizzo come struttura per l'accoglienza di migranti.
  Come comunicato dalla competente articolazione ministeriale, la scelta della soppressione della scuola di polizia penitenziaria di Monastir rientra nel più ampio disegno, perseguito dal Governo, di razionalizzazione della spesa pubblica, realizzato con priorità con riguardo ai casi in cui si è riscontrata la sovrapposizione di enti con funzioni e compiti analoghi.
  Le motivazioni poste a fondamento del decreto di dismissione della Scuola di formazione e aggiornamento del corpo di polizia e del personale dell'Amministrazione penitenziaria di Monastir, avvenuta con decreto ministeriale del 6 novembre 2014, risiedono nella progressiva diminuzione dell'operatività di tale struttura.
  A tale riguardo, dall'analisi statistica dei corsi che si sono svolti presso la scuola di Monastir dal 2006 alla fine del 2014 risulta in modo evidente la progressiva deflessione dell'operatività della struttura formativa: ad esempio, nel 2010 e nel 2011 nessun corso vi si è svolto.
  Da questo punto di vista, non appare rispondente alla realtà la tesi secondo cui, con la chiusura della scuola, l'attività di formazione svolta in favore del personale penitenziario della Sardegna sarebbe irrimediabilmente compromessa: con l'apertura di nuove strutture penitenziarie, infatti, il personale dispone di locali e attrezzature del tutto idonei, e in alcuni casi di livello superiore, rispetto a quelli che garantiva la scuola di Monastir.
  Non solo, la collocazione geografica dei nuovi istituti consente di razionalizzare i costi delle missioni e dei viaggi per la sede formativa individuata volta per volta.
  Le operazioni di dismissione dell'ex scuola di formazione di Monastir si sono concluse in data 15 settembre 2016, con la restituzione degli immobili all'Agenzia del demanio – direzione regionale Sardegna. Resta, tuttavia, nella disponibilità del Ministero della giustizia una porzione del compendio, adiacente l'ex scuola di Monastir, destinata a poligono di tiro, una struttura completamente separata dagli altri edifici e che, pertanto, può conservare l'attuale destinazione, risultando, allo scopo, sufficienti interventi di rinforzo dell'attuale muro di cinta e di predisposizione di un adeguato sistema di videosorveglianza.
  Quanto al timore, espresso dall'interrogante, in merito alla riconversione del compendio immobiliare di Monastir in centro di accoglienza di migranti, si osserva che, come comunicato dal Ministero dell'interno, a partire dal dicembre 2015, la Sardegna è priva di qualsiasi centro governativo funzionale allo scopo, in seguito alla chiusura definitiva del centro di prima accoglienza di Elmas (che disponeva di una ricettività di circa 300 posti), la cui area è stata riconsegnata al Ministero della difesa.
  Alla data del 9 settembre 2016, sono stati attivati dalle Prefetture dell'isola – come comunicato dal Ministero dell'interno – 122 centri di accoglienza straordinaria, di cui 79 a Cagliari, 20 a Sassari, 10 a Nuoro e 13 a Oristano.
  Considerate le esposte difficoltà, è stata avviata un'attività di ricognizione, volta a reperire nuove strutture da destinare a centro governativo di prima accoglienza, strumento necessario, sia quale camera di compensazione in caso di mancanza di posti nei centri straordinari, sia quale luogo di ricovero per i migranti che sbarcano direttamente sulle coste sarde.
  Tra le strutture individuate come idonee al predetto fine, il Ministero dell'interno ha comunicato esservi la struttura demaniale della ex scuola di polizia penitenziaria di Monastir, per la quale sono stati approntati dei progetti di ristrutturazione, nell'ambito di un ben più ampio panorama di interventi, compreso quello della realizzazione, su proposta della regione Sardegna, di una struttura amovibile, cui ricorrere in caso di sbarchi programmati di migranti soccorsi in mare, allo scopo di offrire, in qualsiasi località di sbarco sulle coste sarde, condizioni dignitose di accoglienza ed assistenza, nelle more dell'effettuazione delle abituali procedure di identificazione per il successivo trasferimento nei centri dedicati.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   NASTRI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro interrogato ha recentemente dichiarato che è in progetto una rimodulazione del dispiegamento delle forze di polizia sul territorio, con la collaborazione degli enti locali e dei cittadini, al fine di creare un modello di difesa che coinvolga tutte le forze territoriali, dal prefetto al sindaco, passando per la polizia locale;
   al riguardo ha aggiunto, che vanno individuati i punti di vulnerabilità che sono diversi per ogni città, in quanto ognuno deve portare le informazioni di cui dispone, in modo da avere un quadro preciso e aggiornato della situazione di eventuale pericolo;
   l'interrogante a tal fine evidenzia come il coinvolgimento della polizia locale possa effettivamente essere uno strumento adeguato per le finalità preventive che il Corpo può svolgere, attesa la capillare conoscenza del territorio in cui opera e il controllo che ne deriva anche in termini di soggetti che vi risiedono o transitano;
   il comune di Novara (che include più di 100 mila abitanti) è suddiviso in 13 zone urbane ed occupa un'importante posizione strategica, tenuto conto che è il centro di un flusso di comunicazioni tra le città di Milano, Torino, Varese e Genova;
   si aggiunge che il suindicato comune, pur non essendo città metropolitana risulta essere, dopo Torino, il centro più importante del Piemonte; inoltre vi sono una serie di altri fattori, che contribuiscono a renderlo una città modello;
   il Corpo della polizia locale di Novara è composto da 96 operatori, con caratteristiche sia operative che amministrative e quindi con possibilità di gestione autonoma per tutti gli ambiti istituzionali cui è preposto; inoltre, presso la procura della Repubblica è distaccato personale della sezione di polizia giudiziaria e, pertanto, anche in questo settore vi è diretto contatto la magistratura;
   l'interrogante evidenzia altresì come il contesto socio-economico locale e, in particolare, lo stretto legame con l'operato dell'assessorato ai servizi sociali hanno consentito nel corso di questi ultimi anni sia di conoscere a fondo le problematiche legate ai flussi migratori sia di operare con coloro che sono stati oggetto di situazioni di marginalità che hanno determinato una pericolosa estremizzazione;
   in quest'ambito, sono state effettuate dalla polizia municipale novarese importanti operazioni, a seguito delle quali sono state decretate alcune espulsioni da parte del Ministro pro tempore Alfano; peraltro, la stessa polizia locale è stata interessata in tali operazioni connesse al flusso di cittadini stranieri alloggiati all'ex campo TAV;
   l'interrogante evidenzia che sempre a Novara esiste un centro di preghiera che raccoglie circa 900 persone provenienti anche dalle località limitrofe, in relazione al quale è spesso assicurato un servizio di controllo viabilità in occasione delle funzioni religiose che ivi si svolgono durante la settimana;
   ulteriori elementi che, a giudizio dell'interrogante, occorre considerare in maniera rilevante e che suggeriscono un concreto interessamento al coinvolgimento del Corpo della città di Novara, sono rinvenibili nel fatto che 32 vigili hanno appena terminato grazie alla fattiva e completa collaborazione in essere tra la questura di Novara e l'amministrazione comunale, un completo corso di formazione in «tecniche operative di polizia e redazione atti»;
   in ambito d'indirizzo e programmazione infine, l'interrogante evidenzia come il comune di Novara abbia deliberato di esprimere la condivisione per la diffusione del modello del «controllo di vicinato» come strumento di partecipazione e momento di educazione civica della collettività, modello che si propone un'attenta sorveglianza dei cittadini in merito agli avvenimenti che accadono nella zona di residenza con la possibilità segnalare furti e circostanze sospette alle forze di polizia –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, in considerazione di quanto esposto in premessa e a seguito delle recenti dichiarazioni dallo stesso espresse, promuovere in relazione alla città di Novara un «progetto pilota», finalizzato a incrementare i livelli di sicurezza per la comunità locale, attraverso una migliore sinergia tra la polizia locale e le forze dell'ordine, in grado di coinvolgere tutte le forze territoriali e i cittadini;
   in caso affermativo, quali iniziative normative intenda assumere al fine di realizzare tale modello, che, a giudizio dell'interrogante, non potrà che accrescere i livelli di tutela e sicurezza, per la città piemontese, anche a seguito del fenomeno legato al terrorismo internazionale, divenuto sempre più allarmante. (4-15165)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiede al Ministro dell'interno se non ritenga opportuno promuovere, in relazione alla città di Novara, un progetto pilota finalizzato a incrementare i livelli di sicurezza per la comunità locale attraverso una migliore sinergia tra le polizie locali e le Forze di polizia.
  Preliminarmente, si assicura che sulla proposta dell'interrogante sono stati avviati mirati approfondimenti da parte delle competenti articolazioni centrali e periferiche del Ministero dell'interno.
  Si ribadisce, inoltre, il convincimento che per innalzare al massimo i livelli di efficienza ed efficacia dell'azione di contrasto delle diverse minacce che riguardano il Paese, non si può prescindere da una strategia complessiva basata su un nuovo modello di governance delle politiche integrate per la sicurezza che abbia, fra i punti di forza, proprio il potenziamento della collaborazione con i Corpi di polizia locale.
  Tale ultimo aspetto, che si lega alla domanda di interventi volti all'adozione di un nuovo assetto ordinamentale della polizia locale, è all'attenzione di questa Amministrazione che è impegnata a compiere ogni utile approfondimento volto a una possibile rivisitazione della materia.
  In tale ottica si pone lo schema di provvedimento normativo in materia di sicurezza integrata e di tutela del decoro urbano delle città, che è stato approvato la settimana scorsa dal Consiglio dei ministri e che nasce proprio dall'esigenza di adeguare le politiche di sicurezza alle nuove più complesse istanze che caratterizzano i grandi centri urbani e una società sempre più multietnica.
  L'iniziativa legislativa propone un nuovo modello di governance basato sulla cooperazione tra i diversi livelli di governo e, quindi, su strumenti di intervento differenziati, volti a garantire maggiori e più elevati standard di sicurezza, delineando una rete di partenariato interistituzionale che, nella gestione dei territori, alle politiche di ordine pubblico in senso stretto affianca politiche di nuova prevenzione rimesse anche alle competenze delle regioni e degli enti locali.
  Tutto ciò nella consapevolezza che il tema della sicurezza e quello della sicurezza urbana in particolare, non possano che essere affrontati con la massima condivisione e, dunque, con il coinvolgimento di tutte le componenti istituzionali interessate.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NUTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Marco Minniti è stato nominato Ministro dell'interno il 12 dicembre 2016 nel nuovo governo Gentiloni, dopo aver ricoperto la carica di Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri con delega ai servizi segreti sia nel Governo Letta dal maggio 2013 al febbraio 2014 che nel Governo Renzi dal febbraio 2014 al dicembre 2016;
   nelle passate legislature ha ricoperto altri incarichi di Governo, tra i quali anche l'incarico di Viceministro dell'interno (Ministro Giuliano Amato) nel II Governo Prodi dal maggio 2006 al maggio 2008;
   secondo quanto scritto in un articolo pubblicato su « La Notizia» del 20 dicembre 2016, vi sarebbero legami tra il Ministro dell'interno e l'ex sindaco del comune di Melito di Porto Salvo, in provincia di Reggio Calabria, Giuseppe Iaria, il quale è stato arrestato successivamente in seguito all'operazione «Ada» coordinata dalla direzione distrettuale antimafia accusato, tra l'altro, di essersi accordato con la `ndrangheta per ottenere vantaggi elettorali;
   nel febbraio del 2006, quando Minniti era Viceministro e Iaria sindaco di Melito di Porto Salvo, venne insediata una commissione d'accesso ai sensi dell'articolo 143 del T.U.E.L. per accertare eventuali infiltrazioni mafiose presso tale comune con risultati piuttosto chiari: «il descritto contesto di invasiva presenza della cosca Iamonte sul tessuto socioeconomico di Melito Porto Salvo, sufficiente di per sé a suscitare gravi preoccupazioni sull'attuale situazione dell'ordine e della sicurezza pubblica nel territorio comunale, appare, in ragione degli accertamenti effettuati dalla commissione, suscettibile di contaminare le pubbliche amministrazioni e, quindi, anche il Comune»;
   tuttavia, il comune non venne sciolto, almeno fino a quando Minniti rimase all'Interno, in quanto, secondo gli atti giudiziari riportati nell'articolo afferenti l'indagine «Ada» che fece luce sugli affari della cosca degli Iamonte, l'allora sindaco Iaria vantava «rapporti, anche abbastanza stretti, con personaggi di primo piano del panorama politico nazionale», in particolare «gli ottimi rapporti stretti col Minniti Marco»;
   da questi rapporti scaturiscono «una serie di incontri, anche a Roma, “tesi a scongiurare lo scioglimento del Comune”. Cosa che alla fine avverrà: “i fatti dimostreranno come il Comune di Melito Porto Salvo non verrà sciolto, diciamo, supera indenne diciamo l'inchiesta condotta dalla commissione d'accesso e quindi arriviamo alle elezioni del 2007«», consentendo a Iaria di ricandidarsi e vincere nuovamente le elezioni a sindaco di Melito di Porto Salvo;
   come si può leggere nell'articolo, «Sarà l'inchiesta Ada, poi, a portare Iaria e altri amministratori alla sbarra. Senza dimenticare che Iaria, proprio pochi giorni fa è finito agli arresti domiciliari per un'operazione sugli appalti nei rifiuti e gli interessi della `ndrangheta. Ancora con gli Iamonte»;
   quando descritto nell'articolo, secondo l'interrogante, dipinge un quadro a dir poco preoccupante, gettando pesanti dubbi sulla figura di Minniti, anche in considerazione del fatto che attualmente, essendo stato nominato Ministro dell'interno, ricopre un ruolo di primo piano nella procedura di scioglimento degli enti locali per infiltrazioni mafiose descritta negli articoli 143 e seguenti del T.U.E.L., avendo in ultima istanza un'ampia discrezione decisionale sullo scioglimento stesso;
   secondo l'interrogante, quanto sopra descritto, se non adeguatamente chiarito, costituirebbe un grave vulnus al nuovo Governo Gentiloni, nonché minerebbe irreparabilmente l'operato presente e futuro del Ministro Minniti –:
   se non intenda chiarire i fatti esposti in premessa;
   se risultino agli atti le ragioni per le quali il comune di Melito di Porto Salvo non è stato sottoposto a scioglimento ai sensi degli articoli 143 e seguenti, T.U.E.L. nel 2006;
   se non intenda chiarire quali siano i legami tra il Ministro interrogato e Francesco Iaria. (4-15064)

  Risposta. — L'interrogazione in esame richiama i contenuti di un articolo pubblicato sulla rivista «La Notizia» del 20 dicembre 2016, in cui si fa riferimento al mancato scioglimento del comune di Melito Porto Salvo nel 2006, nonché ai rapporti tra il sindaco pro tempore del comune medesimo, Giuseppe Iaria, e l'attuale Ministro dell'interno Marco Minniti, allora Viceministro dell'interno.
  In relazione a tali aspetti, l'interrogante chiede chiarimenti e notizie.
  Si premette che le procedure di scioglimento degli enti locali non costituiscono oggetto di delega ai Viceministri o ai Sottosegretari di Stato all'interno, restando riservata alla potestà esclusiva del Ministro la valutazione della sussistenza dei presupposti per l'adozione del provvedimento di rigore ai fini della relativa proposta al Consiglio dei ministri.
  Questo criterio regolatorio non ha mai registrato eccezioni ed era applicato anche all'epoca del mancato scioglimento del comune di Melito Porto Salvo citato nell'interrogazione, allorquando – come detto – Marco Minniti ricopriva l'incarico di Viceministro dell'interno.
  Al riguardo, si rappresenta che, con decreto del 20 gennaio 2006, il Ministro dell'interno pro tempore delegò il prefetto di Reggio Calabria, Luigi De Sena, ad eseguire l'accesso ispettivo presso quel comune. Quest'ultimo ricopriva l'incarico di Vice Capo della Polizia quando si verificò l'omicidio di Francesco Fortugno, Vice Presidente del Consiglio regionale della Calabria. La sua nomina a prefetto di Reggio Calabria, con poteri anche di coordinamento delle attività di sicurezza pubblica e di contrasto della criminalità organizzata e di attuazione di un programma di intervento straordinario in Calabria, costituì la risposta dello Stato all'efferato delitto e il segnale della fermezza con cui esso intendeva fronteggiare il fenomeno della ’ndrangheta.
  Il prefetto De Sena nominò la commissione d'indagine per l'accesso al comune di Melito Porto Salvo. All'esito dei lavori di tale organismo, egli ritenne di non proporre lo scioglimento dell'ente locale e, in tal senso, si espresse nella relazione del 13 luglio 2006 inviata al Ministro dell'interno.
  Lo stesso Prefetto, nel corso di un'audizione tenutasi il 30 gennaio 2007 davanti alla Commissione affari costituzionali della Camera dei deputati, diede conto delle ragioni che lo avevano indotto a valutare una soluzione alternativa al provvedimento dissolutorio, cioè per l'attivazione da parte della prefettura di un monitoraggio, con diffida al sindaco, nei settori dell'amministrazione comunale ritenuti più delicati: urbanistica, anagrafe, elettorale e tributi.
  In un'ulteriore audizione, tenutasi il 5 luglio 2007 davanti alla Commissione parlamentare antimafia, sempre il prefetto De Sena illustrò il nuovo approccio verso gli enti locali soggetti ad infiltrazioni mafiose.
  In particolare, informò che riguardo a tali enti si stava attuando, in linea con gli indirizzi ministeriali e con un protocollo sottoscritto con l'ANCI e l'UPI, una strategia di intervento volta ad affiancare agli atti di rigore dell'accesso e dello scioglimento un'attività di prevenzione, non intesa in senso tecnico ma, piuttosto, fondata sulla competenza generale del prefetto e, quindi, sulla capacità di intervento in ausilio ad enti che non hanno da soli la forza di resistere alla pressione della ’ndrangheta, perché spesso privi delle competenze e delle risorse necessarie.
  Nella stessa audizione, il prefetto di Reggio Calabria rese noto che questa concezione innovativa aveva trovato applicazione anche nei riguardi del comune di Melito Porto Salvo con cui la Prefettura aveva sottoscritto un apposito protocollo, attivando in quella realtà un comitato di indirizzo, cioè un organismo interforze, coordinato da un dirigente prefettizio e con la partecipazione – tra gli altri enti – dell'amministrazione comunale, quale luogo privilegiato per realizzare valide ed efficaci azioni di recupero della legalità e di affermazione delle regole democratiche.
  Quanto ai rapporti intercorrenti tra l'ex sindaco di Melito Porto Salvo, Giuseppe Iaria e il senatore Marco Minniti, si rappresenta che gli stessi avevano carattere esclusivamente politico, in quanto nascenti dall'appartenenza allo stesso partito. Essi, peraltro, risalivano ad un periodo antecedente alla nomina del senatore Minniti a Viceministro dell'interno e si sono interrotti molto prima delle vicende giudiziarie del signor Iaria, all'epoca delle quali erano dunque insussistenti.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   PAGANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio nisseno il contraente generale «Empedocle 2» sta realizzando, per il secondo lotto, il corridoio plurimodale tirrenico Nord Europa, itinerario Agrigento – Caltanissetta – A19, strada statale 640 di Porto Empedocle, ammodernamento e adeguamento alla categoria B del decreto ministeriale 5 novembre 2001;
   l'opera è costituita dal primo tratto dall'ammodernamento della strada statale 640 per un totale di 31 chilometri per il primo lotto e ricade nel territorio della provincia di Agrigento. Il secondo maxi lotto è compreso tra il chilometro 44 e lo svincolo di Imera per un totale di 28,2 chilometri, ricadendo nel territorio provinciale di Caltanissetta e, solo per l'ultimo tratto, in quello di Enna;
   attualmente è in fase di realizzazione la seconda «canna» della «galleria Caltanissetta»;
   durante l'esecuzione della prima «canna» della galleria Caltanissetta della lunghezza di chilometri 4,00 realizzata con la TBR, si sarebbero attivati diffusi cedimenti nelle strutture pubbliche, nonché negli edifici privati esistenti, posti lungo la proiezione del tracciato della galleria;
   i danni più consistenti si sarebbero verificati nell'area urbanizzata di via Pietro Leone, dove molti fabbricati privati, pur essendo distanti dal tracciato della prima galleria hanno subito e continuano a subire estesi cedimenti, sia nelle strutture sia su piazzali e strade di accesso;
   i proprietari degli edifici che sono oggetto di dissesto hanno inviato, con l'ausilio del proprio tecnico dottor geologo Gianfranco Zigarelli, con posta certificata sia all'ANAS di via Mozambico Roma che alla Soc. Empedocle 2 s.c.p.a di contrada Bigini Caltanissetta, un report fotografico dei danni subiti ed una richiesta di sopralluogo al fine di valutare i danni causati dalla realizzazione della galleria;
   dai sopralluoghi effettuati dai tecnici della Soc. Empedocle 2, si è constatato che i cedimenti sono in atto e che era necessario monitorare gli stessi con l'applicazione di mire ottiche nei vari fabbricati;
   il tracciato della seconda galleria in fase di esecuzione, ricade perfettamente lungo la proiezione del CEFPAS (Centro per la formazione permanente e l'aggiornamento del personale del servizio sanitario) e dei fabbricati di via Pietro Leone;
   nell’«Autorizzazione ad introdursi in proprietà privata per l'esecuzione di attività connesse alla progettazione dell'opera pubblica articolo 15 decreto del Presidente della Repubblica: n. 327/2001» era stata prevista la collocazione di strumentazioni negli edifici esistenti e l'effettuazione di indagini nel sottosuolo, ma ad oggi, a quanto consta all'interrogante, nessuna verifica ed indagine prevista è stata messa in atto;
   la mancanza delle suddette indagini e delle verifiche delle condizioni geologiche dell'area ha determinato delle fallanze sul sistema di prevenzione del rischio di danni strutturali su diversi edifici, sulla base anche delle caratteristiche geologico-strutturali delle aree interessate dal tracciato;
   la stessa società Empedocle 2, pur avendo constatato, tramite l'utilizzo di mire ottiche, che i cedimenti erano in atto, ad oggi non sembra aver provveduto all'esecuzione di alcuna indagine e verifica;
   la società Empedocle 2, a quanto consta all'interrogante, non ha provveduto a documentare fotograficamente lo stato dei luoghi prima e dopo l'esecuzione della galleria, allo scopo di avere un eventuale raffronto fra lo stato iniziale degli edifici e quello successivo alla realizzazione della galleria, e in modo tale da non avere dubbi sulla concomitanza dell'esecuzione della galleria e della comparsa dei dissesti nelle strutture;
   anche per la seconda galleria (parallela alla prima), risulta che attualmente nessuna indagine sia stata condotta, e quindi potrebbero attivarsi in fase di esecuzione danni consistenti sulle strutture che ancora oggi subiscono i dissesti della prima «canna», con conseguenze anche sull'incolumità fisica di chi vi abita –:
   in virtù delle problematiche sopracitate, se si intendano assumere iniziative per verificare lo stato di fatto e vigilare sulle scelte progettuali; se si intendano assumere iniziative per appurare se nelle aree urbanizzate del territorio nisseno (nelle zone lungo il tracciato della galleria) siano state effettuate le indagini geologiche e geotecniche previste, nonché la verifica statica degli edifici lungo l'asse della seconda «canna» della galleria Caltanissetta, allo scopo di salvaguardare l'incolumità delle persone dai potenziali cedimenti che potrebbero sorgere negli edifici pubblici e privati, posti nella proiezione della galleria stessa. (4-13425)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Il progetto definitivo dell'intervento «S.S. n. 640 di Porto Empedocle – Itinerario Agrigento – Caltanissetta – A19. Ammodernamento e adeguamento alla categoria B del decreto ministeriale 5 novembre 2001 del 2o tratto, dal km 44+000 allo svincolo con la A19» è stato approvato con delibera Cipe n. 37 del 2009, con prescrizioni in materia ambientale. Con parere n. 1029 del 3 agosto 2012 la Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via e Vas del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha espresso parere positivo circa la verifica di ottemperanza del progetto esecutivo alle prescrizioni contenute nella delibera Cipe di approvazione del progetto definitivo.
  La galleria Caltanissetta, che sottopassa la collina di S'Elia, ove sorgono alcuni gruppi di edifici della periferia della omonima città, rappresenta l'opera d'arte più imponente prevista in progetto.
  Nel progetto costruttivo è prevista una metodologia di scavo d'avanguardia che permette l'avanzamento di 20-30 metri al giorno (completi di scavo e rivestimento), in condizioni di sicurezza per i lavoratori, per l'ambiente e per il territorio. La grande fresa integrale esercita un'elevata contropressione al fronte di scavo attraverso lo stesso materiale scavato, allo scopo di controllare i movimenti di materiale e di evitare quindi cedimenti superficiali del suolo.
  Già in fase progettuale, l'attraversamento in profondità a 100-130 metri dalla superficie del Parca urbana periferica nissena ha comportato l'esecuzione di rilievi dettagliati dello stato dei luoghi e delle strutture esistenti, oltre a diffusi ed approfonditi studi geologici condotti da professionisti italiani di assoluto livello: in particolare sono stati eseguiti oltre 3 km di sondaggi esplorativi carotati, quasi 1 km di pozzi per il controllo della falda, numerose prove in situ ed in laboratorio per la caratterizzazione geotecnica dei terreni, tutte realizzate in laboratori ufficiali di rilievo nazionale.
  Si segnala, altresì, che lo scavo della prima canna ha confermato le previsioni progettuali in merito ai risentimenti in superficie dei lavori di scavo, che si sono mantenuti nei limiti di compatibilità strutturale durante tutte le fasi realizzative.
  Il contraente generale ha monitorato costantemente i movimenti della superficie del suolo con strumentazioni di avanguardia, al fine di coglierne la non influenza strutturale sugli edifici potenzialmente interessati da interazioni con lo scavo della galleria.
  Il monitoraggio viene assicurato oltre che con rilevazioni strumentali anche con periodici sopralluoghi sugli edifici interessati, ed i risultati sono analizzati da qualificati professionisti nel campo dell'ingegneria strutturale e dello scavo di gallerie. Tale monitoraggio ha garantito e garantisce le informazioni utili al fine di conoscere preventivamente il livello di disturbo e consentire la messa in atto di eventuali provvedimenti tecnici di salvaguardia.
  Le incognite insite nei lavori in sotterraneo di questo tipo sono state, ad oggi, superate, ed è stato confermato quanto previsto in sede di progetto esecutivo relativamente al modello geologico-geotecnico. Le evidenze del monitoraggio, valutate in funzione delle strutture degli edifici, al momento, non hanno fatto riscontrare risentimenti strutturali degni di nota.
  Per quanto riguarda le mancate indagini geologiche e geotecniche per la seconda canna della citata galleria, si comunica che il contraente generale sta eseguendo la conduzione controllata dello scavo, come nel caso della prima, in condizioni di sicurezza per i lavoratori, la popolazione civile e le strutture soprastanti.
  In particolare sono in corso le seguenti indagini:
   monitoraggio degli edifici con frequenza giornaliera in funzione degli avanzamenti, tramite stazione totale ad alla precisione;
   monitoraggio e controllo dei parametri macchina rilevati in tempo reale dal personale della fresa meccanica a piena sezione (cosiddetto «Tbm – Tunnel boring machine») per lo scavo della galleria e da professionisti esterni per effettuare eventuali tempestive correzioni in caso di superamento delle soglie di attenzione predefinite;
   verifica delle deformazioni profonde tramite inclinometri ed estenso-inclinometri installati lungo il tracciato della galleria;
   controllo e monitoraggio delle oscillazioni della falda freatica, attraverso piezometri a tubo aperto e con le cosiddette «celle di Casagrande»;
   monitoraggio superficiale di controllo con stendimenti superficiali topografici lungo il tracciato della galleria;
   sopralluoghi di controllo statico in corso d'opera degli edifici sensibili da parte di docenti universitari in materia strutturale;
   compilazione di testimoniali di stato che rappresentino lo stato delle preesistenze ante operam.

  Pertanto, sulla scorta delle risultanze di dette indagini verranno adottate, laddove necessario, tutte le conseguenti misure di salvaguardia.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano La Repubblica ha evidenziato l'esistenza in località Caidate (VA) di un consistente gruppo organizzato di matrice esplicitamente neo-nazista, denominato Do.Ra., Dodici Raggi, con richiamo esplicito al Sole Nero simbolo delle SS;
   l'ideologia del gruppo, a cui aderirebbero almeno 300 persone, comprende antisemitismo, negazionismo, razzismo;
   l'organizzazione prevede vita comunitaria e gerarchia paramilitare e non avrebbe apparentemente finalità politico-elettorali;
   è invece evidente la propaganda d'odio verso immigrati, ebrei, gay, centri sociali, polizia e banche, così come atteggiamenti minacciosi che in alcuni casi sono sfociati in atti di violenza;
   esiste anche una branca femminile, denominata servizio ausiliario femminile, in esplicito richiamo alla storia della Repubblica sociale italiana –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per impedire la presenza organizzata sul territorio di aggregazioni di matrice neo-nazista e neo-fascista, posto che non appare all'interrogante compatibile con il nostro ordinamento costituzionale e normativo, oltre che con la storia e la memoria del nostro Paese, la persistenza di organizzazioni come quella esposta in premessa.
(4-15014)

  Risposta. — In relazione a quanto evidenziato nell'interrogazione in esame, si assicura che il Ministero dell'interno continua a dedicare la massima attenzione all'attività dei movimenti politici estremistici, qualunque ne sia l'orientamento, per prevenire e reprimere le iniziative che possano sfociare in atti illeciti.
  In particolare, l'attività di prevenzione si sviluppa in un attento monitoraggio ed un'accurata raccolta informativa, al fine di cogliere il minimo segnale di turbativa dell'ordine e della sicurezza pubblica e di deviazione dalle regole del diritto e della pacifica convivenza.
  Tale attività riguarda anche le associazioni, che come la «Comunità militante dei dodici Raggi DO.RA.» si ispirano chiaramente ad un'ideologia di estrema destra vicina ai principi del nazionalsocialismo. Nel caso in questione ciò appare comprovato anche dalla pubblicazione sul sito dell'associazione, recentemente riattivato, di messaggi rievocativi di eventi storici associati a simboli del nazismo e del fascismo. Il movimento, attestato su posizioni di orientamento skinhead, ha adottato come simbolo il «sole nero» noto emblema nazista dal significato esoterico.
  Tra le diverse manifestazioni promosse dal sodalizio nel corso degli anni si registrano quelle commemorative in occasione del «giorno del ricordo delle vittime delle foibe» e diversi concerti d'area, organizzati nella sede di Sumirago.
  Le Forze di Polizia hanno puntualmente segnalato all'autorità giudiziaria tutte le iniziative dei componenti dell'associazione per le quali potevano ritenersi sussistenti ipotesi di reato. Le denunce hanno riguardato, in particolare, alcuni episodi di intolleranza razziale. Da ultimo, cinque esponenti dell'associazione «DO.RA.» sono stati deferiti per i reati di riunione pubblica non preavvisata, deturpamento e invasione di terreni, commessi il 4 dicembre 2016 presso il sacrario ai caduti partigiani di san Martino di Duno (Varese).
  Infine si fa presente che, recentemente, l'associazione Do.Ra ha promosso, su un sito web, una petizione on-line con l'intento di chiedere «la messa fuorilegge dell'associazione nazionale partigiani d'Italia, la chiusura di tutte le sezioni e i processi per crimini di guerra dei partigiani ancora viventi». La questura di Varese ha presentato rapporto all'autorità giudiziaria in ordine a tale petizione, per le valutazioni di competenza rispetto alla sussistenza dei comportamenti che integrino fattispecie di reato.
  Si informa, inoltre, che nell'agosto del 2014 la pagina facebook del sodalizio è stata oscurata, su iniziativa dello stesso gestore del social network. Attualmente, l'associazione gestisce solo un sito web.
  In merito ad eventuali ulteriori misure che possono essere intraprese, va ricordato come l'ordinamento vigente consenta l'adozione di un provvedimento di scioglimento di movimenti che si ispirano al fascismo solo a seguito di una sentenza penale irrevocabile che abbia accertato il verificarsi in concreto della fattispecie della riorganizzazione del disciolto partito fascista.
  Allo stato attuale non risulta che l'associazione in questione sia stata destinataria di pronunce giurisdizionali che legittimino l'adozione di siffatto provvedimento di rigore.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   PAGLIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nella mattinata del 5 luglio 2016 due forti boati a distanza ravvicinata sono stati avvertiti nel territorio del comune di Ravenna;
   lo stesso fenomeno si era verificato il 20 giugno 2016;
   pare che a determinare il rumore siano stati, in entrambi i casi, passaggi di aerei a velocità superiore quella del suono;
   se confermato, si tratterebbe senza dubbio di apparecchi militari, dato che essi soli raggiungono la velocità necessaria;
   dovrebbe essere sempre limitata la possibilità di superare il muro del suono in prossimità di un centro abitato, per limitare il disagio su persone e esseri viventi –:
   se il Ministro interrogato possa dare conferma della notizia e, in caso positivo, per quali motivi siano stati autorizzati voli supersonici a breve distanza da una città;
   se possa garantire che non si ripeteranno casi simili, salvo inderogabili necessità operative. (4-13691)

  Risposta. — Nell'esprimere, in primo luogo, il sentito rincrescimento per gli episodi accaduti, non si può non condividere il sentimento di preoccupazione degli abitanti delle zone interessate dai fenomeni acustici richiamati dall'interrogante.
  Al riguardo, lo Stato maggiore dell'aeronautica ha comunicato che i boati avvertiti dalle popolazioni nelle circostanze di tempo e di luogo indicate, sono riconducibili a due attività di volo effettuate il 20 giugno e il 5 luglio scossi.
  Nello specifico, l'episodio del 20 giugno si è verificato durante l'esecuzione di una manovra addestrativa mentre i velivoli operavano in una zona regolamentata, a una quota compresa tra 20.000 e 30.000 piedi.
  Si è trattato di una esercitazione NATO regolarmente programmata e autorizzata, nel corso della quale tre velivoli F16 statunitensi, appartenenti al 31o Stormo Fighter Wing e di base ad Aviano, hanno superato involontariamente la velocità del suono (cosiddetta Mach 1).
  La pianificazione della missione escludeva attività supersonica e il suo profilo non prevedeva attività addestrativa a bassa quota.
  L'evento è stato segnalato dalla forza armata all’Office for defence cooperation statunitense per eventuali azioni correttive/migliorative che possano contribuire a evitare il ripetersi di simili episodi.
  Si segnala che le esercitazioni ai fini dell'addestramento – e non, quindi, per esigenze reali di difesa aerea – sono condotte in aderenza alle norme e alle procedure previste, nel rispetto, soprattutto, di ben definiti limiti procedurali, temporali, geografici e di quota.
  Anche i velivoli stranieri che operano all'interno dello spazio aereo italiano sono sottoposti alle stesse regole del volo dei velivoli nazionali ed è espressamente previsto che prima di condurre l'attività richiesta, debbano dimostrare di avere piena conoscenza delle procedure nazionali.
  Il fenomeno del 5 luglio, invece, si è verificato durante un'attività operativa, anch'essa regolarmente autorizzata, di difesa aerea « NATO Air Policing», svolta da velivoli in forza al 4o stormo di Grosseto, nel corso della quale è stato effettuato un volo supersonico a una quota di 40.000 piedi.
  Si rende noto, infine, che il traffico aereo operativo è specificamente regolamentato dalla direttiva di forza armata «Regole del volo per il traffico aereo operativo», nella quale è previsto, fra le altre prescrizioni, che i voli operativi devono evitare il sorvolo dei centri abitati, tranne alcune eccezioni espressamente previste, quali, ad esempio, quelle per voli reali di difesa dello spazio aereo nazionale o esigenze di soccorso.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaDomenico Rossi.


