Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 13 dicembre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    il Presidente del Consiglio dei ministri ha accettato l'incarico di formare un governo anche con il fine di facilitare il lavoro delle forze parlamentari per definire con necessaria sollecitudine le nuove regole elettorali;
    va rilevato il comune proposito di far maturare un'estesa condivisione dei fondamenti essenziali delle nuove regole elettorali;
    va considerato, tuttavia, che tra le maggiori formazioni politiche persistono divergenze non componibili per la definizione di un nuovo sistema elettorale;
    una legge elettorale per l'elezione della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica è necessaria e urgente,

impegna il Governo

a promuovere, per quanto di competenza un disegno di legge volto ad abrogare la vigente normativa per l'elezione della Camera dei deputati nonché quella vigente per l'elezione del Senato della Repubblica, ripristinando al contempo il modello già sperimentato dal 1994 al 2001, cosiddetto « Mattarellum».
(1-01449) «Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Invernizzi, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Grimoldi, Guidesi, Molteni, Pagano, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni IV e VIII,
   premesso che:
    nel comprensorio militare di S. Lucia, presso il Centro tecnico logistico interforze N.B.C. (Cetli Nbc) di Civitavecchia, ente dell'area tecnico-operativa del Ministero della difesa, si svolge l'attività di distruzione di armi chimiche in ottemperanza della legge n. 496 del 1995, recante «Ratifica ed esecuzione della convenzione sulla proibizione dello sviluppo, produzione, immagazzinaggio ed uso di armi chimiche e sulla loro distruzione, con annessi, fatta a Parigi il 13 gennaio 1993»;
    l'attività svolta sotto il controllo degli ispettori internazionali dell'Opac (Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche), ha acconsentito di smaltire nel tempo ingenti quantitativi di sostanze chimiche quali Iprite, Fosgene, Adamsite e munizioni a caricamento chimico. Tali sostanze risultano attualmente stoccate in «monoliti» di cemento che già ingenerano dubbi e preoccupazioni nella popolazione in merito alla salubrità dell'ambiente circostante; oltretutto, ultimamente, è stato reso noto che presso il centro sono stati effettuati e sono tutt'ora in corso, degli studi finalizzati all'individuazione di tecnologie alternative per lo smaltimento delle armi chimiche e che tale tecnologia, a quanto risulta, si basa su un processo di «ossidazione termica» o trattamento termico;
    in base alla richiesta di accesso all'informazione ambientale con protocollo N.0024860/2016 del 24 marzo 2016 presentata dal comune di Civitavecchia, è emerso che il Ministero della difesa ha stipulato un contratto con il soggetto Dynasafe, di «approvvigionamento del servizio di ingegneria e architettura di progettazione preliminare, definitiva ed esecutiva, per il potenziamento della capacità di demilitarizzazione del munizionamento a carica speciale del Centro Tecnico Logistico Interforze NBC»;
    come è noto, la situazione ambientale della città di Civitavecchia e dei comuni limitrofi è meritevole di particolare attenzione in virtù della contemporanea e consolidata presenza di rilevanti fattori di pressione ambientale e lo stato di sofferenza sanitaria della popolazione è stato registrato sin dagli anni Ottanta da diversi studi ed indagini epidemiologiche, delle Asl Roma E e Roma F;
    la preoccupazione è tanta, in quanto la realizzazione di tale impianto di ossidazione termica o trattamento termico si configura come un vero e proprio inceneritore, producendo verosimilmente inquinanti che, seppur abbattuti da filtri, inevitabilmente verranno immessi in atmosfera, tanto che i cittadini hanno fondato il comitato «Cittadini uniti contro l'inceneritore» per rimarcare un secco «no» alla realizzazione di tale impianto e anche per promuovere la bonifica totale dei seicento ettari sui quali attualmente insiste il centro chimico. La stessa preoccupazione i cittadini l'hanno manifestata al consiglio comunale aperto che si è svolto in data 11 aprile 2016, sebbene sia intervenuto un rappresentante dal Ministero della difesa che ha spiegato che non è stata presa ancora nessuna decisione in merito all'impianto, ma è stato commissionato un progetto preliminare che comprende lo studio di impatto ambientale;
    anche l'Associazione italiana dei medici per l'ambiente (Isde – sezione Civitavecchia) ha presentato una denuncia alla Commissione delle Comunità europee ed un esposto alla procura della Repubblica di Civitavecchia per verificare se nella costruzione della struttura ricorrano ipotesi di reato o inadempimenti del diritto comunitario in merito al principio di precauzione;
    a quanto si apprende anche dall'Atlante italiano dei conflitti ambientali – «[...]Il territorio di Civitavecchia è già fortemente compromesso dal punto di vista ambientale, per la presenza di impianti Enel – alimentati anche a carbone, del porto e di altri numerosi insediamenti industriali: a tal proposito gli enti istituzionali, prendendo atto della gravissima situazione epidemiologica, si sono più volte espressi contro qualsiasi forma di combustione. Specificatamente, tra gli enti istituzionali che hanno manifestato la propria contrarietà per quanto attiene la realizzazione dell'ossidatore termico ci sono: il Comune di Civitavecchia, il Comune di Allumiere, la Città metropolitana di Roma Capitale e il Consiglio Regionale del Lazio. Inoltre, sia alla Camera dei deputati che al Senato della Repubblica sono state depositate mozioni di contrarietà al progetto, che attendono ancora la calendarizzazione per la discussione in aula»;
    il 9 giugno 2016, presso il Cetli ha avuto luogo l'incontro fra il sottosegretario alla difesa pro tempore Gioacchino Alfano ed una delegazione del Comitato dei cittadini uniti contro l'inceneritore e altri rappresentanti istituzionali del territorio in merito al proposito di realizzazione e messa in opera presso il Cetli di Civitavecchia, di un ossidatore termico finalizzato allo smaltimento di armamenti a carica chimica; all'incontro erano presenti il sindaco di Civitavecchia e dei comuni limitrofi, una delegazione di parlamentari e consiglieri comunali della regione Lazio, varie realtà sociali ed accademiche del mondo dell'università;
    alla luce degli allarmanti dati emergenti in tema di salute pubblica, che vede l'intero comprensorio sopra richiamato come uno tra i territori in cui si registra una escalation di patologie tumorali o comunque riconducibili a prolungate esposizioni a fonti inquinanti, i partecipanti a tale incontro avrebbero richiesto al rappresentante del Ministero della difesa di fare un passo indietro, poiché il territorio non potrebbe sopportare ulteriori fonti di emissioni inquinanti;
    in maniera altrettanto ferma sarebbe stato richiesto un impegno immediato a procedere alla bonifica del territorio, con riferimento chiaro ed inequivocabile alla rimozione dei monoliti contenenti residui chimici, frutto dell'attività di demilitarizzazione di armamento a carica chimica, stoccati da decenni all'interno del Cetli;
    inoltre, i rappresentanti del territorio avrebbero fatto richiesta di avviare tutte le pratiche propedeutiche al riconoscimento di sito di interesse nazionale dell'intera area comprensoriale;
    ascoltate le rappresentanze istituzionali presenti ed il «Comitato Cittadini Uniti Contro l'Inceneritore», il sottosegretario Gioacchino Alfano avrebbe comunicato la possibilità che il Ministero della difesa avrebbe potuto contemplare altre modalità di smaltimento delle armi chimiche e avrebbe garantito la massima disponibilità nel favorire i controlli dentro la caserma e sulle aree adiacenti,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per inquadrare il comprensorio militare di S. Lucia, presso il Centro tecnico-logistico interforze NBC di Civitavecchia come sito di interesse nazionale (SIN) al fine di porre in atto tutte le azioni necessarie alla bonifica dell'area ove sono stoccati i monoliti contenenti i residui delle lavorazioni, che rappresentano ormai un grave pericolo per le matrici ambientali e per la popolazione;
   a monitorare il grado di impatto ambientale, che gli impianti già esistenti, stanno generando con particolare riguardo allo stato del suolo e delle falde acquifere;
   ad assumere iniziative per sospendere l’iter di realizzazione dell'impianto di cui in premessa, ed anteporre alla sua realizzazione progetti che siano in grado di approfondire ed indagare gli effetti e soprattutto i rischi per l'ambiente e la salute della cittadinanza in un'area già ambientalmente molto impattata;
   a promuovere un nuovo confronto con gli abitanti del territorio, accogliendo le loro istanze circa le preoccupazioni sui rischi ambientali e sanitari, che l'impianto descritto in premessa comporterebbe, ed altresì a considerare l'opportunità di assicurare un'adeguata informazione sull'iter del progetto, in virtù della normativa sulla trasparenza, mediante l'utilizzo di portali web istituzionali dedicati, gestiti dal Ministero della difesa;
   ad assumere iniziative per individuare soluzioni alternative arrecanti minor impatto ambientale e rischio sanitario, in grado di escludere rischi per il territorio e le comunità dell'area interessata, considerando l'assenza di una scadenza temporale prefissata per la distruzione delle armi chimiche residuali presenti ancora sul territorio nazionale;
   a chiarire e rendere noto l’iter di attuazione degli impegni presi dal Ministero della difesa a seguito dell'incontro con le realtà sociali e istituzionali avvenuto il giorno 9 giugno 2016 presso la sede del Cetli, in particolare, con riferimento a:
    a) la rimozione dei monoliti, contenenti residui chimici, frutto dell'attività di demilitarizzazione di armamento a carica chimica, stoccati da decenni all'interno del Cetli;
    b) l’iter di autorizzazione affinché possano essere eseguite all'interno del Cetli e nell'area perimetrale, le verifiche delle condizioni ambientali del sito e dell'area di stoccaggio;
    c) le eventuali soluzioni alternative all'ossidatore termico di cui in premessa al vaglio del Ministero della difesa per concludere lo smaltimento degli armamenti ancora da trattare.
(7-01150) «Artini, Pastorelli, Zaccagnini».


   Le Commissioni VII e XII,
   premesso che:
    il trattato di Lisbona, entrato in vigore il 1o dicembre 2009, ha riconosciuto lo sport come un settore di competenza dell'Unione europea in cui la stessa può sostenere, coordinare ed integrare le attività degli Stati membri, promuovendo una crescita sostenibile, intelligente e inclusiva, nonché la creazione di posti di lavoro. Lo sport ha inoltre effetti positivi sull'inclusione sociale, l'istruzione e la formazione, nonché sulla salute pubblica e l'invecchiamento attivo;
    il libro bianco sullo sport del 2007 della Commissione europea prevede tra gli obiettivi l'elaborazione di linee direttrici sull'attività fisica, nonché la realizzazione di una rete europea di promozione dello sport come fattore benefico per la salute;
    il libro bianco «Una strategia europea sugli aspetti sanitari connessi all'alimentazione, al sovrappeso e all'obesità» del 2007 della Commissione europea sottolinea l'importanza di adoperarsi attivamente per invertire la tendenza al declino dell'attività fisica riscontrata negli ultimi decenni e causata da numerosi fattori;
    a tal proposito l'Organizzazione mondiale della sanità (Oms) raccomanda un minimo di 30 minuti di attività fisica moderata al giorno per gli adulti e di 60 minuti per i bambini;
    il piano di lavoro dell'Unione europea per lo sport 2014-2017 mira ad integrare e rafforzare l'impatto delle attività avviate nel quadro del programma Erasmus+ nel campo dello sport ed in particolare nel settore «Sport e società», con riferimento ai vantaggi in termini di salute derivanti dall'attività fisica;
    la Carta di Toronto, redatta nel maggio 2010 da un gruppo di esperti del Global Advocacy for Physical Activity, che è divenuta testo di riferimento a livello mondiale per la promozione dell'attività fisica e degli innumerevoli vantaggi ad essa correlati, riconosce che «l'attività fisica promuove il benessere, la salute fisica e mentale, previene le malattie, migliora le relazioni sociali e la qualità della vita, produce benefici economici e contribuisce alla sostenibilità ambientale»;
    la raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea sulla promozione trasversale ai settori dell'attività fisica salutare del 26 novembre del 2013, nel richiamare il trattato sul funzionamento dell'Unione europea, in particolare l'articolo 292, in combinato disposto con gli articoli 165 e 168, vista la proposta della Commissione europea, prevede al considerando n. 3 quanto segue:
     «Nonostante il rafforzamento in alcuni Stati membri negli ultimi anni dell'impegno profuso dalle autorità pubbliche nella promozione dell'attività fisica salutare (“Health Enhancing Physical Activity”, di seguito HEPA), i livelli di sedentarietà nell'Unione restano intollerabilmente elevati. La maggioranza dei cittadini europei non svolge sufficiente attività fisica e il 60 per cento di essi non pratica mai o solo raramente sport o altre forme di attività fisica. La mancanza di attività fisica durante il tempo libero tende a essere più frequente tra i gruppi svantaggiati sul piano socioeconomico. Attualmente non vi sono indicazioni di una inversione di tale tendenza per l'Unione nel suo insieme»;
    la stessa raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea, al considerando n. 4 prevede:
     «La sedentarietà è stata individuata come un importante fattore di rischio di mortalità precoce e di malattia nei paesi ad alto reddito a livello mondiale e si ritiene che sia responsabile di circa 1 milione di decessi all'anno nella sola regione europea dell'OMS. Gli effetti negativi della sedentarietà nell'Unione sono comprovati, così come i notevoli costi economici diretti e indiretti associati alla mancanza di attività fisica e ai connessi problemi per la salute, in particolare in considerazione del fatto che la maggior parte delle società europee è caratterizzata da un rapido invecchiamento»;
    la raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea sulla promozione trasversale ai settori dell'attività fisica salutare del 26 novembre del 2013 raccomanda che gli Stati membri:
     «si adoperino per elaborare politiche efficaci in tema di HEPA tramite lo sviluppo di un approccio trasversale comprendente settori quali lo sport, la sanità, l'istruzione, l'ambiente, i trasporti, tenendo conto delle linee d'azione raccomandate dall'UE in materia di attività fisica e altri settori pertinenti in funzione delle peculiarità nazionali...»;
    prevedendo inoltre che «entro sei mesi dall'adozione della presente raccomandazione, designino punti focali HEPA nazionali, a norme della legislazione e delle pratiche nazionali, incaricati di sostenere il suddetto quadro di monitoraggio e informino la Commissione della loro nomina»;
    il rapporto Istat 2016 offre un aggiornamento del quadro delle indagini sulla sedentarietà e indica come le situazioni delle persone in sovrappeso e con problemi di obesità si stanno diffondendo rapidamente nell'Unione europea e riguardano ormai una quota importante della popolazione anche in Italia, dove l'eccesso di peso tra gli adulti è però meno diffuso rispetto alle altre nazioni europee. L'andamento è crescente, soprattutto tra i maschi (dal 51,2 per cento nel 2001 al 54,8 per cento nel 2015). Ma il fenomeno più preoccupante è quello della diffusione del sovrappeso tra bambini e adolescenti, che invece è tra le più alte in Europa e di considerevole interesse per le ricadute sulla salute pubblica dei prossimi decenni. L'analisi sugli stili alimentari per generazioni mette in luce un aumento consistente del consumo giornaliero di verdure e ortaggi tra il 1995 e il 2015, in particolar modo tra i nati dopo il 1965 (ossia la generazione di transizione e la generazione del millennio). L'analisi sugli stili alimentari per generazioni eseguita dall'Istat su un ventennio mette in luce un aumento consistente del consumo giornaliero di verdure e ortaggi tra il 1995 e il 2015, in particolar modo tra i nati dopo il 1965 (la generazione di transizione e la generazione del millennio). Passando ad analizzare le attività fisiche e la sedentarietà, nel 2015, il 33,5 per cento delle persone di 5 anni e più dichiara di praticare uno o più sport nel tempo libero; il 23,9 per cento si dedica allo sport con regolarità, il 9,6 per cento saltuariamente;
    la strategia sull'attività fisica per la regione europea dell'Oms 2016-2025 pubblicata dall'Organizzazione mondiale della sanità, nel settembre del 2015, è stata elaborata alla luce degli obiettivi volontari attualmente stabiliti a livello mondiale dal Global action plan for the prevention and control of noncommunicable diseases 2013-2020 [piano di azione globale per la prevenzione e il controllo delle malattie non trasmissibili 2013-2020] dell'Oms, adottato nel maggio 2013 dalla Sessantaseiesima assemblea mondiale della sanità. L'ufficio regionale per l'Europa dell'Oms ha indicato conseguentemente le seguenti linee guida: la strategia sull'attività fisica mira a spingere i Governi e i soggetti a diverso titolo coinvolti a lavorare per aumentare i livelli di attività fisica praticati da tutti i cittadini:
     a) promuovendo l'attività fisica e riducendo i comportamenti sedentari;
     b) creando condizioni favorevoli allo svolgimento di attività fisica attraverso un contesto edilizio stimolante e sicuro, spazi pubblici accessibili e infrastrutture adeguate;
     c) garantendo pari opportunità in materia di attività fisica prescindere dal genere, dall'età, dai livelli di reddito, di istruzione, dall'appartenenza ad un gruppo etnico o dalla disabilità;
     d) rimuovendo le barriere all'attività fisica, nonché facilitandola;
     e) affrontando il problema del calo sempre più consistente dei livelli di attività fisica e riducendo le disparità;
     f) promuovendo un approccio che tenga conto di tutte le fasi della vita;
     g) dando maggior potere alle persone e alle comunità, tramite la partecipazione e la realizzazione di ambienti più salutari;
     h) promuovendo approcci integrati, multi settoriali, sostenibili e orientati alla partnership;
     i) assicurando l'adattabilità al contesto dei programmi (interventi) in materia di attività fisica;
     l) usando strategie fondate su riscontri fattuali per promuovere l'attività fisica e monitorare lo stato di attuazione e l'impatto delle misure;
    le indagini sulla sedentarietà sopracitate e le prove scientifiche che le accompagnano, dimostrano che l'attività fisica e lo sport fanno bene alla salute, aiutano a prevenire malattie e patologie, fanno risparmiare ed evidenziano che in assenza di un cambio di rotta non si può che peggiorare;
    l'Italia risulta fra le realtà più sedentarie nel quadro europeo;
    il Governo italiano si era attivato, dotandosi di una piattaforma denominata «Guadagnare salute», evidenziando così l'esigenza di creare una cabina di regia utile e attiva nelle regioni e avviando un piano d'azione nazionale e alcuni progetti pilota in collaborazione con le regioni affidando alle stesse il compito di sviluppare le azioni utili sul territorio;
    tali progetti positivi ed efficaci sono però prossimi all'esaurimento e richiedono un nuovo rilancio e la ridefinizione di più avanzati obiettivi;
    il Governo, nel 2014, aveva dimostrato di avere recepito e attivamente le sollecitazioni delle istituzioni comunitarie ed internazionali, così come dei programmi sopra citati, promuovendo il piano nazionale di prevenzione e rilanciando i contenuti della piattaforma «Guadagnare salute» e, in questo periodo, le regioni sono in fase di recepimento del piano e stanno traducendo in obiettivi e strumenti operativi le indicazioni dello stesso;
    risulta insufficiente quanto promosso e fatto finora anche con il piano nazionale della prevenzione e l'esperienza del programma «Guadagnare salute» accompagnato dai protocolli d'intesa promossi dal Ministero della salute e le azioni promosse dalle regioni,

impegna il Governo:

   a realizzare, sulla base delle indicazioni contenute nelle «strategie sull'attività fisica» pubblicate a settembre del 2015 dall'Ufficio regionale per l'Europa dell'Oms e nel quadro dei contenuti del piano nazionale di prevenzione 2014-2018, un piano d'azione per la promozione e diffusione dell'attività fisica a livello nazionale, nel rispetto delle seguenti priorità di intervento:
    a) programmi di accesso allargato dell'educazione motoria nella fascia della prima infanzia (da 0 ai 6 anni) anche attraverso il gioco e il movimento;
    b) iniziative per l'adozione di sani stili di vita rivolte agli adolescenti (da 6 a 13 anni) in particolare per il contrasto del fenomeno dell'obesità infantile;
    c) iniziative finalizzate al contrasto del fenomeno dell'abbandono dell'attività fisica e sportiva tra gli adolescenti dai 13 ai 18 anni e all'uso delle tecnologie in modo attivo;
    d) azioni rivolte a controllare la precoce specializzazione sportiva e il conseguente abbandono dello sport;
    e) azioni mirate a favorire l'accesso delle donne alla pratica sportiva al fine di colmare il divario con gli uomini;
    f) diffusione di attività motorie rivolte agli anziani al fine del miglioramento della qualità della vita e di ridurre fenomeni di emarginazione di detti soggetti;
    g) prescrizione medica dell'attività fisica adattata (AFA) in particolare rivolta alla popolazione con target di malattie non trasmissibili;
    h) riconversione degli spazi urbani e del verde pubblico per facilitare la pratica motoria con la massima accessibilità per tutti i cittadini;
    i) potenziamento della missione e degli strumenti Health enhancing physical activity (HEPA), a partire dal Focal Point nazionale, di cui l'Italia si è dotata come stabilito con la raccomandazione del Consiglio dell'Unione europea del 26 novembre 2013 e sostegno alle iniziative avviate nel settore a partire dal 2015, garantendo miglior supporto alla collaborazione tra enti periferici e nazionali per la promozione trasversale ai settori dell'attività fisica salutare;
    l) redazione di criteri di valutazione per verificare l'efficacia delle azioni svolte sul territorio a cura delle regioni;
   ad assumere iniziative per istituire un osservatorio nazionale sulla diffusione dell'attività fisica-salutare al fine di migliorare lo stato di benessere e salute dei cittadini presieduto dal capo dell'Ufficio per lo sport della Presidenza del Consiglio dei ministri, e composto da rappresentanti del Ministero della salute, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, delle regioni, delle agenzie regionali di sanità, delle università, degli enti di promozione sportiva e delle Federazioni sportive riconosciute dal Coni, al fine di perseguire gli obiettivi previsti dalle strategie dell'Oms;
   a realizzare una campagna per la diffusione dell'attività fisica e sportiva di base con l'obiettivo di portare entro il 2025 la media dell'Italia ai livelli della media dell'Unione europea in linea con il piano indicato dalle strategie dell'Oms, promuovendo, a questo scopo, piani d'azione territoriali per il perseguimento degli obiettivi contenuti nelle strategie sulla attività fisica dell'Oms;
   ad assumere iniziative per realizzare la «Settimana europea dello Sport» (EWOS), coinvolgendo tutti gli attori impegnati nella promozione dell'attività fisica, come previsto dalla Commissione europea, sulla base del piano di lavoro dell'Unione europea, per lo sport 2014-2017 e della raccomandazione sulla promozione trasversale ai settori dell'attività fisica salutare;
   a promuovere buone pratiche di lotta all'emarginazione sociale nelle periferie degradate delle città metropolitane attraverso lo sport di base quale veicolo di uguaglianza ed integrazione sociale, mediante il finanziamento di progetti (fondi già stanziati presso la Presidenza del Consiglio dei ministri – Ufficio per lo sport – circa 2 milioni di euro in 4 anni).
(7-01152) «Fossati, Coccia».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    la sicurezza stradale costituisce un interesse pubblico di rango primario irrinunciabile che impone un'adeguata ed efficace azione che riguardi sia il veicolo che la strada, ma anche il conducente e il suo comportamento alla guida, in quanto potenzialmente capace di mitigare o al contrario aumentare gli effetti di eventuali carenze negli altri due elementi;
    al riguardo, la Commissione europea, nella Carta europea della sicurezza stradale e in un rapporto del 2014, ha rilevato la necessità di porre una maggiore attenzione al programma di azione rafforzando le attività che aiutano a prevenire gli incidenti il più possibile. In particolare, la stessa Commissione con la comunicazione del 20 luglio 2010, «Verso uno spazio europeo della sicurezza stradale: orientamenti 2011-2020 per la sicurezza stradale», al Parlamento europeo, al Consiglio, al Comitato economico e sociale europeo e al Comitato delle regioni, a seguito al programma d'azione 2003-2010, «On the move – for safer roads in Europe», ha indicato l'obiettivo di dimezzare entro il 2020 il numero di vittime della strada rispetto al 2010;
    il libro bianco dei trasporti, elaborato nel 2011 dalla Commissione europea, tra i molteplici obiettivi, indica quello di avvicinarsi entro il 2050 all'obiettivo «zero vittime» nel trasporto su strada, implementando la sicurezza in tutti i modi di trasporto;
    in questa direzione si impone la necessità di istituire un sistema di prevenzione che realizzi un'operazione culturale mediante un'azione di tipo formativo tanto per i più giovani quanto di tipo post-patente al fine di conseguire i risultati di riduzione della mortalità e del ferimento di persone, attraverso il migliore comportamento del conducente, cui affiancare un messaggio culturale da veicolare anche mediante lo strumento pubblicitario sulla necessità di rispettare i limiti di velocità;
    nel 2014, secondo lo studio ACI-Istat, compendiato nel documento «Incidentalità», in Italia si sono verificati 177.031 incidenti stradali con lesioni a persone, che hanno provocato la morte di 3.381 persone (entro il 30o giorno) e il ferimento di altre 251.147. Sono emerse categorie di utenti più vulnerabili, vale a dire pedoni, ciclisti e utilizzatori delle due ruote a motore, esposti a rischi tangibilmente più elevati rispetto agli utilizzatori di altre modalità di trasporto: l'indice di mortalità per i pedoni è ben quattro volte superiore rispetto a quello degli occupanti di autovetture, quello per motociclisti e ciclisti è più che doppio; l'indice di lesività è invece doppio per pedoni e utenti delle due ruote a motore rispetto a quello degli occupanti di autovetture;
    quanto alle cause, dai dati emerge che nel 2014, le circostanze accertate o presunte dagli organi di rilevazione, alla base degli incidenti stradali con lesioni a persone, sono da ricondurre a comportamenti errati di guida. Tra le altre cause più rilevanti, la mancanza della distanza di sicurezza (21.633 casi), la manovra irregolare (15.790 casi) e il comportamento scorretto del pedone (8.172 casi) rappresentano rispettivamente il 9,8 per cento, il 7,2 per cento e il 3,7 per cento delle cause di incidente;
    in Italia da diversi anni si può fruire di corsi di guida sicura che non intendono sostituirsi alle scuole guida, ma si rivolgono a coloro che, già in possesso della patente di guida, vogliano associare la propria capacità di guida alla conoscenza del veicolo che conducono sia esso a due, a quattro o a più ruote, tramite le migliori tecniche, le attrezzature e l'esperienza degli istruttori con l'obiettivo di formare guidatori in grado di affrontare le più svariate situazioni di pericolo nel modo più sicuro per sé e per gli altri;
    i corsi si realizzano spesso all'interno di circuiti talvolta suddivisi in più aree nelle quali è possibile riprodurre tutte le situazioni di pericolo come il sottosterzo ed il sovrasterzo. La guida in condizioni di scarsa aderenza e l’aquaplaning. Molti di questi corsi vengono effettuati utilizzando tecnologie evolute quali resine a bassa aderenza applicate sull'asfalto, muri d'acqua che ricreano ostacoli «virtuali» e piastre per indurre l'improvvisa sbandata dei veicoli;
    a tutt'oggi non emerge un sistema che consenta di fruire di detti corsi in maniera strutturata, garantita, agevolata e uniforme sul territorio nazionale da rivolgere alle aziende che, nell'esercizio della propria attività, si servano di veicoli commerciali ed industriali e a coloro che, in possesso di patente di guida, conducano auto, moto, camper, furgoni e autobus, cui consegua uno sconto sulla polizza assicurativa o un credito di due punti sulla propria patente di guida e un contributo statale al fine di ridurre il costo di partecipazione a detti corsi;
    in funzione della sicurezza stradale occorre anche estendere il divieto da 3 a 4 anni per la guida di veicoli con una potenza superiore a 55 kW/t e i limiti di velocità per i neopatentati in ambito extraurbano e autostradale. Evidenze statistiche dimostrano che il maggior numero di sinistri avviene nei primi 4 anni dal rilascio della patente. Al contempo, occorre prevedere che, dopo i primi 2 anni dal conseguimento delle patente, sia data la facoltà ai neopatentati di guidare autoveicoli con una potenza superiore, fino a 100 kW/t e comunque non superiore a 147 kW, frequentando un corso di guida sicura, il cui superamento farebbe decadere anche i limiti relativi alla velocità massima per i neopatentati;
    a ciò si aggiunge la necessaria revisione del sistema di rinnovo che dovrebbe esser subordinato, oltre che alla permanenza dei requisiti fisici e psichici di idoneità alla guida, anche al superamento di una prova di controllo delle cognizioni da sostenersi dopo la frequenza di un corso di almeno 10 ore di formazione. Nell'attuale sistema, invero, non è posta alcuna attenzione alla necessità aggiornamento che, invece, è necessario in ambito teorico dati i suoi immediati riflessi su quello pratico;
    specificamente sul comportamento incide soprattutto la velocità che può costituire, se eccessiva, una delle maggiori cause di incidenti stradali. Sulla velocità, infatti, esiste una vera e propria cultura che esalta il superamento dei limiti, i sorpassi azzardati, l'azzeramento delle distanze di sicurezza azzerate e altri comportamenti pericolosi come fonte di riconoscimento nel proprio ambito sociale e quindi di autostima;
    in questo senso si pongono alcune campagne pubblicitarie incentrate esplicitamente o implicitamente sul mito della velocità contribuendo purtroppo ad alimentare tale cultura;
    diffondere una corretta cultura della velocità su strada, necessariamente collegata ai problemi della sicurezza, contribuisce in maniera sostanziale ad un migliore e più sicuro comportamento dei conducenti. Negli stessi termini aumentare la consapevolezza della distanza di arresto associata alla velocità su strada è un metodo efficace per contrastare i troppo frequenti stili di guida pericolosi sulle nostre strade;
    occorre rende obbligatorio per i produttori di autoveicoli dichiarare e pubblicizzare la distanza di arresto alla velocità di 100 Km/h nelle medesime condizioni (pneumatici, fondo stradale e altro) in cui solitamente viene dichiarato il tempo per raggiungere i 100 Km/h partendo da fermi per aumentare la consapevolezza e migliorare il comportamento di guida;
    è necessaria l'indicazione della distanza di arresto, o spazio totale di arresto, quale il tratto di strada compreso tra il punto in cui il conducente percepisce il pericolo e il punto di arresto e dello spazio di reazione che è quello percorso tra l'istante in cui il conducente si avvede del pericolo e quello in cui agisce sui comandi. Per l'effetto lo spazio di frenatura va dal punto di inizio frenatura al punto di completo arresto del veicolo in funzione della velocità, delle prestazioni del veicolo, delle sue condizioni e di quelle del fondo stradale;
    tale informazione aggiuntiva non comporta alcun onere aggiuntivo per i costruttori di autoveicoli e non costituisce un discrimine di tipo concorrenziale,

impegna il Governo:

   a promuovere la diffusione di corsi di guida sicura al fine di preparare il conducente a tenere comportamenti corretti alla guida del veicolo in presenza di situazioni di rischio e di emergenza e di diffondere i principali movimenti tecnici di guida per il miglioramento della sicurezza stradale in dette condizioni, anche mediante meccanismi di incentivi fiscali e sconti sulla polizza assicurativa per cittadini e imprese;
   ad assumere iniziative per introdurre specifiche disposizioni e linee guida per promuovere e favorire l'istituzione in tutti gli istituti scolastici di ogni ordine e grado di corsi sulla circolazione stradale e sulla relativa sicurezza, in coerenza con il piano triennale dell'offerta formativa e con l'ordinamento scolastico e tenuto conto dell'organizzazione didattica esistente;
   ad assumere idonee iniziative normative al fine di estendere il divieto da 3 a 4 anni per la guida di veicoli con una potenza superiore a 55 kW/t e i limiti di velocità per neopatentati in ambito extraurbano e autostradale e prevedere che, dopo i primi 2 anni dal conseguimento delle patente, sia data la facoltà ai neopatentati di guidare autoveicoli con una potenza superiore, fino a 100 kW/t e comunque non superiore a 147 kW, frequentando un corso di guida sicura, il cui superamento faccia decadere anche i limiti relativi alla velocità massima per i neopatentati;
   ad assumere idonee iniziative normative al fine di riformare il sistema di rinnovo della patente da subordinarsi, oltre che alla permanenza dei requisiti fisici e psichici di idoneità alla guida, anche al superamento di una prova di controllo delle cognizioni da sostenersi dopo la frequenza di un corso di almeno 10 ore di formazione;
   ad assumere idonee iniziative normative al fine di rendere obbligatorio per i produttori di autoveicoli dichiarare e pubblicizzare la distanza di arresto alla velocità di 100 Km/h nelle medesime condizioni (pneumatici, fondo stradale, e altro) in cui solitamente viene dichiarato il tempo per raggiungere i 100 Km/h partendo da fermi.
(7-01151) «De Lorenzis, Spessotto, Nicola Bianchi, Carinelli, Paolo Nicolò Romano, Liuzzi, Dell'Orco».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   ZOLEZZI, BUSTO, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'amianto è stato bandito dal settore civile in Italia con la legge n. 257 del 1992 che ha sancito anche il divieto di importazione; l'Italia, fino ad allora, era maggiore produttore europeo di amianto;
   secondo l'Osservatorio nazionale onlus i decessi da amianto sono stati circa 5.000 nel 2011;
   è nota l'importazione di amianto dall'India e dagli Stati Uniti su cui è stata aperta un'inchiesta dalla procura di Torino; presso la cava di Orune (NU) è stato estratto amianto fino a pochi mesi fa, come emerso da un'inchiesta della procura di Viterbo sulla commercializzazione di prodotti contenenti amianto, in particolare nel settore della porcellana (interrogazione a risposta scritta 4-09757 sottoscritta dal primo firmatario del presente atto e da altri deputati);
   la politica degli ultimi Governi non appare orientata ad affrontare minimamente il problema; nella legge di bilancio approvata il 7 dicembre 2016 non c’è traccia di defiscalizzazione per la rimozione di amianto, né della chiusura della filiera, nonostante l'approvazione in Commissioni riunite finanze e ambiente alla Camera della risoluzione bipartisan n. 8-111 in data 20 maggio 2015 con la quale si è impegnato il Governo pro tempore allo smaltimento a filiera corta e sostenibile delle circa 40 milioni di tonnellate di materiale contenente amianto;
   in data 8 dicembre 2016 su The Guardian è apparso un articolo in cui si fa riferimento a un'inchiesta dell'alta corte di Londra che ha evidenziato un'infiltrazione nel Segretariato internazionale per la messa al bando dell'amianto (IBAS) da parte di K2, un'agenzia di spionaggio;
   Laurie Kazan Allen, il coordinatore del Segretariato con base a Londra fu avvicinata nel 2012 da DNT, una persona attualmente anonima che si finse giornalista e dichiarò che stava realizzando un documentario sui rischi dell'amianto;
   K2 ha dichiarato di lavorare per una compagnia straniera e di aver raccolto solo pochi dati; in realtà, raccolse, fra l'altro, tutto il materiale della campagna per la messa al bando dell'amianto in Thailandia, uno dei principali importatori mondiali di crisotilo. Il direttore del management della K2 a Londra è l'italiano Matteo Bigazzi. Al momento la K2 non ha reso noto il committente estero della richiesta di infiltrazione –:
   se il Governo sia al corrente dell'inchiesta della Corte di Londra e se non ritenga necessario, per quanto di competenza, verificare eventuali pericolose infiltrazioni tali da condizionare sia il piano nazionale amianto che le eventuali iniziative normative correlate, visto l'emergere di una eccessiva lentezza nell'applicazione dei soli principi di base quali lo «stop» all'estrazione, alla produzione e all'importazione di materiali contenenti amianto.
   (4-14987)


   TOFALO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale del riesame della procura di Salerno ha accolto l'istanza di arresto nei confronti del sindaco di Scafati accusato di violazione della legge elettorale, con l'aggravante del metodo mafioso, in occasione delle elezioni amministrative del 2013, e di voto di scambio politico-mafioso, in occasione delle elezioni regionali in Campania del 2015 in cui è avvenuta l'elezione della moglie Monica Paolino. Inoltre, il sindaco di Scafati nel 2012 è stato indagato dalla procura di Nocera Inferiore per aver attestato falsamente la presenza degli assessori alle sedute di giunta;
   a vario titolo risultano indagati per associazione di stampo mafioso e voto di scambio politico mafioso: il consigliere comunale di Scafati Roberto Barchiesi, la segretaria comunale di Scafati Immacolata Di Saia, il sindaco Pasquale Aliberti, la moglie consigliere regionale Campania Monica Paolino, il fratello del sindaco Nello e lo staffista del comune Giovanni Cozzolino. Indagati anche per abuso d'ufficio il responsabile dell'Ufficio finanziario dell'Ente Scafati Giacomo Cacchione e una funzionaria del settore lavori pubblici, Maria Gabrielle Camera, mentre sono finiti nel mirino anche altri ex esponenti politici. Pende inoltre la richiesta d'arresto accettata su alcuni esponenti della criminalità locale appartenente al clan Ridosso/Loreto, attualmente detenuti in carcere;
   il sindaco di Scafati Aliberti, suo fratello e un esponente della criminalità organizzata sono indagati anche per minacce aggravate dal metodo mafioso nei confronti di una giornalista di PuntoAgroNews.it, Valeria Cozzolino;
   sul sindaco e sulla segretaria Immacolata di Saia, sono stati anche effettuati controlli ed ispezioni della direzione distrettuale antimafia di Napoli tra 2012 ed il 2014 per gli appalti sospetti in cui emergevano alcune società casertane poi interdette dall'Antimafia. In particolare erano finite nel mirino alcune aziende che hanno lavorato per il progetto di reindustrializzazione della Ex-Copmes che poi sono state giudicate come vicine al clan di Michele Zagaria;
   l'antimafia di Salerno ha anche interrogato il pentito Iovine sulla possibile presenza di accordi con i clan del territorio e la politica anche per la presenza di rifiuti speciali;
   il prefetto di Salerno ha avviato il 23 marzo 2016 una commissione d'indagine che ha concluso i lavori il 23 settembre 2016 –:
   quali elementi possa fornire il Governo sui fatti esposti;
   quali siano le deduzioni della commissione d'indagine del prefetto di Salerno;
   se il Governo ritenga che sussistano i presupposti per assumere iniziative volte allo scioglimento del Consiglio comunale ai sensi dell'articolo 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000, in relazione alle criticità evidenziate in premessa. (4-14989)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   durante la recente campagna elettorale per la presidenza degli Stati Uniti d'America il sito wikileaks ha pubblicato una mail della candidata presidente dei democratici, Hillary Clinton, indirizzata, nell'agosto del 2014, a John Podesta, da sempre uno dei più stretti collaboratori della famiglia Clinton e capo della sua campagna elettorale, nella quale scrive che «I governi di Qatar e Arabia Saudita stanno fornendo supporto finanziario e logistico clandestino all'Isis e ad altri gruppi sunniti radicali nella regione»;
   l'Italia intrattiene con entrambe le Nazioni rapporti di collaborazione soprattutto commerciale molto stretti, rilanciati nell'ultimo anno dalle visite sia del Presidente del Consiglio dei ministri pro tempore che della Ministra della difesa pro tempore in Arabia Saudita, e dagli incontri tra il Presidente del Consiglio dei ministri italiano e l'emiro del Qatar in occasione della recente visita di quest'ultimo a Roma;
   secondo i dati del Ministero dello sviluppo economico, i rapporti commerciali tra il Qatar e l'Italia hanno un valore di circa 1,7 miliardi di euro, e i fondi che fanno capo a questo Paese hanno già investito in Italia più di 150 miliardi di dollari, principalmente nei settori immobiliare e della moda;
   negli ultimi giorni si parla, inoltre, concretamente dell'ipotesi che il fondo sovrano del Qatar «Qia» possa investire almeno un miliardo di euro nella ricapitalizzazione del Monte dei Paschi di Siena;
   egualmente intensi sono i rapporti con l'Arabia saudita, rispetto alla quale l'Italia figurava, nel 2014, come undicesimo partner commerciale del Regno a livello mondiale e come il terzo tra gli Stati dell'Unione europea, e con cui, stando alle recenti dichiarazioni dell'ambasciatore saudita a Roma «i rapporti sono molto solidi: nel campo economico, politico e di intelligence»;
   secondo l'Istat; nel 2014, il valore delle esportazioni italiane verso l'Arabia Saudita ha raggiunto un valore di 4,8 miliardi euro, con un aumento di quasi otto punti percentuali rispetto all'anno precedente, e il dato si conferma in crescita anche per il 2016, senza dimenticare che tra i grandi business italo-sauditi vi sono le armi;
   nonostante in Arabia Saudita nel 2015 il numero di esecuzioni abbia raggiunto il suo livello più alto degli ultimi cinque anni, sotto il comando della dinastia saudita sia fatta rispettare rigorosamente la legge della dottrina wahabita, un'interpretazione fondamentalista del Corano, e molte libertà fondamentali proprie della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo non esistano, la nota economica della Farnesina del gennaio 2016 spiega che «le relazioni economiche italo-saudite vivono un momento decisamente favorevole e strategico per i nostri interessi nazionali. Il Regno è infatti largamente disponibile a intensificare le relazioni economiche con l'Italia, che gode di un'immagine complessivamente positiva, e a sviluppare iniziative economiche e finanziarie di comune interesse»;
   il finanziamento da parte dei governi di Qatar e Arabia Saudita del sedicente Stato islamico e, quindi, delle sue guerre e dei suoi attacchi terroristici perpetrati in ogni parte del mondo, come quelli messi in atto a Parigi e a Nizza con decine di vittime, nonché il loro coinvolgimento attivo in numerosi scenari di guerra di straordinaria violenza, e la sistematica persecuzione di alcune minoranze, quali ad esempio quella del popolo yazida, stigmatizzata in ambito internazionale e dall'Onu, deve imporre una riflessione sui rapporti tra l'Italia e quelle Nazioni –:
   se il Governo sia a conoscenza del fatto che i due Stati di cui in premessa finanziano l'Isis e se non ritenga opportuno rivedere i rapporti diplomatici e commerciali con Stati che sostengono un'organizzazione terroristica responsabile di atti di inaudita violenza. (4-14986)


