Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 28 febbraio 2017

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'Unità d'Italia costò la vita a migliaia di valorosi cittadini meridionali;
    dall'unificazione ad oggi, però, testi scolastici, giornali e media nazionali hanno diffuso notizie poco precise, insufficientemente dettagliate e sommarie sulla storia delle vittime «meridionali» che si sacrificarono nel corso delle vicende che condussero all'Unità d'Italia, nell'ambito di un processo che ad avviso dei firmatari del presente atto fu di sostanziale annessione del Mezzogiorno;
    il processo di unificazione dell'Italia costò la vita ad almeno 25.000 meridionali in base a documenti di morti «certificate», ma numerosi storici sostengono che le vittime furono più di 100.000;
    ignobili stragi furono perpetrate nei confronti di tali cittadini e numerosi paesi furono letteralmente rasi al suolo: basti ricordare le stragi di Pontelandolfo, Casalduni o Auletta;
    ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo è inaccettabile che non esista una giornata della memoria nazionale in onore delle migliaia di meridionali che perirono nel corso del processo di «annessione» del Mezzogiorno,

impegna il Governo:

1)  a promuovere le opportune iniziative al fine di istituire una giornata nazionale in cui ricordare i cittadini meridionali che perirono in occasione dell'Unità d'Italia;
2)  ad avviare tutte le iniziative di competenza per incentivare, promuovere ed organizzare eventi per commemorare le vittime dell'epoca e i paesi rasi al suolo, coinvolgendo anche gli istituti scolastici di ogni ordine e grado.
(1-01523) «De Girolamo, Elvira Savino, Sisto, Distaso, Latronico, Catanoso, Gullo, Bosco, Crimi, Michele Bordo, Stumpo, Lauricella, Luigi Cesaro, Palese, Altieri, Ciracì, Occhiuto».


   La Camera,
   premesso che:
    a dispetto di importanti provvedimenti volti a ravvivare la memoria dell'esodo e delle vittime delle Foibe, gli esuli giuliani e dalmati sono oggetto di situazioni di fatto e di diritto ritenute, a giusto titolo, inique, quali – a titolo di esempio – le seguenti:
     persisterebbe l'uso di dichiarare nati in Jugoslavia gli esuli venuti alla luce prima del 15 settembre 1947 in territori sui quali l'Italia esercitava la sua sovranità, e ciò malgrado la vigenza della legge 15 febbraio 1989 n. 54 che statuisce, esplicitamente, pur essendo sprovvista di sanzioni a carico delle amministrazioni inadempienti, il divieto di tale dichiarazione;
     sarebbero tuttora vigenti disposizioni che prevedono l'erogazione di residue pensioni agli sloveni o croati che collaborarono con l'Italia anche per brevi periodi di tempo, inclusi taluni soggetti che, nelle fasi finali della Seconda guerra mondiale, e subito dopo, si abbandonarono alle peggiori violenze contro giuliani e dalmati;
     mancherebbero una precisa individuazione e una demarcazione dei siti in cui si trovano le foibe, le fosse comuni ed i luoghi dei massacri, cosa che preclude a familiari e superstiti la possibilità di recitare almeno una preghiera presso le tombe senza nome dei propri caduti;
     risulterebbe fuorviante la ricostruzione dei fatti storici presente in alcuni libri di testo destinati alle scuole, per non dire del silenzio o del negazionismo circa la tragedia del popolo giuliano, istriano e dalmata;
     a 13 anni dall'entrata in vigore della legge 30 marzo 2004, n. 92, parrebbero rimaste spesso disattese le disposizioni concernenti l'obbligo di celebrare il «Giorno del Ricordo» nelle scuole di ogni ordine e grado, in quanto affidate alla discrezionalità dei singoli, mentre i conferimenti delle medaglie e degli attestati in onore dei caduti sarebbero largamente inferiori al numero delle vittime;
     non si è mai provveduto a decorare con la medaglia d'oro al valore la città di Zara, malgrado l'intendimento già manifestato a suo tempo dalla Presidenza della Repubblica;
     nonostante il comune interesse per un'effettiva riconciliazione in tale ambito, le iniziative predisposte a tal fine hanno avuto caratteri occasionali;
     ha costituito motivo di rammarico per gli esuli giuliani, istriani e dalmati il fatto che gli ultimi due Presidenti della Repubblica non abbiano onorato di una propria visita ufficiale il Sacrario Nazionale della Foiba di Basovizza;
     esiste una somma versata in Lussemburgo da parte del Governo sloveno, in parziale esecuzione di alcune statuizioni degli accordi di Osimo, e pari ad una cifra nell'ordine di circa 100 milioni di dollari, che gli esuli interessati riterrebbero di loro spettanza (e non destinati ad una possibile acquisizione da parte del Ministero dell'economia),

impegna il Governo:

1) ad assumere le opportune iniziative affinché presso gli uffici dell'anagrafe i soggetti interessati non siano identificati come nati in Jugoslavia se hanno visto la luce prima del 15 settembre 1947 in territori sloveni o croati, che erano, all'epoca, sotto la sovranità dello Stato italiano;
2) ad assumere iniziative di competenza per rivedere le posizioni di sloveni e croati che godono di pensioni concesse dall'Italia per il solo fatto di aver collaborato con il nostro Paese per brevi periodi, nonché per rimuovere il beneficio della reversibilità al coniuge superstite di tali cittadini stranieri, che è nella misura del 100 per cento, in luogo del 60 per cento applicato ai cittadini italiani;
3) a promuovere ogni utile iniziativa diplomatica al fine di far sì che le controparti slovene e croate si impegnino a collaborare nella manutenzione dei cimiteri con sepolcri italiani che insistono nei rispettivi territori, nonché all'individuazione, alla demarcazione ed alla visibilità dei siti ove ebbero luogo le stragi, in un'ottica di doverosa «pietas»;
4) ad assumere le iniziative di competenza affinché i testi scolastici in uso nelle scuole italiane riportino correttamente quanto accadde alle comunità italiane di Istria, Fiume e Dalmazia, ed in particolare, con riguardo ai massacri di vittime innocenti e all'identità etnica e culturale delle terre perdute dall'Italia a seguito del trattato di pace del 10 febbraio 1947;
5) ad assumere iniziative per onorare compiutamente il mondo dell'esodo giuliano-dalmata, sia attraverso le celebrazioni nelle scuole, sia tramite un'adeguata promozione del conferimento di medaglie ed attestati ai congiunti delle vittime, di cui alla legge 30 marzo 2004 n. 92, che s’è rivelato, ad avviso dei firmatari del presente atto, sinora marginale rispetto al numero dei potenziali aventi diritto;
6) a valutare l'opportunità di adottare le iniziative di competenza a fini del conferimento della medaglia d'oro al valor civile alla città di Zara, nonché ad altre città del territorio della Venezia Giulia, Istria e la Dalmazia che abbiano sofferto, in misura particolarmente significativa, il martirio delle stragi e della diaspora;
7) a promuovere cerimonie di effettiva e definitiva riconciliazione, con l'intervento attivo delle controparti slovene e croate e dei rispettivi Governi, e la partecipazione delle più alte cariche dello Stato alle commemorazioni che hanno luogo ogni 10 febbraio al Sacrario nazionale della Foiba di Basovizza;
8) ad assumere le iniziative di competenza per garantire la destinazione agli esuli giuliani e dalmati, nelle forme e nei modi di competenza, delle somme versate da parte degli Stati della ex Jugoslavia, in esecuzione degli accordi di Osimo, e depositate in Lussemburgo, pari a circa 100 milioni di dollari e relativi interessi maturati.
(1-01524) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni V e VII,
   premesso che:
    con delibera del Cipe n. 78 del 30 settembre 2011, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 21 gennaio 2012, nell'ambito del piano nazionale per il Sud – sistema universitario – venivano assegnati 315 milioni di euro al sistema universitario pugliese a valere sul ciclo di programmazione del FSC 2007-2013. Di questi, 49 milioni di euro venivano assegnati all'università del Salento per interventi infrastrutturali di ristrutturazione di alcuni edifici e realizzazione ex novo di altri edifici destinati a servizi agli studenti;
    la stessa delibera subordinava lo stanziamento dei fondi ad accordi da sottoscrivere tra università del Salento e regione Puglia, accordi che sarebbero stati sottoscritti solo ad ottobre 2014;
    con delibera del Cipe n. 21 del 30 giugno 2014 si ribadiva che le amministrazioni destinatarie dei fondi di cui sopra avrebbero dovuto costituire obbligazioni giuridicamente vincolanti (OGV) entro la data dal 31 dicembre 2015;
    gli interventi programmati e concordati da Università del Salento e regione, prevedevano la ristrutturazione di edifici storici in cui hanno o avevano sede alcune facoltà e/o servizi universitari agli studenti, come i palazzi Codacci Pisanelli, Buon Pastore, Inapli e istituto Garibaldi e la costruzione ex novo, tra l'altro, di nuovi laboratori didattici e di due biblioteche;
    in seguito alla firma degli accordi con la regione Puglia, l'università del Salento avrebbe avuto la materiale disponibilità delle somme solo a luglio del 2015 e da quel momento il Cipe avrebbe concesso ulteriori dodici mesi per bandire le gare, quindi fino a luglio 2016;
    nel frattempo, a giugno del 2016, in seguito all'approvazione del nuovo codice degli appalti, che prevede l'adeguamento alle nuove norme anche delle gare in corso d'opera, l'università avrebbe chiesto al Cipe una proroga che, pare, sia arrivata solo il successivo 1° dicembre 2016 con scadenza ultima per contrarre obbligazioni giuridicamente vincolanti al 31 dicembre 2016;
    nella stessa sede il Cipe avrebbe anche già stabilito i criteri e i destinatari delle somme derivanti da riprogrammazione dei fondi eventualmente non spesi al 31 dicembre 2016, destinandoli all'edilizia scolastica e, pare, solo alle scuole superiori, non anche alle università;
    in sede di conversione in legge del cosiddetto decreto-legge per il Sud alla Camera, il Governo ha espresso parere contrario alla proposta di un articolo aggiuntivo che mirava a prorogare al 31 dicembre 2017 il termine entro cui assumere le obbligazioni giuridicamente vincolanti (OGV) per complesso delle risorse assegnate alle amministrazioni centrali e regionali per l'intero ciclo di programmazione del FSC 2007-2013. Ciò determinerebbe quindi per molte amministrazioni, tra cui l'università del Salento, la definitiva perdita delle risorse assegnate con danni e disagi enormi a scapito degli studenti e del territorio;
    i motivi dei ritardi nell'assunzione di obbligazioni giuridicamente vincolanti non appaiono imputabili a ritardi delle amministrazioni (o non solo) ma a lentezze burocratiche, tempi morti e lunghi tra approvazione delle delibere del Cipe, registrazione alla Corte dei conti e pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, tempi morti e lunghi per la sottoscrizione dei relativi accordi con le regioni e, infine, all'approvazione di nuove norme nel codice degli appalti, con l'obbligo di revisione degli atti di gara (anche in atto) per allinearli alle nuove norme,

impegnano il Governo

ad assumere iniziative affinché, in sede di riprogrammazione da parte del Cipe dei fondi di cui sopra e per cui al 31 dicembre 2016 non sono state assunte dalle amministrazione beneficiarie obbligazioni giuridicamente vincolanti, vengano ricomprese non solo le scuole superiori, ma anche le università alle quali quei fondi erano stati inizialmente assegnati; ciò in virtù del fatto che la responsabilità dei ritardi nell'assunzione di obbligazioni giuridicamente vincolanti non è ascrivibile tutta alle suddette amministrazioni, essendosi nel frattempo verificati notevoli ritardi nell’iter burocratico di assegnazione dei fondi ed essendo stato approvato, proprio nella fase di pubblicazione delle gare, il nuovo codice degli appalti con obbligo di adeguare anche le gare già in atto, il tutto al fine di evitare la definitiva perdita di fondi determinanti per lo sviluppo infrastrutturale delle università del Mezzogiorno che, peraltro, penalizzate anche dai criteri di assegnazione del fondo di funzionamento ordinario, non potrebbero più realizzare interventi infrastrutturali fondamentali per garantire la qualità della vita e della formazione degli studenti.
(7-01200) «Palese, Bechis».


   La III Commissione,
   premesso che:
    la sussistenza delle armi nucleari rappresenta una minaccia alla sopravvivenza della stessa umanità e, per i popoli della Terra, liberarsi di tale minaccia rappresenta, più che una necessità, un diritto istitutivo e costitutivo della stessa vita sociale;
    secondo l'articolo VI del Trattato di non proliferazione delle armi nucleari (TNP), ratificato alla Repubblica Italiana con legge 24 aprile 1975, n. 131, ciascuna parte del trattato si impegna a perseguire in buona fede negoziati per definire, nel più breve tempo possibile, misure effettive che conducano alla cessazione della corsa agli armamenti nucleari e al disarmo nucleare e a un trattato sul disarmo generale e totale sotto il severo e effettivo controllo internazionale;
    secondo il parere della Corte internazionale di giustizia dell'Aja dell'8 luglio 1996, in applicazione del diritto internazionale ius in bello, sono illegittimi la minaccia o l'uso delle armi nucleari e, anche se la Corte non si è espressa sul caso di estrema legittima autodifesa, gli Stati devono comunque rispettare il diritto umanitario internazionale;
    ciascuno degli Stati militarmente non nucleari, che sia Parte del Trattato, «si impegna a non ricevere da chicchessia armi nucleari o altri congegni nucleari esplosivi, né il controllo su tali armi e congegni esplosivi, direttamente o indirettamente»;
    l'Italia, a giudizio dei presentatori del presente atto, ponendosi in contrasto con questo obbligo e in contrasto con l'articolo 26 della Convenzione di Vienna sul diritto dei trattati del 23 maggio del 1969, mette a disposizione il suo territorio per l'installazione, il transito, la deterrenza e l'uso di armi nucleari, in attuazione di accordi con gli USA e conformemente alle dottrine della «condivisione nucleare NATO»;
    l'Assemblea generale delle Nazioni Unite, con il voto del 23 dicembre 2016 sulla risoluzione A/C.1/71/L.41, ha avviato il nuovo, storico percorso che attuerà l'obiettivo conclamato del TNP mediante la predisposizione, come primo passo, di strumenti giuridicamente vincolanti per la proibizione delle armi nucleari che portino alla loro totale eliminazione;