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie a mezzo stampa si apprende che il sindaco di Scandale (KR) è stato multato per aver denunciato lo stato di abbandono dei depuratori del capoluogo e quello della località Corazzo. Il verbale che si è visto trasmettere dalla capitaneria di porto di Crotone stabilisce la violazione del decreto-legge n. 152 del 2006, articolo 133, comma 2: «All'atto dell'accertamento effettuato, risultava uno scarico di acque reflue dagli impianti di depurazione priva dell'autorizzazione, ovvero scaduti dall'anno 2003»;
   nel 2007 la gestione è passata totalmente alla Soakro e, dal fallimento di quest'ultima (sentenza del 18 gennaio 2016), il sindaco di Scandale ha denunciato a tutte le istituzioni, finanche alla procura della Repubblica, lo stato di abbandono ed inefficienza in cui versano gli impianti, chiedendo un intervento immediato, poiché una vasta area del territorio, in particolare la località Bellavista, non è servita da impianti di depurazione, con conseguenti rischi per l'ambiente e per la salute pubblica;
   dopo le denunce del sindaco il 14 novembre la capitaneria di porto ha sequestrato gli inutilizzabili depuratori ed ha notificato al primo una multa di 300 mila euro (60 mila per ogni depuratore) da pagare tramite bollettino postale (in violazione delle norme concernenti l'antiriciclaggio);
   i depuratori installati sia nell'abitato di Scandale sia nella frazione Corazzo non risultano funzionanti e così pure non sembra garantito il rispetto dei limiti previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006 in materia di acque reflue. Anche nella rete idrica sono state rilevate perdite dovute alla vetustà ed usura delle condotte con conseguente difficoltà nell'approvvigionamento idrico di alcune zone. A tanto si aggiungono carenze di tipo amministrativo quali l'autorizzazione allo scarico delle acque reflue. È inoltre importante ribadire che una vasta area del territorio, in particolare la località Bellavista, non è servita da impianti di depurazione;
   l'intera rete ed i relativi impianti necessitano, con assoluta urgenza, di opere di manutenzione straordinaria e di interventi di adeguamento delle strutture già esistenti, al fine di consentire il raggiungimento dei livelli minimi di servizio, il rispetto della normativa di settore e la tutela ambientale;
   nelle more della entrata in vigore della legge regionale istitutiva della autorità idrica della Calabria, di cui alla delibera della giunta regionale 12 giugno 2015 n. 183, le funzioni di ente di governo dell'ambito territoriale ottimale per il servizio idrico integrato nel territorio regionale, continuano infatti ad essere attribuite alla regione Calabria e sono esercitate dal dirigente generale del dipartimento competente in materia di lavori pubblici ed infrastrutture;
   l'ente di governo nell'ambito (regione Calabria) non è finora intervenuto tempestivamente per garantire l'adempimento degli obblighi a carico del precedente gestore, attraverso l'esercizio dei poteri, anche di tipo sostitutivo, conferiti dalla legge e dalla convenzione;
   considerata la indiscussa competenza regionale in materia all'ente comunale non può essere ascritta alcuna responsabilità derivante dalla inosservanza della normativa di settore né per eventuali danni a persone e/o cose derivanti dalla inadeguatezza delle reti e degli impianti –:
   se non si ritenga che le somme necessarie per gli interventi debbano essere addebitate ai soggetti aventi la responsabilità degli stessi, ovvero Soakro spa e regione Calabria;
   se, ai sensi del combinato disposto degli articoli 147 e 152 del decreto legislativo n. 152 del 2006, stante l'assenza di intervento da parte degli organi preposti non intenda valutare se sussistono i presupposti per l'attivazione dei poteri sostitutivi per consentire il regolare esercizio del servizio idrico integrato mediante la nomina di un commissario « ad acta» da individuare nel sindaco di Scandale.
   (4-15063)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa a talune problematiche del servizio idrico integrato in Calabria, sulla base degli elementi acquisiti, con specifico riferimento all'attivazione dei poteri sostitutivi e alle conseguenti, connesse responsabilità, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la depurazione si inserisce nel processo verticale del Servizio idrico integrato (S.I.I.) composto appunto da acquedotto, fognatura e depurazione. La corretta gestione del servizio idrico integrato, secondo le norme vigenti, prevede una struttura decisionale locale che fa capo agli enti di governo d'ambito a cui spetta – in sede di predisposizione e aggiornamento del piano d'ambito – la scelta del modello organizzativo del servizio, la ricognizione delle infrastrutture, la pianificazione degli interventi necessari a fornire un servizio di qualità, la redazione del piano economico e finanziario della gestione e l'affidamento del servizio ad un gestore unico, oltre che il controllo e la vigilanza sulla gestione.
  La mancata piena attuazione del Servizio idrico integrato in molte regioni ha messo in evidenza le difficoltà delle amministrazioni locali nell'adeguare la dotazione infrastrutturale; in particolare si è manifestata l'incapacità progettuale, finanziaria e di spesa nella realizzazione degli interventi fognari e depurativi necessari all'adeguamento alla normativa europea di settore (direttiva 91/271/CEE relativa alla raccolta, al trattamento e allo scarico delle acque reflue generate da agglomerati urbani e da alcuni settori industriali – cosiddetta direttiva «Acque reflue urbane»).
  L'emanazione del decreto-legge 11 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto decreto «Sblocca Italia»), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 mira ad assicurare una governance del servizio idrico in grado di attuare efficacemente il controllo e la vigilanza sulle gestioni e garantirne la trasparenza.
  Al fine di accelerare e portare a compimento la riorganizzazione del S.I.I., è previsto il rafforzamento del dovere di provvedere tempestivamente, con l'introduzione della responsabilità disciplinare e ammnistrativo-contabile per l'autore del comportamento omissivo e con l'attribuzione del potere sostitutivo al Governo o alle Regioni di fronte all'inerzia dell'amministrazione competente.
  Lo «Sblocca Italia», infatti, prevede la gestione unica del servizio e l'esercizio dei poteri sostitutivi, nel rispetto del principio di sussidiarietà:
   dello Stato nei confronti delle regioni che non avessero provveduto alla data del 31 dicembre 2014 ad identificare i nuovi enti di governo d'ambito (articolo 7, comma 1, lettera b) che ha modificato l'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006);
   delle regioni nei confronti degli enti locali che non aderiscano all'Ente di Governo d'ambito o non provvedano al trasferimento delle infrastrutture al gestore unico. Laddove la regione non provveda, dovrà essere l'autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (A.e.e.g.s.i.), a segnalare l'inadempienza al Governo affinché questi possa esercitare i poteri sostitutivi.

  Si segnala, inoltre, che l'articolo 22 del decreto-legge 24 giugno 2016, n. 113, convertito con modificazioni dalla legge 7 agosto 2016, n. 160, ha previsto che i commissari straordinari di cui al comma 7 dell'articolo 7 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, dovranno assicurare la realizzazione degli interventi con le risorse destinate dalla delibera Cipe n. 60/2012 alla depurazione delle acque, e procedere senza indugio al loro impegno con le procedute ad evidenza pubblica, di cui al decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, prescindendo comunque dall'effettiva disponibilità di cassa, informando dell'esito delle stesse il competente dipartimento della Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'ambiente, e l'agenzia per la coesione territoriale.
  Da ultimo, per riportare a unitarietà la situazione commissariale è stata predisposta la scelta di good governance, auspicata formalmente dalla Commissione europea, ora prevista all'articolo 2 del decreto-legge 29 dicembre 2016, n. 243 (Interventi urgenti per la coesione sociale e territoriale, con particolare riferimento a situazioni critiche in alcune aree del Mezzogiorno): l'attività dei commissari nominati per l'adeguamento alle sentenze di condanna della corte di giustizia relative alle procedure n. 2004/2034 e n. 2009/2034, ai sensi dell'articolo 7, comma 7, del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, sarà ricondotta in capo ad un unico Commissario straordinario per la realizzazione e l'adeguamento dei sistemi di collettamento, fognatura e depurazione degli agglomerati urbani oggetto delle due infrazioni.
  La regione Calabria è tra le regioni che ad oggi non hanno ancora provveduto a dare piena attuazione al Servizio idrico integrato. Tale mancata attuazione comporta l'esistenza di criticità organizzative, gestionali ed infrastrutturali, con grave pregiudizio al territorio di riferimento e ai cittadini calabresi.
  Particolarmente grave appare la situazione in 13 dei 141 agglomerati interessati da contenzioso comunitario per mancata conformità dei sistemi fognari e depurativi ai requisiti fissati dalla direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane.
  Al momento, la regione, sottoposta a monitoraggio continuo da parte degli uffici del Ministero dell'ambiente e dell'Autorità per l'energia elettrica il gas e il sistema idrico, in quanto diffidata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 maggio 2015 poiché, alla data del 31 dicembre 2014, non aveva ancora provveduto ad individuare l'ente di governo d'ambito, sta provvedendo a dare attuazione agli obblighi di cui alla suddetta diffida. In particolare, con delibera del 12 giugno 2015, ha identificato l'autorità idrica della Calabria (A.I.C.) e, contestualmente, proposto al Consiglio regionale il disegno di legge regionale recante «Istituzione dell'ente di governo d'ambito per il servizio idrico integrato-Autorità Idrica della Calabria»; con delibera del 27 luglio 2015 ha disciplinato il funzionamento dell'ente d'ambito e con decreto dirigenziale del 14 ottobre 2015 sono state avviate le azioni propedeutiche all'affidamento del servizio idrico integrato.
  Il piano operativo di intervento sulla depurazione della regione Calabria, approvato nel 2011 e sottoscritto da 42 comuni, risulta finalizzato all'individuazione degli interventi prioritari e necessari al miglioramento dello stato qualitativo delle acque marine costiere, classificate «sufficienti» o «scarse», sulla base dei controlli effettuati dall'agenzia regionale per la protezione ambientale della Calabria (ArpaCal).
  Il piano operativo di intervento, a valere sui fondi Por Calabria FESR 2007-2013 – asse III ambiente, contempla operazioni volte al completamento, l'adeguamento, il riefficientamento e l'ottimizzazione delle reti fognarie esistenti e dei depuratori.
  Per accelerare gli interventi di adeguamento degli agglomerati ai requisiti stabiliti dalla Direttiva «Acque reflue urbane», il Ministero dell'ambiente ha adottato una serie di iniziative, di carattere sia economico che legislativo, tra cui la citata delibera Cipe n. 60 del 30 aprile 2012 con la quale sono stati assegnati oltre un miliardo e 643 milioni di euro per finanziare 183 interventi nel settore idrico e volti a risolvere le situazioni di maggiore criticità nel sud del Paese.
  In particolare, per la regione Calabria sono stati assegnati circa 160 milioni di euro per 16 interventi finalizzati a risolvere le criticità in 15 agglomerati – 13 dei quali interessati dalla citata procedura d'infrazione – e nei comuni della fascia costiera vibonese. Sulla base di quanto recentemente comunicato dalla regione Calabria, i 13 agglomerati oggetto della procedura d'infrazione dovrebbero raggiungere la conformità ai requisiti della direttiva 91/271/CEE entro il 2018/2019.
  Sulla base delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente, a conoscenza delle criticità segnalate, monitora costantemente e con la massima attenzione la situazione ed è impegnato ad intraprendere e portare avanti tutte le azioni di competenza volte alla risoluzione delle problematiche e a sollecitare la regione per far sì che la stessa ponga in essere tutto quanto necessario per il superamento delle criticità e per il raggiungimento del pieno rispetto della normativa comunitaria e nazionale.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PARIS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Avellino è stato chiamato a pronunziarsi su una denunzia per diffamazione a mezzo stampa promossa da un dirigente politico che si era sentito leso da un accostamento tra la sua attività politica e generici, in quanto non meglio identificati, «affari»;
   sulla vicenda il giudice per le indagini preliminari presso detto tribunale, con provvedimento n. 2915/13 Reg Gip ha, del tutto legittimamente, deciso di archiviare lo stesso con un corretto riferimento ad una pronuncia della Corte di cassazione che ritiene essere il contesto della polemica politica un contesto del tutto anomalo per il valore da attribuire a giudizi espressi in tale ambito a danno di un competitore politico;
   il giudice per le indagini preliminari ulteriormente argomentando le motivazioni del suo provvedimento, ha fatto, però, anche riferimento, come ad un fatto notorio, che noti dirigenti politici (a carico dei quali non risultano né sentenze specifiche, né tantomeno inchieste giudiziarie aventi come riferimento attività clientelari) abbiano intessuto in Campania un sistema di potere clientelare e, discendendone come una derivata, ha concluso il suo argomentare affermando che un sistema di potere è inevitabile, e che anzi il suo essere indissolubilmente connesso al risvolto clientelare «è il necessario supporto della moderna democrazia rappresentativa, quantomeno a livello locale»;
   un sistema di potere fondato su una rete di rapporti clientelari secondo l'interrogante non può essere considerato «il necessario supporto della moderna democrazia rappresentativa, quantomeno a livello locale», non è comunque accettabile ritenere che una moderna democrazia non possa sussistere se non è fondata basata, costruita su un sistema in cui al merito sia sostituito il favore, peraltro finalizzato alla costruzione del consenso politico, così, di fatto, abrogando il reato di «voto di scambio» e gli altri similari previsti dalla legge a tutela della imparzialità della pubblica amministrazione;
   secondo l'interrogante sono inammissibili, in una sentenza emessa in nome del popolo italiano, convinzioni di tale natura –:
   se non ritenga opportuno assumere iniziative ispettive ai fini dell'esercizio dei poteri di competenza. (4-00570)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo, l'interrogante, nel segnalare un provvedimento di archiviazione emesso dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Avellino, in relazione ad una denunzia per diffamazione a mezzo stampa promossa da un dirigente politico, pur riconoscendo la correttezza della decisione, supportata anche da un riferimento ad una pronuncia della Corte di cassazione, ha tuttavia rilevato l'inopportunità di alcune valutazioni espresse dal magistrato nel predetto provvedimento ed ha dunque chiesto di conoscere se questo Ministro intenda attivare i propri poteri ispettivi.
  In particolare, ha ritenuto improprio e inammissibile l'assunto espresso dal giudice secondo cui, premesso il fatto notorio che in Campania noti dirigenti politici avrebbero intessuto relazioni clientelari, il sistema di potere sarebbe indissolubilmente connesso a tale risvolto clientelare ed anzi «è il necessario supporto della moderna democrazia rappresentativa, quantomeno a livello locale».
  Orbene, la vicenda in esame è stata oggetto di accertamenti da parte di questo Ministero.
  In particolare, la competente direzione generale dei magistrati ha provveduto ad acquisire, dal presidente del tribunale di Avellino, l'intera documentazione inerente al fascicolo n. 2915/13 Reg. GIP, ivi compreso il menzionato decreto di archiviazione.
  All'esito dell'istruttoria, la predetta articolazione ministeriale ha evidenziato che, dalla lettura degli atti del procedimento e, segnatamente, del detto decreto di archiviazione, emesso ai sensi degli artt. 409 – 411 del codice di procedura penale, si evince che la frase sopra evidenziata, letta nel più ampio argomentare del provvedimento, è chiaramente volta a suffragare le ragioni che hanno condotto il giudice ad archiviare la querela, pur in presenza dell'opposizione proposta dalla persona offesa.
  Ha altresì aggiunto che, al di là di ogni valutazione sulla opportunità di esprimere commenti e considerazioni personali di carattere generale in un provvedimento giudiziario, la sostanziale correttezza della decisione assunta, come peraltro rimarcato dallo stesso interrogante, non consente di individuare alcuna ipotesi di fattispecie disciplinare, così come tipizzate dal decreto legislativo n. 109 del 2006.
  Preme, da ultimo, evidenziare che esula dalle prerogative del Ministro della giustizia il sindacato sulle motivazioni poste alla base di un provvedimento giurisdizionale, a meno che non si versi nell'ipotesi di cui all'articolo 2, comma 1, lettera l), del richiamato decreto legislativo n. 109 del 2006, che non è stata ritenuta sussistere nel caso di specie.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PASTORELLI e LOCATELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani, fondata nel 1949 come ESSMOI (Ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano) e riconosciuta legalmente con decreto del Presidente della Repubblica del 21 novembre 1987, è proprietaria di un'imponente biblioteca di oltre 3.500 volumi specializzati in storia del socialismo e del movimento operaio italiano, ed è aperta al pubblico per 26 ore al mese;
   i volumi, valutati con perizia giurata del 2014 per un totale di euro 288.750,00, e di un archivio valutato con altra perizia giurata del 2014 per euro 160.000,00, è dichiarato «di notevole interesse storico» dalla Soprintendenza archivistica per il Lazio l'11 giugno 2001;
   tale valutazione comporta dei conseguenti obblighi per la Fondazione di conservazione, in maniera adeguata, della documentazione e di «richiedere l'autorizzazione di questa Soprintendenza qualora si intenda rimuovere l'archivio dalla propria sede». La sede è inserita nella tabella nazionale degli istituti culturali del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e in quella della regione Lazio, concessionaria dall'ottobre 2002 dell'immobile di proprietà comunale sito in via Arco del Monte, n. 99/A;
   in data 29 ottobre 2015 la Fondazione ha ricevuto un sopralluogo dei tecnici della società pubblica Risorse per Roma spa i quali, verificato il funzionamento di biblioteca e archivio e dell'attività culturale e editoriale della Fondazione, dichiaravano che «lo stato conservativo dell'insieme è più che buono»;
   con determinazione dirigenziale 22 dicembre 2015, n. 1096, il dipartimento patrimonio di Roma Capitale stabiliva la «riacquisizione del bene di proprietà Capitolina, sito in via dell'Arco del Monte 99/A composto da due locali al piano terra, oltre soppalco (...) utilizzato senza titolo dalla ESSMOI Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani con contestuale rilascio dello stesso da parte della Fondazione stessa», avvertendo «che, non ottemperando entro il termine di 30 gg. dalla notifica del presente provvedimento si procederà allo sgombero forzoso»;
   in data 30 marzo 2016, durante le festività pasquali quando la biblioteca non era aperta al pubblico, è stato effettuato il predetto sgombero forzoso, con tanto di sfondamento della porta, da parte di una squadra di operatori di Roma Capitale;
   risulta inoltre che della determinazione dirigenziale del 22 dicembre 2015 non siano stati avvertiti i competenti organi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e che anzi il direttore della Soprintendenza archivistica del Lazio abbia inviato, il 21 marzo 2016, quando ormai la determinazione era stata divulgata, al direttore del dipartimento patrimonio di Roma Capitale una lettera dove sottolineava le estreme difficoltà logistiche in cui si sarebbe trovata la Fondazione nel proseguimento della sua attività di conservazione degli archivi e della biblioteca, ove si fosse proceduto allo sgombero forzoso dei locali;
   per quanto si ritenga giusto e opportuno intervenire sulla situazione scandalosa del patrimonio edilizio del Comune di Roma e che quest'ultimo debba tornare quanto prima in possesso delle migliaia di immobili dati in affitto per pochi euro o addirittura occupati abusivamente, risulta agli interroganti decisamente eccessivo l'intervento consumato ai danni della Fondazione Modigliani e di un archivio di grande valore per la storia e la memoria del socialismo italiano –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritenga che tale sgombero forzoso, ove non venisse revocato, arrecherebbe un danno irreparabile a beni dichiarati dai competenti organi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo «di notevole interesse storico», e perciò oggetto di obblighi di adeguata conservazione in capo alla Fondazione Modigliani. (4-12878)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede notizie riguardo la determinazione del Comune di Roma di rientrare in possesso dei locali utilizzati dalla Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani per le sue attività di conservazione e consultazione degli archivi e della biblioteca.
  La Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani, nata nel 1949 come ente per la storia del socialismo e del movimento operaio italiano (Essmoi), fu istituita per volontà della vedova Vera Modigliani in seguito alla scomparsa del marito Giuseppe Emanuele, parlamentare socialista e membro della Assemblea costituente.
  La Fondazione, riconosciuta ente morale senza fini di lucro con decreto del Presidente della Repubblica 21 novembre 1987, svolge attività di ricerca bibliografica e storiografica, cura la pubblicazione dei volumi di Bibliografia del socialismo e del movimento operaio italiano e la redazione di un Bollettino Modigliani
on line, organizza convegni e mostre; possiede, inoltre, una biblioteca «specializzata» di 3.500 volumi in storia del socialismo e del movimento operaio italiano e un archivio dichiarato nel 2011 «di notevole interesse storico» dalla soprintendenza archivistica del Lazio.
  Per l'archivio della Fondazione è stato erogato dalla direzione generale Archivi – con decreto n. 80/11 (720) in data 7 agosto 2015 – un contributo per interventi di schedatura, riordinamento e inventariazione informatica, tuttora in corso, finalizzato non solo alla tutela ma anche alla fruizione da parte degli studiosi, in quanto la fruizione degli archivi dichiarati di interesse storico costituisce un obbligo per i proprietari ai sensi dell'articolo 127 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni (Codice dei beni culturali e del paesaggio).
  La soprintendenza archivistica del Lazio, informata dei problemi riguardanti la sede della Fondazione, ha inviato una propria nota (n. 553 del 21 marzo 2016) a Roma capitale, per sottolineare l'importanza del patrimonio culturale di cui è titolare la fondazione e le gravi conseguenze di un immediato sgombero dei locali sulla sua conservazione e fruizione, evidenziando, con particolare riferimento ai complessi archivistici, i rischi per i delicati interventi di tutela sopra descritti, ancora in fase di esecuzione, finanziati con fondi pubblici, i cui risultati sono attesi dalla comunità degli studiosi del settore.
  Riguardo la questione oggetto dell'interrogazione, questa Amministrazione ha richiesto informazioni all'amministrazione di Roma Capitale che ha comunicato quanto di seguito si riporta, con nota n. 55658 del 26 agosto 2016, a firma della sindaca, Virginia Raggi.
  «Con riferimento alle interrogazioni in oggetto, di pari contenuto, concernenti la Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani si rappresenta quanto segue, tenuto conto   delle informazioni rese in merito dagli Uffici interessati.
  Le suddette interrogazioni hanno ad oggetto la procedura avviata da Roma Capitale per la riacquisizione dell'immobile sito in Via dell'Arco del Monte n. 99/A, utilizzato sin dal 1948 come sede del Circolo Socialista P. Capuzzi, trasformatosi, nell'anno 1983, da «Circolo culturale del P.S.D.I.» in «Rivista Ragionamenti del P.S.D.I.» e, successivamente, in «Rivista Ragionamenti della Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani.
  Con nota protocollo n. 11399 del 6 luglio 2001, il competente Dipartimento Patrimonio ha comunicato al predetto Organismo che, per proseguire nell'utilizzo del citato bene immobile, si sarebbe dovuto procedere alla definizione delle pregresse pendenze economiche, risultate pari a Lire 124.681.990, e che tale debito si sarebbe potuto ridurre al 20 per cento del canone di mercato, qualora si fosse dimostrata la conformità dell'attività svolta alle ipotesi di cui all'articolo 7, lettera
b) secondo periodo, del «Regolamento delle concessioni di beni immobili appartenenti al demanio e al Patrimonio indisponibile comunale», approvato con Deliberazione del Consiglio Comunale n. 5625 del 27 settembre 1983.
  Con nota prot. n. 11815 del 13 luglio 2001, la Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani, evidenziando l'attività di ricerca culturale esercitata dalla «Rivista Ragionamenti», ha chiesto la riduzione del canone concessorio al 20 per cento di quello di mercato. Il Dipartimento Patrimonio, tenuto conto della documentazione prodotta, con nota prot. 1051 del 18 gennaio 2002, ha accolto l'istanza di riduzione del canone, stimandolo pertanto in euro 532,11 mensili.
  Con determinazione dirigenziale n. 484 del 26 settembre 2002, il Dipartimento Patrimonio ha autorizzato la concessione del bene in favore della «Rivista Ragionamenti della Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani» ed in data 25 ottobre 2002 è stato sottoscritto, in persona del Sig. Giuseppe Averardi – direttore e membro del Consiglio di Amministrazione della predetta Rivista – l'atto di concessione, per la durata di anni sei, a decorrere dal 1o gennaio 2002, con scadenza 31 dicembre 2007, al canone annuo di euro 6.385,32, successivamente rivalutato in euro 6.542,40.
  Con nota del 27 febbraio 2004, acquisita dal Dipartimento Patrimonio in data 1o marzo 2004 con protocollo n. 3528, il Sig. Giuseppe Averardi, firmatario dell'atto di concessione del 25 ottobre 2002, ha comunicato la pendenza di un contenzioso tra la testata «Ragionamenti» e la Fondazione Giuseppe Emanuele e Vera Modigliani in ordine al legittimo possesso dell'immobile di Via dell'Arco del Monte 99/A, manifestando altresì l'intenzione di riconsegnarlo al Comune di Roma, nelle more della definizione del contenzioso medesimo.
  Con nota protocollo n. 7251 del 16 marzo 2005, la Fondazione ha comunicato al Comune di Roma l'esito favorevole di tale contenzioso, nonché l'intenzione di regolarizzare la posizione economica ed amministrativa pregressa.
  Tenuto conto dell'avvenuta scadenza del predetto titolo concessorio – 31 dicembre 2007 – e del protrarsi, offre detto termine, dell'occupazione dell'immobile da parte della Fondazione, anche a fronte, dei pagamenti effettuati negli anni 2004-2015, come documentato dalla medesima con nota prot. n. 10477 del 23 aprile 2015, il Dipartimento Patrimonio, preso atto dei rilievi formulati in merito a casi analoghi dalla Procura Regionale della Corte dei conti, ha avviato il procedimento amministrativo per la riacquisizione del possesso dell'immobile con nota prot. 7840 del 30 marzo 2015, ai sensi dell'articolo 7 della Legge 241 del 1990.
  Con determinazione dirigenziale n. 1096 del 22 dicembre 2015, la suddetta Struttura Dipartimentale ha, quindi, disposto la riacquisizione del bene nella disponibilità dell'Amministrazione Capitolina.
  In data 30 marzo 2016, alla presenza dei rappresentanti del Dipartimento Patrimonio e della Polizia Locale di Roma Capitale è stato eseguito l'accesso nei locali di Via dell'Arco del Monte n. 99/A, al fine di dare esecuzione alla predetta determinazione dirigenziale n. 1096/2015.
  Con riguardo alla situazione attuale, la direzione generale archivi, sulla base delle informazioni ricevute dalla competente soprintendenza archivistica e bibliografica del Lazio, ha comunicato che:
   a seguito dello sfratto continua il divieto di accesso alla sede di via dell'Arco del Monte 99; il patrimonio archivistico e bibliografico vi è tuttora conservato e non risulta danneggiato; rimane tuttavia privo di custodia e non accessibile al pubblico degli studiosi. La Fondazione ha comunque ottenuto di poter effettuare un sopralluogo mensile al fine di verificarne le condizioni di conservazione;
   nel mese di ottobre 2016 su richiesta della stessa Fondazione, la soprintendenza ha autorizzato il trasferimento temporaneo presso l'Archivio centrale dello Stato della documentazione appartenente al fondo Vera Modigliani, al fine di permettere l'esecuzione dei sopraccennati lavori di schedatura, riordinamento e inventariazione, evitando la perenzione del finanziamento erogato dalla stessa direzione generale. La documentazione potrà essere mantenuta presso l'Archivio centrale ove le attuali criticità dovessero perdurare.
  Si auspica, a tale proposito, che si giunga presto a una soluzione che consenta la corretta conservazione e fruizione dell'archivio e la prosecuzione dell'attività culturale svolta dalla Fondazione.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   PILI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante il 2 maggio 2016 ha effettuato una visita ispettiva nel carcere di Alghero;
   da tutti gli elementi acquisiti si evince che il carcere sia destinato alla rapida chiusura;
   le improbabili smentite del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria dei giorni scorsi rispetto a tale progetto si scontrano con i dati: nel 2013 c'erano 170 detenuti oggi quelli presenti erano 44, più 9 che stanno fuori per lavorare e 5 in semilibertà;
   un piano chiaro quello del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria che a dicembre 2015 ha smontato la tipografia laboratorio per mandarla a Potenza;
   è pronta per essere smontata anche la falegnameria, e i tecnici del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria hanno già compiuto apposito sopralluogo;
   da dicembre 2015 non entra nessun nuovo detenuto. E continuano a uscirne;
   nei prossimi due-tre anni ben 18 detenuti saranno a fine pena;
   il risultato è eloquente: un carcere con 158 posti ne ospiterebbe, se restasse aperto, appena 26;
   la decisione del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria di non mandare più nessun detenuto ad Alghero, se non quei due o tre che si costituiscono in quel carcere, è la dimostrazione di un progetto a giudizio dell'interrogante inaccettabile, di chiudere quell'istituto; 
   ogni smentita d'ufficio appare poco credibile e funzionale solo a coprire il progetto;
   il tentativo di nascondere questo progetto si infrange con i dati e con la marginalità sempre più evidente del carcere;
   si tratta di un progetto che mira a trasformare quella struttura in centro di accoglienza, così come pianificato per i carceri di Macomer, Iglesias, Quartucciu e la scuola penitenziaria di Monastir;
   il piano deleterio del Ministero ha praticamente svuotato il carcere con interi bracci totalmente vuoti e tutti i laboratori in disuso; ne è un esempio la tipografia smontata e mandata fuori Sardegna;
   a questo si aggiunge che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria nel 2013 fece realizzare le docce in ogni stanza, mentre contestualmente si decideva di svuotare il carcere;
   la decisione di non mandare nessun detenuto si commenta da sola;
   il piano deciso dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria punta a chiudere il carcere;
   tutte le fonti interne hanno confermato il piano di chiusura e l'obiettivo di trasformarlo in un centro di accoglienza per migranti;
   chiudere il carcere e trasformarlo in centro per migranti è ad avviso dell'interrogante irrazionale. Si tratta di un piano da bloccare in ogni modo;
   le smentite del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria  hanno «le gambe corte» e sono secondo l'interrogante, senza alcuna credibilità, considerate quelle precedenti tutte smentite dai fatti;
   un anno fa l'interrogante denunciò che avrebbero chiuso i carceri di Macomer e Iglesias e la scuola penitenziaria di Monastir. Arrivarono vibrate quanto improbabili smentite;
   dopo qualche mese l'interrogante denunciò il piano di trasformare quelle strutture in centri di accoglienza per migranti. Altre vibrate e assurde smentite. Il giorno dopo le smentite furono pubblicate tutte le comunicazioni interne e ufficiali che confermavano chiusura e trasformazione delle strutture;
   ora i carceri di Macomer e Iglesias e la scuola penitenziaria di Monastir sono tutte strutture chiuse, nonostante le smentite. E in questi giorni le prefetture costrette a confermare il tutto –:
   quali siano i progetti per il carcere di Alghero;
   se non si ritenga di dover dichiarare l'assoluta inutilizzabilità del carcere per la trasformazione in centro di accoglienza;
   come si intenda gestire la continua diminuzione delle presenze nel carcere, considerati i dati richiamati;
   dove siano state trasferite le macchine della tipografia. (4-13057)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo in esame, l'interrogante paventa la chiusura e la possibile riconversione della Casa di reclusione di Alghero a struttura destinata all'accoglienza di migranti, per il ridotto numero di detenuti e lo smantellamento di uno dei laboratori presenti nell'istituto.
  Si evidenzia, al riguardo, che un progetto volto alla chiusura della Casa di reclusione di Alghero non rientra tra i programmi del Ministero.
  Al contrario, la competente articolazione ministeriale ha presentato vari progetti, volti al miglioramento delle condizioni detentive ed alla valorizzazione delle risorse umane e strumentali della struttura.
  Il numero dei detenuti, dal suo canto, pur inferiore alla capienza massima dell'istituto, pari a 156 posti detentivi, al 13 febbraio 2017 risulta pari a 117 detenuti presenti, la maggior parte dei quali con posizione giuridica di definitivi.
  È bene ricordare che l'istituto in questione, anche alla luce della soppressione della sezione distaccata di Alghero facente capo al tribunale ordinario di Sassari, con decreto ministeriale 27 dicembre 2013 fu destinato a casa di reclusione.
  L'istituto di Alghero, fatta eccezione per una sezione «semiliberi», viene attualmente utilizzato come Istituto a custodia attenuata, con la presenza di detenuti di media sicurezza frequentanti corsi scolastici, con lunghi fine pena. Sono attivi, infatti, corsi di istruzione secondaria (istituto professionale, alberghiero e istituzionale) e poli universitari (con le facoltà di agraria, architettura, economia-statistica, giurisprudenza, lettere, lingue e politica sociale).
  Da quattro anni, è attivo il cosiddetto «Progetto Barrio» (in algherese significa «quartiere»), con l'obiettivo di ricostruire un quartiere della città all'interno dell'istituto di pena, proprio per abituare le persone detenute alla futura vita in società, dopo aver scontato la pena.
  Nessuna attività volta alla dismissione di materiali ed attrezzature può, inoltre, essere interpretata quale indizio della progressiva attuazione di un piano di chiusura: la cessione a titolo gratuito di macchinari del laboratorio di serigrafia ad altra sede dell'amministrazione penitenziaria, vale a dire la casa di reclusione di S. Angelo dei Lombardi, è stata decisa nel 2015 a seguito della constatazione dell'inattività del laboratorio presso la struttura di Alghero.
  Quanto al timore, espresso dall'interrogante, in merito alla riconversione di compendi immobiliari di strutture, già nella disponibilità del Ministero della giustizia (ex casa circondariale di Iglesias ed ex scuola della polizia penitenziaria di Monastir), in centri di accoglienza di migranti, si osserva che, come comunicato dal Ministero dell'interno, a partire dal dicembre 2015 la Sardegna è priva di qualsiasi centro governativo funzionale allo scopo predetto, dopo la chiusura definitiva del centro di prima accoglienza di Elmas (che disponeva di una ricettività di circa 300 posti), la cui area è stata riconsegnata al Ministero della difesa.
  Alla data del 9 settembre 2016, sono stati attivati dalle prefetture dell'isola – come comunicato dal Ministero dell'interno – 122 centri di accoglienza straordinaria, di cui 79 a Cagliari, 20 a Sassari, 10 a Nuoro e 13 ad Oristano.
  Considerate le sopresposte difficoltà, è stata avviata un'attività di ricognizione, volta a reperire nuove strutture da destinare a centro governativo di prima accoglienza, strumento necessario sia quale camera di compensazione in caso di mancanza di posti nei centri straordinari, sia quale luogo di ricovero per i migranti che sbarcano direttamente sulle coste sarde.
  Tra le strutture individuate dal Ministero dell'interno come idonee al predetto fine vi sono le strutture demaniali della ex scuola di Polizia penitenziaria di Monastir e dell'ex carcere di Iglesias, per le quali sono stati anche approntati dei progetti di ristrutturazione, nell'ambito di un ben più ampio panorama di interventi: tra di essi, la realizzazione, su proposta della regione Sardegna, di una struttura amovibile, cui ricorrere in caso di sbarchi programmati di migranti soccorsi in mare, allo scopo di offrire, in qualsiasi località di sbarco sulle coste sarde, condizioni dignitose di accoglienza ed assistenza, nelle more dell'effettuazione delle abituali procedure di identificazione per il successivo trasferimento presso i centri dedicati.
  Si ribadisce, al contrario, che gli immobili e le strutture della casa di reclusione di Alghero non sono compresi in nessun programma di dismissione, né di riconversione in centro d'accoglienza.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PILI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la protezione civile è al lavoro nella scuola penitenziaria di Monastir, dismessa inspiegabilmente perché costava troppo per realizzare un mega centro di accoglienza alle porte di Cagliari, direttamente connesso con la strada 131;
   gli uomini della protezione civile provinciale e regionale stanno già operando al suo interno per allestire il tutto;
   con loro anche il personale del ministero della giustizia che sta svuotando la scuola e allestendo il centro che potrebbe ospitare tra in 400/500 nuovi profughi;
   i comunicati della prefettura di Cagliari, con i quali si afferma che si stanno esaminando le strutture carcerarie chiuse, sono a giudizio dell'interrogante a dir poco elusivi e destituiti di ogni fondamento;
   il ministero e la prefettura hanno già deciso, con molte complicità hanno chiuso una struttura di formazione, perché dichiaravano che gestirla costava troppo;
   ora tutti gli agenti devono andare fuori Sardegna per formarsi, con costi esorbitanti;
   la scuola si trasforma in un centro accoglienza che sarà con ogni probabilità un nuovo ghetto alle porte di Cagliari;
   proprio come l'interrogante aveva denunciato più di un anno fa, con le smentite inverosimili di prefetto e Governo;
   trasformare quella scuola in un centro di accoglienza è sinonimo di uno Stato fuori controllo, sia sul piano della spesa che del minimo buon senso;
   si tratta di decisioni senza strategia, senza futuro, se non quella di «accatastare» uomini e donne con bambini, in spazi vuoti, senza tener conto di tutte le possibili conseguenze;
   si tratta di una scelta inaccettabile e irresponsabile che va fermata prima che sia troppo tardi;
   non si tratta di accoglienza, ma ancora una volta di un'azione che mira solo alla gestione di un business tutto a vantaggio di lobby che speculano su questi drammi;
   chiudere la scuola di formazione professionale del personale penitenziario si è rivelato come l'interrogante denunciò due anni fa l'ennesimo «attacco» del Ministero della giustizia alla Sardegna, aggravato dalla decisione di trasformare quei locali in centro di accoglienza degli immigrati;
   si tratta secondo l'interrogante, di un'ulteriore dimostrazione di come il dipartimento per l'amministrazione penitenziaria abbia agito nei confronti della struttura carceraria sarda e con quale dispregio lo abbia fatto nei confronti del personale penitenziario che ha visto cancellata una struttura di primo livello che da sempre è la fucina degli agenti e del personale addetto alla sicurezza delle carceri;
   con questa folle trasformazione della scuola in struttura per ospitare i migranti attualmente accolti in altre strutture insulari, non solo non si abbatteranno i costi, ma si genererà un aumento spropositato degli oneri di gestione della stessa struttura;
   tutto questo avviene senza alcuna strategia e con il solo obiettivo di «stivare» uomini e donne da affidare a qualche cooperativa o società;
   si ignora il criterio con il quale si è deciso di chiudere una scuola di primo livello per ragioni finanziarie e poi si decide di trasformarla in centro di accoglienza con oneri decisamente superiori;
   tutto questo è semplicemente inaccettabile e ingiustificabile –:
   se non si ritenga di dover bloccare questo inaccettabile progetto sia sul piano logistico che umanitario;
   se non si ritenga di dover assumere iniziative per l'immediata cessione di tali strutture alla regione in base all'articolo 14 dello Statuto autonomo della Sardegna;
   se non si ritenga di dover bloccare nuovi trasferimenti di migranti in Sardegna considerata l'inadeguatezza dell'accoglienza e soprattutto perché tale decisione sarebbe contrastata dagli stessi immigrati che puntano a raggiungere altre mete;
   se non si ritenga di dover valutare, per quanto di competenza, il danno economico che tali scelte stanno comportando;
   se non si intenda ripristinare la struttura con immediatezza proprio per tutti i disagi è i costi che devono essere sostenuti per la formazione del personale penitenziario. (4-12993)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame con la quale si lamenta la chiusura dell'ex scuola di formazione della Polizia penitenziaria di Monastir e si paventa il suo utilizzo per l'accoglienza di migranti, si osserva quanto segue.
  Il tema della soppressione della Scuola di polizia penitenziaria di Monastir rientra nel più ampio disegno perseguito dal Governo di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, realizzato con priorità con riguardo ai casi in cui si è riscontrata la sovrapposizione di enti con funzioni e compiti analoghi.
  Come comunicato dalla competente articolazione ministeriale, le motivazioni poste a fondamento del decreto di dismissione della scuola di formazione e aggiornamento del corpo di polizia e del personale dell'amministrazione penitenziaria di Monastir, avvenuto con decreto ministeriale del 6 novembre 2014, risiedono nella progressiva diminuzione dell'operatività di tale struttura.
  A tale riguardo, dall'analisi statistica dei corsi che si sono svolti presso la scuola di Monastir dal 2006 alla fine del 2014, risulta in modo evidente la progressiva deflessione dell'operatività della struttura formativa: ad esempio, nel 2010 e nel 2011 nessun corso vi si è svolto.
  Da questo punto di vista, non appare rispondente alla realtà la tesi secondo cui, con la chiusura della Scuola, l'attività di formazione svolta in favore del personale penitenziario della Sardegna sarebbe irrimediabilmente compromessa: con l'apertura di nuove strutture penitenziarie, infatti, il personale dispone di locali e attrezzature del tutto idonei, e in alcuni casi di livello superiore, rispetto a quelli che garantiva la scuola di Monastir. Non solo, la collocazione geografica dei nuovi istituti consente di razionalizzare i costi delle missioni e dei viaggi per la sede formativa individuata volta per volta.
  Le operazioni di dismissione dell'ex Scuola di formazione di Monastir si sono concluse, in data 15 settembre 2016, con la restituzione degli immobili all'Agenzia del demanio – direzione regionale Sardegna.
  Resta, tuttavia, nella disponibilità del Ministero della giustizia una porzione del compendio, adiacente l'ex scuola di Monastir, destinata a poligono di tiro, una struttura completamente separata dagli altri edifici e che, pertanto, può conservare l'attuale destinazione, risultando, allo scopo, sufficienti interventi di rinforzo dell'attuale muro di cinta e di predisposizione di un adeguato sistema di videosorveglianza.
  Quanto al timore, espresso dall'interrogante, in merito alla riconversione del compendio immobiliare di Monastir in centro di accoglienza di migranti, si osserva che, come comunicato dal Ministero dell'interno, a partire dal dicembre 2015 la Sardegna è priva di qualsiasi centro governativo funzionale allo scopo predetto dopo la chiusura definitiva del centro di prima accoglienza di Elmas (che disponeva di una ricettività di circa 300 posti), la cui area è stata riconsegnata al Ministero della difesa.
  Alla data del 9 settembre 2016 sono stati attivati dalle prefetture dell'isola – come comunicato dal Ministero dell'interno – 122 centri di accoglienza straordinaria, di cui 79 a Cagliari, 20 a Sassari, 10 a Nuoro e 13 a Oristano.
  Considerate le esposte difficoltà, è stata avviata un'attività di ricognizione volta a reperire nuove strutture da destinare a centro governativo di prima accoglienza, strumento necessario sia quale camera di compensazione in caso di mancanza di posti nei centri straordinari, sia quale luogo di ricovero per i migranti che sbarcano direttamente sulle coste sarde.
  Tra le strutture individuate come idonee al predetto fine dal Ministero dell'interno c’è la struttura demaniale della ex scuola di polizia penitenziaria di Monastir, per la quale sono stati anche approntati dei progetti di ristrutturazione, nell'ambito di un ben più ampio panorama di interventi, compreso quello della realizzazione, su proposta della regione Sardegna, di una struttura amovibile cui ricorrere in caso di sbarchi programmati di migranti soccorsi in mare, allo scopo di offrire, in qualsiasi località di sbarco sulle coste sarde, condizioni dignitose di accoglienza ed assistenza, nelle more dell'effettuazione delle abituali procedure di identificazione per il successivo trasferimento nei centri dedicati.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PILI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi in Sardegna è stata avviata l'operazione migranti nelle carceri chiuse;
   il personale penitenziario è stato impegnato per giorni a svuotare totalmente il carcere chiuso di Iglesias;
   la prefettura di Cagliari avrebbe ricevuto un'allerta nazionale per 750 nuovi migranti in arrivo in Sardegna;
   sarebbero già avviate le azioni per approntare anche le strutture della scuola di polizia penitenziaria di Monastir e i carceri di Macomer e Quartucciu;
   il piano del Ministero dell'interno punta a riempire di migranti le carceri sarde chiuse nei mesi scorsi;
   il primo contingente di circa 200 migranti è destinato subito nel carcere di Iglesias;
   il personale inviato dal carcere di Uta è stato impegnato per giorni a svuotare da cima a fondo la struttura;
   nel frattempo negli uffici della prefettura è giunto un dispaccio ulteriore del Ministero dell'interno: sarebbero in arrivo dalla Sicilia 750 migranti;
   si tratta, secondo l'interrogante, di una spregiudicatezza senza precedenti e senza alcun tipo di remora;
   il Ministero dell'interno, attraverso la prefettura di Cagliari, ha fatto scattare l'operazione che prevede di riempire il carcere di Iglesias di migranti;
   la decisione, che doveva restare riservata, è stata messa a punto tra i vertici del Ministero della giustizia e quelli dell'interno e già nei giorni scorsi l'operazione è stata avviata in gran segreto;
   una squadra di agenti ha iniziato lo sgombero di ogni ultimo suppellettile dalla struttura di Iglesias e le operazioni proseguiranno anche nei prossimi giorni;
   nel contempo, da fonti interne viene dato per imminente, sia negli ambienti delle forze dell'ordine che della stessa prefettura, l'invio in Sardegna di almeno nuovi 750 migranti;
   la decisione di utilizzare il carcere di Iglesias era stata già presa quasi un anno fa quando l'interrogante denunciò quella scelta inaccettabile, mentre ora viene messa in atto con il silenzio di tutti;
   è gravissimo il silenzio dell'amministrazione comunale di Iglesias e ancora più grave quello della regione;
   il Ministero dell'interno, nonostante l'emergenza in Sardegna stia raggiungendo soglie non più sostenibili, sia sul piano della qualità dell'accoglienza che di quello sanitario, continua a destinare all'isola un contingente di migranti ormai ingestibile;
   non è un caso che i reparti infettivi del sud Sardegna siano ormai pieni e la situazione sanitaria sia in piena emergenza come riportano i report sanitari delle strutture;
   è gravissimo il tentativo di mantenere il silenzio su questa situazione solo «per non disturbare il manovratore»;
   la prefettura avrebbe dato disposizioni per utilizzare in tal senso anche il carcere minorile di Quartucciu;
   il piano nuovi sbarchi in Sardegna sarà attuato con il metodo dell'emergenza, niente di concordato ma dinanzi alle navi cariche di profughi e migranti nessuno potrà dire più niente;
   il tutto passa attraverso un vertice in prefettura dopo che il Ministero ha deciso di inviare in Sardegna 750 nuovi migranti;
   si tratta di una prefettura incapace di reagire nonostante le tantissime situazioni di disagio nella gestione sia sul piano logistico che igienico sanitario della situazione;
   la comunicazione di utilizzare le carceri era stata già formalizzata con nota già divulgata nei mesi scorsi, ma poi si è passati alla fase operativa;
   si tratta di un piano operativo che riguarderà innanzitutto la Sardegna;
   la scelta riguarda proprio la sua caratteristica principale: il suo essere isola e isolata;
   si tratta di una decisione scandalosa e contro tutte le disposizioni internazionali;
   sembra che si voglia creare una vera e propria barriera fisica che isoli gli immigrati dal resto del continente e impedisca loro di muoversi nel territorio nazionale con troppa facilità;
   la Sardegna sarebbe di fatto un vero e proprio «campo di isolamento»;
   si tratta di un piano inaccettabile e frutto solo di un retaggio statale che vede la Sardegna come «cayenna», una volta per i mafiosi, una volta per i migranti;
   nei gangli dello Stato si pensa di poter isolare profughi e migranti in genere nella regione solo con lo scopo di allentare la pressione sul resto del continente;
   la realtà, come si è dimostrato in questi ultimi giorni, è completamente diversa; si sottopongono agenti e forze dell'ordine ad un impegno oltre misura per contenere i migranti nei porti, visto che l'unico loro obiettivo era quello di lasciare il territorio sardo;
   si tratta di un comportamento del Ministero secondo l'interrogante irrazionale e scandaloso;
   si spendono risorse per trasferire i migranti in Sardegna e poi dopo giorni di tensione si è costretti a spendere altri fondi per trasferirli dall'altra parte del mare;
   si tratta, a giudizio dell'interrogante, di uno spreco di risorse pubbliche inaudito a partire dalla chiusura delle carceri di Iglesias, Macomer e Quartucciu;
   l'operazione Iglesias scattata è stata avviata all'insaputa di tutti;
   una squadra di agenti penitenziari è stata di punto in bianco mandata nella casa circondariale di Iglesias in località Sa Stoia;
   il carcere era stato vergognosamente chiuso quasi un anno fa con la improbabile motivazione del freddo e da allora non è stato mai riaperto;
   gli agenti hanno finito di caricare tutto quello che era di proprietà dell'amministrazione penitenziaria: registri, suppellettili, attrezzature informatiche e poche altre cose;
   la disposizione data al responsabile della squadra, a quanto risulta all'interrogante, sarebbe stata tassativa: portar via tutto quello che riguarda la gestione del personale e dei detenuti;
   il carcere deve passare di gestione: dal Ministero della giustizia al Ministero dell'interno;
   nel carcere di Iglesias, secondo il piano ministeriale, si pensa di «stivare» non meno di 200 migranti, utilizzando anche la caserma agenti;
   una decisione anche per il luogo prescelto, un carcere, che la dice tutta sul grado di accoglienza che viene messa in campo;
   si è giunti alla compromissione di ogni regola di buon senso e di responsabilità;
   si tratta di un piano che va bloccato per evitare che la situazione degeneri proprio per la mala gestione di un'accoglienza che appare all'interrogante raffazzonata e inadeguata sotto ogni punto di vista –:
   se non si ritenga di dover bloccare questo inaccettabile progetto sia sul piano logistico che umanitario;
   se non si ritenga di dover assumere iniziative per l'immediata cessione di tali strutture alla regione in base all'articolo 14 dello statuto autonomo della Sardegna;
   se non si ritenga di dover bloccare nuovi trasferimenti di migranti in Sardegna considerata l'inadeguatezza dell'accoglienza e soprattutto perché tale decisione sarebbe contrastata dagli stessi immigrati che puntano a raggiungere altre mete;
   se non si ritenga di dover valutare, per quanto di competenza, il danno economico che tali scelte stanno comportando. (4-12994)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si paventa, tra l'altro, il possibile utilizzo per l'accoglienza di migranti delle strutture dismesse della casa circondariale di Iglesias, della casa circondariale di Macomer, nonché della scuola di polizia penitenziaria di Monastir, si osserva quanto segue.
  Come comunicato dalla competente articolazione ministeriale, le motivazioni poste a fondamento del decreto di dismissione della Scuola di formazione e aggiornamento del corpo di polizia e del personale dell'Amministrazione penitenziaria di Monastir, avvenuto con decreto ministeriale, del 6 novembre 2014, risiedono nella progressiva diminuzione dell'operatività di tale struttura.
  A tale riguardo, dall'analisi statistica dei corsi che si sono svolti presso la scuola di Monastir dal 2006 alla fine del 2014, risulta in modo evidente la progressiva deflessione dell'operatività della struttura formativa: ad esempio, nel 2010 e nel 2011 nessun corso vi si è svolto.
  La chiusura della casa circondariale di Iglesias è stata disposta con decreto ministeriale 28 maggio 2014 e le relative operazioni di dismissione si sono, per quanto di competenza, concluse il 7 giugno 2016, con la restituzione degli immobili relativi alla Agenzia del demanio – direzione regionale Sardegna.
  Le operazioni di dismissione dell'ex scuola di formazione di Monastir, a loro volta, si sono concluse in data 15 settembre 2016, con la restituzione degli immobili all'Agenzia del demanio – direzione regionale Sardegna. Resta, tuttavia, nella disponibilità del Ministero della giustizia una porzione del compendio, adiacente l'ex scuola di Monastir, destinata a poligono di tiro, una struttura completamente separata dagli altri edifici e che, pertanto, può conservare l'attuale destinazione.
  Per quanto poi attiene all'istituto minorile di Quartuccio, non è stata prevista alcuna procedura volta alla dismissione, essendo in corso di definizione, al contrario, un programma di interventi volti alla sua ristrutturazione.
  Quanto al timore, espresso dall'interrogante, in merito alla riconversione del compendio immobiliare di Monastir in centro di accoglienza di migranti, si osserva che, come comunicato dal Ministero dell'interno, a partire dal dicembre 2015, la Sardegna è priva di qualsiasi centro governativo funzionale allo scopo predetto dopo la chiusura definitiva del centro di prima accoglienza di Elmas (che disponeva di una ricettività di circa 300 posti), la cui area è stata riconsegnata al Ministero della difesa.
  Alla data del 9 settembre 2016, sono stati attivati dalle prefetture dell'isola – come comunicato dal Ministero dell'interno – 122 centri di accoglienza straordinaria, di cui 79 a Cagliari, 20 a Sassari, 10 a Nuoro e 13 a Oristano.
  Considerate le sopresposte difficoltà, è stata avviata un'attività di ricognizione volta a reperire nuove strutture da destinare a centro governativo di prima accoglienza, strumento necessario sia quale camera di compensazione in caso di mancanza di posti nei centri straordinari, sia quale luogo di ricovero per i migranti che sbarcano direttamente sulle coste sarde.
  Tra le strutture individuate come idonee al predetto fine dal Ministero dell'interno ci sono la struttura demaniale della ex scuola di polizia penitenziaria di Monastir e dell'ex carcere di Iglesias, per le quali sono stati anche approntati dei progetti di ristrutturazione, nell'ambito di un ben più ampio panorama di interventi, compreso quello della realizzazione, su proposta della regione Sardegna, di una struttura amovibile cui ricorrere in caso di sbarchi programmati di migranti soccorsi in mare, allo scopo di offrire, in qualsiasi località di sbarco sulle coste sarde, condizioni dignitose di accoglienza ed assistenza, nelle more dell'effettuazione delle abituali procedure di identificazione per il successivo trasferimento nei centri dedicati.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   GIANLUCA PINI e FEDRIGA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la città di Reggio Emilia registra un tasso di inquinamento ambientale molto alto e i cittadini sono allarmati per le ripercussioni sulla salute e sull'ambiente del superamento dei limiti di PM10 concessi dalla normativa;
   la centralina dell'Arpa di viale Timavo a Reggio Emilia, ha registrato 60 superamenti del limite delle polveri sottili nel 2015, mentre ne sarebbero tollerati al massimo 35;
   le politiche di promozione della mobilità pubblica su ferro messe in atto finora, per essere davvero efficaci, devono essere accompagnate da una drastica riduzione dell'inquinamento prodotto dai motori diesel dei treni –:
   quali siano i dati aggiornati relativi ai livelli di inquinamento nella città di Reggio Emilia prodotti dal trasporto su ferro e quanti siano i treni tuttora alimentati con vecchi motori a diesel;
   se sia in corso un processo di ammodernamento dei treni secondo logiche meno inquinanti. (4-11766)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, occorre premettere che le funzioni e i compiti di amministrazione e programmazione in materia di servizi ferroviari regionali sono oggi regolati direttamente dalle regioni ai sensi del decreto legislativo n. 422 del 19 novembre 1997.
  A fine di fornire una risposta circa le criticità segnalate sono state chieste informazioni all'Amministrazione regionale dell'Emilia Romagna e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (MATTM) che hanno comunicato quanto segue.
  La città di Reggio Emilia ospita due stazioni ferroviarie: la stazione denominata Reggio Emilia Mediopadana, posta sulla linea ad alta velocità Bologna-Milano, di cui costituisce l'unico scalo viaggiatori intermedio, e la stazione Reggio Emilia ubicata sulla linea tradizionale Bologna-Piacenza-Milano, nella quale si attestano anche le tre linee «Reggiane» a trazione diesel ovvero: Reggio Emilia-Ciano d'Enza, Reggio Emilia-Guastalla e Reggio Emilia-Sassuolo.
  Con un investimento di 16,5 milioni di euro, di cui 10 milioni stanziati dalla regione Emilia-Romagna e 6.5 milioni in autofinanziamento dal gestore dell'infrastruttura (Ferrovie Emilia-Romagna S.r.l. – Fer) è in fase di attuazione il progetto di elettrificazione delle linee: Reggio Emilia-Guastalla (31 km, di cui 10 km della tratta Reggio Emilia-Bagnolo già parzialmente attrezzati) e Reggio Emilia-Sassuolo (23 km, a completamento della dorsale Sassuolo-Reggio Emilia-Guastalla che è al servizio, fra l'altro, dello scalo merci di Dinazzano nel distretto industriale delle ceramiche).
  Nel mese di gennaio 2017, è stata indetta da Fer in qualità di stazione appaltante, la procedura di gara «Elettrificazione linea ferroviaria Reggio-Guastalla: stralcio A – realizzazione di blocchi di fondazione e sostegni TE nella tratta Bagnolo-Guastalla».
  Le ricadute positive attese dall'elettrificazione della linea possono essere sintetizzate in:
   una riduzione delle emissioni di inquinanti atmosferici in fase di corsa e di sosta dei treni, sta nei depositi che nelle stazioni;
   una progressiva dismissione degli impianti di manutenzione dedicati al materiale diesel;
   l'interoperabilità completa, anche a livello di trazione, fra la rete regionale (Fer) e nazionale (Rfi), in particolare nel servizio merci (con meno manovre e tempi di sosta nella stazione «storica» di Reggio Emilia);
   un netto miglioramento nella qualità del servizio, con l'utilizzo di treni elettrici di età media inferiore, maggiormente performanti in termini di ripresa (caratteristica particolarmente vantaggiosa in ambito urbano) e comfort per gli utenti.