   GADDA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 5 dicembre 2016, a seguito di un tentativo di rapina alla filiale della banca Raiffeisen di Molinazzo di Monteggio (Canton Ticino, Svizzera), le autorità elvetiche hanno disposto la chiusura di alcuni valichi ai confini con l'Italia, e precisamente quello commerciale di Ponte Tresa e quello di Cremenaga, distanti pochi chilometri l'uno dall'altro;
   la chiusura ha interessato il confine stradale ed è proseguita per circa due ore, impedendo il passaggio anche ai cittadini italiani lavoratori frontalieri che intendevano fare ritorno a casa, non solo in auto ma anche a piedi lungo gli attraversamenti pedonali;
   sono state circa 5 mila le persone interessate dal disagio e che sono rimaste incolonnate in attesa che le Guardie di confine svizzere consentissero nuovamente il passaggio di tutti i mezzi, auto, moto e furgoni;
   l'articolo 22 del regolamento UE 2016/399 del Parlamento europeo (codice frontiere Schengen) dispone in via generale che «le frontiere interne possono essere attraversate in qualunque punto senza che sia fatta una verifica di frontiera» e all'articolo 24 del medesimo regolamento è disposto che «gli Stati membri eliminano tutti gli ostacoli allo scorrimento fluido del traffico presso i valichi di frontiera»;
   il regolamento in argomento consente in via eccezionale e per periodi limitati di tempo in caso di «minaccia grave per l'ordine pubblico o la sicurezza interna di uno Stato» il ripristino di detti controlli, secondo le procedure indicate nei successivi articoli;
   all'interrogante appare che la chiusura del valico di frontiera avvenuta il 5 dicembre sia stata disposta in violazione del Regolamento, sia per quanto concerne la procedura seguita, sia per quanto concerne la giustificazione addotta che non sembrerebbe rientrare tra quelle previste dall'articolo 25 del regolamento stesso;
   risulta inoltre che le autorità italiane non siano state prontamente avvisate, esponendo in questo modo i valichi italiani a una situazione potenzialmente pericolosa sotto il profilo dell'ordine pubblico;
   all'interrogante preme sottolineare che questo episodio giunge al termine di una serie di atti e comportamenti ostili ai danni dei lavoratori transfrontalieri italiani, perpetuati in Cantone Ticino ormai quotidianamente;
   con la mozione Borghi ed altri n. 1/00952 il Governo pro tempore è stato impegnato a chiedere un chiarimento formale alla Confederazione elvetica in merito alle numerose decisioni discriminatorie assunte dal Canton Ticino in contrasto alla libera circolazione delle persone;
   risulta quanto mai urgente un intervento del Governo presso le autorità federali svizzere, in linea con quanto previsto dalla mozione sopra citata, affinché non si ripetano azioni unilaterali lesive dei diritti dei lavoratori transfrontalieri italiani e delle prerogative dello spazio Schengen di cui la Svizzera fa parte dal 2008 –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere immediatamente affinché non si ripetano azioni unilaterali da parte svizzera, ad avviso dell'interrogante in violazione del trattato di Schengen, e lesive dei diritti dei cittadini italiani lavoratori transfrontalieri;
   se il Governo intenda richiedere un chiarimento formale alla Confederazione elvetica in merito alla chiusura del valico di frontiera di Lavena Ponte Tresa avvenuto, il 5 dicembre 2016. (4-14990)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta scritta:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno geotermico, specie nel circondario del Monte Amiata, è stato oggetto di ampi dibattiti e proteste da parte dei comitati locali;
   sulla vicenda, è da tenere in considerazione l'intervenuto del tribunale di Grosseto, che in data 13 ottobre 2016, respingeva la denuncia dell'Enel contro chi sosteneva «che le centrali geotermiche fossero fonte d'inquinamento e determinassero la presenza di arsenico nell'acqua potabile e che lo sviluppo geotermico promosso da Enel fosse causa di morte, degrado ambientale e sottosviluppo» e, in più, con la sentenza n. 718, condannava l'Enel alle spese;
    anche il tribunale di Siena ha accolto le ragioni dei cittadini e condannato l'Enel a risarcire i danni, pagare le spese legali e del Consulente tecnico d'ufficio, dalla cui perizia viene accertato che l'Enel ha costantemente e continuativamente superato i limiti previsti per le emissioni di acido solfidrico, come pure aveva già rilevato l'Arpat;
   l'accertato superamento dei limiti delle emissioni di acido solfidrico H2s, è la ragione della condanna, ma la sentenza si esprime anche su altri elementi: non è necessario che le emissioni provochino un danno biologico o una patologia, come indicato dalla Corte di cassazione (v. Cass. n. 7875 del 2009; Cass. n. 26899 del 2014) che «ha affermato, nell'ambito della tutela del domicilio e della famiglia, che pur quando non risulti integrato un danno biologico, la lesione del diritto al normale svolgimento della vita familiare all'interno della propria casa di abitazione e del diritto alla libera e piena esplicazione delle proprie abitudini di vita quotidiane sono pregiudizi apprezzabili in termini di danno non patrimoniale. A ciò deve aggiungersi che il diritto al rispetto della propria vita privata e familiare è uno dei diritti protetti dalla Convenzione europea dei diritti umani (articolo 8). La Corte di Strasburgo ha fatto più volte applicazione di tale principio, anche a fondamento della tutela alla vivibilità dell'abitazione e alla qualità della vita all'interno di essa, riconoscendo alle parti assoggettate ad immissioni intollerabili un consistente risarcimento del danno morale»;
   gli incentivi statali alle centrali geotermiche vengono ripartiti in: a) certificati verdi per le centrali costruite fino al 2012; b) tariffe incentivanti definite dal decreto ministeriale del 6 luglio 2012 per le nuove centrali. Il loro valore viene definito di anno in anno secondo parametri che fanno riferimento al prezzo medio di cessione dell'energia elettrica. Per le centrali dell'Amiata, a quanto risulta all'interrogante l'Enel ha incassato come incentivi statali più di 46,5 milioni di euro nel 2013, circa 64,4 milioni di euro per il 2014 e 80,8 milioni di euro nel 2015. Si specifica altresì che il costo degli incentivi rappresenta circa 24 per cento delle tariffe elettriche pagate in bolletta dalle famiglie italiane –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere iniziative per quanto di competenza, per pervenire a un sistema di riduzione delle fonti d'inquinamento prodotte dalle centrali geotermiche dell'Enel sul monte Amiata;
   se non ritengano necessario assumere iniziative per eliminare gli incentivi che tengono in vita economicamente queste tipologie di impianti, in riferimento alle sentenze della magistratura che li dichiarano non ecocompatibili e anzi fonte certa d'inquinamento;
   se non ritengano necessario assumere iniziative per stanziare risorse certe per riparare i danni sanitari e ambientali causati dalle centrali geotermiche, come la presenza di arsenico nell'acqua potabile, causa di morte, degrado ambientale e sottosviluppo, oltre al superamento dei limiti previsti per le emissioni di acido solfidrico, rilevato da Arpat, e quindi definitivamente appurato;
   se non ritengano di dover elaborare una contabilità energetica complessiva delle fonti rinnovabili, avvalendosi anche del supporto di Enea, in modo da individuare una scala di riferimento in base alla quale indirizzare opportunamente gli incentivi statali alle fonti veramente ecocompatibili in tutto il loro ciclo di vita.
(4-14983)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   VALERIA VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Villa comunale di Napoli, da considerarsi il parco urbano monumentale più rilevante della città, su cui la Soprintendenza archeologica, belle arti e paesaggio per il comune di Napoli esercita azione di vigilanza e tutela, è stata oggetto in questi anni di interventi di modifica, manutentivi e di restauro, rivelatisi privi di efficace coordinamento e incapaci di evitare l'ingente riduzione delle sue aree verdi e il degrado delle strutture monumentali del parco, tra cui la statua di Apollo del Belvedere e la Casina del Boschetto; quest'ultima versa da anni in una condizione di totale abbandono e incuria;
   a partire dal 2008 la Villa comunale è stata interessata dall'apertura del cantiere per la realizzazione delle stazioni di Arco Mirelli e di San Pasquale, nonché dei pozzi di aereazione della metropolitana, che ne hanno intaccato l'impianto ottocentesco e il patrimonio architettonico e arboreo;
   in data 16 aprile 2012, l'amministrazione comunale scelse la Cassa Armonica, sita all'interno della Villa, per ospitare la cerimonia di premiazione dell'Acws, previa rimozione della sua corolla in vetro policromo, per garantire la messa in sicurezza della struttura, dopo che, già nel 2010, una nota (prot. 105 del 9 febbraio 2010), a seguito di sopralluogo richiesto dal servizio monumentale del comune di Napoli, segnalava che le cattive condizioni della Cassa Armonica rendevano pericoloso l'utilizzo e il passaggio nei pressi della stessa, suggerendo un transennamento della struttura per impedirne la praticabilità;
   la detta struttura della Cassa Armonica, a partire dal momento della sua rimozione, è rimasta per oltre due anni abbandonata all'interno del cantiere senza elementi di protezione, fino all'intervento della magistratura competente che in data 31 gennaio 2014 ha posto sotto sequestro la struttura nominando custode il comune;
   a partire dal settembre 2013 il restauro della Cassa Armonica ha sollevato l'interesse della Soprintendenza e del comune, il quale, dopo numerosi incontri sul tema con le associazioni civiche ed una fase di incertezza in merito all'assegnazione dei lavori di restauro, ha pubblicato in data 13 giugno 2014 un bando di gara, di cui è risultata vincitrice la ditta RTU di Avellino;
   dopo un lungo periodo di interruzione dei lavori di restauro, a seguito di un ulteriore consulto fornito dalla Soprintendenza, si è resa necessaria, con ulteriore esborso di risorse pubbliche e conseguente ritardo nella ripresa dei lavori, l'autorizzazione da parte dirigente comunale per una variante al progetto iniziale di restauro, redatto per conto di RTU, nella cui relazione tecnica erano presenti elementi giudicati non in linea con il profilo conservativo che l'opera di restauro deve seguire, scelte sulle quali l'assessore comunale competente aveva in precedenza avuto modo di esprimersi favorevolmente –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa; attraverso quali atti e secondo quali orientamenti la Soprintendenza competente abbia verificato l'opportunità degli interventi di restauro previsti, anche alla luce delle numerose istanze di protesta espresse dalle associazioni civiche attivamente impegnate sul tema; se sia stato predisposto un adeguato programma di recupero concernente la Villa e il suo parco, non più affidato ad interventi una tantum che in passato sono parsi legati ad occasioni di visibilità momentanea più che alla salvaguardia di un patrimonio di tutta la comunità cittadina; quali iniziative intenda intraprendere il Ministro, per quanto di propria competenza, per favorire il recupero delle parti monumentali della Villa comunale e della Cassa Armonica nello specifico, in modo che non abbiano più a verificarsi situazioni di abbandono degli elementi artistici e storici della Villa.
(4-14980)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in base alla norma contenuta nel decreto-legge n. 3 del 24 gennaio 2115, convertito, con modificazioni dalla legge n. 33 del marzo 2015, le banche popolari con attivo superiore agli 8 miliardi di euro hanno l'obbligo di trasformazione in società per azioni;
   i gruppi che al 30 giugno del 2014 si trovavano al disopra di questo ammontare erano dieci (Banco Popolare, Ubi, Bper, Popolare di Milano, Popolare di Vicenza, Veneto banca, Popolare di Sondrio, Credito Valtellinese, Popolare di Bari e Popolare dell'Etruria e del Lazio) a cui si aggiungeva un undicesimo gruppo derivato dalla fusione tra la Volksbank dell'Alto Adige e la Popolare di Marostica;
   la trasformazione in società per azioni comporta come conseguenza più evidente per i soci il passaggio dal voto capitano al voto in proporzione del valore della quota di partecipazione, come previsto normalmente per le società di capitali;
   attualmente, la circolare della Banca d'Italia che contiene le misure attuative per la trasformazione delle banche popolari in spa e stata sospesa in via cautelare dal Consiglio di Stato in attesa della pronuncia della Corte costituzionale sulla legittimità della riforma stessa;
   in particolare, sulla limitazione del diritto di recesso per i soci, secondo il Consiglio di Stato, la suddetta circolare della Banca d'Italia presenta «profili di non manifesta infondatezza» di legittimità costituzionale e «appare affetta da vizi derivati nella parte in cui disciplina l'esclusione del diritto al rimborso». Inoltre, «i provvedimenti impugnati e la disciplina legislativa sulla cui base sono stati adottati incidono direttamente su prerogative relative allo status di socio della banca popolare, presentando così profili di immediata lesività»;
   i ricorsi contro la legge di riforma delle popolari che ne eccepivano l'incostituzionalità sono stati numerosi, soprattutto da parte delle associazioni dei, consumatori. Respinti in primo grado dal Tar, il Consiglio di Stato ne ha invece riconosciuto la fondatezza, unificando i vari ricorsi in un'unica decisione e rinviando la questione alla Corte costituzionale;
   ad oggi, quindi, la migliore soluzione sembrerebbe quella di rinviare il termine in scadenza per la trasformazione delle popolari che mancano, tra cui la popolare di Bari e Popolare di Sondrio, in modo da avere certezze sul diritto di recesso in base alla decisione della Corte costituzionale;
   anche Assopopolari chiede il rinvio delle assemblee in società per azioni, in attesa della decisione del Consiglio di Stato, tenuto conto che l'ordinanza con la quale i giudici di Palazzo Spada devono entrare nel merito del profilo di costituzionalità della legge di riforma delle banche popolari per rinviare la questione all'esame della Consulta è attesa a giorni. Assopopolari auspica che il Ministero dell'economia e delle finanze e la Banca d'Italia non facciano mancare il proprio imprescindibile supporto alle banche popolari che hanno convocato a giorni le assemblee di trasformazione in società per azioni, come sta accadendo per il Credito Valtellinese, la Banca popolare di Milano, la Banca popolare di Bari, la BPER e la Banca popolare di Sondrio –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere iniziative normative anche urgenti, al fine di prevedere la sospensione per un tempo congruo dell'obbligo di trasformazione in, società per azioni delle banche popolari specificate in premessa. (4-14981)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   POLVERINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la stampa locale ha dato grande risalto alla denuncia fatta dalla Ugl polizia penitenziaria circa una accesa lite verbale che sarebbe avvenuta il 30 novembre 2016 all'interno della casa circondariale di Matera, fra il comandante di reparto ed un funzionario donna del nucleo traduzione e piantonamento, la quale sarebbe ricorsa alle cure mediche;
   da tempo l'Organizzazione sindacale evidenzia l'emergere di situazioni ricorrenti e critiche sia per il personale, valutato in sottorganico, con 93 effettivi su 120 agenti di polizia penitenziaria previsti, con quattro educatori su cinque e con dieci amministrativi su venti, che per gli ospiti della casa circondariale di Matera, censiti ad inizio anno in 106 unità;
   dalle segnalazioni prodotte, sembra emergere una carenza anche nei dispositivi di protezione individuale a disposizione del personale della polizia penitenziaria –:
   se sia intenzione del Ministro interrogato disporre un urgente sopralluogo nella casa circondariale di Matera al fine di accertare se la lite sia conseguenza del malessere che si vive all'interno della struttura di detenzione, a tutela del personale impiegato e per garantire un miglioramento delle condizioni di servizio ed un incremento della sicurezza per gli agenti e gli stessi ospiti della struttura.
(4-14979)


   MELILLA, QUARANTA, SANNICANDRO, RICCIATTI, DURANTI e KRONBICHLER. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   un documento della segreteria provinciale dell'Aquila del sindacato UILPA (polizia penitenziaria) rende noto che l'amministrazione penitenziaria dell'Aquila – con circolare GDAP PU n. 146311, del 29 aprile 2016 – ha inoltrato richiesta di pagamento degli oneri agli agenti che svolgono il loro servizio presso casa circondariale i quali, a seguito del terribile terremoto del 2009, hanno stabilito il proprio alloggio all'interno della caserma stessa;
   le condizioni abitative non sono certo quelle ottimali; infatti, la caserma si trova in uno stato di vero e proprio abbandono: ascensori non funzionanti, servizi igienici inadeguati, muri scrostati, manutenzione ordinaria del tutto assente;
   in molti casi gli agenti, pur di continuare a prestare il loro servizio, dividono spazi ristretti che non sarebbero sufficienti nemmeno per una persona singola;
   la situazione abitativa generale che all'Aquila si è venuta a creare in seguito al disastroso sisma del 2009, considerata anche la particolare ubicazione della casa circondariale, rende difficile, se non impossibile, il reperimento di alloggi in affitto e costituisce per gli agenti interessati anche un ulteriore e notevole aggravio sul piano economico;
   il sindacato UILPA, a seguito dell'ispezione inviata dagli uffici di Roma dell'amministrazione penitenziaria, ha emanato un documento nel quale respinge la richiesta di pagamento degli alloggi e chiede: lo stralcio per tutti gli istituti penitenziari ricadenti nelle zone terremotate per quanto previsto dal decreto del Presidente della Repubblica del 15 novembre 2006, n. 314, l'ampliamento e il ripristino della vivibilità degli alloggi, il rispetto di tutte le condizioni previste dal decreto legislativo n. 81 del 2008 in materia di salubrità e sicurezza –:
   come intenda intervenire, data la particolare e difficile situazione della casa circondariale dell'Aquila e degli agenti di polizia penitenziaria che vi prestano servizio. (4-14984)


   TOTARO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 22 marzo 2007 il cittadino moldavo Gheorghe Vacaru, in concorso con altre persone mai identificate, durante un delitto di rapina colpiva violentemente, legava mani e piedi, e uccideva Giampaolo Granzo, soffocandolo mediante copertura totale di naso e bocca, nella quale aveva inserito uno straccio tenuto fermo da ripetuti giri di nastro adesivo per pacchi;
   per tale efferato crimine, con sentenza del 15 giugno 2009 (4816/2007 RNR – 3791/2007 RGIP) Gheorghe Vacaru è stato dapprima condannato a diciotto anni di reclusione dal tribunale di Venezia, e successivamente a trenta anni di reclusione con la sentenza del 13 dicembre 2010 della corte d'appello di Venezia (16/2009 R.G. assise d'appello 4818/2007 RNR);
   in seguito alle condanne l'imputato era stato trasferito in Moldavia per scontare il resto della pena, ma da notizie giunte dai mezzi di informazione risulta che attualmente egli sia tornato in libertà –:
   di quali informazioni siano in possesso con riferimento al caso di cui in premessa, e quali iniziative di competenza intendano assumere affinché, in questo cado e in quelli analoghi, sia impedito al condannato di rientrare in Italia;
   se non ritengano di adottare iniziative, nelle competenti sedi internazionali, per modificare la convenzione sul trasferimento delle persone condannate del 1983 affinché l'esecuzione delle sentenze in Paese diverso da quello di condanna avvenga senza stravolgere la pena comminata. (4-14985)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, FOLINO, SCOTTO, FERRARA, QUARANTA, PIRAS, MELILLA, DURANTI, COSTANTINO, NICCHI e FAVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 dicembre 2016 alle ore 7,25 si è verificato un incendio sul treno regionale 7901 Ancona-Macerata-Fabriano, all'interno della galleria Vallemiano, poco dopo la stazione di Varano (Ancona);
   l'incendio si è sprigionato dal motore della carrozza locomotrice, situata in coda al convoglio, probabilmente per una avaria (Il Corriere Adriatico, 8 dicembre 2016); la vettura, a quanto si apprende, era vetusta e alimentata a diesel, composta di due scompartimenti;
   l'evento, verificatosi all'interno della galleria, ha interessato trenta passeggeri oltre al personale in servizio, costretti a percorrere per circa 45 minuti la galleria invasa dal fumo sprigionato dal principio d'incendio;
   molti dei passeggeri hanno subìto un forte choc a causa dell'incidente, soprattutto per aver dovuto attraversare la galleria invasa dal fumo prima di essere messi in salvo;
   il pubblico ministero Rosario Lionello, della procura della Repubblica presso il tribunale di Ancona, ha aperto un fascicolo contro ignoti sulla vicenda, per accertare eventuali responsabilità;
   nonostante non vi siano state vittime (il bilancio è di tre persone intossicate), il fatto solleva ancora una volta forti allarmi per le condizioni del trasporto ferroviario in alcune tratte delle Marche, dove continuano a verificarsi disagi a causa del parco mezzi obsoleto e dei diversi disservizi già segnalati in numerose occasioni dai parlamentari delle Marche –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per garantire la sicurezza dei passeggeri e del personale impiegato sui convogli, nonché l'efficienza del trasporto ferroviario nelle Marche;
   se non intenda, nell'ambito delle proprie competenze, assumere iniziative affinché vi sia un ammodernamento del parco mezzi impiegato per il trasporto ferroviario. (5-10115)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana – 4a Serie speciale – «Concorsi, ed esami» del 29 gennaio 2016 è stato pubblicato bando del concorso pubblico, per titoli ed esami, per il reclutamento di n. 559 allievi agenti della polizia di Stato, riservato ai sensi dell'articolo 2199, comma 4, lettera a), del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66, ai volontari in ferma prefissata di un anno o quadriennale ovvero in rafferma annuale i quali, se in servizio, abbiano svolto alla data di scadenza del termine di presentazione della domanda almeno sei mesi in tale stato o, se collocati in congedo, abbiano concluso tale ferma di un anno;
   il 13 maggio 2016 si pubblicano i risultati della prova scritta d'esame del concorso. Saranno ammessi a sostenere gli accertamenti dell'efficienza fisica, psico-fisici ed attitudinali ai sensi dell'articolo 8, comma 9, del bando di concorso, i candidati che hanno riportato una votazione uguale o superiore a 8,625 decimi, nonché i candidati che partecipano per i posti riservati di cui all'articolo 1, commi 2 e 3 del bando di concorso, che hanno riportato una votazione uguale o superiore a 6 decimi;
   il 31 maggio 2016 si comunica che, con avviso pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – 4a serie speciale «Concorsi ed esami» – del giorno 31 maggio 2016, è stata rinviata la pubblicazione del diario degli accertamenti dell'idoneità fisica, psichica ed attitudinale nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – 4a serie speciale «Concorsi ed esami» – del giorno 17 giugno 2016;
   la pubblicazione del calendario degli accertamenti dell'efficienza fisica, psico-fisici ed attitudinali è stata rimandata per ben sei volte ed i concorrenti collocatisi utilmente in graduatoria in qualità di idonei, al momento, non sono stati mai richiamati per le successive selezioni;
   peraltro, nonostante la mancata e doverosa convocazione per la seconda fase del suddetto concorso, da fonti stampa, si apprende che nei prossimi mesi saranno indetti nuovi concorsi tutti aventi analogo oggetto, tra l'altro, aperti anche ai civili;
   ciò, secondo l'interrogante, è in evidente ed aperto contrasto con l'orientamento costante nella giurisprudenza amministrativa, secondo la quale «È illegittimo provvedimento, con cui l'Amministrazione bandisce un nuovo concorso senza tenere conto del risultato di una precedente e omologa selezione e senza una adeguata motivazione in ordine al mancato previo scorrimento della graduatoria» (TAR Lombardia-Milano, Sez. III, sentenza 15 settembre 2008, n. 4073);
   pertanto, gli aspiranti che nel 2016 parteciparono al concorso sono stati letteralmente abbandonati a loro stessi senza conoscere mai alcuna motivazione o spiegazione delle ragioni per cui non furono – come avrebbe dovuto essere – chiamati per sostenere le prove fisiche e psico-attitudinali, né tanto meno le ragioni che l'amministrazione, secondo l'interrogante, aveva l'obbligo di fornire in ordine alla determinazione di bandire, pur essendoci una graduatoria di idonei valida ed efficace, nuovi concorsi senza attingere da quella graduatoria, con notevole aggravio di spese e di risorse a carico dello Stato –:
   quali siano le ragioni per cui è stato indetto un concorso al quale non è seguito nessun consequenziale e legittimo reclutamento;
   quali siano le ragioni per cui, pur in presenza di una graduatoria di merito valida ed efficace, si ritenga opportuno bandire nuovi concorsi aventi il medesimo oggetto;
   quali iniziative si intendano assumere per completare il doveroso reclutamento degli idonei al concorso di polizia del 2016. (5-10117)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIMBRO, GARAVINI, GNECCHI, GRIBAUDO, IACONO, LA MARCA, ANDREA MAESTRI, MARANTELLI, MOGNATO e FIANO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di questa legislatura si è avuto più volte di segnalare al Ministero, attraverso interrogazioni e interpellanze, i numerosi, gravi episodi di manifesto attacco ai valori antifascisti della Costituzione, inequivocabili segnali della recente avanzata delle nuove destre sul territorio lombardo: dai festival neonazisti di Rogoredo, Castano Primo e Cantù, all'insediamento nelle istituzioni comunali del territorio milanese di formazioni politiche di ispirazione chiaramente fascista. Due ulteriori, recenti accadimenti meritano di essere qui riportati;
   il 30 novembre 2016, nell'aula consiliare di Turbigo, si è tenuto un convegno promosso dall'Associazione Memento, una branca di Lealtà e Azione, nota organizzazione di estrema destra, e dal centro Studi dedicato a Ezio Maria Gray, fascista, antisemita e aderente nel 1943 alla Repubblica di Salò; al gerarca fascista, si ricorda, era stata intitolata una via della città nel 2014;
   l'evento è stato patrocinato dal comune, il quale non ha fatto mancare i suoi saluti istituzionali. (Lo stesso comune aveva negato il patrocinio, poco tempo prima, a un evento con Don Andrea Gallo, e a un altro con il monsignor Bettazzi, vescovo di Ivrea);
   il Presidente dell'AMPI provinciale di Milano Roberto Cenati ha ritenuto l'iniziativa, « Italianski Karasciò», italiani brava gente, un tentativo di strumentalizzazione della tragica vicenda dell'invio del Corpo di spedizione italiano in Russia nel 1942 insieme agli alleati nazisti – corpo che subì pesantissime perdite, novantamila caduti. Questa tragedia, infatti, «rappresenta una delle più gravi responsabilità del fascismo di fronte al popolo italiano e ha contribuito a rendere sempre più vivi e forti il risentimento e l'ostilità degli italiani verso il fascismo»;
   pochi giorni fa, venendo al secondo, recente, episodio, il gruppo neonazista Do.ra ha profanato il Sacrario del San Martino, la battaglia che costituisce uno dei primi e significativi esempi di opposizione all'occupazione nazifascista, e l'inizio della lotta partigiana nel Nord Italia;
   l'ANPI provinciale di Milano, nell'esecrare l'oltraggiosa e ignobile azione, ha manifestato altresì la sua «preoccupazione per il rifiorire di movimenti neonazisti e neofascisti nel cuore dell'Europa e nel nostro Paese», rilevando come sia «di estrema gravità la situazione creatasi nel Varesotto, dove il gruppo neonazista Do.ra, la più numerosa e organizzata comunità nazionalsocialista italiana, apertamente razzista, fa da anni apologia di fascismo, negando la Shoah» –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda mettere in atto per, porre finalmente, un argine all'avanzata, anche culturale, di movimenti neonazisti e neofascisti che si pongono apertamente in contrasto con i valori della Repubblica. (4-14988)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PANNARALE, FRATOIANNI e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da diversi anni ormai nella regione Puglia viene svolto il progetto regionale cosiddetto «diritti a scuola», rifinanziato con risorse del Fondo sociale europeo nell'ambito del programma operativo 2014-2020, allo scopo di «realizzare interventi per qualificare il sistema scolastico e prevenire la dispersione, favorendo il successo scolastico, con priorità per gli studenti svantaggiati»;
   il suddetto progetto è realizzato nell'ambito della frequenza delle scuole dell'obbligo della regione Puglia con ottimi risultati in termini di prevenzione e recupero della dispersione, come peraltro confermato dall'assegnazione del premio «Regiostars 2015» da parte della Commissione europea che lo ha riconosciuto quale best practise europea nell'ambito di riferimento;
   nell'ambito del suddetto progetto da tempo veniva impiegato, sulla base di convenzioni stipulate annualmente dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dalla regione Puglia, il personale docente e Ata inserito nelle graduatorie provinciali e, in subordine, di circolo/istituto utili al reclutamento dei supplenti in ciascuna qualifica;
   coerentemente con quanto accaduto negli anni scolastici 2009/10, 2010/11 e 2011/12 in forza delle disposizioni contenute nei commi 2, 3 e 4 dell'articolo 1 della legge n. 167 del 2009, al personale scolastico destinatario degli incarichi lavorativi a valere sul progetto «diritti a scuola», viene riconosciuta la valutazione del servizio prestato;
   la valutazione del servizio negli anni scolastici successivi, a partire dal 2012/13 e seguenti, è riconosciuta in forza della previsione normativa contenuta nel comma 4-bis dell'articolo 5 del decreto-legge n. 104 del 2013, convertito dalla legge n. 128 del 2013, al personale docente all'atto dell'aggiornamento delle graduatorie ad esaurimento previste dall'articolo 1, comma 605, lettera c), della legge 27 dicembre 2006, n. 296, e successive modificazioni, e delle corrispondenti graduatorie di circolo/istituto e al personale Ata nelle graduatorie permanenti di cui all'articolo 554 del testo unico di cui al decreto legislativo 16 aprile 1994, n. 297, negli elenchi provinciali ad esaurimento di cui al decreto del Ministro della pubblica istruzione n. 75 del 19 aprile 2001, nonché nelle graduatorie d'istituto;
   nei decorsi anni scolastici le convenzioni stipulate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e dalla regione Puglia contenevano l'espressa previsione della valutabilità del servizio svolto sia a beneficio del personale docente che del personale Ata, come desumibile dal protocollo d'intesa sottoscritto da regione Puglia e Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 15 gennaio 2015 per lo svolgimento delle attività progettuali nel corso dell'anno scolastico 2014/15;
   si evidenzia che per le attività svolte nell'anno scolastico 2015/16, la convenzione stipulata da Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e regione Puglia il 16 dicembre 2015, al punto 4), fa espresso riferimento alla valutabilità del servizio svolto esclusivamente dal personale Ata;
   il protocollo d'intesa appena richiamato, tacendo in merito alla valutabilità del servizio svolto dal personale docente nelle graduatorie ad esaurimento e in quelle di circolo/istituto, potrebbe:
    1) determinare un'evidente disparità di trattamento tra personale docente e personale Ata e tra lo stesso personale docente impiegato nelle stesse attività progettuali in annualità differenti;
    2) risultare sottoscritto in palese contrasto con una norma di legge che in nulla distingue le due qualifiche di personale scolastico in merito alla valutabilità del servizio svolto;
    3) determinare (cosa che sta, peraltro, avvenendo) un massiccio ricorso a contenziosi che darebbero luogo a una prevedibile soccombenza dell'amministrazione scolastica con probabile condanna alle spese che graverebbero sull'erario;
    4) penalizzare proprio il personale docente precario, destinatario delle disposizioni della legge n. 167 del 2009, ideata proprio, per sostenere le posizioni dei lavoratori della scuola che non ricevevano alcuna o scarse proposte di contratto –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per modificare il dettato della convenzione sottoscritta con la regione Puglia allo scopo di ricondurre gli accordi regionali nell'alveo del rispetto delle norme di legge. (5-10118)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DE ROSA e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Hewlett-Packard (più nota con la sigla HP) è una multinazionale statunitense dell'informatica attiva nel mercato dell’hardware, del software e dei servizi collegati all'informatica. Ad inizio 2011 è arrivata ad essere il primo produttore mondiale di computer portatili per unità vendute. Nel 2015 l'azienda si è divisa dando origine ad HP inc., attiva nel mercato dei personal computer e delle stampanti, e a Hewlett Packard Enterprise, fornitore di soluzioni per datacenter e grandi imprese;
   da più di un decennio, HP sta attraversando un periodo in cui le operazioni e le decisioni strategiche adottate dai vertici dell'azienda si sono rivelate essere poco produttive, e in alcuni casi del tutto fallimentari, in relazione ai risultati ottenuti. La conseguenza è stata quella di aver accumulato per anni pesanti perdite in borsa, forte riduzione di ricavi e profitti e gravi ripercussioni per l'occupazione dei lavoratori anche delle sedi italiane;
   a fine novembre 2016, a causa di contrazioni di mercato dovute alla perdita di clienti, al mancato ingresso di nuovi, alla compressione dei volumi sui clienti esistenti e alla conseguente riduzione di commesse, HPE Services Italia s.r.l. ha comunicato di dover ricorrere con urgenza all'apertura della cassa integrazione guadagni ordinaria (CIGO) al 100 per cento per 13 settimane anche non consecutive, per 3 lavoratori del sito di Genova, 60 del sito di Torino, 120 del sito di Cernusco sul Naviglio (MI), 3 del sito di Pavia, 450 dei siti di Roma e Pomezia, 120 del sito di Bari, 4 del sito di Padova;
   in data 23 novembre 2016, a seguito della procedura di richiesta di cassa integrazione guadagni ordinaria decisa dal management di HPE Italia, è stato avviato un confronto con le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie aziendali;
   dall'incontro è emerso che i dati presentati dall'azienda hanno evidenziato, per il terzo anno di fila, una notevole flessione in negativo del fatturato e peggiori prospettive per il 2017;
   oltre alle operazioni industriali e agli esodi incentivati che hanno portato all'allontanamento dall'azienda di centinaia di lavoratori nel corso degli anni, a novembre 2016 HPE Italia ha dichiarato essere 158 i dipendenti non occupati che, nel 2017, potranno arrivare alla cifra compresa tra 291 e 360;
   le rappresentanze sindacali unitarie hanno comunicato di non accettare la cassa integrazione guadagni ordinaria al 100 per cento e, in base ai precedenti accordi sottoscritti con l'azienda, che sarebbe opportuno estendere le caratteristiche di tutela soprattutto verso i lavoratori part time o mono reddito;
   visto il perdurare della crisi, le organizzazioni sindacali hanno richiesto un incontro per aprire un tavolo di confronto presso il Ministero dello sviluppo economico –:
   se i Ministri interrogati, per competenza, non intendano istituire, qualora non sia stato già previsto, un tavolo nazionale confronto con la società HPE Services Italia s.r.l., le organizzazioni sindacali e le rappresentanze sindacali unitarie coinvolte, al fine di favorire una modifica dell'attuale impostazione organizzativa della direzione aziendale e di garantire la piena occupazione di tutti i dipendenti delle sedi italiane inclusi nel procedimento di cassa integrazione guadagni ordinaria previsto. (5-10114)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   VARGIU e MATARRESE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione alla direttiva 86/457/CEE, l'articolo 5 della legge 30 luglio 1990 n. 212, recante delega al Governo per l'attuazione di direttive delle Comunità europee in materia di sanità e di protezione dei lavoratori, pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 4 agosto 1990, n.181 è stato istituito in Italia il «corso di formazione specifica in medicina generale»;
   a seguito della definizione di tale percorso formativo, il possesso del relativo titolo è diventato condizione indispensabile per l'inserimento negli elenchi che danno accesso alla convenzione della medicina generale;
   il percorso formativo per il conseguimento del diploma di medico di «medicina generale», oggi affidato alle regioni, prevede un esame di accesso a numero chiuso, ha durata triennale ed è articolato attraverso differenti tirocini formativi specifici, con giudizio finale;
   l'attuale approccio formativo delegato alle regioni è fonte di forte disomogeneità nella individuazione degli attori della formazione e – conseguentemente – della qualità degli stessi percorsi formativi;
   nell'ordinamento della maggior parte degli altri Paesi europei (Gran Bretagna, Germania, Francia, Spagna, Olanda, Danimarca), la formazione dei medici dell'assistenza primaria avviene all'interno dell'università, sede istituzionalmente preposta alle attività di specializzazione medica post laurea –:
   se il Governo ritenga opportuno assumere iniziative per istituire quanto prima anche in Italia le scuole di specializzazione in «medicina generale», promuovendo un'omogeneizzazione degli attuali percorsi formativi regionali e riportando opportunamente nel naturale alveo universitario tutte le attività di specializzazione medica post laurea. (4-14978)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 257 del 1992 stabilisce la cessazione dell'impiego dell'amianto a causa della sua pericolosità per la salute pubblica, dovuta alla natura fibrosa che, anche se a bassissime concentrazioni, può provocare patologie gravi che interessano prevalentemente l'apparato respiratorio come l'asbestosi, il carcinoma polmonare e il mesotelioma;
   in data 12 ottobre 2016, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si è svolta una riunione tecnica nell'ambito del Sin (sito di interesse nazionale) di Trieste, in video conferenza dalla sede della regione Friuli Venezia Giulia, su quanto comunicato dall'Autorità portuale di Trieste (A.P.T.) con nota protocollo n. 6872/P del 6 ottobre 2016;
   l'A.P.T, nell'ambito del progetto «Piattaforma logistica tra lo Scalo Legnami e l'ex ItalsiderHub portuale di Trieste – I Stralcio» approvato con delibera Cipe n. 57/2012, ha evidenziato che «sono stati rinvenuti frammenti di MCA (materiali contenenti amianto) e amianto in fibre sparse in prossimità del limite nord dell'area in concessione»;
   dal resoconto della riunione si evince come «i suddetti materiali, sebbene non previsti dal progetto di bonifica, sono stati gestiti e smaltiti secondo la normativa vigente presso impianti autorizzatori. Successivamente, in data 13 settembre 2016, in aree vicine agli insediamenti industriali siderurgici, sono stati rinvenuti ulteriori elementi in MCA deteriorato e in fibre»;
   l'A.P.T «ritiene che i volumi di MCA ritrovati non cambiano l'analisi di rischio alla base del progetto di bonifica e che i residui di MCA, rinvenibili oltre le quote di fondo scavo possono non essere rimossi in quanto le opere eseguite hanno caratteristiche per cui i residui di MCA nel terreno sono isolati permanentemente dall'ambiente circostante e dall'uomo. Ogni diversa azione darebbe luogo a maggiori rischi ambientali e sanitari e a costi non sostenibili per l'esecuzione del progetto»;
   sulla profondità dei MCA rinvenuti e dei materiali di riporto l'A.P.T ha comunicato che «i MCA si trovano ubicati in area vicina alla costa, tra le opere di palancolato e del CSM (Cutter Soil Mixing); la profondità del palancolato e del CSM in alcuni punti arriva fino a – 20 metri; i MCA interessano una percentuale significativa degli scavi effettuati; i materiali di riporto sono presenti fino a profondità di circa — 10 metri.»;
   il ritrovamento di MCA comporta «una modifica delle condizioni alla base del progetto di bonifica approvato, in quanto si aggiunge una nuova tipologia di contaminante che, trattandosi di amianto, segue una normativa a sé stante e implica una integrazione delle tecnologie di bonifica previste» –:
   secondo quali modalità il Governo, di concerto con le istituzioni territoriali, intenda intervenire, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, per accertare eventuali conseguenze sanitarie a carico dei lavoratori che hanno operato nelle prescritte aree e a carico dei residenti delle zone residenziali contermini.
   (4-14982)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, FOLINO, PLACIDO, AIRAUDO, MARTELLI, FRANCO BORDO, NICCHI, ZARATTI, FAVA, KRONBICHLER, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, SCOTTO e FRATOIANNI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i dati sulle esportazioni nel terzo trimestre 2016, diffusi dall'Istat, rilevano come, a fronte di una generale leggera ripresa dell’export, restino drammatiche le attività di esportazione verso il mercato russo, a causa delle politiche di sanzione operata dall'Unione europea;
   il mercato russo ha rappresentato per diverse aziende, in particolare per i prodotti realizzati nelle Marche, uno sbocco commerciale primario, verso il quale le suddette aziende hanno, nel corso degli anni, impegnato risorse significative per rafforzare la loro presenza e per acquisire quote di mercato;
   l'impatto di tali politiche ha colpito duramente diversi distretti produttivi delle Marche. In particolare, si segnalano i dati drammatici per l’export verso la Russia del distretto di Pesaro, che segnano una perdita del 35,8 per cento (9,7 milioni di fatturato) per la meccanica e del 35 per cento (17,7 milioni di euro) per l'arredamento e un significativo arretramento per il settore agroalimentare;
   gli interroganti hanno segnalato più volte come la politica di sanzioni adottate dalla Unione europea, così come le contromisure poste in essere dalla Federazione russa, abbiano inciso in modo drammatico sui bilanci di diverse realtà produttive, anche di piccole dimensioni, non in grado di indirizzare nuovi investimenti per aprire o rafforzare gli scambi con altri mercati –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare il Ministro interrogato per sostenere l’export delle aziende del distretto di Pesaro;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, anche in sede europea, volte a sostenere una riapertura del dialogo con la Russia ed un rilancio degli scambi commerciali con tale Paese, considerato il rilievo che storicamente tali scambi hanno rappresentato per il settore del made in Italy. (5-10116)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il disservizio causato dall'assenza di copertura di rete mobile nel territorio che si estende dal Cansiglio a tutto il versante Trevigiano, continua ad essere causa di notevole disagio e incidenti;
   la problematica di scarsità o assenza del segnale telefonico persiste, infatti, in molte aree dell'altopiano succitato, nel quale si determina una grave situazione di « digital divide»;
   i comuni di Fregona, Sarmede e Cordignano nel versante trevigiano del Cansiglio e dall'altra parte nel versante Bellunese, Farra d'Alpago, presentano in alcune frazioni importanti problemi di ricezione mobile;
   queste sono zone di montagna locate a ridosso della seconda foresta d'Italia, patrimonio naturalistico ed ambientale, che vedono ogni anno migliaia di turisti giunti per visitare il parco delle grotte del Caglieron, oltre che il monte Pizzoc ed il Cansiglio. Nonostante, quindi, sia necessaria la copertura di rete in termini sia di sicurezza per gli abitanti di questi territori, sia per il ritorno economico derivante dall'attrazione turistica esercitata da questi luoghi, perdura l'assenza di copertura di rete cellulare da parte di tutti gli operatori di telefonia mobile;
   i cellulari, infatti, in queste zone, funzionano a singhiozzo e bisogna ripetere più volte l'operazione di chiamata per riottenere il segnale telefonico, con ulteriori spese a carico dell'utente. Inoltre, gli impianti di telefonia mobile nella piana del Cansiglio sono situati su una struttura fatiscente, come quella dell'hotel San Marco, di proprietà della regione Veneto che pare stia per venderlo e proprio per questo non si sa se vi sia interesse da parte delle aziende di telefonia a fare investimenti per installare un nuovo impianto nell'area;
   tutti i sindaci della zona chiedono, da anni, attraverso apposite petizioni popolari, che le aziende di telefonia mobile investano e pongano fine ai disservizi, e che soprattutto smettano di comunicare ai propri clienti che la copertura in caso di chiamata di emergenza al 118 e 112 sarebbe garantita. Ciò risulta non vero, poiché negli ultimi tempi, si sono verificati parecchi incidenti a seguito dei quali allertare le forze di soccorso è stato non poco difficoltoso a causa della mancanza di segnale telefonico. A lamentare, inoltre, problematiche in tal senso è anche il corpo nazionale del soccorso alpino che proprio al termine di una esercitazione fatta nel mese di ottobre 2016 in Cansiglio, inerente la simulazione di ricerca di persone disperse, ha rilevato come nell'area vi siano difficoltà inerenti la comunicazione su rete cellulare, che oltre ad ostacolare le operazioni di soccorso, comportano ulteriori costi a carico del sistema sanitario nazionale. Molte volte, infatti, per fare interventi di soccorso nell'area del Cansiglio si è dovuto ricorrere all'utilizzo dell'elisoccorso, del su le si sarebbe potuto fare a meno se le reti di telefonia avessero funzionato adeguatamente. All'inizio del 2016 i sindaci dei comuni aderenti al comitato «Uniti per Valsalega», esultavano per la notizia, ricevuta dal prefetto Laura Lega, che finalmente il Cansiglio, entro la fine del 2016 sarebbe stato coperto su tutto il versante Trevigiano, da un ripetitore Tim, servendo così tutto il territorio prealpino. Ad oggi, purtroppo, nonostante gli annunci fatti, non si è a conoscenza di nessun ripetitore che fornisca coperture di segnale telefonico nelle aree predette –:
   se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga di adottare le opportune iniziative, anche di carattere normativo, affinché tutti i gestori di telefonia ammodernino le reti telefoniche nelle aree citate, nonché in tutto il territorio nazionale;
   se intenda attivarsi, per quanto di competenza, per favorire l'ampliamento ed il potenziamento del servizio di telefonia mobile, così come annunciato ad inizio anno dal prefetto di Treviso Laura Lega, a maggior sicurezza di turisti e a servizio dei residenti dei comuni interessati e per garantire un servizio essenziale per le attività produttive. (4-14991)