impegna il Governo

a prendere attivamente parte alla conferenza Onu di New York decisa dalla citata risoluzione A/C.1/71/L41, nelle sessioni previste (marzo e giugno-luglio 2017), supportando gli Stati non nucleari e la International Campaign to Abolish Nuclear Weapons (ICAN) nel pervenire l'abolizione giuridica degli ordigni nucleari, adempiendo in tal modo agli stessi obblighi del Trattato di non proliferazione nucleare.
(7-01202) «Manlio Di Stefano, Spadoni, Di Battista, Grande, Del Grosso, Scagliusi».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    con il decreto-legge 22 ottobre 2016, n. 193, convertito con modificazioni dalla legge 1o dicembre 2016, n. 225, recante disposizioni in materia fiscale e per il finanziamento di esigenze indifferibili, è stata prevista la possibilità di definire in via agevolata i carichi di ruolo affidati agli agenti della riscossione negli anni compresi tra il 2000 e il 2016;
    tra i debiti definibili, rientrano anche i debiti di natura previdenziale;
    quanto alla definizione di debiti di natura previdenziale, le prime applicazioni della norma registrano un grave limite applicativo: l'adesione alla rottamazione dei ruoli, infatti, blocca il rilascio alle imprese del documento unico di regolarità contributiva (DURC) da parte dell'INPS e dell'INAIL, con tutte le pregiudizievoli conseguenze in tema di partecipazione agli appalti pubblici;
    la normativa predisposta per la definizione agevolata non disciplina tale fattispecie che pertanto non è ricompresa tra le condizioni di rilascio del DURC, previste dal decreto-legge n. 34 del 2014, nonché dal decreto interministeriale 30 gennaio 2015. In sostanza, l'impresa non risulterà regolare ai fini del rilascio del DURC fino a quando non provvederà al pagamento in un'unica soluzione o della prima rata del piano di rateazione richiesto (che il concessionario comunicherà al contribuente, come previsto dalla legge, solo entro il termine ultimo del 31 maggio 2017). Fino a tale momento, dunque, l'impresa che ha deciso di aderire alla definizione agevolata non è messa nella condizione di provvedere al pagamento e pertanto non potrà considerarsi regolare ai fini del rilascio del DURC;
    tale condizione non si verifica invece per le imprese che al momento della presentazione dell'istanza di definizione hanno già un piano di rateazione in corso. Si rammenta infatti che l'INPS, con proprio messaggio n. 21027 del 20 dicembre 2013, ha fornito importanti chiarimenti in tema di rilascio del DURC precisando che, anche nei casi di dilazione dei debiti presso l'agente della riscossione, il DURC deve essere rilasciato con esito regolare, tranne che non si accerti il mancato pagamento di otto rate, anche non consecutive;
    è evidente dunque il disallineamento normativo tra la disciplina prevista per la definizione agevolata e la normativa sulla regolarità dei pagamenti ai fini del DURC, che rischia di pesare gravemente sulle imprese, con danni economici irrimediabili in conseguenza della perdita di valide opportunità di lavoro;
    la questione è stata già sottoposta all'attenzione del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali, come emerso nel corso della recente riunione del tavolo tecnico – partecipato da Equitalia e dell'Ordine dei dottori commercialisti e degli esperti contabili di Roma – nel quale il concessionario ha evidenziato che la decisione in ordine al rilascio o meno del DURC resta di esclusiva competenza degli uffici dell'INPS e che in attesa di una soluzione applicativa, il DURC sarà irregolare fino al pagamento della prima o unica rata della definizione agevolate ed in assenza di una dilazione già in corso;
    sarebbe auspicabile un immediato intervento normativo risolutivo della questione;
    in generale, poi, sulla definizione agevolata andrebbero potenziati gli strumenti informativi circa le modalità di presentazione dell'istanza di definizione nonché in merito alla procedura, i termini e le modalità di pagamento, al fine di agevolare il più possibile la scelta dei contribuenti. Sono molteplici, infatti, le incertezze applicative che stanno emergendo nel corso delle riunioni tecniche richieste dalle associazioni e gli enti di rappresentanza delle diverse categorie di soggetti interessati proprio al fine di far chiarezza sulla portata applicativa delle disposizioni,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative, anche normative, volte a prevedere che in presenza di esposizioni debitorie per le quali il contribuente abbia richiesto l'accesso alla definizione agevolata di cui all'articolo 6 del decreto-legge n. 193 del 2016, si proceda al rilascio del DURC in via provvisoria, in attesa della definizione dell'istanza di adesione alla procedura agevolata e con revoca del provvedimento in caso di mancato pagamento della prima o unica rata prevista dal piano di dilazione, uniformandosi a quanto già previsto nei casi di ammissione alla rateazione ordinaria;
   ad assumere ogni iniziativa, anche normativa, volta a rafforzare gli strumenti informativi in merito alle modalità di accesso alla procedura di definizione agevolata e agli effetti connessi alla presentazione dell'istanza, al fine di agevolare la valutazione da parte dei contribuenti circa l'adesione alla procedura e rimuovere le incertezze applicative emerse in questi primi mesi di vigenza delle disposizioni.
(7-01204) «Sibilia, Cancelleri, Alberti, Pesco, Villarosa, Pisano, Ruocco, Fico».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    è stata recentemente approvata la legge di conversione del decreto-legge 30 dicembre 2016, n. 244, recante «proroga e definizione di termini. Proroga del termine per l'esercizio di deleghe legislative»;
    l'articolo 9, comma 3, del predetto decreto-legge dispone che «all'articolo 2, comma 3, del decreto-legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73, le parole: “31 dicembre 2016” sono sostituite dalle seguenti: “31 dicembre 2017”. Conseguentemente, la sospensione dell'efficacia disposta dall'articolo 7-bis, comma 1, del decreto-legge 10 febbraio 2009, n. 5, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 aprile 2009, n. 33, si intende prorogata fino al 31 dicembre 2017»;
    tale proroga ha ad oggetto la sospensione di efficacia della normativa introdotta dall'articolo 29, comma 1-quater, del decreto-legge n. 207 del 2008, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 14 del 2009 (che ha apportato modifiche sostanziali alla legge quadro n. 21 del 1992, in materia di trasporto di persone mediante autoservizi pubblici non di linea), in quanto da tale entrata in vigore scaturirebbero notevoli profili di criticità, sotto il profilo sia costituzionale, che di conformità con la normativa europea;
    la formulazione dell'articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 244 del 2016 come emendato in Senato, mira inoltre a superare definitivamente il contrasto interpretativo sviluppatosi negli anni passati sulla vigenza dell'articolo 29, comma 1-quater del decreto-legge n. 207 del 2008 oggetto dell'interrogazione n. 5/06111;
    infatti, malgrado l'inequivoco contenuto delle relazioni ai disegni di legge di conversione dei decreti-legge cosiddetti «Milleproroghe» approvati dal Parlamento negli anni precedenti, nonostante il costante orientamento del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (si veda al proposito ex pluribus il parere dato dal direttore generale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 7 settembre 2012 alla Camera di commercio di Frosinone) circa la sospensione e quindi la non vigenza del citato articolo 29, comma 1-quater, del decreto-legge n. 207 del 2008 alcune forze di polizia locale e alcuni uffici giudiziari, sulla base di un'interpretazione strettamente letterale delle norme, hanno più volte applicato le disposizioni del decreto-legge n. 5 del 2009, con gravissime ripercussioni sull'attività di noleggio con conducente e sulla certezza del diritto;
   in risposta alle proteste e ai disordini dei giorni scorsi relativi all'attuale formulazione dell'articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 244 del 2016, il Governo si è impegnato a emanare, entro un brevissimo termine, un decreto, contenente urgenti disposizioni attuative della normativa di settore, tese ad impedire pratiche di esercizio abusivo del servizio di taxi e del servizio di noleggio con conducente,

impegna il Governo:

   a non assumere iniziative volte a modificare l'articolo 29, comma 1-quater, del decreto-legge n. 207 del 2008 nonché l'articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 244 del 2016 sopra richiamato, a garanzia della certezza del diritto in materia;
   in relazione alle annunciate iniziative normative per contrastare l'abusivismo nel settore, a provvedere all'effettuazione di un controllo incrociato dei dati degli iscritti nei ruoli dei conducenti presso le camere di commercio, con quelli in possesso delle prefetture e dei tribunali, al fine di verificare il rispetto dei requisiti di onorabilità e idoneità morale assicurando, nel caso in cui tali requisiti siano venuti meno in capo ad alcuni iscritti, che si provveda alla loro espulsione dal ruolo;
   a fare in modo che le suddette iniziative normative tengano conto delle osservazioni formulate in materia dall'Autorità garante della concorrenza e del Mercato nel proprio parere del 29 settembre 2015;
   nell'ambito di tali iniziative normative, a diversificare in modo più netto gli ambiti di operatività dei servizi di taxi e di noleggio con conducente, chiarendo la distinzione tra utenza specifica e utenza indifferenziata di cui agli articoli 2, comma 1, e 3, comma 1, della legge 15 gennaio 1992, n.21, escludendo che possa considerarsi specifica l'utenza che avanza una richiesta immediata di trasporto direttamente al veicolo su strada;
   ad assumere iniziative normative volte a modificare l'articolo 3 della legge 15 gennaio 1992, n. 21, in modo tale da adeguarlo alla diffusione della telefonia mobile, eventualmente prevedendo, in sostituzione all'obsoleto riferimento alla rimessa quale sede della richiesta di servizio noleggio con conducente, che tale richiesta non possa essere accettata qualora consista in una richiesta immediata di trasporto direttamente al veicolo su strada, nonché a ridefinire la distribuzione delle competenze in materia, sulla base dei principi di sussidiarietà, differenziazione ed adeguatezza;
   a promuovere un più ampio intervento di adeguamento normativo, che consenta ai titolari di licenza taxi lo svolgimento di servizi integrativi quali il taxi ad uso collettivo o altre forme di organizzazione del servizio, senza prevedere che la materia sia disciplinata da norme secondarie che autorizzino tali servizi e anche tramite piattaforme telematiche;
   ad assumere iniziative normative per prevedere che i titolari di licenze o autorizzazioni all'esercizio di servizi di trasporto pubblico non di linea, in caso di condanna per interruzione di pubblico servizio ai sensi dell'articolo 340 c.p., o di sentenza emessa nei loro confronti ai sensi dell'articolo 444 c.p.p. per il medesimo reato, possano essere cancellati dal ruolo dei conducenti, indipendentemente dall'entità della pena concretamente irrogata;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a contrastare il fenomeno della compravendita delle licenze, riportando entro ambiti essenzialmente pubblicistici la concessione delle licenze stesse, prevedendo lo svolgimento di apposite gare.
(7-01199) «Catalano, Oliaro, Monchiero, Galgano, Mazziotti Di Celso, Quintarelli, Menorello, Dambruoso, Vargiu, Bombassei, Librandi, Matarrese, Molea, Mucci, Palladino, Formisano».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    la regolazione del settore postale, soggetta ad un'opera di armonizzazione a livello europeo, è contenuta nel decreto legislativo n. 261 del 1999, recante «Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio», come da ultimo modificato dal decreto legislativo n. 58 del 2011, recante «Attuazione della direttiva 2008/6/CE che modifica la direttiva 97/67/CE, per quanto riguarda il pieno completamento del mercato interno dei servizi postali della Comunità»;
    in particolare, la direttiva 97/67/CE o «prima direttiva postale» e successive modifiche, sancisce l'obbligo per gli Stati membri di assicurare la fornitura del servizio postale universale ed in tale ambito prevede che la raccolta degli invii postali e la loro distribuzione al domicilio del destinatario siano garantite «come minimo cinque giorni lavorativi a settimana» e che solo in presenza di «circostanze o condizioni geografiche eccezionali» sia ammessa una deroga per la fornitura per un numero inferiore di giorni;
    dal 2015 Poste Italiane, che conta circa 143.000 dipendenti e fornisce servizi logistico-postali, di risparmio e pagamento e assicurativi a oltre 32 milioni di clienti, è una società per azioni, in cui lo Stato italiano, tramite il Ministero dell'Economia e delle Finanze, è l'azionista di maggioranza, detenendo circa il 60 per cento del capitale sociale (35 per cento Cassa depositi e prestiti, 29,7 per cento Ministero dell'Economia);
    i rapporti tra lo Stato e il fornitore del servizio universale sono disciplinati nel dettaglio dal contratto di programma. Il contratto di programma tra il Ministero dello sviluppo economico e Poste italiane spa per il triennio 2015-2019 è stato stipulato il 15 dicembre 2015;
    sulla base del decreto legislativo n. 58 del 2011, sopra richiamato, Poste italiane spa risulta affidataria per quindici anni e quindi fino al 2026 del servizio universale postale, che comprende, ai sensi del disposto dell'articolo 3, comma 2, del decreto legislativo n. 261 del 1999, e successive modificazioni: « a) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione degli invii postali fino a 2 kg; b) la raccolta, il trasporto, lo smistamento e la distribuzione dei pacchi postali fino a 20 kg; c) i servizi relativi agli invii raccomandati ed agli invii assicurati»;
    il contributo pubblico versato a Poste spa per l'onere del servizio postale universale è pari a 262,4 milioni all'anno e viene erogato entro il 31 dicembre di ciascun anno di vigenza del contratto;
    la legge di stabilità per il 2015 (legge n. 190 del 2014), ai commi 277 e seguenti ha previsto misure di razionalizzazione del servizio e di rimodulazione della frequenza settimanale di raccolta e recapito sull'intero territorio nazionale, ferme restando le competenze dell'autorità di regolamentazione (Autorità per le garanzie nelle comunicazioni), derogando per tal via agli obblighi di servizio universale postale di Poste italiane spa;
    il contratto di servizio 2015-2019 ha recepito quanto disposto dalla legge di cui sopra, introducendo il recapito a giorni alterni in particolari situazioni e ambiti territoriali con una densità inferiore a 200 abitanti/kmq;
    il recapito a giorni alterni è stato autorizzato dall'Agcom con la delibera n. 395/15/CONS ed è oggi dunque una realtà che sta comportando grandi disagi sia a scapito degli utenti che degli stessi dipendenti del gruppo Poste spa, con particolare riguardo alle criticità insite nella cosiddetta «flessibilità operativa» richiesta ai lavoratori;
    i magazzini utilizzati dal gruppo, nella maggior parte dei casi, non riescono ad ospitare il nuovo carico di posta essendo stati pensati per accogliere un quantitativo di posta giornaliero e non pluri- giornaliero. Suddetto sovraccarico grava anche sugli operatori che si trovano dunque a smaltire quantitativi più importanti in periodi più limitati e con le stesse risorse;
    ovviamente quanto descritto sopra ha delle inevitabili ricadute anche sugli utenti che spesso si vedono recapitare la posta non più nemmeno a giorni alterni ma secondo i tempi di smaltimento dei depositi;
    la sez. I del Tar Lazio, con ordinanza 29 aprile 2016, n. 4882, ha rimesso alla Corte di Giustizia europea la questione di legittimità delle norme nazionali che consentono il recapito della corrispondenza da parte di Poste spa solo a giorni alterni, questione ritenuta rilevante ai fini della decisione sul ricorso proposto da molti piccoli comuni e da ANCI Piemonte contro la delibera dell'Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni 25 giugno 2015, n. 395/15/CONS;
    Poste Italiane risulta altresì al centro di uno scandalo legato ai controlli di qualità falsati, vicenda che ha ricevuto, a partire dal gennaio 2014, ampio risalto mediatico, e su cui è stata avviata un'indagine penale per truffa da parte della procura di Roma, oltre che una inchiesta, avviata dalle stesse Poste attraverso un processo di audit interno che risulta concluso, così come confermato anche dalla viceministra Bellanova in risposta all'interrogazione n. 2-01594 del 27 gennaio 2017;
    ad oggi non risultano essere stati fatti investimenti che sarebbero invece necessari per far funzionare il nuovo sistema di corrispondenza;
    sempre nel contratto, oltre alle misure di efficientamento e di riorganizzazione del servizio di cui sopra, è contenuta una nuova determinazione delle tariffe;
    suddette tariffe sono state puntualmente riviste e nell'anno in corso vi è stato un significativo ed ulteriore aumento dei costi a carico degli utenti nell'ambito dei servizi universali «riservati», ovvero erogati esclusivamente da Poste Italiane quali ad esempio le raccomandate, le assicurate nazionali ed internazionali, nonché l'invio di atti giudiziari;
    a partire dal 10 gennaio 2017 sono stati registrati i seguenti rincari: le semplici raccomandate fino a 20 grammi di peso sono aumentate dell'11,1 per cento, con una lievitazione del costo da 4,50 a 5 euro; il costo per l'invio di una raccomandata pro è passato da 3,30 a 3,40 euro; per quanto riguarda la posta raccomandata internazionale l'incremento ha interessato tutti gli scaglioni, in particolare quelli inerenti alla zona 1 con una variazione da 5,95 a 6,60 euro; il costo per l'invio degli atti giudiziari è passato da 6,60 a 6,80 euro, mentre per la posta assicurata nazionale ed internazionale fino ad un valore di 50 euro e un peso compreso tra 20 e 50 grammi è stato registrato un incremento da 6,90 a 7,25 euro e da 9,40 a 10 euro rispettivamente ed infine, il rincaro più significativo, ovvero del 43 per cento, per i pieghi di libri;
    suddetti rincari risultano ai firmatari del presente atto inaccettabili e in nessun modo destinati ad investimenti per l'incremento dell'efficienza e della qualità, soprattutto alla luce dell'oggettivo deterioramento qualitativo del servizio postale, caratterizzato da continui e ripetuti disservizi nella consegna della corrispondenza, ritardi, giacenza di tonnellate di posta accumulata, mancati recapiti, nonché malfunzionamenti delle dotazioni informatiche messe a disposizione dei postini per la tracciatura della corrispondenza;
    le situazioni sin qui descritte hanno comportato anche numerosi scioperi da parte dei dipendenti del gruppo, allarmati anche dalle non chiare procedure di privatizzazione che hanno riguardato e stanno tuttora interessando il gruppo Poste;
    a distanza di due anni dall'avvio del processo di privatizzazione, non sono ancora chiare le modalità operative attraverso le quali si provvederà alla vendita di quote della società di cui in parola. Restano, dunque, fondate le preoccupazioni circa un possibile scorporo di Poste italiane spa con la creazione di una cosiddetta good company, oggetto della privatizzazione e una cosiddetta bad company dedita al servizio universale postale a carico dello Stato;
    negli ultimi giorni, da indiscrezioni di stampa, si apprende la volontà del Governo di continuare la strada delle privatizzazioni. Il responsabile della segreteria tecnica del Ministero dell'economia avrebbe infatti affermato che: «dopo aver quotato in Borsa Poste Italiane nel 2015, dismettendo il 35,5 per cento del capitale, e dopo aver ceduto un'altra quota pari al 30 per cento a Cassa depositi e prestiti lo scorso anno, resta l'obiettivo di vendere sul mercato la residua quota del 30 per cento, con le stesse modalità dell'Ipo e cioè con la cessione a investitori istituzionali e risparmiatori. La tabella di marcia prevede l'operazione entro quest'anno, ovviamente mercati permettendo»;
    il titolo di Poste continua ad essere scambiato a valori sotto il prezzo di collocamento del 2015, con una capitalizzazione inferiore a 8 miliardi. Uno dei motivi che potrebbe spiegare questo trend, è la mancanza di un piano industriale a medio e lungo termine realistico nel comparto industriale, della logistica e del recapito che contenga elementi di novità e soprattutto un piano di investimenti credibile che a tendere produrrà ricchezza e quindi nuova occupazione;
    le operazioni di privatizzazione fino ad oggi messe in atto dal Governo non hanno corrisposto le aspettative di chi riteneva che tale strategia fosse la migliore per il ripianamento del debito pubblico e sono stati registrati risultati alquanto deludenti e assolutamente controproducenti in una ottica di lungo periodo;
    il piano strategico 2015-2019 presentato da Poste ha previsto la progressiva chiusura di ben 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici, ritenuti «improduttivi» o «diseconomici». Questa scelta ha ulteriormente colpito i cittadini, in particolar modo residenti nei piccoli centri urbani, spesso isolati, così come evidenziato anche dai sindacati dei pensionati, nonché da sindacati regionali di categoria come Spi (Sindacato pensionati italiani) della Cgil, Fnp (Federazione nazionale pensionati) della Cisl e Uilp (Unione italiana lavoratori pensionati) della Uil, e destato preoccupazioni per i dipendenti del gruppo;
    dal piano è emersa chiaramente l'intenzione da parte di Poste italiane spa di puntare su assicurazioni, e-commerce, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere, anziché garantire il servizio universale, a scapito delle esigenze della collettività, chiudendo uffici che ritiene «improduttivi» o «diseconomici», senza considerare che i servizi postali rappresentano un servizio fondamentale per lo svolgimento delle attività quotidiane di numerosissime imprese, cittadini ed in particolare delle famiglie;
    le zone maggiormente colpite dalle annunciate chiusure risultano essere quelle aree nelle quali insistono numerosi comuni e frazioni interessati dal ridimensionamento messo in atto da Poste italiane spa. In tali zone attualmente vengono offerti servizi destinati a frazioni contigue già prive di uffici postali. È apparsa, quindi, ulteriormente inopportuna l'attuazione del piano, soprattutto nelle regioni nei cui territori insistono uffici che sono stati già oggetto di altri piani di razionalizzazione locale;
    nel piano illustrato dall'amministratore delegato di Poste italiane spa Francesco Caio in audizione nel 2015 presso la IX Commissione Trasporti, poste e telecomunicazioni della Camera dei deputati, si fa riferimento a una progressiva digitalizzazione dei servizi offerti dal gruppo Poste italiane spa, di cui però, nei fatti, non si ha contezza, e che sarebbe funzionale alla progressiva riduzione e razionalizzazione degli uffici postali presenti sul territorio;
    entro la fine di marzo di quest'anno, Poste Italiane sarà chiamata a presentare alla Conferenza unificata Stato-regioni un piano completo dei servizi che l'azienda intende garantire ai territori colpiti dal recente piano di cosiddetta razionalizzazione del servizio universale postale,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per bloccare una ulteriore operazione di privatizzazione di Poste italiane spa;
   a fronte del contributo pubblico erogato a favore di Poste italiane spa per il servizio postale universale e dell'oggettivo deterioramento della qualità del servizio fornito, ad assicurare un contenimento dei costi relativi agli invii di posta prioritaria e degli altri servizi universali, scongiurando ulteriori aumenti per gli anni ancora coperti dal vigente contratto di servizio;
   ad intervenire presso Poste italiane spa per chiedere una profonda revisione del piano industriale, nel pieno rispetto degli obblighi di servizio universale previsti dalla normativa europea e nazionale, al fine anche di rivedere il meccanismo di recapito a giorni alterni in tutto il territorio nazionale in modo da garantire un servizio universale giornaliero puntuale ed efficiente, nel rispetto dei requisiti di accessibilità e fruibilità dello stesso servizio;
   ad intervenire, in sede di Conferenza unificata Stato-regioni, affinché Poste italiane spa si impegni a presentare, all'interno del nuovo piano servizi, proposte concrete atte a superare le attuali criticità relative al ridimensionamento del numero degli uffici postali e ai gravi disservizi riscontrati nella consegna della corrispondenza a giorni alterni;
   ad intervenire presso Poste italiane spa affinché nel processo di riorganizzazione degli uffici postali si continui a garantire l'accessibilità ai servizi postali nelle regioni rurali e remote, anche attraverso la previsione di criteri ulteriori a quelli già previsti nella normativa vigente, quali i tempi di percorrenza per il raggiungimento dell'ufficio più vicino, l'età anagrafica media degli abitanti, l'offerta di trasporto di cui i cittadini possono avvalersi per raggiungere i medesimi uffici;
   ad assumere iniziative presso Poste italiane spa affinché sia fatta chiarezza, a tutti i livelli territoriali, in merito allo scandalo dei controlli di qualità falsati, emersi nel periodo dal 2003 al 2015, al fine di garantire un servizio universale postale che sia adeguato nella sua attuale configurazione rispetto ai bisogni e alle aspettative dell'utenza;
   ad intervenire presso Poste italiane spa affinché il rinnovato piano industriale punti con maggiore decisione sulla logistica e la digitalizzazione dei processi, prevedendo, da un lato, che il gruppo Poste italiane spa si faccia carico di programmi di alfabetizzazione digitale dei propri utenti (in particolare in favore delle fasce più deboli della cittadinanza) e, dall'altro, che eventuali interventi di razionalizzazione dei punti fisici di accesso alla rete postale siano preceduti dalla piena operatività di servizi digitali e da valutazioni indipendenti circa l'impatto di tali nuovi servizi sulla popolazione interessata;
   ad intervenire presso Poste italiane spa affinché riveda il suo piano industriale inserendo i necessari investimenti a medio e lungo termine per svilupparsi nei settori più innovativi come quello della logistica inerente alla consegna dei pacchi legati all’e-commerce, in maniera tale da rendere possibile non solo la salvaguardia degli attuali livelli occupazionali, con particolare riferimento ai contratti di lavoro già in essere anche alla luce del progetto di crescita illustrato dall'amministratore delegato di Poste italiane spa, ma anche uno sviluppo occupazionale.
(7-01203) «Spessotto, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, De Lorenzis, Liuzzi, Paolo Nicolò Romano».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la pesca italiana versa in una crisi che appare irreversibile se si considera che, negli ultimi trent'anni, su 8 mila chilometri di coste, le imbarcazioni sono diminuite del 33 per cento, i rimanenti 12 mila scafi hanno un'età media di 34 anni e si sono persi 18 mila posti in un settore che dà, oggi, lavoro direttamente a 27 mila persone, senza considerare l'indotto;
    la gestione di risorse naturali, quali le specie ittiche, favorisce la concentrazione delle attività in poche imprese di pesca, possedute da pochi soggetti; una situazione, questa, che sta progressivamente distruggendo quella straordinaria rete di imprese diffuse, su cui si è retta la pesca in Italia, dal secondo dopoguerra ad oggi, assicurando lavoro e reddito agli addetti del settore e in genere alle comunità e ai territori in cui operavano;
    le cause di questa crisi si fondano secondo i presentatori del presente atto sulla concorrenza di mari lontani e delle barche croate, albanesi, nordafricane, che hanno innescato un crollo delle quotazioni del pesce, mettendo fuori mercato i pescatori italiani anche a causa degli alti costi delle loro attività;
    il pescatore italiano è stritolato dalle quotazioni del pesce importato e dai costi ben più alti di quelli dei pescatori egiziani, libici e tunisini;
    a ciò si aggiunga quella che i presentatori del presente atto giudicano, «la gabbia» delle regole imposte dall'Unione europea, quali i vincoli sulle misure delle vongole e taglia minima e attrezzi di cattura o l'obbligo di tenuta a bordo del «libro del pescato»;
    inoltre, il sistema delle quote per la caccia al tonno rosso, prodotto ad altissima redditività, è fortemente squilibrato e richiede un intervento urgente per rivedere la ripartizione delle quote tra diversi settori interessati;
    ai problemi della concorrenza e di un consumo sempre meno consapevole, si aggiungono disposizioni legislative che si rivelano, secondo i presentatori del presente atto, irragionevoli e che è necessario modificare, come l'introduzione di sempre più pesanti sanzioni e di complessi e stringenti strumenti di controllo sull'attività esercitata che, nel loro insieme, penalizzano in modo inaccettabile un settore economico costituito da imprenditori che fanno e danno lavoro e che, insieme all'indotto, sviluppano un volume d'affari; un Paese in difficoltà economica come l'Italia non si può permettere di mortificare ulteriormente tali imprenditori;
    tutte queste restrizioni ricadono anche sulle attività commerciali; le sanzioni accessorie si applicano anche a pescherie e ristoranti per i quali, in taluni casi, è prevista la chiusura a tempo dell'esercizio, tanto che, per non incorrere in sanzioni, tali esercizi preferiscono acquistare pescato proveniente dall'estero;
    a tali problemi, si aggiunge il fatto che i sistemi di controllo applicati alle imprese della pesca (Blue BoxAis – Giornale di bordo elettronico) e di verifica, sull'attività di pesca (rigetti in mare del pesce sottomisura), pur essendo un forte deterrente all'esercizio della pesca illegale, richiedono una cura e una puntualità nella gestione, più adatta ai grandi motopescherecci che operano nell'oceano Atlantico e nei mari del Nord Europa, che alle imbarcazioni più diffuse nel nostro Paese, non grandi, prive di spazi e comodità a bordo, composte da equipaggi modesti (in media 2/4 persone), che operano in aree di pesca, dal punto di vista morfologico, completamente diverse rispetto ai grandi mari europei;
    la minore dimensione delle imprese italiane della pesca fa sì che esse siano molto esposte al rischio di penalizzazione, per aver commesso infrazioni, il più delle volte determinate dalla impossibilità di evitarle, piuttosto che dalla volontà di commetterle;
    il clima difficile che si sta creando tra gli operatori richiede il ripristino di un dialogo costruttivo tra istituzioni e mondo della pesca, costituito dalle imprese e dalle associazioni di rappresentanza del settore, anche per ridiscutere normative che non tengono conto delle specificità del settore come l'articolo 39 della legge n. 154 del 2016 che, pur depenalizzando le infrazioni previste per la cattura di una serie di specie ittiche sottomisura, ha introdotto sanzioni amministrative che, all'atto pratico, risultano, per i presentatori del presente atto, sproporzionate ed eccessivamente punitive anche perché sganciate dall'elemento psicologico,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per rivedere gli attuali sistemi sanzionatori di cui in premessa, anche alla luce delle problematiche emerse in sede di prima applicazione delle disposizioni contenute nella legge 28 luglio 2016, n. 154;
   ad assumere iniziative per ripristinare la Commissione consultiva centrale per la pesca e l'acquacoltura presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, coinvolgendo le associazioni rappresentative delle imprese di pesca.
(7-01201) «Venittelli, Arlotti, Oliverio, Luciano Agostini, Antezza, Capozzolo, Carra, Cova, Cuomo, Dal Moro, Di Gioia, Falcone, Fiorio, Lavagno, Mongiello, Palma, Prina, Romanini, Taricco, Zanin».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   fonti giornalistiche riferiscono che il Decano della Rota Romana, organo della Santa Sede, ha promulgato un decreto che recita: «La nomina degli Avvocati è riservata al Decano; che può confermare, eventualmente, come patrono d'ufficio, l'avvocato che la parte ebbe nei gradi inferiori»;
   com’è noto il Tribunale della Rota Romana (già Sacra Rota) emette sentenze sulle cause di nullità matrimoniale, che possono essere deliberate in Italia in applicazione del Concordato. Questo decreto, abrogando di fatto il diritto ad avere un avvocato di fiducia, non può non imporre gravi interrogativi sulla base di una più compiuta e dettagliata narrativa sul contesto storico e giuridico in cui nasce e si applica la deliberazione del Decano;
   a quanto consta all'interpellante anche avvocati di fiducia già nominati, pendente la causa, sono stati, senza alcuna giusta causa, rimossi dal Decano contro la volontà delle parti che avevano conferito mandato di fiducia anche da molto tempo, imponendo così loro diverso avvocato d'ufficio;
   la stessa riforma procedurale canonica introduce un «processo più breve» davanti al Vescovo e non al Tribunale ecclesiastico collegiale, con procedura sommaria (una sola udienza e quindici giorni di tempo per emanare la sentenza; cfr. canone 1683 ss., in Motu proprio Mitis Iudex 8 dicembre 2015) e tale abbreviata procedura è utilizzabile solo con il consenso delle parti;
   l'Accordo di Villa Madama sottoscritto tra la Santa Sede e la Repubblica Italiana pone quale condizione per il riconoscimento da parte della corte di appello degli effetti civili italiani delle sentenze canoniche «che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici è stato assicurato alle parti il diritto di agire e di resistere in giudizio in modo non difforme dai principi fondamentali dell'ordinamento italiano» (articolo 8, n. 2, lettera b), della legge n. 121 del 1985);
   la Corte Costituzionale, nella sua sentenza del 22 gennaio 1982, n. 18, ha indicato il diritto alla difesa fra i principi supremi dell'ordinamento costituzionale «nel suo nucleo più ristretto ed essenziale»;
   va rilevato il valore assoluto, inviolabile ed irrinunciabile del diritto all'assistenza tecnico-fiduciaria, quale parte ineludibile del diritto di difesa, tutelato da norme costituzionali ai sensi dell'articolo 24 della Costituzione, cosicché attraverso la obbligatorietà della difesa tecnica o la nomina eventuale di un difensore d'ufficio solo in assenza della prima, si assicura un equo processo ed una contrapposizione equilibrata tra le parti (cfr. da ultimo Cass. pen. Sez. Un., 26 marzo 2015);
   va considerato che l'obbligo dell'assistenza tecnico-fiduciaria rientra nel più generale obbligo di rispettare princìpi di ordine pubblico, anch'esso espressamente previsto dal Concordato, e particolarmente valorizzato dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione (cfr. Cassazione Sezioni Unite 17 luglio 2014, nn. 16379-16380) in tema di deliberazione di sentenze canoniche, anche perché la mancata assistenza tecnico-fiduciaria può sicuramente andare in detrimento dei diritti della parte più debole ed essere utilizzata al fine di far cadere l'assegno di mantenimento, in assenza di giudicato di cessazione degli effetti civili del matrimonio concordatario;
   il descritto principio fondamentale del diritto di difesa ha trovato consacrazione anche nell'articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo, in materia di processo equo;
   va evidenziato, tra l'altro, che la Corte di Strasburgo, il 20 luglio 2001, decidendo il «caso Pellegrini» ha già condannato l'Italia per l'indebita esecuzione di una sentenza canonica, non essendosi i giudici nazionali sincerati che nel procedimento davanti ai tribunali ecclesiastici fosse stato rispettato l'articolo 6;
   occorre evidenziare in particolare, che i tribunali ecclesiastici e le loro attività non sono sindacabili dinanzi alla Corte di Strasburgo perché la Santa Sede non è parte della Convenzione dei diritti dell'uomo, ma sono sindacabili e sono stati sindacati gli atti dello Stato italiano;
   il divieto per le parti di scegliere liberamente un avvocato di fiducia, l'imposizione di un avvocato di ufficio anche in presenza di avvocato di fiducia già nominato, l'imposizione dal medesimo organo giudicante con commistione di ruoli e poteri, la scelta discrezionale ed insindacabile degli avvocati d'ufficio demandata ad un unico soggetto, che è anche il presidente del tribunale, la rimozione senza giusta causa di avvocati che patrocinavano già pendenti, e la imposizione di una procedura sommaria anche senza l'adesione della parte convenuta, costituiscono ad avviso dell'interpellante gravissima lesione del diritto di difesa;
   tale lesione al diritto di difesa, essendo normativamente prevista, a giudizio dell'interpellante, impedisce radicalmente il riconoscimento delle sentenze ecclesiastiche per loro contrarietà all'articolo 8, n. 2, lettera b), del Concordato (cfr. legge 121 del 1985), all'articolo 24 della Costituzione e all'articolo 6 della Convenzione europea per i diritti dell'uomo –:
   quali siano gli urgenti intendimenti del Governo in merito ai fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere affinché possa essere garantito il rispetto pieno della Convenzione dei diritti dell'uomo presso i tribunali della Santa Sede, anche ai fini della deliberazione delle sentenze ecclesiastiche.
(2-01685) «Brunetta».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, SCOTTO, ZARATTI, FRANCO BORDO, NICCHI, QUARANTA, PIRAS, MELILLA, DURANTI, KRONBICHLER, MARTELLI e SANNICANDRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   Coldiretti, con l'iniziativa «Campagna Amica» tenutasi all'Aranciera di San Sisto a Roma il 25 e il 26 febbraio 2017, che ha visto la partecipazione al mercato contadino anche di produttori provenienti dalle Marche e dalle altre regioni terremotate, ha lanciato nuovamente l'allarme per la situazione e degli agricoltori e degli allevatori delle aree colpite dagli eventi sismici del 2016;
   secondo l'organizzazione, le vendite in quelle aree sarebbero crollate del 90 per cento anche a causa dei ritardi nelle forniture si moduli abitativi provvisori, che costringerebbe allevatori ed agricoltori a cercare canali alternativi per la vendita di prodotti quali formaggi, latte e salumi, a partire da quelli pregiati a denominazione di origine protetta;
   pur sottolineando l'attenzione e la solidarietà dimostrate dai cittadini italiani nell'acquisto di prodotti provenienti da quelle aree, restano gravi gli effetti del sisma sull'economia legata al settore, sia per il crollo delle vendite che per il blocco della produzione, dovuto anche all'inagibilità dei laboratori situati nei comuni del cratere –:
   quali iniziative stia adottando il Governo per far fronte alle criticità riportate in premessa. (5-10695)