  Nell'ambito del perimetro del trasporto ferroviario locale passeggeri-merci, sulle linee Reggiane circolano, attualmente, solo rotabili equipaggiati con motori termici. Il servizio di trasporto pubblico ferroviario passeggeri, sulle tre lince Reggiane, è prestato dalla società trasporto passeggeri Emilia Romagna SpA. (Tper) che, per l'espletamento dello stesso, dispone del seguente parco rotabile con alimentazione a gasolio:
   n. 4 autotreni Atr 220, in composizione bloccata a tre pezzi, costruiti negli anni 2009-2010 (Euro 3), che hanno sostituito materiale diesel vetusto;
   n. 16 automotrici ALn 72422, costruite nell'anno 1995;
   n. 5 automotrici ALn 663, costruite nel periodo compreso tra il 1985 ed il 1992;
   n. 10 automotrici ALn 668, costruite nel periodo compreso tra il 1978 ed il 1990.

  La regione precisa, altresì, che tale materiale rotabile è comprensivo delle risene e che viene impiegato a rotazione per l'erogazione del servizio di trasporto suddetto.
  In attesa che venga realizzata l'elettrificazione sulle due linee, come previsto dal Piano di investimenti della regione Emilia-Romagna, la società Tper si è impegnata a sostituire nei prossimi mesi altro materiale rotabile più obsoleto con autotreni Atr 220 (euro 3).
  La società Dinazzano Po S.p.A., invece, opera sulla linea nazionale e regionale, nel settore di attività merci, con la seguente flotta:
   n. 14 locomotive Vossloh G2000 diesel, anno di costruzione 2003-2004-2005;
   n. 3 locomotive Bombardier E483 elettriche, anno di costruzione 2009-2016. Mediamente per i servizi da e per la stazione di Reggio Emilia sono impiegate n. 4 locomotive diesel e n. 3 locomotive elettriche al giorno e dal 29 dicembre 2015, ad eccezione del lunedì, nessuna locomotiva viene ricoverata nell'impianto di via Talami (RE).

  Il 1o dicembre 2016 è stata acquisita una locomotiva Bombardier che ha permesso di incrementare l'offerta dei treni con trazione elettrica.
  Per quanto attiene ai livelli di inquinamento il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm) informa che nel Comune di Reggio Emilia la valutazione della qualità dell'aria è effettuata tramite 2 stazioni fisse di monitoraggio: «San Lazzaro» e «Timavo». I dati della qualità dell'aria misurati da tali stazioni nel periodo 2013-2015 evidenziano criticità in merito al materiale particolato PM 10 e all'ozono.
  Nello specifico, per il PM 10, il valore limite annuale previsto per la protezione della salute umana (40 μg/m3) non è stato superato in nessuna stazione del comune, mentre il valore limite giornaliero 50 μg/m3 da non superare più di 35 volte per anno, e stato sempre superato nella stazione di tipo urbana traffico «Timavo».
  In particolare, per tale stazione, sono stati registrati 56 giorni di superamento nel 2013, 50 giorni di superamento nel 2014 e 67 giorni di superamento nel 2015. Per l'ozono, misurato nella stazione di tipo urbana fondo «San Lazzaro», si sono verificati numerosi superamenti dell'obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana (120 μg/m3).
  Nel 2015 la sezione provinciale di Reggio Emilia dell'Arpa Emilia-Romagna ha svolto una campagna di monitoraggio con un mezzo mobile all'interno della struttura ferroviaria di via Talami dal 26 maggio 2015 al 23 giugno 2015. Le stazioni prese a confronto per l'indagine sono le due stazioni fisse della rete regionale di monitoraggio della qualità dell'aria presenti nel comune di Reggio Emilia, «San Lazzaro» e «Timavo».
  L'indagine è stata effettuata al fine di caratterizzare la qualità dell'aria all'interno dell'area in oggetto adiacente ai quartieri residenziali di Santa Croce e dunque verificare il rispetto dei valori limite definiti dal decreto legislativo n. 155 del 2010 ed eventuali scostamenti significativi rispetto ai valori rilevati dalle due stazioni di riferimento sopra citate. Un altro obiettivo dell'indagine consisteva nel valutare la presenza di eventuali impatti sulla matrice aria generati dall'attività svolta all'interno della struttura ferroviaria.
  Le misurazioni effettuate con il mezzo mobile hanno evidenziato risultati analoghi a quelli rilevati dalle stazioni fisse. Per tutti gli inquinanti monitorati (monossido di carbonio, benzene, biossido di zolfo, ossidi di azoto: monossido di azoto e biossido di azoto ed ozono), si è verificato il rispetto, per l'intero periodo di misurazione, dei valori limite che la normativa impone per gli inquinanti rilevati, fatta eccezione per l'ozono, per cui si osservano diversi superamenti dell'obiettivo a lungo termine per l'ozono.
  Inoltre, nella relazione l'Arpa evidenzia che, per quanto riguarda i valori di biossido di azoto, pur rispettando i limiti normativi, l'andamento delle concentrazioni rilevate come media, è tale da rendere l'area residenziale in esame paragonabile alla situazione, in termini di qualità dell'aria, di una zona ad elevato traffico.
  Il monitoraggio ha evidenziato, altresì episodi puntuali di inquinamento dell'aria, soprattutto per gli ossidi d'azoto, che si ripetono più volte nel corso della giornata, della durata di circa 4 minuti l'uno. Tali episodi, secondo l'Arpa, si verificano verosimilmente in occasione dell'avvio e del riscaldamento dei motori diesel dei treni generando concentrazioni di inquinanti in aria significative, confermando che le criticità legate alla matrice aria nell'area in dagata siano da attribuire principalmente alle fasi di accensione dei locomotori.
  Il Mattm fa presente che la normativa nazionale in materia di qualità dell'aria (decreto legislativo n. 155 del 2010) affida alle regioni le attività di valutazione e di pianificazione finalizzato a conoscere il contesto territoriale, identificare le misure più efficaci per il rispetto dei valori di qualità dell'aria ed assicurarne l'attuazione. A queste ultime compete quindi il monitoraggio degli inquinanti atmosferici e la predisposizione dei piani o programmi per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria compresa l'individuazione dei soggetti deputati all'attuazione di tali Piani, quali ad esempio la regione stessa o i sindaci.
  La regione Emilia Romagna per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico, ha adottato, con delibera n. 1180 del 21 luglio 2014, la proposta di piano aria integrato regionale (Pair2020), contenente le misure per il risanamento della qualità dell'aria al fine di ridurre i livelli degli inquinanti sul territorio regionale e rientrare nei valori limite fissati dalla norma, nonché le strategie di coordinamento dei vari livelli istituzionali e di integrazione della pianificazione settoriale.
  Detto piano aria integrato regionale (Pair2020), in fase di approvazione, ha l'obiettivo di ridurre i livelli degli inquinanti più nocivi al 2020 e portare all'1 per cento la quota di popolazione esposta a più di 35 superamenti l'anno di PM 10. A tale scopo il Piano mette in campo oltre novanta misure, volte a incidere sugli ambiti a maggiore impatto emissivo, che riguardano principalmente i trasporti, il risparmio energetico e la riqualificazione energetica, la riqualificazione e regolamentazione degli impianti a biomassa per riscaldamento domestico, l'adozione delle migliori tecniche nelle attività produttive e nel settore agricolo. Tra le misure e azioni in ambito trasporti, il piano prevede il potenziamento e la riqualificazione del trasporto pubblico locale e regionale su ferro anche attraverso la sostituzione di materiale rotabile diesel circolante su linee ferroviarie elettrificate.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con due atti successivi passati al vaglio delle competenti Commissioni parlamentari, il Governo ha deliberato di acquistare 249 e poi altri 381 blindati Freccia, per un totale di 630 mezzi, al costo, rispettivamente di circa 1,6 e 2,6 miliardi di euro complessivi;
   ogni blindato Freccia appartenente al primo lotto acquistato risulta all'interrogante essere costato 6,43 milioni di euro, mentre il costo unitario di quelli che saranno acquisiti con il secondo sarà pari a 6,8 milioni;
   a titolo di raffronto, esistono piattaforme molto più performanti, appartenenti alla categoria dei cosiddetti Main Battle Tank, di cui l'Esercito italiano risulta gravemente carente, potendo contare soltanto su una trentina di Ariete efficienti, il cui costo unitario è sensibilmente inferiore;
   il MBT britannico Challenger II costa, ad esempio, circa 5 milioni di euro al pezzo;
   il protettissimo MBT israeliano Merkava IV, quanto di meglio in fatto di protezione ed attitudine al combattimento urbano, è venduto a 4,5 milioni di dollari al pezzo;
   persino il carro americano Abrams M1A2 è acquistabile ad una cifra inferiore, dai 6,2 milioni di dollari in giù, mentre il Leopard II che numerosi generali del nostro Paese considerano particolarmente adeguato alle esigenze dell'Esercito italiano è reperibile per 5,74 milioni di dollari al pezzo;
   rispetto alle prestazioni di uno dei MBT appena generalizzati, il Freccia non dispone di una torretta girevole, ha un motore meno potente, risulta dotato di protezioni inferiori ed è anche decisamente lento;
   lo stesso Esercito italiano se ne è valso in quantità assai modeste, e solo in Afghanistan, probabilmente ritenendo di non averne bisogno sui teatri operativi in cui le sue unità sono state rischierate in questi anni;
   mentre va avanti l'acquisizione del Freccia, Francia e Germania stanno valutando l'opportunità di dar vita, ad un consorzio per produrre un MBT europeo di nuova generazione, da contrapporre ai T14 dell'Armata appena mostrati al pubblico dalla Federazione russa;
   anche la Gran Bretagna potrebbe essere sul punto di considerare opzioni di collaborazione internazionale per sostituire la linea dei suoi MBT –:
   per quali ragioni tecnico-operative il Ministro della difesa insista nell'acquisizione di veicoli blindati dalle potenzialità assai limitate per rafforzare la propria linea corazzata, assai deficitaria in rapporto alle presumibili esigenze future, invece di acquistare sul mercato mezzi più performanti e competitivi come i principali mezzi corazzati da combattimento occidentali disponibili sul mercato;
   per quali ragioni il Ministro della difesa non valuti l'opportunità di agganciare il nostro Paese all'eventuale produzione in consorzio di un nuovo MBT europeo, con Francia e Germania o, in alternativa, con la Gran Bretagna.
(4-13746)

  Risposta. — Le ragioni tecnico-operative per l'acquisizione del Vbm «Freccia» risiedono nella necessità di ammodernare le cosiddette «forze medie» dell'esercito (quelle cioè ad elevata mobilità e con la maggior gamma di impieghi possibili) con un mezzo ad alta mobilità, idoneo ad essere impiegato per il trasporto di personale su molteplici terreni, garantendo un elevato livello di protezione grazie alla sua blindatura.
  Nel merito, il «Freccia» non può essere paragonato ai carri armati da combattimento menzionati dall'interrogante, in quanto questi ultimi sono destinati ad equipaggiare le cosiddette «forze pesanti», che hanno caratteristiche diverse e sono, di conseguenza, dedicate ad assolvere un'altra tipologia di compiti.
  Per quanto riguarda, invece, l'opportunità di partecipare ad un consorzio per lo sviluppo di un Main battle tank (Mbt) europeo con Francia, Germania o Gran Bretagna, va detto che l'Italia dispone già di un carro armato di fabbricazione nazionale denominato «Ariete», per il quale non è prevista alcuna sostituzione nel prossimo futuro.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaGioacchino Alfano.


   PIRAS, NICCHI, COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, MELILLA e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in tutta Italia sono numerose le denunce sulle carenze e disfunzionalità nel servizio operato dai vigili del fuoco, principalmente causate da una strutturale carenza di organico e dalla scarsità di risorse a disposizione;
   in tutta Italia si contano circa 28000 vigili del fuoco discontinui: si tratta di personale altamente qualificato che lavora nel corpo dei vigili del fuoco anche da 10-20 anni in condizione di precarietà, fatto che incide in maniera determinante sulla qualità e continuità di un servizio così delicato;
   gli standard europei prevedono la necessaria presenza di un vigile del fuoco ogni 1000 abitanti: è necessario quindi potenziare la dotazione organica del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, che si tradurrebbe in creazione di migliaia di posti di lavoro ed in un incremento della sicurezza e della tutela per i territori e i cittadini;
   il limite di età fissato a 37 anni per l'ingresso nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco di fatto taglia fuori chi per anni ha svolto il servizio nel Corpo da discontinuo, creando quindi una forte discriminazione tra i lavoratori;
   coloro che hanno prestato servizio nel Corpo da «discontinui» non hanno alcuna riserva di posti nei concorsi come invece accade nella pubblica amministrazione, come ad esempio nel caso dei volontari delle forze armate (VFp1);
   attualmente, al personale operativo in Italia mancano all'appello circa 15.000 vigili del fuoco per il raggiungimento dei limiti minimi di efficienza del servizio;
   ogni anno, di fronte ad incendi ed alluvioni spesso catastrofiche, la necessità di un potenziamento del servizio appare nella sua drammatica evidenza;
   sarebbe un grave errore mettere a rischio le competenze ed esperienze maturate dai vigili del fuoco discontinui, che andrebbero invece valorizzate in un percorso che promuova la loro stabilizzazione –:
   se non ritenga di dover avviare un percorso complessivo di potenziamento del servizio, a partire dall'immediata stabilizzazione del personale precario che, a vario titolo, ha prestato servizio nei comandi provinciali;
   quali motivazioni impediscano, a differenza di altri concorsi pubblici come nel caso dei VFp1, di prevedere una riserva di posti banditi a concorso per chi ha prestato servizio nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco come discontinuo;
   se non ritenga di dover avviare l'incremento spettante delle dotazioni organiche di tutti i comandi (attuale tabella A del decreto legislativo 217), con la copertura su tutto il territorio nazionale del soccorso tecnico urgente, ponendo così fine all'utilizzo di risorse pubbliche in favore di imprese che, a giudizio degli interroganti, non danno garanzie ai lavoratori e qualità del servizio. (4-08472)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto l'interrogante, prendendo spunto dall'asserita strutturalità della carenza degli organici del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, chiede l'adozione di una serie di misure volte all'assunzione e stabilizzazione del personale volontario del Corpo medesimo.
  Si premette che il Ministero dell'interno ha da sempre tenuto in grande considerazione il contributo di alta professionalità assicurato dal personale volontario del Corpo nazionale.
  Ciò è testimoniato, innanzitutto, dalla previsione a regime, in favore dei vigili volontari, di una riserva del 25 per cento dei posti nei concorsi pubblici per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco.
  Tale riserva ha consentito, alla data del 31 dicembre 2016, l'assunzione di 935 vigili volontari attraverso lo scorrimento della graduatoria del concorso pubblico a 814 posti di vigile del fuoco.
  Un ulteriore segnale di attenzione è costituito dall'indizione in via eccezionale, nell'agosto del 2007, di una procedura di stabilizzazione riservata ai vigili volontari aventi determinati requisiti di anzianità e servizio.
  Al riguardo, si informa che la relativa graduatoria è andata esaurita per effetto dell'assunzione di tutti i candidati utilmente collocati, ad eccezione di 4 unità che, all'atto della convocazione, hanno presentato idoneo certificato medico e potranno essere assunte nei prossimi mesi previo superamento della visita medica e delle prove di accertamento del mantenimento dell'idoneità motoria.
  Un'ulteriore procedura di stabilizzazione comporterebbe un'ulteriore deroga al principio costituzionale dell'accesso all'impiego nelle pubbliche amministrazioni mediante concorso pubblico. Essa richiederebbe, pertanto, un meditato e mirato intervento legislativo, che dovrà farsi carico anche di reperire la necessaria copertura finanziaria.
  Sempre nell'ottica di valorizzare la componente volontaria, ulteriori iniziative in favore di essa sono contenute nello schema di decreto legislativo predisposto in attuazione della legge n. 124 del 2015, approvato in via preliminare dal Consiglio dei ministri nella seduta del 23 febbraio 2017.
  In particolare, è stata prevista l'elevazione dal 25 al 35 per cento della quota dei posti riservati ai vigili volontari nei concorsi per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco ed è stata introdotta ex novo una riserva del dieci per cento per tutte le procedure concorsuali pubbliche per l'accesso alle altre qualifiche del personale del Corpo.
  Inoltre, per l'accesso al ruolo degli operatori e degli assistenti del Corpo nazionale è stata prevista una prelazione in favore del personale volontario che alla data della selezione sia iscritto negli appositi elenchi da almeno tre anni e abbia effettuato non meno di centoventi giorni di servizio.
  Si soggiunge che con una recante direttiva dipartimentale sono state impartite specifiche indicazioni ai comandi provinciali dei vigili del fuoco per introdurre la possibilità di rilasciare al personale volontario attestati di frequenza ovvero attestati di idoneità, – «spendibili» anche nel settore privato – per addetto alla prevenzione incendi, lotta antincendio e gestione delle emergenze nelle attività lavorative.
  Si rappresenta, inoltre, che si sta procedendo anche alla rivisitazione del regolamento governativo (decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004) che disciplina le procedure per il reclutamento, l'avanzamento e l'impiego del personale volontario del Corpo nazionale.
  Si ritiene che il complesso delle misure appena illustrate costituiscano un evidente segnale di attenzione per questa componente di fondamentale importanza per l'efficacia del dispositivo nazionale di soccorso pubblico.
  Per quanto concerne il requisito dell'età, si rileva che il limite di 37 anni per la partecipazione ai concorsi riservati ai vigili del fuoco volontari è ben superiore a quello richiesto dal concorso pubblico per l'accesso alla qualifica di vigile del fuoco permanente (30 anni), e ciò proprio in ragione dell'esperienza maturata dai vigili volontari nel Corpo nazionale.
  Con riferimento al tema della carenza di organico del Corpo nazionale, si rappresenta che i Governi di questa legislatura, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, hanno portato avanti, in piena sintonia con il Parlamento, tre iniziative legislative (decreti-legge n. 101 del 2013, n. 90 del 2014 e n. 113 del 2016) che hanno consentito di potenziare la dotazione teorica di oltre 2.400 unità.
  Si segnala, inoltre che, a decorrere dal 2016, il turn over è stato ripristinato nella sua totalità dopo oltre un decennio di blocco parziale. In sostanza, mentre, ad esempio, ancora nell'anno 2015 il turn over era pari al 55 per cento delle cessazioni dal servizio nell'anno 2014, dall'anno scorso detta percentuale è tornata al 100 per cento delle cessazioni.
  L'insieme di tali misure ha permesso di assumere, negli ultimi mesi dell'anno 2016, 848 unità nella qualifica di vigile del fuoco, la cui immissione in servizio avverrà alla fine del corso di formazione, attualmente in via di svolgimento.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   PISICCHIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   una circolare emanata dallo Stato Maggiore dell'Esercito istitutiva solo per il personale della categoria graduati il copricapo fez;
   il fez entra nella tradizione bersaglieresca solo nel 1855, quale cimelio donato dagli zuavi pertanto, non risulta appartenente alla tradizione delle uniformi italiane essendo proveniente e rievocativo degli eserciti ottomani algerini;
   i colori della tradizione bersaglieresca sono tutti espressi nel più gradito e rinnovato basco di specialità;
   negli anni con il passaggio all'Esercito professionale, incontrando il favore del personale, non viene più usato;
   le categorie dell'Esercito italiano risultano quattro: la Truppa, non in servizio permanente; i graduati; i sottufficiali; gli ufficiali e se indossato da una sola categoria tra quelle in servizio permanente della stessa specialità, produce una evidente ed illogica disparità;
   per foggia e colore si attagliava più ad un giovinetto quali erano i militari di leva appartenenti alla categoria della truppa;
   in un periodo che suggerisce tagli alle spese, la Difesa dovrebbe evitare a giudizio dell'interrogante, di spendere illogicamente, senza necessità alcuna ulteriori risorse per l'approvvigionamento dei fez, tenuto conto inoltre, che le spese si sommano comunque a quelle già sostenute per i baschi e a quello del berretto rigido che peraltro è stato già distribuito e non sarà calzato in quanto le prescrizioni lo vedranno sostituito dal fez;
   l'introduzione del fez oltre a non soddisfare le aspettative del personale, appare non adatto alle attività operative in effetti la cosiddetta ricciolina di colore turchino, ciondolando dietro le spalle è facilmente impigliabile al resto dell'affardellamento e alla tracolla dell'arma in dotazione;
   gli appartenesti alle forze armate si trovano ad agire sempre più spesso in scenari quali quello di Roma Capitale, vedasi l'operazione strade sicure, contraddistinto dalla presenza di popolazione eterogenea con usi, costumi, cultura e religione talvolta molto differenti e in tal contesto, l'eventuale presenza di segni esteriori quale il fez, evidentemente riconducibile per provenienza geografica alle culture arabe, potrebbe suscitare un senso di sfida o diffidenza/discredito ad appartenenti ad altri Paesi che per motivazioni religiose culturali disapprovano;
   in effetti è possibile che siano riconducibili alla simbologia fascista e in particolare il fez calzato da alcuni di essi per le vie cittadine –:
   se il Ministro interrogato conosca le ragioni per cui tra i bersaglieri in servizio permanente sia operante tale disparità di cui in premessa;
   se intenda assumere iniziative per rimuovere gli ostacoli che si abbattono negativamente sul morale del personale del ruolo Graduati;
   se il Ministro non intenda intervenire rapidamente sulla questione, eliminando ogni possibilità di spreco di risorse. (4-12032)

  Risposta. — Nel merito dei quesiti posti, va rammentato che in tutte le Forze armate/Arma dei carabinieri esistono differenze nelle uniformi delle diverse categorie, funzionali a rinsaldare, nel segno di una forte continuità tra passato e presente, i sentimenti di appartenenza e di affetto che accomunano il personale che ha indossato e indossa un'uniforme. Sicché, l'uso del fez da parte dei militari di truppa dei bersaglieri, peraltro (sostenuto con entusiasmo dall'Associazione nazionale del corpo, ben lungi dal produrre una «disparità di trattamento tra le categorie dell'Esercito italiano», tende a non disperdere i simboli di natura storica e tradizionale, rinsaldando lo spirito di corpo tra appartenenti alla stessa Specialità.
  Nello specifico, il fez entra «in servizio» come copricapo della specialità dei bersaglieri fin dal 1855, allorquando gli zuavi, reparti Speciali del Corpo di spedizione francese in Crimea, entusiasmati dal Valore e dal coraggio dimostrati dai «Fanti Piumati» durante la battaglia della Cernaia, gli offrirono, in segno di ammirazione, il loro copricapo. Da allora il fez ha caratterizzato la specialità, unitamente al cappello piumato, divenendo ulteriore emblema di orgoglio e distinzione ed è stato indossato dai bersaglieri nel corso delle guerre risorgimentali, nei conflitti mondiali, della guerra di liberazione e in tutte le operazioni militari successive, entrando quindi a pieno titolo nella tradizione uniformologica italiana.
  Tradizione che trova peraltro riscontro, a livello normativo, in una circolare diramata dallo Stato maggiore dell'esercito – reparto impiego delle Forze nell'ottobre 2015, che sancisce l'uso del fez per tutti i militari di truppa, graduati inclusi, perfezionata nel febbraio 2016 a seguito di un contributo di pensiero della categoria «D» del Cocer, sospendendone l'uso per il solo grado apicale di caporal maggiore capo scelto.
  Ciò detto, con riferimento all'aspetto economico richiamato nell'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta che la distribuzione del fez, il cui costo ammonta a 14,85 euro, avviene in sostituzione della distribuzione del berretto rigido, il cui costo è di 51,05 euro e, pertanto, non rappresenta una «spesa illogica», bensì un significativo risparmio (36,2 euro ogni graduato) peraltro in linea con la politica di contenimento delle spese che il Dicastero persegue.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaDomenico Rossi.