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ALLASIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   alcune testate di informazione locale hanno rilevato come la mensa di servizio per il personale di Polizia penitenziaria, presso la casa di reclusione circondariale «Lorusso e Cutugno» di Torino (C.C.L.C), peraltro evidenziato nelle diverse sedi istituzionali, più volte, dal sindacato di polizia penitenziaria OSAPP (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), presenta gravi carenze igienico-sanitarie;
   l'organizzazione sindacale OSAPP ha più volte segnalato al direttore della casa di reclusione circondariale «Lorusso e Cutugno» di Torino, le gravi carenze igienico-sanitarie della mensa di servizio al personale di Polizia penitenziaria, che si sostanziano, a titolo esemplificativo, in: «... il personale che distribuisce frutta, posate e acqua non indosserebbe mai i guanti e pertanto toccherebbe bottiglie, cassette d'acqua... contemporaneamente alla frutta. ... i cucchiai non sono confezionati e verrebbero forniti da quelle stesse mani (senza guanti ! ! ! ! ! ! ! !) che avrebbero prima toccato imballaggi e bottigliette... gli addetti alla distribuzione del cibo cucinato indosserebbe i guanti durante il servizio... i piatti pronti di affettati vari, formaggi e verdure sarebbero esposti, per tutto l'orario di apertura della mensa, senza alcuna protezione e copertura per esempio di pellicola, su tavoli e non contenuti in luogo refrigerato... parrebbe che la commissione mensa si presenti per i controlli soprattutto verso metà della mattinata e mai durante la somministrazione dei pasti per controllare quantità, qualità, modalità di cottura e di somministrazione dei cibi — stralcio lettera OSAPP segreteria provinciale di Torino del 4 giugno 2015 —»;
   inoltre anche il vestiario e l'equipaggiamento in dotazione al personale di Polizia penitenziaria in servizio negli istituti penitenziari del Piemonte e la Valle d'Aosta, risulta, come segnalato dal sindacato di polizia penitenziaria OSAPP (Organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), carente, infatti, come segnala il sindacato in parola, il personale di polizia penitenziaria «... incontra non poca difficoltà per vestirsi e spesso ricorre a negozi di fortuna per approvvigionare capi simili all'uniforme ordinaria tanto che, a volte, si sfiora il ridicolo per l'immagine del Corpo stesso — stralcio lettera OSAPP segreteria regionale Piemonte-Valle d'Aosta del 4 giugno 2015 —»;
   a tali gravi carenze igienico-sanitarie, di mancanza delle dotazioni di vestiario, nonché di vetustà e la grave usura — stante il notevole chilometraggio — dei mezzi di servizio in dotazione al corpo di polizia penitenziaria per il trasporto dei detenuti, si aggiungono anche altre problematiche, tra cui il gravissimo stato di dissesto del manto stradale della via adiacente all'ingresso alla casa di reclusione in parola, tutte problematiche che evidentemente non consentono, al personale di polizia penitenziaria, di poter svolgere con diligenza i ruoli e i compiti a loro affidati –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali interventi e iniziative, anche di natura emergenziale, intenda adottare, in particolare per garantire che vengano immediatamente ripristinate le condizioni igienico-sanitarie della mensa di servizio al personale di polizia penitenziaria della casa di reclusione circondariale «Lorusso e Cutugno» di Torino, e siano restituiti il decoro e la necessaria provvista del vestiario e dell'equipaggiamento in dotazione al personale di polizia penitenziaria in servizio negli istituti penitenziari del Piemonte e la Valle d'Aosta. (4-09464)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante segnala diverse criticità inerenti la casa circondariale «Lorusso e Cutugno» di Torino, con particolare riguardo alle condizioni igienico-sanitarie della mensa di servizio del personale di polizia penitenziaria e allo stato di dissesto del manto stradale della via adiacente all'ingresso dell'istituto; alle dotazioni di vestiario ed equipaggiamento per il predetto personale ed alle condizioni di usura e vetustà dei mezzi di trasporto assegnati per il trasferimento dei detenuti.
  Su tali premesse, chiede dunque di sapere quali iniziative si intendano intraprendere al fine di superare le prospettate criticità.
  Orbene, sulla base degli elementi conoscitivi forniti dal competente dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, si rappresenta quanto segue.
  Con riferimento al profilo relativo alle condizioni igienico-sanitarie della mensa di servizio del personale di polizia penitenziaria, va segnalato, in via generale, che è prevista, presso gli istituti, una commissione mensa che provvede ad effettuare controlli periodici al fine di monitorare l'efficienza del servizio. Di regola i controlli vengono disposti fuori dagli orari di apertura della mensa, al fine di non intralciare sia l'operato degli addetti alla distribuzione del vitto, sia la consumazione del pasto da parte dell'utenza. Va tuttavia rilevato che, nel caso di specie, è stata prevista, l'effettuazione di controlli a sorpresa, alle ore 14.00, almeno due volte a settimana.
  Va altresì rilevato che presso la mensa è presente un registro sul quale il personale che fruisce del servizio può annotare le eventuali anomalie riscontrate; tale registro è consultato dalla commissione mensa ai fini dei necessari interventi correttivi del servizio.
  Nel merito delle criticità specificamente segnalate dall'Onorevole interrogante sulle condizioni igienico-sanitarie della mensa, il competente dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha comunicato che, effettivamente, la direzione dell'istituto ha appurato che, a seguito di un disguido nelle procedure di approvvigionamento nel corso dell'anno 2015, si è verificata una carenza nella disponibilità di guanti, ma ha provveduto tempestivamente a informare la ditta che gestisce il servizio dell'assoluta necessità di assicurare il rispetto delle norme igieniche da parte del personale addetto alla distribuzione. Inoltre, in ordine alle modalità di conservazione del cibo, è stata acquistata una vetrina refrigerata per l'esposizione dei piatti freddi.
  In relazione al «gravissimo stato di dissesto» del manto stradale della via adiacente all'ingresso alla casa circondariale di Torino, come rappresentato nell'atto ispettivo, mi preme segnalare che, nel corso del tempo, l'area in parola è stata oggetto di diversi interventi manutentivi e migliorativi, come comunicato dalla competente articolazione ministeriale; tra cui il posizionamento di fibra ottica, la rimozione di vecchi cavi elettrici e il rifacimento del manto stradale per la copertura di buche ivi presenti.
  In ordine invece alla dotazione di vestiario e equipaggiamento per il personale di polizia penitenziaria in servizio presso gli istituti del Piemonte e della Valle d'Aosta, il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha segnalato che, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2015, sono stati consegnati, sulla base degli ordinativi del provveditorato regionale, 1.664 paia di scarpe, maschili e femminili e di varia tipologia, di cui 426 nel 2012 e il resto negli anni successivi. Inoltre, nel periodo compreso tra il 2012 e il 2016, sono stati forniti 1.524 capi di vestiario (camicie estive) per il personale maschile e 171 capi per quello femminile, in aggiunta ai capi già consegnati nel 2006 (pari a 2.573).
  Particolare attenzione è poi riservata dal competente dipartimento dell'amministrazione penitenziaria alla dotazione degli automezzi impiegati nei servizi di traduzione dei detenuti, tra cui rientrano i furgonati, le autovetture protette dedicate alla traduzione dei collaboratori di giustizia e le autovetture del nucleo radiomobile impiegate in attività di supporto.
  È stato infatti avviato dalla predetta articolazione ministeriale un piano di svecchiamento e di ridefinizione del parco automezzi di ciascuna Regione, orientato lungo due linee direttrici: da un lato, acquisizione di nuovi automezzi, da distribuire in base alle necessità locali; dall'altro, recupero funzionale ed operativo dei mezzi destinati al trasporto dei detenuti che, per anno di immatricolazione, vetustà, condizioni generali del mezzo in ragione del kilometraggio, ripetitività degli interventi di riparazione e costi relativi, risultino comunque in condizioni di essere resi nuovamente efficienti.
  Nell'ambito di tale intervento, il provveditorato regionale del Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria ha già indicato al dipartimento dell'amministrazione penitenziaria i mezzi che presentano i requisiti per poter essere oggetto degli interventi manutentivi suddetti.
  Nelle more della definitiva realizzazione del piano generale di intervento, si rileva che, allo stato attuale, come comunicato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, al provveditorato regionale Piemonte, Valle d'Aosta e Liguria risultano assegnati complessivamente n. 208 automezzi impiegati nel servizio di traduzione dei detenuti, di cui 161 al Piemonte e alla Valle d'Aosta e 47 alla Liguria.
  In particolare, si evidenzia che è stata completata l'assegnazione di almeno un furgonato ordinario, di nuova acquisizione, conducibile anche con patente B, a tutti i nuclei traduzioni e piantonamenti del Piemonte, della Liguria e della Valle d'Aosta; 7 automezzi sono stati messi fuori uso in quanto non più efficienti; infine, a seguito della chiusura dell'istituto di Savona si è provveduto alla riassegnazione in ambito provveditoriale degli automezzi di cui detto Istituto disponeva.
  Con specifico riguardo alla casa circondariale di Torino, l'istituto, allo stato attuale, dispone di 40 automezzi adibiti ai servizi di traduzione, tenuto conto della recente assegnazione di un autobus trasporto detenuti, di nuova acquisizione, e di due autovetture; inoltre è in corso di consegna una ulteriore autovettura allestita per il trasporto di detenute madri con prole, ceduta di recente dalla casa circondariale di Perugia.
  Sulla base di quanto rappresentato emerge la costante attenzione di questo Ministero alle condizioni strutturali e funzionali degli istituti di pena e alle condizioni del personale di polizia penitenziaria, nella piena consapevolezza che un sistema dell'esecuzione penale realmente efficiente passi anche attraverso l'adeguatezza delle strutture detentive e la sostenibilità delle condizioni di lavoro del personale ivi addetto.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ALLASIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   alcune testate di informazione locale, nonché quotidiani nazionali tra cui «La Stampa» del 18 settembre 2016, hanno rilevato come il vestiario e l'equipaggiamento in dotazione al personale di polizia penitenziaria in servizio negli istituti penitenziari del Piemonte e la Valle d'Aosta, risulta, come segnalato dal sindacato di polizia penitenziaria OSAPP (organizzazione sindacale autonoma polizia penitenziaria), gravemente carente, infatti, come segnala il sindacato in parola, il personale di polizia Penitenziaria «... (incontra non poca difficoltà per vestirsi) ... Il problema, si legge nella lettera firmata dal segretario generale del sindacato, Leo Beneduci, (del 16.09.2016) riguarda tutto il territorio nazionale e, in particolare, il Piemonte e la Valle d'Aosta. Il sindacato denuncia infatti “le carenze o addirittura l'assenza di forniture e/o di rinnovi”, si per quanto riguarda le uniformi invernali che quelle estive e gli anfibi. L'invito è a “porre finalmente fine agli inconvenienti segnalati – conclude la lettera – in modo da conformare le attività e i servizi dell'amministrazione alle esigenze della polizia penitenziaria” — stralcio comunicato stampa ANSA del 17 settembre 2016 —»;
   tali gravi carenze di dotazione del vestiario ovviamente non consentono, al personale di polizia penitenziaria, di poter svolgere con diligenza i ruoli e i compiti ad esso affidati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e quali iniziative, anche di natura emergenziale, intenda adottare, in particolare per garantire la necessaria provvista del vestiario e dell'equipaggiamento in dotazione al personale di polizia penitenziaria in servizio negli istituti penitenziari del Piemonte e della Valle d'Aosta. (4-14242)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante segnala la grave carenza di vestiario ed equipaggiamento in dotazione alla polizia penitenziaria in servizio presso gli istituti penitenziari del Piemonte e della Valle d'Aosta, situazione cui è stato dato risalto dai locali organi di informazione a seguito di quanto denunziato dall'OSAPP, il sindacato autonomo della polizia penitenziaria.
  Su tali premesse, chiede dunque di sapere quali iniziative si intendano intraprendere al fine di superare le prospettate criticità.
  Orbene, sulla base degli elementi conoscitivi forniti dal competente dipartimento dell'amministrazione, penitenziaria, si rappresenta quanto segue.
  Nel corso degli ultimi cinque anni, al personale di polizia penitenziaria in servizio presso gli istituti penitenziari del provveditorato regionale per il Piemonte, la Liguria e la Valle d'Aosta, sono stati consegnati complessivamente 100.164 pezzi, tra capi di vestiario ed accessori, rispondenti ai requisiti previsti dai decreti ministeriali 24 gennaio 2002 e 10 dicembre 2014 recanti «Caratteristiche delle uniformi degli appartenenti al Corpo di polizia penitenziaria e i criteri concernenti l'obbligo e le modalità d'uso».
  La predetta articolazione ministeriale ha, altresì, specificato, nell'ambito dello stanziamento complessivo sopra indicato, le quantità consegnate suddivise in base alla tipologia richiamata dall'interrogante, che di seguito si riportano:
   uniformi ordinarie invernali: 5.911 capi;
   uniformi ordinarie estive: 6.490 capi;
   stivaletti operativi (anfibi): 1.115 paia.

  Tanto rappresentato, mi preme segnalare che presto costante attenzione alle condizioni del personale di Polizia penitenziaria, nella piena consapevolezza che un sistema dell'esecuzione penale realmente efficiente passi anche attraverso la sostenibilità delle condizioni di lavoro del predetto personale e il rispetto del decoro del Corpo.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   AMODDIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con la deliberazione n. 60 del 2012 il CIPE stanziava 1 miliardo e 600 milioni di euro per 183 opere urgentissime in reti fognarie e depuratori nel Sud Italia. Di tale somma 1 miliardo e 100 milioni di euro erano stati assegnati alla Sicilia per 93 opere;
   della somma di 1 miliardo e 100 milioni di euro nel mese di febbraio 2015 era stata spesa una quota minima di circa 24 milioni;
   si apprende dalla stampa che nel mese di febbraio 2015 il Presidente del Consiglio Renzi dichiarava: «Ieri ho fatto una riunione sugli impianti di depurazione per la Sicilia: c’è più di un miliardo di euro tecnicamente fermo ed è ingiusto e inaccettabile. Il commissariamento è l'unica strada e ho chiesto di procedere rapidamente senza guardare in faccia nessuno»;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 giugno 2015 trasmesso alla Corte dei Conti il 16 giugno 2015 veniva nominato commissario straordinario Vania Contrafatto per i lavori della depurazione della acque reflue nella regione siciliana e pertanto anche delle opere di depurazione che devono realizzarsi nel comune di Augusta;
   tra i depuratori siciliani quello di Augusta rappresenta una storia infinita; ad oggi il comune di Augusta non ha la depurazione delle acque reflue, pertanto tutto viene scaricato a mare con disastri ambientali notevoli;
   con la delibera n. 93/2015 il CIPE si determinava ad approvare la riprogrammazione delle risorse FSC 2000-2006 e 2007-2013 per un importo complessivo di 901,448 milioni di euro a favore della regione siciliana e 334,619 milioni venivano destinati alla copertura finanziaria del concorso al risanamento della finanza pubblica per il 2015;
   con la delibera n. 94/2015 il CIPE si determinava nell'ambito della programmazione di azione e coesione 2014/2020 di deliberare l'utilizzo delle risorse FSC già programmate dalla regione siciliana, a favore degli interventi così come individuati nell'accordo di programma quadro sulla depurazione delle acque reflue di cui alla delibera n. 60/2012 per un importo di 334,619 milioni di euro;
   nella citata delibera n. 94/2015 è previsto: che la regione avrebbe dovuto presentare al CIPE il programma complementare nella versione definitiva, nel quale dovevano essere definiti nel dettaglio gli obiettivi ed il sistema di indicatori per misurarli; che il dipartimento per le politiche di coesione avrebbe riferito al Comitato sull'attuazione della delibera n. 94/2015;
   da recenti dichiarazioni sulla stampa si apprende che la regione siciliana non avrebbe ancora trasferito i fondi dalla regione nella piena disponibilità del commissario che ha già più volte sollecitato il Governo regionale in tal senso –:
   quale sia lo stato di attuazione degli interventi programmati e quali atti abbia adottato il commissario straordinario Vania Contrafatto per i lavori della depurazione della acque reflue del comune di Augusta;
   se la regione siciliana abbia presentato al CIPE il programma complementare nella versione definitiva, nel quale dovevano essere definiti nel dettaglio gli obiettivi ed il sistema di indicatori per misurarli;
   se siano stati presentati e quali siano i progetti per risolvere il problema della depurazione di Augusta;

se il dipartimento per le politiche di coesione abbia riferito al Comitato sull'attuazione della delibera n. 94/2015.
(4-13378)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  Nel settore del collettamento e della depurazione, con la delibera n. 60 del 30 aprile 2012, il CIPE ha assegnato alle regioni Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna 1.776.000.000 di euro finalizzati alla realizzazione di 183 interventi. Tali interventi hanno rilevanza strategica in quanto, oltre a risolvere situazioni ambientali critiche, consentono all'Italia di uscire dalle procedure di infrazione in materia di trattamento delle acque reflue.
  In particolare, per quanto riguarda la regione siciliana, la predetta delibera ha messo a disposizione risorse per un ammontare complessivo di euro 1.161.020.472,14, per la realizzazione di n. 96 interventi.
  Il 30 gennaio 2013, in attuazione della citata delibera CIPE è stato sottoscritto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dal Ministero dello sviluppo economico, e dalla regione siciliana, l'accordo di programma quadro «Depurazione delle acque reflue», che ha individuato quali soggetti attuatori degli interventi i comuni e in alcuni casi il soggetto al quale è stato affidato il governo del servizio idrico integrato, nonché stabilito un cronoprogramma di realizzazione degli stessi.
  Considerato che per molti interventi si sono riscontrate difficoltà nell'avanzamento delle fasi procedurali di realizzazione, per dare tempestiva esecuzione alle sentenze di condanna della Corte di giustizia europea per violazione della direttiva 91/271/CE, la Presidenza del Consiglio dei ministri, con propria determina ha avviato il procedimento di commissariamento, ai sensi dell'articolo 7, comma 7 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito con legge 11 novembre 2014, n. 164.
  Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 giugno 2015 è stato nominato commissario straordinario per la progettazione, l'affidamento e la realizzazione dei lavori relativi agli interventi da eseguirsi nel comune di Augusta la dottoressa Vania Contrafatto, assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità.
  In merito alle attività commissariale svolta per gli interventi riguardanti il comune di Augusta, sulla base delle informazioni fornite dal commissario straordinario, si rappresenta quanto segue.
  Nello stesso comune sono previsti 12 interventi, il cui costo complessivo, previsto in APQ, è pari ad euro 37.677.047,89, con la copertura finanziaria assicurata per euro 33.034.575,47 a carico della citata delibera CIPE n. 60 del 2012 e per euro 4.642.472,42 a carico del gestore del servizio idrico integrato, la cui concessione è ad oggi scaduta ed è in corso la procedura fallimentare.
  Si è proceduto comunque ad un'analisi istruttoria preliminare sui progetti sopra richiamati verificando anche la distribuzione dei carichi inquinanti rispetto agli agglomerati presenti nel comune di Augusta, al fine di individuare gli interventi direttamente funzionali al superamento dell'infrazione in corso.
  Dalla suddetta analisi è emerso che i 12 interventi sopra richiamati derivano da una frammentazione artificiosa delle opere, oggi non ritenuta razionale, che in realtà dal punto di vista funzionale costituiscono sostanzialmente due interventi:
   A) opere fognarie e depurative a servizio degli agglomerati di Augusta (comprendente il centro abitato, Isola e Borgata, e la zona di Monte Tauro) e di Augusta-Brucoli;
   B) opere fognarie e depurative a servizio dell'agglomerato Augusta-Agnone.

  Inoltre, fra le opere di cui al punto A) sono distinguibili le opere che realizzano l'intercettazione degli scarichi a mare attuali del centro Isola e Borgata, l'adduzione degli stessi al depuratore di punta Cugno, e il relativo potenziamento (blocco A.1) e le opere che realizzano la fognatura ed il collettamento delle acque reflue provenienti dalle zone meno densamente abitate di Monte Tauro e turistiche di Brucoli, verso il depuratore di Punta Cugno (blocco A.2).
  Il blocco degli interventi A.1 si configura come quello che principalmente contribuisce al conseguimento dell'obiettivo sopra declinato ma la sua funzionalità è condizionata da manufatti previsti all'interno di un precedente appalto, gestito dal comune di Augusta con finanziamento regionale e comunale che, o non sono stati mai realizzati (stazione di sollevamento P0), ovvero sono stati realizzati in parte e presentano forti criticità in merito alla possibile utilizzabilità (collettore emissario da P0 all'impianto di Punta Cugno), ovvero sono stati realizzati e successivamente vandalizzati (impianto di Punta Cugno).
  A tal riguardo, nel dicembre 2015 il dipartimento ambiente della Regione siciliana ha comunicato al commissario straordinario che parte delle opere depurative e fognarie finanziate dallo stesso ente al comune di Augusta ed oggetto del suddetto appalto sono state dichiarate non collaudabili.
  Gli altri interventi (blocco A.2 e B), oltre a fornire un contributo minore all'obiettivo di intercettazione e depurazione di reflui, presentano parametri di costo elevato anche in ottica gestionale e, comunque, devono essere meglio coordinati con le scelte urbanistiche del comune di Augusta in quanto interessano aree a forte presenza di edifici non in regola dal punto di vista urbanistico.
  Gli esiti dell'analisi istruttoria effettuata sono stati formalizzati nel «documento di programmazione generale degli interventi di Augusta» (DdPG), sottoposto all'esame dell'unità tecnica specialistica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, prendendo atto della criticità finanziaria evidenziata, ulteriormente aggravata da quanto comunicato dal dipartimento ambiente della regione siciliana circa le opere dichiarate non collaudabili, ha ritenuto prioritario l'intervento strettamente funzionale al superamento della procedura di infrazione in corso ed ha condiviso la necessità di redigere un progetto generale degli interventi funzionali al superamento delle criticità del sistema fognario e depurativo del comune di Augusta in modo da avere un quadro complessivo dei fabbisogni finanziari.
  Sulla scorta di quanto evidenziato la struttura tecnica di supporto al commissario ha redatto un «progetto generale» degli interventi funzionali al superamento delle criticità del sistema fognario e depurativo del comune di Augusta determinando, per il solo intervento strettamente funzionale al superamento della procedura di infrazione in corso, che corrisponde agli interventi identificati dai codici ID. 33344, 33490, 33491, 33533, 33534, 33535, 33536, 33537, 33540, un fabbisogno finanziario pari a euro 47.000.000,00; inoltre viene confermato il fabbisogno finanziario individuato con gli interventi previsti nell'APQ per gli agglomerati di Augusta-Agnone, (identificati dai codici ID. 33538, 33539) e Augusta-Brucoli (identificato con l'intervento ID. 33532).
  Sulla base dei dati forniti dalla segreteria tecnica istituita per dare supporto alle attività del commissario straordinario, si fa presente che la stessa ha avviato le attività per redigere il progetto di fattibilità tecnico- economica (preliminare) degli interventi; ha svolto la ricognizione sul territorio ed ha definito un piano di indagini e verifiche di stato di consistenza, videoispezione e prove idrauliche su condotte esistenti, propedeutiche alla progettazione preliminare. Si procederà quindi, con apposita gara, all'affidamento dei servizi per attuare il suddetto piano, i cui esiti consentiranno di redigere il progetto preliminare che si prevede di portare in conferenza di servizi (anche in relazione alla presenza di opere all'interno del SIN di Priolo) entro il mese di marzo 2017.
  Successivamente, si potrà procederà a bandire le gare per l'acquisizione dei servizi di progettazione per conseguire il livello «definitivo/esecutivo» al fine di procedere, secondo quanto previsto dal nuovo codice degli appalti (decreto legislativo n. 50 del 2016), alla gara per l'appalto dei lavori sulla base della progettazione esecutiva.
  Si prevede di affidare i servizi di progettazione esecutiva entro il mese di giugno 2017, di giungere all'approvazione del progetto esecutivo entro il mese di ottobre 2017 e di potere affidare i lavori entro il mese di febbraio 2018, con ultimazione nell'aprile del 2019.
  Per il raggiungimento della conformità dell'agglomerato, stante la realizzazione degli interventi prioritari, la data presunta, è luglio 2019.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi elementi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle considerazioni suesposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nonché un'azione di sollecito nei confronti dei competenti soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ARTINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   ormai da quattro anni è in essere una lunga trafila legale (RG 3736/2010 tribunale di Firenze) tra due genitori della provincia di Firenze che rappresenta un caso emblematico in materia di separazione dei genitori e affidamento dei figli;
   con ordinanza del 5 luglio 2010 il presidente disponeva l'affidamento condiviso della figlia con domiciliazione presso la madre e possibilità per il padre di vedere e tenere con sé la figlia a giorni prestabiliti;
   all'udienza del 31 gennaio 2012 a seguito della richiesta, presentata dal padre, di modifica del provvedimento presidenziale veniva chiamato il consulente tecnico d'ufficio a rispondere se vi era la possibilità di ampliamento del diritto di visita del padre. Successivamente a tale udienza, il padre fece nuovamente ricorso al giudice mediante la preservazione di un ricorso ex articolo 709-ter, in quando la madre avrebbe impedito il diritto di visita;
   il giudice all'udienza del 17 luglio 2012 recepiva le indicazioni della consulente tecnico d'ufficio confermando pertanto l'affidamento condiviso con regolamentazione dei rapporti secondo lo schema del consulente tecnico d'ufficio senza limitazione per quanto riguarda il tempo trascorso con il padre, in relazione alla presenza dei membri della nuova famiglia, respingendo allo stato le ulteriori richieste e riservandosi sulla richiesta di mediazione e monitoraggio;
   con comparsa di costituzione di nuovo difensore depositata all'udienza del 20 novembre 2012 si costituiva la madre con un terzo avvocato, chiedendo che venissero aumentati i tempi di permanenza della figlia presso la madre, che venisse disposto un supporto psicoterapico della minore, che venisse confermata la mediazione presso il centro di mediazione di Firenze della ASL di Firenze;
   con provvedimento del 23 gennaio 2013 il giudice onorario di Tribunale rigettava le richieste di entrambe le parti;
   successivamente si sono susseguiti i ricorsi delle parti. La madre depositava istanza in via d'urgenza chiedendo la temporanea sospensione delle frequentazione padre-figlia, producendo un certificato medico nel quale la minore dichiarava di essere stata picchiata dal padre. In seguito a tale istanza venivano disposti gli incontri protetti padre-figlia e disposta una nuova consulenza tecnica d'ufficio per accertare la capacità genitoriale dei genitori;
   la consulente tecnica d'ufficio del 9 aprile 2014 ha proposto l'affidamento esclusivo della bambina al padre con domiciliazione presso di lui regolamentando il diritto di visita della madre;
   al contempo, sulla vicenda, dei presunti maltrattamenti veniva aperto un procedimento penale;
   il 26 maggio 2014 il giudice scioglie la riserva, rigetta la domanda di integrazione della consulente tecnica d'ufficio, e anche in relazione alla pendenza di indagine penale, invita il pubblico ministero, nella qualità di parte nel processo civile, a produrre urgentemente gli atti del procedimento penale pendente nei confronti del padre, ove non coperti dal segreto istruttorio e comunque a comunicare l'ipotesi di reato di cui all'iscrizione al RGNR. Fissa l'udienza del 5 giugno per il contraddittorio in relazione sulla documentazione eventualmente prodotta dal pubblico ministero. Contemporaneamente dispone sulla conduzione degli incontri padre-figlia con una parziale compresenza della madre;
   il 9 giugno 2014 il pubblico ministero partecipa personalmente in udienza. La pubblico ministero riferisce le varie reciproche denunce e lo stato dei procedimenti, quanto a quella in corso contro il padre sorto da dichiarazioni rese dalla bambina, alla presenza della madre, con sanitari, dichiara che sono state sentite persone informate sui fatti;
   il pubblico ministero chiede che sia ripetuta la consulenza tecnica e si oppone all'affidamento esclusivo al padre per l'indagine in corso contro di lui per maltrattamenti verso la figlia;
   in quella sede il pubblico ministero anticipa che è sua intenzione procedere all'audizione assistita della figlia nell'ambito del procedimento penale, e chiede che il giudice civile impartisca gli opportuni provvedimenti affinché sia preservata la situazione attuale ai fini di permettere l'audizione (...) in ambito penale al fine garantirle maggiore serenità fino al compimento dell'atto istruttorio penale;
   l'ultima ordinanza rinvia sine die la decisione di merito, in attesa dell'esito penale nei confronti del padre. L'indagine penale ancora pendente, di fatto, inibisce la decisione del giudice civile nonostante il lungo iter legale –:
   quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per una piena applicazione della legge n. 54 del 2006 a tutela dei diritti dei figli;
   se intenda assumere iniziative normative per evitare l'intreccio che, di fatto, può venirsi a creare tra indagine penale e procedimento civile in corso, con uno slittamento ingiustificato dei tempi;
   se reputi opportuno intervenire, anche con gli strumenti normativi, per evitare che tali conflitti si verifichino in altri procedimenti analoghi in corso, con gravi ripercussioni sui diritti e sulla qualità di vita dei minori. (4-06394)