   QUARTAPELLE PROCOPIO e NICOLETTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro per lo sport. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 maggio 2016 veniva presentata dall'interrogante un'interrogazione a risposta in Commissione, la n. 5-08784, in cui si riportava il caso del calciatore diciottenne nordcoreano Song-Hyok Choe, tesserato dalla società calcistica Fiorentina ACF s.p.a. e militante nel campionato Primavera;
   nel testo si menzionava lo studio di « Human Rights and North Korea's Overseas Labor: Dilemmas and Policy Challenges», pubblicato nel maggio del 2015 dal Center for North Korean Human Rights, per il quale nessun nordcoreano che si trovi all'estero per lavoro, e quindi anche i calciatori, può essere titolare di un proprio stipendio, può avere contatti con la stampa o libere comunicazioni con il suo Paese di origine, che possono avvenire solo parzialmente e per corrispondenza, oppure può utilizzare liberamente i social network e Internet;
   ai nordcoreani all'estero per lavoro sarebbero quindi sottratti non solo una significativa quota parte del salario, ma anche altri fondamentali diritti come quello alla libera circolazione e alla libera corrispondenza;
   dal lavoro dei nordcoreani all'estero, stimati in circa 50.000 persone, si calcola che lo Stato guadagni annualmente una somma compresa tra 1,2 e 2,3 miliardi di dollari;
   l'invio di lavoratori all'estero fa parte di una vera e propria strategia del Governo di Pyongyang che consentirebbe di fatto di aggirare sanzioni internazionali ed assicurare allo Stato entrate consistenti ed in valuta pregiata;
   all'interno di questa strategia si colloca senz'altro anche la vicenda di una nidiata di trentuno giovani talenti calcistici nord coreani che qualche anno fa arrivarono in Italia e Spagna, con l'accordo del governo di Pyongyang;
   normalmente, per aggirare l'embargo economico, molte società e/o autorità nordcoreane, soprattutto quelle di Stato, come per esempio l'organo di governo del calcio nella Corea del nord, la DPR Korea Football Association, tendono a realizzare triangolazioni con versamenti di denaro in Cina o a Hong Kong;
   da informazioni pubblicate dalla stampa nei giorni scorsi si ha notizia di un imminente tesseramento presso la società Cagliari Calcio di (Han Kwang-Son), di un altro giovane centravanti nordcoreano, che così sarebbe il primo giocatore della serie A proveniente dal Paese asiatico;
   la presenza di giocatori nordcoreani a così alto livello nelle squadre di calcio italiane di Serie A darebbe massima evidenza alla violazione delle sanzioni internazionali nei confronti della Corea del Nord, nonché configurerebbe la presenza nel nostro Paese di lavoratori extracomunitari con minori garanzie di godimento dei diritti e delle libertà civili;
   resta fermo l'auspicio che il giovane sportivo nord coreano in questione, così come tutti gli altri suoi connazionali, possano svolgere la propria carriera nel nostro Paese, godendo di tutti i diritti di altri giovani professionisti provenienti da altre parti del mondo;
   non essendo stata data alcuna risposta alla interrogazione sopra richiamata, si ritiene opportuno rinnovare le questioni poste in quella occasione –:
   se il Governo sia a conoscenza del fatto che i giovani calciatori nordcoreani presenti attualmente in Italia sarebbero sottoposti alle limitazioni sopradescritte;
   se si intenda verificare le modalità di pagamento dei calciatori da parte delle sopraddette società calcistiche italiane al fine di controllare che le operazioni effettuate a favore delle autorità statali nordcoreane non abbiano aggirato l'embargo con transazioni attraverso Paesi terzi;
   se si intenda verificare che gli importi contrattuali e i compensi annui vengano effettivamente versati ai singoli calciatori e non nelle casse delle autorità statali nordcoreane;
   come si intenda assicurare il pieno rispetto delle libertà individuali e dei diritti fondamentali dei calciatori nordcoreani ingaggiati dalle società italiane e ospitati nel nostro Paese. (5-10701)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo di Repubblica del 27 febbraio 2017 cita 3 società che il gruppo interforze, costituito dalla Guardia di finanza del nucleo della polizia tributaria e dai carabinieri di Rieti, avrebbe segnalato per motivi vari alla procura di Rieti;
   tra queste vi sarebbero il Consorzio nazionale servizi, nel cui consiglio di sorveglianza sedeva Salvatore Buzzi, uomo chiave assieme a Massimo Carminati del sistema di Mafia Capitale, già noto alle cronache giornalistiche sia per i costi spropositati della commessa Consip per la fornitura di 18 mila moduli abitativi, pari a 1,2 miliardi di euro, sia per i lunghi tempi di attesa per la consegna dei moduli stessi;
   la seconda società è la HTR bonifiche, facente parte del gruppo HTR, il cui ex consigliere delegato è sotto processo per traffico illecito di rifiuti a Firenze: anche questa vicenda è già nota e denunciata tramite interrogazione a risposta scritta n. 4-15055;
   infine, vi sarebbe la società Dsba s.r.l. appartenente al gruppo Di Sabantonio, che avrebbe ottenuto lavori relativi alla gestione post-terremoto in provincia di Rieti, nello specifico, risulterebbe affidataria di un appalto conferito dalla regione Lazio in regime di somma urgenza per manutenzione ordinaria, sorveglianza e pronto intervento di due strade regionali che portano ad Amatrice e ai luoghi colpiti dagli ultimi eventi sismici che hanno devastato il centro Italia;
   la Dsba s.r.l., nonostante la regolare iscrizione nella «white list» nel 2015, a dicembre del medesimo anno, è stata esclusa dagli appalti per il Giubileo dopo una segnalazione dell'Anac al comune di Roma: in particolare, due società «gemelle» del gruppo Di Sabantonio, per l'appunto la Dsba s.r.l. e la Codisab s.r.l., avrebbero partecipato al medesimo bando, alterando la concorrenza;
   in tale occasione, le due società indicavano la propria sede nel medesimo indirizzo e si erano registrate nel sistema informatico di Roma Capitale «consecutivamente dal medesimo indirizzo IP» ed avevano presentato un'offerta con differenza minima, mentre i due soci di Codisab s.r.l., Alvise e Antonio Di Sabantonio, risultavano essere il padre e lo zio del socio unico di Dsba s.r.l., Nunzio Di Sabantonio, e che l'offerta della prima avesse di fatto «condizionato l'aggiudicazione»;
   similmente, Dsba s.r.l. e Codisab s.r.l. hanno partecipato insieme a un altro bando, un maxiappalto costituito da 9 lotti del 15 giugno 2016 con cui l'Astral, Azienda strade Lazio (società di scopo della regione Lazio che si occupa di gestire le strade regionali ed ex provinciali), doveva assegnare la «manutenzione ordinaria, sorveglianza e pronto intervento» delle strade laziali: le due ditte «sorelle», pur facendo registrare una «anomalia», ottengono un lotto ciascuna, tra cui, appunto, quello relativo alle due strade sopra menzionate, i cui interventi di manutenzione sarebbero stati assegnati alla Dsba s.r.l.;
   inoltre, risulta che la Dsba s.r.l. abbia partecipato anche agli appalti della ricostruzione post-terremoto dell'Aquila, in un'associazione temporanea d'imprese composta anche da una società legata a Cosa Nostra, in particolare ad un prestanome di Vito Ciancimino;
   quanto sopra descritto, anche se di per sé non descrive una chiara situazione di infiltrazioni da parte della criminalità organizzata negli appalti relativi al terremoto del centro Italia, secondo l'interrogante, è comunque sintomatico di un contesto ove le politiche di prevenzione delle attività criminali rischiano di essere inefficienti –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere il Governo al fine di prevenire infiltrazioni da parte della criminalità organizzata negli appalti inerenti la gestione post-terremoto a seguito degli eventi sismici che hanno interessato di recente il centro Italia.
(4-15742)


   GIANLUCA PINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 9 del decreto-legge n. 59 del 2016 ha consentito agli investitori acquirenti, che hanno acquistato, entro il 12 giugno 2014, gli strumenti finanziari subordinati emessi dalle banche poste in risoluzione a fine 2015 (Banca Marche, Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, Cassa di Risparmio di Ferrara, CariChieti) – che li detenevano alla data della risoluzione – di chiedere al Fondo di solidarietà l'erogazione di un indennizzo forfetario pari all'80 per cento del corrispettivo pagato per l'acquisto, al netto di oneri e spese connessi all'operazione e della differenza positiva tra il rendimento delle obbligazioni e il rendimento di mercato individuato secondo specifici criteri;
   durante l'esame parlamentare della legge 17 febbraio 2017, n. 15 di conversione in legge del decreto-legge n. 23 dicembre 2016, n. 237, è stato introdotto l'articolo 26-bis che novella alcune disposizioni sull'accesso al Fondo di solidarietà: tra le novità, sono aggiunti, nella definizione di «investitore», anche il coniuge, il convivente more uxorio, i parenti entro il secondo grado in possesso degli strumenti finanziari a seguito di trasferimento con atto tra vivi e sono stati modificati i requisiti patrimoniali per l'accesso all'indennizzo forfettario perché viene escluso dal computo del patrimonio il corrispettivo pagato per l'acquisto dei medesimi strumenti subordinati;
   le modifiche apportate non sono assolutamente sufficienti per gli obbligazionisti che resteranno ancora esclusi dall'indennizzo forfettario pur cui non è ancora partito l'arbitrato ANAC previsto dalla legge di stabilità 2016;
   lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri recante i criteri e le modalità di nomina degli arbitri, il supporto organizzativo alle procedure arbitrali e le modalità di funzionamento del collegio arbitrale per l'erogazione, da parte del Fondo di solidarietà, di prestazioni in favore degli investitori è all'esame della Camera (Atto n. 373) da poco è stato espresso il parere, con condizioni, dalla VI commissione finanze della Camera; è quindi possibile, secondo l'interrogante, che lo schema di decreto, venga ancora modificato per poi tornare alle Camere;
   in una logica di responsabilità etica e politica che impone di dovere equiparare il trattamento di questi risparmiatori con quello riservato ai risparmiatori dei Monte dei Paschi di Siena in rispetto dell'articolo 3 della Costituzione, durante l'esame della citata legge n. 15 del 2017, la Lega ha quindi presentato un ordine del giorno per impegnare il Governo ad estendere ai risparmiatori «azzerati» che sono rimasti fuori dall'indennizzo forfettario, nelle more dell'attuazione del citato decreto sull'arbitrato Anac, la possibilità di accedere subito all'arbitrato Consob già attivo dal 2016;
   la proposta, però, è stata respinta dal Governo, nonostante questa fosse condivisa non soltanto dalla Lega consumatori, ma anche dallo stesso presidente del collegio arbitrale della Consob;
   nonostante nel parere della Commissione VI della Camera sul decreto arbitrati rilevi la volontà di aprire anche a chi ha comprato da un intermediario che abbia violato le regole sull'informazione e la trasparenza, resta ancora aperto il nodo degli azionisti perché, per questi, l'unica strada percorribile sembrerebbe soltanto quella dell'arbitrato Consob;
   con riguardo a Banca Carifie, si tratta di 28 mila ex soci spesso indotti ad acquistare azioni per poter accedere ad un finanziamento o un mutuo –:
   se il Governo, alla luce di quanto evidenziato in premessa, non intenda assumere iniziative per estendere al più presto, agli investitori esclusi dall'accesso all'indennizzo forfettario di cui agli articoli 8 e 9 del decreto-legge n. 59 del 2016 e agli azionisti delle quattro banche poste in risoluzione, la possibilità di accedere alla procedura di arbitrato Consob per le controversie finanziarie (Arbitrato per le controversie finanziarie) al fine di stabilire il valore economico degli strumenti finanziari da rimborsare ai medesimi investitori. (4-15746)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANLIO DI STEFANO, SPADONI, SCAGLIUSI, DI BATTISTA, GRANDE e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è pendente il caso del figlio di una cittadina italiana dipendente a contratto del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale dal 1989 presso l'Istituto italiano di cultura in Algeri;
   dal 2014 la stessa è stata assegnata presso la sede estera del consolato generale d'Italia a Los Angeles e il figlio, maggiorenne, convivente, non auto-sufficiente, è esposto al rischio di un'imminente espulsione a causa di una recente normativa statunitense;
   la nota verbale dell’Office of Foreign Missions del dipartimento di Stato americano (DoS) del 7 dicembre 2016, infatti, prevede che, ai fini dell'ulteriore efficacia del visto A2, di cui sono in possesso la dipendente del Ministero e suo figlio, quest'ultimo debba essere notificato con passaporto di servizio al DoS decorsi 60 giorni dalla sua data di adozione, quindi dal 5 febbraio 2017;
   secondo la nuova normativa, il figlio non rientra più, per limiti d'età, nella nozione di «familiari stretti». L'unica possibilità per restare congiunto alla propria famiglia è, quindi, l'inclusione nella categoria di «altre persone», che richiede il riconoscimento da parte del Governo d'invio della condizione di familiare a carico e convivente dello straniero detentore principale del visto, mediante l'ammissione a diritti e benefici come il rilascio di un passaporto diplomatico o di servizio;
   con domanda congiunta del 12 gennaio 2017, gli interessati hanno, pertanto, chiesto il rilascio dei passaporti di servizio, ricevendo il parere favorevole del consolato generale d'Italia di Los Angeles e il benestare dell'ambasciata d'Italia a Washington;
   tuttavia, il 30 gennaio 2017 la domanda veniva rigettata dalla direzione generale per le risorse e l'innovazione – ufficio VII del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e ciò risulterebbe, a quanto consta all'interrogante, senza previa comunicazione agli interessati dei motivi ostativi all'accoglimento dell'istanza;
   risulta, peraltro, secondo gli interroganti molto grave l'aver omesso, da parte del citato ufficio VII, di sottoporre la questione al consiglio di amministrazione del Ministero per l'ottenimento del parere preliminare, tenuto conto delle condizioni oggettive e soggettive suesposte e del legittimo affidamento che, in ragione della pregressa attività ministeriale, madre e figlio avevano maturato circa la preservazione dell'unità del nucleo familiare in territorio statunitense, almeno fino al termine dell'incarico ministeriale, motivi per i quali il Ministero aveva accordato appunto il trasferimento, garantendo anche per il futuro l'unità del nucleo familiare presso la nuova sede di Los Angeles;
   con il diniego dei passaporti di servizio il nucleo familiare è, invece, esposto all'imminente espulsione del figlio che implicherebbe le dimissioni della dipendente ministeriale (nonostante si tratti dell'unica fonte di reddito familiare), in quanto, per la condizione di non auto-sufficienza, la madre, non potrebbe che seguire il figlio –:
   se sia a conoscenza della situazione indicata in premessa, che presenta ad avviso degli interroganti caratteri di rilievo «umanitario», e quali controlli e/o iniziative abbia adottato per evitare questa espulsione al fine di garantire l'unitarietà del nucleo familiare in territorio statunitense;
   quali iniziative intenda adottare, tenuto conto della particolare restrittività della normativa statunitense sopravvenuta e delle prevedibili ulteriori limitazioni che, con il nuovo Governo, il dipartimento di Stato americano potrebbe adottare;
   se siano state adottate o se si intendano adottare iniziative per accertare eventuali responsabilità, sul piano amministrativo e disciplinare, degli uffici del Ministero per aver rifiutato il rilascio dei passaporti di servizio, trattandosi dell'unica soluzione atta a evitare l'espulsione;
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, al fine di avviare e procedure di rilascio dei passaporti di servizio. (5-10698)

Interrogazione a risposta scritta:


   ALLASIA e SIMONETTI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   dal 25 aprile 2016 è recluso nella temibile prigione di Evin, a Teheran, Ahmadreza Djalali, medico e ricercatore iraniano di reputazione internazionale, già attivo in Svezia e collaboratore dell'istituto piemontese CRIMEDIM, o Centro di ricerca in medicina d'urgenza e dei disastri, istituito presso l'università del Piemonte Orientale;
   Djalali ha soggiornato nel nostro Paese per ben 4 anni ed ha scritto 46 articoli scientifici, alcuni dei quali dedicati al miglioramento delle capacità di risposta ai disastri anche in Iran;
   il dottor Djalali sarebbe accusato dalle autorità iraniane di aver collaborato con un non meglio specificato Paese ostile, agendo in danno della sicurezza nazionale della Repubblica Islamica;
   per protesta contro queste accuse giudicate ingiuste, Djalali ha anche condotto uno sciopero della fame, che ne ha reso più fragili le condizioni di salute;
   a Djalali verrebbe attualmente negato persino il diritto di servirsi del proprio avvocato di fiducia, al probabile scopo di ridurre l'efficacia della propria linea difensiva, che dovrebbe essere elaborata a quel punto da un avvocato d'ufficio;
   potrebbe forse essere utile ai fini dell'istruzione di un equo processo e della fine della carcerazione di Djalali una vasta mobilitazione internazionale in suo favore –:
   se il Governo intenda assumere iniziative diplomatiche per rappresentare alle autorità iraniane la preoccupazione del nostro Paese per le sorti di Ahmadreza Djalali, e per far sì che siano rispettate nel procedimento a suo carico i diritti della difesa. (4-15747)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, presso un impianto eolico collocato in contrada Serralta, nel comune di Picerno, una pala si è staccata da un aerogeneratore e solo la presenza del cavo di sicurezza, ha evitato che cadesse sulla strada adiacente con il rischio di arrecare danni a cose e persone;
   nei mesi scorsi, nello stesso parco eolico, un guasto aveva interessate un aerogeneratore che si era staccato e abbattuto al suolo;
   si fa presente che gli impianti si trovano in prossimità del raccordo autostradale Potenza-Sicignano, nonché nelle vicinanze di diverse abitazioni rurali;
   da tempo i cittadini, anche a mezzo stampa, reclamano una maggiore attenzione alla questione sicurezza dei suddetti impianti –:
   in considerazione di quanto esposto in premessa, quali iniziative di competenza, anche normative, il Ministro interrogato intenda assumere al fine di garantire che i gestori di impianti eolici monitorino adeguatamente la sicurezza degli stessi al fine di evitare il ripetersi di incidenti come quello descritto e rassicurare la popolazione. (5-10700)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   è notizia riportata dalla stampa che giacciono nei pressi delle coste di Gela, a poche centinaia di metri dalla spiaggia, i relitti di navi dell'antica Grecia di inestimabile valore storico e culturale;
   fino ad ora l'unica delle navi tirata su dai fondali di contrada Bulala e mandata a restaurare nei laboratori di Portsmouth in Inghilterra, con una ingentissima spesa, risulta non ancora esposta al pubblico perché non esiste un ambiente nel quale rimontare la nave recuperata;
   vi è, inoltre, un rilevante problema legato ai «tombaroli» di professione che hanno l'opportunità di sottrarre un patrimonio incommensurabile tra anfore, elmi, vasellame, statuette e monili ancora giacente nel mare;
   ciò che fino ad ora è stato recuperato in quei fondali risulta essere sparso in giro per i vari musei italiani perché il museo del mare di Gela attende da 29 anni di essere realizzato;
   l'attività di recupero e restauro, nonché di valorizzazione del patrimonio culturale in oggetto darebbe l'opportunità di importanti occasioni di lavoro –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere, in coerenza con quanto finora positivamente realizzato dal Governo per la tutela dei reperti archeologici rinvenuti sul territorio italiano, per procedere al recupero delle imbarcazioni ancora giacenti in mare e per favorire la più idonea conservazione. (3-02841)

Interrogazione a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 16 febbraio 2017 la polizia municipale, nucleo Fenomeno degrado urbano e sociale del I Gruppo Trevi, di Roma, ha eseguito un'ordinanza del tribunale di Roma e sequestrato lo stabile Rialto Sant'Ambrogio, al Portico d'Ottavia. I locali sono tornati così a disposizione del dipartimento patrimonio di Roma Capitale, indipendentemente dall'utilizzo che se ne farà;
   l'azione messa in campo, senza alcun preavviso, ha visto nei fatti la riacquisizione coatta del suddetto immobile, dando seguito a quella che appare agli interroganti la nefasta delibera n. 140 del 2015 che vede mettere a rischio 750 spazi in tutto il territorio capitolino tra realtà sociali e culturali e, di fatto, sancisce la chiusura delle attività di produzione culturale, incontro e costruzione di percorsi partecipati e democratici che da anni animano un luogo sottratto al degrado e punto di riferimento della cittadinanza anche per l'inusuale collocazione nel centro storico urbano, in una città dove tali esperienze sono sempre più marginalizzate nelle periferie;
   da diversi mesi le associazioni che nell'edificio hanno le loro sedi – associazione Rialtoccupato, associazione Arci Roma, circolo Gianni Bosio, associazione Acqua Bene Comune onlus, Forum italiano dei movimenti per l'acqua, associazione per il Rinnovamento della Sinistra, associazione Trasform ! Italia, Forum Ambientalista, I.I.C.A. (Istituto internazionale consumo e ambiente), Austel (Associazione utenti servizi telefonici), Adp (Associazione diritti pedoni di Roma e Lazio), Cammina Città (Federazione italiana diritti pedoni e salvaguardia ambiente), associazione Attac Italia, MaschilePlurale, Archivio rivista Critica Marxista – si battono per trovare una soluzione alla vicenda, chiedendo il riconoscimento del valore sociale e culturale delle loro attività in questi spazi;
   alla fine degli anni ’90, l'ex scuola di via Sant'Ambrogio 4 era un edificio abbandonato e in rovina, e le associazioni, con il loro lavoro e a loro spese, l'hanno rimesso a nuovo e trasformato in un luogo di cultura e di politica di base fondamentale per la città di Roma. Il Rialto è un punto di riferimento per il teatro di avanguardia e per le arti figurative; il circolo Gianni Bosio, nel corso di questi anni, ha svolto almeno quattrocento concerti e duecento seminari, incontri, laboratori musicali (come ad esempio, l'unico corso di zampogna a Roma) ed è un punto di riferimento internazionale sulle culture orali e popolari; il forum ha promosso il referendum sull'acqua pubblica e le relative campagne di sensibilizzazione e altro;
   senza entrare nel merito del sequestro dello stabile, a giudizio degli interroganti, 750 spazi simili a quello del Rialto Sant'Ambrogio – perennemente in attesa di soluzioni e a rischio chiusura – in una città altamente popolosa come Roma, rappresentano una maniera alternativa per produrre cultura e informazione, e costituiscono una realtà diffusa e consolidata, rivolta a fasce di cittadini che altrimenti non ne usufruirebbero, che andrebbe valorizzata e sostenuta e mai osteggiata;
   in attesa di una legge che dopo 70 anni riformi, inquadri e regoli il teatro e lo spettacolo dal vivo, il 22 febbraio 2017 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha diffuso una pubblicazione, «Cultura e turismo, tre anni di Governo» sulle attività svolte, dove sottolinea il merito di aver dato, in questi anni, «sostegno pubblico alla prosa» che «ha cambiato radicalmente il sistema teatrale nazionale, ora più aperto alla ricerca e all'innovazione e all'incontro di nuovi pubblici» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e se, nell'ambito delle sue competenze, intenda assumere iniziative, anche normative, per garantire un più ampio sviluppo del sistema teatro nazionale, e per sostenere in particolare i progetti innovativi che permettano la realizzazione di attività culturali e associative come quelle descritte in premessa.
(4-15743)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   RIZZO, BASILIO, CORDA, FRUSONE e TOFALO. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   lo Stato Maggiore dell'Esercito ha istituito negli ultimi anni dei corsi di formazione per coadiutore socio-assistenziale rivolto al personale di Forza armata, come sancito per esempio, dalla nota del reparto affari generali Cod. Id. n. 11816 UAGO3 Ind. CI. 5.9.10 in data 17 aprile 2012 a firma del colonnello Paolo Raudino;
   detti corsi erano aperti a personale militare di età compresa tra i 25 e i 55 anni in possesso del diploma di maturità quinquennale, che abbiano riportato in sede di valutazione caratteristica la qualifica finale di eccellente negli ultimi cinque anni; che non abbiano mai ricevuto sanzioni disciplinari di stato, che siano stati in regola con le prove annuali di efficienza operativa, cui seguono alcune notazioni relativamente all'attitudine ed alla motivazione alla funzione;
   come si evince dalla pubblicazione «Rapporto Esercito 2016», tali corsi hanno permesso di selezionare e formare 92 coadiutori socio-assistenziali;
   nell'ambito della job description risultano conferiti a detto personale diversi ambiti di attività ad elevata specializzazione tra cui «monitorare l'andamento del processo di elaborazione del lutto individuale e familiare, anche attraverso il confronto telefonico con un U.psi., per essere in grado di riconoscere l'opportunità di consigliare un eventuale intervento psicologico» e «monitorare il periodo di convalescenza e di reinserimento sociale/lavorativo per riconoscere l'opportunità di consigliare un eventuale intervento psicologico»;
   già con atto di sindacato ispettivo n. 4-11360 della XVI legislatura venne contestato che tali attività, con specifico riferimento al primo bando del 2011, ad elevata caratterizzazione psicologico relazionale non potessero essere affidate a soggetti in possesso dei requisiti in premessa, e dai dubbi connotati di conformità alla normativa;
   sembrava opportuno già allora la necessità di attribuire tali iniziative a personale con competenza avanzate nel settore ed in possesso di titolo universitario dell'area psicologica, delle professioni sanitarie infermieristiche e della riabilitazione;
   in passato, il Tar si è così pronunciato in merito a professioni di « counselor»: «Non può non convenirsi che la gradazione del disagio psichico presuppone una competenza diagnostica pacificamente non riconosciuta ai counselors e che il disagio psichico, anche fuori dai contesti clinici, rientra nelle competenze della professione dello psicologo»;
   anche la Corte di cassazione, con sentenza del 15 marzo 2016, ha «bocciato» il ricorso di una donna di Ravenna, già condannata dal tribunale e in appello, per aver «esercitato abusivamente la professione di psicologo»;
   è stato istituito presso l'Ispettorato generale della sanità militare il Comitato tecnico scientifico per lo studio dei disturbi mentali nel personale militare – « Board», che rappresenta il primo organismo interforze di osservazione, monitoraggio e gestione dei disturbi mentali nell'Amministrazione della difesa che consente di misurare, tra gli altri, la reale incidenza del disturbo post traumatico da stress nei militari –:
   se il Ministro sia informato delle attività realizzate dal personale che ha svolto il compito di coadiutore socio-assistenziale;
   se intenda chiarire il concetto di «supporto morale» affidato al personale socio-assistenziale formato all'interno dell'Esercito e se abbia chiesto o se ritenga di chiedere un parere legale all'avvocatura dello Stato circa la legittimità sul piano dell'esercizio della professione dei corsi autorizzati con la nota di cui in premessa;
   quali interventi le altre forze armate e l'Arma dei carabinieri abbiano avviato a favore del personale dipendente e delle proprie famiglie come supporto psicologico;
   se possa rendere consultabili i dati epidemiologici risultanti dal lavoro del « Board» dal 2015. (4-15740)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta immediata:


   D'ALESSANDRO, FRANCESCO SAVERIO ROMANO, PARISI e VEZZALI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   nell'ultima settimana di febbraio 2017 – secondo quanto riporta la stampa – nelle carceri italiane si sono registrati tre suicidi. Nello specifico: il 21 febbraio 2017 un detenuto trentottenne si è tolto la vita nella casa circondariale di Napoli Poggioreale; il 24 febbraio 2017 è stata la volta di un cinquantenne ristretto alla Dozza di Bologna e di un ventiduenne in carcere a Regina Coeli dopo esser fuggito dalla residenza per l'esecuzione di misure di sicurezza (rems) di Frosinone;
   secondo fonti non ministeriali – associazioni e sindacati di polizia penitenziaria – sarebbero 235 i casi di suicidio in carcere nel quinquennio 2012-2016 e 937 dal 2000 al 2016: una media pressoché costante di circa uno alla settimana;
   ancor più numerosi e costanti negli anni i casi di tentato suicidio e autolesionismo, il cui epilogo non è stato tragico grazie all'intervento degli agenti di polizia penitenziaria: secondo la ricerca Istat più recente relativa ai detenuti nelle carceri italiane, pubblicata nel 2015, il tasso di suicidio tra i detenuti è orientativamente sei volte superiore a quella della popolazione maschile italiana. Il tasso di tentato suicidio è pari a 16,4 per mille, quello di autolesionismo a 106,1 per mille;
   è opinione condivisa da chi opera nelle carceri che le anomale percentuali siano da ricondurre a condizioni carcerarie spesso proibitive, diretta conseguenza del sovraffollamento: al 31 gennaio 2017 la popolazione carceraria ammontava a 55.381 detenuti, a fronte di una capienza regolamentare dei 191 istituti penitenziali pari a 50.174, con uno scarto di 5.207 unità;
   secondo il medesimo studio il sovraffollamento sarebbe dovuto, in particolare, a una quota consistente di detenuti in attesa di giudizio: il dato relativo al 31 gennaio 2017 indica in 9.729 i detenuti in attesa di primo giudizio e 9.585 quelli condannati non in via definitiva. Complessivamente il 35 per cento dei detenuti risulta soggetto a custodia cautelare;
   gli istituti penitenziari hanno l'obbligo di preservare la salute e la sicurezza dei detenuti, così come gli agenti di polizia penitenziaria hanno il diritto di svolgere le loro mansioni in un contesto non emergenziale –:
   quanti siano i casi di suicidio, di tentato suicidio e di autolesionismo verificatisi negli istituti penitenziari italiani dal 2014 ad oggi, quali misure si intendano adottare per migliorare le condizioni di vita nelle carceri e per arginare quello che appare agli interroganti un abuso della detenzione preventiva, ormai diventato un anticipo di pena, anche in ragione del gran numero di assoluzioni che intervengono nei vari gradi di giudizio. (3-02836)


   GALGANO, MUCCI, MENORELLO, MOLEA e OLIARO. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   dall'inizio del 2016 sono 117 le donne uccise da uomini, mariti, fidanzati o compagni (omicidi che rientrano più propriamente nella tipologia del femminicidio);
   nel 2015 in Italia si sono consumati 6.945 atti persecutori a danno delle donne, 3.086 casi di violenza sessuale e ben 6.154 casi di percosse;
   la durezza delle violenze è sempre più grave: aumentano i casi di ferite (dal 26,3 per cento al 40,2 per cento da partner) e il numero di donne che hanno temuto per la propria vita (dal 18,8 per cento del 2006 al 34,5 per cento del 2014); anche le violenze da parte dei non partner sono più gravi;
   il 19 giugno 2013 il Parlamento italiano ha approvato, in via definitiva, la legge di ratifica ed esecuzione della Convenzione del Consiglio d'Europa, nota come Convenzione di Istanbul, contro la violenza sulle donne e la violenza domestica;
   la Convenzione di Istanbul pone l'accento su un tema importante, quello della «vittimizzazione secondaria», ovvero la colpevolizzazione della vittima, che consiste nel ritenere chi ha subito una violenza o altre sventure parzialmente o interamente responsabile di ciò che le è accaduto, inducendo la stessa ad autocolpevolizzarsi;
   a Perugia, il 24 dicembre del 2011, una ragazza fu vittima di ripetuti stupri, oltre ad essere massacrata di botte davanti a una macchina parcheggiata fuori da un noto locale cittadino;
   dopo l'immediata denuncia per stupro (a seguito di opportuni accertamenti medici e di varie indagini) l'imputato venne arrestato e poi rilasciato;
   non è stata purtroppo ancora formulata una sentenza di primo grado e questi tempi così lunghi potrebbero portare ad un eventuale prescrizione, come purtroppo accaduto a Torino in un odioso caso di violenza su di una bambina di 7 anni, procedimento non concluso e quindi prescritto dopo 20 anni –:
   se non ritenga di assumere opportune iniziative normative affinché nei casi di violenza, come quelli citati, i processi abbiano iter più brevi nonché durata certa e le vittime di aggressioni possano usufruire di forme e modalità per rendere testimonianza giudiziale che le tutelino maggiormente, attenuando l'impatto psicologico ed emotivo scaturito dalla violenza subita. (3-02837)


   FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, CASTIELLO, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, MOLTENI, PAGANO, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   il 22 febbraio 2017 il giudice del tribunale ordinario di Milano, dottoressa Martina Flamini, ha emesso un'ordinanza (ruolo generale n. 47117 del 2016) con cui condannava la Lega Nord, sezione di Saronno, la Lega Nord Lega Lombarda e la Lega Nord Federale al pagamento della somma, in solido fra loro, di euro 10.000, oltre spese legali, per aver utilizzato l'espressione «clandestini» all'interno di manifesti, affissi nell'aprile 2016 a Saronno, «per il carattere discriminatorio e denigratorio»;
   con il termine «clandestino» si definisce colui che si trova od opera in una situazione irregolare, senza l'approvazione dell'autorità o contro il divieto delle leggi vigenti; è inconcepibile, pertanto, per gli interroganti l'intento di modificare il vocabolario della lingua italiana tramite sentenze, che denota un atteggiamento sempre più guidato da un'ideologia che da un'oggettiva azione giudicante;
   tale ricorso è stato promosso da Asgi-Associazioni degli studi giuridici sull'immigrazione e Naga-Associazione volontaria di assistenza sociosanitaria e per i diritti di cittadini stranieri, rom e sinti;
   il magistrato giudicante deve avere comportamenti imparziali e terzi, tali da non sollevare dubbi a nessuna parte in causa che potrebbe potenzialmente trovarsi in un «conflitto di interessi»; è opportuno menzionare come vi è un presupposto processuale dell'imparzialità e terzietà del giudice, collegato ai principi costituzionali dell'obbedienza del giudice solo alla legge (articolo 101 della Costituzione) e del diritto delle parti processuali a che il giudizio sia tenuto da un giudice terzo, nell'ambito di un giusto processo (articolo 111);
   l'articolo 51 del codice di procedura civile contempla i casi in cui il giudice ha l'obbligo di astenersi chiedendone, al capo dell'ufficio, ex articolo 78 delle disposizioni di attuazione del codice di procedura civile, la relativa autorizzazione;
   emerge che la dottoressa Martina Flamini ha più volte, e con continuità, tenuto conferenze presso uno dei due ricorrenti – l'Asg – su temi attinenti al diritto della protezione internazionale nelle seguenti date: 21 febbraio 2014, 18 marzo 2014, 13 marzo 2015, 25 novembre 2015, 7 marzo 2016 e 13 settembre 2016;
   tenere conferenze, quale relatrice, con continuità, presso una delle associazioni ricorrenti pone il forte dubbio che il giudice possa non essere imparziale e terzo e quindi trovarsi in un «conflitto di interessi» cui porre rimedio promuovendo l'istanza di astensione –:
   se intenda verificare la sussistenza dei presupposti per l'avvio di un'ispezione, anche ai fini dell'esercizio dell'azione disciplinare, poiché il magistrato a parere degli interroganti doveva promuovere l'istanza d'astensione. (3-02838)


   VERINI, ROSSOMANDO, ERMINI, AMODDIO, BAZOLI, BERRETTA, CAMPANA, DI LELLO, GIORGIS, GIULIANI, GRECO, GIUSEPPE GUERINI, IORI, MAGORNO, MATTIELLO, MORANI, GIUDITTA PINI, ROSTAN, TARTAGLIONE, VAZIO, ZAN, MARTELLA, CINZIA MARIA FONTANA e BINI. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   la legge 28 aprile 2016, n. 57, recante «Delega al Governo per la riforma organica della magistratura onoraria e altre disposizioni sui giudici di pace», prevede il riassetto complessivo dell'ordinamento dei magistrati onorari, introducendo alcune significative novità, ad esempio la distinzione tra giudici di pace e giudici onorari di tribunale, che vengono inseriti in un solo ufficio giudiziario, nonché prevedendo, al contempo, un ampliamento significativo delle competenze civili e penali, quali, ad esempio, sul piano della competenza civile, le cause condominiali, i procedimenti di espropriazione mobiliare presso il debitore;
   la competenza per valore viene estesa fino a 30 mila euro e per gli incidenti stradali fino a 50 mila euro. Il giudice di pace avrà poi la possibilità di decidere, secondo equità, tutte le cause di valore fino a 2.500 euro, mentre sul piano della competenza penale saranno attribuite nuove fattispecie di reato;
   si è, dunque, di fronte ad una funzione, quella esercitata dai giudici di pace, che, soprattutto alla luce della riforma avviata, riveste un ruolo sempre più centrale e importante nell'amministrazione della giustizia, ma che, proprio per le caratteristiche intrinseche di temporaneità, soffre di tale mancanza di stabilità e lamenta carenze di adeguate tutele;
   ancora ad oggi non vi è stato completo esercizio della delega, che dovrebbe avvenire entro il 14 maggio 2017, ma va sottolineato come da tempo, sia in Italia sia in sede europea, si discuta intorno all'inquadramento dal punto di vista lavoristico della magistratura onoraria e di pace, che è caratterizzata proprio, come detto, dalla mancanza di una sufficiente stabilità, proprio in considerazione della natura stessa, a termine, dell'incarico;
   il Comitato europeo dei diritti e delle uguaglianze sociali (Ceds) ha accolto il reclamo n. 103/2013 e ha sancito il diritto al riconoscimento della sicurezza sociale a questa magistratura, oltre al fatto che le funzioni di giudice di pace siano funzionalmente equivalenti ai magistrati di ruolo –:
   se il Governo abbia attualmente allo studio misure, ed eventualmente quali, anche nell'ambito del completamento dell'esercizio della delega, che forniscano risposte adeguate al tema dell'inquadramento dei giudici onorari di pace, tali da superare in maniera definitiva le criticità esposte. (3-02839)


   CIRIELLI, LA RUSSA, RIZZETTO, GIORGIA MELONI, MURGIA, TAGLIALATELA, RAMPELLI, NASTRI, TOTARO e PETRENGA. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si è appreso che al Ministro interrogato è stata recapitata una lettera firmata da 82 procuratori della Repubblica di tutta Italia per chiedere un'audizione in vista della paventata riforma della magistratura onoraria e solo questo ennesimo allarme sui disagi che tale riforma provocherebbe sembra aver portato finalmente alla convocazione di un incontro;
   il tema da affrontare è quello dell'ulteriore precarizzazione dei magistrati onorari attraverso l'introduzione di pagamenti sul modello dei voucher e la riduzione dell'impegno di lavoro a una sola giornata a settimana;
   prorogati per diciassette anni, senza alcuna tutela previdenziale o assicurativa, già il Consiglio d'Europa e la Commissione europea hanno censurato l'inquadramento precario della categoria, ma ciononostante il Ministro interrogato ha continuato a ribadire il suo diniego alla stabilizzazione della categoria ritenendola incompatibile con la Costituzione, che la riserverebbe ai soli magistrati che abbiano superato il concorso ordinario;
   l'inquadramento a tempo indeterminato dei magistrati onorari è cosa diversa dall'inquadramento nel ruolo ordinario dei magistrati di carriera e non inciderebbe sulle prerogative esclusive della magistratura di carriera, titolare unica di tutte le funzioni diverse da quelle giudiziarie devolvibili a giudici singoli;
   per difendere il proprio diritto a svolgere le funzioni loro affidate, a condizioni economiche rispettose della loro indipendenza e autonomia, e per ribadire la propria volontà di fornire un effettivo e sempre maggiore supporto alla magistratura di ruolo, la categoria ha promosso uno sciopero dal 20 al 24 febbraio 2017;
   nonostante le promesse fatte, ad avviso degli interroganti il Governo non sembra mostrare interesse ad agire in modo incisivo sull'inquadramento della categoria, né verso una distinzione di chi in essa milita da decenni, ben oltre l'originario termine quinquennale previsto dal decreto legislativo n. 51 del 1998, lasciando immutata la temporaneità delle funzioni attribuite e l'assenza di una dignitosa retribuzione corrispettiva dell'impegno profuso;
   la tematica era già stata posta con l'interrogazione n. 4-11417, in attesa di risposta da oltre un anno –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti e quali urgenti iniziative intenda adottare, anche attraverso la convocazione di tavoli tecnici con le rappresentanze di categoria, per la tutela della magistratura onoraria, che garantisce il funzionamento della macchina giudiziaria, sul presupposto che la natura onorifica dell'iniziale inquadramento formale non può giustificare quello che gli interroganti giudicano uno sprezzante disconoscimento delle responsabilità effettive e delle conseguenti guarentigie minime dovute. (3-02840)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi si è appreso che è stata denominata la stazione di Lascari-Gratteri realizzata nel 1887;
   suddetta stazione, dal 1988, è divenuta nota al grande pubblico perché conosciuta come la stazione di Giancaldo, luogo simbolo della partenza del piccolo Totò nel film di Giuseppe Tornatore vincitore dell'oscar, «Nuovo Cinema Paradiso»;
   l'abbattimento risulta essere conseguenza del progetto di Italferr di raddoppio ferroviario della linea tra Fiumetorto e Castelbuono;
   la notizia ha colpito molto per il suo impatto su un immobile che costituisce un patrimonio della memoria collettiva e che richiamava anche molti turisti italiani e stranieri;
   nel corso dell'approvazione in prima lettura della proposta di legge sulla valorizzazione delle ferrovie storiche è stato accolto un ordine del giorno a prima firma dell'interrogante finalizzato proprio alla tutela e alla valorizzazione di beni immobili lungo le tratte ferroviarie che sono stati luoghi di set cinematografi i proprio per il grande valore storico e culturale anche di richiamo turistico –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di tale questione e se non intendano attivarsi, per quanto di competenza, al fine di verificare progetti di recupero almeno di parte del materiale dell'immobile demolito, coinvolgendo l'amministrazione comunale competente, per una iniziativa di tutela della memoria e del valore costituito da quella stazione, nonché per attivare un censimento su tutto il territorio nazionale degli immobili ferroviari che sono stati set cinematografici con l'obiettivo di una loro valorizzazione anche in chiave turistica, onde evitare che possa ripetersi quanto accaduto a Lascari. (3-02830)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è ormai chiuso da quasi un anno e mezzo il ponte sul Riu Malu, infrastruttura di collegamento con la strada statale 131 e la strada provinciale 69 all'ingresso di Pabillonis;
   il ponte è stato chiuso lo scorso 30 novembre con un'ordinanza di chiusura emessa dall'ex Provincia del Medio Campidano perché, dopo decenni dalla sua realizzazione, all'improvviso si era scoperto che non esisteva il certificato di collaudo;
   quasi 500 giorni di silenzi con l'incapacità amministrativa sempre più evidente;
   si tratta di un intero territorio imprigionato e costretto a percorrere deviazioni chilometriche per raggiungere la statale 131 e i paesi limitrofi, e viceversa;
   autotrasportatori, lavoratori, pendolari, agricoltori e allevatori che hanno terre e ovili dall'altra parte del ponte, costretti a massicce perdite di tempo e carburante, con oneri di tempo e di denaro a gravare sulla loro economia;
   sono stati stanziati cinque milioni di euro per la rotatoria sulla statale 197 nel noto «incrocio della morte» all'uscita di San Gavino Monreale per Villacidro, per il ponte sulla strada che collega Pabillonis a San Gavino e per l'ormai famoso ponte sul Riu Malu all'ingresso di Pabillonis;
   in 500 giorni non si è riusciti a far riaprire quell'infrastruttura di diretta connessione con la statale 131 e con il rischio che possa risultare inagibile anche il ponte sulla provinciale 63 che collega Pabillonis a San Gavino, col rischio che venga chiusa al traffico anche quell'arteria –:
   se non ritenga di assumere iniziative urgenti e straordinarie per indire una conferenza di servizi in grado di risolvere l'annosa questione che impedisce la fruibilità della stessa viabilità statale da parte di un intero territorio ricadente tra i comuni di Pabillonis, Sardara e gran parte del medio Campidano. (5-10697)

Interrogazione a risposta scritta:


   LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo schema idrico Basento-Bradano-Attrezzamento settore G, è un'opera di fondamentale importanza strategica per il settore agroalimentare lucano e utile alla distribuzione irrigua del distretto che si estende per circa 13.050 ettari nel nord della Basilicata. Il progetto prevede la realizzazione di: una condotta principale (collegamento diga di Genzano alla diga del Basentello) di 23,170 chilometri; diramazioni settoriali per alimentare i 14 settori del «distretto G»; une rete di distribuzione irrigua, con sviluppo di circa 400 chilometri; 14 vasche di compenso di volume variabile complete di strumenti di misura delle portate; un impianto di sollevamento per il settore G6 non portata di 172,36 lt/sec a prevalenza di 189 metri. L'opera è frutto dell'unificazione di 3 distinti progetti denominati in precedenza «Completamento schema idrico Basento Bradono. Adduttore diga di Genzano-Diga del Basentello» e «Completamento schema idrico Basento Bradano. Attrezzamento Settore G»;
   l'opera è stata valutata con pareri favorevoli già nel 2006 dall'Anas, dalle province di Matera e Potenza, dal comitato tecnico sulla valutazione di impatto ambientale e l'autorizzazione paesaggistica e dal dipartimento delle infrastrutture della regione Basilicata. I lavori sono stati lentamente avviati nel 2006 ma hanno subito il completo arresto nel 2011;
   il CIPE ha approvato il progetto di 85,7 milioni di euro precisando che i fondi non potevano essere prelevati dai Fas così come previsto inizialmente dal Ministero. Con la delibera n. 130 CIPE è stato assegnato un contributo di 6,3 milioni di euro per 15 anni a patto che fosse individuato da parte del soggetto aggiudicante, entro due mesi dalla pubblicazione della delibera, un piano economico-finanziario aggiornato. Il Ministero dell'interno, con nota del 27 ottobre 2006, ha trasmesso al CIPE la relazione integrativa con il piano economico aggiornato proponendo la conferma di finanziamento già assegnato in via programmatica e la copertura della quote residua di fabbisogno pari a 15,7 milioni di euro. Il mese successivo la regione Basilicata ha dichiarato di impegnarsi a farsi carico della somma di 6,9 milioni di euro, chiedendo di poter trattenere le eventuali economie dei ribassi d'asta nell'aggiudicazione dell'opera e precisando poi che la copertura dell'onere sarebbe derivata anche dalle royalty petrolifere;
   a seguito dell'indisponibilità dell'aggiudicatario, nell'aprile del 2011 la regione ha predisposto un nuovo bando che non è mai partito a causa della mancata disponibilità di finanziamento da parte della Cassa depositi e prestiti. Tuttavia secondo quanto riportato dalla relazione tecnica, sono ad oggi utilizzabili 62,580 milioni di euro cumulati con il contributo quindicinale di 6,3 milioni di euro;
   nel mese di ottobre 2014 il «Consorzio di Bonifica Vulture Alto Bradano» ha fissato per lo stesso mese l'inizio dei lavori per l'esame della documentazione relativa le operazioni di gara sospese ormai da oltre due anni;
   nel cosiddetto decreto «Destinazione Italia» il comma 1 dell'articolo 13 recitava: «Le assegnazioni disposte dal CIPE con le delibere n. 146 del 17 novembre 2006 e le assegnazioni disposte dalla delibera CIPE n. 33 del 13 maggio 2010 sono revocate» sancendo di fatto la revoca della delibera Cipe n. 146 contenente anche lo schema idrico lucano;
   successivamente il decreto cosiddetto «Sblocca Italia» ha ripristinato i finanziamenti per l'opera, ma con una scadenza stringente (31 dicembre 2014) pena l'annullamento del finanziamento che ne presupponeva una difficile attuazione di inizio lavori;
   l'assegnazione prevista per il 17 novembre 2014, non si è conclusa a causa di una contestazione sull'offerta vincente giudicata troppo a ribasso. La denuncia partita da una ditta di Ravenna riguarda la ditta D'Agostino Costruzioni;
   nonostante il ricorso sulle anomalie del vincitore della gara presentato dalla ditta emiliana, il 29 dicembre 2014, la commissione giudicatrice ha dichiarato la D'Agostino costruzioni vincitrice per l'aggiudicazione provvisoria motivando la stessa come un'offerta «congrua e ammissibile»;
   il giorno 7 aprile 2015, si è appreso a mezzo stampa che il commissario straordinario dei consorzi di bonifica lucani Giuseppe Musacchio ha ritenuto «carenti» i chiarimenti richiesti sull'offerta della ditta vincitrice D'Agostino Costruzioni «sfiduciando» i responsabili della gara da 58 milioni di euro;
   ad oggi i lavori sono bloccati e lasciano in sospeso le aspettative di cittadini ed agricoltori che attendono l'avvio di un'opera strettamente legata allo sviluppo del comparto agricolo e progettata per garantire un efficace utilizzo delle risorse idriche –:
   quali iniziative se del caso normative intenda porre in essere il Governo, alla luce di quanto emerso in premessa, per non vanificare i finanziamenti volti al completamento dello schema idrico Basento-Bradano per preservare il finanziamento dell'opera. (4-15739)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   COSTANTINO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 24 febbraio 2017 il ventiduenne Valerio G. si è impiccato con un lenzuolo alla grata del bagno di Regina Coeli, dove era detenuto, nella seconda sezione, al terzo piano, dove sono detenute altre 167 persone;
   il giovanissimo Valerio era recluso per resistenza, lesioni e danneggiamento, ma in realtà era stato collocato presso il carcere Regina Coeli dopo essere scappato alcune volte dalla Residenza per l'esecuzione delle misure di sicurezza (Rems), vera e propria struttura sanitaria che ha sostituito l'ospedale psichiatrico giudiziario;
   le Rems sono strutture sostitutive previste dalla legge n. 81 del 2014, che avrebbe dovuto stabilire la chiusura definitiva per la fine di marzo di due anni fa degli ospedali psichiatrici giudiziari – che in tutto il territorio nazionale sono 23; si tratta di una legge che, per gli interroganti, senza le adeguate correzioni e strategie di bilancio sarà di difficile applicazione;
   dall'inizio del 2017 dieci sono i detenuti che si sono tolti la vita dietro le sbarre. Solo il giorno prima del caso di Regina Coeli un detenuto di 43 anni si era tolto la vita presso il carcere Dozza di Bologna. Nel 2016 sono avvenuti 39 casi di suicidio mentre, dal 2000 ad oggi, in tutto sono 937 le persone che si sono tolte la vita nelle carceri italiane;
   Regina Coeli, similmente alla maggior parte delle prigioni italiane, ha un sovraffollamento di più di 289 detenuti: dovrebbero essere 622, oggi sono invece 911;
   Patrizio Gonnella dell'Associazione Antigone e Stefano Cecconi della Campagna Stop Opg, affermano a gran voce che «Non si cura mettendo le persone dietro le sbarre, ma [le stesse] si affidano al sostegno medico, sociale, psicologico dei servizi del territorio. Se un ragazzo va via da una Rems non si deve parlare di evasione. Non si butta una vita in galera»;
   al 31 luglio 2016 restano attivi 2 ospedali psichiatrici giudiziari, Aversa e Montelupo Fiorentino, con un totale di 58 persone;
   l'applicazione della nuova normativa tende a sostituire semplicisticamente gli ospedali psichiatrici giudiziari con le Rems, ma lo spirito della legge n. 81 del 2014 non è quello, in quanto «l'Opg è sostituito non dalla REMS ma dall'insieme dei servizi sanitari e sociali del territorio dei quali fa parte il Dipartimento di salute mentale e al suo interno opera come struttura specializzata, la REMS» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, considerata l'annosa questione del trattamento carcerario e del strutturale sovraffollamento delle carceri italiane e quella che per gli interroganti risulta la scorretta sostituzione degli ospedali psichiatrici giudiziari con le strutture delle Residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza, non intendano avviare le opportune verifiche sugli avvenimenti di Regina Coeli e sulle condizioni di vita nelle strutture detentive e quali iniziative di competenza intendano assumere per garantire e potenziare strutture che gestiscano rapporti di cura in raccordo con la giustizia, costituendo una cabina di regia a livello nazionale, viste le forti differenze tra le residenze per l'esecuzione delle misure di sicurezza di tutta Italia. (4-15744)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il cinquantesimo rapporto del Censis sui sistemi di alta formazione musicale evidenzia la notevole superiorità degli istituti musicali italiani nel mondo e, tra questi, rientra anche il Conservatorio «Pollini», che vanta una prestigiosa tradizione ed è conosciuto a livello internazionale grazie ad alcune iniziative di cui è promotore, tra cui i «Sabati del Conservatorio», i concerti degli allievi e masterclass alla presenza di docenti di caratura internazionale;
   da notizie di stampa (vedasi « Il Gazzettino» del 16 febbraio 2017) si apprende del perdurare della grave condizione di precarietà, già evidenziata nell'interrogazione a risposta in commissione, n. 5-05913, presentata dall'interrogante, in cui versa la struttura: numero di aule insufficienti (19 a fronte di 800 studenti, 81 docenti di ruolo e 50 a contratto), di cui moltissime non insonorizzate, evidenti problemi di infiltrazioni di umidità, crepe nei muri, buchi e scricchiolii nei pavimenti che relegano gli strumenti musicali in angoli ritenuti più sicuri, prolungamento eccezionale di turni per permettere l'utilizzo delle aule da parte degli allievi che, spesso, sono costretti ad esercitarsi suonando all'interno dei bagni;
   tale stato di cose rappresenta un serio e reale pericolo per tutti coloro che gravitano nell'ambito del Conservatorio e, a ciò, si aggiungono i tagli alle risorse degli anni passati e una inadeguatezza di risorse economico-finanziarie che ostacolano enormemente l'attività didattica;
   a ciò si aggiunge anche il fatto che, dopo la riforma che ha interessato il settore dell'Alta Formazione artistica e musicale (Afam), di cui fa parte il Conservatorio Pollini, con l'emanazione della legge n. 508 del 1999, vi è stato il passaggio della gestione dell'istituto dalla provincia al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, mentre la proprietà risulta essere del comune, con una poco chiara suddivisione delle relative competenze nella gestione;
   ad oggi si è ancora in attesa di un riordino complessivo dell'intero settore;
   dal 2005 il conservatorio Pollini continua l'attività con un'agibilità in deroga, nella speranza di un trasloco in altra sede, peraltro mai avvenuto (negli ultimi anni si è parlato di un ampliamento attraverso l'occupazione della vicina ex tesoreria della Cassa di Risparmio) –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative di propria competenza intenda intraprendere al fine di contribuire a risolvere la difficile situazione in cui si vedono costretti sia gli allievi che i docenti del Conservatorio «Pollini» di Padova, fornendo chiarimenti sulla suddivisione delle varie competenze e responsabilità concernenti la gestione del Conservatorio, anche al fine di garantire la sicurezza degli allievi e del personale ed il regolare svolgimento della didattica;
   se non ritenga altresì opportuno assumere iniziative in maniera tempestiva al fine di reperire risorse economico-finanziarie che garantiscano la disponibilità di una nuova sede, sicura e spaziosa, e far sì che il «Pollini» continui a rappresentare un'eccellenza italiana. (5-10696)