   PORTA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA e TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   su un sito brasiliano di promozione di vendite e acquisti on line (mercadolivre.com.br) è comparso il seguente annuncio: «Agendamento Para Emissao do Passaporte italiano Em Curitiba» («Appuntamento per l'emissione del passaporto italiano in Curitiba»), nel quale si precisa che il prezzo del servizio di «vendita» dell'appuntamento è di 69,99 Reais;
   l'annuncio rende evidente un fenomeno di intervento speculativo cresciuto intorno ai servizi consolari, relativi tanto alla richiesta di appuntamento per la richiesta di passaporto quanto alle pratiche di domanda di cittadinanza; si tratta, come è noto, di servizi per i quali i tempi di contatto con gli uffici e quelli di risoluzione delle pratiche si sono dilatati in modo abnorme;
   non è escluso che alla grave difficoltà che si incontra nella prenotazione elettronica degli appuntamenti per le pratiche di passaporto e di cittadinanza nel consolato di Curitiba e negli altri consolati brasiliani sia dovuta all'intasamento dovuto all'intervento di queste agenzie di mediazione che dispongono di strumenti e di competenze elettroniche molto più avanzati rispetto al comune cittadino, spesso con poca confidenza con le nuove strumentazioni e procedure;
   all'origine di queste situazioni vi è l'estrema rigidità di erogazione dei servizi che si è progressivamente determinata nei consolati brasiliani e che ha portato ad una grave lentezza nei tempi di accesso agli uffici e all'accumulo di centinaia di migliaia di pratiche inerenti alle domande di cittadinanza;
   i fenomeni di speculazione e di a/illegalità che si stanno sviluppando intorno a queste situazioni, oltre a indurre i concittadini a esborsi non dovuti e a rapporti discutibili, possono diventare un fattore di discredito dell'immagine del Paese in una realtà in forte evoluzione, nella quale pure si guarda all'Italia con disponibilità e simpatia;
   è realistico pensare che tali processi involutivi possano essere fronteggiati non solo con maggiori e più attenti controlli, ma anche incidendo sulle cause a monte e intervenendo con misure straordinarie, le sole che possano consentire di aumentare l'efficienza dell'organizzazione burocratica e di riassorbire le giacenze accumulate;
   in occasione della recente approvazione della legge di stabilità 2016 il Governo ha accolto un ordine del giorno del primo firmatario del presente atto, nel quale si chiede di dare priorità nell'assegnazione delle risorse aggiuntive previste per i consolati ai servizi consolari nelle aree più critiche e a considerare l'esigenza di destinare una parte dei proventi derivanti dal versamento di 300 euro per le richieste di cittadinanza al potenziamento dei consolati percettori –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fenomeni di «vendita» delle prenotazioni nel consolato di Curitiba ed eventualmente negli altri consolati brasiliani e come intendano affrontare tale tipo di evenienze;
   quale sia il preciso ammontare delle giacenze di pratiche di cittadinanza, distintamente per ciascun consolato in Brasile e per le pratiche attivate dai discendenti dell'ex Impero austro-ungarico presso il Ministero dell'interno;
   se non ritengano di dover attivare, con il Ministro dell'economia e finanze, un dialogo risolutivo al fine di poter destinare una parte dei proventi derivanti dai 300 euro alla contrattualizzazione da parte dei consolati in Brasile di personale da destinare alla diminuzione dei tempi di attesa e al riassorbimento delle giacenze delle domande di cittadinanza. (4-11976)

  Risposta. — In via preliminare si ritiene opportuno fornire alcuni chiarimenti generali sulle attività del Consolato generale a Curitiba e sulla realtà della relativa circoscrizione consolare. I settori di attività che registrano maggiore domanda da parte dell'utenza del citato consolato sono il settore «passaporti» e quello «legalizzazioni». Nonostante l'inadeguatezza delle risorse disponibili in rapporto alla crescente domanda da parte dell'utenza, il numero totale dei passaporti emessi è stato di 3.085 nel 2013, 3.374 nel 2014, 3.301 nel 2015, mentre per il 2016 (fino al 30 settembre) ammonta a 2.419. Il numero delle legalizzazioni è aumentato in misura considerevole, passando da 14.068 nel 2013 a 16.536 nel 2014 e 22.146 nel 2015, con un incremento rispettivamente del 14,9 per cento e del 25,33 per cento. Come appare evidente, nella circoscrizione consolare di Curitiba, nonostante la positiva performance di tale consolato, la dimensione della domanda è tale da rendere indubbiamente non semplice per l'utente utilizzare la procedura di appuntamento on line: i posti disponibili si esauriscono molto rapidamente, per cui chi intende prenotare un appuntamento deve a volte ripetere l'operazione più volte prima di ricevere dal sistema una data utile.
  Ciononostante, occorre considerare che nei casi di comprovata urgenza i richiedenti non devono attivare la procedura on line in quanto vengono ricevuti direttamente agli sportelli del consolato.
  Alla luce di quanto precede risulta spiegabile la comparsa a Curitiba di agenzie specializzate in questo genere di servizi, dotate di personale e delle infrastrutture necessarie, le quali effettuano a pagamento per conto dell'interessato – e al di fuori di qualunque autorizzazione o coinvolgimento del consolato – le necessarie prenotazioni on line. È a queste agenzie che l'interrogante si riferisce, parlando di «vendita» delle prenotazioni on-line.
  È necessario considerare che gli attuali sistemi di prenotazione internet predisposti dai consolati italiani in Brasile sono stati introdotti all'esclusivo fine di garantire una migliore gestione degli appuntamenti per l'erogazione dei servizi consolari a garanzia dell'imparzialità, della pubblicità e della trasparenza dei procedimenti. In particolare, le istanze legittimamente presentate dagli utenti attraverso tali sistemi vengono ricevute e trattate dall'ufficio consolare in condizioni di parità e nel rispetto dalla normativa vigente in materia di procedimento amministrativo e di erogazione dei servizi consolari, senza che alcun accesso prioritario o trattazione agevolata possa essere riservata a specifici utenti. Nessuna agenzia di servizi o altro soggetto può quindi vantare alcun tipo di accesso privilegiato ai servizi consolari o al servizio di prenotazione on-line.
  La Farnesina è consapevole che in Brasile alcune agenzie hanno in passato millantato la possibilità di fornire un tale accesso privilegiato, ma in ogni caso reso noto si è tempestivamente proceduto a smentire pubblicamente tali agenzie e a richiedere la rimozione degli annunci ingannevoli, pena la denuncia alla Procura delle Repubblica. Anche nel caso del consolato generale di Curitiba, al fine di sgombrare il campo da ogni equivoco potenzialmente lesivo dell'onorabilità della Sede, quest'ultima è prontamente intervenuta chiedendo l'immediata rimozione dell'annuncio citato dall'interrogante.
  Va poi considerato che la rete diplomatico-consolare in Brasile, sotto l'impulso del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, ha avviato una serie di iniziative volte a ridurre eventuali rigidità nell'erogazione dei servizi spesso discendenti dall'esiguità del personale addetto.
  Il consolato di Curitiba (come molte altre sedi della rete), per agevolare in particolare l'utenza che risiede in località molto distanti dal consolato, ha effettuato nel luglio 2016 nello Stato di Santa Catarina una missione del «funzionario itinerante» per la captazione delle impronte digitali prevista dall'attuale procedura per il rilascio del passaporto. La suddetta missione, che ha toccato dapprima la città di Criciuma, ad oltre 500 Km di distanza da Curitiba, ed in seguito Nova Veneza e Florianopolis, è stata accolta con particolare favore dall'utenza e dalle associazioni italiane. In merito al numero di domande di rilascio del passaporto, sono stati acquisiti i dati biometrici di 420 persone.
  Il consolato ha inoltre richiesto ai propri tecnici informatici di individuare gli opportuni correttivi al fine di arginare, laddove presente, il fenomeno delle prenotazioni effettuate in massa da agenzie di intermediazione.
  Si rammenta infine che lo scorso 14 agosto è entrata in vigore in Brasile la Convenzione dell'Aja del 5 ottobre 1961 sull'abolizione della legalizzazione degli atti pubblici stranieri. Da tale data, la legalizzazione degli atti pubblici brasiliani, di competenza consolare, è stata sostituita dall'Apostille, rilasciata dalle Autorità brasiliane. L'Apostille è altresì applicata alle traduzioni degli atti in parola, a condizione che queste siano effettuate da traduttori pubblici giurati iscritti nelle liste predisposte dalle giunte commerciali degli Stati federati. La nuova procedura ha una ricaduta positiva sia per l'utenza, che non deve più presentarsi presso gli uffici consolari per legalizzare gli atti di stato civile brasiliani da esibire per il riconoscimento della cittadinanza italiana, che per i Consolati i quali ultimi possono ora riorganizzare il proprio organigramma a vantaggio dei servizi maggiormente richiesti.
  Con riguardo alle richieste di accesso in lista d'attesa e di pratiche giacenti in materia di cittadinanza, relativamente alle circoscrizioni consolari del Brasile, al 28 ottobre 2016 i dati sono i seguenti (si fa riferimento indistintamente ad individui e nuclei familiari):
  Consolato generale d'Italia a San Paolo: richieste di accesso alla lista di attesa: 70.200; pratiche giacenti: nessuna;
   consolato generale d'Italia a Rio de Janeiro: richieste di accesso alla lista di attesa: 1.584; pratiche giacenti: nessuna;
   consolato generale d'Italia a Curitiba: richiesta di accesso alla lista di attesa: 17.942; pratiche giacenti: 145;
   consolato generale d'Italia a Porto Alegre: richiesta di accesso alla lista di attesa: 7.890; pratiche giacenti: 154;
   consolato d'Italia a Recife: richiesta di accesso alla lista di attesa: 1.953; pratiche giacenti: nessuna;
   consolato d'Italia a Belo Horizonte: richiesta di accesso alla lista di attesa: 10.244; pratiche giacenti: 282;
   cancelleria consolare ambasciata d'Italia a Brasilia: richiesta di accesso alla lista di attesa: 1.445; pratiche giacenti: 275.

  Per ciò che concerne le pratiche di cittadinanza attivate presso il Ministero dell'interno dai discendenti dell'ex Impero austro-ungarico ai sensi della legge n. 379 del 2000, i dati alla metà del mese di ottobre 2016 sono i seguenti:
   consolato generale d'Italia a San Paolo: 402 pratiche corrispondenti a 2006 richiedenti;
   consolato generale d'Italia a Rio de Janeiro: 112 pratiche corrispondenti a 726 richiedenti;
   consolato generale d'Italia a Curitiba: 219 pratiche corrispondenti a 2089 richiedenti;
   consolato generale d'Italia a Porto Alegre: 224 pratiche corrispondenti a 1039 richiedenti;
   consolato d'Italia a Recife: 19 pratiche corrispondenti a 109 richiedenti;
   consolato d'Italia a Belo Horizonte: 19 pratiche corrispondenti a 109 richiedenti;
   cancelleria consolare Ambasciata d'Italia a Brasilia: 11 pratiche corrispondenti a 43 richiedenti.

  La Farnesina e la sua rete all'estero sono impegnati a riassorbire le giacenze di domande e a ridurre i tempi di attesa dei procedimenti consolari. Nel farlo, la principale criticità è legata alla netta diminuzione del personale di ruolo del Ministero (ridottosi del 29 per cento negli ultimi dieci anni), dovuta al pluriennale contingentamento del turnover delle aree funzionali del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale.
  Infatti, le delicate e complesse funzioni consolari di accertamento della cittadinanza, dato il loro carattere certificatorio, sono affidate dalla legge solo a personale di ruolo, dotato di adeguate competenze in materia. Per incrementare l'efficienza delle sedi, la Farnesina sta razionalizzando – per quanto possibile – gli organici all'estero e sta digitalizzando e innovando le procedure. A seguito dell'ampliamento del relativo contingente, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale sta inoltre autorizzando alcune sedi all'estero, anche in Brasile, all'assunzione di personale a contratto, che svolge compiti di supporto al personale di ruolo.
  Il riconoscimento della cittadinanza richiede adempimenti talvolta molto gravosi, implicanti ricostruzioni estremamente lunghe e complesse, risalenti molto indietro nel tempo, in considerazione del fatto che questa può essere riconosciuta anche a discendenti di quarta generazione ed oltre. Come noto, infatti, l'attuale legge non pone vincoli al numero di generazioni cui la cittadinanza può essere tramandata. In tale situazione, la crescita del numero di richiedenti è incontenibile.
  Come è già ben noto all'interrogante, un ulteriore miglioramento dei servizi potrà provenire dalla legge di bilancio 2017, approvata il 7 dicembre 2016. Questa prevede la riassegnazione al bilancio della Farnesina, a decorrere dal 2017, del 30 per cento dei versamenti effettuati per la domanda di riconoscimento della cittadinanza italiana. Tale importo sarà trasferito agli uffici consolari per il rafforzamento dei servizi a favore dei cittadini italiani, con priorità per l'assunzione di personale locale a contratto da adibire allo smaltimento dell'arretrato riguardante le pratiche di cittadinanza (comma n. 429, emendamento del relatore che riformula un emendamento dell'interrogante).
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   PRODANI e MUCCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   come riportato dal sito istituzionale dell'autorità portuale di Trieste «il referente normativo primario del regime giuridico del Porto Franco di Trieste è l'Allegato VIII al Trattato di Pace di Parigi del 1947», mentre negli articoli dall'1 al 20 del Memorandum di Londra del 1954 «sono contenuti i principi fondamentali della disciplina del Porto Franco, i parametri generali di riferimento per lo Stato italiano, competente a darvi attuazione con propri atti»;
   la legge 28 gennaio 1994, n. 84, sul «Riordino della legislazione in materia portuale», all'articolo 6, comma 12, fa salva la disciplina vigente per i punti franchi del porto di Trieste, demandando al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, sentita l'autorità portuale competente, il compito di stabilirne con un proprio decreto l'organizzazione amministrativa;
   a 22 anni di distanza, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non ha ancora emanato nessun decreto in materia, causando incertezza sull'applicazione della normativa di agevolazione riservata ai punti franchi triestini e limitandone fortemente lo sviluppo;
   in conseguenza dell'articolo 1, commi 618 e 619, della legge 22 dicembre 2014 n. 190, in data 26 gennaio 2016, il commissario di Governo della regione Friuli Venezia Giulia ha decretato (Prot. n. 19/8-5/2016) il trasferimento del regime giuridico internazionale di Punto Franco dal Porto Vecchio a 5 nuove aree individuate come da proposta formulata dall'autorità portuale di Trieste;
   in data 1° luglio 2016, il sito online della regione Friuli Venezia Giulia, in un comunicato stampa dal titolo «Fiscalità: Serracchiani a Renzi, Porto Franco Ts diventi “no tax area” » informa di una missiva inviata dalla presidente della regione Friuli Venezia Giulia, Debora Serracchiani, al Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi e per conoscenza anche al Ministro dell'economia e delle finanze, Pier Carlo Padoan, e al Ministro dello sviluppo economico, Carlo Calenda, per delineare le opportunità offerte in particolare dal Porto di Trieste nella prospettiva che possa concretizzarsi l'ipotesi di istituire alcune «no tax area» a seguito della cosiddetta «Brexit» (il 23 giugno 2016, a seguito del referendum indetto sulla «Brexit», il 51,9 per cento dei cittadini elettori britannici, ha votato per l'uscita dall'Unione europea);
   la nota stampa riporta quanto scritto dalla presidente ossia che: «l'uscita della Gran Bretagna dall'Unione europea impegnerà gli Stati membri in un processo di straordinaria complessità, ulteriormente complicata da probabili riflessi sistemici sulle economie, al momento difficilmente misurabili. In questo scenario, desta particolare interesse la proposta (...) di istituire nel nostro Paese alcune “no tax area”, finalizzate ad attrarre investimenti». È in tale prospettiva, e con particolare riguardo all'individuazione geografica di tali aree, che Serracchiani, nello scambio epistolare con il Governo, individua un'opportunità nella regione del Friuli Venezia Giulia e in particolare a Trieste in quanto sede di un porto franco che «rappresenta un autentico unicum nell'ordinamento giuridico italiano e comunitario»;
   secondo Serracchiani «si tratta, in concreto, di uno strumento caratterizzato, essenzialmente, da due regimi: la massima libertà di accesso e transito e l'extradoganalità (o «extraterritorialità doganale») dove i vantaggi/benefici possono essere raggruppati in un gruppo di norme che assicurano la libertà di transito e la libera circolazione all'interno del porto franco. Con queste norme, ad esempio, i TIR provenienti dalla Turchia non sono sottoposti alle quote bilaterali tra Stati per cui il transito da e per il Porto di Trieste (Autostrada del Mare Trieste-Turchia) è libero»;
   per quanto concerne, invece, il corredo giuridico dell'extradoganalità, implicante tutta una serie di effetti favorevoli, Serracchiani ha ricordato nella lettera, a titolo di esempio, che «le merci provenienti dai Paesi non comunitari possono essere sbarcate e depositate (senza limiti di tempo) immuni da dazio o altra tassa, fino a quando non varcheranno i confini del punto franco, per essere importate all'interno del territorio doganale italiano/comunitario. Degno di nota – ha aggiunto – è che, per le merci in regime di deposito illimitato non è necessaria la prestazione di alcuna garanzia. Inoltre, poiché le merci unionali lasciano territorio dell'Unione non appena fatto il loro ingresso nel porto franco, l'esportazione non è soggetta ad IVA»;
   la presidente ha poi evidenziato che «un'altra peculiarità del regime in parola, è che attività quali la manipolazione (imballaggio, etichettatura eccetera) e la trasformazione anche di carattere industriale delle merci avvengono in completa libertà da ogni vincolo doganale». E ancora, «con l'applicazione dell'istituto del cosiddetto “credito doganale”, le merci importate nel mercato comunitario attraverso i punti franchi godono di una dilazione del pagamento dei relativi dazi e imposte doganali fino a sei mesi dalla data dello sdoganamento, ad un tasso di interesse annuo particolarmente contenuto»;
   la presidente del Friuli Venezia Giulia ha fatto, infine, notare come «l'Autorità Portuale di Trieste, grazie ai provvedimenti di spostamento delle aree del punto franco di Porto Vecchio, conseguenti alle recenti norme nazionali sulla sdemanializzazione, abbia esteso i benefici del punto franco triestino ad alcune aree retro portuali: aree nelle quali potranno dunque essere collocate, con procedure semplificate, attività industriali e logistiche passibili di beneficiare dei vantaggi sopra descritti, in un habitat fiscale e doganale assolutamente unico nel panorama europeo»;
   in data 2 luglio 2016, il quotidiano Il Piccolo di Trieste, nell'articolo dal titolo «Soluzione strategica per i nostri Punti Franchi» riporta le dichiarazioni del commissario dell'autorità portuale, Zeno D'Agostino che ha affermato come la No tax area: «aprirebbe la possibilità di insediamento a Trieste non soltanto di aziende di logistica o manifatturiere, ma anche di aziende del terziario, fornitrici di servizi e dell'ambito della finanza –:
   come, e se il Governo intenda dare seguito agli impegni richiesti dalla presidente della regione Friuli Venezia Giulia nella missiva richiamata in premessa.
(4-13721)

  Risposta. — Con il documento di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti, riprendendo i contenuti di una missiva inviata dal presidente della regione Friuli Venezia Giulia al presidente del Consiglio dei ministri avente ad oggetto l'istituzione di una «no tax area» nel Porto franco di Trieste, e avendone brevemente ricostruito il regime giuridico attuale, chiedono, anche al Ministro dell'economia e delle finanze, di conoscere le eventuali iniziative che il Governo intenda adottare per dar seguito agli impegni richiesti. Una soluzione siffatta, come dichiarato dal Commissario dell'autorità portuale, sul quotidiano «Il Piccolo di Trieste», in data 2 luglio 2016, costituirebbe una possibilità di insediamento strategico di aziende non solo di logistica o manifatturiere, ma anche del terziario, fornitrici di servizi e dell'ambito della finanza.
  Al riguardo, sentiti i competenti uffici dell'amministrazione finanziaria, si fa presente quanto segue.
  L'eventuale adozione di misure fiscali volte a favorire talune imprese o attività produttive o territori – che nella nota del presidente della regione autonoma Friuli – Venezia Giulia non sono descritte se non in termini generici e programmatici, che non consentono di esprimere specifiche valutazioni sotto un profilo meramente tecnico – devono, in ogni caso, tener conto dei limiti e delle condizioni posti dalla normativa comunitaria prevista dagli articoli 107 e 108 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea sugli aiuti di Stato.
  Quanto ai profili doganali, si ritiene indispensabile premettere che l'intera materia doganale applicabile nel territorio unionale è di competenza esclusiva degli organismi dell'Unione europea ed è, quindi, sottratta alla potestà del legislatore nazionale.
  Per quanto attiene al Porto Franco di Trieste, in particolare, si fa presente che lo stesso comprende attualmente 5 punti franchi, di cui tre destinati alle attività commerciali e due destinati ad attività di tipo industriale. Le norme che prevedono l'istituzione di un «porto franco» in alcune aree del porto di Trieste si ritrovano nel Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947 (in particolare negli articoli 1-20 dell'Allegato VIII «Strumento relativo al Porto Franco di Trieste») e, successivamente, del Memorandum di Londra del 1954. I principi sanciti dal Trattato di pace e dal Memorandum summenzionati sono stati recepiti ed attuati nell'ordinamento giuridico italiano con i decreti del commissario generale del Governo n. 29 del 19 gennaio 1955 e n. 53 del 23 dicembre 1959.
  Successivamente, l'articolo 169 del decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973 (testo unico delle leggi doganali) ha stabilito che, per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste previsti nell'allegato VIII del Trattato di pace, debbano restare ferme, in deroga a quanto stabilito negli articoli precedenti del medesimo testo unico delle leggi doganali le «vigenti disposizioni più favorevoli». Da ultimo il regime vigente per i punti franchi compresi nella zona del porto franco di Trieste è stato fatto salvo dall'articolo 7, comma 12 del decreto legislativo n. 169 del 2016, di modifica della legge n. 84 del 1994 in materia portuale.
  Si fa presente che, a favore della competitività dello scalo e del suo territorio, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha predisposto una bozza di decreto attuativo concernente il regolamento amministrativo del porto franco internazionale di Trieste, la cui adozione stabilisce l'organizzazione amministrativa della gestione dei punti franchi di Trieste.
  Ciò premesso occorre fin da subito chiarire che qualora si intendesse istituire una zona di fiscalità agevolata nel comune di Trieste attraverso l'esclusione del suo territorio da quello doganale comunitario, tale soluzione non risulterebbe consentita dall'attuale quadro normativo comunitario.
  Ai sensi dell'articolo 4 del regolamento (CE) n. 952/2013 (codice doganale comunitario) il territorio del porto di Trieste fa parte integrante del territorio doganale comunitario, restandone esclusi tassativamente solo quelli Livigno e di Campione d'Italia.
  Inoltre, l'articolo 6 della direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 2006, recepito nella normativa nazionale, all'articolo 7 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, esclude dal campo di applicazione i.v.a. espressamente solo i territori di Livigno e Campione d'Italia.
  Per completezza si precisa che, sebbene non appaia risolto il problema della corretta individuazione delle norme sovrannazionali applicabili al porto di Trieste, può ritenersi nei confronti dello stesso vigente un regime di massima libertà di accesso e transito, come regolato dal citato allegato VIII recante, fatto salvo dall'articolo 1 paragrafo 1 del predetto codice doganale comunitario e dell'articolo 351 del trattato sul funzionamento dell'Unione europea.
  Tuttavia, tenuto conto che la zona franca è una parte del territorio comunitario, per le merci consumate sono dovuti i dazi e gli altri diritti doganali.
  In via residuale, si osserva che nel caso in cui si intendesse invece creare una zona franca urbana sarebbe necessario che ricorressero gli specifici limiti e condizioni richieste dalla normativa comunitaria e nazionale, ai sensi dell'articolo 1, comma 342, della legge n. 296 del 2006, atteso che loro obiettivo prioritario è quello di favorire lo sviluppo economico e sociale di quartieri ed aree urbane caratterizzate da disagio sociale, economico e occupazionale, e con potenzialità di sviluppo inespresse.
La Sottosegretaria di Stato per l'economia e le finanzePaola De Micheli.


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il Gambia è un piccolo Paese dell'Africa occidentale ma con importanti legami economici e di cooperazione con l'Italia e l'Europa;
   dalla sua indipendenza nel 1965 ha conosciuto solo due capi di Governo, Dawda Jawara fino al 1994, e dal 1994 ad oggi, salito al potere grazie a un colpo di Stato, il presidente Yahya Jammeh;
   questo, se da un lato ha determinato vantaggi dal punto di vista della stabilità, sconosciuta ad altri Paesi limitrofi, ha però comportato gravi restrizioni delle libertà politiche e civili;
   secondo Human Rights Watch, nel Paese sono comuni le violazioni dei diritti umani, con casi ripetuti di sparizioni forzate, detenzioni arbitrarie e tortura;
   un fatto nuovo però si è determinato alle ultime elezioni del 1° dicembre 2016 in cui dopo 22 anni di Governo, il presidente Yahya Jammeh è risultato sconfitto e al suo posto è stato eletto un imprenditore, Adama Barrow, sostenuto da diversi partiti di opposizione;
   in un primo tempo Jammeh è sembrato accettare il risultato delle elezioni ma poco dopo ha annunciato in televisione di voler indire nuove elezioni con un diverso presidente della commissione elettorale, mentre quello in carica scappava dal Paese nei primi giorni di gennaio;
   contestualmente sono state chiuse tre radio private e con l'approssimarsi del 19 gennaio 2017; giorno dell'insediamento del presidente eletto, ha dichiarato lo stato di emergenza al solo scopo, secondo i pareri pressoché unanimi degli osservatori nonché dei rappresentanti dei Paesi vicini, di scoraggiare una transizione pacifica nel Paese;
   è opportuno ricordare in questa sede che l'Italia ha stretto più volte accordi con il Governo gambiano, nel 2011, nel 2013 e ultimamente anche il 6 giugno 2016, fatti da cui discende un evidente vincolo morale e politico con questo Paese –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra riportato e quali iniziative intenda assumere, sia sul piano bilaterale che multilaterale, per assicurare una soluzione pacifica e democratica dell'attuale crisi politica in Gambia. (4-15270)