  Risposta. — L'atto ispettivo in esame, operato riferimento ad un procedimento di separazione tra coniugi, intrapreso presso il tribunale di Firenze nel 2010, e rilevato che esso rappresenta un emblematico esempio dei tempi necessari per ottenere la sentenza di separazione e i correlati provvedimenti inerenti l'affidamento dei figli, nonché, in generale, della complessità di tali procedimenti, su cui possono innestarsi procedimenti penali conseguenti alle reciproche querele sporte da coniugi in condizione di grave conflittualità, chiede al Ministro della giustizia come intenda favorire la piena applicazione della legge n. 54 del 2006 e se intenda assumere iniziative normative, atte ad evitare l'intreccio tra indagini penali e procedimenti di separazione, tale da ostacolare la conclusione di quest'ultimo.
  Dalle informazioni assunte presso il tribunale di Firenze, non risulta, come ha osservato la competente articolazione ministeriale, alcuno «slittamento ingiustificato dei tempi» di definizione del procedimento civile derivante da un «intreccio» tra indagine penale e lo stesso procedimento civile, né vi è stata una mancata applicazione della legge n. 54 del 2006 a tutela dei figli.
  Infatti, a partire dall'apertura del procedimento penale per presunti maltrattamenti da parte del padre nei confronti della minore, avvenuta nel marzo 2013 (allorquando la madre trasmise certificato medico relativo a lesioni subite dalla minore), il tribunale di Firenze ha disposto in via cautelativa incontri protetti tra padre e figlia, attivato un supporto psicologico per la minore e disposto una consulenza tecnica d'ufficio, al fine di accertare la capacità genitoriale sia del padre che della madre, il disagio della minore e di valutare quale fosse il miglior regime di affidamento della medesima.
  Dal marzo 2014 sono stati disposti incontri padre-figlia liberi, con delega ai servizi sociali di organizzarli logisticamente e di strutturarli in relazione alle reazioni contingenti della bambina nonché per evitare contatti diretti tra i due genitori, tra cui il conflitto è risultato essere «elevatissimo» (invero, vi erano numerosi procedimenti penali iscritti a seguito di querele depositate dal marito contro la moglie, che poi risultano essere stati archiviati, ed altri iscritti a carico del marito).
  Quindi, con ordinanza del 25 giugno 2014, in considerazione del permanere dei disagi manifestati dalla bambina, il Tribunale ha ritenuto opportuno lavorare sulla coppia genitoriale, al fine di rassicurare indirettamente la minore e garantirle un accesso equilibrato ad entrambi i genitori, evitando che la bambina subisse ulteriori ed irreversibili traumi.
  In sostanza, come afferma la competente articolazione ministeriale, non è risultato esservi nessun rinvio sine die di una decisione di merito, essendo state invece tenute ben nove udienze, nel corso delle quali, anche alla luce della coesistenza di un'indagine penale pendente, sono stati presi tutti i provvedimenti, esclusivamente mirati a rispondere alle esigenze del minore e ad ascoltare i suoi disagi, in relazione al suo interesse ed alla sua tutela.
  Deve, al riguardo, ribadirsi il principio di non ingerenza dell'amministrazione nella attività giurisdizionale di pratica e quotidiana applicazione della legge vigente.
  Più in generale, l'interrogazione in oggetto tocca il tema dell'individuazione, in concreto, di modalità di affido che garantiscano al minore la bigenitorialità ma, nel contempo, ne rispettino le esigenze, perché la crescita del minore in un ambiente sereno ed affettivamente equilibrato è lo scopo principale perseguito.
  Se è certo che due persone rimangono «genitori» anche quando non più «coniugi», è altrettanto sicuro che già la circostanza che la famiglia si divida toglie al minore qualcosa (se non altro, la quotidianità della convivenza con entrambi), sicché lo sforzo deve essere quello di «ridurre» al minimo il «qualcosa» che gli si toglie. L'obiettivo è dunque di cercare, quanto più possibile, di assicurare la presenza di entrambi i genitori nel percorso di crescita e sviluppo del minore, sempre però nel rispetto delle esigenze del minore stesso.
  Come è noto, la legge 8 febbraio 2006, n. 54 ha introdotto l'istituto dell'affidamento condiviso dei figli in caso di separazione dei coniugi, modificando il testo dell'originario articolo 155 del codice civile ed introducendo gli articoli da 155-bis a 155-sexies.
  Successivamente, il decreto legislativo 28 dicembre 2013, n. 154, ha abrogato tali ultime norme e modificato nuovamente il disposto dell'articolo 155, il quale oggi si limita a rinviare, per l'affidamento dei figli in caso di separazione, agli articoli 337-bis e seguenti del codice civile.
  Tali norme affermano, fra l'altro, il diritto del minore a mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascun genitore, ricevendo cura ed educazione da entrambi, dovendo il giudice valutare prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori e potendo decidere per l'affido esclusivo ad uno solo dei genitori, ma, in ogni caso, assumendo ogni decisione «con esclusivo riferimento all'interesse morale e materiale della prole».
  Più in generale, voglio ricordare – a proposito di tempi dei procedimenti di scioglimento del matrimonio ed interesse dei minori coinvolti – che con legge 6 maggio 2015, n. 55 (cosiddetto divorzio breve) il legislatore ha previsto che la proposizione della domanda di scioglimento del matrimonio può avvenire dopo una separazione protrattasi non più per tre anni, ma solo per un anno, e di sei mesi nel caso di separazione consensuale, anche per tenere conto dell'interesse primario dei minori alla stabilizzazione della loro situazione.
  Desidero, altresì, rammentare che ho presentato, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, il disegno di legge n. 2953 di Delega al Governo recante disposizioni per l'efficienza del processo civile, approvato dalla Camera dei deputati il 10 marzo 2016 e trasmesso al Senato della Repubblica, ove si trova ad oggi all'esame della commissione giustizia in sede referente.
  Con tale atto, il Governo viene delegato ad adottare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore della legge, un decreto legislativo che istituisca il «tribunale della famiglia e della persona», mediante sezioni circondariali e distrettuali specializzate per la persona, la famiglia e i minori. Esse dovranno svolgere le loro attività in ambienti e locali separati, adeguati ai minori di età e alla natura dei procedimenti, con magistrati assegnati in via esclusiva e tenuti, altresì, a partecipare annualmente a specifiche attività di formazione, «aventi come obiettivo l'acquisizione di conoscenze giuridiche e di conoscenze extragiuridiche propedeutiche al migliore esercizio delle funzioni di giudice e di pubblico ministero della famiglia e dei minori, di buone prassi di gestione dei procedimenti e di buone prassi per l'ascolto del minore».
  Tutto ciò, come recita la delega, anche per «assicurare il rispetto delle convenzioni internazionali in materia di protezione dell'infanzia e delle linee guida del Consiglio d'Europa in materia di giustizia a misura di minore».
  Mi preme, in conclusione, rassicurare l'interrogante che il tema proposto, in ragione della sua delicatezza e rilevanza sociale, è alla costante attenzione del mio Dicastero.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa si apprende che la «Mustafa Kan», nave cargo da 7 mila tonnellate e lunga 136 metri, battente bandiera panamense, è affondata 24 miglia al largo della costa di Avola;
   l'imbarcazione diretta in Marocco trasportava fosfato di ammonio, utilizzato come fertilizzante, che rischia lo sversamento in mare. Gli uomini della capitaneria di Siracusa, coadiuvati da tre mezzi della flotta «Castalia» inviati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sono al lavoro per limitare i danni;
   le autorità coinvolte fanno sapere che risulta impossibile il recupero dei fusti di fosfato di ammonio ed altri materiali inquinanti essendo la nave capovolta;
   la Mustafa Kan è semi sommersa in un fondale profondo 2mila metri al largo del porto di Avola e, soprattutto, dell'area marina protetta del Plemmirio, una delle riserve naturali più importanti della Sicilia;
   il fosfato di ammonio è un composto utilizzato come fertilizzante che, in eccessive quantità, dà luogo ad un inquinamento acquatico da fosfati, causando l'eutrofizzazione delle alghe –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di intervenire con la massima urgenza per predispone un piano per la messa in sicurezza della nave e la bonifica del sito interessato, al fine di evitare che un eventuale sversamento possa provocare un enorme danno all'ecosistema;
   se sia già stato individuato chi sosterrà i costi di recupero e bonifica.
(4-14405)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  L'atto di sindacato ispettivo concerne la «Mustafa Kan», nave cargo da 7 mila tonnellate e lunga 136 metri, battente bandiera panamense con equipaggio prevalentemente turco, affondata 24 miglia al largo della costa di Avola, in provincia di Siracusa.
  Come rappresentato dall'interrogante, l'imbarcazione era diretta in Marocco e trasportava fosfato di ammonio. In seguito all'incidente, si è configurato il grave rischio di sversamento di tale sostanza in mare, al largo della costa siracusana. In particolare, il fosfato di ammonio è un composto utilizzato come fertilizzante che, in eccessive quantità, dà luogo ad un inquinamento acquatico da fosfati, causando l'eutrofizzazione delle alghe.
  Gli uomini della capitaneria di Siracusa, coadiuvati da tre mezzi della flotta «Castalia» inviati dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si sono prontamente attivati per limitare i danni.
  Successivamente, la nave Mustafà Kan è stata agganciata da un rimorchiatore battente bandiera greca noleggiato dall'assicuratore, viaggiando in direzione sud-est al di fuori delle acque territoriali italiane.
  È stato così scongiurato, con il lavoro di squadra delle strutture del Ministero coadiuvate dal reparto ambientale marino, del comando generale delle capitanerie di porto e delle autorità marittime di Siracusa e Catania, il rischio che la motonave alla deriva potesse avvicinarsi alle coste italiane e in particolare alle vicine aree marine protette del Plemmirio e delle Isole Ciclopi.
  La Mustafà Kan, trainata dal rimorchiatore, si è dunque allontanata dalle coste italiane navigando a una velocità estremamente ridotta, sotto la costante vigilanza delle unità navali della capitaneria di porto di Catania e dei mezzi della flotta nazionale anti-inquinamento, che fin dalle prime ore successive al sinistro il Ministero dell'ambiente ha fatto convergere sul posto per fronteggiare ogni potenziale rischio di inquinamento.
  Dalle attività di monitoraggio delle acque fin qui svolte non risultano fuoriuscite di prodotti inquinanti, ma continue verifiche saranno effettuate attraverso il sorvolo delle aree interessate dal tragitto della motonave nonché dalle ricognizioni satellitari già attivate.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato, anche attraverso gli altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FRANCO BORDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 14 settembre 2013 il, tribunale di Cremona ha incorporato tutte le funzioni e le competenze facenti capo al tribunale di Crema soppresso a seguito della riforma delle circoscrizioni dei tribunali, con un sostanziale raddoppio del carico di lavoro da parte del tribunale e della procura di Cremona;
   il Governo, in sede di approvazione di tale riforma, non ha accolto la richiesta, proveniente da sindaci, parlamentari, avvocati e cittadini del territorio cremasco, di almeno concedere i due anni di proroga per l'attuazione di tale accorpamento;
   nel luglio 2014 il presidente del tribunale di Cremona, Ines Marini, aveva segnalato la significativa quantità di richieste di trasferimento presso altre sedi, presentate al Ministero della giustizia, da parte dei dipendenti della sede giudiziaria di Cremona, rendendo noto il pericolo di una notevole diminuzione del personale in un incontro con il sindaco di Cremona e con il Sottosegretario alle riforme Luciano Pizzetti;
   da quanto emerso sulla stampa locale, in data 11 novembre 2014 è stato reso noto che sono state approvate dal Ministero della giustizia le domande di trasferimento chieste dal personale amministrativo del tribunale di Cremona presso altre sedi;
   le domande approvate riguardano un totale di 14 dipendenti, 10 presso il tribunale e 4 presso la procura;
   dei 10 dipendenti del tribunale, 5 costituiscono tutto lo «staff» dell'ufficio gip/gup, che quindi, se questi trasferimenti saranno effettuati, si ritroverebbe totalmente privo di tali figure indispensabili per il funzionamento. Un ufficio, quello del gip/gup, gestito da due soli magistrati, che non è mai stato rafforzato come organico neppure in seguito all'accorpamento, pur trovandosi con un carico di lavoro più che raddoppiato;
   l'allarme è rilanciato, sempre a mezzo stampa, dal procuratore Roberto Di Martino che denuncia come il rischio di paralisi non investa solo il tribunale, ma anche la procura, che già da tempo lamenta carenze di organico, che rischiano di essere ulteriormente amplificate da questi trasferimenti, che faranno sì che da gennaio con l'arrivo di due nuovi magistrati, la procura si troverà con soli tre assistenti su sei per i magistrati;
   questo massiccio trasferimento di organico presso altre sedi giudiziarie rischia di avere un effetto paralizzante sull'efficienza e sulla capacità di funzionamento del tribunale di Cremona, che già si trova in una delicata fase riorganizzativa a seguito delle complicazioni logistiche in termini di uffici, personale e carico di lavoro a seguito dell'acquisizione della competenza dell'ex tribunale di Crema –:
   quali misure urgenti di competenza il Ministro intenda porre in essere per ovviare ai rischi sovra descritti e garantire il regolare funzionamento della giustizia nel territorio della provincia di Cremona e il corretto funzionamento del tribunale di Cremona. (4-06880)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante prospetta – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – criticità del tribunale di Cremona, derivanti dall'inadeguata dotazione di personale, di magistratura ed amministrativo.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali uffici unici notificazione, esecuzioni e protesti;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 novembre 2016 – il reclutamento a tempo indeterminato di 1.000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di Fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari lombardi.
  Allo stato, risulta che presso il tribunale di Cremona prestano servizio 22 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 31 risorse umane.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 29,03 per cento superiore alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del Ccnl del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Le iniziative sulla mobilità sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  Per quanto riguarda il personale di magistratura, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al tribunale di Cremona è stato assegnato un posto di giudice ed alla Procura della Repubblica quattro posti di sostituto, in aumento della dotazione prevista.
  Nel distretto di Brescia risultano assegnate, complessivamente, diciotto unità aggiuntive di magistrati giudicanti e sette requirenti.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Il 20 ottobre 2016 è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di marzo 2015, la concentrazione media globale di anidride carbonica nell'atmosfera ha raggiunto il livello record di 400 parti per milione;
   secondo gli scienziati del NOAA, «l'agenzia federale statunitense» che ha rilevato il dato, il fatto rappresenta una tappa fondamentale rispetto ai cambiamenti climatici, per i quali è stata fissata la soglia di sicurezza di 350 pmm.;
   la soglia dei 400 pmm di CO2 era già stata superata in alcune aree del mondo sia nel 2012 che nel 2013, ma si tratta della prima volta che tale concentrazione di gas serra viene registrata a livello globale;
   secondo Pieter Tans, scienziato di punta del Global Greenhouse Gas del NOAA, il dato conferma il fatto che le alte concentrazioni di anidride carbonica sono dovute ai combustibili fossili bruciati dall'uomo a partire dalla metà del 1980;
   la relazione di sintesi del V Rapporto dell'Ipcc (Intergovernmental panel on climatechange) su clima e pianeta pone l'urgenza di adottare misure che contengano le emissioni di gas serra a livello globale;
   gli scienziati dell'Ipcc sono convinti che l'unico mezzo per limitare a 2°C l'aumento medio delle temperature è di ridurre a zero l'utilizzo delle risorse fossili entro il 2100, dimezzandolo entro il 2050;
   il rapporto stima la presenza di gas serra in atmosfera come la più alta degli ultimi 800.000 anni, con incremento della produzione e della velocità di produzione degli stessi negli ultimi 30 anni a livelli non più compatibili con la mitigazione e l'adattamento ai nuovi effetti;
   l'azione umana è considerata la causa principale dei cambiamenti climatici, con un margine di certezza altissimo stimato al 95 per cento secondo i calcoli dell'IPCC;
   l'attuale EXPO di Milano è una vetrina mondiale sul tema del cibo strettamente correlata ai cambiamenti climatici e alla capacità di produzione alimentare per ogni uomo del pianeta Terra;
   se non vi saranno adatti provvedimenti con i livelli di produzione inquinante non modificati, si stima che la temperatura media globale si innalzerà di almeno 5°C;
   nell'anno 2015 vi saranno importanti incontri internazionali a Lima e a Parigi, dove si dovrà trovare un punto di incontro tra Paesi emergenti, Paesi in via di sviluppo e industrializzati, per evitare una vera e propria tragedia collettiva e che metterebbe a serio rischio la salute e la capacità di produzione agro-alimentare dell'intero pianeta –:
   quali siano le misure che l'Italia intende adottare per abbandonare gradualmente ma in modo determinato e programmato, le fonti di energia fossili;
   quali sia la posizione che l'Italia assumerà negli incontri internazionali dei prossimi mesi sul tema;
   se il Ministro non ritenga di dover fornire ogni elemento utile sul rapporto Ipcc e adottare ulteriori strumenti perché le informazioni diventino patrimonio comune e vi sia una diffusione adeguata delle stesse nel Paese. (4-09637)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'inquinamento atmosferico globale dovuto ai combustibili fossili e alle fonti di energia rinnovabili, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha attivato diverse misure per ridurre le emissioni connesse all'impiego delle fonti energetiche fossili. Tali misure interessano principalmente tre aree di intervento: l'efficienza energetica, le fonti rinnovabili e la mobilità sostenibile.
  Per quanto concerne l'efficienza energetica, di concerto con il Ministero dello sviluppo economico, sono stati stabiliti nuovi requisiti minimi da rispettare per la prestazione energetica degli edifici di nuova costruzione. A partire dal 2021, nel settore privato, si potranno costruire solo immobili ad «energia quasi zero». Per gli edifici pubblici tale vincolo sarà in vigore già a partire dal 1o gennaio 2019.
  Restando nel comparto degli edifici, sono stati attivati nuovi strumenti e ne sono stati potenziati altri che erano già operativi. In particolare, con il recepimento della Direttiva 27/2012 da qui al 2020, ogni anno, dovrà essere ristrutturato almeno il 3 per cento della superficie coperta utile degli edifici di proprietà della pubblica amministrazione centrale e da essa occupati. La superficie soggetta ad obbligo di ristrutturazione è pari a circa 14 milioni di metri quadrati cui corrisponde un obbiettivo di circa 2,5 milioni di metri quadrati da riqualificare entro il 2020. Sinora i progetti finanziabili ammontano a circa 70 milioni di euro, di cui 21,5 stanziati direttamente dal Ministero dell'ambiente.
  Inoltre, è stato rivisto il conto termico, meccanismo introdotto alla fine del 2012 con decreto del Ministero dello sviluppo economico, di concerto con il Ministero dell'ambiente ed il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e che incentiva l'efficienza energetica negli edifici pubblici anche degli enti locali (ad esempio, isolamento termico, finestre, caldaie a condensazione).
  La spesa massima totale prevista è di 200 milioni di euro/anno. Sinora il conto è stato tuttavia poco «sfruttato»: ha finanziato interventi per appena il 3 per cento dei fondi disponibili.
  Al fine di rendere più efficace lo strumento, è stato predisposto il decreto interministeriale del 16 febbraio 2016 che introduce alcune semplificazioni delle procedure di accesso ed erogazione dei finanziamenti, un ampliamento degli interventi ammessi, una rimodulazione degli incentivi riconosciuti.
  Ad ulteriore sostegno, è stato riattivato il fondo rotativo di Kyoto per l'erogazione di finanziamenti a tasso agevolato per la riqualificazione energetica degli edifici scolastici e delle università.
  Con il primo bando, aperto tra giugno e settembre 2015, sono pervenute domande di interventi per un importo complessivo di circa 100 milioni. Le risorse residue disponibili, pari a circa 250 milioni di euro, sono state riprogrammate per le medesime finalità di efficienza delle scuole (il secondo bando è rimasto aperto fino a ottobre 2016).
  Questi strumenti per il comparto pubblico, come noto, si sono aggiunti all'estensione, a tutto il 2016, delle detrazioni fiscali del 65 per cento per chi migliora l'efficienza energetica degli edifici privati (legge di stabilità 2016).
  Infine, uscendo dalla riqualificazione energetica degli edifici, si segnala il meccanismo dei certificati bianchi che in prospettiva avrà un impatto significativo sui risparmi energetici del comparto industriale.
  In materia di fonti rinnovabili di energia, fermo restando che oggi copriamo una quota di consumi finali superiore al 17 per cento (in linea con l'obbiettivo da centrare al 2020), deve essere gestito un passaggio complesso.
  Infatti, nel settore delle FER, è in atto un cambiamento «economico-culturale» nel quale le rinnovabili dismettono i panni di «beneficiari di supporto pubblico» ed entrano a pieno titolo nel mercato, in competizione tra loro e con le altre modalità di produzione dell'energia.
  Il punto è come gestire il cambiamento in atto centrando gli obiettivi ambientali di medio-lungo periodo e difendendo un settore prezioso, con un elevato potenziale produttivo e occupazionale. In tale direzione è stato recentemente varato un decreto che, seppure per un periodo di tempo limitato, accompagna il settore garantendo ancora una incentivazione diretta alle fonti diverse dal fotovoltaico. È prevista la realizzazione di nuovi impianti per una potenza complessiva di 1370 megawatt cui corrisponde un impegno finanziario di circa 435 milioni di euro/anno.
  In prospettiva, devono essere definiti strategie e obbiettivi precisi.
  Ad esempio, per difendere la generazione diffusa e sostenere l'auto consumo da fonti rinnovabili di energia, esistono diversi strumenti quali lo scambio sul posto, un meccanismo recentemente potenziato con l'innalzamento del limite di accesso da 200 a 500 kilowatt (con il decreto-legge n. 91 del 2014); gli incentivi fiscali per chi installa un piccolo impianto fotovoltaico. La legge di stabilità prevede, infatti, che gli investimenti per impianti fino a 20 kilowatt di potenza possono continuare a beneficiare anche per il 2016 delle detrazioni fiscali IRPEF del 50 per cento.
  Per facilitare l'evoluzione tecnologica delle strutture esistenti, è necessario mettere in condizione gli impianti di orientarsi verso nuovi obbiettivi. A fronte di risorse pubbliche scarse risulta essenziale favorire l'evoluzione verso tecnologie più avanzate e suscettibili di un utilizzo più efficiente: un caso paradigmatico è quello della trasformazione del biogas in biometano (utilizzato anche nei trasporti).
  Al fine di sostenere l'innovazione, l'esaurimento progressivo degli schemi incentivanti non deve travolgere le nuove tecnologie e/o i segmenti nei quali esiste una prospettiva di consolidamento di una filiera nazionale ad elevato potenziale di valore aggiunto. Può essere il caso delle soluzioni innovative per la geotermia oppure delle soluzioni architettoniche avanzate per l'integrazione delle rinnovabili negli edifici.
  In tema di mobilità sostenibile, il Ministero è impegnato da anni nella diffusione e promozione di politiche, a livello locale, anche con specifici programmi di co-finanziamento nazionali a favore degli enti locali, volte alla realizzazione di azioni che riducano gli impatti ambientali, sociali e economici legati al settore dei trasporti e favoriscano modalità di spostamento alternative all'autovettura privata, quali il trasporto collettivo e i servizi ad esso integrativi come la mobilità condivisa (cosiddetta
sharing mobility).
  In particolare il programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro istituito
ex articolo 5 della Legge 28 dicembre 2015, n. 221 «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali», è volto al finanziamento di progetti predisposti da uno o più enti locali e riferiti a un ambito territoriale con popolazione superiore a 100.000 abitanti, diretti a incentivare iniziative di mobilità sostenibile. Per il finanziamento del programma è stata stanziata sul bilancio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una somma di 35 milioni di euro, a valere sui proventi delle aste ETS finalizzati alla riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra.
  Il programma è definito con decreto del Ministro dell'ambiente, sentiti il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, previa acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia.
  È stato firmato il 20 luglio 2016 il decreto ministeriale che definisce il programma e le modalità e i criteri per la presentazione dei progetti. Il decreto, registrato dalla Corte dei Conti, è stato pubblicato con un avviso in
Gazzetta Ufficiale serie generale n. 239 del 12 ottobre 2016.
  Inoltre, il 30 dicembre 2015, è stato sottoscritto un protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Conferenza delle regioni e province autonome e l'associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
  Il protocollo prevede l'attuazione di misure di urgenza che saranno attivate in caso di superamento per più di 7 giorni consecutivi dei valori limiti giornalieri delle concentrazioni di PM10, quali: l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 km/h nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Nel protocollo, inoltre, le parti si sono impegnate a promuovere ulteriori misure tra cui il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni (rinnovando il parco mezzi), misure di sostegno e sussidio finanziario per l'utenza del trasporto pubblico come, ad esempio, l'offerta di abbonamenti integrati treno/bus/metro/bike o
car sharing, sosta gratuita nei nodi di scambio extraurbani, corsie preferenziali per il trasporto pubblico e aree di totale pedonalizzazione.
  In attuazione del protocollo, il Ministero ha riservato una quota di 6 milioni di euro a valere sulle risorse derivanti dai proventi delle aste del sistema emission trading system (ETS) in attuazione dell'articolo 19 comma 6 del decreto legislativo 13 marzo 2013, n. 30 per il finanziamento di interventi di mobilità sostenibile ed efficienza energetica nelle città di Bologna, Roma, Milano e Torino. Con i comuni di Roma e Bologna sono stati siglati i rispettivi accordi di programma mentre sono in corso di perfezionamento gli accordi relativi alle città di Milano e Torino.
  Si rappresenta, infine, che, com’è noto, il 12 dicembre 2015 la COP21 ha adottato un accordo globale vincolante (l'accordo di Parigi) per la riduzione delle emissioni sulla base di obiettivi determinati e scadenzati di lungo termine, ispirati dalle valutazioni scientifiche del comitato intergovernativo per i cambiamenti climatici (IPCC). In linea con tali valutazioni e al fine di avviare la decarbonizzazione delle economie, l'accordo di Parigi prescrive quale obiettivo globale il mantenimento della temperatura ben al di sotto dei 2oC e il perseguimento degli sforzi necessari per limitare la temperatura a 1.5oC. Nello specifico, l'accordo stabilisce la necessità di raggiungere il picco delle emissioni il prima possibile e avviare successivamente rapide riduzioni delle stesse, in modo da raggiungere un equilibrio tra emissioni e assorbimenti entro la seconda parte del secolo. A tal proposito, si invita l'IPCC a predisporre un rapporto speciale sugli impatti del riscaldamento globale di 1.5oC entro il 2018, in modo da essere preso in considerazione nell'ambito di un dialogo facilitativo per fare stato degli sforzi collettivi messi in campo dai governi per raggiungere gli obiettivi di lungo termine definiti nell'accordo. Il dialogo, previsto nel 2018, rappresenterà il precedente del cosiddetto
Global Stocktake che a partire dal 2023 valuterà ogni 5 anni i progressi collettivi nel percorso di raggiungimento degli obiettivi di lungo termine dell'accordo di Parigi. I rapporti dell'IPCC sono pubblici e accessibili dal sito dello stesso IPCC. Al fine di aumentarne la divulgazione, il Centro euro mediterraneo per i cambiamenti climatici che lavora a stretto contatto con il Ministero dell'ambiente sul tema e di cui ne costituisce il Focal Point, alla pubblicazione di ogni rapporto ha preparato delle sintesi sui punti salienti dei rapporti in italiano, per la stampa, rinvenibili sul sito del CMCC, come segue: WG1 http://www.cmcc.it/it/articolo/comunicazione-i-195-paesi-membri-dellipcc-hanno-approvato-il-nuovo-rapporto-sulle-basi-fisiche-dei-cambiamenti-climatici; WG2 http://www.cmcc.it/it/politica-climatica/ipcc-ar5-working-group-ii; WG3 http://www.cmcc.it/it/scienza-della-comunicazione-climatica/ipcc-ar5-wg-iii.
  Inoltre, la sintesi del primo report è stata tradotta in italiano, ed è rinvenibile sempre sul sito dell'IPCC. Infine, sempre in collaborazione con il CMCC sono stati predisposti una lunga serie di video su tutti e 3 i rapporti spiegati dagli autori, rinvenibili nel seguente sito: http://clima2014.it/.
  Il nuovo regime adottato a Parigi, pur confermando il ruolo guida dei Paesi industrializzati, con diverse sfumature a seconda se si tratti di mitigazione, finanza e adattamento, amplia a tutti i Paesi che ratificheranno l'accordo l'obbligo e l'opportunità di contribuire agli sforzi messi in campo in funzione del loro stadio di sviluppo.
  In quest'ottica, la ventiduesima Conferenza mondiale sul clima delle Nazioni unite (Cop 22) di Marrakech rappresenta una tappa importante nel percorso necessario a rendere operativo l'accordo di Parigi, che sebbene entrato in vigore il 4 novembre 2016, sarà effettivamente operativo a partire dal 2020. Nello specifico, a Marrakech si sta focalizzando l'attenzione sulla necessità di affrontare prontamente le esigenze dei Paesi in via di sviluppo in materia di
capacity building e di facilitare l'accesso ai finanziamenti internazionali per dare seguito alle azioni e priorità introdotte nei rispettivi piani nazionali sul clima. In linea con il programma di lavoro approvato a Parigi, a Marrakech si sta discutendo su vari aspetti, quali la review del meccanismo internazionale di Varsavia sulla perdita e il danno associati ai cambiamenti climatici; l'avvio del processo per definire le informazioni da comunicare sulla finanza del clima; la discussione sull'elaborazione del technology framework e sulle modalità della review del meccanismo tecnologico; l'istituzione del comitato di Parigi sulla capacity building, con il compito di coordinare e monitorare le attività previste dal relativo piano di lavoro nel periodo 2016-2020; la trasformazione delle economie, per rendere nel lungo periodo tutti i flussi finanziari compatibili con la traiettoria di riduzione delle emissioni di gas ad effetto serra; la definizione delle fonti di informazione e delle modalità per riconoscere gli sforzi di adattamento nell'ambito del Global Stocktake e su come le valutazioni dell'IPCC debbano sostenere tale importante processo di confronto sugli sforzi messi in campo.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero proseguirà nella sua azione costante di monitoraggio sulle tematiche in argomento, senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione sulle stesse.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 133 del 2014, definito comunemente «Sblocca Italia» è stato convertito con la legge l'11 novembre 2014, n. 164 recante: «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive»;
   all'articolo 35, comma 2, del decreto-legge si prevede: «[..]entro centottanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, effettua la ricognizione dell'offerta esistente e individua, con proprio decreto, il fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni; sino alla definitiva realizzazione degli impianti necessari per l'integrale copertura del fabbisogno residuo così determinato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano possono autorizzare, ove tecnicamente possibile, un incremento fino al 10 per cento della capacità degli impianti di trattamento dei rifiuti organici per favorire il recupero di tali rifiuti raccolti nel proprio territorio e la produzione di compost di qualità»;
   secondo la Commissione europea, nella sua più recente «Strategia comunitaria per la gestione dei rifiuti» il successo nella diminuzione delle quantità di rifiuti biodegradabili messi a discarica dipende dal successo della raccolta differenziata e dal loro trattamento in impianti dedicati. Benché i rifiuti biodegradabili possano essere estratti dai rifiuti solidi urbani, questo processo è laborioso e fornisce un prodotto contaminato. Perciò un rifiuto «pulito» ottenuto tramite la raccolta differenziata e il successivo trattamento in impianti dedicati produce un compost che soddisfa gli standard di qualità e la cui vendita ed utilizzo siano appropriati per apportare benefici ambientali ed economici, dato anche lo scarso costo del processo;
   nell'elaborazione dei dati riferiti all'anno 2014, forniti nel 2015 dal «Consorzio Italiano Compostatori», sono state separate oltre 5,7 milioni di tonnellate di rifiuti organici, pari al 43 per cento di tutta la raccolta differenziata del Paese; la frazione umida ha quindi avuto un incremento annuo del 9,5 per cento e dal recupero degli scarti organici in Italia si ottengono oltre 1,3 milioni di tonnellate all'anno di compost con un risparmio di 1,4 Mt di CO2 equivalenti rispetto all'invio in discarica;
   la Conferenza delle regioni e delle province autonome del 20 gennaio 2016 ha espresso un parere con osservazioni sullo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo «all'individuazione del fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata» –:
   in quali tempi si intenda emanare, il decreto previsto dall'articolo 35, comma 2, del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito in legge 1'11 novembre 2014, n. 164, inerente alla ricognizione dell'offerta esistente e all'individuazione del fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni. (4-12423)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo Ministero si rappresenta quanto segue.
  Innanzitutto occorre premettere, per maggiore completezza di informazione, che il decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 intitolato «Misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio», non ha direttamente previsto l'installazione di nove inceneritori nelle regioni Lazio, Umbria, Marche, Abruzzo, Campania, Sardegna e Sicilia. Il predetto decreto ha infatti disposto l'emanazione di un successivo decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri (DPCM) finalizzato all'individuazione degli impianti da realizzare per soddisfare il fabbisogno residuo di incenerimento dei rifiuti urbani ed assimilati.
  A tal proposito, l'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014, al secondo comma, ha disposto che «entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, adotta un decreto recante la ricognizione dell'offerta esistente e l'individuazione del fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni».
  Si ritiene che le disposizioni relative all'individuazione della capacità di compostaggio, unitamente alle disposizioni relative all'incenerimento dei rifiuti, contenute nel nuovo decreto del Presidente del Consiglio dei ministri
ex articolo 35 comma 1 pubblicato sulla GURI serie generale n. 233 del 5 ottobre 2016 come decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 10 agosto 2016, siano finalizzate a garantire la sicurezza nazionale nell'autosufficienza della gestione dei rifiuti e a dare piena attuazione alla normativa comunitaria costituendo inoltre un elemento fondamentale per l'incremento della circular economy in Italia e per il raggiungimento degli obiettivi più ambiziosi contenuti nel nuovo «pacchetto rifiuti» in esame attualmente presso il Consiglio ed il Parlamento europeo.
  Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 2 del predetto articolo 35, relativo alla capacità degli impianti di trattamento della frazione organica raccolta in maniera differenziata, ha infatti previsto, proprio per raggiungere gli obiettivi ambiziosi di cui al nuovo pacchetto dell'economia circolare, la realizzazione di una capacità aggiuntiva di compostaggio e digestione anaerobica compresa tra un minimo di 2,1 milioni ed un massimo di 3 milioni di tonnellate.
  Al riguardo, si precisa che il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 marzo 2016, di cui al comma 2 del più volte menzionato articolo 35 è stato pubblicato sulla GURI serie generale n. 91 del 19 aprile 2016.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare costantemente le attività in corso, nonché a svolgere le attività di propria competenza con il massimo grado di attenzione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRAGA e GUERRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane — spa, derivante dalla trasformazione dell'ente pubblico economico «Poste Italiane», è un società per azioni interamente controllata dallo Stato. Essa è il fornitore del servizio postale universale in Italia e adempie l'obbligo di servizio universale a norma del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, di attuazione della direttiva 97/67/CE2, e del decreto 17 aprile 2000 del Ministero delle comunicazioni che conferma la concessione del servizio postale universale a Poste Italiane;
   l'articolo 3 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261 — «Attuazione della direttiva 97/67/CE concernente regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio» — stabilisce, tra le altre cose, che:
    la fornitura del servizio universale e delle prestazioni in esso ricomprese deve essere fornita permanentemente in tutti i punti del territorio nazionale, a prezzi accessibili a tutti gli utenti (comma 1);
    il servizio universale è caratterizzato dalle seguenti connotazioni: a) la qualità è definita nell'ambito di ciascun servizio e trova riferimento nella normativa europea; b) il servizio è prestato in via continuativa per tutta la durata dell'anno (comma 3);
    il fornitore del servizio universale garantisce tutti i giorni lavorativi, e come minimo cinque giorni a settimana, salvo circostanze eccezionali valutate dall'autorità di regolamentazione: a) una raccolta; b) una distribuzione al domicilio di ogni persona fisica o giuridica o in via di deroga, alle condizioni stabilite dal Ministero delle comunicazioni in installazioni appropriate (comma 4);
   nel corso degli ultimi anni Poste Italiane spa ha avviato, presentando un apposito piano all'Autorità per le garanzie nelle Comunicazioni, un processo di riorganizzazione, razionalizzazione e taglio degli uffici postali che ha di fatto mutato sensibilmente la capillarità, la fruibilità e la qualità del servizio postale su tutto il territorio nazionale causando, in molti casi difficoltà notevoli agli utenti residenti;
   negli scorsi mesi si è avuta notizia dell'intenzione di Poste Italiane spa di proseguire a partire dal 30 maggio 2016, in alcune aree del territorio italiano, l'implementazione graduale della fase II del modello degli invii postali a giorni lavorativi alterni dal lunedì al venerdì, su base bisettimanale (lunedì, mercoledì e venerdì nella prima settimana; martedì e giovedì nella settimana successiva), già avviato, in altre località, a partire da ottobre 2015. Mentre sembrerebbe garantita attraverso l'utilizzo della figura del «postino plus» la consegna giornaliera della sola posta prioritaria, delle raccomandate da firmare, delle assicurate, degli atti giudiziari, degli avvisi di Equitalia;
   ad eccezione delle grandi città, il nuovo modello di consegna a giorni alterni messo in atto da Poste Italiane spa, che ad oggi è già realtà in un numero ristretto di città come Forlì, Piacenza, Parma, Bergamo, Pavia ma anche in alcuni centri della Sicilia e della Calabria, verrà esteso gradualmente entro il 2017 a 5627 Comuni italiani con una densità di popolazione inferiore ai 200 abitanti per chilometro quadrato;
   il previsto taglio del servizio di recapito postale colpirebbe in modo significativo anche la provincia di Como dove il recapito a giorni alterni, oltre ad essere stato già attivato in via sperimentale in Val d'Intelvi, diverrà effettivo a Como città, Asso, Lomazzo e Olgiate Comasco a partire dal 30 maggio 2016, a Inverigo, Erba e Menaggio a partire dal 13 giugno 2016 e infine, a Cantù, Mariano Comense e Turate dal 27 giugno 2016;
   il nuovo modello di recapito, laddove applicato, non tenendo conto né della peculiarità dei singoli territori come certamente è il lago di Como, né delle esigenze e delle criticità delle diverse realtà locali soprattutto nel periodo estivo dove in particolar modo nelle zone rivierasche molti turisti scelgono di farsi consegnare la corrispondenza nelle località di villeggiatura, ha già arrecato forti disagi in termini di utilizzo e di qualità del servizio fornito ai cittadini che si sono trovati a non poter usufruire di servizi essenziali;
   secondo stime sindacali la forte riduzione del servizio di recapito della corrispondenza sulla provincia di Como si tradurrebbe in circa 92 addetti da ricollocare su circa 380 portalettere complessivi. Situazione che inevitabilmente determinerà un ulteriore peggioramento delle condizioni di lavoro dei dipendenti postali dovuto agli aumenti dei carichi di lavoro da gestire in tempi più stringenti a causa della riduzione degli addetti alle consegne;
   l'applicazione del nuovo modello organizzativo del recapito e, più in generale, il compimento della rilevantissima azione di ristrutturazione in atto negli ultimi anni nel settore postale da parte di Poste Italiane spa stanno producendo un profondo mutamento del radicamento e della funzionalità del servizio stesso con una evidente limitazione dei servizi postali essenziali, di fondamentale importanza per cittadini, famiglie e imprese in quanto permettono loro di adempiere a molte incombenze e attività quotidiane, come la spedizione e la ricezione di lettere, bollette, comunicazioni e avvisi soggetti a scadenza, il ritiro del denaro contante, il pagamento delle utenze; servizi la cui erogazione e qualità dovrebbe invece essere garantita a tutti gli utenti sull'intero territorio nazionale, con maggiore riguardo per quelle particolari specificità periferiche che non permettano un corretto collegamento con altre sedi postali;
   nonostante Poste Italiane spa abbia chiuso molto positivamente il primo trimestre del 2016 con un utile netto in crescita del 18 per cento a 367 milioni di euro, un risultato operativo in aumento del 16,1 per cento a 562 milioni di euro e con ricavi in incremento del 14,2 per cento a quasi 9,76 miliardi di euro, e abbia anche ricevuto significativi contributi da parte dello Stato per consentire agli uffici postali periferici di garantire l'erogazione di prestazioni essenziali, la recente politica aziendale adottata da Poste Italiane spa attraverso l'attuazione di misure di razionalizzazione del servizio e di rimodulazione della frequenza settimanale di raccolta e recapito sull'intero territorio nazionale sembrerebbe orientata a seguire una logica esclusivamente finanziaria ponendo in secondo piano la funzione che le è propria di garantire un servizio di posta universale, impegnandosi a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste;
   numerose sono le iniziative di contrarietà a tale politica aziendale messa in atto da Poste Italiane spa, fatta di tagli e di riorganizzazione del comparto del recapito. Si registrano, infatti, forme di protesta da parte delle sigle sindacali di Slc-Cgil, Slp-Cisl, e Uil Poste di Como che il 23 maggio 2016 hanno indetto uno sciopero del comparto postale ottenendo una massiccia adesione dei lavoratori con la chiusura di circa 82 uffici postali della provincia lariana. Nei prossimi giorni, sempre nel comasco, è prevista una raccolta di firme tra i lavoratori del settore postale da inviare alle autorità competenti, mentre è già stato fissato un incontro con il prefetto di Como per discutere dell'attuale piano di riorganizzazione aziendale –:
   se il Ministro sia a conoscenza delle criticità riportate in premessa e non ritenga che le scelte di razionalizzazione del servizio postale e, in particolar modo, di taglio del servizio di recapito della corrispondenza attuato attraverso il nuovo modello di consegna a giorni alterni ad opera di Poste Italiane spa, rispondenti principalmente a criteri di economicità, non rischino di pregiudicare il principio di universalità del servizio postale;
   se e quali iniziative il Ministro intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, affinché alle comunità interessate dalla politica di riorganizzazione del servizio di consegna della posta da parte di Poste Italiane spa, venga garantito il diritto ad un effettivo e puntale servizio di recapito della corrispondenza. (4-13346)

  Risposta. — In via preliminare si fa presente che il settore postale, a livello nazionale e comunitario, è stato interessato negli ultimi anni da profondi cambiamenti che hanno riguardato il contesto normativo, ed in particolare il passaggio delle funzioni di regolamentazione e di vigilanza dal Ministero dello sviluppo economico all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni (Agcom) per effetto del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito nella legge 22 dicembre 2011, n. 214.
  Come rilevato dagli interroganti, spetta all'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, ai sensi dell'articolo 2, comma 4, lettera c) e lettera e) del decreto legislativo 261 del 1999, rispettivamente la « adozione di provvedimenti regolatori in materia di qualità e caratteristiche del servizio postale universale» e lo «svolgimento, anche attraverso soggetti terzi, dell'attività di monitoraggio, controllo e verifica del rispetto di standard di qualità del servizio postale universale».
  L'Autorità inoltre, nell'esercizio dei propri poteri di vigilanza svolge un'attività di valutazione del piano di razionalizzazione della gestione degli uffici postali, al fine di verificarne la conformità ai criteri di distribuzione dei punti di accesso alla rete postale.
  Il Ministero è in più occasioni intervenuto, pur avendo perso, come detto in premessa, le proprie funzioni di regolamentazione e di vigilanza, affinché ogni intervento di Poste Italiane fosse preceduto da una fase di effettivo confronto con le regioni e gli enti locali. Tale attività del Ministero ha dato luogo ad una effettiva modifica del piano di Poste Italiane che si è basata su accordi realizzati nei diversi territori con i rappresentanti degli enti locali e delle regioni così come in più occasioni riconosciuti e apprezzato da questi ultimi.
  Il Ministero si è inoltre attivato nella fase di definizione del nuovo contratto di programma, nell'ottica di evitare ove possibile l'attuazione del piano di rimodulazione e razionalizzazione degli sportelli, ed ha concluso una fase di negoziazione con Poste Italiane che ha dato luogo ad una rilevante modifica del contratto stesso, nel quale si è scelto, con reciproco scambio di consenso sul testo finale, di ribaltare la prospettiva sinora tenuta assumendo una vera e propria linea di «politica industriale».
  La nuova impostazione si basa, infatti, sull'assunto che la capillarità delle presenze di Poste non debba essere considerata più un peso o un onere bensì un asset strategico, un valore: dunque ogni chiusura, per quanto giustificata e dentro le regole del servizio universale, impoverirebbe un asset della società. In particolare, all'articolo 5, comma 5, del Contratto di programma, Poste italiane – anche tenuto conto del perseguimento di obiettivi di coesione sociale ed economica – si è impegnata a ricercare e valutare prioritariamente ogni possibilità di potenziamento complessivo dei servizi, anche attraverso accordi con le regioni e gli enti locali; dando seguito all'indicazione del Ministero secondo cui che l'ipotesi di intervento in riduzione debba essere confinata come extrema ratio dopo aver considerato possibilità alternative.
  Poste italiane, nella logica del potenziamento e di una maggiore efficienza dei servizi, dovrà valutare il rapporto costi-ricavi non sulla base del singolo ufficio postale ma in un ambito territoriale più ampio fino anche, ad esempio, a coprire una scala regionale.
  La società Poste italiane dovrà valutare, prioritariamente alla decisione di rimodulazione e razionalizzazione, iniziative proposte da enti e istituzioni territoriali in grado di aumentare la redditività della rete degli uffici postali in un ambito territoriale. Tali proposte dovranno pervenire, a regime, entro il 30 settembre di ogni anno. La società è tenuta a trasmettere il suddetto piano all'autorità entro l'inizio di ogni anno di riferimento.
  Al fine di seguire direttamente il nuovo processo di interazione tra gli enti locali e Poste italiane, il Ministero ha inviato, all'inizio del mese di marzo, una lettera a tutti i presidenti delle regioni italiane, cui è demandato il compito di promuovere le suddette iniziative, inviando ad attivarsi, con sollecitudine, affinché siano tutelati i diritti dei cittadini soprattutto nelle zone maggiormente svantaggiate.
  Per quanto concerne gli effetti che, pur in presenza dei suddetti correttivi, il piano di razionalizzazione potrà avere sulle modalità di recapito sulle spedizioni postali di quotidiani e periodici settimanali ai lettori abbonati, va tenuto conto di quanto previsto dalla delibera Agcom n. 395/15/CONS.
  In particolare, in base all'articolo 3, comma 7, del decreto legislativo, n. 261 del 1999, la suddetta delibera dell'AGCom ha autorizzato Poste italiane s.p.a., in qualità di fornitore del servizio universale postale, all'attuazione di un modello di recapito a giorni alterni degli invii postali rientranti nel servizio universale da applicarsi in maniera graduale nell'arco del triennio 2015-2017, Sono previste, nello specifico, tre fasi di implementazione, da avviarsi rispettivamente:
   a) non prima di ottobre 2015;
   b) ad aprile 2016;
   c) a febbraio 2017.

  È pertanto attualmente in corso lo svolgimento della seconda fase.
  A partire dal mese di febbraio 2018, termine di attuazione del modello, l'Autorità in base alle criticità riscontrate e alla coerenza dei risultati raggiunti con il piano industriale aziendale ha inoltre la facoltà di valutare la sussistenza delle condizioni per prorogarne l'autorizzazione.
  Per quanto riguarda le città menzionate dagli interroganti (Forlì, Piacenza, Parma, Bergamo e Pavia), Poste italiane ha riferito al Ministero che in nessuna di esse è operativo il servizio di consegna a giorni alterni.
  Nelle medesime città è, invece, in corso la riorganizzazione dei processi di recapito, con la distribuzione quotidiana di tutti i prodotti postali in un giorno lavorativo oltre quello di accettazione (J+1) e la distribuzione dei restanti prodotti postali entro il quarto giorno dalla spedizione, coerentemente con i livelli di servizio previsti in base all'organizzazione operativa interna all'azienda.
  Parimenti, secondo quanto rappresentato dalla società, la città di Como e gli altri comuni del territorio comasco citati nell'atto in parola, non sono o saranno interessati dal servizio di recapito a giorni alterni, in quanto nelle stesse località è attivo il citato servizio di distribuzione quotidiana (J+1).
  La società ha fatto presente di avere tempestivamente affrontato, attraverso il costante confronto con le strutture territoriali, tutte le criticità con l'adozione di misure atte a garantire la corretta distribuzione degli invii postali.
  Poste italiane, al fine di migliorare l'accesso della clientela ai propri servizi, ha inoltre riferito di aver sviluppato opportunità di servizio alternative, con possibilità per gli utenti di fruirne direttamente dal proprio domicilio. A tale riguardo, è stato avviato a partire dal 2007 il progetto del cosiddetto «Postino Telematico» che prevede la progressiva dotazione di ciascun portalettere di computer palmare in grado di supportare nuovi servizi, quali l'accettazione di invii di posta raccomandata «Raccomandata da Te» al domicilio dei clienti.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonello Giacomelli.


   BRESCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 10 marzo 2016 è stato pubblicato sul sito web del Ministero dell'interno un bando di gara avente ad oggetto la «Procedura comparativa per il conferimento a titolo gratuito di incarico di prestazione di lavoro autonomo occasionale per lo svolgimento delle attività di Comunicazione per le esigenze della Direzione Centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo del Dipartimento per le Libertà Civili e l'immigrazione»;
   come si legge nel bando, la procedura comparativa è finalizzata alla selezione di un «esperto di particolare e comprovata professionalità» che possa fornire «un supporto tecnico di alto contenuto specialistico nelle attività e nei processi finalizzati alla comunicazione e all'informazione pubblica istituzionale relative alle attività che si svolgono nei centri di prima accoglienza, in stretto raccordo con l'Ufficio Stampa del Sig. Ministro»;
   deve, inoltre, rilevarsi che al giornalista selezionato ed assunto a titolo gratuito, secondo quanto stabilito dall'articolo 1 del decreto del direttore generale saranno affidati compiti di «supervisione» da ciò si desume che avrà responsabilità anche sul lavoro di altri soggetti;
   i requisiti specifici di cui all'articolo 2 del bando che consentono l'accesso alla procedura comparativa, prevedono che il candidato sia iscritto all'elenco dei giornalisti e professionisti, vanti un'esperienza lavorativa documentabile di almeno 3 anni nel settore comunicazione di pubbliche amministrazioni e possieda un'ottima conoscenza della lingua inglese;
   l'articolo 5 del bando, inoltre, specifica che l'incarico di durata di un anno, non prorogabile o rinnovabile, sarà svolto dal professionista «a titolo assolutamente gratuito» ma che, sulla base di una documentazione giustificativa presentata dall'interessato, è possibile che siano rimborsate nei modi e nei termini previsti dalla normativa di riferimento, le eventuali spese di viaggio, di soggiorno e di vitto sostenute per l'espletamento dell'incarico, se fuori dal comune di propria residenza;
   la discordanza tra i requisiti specifici d'accesso di cui l’«esperto di particolare e comprovata professionalità» deve essere in possesso, le prestazioni che il candidato selezionato andrebbe a svolgere e quanto invece stabilito dall'articolo 5, ovvero lo svolgimento dell'incarico «a titolo assolutamente gratuito», ha prodotto una dura reazione del FNSI – Federazione nazionale stampa italiana, il sindacato unitario dei giornalisti italiani;
   in data 16 marzo 2016 sul quotidiano Repubblica.it è stata riportata una nota stampa rilasciata dal segretario generale della FNSI, Raffaele Lorusso, insieme al presidente, Giuseppe Giulietti, e al segretario aggiunto e presidente della commissione lavoro autonomo del sindacato, Mattia Motta, i quali dichiarano quanto sia «inaccettabile, oltre che offensivo, che il Ministero dell'interno proceda ad una selezione pubblica per reclutare un giornalista professionista specificando che l'incarico è a titolo gratuito»;
   sostenendo che l'attività giornalistica, al pari di tutte le altre attività professionali, non possa essere esercitata a titolo gratuito, gli stessi esponenti della FNSI affermano che «il bando pubblicato dal Ministero dell'interno offende il decoro della professione giornalistica e la dignità di migliaia di giornalisti che aspirano ad una occupazione stabile e ad una retribuzione adeguata. Per queste ragioni è auspicabile che venga immediatamente ritirato»;
   si ricorda, inoltre, che in base al comma 5 dell'articolo 9 della legge n. 150 del 2000 la regolamentazione del rapporto di lavoro dei giornalisti impiegati negli uffici stampa delle pubbliche amministrazioni è oggetto di contrattazione collettiva; in merito, non si comprende perché questa norma non debba trovare analogica applicazione –:
   se non intenda, in autotutela, assumere iniziative per procedere all'immediato ritiro del bando ovvero all'annullamento della relativa procedura di selezione, ove compiutasi. (4-12578)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si richiama l'attenzione sulle perplessità sollevate dalla Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi) sulla procedura comparativa esperita dal Ministero dell'interno per il conferimento di un incarico esterno per lo svolgimento di attività di comunicazione istituzionale in tema di immigrazione e asilo. Le perplessità riguardano, in particolare, la gratuità dell'incarico per il cui espletamento non sarebbe previsto alcun compenso.
  Al riguardo, l'interrogante chiede l'assunzione di iniziative in autotutela, volte all'annullamento della procedura.
  Si rappresenta che, effettivamente, nel mese di marzo 2016, la Direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo, del Ministero dell'interno, a fronte della perdurante imponenza dei flussi migratori e degli innumerevoli problemi che ne sono scaturiti sul territorio, ha ravvisato l'esigenza di potenziare il proprio staff con un giornalista di consolidata e pluriennale competenza, in grado di gestire professionalmente i rapporti con i mezzi di informazione e l'opinione pubblica.
  È difficile disconoscere l'importanza di un'efficace ed equilibrata comunicazione e informazione pubblica istituzionale in un settore, quello dell'immigrazione appunto, che sta vivendo da tempo una fase parossistica densa di criticità, tensioni sociali e contrapposizioni, aggravate, talvolta, da esasperazioni ideologiche, talaltra, dal coinvolgimento, in varie vicende, di diritti umani fondamentali, quale la stessa vita dei migranti.
  È stata indetta, così, la procedura comparativa a cui si fa riferimento nell'atto di sindacato ispettivo.