   TINAGLI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 4 ottobre 2016 il rettore dell'università degli studi di Parma ha comunicato ai direttori dei dipartimenti e dei centri, ai responsabili amministrativi dei centri ai dirigenti delle aree e agli ordinatori una segnalazione pervenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze relativa ad alcune perplessità in ordine al rispetto dell'obiettivo di fabbisogno 2016, pari a 128,29 milioni di euro;
   dalla stessa comunicazione è possibile rilevare che l'università degli studi di Parma avrebbe informato il Ministero dell'economia e delle finanze circa un monitoraggio delle entrate, delle spese effettuate nei mesi di luglio, agosto e settembre 2016 e delle previsioni di spesa prospettate dall'amministrazione dell'ateneo che evidenziano – già nel mese di ottobre – uno sforamento del citato limite del fabbisogno per un ammontare tra i 16 e i 17 milioni di euro;
   nella suddetta comunicazione, il rettore invita i propri dipendenti a sospendere le obbligazioni assunte nei confronti di terzi per l'anno 2016, almeno in attesa di un riscontro da parte del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, circa la richiesta avviata di un aumento del limite del fabbisogno per il 2016;
   tale comunicazione avrebbe generato grande incertezza e numerosi interrogativi da parte del personale docente ed amministrativo rispetto alla sostenibilità dell'attività ordinaria –:
   di quali ulteriori elementi disponga il Governo circa i fatti esposti in premessa, se siano state effettuate le opportune verifiche di competenza ed, in tal caso, quali siano stati i relativi esiti riguardo ai motivi che hanno portato allo sforamento del limite dell'obiettivo di fabbisogno previsto per l'ateneo nel 2016 sopra richiamato;
   quale seguito abbia dato il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca alla richiesta inoltrata dal rettore dell'università di Parma circa la possibilità di ottenere un aumento del limite del fabbisogno per far fronte alle spese relative al 2016. (5-10699)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta immediata:


   VIGNALI. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   il Parlamento ha approvato il 6 giugno 2016 la legge n. 106, «Delega al Governo per la riforma del terzo settore, dell'impresa sociale e per la disciplina del servizio civile universale»;
   la legge prevede una serie di deleghe al Governo al fine di sostenere l'autonoma iniziativa dei cittadini che concorrono anche in forma associata a perseguire il bene comune e ad elevare i livelli di coesione e protezione sociale, favorendo l'inclusione ed il pieno sviluppo della persona;
   tra le finalità perseguite dalla delega vengono indicate specificatamente quelle di procedere ad una revisione della disciplina contenuta nel codice civile in tema di associazioni e di fondazioni, nonché della disciplina in tema di impresa sociale e di servizio civile nazionale;
   l'articolo 9 della citata legge prevede una delega al Governo per la disciplina delle misure agevolative e di sostegno economico in favore degli enti del terzo settore e per il riordino e l'armonizzazione della relativa disciplina tributaria e delle diverse forme di fiscalità di vantaggio nel rispetto della normativa dell'Unione europea. Tra l'altro, questo decreto legislativo dovrebbe contenere le norme sul 5 per mille;
   si tratta di una legge attesa da tempo e che rappresenta una vera e propria svolta nella vita del mondo del terzo settore, che, pertanto, ha acquisito un riconoscimento giuridico che fino ad oggi era mancato;
   il Governo ha tempo un anno dalla data di entrata in vigore della legge per predisporre i decreti legislativi necessari all'attuazione della stessa, pertanto a breve la delega scadrà –:
   quale sia lo stato di attuazione relativo alla predisposizione degli schemi dei decreti legislativi necessari per rendere subito operativa la legge sul terzo settore in particolare il decreto legislativo che dovrebbe contenere le norme sul 5 per mille) in relazione alla quale si ritiene opportuno accelerare, vista l'importanza che essa riveste per il Paese, la presentazione dei medesimi schemi di decreti legislativi alle Camere per il relativo parere.
(3-02833)


   LOMBARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, COMINARDI, TRIPIEDI e DALL'OSSO. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   il 7 febbraio 2017, presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, alla presenza di esponenti del Governo, si è svolta una riunione tra il direttore delle risorse umane di Tim spa, la responsabile relazioni sindacali dell'azienda e il rappresentante del sindacato Uilcom;
   in quell'occasione, la società riportava una serie di indicatori economici a sostegno dell'asserito andamento negativo della redditività e della produttività aziendale, tra i quali:
    a) ricavi in calo;
    b) costo del lavoro stabile malgrado il ricorso alla solidarietà;
    c) contrattazione di II livello antistorica e/o inadeguata a sostenere la produttività;
   a quanto risulta dalla presentazione ufficiale, da parte dei vertici Tim, del nuovo piano industriale, i suddetti dati non corrisponderebbero a quelli reali che sarebbero invece i seguenti:
    a) nel corso degli ultimi 5 anni i ricavi hanno conosciuto un incremento pari a circa l'1 per cento annuo;
    b) il costo del lavoro è stato ridotto di circa 11 milioni di euro;
    c) la contrattazione di secondo livello in vigore fino a oggi ha prodotto cospicui risultati;
   sulla base degli elementi riportati dai vertici Tim – confutati da parte dei lavoratori – l'azienda ha disdetto gli accordi sindacali del 14 e 15 maggio 2008 e ha emanato un nuovo regolamento aziendale, peggiorativo delle condizioni dei dipendenti, al fine di attenuare i trend sopra evidenziati che, a loro avviso, impatterebbero pesantemente sulla competitività della società –:
   se il Ministro interrogato, alla luce dei dati in suo possesso, riferiti agli anni 2012-2016, non reputi necessario intervenire allo scopo di sollecitare un nuovo tavolo di incontro tra i manager di Tim e le organizzazioni sindacali dei dipendenti, finalizzato a ripensare un modello di gestione aziendale che tuteli i diritti fondamentali dei lavoratori. (3-02834)


   PAGLIA, AIRAUDO, PLACIDO, COSTANTINO, DANIELE FARINA, FASSINA, FRATOIANNI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, MARCON, PALAZZOTTO, PANNARALE e PELLEGRINO. – Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   ad un lavoratore modenese con 30 anni di contributi versati da lavoratore dipendente e con successivo cumulo di contributi afferenti alla gestione separata (provenienti da prestazioni a voucher), con verificata possibilità di anticipare il requisito da 67 anni a 63 e 7 mesi, la locale sede dell'Inps avrebbe negato la collocazione in pensione a partire dal 1o gennaio 2017, opponendo la mancata maturazione del diritto;
   a seguito di verifica effettuata dal patronato Inca Cgil, sarebbe stata confermata la previsione iniziale, motivata con il fatto che negli ultimi 4 anni l'operaio sia stato pagato a voucher;
   la sede dell'Inps di Modena non sarebbe infatti abilitata all'accredito dei contributi da lavoro a voucher, in attesa di indicazioni da parte della sede nazionale;
   è del tutto evidente che, se confermata, la notizia sarebbe incredibile, perché rappresenterebbe una terribile lesione del diritto dei lavoratori, che, oltre a vedersi costretti a lavorare in assenza di contratto, con la retribuzione affidata a un «buono orario», sarebbero anche privati del diritto alla pensione;
   è inutile aggiungere che anche solo una giornata di pensione negata ad un solo lavoratore sarebbe un arbitrio intollerabile, a fronte di contributi regolarmente versati;
   inoltre, per quanto risulta agli interroganti, le sedi periferiche dell'Inps, come quella di Modena, potrebbero non essere autorizzate ad accreditare i versamenti contributivi derivanti da voucher e ciò rappresenterebbe un fatto di gravità inaudita –:
   se corrisponda al vero quanto descritto in premessa e, in tal caso, quali provvedimenti urgenti si intendano assumere in relazione a quanto si sta verificando presso le sedi dell'Inps che, come quella di Modena, stanno negando un diritto ai lavoratori, chiarendo altresì i motivi per i quali non siano mai state date le opportune e doverose disposizioni per rimediare al più presto ad una lacuna inaccettabile. (3-02835)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta immediata:


   RUSSO, CATANOSO e FABRIZIO DI STEFANO. – Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. – Per sapere – premesso che:
   è di recente diffusione l'allarme della Coldiretti, lanciato sulla base dei dati Istat relativi ai primi undici mesi del 2015: le importazioni di concentrato di pomodoro dalla Cina sono aumentate del 680 per cento e hanno raggiunto circa 70 milioni di chili nel 2015, pari a circa il 10 per cento della produzione nazionale in pomodoro fresco equivalente;
   dalla Cina si sta infatti assistendo ad un crescendo di navi che sbarcano fusti di oltre 200 chili di peso con concentrato di pomodoro da rilavorare e confezionare come italiano, poiché nei contenitori al dettaglio è obbligatorio indicare solo il luogo di confezionamento, ma non quello di coltivazione del pomodoro;
   in Italia, l'obbligo di indicare in etichetta l'origine degli alimenti vale solo per la passata di pomodoro, ma non per il concentrato o per i sughi pronti; in pratica, una volta lavorati nel nostro Paese, i prodotti conquistano una fittizia cittadinanza italiana e beneficiano del valore aggiunto di cui godono le eccellenze agroalimentari italiane sui mercati esteri, costituendo un serio attacco al made in Italy;
   l'iniziativa del Governo per la valorizzazione dei prodotti nazionali attraverso il segno unico distintivo agroalimentare ha, di fatto, alimentato un export agroalimentare di prodotti che non sono italiani, ma che semplicemente transitano nel nostro Paese;
   all'aumento record delle importazioni si sommano la riduzione dei prezzi pagati agli agricoltori (di circa il 10-15 per cento) e il taglio delle superfici coltivate, generando una situazione che non è più sostenibile;
   il pomodoro è il condimento maggiormente acquistato dagli italiani: nel settore del pomodoro da industria sono impegnati in Italia oltre 8 mila imprenditori agricoli che coltivano circa 72.000 ettari, 120 industrie di trasformazione in cui trovano lavoro ben 10 mila persone, con un valore della produzione superiore ai 3,3 miliardi di euro;
   la Cina avrebbe conquistato, anche nel 2015, il primato in Europa del numero di notifiche per prodotti alimentari irregolari perché contaminati dalla presenza di micotossine, additivi e coloranti –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare per contrastare questo ennesimo attacco di concorrenza sleale in uno dei settori simbolo del made in Italy nel mondo, oltre che per tutelare il diritto dei consumatori di conoscere cosa acquistano e cosa mangiano, e come intenda agire, attraverso specifiche iniziative di competenza, per rendere il mercato più trasparente e tutelare il made in Italy attraverso l'obbligo di indicare in etichetta la provenienza dei prodotti importati, anche per il concentrato di pomodoro. (3-02832)

RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta immediata:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. – Al Ministro per i rapporti con il Parlamento. – Per sapere – premesso che:
   l'inchiesta sul terremoto del mese di agosto 2016, condotta dal gruppo interforze composto dai finanzieri del nucleo di polizia tributaria e dai carabinieri di Rieti, ha avuto come esito preoccupante la scoperta che tre aziende, attualmente operanti nella ricostruzione post sisma nella zona di Amatrice, hanno avuto in passato difficoltà giudiziarie;
   l'aquilana Dsba srl, che si sta occupando della «manutenzione ordinaria e pronto intervento» di due strade regionali che portano ad Amatrice, nel 2015 fu esclusa su segnalazione dell'Anac da un bando di lavori per il Giubileo, in quanto al suddetto bando avevano partecipato due società gemelle (Dsba e Codisab) con nomi diversi, ma sempre riferibili alla famiglia di impresari Di Sabantonio, alterando la concorrenza;
   la Codisab, azienda capofila di Di Sabantonio, nella ricostruzione post terremoto dell'Aquila operò in un'associazione temporanea di imprese, in cui uno dei cui soci risultava in rapporti con i prestanome di Vito Ciancimino;
   la seconda azienda, su cui la procura sta decidendo se aprire un'indagine, è l'Htr bonifiche che ha vinto alcune commesse per la rimozione delle macerie e che fa parte del gruppo Htr, il cui ex consigliere delegato è imputato a Firenze per traffico illecito di rifiuti;
   lavora alla ricostruzione delle zone terremotate, infine, il Consorzio nazionale servizi che ha vinto la gara Consip per la fornitura di casette di legno destinate anche ad Amatrice, a cui era associata anche la cooperativa di Buzzi protagonista dell'inchiesta su «mafia capitale» –:
   se il Governo sia a conoscenza delle vicende di cui in premessa e se possa fornire rassicurazioni circa il corretto svolgimento delle assegnazioni dei lavori e delle gare in questione, nel pieno rispetto del quadro normativo. (3-02831)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   dal sito dell'Associazione italiana medici è possibile prendere visione dello statuto della Fondazione degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri e delle professioni sanitarie della Sicilia, di cui la sede è in Palermo, in via Padre Rosario da Partanna 22;
   a tale Fondazione partecipano gli ordini dei medici e degli odontoiatri di tutte le provincie siciliane;
   gli scopi previsti dalla Fondazione consistono, tra l'altro, a norma dell'articolo 2: «alla formazione del personale medico e non, delle aziende sanitarie ed ospedaliere, dei medici e degli operatori sanitari iscritti nei rispettivi albi (...). Per il raggiungimento delle proprie finalità, la Fondazione potrà promuovere attività di studio e ricerca scientifica, indagini e sondaggi e la diffusione della conoscenza nelle materie di competenza degli iscritti agli ordini professionali in questione; progettare, istituire e gestire corsi e scuole di Alta Formazione per l'aggiornamento, il perfezionamento, la specializzazione la preparazione all'esercizio della professione di medico e delle altre professioni sanitarie, anche avvalendosi di consulenti esterni e di convenzioni con Università ed enti pubblici e privati»;
   l'articolo 3 del sopracitato statuto prevede che il patrimonio della Fondazione sia determinato dai conferimenti annuali dei soci partecipanti di diritto in misura proporzionale ai loro iscritti;
   l'articolo 7 prevede che la Fondazione è retta da un consiglio di amministrazione composto da nove membri: il Presidente della Fondazione, di diritto, e otto membri ordinari. Gli otto membri ordinari sono così scelti: quattro dall'assemblea generale di cui almeno tre scelti tra i presidenti degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri della Sicilia; quattro dal presidente della Fondazione da scegliere tra i fondatori o, venuti questi a mancare, tra i presidenti degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri della Sicilia;
   tali decisioni, sopra descritte, sono state assunte senza che gli iscritti degli ordini dei medici chirurghi e odontoiatri e delle professioni sanitarie della Sicilia fossero stati preliminarmente interpellati in sede di assemblea generale, come scrive, l'8 febbraio 2017, il Quotidiano Sanità;
   nel bilancio di previsione 2017, dell'ordine dei medici chirurghi e degli odontoiatri della provincia di Palermo è presente nella parte II – uscite, a pagina 5, sotto la categoria «trasferimenti» la voce «Fondazione Ordini Sicilia» euro 159.000;
   in data 15 novembre del 2016 a Catania, nell'ambito di una manifestazione pubblica a sostegno del sì al referendum costituzionale, con la presenza di autorevoli esponenti della politica nazionale, è stata data la notizia della costituzione della Fondazione degli OMCeO siciliani; altresì si sono svolte iniziative formative riferibili alla Fondazione degli OMCeO siciliani già prima della formale costituzione della stessa, intervenuta il 22 novembre 2016, come riportato dal sito dell'Associazione italiana medici, l'8 febbraio 2017;
   attualmente, la natura degli ordini professionali è quella di enti pubblici non economici, che operano sotto la vigilanza dello Stato per scopi di carattere generale; le prestazioni lavorative subordinate integrano quindi un rapporto di pubblico impiego ed è indubitabile la qualificazione pubblica del patrimonio dell'ente (sentenza Cassazione Civile, sez. I, sentenza 14 ottobre 2011 n. 21226);
   gli ordini provinciali dei medici chirurghi e degli odontoiatri sono posti sotto la vigilanza del Ministero della salute e coordinati nelle loro attività istituzionali dalla Federazione nazionale e degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri;
   tra le competenze attuali degli ordini dei medici chirurghi e degli odontoiatri e delle istituzioni ordinistiche sono previste, tra l'altro, quelle riferite ai corsi ai corsi di formazione, il perfezionamento tecnico-scientifico dei propri iscritti, promuovere attività di studio e di ricerca scientifica del personale medico;
   gli ordini professionali, in generale, possono definirsi degli enti ausiliari che perseguono fini propri di altri enti pubblici;
   è in discussione alla Camera dei deputati il progetto di legge n. 3868 comprendente anche il riordino della disciplina degli ordini delle professioni sanitarie;
   sarebbe necessario considerare, nella ridefinizione della disciplina in materia, i seguenti temi: la questione dell'autonomia degli ordini delle professioni sanitarie dall'influenza della politica e dai sindacati di categoria; la loro trasparenza nella gestione delle risorse; lo sviluppo di azioni di controllo su casi d'incompatibilità degli incarichi; la crescita di una deontologia moderna al servizio delle professioni e dei cittadini/pazienti;
   a giudizio degli interpellanti il caso della costituzione della fondazione degli OMCeO e delle professioni sanitarie della Sicilia potrebbe prefigurare l'inizio di un processo più generale di esternalizzazione a soggetti privati delle funzioni, attualmente in capo degli OMCeO, riferite ai corsi formazione, al perfezionamento tecnico-scientifico dei propri iscritti, alla promozione di attività di studio e di ricerca scientifica del personale medico –:
   se le attività della neo costituita fondazione degli OMCeO e delle professioni sanitarie della Sicilia (soggetto di diritto privato), possano ritenersi compatibili con le funzioni svolte dagli OMCeO delle province siciliane, attualmente enti ausiliari che perseguono fini propri di altri enti pubblici;
   sulla base di quali presupposti giuridici siano destinati i fondi degli OMCeO delle province siciliane, provenienti anche dalle quote delle iscrizioni degli associati, verso la neo costituita fondazione degli OMCeO e delle professioni sanitarie della Sicilia;
   se e quali iniziative di competenza intenda assumere per evitare che, alla luce della costituzione della Fondazione degli OMCeO e delle professioni sanitarie della Sicilia, possa determinarsi una accelerazione verso la trasformazione degli OMCeO da enti ausiliari a enti sussidiari, che, ad avviso degli interpellanti, potrebbe non assolvere più in questo modo le proprie funzioni pubbliche, affidando al libero mercato questioni delicate, con un alto contenuto deontologico, come quelle relative alla formazione del personale sanitario e medico.
(2-01683) «Grillo, Lorefice, Silvia Giordano, Colonnese, Di Vita, Mantero, Nesci, Cancelleri, Di Benedetto, D'Uva, Lupo, Mannino, Marzana, Nuti, Rizzo, Villarosa, Dell'Orco, Di Battista, Luigi Di Maio, Dieni, D'Incà, Fraccaro, Frusone, Luigi Gallo, Grande, Lombardi, Petraroli, Paolo Nicolò Romano, Scagliusi, Sorial, Spadoni, Tofalo, Toninelli, Vacca, Vallascas, Vignaroli».

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   la comunità dell'isola de La Maddalena viene privata ancora una volta di un servizio essenziale quale il punto nascite che da sempre aveva operato nell'isola minore;
   a questo si aggiunge il tentativo sempre reiterato di cancellare anche l'unico presidio ospedaliero presente nel comune insulare;
   il Punto Nascita dell'Ospedale Paolo Merlo è stato chiuso e le future madri sono costrette ad un improbabile quanto difficoltoso trasferimento a Olbia per il parto;
   sono 22 le giovani donne di La Maddalena, prossime mamme, che hanno rivolto un accorato appello allo stesso Ministro della salute perché venga garantito un diritto alla vita e nel contempo un pubblico servizio;
   la chiusura del punto nascita di La Maddalena, a giudizio dell'interpellante costituisce un'interruzione di servizio pubblico e nega le più elementari garanzie alla vita;
   il Punto Nascita chiuso comporta che solo in caso di emergenza i parti possano avvenire a La Maddalena e che dopo 2/3 ore avvenga il trasferimento in un altro ospedale, quello di Olbia, affrontando un viaggio di 20/25 minuti di traghetto più altri 45 minuti di tortuosa strada con due ambulanze separate, una per la mamma ed uno per il bambino, mettendo in pericolo le vite di entrambi;
   la comunità di La Maddalena chiede di poter disporre di un punto nascita pienamente efficiente senza costringere le madri ad un calvario rischioso e pericoloso;
   il pericolo in questo caso diventa sempre più alto perché non è raro che le madri isolane inizino il travaglio a casa arrivando in ospedale in forte ritardo;
   la chiusura del punto nascita ha creato una situazione di pericolo superiore a quello della sua apertura;
   ai medici della Maddalena viene chiesto di garantire comunque l'emergenza che potrebbe derivare da un parto improvviso o da un cesareo d'urgenza mentre il pericolo aumenterebbe per effetto della chiusura stessa o della loro inoperatività per lungo periodo;
   la chiusura sarebbe giustificata da un inqualificabile adeguamento al decreto ministeriale che prevede la cancellazione dei punti nascite in cui si registrano meno di 500 parti annui;
   si tratta di disporre senza perdere altro tempo di tutte le azioni per riconoscere il presidio di zona disagiata, con l'aggiunta di un reparto di ostetricia;
   per le strutture ospedaliere esistenti nelle isole minori è indispensabile la rifunzionalizzazione e la riattivazione di un percorso nascita e chirurgico garantendo il mantenimento del punto nascita isolano per tutti le ordinarie gravidanze;
   occorre il mantenimento dei punti nascita che rispondono alle caratteristiche di zona disagiata, e/o con notevole distanza dalle strutture di riferimento ostetrico/ginecologiche di livello superiore più vicine;
   la soppressione del punto nascita presso la struttura ospedaliera dell'isola di La Maddalena si pone in contrasto con tutte le disposizioni in materia di diritto alla salute, il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e lo stesso diritto alla vita;
   se non intenda intervenire per garantire i livelli essenziali di assistenza per un'isola minore come quella di La Maddalena;
   se non intenda prevedere l'immediata riapertura del punto nascite di La Maddalena non esponendo ulteriormente a rischi le madri di quella comunità costrette ad un parto sempre più a rischio.
(2-01684) «Pili».

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi decenni sempre più persone riportano sintomi correlati ad esposizioni elettromagnetiche, definiti clinicamente come sintomi di elettrosensibilità. I più comuni sono mal di testa, eruzioni cutanee, difficoltà di concentrazione, insonnia, acufeni e difficoltà digestive;
   l'Organizzazione mondiale della sanità non ha alcuna posizione sulla elettrosensibilità. Nel 2004, l'Oms ha organizzato a Praga un convegno su questa patologia con un rapporto finale pubblicato nel 2005. Secondo tale rapporto sempre più persone riportano un'ampia gamma di sintomi dopo un'esposizione a campi elettromagnetici, ma è difficile dimostrare, clinicamente, che livelli al di sotto degli standard internazionali di sicurezza possano causare dei sintomi. Il rapporto rispecchia solo le posizioni dei partecipanti, senza essere stato convalidato dalla Oms;
   di recente, due studi scientifici europei, uno italiano (De Luca, 2015) e uno francese (Belpomme, 2016), hanno dimostrato un aumento dello stress ossidativo nei pazienti elettrosensibili e una prevalenza di alcuni polimorfismi genetici, che potrebbero suggerire una predisposizione genetica a questa patologia;
   spesso i pazienti affetti da sensibilità chimica multipla (MCS) soffrono anche di elettrosensibilità, verosimilmente perché entrambe le patologie sono caratterizzate da un significativo aumento dello stress ossidativo;
   l'elettrosensibilità è riconosciuta come forma di invalidità dalla legge Americans with Disability Act, che ha elaborato protocolli per fornire ai malati abitazioni e luoghi di lavoro sicuri;
   nel maggio 2011, il Consiglio d'Europa ha approvato la risoluzione 1815, raccomandando ai Paesi membri di prevedere la creazione di zone prive di radiazioni per proteggere le persone affette da elettrosensibilità;
   a causa dell'assenza di specifiche disposizioni normative in merito, i pazienti spesso devono rivolgersi ai tribunali per ottenere il riconoscimento dei loro diritti: nel 2011 un professore ha avuto dal tribunale di Madrid il diritto al prepensionamento; nel 2016, lo stesso tribunale ha riconosciuto l'invalidità lavorativa ad un ingegnere dipendente della Ericsson; nel 2014, un ex ufficiale dell'esercito tedesco ha ottenuto il riconoscimento della elettrosensibilità quale malattia professionale dal tribunale dello stato di Schleswig-Holstein; nel 2015, il tribunale di Tolosa, in Francia, ha riconosciuto il diritto alla pensione di invalidità per elettrosensibilità ad una giornalista;
   in Italia, molte persone di ogni età, sesso e classe sociale, si trovano ad affrontare l'elettrosensibilità senza sostegno: alcune perdono il lavoro, altre devono trasferirsi in zone scarsamente abitate per sfuggire alle radiazioni dei ripetitori dei cellulari e del Wi-Fi dei vicini, alcune dormono in auto;
   gli attuali standard di sicurezza di pari a 61 V/m proteggono solo dagli effetti termici dei campi elettromagnetici (il riscaldamento). Decine di appelli di scienziati indipendenti propongono di adottare il limite cautelativo di 0,6 V/m perché necessario a proteggere dagli effetti non termici dei campi elettromagnetici –:
   quali iniziative di competenza per il monitoraggio, la gestione e la prevenzione della elettrosensibilità abbia intrapreso o intenda intraprendere il Governo;
   quali iniziative in intenda intraprendere il Governo per ridurre l'esposizione generale della popolazione ai campi elettromagnetici. (4-15741)


   RONDINI e CASTIELLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   le cronache nazionali hanno riportato come, alla fine di febbraio 2017, dopo due anni di indagini, l'autorità giudiziaria ha eseguito un'ordinanza che dispone gli arresti ai domiciliari emessa dal giudice per le indagini preliminari di Napoli su richiesta della procura nei confronti di 55 persone, mentre sono 94 gli indagati: sono tutti dipendenti dell'ospedale partenopeo Loreto Mare. Ore e ore di filmati, intercettazioni e oltre 500 servizi di osservazione e pedinamento dal quale sono emersi migliaia di episodi di assenteismo: che oggi si sono trasformati in decine di provvedimenti restrittivi per truffa ai danni di ente pubblico e falsa attestazione di presenza; 
   il procuratore aggiunto Alfonso D'Avino, che coordina la sezione reati contro la pubblica amministrazione della procura di Napoli, definisce non «furbetti» ma professionisti del cartellino quei dipendenti dell'ospedale Loreto Mare che, nell'arco di 3 mesi d'indagine, «hanno timbrato cartellini di altri dipendenti un numero smisurato di volte. In un caso 443 timbrature, in un altro addirittura 493». Per eseguire gli arresti sono stati impiegati 270 militari: 160 del Nas e 110 del comando provinciale. Le misure cautelari sono state eseguite a Napoli, a Salerno e Caserta. Il danno erariale stimato ammonta a circa 700 mila euro;
   ad alcuni dei dipendenti viene anche contestato il reato di accesso abusivo ai sistemi informatici dell'ospedale: è stato infatti accertato che hanno cancellato le ore di lavoro che avrebbero dovuto recuperare e aggiunto ore di straordinario non prestate. Per dare la misura dell'estensione del fenomeno all'interno dell'ospedale, D'Avino ha fatto notare che «quasi tutti gli uffici e i reparti sono interessati»;
   oltre agli arresti domiciliari notificati ai 55 dipendenti, i carabinieri hanno anche eseguito un sequestro preventivo di 300 mila euro nei confronti di alcuni indagati: si tratta del denaro che i dipendenti hanno percepito come indennità per esclusività della prestazione lavorativa in ospedale risultata non spettante. Dall'attività investigativa è infatti emerso che alcuni medici prestavano servizio illegittimamente anche in più strutture sanitarie private, oltre che per il Loreto Mare;
   proprio per permettere all'ospedale di prestare i dovuti servizi senza intoppi o rallentamenti, il procuratore ha stabilito una variazione nell'ordinanza con cui ha disposto gli arresti domiciliari di 50 dei 55 dipendenti arrestati: potranno lasciare le loro abitazioni ma esclusivamente per recarsi a lavoro –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative normative al fine di predisporre meccanismi di controllo che impediscano il ripetersi di situazioni simili a quelle sopra evidenziate, che hanno il solo risultato di penalizzare i cittadini ed abbassare il livello qualitativo della sanità, responsabilizzando gli organi di controllo che nel caso sopra richiamato, stando alle cronache, non possono dirsi all'oscuro di una situazione così macroscopica.
(4-15745)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta orale Latronico n. 3-02816, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 febbraio 2017, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ciracì.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Cirielli n. 4-15638 del 17 febbraio 2017;
   interpellanza Grillo n. 2-01677 del 23 febbraio 2017;
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-02827 del 27 febbraio 2017.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta orale Liuzzi n. 3-02822 del 27 febbraio 2017 in interrogazione a risposta scritta n. 4-15739.