  Risposta. — La situazione politica del Paese africano descritta dall'interrogante, ben nota a questo Ministero, ha conosciuto negli ultimi giorni una positiva evoluzione. In particolare, il 19 gennaio 2017 presso l'Ambasciata gambiana a Dakar (e non in Gambia) ha avuto luogo la cerimonia di investitura del neo Presidente eletto Adama Barrow. Il 21 gennaio 2017, dopo che truppe dei Paesi della Comunità economica degli Stati dell'Africa occidentale (ECOWAS) sono entrate in Gambia con il sostegno della comunità internazionale, il Presidente uscente Jammeh si è convinto a lasciare il potere, cercando riparo prima nella Repubblica di Guinea e poi in Guinea equatoriale. Adama Barrow ha così potuto fare ritorno in Gambia il 26 gennaio e ha annunciato una cerimonia ufficiale di inizio mandato per il 18 febbraio 2017, allo stadio della capitale Banjul.
  Durante la crisi, e in particolare nella sua fase più acuta, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha tenuto informato il ristretto gruppo di italiani presenti in Gambia su rischi e necessarie misure di sicurezza. L'ambasciata italiana a Dakar e l'Unità di crisi hanno, in particolare, operato anche in vista della eventuale evacuazione dei nostri connazionali.
  Sul piano bilaterale, l'ambasciatore di Italia in Senegal, con accreditamento secondario in Gambia, ha partecipato alla già ricordata investitura del Presidente Barrow a Dakar, come segnale di sostegno al Presidente democraticamente eletto. L'ambasciata ha monitorato costantemente la situazione e riferito con puntualità circa gli sviluppi della stessa.
  Sul piano multilaterale, l'Italia si è attivata soprattutto nell'ambito dell'Unione europea ed ONU, sempre a favore dell'illegittimità della permanenza al potere di Jammeh, cercando di favorire una transizione pacifica al potere.
  In particolare, il nostro Paese, dal 1o gennaio 2017 in Consiglio di sicurezza dell'Onu, ha partecipato all'adozione della risoluzione del Consiglio di Sicurezza n. 2337 che, nel dare sostegno all'azione ECOWAS, ha raccomandato di dare comunque priorità ad una soluzione politica della questione.
  Tale prospettiva si è, infine, concretizzata: la presenza di truppe ECOWAS in Gambia ha avuto una funzione deterrente e si è riusciti ad evitare che la situazione precipitasse. È realistico aspettarsi che questo sviluppo avrà effetti positivi per la democrazia e la stabilità non solo in Gambia ma nell'intera regione.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   REALACCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da alcune notizie apparse nelle scorse settimane sui social media e su Il Fatto Quotidiano del 16 dicembre 2016, si apprende che il team ispettivo dell'Enac – Ente nazionale per l'aviazione civile, in forza all'aeroporto intercontinentale di Roma Fiumicino sia costretto a lavorare su sicurezza di aerei ed equipaggi con personale ridotto;
   detto « team di sorveglianza», come descritto dal sopracitato quotidiano, è composto da alcuni professionisti tra cui ingegneri e un ispettore di volo che è la figura preminente e più importante. «A Fiumicino manca proprio l'ispettore di volo. Una situazione simile a quella del Leonardo da Vinci per Alitalia si sta verificando anche a Milano e nell'area del Nordovest»;
   gli stessi dirigenti dell'Enac paiono rendersi conto delle gravi difficoltà. In una lettera recente, indirizzata al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il direttore generale dell'Enac, Alessio Quaranta ammette: «Lo scenario che si sta prefigurando comporterà inevitabilmente l'impossibilità fin dai prossimi giorni di adempiere da parte dell'Enac agli obblighi istituzionali previsti dalle norme nazionali, comunitarie e internazionali per il mantenimento degli standard di sicurezza degli operatori aerei». Aggiunge poi: «Sono necessari 33 ispettori di volo, ma la pianta organica, derivante anche da limitazioni di legge, prevede 26 unità. Attualmente sono dipendenti di Enac solamente 16 ispettori di volo. Di questi 16, cinque termineranno il loro rapporto di lavoro a tempo determinato il 6 gennaio 2017, 4 entro il 31 marzo e 4 entro il prossimo anno». Il risultato è che «a partire dal 2017 Enac potrà quindi avvalersi soltanto di 3 ispettori di volo per effettuare la safety oversight, ovvero il controllo continuo della sicurezza, su 60 compagnie aeree titolari di Certificato di operatore aereo-Coa, compresa Alitalia, in più di un centinaio fra aeroporti e eliporti»;
   i compiti dei team ispettivi dell'Enac sono peraltro molti e importanti: dal controllo sulla manutenzione degli aerei alla verifica dell'addestramento del personale, dall'adesione ai regolamenti nazionali, europei e internazionali al rispetto della manualistica. L'obiettivo fondamentale di tutte queste numerose operazioni è garantire il massimo della sicurezza dei voli per i cittadini. Negli anni l'Enac ha poi preferito scegliere personale esterno, già a riposo, anziché far crescere professionalità giovani e interne;
   secondo il citato articolo l'Icao, l'Organizzazione internazionale dell'aviazione civile, e l'Easa, l'agenzia europea per la sicurezza aerea, lamentano il perdurare delle difficoltà gestionali dei controlli in Italia e c’è anche la possibilità che l'Easa possa indurre la Commissione europea a avviare una procedura di infrazione che metta in discussione tutta l'organizzazione dell'Enac –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda di cui in premessa e se quanto descritto corrisponda al vero;
   se per quanto di competenza, non si intendano assumere iniziative per garantire un'adeguata dotazione di personale dell'Enac al fine di garantire la massima adeguatezza delle operazioni di volo e di attività ispettiva di aerei ed equipaggi a Fiumicino e negli altri aeroporti italiani;
   se, a fronte di un, da più parti lamentato, aumento degli inconvenienti tecnici e di volo, comprese alcune «piantate di motori» da parte dei velivoli di Alitalia, non si intenda verificare, anche alla luce del nuovo piano di rilancio della compagna italiana, se i protocolli di sicurezza siano correttamente eseguiti e al più alto livello di sicurezza. (4-15338)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta sulla base delle informazioni comunicate dall'Ente nazionale per l'aviazione civile, interessato al riguardo.
  L'Ente nazionale per l'aviazione civile impiega gli ispettori di volo nel settore delle operazioni di volo (attività alla quale di recente si sono aggiunte le autorizzazioni all'impiego degli Apr (cosiddetti droni), l'approvazione dei centri di addestramento Apr, la sorveglianza sugli operatori Ncc (non commercial complex operators) e i processi di transizione e conversione delle certificazioni (Cola (Operatori di lavoro Aereo) dal regime normativo nazionale al regime normativo europeo.
  Nel mese di dicembre 2016, a causa della crescente mole di lavoro e della imminente scadenza dei contratti a tempo determinato di 5 ispettori di volo, questo Ministero e l'Enac hanno avviato varie iniziative per far in modo che tali contratti potessero essere prorogati.
  Poiché dette proroghe non potevano essere consentite a causa di un divieto di legge, il comma 6, dell'articolo del decreto- legge 30 dicembre 2016. n. 244, ha previsto che, in attesa dell'emanazione dei provvedimenti di autorizzazione per l'assunzione di ispettori di volo, fosse facoltà di Enac assumere in via transitoria 20 ispettori di voto con ciò consentendo la riassunzione dei 5 ispettori di volo e nel tempo quella degli altri con contratto in scadenza, nonché l'assunzione ex novo di ulteriori 7 unità.
  La tempestiva autorizzazione all'assunzione ha evitato qualsiasi interruzione delle attività istituzionali di Enac relative all’oversight sugli operatori aeronautici.
  Enac rappresenta che non risulta che Icao ed Easa abbiano lamentato difficoltà nei controlli in Italia, tantomeno che possano essere considerati carenti le attività di verifica sul mantenimento degli standard di safety da parte degli operatori aeronautici. Pertanto, appare priva di fondamento l'affermazione che possa essere avviata nei confronti dell'Italia una procedura di infrazione che metta in discussione l'organizzazione dell'Enac.
  Infine, per quanto attiene all'aumento degli inconvenienti tecnici e di volo da parte di velivoli Alitalia. Enac informa che si tratta di inconvenienti aeronautici che rientrano nella ordinaria gestione di un operatore aereo, che secondo le procedure di certificazione sono stati approfonditamente analizzati al fine di catturare qualunque segnale che possa indicare un abbassamento dei prescritti standard di safety che, in ogni caso, sono risultati adeguati.
  In ogni caso, Enac comunica che effettua sempre la sorveglianza attraverso audit ordinari di mantenimento dei requisiti della certificazione e audit straordinari al verificarsi di eventi che meritano approfondimenti.
  Tra i casi riportati verificatisi di recente, soltanto l'evento occorso a un aeromobile B777-200 EI-DDH in volo il 17 giugno 2016 da Tokyo a Roma e dirottato a Monaco può considerarsi un in flight engine shut down. Al riguardo, Enac fa sapere che ha immediatamente effettuato un audit straordinario il 21 giugno 2016.
  Detto inconveniente era comunque riconducibile ad una anomalia nota alla low pressure turbine e gestita dallo stesso costruttore del motore general eletric attraverso una campagna di ispezioni e modifiche ormai completamente implementate da Alitalia.
  L'affidabilità degli aeromobili e motori della flotta Alitalia resta comunque ampiamente nei limiti stabiliti nei regolamenti applicabili, risultando in linea con quella di altri operatori europei con la stessa tipologia di flotta utilizzata.
  Altresì, Enac informa che tutti gli eventi sono stati gestiti nel rispetto totale delle procedure operative e delle indicazioni del costruttore relativamente all'individuazione delle avarie e delle azioni conseguenti.
  Da ultimo, Enac evidenzia che non si sono mai verificate situazioni che hanno messo a rischio la sicurezza del volo ma si tratta di eventi riconducibili all'ammissibile casistica di inconvenienti ordinariamente riscontrabili in operativo da parte delle compagnie aerea che operano quotidianamente centinaia di voli.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Alessandria è presente uno dei più imponenti monumenti europei nell'ambito delle fortificazioni permanenti del XVIII secolo. La Cittadella militare, ora denominata Cittadella di Alessandria, è, infatti, un'immensa fortezza a pianta stellare che si estende su un'area di 538.400 metri quadrati oltre a 11.280 metri quadrati di strada perimetrale esterna. Essa rappresenta un perfetto esempio di fortificazione moderna composta di ben sei fronti bastionati, forniti di cavalieri collegati da spessa cortina rettilinea, percorsi da un reticolato continuo di gallerie e casematte. Numerosi sono gli eventi storici che l'hanno vista protagonista, essendo stata Alessandria un territorio di importanza strategica già a partire dal Medioevo in quanto terra di confine. In questa sede basta solo ricordare che sui suoi bastioni venne innalzato per la prima volta nella storia d'Italia, precisamente il 10 marzo 1821, il vessillo tricolore da parte del tenente colonnello Guglielmo Ansaldi;
   per la sua importanza storica architettonica la Cittadella di Alessandria è stata insignita di numerosi riconoscimenti. Dichiarata monumento nazionale con regio decreto n. 566 del 1943 è stata inserita nella «Tentative List» per la candidatura alla lista del patrimonio mondiale dell'umanità dell'UNESCO. Inoltre è tra i siti italiani più amati al mondo avendo ottenuto il primo posto nella classifica dei luoghi del cuore 2012 in occasione del VI censimento dei luoghi italiani, appunto, più amati al mondo promosso dal Fondo ambiente italiano (FAI);
   dopo la dismissione da parte del Ministero della difesa, dal 2007 il sito è di proprietà del Ministero dell'economia e delle finanze – Agenzia del demanio e dal 2009 è stato dato in custodia al comune di Alessandria. Nel 2014 il Ministero dell'economia e delle finanze – Agenzia del demanio ha indetto un bando di gara per la «Concessione di Valorizzazione del bene immobile denominato Compendio Cittadella, sito nel Comune di Alessandria, via Pavia s.n.c., ex articolo 3-bis del decreto-legge n. 351/2001, convertito, con modificazioni, dall'articolo 1 della legge n. 410/2001» con la finalità principale dell'affidamento del bene per il suo recupero strutturale e la sua rifunzionalizzazione mediante introduzione di nuove destinazioni d'uso per la pubblica fruizione, nel rispetto dei suoi caratteri storici, documentali ed ambientali. Com'era chiaramente prevedibile, per un complesso del genere, i cui oneri di ripristino sono incalcolabili, il bando non poteva che andare deserto;
   la Cittadella di Alessandria rappresenta l'unica fortezza europea rimasta intatta e ancora inserita nel suo contesto ambientale originario poiché, nel corso degli anni, non si è edificato in prossimità dei bastioni e dintorno ai fossati. Eppure dopo tanti anni d'incuria e abbandono il sito è seriamente minacciato da un subdolo e grave nemico. Si tratta dell’Ailanthus altissima una specie di alianto invasiva, originaria della Cina, capace di recare seri danni alle fortificazioni sia per il vigore dell'apparato radicale, capace di disgregare malte e murature antiche, sia per il rapidissimo e inarrestabile sviluppo. Infatti, decenni di assenza d'interventi manutentivi all'interno del perimetro della Cittadella ha favorito la proliferazione di questa pianta infestante al punto che, come riportato anche da organi di stampa, «la Fortezza sta implodendo»;
   molteplici sono stati gli appelli alla salvaguardia di questo importantissimo monumento arrivati anche dall'Europa. Infatti, il 4 maggio 2014 la Cittadella di Alessandria è stata inserita da Europa Nostra e dalla Banca europea degli investimenti tra i sette monumenti europei per il programma di tutela di siti storici «7 Most Endangered», cioè inserita tra i sette siti in grave pericolo di cui c’è immediato bisogno di azioni di tutela e valorizzazione;
   i pochi interventi eseguiti volti all'eradicazione dell'ailanto non hanno portato agli esiti sperati, poiché il sito necessita di interventi non episodici e legati alla bontà di qualche associazione ambientalista o finanziatore privato ma di una decisa politica pubblica di tutela e valorizzazione da parte dello Stato tale da garantirne il pieno recupero e la continua fruibilità;
   il 16 novembre 2015, sempre da organi di stampa, si apprende che sul retro della fortezza, nel corso di scavi per la creazione di un'area parcheggi e nuovi possibili insediamenti commerciali, sono stati rinvenuti i resti del vecchio ponte, parte dell'impianto idrico per il controllo delle acque negli spalti della Cittadella, e l'ex strada usata un tempo per raggiungere la Cittadella. Da precedenti interpellanze consiliari ed esposti presentati dal Movimento 5 Stelle locale non sono seguiti provvedimenti idonei alla salvaguardia del sito –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa e se non ritengano opportuno intraprendere con urgenza iniziative per la tutela e la valorizzazione della Cittadella di Alessandria che rappresenta un bene di notevole valore storico e architettonico non solo per il nostro Paese ma per l'intera Europa;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno verificare le ragioni per cui la Soprintendenza ai beni culturali e paesaggistici della provincia di Alessandria non abbia ritenuto opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a sospendere i lavori per la realizzazione di un parcheggio in un'area adiacente all'imponente complesso pur a seguito di segnalazioni ed esposti di cittadini, sulla presenza di rilevanti vestigia a esso collegati.
(4-11260)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame l'interrogante, premesso che: la Cittadella di Alessandria è un'immensa fortezza, che per la sua importanza storica e architettonica è stata insignita di numerosi riconoscimenti; che dopo tanti anni d'incuria e abbandono è seriamente minacciata dalla proliferazione di una pianta infestante capace di recare seri danni alle strutture; che da organi di stampa si apprende che sul retro della fortezza, nel corso di scavi per la creazione di un'area parcheggi e di nuovi possibili insediamenti commerciali, sono stati rinvenuti i resti del vecchio ponte, parte dell'impianto idrico per il controllo delle acque negli spalti della Cittadella e l'ex strada usata un tempo per raggiungere la Cittadella, chiede di sapere se il Ministero non ritenga opportuno intraprendere iniziative per la tutela e la valorizzazione della Cittadella di Alessandria, nonché verificare le ragioni per cui non si siano assunte iniziative volte a sospendere i lavori per la realizzazione del parcheggio suddetto.
  A tale riguardo si comunica quanto segue.
  La Cittadella di Alessandria si trova a nord-ovest della città ed è da essa separata dal fiume Tanaro; la costruzione venne decisa nel 1728 e durante l'occupazione francese lo stesso Napoleone ne ammodernò e ingrandì le strutture per trasformarla nella «porta orientale» della Francia, affidando i lavori al miglior architetto militare francese, Frainçois de Chasseloup Laubat, che connotò l'intero iter del progetto con una concezione nuova di difesa complessiva, intesa come insieme di città e cittadella. La posizione e l'efficacia delle moderne fortificazioni ne fecero uno dei più forti baluardi, che continuò a svolgere un ruolo fondamentale anche durante la Restaurazione e il Risorgimento; dopo la proclamazione dell'unità d'Italia, si susseguirono numerosi piani di difesa per la città di Alessandria finché cambiò il quadro strategico e nel 1889 la Cittadella da «fortezza di primo rango», fu declassata a sede di comandi, caserma e deposito logistico, pur rimanendo un sito fondamentale per l'organizzazione territoriale dell'Esercito Italiano.
  Per questi suoi caratteri di eccezionalità dal 2006 la Cittadella è stata inserita nella « Tentative List» per la candidatura alla Lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità (UNESCO). Nel 2007 è stata definitivamente dismessa dal Ministero della difesa per essere acquisita dall'agenzia del demanio e nel 2009 ne è stata affidata la custodia al comune di Alessandria che, pur gravato da una situazione di dissesto finanziario e con una minima dotazione di fondi, ne ha garantito la fruizione con interventi di manutenzione ordinaria e organizzandovi manifestazioni ed eventi.
  Il bando di gara per la «Concessione di valorizzazione», pubblicato nel 2014, ha rappresentato una importante novità nel processo di salvaguardia e rifunzionalizzazione che si sta cercando di avviare da tempo; la mancata aggiudicazione non è da imputare agli indubbi oneri che la presa in carico del compendio avrebbe comportato, quanto piuttosto ai tempi concessi per la presentazione delle offerte, ritenuti troppo stretti a fronte delle richieste del bando stesso, in particolare in riferimento alle garanzie.
  Fin da prima dell'apertura del bando infatti si sono palesate fattive e convinte manifestazioni di interesse da parte di alcuni soggetti, che continuano tuttora a sollecitare la riapertura di una gara.
  All'impegno pubblico nella quotidiana gestione e valorizzazione della Cittadella, si affianca quello di sponsor e associazioni di volontariato (il FAI e l'Associazione nazionale bersaglieri in primis) il cui contributo per le attività a supporto della conservazione è certamente meritorio. La selezione della Cittadella quale «luogo del cuore FAI» per il 2012 ha infatti consentito, grazie al FAI e in collaborazione con Intesa Sanpaolo, l'attivazione di un intervento pilota di eradicazione dell'ailanto, oltre alla messa in sicurezza degli alberi di alto fusto presenti nella piazza d'armi e lungo i percorsi interni. Le opere si sono concentrate sul bastione di San Michele e sulle adiacenze della cortina muraria, dove si sta sperimentando L'efficacia di alcune tecniche volte all'eliminazione dell'infestante dalla elevata potenzialità pollonifera, derivante dalla sua capacità di formare stoloni sotterranei lunghi oltre 20 metri, dai cui nodi possono rapidamente emergere nuove piante. Nell'ambito del medesimo progetto si è anche riusciti a mettere in atto una prima fase di rimozione dell'ailanto dai tetti delle caserme che si affacciano sulla piazza d'armi e in particolare della polveriera, edificio unico per la sua struttura funzionale. Ed è già programmata una fase di controllo e diserbo, a partire dalla primavera, nelle aree oggetto del suddetto lotto.
  Per quanto riguarda gli interventi in corrispondenza della strada di accesso occidentale dalla Porta del Soccorso, si precisa che le opere autorizzate riguardano esclusivamente la riorganizzazione della viabilità e in nessun modo la possibilità di nuovi insediamenti commerciali.
  Inoltre, solo marginalmente al sedime stradale, è previsto l'inserimento di pochi stalli quali aree di sosta degli autobus: questi sono stati progettati con sistema drenante e strato di finitura in stabilizzato per una maggiore compatibilità materica, e collocati nel lato strada verso le attività produttive già esistenti, al fine di ridurne l'impatto. D'altra parte, la previsione di allocare gli spazi di sosta temporanea per i pullman turistici in tale posizione defilata rispetto all'ingresso della Porta Reale, si inserisce quale risposta all'esigenza ineludibile di accompagnare a qualsiasi programma complessivo di valorizzazione della Cittadella, quello della gestione dei flussi dei visitatori in previsione di manifestazioni ed eventi, essendo già emerso come l'attuale ingresso sul fronte verso il Tanaro non possa configurarsi come quello esclusivo.
  Per quanto riguarda poi i resti del vecchio ponticello, questi non costituiscono affatto un rinvenimento; infatti la loro presenza era ben nota e segnalata, sì che è stata oggetto di attenta valutazione in fase progettuale, tanto che lo stesso progetto esecutivo ancora pubblicato sul sito del Comune di Alessandria è stato in realtà rivisto e oggetto di variante, al fine di consentire la conservazione e la salvaguardia del manufatto storico, integrato così nel nuovo percorso stradale e restituito ad una sua funzionalità.
  A latere, si evidenzia che gli sterri sono stati di minima entità e le operazioni di scavo sono note alla soprintendenza archeologia del Piemonte per quanto di competenza, cui era pervenuta peraltro l'istanza di autorizzazione. Le poche tracce di una presunta strada rappresentate dalla presenza di elementi tufacei che potrebbero far pensare ad una massicciata sono state rilevate nel tratto in cui si è provveduto al consolidamento dell'estradosso del ponte e si trovano ad una profondità contenuta rispetto alla quota attuale del terreno; non paiono inoltre essere emersi reperti ceramici né altre tracce di rilevanza storico-documentale.
  Non risultano infine nemmeno ritrovamenti dell'impianto idrico di smaltimento delle acque degli spalti della Cittadella, quanto meno in questa fase di lavori e per questa porzione di cantiere.
  Si ritiene utile evidenziare come il progetto di realizzazione della nuova strada e della rotonda in via Giordano Bruno sia da ricomprendere in un progetto complessivo di riassetto della viabilità nei dintorni della Cittadella, che tende a disciplinare non solo il traffico veicolare, ma anche i percorsi pedonali, tanto che quelli previsti con questo lotto dovranno andare a completarsi con un percorso pedonale di accesso alla Porta del Soccorso.
  Nel mese di febbraio 2016 la Cittadella di Alessandria è stata consegnata dall'agenzia del demanio – direzione regionale Piemonte e Valle d'Aosta a questo Ministero, con assegnazione alla allora soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Novara, Verbanio, Cusio e Ossola e Vercelli, ora (a seguito del decreto ministeriale n. 44 del 2016 di riorganizzazione, soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo), al fine di poter avviare le necessarie politiche di tutela, conservazione e valorizzazione.
  Si evidenzia infatti che nel quadro del piano cultura e turismo proposto da questo Ministero sono stati stanziati 25 milioni di euro del fondo sviluppo e coesione 2014-2020 a favore della Cittadella, che consentiranno l'avvio delle necessarie opere di rifunzionalizzazione e restauro dell'importante complesso seicentesco.
  Si segnala inoltre che è attualmente in itinere la sottoscrizione di un protocollo di intesa con la regione Piemonte e la città di Alessandria, al fine di definire le strategie ed obiettivi comuni di valorizzazione e stabilire prospettive condivise per lo sviluppo della Cittadella.
  Si informa che, in esito alla programmazione triennale dei lavori pubblici 2016-2019, sono stati assegnati euro 60.000 per un progetto di primo adeguamento della sede per gli uffici della soprintendenza archeologia belle arti e paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo. Analogo importo è stato richiesto dalla soprintendenza nella programmazione 2017-2020, in corso di definizione, per il proseguimento degli interventi già finanziati.
  In conclusione, si evidenzia che la Cittadella si configura sicuramente come un monumento di straordinario valore e rilevanza culturale ed è impegno del Ministero e della soprintendenza paesaggistica competente per territorio garantirne la salvaguardia per quanto di competenza, oltre a favorire la predisposizione di progetti atti alla sua valorizzazione, nella assoluta consapevolezza dell'urgenza di interventi che muovano però da un progetto unitario per il quale vengano impegnate le necessarie risorse economiche, per il reperimento delle quali il coinvolgimento di operatori privati capaci di investimenti rilevanti è certamente essenziale.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   ROSTAN e VERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dalla consultazione del sito del Ministero della giustizia ed, in particolare, della sezione dedicata all'articolazione territoriale degli uffici giudiziari (http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg–4.wp), è possibile rilevare, come segnalato da numerosi professionisti legali e da riviste scientifiche come «ex parte creditoris», che il detto servizio non è più attivo;
   il detto servizio consentiva l'individuazione immediata, con un semplice clic, dell'organo giurisdizionale competente per territorio;
   dall'ultimo aggiornamento, che risulta effettuato in data 15 settembre 2013, la pagina web reca tale indicazione: «Dal 13 settembre 2013 sono disponibili in Giustizia Map le informazioni riguardanti le strutture penitenziarie, minorili, notarili, antimafia e i commissariati agli usi civici, ricercabili anche a partire dal Comune in cui sono presenti. Le informazioni riguardanti gli uffici giudiziari sono in fase di aggiornamento»;
   tale disservizio risulta ancor più grave alla luce del recente stravolgimento della geografia giudiziaria, previsto dall'articolo 1 della legge per la stabilizzazione finanziaria n. 148 del 2011 ed attuato dal successivo decreto legislativo 7 settembre 2012, n. 155, pubblicato in Gazzetta Ufficiale 12 settembre 2012;
   invero, il sito istituzionale (www.giustizia.it) ha lo scopo di garantire in via esclusiva l'adempimento degli obblighi relativi alla trasparenza previsti dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, il cui articolo 13, rubricato «Obblighi di pubblicazione concernenti l'organizzazione delle pubbliche amministrazioni», ai capi b) e c) del comma 1, testualmente recita: «1. Le pubbliche amministrazioni pubblicano e aggiornano le informazioni e i dati concernenti la propria organizzazione, corredati dai documenti anche normativi di riferimento. Sono pubblicati, tra gli altri, i dati relativi: [...]
    b) all'articolazione degli uffici, le competenze e le risorse a disposizione di ciascun ufficio, anche di livello dirigenziale non generale, i nomi dei dirigenti responsabili dei singoli uffici;
    c) all'illustrazione in forma semplificata, ai fini della piena accessibilità e comprensibilità dei dati, dell'organizzazione dell'amministrazione, mediante l'organigramma o analoghe rappresentazioni grafiche; [...]»;
   con le disposizioni in materia di trasparenza il legislatore si è posto l'obiettivo di garantire l'accessibilità totale delle informazioni concernenti l'organizzazione e l'attività delle pubbliche amministrazioni, nonché di dare attuazione al principio democratico ed ai principi costituzionali di eguaglianza, imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza, condizioni indispensabili, queste, per la garanzia delle libertà individuali e collettive, nonché dei diritti civili, politici e sociali, che concorrono alla realizzazione di una amministrazione aperta, al servizio del cittadino;
   l'interruzione del servizio Giustizia Map risulta ancora più grave, considerato che è ormai alle porte l'entrata in vigore del decreto del Presidente della Repubblica 13 febbraio 2001, n. 123 (Regolamento recante disciplina sull'uso degli strumenti informatici e telematici nel processo civile, nel processo amministrativo e nel processo dinanzi alle sezioni giurisdizionali della Corte dei Conti) che disciplina il processo civile telematico – nel suo acronimo «PCT» – il quale consentirà l'esecuzione di operazioni quali il deposito degli atti, la trasmissione delle notifiche e comunicazioni, la consultazione dello stato dei procedimenti, dei fascicoli e dei provvedimenti del Giudice, col semplice uso della via telematica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra evidenziato e quali iniziative intenda adottare o abbia già adottato al fine di risolvere la problematica prima descritta. (4-03171)

  Risposta. — L'interrogazione in esame trae spunto da alcune segnalazioni, da parte di professionisti e di riviste scientifiche, di disattivazione del servizio informatico, fruibile dal sito istituzionale del Ministero della giustizia nella sezione dedicata all'articolazione territoriale degli uffici giudiziari, che consente l'agevole individuazione dell'organo giurisdizionale competente per territorio (http://www.giustizia.it/giustizia/it/mg–4.wp).
  Le competenti articolazioni ministeriali hanno chiarito che si trattò di un caso di malfunzionamento temporaneo dovuto a circostanze contingenti, le quali sono state prontamente e da tempo superate.
  Il predetto servizio, offerto dal sito istituzionale, è dunque regolarmente disponibile.
  Al riguardo, più in generale, va riaffermata la costante attenzione costante del Ministero ai temi della trasparenza e dell'informatizzazione dei servizi.
  Quanto alle diverse, e sempre più rilevanti, funzioni svolte dal sito istituzionale del Ministero della giustizia, ricordo proprio quella di adempimento degli obblighi di trasparenza, previsti dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, come modificato dal decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97.
  Nel quadro dell'aggiornamento del programma triennale per la trasparenza e l'integrità, infatti, il 28 gennaio 2016 è stato adottato il decreto ministeriale destinato a disciplinare l'organizzazione ed il funzionamento del sito www.giustizia.it.
  Proprio al fine di garantire completezza e tempestivo aggiornamento di ogni comunicazione istituzionale, è stato previsto che la redazione del sito provveda all'evoluzione dello stesso ed alla verifica periodica dell'accessibilità dei contenuti, coordinando altresì le attività degli uffici amministrativi per la trasmissione delle informazioni e della documentazione da pubblicare.
  Allo stesso scopo, è stato introdotto l'obbligo dei dirigenti degli uffici dell'amministrazione di porre in essere le attività organizzative necessarie per garantire il tempestivo e regolare flusso delle informazioni da pubblicare, assicurandone completezza, chiarezza ed aggiornamento.
  In conclusione, mi preme evidenziare che la trasparenza istituzionale ed il supporto informatico al servizio giustizia – ad iniziare dalle prime informazioni rese ad ogni cittadino utente tramite la rete – sono state, sin dall'inizio, una priorità del mio dicastero.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ROSTAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con provvedimento dell'11 marzo 2014, il Governo ha reso nota la lista degli uffici dei giudici di pace non soppressi a seguito delle disparate istanze formulate secondo l'iter sopra descritto;
   condicio sine qua non per la conservazione degli uffici giudiziari era che venisse accordata la disponibilità degli enti locali a sostenere i costi di gestione delle strutture ospitanti il personale amministrativo e l'onorario indispensabile per il prosieguo del funzionamento degli uffici del giudice di pace;
   diversi comuni hanno riscontrato molte difficoltà nel reperire e porre a bilancio le risorse necessarie per il mantenimento degli uffici del giudice di pace;
   altri comuni, dopo aver formulato istanza di mantenimento, hanno dovuto revocare la stessa per sopravvenute e differenti esigenze di bilancio;
   uno di tali esempi sembrerebbe, purtroppo, in procinto di concretizzarsi nell'area a nord di Napoli e precisamente a Marano, dove il locale ufficio, mantenuto grazie all'intervento dei comuni di Melito, Marano, Mugnano, Calvizzano e Villaricca, sarebbe prossimo alla chiusura per mancanza di risorse umane e finanziarie;
   tali mancanze potrebbero, in parte, essere sopperite attraverso l'intervento del comune di Giugliano, ente di oltre 120.000 abitanti insistente sulla struttura, pur non avendo esso, almeno per il momento, aderito alla convenzione di mantenimento stipulata inizialmente dalle 5 amministrazioni prima indicate;
   il collasso della struttura di Marano comporterebbe, con effetto domino, la paralisi anche dell'ufficio del giudice di pace di Aversa – Napoli Nord, realtà mai decollata completamente, che già oggi sconta una condizione drammatica per l'assoluta mancanza di personale e risorse tali da garantire una gestione accettabile del carico di ruolo;
   appare quanto mai indispensabile un supporto, nel caso di specie, a tutte le amministrazioni locali coinvolte nella questione ed alla stesso tribunale di Napoli nord, all'interno del circondario del quale ricade la competenza dell'ufficio del giudice di pace di Marano;
   potrebbe essere opportuno, in questa fase di sofferenza e transizione, sopperire alla mancanza di personale di categoria D, mediante il distacco di unità ministeriali provenienti da uffici limitrofi;
   su tale vicenda, fortissimo è stato e lo è tuttora l'impegno profuso dal consiglio dell'Ordine degli avvocati e dalle associazioni forensi operative sul territorio, finalizzato a trovare ogni soluzione utile a scongiurare la chiusura dell'ufficio del giudice di pace di Marano;
   tenuto conto dello straordinario impatto socio-economico della vicenda nel suo complesso, potrebbe essere opportuno prendere in considerazione l'ipotesi di estendere anche all'ufficio del giudice di pace di Marano e di Aversa, il medesimo meccanismo normativo che ha consentito il mantenimento degli uffici dei giudici di pace di Barra e di Ostia, con oneri interamente a carico del Ministero, quali sezioni distaccate degli uffici di Napoli e Roma –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa ed, in particolare, se abbia contezza delle gravi disfunzioni ed anomalie che stanno contraddistinguendo l'organizzazione dell'ufficio del giudice di pace di Marano, con conseguente rischio di chiusura dello stesso;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei drammatici effetti che tale chiusura comporterebbe nel circondario del tribunale di Napoli nord, con la conseguenza della paralisi anche dell'ufficio del giudice di pace di Aversa – Napoli nord, non in condizione di assumere il carico del ruolo dell'ufficio di Marano;
   se il Ministro interrogato stia valutando, nel caso di specie, di assumere iniziative, per quanto di competenza, a supporto (finanziario e logistico) delle amministrazioni locali coinvolte nella convenzione di mantenimento dell'ufficio del giudice di pace di Marano, valutando l'ipotesi di estendere anche all'ufficio del giudice di pace di Aversa – Napoli nord, nella denegata ipotesi di chiusura dell'ufficio di Marano, lo stesso meccanismo normativo adottato per Ostia e Barra. (4-14718)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in discussione, l'interrogante rappresenta gravi situazioni di criticità presso l'ufficio del giudice di pace di Marano, mantenuto con oneri a carico di un consorzio di comuni all'uopo costituito.
  Chiede, pertanto, quali iniziative possano essere assunte per garantire la funzionalità dell'ufficio, in considerazione dell'interesse al mantenimento del presidio.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Con particolare riferimento alla riforma della geografia giudiziaria degli uffici del giudice di pace, va evidenziato come, in attuazione della delega concessa al Governo con la legge n. 148 del 2011, sia stata disposta, tra l'altro, la soppressione di 666 presidi del giudice di pace.
  In corrispondenza della considerevole riduzione delle strutture giudicanti su tutto il territorio nazionale, il legislatore delegato ha, tuttavia, previsto, ai sensi dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 156 del 2012, che gli enti locali interessati potessero richiedere il mantenimento degli uffici del giudice di pace soppressi, facendosi integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, nonché del fabbisogno del personale amministrativo, messo a disposizione dagli enti medesimi.
  In tale contesto, il consorzio tra le municipalità di Marano, Melito, Mugnano, Calvizzano e Villaricca, ha inteso avvalersi di tale facoltà, richiedendo il mantenimento del soppresso ufficio del giudice di pace avente sede nel comune di Marano ed il relativo presidio è stato, pertanto, conservato, coniugando esigenze di prossimità della giurisdizione con le misure di contenimento della spesa pubblica.
  In riferimento alle prospettate problematiche, evidenziatesi nella gestione dell'ufficio, la competente articolazione ministeriale ha riferito come, con nota in data 20 ottobre 2016, il presidente del tribunale di Napoli Nord abbia rappresentato la situazione di grave criticità in cui versa l'ufficio del giudice di pace di Marano di Napoli, nonostante le sollecitazioni rivolte ai comuni consorziati, responsabili della gestione, per un maggiore impegno in termini di risorse economiche ed umane, prospettandone l'esclusione – ai sensi dell'articolo 3, comma 5, del decreto legislativo n. 156 del 2012 – dall'elenco delle sedi mantenute.
  Con nota in data 18 novembre 2016, invece, l'ispettorato generale del Ministero della giustizia ha ritenuto esaustiva l'attività di regolarizzazione dei servizi di cancelleria svolta presso l'ufficio del giudice di pace di Marano di Napoli, dichiarando esaurita la relativa procedura ispettiva.
  Tenuto conto della progressiva regolarizzazione dei servizi di cancelleria, si è ritenuto, pertanto, di valutare l'eventuale adozione di un provvedimento di esclusione all'esito dell'acquisizione di ulteriori elementi conoscitivi, che potranno pervenire dal già programmato monitoraggio periodico sullo stato di funzionalità degli uffici del giudice di pace mantenuti.
  Per quanto attiene, invece, alla prospetta possibilità di valutare l'utilizzo di personale del Ministero della giustizia a supporto dell'attività giudiziaria presso la sede di Marano di Napoli, si deve osservare che tale soluzione operativa risulta espressamente preclusa dal disposto di cui all'articolo 3, secondo comma, del decreto legislativo n. 156 del 2012, che dispone come gli enti su cui grava l'onere del mantenimento debbano farsi «integralmente carico delle spese di funzionamento e di erogazione del servizio giustizia nelle relative sedi, ivi incluso il fabbisogno di personale amministrativo che sarà messo a disposizione dagli enti medesimi».
  Con riferimento, infine, alla richiesta di estensione all'ufficio del giudice di pace di Marano della disciplina prevista per i presidi di Barra e Ostia, si deve evidenziare come con l'articolo 21-bis del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 132, recante «Misure urgenti di degiurisdizionalizzazione ed altri interventi per la definizione dell'arretrato in materia di processo civile», convertito, con modificazioni, con legge n. 162 del 2014, è stato ripristinato l'ufficio del giudice di Barra e istituito l'ufficio del giudice di pace di Ostia, in precedenza sede distaccata dell'ufficio del giudice di pace di Roma.
  Tali sedi sono state istituite dalla legge come uffici autonomi, a gestione interamente statale, e non già come sedi distaccate dei presidi giudiziari di Napoli e Roma.
  La relativa disciplina non è, pertanto, suscettibile di estensione.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   Buonitalia Spa è una società per azioni a capitale interamente pubblico nata il 4 luglio 2003 dalla preesistente società «Naturalmenteitaliano Unipersonale srl», costituita dall'istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) il 24 luglio 2002 (articolo 17, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99) e partecipata dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali al 70 per cento; dall'Ice (allora Istituto per il commercio estero) al 10 per cento, dall'Istituto di servizi per il mercato agricolo alimentare (ISMEA) al 10 per cento e da Unioncamere – l'Unione italiana delle Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura – al 10 per cento;
   gli scopi di Buonitalia spa sono stati individuati dall'articolo 17, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 99, che le riconoscono le finalità: a) di promozione, valorizzazione e diffusione nel mondo della conoscenza del patrimonio agricolo ed agroalimentare italiano; b) di erogazione di servizi alle imprese del settore agroalimentare per favorire l'internazionalizzazione dei prodotti italiani; c) nonché di tutela delle produzioni italiane attraverso la registrazione e la difesa giuridica internazionale dei marchi associati alle produzioni nazionali di origine;
   nel periodo dal 2004 al 2012, Buonitalia spa ha realizzato, su incarico del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, 103 progetti di promozione, internazionalizzazione e tutela dei prodotti agroalimentari italiani sui più importanti mercati mondiali gestendo un budget di oltre 90 milioni di euro;
   l'assemblea straordinaria dei soci della società Buonitalia spa del 13 settembre 2011, preso atto della riduzione del capitale sociale al di sotto del minimo legale, ha deliberato lo scioglimento e la messa in liquidazione ai sensi dell'articolo 2484, comma 1, numero 4, del codice civile e contestualmente, ha nominato il liquidatore della società;
   il 29 maggio 2012 in Commissione agricoltura al Senato è stata approvata una risoluzione che impegnava il Governo a trasferire presso la nuova Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane – già ICE in gestione transitoria – le risorse umane e strumentali attualmente collocate in Buonitalia spa, mantenendone immodificato il trattamento giuridico-economico, e ad impartire al liquidatore della società le opportune disposizioni al fine di sospendere immediatamente la procedura di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223;
   nel corso dell’iter di conversione in legge dell'articolo 12, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, (convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135) è stato inserito il comma 18-bis, approvato all'unanimità dalla Commissione bilancio del Senato e con il parere favorevole del Governo che dispone la soppressione della società Buonitalia spa in liquidazione, con attribuzione delle funzioni all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane, a cui vengono trasferite anche le risorse umane, strumentali e finanziarie residue della soppressa società; lo stesso articolo dispone, con decreto del Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e del Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, il trasferimento immediato delle funzioni e delle risorse umane di Buonitalia spa all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane cui seguirà la procedura di verifica di idoneità per l'inquadramento nei ruoli dell'ente di destinazione; i dipendenti trasferiti mantengono il trattamento economico fondamentale, percepito al momento dell'inquadramento; nel caso in cui il trattamento economico predetto risulti più elevato rispetto a quello previsto per il personale dell'Agenzia, i dipendenti percepiscono per la differenza un assegno ad personam riassorbibile con i successivi miglioramenti economici a qualsiasi titolo conseguiti;
   nelle more di emanazione del decreto interministeriale, per i 19 lavoratori dipendenti a tempo indeterminato della società è stata avviata, in data 23 maggio 2012, la procedura di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223 (attivata dal liquidatore della predetta società, malgrado la risoluzione della Commissione agricoltura del Senato che ne chiedeva la sospensione);
   il 28 febbraio 2013 il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali ha emanato il decreto per il trasferimento delle funzioni e delle risorse della società Buonitalia spa;
   in particolare, il decreto stabilisce, in pedissequa applicazione di quanto previsto dalla legge, che all'Agenzia per la promozione all'estero e l'internazionalizzazione delle imprese italiane vengono trasferite le risorse umane di Buonitalia spa in liquidazione riportate nel prospetto ivi allegato, mentre per quanto riguarda l'inquadramento del personale esso avverrà sulla base di un'apposita tabella di corrispondenza, che dovrà essere approvata con un successivo decreto, previo espletamento di apposita procedura selettiva di verifica dell'idoneità, da effettuare nei limiti e a valere sulle facoltà assunzionali della medesima Agenzia;
   ad oggi malgrado l'avvenuta interruzione del rapporto di lavoro, il 16 maggio 2013 non è stata attivata da parte dell'Agenzia alcuna procedura di assunzione dei dipendenti trasferiti, con grave pregiudizio degli stessi dipendenti dell'ente Buonitalia spa e l'apertura di numerosi contenziosi nei confronti della pubblica amministrazione, dovuti a ingiustificati ritardi nell'applicazione della legge in parola da parte delle amministrazioni coinvolte nel disposto normativo;
   in data 25 luglio 2013 il tribunale di Roma sezione IV lavoro, nel procedimento ex articolo 1 della legge n. 92 del 2012 R.G. n. 2145/2013 – a seguito dell'impugnazione del licenziamento da parte di un gruppo di dipendenti della Buonitalia spa in liquidazione – attraverso il giudice dottoressa Donatella Casari, si è pronunciato asserendo che:
    1) «il trasferimento ope legis... omissis... era certamente già avvenuto all'epoca degli intimati licenziamenti»;
    2) «... che la mancata presa in servizio presso l'Agenzia (e quindi l'interruzione in fatto della prestazione lavorativa) deve essere solo a questa imputata in termini di responsabilità per inadempimento agli obblighi di legge (ricevere le prestazioni e retribuirla) derivanti dal trasferimento ex lege del rapporto di lavoro e che i licenziamenti intimati da Buonitalia spa in liquidazione... sono del tutto inesistenti e come tali privi di efficacia non essendo più all'epoca la ricorrente (Buonitalia) titolare del rapporto di lavoro»;
    3) «né le giustificazioni rese informalmente dall'Agenzia agli istanti, ...omissis..., possono ritenersi fondate atteso che le problematiche di inquadramento e quindi la questione relativa all'espletamento della procedura selettiva prevista per legge a tal fine, per chiaro disposto normativo seguono e non precedono l'instaurazione del rapporto di lavoro, interpretazione del dato normativo di questo Giudice peraltro condivisa dal tenore di entrambe le difese»;
   l'Agenzia (ex Ice), alle numerose richieste formali ricevute da parte delle sigle sindacali (CGIL, CISL, Manageritalia) e degli avvocati che hanno seguito la vicenda in rappresentanza degli ex dipendenti di Buonitalia spa, non ha mai fornito motivazioni per giustificare quello che all'interrogante appare un comportamento omissivo;
   non avendo ricevuto da parte dell'Agenzia alcuna comunicazione formale in risposta alle proprie richieste gli ex dipendenti di Buonitalia spa in liquidazione hanno notificato all'Agenzia nella persona del suo presidente pro tempore dottor Riccardo Monti un atto di costituzione in mora e diffida ai sensi dell'articolo 328, secondo comma del codice penale;
   nel mentre il TAR del Lazio, sezione seconda ter, a seguito di un ricorso presentato dagli ex dipendenti di Buonitalia spa in liquidazione, in data 13 gennaio 2014 ha emesso la sentenza di condanna nei confronti dei Ministeri competenti fissando il termine di 60 giorni per la pubblicazione delle tabelle di corrispondenza e condannando i Ministeri al pagamento delle spese legali;
   ad oltre un anno dall'entrata in vigore della norma, non essendo ancora avvenuto il trasferimento del personale ex Buonitalia all'Agenzia, è intervenuto l'articolo 1, comma 478 della legge n. 147 del 27 dicembre 2013, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 302 del 27 dicembre 2013 – suppl. ord. n. 87 ha disposto testualmente quanto segue: «... All'articolo 12, comma 18-bis, quinto periodo, del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, “dalla legge 7 agosto 2012 n. 135, le parole: da espletare nei limiti e a valere sulle facoltà assunzionali dell'ente, di verifica dell'idoneità, sono inquadrati” sono sostituite dalle seguenti: “di verifica dell'idoneità, “da espletare anche in deroga ai limiti alle facoltà assunzionali, sono inquadrati, anche in posizione di sovrannumero rispetto alla dotazione organica dell'ente, riassorbibile con le successive vacanze«»;
   il tribunale del lavoro di Roma, accogliendo il ricorso presentato da alcuni dipendenti ex Buonitalia, ha definito il comportamento dell'Agenzia illegittimo condannando quest'ultima all'immediata assunzione dei ricorrenti ed al pagamento delle mensilità da questi maturate a partire dal 28 febbraio 2013. Il tribunale ha inoltre condannato l'Agenzia al pagamento delle spese legali;
   a due mesi di distanza non avendo ricevuto alcuna comunicazione da parte dell'Agenzia i ricorrenti hanno depositato i decreti ingiuntivi che sono stati già notificati all'Agenzia;
   questa settimana è stata rigettata l'inibitoria presentata dall'Ice in cui si chiedeva la sospensione dell'esecutività della sentenza;
   il 7 luglio di fronte al giudice del lavoro di Roma è fissata una nuova udienza sempre contro l'Agenzia che vede coinvolti altri dipendenti di Buonitalia spa;
   nonostante siano scaduti i termini (60 giorni) fissati dal Tar per la pubblicazione delle tabelle di corrispondenza ad oggi i Ministeri competenti non hanno provveduto con il rischio che i ricorrenti chiedano la nomina di un commissario ad acta così come previsto nella sentenza di condanna del TAR;
   nel mentre l'ICE ha provveduto ad assumere oltre 12 persone a tempo determinato nonostante il trasferimento previsto per legge da parte dei dipendenti ex Buonitalia spa non sia ancora perfezionato ed il tribunale del lavoro di Roma abbia riconosciuto il diritto di questi a percepire lo stipendio a far data dal 28 febbraio 2013 –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere nei confronti dell'Agenzia affinché venga dato immediato seguito al disposto normativo;
   per quale motivo, se il trasferimento è avvenuto per legge il 28 febbraio 2013, l'ICE insista nel voler procedere ad una prova selettiva, in evidente contrasto con il trasferimento previsto dalla norma e ribadito dal tribunale del lavoro di Roma;
   con quali risorse vengano pagati i 12 dipendenti recentemente assunti a tempo determinato da parte dell'Agenzia;
   se non si ritenga di dover verificare l'operato dei dirigenti, responsabili del procedimento, e, nel caso siano accertati eventuali colpevoli ritardi, se non si ritenga di dover adottare iniziative disciplinari verso i responsabili che rischiano di creare gravi danni all'Erario derivanti dalle cause verso l'amministrazione avviate dai 19 ex dipendenti di Buonitalia spa in liquidazione. (4-12364)