  In proposito, si premette che la procedura è stata espletata nel pieno rispetto dei presupposti posti dall'ordinamento giuridico agli incarichi di lavoro autonomo nelle pubbliche amministrazioni, che – come noto – consistono nella straordinarietà ed eccezionalità delle esigenze da soddisfare, nell'alta qualificazione delle prestazioni richieste, nella carenza di personale idoneo all'interno dell'amministrazione, nella durata limitata e nell'oggetto circoscritto dell'incarico.
  Riguardo alla questione della gratuità dell'incarico è evidente come non si sia trattato di una scelta dell'Amministrazione, ma di una legittima soluzione da essa adottata giocoforza, in assenza di risorse finanziarie destinate specificamente alla remunerazione delle prestazioni di lavoro autonomo.
  È stato previsto, invece, il rimborso delle spese sostenute fuori dal comune di residenza, essendovi per esse la necessaria copertura finanziaria.
  Comunque, si fa presente che, a garanzia della legittimità della procedura comparativa, il bando aveva subordinato l'efficacia dell'incarico all'esito positivo del controllo preventivo da parte degli organi a ciò deputati.
  Si aggiunge, per completezza, che già in passato questa amministrazione aveva sperimentato la gratuità della prestazione proprio per un incarico identico a quello in esame, senza che gli organi deputati al controllo preventivo di legittimità avessero avuto nulla da eccepire sul contratto sottoposto al loro vaglio.
  Passando dagli aspetti giuridici della procedura ai suoi esiti concreti, si informa che sono state presentate complessivamente venticinque domande, di cui ventiquattro nel termine previsto dal bando e una fuori tempo massimo.
  Tali cifre testimoniano che diversi giornalisti hanno colto lo spirito dell'iniziativa e l'hanno considerata, indipendentemente da forme di retribuzione, un'importante opportunità di arricchimento professionale e umano, in un momento in cui l'immigrazione è un tema di grande rilievo e interesse lavorativo, culturale e mediatico.
  Al di là di questa considerazione, la procedura si è conclusa con un nulla di fatto, cioè senza il conferimento dell'incarico, in quanto nessuno dei candidati è risultato in possesso dei requisiti indicati nel bando.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il comma 1 dell'articolo 1 della legge 11 febbraio 1992, n. 157, stabilisce che la fauna selvatica è patrimonio indisponibile dello Stato ed è tutelata nell'interesse della comunità nazionale ed internazionale;
   tale patrimonio va tutelato sia con politiche di conservazione sulle specie che con azioni di soccorso sugli individui finalizzate al loro recupero alla vita selvatica, come implicato dall'articolo 4, comma 6, della medesima legge;
   l'articolo 4, comma 6, della medesima legge stabilisce che le regioni emanano norme in ordine al soccorso, alla detenzione temporanea e alla successiva liberazione di fauna selvatica in difficoltà;
   in molti casi, oggetto del soccorso e del recupero sono animali appartenenti a specie ad altissimo valore conservazionistico, in alcuni casi minacciate di estinzione, protette e talvolta «superprotette» dalle direttive comunitarie e dalla leggi nazionali;
   successivamente all'approvazione della legge n. 157 del 1992 le regioni hanno demandato alle province la gestione del soccorso e del recupero della fauna selvatica;
   le province hanno in questi anni spesso affidato, con diverse modalità, il soccorso e il recupero della fauna selvatica ad associazioni di volontariato;
   le associazioni di volontariato hanno realizzato, con grande impegno, notevole sforzo e ottimi risultati, anche ricorrendo a ingenti risorse proprie, strutture e centri atti al soccorso e al recupero della fauna selvatica ferita, creando un vero e proprio sistema diffuso sul territorio che ha fatto fronte a centinaia di migliaia di richieste di ricovero, dunque sollevando l'amministrazione pubblica da un impegno molto gravoso;
   successivamente alla recente riforma della pubblica amministrazione, con la soppressione delle province, la gestione del recupero e del soccorso della fauna selvatica è ritornata in capo alle regioni;
   le regioni, in moltissimi casi, non hanno ancora provveduto a riorganizzare il sistema del soccorso e del recupero della fauna selvatica con la conseguenza che le associazioni di volontariato, che hanno fino ad oggi svolto tale attività, non dispongono di un soggetto istituzionale chiaro di riferimento ovvero di un sistema di sostegno grazie al quale operare;
   la necessità immediata è quella di porre le associazioni in condizione di operare con il dovuto e adeguato sostegno, che permetta il pieno funzionamento dei centri, lo svolgimento delle relative complesse operazioni, la gestione e il coordinamento dei volontari e quant'altro occorra;
   in questa situazione di incertezza, di mancanza di soggetti istituzionali di riferimento, di mancanza o carenza di sostegno economico da parte dell'amministrazione pubblica e pur in presenza, al contrario, di una crescente domanda da parte dei cittadini che rinvengono animali selvatici in difficoltà, le associazioni di volontariato non riescono più a sostenere l'attività di recupero e soccorso della fauna selvatica, con la conseguenza di non poter più rispondere alle richieste di intervento di centinaia di migliaia di cittadini;
   il sistema del recupero della fauna selvatica in Italia rischia oggi seriamente un blocco totale;
   il blocco del sistema del recupero comporterebbe un danno gravissimo alla fauna selvatica, patrimonio dello Stato, e metterebbe nella necessità le amministrazioni pubbliche di operare direttamente, attrezzandosi con proprie strutture e personale, con un enorme aggravio dell'impegno economico pubblico;
   è ormai indispensabile che lo Stato, in particolare attraverso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e/o delle politiche agricole e forestali, si assuma le proprie responsabilità su un bene indisponibile, quale è la fauna selvatica –:
   se e quali iniziative urgenti intendano assumere affinché l'attività di soccorso e recupero della fauna selvatica sia pienamente assicurata e le associazioni vengano messe in piena condizione di operare;
   se e quali iniziative urgenti di competenza intendano assumere, anche individuando risorse integrative, affinché le regioni possano essere messe in condizioni di operare al meglio. (4-14427)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al soccorso e al recupero della fauna selvatica, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si comunica che la gestione dei centri recupero per la fauna selvatica rientra tra le competenze assegnate dalla legge n. 157 del 1992 alle regioni, che a loro volta hanno delegato alle province le attività connesse al recupero di fauna selvatica in difficoltà.
  Con la recente soppressione delle province, le regioni hanno riacquisito le competenze di cui all'articolo 4, comma 6, della summenzionata legge n. 157 del 1992, così come diverse altre competenze in materia di tutela della fauna omeoterma e di caccia.
  Inoltre, tale situazione di cambiamento sta portando a diverse situazioni di temporanea difficoltà organizzativa che sono note a questo Ministero, pertanto, nei limiti di competenza, sta fornendo un supporto agli enti territoriali competenti.
  Inoltre, si fa presente che sul tema della vigilanza in materia venatoria e di tutela della fauna, che in parte si collega alla gestione dei centri di recupero per la fauna selvatica in difficoltà, questa Amministrazione è impegnata nella condivisione e approvazione con le regioni di uno specifico piano d'azione per il contrasto agli illeciti contro gli uccelli selvatici. L'approvazione e attuazione di tale piano può contribuire ad affrontare anche la problematica evidenziata dagli onorevoli interroganti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'approvazione della «direttiva uccelli» contenuta nella legge europea 2014, l'Italia ha sancito il divieto di cattura di uccelli per farne uso di richiami vivi. È stato infatti messo al bando ogni sistema di vendita e uso di reti e trappole;
   è recente notizia di stampa che la guardia di finanza di Pisogne tra Montisola e Sulzano (BS) ha individuato e sequestrato in un negozio e in un laboratorio – ai sensi dell'articolo 30, comma 1, lettera e), della legge n. 157 del 1992 – 733 reti da uccellagione;
   il materiale sequestrato è solitamente usato dai bracconieri nei boschi per la cattura di uccelli con la tecnica del «roccolo», attraverso la quale gli animali che rimangono impigliati ed imprigionati muoiono anche dopo giorni di agonia;
   il negozio dove è avvenuto il sequestro è anche noto alla cronaca poiché il 5 ottobre 2016 il programma Striscia la notizia ha mandato in onda un servizio documentando l'illecito;
   tuttavia, quanto sopra esposto non è un caso isolato soprattutto nella provincia di Brescia, dove le pratiche dell'uccellagione sono molto diffuse nonostante il divieto di vendita e uso;
   dal 5 ottobre 2016, giorno in cui è iniziata la campagna del nucleo operativo antibracconaggio, la forestale di Brescia ha complessivamente sequestrato 150 archetti, sette fucili, circa 300 tagliole a molla, 80 reti per uccellagione, 110 esemplari vivi e 650 esemplari morti di avifauna selvatica protetta;
   inoltre, la guardia di finanza, nell'ambito degli interventi relativi alla protezione dell'avifauna, ha scoperto un giro di evasione, poiché le ricevute fiscali, consegnate al cliente, spesso non venivano registrate dal commerciante;
   suddette pratiche, nonostante il divieto vigente restano molto diffuse sul territorio italiano e in particolare nel bresciano;
   a seguito della recente riforma della pubblica amministrazione che prevede l'accorpamento del Corpo forestale dello Stato in altra forza, gli attuali organici della forestale sono stati drasticamente ridotti; pertanto, i controlli che vengono effettuati sono pochissimi rispetto al numero di illeciti compiuti;
   prova ne sono Brescia e la relativa provincia, dove il fenomeno del bracconaggio è assai diffuso, ma solo 71 forestali devono pattugliare un territorio di 4.800 chilometri quadrati con compiti che vanno dalla prevenzione incendi, alla tutela del patrimonio naturale, al controllo delle valanghe –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritengano, per quanto di competenza, che per arginare il fenomeno del bracconaggio e la vendita illegale di reti da uccellagione, oltre all'applicazione delle sanzioni, debbano essere assunte iniziative per modificare la normativa vigente di tutela della fauna selvatica, al fine di prevedere anche la confisca della licenza di caccia e della licenza dell'attività in caso di caccia e commercio illegale;
   se il Governo non ritenga di doversi adoperare per garantire un maggior numero di forestali, al fine di effettuare maggiori controlli mirati alla repressione dell'attività di caccia con l'uso di avifauna protetta e della vendita di reti e richiami vietati dalla normativa vigente;
   considerato che il commercio illegale di animali è al terzo posto nelle graduatorie mondiali dopo armi e droga e muove interessi per milioni di euro, se il Governo disponga di dati connessi alla frode fiscale e, in caso affermativo, se non intenda renderli pubblici;
   quali siano le iniziative congiunte che intendano mettere in campo per contrastare il fenomeno illegale della vendita di materiale e uccelli destinati alla caccia di frodo. (4-14560)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si segnala che il bracconaggio è un fenomeno in progressivo calo negli ultimi decenni.
  In molte realtà locali, alcune particolarmente sensibili per la fauna presente, si è registrato un significativo arretramento dell'attività illecita: ad esempio nello Stretto di Messina la pratica degli abbattimenti di rapaci e in particolare del falco pecchiaiolo (
pernis apivorus) è stata quasi totalmente debellata.
  Con riferimento al territorio bresciano, dai dati del Corpo forestale dello Stato risulta che durante l'operazione «pettirosso», svolta annualmente nelle valli bresciane contro l'uso delle trappole ad archetto per rifornire i ristoranti di uccelli selvatici, nel 2015 sono stati rinvenuti 310 archetti, contro le migliaia sequestrate alla fine dello scorso secolo.
  Questi risultati sono stati ottenuti grazie all'attività normativa, a un forte impegno degli organi di polizia (principalmente Corpo forestale dello Stato, guardie provinciali, guardie volontarie previste dalla legge n. 157 del 1992) e all'apporto di numerose associazioni e volontari, anche con il contributo di progetti LIFE, tra gli ultimi dei quali si segnala come esempio il progetto LIFE Leaving Is Living, per la tutela degli uccelli migratori in Sardegna.
  Fra le iniziative normative si cita a solo titolo di esempio la modifica dell'articolo 21 comma 1 lettere
bb) e cc) della legge n. 157 del 1992 che ha permesso di archiviare la procedura EU-Pilot 5391/13/ENVI – Vendita di passeri surgelati di provenienza tunisina.
  In ogni caso, si evidenzia che questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, valutando il raggiungimento delle finalità degli atti normativi, nonché gli effetti prodotti su cittadini, imprese e pubbliche amministrazioni.
  L'analisi richiede il ricorso alla consultazione dei diversi portatori di interessi, in modo da raccogliere dati e opinioni da coloro sui quali la normativa in esame ha prodotto i principali effetti.
  Lo scopo è quello di ottenere, a distanza di un certo periodo di tempo dall'introduzione di una norma, informazioni sulla sua efficacia, nonché sull'impatto concretamente prodotto sui destinatari, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina in vigore.
  Per contro rimangono situazione di illegalità diffusa e questo dicastero è da tempo attivo per rafforzare il contrasto del bracconaggio di uccelli e per dare risposte al caso EU-Pilot 5283/13/ENVI sullo stesso tema.
  In questo contesto è in preparazione un piano di azione nazionale impostato per agire sugli aspetti della sensibilizzazione, prevenzione e repressione dei fenomeni. A fine giugno 2016 si è tenuto presso il parco regionale Delta del Po Veneto uno specifico convegno tecnico, cui sono intervenuti numerosi rappresentanti di amministrazioni, associazioni ambientaliste e venatorie. I risultati del convegno e le successive osservazioni ricevute hanno permesso, con il supporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), di redigere una bozza del piano d'azione, sottoposta a consultazione per la successiva discussione in sede di comitato paritetico per la biodiversità ed approvazione in sede di conferenza Stato-regioni.
  Il piano tiene conto della necessità di rafforzare l'attività di vigilanza del territorio nell'attuale fase di riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato e di passaggio delle competenze in materia di vigilanza faunistica derivante dalla chiusura delle province.
  Ad ogni modo, la confluenza del Corpo forestale nell'Arma dei carabinieri ha dato un nuovo assetto al settore ambientale dei Carabinieri e rappresenta una buona risposta per contrastare più efficacemente la criminalità; l'assorbimento è stato condotto nell'ottica dello sviluppo e dell'efficacia della funzione di tutela ambientale, forestale e agroalimentare, un processo normativo che ha visto impegnati Governo e Parlamento e che ha portato alla creazione del reparto che si occupa di ambiente più numeroso in Europa: saranno circa 8.000 i dipendenti dell'unità di tutela forestale, ambientale e agroalimentare che nascerà ufficialmente il prossimo primo gennaio.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, tenendosi informato anche attraverso gli altri soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il diritto alla tutela della salute è garantito dalla Costituzione e non può essere oggetto di discriminazione territoriale a nessun titolo;
   nonostante le emissioni inquinanti siano diminuite in tutta Europa, l'ultimo rapporto dell'Agenzia europea dell'ambiente (Aea) sulla qualità dell'aria in Europa mette alcune città italiane tra cui Padova in cima alla lista delle città più inquinate;
   in gran parte delle regioni italiane sono previste drastiche riduzioni delle sedi dei dipartimenti provinciali delle agenzie di prevenzione dell'ambiente e del relativo personale con conseguente peggioramento della qualità dei controlli;
   dopo l'emanazione della legge n. 61 del 1994, è stato fatto poco per riconoscere al sistema agenziale il giusto ruolo centrale sul controllo ambientale (basti dire che ancora oggi, a tanti anni dall'istituzione delle prime agenzie di protezione ambientale, è opinione diffusa nella popolazione che i controlli ambientali siano effettuati dai carabinieri, dalla Guardia di finanza, dal Corpo forestale dello Stato); le agenzie operano insieme ad altri organi necessari per un controllo capillare del territorio e la cui integrazione nel contesto dei controlli ambientali è certamente insostituibile sia in fase preventiva sia in fase repressiva in ausilio ed in sinergia con i tecnici delle Arpa;
   sussiste una scarsa presenza sul territorio delle Arpa in parte attribuibile ad organici inadeguati delle medesime ed all'espletamento di attività secondarie rispetto al loro preminente compito di tutela dell'ambiente di cui certamente il monitoraggio ed il controllo costituiscono una parte fondamentale. L'ultimo importantissimo atto dei passati Governi il cosiddetto testo unico ambientale (decreto legislativo n. 152 del 2006) cita il sistema agenziale e le Arpa non più di cinque sei volte e non per ribadire la loro specificità nel campo della tutela ambientale. Infatti, tranne che per il riutilizzo delle terre e rocce da scavo dove, nel caso in cui non sia prevista la valutazione d'impatto ambientale, è prescritto il parere dell'Arpa territorialmente competente, le Arpa non sono esplicitamente chiamate in causa né nella fase di rilascio delle autorizzazioni, né nella fase del controllo, in quanto entrambe queste fasi sono giustamente messe in capo alle autorità competenti le quali però possono decidere autonomamente di avvalersi o meno delle Arpa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra descritto;
   se il Ministro interrogato, alla luce delle considerazioni svolte, non ritenga opportuno assumere iniziative normative, al fine di fornire, pur nel rispetto delle autonomie regionali, idonei strumenti e, ove necessario, garantire adeguatezza dei controlli. (4-03770)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'inquinamento atmosferico nella pianura padana, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, sulla base della normativa nazionale di settore (decreto legislativo 155 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni) le regioni e le province autonome sono le autorità competenti in materia di gestione e valutazione della qualità dell'aria. Tali amministrazioni sono pertanto competenti nella zonizzazione del territorio (con la relativa classificazione delle zone in funzione dei livelli di inquinamento registrati), nel monitoraggio della qualità dell'aria, nella valutazione annuale dei livelli di inquinamento e nella pianificazione degli interventi di risanamento della qualità dell'aria.
  Secondariamente, si segnala che la legislazione comunitaria in materia di qualità dell'aria (direttiva 2008/50/CE e direttiva 2004/107/CE) prevede che gli stati debbano assicurare, entro specifiche date, il rispetto di determinati obiettivi di qualità dell'aria per una serie di inquinanti, grazie alla pianificazione di misure ed interventi di risanamento.
  In particolare, per il materiale particolato PM10 sono previsti due valori limite per le concentrazioni in aria ambiente, un limite annuale (pari a 40 mg/m3) ed un limite giornaliero (pari a 50 mg/m3 da non superare più di 35 volte per anno civile), da rispettare a partire dal 1o gennaio 2005.
  Tali limiti non risultano rispettati in ampie aree del territorio nazionale, situate presso la maggior parte delle regioni.
  Tale situazione di inadempimento è però differenziata sul territorio nazionale: infatti, mentre per le Regioni del centro-sud il mancato rispetto dei valori limite è localizzato in piccole aree, appartenenti per lo più ai principali centri urbani, nel bacino padano i superamenti, anche a causa di condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli, sono diffusi su tutto il territorio.
  Concentrando, ad esempio, l'analisi del trend dei valori del materiale particolato PM10 dal 2002 al 2014 a tutti i capoluoghi lombardi, si può evidenziare come dal 2013 il valore limite sulla media annua sia stato rispettato in tutti i capoluoghi, mentre il limite giornaliero è rispettato nei capoluoghi di Como, Lecco, Sondrio e Varese, con un miglioramento rispetto al 2013 in cui tale limite era rispettato solo nel capoluogo di Lecco. Si osserva, inoltre, che il numero di giorni di superamento della media giornaliera è fortemente diminuito nel tempo.
  Tali dati evidenziano, quindi, sebbene in un contesto di miglioramento generale della qualità dell'aria, come il problema dell'inquinamento da PM10 sia esteso all'intero territorio della regione Lombardia.
  Da un punto di vista tecnico, parte del problema è identificabile nella specificità meteo-climatica e orografica della Lombardia, e dell'intero bacino padano, che determina una situazione particolarmente critica in quanto ostacola la dispersione degli inquinanti emessi in atmosfera e favorisce la formazione di composti secondari a seguito di reazioni chimiche (quali ozono, materiale particolato PM10 e PM2,5 e biossido di azoto NO2). Questa particolare criticità naturale del bacino padano rende particolarmente difficile il rispetto degli obiettivi di legge, nonostante gli sforzi sostenuti.
  Le regioni dei bacino padano, attraverso una intensa collaborazione reciproca ed un continuo confronto con il Ministero dell'ambiente, sono da anni impegnate ad attuare attività comuni volte al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di qualità dell'aria posti a maggiore tutela della salute dei cittadini dalle direttive comunitarie e dalle norme nazionali di riferimento.
  Per tale ragione da anni le regioni del bacino padano promuovono attività comuni di miglioramento della qualità dell'aria che nel tempo hanno consentito un costante e progressivo miglioramento dello stato della qualità dell'aria.
  La regione Lombardia, ad esempio, ha approvato nel 2013 il nuovo piano regionale degli interventi per la qualità dell'aria, che costituisce il nuovo strumento di pianificazione e di programmazione regionale in materia di qualità dell'aria, aggiornando ed integrando quelli già esistenti ed individuando misure più rigorose per il contenimento delle emissioni. Tale piano individua un insieme di azioni ed interventi suddivisi tra i tre macrosettori «Trasporti su strada e mobilità», «Sorgenti stazionarie e Uso razionale dell'energia» e «Attività agricole e forestali», attuabili nel breve, medio e lungo periodo, efficaci per assicurare la massima riduzione degli inquinanti, tenendo in considerazione anche la relativa fattibilità e sostenibilità.
  Considerando l'effetto delle azioni di Piano, la regione Lombardia ha stimato che le nuove misure consentono il rientro all'interno del valore limite relativo alla media annuale di materiale particolato PM10 già dal 2015 su tutto il territorio regionale, mentre si evidenzia una maggiore difficoltà nel rientro del numero di superamenti del limite giornaliero, con orizzonte al 2020, per alcune zone/agglomerati, tra cui l'agglomerato di Brescia. Per tale zona le stime effettuate, con orizzonte temporale al 2015-2020, circa gli effetti derivanti dall'attuazione delle misure previste dal nuovo piano, mostrano comunque un trend in diminuzione del numero di superamenti del valore limite giornaliero del materiale particolato PM10.
  Ciò premesso, per quanto concerne gli aspetti relativi all'adozione di piani stringenti per il contenimento dell'inquinamento atmosferico in tutto il territorio italiano, si evidenzia che lo scrivente Ministero ha avviato da tempo una strategia condivisa con gli altri ministeri aventi competenza sui settori emissivi quali trasporti, energia, inclusi gli usi civili, attività produttive ed agricoltura, per l'individuazione di misure da attuare congiuntamente nel territorio nazionale al fine di contrastare i reiterati superamenti delle concentrazioni limite di materiale particolato PM10 e di biossido di azoto NO2 registrati in ampie zone del territorio nazionale.
  In tale contesto, nel dicembre 2013, si è arrivati alla sottoscrizione di un importante accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole e della salute e le regioni e province autonome del bacino padano, contenente misure coordinate e congiunte volte a promuovere il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano.
  Nel merito, l'accordo prevede l'assunzione di precisi impegni per le parti sotto- scrittrici, da attuarsi attraverso la predisposizione di misure di breve, medio e lungo periodo per il contrasto dell'inquinamento atmosferico nel bacino padano, quali, ad esempio, l'elaborazione di proposte normative condivise sulla riforma degli attuali sistemi di riqualificazione energetica degli edifici, sull'individuazione di linee guida nel settore agricolo o nel settore dei trasporti, sull'aggiornamento dei vigenti piani urbani della mobilità nonché per la predisposizione di studi relativi alla revisione dei limiti di velocità dei veicoli di trasporto di passeggeri e merci nelle zone del bacino padano.
  In particolare, per le regioni del bacino padano è previsto l'impegno ad attuare tali proposte normative nei propri territori attraverso una modifica dei propri piani di qualità dell'aria, che sono gli strumenti previsti dalle norme nazionali di settore per garantire il rispetto dei valori limite per la protezione della salute umana stabiliti dalle disposizioni comunitarie.
  Contestualmente all'attuazione del citato accordo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha altresì avviato una interlocuzione con le regioni del centro e sud Italia finalizzata a porre in essere soluzioni mirate e condivise, sul modello del suddetto accordo di programma delle regioni del bacino padano, per l'individuazione di misure congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria dei territori di tali regioni.
  Si segnala, infine, che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente, la Conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni Italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
  In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), il protocollo prevede: l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 Km orari nelle aree urbane estese al territorio comunale ed alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Nel protocollo, inoltre, Ministero, regioni e Anci si sono impegnati a promuovere ulteriori misure tra cui il controllo e la riduzione delle emissioni degli impianti di riscaldamento delle grandi utenze, incrementando l'efficienza energetica e agevolando il passaggio a combustibili meno inquinanti, il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni (rinnovando il parco mezzi), misure di sostegno e sussidio finanziario per l'utenza del trasporto pubblico come, ad esempio, l'offerta di abbonamenti integrati treno/bus/metro/bike o carsharing, sosta gratuita nei nodi di scambio extraurbani, corsie preferenziali per il trasporto pubblico e aree di totale pedonalizzazione, nonché la diffusione di buone pratiche agricole per limitare le emissioni di ammoniaca derivanti dalla somministrazione di fertilizzanti azotati o dagli allevamenti.
  Con riferimento ai quesiti posti dall'interrogante circa il sistema agenziale e l'adeguatezza dei controlli, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto legislativo 155 del 2010 ha previsto dalla sua entrata in vigore l'attivazione di un processo di revisione di tutte le reti regionali di monitoraggio. Tale processo, che attualmente è stato svolto da quasi tutte le regioni e province autonome, vede il coinvolgimento a vario titolo di istituti ed enti di ricerca quali ISPRA, ENEA e CNR.
  Nello specifico la norma citata prevede che tutte le regioni e le province autonome siano tenute a riesaminare le preesistenti reti di monitoraggio della qualità dell'aria in conformità alla previsione legislativa ed agli indirizzi espressi dal Coordinamento ex articolo 20 del decreto legislativo 155 del 2010. A tal fine le regioni sono tenute a predisporre degli appositi progetti di revisione delle reti da trasmettere al Ministero dell'ambiente, per una preventiva valutazione, prima dell'adozione formale. Si precisa che la valutazione di tali progetti regionali viene svolta, come previsto dalla norma, dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con il diretto supporto di ISPRA ed ENEA. Si evidenzia inoltre che il formato per la trasmissione dei citati progetti al Ministero all'ISPRA ed all'ENEA è stato individuato con il decreto ministeriale 22 febbraio 2013 che è basato direttamente sugli indirizzi maturati nel Coordinamento ex articolo 20 del decreto legislativo 155 del 2010 a proposito delle attività di razionalizzazione delle reti regionali da condurre sul territorio nazionale. Tali indirizzi sono recepiti dalla «linea guida per l'individuazione della rete di monitoraggio della qualità dell'aria» elaborata tra il 2010 ed il 2011 con la partecipazione di esperti regionali, delle ARPA, di ISPRA, ENEA e CNR.
  In ultimo, si evidenzia che con la legge n. 132 del 28 giugno 2016 (pubblicata sulla GURI, Serie Generale n. 166 del 18 luglio 2016), è stato istituito il sistema nazionale a rete per la protezione dell'ambiente.
  La riforma, frutto di un articolato processo di approvazione durato circa tre anni, innova complessivamente il quadro della protezione ambientale nel nostro paese, omogeneizzando le attività delle agenzie ambientali presenti nelle varie regioni e province autonome, anche attraverso l'istituzione di specifici livelli essenziali delle prestazioni tecniche ambientali (LEPTA).
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina, e continuerà comunque a tenersi informato nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti degli enti territoriali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CANCELLERI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Mussomeli può vantare una serie di siti archeologici e aree di interesse culturale di straordinario valore e potenzialità;
   il comune ha acquisito una «carta archeologica del territorio» di cui è in possesso da circa vent'anni, che elenca in dettaglio i beni di interesse presenti nella sua giurisdizione, dal castello Manfredonico, all'Antiquarium comunale, ai siti archeologici di Polizzello, Raffe, e poi Tre Fontane, Grotte, ed ancora ad un altro centinaio di aree e siti per i quali ad oggi non sono nemmeno partite le attività di scavo;
   al momento, si rileva che verso questi importanti siti non vi è alcuna attenzione e si constata un generalizzato stato di incuria e di disinteresse;
   se non si interviene contro l'incuria, i rischi concreti ed attuali consistono nella perdita di uno strumento di crescita e di ricchezza, nel decadimento irrimediabile dei beni, nel fiorire di una depredazione e di un traffico criminale ovvero nell'abbandono di questo patrimonio a favore di soggetti privati, anziché – come doveroso – dell'intera comunità, possibile abuso da parte di imprenditori o comuni cittadini a intervenire ed edificare là dove invece si trovano importanti testimonianze del nostro passato –:
   se il Governo intenda porre in essere attività e interventi, per quanto di competenza, al fine di verificare lo stato dei beni e della loro gestione;
   se il Governo intenda accertare, per quanto di competenza, se siano verificati episodi di vandalismo o sottrazione o altro;
   se il Governo intenda porre in essere iniziative al fine di consentire la rivalutazione e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico e culturale del territorio. (4-13474)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, premesso che il comune di Mussomeli vanta una serie di siti archeologici e aree di interesse culturale di straordinario valore e potenzialità, e che alcuni versano in uno stato di incuria e di disinteresse, chiede se il Ministero intenda porre in essere attività e interventi, per quanto di competenza, al fine di verificare lo stato dei beni e della loro gestione, nonché porre in essere iniziative al fine di consentire la rivalutazione e la valorizzazione del patrimonio storico, archeologico e culturale del territorio.
  Occorre premettere ancora una volta che, come certamente noto anche all'interrogante, tutte le competenze dello Stato in materia di «antichità, opere artistiche e musei, nonché di tutela del paesaggio», già da lungo tempo sono state trasferite alla Regione Sicilia, in virtù dell'articolo 14, lettera
n), del relativo Statuto, approvato con regio decreto-legge 15 maggio 1946, n. 455 (convertito nella legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2) e delle disposizioni contenute nel decreto del Presidente della Repubblica 30 agosto 1975, n. 637, recante «Norme di attuazione dello statuto della Regione Siciliana in materia di tutela del paesaggio e di antichità e belle arti». Pertanto, in questa sede è possibile riferire solo quanto è stato comunicato, in spirito di leale collaborazione fra istituzioni, dall'Assessorato dei beni culturali e dell'identità siciliana della Regione Sicilia con nota dell'ottobre 2016, nonché dalla Prefettura – Ufficio Territoriale del Governo di Caltanissetta con nota dell'ottobre 2016.
  Il sito archeologico di Polizzello è centro della media età del bronzo. L'insediamento, che si trova a circa dieci chilometri a nord-est dell'abitato di Mussomeli, risale al XIX secolo a.C. ma l'area, denominata «Montagna di Polizzello», fu abitata fin dall'XI e fino al VI secolo a.C.. L'area è articolata in terrazze: sulla cima dell'altura si trova l'acropoli, edificata a cavallo tra l'XI e il IX secolo a.C., mentre il livello sottostante è occupato dall'abitato di età preistorica e arcaica e, sulle pendici e sui fianchi della «Montagna», si sviluppa invece la necropoli. La prima campagna di scavo, sotto la direzione di Paolo Orsi, risale alla prima metà degli anni ’20 e ha interessato l'acropoli.
  L'intera zona archeologica di Polizzello (la «Montagna»), che è estesa più di 83 ettari, è di proprietà del demanio storico-artistico e culturale della Sicilia ed è interamente recintata.
  Con d.a. n. 2707 del 30 ottobre 1986, ai sensi della legge n. 1089 del 1939, l'area è stata dichiarata di importante interesse archeologico.
  La Soprintendenza di Agrigento prima e quella di Caltanissetta dopo, a partire dal 1984/85, hanno ripreso sistematicamente le ricerche riportando alla luce il complesso santuariale dell'acropoli. Dal giugno 2004 al luglio del 2008 sono stati realizzati i lavori di valorizzazione dell'area archeologica di Polizzello, per un importo di euro 2.471.092,05, finanziati con fondi POR Sicilia 2000/2006.
  Nel 2012 l'assessorato dei beni culturali e dell'identità siciliana ha approvato e finanziato il progetto esecutivo di completamento relativo ai lavori di valorizzazione, promozione, salvaguardia e restauro dell'area archeologica di Polizzello in territorio di Mussomeli per un importo complessivo di euro 405.000,00.
  Il sito di Raffe, abitato fin dal II millennio a.C. e fino al medio evo, è un'altura gessosa posta a metà strada tra l'abitato di Mussomeli e quelli di Bompensiere e Montedoro. Nonostante raggiunga la modesta quota di 423 m., il sito viene definito «Monte Raffe» in quanto rappresenta una vera e propria emergenza che domina il territorio limitrofo a 360 gradi, in posizione strategica sulla valle del Gallo d'Oro alla confluenza del Salito con il torrente Fiumicello.
  L'abitato è di età ellenistica classica, disposto su terrazzamenti che si dipartono dalla parte più alta della montagna, con cinta muraria sul lato meridionale, santuari fuori le mura e numerose tombe a «grotticella» sui fianchi orientale e settentrionale.
  L'area appartiene in parte al demanio storico-artistico e culturale della Sicilia, 17 ettari circa, e in parte al Comune di Mussomeli, 34 ettari.
  L'individuazione del sito, che risale al 1956/57, si deve Antonino Salinas, ma le prime indagini sono state eseguite a partire dal 1983 e fino al 1995-96.
  Ulteriori indagini sono state portate a termine successivamente, tra il 2007 e il 2008, dalla Soprintendenza di Caltanissetta.
  Viene riferito di indagini finalizzate alla verifica della compatibilità tra eventuali ritrovamenti e le infrastrutture da realizzare (sentieri, parcheggi, piantumazioni, ecc.) con il progetto dei lavori di sistemazione del Parco dell'Area archeologica di contrada Raffe, denominato Byo Valley, ammesso a finanziamento PIT (Progetto integrato territoriale) e gestito dalla Provincia regionale di Caltanissetta e dal Comune di Mussomeli per un importo complessivo di euro 2.788.867,25.
  La competente Soprintendenza beni culturali di Caltanissetta, incaricata della sorveglianza dei lavori, ha condotto una campagna di scavo, per un importo di euro 477.000,00.
  All'interno della vasta area, espropriata di proposito dal comune di Mussomeli per la realizzazione del parco, le numerose importanti testimonianze portate alla luce hanno determinato la necessità di apportare sostanziali modifiche al progetto dei lavori e di redigere una variante al progetto finanziato.
  Il sito archeologico di Grotte è costituito da un'ampia vallata, a sud-ovest di Mussomeli, frequentata inizialmente in età preistorica e interessata da resti di strutture murarie di un antico insediamento romano di epoca imperiale e da due alture di pietra calcarea, con grotte scavate, databili IV-VI sec. a.C.
  L'area, di proprietà privata, è gravata, con d.a. 5602 del 18 maggio 1992, da dichiarazione di notevole interesse archeologico ai sensi della legge 1089/39.
  Le aree archeologiche del territorio del comune di Mussomeli sono inserite nel Piano paesaggistico regionale, approvato con d.a. n. 1858 del 2 luglio 2015, all'interno del paesaggio locale 6 «Area delle colline di Mussomeli», e alle stesse è stato attribuito il livello di tutela 3.
  Il territorio di Mussomeli è stato abitato fin dall'antichità da popolazioni indigene ed è stato da sempre oggetto di particolare attenzione da parte della Soprintendenza di Caltanissetta, proprio in quanto rappresenta «... la chiave per la comprensione delle dinamiche socio-politiche degli indigeni che abitavano l'entroterra siciliano tra gli inizi della preistoria e il periodo dello sviluppo coloniale dei greci».
  Le aree archeologiche del territorio di Mussomeli, tutte sottoposte a tutela, coprono una superficie che supera complessivamente i 150 ettari e, tenuto conto della particolare complessità e della straordinaria ricchezza, sono state al centro di attività e iniziative finalizzate alla salvaguardia, alla valorizzazione ed alla fruizione del patrimonio archeologico. Compatibilmente con le risorse finanziarie disponibili, sono state intraprese azioni a più livelli che, a seconda delle priorità e delle contingenze, si sono concretizzate attraverso i procedimenti di vincolo, le campagne di scavo, i progetti di valorizzazione e anche, più semplicemente, attraverso la realizzazione di opere finalizzate alla dissuasione ed al contenimento del fenomeno degli scavi clandestini.
  A seguito delle campagne di scavo, che hanno interessato soprattutto le aree di Polizzello e Raffe, sono stati promossi convegni e giornate di studio, con il coinvolgimento di esperti e studiosi a vario titolo, che hanno apportato significativi contributi alla ricerca, alla lettura e interpretazione delle strutture e dei reperti.
  Tutte le aree archeologiche del territorio di Mussomeli sono mantenute in buono stato di conservazione e le condizioni del patrimonio sottoposto a tutela sono periodicamente verificate dal personale della Soprintendenza.
  Inoltre, il dipartimento dei beni culturali e dell'identità siciliana ha recentemente nominato un «ispettore onorario», anche per il territorio di Mussomeli, per la sorveglianza dei siti sottoposti a tutela.
  Gli scavi clandestini, che periodicamente affliggono il territorio, vengono tempestivamente segnalati dagli ispettori onorari che provvedono inoltre a relazionare su qualsivoglia anomalia riscontrata.
  La stazione dei carabinieri di Mussomeli e il Nucleo tutela patrimonio dei Carabinieri di Palermo operano incessantemente sul territorio e svolgono la propria attività di repressione sulle attività di sciacallaggio e di saccheggi di concerto con la Soprintendenza di Caltanissetta.
  In particolare, in data 19 settembre 2010, sono stati deferiti all'autorità giudiziaria 4 soggetti sorpresi all'interno del sito archeologico contrada «Monte Raffa» per violazioni in materia di ricerche archeologiche e di impossessamento di beni culturali appartenenti allo Stato, con il sequestro di oggettistica di interesse archeologico, nonché di un escavatore ed attrezzi per gli scavi.
  Si segnala altresì che nel mese di ottobre 2013 ignoti hanno danneggiato i due lucchetti che assicurano la chiusura di un cancello della recinzione del sito in corrispondenza della contrada Polizzello. Anche questo fatto è stato denunciato dalla Soprintendenza alla stazione dei carabinieri di Mussomeli per i beni culturali ed ambientali di Caltanissetta.
  Inoltre, in data 3 settembre 2015, presso il sito archeologico sito in contrada «Monte Raffa», è stata verificata l'esistenza di uno scavo abusivo. Il fatto è stato denunciato alla Stazione carabinieri di Mussomeli dalla Soprintendenza e contestualmente segnalato dalla medesima al Nucleo carabinieri tutela patrimonio culturale di Palermo.
  Si rappresenta, infine, che il Comando provinciale dei carabinieri ha comunicato l'assenza di danneggiamento nei confronti dell’
Antiquarium comunale, che risulta regolarmente custodito, e del Castello Manfredonico, sito nella periferia del centro abitato di Mussomeli, nei confronti del quale è invece segnalato un pericolo di crollo che interessa un costone di roccia, pericolo che risulta noto sia al Comune di Mussomeli che alla Soprintendenza.
  In merito all'annoso problema della prevenzione degli incendi nel periodo estivo, anche quest'anno è stata approntata dalla Soprintendenza di Caltanissetta una perizia (n. 5 del 26 aprile 2016) per le «Operazioni di staglia-fuoco nelle aree demaniali archeologiche e culturali della giurisdizione della Soprintendenza di Caltanissetta» il cui finanziamento, a carico del capitolo 776015 relativo a «spese per l'esplorazione e scavi archeologici, per la custodia e l'agibilità, conservazione e restauro dei monumenti archeologici e delle zone archeologiche...», non ha potuto trovare adeguata copertura per indisponibilità di fondi.
  Tuttavia, in virtù di una convenzione dell'agosto 2013 stipulata tra il dipartimento dei beni culturali e l'azienda foreste demaniali della Regione Siciliana, è stata ottenuta la collaborazione del distaccamento forestale competente per territorio ad effettuare servizi di prevenzione, repressione e controllo mirati alla salvaguardia del patrimonio archeologico.
  Ad oggi, conclude il documento inviato dall'assessorato della regione, in considerazione della notevole estensione delle aree archeologiche e delle risorse finanziarie messe a disposizione, si ritiene che la Soprintendenza beni culturali di Caltanissetta abbia indubbiamente promosso e attivato tutte le misure atte alla rivalutazione e valorizzazione del patrimonio storico archeologico e culturale del territorio di Mussomeli.
  Infine, è appena il caso di aggiungere che lo statuto della regione e le relative norme di attuazione, precedentemente citate, ostano all'intervento del Ministero auspicato dall'interrogante.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   CARFAGNA. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la violenza fisica rappresenta una violazione dei diritti della persona riconosciuta in tutte le sedi istituzionali di ogni Paese civile ed organizzazione internazionale. Alcune esperienze internazionali anche recenti confermano che è possibile ottenere dei risultati tangibili nella lotta alle forme di violenza attraverso strategie politiche che si appoggino ad una precisa conoscenza tecnica di tutti gli aspetti del fenomeno. Sicuramente una leva importante sarebbe quella di comprendere e quantificare il peso economico che le violenze determinano in termini di costi di salute pubblica, incidendo sulle casse dello Stato;
   la violenza di genere, infatti, determina oltre che un costo sociale anche un aggravio economico per la finanza pubblica. Si tratta di voci di costo dei vari servizi, pubblici e privati, che lo Stato, le stesse vittime e le aziende devono sostenere a seguito degli episodi di violenza. Si va dai costi sanitari per cure psicologiche, ai costi per l'ordine pubblico, ai costi giudiziari, per le spese legali relativi alla sicurezza delle donne e della collettività, fino ad arrivare ai costi dei servizi sociali dei comuni e dei centri antiviolenza relativi all'assistenza delle vittime e dei loro familiari;
   sicuramente una voce importante è quella costituita dai costi sanitari. Da recenti notizie di stampa, è per esempio emersa la dispendiosa gestione, presso il Svs della Mangiagalli di Milano, dei tamponi raccolti sulla vittima in caso di violenza fisica. Si è scoperto infatti che i tamponi repertati dopo l'atto di violenza vengono conservati nei freezer dell'istituto di Medicina legale e cestinati mediamente dopo 5 anni;
   l'adeguata conservazione del referto permetterebbe la creazione di una «Banca Dati» preziosa per l'indagine e la ricerca dei profili genetici dei violentatori che spesso sono sconosciuti per le vittime e agiscono in via seriale. Nel caso della Mangiagalli di Milano, per esempio, l'analisi sul tampone raccolto non supera il costo vivo di 100 euro e la spesa annua sarebbe di neppure 100 mila euro. Tuttavia, nonostante le numerose richieste, le istituzioni preposte hanno argomentato l'impossibilità della creazione di una banca dati contenente i profili genetici dei violentatori per mancanza di fondi, anche se ad esempio le spese di giustizia della procura di Milano ammontano a oltre 29 milioni di euro nel 2013 e circa 18 milioni per le sole intercettazioni;
   come noto, nel corso della visita effettuata presso i nosocomi a seguito di un evento di violenza fisica, per regolamento sanitario è profilassi attuare le prestazioni cliniche e medico-legali previste per la cosiddetta «fase acuta», entro un massimo di cinque giorni e comunque preferibilmente nelle prime 72 ore, al fine di acquisire i reperti utili ai fini forensi. Tuttavia, sull'uso successivo e la conservazione dei referti acquisiti non esiste una profilassi comune;
   l'accurata tutela di quella che è chiamata, in linguaggio giuridico, «catena di custodia» è alla base della procedura penale forense, e permette l'applicazione delle norme basilari di difesa della vittima che si basano sull'uso della refertazione di tracce pertinenti al reato (articoli 191, 244, secondo comma, 247 comma I-bis del codice di procedura penale) anche nei casi in cui il violentatore sia conosciuto dalla vittima stessa –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'utilizzo della refertazione biologica descritta in premessa presso il Svs Mangiagalli di Milano; se non ritengano opportuno avviare un censimento presso i nosocomi ed i centri di primo soccorso italiani che effettuano prelievi biologici sulle vittime di violenza al fine di evitare episodi di interruzione della catena di custodia; se non ritengano opportuno, grazie al corretto utilizzo dei referti biologici ed in sinergia con le procure d'Italia, utilizzare ed implementare la banca dati di cui alla legge n. 85 del 2009 su rete nazionale che, nel rispetto della privacy, al fine di implementare la tutela della vittima di violenza sessuale anche in ambito processuale. (4-09315)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante paventa criticità nella «catena di custodia» di reperti biologici relativi a vittime di violenza fisica, utili ad implementare la banca dati di cui alla legge n. 85 del 2009, al fine di agevolare le investigazioni ed assicurare adeguata tutela alle persone offese, soprattutto quelle vulnerabili.
  Chiede, pertanto, se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'utilizzazione della refertazione di campioni biologici effettuata presso la clinica Mangiagalli di Milano, se non sia opportuno avviare un monitoraggio riguardo le modalità di refertazione e custodia praticate nei nosocomi italiani e promuovere attività di coordinamento, in ambito giudiziario, per implementare la citata banca dati, a tutela delle vittime di violenza sessuale anche in ambito processuale.
  Con riferimento alle procedure adottate dal servizio SVSeD (soccorso violenza sessuale e domestica) del policlinico di Milano per la repertazione di elementi utili a successive indagini nei casi di reati di violenza sessuale, il Ministero dell'interno ha riferito le informazioni acquisite dalla prefettura di Milano presso l'unità operativa complessa pronto soccorso-accettazione ostetrico ginecologica del citato policlinico.
  Il protocollo prevede, in sintesi, il prelievo biologico mirato, in base alla descrizione della violenza subita, sulle vittime che prestino il necessario consenso informato.
  I tamponi, opportunamente etichettati, vengono successivamente inviati, unitamente ad altri reperti utili, al laboratorio di genetica forense dell'Università degli studi di Milano dove vengono conservati, in virtù di una convenzione in atto tra policlinico e università, con modalità tali da garantire l'osservanza della «catena di custodia», a disposizione dell'autorità giudiziaria che può richiedere l'estrapolazione da essi dei profili genetici, a fini investigativi.
  La convenzione prevede la distruzione dei reperti, decorsi cinque anni dalla loro acquisizione.
  Al servizio compete, dunque, la mera conservazione dei reperti, in virtù di protocolli validati scientificamente a livello internazionale, mentre è attribuita alle prerogative della magistratura disporre sui medesimi attività di analisi ed estrazione dei profili biologici.
  Secondo le informazioni trasmesse dal Ministero dell'interno, i reperti conservati con le descritte modalità consentono, su disposizione dell'autorità giudiziaria, l'estrapolazione di profili di DNA, idonei ad essere inseriti nella banca dati di cui alla legge 30 giugno 2009, n. 85.
  Con tale provvedimento normativo, l'Italia ha provveduto alla ratifica del Trattato di Prum che, con la finalità di rafforzare la cooperazione transfrontaliera nella lotta alla criminalità, disciplina, in particolare, l'impegno fra le Parti contraenti a creare schedari nazionali di analisi del DNA e a scambiare le informazioni contenute in tali schedari, come pure l'impegno a scambiare le informazioni sui dati dattiloscopici.
  Nella delineata prospettiva, la legge citata ha previsto l'istituzione, presso il Ministero dell'interno, di una banca dati nazionale del DNA e, presso il Ministero della giustizia, di un laboratorio centrale, con la finalità di identificazione degli autori dei reati.
  L'articolo 7 della legge individua le attività affidate alla banca dati nazionale del DNA, ovvero:
   a) la raccolta del profilo del DNA, ad esclusione di una serie di reati specificatamente indicati, dei soggetti di cui all'articolo 9, commi 1 e 2: soggetti raggiunti da ordinanza di custodia cautelare o di arresti domiciliari; arrestati in flagranza, fermati, detenuti in esecuzione di pena; soggetti a misura alternativa alla detenzione; sottoposti a misura di sicurezza detentiva;
   b) raccolta dei profili del DNA relativi a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali;
   c) raccolta dei profili del DNA di persone scomparse o loro consanguinei, di cadaveri e resti cadaverici non identificati;
   d) raffronto dei profili del DNA a fini di identificazione.