  Risposta. — In riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si rappresenta quanto segue.
  Si vuole ricordare che, l'articolo 12, comma 18-bis, del decreto-legge n. 95 del 2012 subordinava il trasferimento del personale di Buonitalia SpA in liquidazione presso l'ICE-Agenzia all'emanazione, mediante apposito decreto, di una tabella di corrispondenza che ne consentiva l'inquadramento nei ruoli dell'ente, previo espletamento di una procedura selettiva di verifica dell'idoneità.
  La norma in parola – sia nella sua stesura originaria, sia come modificata dalla legge n. 147 del 2013, la quale, si rammenta, è fonte sovraordinata e posteriore al decreto 28 febbraio 2013 di trasferimento delle funzioni e delle risorse umane di Buonitalia all'ICE – non prevedeva, dunque, alcun trasferimento automatico ed immediato del personale.
  L'ICE-Agenzia, sentiti i Ministeri coinvolti ed in condivisione con l'Avvocatura generale dello Stato, si è attenuta al dettato normativo: nell'ottobre 2014, a seguito della registrazione da parte della Corte dei conti, si è concluso l’iter di approvazione del decreto interministeriale 30 maggio 2014 recante la tabella di equiparazione; nel dicembre 2014 si è svolta la verifica d'idoneità.
  Sentita l'ICE-Agenzia al riguardo, la stessa ha informato che nessuno degli ex dipendenti di Buonitalia Spa raggiunse la sufficienza: pertanto, non si erano verificate le condizioni per il loro trasferimento ed inquadramento presso l'ICE-Agenzia.
  L'attuazione data al citato articolo 12, comma 18-bis, del decreto-legge n. 95 del 2012 da ICE-Agenzia sembra essere conforme a varie decisioni rese sulla vicenda dal giudice amministrativo: la sentenza n. 338/2014, pronunciata dalla sezione II ter del tribunale amministrativo regionale del Lazio, ha interpretato la norma ricostruendo la procedura di trasferimento del personale esattamente nei termini in cui l'Agenzia l'ha poi attuata: la sequenza procedimentale prevede l'emanazione della tabella di equiparazione; l'espletamento, sulla scorta di quella, della prova selettiva di verifica dell'idoneità e, infine, per coloro che avranno superato la prova, il trasferimento presso l'ente di destinazione.
  In un altro giudizio, il giudice amministrativo ha condiviso tale impostazione (si vedano i decreti nn. 6382, 6383 e 6384 del 12 dicembre 2014, pronunciati dal Tar del Lazio, Roma, sezione III bis) – respingendo l'istanza con cui gli ex dipendenti Buonitalia chiedevano la sospensione cautelare della procedura selettiva in ragione di un asserito loro trasferimento già prodottosi ope legis dalla data di emanazione del decreto 28 febbraio 2013.
  Ulteriore conferma della correttezza dell'interpretazione, seguita da ICE-Agenzia emana anche dalle sentenze del Tar del Lazio, Roma, sezione III bis, nn. 930, 943 e 964 del 2016, le quali, pur disponendo l'annullamento della prova selettiva espletata dall'ICE-Agenzia – censurata dal tribunale per aver indetto una vera e propria procedura concorsuale in luogo di una procedura selettiva idoneativa, risultata, così, particolarmente rigorosa – hanno comunque confermato le necessità di procedere alla selezione, senza che possa configurarsi un trasferimento automatico del personale.
  Da ultimo, il Consiglio di Stato, con ordinanze nn. 2137, 2138 e 2139 del 10 giugno 2016 ha accolto la domanda di sospensione dell'esecutività delle citate sentenze del Tar del Lazio, rinviando l'esame del merito all'udienza del 15 giugno 2017.
  In sede civile, le sentenze di primo grado sfavorevoli ad ICE-Agenzia sono state tutte appellate.
  Da ultimo, la Corte di appello di Roma, con sentenza n. 4479/2016, ha annullato la precedente sfavorevole pronuncia del giudice del lavoro.
  Con una decisione assai articolata, la Corte ha fatto proprie tutte le tesi prospettate dall'agenzia: corretta sequenza procedimentale, successione delle norme nel tempo, illogicità e incostituzionalità della tesi di controparte, natura privatistica di Buonitalia. Coerentemente, il collegio ha escluso che vi sia stato un rilevante e colpevole ritardo dell'Amministrazione nell'espletamento delle procedure.
  Le udienze degli ulteriori giudizi civili – tre giunti alla fase di appello, uno ancora in attesa della decisione di primo grado – si terranno nel corso del 2017.
  In precedenza, anche in fase cautelare ed esecutiva, sono intervenute decisioni che confermano la legittimità dell'operato dell'Agenzia (così il giudice dell'opposizione, che ha revocato i decreti ingiuntivi notificati da alcuni ex-dipendenti Buonitalia tribunale Roma, sezione Lavoro, sentenza n. 1226/2015; così la Corte d'Appello, che ha sospeso la prima sentenza del giudice del lavoro giunta al suo esame – Roma, ord. n. 95/2015 – affermando l'imprescindibilità dell'espletamento della procedura selettiva di verifica dell'idoneità ai fini del trasferimento del personale Buonitalia).
  Per quanto attiene ai rapporti a tempo determinato costituiti da ICE-Agenzia nel 2014, la medesima Agenzia ha comunicato che si tratta di assunzioni effettuate, previo assenso del Dipartimento della funzione pubblica, a valere sui fondi destinati al Piano export per le regioni della convergenza (cosiddetto Piano Export Sud), programma mirante all'internazionalizzazione delle piccole e medie imprese elaborato dal Ministero dello sviluppo economico nell'ambito del processo di riprogrammazione dei fondi del programma operativo nazionale Ricerca e competitività 2007/2013.
  Le assunzioni traggono il proprio fondamento giuridico dalla legge n. 135 del 2013, che, al fine di contenere il fenomeno del precariato, impone alle Amministrazioni che ricorrono ad assunzioni a tempo determinato, di attingere dalle graduatorie concorsuali vigenti.
  Gli assunti, quindi, sono vincitori del concorso a 107 funzionari espletato dall'ICE nel 2010, la cui graduatoria, a causa dei noti vincoli al turn over, è ben lungi dall'essere esaurita ed è tuttora valida.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoIvan Scalfarotto.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Caserta, vasta ed importante provincia della Campania, è da mesi sotto i riflettori in quanto scenario della devastazione ambientale che le è valsa il soprannome di «Terra dei Fuochi»;
   un'analisi delle certificazioni ISTAT relative ai decessi nella città di Caserta relative al periodo intercorrente tra il novembre 2006 ed il dicembre 2009, ad eccezion fatta dei mesi di gennaio 2007, maggio 2007 ed ottobre 2009, i cui dati mancano, mostra l'altissima percentuale di casi di morte direttamente dipendenti da tumori;
   nel periodo preso in esame, infatti, i casi in questione rappresenterebbero il 32,45 per cento dei decessi complessivi;
   in particolare, nel 2006, su un totale di 46 decessi a novembre ed altrettanti a dicembre, rispettivamente 17 e 14 sono stati causati da neoplasie;
   ancora, nel febbraio del 2007 14 decessi su 61 erano direttamente imputabili a neoplasie, nel marzo 20 su 49, ad aprile 10 su 45, a giugno 13 su 42, a luglio 21 su 46, ad agosto 21 su 54, a settembre 19 su 51, ad ottobre 15 su 50, a novembre 15 su 55 e nel dicembre 2007 16 su 51;
   nel 2008 la media restava sugli stessi livelli: erano imputabili a neoplasie 18 decessi su 61 a gennaio, 24 su 63 a febbraio, 14 su 56 a marzo, 16 su 45 ad aprile, 18 su 42 a maggio, 15 su 51 a giugno, 16 su 42 a luglio, 13 su 45 ad agosto, 19 su 45 a settembre, 12 su 46 ad ottobre, 11 su 51 a novembre e 18 su 55 a dicembre;
   nel 2009, infine, 14 decessi su 59 avvenuti a gennaio erano direttamente dipendenti da neoplasie, e così 16 su 47 a febbraio, 18 su 46 a marzo, 12 su 53 ad aprile, 19 su 49 a maggio, 13 su 40 a giugno, 14 su 36 a luglio, 14 su 48 ad agosto, 14 su 44 a settembre, 19 su 53 a novembre e 16 su 58 a dicembre;
   per calcolare l'incidenza generale delle malattie neoplastiche sul territorio casertano bisognerebbe a queste cifre aggiungere le tante persone che, pur essendo affette da neoplasie, nello stesso periodo sono decedute per altre patologie (cardio-vasculopatie, incidenti e altro);
   inoltre c’è da sottolineare come per tipologie di patologie come quelle tumorali spesso i soggetti malati residenti a Caserta sono costretti a spostarsi (mentre quasi mai avviene il contrario), e quindi alla valutazione qui riportata non possono che sfuggire un ulteriore numero imprecisato di decessi;
   non bisogna dimenticare i tanti che guariscono dal cancro (si tratta di circa il 10 per cento dei casi), e che quindi non possono essere qui conteggiati tra i soggetti affetti da patologie neoplastiche;
   risalta immediatamente agli occhi come lo scenario che si presenta sia drammatico, specie se si considera come l'incidenza media italiana dei morti per tumore naviga intorno al 25 per cento, molto più bassa di quella casertana –:
   se i dati raccolti risultino anche ai Ministri interrogati;
   quali iniziative, per quanto di competenza, siano già state prese in merito e quali si intendano intraprendere al riguardo;
   se non si ritenga opportuno promuovere la formazione di una task force per attivare un immediato monitoraggio ed estenderlo quanto più largamente possibile, così da comprendere finalmente in maniera esaustiva le dimensioni del problema. (4-03073)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente si sottolinea che le problematiche ambientali connesse alla cosiddetta terra dei fuochi rappresentano una priorità per questo Ministero. Le iniziative di contrasto e di prevenzione di un fenomeno così pluri-fattoriale richiedono un lavoro di raccordo complesso, nel quadro delle attività promosse dal patto per la terra dei fuochi, e coordinate presso la cabina di regia inter-istituzionale con le prefetture, la regione Campania e gli enti locali.
  Tra le numerose misure adottate si evidenziano, in particolare, il potenziamento dei controlli delle forze dell'ordine (138 fermi di persone sospette; sono stati censiti e segnalati 1809 siti di abbandono di rifiuti; sono stati effettuati interventi su 356 luoghi di incendio in atto; 756 controlli sui rivenditori di pneumatici, 477 su opifici tessili, 459 in agricoltura, 1660 su cantieri edili; hanno inoltre elevato 4020 contravvenzioni per violazioni amministrative e 1329 denunce per violazioni ambientali; hanno eseguito 108 arresti, di cui 75 per il reato di incendio di rifiuti, 564 sequestri di aree interessate da scarico abusivo e combustione di rifiuti, 340 sequestri di veicoli impiegati per il trasporto; hanno infine comminato quasi 500.000 euro di sanzioni amministrative).
  Sul versante roghi, l'anno 2016 ha confermato la tendenza in costante diminuzione degli incendi dolosi di rifiuti nelle aree delle province di Napoli e di Caserta. Con esclusivo riferimento ai comuni della cosiddetta terra dei fuochi, si registrano punte di oltre il 70 per cento in meno rispetto allo scorso anno. Tale risultato è stato possibile anche grazie al controllo ad ampio raggio da parte delle forze dell'ordine, delle polizie locali, degli ispettorati del lavoro, dell'Inps e dell'Inail, mirate sulle aziende che trattano le categorie merceologiche connesse agli abbandoni e ai roghi sulle aree nelle quali sono insediate.
  Si segnala inoltre che il protocollo Ministero ambiente-incaricato del Governo-Ecopneus ha consentito ai comuni aderenti di rimuovere gratuitamente oltre 16.000 tonnellate di gomme abbandonate su strade e aree pubbliche.
  L'individuazione ed il potenziamento delle opportune azioni dirette a fronteggiare dette emergenze ambientali, rappresentano una priorità per il Ministero dell'ambiente che presiede il comitato interministeriale istituito con decreto-legge n. 136 del 2013 (convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6) con il compito di «determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale, monitoraggio, anche di radiazioni nucleari, tutela e bonifica nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della regione Campania».
  Nell'ambito del citato Comitato è stata istituita apposita Sommissione quale organo tecnico-operativo, la quale ha avviato un approfondito esame delle diverse e complesse questioni poste all'attenzione dalle linee di indirizzo fornite dal comitato interministeriale, giungendo nel maggio scorso all'adozione di un programma degli interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori della cosiddetta terra dei fuochi.
  Nello specifico, il piano elaborato dalla commissione, caratterizzato da interventi di ampio respiro, mira a coniugare il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole, con quello delle iniziative di screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà che attengono allo smaltimento abusivo dei rifiuti.
  Il documento è stato oggetto di esame ed approvato dal comitato interministeriale, che si è riunito presso il Ministero dell'ambiente il 2 agosto 2016, il quale ha altresì deliberato la sua trasmissione alla cabina di regia per la programmazione del Fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, ai fini del successivo esame da parte del Cipe.
  Per quanto concerne le linee finanziarie strumentali agli interventi indicati nel programma della commissione, si fa presente che il fabbisogno economico complessivo per le misure previste è pari a 103,425 milioni di euro.
  Si segnala, inoltre, che in attuazione delle disposizioni urgenti previste dal predetto decreto-legge 136 del 2013, il Ministero dell'ambiente ha intrapreso un'approfondita istruttoria, previa consultazione degli istituti di ricerca interessati, al fine di elaborare lo schema di regolamento concernente i parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica condiviso con gli altri Ministeri concertanti.
  Si fa presente, infine, che la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016) ha istituito, nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze, un fondo con una dotazione di 150 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017, per l'effettuazione di interventi di carattere economico, sociale ed ambientale nei territori della Campania noti come «terra dei fuochi».
  Nel novembre 2016 la Presidenza del Consiglio dei ministri ha predisposto la bozza di decreto nel quale sono stati individuati gli interventi e le amministrazioni competenti cui destinare le rimanenti risorse pari a 297 milioni di euro, inviata al Ministro dell'economia e delle finanze per condivisione e le valutazioni di competenza ai fini della successiva firma da parte del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Infine, si segnala che sulla questione sono interessate altre amministrazioni e pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori utili elementi, si provvederà ad un aggiornamento.
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SCOTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo pubblicato su « Articolo 21» dal titolo «Bavaglio ai Beni Culturali e Paesaggistici. Vietato criticare e denunciare il caos» a firma di Vittorio Emiliani si evince che, dal 1° febbraio 2016, vige una circolare firmata a Roma dall'allora Soprintendente archeologico, architetto Francesco Prosperetti, in base alla quale «le modalità di comunicazione agli organi di informazione (giornali, radio, tv) relative ad attività istituzionali dovranno essere preventivamente sottoposte al Dirigente per il tramite dell'addetto stampa e/o delle strutture istituzionali». In caso urgente rivolgersi «direttamente al Dirigente» (tutto maiuscolo). Attenzione perché «ogni iniziativa autonomamente presa dalle SS.LL in maniera difforme è ritenuta non consona al disposto dell'articolo 3 comma 8 del Codice di Comportamento». Se le Signorie Loro ci rifanno come «apparso in più occasioni sulla stampa», l'azione disciplinare è inevitabile. Automatica»;
   la Fp Cgil ha protestato attraverso il suo segretario nazionale Salvatore Chiaramonte, il quale richiamandosi all'articolo 21 della Costituzione sulla «libertà di espressione», definendola «una disposizione vergognosa e pericolosa che squalifica chi l'ha emanata e chi l'ha ispirata e che la dice lunga sulla coscienza democratica di chi ci governa»;
   tranne poche voci di stampa, anzitutto « Il Fatto Quotidiano», e ancor meno emittenti tv (essenzialmente La7, la Rai in proposito è quasi muta pur essendo «servizio pubblico» finanziato al 66 per cento da abbonati), il silenzio stampa è sceso sulla denuncia dei cento e cento attentati alla tutela dei beni culturali e paesaggistici in nome della «valorizzazione» di alcuni di loro, cioè del «far soldi» e poco più;
   vige, quindi, un «codice etico» in base al quale «il dipendente (di qualunque grado sia, ndr) – fatto salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini – si astiene da dichiarazioni pubbliche, orali e scritte che siano lesive dell'immagine e del prestigio dell'Amministrazione». Lesive a giudizio dei superiori;
   a giudizio dell'interrogante ciò vuol dire l'applicazione di una sorta di bavaglio, di fatto totale – proprio in questi mesi di sconvolgimento delle strutture del Ministero dei beni culturali e ambientali – mentre le Soprintendenze vengono assurdamente accorpate annegando ogni specificità e predestinate («legge Madia») a finire gerarchicamente sotto prefetti e prefetture. Il funzionario che parla o scrive senza permesso delle gerarchie ministeriali rischia molto. Tanto più in questo periodo in cui le nomine avvengono spesso per decisione tutta «politica»;
   i funzionari, dunque, non potranno far conoscere il perché molti di loro rinunciano a dirigere musei raggruppati soltanto sulla carta e quindi insensatamente distanti chilometri e chilometri l'uno dall'altro o divulgare la effettiva paralisi che ha investito anche grandi musei i cui consigli di amministrazione, spaventati dalla mancanza di risorse e dalla responsabilità davanti alla Corte dei conti, non decidono nulla. O ancora non verrà espresso da nessuno il caos imperante ovunque in forza di decisioni prese dall'alto senza alcuna consultazione dei tecnici –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito;
   come si concili questa circolare interna al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo con la libertà d'espressione sancita dalla carta costituzionale. (4-13333)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame l'interrogante cita un articolo pubblicato sulla rivista on line Articolo 21, nel quale si riferisce, tra l'altro, che il soprintendente archeologico di Roma, architetto Francesco Prosperetti, avrebbe prescritto ai funzionari e al personale dipendente particolari modalità di comunicazione con gli organi di informazioni, minacciando sanzioni disciplinari in caso di violazioni. Pertanto, chiede, in relazione al fatto esposto, come tale disposizione si concili con il diritto costituzionale alla libera espressione del pensiero.
  Riguardo allo specifico fatto riferito dall'interrogante, la soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma ha precisato di avere diramato, in data 1o febbraio 2016, una disposizione interna per regolare i rapporti con la stampa. La prescrizione riguarda i rapporti con i media esclusivamente per quanto concerne le «missioni istituzionali» della soprintendenza stessa. Tra queste non può essere annoverata quella riforma che dipende dall'organo politico e dall'amministrazione centrale. Ne consegue che in base alla disposizione del soprintendente chiunque avrebbe potuto e può esporre le sue opinioni in merito, certamente a titolo personale e non a nome della soprintendenza.
  La Disposizione in esame non intende, dunque, in alcun modo limitare la libertà di espressione del personale che rimane libero di esprimere le proprie opinioni, anche con riguardo ai recenti provvedimenti di riforma e riorganizzazione del Ministero. Prova ne sia che, in varie sedi e anche sui media, diversi funzionari della soprintendenza hanno espresso i loro giudizi sui provvedimenti di riforma, anche in termini critici, senza che ciò abbia dato origine a «lettere di richiamo automatiche», tra l'altro, nemmeno consentite dall'ordinamento del pubblico impiego.
  Le indicazioni della Soprintendenza contestualizzano, in modo corretto e coerente, il disposto dell'articolo 3 comma 8 del Codice di comportamento dei dipendenti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, adottato con decreto ministeriale del 23 dicembre 2015, secondo il quale: «Il dipendente – fatto salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali e dei cittadini – si astiene da dichiarazioni pubbliche, orali e scritte che siano lesive dell'immagine e del prestigio dell'Amministrazione ed informa il dirigente dell'ufficio dei propri rapporti con gli organi di stampa. Le attività di informazione si realizzano attraverso il portavoce dell'organo di vertice politico dell'Amministrazione e dall'ufficio stampa, le attività di comunicazione attraverso l'Ufficio per le relazioni con il Pubblico, nonché attraverso eventuali analoghe strutture».
  Quanto sopra non contrasta assolutamente con il diritto di libera manifestazione del pensiero, riconosciuto dall'articolo 21 della Costituzione. Pertanto al personale della soprintendenza, come a tutto il personale del Ministero è garantita la libera manifestazione del proprio pensiero e delle proprie opinioni, così come l'esercizio del diritto di critica, nei limiti posti dalla Costituzione stessa e nel rispetto degli obblighi derivanti dal rapporto di lavoro.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   le regole dell'Unione europea in materia di concorrenza, recepite dal Parlamento italiano, sono pensate per garantire condizioni eque e leali, lasciando nel contempo spazio all'innovazione e promuovendo standard uniformi e lo sviluppo delle piccole imprese;
   nell'agosto del 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha avviato un'indagine conoscitiva nel settore della gestione dei rifiuti urbani, a seguito di numerose segnalazioni che suggerivano la presenza di diverse criticità concorrenziali nel settore. L'indagine si è conclusa nel 2016 con l'individuazione di una serie di proposte migliorative tra le quali:
    gli affidamenti non dovrebbero superare la durata massima di cinque anni stabilita per via normativa. Ciò al fine di rendere più frequente, per quanto possibile, il confronto concorrenziale simulato dalla gara;
    le dimensioni dei bacini per l'affidamento del servizio di raccolta e dei cosiddetti ambiti territoriali ottimali (ATO), all'interno dei quali deve avvenire l'intera gestione dei rifiuti urbani, devono essere funzionali alla realizzazione di un servizio efficiente e alla concorrenzialità delle gare. Occorre l'adeguamento delle dimensioni a quelle ottimali (80.000-90.000 tonnellate/30.000-100.000 abitanti);
    le dimensioni dei bacini per l'affidamento delle fasi a valle della raccolta differenziata dovrebbero essere quantomeno pari al territorio regionale, al fine di garantire che in un mercato liberalizzato gli affidatari del servizio di raccolta possano fare riferimento a un numero adeguato di impianti di TMB, di TMV e di discariche e non siano dipendenti da pochi soggetti dotati di potere di mercato;
   sotto il profilo della governance degli affidamenti, inoltre, al fine di ridurre le ingiustificate restrizioni derivanti dall'integrazione verticale delle imprese, l'autorità antitrust auspica che si mantenga separata la gestione dei due segmenti della filiera (raccolta e fasi a valle), introducendo due livelli istituzionali differenti, come già succede in alcune regioni;
   l'autorità d'ambito Toscana Centro, comprendente una popolazione di circa 1.500.000 abitanti, ha proceduto, ai sensi dell'articolo 202 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 26, comma 1, della legge regionale n. 61 del 2007, al primo affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati, individuando un solo gestore. L'affidamento ha la durata di anni 20, a partire dalla data di sottoscrizione del contratto di servizio –:
   se siano a conoscenza dei fatti sopra riportati e se non ritengano di assumere, per quanto di loro competenza, le opportune iniziative normative urgenti allo scopo di recepire e rendere cogenti le proposte migliorative indicate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. (4-14775)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le regole dell'Unione europea in materia di concorrenza, recepite dal Parlamento italiano, sono pensate per garantire condizioni eque e leali, lasciando nel contempo spazio all'innovazione e promuovendo standard uniformi e lo sviluppo delle piccole imprese;
   nell'agosto del 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha avviato un'Indagine conoscitiva nel settore della gestione dei rifiuti urbani, a seguito di numerose segnalazioni che suggerivano la presenza di diverse criticità concorrenziali nel settore. L'indagine si è conclusa nel 2016 con l'individuazione di una serie di proposte migliorative tra le quali:
    a) gli affidamenti non dovrebbero superare la durata massima di cinque anni stabilita per via normativa. Ciò al fine di rendere più frequente, per quanto possibile, il confronto concorrenziale simulato dalla gara;
    b) le dimensioni dei bacini per l'affidamento del servizio di raccolta e dei cosiddetti ambiti territoriali ottimali (ATO), all'interno dei quali deve avvenire l'intera gestione dei rifiuti urbani, dovrebbero essere funzionali alla realizzazione di un servizio efficiente e alla concorrenzialità delle gare. Occorrerebbe l'adeguamento delle dimensioni a quelle ottimali (80.000-90.000 tonnellate/30.000-100.000 abitanti);
    c) le dimensioni dei bacini per l'affidamento delle fasi a valle della raccolta differenziata dovrebbero essere quantomeno pari al territorio regionale, al fine di garantire che in un mercato liberalizzato gli affidatari del servizio di raccolta possano fare riferimento a un numero adeguato di impianti di TMB, di TMV e di discariche e non siano dipendenti da pochi soggetti dotati di potere di mercato;
    d) sotto il profilo della governance degli affidamenti, inoltre, al fine di ridurre le ingiustificate restrizioni derivanti dall'integrazione verticale delle imprese, l'Antitrust auspica che si mantenga separata la gestione dei due segmenti della filiera (raccolta e fasi a valle), introducendo due livelli istituzionali differenti, come già succede in alcune regioni;
   a quanto risulta agli interroganti, l'autorità d'ambito Toscana Centro, comprendente una popolazione di circa 1.500.000 abitanti, ha proceduto, ai sensi dell'articolo 202 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 26, comma 1, della legge regionale n. 61 del 2007, al primo affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati, individuando un solo gestore. L'affidamento ha la durata di anni 20, a partire dalla data di sottoscrizione del contratto di servizio –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato e se non ritengano di assumere, per quanto di competenza, le opportune iniziative normative urgenti allo scopo di recepire e rendere cogenti le proposte migliorative indicate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. (4-15078)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che l'autorità garante della concorrenza e del mercato ha individuato una serie di proposte migliorative che impattano sulla tematica delle dimensioni dei bacini per l'affidamento del servizio di gestione dei rifiuti nonché sulla durata temporale e sulla governance dei predetti affidamenti.
  Il decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 ed in particolare l'articolo 200 dispone che la gestione dei rifiuti urbani è organizzata sulla base di ambiti territoriali ottimali delimitati dal piano regionale e deve ispirarsi, tra gli altri, ai seguenti criteri: superamento della frammentazione delle gestioni attraverso un servizio di gestione integrata dei rifiuti; conseguimento di adeguate dimensioni gestionali, definite sulla base di parametri fisici, demografici, tecnici e sulla base delle ripartizioni politico-amministrative; ricognizione di impianti di gestione dei rifiuti già realizzati e funzionanti.
  Pertanto, la principale finalità della legislazione nazionale di settore è il superamento della frammentazione gestionale, da conseguire attraverso una gestione unitaria che abbia riguardo a fattori fisici, demografici, tecnici e di ripartizione politico-amministrativa e che si concili con l'autosufficienza nello smaltimento, da realizzare almeno su scala regionale.
  Al riguardo, si segnala che ai sensi del comma 3 del citato articolo 200 sono le regioni, nell'ambito delle attività di programmazione e di pianificazione di loro competenza, a dover provvedere alla delimitazione degli ambiti territoriali ottimali e all'eventuale sub-articolazione.
  Conseguentemente, sono le regioni, esercitando le competenze attribuite dal legislatore, a determinare, secondo i criteri elencati al comma 1 dell'articolo 200, le dimensioni degli ambiti territoriali ottimali per l'affidamento dei servizi di gestione dei rifiuti.
  A fronte del sistema normativo vigente, è auspicabile che, in primo luogo, siano le regioni a considerare le proposte migliorative suggerite dall'Agcm durante l'esercizio delle competenze attribuite loro dal legislatore.
  In ogni caso, nell'ambito delle proprie competenze, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni. L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Occorre evidenziare altresì che il Ministero dell'ambiente ha dato avvio ad una fase di confronto con tutte le regioni al fine di poter svolgere, in materia di gestione dei rifiuti, le attività di cui all'articolo 206-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  In tale contesto, il Ministero, tenendo conto di quanto stabilito dalla legislazione di settore e dalle caratteristiche tecnico produttive del ciclo dei rifiuti, ha riservato particolare attenzione all'organizzazione dei servizi di raccolta, recupero e smaltimento dei rifiuti urbani (cosiddetta governance) nonché ai criteri fondamentali di cui le regioni, caso per caso, si sono avvalse per effettuare la perimetrazione degli A.T.O. fornendo ove necessario indicazioni per evitare il ricorso alle forme di gestione frammentate.
  Inoltre, particolare attenzione viene posta all'eventuale disallineamento tra l'ampiezza dei bacini di affidamento e la dimensione ottimale del servizio il quale si riflette anche sull'assetto industriale del mercato nonché alla scelta del modello di organizzazione dell'attività di raccolta la quale rileva non solo sul piano delle performance raggiunte in termini di capacità di intercettare i rifiuti in maniera differenziata, ma anche in relazione ai costi che essi generano.
  Pertanto, si evidenzia che il Ministero ha intrapreso iniziative finalizzate anche ad evitare, quanto più possibile, criticità concorrenziali nel settore della gestione dei rifiuti e ad incentivare un'economia circolare in cui il valore dei prodotti, dei materiali e delle risorse è mantenuto quanto più a lungo possibile e la produzione di rifiuti è ridotta al minimo. Infatti, si è consapevoli che la gestione dei rifiuti riveste un ruolo preminente nell'economia circolare, la quale concorre a dare impulso alla competitività del Paese contribuendo a creare sia nuove opportunità commerciali sia modalità di produzione e consumo innovativi e più efficienti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SIBILIA, MANLIO DI STEFANO, DI BATTISTA, SPADONI, GRANDE, DEL GROSSO e SCAGLIUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 novembre 2015, la trasmissione televisiva «Report», in onda su Rai3, ha trasmesso un reportage avente a oggetto il caso di alcuni soggetti italiani incaricati di addestrare milizie nel Corno d'Africa;
   da anticipazioni del contenuto dell'inchiesta giornalistica, consultabili sul sito della Rai, emergono le dichiarazioni rese da un trafficante di armi italiano, che, in base a quanto riferito dal giornalista Rai, Giorgio Mottola, nel servizio, avrebbe condotto «trattative riservate in Africa e in Medio Oriente» e per tale ragione sarebbe «in contatto con i servizi segreti di vari Paesi»;
   secondo tali dichiarazioni, l'Italia avrebbe «armato l'ISIS a sua insaputa armando la Siria di Assad e addestrando le sue milizie che poi sono passate all'ISIS»;
   in particolare, il trafficante ha fatto riferimento a un episodio che si sarebbe verificato nel mese di febbraio 2015, quando «i militari sotto la guida dei nostri Servizi hanno addestrato nello Yemen un centinaio di combattenti arabi da utilizzare contro l'ISIS, peccato però che finito l'addestramento, nel giro di 36 ore, i combattenti si sono dileguati e si sono arruolati nelle milizie dell'ISIS»;
   la fonte ha aggiunto inoltre che «in Italia c’è una struttura clandestina composta anche da trafficanti di armi che è stata incaricata da un somalo di addestrare delle milizie per finalità sconosciute» –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'episodio riguardante l'addestramento di alcuni combattenti da parte dell'Italia poi passati tra le fila dell'ISIS;
   se il Governo intenda smentire o confermare l'impiego di contingenti italiani, a qualsiasi titolo, presenti in Yemen e nell'area del Corno d'Africa con tale finalità;
   quali siano gli elementi di valutazione che hanno portato alla determinazione della scelta di realizzare programmi di addestramento a favore di forze militari o di polizia nell'ambito di Paesi terzi, con particolare riferimento a quelli in contesti geopolitici caratterizzati da forte instabilità;
   se le attività di addestramento di combattenti, qualora confermate, si siano svolte a seguito di accordi multilaterali o sotto l'egida di organizzazioni internazionali o se, al contrario, si siano svolte sulla base di accordi bilaterali tra l'Italia e i suddetti Paesi. (4-11226)

  Risposta. — A premessa va detto che non è svolta, da parte di militari italiani, alcuna attività addestrativa nello Yemen e che non si hanno elementi a riguardo dell'episodio citato nell'atto dell'interrogante, riguardante l'addestramento di combattenti da parte dell'Italia, poi passati tra le fila dell'Isis.
  Ciò detto, tra le iniziative assunte dalla comunità internazionale per la stabilizzazione del Corno d'Africa, il Consiglio europeo ha approvato, nel febbraio 2010, l'invio di una missione militare dell'Unione europea per contribuire all'addestramento delle forze di sicurezza somale, denominata «European Union Training Mission to contribute to the training of Somali National Security Forces» (Eutm Somalia), prorogata lo scorso aprile, fino al 31 dicembre 2016. In particolare, dal febbraio 2014 l'Eutm è comandata da un ufficiale italiano.
  La missione, inizialmente schierata in Uganda a causa della situazione politica e di sicurezza sul territorio somalo, disponeva di un ufficio di collegamento a Nairobi (Kenya), una cellula di supporto a Bruxelles e un elemento per il mentoring, consulenza e addestramento (Mate HQ) a Mogadiscio. La struttura è cambiata nei primi mesi del 2014, allorquando la missione Eutm Somalia è stata trasferita a Mogadiscio ed ha assorbito il citato comando per l'addestramento.
  L'Eutm opera in stretta collaborazione e coordinamento con altri attori internazionali, in particolare le Nazioni Unite e la missione dell'Unione africana in Somalia (Amisom).
  Dal 2010, la missione assicura sia la formazione militare di base delle forze sicurezza somale, sia la formazione finalizzata alla leadership e la formazione specialistica e fornisce consulenza strategica sullo sviluppo del settore della sicurezza, anche per quanto riguarda la gestione del personale, la pianificazione strategica e la legislazione relativa alla difesa.
  Nel contesto delle iniziative dirette dalla comunità internazionale si inserisce l'attività formativa nell'area del Corno d'Africa, per la quale l'Italia ha avviato, nel 2014, il progetto Miadit (Missione di addestramento italiana), finalizzato all'addestramento delle forze di polizia somale e condotta da personale dell'Arma dei carabinieri.
  Anche questa missione è volta a favorire la stabilità e la sicurezza non solo della Somalia ma dell'intera regione del Corno d'Africa, accrescendo le capacità nel settore della sicurezza e del controllo del territorio da parte delle forze di polizia somale.
Il Sottosegretario di Stato per la difesaDomenico Rossi.


   SPADONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la giunta comunale di Reggio Emilia il 17 giugno 2015 ha assegnato l'incarico di Presidente delle farmacie comunali riunite al consigliere comunale Annalisa Rabitti;
   in data 22 giugno 2015 nel comunicato stampa del comune di Reggio Emilia si afferma come «Il Consiglio comunale di Reggio Emilia ha approvato all'unanimità la surroga di Annalisa Rabitti con Giorgio Campioli, nel gruppo Pd; Annalisa Rabitti ha infatti cessato dalla carica di consigliere per dimissioni, a seguito della sua nomina a presidente dell'azienda speciale Farmacie comunali riunite (Fcr)»;
   tale nomina della consigliera ha creato scalpore in quanto risulta secondo l'interrogante illegittima ai sensi dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 39 del 2013 recante disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico, noto decreto anticorruzione conosciuto come «Legge Severino»;
   nell'articolo 7 si afferma che «coloro che nei due anni precedenti siano stati componenti della giunta o del consiglio della provincia, del comune (...) ovvero a coloro che nell'anno precedente abbiano fatto parte della giunta o del consiglio di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti (...) non possono essere conferiti: a) gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni di una provincia, di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione»;
   le farmacie comunali di Reggio Emilia è un ente controllato dall'amministrazione comunale e suddetta nomina crea inevitabilmente un conflitto d'interessi con il ruolo di consigliere comunale;
   tali violazioni sono soggette al controllo del funzionario anticorruzione e dell'ANAC;
   tale nomina a presidente prevede determinati poteri di gestione, controllo e rappresentanza delle FCR; si legge infatti nello statuto dell'ente che: e) Il presidente dirige i lavori del consiglio di amministrazione, fa osservare lo statuto e i regolamenti, stabilisce l'ordine e le modalità della discussione e delle votazioni; b) Il presidente esercita tutte le funzioni e i poteri che gli sono attribuiti dalle leggi e dai regolamenti vigenti, e svolge funzione propulsiva della attività del Consiglio di Amministrazione, regolandone i lavori: sviluppa ogni utile iniziativa di collegamento con le amministrazioni pubbliche, con gli operatori privati, con le espressioni organizzate dell'utenza e con ogni altra organizzazione interessata al campo di attività dell'Azienda; formula proposte sulle materie poste all'ordine del giorno delle sedute del Consiglio di amministrazione e in particolare circa le proposte di modifiche da apportare allo Statuto dell'Azienda e sulle materie attinenti all'operato del direttore dell'azienda; ha la rappresentanza nei rapporti con gli Enti locali e altre autorità; assume sotto la propria responsabilità i provvedimenti di competenza propria del consiglio di amministrazione quando l'urgenza sia tale da non permettere la tempestiva convocazione del consiglio stesso e sia dovuta a cause nuove od urgenti rispetto all'ultima convocazione del consiglio di amministrazione (articolo 14 statuto);
   la legge Severino ha previsto, in attuazione di direttiva dell'ONU, l'Istituzione di una commissione nazionale anticorruzione al fine, tra gli altri, di esercitare la vigilanza e il controllo sull'effettiva applicazione e sull'efficacia delle misure adottate dalle pubbliche amministrazioni, sulla trasparenza dell'attività amministrativa alla luce delle disposizioni anticorruzione previste in detta legge –:
   se si intenda segnalare ai sensi dell'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo n. 39 del 2013 all'autorità anticorruzione le nomine indicate in premessa;
   se intenda assumere un'iniziativa normativa, anche come suggerito dal Presidente dell'Anac Cantone, affinché la normativa in questione possa applicarsi oltre che ai politici di enti regionali, provinciali e comunali al di sopra dei 15 mila abitanti a tutti coloro che abbiano ricoperto o ricoprano ruoli nazionali quali ministri, parlamentari,  sottosegretari affinché nessun eletto possa avvantaggiarsi del proprio incarico politico per assumere ruoli amministrativi. (4-09631)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in discussione, l'interrogante, nel trarre spunto da un episodio di presunta violazione dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 39 del 2013, che vieta il conferimento di incarichi dirigenziali ed amministrativi di vertice a livello regionale e di enti locali a coloro che, nei due anni precedenti, sono stati componenti di un organo politico, chiede al Presidente del Consiglio dei ministri:
   se intenda attivare i poteri di segnalazione previsti dall'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo n. 39 del 2013 all'Autorità nazionale anticorruzione;
   se intenda assumere iniziative normative «affinché la normativa in questione possa applicarsi, oltre che ai politici di enti regionali, provinciali e comunali al di sopra dei quindicimila abitanti, a tutti coloro che abbiano ricoperto o ricoprano ruoli nazionali quali ministri, parlamentari, sottosegretari, affinché nessun eletto possa avvantaggiarsi del proprio incarico politico per assumere ruoli amministrativi».