  L'articolo 16 della medesima legge, inoltre, rimanda ad uno o più regolamenti per la determinazione della disciplina relativa sia al funzionamento e all'organizzazione della banca dati nazionale del DNA, sia alle tecniche e alle modalità di analisi e conservazione dei campioni biologici e dei profili di DNA.
  Con decreto del Presidente della Repubblica del 7 aprile 2016, n. 87, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 maggio 2016, è stato adottato il «Regolamento recante disposizioni di attuazione della legge 30 giugno 2009, n. 85, concernente l'istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, ai sensi dell'articolo 16 della legge n. 85 del 2009».
  Oltre ad attuare l'istituzione della banca dati e del relativo laboratorio centrale, al fine di facilitare le attività di identificazione degli autori di reato e delle persone scomparse, il decreto disciplina lo scambio delle informazioni raccolte per fini di cooperazione internazionale tese alla lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera.
  In particolare, il regolamento stabilisce le tecniche e le modalità di acquisizione e gestione dei campioni biologici, oltre ai tempi di conservazione e alla cancellazione dei profili estratti. Vengono individuate, inoltre, le attribuzioni dei responsabili della banca dati e del laboratorio centrale, al fine di assicurare l'osservanza dei criteri e delle norme tecniche di funzionamento del database.
  La banca dati è collocata presso il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno (servizio per il sistema informativo interforze della direzione centrale della polizia criminale), mentre il laboratorio centrale presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale dei detenuti e del trattamento, del Ministero della giustizia.
  Il database è stato predisposto per raccogliere e confrontare i profili del DNA raccolti. Il software è organizzato su due livelli gestionali: il primo, usato per le investigazioni interne al territorio nazionale; il secondo, per la collaborazione internazionale di polizia sul fronte della lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera.
  Quanto al laboratorio, lo stesso è dotato di strutture «robotizzate» in grado di elaborare automaticamente le fasi di tipizzazione del DNA (accettazione, catalogazione e conservazione dei campioni biologici; set-up; estrazioni, quantificazioni, lettura e interpretazione del profilo).
  L'archivio unico nazionale per la raccolta e il raffronto dei profili estratti sarà alimentato soprattutto attraverso il prelievo di campioni biologici dei soggetti indicati dalla legge, e l'acquisizione del campione avverrà attraverso prelievi di mucosa orale, «allo scopo di consentire l'eventuale ripetizione della tipizzazione del DNA, previa identificazione degli stessi tramite accesso telematico all'AFIS e registrazione delle operazioni di identificazione e prelievo, a cura dell'organo procedente, nel sistema AFIS».
  Il prelievo è effettuato solo se il soggetto non è stato già sottoposto in precedenza ad analoga operazione, salvi i casi di dispersione, e dovrà provvedervi personale della polizia penitenziaria, specificamente formato e addestrato.
  Il regolamento prevede i tempi per la conservazione dei profili, determinati in 30 anni dall'ultima registrazione, ovvero per 40 in caso di condanna con recidiva, e le modalità ed i casi di distruzione dei reperti.
  Le disposizioni introdotte e le procedure di autenticazione, di registrazione e di analisi degli accessi e delle operazioni relativi alla banca dati nazionale del DNA e al laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, che hanno registrato il parere favorevole del garante della protezione dei dati personali in data 28 luglio 2016, consentono ora di disporre di strumenti efficaci nel contrasto alla violenza, anche di genere.
  Del resto, al tema è stata rivolta prioritaria attenzione nell'agenda del Governo.
  Già la legge 15 ottobre 2013, n. 119, di conversione del decreto-legge 14 agosto 2013 n. 93, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto alla violenza di genere», ha inteso inasprire, con finalità dissuasive, il trattamento sanzionatorio nei confronti degli autori di reati di violenza domestica perpetrata nei confronti delle donne.
  Ma notevole impegno è stato profuso nella realizzazione di una vera e propria rete di sostegno alle vittime di abusi e violenze.
  Sono state, infatti, adottate azioni specificamente volte ad incoraggiare le vittime vulnerabili, soprattutto le donne, a denunciare i reati consumati in loro danno.
  In particolare, merita di essere ricordata l'adozione generalizzata del progetto «Codice Rosa bianca» che – già in corso di sperimentazione con il patrocinio dai Ministeri della giustizia e della salute e con la cooperazione istituzionale tra ASL, forze di polizia e procure della Repubblica – intende assicurare un accesso privilegiato alle cure sanitarie delle vittime di maltrattamenti ed abusi.
  Al fine di delineare un vero e proprio sistema di garanzie attraverso una disciplina generalizzata per la protezione, l'assistenza e la tutela di ogni persona offesa dal reato, è stato adottato il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, in attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.
  Il decreto, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 5 gennaio 2016, ha inteso apprestare un efficace apparato difensivo per tutte le vittime di reato, soprattutto le più vulnerabili, nella consapevolezza non solo di un doveroso adeguamento agli standard europei, ma, soprattutto, della necessità di assicurare posizione paritaria ai diritti di tutte le parti del processo.
  Il sistema di tutela ha recentemente visto il suo perfezionamento attraverso l'istituzione di un fondo destinato al ristoro patrimoniale delle vittime di reato che, unitamente all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato per le persone offese dei delitti di violenza sessuale al di fuori dei limiti reddituali previsti, intende ampliare nella massima latitudine la salvaguardia dei soggetti vulnerabili ed il pieno esercizio del diritto di difesa.
  Da ultimo, nell'ambito dei lavori parlamentari finalizzati all'approvazione della legge di bilancio per il 2017, è stato approvato – lo scorso 23 novembre – uno specifico emendamento che destina cinque milioni di euro annui, in incremento del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per il triennio 2017-2019, finalizzati alle attività di assistenza e sostegno alle donne vittima di violenza ed ai loro figli, in favore del piano antiviolenza, dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CARRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   i commi dal 640 al 668 della legge di stabilità n. 147 del 2013 hanno istituito la TARI;
   la legge presenta una contraddizione evidente che deve essere rimossa;
   il problema nasce dal comma 649 che recita: «Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune, con proprio regolamento, può prevedere riduzioni della parte variabile proporzionali alle quantità che i produttori stessi dimostrino di avere avviato al recupero» e dal comma 661 che lo contraddice: «Il tributo non è dovuto in relazione alle quantità di rifiuti assimilati che il produttore dimostri di aver avviato al recupero»;
   in sostanza il comma 661 sembra sottrarre al comune il potere decisionale che invece il comma 649 gli riconosce in merito alla possibilità di concedere l'eventuale riduzione tariffaria (comunque limitata alla sola parte variabile della tariffa) per i rifiuti speciali assimilati ai rifiuti urbani;
   com’è noto i rifiuti da attività industriali, artigianali, commerciali e agricoli sono classificati «speciali» per origine; alcuni di essi possono essere assimilati ai rifiuti urbani con regolamento del comune;
   la disposizione della legge di stabilità riguarda appunto quei rifiuti assimilati ai rifiuti urbani che non vengono avviati dall'impresa allo smaltimento bensì, in modo certo, ad operazioni di recupero;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è intervenuto per fare chiarezza con la circolare 1/2014 del 13 febbraio 2014. Per il Ministero devono essere i comuni a decidere se ridurre o meno la TARI in proporzione alla quantità di rifiuti che il produttore dimostrerà di avere avviato al recupero;
   per il Ministero infatti, nell'evidenza del difetto di coordinamento esistente fra le due disposizioni è il comma 661 a risultare non conforme rispetto essendo sopravvenuta solo con una modifica parlamentare;
   conclude la circolare che ”Alla luce di quanto precede, il principio di ragionevolezza suggerisce di dare la precedenza, per i motivi esposti, e sino ad un chiarimento normativo di certo auspicabile, al disposto dell'articolo 1, comma 649, seconda parte, anche allo scopo di prevenire un prevedibile contenzioso, di durata non determinabile, a scapito di operatori e aziende, con possibile indesiderata maggiorazione di oneri per spese e interessi;
   è dunque ravvisato anche in tale atto un «auspicabile intervento normativo» per dare certezza sia ai comuni che devono disciplinare la TARI sia i produttori dei rifiuti assimilati destinati al recupero sui reali effetti della legge nei loro confronti –:
   se e in che termini il Governo intenda adottare iniziative per eliminare la discrasia fra le due disposizioni di legge. (4-03666)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  Innanzitutto, occorre premettere che, sulla base della normativa vigente, decreto legislativo n. 152 del 2006, i rifiuti sono classificati secondo l'origine in «urbani» e «speciali»
ex articolo 184, comma 1 del citato decreto legislativo.
  Nei rifiuti urbani sono compresi, tra l'altro, i rifiuti domestici e i rifiuti speciali non pericolosi assimilati per quantità e qualità ai rifiuti urbani. Ai sensi dell'articolo 188 i rifiuti speciali sono gestiti autonomamente dal soggetto produttore, mentre,
ex articolo 198, comma 1, i rifiuti urbani e assimilati rientrano nella privativa comunale.
  La legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014) ha introdotto la tassa sui rifiuti (TARI), disciplinandone i relativi presupposti e contenuti.
  In particolare, con riferimento ai rifiuti speciali assimilati agli urbani, il comma 649 dell'articolo 1 della citata legge di stabilità prevedeva che il comune, nella determinazione della TARI, con proprio regolamento, potesse prevedere riduzioni della parte variabile proporzionali alle quantità che i produttori stessi avessero dimostrato di aver avviato a recupero.
  Nel contempo, il successivo comma 661 stabiliva che il tributo non era dovuto in relazione alla quantità di rifiuti assimilati che il produttore avesse dimostrato di aver avviato al recupero, dando luogo ad una mancanza di coordinamento tra le due disposizioni.
  La discrasia evidenziata in relazione alle disposizioni contenute nei commi 649 e 661 dell'articolo 1, legge 27 dicembre 2013, n. 147, in materia di applicazione della TARI per i rifiuti assimilati agli urbani avviati al recupero, è stata superata a seguito dell'emanazione del decreto-legge 6 marzo 2014, n. 16, convertito con modificazioni dalla legge 2 maggio 2014, n. 68, che ha abrogato il sopracitato comma 661.
  Inoltre, lo stesso decreto-legge n. 16 del 2014 ha modificato il testo del comma 649, seconda parte, dell'articolo 1 della Legge di Stabilità n. 147 del 2013, che attualmente recita: «Per i produttori di rifiuti speciali assimilati agli urbani, nella determinazione della TARI, il comune disciplina con proprio regolamento riduzioni della quota variabile del tributo proporzionali alle quantità di rifiuti speciali assimilati che il produttore dimostra di aver avviato al riciclo, direttamente o tramite soggetti autorizzati».
  Si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CARRESCIA, FAMIGLIETTI e SENALDI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione della legge 27 dicembre 2013 n. 147 e della Deliberazione del Consiglio nazionale d'amministrazione dell'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali n. 275/2001 è stata emanata la Circolare n. 3636 del 9 giugno 2014 del Ministero dell'Interno – Albo dei segretari comunali e provinciali;
   la lettura della Circolare in oggetto e le conclusioni a cui giunge hanno suscitato sconcerto nella categoria interessata per il modo in cui sono trattate le vicende dei Segretari coinvolti e per l'interpretazione data alla legge di stabilità 2014 e all'abolizione del divieto della reformatio in peius, conseguente all'abrogazione dell'articolo 202 del decreto del Presidente della Repubblica 3/1957 (Testo unico degli impiegati civili dello Stato);
   con la citata delibera n. 275 del 2001, il Consiglio nazionale d'amministrazione dell'Agenzia autonoma per la gestione dell'albo dei segretari comunali e provinciali aveva regolato il trattamento economico dei segretari comunali che, per effetto di scelte di carriera personali o di scelte politiche fatte dai nuovi sindaci e presidenti, si trovavano rispettivamente o a prestare servizio in Comuni di fascia inferiore o si trovavano privi di sede e quindi in disponibilità;
   con molto acume e buon senso la deliberazione 275 aveva stabilito che:
    a) i segretari comunali e provinciali, titolari di sedi di segreteria ovvero in posizione di disponibilità, possono essere nominati, in qualità di titolari, presso sedi di segreteria di classe immediatamente inferiore rispetto alla fascia professionale di appartenenza;
    b) i segretari, nominati ai sensi dei punti precedenti, mantengono la qualifica funzionale posseduta al momento della nomina, l'iscrizione nella fascia di appartenenza, oltreché il trattamento economico goduto nell'ultima sede di servizio secondo le modalità di seguito specificate:
     1) ove si tratti di segretari in posizione di disponibilità, assegnati dall'Agenzia a titolo di reggenza o supplenza in sedi di classe inferiore rispetto alla propria fascia di appartenenza, gli oneri relativi al versamento della differenza retributiva – tra quella in godimento e quella prevista per la fascia di appartenenza dell'ente – restano a carico dell'Agenzia medesima;
     2) qualora si tratti, invece, di segretari titolari di sede, gli oneri relativi alle differenze retributive tra quelle in godimento e quelle previste per la fascia professionale di appartenenza dell'ente inferiore, restano per intero a carico di quest'ultimo secondo le modalità da stabilirsi in sede di contrattazione collettiva decentrata integrativa di livello nazionale ai sensi degli articoli 4 e successivi del CCNL dei segretari comunali e provinciale del 16 maggio 2001;
   nella parte motiva della deliberazione 275/2001 non viene fatto nessun riferimento al divieto della reformatio in peius ed anzi il Consiglio di amministrazione della Agenzia nazionale aveva prodotto una puntuale ricostruzione delle ragioni giuridiche di tali scelte, legate alla normativa regolamentare di disciplina dell'ordinamento dei segretari comunali e provinciali contenute del decreto del Presidente della Repubblica n. 465 del 1997 e nel CCNL del 1998/2001 di categoria, tendendo a tutelare la posizione dei segretari che, per scelta o per imposizione, si trovavano a prestare servizio in comuni di fascia inferiore rispetto a quella ove prestavano servizio in precedenza, tutelandone i diritti giuridici ed economici conseguiti;
   tutto questo viene invece ignorato dalla circolare 3636/2014 che anzi, dall'abrogazione della norma di cui all'articolo 202 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, che sanciva un diritto dei lavoratori, fa derivare, come illogica conseguenza, il divieto di qualsiasi tutela anche negoziale di tale posizione giuridico/economica, senza minimamente considerare la possibilità di un passaggio intermedio che lasci agli enti interessati la facoltà di valutare entrambe le opzioni (se mantenere l'indennità di posizione in godimento nell'ente d'origine o applicare quella dell'ente di destinazione), con ciò ledendo l'autonomia di comuni e province che potrebbero operare scelte diverse volendo dotarsi di un segretario appartenente ad una fascia superiore, assumendone il costo (come previsto, per esempio, per i comuni in stato di dissesto ai quali è consentito scegliere segretari di fascia superiore, ex articolo 11, comma 9, del decreto del Presidente della Repubblica n. 465 del 1997);
   la circolare giunge alla incomprensibile conclusione per cui mentre il segretario che, avuta notizia che il sindaco neoeletto non voglia confermarlo, si ricolloca in un ente di fascia inferiore, perde il diritto a conservare il trattamento economico precedentemente goduto, se scegliesse invece di farsi collocare in disponibilità e poi si facesse assegnare dall'Agenzia al nuovo comune manterrebbe il diritto a conservare il trattamento precedente, così come lo manterrebbe per tutta la durata della disponibilità, se solo decidesse di rimanere in tale condizione di inattività;
   altra disparità di trattamento emerge dalla disposizione dell'articolo 19 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 465 del 1997 ove è previsto che: «Ai segretari comunali e provinciali collocati in posizione di disponibilità ed utilizzati per le esigenze dell'agenzia di cui all'articolo 7, comma 1, è corrisposto il trattamento economico in godimento nell'ultima sede di servizio»;
   in sostanza, se i segretari lavorano per l'Agenzia conservano il trattamento goduto nell'ente di provenienza, se vanno a lavorare in un comune di fascia inferiore lo perdono per effetto della circolare in oggetto;
   la conclusione a cui giunge la circolare appare agli interroganti illogica e contraria ai principi di buona fede. Ancor più se si pensa che la norma da cui origina tutta la vicenda, ovvero il comma 458 dell'articolo 1 della legge n. 147 del 2013 espressamente prevede che: «Ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall'incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità»;
   con ciò il legislatore ha voluto chiarire che la norma si applica solo ai passaggi di carriera intervenienti dopo la sua entrata in vigore e non a quelli avvenuti prima, così come invece sancisce la circolare che attribuisce alla norma efficacia retroattiva, profilo che la legge assolutamente non ha previsto;
   secondo il dettato della circolare infatti tale norma deve applicarsi anche a chi è passato da un ente di fascia superiore ad uno di fascia inferiore ben prima dell'entrata in vigore della norma suddetta, contando, in perfetta buona fede, di poter mantenere il trattamento economico percepito nella sede di provenienza (es. di fascia A) perché altrimenti non avrebbe fatto domanda di incarico presso altra sede, ove avesse solo immaginato di venir retribuito in maniera difforme e sostanzialmente inferiore;
   l'applicazione anche alle attività ed agli incarichi in corso della norma in questione, voluta dalla circolare suddetta, finisce per ledere ogni principio di lealtà e buona fede alla base di ogni contratto, ledendo l'autonomia negoziale delle parti (compresa quella dello stesso comune) e arrecando agli interessati un danno economico rilevante;
   una simile scelta interpretativa se confermata non limiterà il proprio campo di applicazione ai soli segretari comunali ma rischia di estendersi, come precedente, all'intera categoria del pubblico impiego prevedendo la ridefinizione dei trattamenti economici di tutti i dipendenti pubblici che, nell'arco della loro attività lavorativa, cambiano Ente presso cui prestano servizio e che godono di trattamenti individuali ad personam conservati proprio in virtù del divieto della reformatio in peius; è il caso, ad esempio, del personale ex ANAS trasferito alle province, quello dei vari Ministeri passato a province e comuni o quello delle Poste e delle FFSS mobilitato presso altri enti –:
   se ritenga opportuno e necessario intervenire per chiarire l'effettiva portata delle norme di legge che hanno determinato i successivi atti del Ministero dell'interno sopra richiamati al fine di ricondurla ad un'interpretazione conforme alla volontà del legislatore in una logica di equità che lasci agli enti locali interessati la piena autonomia nella scelta dei propri dirigenti di vertice, non precludendo loro alcuna possibilità, e comunque la non applicazione ai rapporti già in corso alla data di entrata in vigore della legge n. 147 del 2013 garantendo così la tutela dell'affidamento e della buona fede di tutte le parti che tali rapporti hanno negoziato in costanza di un diverso principio giuridico. (4-05301)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame vengono chiesti chiarimenti in merito all'applicazione della circolare del Ministero dell'interno n. 3636 del 9 giugno 2014, con la quale sono state fornite indicazioni in merito alla revisione del trattamento economico dei segretari comunali e provinciali, a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità 2014), in base al quale «ai pubblici dipendenti che abbiano ricoperto ruoli o incarichi, dopo che siano cessati dal ruolo o dall'incarico, è sempre corrisposto un trattamento pari a quello attribuito al collega di pari anzianità».
  Con la predetta circolare, l'Albo nazionale dei segretari comunali e provinciali ha inteso chiarire come, a decorrere dal 1o gennaio 2014, con l'entrata in vigore della legge n. 147 del 2013, dovesse ritenersi non più attuale l'orientamento che era stato formulato dal consiglio dell'ex Agenzia autonoma con deliberazione n. 275 del 2001 a sostegno della conservazione della retribuzione di posizione in godimento per i segretari, comunali e provinciali, nominati in comuni di fascia inferiore a quella di iscrizione.
  Al riguardo va rilevato che il citato articolo 1, comma 458, della legge n. 147 del 2013 – abrogando l'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, nonché l'articolo 3, commi 57 e 58, della legge n. 537 del 1993 – ha espunto, a decorrere dal 1o gennaio 2014, le disposizioni che enunciavano il cosiddetto divieto di «reformatio in peius» del trattamento economico dei dipendenti pubblici.
  In tale contesto, l'abrogazione delle citate disposizioni legislative ha costituito «ius superveniens», con conseguente caducazione della richiamata deliberazione n. 275/2001 a decorrere dal 1o gennaio 2014 e perdurante vigenza delle disposizioni normative e negoziali (articolo 19, comma 13, del decreto del Presidente della Repubblica n. 465 del 1997 e articolo 43 del Contratto collettivo nazionale di lavoro del 16 maggio 2001) riferite, a titolo di disciplina speciale, ai segretari in disponibilità nominati in enti di fascia immediatamente inferiore a quella di appartenenza.
  La disciplina del trattamento economico dei segretari – stante la contrattualizzazione stabilita dall'articolo 97, comma 6, del decreto legislativo n. 267 del 2000, Testo unico dell'ordinamento degli enti locali – risiede infatti nella contrattazione collettiva e, in particolare, nel citato contratto collettivo del 16 maggio 2001 che, all'articolo 15, comma 1, stabilisce: «il rapporto di lavoro dei segretari comunali e provinciali è costituito e regolato da contratti individuali, secondo le disposizioni di legge, della normativa comunitaria e del contratto collettivo di lavoro...».
  Da ciò discende che la determinazione di compensi particolari ed ulteriori rispetto a quelli che compongono la struttura retributiva delineata dalla contrattazione collettiva non può essere rimessa all'autonoma iniziativa della singola amministrazione e, inoltre, che il fondamento della citata deliberazione del 2001 era necessariamente da rinvenirsi nel divieto di «reformatio in peius» disciplinato dalla previgente normativa.
  Ciò posto, sotto il profilo della decorrenza degli effetti del citato articolo 1, comma 458, della legge di stabilità 2014, la citata circolare del 2014 è risultata coerente con la disposizione della stessa legge di stabilità (articolo 1, comma 459), in base alla quale «le amministrazioni interessate adeguano i trattamenti giuridici ed economici a partire dalla prima mensilità successiva dalla data di entrata in vigore della presente legge». E difatti i trattamenti economici corrisposti ai segretari fino al 31 dicembre 2013 non sono stati «incisi» dalla circolare.
  Con riguardo, invece, alla lamentata disparità di trattamento tra segretari titolari di sede e segretari in disponibilità, va evidenziato che essa non deriva dalla circolare del 2014.
  Infatti, se, da un lato, l'articolo 43 del contratto collettivo di categoria prevede per i segretari in posizione di disponibilità la conservazione della retribuzione di posizione in godimento presso l'ultima sede di servizio, dall'altro, l'articolo 41 dello stesso Contratto Collettivo Nazionale del Lavoro («la retribuzione di posizione, collegata alla rilevanza delle funzioni attribuite ed alle connesse responsabilità in relazione alla tipologia dell'ente di cui il segretario è titolare») e l'articolo 12, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 465 del 1997 («Il trattamento giuridico ed economico resta, in ogni caso, quello determinato dalla fascia del comune o della provincia in cui viene prestato servizio nel relativo periodo») stabiliscono che, per i segretari titolari di sede, la retribuzione di posizione è attribuita in relazione alla tipologia dell'ente di cui il segretario è titolare.
  L'impianto descritto risulta confermato dalla Corte dei conti-sezione regionale di controllo per la Liguria (deliberazione n. 52/2014/PAR) e sezione per la Lombardia (deliberazione 56/2015/PAR), oltre che da taluni rilievi formulati, in sede ispettiva, dalla ragioneria generale dello Stato, secondo cui la retribuzione di posizione è un compenso collegato all'ufficio a cui il segretario è preposto, diversamente dal trattamento economico fondamentale, corrispondente alla fascia professionale di iscrizione.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   CARRESCIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 148 del 14 settembre 2011 il Parlamento ha conferito delega al Governo perché provvedesse alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, con la limitazione costituita dal non poter sopprimere i Tribunali aventi sedi nei capoluoghi delle province in essere al 30 giugno 2011, e dal conservare almeno tre Tribunali per ogni Corte di Appello, prendendo a riferimento i criteri della popolazione, dell'estensione del circondario, dell'organico dei magistrati, del carico processuale (sopravvenienze medie negli anni 2006/2010), dell'orografia del circondario, del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
   il Consiglio dei Ministri, nella seduta del 6 luglio 2012, ha approvato lo schema di decreto legislativo, con cui si andava a prevedere la soppressione di 37 tribunali (tra i quali il Tribunale di Lucera) e di tutte le 220 sezioni distaccate di tribunale (incluse quelle del circondario di Lucera, in Apricena e Rodi Garganico), rimettendo il progetto di revisione alle Commissioni Giustizia del Parlamento, per il parere obbligatorio, ma non vincolante;
   la Commissione giustizia del Senato della Repubblica, in data 31 luglio 2012, e la Commissione giustizia della Camera dei deputati, in data 1° agosto 2012, hanno adottato pareri che prevedevano la conservazione del tribunale di Lucera e della sezione distaccata di Rodi Garganico;
   il Consiglio dei ministri, nella seduta del 10 agosto 2012, ha dato il via libera al decreto legislativo sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, statuendo la chiusura di 31 (non più 37) Tribunali (tra i quali anche Lucera) e di tutte le 220 sezioni distaccate;
   il Presidente della Repubblica ha emanato il decreto legislativo, n. 155, in data 7 settembre 2012, che è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale il 13 settembre 2012, recante la disposizione della soppressione di 31 Tribunali e di 220 sezioni distaccate;
   i tribunali in Italia erano 165, dei quali 107 aventi sede presso i capoluoghi di provincia e 57 cosiddetti sub-provinciali;
   tra i tribunali sub-provinciali, 27 sono stati conservati e 30 sono stati inseriti nell'elenco dei soppressi (tra i quali Lucera);
   i provvedimenti sopra richiamati, ed in particolare il decreto legislativo n. 155 del 7 settembre 2012, appaiono fortemente penalizzanti per il tribunale di Lucera ed il suo circondario, atteso che, sulla scorta dei criteri da applicarsi in virtù di quanto disposto nella delega conferita dal Parlamento al Governo, le dimensioni del Tribunale di Lucera sono manifestamente maggiori di molti Tribunali per i quali invece è stata disposta la permanenza;
   il tribunale di Lucera, rispetto a tutti i 57 tribunali sub-provinciali d'Italia è il 15° per popolazione, il 2° per estensione, il 15° per organico di magistrati, il 9° per sopravvenienze medie 2006/2010 ma nonostante ciò, è stato inserito nella lista dei 31 tribunali da sopprimere;
   procedendo alla media ponderata dei parametri suddetti, il tribunale di Lucera si colloca al quarto posto tra i 57 tribunali sub-provinciali, e ciò a prescindere dalla sussistenza anche dei parametri riguardanti la condizione orografico-infrastrutturale dell'esteso circondario – alquanto impervia e gravosa –, e del tasso d'impatto della criminalità organizzata;
   la criminalità organizzata – come da relazioni della procura della Repubblica del tribunale di Lucera, parere 16 luglio 2012 del consiglio giudiziario del distretto di corte di appello di Bari, parere 31 luglio 2012 della Commissione giustizia del Senato della Repubblica, parere 1° agosto 2012 della Commissione Giustizia della Camera dei deputati, comunicati del Procuratore della Direzione Distrettuale Antimafia di Bari, relazione del Ministro dell'interno – sta purtroppo da tempo caratterizzando ampie zone del Circondario (il comune di Lucera è tra gli otto comuni della provincia interessati dalla sottoscrizione del protocollo per la difesa dalla criminalità organizzata), e richiede forte attenzione da parte degli organi investigativi, inquirenti, giudiziari, delle amministrazioni, della società civile;
   l'estensione territoriale del circondario di Lucera è di 2.812 chilometri quadrati, ben superiore a quella indicata dal Ministero come ottimale (2.100 chilometri quadrati), con centri abitati (esempio Peschici) che sono ubicati a 140 chilometri dalla sede circondariale (Lucera) e tale estensione colloca il tribunale di Lucera al 2° posto tra i tribunali sub-provinciali e al 26° posto tra i 165 tribunali italiani;
   è divenuta alquanto penalizzante la condizione della giustizia a seguito della soppressione del tribunale di Lucera, atteso che la provincia di Foggia, pur avendo ben 690.000 abitanti e oltre 7.000 chilometri quadrati (seconda per estensione in Italia, dopo solo la provincia di Bolzano), si ritrova ad usufruire di un solo tribunale (Foggia), con ogni conseguente immaginabile grave disagio per la collettività e per l'esercizio della giurisdizione;
   il tribunale di Lucera, rispetto a tutti i 165 tribunali d'Italia (sia quelli aventi sede nei capoluoghi di provincia sia quelli sub-provinciali), era il 109° per popolazione, il 26° per estensione, l'87° per l'organico dei magistrati, il 70° per le sopravvenienze medie 2006/2010 e pur mai rientrando negli ultimi trenta posti di ogni graduatoria è stato uno dei trenta tribunali soppressi;
   riguardo alle sezioni distaccate del tribunale di Lucera (Apricena e Rodi Garganico), la sezione di Rodi Garganico, appartenente al circondario di Lucera, è la più distante d'Italia dalla sede centrale di tribunale (110 chilometri, che giungono a 140 per i centri abitati agli estremi di tale Sezione), oltre che moltissimo distante dalla corte di appello di appartenenza, Bari (258 chilometri);
   la sezione abbraccia il Gargano Nord, che rientra nel circondario del tribunale di Lucera (con i comuni di Rodi Garganico, Vico del Gargano, Peschici, Ischitella, Carpino, Cagnano Varano, San Nicandro Garganico);
   la legge delega sulla revisione delle circoscrizioni giudiziarie ha previsto la soppressione ovvero la riduzione delle sezioni distaccate (in Italia ve ne sono 220), secondo gli stessi criteri previsti per i tribunali circondariali (estensione, popolazione, organico magistrati, carichi processuali, orografia, impatto della criminalità organizzata);
   il gruppo di Studio insediato dal Ministero della giustizia, nel suo lavoro preparatorio, aveva previsto la conservazione di alcune Sezioni, sulla scorta dei criteri della legge delega, ma il Governo, nell'adottare lo schema di decreto legislativo da trasmettere al Parlamento per i pareri, il 6 luglio 2012, ha ritenuto di sopprimerle tutte; tra la fine di luglio e gli inizi di agosto 2012 sono sopraggiunti i pareri dapprima del consiglio giudiziario di Bari (16 luglio 2012), quindi delle Commissioni Giustizia del Senato (31 luglio 2012) e della Camera (1° agosto 2012), con cui – oltre al salvataggio di alcuni Tribunali, tra i quali Lucera – è stato chiesto il recupero di alcune sezioni distaccate, tra cui quella di Rodi Garganico sia per la notevolissima distanza dalla sede circondariale di giustizia e per le conseguenze deleterie sull'economia di una vasta zona territoriale e sulla stessa sicurezza di tale territorio che rimarrebbe sguarnito del necessario presidio di giustizia e molto lontano dal primo «disponibile» (sia riguardo al settore civile sia riguardo al settore penale), sia perché era una Sezione che definiva i processi e eseguiva i provvedimenti in tempi migliori della media nazionale;
   il decreto legislativo n. 155 del 7 settembre 2012 ha stabilito la generale soppressione delle Sezioni Distaccate, ma il caso di Rodi Garganico sfiora l'unicità;
   l'aggravio processuale che è derivato dalla soppressione del tribunale circondariale di Lucera e di tutte le sezioni distaccate di esso e della provincia di Foggia (Apricena, Rodi Garganico, San Severo, Cerignola, Manfredonia, Trinitapoli) appare insostenibile per il solo tribunale di Foggia che, nonostante i notevoli sforzi impiegati dalla sua magistratura e dal suo personale, era già oberato da circa 150.000 processi civili (il maggior carico della regione Puglia) e da 23.000 processi penali;
   in altri termini, allo stato, in virtù dell'attuazione della riforma della geografia giudiziaria, la chiusura del tribunale di Lucera ha creato situazioni di criticità: il palazzo di giustizia di Foggia non è nella condizione di assorbire il carico proveniente dal tribunale di Lucera e dalle sei sezioni distaccate soppresse (Apricena, Rodi Garganico, San Severo, Cerignola, Manfredonia, Trinitapoli) ed il comune di Foggia è in grande difficoltà nel rinvenimento di ulteriori plessi immobiliari, mentre il palazzo di giustizia di Lucera, funzionante e di proprietà del comune di Lucera richiede una manutenzione poco costosa ed interventi straordinari che la locale civica amministrazione è disponibile ad affrontare nell'ipotesi di conservazione delle funzioni giurisdizionali di tale struttura;
   sia per una forte presenza della criminalità organizzata sia per tutte le altre motivazioni sopra esposte pare rispondere a criteri di obiettiva necessità ed opportunità il ripristino del tribunale di Lucera (come pure della sezione distaccata di Rodi Garganico), o quantomeno l'utilizzo del suo palazzo di giustizia quale articolazione del tribunale di Foggia –:
   se e con quali atti il Ministro, previa un'attenta analisi delle conseguenze negative, in termini di economicità ed efficienza del sistema giudiziario, della soppressione del tribunale di Lucera, intende procedere al suo ripristino ed a quello della sezione distaccata di Rodi Garganico o quantomeno all'utilizzo del palazzo di giustizia di Lucera quale articolazione del Tribunale di Foggia. (4-10275)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante prospetta – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – criticità derivanti dalla soppressione del Tribunale di Lucera.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Va, peraltro, evidenziato come l'adeguatezza delle scelte generalmente operate con il decreto legislativo n. 155 del 2012 sia stata, in più occasioni, vagliata positivamente dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 237 del 2013 e nell'ordinanza n. 15 del 2014 in cui, tra l'altro, è stato rilevato che «... si è in presenza di una misura organizzativa, in cui la soppressione dei singoli tribunali ordinari ha costituito la scelta rimessa al Governo, nel quadro di una più ampia valutazione del complessivo assetto territoriale degli uffici giudiziari di primo grado, finalizzata a realizzare un risparmio di spesa e un incremento di efficienza; che tale valutazione è stata effettuata sulla base di un'articolata attività istruttoria, come si desume dalla relazione che accompagna il decreto legislativo n. 155 del 2012 e dalle schede tecniche allegate – le quali, con specifico riferimento alle singole realtà territoriali, illustrano le modalità di applicazione dei criteri – nonché dalle relazioni e dai pareri, in particolare delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, sottoposti all'attenzione del Governo e del Parlamento; che, alla stregua di tale quadro di riferimento per l'esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte del d.lgs. n. 55 del 2012 dei relativi criteri, né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione».
  Inoltre, con specifico riferimento alla richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai Consigli regionali delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Campania, Liguria e Piemonte sulla riforma della geografia giudiziaria, si rileva che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2014, ne ha dichiarato l'inammissibilità.
  La valutazione degli effetti della riforma è costantemente monitorata attraverso un'apposita commissione, istituita con decreto ministeriale 19 settembre 2013 con lo specifico compito di verificare lo stato di realizzazione della riforma, osservare gli effetti dell'applicazione del nuovo assetto territoriale sulla operatività degli uffici giudiziari e proporre soluzioni organizzative e normative per superare le eventuali criticità riscontrate, soprattutto in riferimento ai presidi giudiziari nelle aree fortemente caratterizzate da infiltrazioni della criminalità organizzata.
  Sulla scorta dei rilievi proposti, sono stati valutati e predisposti interventi correttivi e di coordinamento alle disposizioni emanate con i decreti legislativi 155 e 156 del 2012 attraverso l'emanazione del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14, concernente «Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari».
  Con tale decreto sono state realizzate alcune variazioni all'assetto delineato per gli uffici di primo grado che risultano del tutto coerenti con i criteri generali adottati in sede attuativa della riforma ed anzi assicurano, nell'ambito dei circondari interessati, maggiore omogeneità territoriale e migliori condizioni di accesso al servizio giustizia.
  In particolare, con riferimento alla soppressione del tribunale di Lucera e alla ridefinizione del circondario di Lecce, la commissione ha osservato come il tribunale di Foggia abbia realizzato l'accorpamento in assenza di criticità sotto il profilo logistico ed organizzativo, ad eccezione di quelle temporanee, contenute con il ricorso allo strumento previsto dall'articolo 8 decreto legislativo n. 155 del 2012.
  In particolare, poi, ha constatato che l'adozione di provvedimenti previsti dall'articolo 48-
quinquies O.G. ha reso possibile, sin dalla data di efficacia della riforma (14 settembre 2013), l'espletamento presso il tribunale di Foggia di tutta l'attività giurisdizionale delle sezioni distaccate (in particolare di Manfredonia, San Severo, Trinitapoli, Apricena), ad eccezione di quelle di Cerignola e Rodi Garganico, il cui trasferimento, a causa di resistenze locali che hanno rallentato le operazioni di trasloco dei fascicoli, è comunque divenuto operativo, rispettivamente, il 27 settembre ed il 5 ottobre 2013.
  Ha inoltre evidenziato che il tribunale di Lucera, unico tribunale soppresso nel distretto di Bari, oltre a presentare indici al di sotto del parametri considerati, si trova ad una distanza di meno di venti chilometri dalla sede accorpante di Foggia, elemento che non depone per il mantenimento di due distinti presidi giudiziari nel medesimo ambito territoriale.
  Ha, infine, auspicato la predisposizione di misure di supporto a sostegno del tribunale di Foggia al fine di reperire – entro il termine quinquennale di utilizzo degli immobili autorizzato
ex articolo 8 decreto legislativo n. 155 del 2012 – idonee disponibilità allocative per lo svolgimento delle funzioni giurisdizionali espletate presso il tribunale di Lucera.
  Lo stato avanzato di attuazione della riforma ed il conseguente consolidamento delle situazioni territoriali ha consentito, pertanto, di ritenere che non fossero necessari interventi correttivi in relazione ai territori comunali interessati, ovvero il ripristino di uffici soppressi.
  Risultano, pertanto, allo stato consolidate le disposizioni relative al tribunale di Lucera che ne hanno disposto la soppressione e l'assegnazione del relativo territorio di competenza al tribunale di Foggia, essendo ormai scaduto il 13 settembre 2014 il termine biennale assegnato dalla legge delega per adottare eventuali ulteriori disposizioni integrative, correttive e di coordinamento.
  Nonostante il consolidamento della prima fase della riforma, il processo di revisione della geografia giudiziaria è tuttora sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'interrogante – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio Superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
  L'impatto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione da parte del mio dicastero anche in riferimento all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  In questa prospettiva, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi,
cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al distretto della Corte d'appello di Bari risultano complessivamente assegnate sette unità aggiuntive, di cui un posto di giudice per il tribunale di Foggia, in incremento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Il 20 ottobre 2010, è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CATANOSO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella graduatoria nazionale della durata media dei procedimenti civili, il tribunale di Caltagirone è relegato al 113° posto sui 139 presenti nel territorio nazionale, 575 giorni contro i 114 del primo ed i 343 della mediana;
   i problemi che assillano, e che non trovano soluzione alcuna, il tribunale di Caltagirone sono stati denunciati dall'Ordine degli avvocati della città calatina in vario modo ed in più occasioni;
   l'elenco delle disfunzioni e delle carenze in ogni aspetto della procedura giurisdizionale, sia civile che penale, è lunghissimo;
   nel settore civile, l'Ordine degli avvocati di Caltagirone lamenta: fissazione delle udienze a date eccessivamente lontane; fissazione delle udienze deputate al conferimento di incarico al consulente tecnico di ufficio nell'ambito di accertamento tecnico preventivo, specificamente in materia previdenziale, a lontanissima data (a volte anche un anno), malgrado si tratti di adempimenti urgenti, che richiedono pochissimo tempo e, sostanzialmente, nessuna risorsa, ma idonei a definire il procedimento e la controversia assai rapidamente; disapplicazione del protocollo di disciplina dell'attività giudiziaria in materia civile; nomine di professionisti delegati alle vendite, curatori fallimentari e figure analoghe, arbitri e consulenti tecnici di ufficio esterni al circondario e criteri all'uopo adottati;
   nel settore penale, l'Ordine degli avvocati di Caltagirone lamenta: differimento dell'udienza in assenza di controcitazione; trattazione dei processi penali nell'ambito della medesima udienza in base a un ordine non ragionevole (precedenza a quelli in cui non sono presenti i difensori, o posticipazione, in certi casi fino al pomeriggio, di quelli destinati a celerissima spedizione, se non a differimento); ritardo nella allegazione dell'originale delle notificazioni al fascicolo del dibattimento, spesso operata lo stesso giorno dell'udienza, con le ben intuibili, gravi conseguenze; ritardo nella allegazione dell'impedimento a comparire da parte di testimoni, consulenti e periti, spesso operata lo stesso giorno dell'udienza, con le ben note, gravi conseguenze; frequente fissazione della prima udienza dibattimentale davanti a magistrato tabellarmente incompetente; costante ricorso alla prassi che il giudice penale, all'esito della discussione del difensore, rinvia «d'ufficio» per la replica del pubblico ministero, replica, poi, non svolta, o per aggiornare il certificato penale, con questo impedendo all'avvocato di riassumere sia pure in pochi minuti i propri argomenti illustrati oralmente molto tempo prima; troppo frequente, non giustificato impegno delle ore pomeridiane per le udienze; mancata adozione del protocollo dell'udienza penale;
   sia nel settore penale che in quello civile, gli avvocati di Caltagirone lamentano: eccessivamente frequenti variazioni tabellari; differimento dell'udienza in assenza della previa, tempestiva, sollecita comunicazione all'Ordine (oggi in via di risoluzione); mancata istituzione di adeguate fasce orarie all'interno dell'udienza; eccessiva e sproporzionata concentrazione delle udienze nella giornata del giovedì; orario di inizio delle udienze frequentemente non rispettato (oggi in via di risoluzione); liquidazione degli onorari, nell'ambito del patrocinio a spese dello Stato, con incomprensibile, gravissimo ritardo (frequentemente anni); mancanza di un adeguato controllo sull'esercizio del ministero da parte di alcuni Giudici onorari, più volte segnalati e per profili squisitamente organizzativi e per le concrete modalità di tenuta delle udienze, modalità talora decisamente irragionevoli e intollerabili, purtroppo già generatrici di sgradevoli episodi; esecuzione delle operazioni peritali, anche quando meramente documentali, presso lo Studio del perito, ma fuori dal circondario;
   lamentano, inoltre, l'inesistenza di indicazioni sulle aule in cui viene tenuta ciascuna udienza; il mancato intervento nei numerosi casi in cui avvocati appartenenti ad altri ordini ma operanti prevalentemente presso il tribunale ordinario di Caltagirone mantengono comportamenti che finiscono per turbare l'ordinato svolgimento delle udienze, la serena trattazione delle controversie, il corretto intrattenimento dei rapporti tra colleghi; la mancata evasione della richiesta, datata 3 luglio 2014, di prosecuzione dei lavori del tavolo; il mancato riscontro della comunicazione degli avvocati deputati a redigere, insieme ai designandi magistrati, i protocolli di udienza;
   anche le condizioni strutturali e logistiche dell'edificio destinato a sede del tribunale di Caltagirone sono conseguenti e paragonabili alle carenze suesposte;
   la destinazione ad aula di udienza dell'indecoroso, a giudizio dell'interrogante, vano sito al secondo piano contrassegnato dal codice numerico 122 che, per le caratteristiche strutturali del locale, realizzato per ben altri usi, dimostra il disinteresse e la disaffezione nei confronti del tribunale di Caltagirone;
   l'anticipazione dell'udienza civile collegiale alle ore 09:00, orario mai rispettato, che costringe centinaia di avvocati a lunghe, inutili, attese della fine dell'udienza collegiale e dell'inizio delle udienze monocratiche, fine e inizio in orari mai certi;
   si riferisce di scarsa pulizia di aule e corridoi e della presenza sui pavimenti delle aule di udienza di cavi non raccolti, non coperti, non convogliati in canalette, che costituiscono un pericolo per l'incolumità degli avvocati; dell'assoluta insufficienza, nelle aule di udienza, dei microfoni destinati agli interventi delle parti; della mancata, attuale, integrale attivazione e/o funzionalizzazione del sistema di climatizzazione malgrado i rigori invernali, e delle condizioni di degrado in cui versano l'aula «Giorgio Arcoleo» e i suoi arredi, per la cui realizzazione l'Avvocatura calatina tanto si è spesa sembrerebbe un problema di poco conto in rapporto alle ben più serie mancanze citate in precedenza;
   a tutto ciò, come se non bastassero i problemi appena citati, si aggiunge la preoccupante scopertura delle piante organiche, specificamente quella magistratuale togata del tribunale, recentemente aggravata dal collocamento a riposo del cons. Salvatore Acquilino e dall'incredibile contestuale «tramutamento» del dottor Maurizio Francola, del dottor Angelo Pappalardo, della dottoressa Anna Sciré che d'un sol colpo priva il tribunale di tre magistrati su tredici;
   non può, inoltre, dimenticare la gravissima situazione in cui versa l'ufficio del giudice delle indagini e dell'udienza preliminare, presso il quale attualmente opera un solo magistrato con la implicita conseguenza della concreta impossibilità di garantire un livello minimo di funzionalità; la mancata nomina del presidente del tribunale ed il troppo lungo periodo di vacanza dell'ufficio del procuratore della Repubblica;
   nel corso dell'assemblea generale straordinaria dell'ordine degli avvocati di Caltagirone del 9 dicembre scorso, sono state segnalate, altresì, altre problematiche quali: la pressoché costante indisponibilità del giudice dell'udienza penale, collegiale e monocratica, a rendere la sentenza subito dopo le conclusioni del difensore e il costante ricorso all'inaccettabile sistema del rinvio per consentire le «repliche» del rappresentante dell'ufficio del pubblico ministero, poi mai svolte, o l'aggiornamento del certificato penale o, di recente, finanche la esplicita sollecitazione al difensore a richiedere egli stesso un differimento; la frequente prevaricazione del giudice dell'udienza penale, collegiale e monocratica, che disattende le legittime richieste degli avvocati, quali il differimento a causa di concomitante e più grave e urgente impegno ovvero la solerte trattazione dei processi in cui sono presenti tutti gli interessati; i casi in cui il giudice dell'udienza penale, collegiale e monocratica, rigetta l'opposizione a una domanda al teste prima ancora che il difensore la illustri; l'eccessivo, ingiustificabile numero di continui, reiterati, consecutivi rinvii delle udienze civili, anche quelle fissate per la precisazione delle conclusioni definitive, che ritarda considerevolmente il momento della decisione della controversia; la incompletezza e la tardività delle comunicazioni che quasi sempre effettua la cancelleria, ma solamente il giorno prima e solamente agli avvocati;
   i fatti e gli episodi in questione danno conto di una «governance» del tribunale priva di concreto interesse nei confronti dell'effettività della giurisdizione nel prezioso presidio circondariale calatino, a volte addirittura dichiarato expressis verbis «inutile», tesa esclusivamente verso una solo apparente efficienza, ma in concreto priva di attenzione nei confronti dei contenuti e della qualità, nonché di stimolo al miglioramento e alla crescita;
   i medesimi fatti e i medesimi episodi rappresentano, anche, la perniciosa conseguenza di un distorto approccio culturale al rapporto con l'Avvocatura, la cui presenza nel processo è troppo spesso considerata solamente una «regolarità formale» del processo stesso e non invece, come prescrive la Costituzione, una struttura portante, essenziale e indispensabile della seria, responsabile, moderna, civile, democratica amministrazione della giustizia;
   l'obiettiva penuria di risorse deve sollecitare, a giudizio dell'odierno interrogante, non il disinteresse, la rassegnazione, la insensibilità, bensì un concreto, responsabile affinamento delle tecniche dell'organizzazione che immancabilmente sottende un confronto costante, aperto e costruttivo tra amministrativi, avvocati, magistrati, a sua volta generato dalla consapevolezza dell'importanza e della imprescindibilità dei rispettivi ruoli;
   i fatti e gli episodi in questione, oltre che penalizzare e umiliare l'esercizio del ministero difensivo e della stessa professione forense, minano nelle radici il tribunale ordinario di Caltagirone, la sua immagine, la sua sopravvivenza, valori questi di vitale importanza per l'intera comunità del comprensorio del «Calatino Sud Simeto» e dei comuni sui cui territori si estende il Circondario;
   l'avvocatura del comprensorio è ben consapevole, anche alla luce delle pregresse negative esperienze, della circostanza che mentre coloro, tra gli operatori della giustizia e i soggetti della giurisdizione, i quali nella presente contingenza esercitano qui il proprio ufficio ma non hanno radici, culturali e affettive, in questo territorio, presto se ne allontaneranno, essa si è invece votata a operarvi a vita e a formare le sue nuove generazioni;
   tanto gemma, in maniera naturale e ineludibile, l'interesse e la volontà di difendere l'amministrazione efficiente della giustizia nel suo territorio, il proprio ministero difensivo, la propria professione forense, l'immagine e la permanenza del tribunale ordinario di Caltagirone, i sani interessi del comprensorio del «Calatino Sud Simeto»;
   per protestare nei confronti di una complessa e radicata situazione di tal fatta, generatrice dei guasti, delle disfunzioni, dei disservizi esposti, l'Avvocatura calatina ha deciso l'astensione dalle udienze, pur con gli evidenti aspetti negativi che essa presenta per la giurisdizione, per l'utenza e per l'Avvocatura stessa;
   oltre l'astensione dalle udienze, l'ordine degli avvocati di Caltagirone ha stabilito di mettere in campo altre iniziative volte a dare voce alla protesta e a fare sentire in ogni sede l'importanza del tribunale di Caltagirone;
   l'assemblea generale straordinaria degli avvocati di Caltagirone ha dato mandato al presidente dell'ordine di rappresentare al Ministro della giustizia, al Consiglio Superiore della Magistratura ed al Consiglio giudiziario le disfunzioni e i disservizi evidenziati nonché i gravissimi pregiudizi che sono derivati già da tempo e derivano dalla mancata copertura dell'ufficio di presidente del tribunale, auspicando la nomina di magistrato davvero idoneo all'importante ruolo e, per questo, dotato di indiscutibili capacità di dirigenza e di vera affectio nei confronti del Presidio e della sua funzione;
   sarebbero gravissime ed irreparabili le conseguenze che certamente subirà il tribunale ove dovesse darsi corso al trasferimento di tre magistrati, con la implicita scopertura della pianta organica magistratuale togata in misura pari a quasi il 70 per cento e il sostanziale arresto dell'attività dell'Ufficio del Giudice delle indagini e dell'udienza preliminare –:
   se il ministro interrogato sia a conoscenza della gravità e della complessità delle problematiche denunziate e quali opportune iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare. (4-09450)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta criticità del tribunale di Caltagirone, con riferimento alle dotazioni di personale di magistratura.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze e per facilitare l'accesso alla tutela giurisdizionale dei diritti.
  Dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico del tribunale di Caltagirone si compone di tredici unità, allo stato integralmente coperto.
  Si tratta, pertanto, di un ufficio che evidenzia, allo stato, la completa copertura dell'organico, nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, per sostenere, adeguatamente la giurisdizione, mi preme sottolineare come l'adozione di misure strutturali a sostegno degli uffici giudiziari attraverso politiche di valorizzazione e potenziamento del personale abbia rappresentato una delle priorità dell'azione del mio Dicastero.
  In questa prospettiva, l'assetto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione, nel complesso degli interventi, non ancora esauriti, di tipo normativo ed organizzativo, necessari a costruire una struttura ordinamentale idonea a rispondere in modo soddisfacente alla domanda di giustizia ed alle esigenze del territorio.
  Il complesso percorso di revisione sta ora attraversando una ulteriore, importante fase.
  È stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  La successiva distribuzione delle unità aggiuntive costituisce provvedimento di natura tabellare, rimesso alla valutazione del Consiglio superiore della magistratura.
  Alla stregua dei predetti criteri, al distretto della Corte d'appello di Catania risulta assegnata una unità aggiuntiva, in incremento della dotazione prevista, adeguandola così alle esigenze del territorio.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, del tirocinio formativo da diciotto a dodici mesi.
  Sarà, inoltre, prossimamente bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 350 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
  L'assetto attuale e le misure di stabilizzazione previste potranno, pertanto, assicurare il regolare funzionamento dell'ufficio e la tutela dei diritti dei cittadini.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Regione siciliana produce, quotidianamente, 6 milioni di chilogrammi di rifiuti. Questi rifiuti vengono differenziati per la vergognosa percentuale del 10 per cento e conferiti in discarica per il restante 90 per cento mentre la normativa europea prescrive ed obbliga gli enti locali a giungere alla percentuale minima del 65 per cento di rifiuti differenziati;
   di questi 6 milioni di chilogrammi giornalieri, 2 milioni di chilogrammi rappresenta la cifra del rifiuto umido organico ed il resto si potrebbe differenziare e riciclare se solo i comuni riuscissero ad organizzare la raccolta differenziata;
   la raccolta differenziata, però, se il singolo comune viene lasciato solo dall'ente regione non basta e potrebbe portare a guai ben peggiori se non organizzata a livello provinciale e/o regionale;
   appunto a questo dovrebbe servire un serio piano regionale dei rifiuti: organizzare ogni fase del rifiuto, dal contenitore vicino alla propria abitazione fino alle singole attività di raccolta, conferimento, riconversione e riuso dei vari elementi del rifiuto organico, inorganico ed indifferenziato che sia;
   il Governo nazionale e la regione siciliana, invece, a giudizio dell'interrogante si limitano ad individuare due siti dove costruire due termovalorizzatori senza occuparsi di nient'altro;
   questi due termovalorizzatori siciliani saranno costruiti nelle centrali Enel dismesse di Termini Imerese e di S. Lucia del Mela a cui forse, se ne potrebbe aggiungere un terzo a Priolo;
   per realizzare un inceneritore serviranno almeno sei anni, ma nel frattempo bisognerà comunque provvedere all'emergenza rifiuti, visto che le discariche siciliane, nel giro di pochi mesi, saranno sature ed alcune sono già in regime di proroga;
   anche nella remota eventualità che i due termovalorizzatori vengano effettivamente costruiti e messi in funzione, non si è nemmeno tenuto conto dell'impatto logistico che il trasporto fisico dei rifiuti dai singoli comuni ai due/tre inceneritori avrebbero sui mezzi e sui territori attraversati giornalmente da centinaia di autocompattatori pieni di rifiuti;
   a giudizio dell'interrogante, se non si provvede celermente alla riduzione ai minimi livelli dell'ultima frazione indifferenziabile da inviare, ora sì, al termovalorizzatore attraverso un'efficace raccolta differenziata, qualunque altra ipotesi o soluzione sarebbe inefficace ed inutile;
   in proposito, deve essere prevista e promossa seriamente l'alternativa dell'utilizzo di tecnologie più efficienti e sostenibili come la valorizzazione energetica della frazione organica mediante digestione anaerobica per la produzione di biometano, che è peraltro oggetto di una specifica normativa nazionale di incentivazione;
   un serio piano regionale dei rifiuti deve essere preparato e trovare immediata attuazione da parte delle istituzioni nazionali di concerto con quelle regionali siciliane, visto che l'ultimo piano approvato è datato 2012;
   anche le altre regioni che hanno dato parere favorevole al decreto del Governo, però, hanno subordinato il loro consenso al riconoscimento di un potere delle regioni su come realizzare il piano. Peccato che di questo piano in Sicilia non v’è traccia o, se c’è, è secondo l'interrogante del tutto insufficiente ed inefficace;
   a giudizio dell'interrogante, l'immobilismo della regione siciliana in tema di rifiuti è evidente e lo «stato di emergenza» è già nella realtà delle cose;
   il Governo, ad avviso dell'interrogante, non può esimersi dall'assumere le iniziative di competenza per addivenire alla nomina di un Commissario per l'intero settore della gestione dei rifiuti in Sicilia, la cui emergenza non può aspettare tanto –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, abbiano intrapreso o abbiano intenzione di intraprendere in merito alle vicende esposte in premessa. (4-12064)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  Innanzitutto, occorre premettere che la produzione dei rifiuti in Sicilia ammonta per l'anno 2014 a 2.342.219 tonnellate. Tale quantità corrisponde ad una produzione pro capite pari a circa 462 kg/abitante anno. La produzione dei rifiuti in Sicilia è diminuita dal 2010 al 2014 del 10,3 per cento. Tale andamento riflette quello della produzione a livello nazionale, correlato al trend degli indicatori socio-economici ed al consumo delle famiglie.
  La raccolta differenziata nella regione siciliana nel 2014 ammontava a 292.972 tonnellate. Tale quantità rappresenta solo il 12,5 per cento del totale dei rifiuti prodotti, valore molto al di sotto dell'obbligo di legge del 65 per cento.
  Nel 2014, in controtendenza rispetto al resto del territorio nazionale, la quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato si è ridotta di oltre un punto percentuale, al 12,5 per cento dal 13,2 per cento dell'anno precedente.
  Le quantità raccolte in maniera differenziata nel 2014 sono pari complessivamente a 292.972 tonnellate di cui 125.829 sono costituite da frazione organica e 167.143 da frazione secca riciclabile.
  La frazione secca viene conferita alle piattaforme Consorzio nazionale imballaggi e quindi riciclata o recuperata al netto degli scarti.
  In molti comuni del territorio regionale la raccolta differenziata non viene ancora realizzata.
  Le quantità di rifiuto indifferenziato prodotte nel 2014 ammontano a 2.049.247 tonnellate. Questi rappresentano una quota pari all'89 per cento dei rifiuti urbani prodotti in regione.
  Di tali quantità solo 349.774 tonnellate sono state inviate, secondo modalità ordinarie, agli impianti di trattamento meccanico-biologico (TMB) prima di essere inviate al successivo smaltimento.
  La restante quota, pari a 1.003.302 tonnellate, è stata quindi smaltita in deroga alle prescrizioni, ricorrendo a forme speciali di gestione dei rifiuti attraverso ordinanze del presidente della regione ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La frazione umida raccolta in modo separato è conferita nei 15 impianti di compostaggio presenti sul territorio, molti dei quali risultano non operativi per mancanza di materiale da trattare.
  Tali impianti, sebbene presentino nominalmente una potenzialità complessiva autorizzata pari a 416.967 tonnellate annue, hanno trattato nel 2014 una quantità di rifiuti pari a circa 160.000 tonnellate.
  Appare evidente che gli stessi siano sottoutilizzati e che l'attuale capacità installata potrebbe far fronte ad un flusso maggiore di frazione organica derivante da un auspicato incremento della raccolta differenziata. La capacità autorizzata degli impianti di compostaggio garantisce l'autosufficienza regionale anche al raggiungimento del 30 per cento di raccolta differenziata.
  Inoltre, la regione prevede di realizzare ulteriori impianti di compostaggio per garantire il corretto trattamento della frazione organica anche al crescere della raccolta differenziata.
  La gestione del rifiuto indifferenziato, solo a seguito dell'emissione dell'ordinanza n. 5 del 2016, emanata previo rilascio dell'intesa ai sensi dell'articolo 191 (comma 4) del codice dell'ambiente, avviene secondo quanto prescritto dalla medesima ordinanza garantendo un pre-trattamento al rifiuto conferito in discarica. Ciò grazie all'installazione di impianti mobili di biostabilizzazione che, nelle more della realizzazione dei TMB previsti dalla pianificazione regionale, operano il pretrattamento del rifiuto. Al riguardo, si precisa comunque che in alcune aree vi sono degli approfondimenti tecnici in corso da parte delle autorità territoriali competenti, per verificare se vi è stato il pieno adeguamento rispetto alle previsioni della citata ordinanza.
  Gli impianti mobili rappresentano una soluzione tampone e provvisoria per garantire la corretta gestione del rifiuto fino al completamento della realizzazione degli impianti, dell'attivazione dei provvedimenti necessari per l'invio fuori regione del rifiuto.
  La regione, nel contempo, sta provvedendo alla realizzazione e messa in esercizio degli impianti di TMB necessari al trattamento di tutti i rifiuti indifferenziati prodotti in regione, in particolare presso le piattaforme integrate pubbliche di Enna, Gela e Messina, nonché presso la piattaforma privata sita a Siculiana.
  Lo smaltimento dei rifiuti avviene esclusivamente tramite conferimento in discarica.
  La capacità residua di trattamento in discarica, agli attuali livelli di smaltimento, garantisce l'autonomia regionale solo per 6 mesi e l'assenza di impianti di termovalorizzazione rende ancora più critica la situazione. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui all'articolo 35 dello «sblocca Italia» ha individuato, per la regione siciliana, fabbisogni residui di incenerimento molto rilevanti (circa 700.000 tonnellate);
  L'attuale piano regionale per la gestione dei rifiuti è stato predisposto dal Presidente della regione siciliana, nominato pro tempore commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Sicilia. Tale piano è stato approvato con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel mese di luglio 2012, previo parere vincolante del dipartimento della Protezione civile della Presidenza del Consiglio. Con specifica prescrizione si è disposto che «Il Piano regionale per la gestione dei rifiuti in Sicilia dovrà essere sottoposto alle previste procedure di Valutazione ambientale strategica (VAS)».
  Nel mese di gennaio 2014, il dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti della regione siciliana ha avviato la fase preliminare della VAS, procedura che si è conclusa con l'emanazione del decreto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel mese di maggio 2015. La regione, a seguito anche della diffida del Presidente del Consiglio dei ministri del mese di agosto 2015, ha approvato, con propria delibera (n. 2 del 18 gennaio 2016) il piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani in Sicilia.
  Il piano approvato fa solo riferimento alla gestione dei rifiuti urbani, demandando ad altro documento quella dei rifiuti speciali.
  Con la già richiamata ordinanza n. 5 del 2016, il Presidente della regione ha disposto l'aggiornamento del piano regionale, anche alla luce del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014 che contiene la ricognizione del fabbisogno di impianti di incenerimento di rifiuti a livello nazionale. In tale decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è prevista la realizzazione in Sicilia di una capacità complessiva di 700.000 tonnellate di incenerimento. L'ordinanza stabilisce che l'approvazione del nuovo Piano possa avvenire con tempi ridotti rispetto a quelli previsti dal codice dell'ambiente, in modo da arrivare alla realizzazione di tutta l'impiantistica necessaria.
  Si evidenzia inoltre che la Commissione europea ha aperto uno specifico progetto pilota (EU pilot 6582/14) sulla gestione dei rifiuti in Sicilia e sul mancato rispetto delle procedure di VIA e VAS nella fase di adozione del piano di gestione dei rifiuti urbani nonché per la mancata realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti previsti dal piano stesso.
  Peraltro, occorre segnalare che il servizio competente della Commissione europea ha archiviato il caso indicato con le seguenti precisazioni: «La Commissione ha deciso di chiudere questa investigazione EU-Pilot, in quanto la procedura di VAS è stata espletata a posteriori per quanto riguarda il piano di gestione dei rifiuti. Tuttavia, poiché la Commissione ha delle perplessità in merito al sistema di gestione dei rifiuti nella Regione Siciliana, essa si riserva di esaminare in seguito il contenuto del Piano di gestione dei rifiuti».
  La regione è, inoltre, inserita nella procedura di infrazione «Discariche abusive» con 10 discariche (di cui 1 ricadente in un Sito di interesse nazionale e 1 sita nel comune di Racalmuto). L'amministrazione regionale ha inviato certificazione di conclusione del procedimento ambientale, che è stato peraltro inoltrato in data 31 maggio scorso ai servizi tecnici della Commissione europea per lo stralcio del pagamento della sanzione semestrale.
  I comuni e la regione sono stati destinatari, nello scorso dicembre, di un atto di diffida ad adempiere alle attività per la risoluzione della procedura di infrazione in parola. Tuttavia, i termini sono trascorsi infruttuosamente ed è stata avanzata la proposta di commissariamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare costantemente le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CENTEMERO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 208 del 2015 ha previsto l'istituzione del «Fondo per le cattedre universitarie del merito Giulio Natta», finalizzato al reclutamento straordinario mediante chiamata diretta di studiosi, sia italiani che stranieri, di elevato e riconosciuto merito scientifico;
   da notizie stampa si apprende che la bozza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione della normativa di cui alla legge n. 208 del 2015, all'esame del Consiglio di Stato per poi essere sottoposto all'esame del Parlamento per i pareri, prevede che la procedura di selezione di 500 professori «Natta» saranno affidate a 25 commissioni, per altrettante aree di ricerca, ognuna delle quali sarà costituita da un presidente e da due commissari, individuati tra professionalità di prestigio della docenza universitarie e della ricerca e la cui durata sarà pari a tre anni;
   sempre da notizie di stampa si apprende che il presidente di ciascuna delle 25 commissioni sarà nominato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in base ad una lista di venti nominativi forniti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca individuati tra studiosi di elevatissima qualificazione scientifica e con ruoli di prestigio presso istituzioni estere o internazionali;
   la nomina delle commissioni, riconducibile al Governo e alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha suscitato molte perplessità, soprattutto nel mondo accademico, in quanto si tratta di una procedura inusuale nel panorama internazionale, preoccupazioni che sono riconducibili all'autonomia delle università. I dubbi sono anche legati alla volontà di garantire – giustamente – l'imparzialità del processo di selezione dei docenti, di aggirare le baronie e di liberare i talenti, attraverso la scelta di avocare alla Presidenza del Consiglio la nomina dei presidenti di commissione;
   l'intervento è finalizzato ad accrescere l'attrattività e la competitività del sistema universitario italiano a livello internazionale. Le procedure concorsuali, i salari bloccati, la lentezza delle carriere scoraggiano i ricercatori italiani e tengono lontani quelli stranieri. Il provvedimento in questione, secondo quanto affermato dal Governo, dovrebbe contribuire a far rientrare in Italia quei ricercatori italiani di eccellenza, i cosiddetti «cervelli in fuga»;
   il reclutamento definisce l'inquadramento dei 500 professori «Natta» come professori di prima e seconda fascia e prevede una retribuzione superiore del 30 per cento rispetto a quella dei docenti ordinari;
   il provvedimento è stato emanato senza il confronto con la conferenza dei rettori delle università italiane e con l'Anvur, che avrebbero potuto fornire utili indicazioni e strumenti per raggiungere l'obiettivo di accrescere l'attrattività e la competitività del sistema universitario italiano a livello internazionale –:
   come intenda intervenire per garantire l'autonomia delle università e l'imparzialità nel processo di selezione dei docenti universitari e assicurare a tutti le stesse opportunità, anche attraverso il ritiro o la modifica del testo del decreto in questione e, nell'eventualità si optasse per questa soluzione, come intenda garantire che la definizione del nuovo testo avvenga nel pieno rispetto dell'autonomia universitaria e di concerto con il sistema universitario (4-14667)