  Con riferimento al primo dei quesiti proposti, deve, anzitutto, rilevarsi come l'articolo 16, comma 2, del decreto legislativo n. 39 del 2013 (modificato, sul punto, dall'articolo 54-ter del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 «Disposizioni urgenti per il rilancio dell'economia», convertito, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, legge 9 agosto 2013, n. 98) attribuisca al solo dipartimento della funzione pubblica della Presidenza del Consiglio dei ministri il potere di segnalazione all'Autorità nazionale anticorruzione ai fini della sospensione della procedura di conferimento dell'incarico, in caso di violazione delle norme in materia. Resta comunque salva la possibilità per L'Autorità di agire d'ufficio.
  È, pertanto, rimessa alla Presidenza del Consiglio dei ministri, dipartimento della funzione pubblica, ogni opportuna valutazione di competenza sull'attivazione dei poteri di segnalazione in ordine alla vicenda esposta nell'atto di sindacato ispettivo.
  Con riferimento, invece, alla completezza del quadro normativo di riferimento, si riportano le osservazioni svolte a riguardo dall'ufficio legislativo di questo dicastero.
  Il decreto legislativo 8 aprile 2013, n. 39, recante «Disposizioni in materia di inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti privati in controllo pubblico» ha dato attuazione alla delega prevista dall'articolo 1, commi 49 e 50, della legge n. 190 del 2012 contenente «Disposizioni per la prevenzione e la repressione della corruzione e dell'illegalità nella pubblica amministrazione».
  Come noto, la legge citata ha inteso delineare la strategia di prevenzione della corruzione a livello nazionale, principalmente mediante l'adozione del piano nazionale anticorruzione e l'individuazione dell'Autorità nazionale.
  Coerentemente, principali obiettivi del decreto sono la prevenzione e il contrasto della corruzione e la prevenzione dei conflitti di interessi attraverso prescrizioni che tendono ad assicurare la distinzione tra responsabilità politica e responsabilità di gestione, delineando una nuova disciplina sulle inconferibilità e le incompatibilità degli incarichi nelle pubbliche amministrazioni, negli enti privati da esse controllate, presso gli enti regolati o finanziati, ovvero presso organi di indirizzo politico nazionali, regionali e locali.
  Sulla base dei criteri di delega elencati al comma 50 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2012, il decreto legislativo n. 39 del 2013 ha individuato le condizioni di incompatibilità e di inconferibilità che sono considerate dal legislatore, nell'ottica delle finalità della legge di delega, quali situazioni sintomatiche che favoriscono la diffusione della corruzione.
  Il decreto legislativo n. 39 del 2013:
   1) individua i casi di inconferibilità degli incarichi dirigenziali e degli incarichi di responsabilità amministrativa di vertice, che comportano esercizio di funzioni di amministrazione e gestione nelle pubbliche amministrazioni e negli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, a soggetti interni o esterni alle pubbliche amministrazioni;
   2) prevede la disciplina dei casi di incompatibilità tra incarichi, dirigenziali e di responsabilità amministrativa di vertice svolti presso le pubbliche amministrazioni e presso gli enti di diritto privato sottoposti a controllo pubblico, e incarichi pubblici elettivi, ovvero incarichi che comportino la titolarità di interessi privati che possano porsi in conflitto con l'esercizio imparziale delle funzioni pubbliche affidate.

  In entrambi i casi, il criterio per la definizione delle condizioni di incompatibilità e di inconferibilità è quello della distinzione tra funzioni di indirizzo politico e funzioni di amministrazione e tra attività di controllo e attività di gestione.
  Sulla base dei criteri di delega elencati nella legge n. 190 del 2012, il decreto n. 39 del 2013 individua, caso per caso, le attività che determinano le inconferibilità e le incompatibilità anche per incarichi svolti presso livelli di governo differenti, ovvero presso soggetti giuridici distinti ma, comunque, collegati per ragioni di vigilanza.
  Le situazioni di inconferibilità configurano, pertanto, condizioni ostative al conferimento di determinati incarichi, riconducibili essenzialmente al pregresso svolgimento di cariche politiche o incarichi di vertice.
  Obiettivo del legislatore, in questi casi, è quello di evitare che, proprio in ragione della carica ricoperta, l'interessato possa precostituirsi una situazione di favore per l'attribuzione di un nuovo incarico di carattere amministrativo, rivolgendo quindi l'esercizio della pubblica funzione a vantaggio proprio e non della pubblica amministrazione. Per questo, il conferimento dell'incarico è consentito solo dopo il decorso di un certo periodo di tempo, ritenuto adeguato per scongiurare il predetto rischio.
  Della non conferibilità di incarichi a componenti di organi di Governo si occupa, in particolare, l'articolo 6.
  In questo caso, il decreto legislativo si limita a richiamare la legge 20 luglio 2004, n. 215, sul conflitto di interessi, che vieta ai titolari di incarichi di governo di ricoprire alcune funzioni anche nei dodici mesi successivi alla cessazione dalla carica di governo, configurando un'ipotesi di incompatibilità perdurante.
  In particolare, il titolare di incarichi di governo non può ricoprire cariche o uffici, o svolgere altre funzioni comunque denominate, in enti di diritto pubblico, anche economici e in società aventi fini di lucro o in attività di rilievo imprenditoriale; né esercitare attività professionali o di lavoro autonomo nei confronti di enti di diritto pubblico, anche economici, nonché di società aventi fini di lucro che operino prevalentemente in settori connessi con la carica precedentemente ricoperta (articolo 2, comma 4).
  Mentre il decreto legislativo n. 39 del 2013 utilizza, pertanto, la categoria giuridica dell'inconferibilità, la legge n. 215 del 2004 ha fatto ricorso alla categoria dell'incompatibilità perdurante.
  Quanto ai parlamentari, non sussistono situazioni di inconferibilità ai sensi del decreto legislativo 8 aprile 2013 n. 39, in quanto l'articolo 6 di tale decreto non contempla la carica di parlamentare tra quelle che danno luogo ad inconferibilità di incarichi amministrativi.
  Di contro, il comma I dell'articolo 11 del medesimo decreto dispone che: «Gli incarichi amministrativi di vertice nelle amministrazioni statali, regionali e locali e gli incarichi di amministratore di ente pubblico di livello nazionale, regionale e locale, sono incompatibili con la carica di Presidente del Consiglio dei ministri, Ministro, Vice Ministro, sottosegretario di Stato e commissario straordinario del Governo di cui all'articolo 11 della legge 23 agosto 1988, n. 400, o di parlamentare».
  Ai sensi del citato articolo sussiste, pertanto, incompatibilità tra l'incarico di amministratore di ente pubblico, così come definito dalle disposizioni sopra citate, e la carica parlamentare.
  Nel quadro così delineato si collocano iniziative normative, di tipo integrativo, che, tuttavia, non hanno trovato esito nella dialettica parlamentare.
  Il disegno di legge n. 1577/S, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», nel testo approvato in prima lettura dal Senato della Repubblica il 30 aprile 2015, conteneva all'articolo 6 delega al Governo – prevedendo per essa il termine di sei mesi – per l'adozione di disposizioni integrative e correttive, incidenti, tra l'altro, sulla disciplina dell'inconferibilità e incompatibilità di incarichi presso le amministrazioni pubbliche e presso gli enti privati sottoposti a controllo pubblico prevista dal decreto legislativo n. 39 del 2013.
  Nel corso dell’iter parlamentare, la delega è stata soppressa dal testo, approvato in via definitiva con la legge n. 124 del 7 agosto 2015.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   SPADONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   gli abitanti del quartiere residenziale Santa Croce di Reggio Emilia, preoccupati per la loro salute, da tempo denunciano l'inquinamento dei locomotori Tpfer e Fer siti in via Talami. I residenti sono allarmati dai dati Arpa che registrano dei veri e propri picchi di emissioni inquinanti – polveri sottili, monossido di carbonio e ozono – quando vengono accesi i vecchi locomotori diesel;
   i residenti si sono costituiti in un comitato e hanno organizzato una raccolta firme, occupando spazi rilevanti in diverse occasioni sui giornali e nelle televisioni locali: la portavoce del comitato, l'avvocato Raffaella Pellini, ha più volte richiesto un intervento del comune di Reggio Emilia, in materia di tutela dell'ambiente e della salubrità dei luoghi pubblici, asserendo che via Cefalonia e via Delle Argonne appartengono ad un quartiere densamente popolato a zona residenziale;
   il comitato afferma come lo stabilimento ferroviario di proprietà di Mafer Srl, ma con l'ingerenza della società T-PER, ha potenziato la sua attività e in quello che doveva essere un semplice deposito con annessa officina per riparazione è stata invece creata una «Stazione Centrale»;
   Arpa ed Ausl hanno redatto lavori dove evidenziano la pericolosità dei gas nocivi ed anche la necessità di un intervento urgente, perché questo stabilimento è troppo vicino alle case per poter svolgere una attività di accensione delle locomotive di questo tipo e senza alcun riparo di schermature;
   l'impatto ambientale della zona è incompatibile con l'attività di accensione delle locomotive; l'accensione avviene di fatto a ridosso di un asilo e di agglomerati di abitazioni. Dalle ispezioni sono emerse indicazioni precise che i responsabili di Mafer e T-per non rispettano;
   la richiesta dei residenti risponde, a giudizio dell'interrogante, a logiche di buonsenso quando chiedono di trasferire altrove l'attività di avviamento dei locomotori perché la zona indicata è certamente non idonea e l'attività che viene effettuata nel deposito ferroviario non è legittima;
   queste preoccupazioni, a parere dell'interrogante, sono assolutamente condivisibili soprattutto dopo i dati allarmanti dell'inquinamento atmosferico della città di Reggio Emilia; i portavoce del comitato raccontano di essere ad un tavolo di trattativa da circa un anno e mezzo con il comune, con la regione e con i rappresentanti delle ferrovie dell'Emilia Romagna, senza però avere ad oggi avuto alcun risultato utile;
   quali iniziate normative i Ministri interrogati intendano intraprendere, in assenza di una specifica normativa in cui è previsto che non sia possibile tenere numerosi treni accesi per diverse ore a ridosso di abitazioni, affinché si arrivi a tutelare la salute dei cittadini. (4-12483)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, per quanto concerne gli aspetti legati alla qualità dell'aria, si rappresenta che nel comune di Reggio Emilia la valutazione della qualità dell'aria ambiente è effettuata tramite due stazioni fisse di monitoraggio: «San Lazzaro» e «Timavo».
  I dati di qualità dell'aria misurati da tali stazioni nel periodo 2013-2015 evidenziano criticità in merito al materiale particolato PM10 e all'ozono. Nello specifico, per il PM10, mentre il valore limite annuale previsto per la protezione della salute umana (40 μg/m3) non è stato superato in nessuna stazione del comune, il valore limite giornaliero (50 μg/m3, da non superare più di 35 volte per anno civile) è stato sempre superato nella stazione di tipo traffico urbano «Timavo». In particolare, per tale stazione, si registrano 56 giorni di superamento nel 2013, 50 giorni di superamento nel 2014 e 67 giorni di superamento nel 2015. Per l'ozono, misurato nella stazione di tipo fondo urbano «San Lazzaro», si verificano numerosi superamenti dell'obiettivo a lungo termine per la protezione della salute umana (120 μg/m3).
  Tanto premesso, nel 2015 la sezione provinciale di Reggio Emilia dell'Arpa Emilia-Romagna ha svolto una campagna di monitoraggio con un mezzo mobile all'interno della struttura ferroviaria di via Talami dal 26 maggio 2015 al 23 giugno 2015.
  Le stazioni prese a confronto per l'indagine sono le due stazioni fisse della rete regionale di monitoraggio della qualità dell'aria presenti nel comune di Reggio Emilia, «San Lazzaro» e «Timavo».
  L'indagine è stata finalizzata a caratterizzare la qualità dell'aria all'interno dell'area adiacente i quartieri residenziali di Santa Croce e, nel contempo, a verificare il rispetto dei valori limite definiti dal decreto legislativo n. 155 del 2010, ed eventuali scostamenti significativi rispetto ai valori rilevati dalle due stazioni di riferimento sopra citate. Un altro obiettivo dell'indagine consisteva nel valutare la presenza di eventuali impatti sulla matrice aria generati dall'attività svolta all'interno della struttura ferroviaria.
  Le misurazioni effettuate con il mezzo mobile hanno evidenziato risultati analoghi a quelli rilevati dalle stazioni fisse. Per tutti gli inquinanti monitorati (monossido di carbonio, benzene, biossido di zolfo, ossidi di azoto: monossido di azoto e biossido di azoto ed ozono), si è verificato il rispetto, per l'intero periodo di misurazione, dei valori limite che la normativa impone per gli inquinanti rilevati, fatta eccezione per l'ozono, per cui si osservano diversi superamenti dell'obiettivo a lungo termine.
  Nella medesima relazione, l'Arpae evidenzia che, per quanto riguarda i valori di biossido di azoto, pur rispettando i limiti normativi, l'andamento delle concentrazioni rilevate come media è tale da rendere l'area residenziale in esame paragonabile alla situazione, in termini di qualità dell'aria, di una zona ad elevato traffico. Lo stesso monitoraggio ha evidenziato, altresì, episodi puntuali di inquinamento dell'aria, soprattutto per gli ossidi d'azoto, che si ripetono più volte nel corso della giornata, della durata di circa quattro minuti l'uno. Tali episodi, secondo l'Arpae, si verificano verosimilmente in occasione dell'avvio e del riscaldamento dei motori diesel dei treni situati nella zona presa in esame, generando concentrazioni di inquinanti in aria significative, con ciò confermando che le criticità legate alla matrice aria nell'area indagata siano da attribuire principalmente alle fasi di accensione dei locomotori.
  Si segnala, inoltre, che la normativa nazionale in materia di qualità dell'aria (già citato decreto legislativo n. 155 del 2010) affida alle regioni le attività di valutazione e di pianificazione finalizzate a conoscere il contesto territoriale, identificare le misure più efficaci per il rispetto dei valori di qualità dell'aria ed assicurarne l'attuazione. Alle amministrazioni regionali compete quindi il monitoraggio degli inquinanti atmosferici e la predisposizione dei piani o programmi per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria, compresa l'individuazione dei soggetti deputati all'attuazione di tali piani, quali ad esempio la regione stessa o i comuni.
  In tal senso, si fa presente che la regione Emilia-Romagna, per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico, ha adottato, con delibera n. 1180 del 21 luglio 2014, la proposta di Piano aria integrato regionale (PAIR2020), contenente le misure per il risanamento della qualità dell'aria, al fine di ridurre i livelli degli inquinanti sul territorio regionale e rientrare nei valori limite fissati dalla normativa vigente in materia, nonché le strategie di coordinamento dei vari livelli istituzionali e di integrazione della pianificazione settoriale.
  Infine, si evidenzia che la stessa regione da anni, assieme alle altre regioni del bacino padano, promuove attività comuni volte al raggiungimento degli obiettivi di qualità dell'aria imposti dalle direttive comunitarie e dalle norme nazionali di riferimento.
  Della questione in esame sono stati, inoltre, interessati anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori e utili elementi informativi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, si fa presente che il Ministero dell'ambiente monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina. In ogni caso, si rassicura che il Ministero continuerà a tenersi informato, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, MANNINO, DAGA, ZOLEZZI, DE ROSA, MICILLO, BUSTO e VIGNAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 26 settembre 2015 il Corpo forestale dello Stato, su disposizione della procura di Macerata ha sottoposto a sequestro una superficie di 5 ettari gravata da tutela paesaggistica a Pievebovigliana, in provincia di Macerata, dove venivano accumulati senza autorizzazione materiali di scarto provenienti dalle gallerie della Quadrilatero;
   a maggio 2015 il Movimento 5 Stelle di Civitanova aveva già segnalato che, «proprio a ridosso del convento di San Francesco, su un tratto collinare, sono stati di recente rilevati dei lavori di sbancamento che, tra l'altro, hanno anche portato alla luce alcuni reperti archeologici di cui, però, ancora non si sa né l'origine né la provenienza. Insomma, nuovi movimenti e interventi di ruspe che prevedono lo stoccaggio di terre e rocce e, probabilmente, la realizzazione di una nuova collina composta da materiale di scarto, comunque in una zona naturalisticamente rilevante e ricca di elementi storici e archeologici da salvaguardare»;
   nel documento di certificazione di assetto territoriale inviato dal comune di Pievebovigliana, con protocollo n. 4055/2014, in risposta alla richiesta giunta da parte della regione Marche, protocollo n. 646511 del 12 settembre 2014, per una variante in corso d'opera per la sistemazione definitiva dei materiali di scavo in esubero e conseguente rimodellamento morfologico richiesto da Quadrilatero Umbria Marche SpA, si evince che l'area in oggetto possiede le seguenti caratteristiche, destinazioni e vincoli:
   in base alle prescrizioni del vigente piano regolatore generale (Prg) adeguato al piano paesistico ambientale regionale (Ppar) e al Piano territoriale di coordinamento (Ptc) è individuata come zona agricola di salvaguardia paesistico-ambientale «EA» – (l'articolo 32 delle note tecniche di attuazione): tali zone riguardano quelle parti del territorio agricolo nelle quali, per la presenza di elementi naturali da tutelare (corsi d'acqua, zone a rischio di esondazione per piene eccezionali, varchi fluviali, elementi naturali di particolare valore, emergenze geologiche), di elementi del patrimonio storico-culturale da salvaguardare (centri e nuclei storici, edifici e manufatti, aree archeologiche), di condizioni di instabilità in atto o potenziali (aree soggette a dissesti e versanti con pendenza superiore al 30 per cento), di particolari elementi del sottosistema botanico – vegetazionale (confluenze fluviali, boschi, boschetti e gruppi arborei, boschi riparali ed aree golenali, pascoli oltre i 700 metri, aree umide) il Piano pone particolari limitazioni agli interventi edificatori ed a quelli di sostanziale modificazione delle caratteristiche ambientali;
   i mappali interessati all'intervento ricadono, quasi interamente in un'area tutelata per legge ai sensi dell'articolo 142, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004 nella categoria c) «i fiumi, i torrenti, i corsi d'acqua iscritti negli elenchi previsti dal testo unico delle disposizioni di legge sulle acque ed impianti elettrici, approvato con regio decreto 11 dicembre 1933, n. 1775, e le relative sponde o piedi degli argini per una fascia di 150 metri ciascuna»;
   l'area ricade nell'ambito di tutela paesaggistica di cui alla deliberazione amministrativa del Consiglio regionale n. 8 del 23 dicembre 1985 (Galassino regionale);
   il Ppar individua la zona in oggetto come area «C» – relativa a unità di paesaggio che esprimono la qualità diffusa del paesaggio regionale nelle molteplici forme che lo caratterizzano: torri, case coloniche, ville, alberature pievi, archeologia produttiva, fornaci, borghi e nuclei, paesaggio agrario-storico emergenze naturalistiche (articolo 20 delle note tecniche di attuazione del Ppar), in cui gli strumenti di pianificazione territoriale seguono i seguenti indirizzi generali di tutela: «deve essere graduata la politica di tutela in rapporto ai valori e ai caratteri specifici delle singole categorie di beni, promuovendo la conferma dell'assetto attuale ove sufficientemente qualificato o ammettendo trasformazioni che siano compatibili con l'attuale configurazione paesistico-ambientale o determinino il ripristino e l'ulteriore qualificazione» (articolo 23 delle note tecniche di attuazione del Ppar);
   ricade in un'area classificata «V» di alta percettività visuale relativa alle vie di comunicazione ferroviarie, autostradali e stradali di maggiore intensità di traffico (articolo 20 delle note tecniche di attuazione del Ppar), dove deve essere attuata una politica di salvaguardia, qualificazione e valorizzazione delle visuali panoramiche percepite dai luoghi di osservazione puntuali o lineari (articolo 23 del P.P.A.R.);
   ricade quasi interamente all'interno di un ambito di tutela dei corsi d'acqua (articolo 29 del piano paesaggistico ambientale regionale – articolo 23 del Piano territoriale di coordinamento e articolo 37. 2 delle note tecniche di attuazione del Piano regolatore regionale);
   ricadono negli ambiti di tutela «Pianura alluvionale» e «Pianura alluvionale antica terrazzata» (articolo 27 del Piano territoriale di coordinamento e articolo 37.5.2 delle note tecniche di attuazione del Piano regolatore regionale);
   in base al Piano territoriale di coordinamento ricade all'interno dell'area individuata come «confluenza fluviale» (articolo 43.1 delle note tecniche di attuazione del Piano regolatore regionale), area sottoposta alle norme di tutela integrale di cui all'articolo 23.10-bis delle note tecniche di attuazione Piano territoriale di coordinamento);
   la regione Marche, nella delibera di giunta n. 1278 del 17 novembre 2014, approva il progetto di variante in corso d'opera, ponendo tra le condizioni necessarie l'acquisizione del parere della Soprintendenza per i beni archeologici delle Marche e l'autorizzazione paesaggistica di cui all'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   da fonti a stampa si apprende che l'autorizzazione paesaggistica non sia stata rilasciata;
   contestualmente, si dichiara che il progetto non contrasta con il Piano regolatore regionale del comune di Pievebovigliana in quanto l'area, una volta terminati i lavori di accumulo del materiale, tornerà ad avere destinazione agricola e ritenendo i materiali stoccati assimilabili a «materiali di base della pratica agricola» e quindi non in contrasto con quanto previsto dall'articolo 43.1 del Piano territoriale di coordinamento che in quelle particelle ricadenti nell'ambito definito «Confluenza fluviale» vieta la realizzazione di depositi e stoccaggi di materiali non agricoli;
   l'assimilabilità dei materiali da scavo, che sono stati abbancati, con materiali di base della pratica agricola non risulta essere supportata da alcuno studio e l'originale orografia dell'area non giustifica tale intervento di rimodellamento del piano di campagna;
   attualmente l'area sembrerebbe essere stata dissequestrata –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se il ministro interrogato sia in grado di confermare l'assenza dell'autorizzazione della sovrintendenza, come previsto e richiesto invece dalla delibera regionale sopracitata e quali iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-10986)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame l'interrogante riferisce che «il 15 settembre 2015 il Corpo forestale dello Stato, su disposizione della procura di Macerata ha sottoposto a sequestro una superficie di cinque ettari gravata da tutela paesaggistica a Pievebovigliana, in provincia di Macerata, dove venivano accumulati, senza autorizzazione, materiale di scarto provenienti dalle gallerie della Quadrilatero».
  A tale riguardo, chiede conferma dell'assenza dell'autorizzazione della soprintendenza, secondo l'interrogante, richiesta, dalla delibera della giunta della regione Marche n. 1278 del 17 novembre 2014, nonché di conoscere le iniziative che l'Amministrazione intenda assumere riguardo all'area in questione.
  In relazione ai fatti esposti dall'interrogante, la ex direzione generale archeologia, acquisite informazioni dall'allora competente soprintendenza archeologia delle Marche, ha comunicato che nell'area, interessata dai movimenti di terra previsti dal progetto di variante della quadrilatero Marche Umbria s.p.a., sono state effettuate le indagini archeologiche preventive prescritte dalla stessa soprintendenza.
  Tali indagini sono seguite alla nota n. 23400 del 23 settembre 2014 con la quale l'allora direzione generale per il paesaggio, le belle arti, l'architettura e l'arte contemporanee, comunicava agli interessati il parere espresso dall'ex soprintendenza per i beni archeologici delle Marche con protocollo 7176 del 12 settembre 2014, condiviso dall'allora direzione generale per le antichità con nota n. 7119 del 22 settembre 2014.
  Le attività condotte sul campo dalla ex soprintendenza archeologia delle Marche hanno compreso nell'ordine: lo scavo di trincee esplorative, approfondimenti e ampliamenti in corrispondenza di contesti stratigrafici di possibile interesse archeologico, il decorticamento integrale dell'area interessata dal progetto di variante, ulteriori verifiche tramite l'approfondimento dei sondaggi nelle aree ritenute a maggiore rischio d'impatto con testimonianze d'interesse archeologico (note ex soprintendenza archeologia Marche protocollo 1287 del 12 febbraio 2015; 1703 del 24 febbraio 2015 e 2721 del 26 marzo 2015).
  I saggi archeologici preventivi hanno permesso di indagare tre distinti contesti archeologici consistenti in: 1) brevi tracce di strutture non associate a manufatti utili alla loro datazione: 2) un fossato anulare connesso a un canale, con pochi manufatti risalenti all'età del Ferro; 3) sporadici manufatti della tarda età del Bronzo e due piccoli basamenti quadrangolari interpretati come resti di un piccolo mulino o chiusa di epoca post-classica, legati alla presenza di una originaria diramazione del vicino Chienti.
  Tenuto conto che nessuno dei depositi archeologici presenta il carattere di complesso unitario e che i livelli in cui si trovano tali testimonianze non risultano interessati dalle opere previste in progetto, che si attestano a quote più elevate, la soprintendenza ha comunicato alla Val di Chienti S.C.p.A., con nota prot. 3726 del 29 aprile 2015, che è da ritenersi conclusa l'attività di verifica e documentazione archeologica preventiva. Con la medesima nota sono state inoltre dettate le modalità di protezione e ricopertura dei contesti individuati.
  Nel corso delle successive attività di movimento terra, eseguite sotto il controllo di archeologi, secondo quanto prescritto nella suddetta nota, non sono state rinvenute ulteriori testimonianze archeologiche.
  Relativamente al profilo paesaggistico, la ex soprintendenza belle arti e paesaggio della Marche ha comunicato di aver constatato, con apposito sopralluogo, che le opere di sistemazione e rimodellamento dei profili con materiale terroso proveniente dai lavori di scavo, relativi alle opere per la realizzazione dell'asse viario denominato quadrilatero, non hanno apportato alcuna significativa modifica al contesto paesaggistico.
  Nel corso del sopralluogo, non è stato possibile individuare elementi che consentano di delimitare le aree interessate dalla rimodellazione dei profili con materiali di risulta. Questo elemento può efficacemente illustrare l'assenza di qualsiasi impatto dovuto alla rimodellazione.
  Per quanto riguarda l'aspetto paesaggistico, quindi, non è stato possibile individuare alcun elemento di alterazione che abbia prodotto un significativo pregiudizio all'aspetto paesaggistico.
  Per quanto attiene alla qualità chimico-fisica dei materiali terrosi riportati e alla loro caratterizzazione di idoneità per le coltivazioni agricole, si tratta di aspetti che non investono la competenza di questa Amministrazione.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Porto Recanati, in provincia di Macerata, nel dicembre 2013 l'amministrazione comunale adottò una variante al piano regolatore generale per consentire la lottizzazione della zona denominata «Burchio», in località Monatrice, per inserire un'area turistica detta «parco del Burchio», tesa alla realizzazione di circa 50 villette residenziali e di un Resort a 5 stelle, con relativo campo di golf e parchi verdi, su progetto proposto da investitori russi e americani, a nome della società Coneroblu Srl;
   l'area oggetto della struttura ricettiva, secondo la competente soprintendenza, «appare sottoposta a vario titolo a forme di rilevante tutela» e di «notevole valenza paesaggistica». «In particolare, si legge nell'atto inviato dalla soprintendenza alla provincia di Macerata, verrebbero violati alcuni vincoli stabiliti dal Codice dei beni culturali del paesaggio per la presenza di corsi d'acqua (fascia di tutela del fiume Potenza) e boschi. In riferimento invece al Piano paesaggistico ambientale regionale (Ppar), la direzione dei beni culturali individua la presenza di vincoli archeologici, che non vengono rispettati per i crinali visibili dall'autostrada, e considerato l'elevato consumo di suolo viste le tipologie costruttive ipotizzate che produrrebbero «modificazioni permanenti delle forme del paesaggio»; inoltre la zona rurale di salvaguardia paesaggistico-ambientale – a fronte dell'entità degli interventi – vedrebbe modificata in maniera sostanziale le proprie caratteristiche rurali e paesaggistico-ambientali prima tutelate dal piano regolatore generale vigente di Porto Recanati. «In conclusione – scrive la Soprintendenza – si ritiene che la proposta di interpretazione e di trasposizione attiva delle norme di tutela dei differenti strumenti urbanistici sopra elencati (...) tenda a svilire e rendere inefficace una politica di tutela paesaggistica coerente e condivisa ai vari livelli di pianificazione.»;
   l'ufficio decentrato del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo inoltre contestò la procedura proposta dalla Coneroblu S.r.l. di prevedere che la costruzione sul territorio di Porto Recanati di nuove edificazioni sia compensata dall'eliminazione di volumi destinati a parco fluviale – e quindi di utilizzo pubblico – trasformandoli in altrettanta volumetria ad esclusivo utilizzo privato, contestando quindi la logica del progetto proposto secondo la quale l'edilizia pubblica si trasforma in edilizia privata, «disgregando un sistema del verde attrezzato pubblico ben progettato, rendendo poco efficace una programmazione paesaggistica originariamente coerente (...)»;
   in conclusione, la Sovrintendenza in fase di Valutazione Ambientale Strategica (det. n. 69 del 3 aprile 2014 e n. 202 del 15 luglio 2014) scrive in maniera inequivocabile che «la compensazione urbanistica proposta non appare quindi coerente con le finalità perseguite dalla legge di riferimento; si ritiene non idonea la localizzazione degli interventi proposta in oggetto», per poi suggerire soluzioni alternative alla variante del Burchio, individuando nel Piano regolatore generale di Porto Recanati, aree già previste edificabili e non utilizzate;
   nel mese di novembre del 2014 il nuovo consiglio comunale del comune di Porto Recanati con le delibere nn. 46 e 47 procedeva all'annullamento d'ufficio dell'accordo di programma relativo alla variante urbanistica;
   il Tar per le Marche, con sentenza del 24 luglio 2015, accoglieva il ricorso presentato dalla Società Coneroblu s.r.l. avverso le predette deliberazioni;
   l'esecutività della decisione, che imponeva al comune sopracitato di deliberare nuovamente sull'approvazione della variante al piano regolatore generale nel termine di 45 giorni, è stata sospesa con ordinanza del Consiglio di Stato del 9 settembre 2015, a seguito del ricorso in appello presentato, dal comune di Porto Recanati con delibera del Commissario straordinario, subentrato nella gestione dell'ente a maggio 2015 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere affinché le valenze paesaggistiche e archeologiche del sito descritto in premessa, riscontrate dalla Soprintendenza sopracitata, vengano effettivamente tutelate e valorizzate, anche attraverso l'apposizione di vincoli archeologici più efficaci, e quali iniziative intende inoltre assumere per far sì che l'area venga sottratta a interventi che ne comprometterebbero irreversibilmente il valore paesaggistico, storico e culturale.
   (4-10326)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame, l'interrogante, richiamati la variante al piano regolatore generale adottata dall'amministrazione comunale di Porto Recanati, nel dicembre 2013, e il relativo accordo di programma, finalizzati a consentire la lottizzazione della zona denominata «Burchio», nonché il successivo annullamento di tali atti da parte della amministrazione comunale succeduta al rinnovo del consiglio comunale, chiede di conoscere quali iniziative l'Amministrazione intenda assumere affinché siano effettivamente tutelate e valorizzate le valenze paesaggistiche e archeologiche della zona in questione.
  La zona interessata dalla variante del piano regolatore generale, sotto il profilo archeologico, si presenta ad alto rischio di intercettazioni di strutture archeologiche come dettagliatamente descritto nella letteratura scientifica. Dagli studi, documentati dalle foto aeree e dalle ricognizioni sul territorio, è evidente come sull'altipiano di Colle Burchio e alle sue pendici insistevano insediamenti di età romana. Maggiori concentrazioni di materiale archeologico sono stati rilevati nella parte sud-orientale del pianoro, dove compare nelle foto aeree la traccia di un edificio rettangolare. La cospicua presenza di materiale ceramici risalenti a età romana, sparsi per una vasta area, conferma le evidenze fotografiche e la cronologia dell'insediamento.
  Per quanto riguarda gli aspetti paesaggistici, risulta certamente sottoposta a tutela paesaggistica la zona ricadente nell'ambito del fiume Potenza, ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera c), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio (di seguito codice). Inoltre, in un'area contigua a quella interessata dalla variante di piano regolatore, insiste un'area boscata, anch'essa sottoposta a tutela ai sensi dell'articolo 142, comma, 1, lettera g) del codice.
  Nel corso della vicenda richiamata nell'atto ispettivo, gli uffici territoriali dell'amministrazione, come ampiamente riferito anche dall'interrogante, hanno attuato tutti gli strumenti di tutela che la normativa mette loro a disposizione, rilasciando i pareri di competenza e impartendo le prescrizioni più idonee per conseguire una efficace tutela del patrimonio archeologico e paesaggistico.
  A tale riguardo, si evidenzia come anche il Consiglio di Stato, nella sentenza n. 1337 del 6 aprile 2016, con cui è stato accolto il ricorso dell'amministrazione comunale avverso la sentenza del Tribunale amministrativo di Ancona, n. 7219 del 24 luglio 2015, abbia positivamente valutato l'azione svolta dagli uffici territoriali dell'amministrazione.
  La competente soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio delle Marche, da ultimo, ha informato che in relazione al sito di che trattasi non sono ulteriormente pervenute richieste di pareri paesaggistici e/o atti istruttori.
  Si assicura, comunque, che gli uffici di questa amministrazione competenti per territorio eserciteranno con il massimo impegno l'azione di tutela, attivando gli interventi e gli strumenti più idonei previsti dalla normativa in materia.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   VALERIA VALENTE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di ottobre 2016 si apprendeva a mezzo stampa che le autorità scolastiche inglesi avevano inserito tra i dati etnico-linguistici che gli studenti italiani erano chiamati a fornire, tramite modulo online, all'atto della richiesta di iscrizione presso alcune circoscrizioni scolastiche britanniche in Inghilterra e in Galles, non soltanto quello relativo alla loro nazionalità, ma specificamente quello relativo alla provenienza da alcuni contesti territoriali del Meridione italiano, tramite la scelta di una pseudo-variante linguistica tra italiano, italiano-napoletano e italiano-siciliano diretta ad annotare nel curriculum del bambino la provenienza e gli usi linguistici prevalenti;
   in riferimento a quella che appariva una scelta poco chiara quanto alla ragione e alle finalità e sotto diversi punti di vista foriera di una non giustificabile discriminazione, furono già nell'immediato opportunamente sollevate da parte dell'ambasciatore italiano in Gran Bretagna sia formali rimostranze al Governo inglese tramite il Ministero competente sia richiesta di revoca delle suddette classificazioni relative agli usi linguistici dei bambini italiani;
   pur considerato che, a seguito delle spiegazioni fornite da parte del Governo britannico, si è potuta decifrare l'intenzione ispiratrice della scelta nell'individuazione di possibili esigenze linguistiche particolari allo scopo di garantire un ipotetico sostegno nell'apprendimento scolastico, non sembra però che l'intenzione originaria fosse al riparo da involontarie conseguenze discriminatorie, nonché offensive nei confronti dei bambini e delle famiglie italiane interessate –:
   quali siano le informazioni in possesso del Governo e i suoi orientamenti in merito e quali iniziative abbia assunto, anche per il tramite dell'ambasciata italiana a Londra, nei confronti delle autorità inglesi competenti sul territorio per verificare che le suddette pratiche a rischio di avere effetti discriminatori non abbiano più corso nelle forme e nei modi in cui si sono determinate né che possano avere luogo altre iniziative simili causate da superficialità e mancanza di conoscenza della storia civile, culturale e linguistica del nostro Paese. (4-15456)

  Risposta. — Vorrei fornire un riscontro sulle azioni che sono state intraprese dall'ambasciata d'Italia a Londra, in stretto contatto con la Farnesina, a seguito della singolare scelta di alcune istituzioni scolastiche e universitarie britanniche di richiedere agli studenti italiani provenienti da determinate parti d'Italia di specificare la loro provenienza regionale al momento dell'iscrizione.
  Pur trattandosi di casi apparentemente sporadici, sin dall'inizio non vi è stata ombra di dubbio che si trattasse di un'inaccettabile ed ingiusta classificazione. Venutone a conoscenza, l'ambasciatore d'Italia a Londra Terracciano ha tempestivamente inviato una protesta formale al Foreign office, chiedendo l'immediata rettifica nei moduli presenti online nei vari distretti scolastici.
  Nel contempo, l'ambasciatore ha effettuato un passo sia presso il Ministro per l'Europa, Alan Duncan, che presso i vertici del Foreign office, ricevendo da entrambi le scuse per l'increscioso episodio e le rassicurazioni sul fatto che si sarebbe al più presto provveduto all'immediata rettifica dei formulari di iscrizione.
  Soltanto poche ore dopo, il Governo britannico ha inviato un comunicato ufficiale, con il quale la sopracitata classificazione linguistica veniva definita «un errore amministrativo nei codici linguistici in uso dal 2006» e si esprimeva rammarico per l'accaduto e per le offese eventualmente arrecate. Le autorità britanniche si sono inoltre dichiarate pronte a modificare i moduli in questione, raggruppando tutti i madrelingua italiani sotto un unico codice.
  L'ambasciatore Terracciano è stato nuovamente contattato telefonicamente dal Ministro per l'Europa Duncan il quale, reiterando le scuse del Governo britannico per l'incidente occorso, lo aggiornava sui passi intrapresi. Le Autorità britanniche hanno infine fatto pervenire a metà ottobre una nota verbale con la quale hanno ribadito che si è trattato di un errore amministrativo e hanno assicurato che i codici linguistici sono stati corretti.
  Guardando alla vicenda nel complesso, è da ritenersi che, come anche affermato dall'ambasciatore Terracciano, l'errore sia stato dovuto, più che a una reale volontà discriminatoria, all'ignoranza e alla superficialità di qualche distretto, ovvero a iniziative motivate probabilmente dall'intenzione d'identificare inesistenti esigenze linguistiche particolari e garantire un ipotetico sostegno scolastico.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   VARGIU. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   i media sardi riportavano in data 7 gennaio 2017 il caso di una cittadina italiana, Gemiliana Assorgia, che ha denunciato attraverso i social network una situazione apparentemente surreale in cui sarebbe stata coinvolta durante la propria permanenza ad Ho Chi Minh City, in Vietnam;
   la connazionale, nel mese di ottobre 2016, durante un viaggio in Vietnam per ricongiungersi al figlio, sarebbe stata costretta a ricorrere alle cure dei medici locali in seguito ad un'aggressione consecutiva ad un diverbio con i gestori di un locale della capitale vietnamita e, successivamente, sarebbe stata derubata dei propri documenti;
   la connazionale, a tutt'oggi, si troverebbe ancora nella città vietnamita in attesa di vedere concluso l’iter di denuncia e di accertamenti delle responsabilità nell'episodio di aggressione subito;
   la connazionale denuncia sui social network di essersi rivolta alla rappresentanza diplomatica italiana locale, senza ricevere adeguata assistenza e tutela dei propri diritti –:
   quali iniziative urgenti intenda mettere in atto il Ministro interrogato per garantire adeguata tutela delle necessità e dei diritti della connazionale Gemiliana Assorgia, bisognosa di assistenza da parte della rappresentanza diplomatica italiana in Vietnam. (4-15096)

  Risposta. — La vicenda della signora Gemiliana Assorgia è stata e continua ad essere seguita con la massima attenzione dall'ambasciata d'Italia ad Hanoi, dal consolato generale d'Italia a Ho Chi Minh, e direttamente dalla Farnesina.
  La signora Assorgia si trova all'estero da molti anni anche se, non avendo mai voluto aggiornare la propria posizione anagrafica, è sconosciuta ai registri anagrafici della rete consolare italiana all'estero e risulta ufficialmente ancora residente in Italia.
  Si è rivolta per la prima volta alla nostra ambasciata la scorsa primavera, lamentando dei contrasti con una ditta tessile vietnamita con la quale collaborava. In quell'occasione ha anche denunciato presunti atteggiamenti persecutori nei suoi confronti e presunti mancati pagamenti per alcune prestazioni professionali già erogate. Nonostante il carattere esclusivamente privatistico della controversia, l'Ambasciata, dopo aver invitato l'interessata a sporgere denuncia, si è comunque interessata del caso per quanto possibile, cercando di favorire un contatto diretto con i rappresentanti della ditta e facendo comunque recuperare alla signora una somma di 6.000 dollari a titolo di indennizzo.
  Nell'ottobre del 2016, la signora si è rivolta al consolato generale italiano nella città di Ho Chi Minh, sostenendo di essersi trovata al centro di un tafferuglio e di essere stata colpita senza ragione. A seguito di questa segnalazione, il consolato generale si è immediatamente attivato fornendo ogni possibile assistenza e favorendo i contatti con numerose strutture sanitarie locali, sia nazionali che internazionali. Al termine degli accertamenti, le ferite riportate sono fortunatamente risultate di lieve entità.
  La sede si è poi attivata per facilitare la presentazione di una denuncia da parte della signora Assorgia e permettere quindi l'avvio delle indagini di Polizia. La signora tuttavia non ha mai risposto alle convocazioni della polizia per essere sentita anche su eventuali prove dell'aggressione, nonostante le fosse stata assicurata la presenza di un interprete e di un funzionario dell'ambasciata.
  Il consolato, che si è mantenuto in contatto con la polizia, tenendo sempre informata la connazionale, lo scorso 20 febbraio è stato informato dalle autorità locali che le indagini si sono concluse e che, stante l'entità dei danni subiti dalla signora Assorgia, non verrà aperto un procedimento penale. La signora potrà cercare di ottenere, in sede civile o extragiudiziale, un risarcimento.
  L'ambasciata è venuta anche incontro alle più immediate necessità economiche e logistiche della signora. A quest'ultima è stato infatti concesso un prestito di 400 euro. Va tuttavia rilevato che la signora si è presentata dopo diversi giorni dall'approvazione del prestito, esigendo che la somma venisse erogata fuori dall'appuntamento concordato e al di fuori dei normali orari di ricevimento. Anche in questo caso la sede è venuta incontro alle esigenze della connazionale, nonostante tali modalità di intervento siano normalmente riservate a casi ben più urgenti e gravi. La signora è stata inoltre ripetutamente aiutata nella ricerca di una sistemazione abitativa, ritenendo tuttavia tutte le offerte inadeguate alle proprie esigenze.
  L'ambasciata ha inoltre prestato tutta l'assistenza possibile per aiutare la signora Assorgia a rinnovare il passaporto e il visto di soggiorno in Vietnam. Dopo aver in entrambi i casi chiesto e poi rifiutato l'assistenza del Consolato di Ho Chi Minh, interrompendo le pratiche lì avviate, la Signora si è rivolta all'ambasciata ad Hanoi, chiedendo l'immediata emissione di un nuovo passaporto. Nonostante il pochissimo tempo a disposizione, l'ambasciata si è subito attivata, finalizzando in pochi giorni la procedura.
  Per quanto riguarda il visto di soggiorno, nonostante i ripetuti inviti e offerte di aiuto dell'ambasciata a regolarizzare la propria situazione, la signora si è dapprima rifiutata di recarsi presso il locale Ufficio immigrazione, paventando presunti tentativi di estorsione da parte dei funzionari vietnamiti, poi – il 15 febbraio – si è recata a ritirare il documento di viaggio sul quale è stato apposto un visto valido fino al prossimo 26 marzo.
  In tutto questo periodo, la signora Assorgia pretendeva un intervento dell'ambasciata volto ad ottenere un visto a tempo indeterminato e a titolo gratuito. La signora pretendeva inoltre che l'Ambasciata si facesse carico della somma di denaro che le autorità locali pretendono da lei a titolo di ammenda per non aver provveduto a regolarizzare la sua situazione nel Paese.
  La Farnesina e l'ambasciata d'Italia ad Hanoi continueranno a rimanere in contatto con la connazionale per venire incontro alle sue esigenze. Tuttavia, come anche fatto presente ai famigliari della connazionale che vivono in Italia, sarà necessario che la «Signora Assorgia sia più disponibile a seguire le indicazioni e le offerte di aiuto che le vengono prestate, al fine di poter ricevere un'efficace azione di assistenza. Come sopra detto, numerose sono le azioni poste in essere dalle rappresentanze diplomatiche italiane in Vietnam per assistere la connazionale nelle sue ripetute richieste di aiuto. Ciononostante, spiace rilevare come l'interessata non abbia sempre mantenuto un atteggiamento collaborativo e coerente e che i toni da lei usati (anche pubblicamente attraverso i social media) nei confronti del capo missione e del personale che l'ha assistita siano spesso risultati censurabili.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'Unione Italiana dei ciechi (UICI), fondata a Genova il 26 ottobre 1920, eretta in ente morale con regio decreto 29 luglio 1923, n. 1789, è una organizzazione non lucrativa di utilità sociale (ONLUS), dotata di personalità giuridica di diritto privato per effetto del decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978. L'Unione è posta sotto la vigilanza del Ministero dell'interno, esercita le funzioni di rappresentanza e di tutela degli interessi morali e materiali dei ciechi e dagli ipovedenti ad essa riconosciute con decreto-legge del Capo provvisorio dello Stato 26 settembre 1947, n. 1047 e confermate con decreto del Presidente della Repubblica 23 dicembre 1978;
   ai sensi del decreto-legge del Capo provvisorio dello Stato n. 1047, l'Unione «collabora con le competenti Amministrazioni dello Stato nello studio dei problemi della cecità e delle provvidenze a favore dei ciechi». Scopo dell'UICI è l'integrazione dei ciechi e degli ipovedenti nella società. A tal fine, promuove ed attua, anche mediante la creazione di apposite strutture operative, ogni iniziativa a favore dei ciechi e degli ipovedenti, in base a specifiche convenzioni con le pubbliche amministrazioni competenti o, relativamente a tipologie d'interventi non realizzate da queste, previa comunicazione alle medesime;
   il direttivo centrale di Roma dell'Unione italiana ciechi, in data 3 marzo 2016, ha commissariato la sua articolazione territoriale regionale che ha sede ed opera in Sicilia. Dalle motivazioni che si riscontrano dagli atti di adozione del provvedimento, emergono alcuni dubbi riguardo alla proporzione delle contestazioni sollevate e alla consistenza del provvedimento adottato;
   le stesse contestazioni sollevate, poi, ed il relativo deliberato di scioglimento del consiglio regionale siciliano dell'Unione italiana ciechi, suscitano preoccupazioni e dubbi circa le garanzie costituzionalmente riconosciute e tutelate e che sono volte ad assicurare il rispetto del principio della democrazia, della libertà e dell'autonomia, all'interno delle associazioni; esse fanno scorgere dubbi circa l'ipotesi di una vera e propria violazione del canone di correttezza e buona fede ex articolo 1375 codice civile che deve ispirare anche i rapporti sociali;
   il consiglio regionale siciliano dell'UICI è finanziato, in via ordinaria, con apposite previsioni di legge, dalla regione siciliana per l'espletamento di attività e servizi a sostegno dei bisogni dei ciechi e degli ipovedenti dell'isola ed un provvedimento di commissariamento, dunque, laddove non fosse pienamente conforme alla legge, rischierebbe di gettare ombre ed attivare procedure utili solo a compromettere e pregiudicare lo svolgimento di quelle fondamentali attività in favore di una categoria così sensibilmente debole e svantaggiata;
   il commissariamento, difatti, ha già gravemente minato la credibilità del consiglio regionale siciliano e dei componenti dell'organo commissariato ed incide sulla regolarità e l'efficacia dei rapporti quotidianamente intercorrenti con i soci nonché con le istituzioni politiche e amministrative regionali, rischiando di compromettere le importanti iniziative intraprese. I dubbi sulla legittimità del provvedimento, perciò, hanno inevitabilmente finito col provocare ferme denunce da parte di quanti lo hanno subito; denunce che si sono tradotte nella necessità di un ricorso giudiziario attualmente pendente davanti al foro competente di Roma;
   il consiglio regionale siciliano dell'UICI è stato promotore dell'istituzione della stamperia regionale braille per la produzione di materiale tiflotecnico, tiflodidattico e libri con caratteri ingranditi per ipovedenti e ogni altro materiale didattico, anche informatico, utile per l'inserimento scolastico e l'integrazione sociale dei minorati della vista. La stessa Unione regionale ha promosso la realizzazione del centro regionale Helen Keller per il recupero socio-lavorativo dei non vedenti e degli ipovedenti, mediante l'acquisizione delle tecniche di autosufficienza, autonomia personale, orientamento e mobilità in ambiente domestico, lavorativo interno ed esterno, anche attraverso l'uso del bastone bianco, con annessa scuola per cani guida per ciechi, allevamento, selezione ed addestramento dei cani guida, assegnazione del cane al non vedente ed educazione del non vedente all'utilizzo del cane guida. Numerose leggi regionali (si ricordano, tra le varie la legge regionale 7 agosto 1990 n. 28 e la legge regionale 30 aprile 2001, n. 4) sono state approvate per sostenere le iniziative del consiglio regionale dell'UICI. Le leggi finanziarie regionali, inoltre, stanziano ogni anno importanti contributi economici per finanziare le attività dell'Unione in ambito regionale;
   il nuovo statuto dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti, così come modellato e poi approvato dal nuovo gruppo dirigente nazionale dell'associazione, ha cancellato del tutto la rappresentanza legale precedentemente assegnata a ciascuno dei presidenti provinciali e regionali dell'Unione italiana ciechi, prevedendo la concentrazione della stessa in capo al solo presidente nazionale. Tale previsione, decisamente accentratrice, ad avviso dell'interrogante, non solo è foriera di pregiudizi a scapito dell'autonomia patrimoniale e fiscale delle articolazioni locali dell'organizzazione, così come oggi tutelate dalla legge, ma rischia altresì di compromettere le prerogative e gli ambiti di interesse delle regioni autonome a statuto speciale e delle stesse regioni a statuto ordinario. Una condizione evidentemente pregiudizievole se si considera che l'eliminazione della rappresentanza legale dei presidenti regionali e provinciali del sodalizio pregiudica appunto l'opportunità di far ricorso ai sostegni finanziari ed ai contributi regionali, e ciò vale sia per le articolazioni regionali dell'organizzazione che già ne usufruiscono, sia per quelle che se ne potranno giovare –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se, per quanto di competenza, il Governo intenda, predisporre un'attenta verifica del nuovo statuto dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti (attualmente depositato presso la prefettura di Roma ed al vaglio della stessa), al fine di limitare o, meglio, eliminare del tutto, il rischio che tale statuto possa contenere profili e caratteri anti-democratici tali da mettere a rischio gli interessi morali e materiali della categoria e da compromettere nel contempo la struttura democratica dell'associazione. (4-14050)

  Risposta. — Nell'interrogazione indicata in esame, viene richiamata l'attenzione di questa Amministrazione sul nuovo statuto dell'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti che, così come modellato e poi approvato dal gruppo dirigente nazionale dell'associazione, cancellerebbe la rappresentanza legale precedentemente assegnata a ciascuno dei presidenti provinciali e regionali dell'Unione italiana ciechi, prevedendo la concentrazione della stessa in capo al solo presidente nazionale.
  In particolare, l'interrogante chiede al Ministero dell'interno di predisporre un'attenta verifica del menzionato statuto per evitare che possa contenere elementi tali da mettere a rischio gli interessi morali e materiali della categoria e compromettere, nel contempo, la struttura democratica dell'associazione.
  In merito a tale problematica, occorre innanzitutto rilevare che l'Unione italiana dei ciechi e degli ipovedenti è un ente con personalità giuridica di diritto privato, articolato in strutture regionali e provinciali e sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'interno con decreto del Presidente della Repubblica 27 febbraio 1990.
  Come accade per tutti gli enti di diritto privato rientranti nel novero degli organismi di promozione sociale, quindi, le finalità istituzionali dell'Unione italiana ciechi e la nomina degli organi direttivi sono regolate dalle norme statutarie, mentre all'Amministrazione dell'interno viene riconosciuto un generico potere di vigilanza che non comprende l'approvazione delle delibere, neanche di quelle aventi un più rilevante significato.
  Peraltro, non essendo prevista in capo a questo Ministero la nomina della maggioranza dei componenti degli organi direttivi, non viene a configurarsi alcuna influenza dominante del soggetto pubblico.
  Solo nelle fattispecie previste dall'articolo 15 del decreto-legge n. 98 del 2011 e, in particolare, quando il bilancio non venga deliberato o si verifichino disavanzi per due esercizi consecutivi, è previsto il potere di commissariamento governativo.
  Al di fuori di queste ipotesi, la vigilanza sull'ente deve comunque esplicarsi nel rispetto dell'autonomia statutaria e non comporta la facoltà di incidere sulle delibere, neanche quelle di più rilevante impatto.
  Quanto alle modifiche statutarie, la Prefettura di Roma ha reso noto di averle approvate con provvedimento del 18 maggio 2016, avendole ritenute conformi alla normativa vigente e coerenti con le altre disposizioni dello statuto.
  Tali modifiche erano state adottate dall'ente in data 5-8 novembre 2015 con delibera del XXIII Congresso nazionale e successivamente sottoposte all'approvazione della menzionata Prefettura – ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 361 del 2000 – per l'iscrizione nel Registro delle persone giuridiche.
  Tra i cambiamenti di maggior rilievo, si annovera la modifica dell'articolo 17, con cui è stata disposta la costituzione di una direzione regionale avente funzioni di organo esecutivo con prerogative analoghe, a livello territoriale, a quelle della direzione nazionale.
  Altra modifica riguarda l'articolo 25 che ha previsto – in applicazione dei princìpi di partecipazione democratica di cui all'articolo 1, comma 5, dello Statuto – che le candidature per le elezioni del Consiglio nazionale vengano presentate tramite liste collegate alla carica di presidente nazionale, a tutela e garanzia delle minoranze.
  L'articolo 27 del nuovo statuto, poi, ha riconosciuto anche ai consigli regionali e alle sezioni territoriali la facoltà di presentare proposte di modifica dello Statuto.
  Quanto al commissariamento dell'articolazione siciliana dell'Unione, risulta a questa Amministrazione che la Direzione nazionale dell'ente abbia deliberato lo scioglimento del Consiglio Regionale UIC della Sicilia « avendo ravvisato la sussistenza di gravi irregolarità di natura amministrativa e politico-amministrativa»; in conseguenza di ciò, ha provveduto a nominare un commissario straordinario che ha assunto i poteri del Consiglio stesso.
  Avverso la deliberazione di scioglimento i diretti interessati hanno aperto un contenzioso dinanzi al tribunale civile di Roma per l'annullamento o la declaratoria di nullità della medesima ai sensi dell'articolo 23 del codice civile, previa sospensione dell'efficacia del provvedimento.
  Per quanto concerne la fase di merito, si informa che la causa è stata rinviata al 6 febbraio 2017, onde consentire l'integrazione del contraddittorio nei confronti del pubblico ministero (vertendo la causa su materia di associazioni riconosciute ed essendo, quindi, obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero).
  Per ciò che riguarda invece la fase cautelare, il giudice si è riservato di decidere sull'istanza di sospensione.
  In conclusione, nel ribadire che la vigilanza che l'Amministrazione esercita sull'ente deve comunque esplicarsi nel rispetto che è dovuto all'autonomia statutaria del medesimo, si ritiene opportuno che la soluzione delle questioni richiamate nell'interrogazione sia rimessa alle decisioni dell'autorità giudiziaria già investita dai diretti interessati.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   ZACCAGNINI, ZAN, MALISANI, MARTELLI, AMATO, LACQUANITI e BRUNO BOSSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il «piano di conservazione e gestione del lupo» voluto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ha ottenuto il primo via libera tecnico della Conferenza Stato-regione. Si tratta di un piano che ha provocato forti reazioni da parte del mondo animalista e non solo in quanto, nell'ultima delle sue 22 «azioni», prevede la possibilità di abbattimento di esemplari di quella che è una «specie protetta»;
   dopo che il 24 gennaio 2017 l'abbattimento selettivo del lupo aveva ricevuto un primo «ok» dalla Conferenza Stato-regioni, si è scatenata una vera e propria tempesta di proteste: petizioni, raccolte firme, appelli. E così alcune amministrazioni regionali hanno fatto marcia indietro sulle uccisioni. A Lazio e Puglia, contrarie da subito, si è aggiunto l'Abruzzo, mentre Friuli, Veneto, Piemonte, Liguria e Campania, in varia misura, hanno chiesto un ripensamento. Ad annunciarlo è stato il presidente della Conferenza Stato-regioni Stefano Bonaccini: «Chiederò a nome della conferenza delle Regioni di rinviare in Conferenza Stato-Regioni l'approvazione del Piano lupo e delle misure che ne conseguono. Vogliamo approfondire la discussione. Credo che il ministro Galletti lo consentirà. Ci sarà così il tempo per approfondire meglio dal momento che ci sono alcune misure che rischiano di non essere convincenti». Ed infatti la decisione è stata confermata. Da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – a quanto si è appreso – non ci sono state obiezioni. Il piano dovrebbe tornare all'esame della Conferenza il 23 febbraio 2017;
   dai dati presentati a gennaio, dalla Lav, emerge un quadro preoccupante: secondo le stime, tuttavia sempre di difficile computo, i lupi uccisi illegalmente ogni anno oscillano tra il 10 e il 15 per cento della popolazione totale. Significa circa 300 lupi l'anno, uno ogni 29 ore. Un numero altissimo, che dimostra come il bracconaggio non sia stato in alcun modo arrestato e gli esperti sostengono che l'apertura agli abbattimenti non comporterebbe un ridimensionamento del fenomeno illegale, ma anzi lo sdoganamento culturale che è possibile abbattere il lupo, invece che proteggerlo. Le modalità con cui i lupi vengono uccisi sono tutte cruente: dall'avvelenamento allo sparo, dallo strangolamento con lacci metallici alle ferite delle tagliole che portano alla morte. Senza citare le macabre esposizioni nei luoghi pubblici di parti di lupi asportate dopo l'uccisione;
   gli abbattimenti selettivi sarebbero inutili per gli allevatori, dannosi per la specie e l'agricoltura e, soprattutto, pericolosi per i già malati ecosistemi italiani. Mentre il piano per la conservazione del lupo, sul quale la decisione è stata rimandata al 23 febbraio, contiene ottime misure preventive e in particolare pone l'accento sulle soluzioni dei cani randagi, la parte relativa all'abbattimento non sembra riscuotere consenso unanime nemmeno fra gli esperti;
   il 5 per cento di abbattimenti andrebbe ad incidere su una mortalità che è già estremamente elevata e potrebbe rappresentare un pericolo concreto per la conservazione di una popolazione vitale. A differenza di quanto può avvenire in altre specie l'abbattimento dei lupi non può essere selettivo, in quanto ogni singolo individuo del branco ha un ruolo sociale molto preciso. La presenza di ognuno garantisce la sopravvivenza del branco stesso, pertanto andando a rimuovere un qualunque individuo si potrebbero generare squilibri e ripercussioni tanto sulla sopravvivenza del branco quanto sulla sua capacità riproduttiva, la quale, come avviene anche in altre specie in cui è presente una femmina alfa, come gli ungulati, potrebbe addirittura aumentare –:
   se i Ministri interrogati alla luce di quanto descritto in premessa, non reputino di assumere iniziative per eliminare la parte riguardante gli abbattimenti controllati del lupo dal «piano di conservazione e gestione del lupo», mantenendo la parte restante del piano. (4-15548)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al piano di conservazione e gestione del lupo in Italia in discussione in sede di Conferenza Stato-regioni, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si segnala che la bozza di piano cui si fa riferimento non è quella in discussione in sede di Conferenza Stato-regioni.
  Peraltro, la bozza di piano oggi in discussione supera gran parte delle criticità sollevate, proprio in ragione del costruttivo confronto tecnico fra amministrazioni centrali e regionali che ha portato alla chiusura tecnica del procedimento.
  Rispetto alla possibilità di rendete pubblico il piano prima della sua approvazione da parte della conferenza si segnala che di prassi, fino alla chiusura del procedimento, tali atti sono riservati e accessibili solo alle Amministrazioni concertanti.
  Riguardo i dati nazionali richiesti, si evidenzia che il lupo in Italia è una fra la specie più studiate e meglio conosciute, con una popolazione minima stimata di 1070 individui per la popolazione appenninica e di 100 individui per la popolazione alpina.
  La forte ripresa del lupo negli ultimi decenni ha portato a riconoscere la specie in uno stato di conservazione soddisfacente rispetto ai parametri della direttiva «Habitat» e a migliorare la sua classificazione da minacciata a vulnerabile nella classificazione della lista rossa IUCN, rappresentando gli esiti di un successo per il nostro Paese.
  Per assicurare una maggiore e più coerente gestione e conservazione del lupo, a partire dal 2016 è stato avviato un lavoro per la redazione di un nuovo piano di azione per il lupo.
  L'ultimo piano redatto da ISPRA, infatti, risaliva al 2002, dunque, sono stati consultati e raccolte le proposte di oltre 70 esperti, per la redazione del nuovo piano, che è stato costantemente condiviso con ISPRA e coordinato dal professor Luigi Boitani, uno dei massimi esperti di lupo di fama internazionale, appartenente all'Unione zoologica italiana.
  Il piano in questione è stato posto in consultazione ai maggiori portatori di interessi ed è il risultato di un lungo percorso di dibattito e condivisione, nonché di diverse riunioni tecniche in sede di conferenza Stato-regioni, nel corso delle quali sono state accolte la maggior parte delle proposte e degli emendamenti formulate dalle regioni stesse.
  I principi fondanti del «piano» sono la conservazione e tutela della specie ma anche la risoluzione sostenibile dei conflitti con le attività antropiche.
  Il «piano» prevede 22 azioni di conservazione: misure per la prevenzione dei danni da predazione, nucleo antibracconaggio composto dai Carabinieri forestali e dalle polizie locali, l'addestramento di cani al rilievo di bocconi avvelenati, le vaccinazioni dei cani randagi per ridurre l'ibridazione con i lupi e le predazioni altrimenti spesso attribuite ai lupi, oltre ad una più stretta regolamentazione dello strumento delle deroghe al divieto generale di rimozione già previsto dalla legislazione vigente.
  Tali deroghe, infatti, sono autorizzabili solo a seguito di precise condizioni e in piena conformità con la normativa comunitaria e nazionale.
  Esse non rappresentano assolutamente l'apertura della caccia al lupo o un mezzo di controllo della specie, trattandosi, peraltro, di attività vietate per legge.
  Il piano, a fronte di una serie di strumenti, che sono quelli delineati nelle 22 azioni, non preclude in via assoluta la possibilità del ricorso ad una deroga, che in particolari situazioni critiche potrebbe rappresentare l'unico strumento risolutivo, a condizione che siano stati soddisfatti tutti i prerequisiti previsti.
  Tali prerequisiti consistono nella richiesta di deroga avanzata dall'amministrazione regionale, che quindi ha il pieno controllo sull'attivazione del processo; la documentazione prodotta dalla regione che attesti lo stato favorevole della popolazione del lupo e la non incidenza della deroga sulla conservazione della popolazione stessa; la documentazione prodotta dalla regione che attesti la messa in opera delle più idonee misure di prevenzione e di controllo del randagismo canino; la documentazione prodotta dalla regione che attesti l'assenza di altre soluzioni valide; la documentazione prodotta dalla regione sull'attuazione delle misure di competenza previste dal piano.
  Sulla base di quanto detto, ISPRA è chiamata ad una valutazione caso per caso e deve accertare la sussistenza di tali requisiti e la piena rispondenza delle condizioni fissate dalla normativa vigente per questo tipo di deroga.
  Solo a seguito del parere di ISPRA, il Ministero può autorizzare la rimozione di singoli individui, in un contesto che deve mantenere un carattere di eccezionalità.
  Pertanto, i passaggi sopra rappresentati evidenziano che si tratta di un procedimento amministrativo molto elaborato, che è sottoposto ad un parere dell'ISPRA e che non costituisce un automatico riconoscimento della deroga.
  Si segnala, inoltre, che in sede di riunione tecnica della conferenza Stato-regioni del 24 gennaio 2017 il testo è stato approvato in sede tecnica: è noto infatti che si ponga come punto di compromesso ed equilibrio fra le diverse istanze, ed ha raccolto la piena approvazione da parte di gran parte delle regioni, in quanto, la sola regione Lazio – in quella sede – ha espresso perplessità, in particolare sulla parte relativa all'applicazione delle deroghe.
  Le azioni di prevenzione rappresentano il nucleo centrale del piano, nella cui redazione è stato dato particolare risalto a tale aspetto, al fine di aumentarne l'efficacia e l'utilizzo. Tali azioni, inoltre, costituiscono un elemento di fondo irrinunciabile per avanzare l'eventuale richiesta di rimozione di un lupo.
  Il piano per il lupo tutela la specie, la difende dai rischi, bilancia il rapporto spesso difficile con le attività umane. E per questo uno strumento assolutamente irrinunciabile, di elevato valore scientifico.
  Alla luce delle informazioni esposte, il Ministero dell'ambiente continuerà a operare senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione sul tema.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, SIMONE VALENTE, DE ROSA, MICILLO, VIGNAROLI e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Baia del Silenzio, collocata nel comune di Sestri Levante, si trova a ridosso di due importanti aree SIC (Sito di interesse comunitario): i fondali di Punta Sestri –IT1333372– e Punta Manata –1171333308;
   dall'estate 2015 vengono segnalate chiazze verdastre maleodoranti nel mare della Baia del Silenzio a Sestri Levante (Genova), una delle spiagge più note d'Italia. Quest'anno l'estensione è incrementata rispetto al 2015, rendendo non appetibile la balneazione nelle aree interessate, oltre 100 metri di battigia erano interessati mediamente da questa sgradevole presenza. Tale fenomeno sta interessando in maniera incrementale altre pregevoli baie sulle coste italiane. Cito quella di San Michele di Pagana sempre nel golfo del Tigullio;
   in data 23 agosto 2016 è stata inviata richiesta all'agenzia regionale per la protezione dell'ambiente ligure (Arpal) per avere contezza di eventuali studi sui fenomeni di eutrofizzazione a livello delle baie sestresi, su eventuali criticità chimico-fisiche e microbiologiche e sulla presenza di scarichi abusivi. Nella pronta risposta è stato evidenziato come sia in corso da parte di Arpal il monitoraggio della balneabilità, della presenza di alghe come la Ostreopsis ovata (tossica) e della qualità dell'ambiente marino, ricercando e tipizzando il fitoplancton. Arpal ha evidenziato la presenza di microalghe fra cui la Pyramimonas spp presente in Baia del Silenzio con oltre 13 milioni di cellule per litro d'acqua, tingendo l'acqua di colore verde intenso (è sufficiente un milione di cellule per dare la colorazione);
   studi microbiologici nella baia stessa hanno evidenziato Escherichia coli e Enterococchi ampiamente al di sotto del limiti di legge. Il dottore Giovanni Ferretti, responsabile documentazione ambientale dell'ufficio per le relazioni con il pubblico dell'Arpal, ha ricordato come il depuratore di Sestri Levante stia operando in assenza del provvedimento autorizzativo, per la mancanza dei requisiti di conformità previsti. Tali insufficienze strutturali dell'impianto hanno annualmente determinato l'erogazione di sanzioni da parte di Arpal;
   il rapporto dell'istituto superiore di sanità (ISS) del 2005 sulle alghe tossiche, evidenzia come la presenza dell'alga Pyramimonas spp. sia legata a dati climatici (elevata temperatura delle acque), a confinamento degli spazi idrici e a presenza di nutrienti (fosfati e nitrati in particolare ascrivibili soprattutto a scarichi civili non trattati adeguatamente). L'assenza di tossicità della Pyramimonas spp. in realtà è intesa come assenza di tossine che danneggino altre forme di vita direttamente. La sua stessa proliferazione causa il consumo dei nutrienti e dell'ossigeno presenti nell'acqua marina, limitando a valle la possibilità di sopravvivenza per altre specie marine a maggiore profondità;
   i consiglieri comunali del M5S di Sestri Levante, Martino Tassano e Francesco Sartelli, stanno monitorando da tempo la presenza di possibili scarichi abusivi di «acque nere» nelle baie sestresi, arrivando a una parziale esplorazione sotterranea del Rio Ravino insieme ai tecnici del gestore della rete Idrotigullio in data 22 agosto 2016, segnalando evidenti criticità e presenza di scarichi abusivi, rimandando a valutazioni più approfondite che andranno svolte con l'ausilio di tecnici specializzati;
   in data 25 agosto 2016 è stato consegnato al Comandante del porto di Sestri Levante, Francesco Colella, l'esposto presentato da Tassano a Idrotigullio e al comune di Sestri Levante, in cui si ricorda che la manutenzione dell'alveo del rio Ravino e della rete acque bianche e a carico dell'ente comunale, che la manutenzione della rete acque nere è a carico dell'azienda Idrotigullio S.p.A, che l'individuazione di eventuali scarichi abusivi e/o sversamenti causati anche dalla rottura di condotte fognarie è a carico di entrambi gli enti sopracitati e si evidenzia che, a seguito dell'inquinamento delle acque marine, l'ente statale della capitaneria. Di porto riconosciuto nell'ufficio locale marittimo di Sestri Levante è autorizzato, con i propri uomini e mezzi, a risalire il corso fluviale sino al punto di sversamento dell'agente inquinante;
   l'ispezione del lato levante della Baia del Silenzio, a livello delle scogliere, ha mostrato diverse colate maleodoranti verso la Baia, Già in passato i consiglieri M5S avevano chiesto, inascoltati, alla giunta sestrese un'ordinanza per la mappatura degli scarichi e per l'allacciamento alla rete fognaria delle abitazioni soprastanti la baia. Eventuali fosse di Imhoff in questa zona non appaiono adeguate perché possono inquinare il mare. La messa a regime del depuratore esistente o la costruzione di un nuovo depuratore potrà chiaramente migliorare la situazione ma se persisteranno a monte criticità negli allacci alla rete delle acque nere tale intervento sarà parziale;
   tra le altre fonti inquinanti in particolare nelle acque confinate, si segnalano le imbarcazioni a motore in baia, i combustibili marini sono sempre più inquinanti e peggiorano anch'essi l'eutrofizzazione. L'utilizzo di detersivi ricchi di fosfati che confluiscono al mare tramite le acque bianche contribuisce a peggiorare la situazione;
   un altro elemento impattante è l'utilizzo del detergente stradale Qualisan nel territorio comunale. Tale prodotto contiene Alchil Dimetil Benzil Ammoniocloruro e fragranze e riporta i codici H400 e R50 di tossicità acquatica. Sulla costa di Sestri Levante è stato riscontrato un forte odore di disinfettante nei giorni successivi allo spandimento di tale composto. E stata anche evidenziata la riduzione della, fauna ittica in prossimità delle sponde da alcuni anni –:
   quali iniziative per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano assumere per limitare il proliferare delle alghe, i fenomeni di eutrofizzazione in generale e i loro conseguenti effetti negativi sul turismo;
   se si intendano, per quanto di competenza, eseguire monitoraggi sulle mappature degli scarichi abusivi e sulla funzionalità dei depuratori costieri;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda verificare la compatibilità ambientale di Qualisan e detersivi analoghi come detergenti stradali e se intenda stimolare l'utilizzo di detergenti ecosostenibili in particolare nelle aree costiere. (4-14157)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente proliferazioni di fitoplancton nella costa del comune di Sestri Levante (Genova), si rappresenta quanto segue.
  La normativa che regolamenta la gestione della qualità delle acque di balneazione (decreto legislativo n. 116 del 2008) all'articolo 12 stabilisce che in caso di proliferazione di fitoplancton o macroalghe debbano essere valutati tutti i rischi per la salute ed eventualmente adottate opportune misure di gestione, compreso se del caso un monitoraggio specifico supplementare. Tali competenze restano in capo alla regione.
  Quanto agli effetti dell'alga Pyramimonas, non sono riportati in letteratura effetti tossici causati da questa alga; infatti, la specie in questione è annoverata tra quelle che non sono potenzialmente tossiche, in grado cioè, a determinate condizioni, di produrre tossine pericolose per la salute umana o per gli organismi acquatici. Per tali motivi non risultano essere adottate misure di gestione volte a fronteggiare la suddetta proliferazione, essendo, peraltro, i parametri relativi alla balneabilità nella norma.
  I fattori responsabili della presenza di abbondanze massive di questa specie non sono ben conosciuti. Tuttavia, particolari condizioni climatiche e di idrologia locale (ad esempio, scarso idro dinamismo con scarso rimescolamento della colonna d'acqua, elevate temperature, eccetera) associate ad uno squilibrio dei carichi di nutrienti (quantitativi di azoto, fosforo e materia organica) contribuiscono in maniera significativa allo sviluppo algale. L'area oggetto della fioritura sembra, quindi, possedere le caratteristiche ideali per aspettarsi tali fenomeni in quanto trattasi di una piccola baia con acque poco profonde parzialmente confinata da barriere frangiflutti, favorendo così una maggiore stratificazione della colonna d'acqua.
  Per quanto riguarda la disponibilità di nutrienti, d'altronde, risulta alquanto difficile valutare il reale contributo di questi all'innesco e mantenimento del fenomeno di fioritura.
  Spetta, comunque, alle autorità locali competenti accertare l'eventuale presenza di scarichi illeciti nell'area, ivi inclusi eventuali apporti da parte delle numerose imbarcazioni che frequentano la baia, e mettere in atto tutte le opportune misure di miglioramento, a prescindere che queste possano essere efficaci anche in relazione alla questione dei blooms algali.
  Si fa presente, inoltre, che proprio per tutte le caratteristiche descritte, generalmente si tratta di fenomeni che con il variare delle condizioni climatiche e idrologiche tendono a risolversi spontaneamente.
  Per quanto riguarda, infine, la richiesta se si intenda «verifica di compatibilità ambientale di Qualisan e detersivi analoghi come detergenti stradali...», si evidenzia che i detergenti impiegati per la pulizia del manto stradale non sono sottoposti ad autorizzazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.