  Risposta. — Come è noto, la procedura di selezione per chiamata diretta di studiosi di elevato e riconosciuto merito scientifico è stata prevista al comma 207 della legge di stabilità per il 2016, la n. 208 del 2015.
  Non può sfuggire che la finalità della norma in questione è quella di prevedere una procedura a carattere straordinario al fine di accrescere l'attrattività e la competitività internazionale del sistema universitario italiano: 500 cattedre aggiuntive, basate su una procedura altamente selettiva che dia le massime garanzie di qualità per gli atenei italiani. La straordinarietà, per altro, è stata garantita dal comma 208 della stessa legge attraverso la deroga alle norme sul reclutamento dei professori universitari previste dal combinato disposto degli articoli 16 e 18 della legge n. 240/2010.
  Ciò posto, si specifica che, al fine di garantire l'imparzialità delle nomine dei componenti delle commissioni, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri attuativo della norma in parola, in procinto di arrivare per i pareri di rito alle competenti Commissioni parlamentari, prevede quanto segue:
   1) i 50 commissari sono scelti – secondo precisi titoli preferenziali – tra coloro che sono inseriti in una lista predisposta dall'Anvur per ciascuna delle aree Erc e in possesso della qualifica di professore ordinario di ruolo, presso università italiane, aventi una posizione riconosciuta nel panorama internazionale, in conseguenza delle proprie pubblicazioni scientifiche;
   2) i presidenti vengono nominati tra studiosi di elevatissima qualificazione scientifica, al vertice di istituzioni universitarie o di ricerca estere o internazionali e che ricoprono una posizione equipollente a quella di professore ordinario.

  Lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sul quale il Consiglio di Stato ha espresso parere il 4 novembre scorso, sarà esaminato dalle Commissioni parlamentari, come stabilito dalla legge (comma 210), pertanto al momento non appare appropriato avviare modifiche delle disposizioni.
  Infatti, l'esame parlamentare rappresenta il luogo deputato al confronto politico sulle scelte effettuate dal Governo e sull'individuazione di possibili miglioramenti da apportare al testo. A tale proposito, assicuriamo fin da ora la massima apertura ai contributi che perverranno dagli organi competenti, tenuto conto che il parere parlamentare ha proprio lo scopo di individuare e risolvere eventuali criticità. Sarà poi il Governo a fare le opportune valutazioni conclusive di merito.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della riforma delle circoscrizioni giudiziarie, nell'ottica di una presunta razionalizzazione delle spese del settore giustizia, sono state soppresse anche le sedi distaccate di Amalfi, Cava De’ Tirreni, Montecorvino Rovella e Mercato San Severino;
   in particolare, tale decisione ha comportato l'accorpamento delle sezioni di Cava De’ Tirreni e di Mercato San Severino al Tribunale di Nocera Inferiore;
   un simile provvedimento non ha tenuto conto delle peculiarità del tribunale di Cava De’ Tirreni, seconda città della provincia di Salerno con i suoi oltre 50 mila abitanti, sede storica della pretura fino alla riforma del 1998, in un territorio che già negli anni Ottanta registrava un primato di criminalità e dove negli ultimi anni il numero dei processi, civili e penali, è cresciuto esponenzialmente, anche sotto il profilo qualitativo;
   l'imponente ampliamento della popolazione amministrata dal tribunale di Nocera Inferiore ha implicato un incremento dei carichi di lavoro, sia per il settore penale che per quello civile, del 25 per cento, senza però che sia stato assicurato alcun significativo potenziamento di magistrati, nüEdi ausiliari;
   oltre al danno per i cittadini e per gli operatori del settore, gli avvocati appartenenti ai Fori di Cava De’ Tirreni e Mercato San Severino denunciano anche la beffa;
   sembrerebbe, infatti, che tali professionisti, oltre al pagamento dei diritti di segreteria e delle spese per il nulla osta, necessario per il trasferimento presso l'Ordine di Nocera Inferiore, previa cancellazione dall'Albo, si sarebbero trovati nella situazione di dover pagare ben due quote di iscrizione di 140 euro e 180 euro, rispettivamente all'Ordine degli Avvocati di Salerno e a quello di Nocera Inferiore;
   se tale assurda situazione fosse confermata, sarebbe l'ennesimo colpo ai danni di una categoria, quale quella dell'avvocatura, già bistrattata dalla revisione geografica giudiziaria, che soprattutto nel territorio salernitano potrebbe portare a una paralisi generale della macchina giudiziaria:
   la specifica congiuntura economica degli ultimi anni, unitamente ai provvedimenti di riforma del settore avviati dagli ultimi Governi, ha portato a una situazione di crisi per le professioni intellettuali e, in particolare, per l'avvocatura che ormai versa in una situazione di emergenza –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda adottare per verificare la legittimitüEdelle determinazioni assunte dall'Ordine degli Avvocati di Nocera Inferiore e di Salerno che hanno portato al contestuale pagamento di due quote di iscrizione. (4-04546)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – criticità derivanti dalla soppressione delle sezioni distaccate di Cava de’ Tirreni e di Mercato San Severino, assorbite nel tribunale di Nocera Inferiore, con specifico riferimento alle ripercussioni prodotte sull'iscrizione degli avvocati al relativo consiglio dell'ordine.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Va, peraltro, evidenziato come l'adeguatezza delle scelte generalmente operate con il decreto legislativo n. 155 del 2012 sia stata, in più occasioni, vagliata positivamente dalla Corte Costituzionale, in particolare nella sentenza n. 237 del 2013 e nell'ordinanza n. 15 del 2014 in cui, tra l'altro, è stato rilevato che «... si è in presenza di una misura organizzativa, in cui la soppressione dei singoli tribunali ordinari ha costituito la scelta rimessa al Governo, nel quadro di una più ampia valutazione del complessivo assetto territoriale degli uffici giudiziari di primo grado, finalizzata a realizzare un risparmio di spesa e un incremento di efficienza; che tale valutazione è stata effettuata sulla base di un ’articolata attività istruttoria, come si desume dalla relazione che accompagna il decreto legislativo n. 155 del 2012 e dalle schede tecniche allegate – le quali, con specifico riferimento alle singole realtà territoriali, illustrano le modalità di applicazione dei criteri – nonché dalle relazioni e dai pareri, in particolare delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, sottoposti all'attenzione del Governo e del Parlamento; che, alla stregua di tale quadro di riferimento per l'esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte del decreto legislativo n. 155 del 2012 dei relativi criteri, né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione».
  Inoltre, con specifico riferimento alla richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai consigli regionali delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Campania, Liguria e Piemonte sulla riforma della geografia giudiziaria, si rileva che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2014, ne ha dichiarato l'inammissibilità.
  In particolare, con l'emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega, tutte le sezioni distaccate dei tribunali sono state soppresse, ed il relativo territorio è stato attratto nella competenza dei diversi tribunali accorpanti.
  In particolare, il territorio corrispondente alle sezioni distaccate di Cava de’ Tirreni e Mercato San Severino, già ricomprese nel circondario del tribunale di Salerno, è stato annesso al circondario del tribunale di Nocera Inferiore.
  Di conseguenza, gli avvocati aventi il domicilio professionale nei comuni ricompresi nel predetto territorio, già iscritti al consiglio dell'Ordine degli avvocati di Salerno, sono stati obbligati ad iscriversi al consiglio di Nocera Inferiore.
  Ad avviso dell'interrogante, per effetto della cancellazione dall'albo di Salerno e della iscrizione all'albo di Nocera Inferiore, i professionisti si sarebbero trovati nella situazione di dover pagare due quote associative, con evidente ed ingiustificato pregiudizio economico.
  Secondo quanto comunicato dalla competente direzione generale, tale situazione pregiudizievole non si è mai verificata.
  Come risulta dal verbale di adunanza del 10 maggio 2014 del consiglio dell'Ordine di Nocera Inferiore, infatti, in assenza di un protocollo condiviso tra i due ordini professionali per la gestione dei trasferimenti massivi, il consiglio dell'ordine di Nocera Inferiore ha deliberato di non richiedere la quota di iscrizione dovuta per il 2014 ai professionisti che abbiano depositato, presso la segreteria dell'ordine
ad quem, attestazione dell'avvenuto pagamento della tassa annuale all'ordine di Salerno.
  Né risulta che, successivamente alla citata determinazione consiliare, siano pervenute alla direzione generale della giustizia civile doglianze in tal senso.
  Nella prospettiva di agevolare gli ordini professionali negli adempimenti conseguenti al processo di revisione della geografia giudiziaria, risulta, invece, come la citata articolazione abbia emanato, in data 16 settembre 2014, una specifica circolare esplicativa per i consigli dell'Ordine degli avvocati e svolto una costante attività di orientamento.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CORDA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'OUA (Organismo unitario dell'avvocatura) ha indetto una nuova astensione dalle udienze da parte degli avvocati ne giorni dal 21 al 22 marzo 2014. La protesta in essere, iniziata già da tempo, ha lo scopo precipuo di manifestare il profondo disagio dell'avvocatura italiana, come dalla stessa deliberato a Napoli nel gennaio 2014, a causa:
    a) dello stato e delle condizioni in cui versa la giustizia a causa del ricorso ipertrofico alla decretazione d'urgenza, frequentemente, in carenza dei presupposti di legge e, altresì, in carenza di una organica politica giudiziaria e di ogni adeguata possibilità di interlocuzione con il Parlamento;
   b) della persistenza, a parere degli interroganti, di un attacco diretto alla funzione e alla rilevanza costituzionale della professione di avvocato attraverso una politica che parrebbe voler, deliberatamente, procedere allo smantellamento della giurisdizione e, al contempo, scoraggiare l'accesso alla tutela giudiziaria da parte dei cittadini, relegandola a privilegio per coloro che, in virtù delle loro condizioni economiche, possono permettersi il pagamento degli onerosi tributi imposti per ricorrervi;
    c) del fatto che da diversi anni è in atto un processo di svilimento della professione con la inspiegabile esclusione degli avvocati nelle decisioni sensibili per la vita ed il futuro dell'avvocatura;
   a parere degli interroganti i governi si sono succeduti recentemente hanno sottovalutato, verosimilmente, questo aspetto. L'avvocatura, lungi dal voler instaurare un rapporto conflittuale con il Governo, vorrebbe, tuttavia, svolgere un ruolo di rilievo in quelle che sono le decisioni che condizionano la vita e spesso la dignità della professione. Se è vero che l'avvocato deve svolgere il suo incarico con autonomia ed indipendenza, dignità e decoro al fine di garantire la miglior difesa a tutti i cittadini senza alcuna distinzione nel rispetto degli articoli 24, 111 e 3 della Costituzione; a fortiori deve essere in grado di partecipare attivamente alle riforme e alle vicende che riguardano l'evoluzione, lo sviluppo della professione e l'amministrazione della giustizia, così come dispone l'articolo 35, comma primo lettera q), della legge n. 47 del 2012, in realtà così non è;
   ancor da ultimo, infatti, il disegno di legge di riforma del processo civile, approvato dal Consiglio dei ministri in data 17 dicembre 2013, viene visto dagli avvocati con sfavore. Infatti non vi è stato il coinvolgimento dell'avvocatura alla quale non è stata neppure richiesta preventivamente quanto meno la sua opinione nonostante si tratti di un provvedimento in grado di incidere ampiamente sullo svolgimento della professione forense e nell'amministrazione della giustizia. Il dissenso verte non solo sull'aspetto formale, segno di un modus operandi non condivisibile e ormai patologico, ma, altresì, nel merito in virtù del fatto che alcune disposizioni, ragionevolmente, si riverberano negativamente nell'amministrazione della giustizia che secondo la Carta costituzionale è amministrata in nome del popolo ex articolo 101. Tra le norme a dir poco discutibili, che hanno generato la ferma opposizione dell'Avvocatura, vi è la previsione del deposito della motivazione della sentenza di primo grado previo pagamento di una quota del contributo unificato dovuto per il giudizio d'appello; in sostanza si tratta di una sorta di sentenza a pagamento. La decisione che verrà emessa dal giudice di prime cure sarà sprovvista della motivazione e sarà costituita quasi dal solo dispositivo, l'organo giudicante deciderà la causa senza esporre in fatto e in diritto come è giunto alla decisione di specie e quale ragionamento ha adottato. In tal senso la disposizione, quanto meno astrattamente, mal si concilia con il precetto di cui al secondo comma, punto n. 4, dell'articolo 132 del codice di procedura civile e, altresì, con l'articolo 3, secondo comma, della Costituzione. In secondo luogo, e nel merito, il giudice del gravame, che secondo il disegno di legge de quo aspira a diventare monocratico, nel motivare la sua decisione potrebbe tout court rifarsi alle conclusioni del giudice di prime cure, motivando, quindi, per relationem. Aspetto anch'esso, a parere degli interroganti, quanto meno discutibile. Disciplinare ciò che avviene nella prassi, con lo scopo di semplificare la motivazione di una sentenza d'appello, potrebbe, ragionevolmente, dare origine a delle storture. Non si può, a parere degli interroganti, ancorare la giustizia a criteri di mera produttività;
   non si comprende, poi, la disposizione che prevede la responsabilità in solido tra l'avvocato e il proprio assistito in caso di lite temeraria ex articolo 96 del codice di procedura civile. Appare una disposizione illogica e priva di fondamento che parrebbe volere ascrivere agli avvocati, del tutto gratuitamente, la responsabilità per il degrado e il continuo svilimento della giustizia. Non sono chiari, poi, i criteri di valutazione per stabilire, ex ante, la sussistenza di un eventuale accordo tra avvocato e parte assistita al fine di agire o resistere in giudizio con mala fede o colpa grave. Se è vero che queste disposizioni sono animate dalla ratio, peraltro apprezzabile, di ridurre i tempi e i costi del processo è anche vero che, a parere degli interroganti, non rappresentino lo strumento più efficace ed equo per realizzare lo scopo che il legislatore intende perseguire. Gli interventi normativi de quibus rappresentano, invece, una sorta di Giano bifronte che non restituisce efficienza alla macchina della giustizia ma contribuisce a renderla un privilegio a discapito soprattutto dei cittadini più deboli;
   negli ultimi anni si sono susseguiti una serie di interventi e modifiche al codice di procedure civile, tuttavia, lungi dal consentire un'ottimizzazione dei tempi e dei costi del processo si è, invece, giunti ad un esito contrario: i tempi non sono stati ridotti e i costi non sono diminuiti. I tempi del processo sono aumentati in media di due anni e i costi sono lievitati tanto da far aumentare gli importi del contributo unificato del 55,62 per cento per il primo grado di giudizio, del 119,15 per cento per l'appello e del 182,67 per cento per il ricorso al giudice di legittimità oltre alla triplicazione dei costi, a partire dal 2 gennaio 2014, della marca da bollo necessaria per iscrivere a ruolo una causa civile, amministrativa o tributaria. Inoltre, appare irragionevole che non sussistano differenziazioni, per fasce di reddito, per coloro che intendano iniziare una causa. Ciò rappresenta un pregiudizio per il diritto di difesa dei più deboli. I recenti provvedimenti legislativi hanno, altresì, indebolito la difesa penale per coloro che beneficiano del gratuito patrocinio a spese dello Stato. Difatti, lo svilimento economico della prestazione professionale degli avvocati d'ufficio incentiva la richiesta da parte loro di cancellazione dai rispettivi elenchi; questo, a parere degli scriventi, implicherà ulteriori riduzioni di tutela per i non abbienti. La riduzione dei compensi per i difensori penalisti, già previsto dal decreto ministeriale n. 140 del 2012 e confermato da ultimo con la legge di stabilità, va a detrimento sia degli avvocati, in particolare dei più giovani che intraprendono la professione, che dei cittadini ammessi al patrocinio a spese dello Stato. La situazione è ulteriormente aggravata dalle disfunzioni che caratterizzano i procedimenti di liquidazione dei compensi degli avvocati; si tratta di una vera e propria patologica del sistema che si concreta, frequentemente, nella dilatazione irragionevole dei tempi per l'emissione dei decreti di liquidazione e per il pagamento. Ciò arreca, ancora una volta, un pregiudizio morale prima di tutto e poi economico ai professionisti più giovani e, indirettamente, al cittadino; quest'ultimo vero anello debole della catena nonostante la vigenza dell'articolo 24 della Carta costituzionale;
   è notizia dei giorni scorsi che il presidente del CNF (Consiglio nazionale Forense), l'avvocato Guido Alpa, ha incontrato il Guardasigilli, al fine di giungere ad una soluzione delle problematiche che preoccupano l'Avvocatura nell'interesse del cittadino e dei suoi diritti. In tale occasione veniva auspicata dal Ministro una fattiva collaborazione attraverso una celere approvazione dei regolamenti di attuazione della riforma forense nonché l'avvio di un tavolo di lavoro con l'Avvocatura. La recente firma del decreto ministeriale che aggiorna i parametri forensi rappresenta un ulteriore passo in avanti. Tale intento, certamente apprezzabile, si presenta tuttavia, in considerazione degli interessi di tutte le persone, come improcrastinabile e rende necessario un intervento immediato e concreto;
   in data 7 febbraio 2014 l'Assemblea degli avvocati del foro di Cagliari indiceva uno sciopero/consistente nella astensione delle udienze sine die, a partire dall'11 febbraio 2014. L'intento veniva confermato in data 27 febbraio 2014, con l'obiettivo precipuo di far comprendere la vera gravità della situazione in cui versa la giustizia, l'avvocatura e in particolare quella sarda data la congiuntura economica attuale che incide maggiormente in un'economia già debole;
   a giudizio degli interroganti l'enorme disagio non solo professionale ma anche umano che vivono gli avvocati, la precarietà della giustizia italiana e soprattutto lo svilimento del diritto di difesa del cittadino richiedono un intervento profondo, organico ed immediato al fine di restituire equità alla giustizia, decoro e dignità alla professione forense e, conseguentemente, una compiuta tutela dei cittadini –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali misure urgenti, per quanto di competenza, intenda adottare e in quali termini al fine di intervenire compiutamente nella risoluzione delle problematiche descritte in premessa;
   se intenda avviare con urgenza un tavolo di lavoro tra i soggetti interessati a livello nazionale e regionale, considerata l'estrema complessità e la delicatezza della situazione in cui versano la giustizia, i suoi operatori e la tutela dei cittadini. (4-04179)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante lamenta – nel contesto di iniziative di protesta della magistratura associata e dell'avvocatura – la eccessiva durata dei tempi di definizione delle controversie e la perdurante criticità dell'arretrato civile, chiedendo se il Governo intenda avviare una complessiva riforma del processo civile che tenga conto delle istanze rappresentate.
  Come noto, la risoluzione delle croniche criticità della giustizia civile ha costituito obiettivo prioritario dell'azione del mio Dicastero, sin dall'insediamento.
  Nell'avviare un complessivo piano strategico di riforme, finalizzato ad assicurare adeguati livelli di efficienza del sistema ed una idonea risposta alla domanda di giustizia, il metodo adottato ha inteso coinvolgere nei lavori l'avvocatura, nella consapevolezza del ruolo essenziale che la stessa svolge nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni.
  Il proficuo confronto avviato ha investito tanto l'aspetto normativo quanto l'assetto organizzativo e, grazie all'impegno ed alla collaborazione dimostrata dall'avvocatura, sono state varate importanti innovazioni e superate inevitabili criticità operative, come avvenuto nella fase di avvio del nuovo processo civile telematico, al cui definitivo ed efficace consolidamento gli avvocati hanno decisamente contribuito.
  Il percorso riformatore ha, difatti, preso avvio dall'informatizzazione del processo civile, nella prospettiva dell'incremento di efficienza, congiunto a risparmi della spesa e all'ottimizzazione delle risorse.
  In pochi anni, l'impatto dell'innovazione tecnologica sul processo civile ha progressivamente consolidato importanti risultati.
  Dopo l'introduzione del processo civile telematico per le cause civili ordinarie iscritte avanti ai tribunali, l'obbligatorietà del processo civile telematico è stata estesa ai procedimenti esecutivi fin dalla loro fase introduttiva, nonché – a partire dal 30 giugno 2015 – ai processi celebrati avanti alle corti d'appello. Con l'introduzione generalizzata della facoltà di depositare l'atto introduttivo in via telematica, l'Italia può vantare oggi un processo civile di merito
paperless in tutte le sue fasi.
  Inoltre, dallo scorso 15 febbraio, sono attive, anche presso la Corte di cassazione, le notificazioni e comunicazioni telematiche; contestualmente, è stata attivata sul portale dei servizi telematici la consultazione dei registri civili, oltre che penali, della Corte, nonché l'elenco delle comunicazioni e notificazioni effettuate in cancelleria a seguito della mancata consegna del messaggio di posta certificata.
  Si tratta del primo passo verso la completa informatizzazione anche del giudizio di legittimità.
  Sempre con riguardo all'essenziale supporto dello strumento telematico, con il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, cosiddetto «decreto banche», è stato introdotto il registro elettronico con le informazioni afferenti le procedure esecutive e quelle concorsuali, anche concordate, quali i fallimenti, l'amministrazione straordinaria, i concordati preventivi, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, e così via, denominato
Portale dei creditori.
  Sono in corso le attività prodromiche alla realizzazione di tale registro elettronico: si tratta di uno strumento fondamentale per favorire la creazione di un mercato per i crediti deteriorati (Non performing loans-NPL), che finora ha scontato la scarsità di adeguate informazioni, consentendo ai soggetti interessati l'accesso ad un adeguato set informativo, che consentirà la stima del valore dei crediti e l'identificazione dei titolari, da cui poterli eventualmente acquistare.
  In tale prospettiva, uno strumento fondamentale per i creditori sarà anche il cosiddetto
Portale unico delle vendite giudiziarie, già in fase avanzata di realizzazione: si tratta di un marketplace unico nazionale per la pubblicazione dei beni di tutte le procedure, concorsuali ed esecutive, in Italia ove risulti fissata la vendita: un luogo virtuale in cui i beni sono resi visibili e le vendite più accessibili.
  Il portale, che entrerà in funzione entro il 31 dicembre prossimo, è uno strumento altamente innovativo, non tanto e non solo sotto il profilo tecnologico, quanto, piuttosto, per il mutamento di prospettiva che esso comporterà, superando il localismo delle singole procedure concorsuali per proporsi come strumento di trasparenza e di apertura al mercato.
  Il
marketplace e il portale dei creditori costituiscono due dei pilastri del sistema com. mon. (Competition Money). Tale sistema, come concepito dalla commissione ministeriale istituita il 4 agosto 2014, si fonda sulla necessità di sbloccare la parte qualificata dell'enorme massa creditoria, calcolata in circa 200 miliardi di euro, che rallenta la ripresa economica di molte imprese.
  Con la messa in opera del sistema
com. mon. si mira a fornire un ulteriore strumento di valorizzazione dei crediti deteriorati, che potrà fungere da volano al relativo mercato.
  Oggi, quindi, si può constatare con chiarezza come il percorso di progressiva informatizzazione della giustizia civile non sia finalizzato al mero risparmio di spesa o al mero incremento di produttività del sistema, ma a fornire servizi innovativi, che rechino vantaggi tangibili alla generalità dei cittadini e agli operatori economici.
  Si tratta di un percorso che vede la partecipazione convinta di tutti gli operatori della giustizia: giudici, avvocati e personale di cancelleria.
  Ad oltre due anni dall'entrata in vigore dell'obbligo di deposito telematico degli atti endoprocessuali, e ad oltre un anno dalla facoltà di deposito non cartaceo degli atti introduttivi, i dati sui depositi telematici sono ancora in decisa crescita, segno tangibile della bontà delle scelte compiute.
  Ciò è confermato dai dati sui depositi telematici: nel solo mese di luglio 2016 sono stati eseguiti 645.148 depositi telematici a valore legale da parte di avvocati e professionisti, con un incremento del 15 per cento rispetto al luglio 2015, quando era già in vigore l'obbligo di deposito telematico.
  Notevole anche la crescita dei depositi telematici di atti introduttivi, pari al 53 per cento rispetto allo scorso anno, ancora più significativa in quanto per questa categoria di atti non esiste, a tutt'oggi, l'obbligo, bensì la mera facoltà di invio telematico. Complessivamente, nell'ultimo anno sono stati depositati, da parte di avvocati e professionisti, 7,6 milioni di atti.
  Estremamente positiva è stata anche la risposta dei magistrati.
  Nell'ultimo anno (statistica aggiornata ad agosto 2016) sono stati depositati oltre 4 milioni di provvedimenti nativi digitali (di cui 1.231.510 verbali, 417.723 decreti ingiuntivi, 273.273 sentenze), rispetto ai 2,8 milioni circa registrati nell'anno precedente. Qui il dato è ancor più significativo, perché solo una piccola parte di tali depositi (417.723, pari al 10 per cento del totale) si riferisce ai decreti ingiuntivi, che sono attualmente gli unici provvedimenti necessariamente nativi digitali.
  Questi numeri dimostrano una volta di più come la magistratura abbia spontaneamente aderito al processo civile telematico, comprendendone e sfruttandone le potenzialità, anche a prescindere da un obbligo in tal senso.
  I tempi di emissione dei decreti ingiuntivi si sono ulteriormente ridotti, raggiungendo punte di decremento, rispetto al periodo anteriore all'obbligatorietà del telematico, pari al 54 per cento per il tribunale di Roma.
  Ciò costituisce indice anche dell'evoluzione organizzativa degli uffici giudiziari, che hanno saputo incrementare la propria efficienza organizzativa, avvantaggiandosi in misura crescente delle possibilità offerte dalla tecnologia.
  Tali risultati spingono a guardare con fiducia alle prossime evoluzioni in termini di progressiva estensione del processo civile telematico a tutti i settori processuali, con la certezza che l'informatica giudiziaria possa costituire valido strumento di velocizzazione dei procedimenti giudiziari nel loro complesso, oltre che di miglioramento oggettivo delle modalità lavorative, in specie per le cancellerie e per l'avvocatura.
  La maggiore efficienza degli strumenti telematici rispetto a quelli tradizionali è immediatamente riscontrabile anche dai consistenti risparmi di spesa, conseguiti attraverso le comunicazioni telematiche. Basti pensare che, nell'ultimo anno, sono state consegnate oltre 18 milioni di comunicazioni telematiche, con un risparmio stimato di circa 63 milioni di euro.
  Sulla scia dell'obbligatorietà del processo civile telematico, è notevolmente cresciuto il numero di pagamenti telematici relativi a spese di giustizia.
  Nell'ultimo anno, sono stati eseguiti 126.138 pagamenti telematici, più del doppio rispetto all'anno precedente, quando ci si era fermati a 66.705. Nel solo mese di luglio 2016 i pagamenti sono stati 12.734, laddove nel luglio 2015 ne erano stati eseguiti 9.675, con un incremento, quindi, superiore al 31 per cento.
  Questi dati inducono a guardare con particolare attenzione alla possibile ulteriore estensione dei pagamenti telematici, in vista di una digitalizzazione integrale del processo civile, dal primo atto del processo di cognizione fino all'acquisto all'asta dei beni nell'ambito del processo esecutivo.
  Non va trascurata, poi, l'informatizzazione del settore minorile, sia civile che penale, attraverso la diffusione dell'applicativo Sigma, completata in pochi mesi su tutto il territorio nazionale, grazie anche all'esperienza maturata nell'evoluzione dei sistemi civili e penali.
  Tale sistema consentirà, peraltro, il pieno funzionamento della banca dati sulle adozioni.
  Inoltre, presso alcuni uffici è già attivo il servizio
SIGM@Web, che consente a tutti, cittadini e avvocati, di attingere informazioni sullo stato dei procedimenti proposti innanzi al tribunale per i minorenni, attraverso un semplice collegamento internet che consente l'accesso alla banca dati del software ministeriale.
  Quanto allo sviluppo degli strumenti statistici, le potenzialità offerte dal
datawarehouse civile costituiscono ormai un patrimonio acquisito, al quale si attinge costantemente anche ai fini della cooperazione istituzionale con il Consiglio superiore della magistratura. Il livello conoscitivo del contenzioso raggiunto, riguardo al settore civile, ha consentito un'accurata diagnosi delle cause dell'arretrato e l'individuazione di possibili rimedi organizzativi.
  Il processo di digitalizzazione dell'attività amministrativa e processuale è stato supportato anche per il 2016 con l'assegnazione di cospicue risorse, pari ad oltre 86 milioni di euro. Oltre a tali risorse, vanno considerate quelle provenienti dai fondi strutturali europei nell'ambito del
PON Governance per importanti progetti di informatizzazione quali il processo penale telematico e la digitalizzazione del processo innanzi ai giudici di pace, che troveranno compimento entro il 2020.
  Pertanto, dovrà essere assicurata la corretta distribuzione e utilizzazione di tali risorse per il dispiegamento degli interventi programmati conseguenti alle riforme normative introdotte quest'anno in tema di digitalizzazione integrale dell'amministrazione centrale, nonché di tutti quelli necessari allo sviluppo della informatizzazione avanzata degli uffici giudiziari.
  Al percorso di informatizzazione avanzata del processo civile sono state affiancate plurime misure, di tipo normativo ed organizzativo, finalizzate a migliorare il livello di efficienza dei servizi e la qualità della risposta alla domanda di giustizia dei cittadini.
  I risultati raggiunti nella giustizia civile in questi ultimi anni testimoniano l'efficacia degli strumenti messi in campo, a partire proprio dai programmi di riduzione dell'arretrato civile.
  Nonostante i magistrati italiani registrino costantemente una produttività tra le più alte in Europa ed in costante incremento, sia in termini di numeri assoluti, sia in termini di efficacia nello smaltimento dell'arretrato, al giugno 2013 erano circa 5 milioni e 200 mila le cause civili pendenti.
  L'impegno riformatore, sempre nella linea di necessaria complementarietà tra interventi di carattere normativo e di innovazione organizzativa, ha investito i fondamentali assetti del processo civile, con l'obiettivo di ridurre i carichi di lavoro e l'arretrato, nel contempo favorendo un'opportuna azione di diffusione nell'intera rete degli uffici giudiziarie delle esperienze organizzative più virtuose.
  Oggi si può ragionevolmente ritenere, con il conforto delle statistiche a consuntivo, particolarmente capillari e attendibili anche grazie alla ormai completa possibilità di utilizzo per i dati del settore civile del
datawarehouse, che le misure normative ed organizzative adottate abbiano consentito il raggiungimento di importanti risultati.
  Alla data del 30 giugno 2016, il totale nazionale dei fascicoli pendenti – secondo l'analisi dei dati forniti dagli uffici, raccolti ed elaborati dalla direzione generale di statistica nell'ambito di un monitoraggio periodico pubblicato sul sito istituzionale – risulta, al netto dell'attività del giudice tutelare, pari a 3.886.285 procedimenti, confermando il
trend decrescente degli anni precedenti.
  Positivo corollario della riduzione delle iscrizioni e delle pendenze è il contenimento dei tempi di durata delle cause civili.
  Per la prima volta, nell'agosto 2016, i tempi medi di definizione in primo grado sono scesi a 992 giorni, sotto il tetto dei 1000.
  In particolare, i tempi medi di definizione dei procedimenti di competenza delle sezioni specializzate in materia di imprese sono passati da 1.155 giorni del 2012 agli 870 giorni del 2015.
  La significativa diminuzione della tempistica di trattazione dei procedimenti civili è dato particolarmente significativo dal momento che rappresenta elemento qualitativo della risposta di giustizia per il cittadino, nonché indicatore chiave di valutazione per gli organismi internazionali.
  L'inversione di tendenza registrata è stata, infatti, recepita ed evidenziata positivamente anche dalla banca mondiale nel suo ultimo rapporto annuale
Doing Business 2016, nel quale l'Italia ha guadagnato, anche grazie al miglioramento dei tempi di trattazione del contenzioso commerciale, 36 posizioni nel ranking mondiale (dalla 147a posizione alla 11a).
  Anche per quanto riguarda l'arretrato civile, nel suo complesso, si registra una significativa riduzione, con un carico nazionale che, partendo dai quasi 6 milioni di procedimenti a fine 2009, nel 2014 è sceso a 4,9 milioni.
  I positivi risultati raggiunti anche in termini di riduzione dell'arretrato, testimoniano la efficacia dei numerosi interventi posti in essere, sia di carattere normativo sotto il profilo della deflazione delle cause in entrata, sia organizzativo, allo scopo di velocizzare i tempi di definizione.
  L'efficienza della giustizia civile è un fattore decisivo per la ripresa economica del Paese, oltre che fondamentale terreno di contatto quotidiano per rinnovare nei cittadini la fiducia nelle istituzioni e la cultura della legalità.
  In tale prospettiva debbono essere inquadrati gli interventi normativi, con i quali sono state introdotte forme alternative di risoluzione delle controversie, in primo luogo attraverso il ricorso all'istituto della negoziazione assistita, complementare e non alternativa alla già avviata mediazione, istituti per i quali sono stati previsti anche meccanismi di incentivazione fiscale.
  Proprio al fine di armonizzare e razionalizzare il quadro normativo in materia e di elaborare una ipotesi di riforma che sviluppi gli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all'arbitrato e di trovare strumenti per incentivare e costruire un sistema di maggiori convenienze all'utilizzo delle forme stragiudiziali di risoluzione delle controversie, ho voluto l'istituzione di una commissione di studio ministeriale per l'elaborazione di una riforma organica degli strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie, presieduta dall'avvocato Guido Alpa, di cui a breve sono attesi gli esiti.
  Analogamente è da dirsi per la complessa ed organica revisione della disciplina dell'insolvenza, secondo linee progettuali definite attraverso il lavoro della Commissione Rordorf e già trasfuse in uno schema di disegno di legge delega, nell'ovvia evidenza dei riflessi negativi che può produrre una gestione non adeguata della crisi di impresa, sia in termini strettamente economici, che di immagine del Paese rispetto ai
competitors stranieri.
  In proposito, si può ragionevolmente ritenere che il
deficit competitivo del Paese possa essere colmato, contestualmente creando le condizioni per una duratura crescita economica, anche per il tramite di un ripensamento complessivo del sistema processuale fallimentare.
  Il quadro delle riforme
in itinere mira, infine, alla complessiva revisione delle regole processuali.
  Il disegno di riforma del processo civile in discussione in Parlamento intende, difatti, migliorare efficienza e qualità della giustizia, in chiave di spinta economica, conferendo maggiore organicità alle competenze del tribunale delle imprese, consolidandone la specializzazione; rafforzare le garanzie dei diritti della persona, dei minori e della famiglia mediante l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e la persona; realizzare un processo civile più lineare e comprensibile; assicurare la speditezza del processo mediante la revisione della disciplina delle fasi di trattazione e di rimessione in decisione.
  I dati statistici dei primi due anni di vita dei tribunali delle imprese sono estremamente positivi, con oltre il 90 per cento degli affari pervenuti nell'anno 2013 giunti a definizione ed oltre il 73 per cento degli affari pervenuti nell'anno 2014 definiti entro l'anno, con una media complessiva totale dalla nascita delle sezioni specializzate pari all'80 per cento di definizioni entro un anno, con sentenze di primo grado confermate quattro volte su cinque in sede di impugnazione.
  La positiva esperienza della concentrazione in pochissimi tribunali di questo tipo di contenzioso assume un valore importante per la reputazione anche internazionale del Paese, in quanto rappresenta la risposta, in termini di rapidità e prevedibilità della giurisprudenza, alle critiche che venivano dall'estero.
  Sul piano delle misure dirette ad ottimizzare l'organizzazione dei servizi si colloca, invece, la costituzione dell'ufficio per il processo, introdotto con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, che consente al giudice di avvalersi di una struttura di staff per la gestione delle controversie.
  Attraverso l'Ufficio per il processo si vuole, infatti, favorire l'integrazione di diverse figure professionali, allo scopo di migliorare non soltanto la produttività della giustizia civile nel suo complesso, ma anche la qualità del lavoro giudiziario attraverso un più razionale impiego delle risorse disponibili e di quelle reperite con specifici meccanismi di incentivazione.
  Accanto all'azione riformatrice realizzata sul piano normativo, sono stati adottati specifici interventi di orientamento e sostegno agli uffici giudiziari, al fine di un coerente sviluppo di attività uniformi nella gestione dei flussi.
  Con il progetto «Piano Strasburgo 2», elaborato nel corso del 2015 dal dipartimento per l'organizzazione giudiziaria sulla scorta dei risultati del censimento speciale dell'arretrato civile iniziato nell'anno 2014, positivamente valutato anche dal Consiglio superiore della magistratura, sono stati messi a disposizione di tutti gli uffici giudiziari strumenti utili per abbattere l'arretrato, proponendo di adottare nell'impostazione del lavoro, quale criterio di calendarizzazione delle cause da decidere, quello della assoluta priorità per i procedimenti di più risalente iscrizione.
  Proprio per incrementare al massimo la comunicazione permanente tra Ministero e uffici giudiziari, nella prospettiva di accrescere i processi di responsabilizzazione di tutti gli attori del mondo della giustizia verso la massimizzazione del livello di servizio ai cittadini e creare un proficuo confronto, gli esiti del monitoraggio inerente la giustizia civile e penale, curato dal Dipartimento per l'organizzazione giudiziaria sulla scorta dei dati forniti dagli uffici, viene pubblicato, con aggiornamenti trimestrali, sul sito istituzionale del Ministero della giustizia.
  I risultati raggiunti si sono, in conclusione, senz'altro giovati della complessiva razionalizzazione del sistema, consentendo un più proficuo investimento delle risorse, umane e materiali, dell'amministrazione della giustizia, come dimostrato dai dati statistici pubblicati e dagli osservatori internazionali.
  Quanto, infine, all'assetto regolamentare atteso dall'avvocatura, nel corso del 2015 sono stati adottati numerosi regolamenti e decreti ministeriali che hanno riguardato le forme di pubblicità del codice deontologico, il conseguimento del titolo di avvocato specialista, le modalità di elezione dei consigli dell'ordine.
  Nel 2016 il percorso di aggiornamento dello statuto giuridico dell'avvocatura è proseguito, anzitutto, con il completamento dell'attuazione della legge n. 247 del 2012, recante la nuova disciplina dell'ordinamento della professione forense, anche grazie alla costante interlocuzione con il consiglio nazionale forense, e sono entrati in vigore i regolamenti e i decreti ministeriali relativi alla disciplina per lo svolgimento del tirocinio per l'accesso alla professione forense, all'attività di praticantato presso gli uffici giudiziari, alle procedure per lo svolgimento dell'esame di Stato per l'abilitazione all'esercizio della professione forense, alla tenuta e all'aggiornamento di albi, elenchi e registri da parte dei consigli dell'ordine, nonché in materia di modalità di iscrizione e trasferimento, cancellazione, impugnazioni dei provvedimenti adottati in tema dai medesimi consigli dell'ordine, all'individuazione delle categorie di liberi professionisti che possono partecipare alle associazioni tra avvocati, all'accertamento dell'esercizio della professione forense, e al funzionamento e alla convocazione dell'assemblea dell'ordine circondariale forense.
  Sono attualmente in corso di elaborazione i regolamenti ministeriali per la costituzione delle camere arbitrali e per la disciplina delle modalità e condizioni di istituzione dei corsi di formazione per l'accesso alla professione di avvocato e, a tal fine, è stato avviato un confronto con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CORDA, FRUSONE, TOFALO e BASILIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco è universalmente considerato un'eccellenza dello Stato, poiché è in grado di assicurare il servizio di soccorso tecnico urgente, 24 ore su 24, in qualsiasi condizione ed in qualsiasi luogo del territorio nazionale;
   le sopravvenute difficoltà economiche e le esigenze di spending review non hanno consentito e non garantiscono al Corpo di poter svolgere il suo lavoro senza difficoltà; anzi esso ogni giorno lotta per superare le inadeguatezze organizzative e i ritardi normativi accumulati negli anni;
   le manovre di finanza pubblica attuate nelle ultime legislature hanno determinato decurtazioni degli stanziamenti ordinari di bilancio, che hanno inciso in modo particolare sulle spese per l'acquisto di beni e servizi ed hanno gravemente provocato una carenza di personale sia effettivo che volontario nonché una mancanza di risorse necessarie e mezzi e di una continua formazione professionale;
   in tanti comandi d'Italia, diversi distaccamenti sono rimasti chiusi a causa della grave carenza di organico del personale qualificato, riducendo anche le squadre delle sedi centrali, con il risultato di non poter garantire il soccorso tecnico urgente. Spesso in alcuni comandi si fa fatica anche per svolgere il servizio di vigilanza, e quando c’è una emergenza, il personale in servizio, dopo aver fatto il turno ordinario di 12 ore si ritrova a coprire un altro turno di altre 12 in straordinario, non lavorando più nemmeno in sicurezza, e senza sapere come e quando verrà retribuito;
   una condizione aggravata dai passaggi di qualifica e dalla riduzione dei richiami del personale volontario, con gravissime ripercussioni sul personale che vive una costante condizione di stress, condizione che non permette di garantire l'operatività dei distaccamenti presenti sul territorio. La conseguenza è la mancanza di una giusta e pronta risposta in termini di soccorso alla popolazione;
   la situazione attuale è quindi una pianta organica ridotta all'osso, mezzi insufficienti e altre carenze in seno al Corpo dei vigili del fuoco. Questa sta diventando una vera emergenza perché si rischia di produrre enormi conseguenze che in tema di soccorso;
   i discontinui dei vigili del fuoco sono oltre 50.000 e da decenni sono parte integrante del Corpo nazionale vigili del fuoco, utilizzati massicciamente nei servizi logistici così come nel soccorso. Ad essi vengono applicati contratti a tempo determinato, da gennaio del 2015 addirittura di soli 14 giorni, per non riconoscere l'indennità di disoccupazione. E c’è da aggiungere il drastico taglio del numero dei richiami a annuali. Tutto questo sta assestando un grave colpo all'intera organizzazione dei vigili del fuoco e quindi alla delicata macchina del soccorso. Un problema che riguarda tutti i cittadini;
   inoltre, la situazione è resa ancora più grave dal blocco delle assunzioni degli idonei dell'ormai famoso concorso «814», i cui partecipanti ancora oggi attendono di conoscere le loro sorti;
   anche in Sardegna, come in tutte le regioni italiane, la situazione è ugualmente preoccupante. Il 25 giugno 2015 è stata siglata la convenzione per la campagna antincendio 2015, ma l'esiguità delle risorse economiche destinate dalla regione Sardegna (600.000 euro), consente di approntare squadre boschive supplementari solo per 40 giorni a fronte di un impegno operativo sul campo di sei mesi. Inoltre, sussiste un'assoluta insufficienza di automezzi fuoristrada idonei alla lotta agli incendi boschivi con capacità idrica, oltre alla carenza di personale che solo nella regione sarda si attesta attualmente sulle 350 unità. Per non parlare delle attuali emergenze dovute a esondazioni e alluvioni in tutto il Bel Paese –:
   se il Ministro intenda mettere in campo ogni azione utile per la risoluzione della problematica per garantire la sicurezza dei cittadini e se intenda promuovere un necessario rafforzamento dell'organico del Corpo dei vigili del fuoco già carente da tempo risolvendo questa criticità, innanzitutto con lo sblocco delle assunzioni degli idonei di concorso e, successivamente con l'ingresso nel Corpo di ulteriore personale volontario da affiancare a quello già effettivo. (4-10763)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante richiama l'attenzione sulla necessità di rafforzare l'organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, procedendo allo sblocco delle assunzioni degli idonei del concorso a 814 posti e, successivamente, all'ingresso nel Corpo di ulteriore personale volontario da affiancare a quello effettivo.
  Al riguardo, si rappresenta che, pur in presenza di ripetute manovre di contenimento della spesa pubblica connesse alla difficile congiuntura economico-finanziaria del Paese, in questi anni il Ministero dell'interno ha dedicato una particolare attenzione al potenziamento delle dotazioni organiche del Corpo nazionale.
  Tali dotazioni sono state incrementate di oltre 2 mila unità di personale, grazie a due provvedimenti legislativi adottati nel biennio 2013-2014.
  Più di recente, sono intervenute due importanti misure in tema di ripianamento delle vacanze di organico:
   da un lato, il ripristino totale, a partire da quest'anno, del
turn over del personale del Corpo, dopo oltre un decennio di blocco parziale;
   dall'altro, l'autorizzazione del dipartimento della funzione pubblica a bandire un concorso pubblico a 250 posti di vigile del fuoco, a distanza di quasi otto anni dall'ultimo concorso per l'assunzione di personale appartenente a tale qualifica. Il relativo bando è stato pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale-Concorsi ed esami n. 90 del 15 novembre 2016.

  Tali misure consentiranno, tra l'altro, di incidere sul fenomeno dell'aumento dell'età media del personale in servizio, che rischia di diventare una seria criticità sia sul piano organizzativo che su quello funzionale.
  Da ultimo, nella consapevolezza della prossima scadenza delle graduatorie della procedura di stabilizzazione dei vigili del fuoco volontari del 2007 e del concorso a 814 posti di vigile del fuoco indetto nel 2008, sono stati disposti, con il decreto-legge n. 113 del 2016, convertito con legge n. 160 del 2016, un ulteriore incremento della dotazione organica del vigili del fuoco di 400 unità e l'assunzione straordinaria di 193 unità nei ruoli iniziali del Corpo per l'anno in corso a valere sulle facoltà assunzionali del 2017.
  Entro la fine dell'anno, poi, saranno assunti 255 vigili del fuoco a copertura del
turn over 2016.
  In sostanza, gli ultimi interventi legislativi consentiranno l'immissione in servizio, entro la fine di quest'anno, di 848 nuove unità di personale, che sicuramente potranno contribuire ad innalzare gli standard qualitativi e quantitativi del soccorso pubblico sul territorio nazionale.
  Si sottolinea, da un lato, che quota parte (193) delle predette 848 unità si riferisce ad assunzioni che avrebbero dovuto effettuarsi ordinariamente nell'anno 2017, dall'altro, che le 848 assunzioni avverranno attingendo alla graduatoria del già citato concorso a 814 posti.
  Detta graduatoria è l'unica rimasta in vigore, essendo ormai completamente esaurita, per effetto del relativo scorrimento, la graduatoria della procedura di stabilizzazione dei vigili del fuoco volontari.
  In ragione delle assunzioni effettuate nel corso degli anni, la graduatoria del concorso in parola ha visto uno scorrimento di circa 4.000 idonei a fronte di un concorso bandito per 814 posti. Si tratta di numeri che costituiscono un'importante risposta alle aspettative dei circa 7.600 idonei della graduatoria medesima.
  Si soggiunge che nel disegno di legge di legge di bilancio 2017, attualmente all'esame del Parlamento, è previsto uno specifico stanziamento per le spese inerenti al reclutamento del personale appartenente alla pubblica amministrazione, ivi compreso quello del Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  L'interrogazione contiene anche un riferimento alla carenza del parco automezzi nelle strutture del Corpo nazionale.
  Al riguardo, si premette che, nel corso degli ultimi dieci anni, la partecipazione del Corpo nazionale allo sforzo di riduzione delle dotazioni annuali di spesa relative ai beni e ai servizi, che ha caratterizzato le reiterate manovre di bilancio, ha determinato il progressivo invecchiamento del parco automezzi e il suo non adeguato ricambio.
  Questo Governo ha, quindi, avviato una fase di interventi normativi che, coniugando il rigore nell'impiego delle risorse con la certezza dei mezzi finanziari, rendessero possibile il mantenimento in efficienza delle risorse strumentali del Corpo nazionale, come è necessario per un'organizzazione preposta in via prioritaria alla sicurezza dei cittadini e delle imprese.
  Il primo provvedimento adottato in tal senso è stato il decreto-legge n. 119 del 2014, convertito con legge n. 146 del 2014, che ha previsto all'articolo 8 misure per l'ammodernamento di mezzi, attrezzature e strutture della Polizia di Stato e del Corpo nazionale, autorizzando una spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2014, 4 milioni per l'anno 2015 e 6 milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2021, da destinare al Corpo medesimo per l'acquisto di automezzi per il soccorso urgente.
  Successivamente, la legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità per il 2016, articolo 1, comma 967) ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo con una dotazione finanziaria di 50 milioni di euro per l'anno 2016 per l'ammodernamento delle dotazioni strumentali e delle attrezzature anche di protezione personale in uso alle Forze di polizia e al Corpo nazionale.
  Disposizioni normative di particolare interesse per il Corpo nazionale sono state adottate anche nel corso di quest'anno.
  Si fa riferimento, da un lato, all'articolo 6
-bis, comma 3, del decreto-legge n. 113 del 2016, convertito con legge n. 160 del 2016, con cui è stata autorizzata la spesa complessiva di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2018, per provvedere all'ammodernamento dei mezzi e dei dispositivi di protezione individuale; dall'altro, all'articolo 51 del decreto-legge n. 189 del 2016, con cui è stata autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2016 e di 45 milioni di euro per l'anno 2017 per l'ammodernamento del parco mezzi, in relazione all'esigenza del pieno ripristino della funzionalità dei mezzi fortemente usurati nell'attività di soccorso espletata nei territori colpiti dall'eccezionale evento sismico del 24 agosto 2016, nonché per la rimozione delle macerie dai predetti territori.
  Infine, nel già citato disegno di legge di legge di bilancio 2017 è stata inserita una disposizione normativa che destina risorse per l'acquisto e l'ammodernamento di mezzi strumentali delle forze di polizia e del Corpo nazionale, secondo un programma pluriennale di finanziamento.
  Tali provvedimenti legislativi potranno consentire – e in parte hanno già consentito – di ridurre le lamentate carenze del parco automezzi del Corpo nazionale. Si confida, infatti, di poter procedere a nuove assegnazioni di automezzi nel prossimo anno 2017, comunque in un'ottica di equa distribuzione sulla base delle analisi di priorità.
  Nelle more, eventuali e particolari esigenze saranno fronteggiate con le dotazioni disponibili a livello regionale.
  In conclusione, si assicura che l'amministrazione dell'interno continuerà a dedicare la massima attenzione alle problematiche delle dotazioni organiche e strumentali del Corpo nazionale, fermo restando che ogni ulteriore iniziativa finalizzata al potenziamento delle dotazioni medesime è rimessa alla volontà del Parlamento, che dovrà farsi carico anche di reperire le necessarie coperture finanziarie.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, PANNARALE, MELILLA, KRONBICHLER e PIRAS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel 2004 è stato inaugurato a Laureana di Borrello (RC) l'Istituto a custodia attenuata «L. Daga», per giovani adulti non tossicodipendenti;
   i molteplici progetti portati avanti durante gli undici anni di attività, spezzati da un anno di chiusura (sul quale era già stata presentata l'interrogazione a risposta scritta n. 4-00689) e i brillanti risultati conseguiti in termini di reinserimento dei detenuti all'uscita e di abbassamento della recidiva rispetto alla media nazionale, hanno certamente favorito l'aumento di altre realtà penitenziarie analoghe a questa sparse più o meno in tutta Italia;
   l'accesso è stato precluso – sia prima della chiusura avvenuta nel settembre 2012, sia al momento della riapertura avutasi nel settembre 2013 – ai detenuti che hanno collegamenti con la criminalità organizzata;
   i detenuti finora ospitati all'interno della struttura di custodia attenuata hanno firmato un «patto trattamentale» che prevede: il lavoro come strumento primario per il recupero (i laboratori di falegnameria e di ceramica hanno realizzato prodotti che erano utilizzabili assieme alle piante grasse prodotte nei corsi di serricoltura, i corsi di informatica, tutti corsi realizzati con l'ausilio della regione);
   prima della chiusura avvenuta nel 2012, grazie all'aiuto delle direzioni scolastiche territoriali si è dato avvio anche al progetto finanziato dalla provincia con la collaborazione dell'istituto alberghiero di Polistena e dell'istituto commerciale di Rosarno che ha consentito a 20 detenuti di terminare i percorsi d'istruzione già avviati negli istituti carcerari di provenienza e di conseguire per gli altri attestati di qualifica professionale, mentre con la sinergia del Ministero della giustizia e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per ciò che concerne il finanziamento, e della regione perciò che concerne l'esame finale, è stato realizzato il corso per operatore e manutentore di pannelli solari, titolo professionale spendibile sul mercato del lavoro;
   dalla riapertura, avvenuta il 30 settembre 2013, sino ad oggi, l'istituto Daga ha continuato a lavorare sulla stessa lunghezza d'onda, nonostante le titubanze dell'amministrazione penitenziaria che, a giudizio degli interroganti, non ha provato a risolvere la problematica relativa alla mancanza di detenuti per questa struttura, non individuando un target di detenuti che consentisse una popolazione stabile con la quale potere continuare il lavoro trattamentale, caratteristica di tale istituto (la popolazione detenuta ha sempre oscillato tra i 15 ed i 30 detenuti contro i 68 che potrebbero essere accolti);
   in questo quadro, pur difficile sono stati raggiunti nuovi obiettivi: si è tenuto un corso di operatore per il legno qualificato che ha conseguito un solo giovane extracomunitario a fronte dei 18 ammessi in prima istanza (e ciò è dipeso dall'esiguo fine pena prescelto in fase iniziale per la custodia attenuata di tre anni e che ha agevolato un continuo turn over con gli effetti dannosi per la buona riuscita del corso interamente finanziato dalla provincia di Reggio Calabria), si è affidata ad una nuova cooperativa la sperimentazione di manufatti in vetroresina e i risultati sono stati soddisfacenti sia in termini di produzione e di commesse che in termini di assunzione dei detenuti (la cooperativa ha sempre assicurato una media di 4 detenuti assunti mensilmente);
   attualmente, avendo l'istituto registrato molte difficoltà a riaprire tanto il laboratorio di falegnameria quanto quello di ceramica per mancanza di commesse e di maestri d'arte idonei, si sta cercando di riattivare tali laboratori con l'aiuto di Cassa Ammende, così come le serre, che stanno per essere riavviate;
   chiudere una struttura con tali potenzialità rappresenterebbe un danno per la collettività anche in considerazione di quanto si è già speso. Corretto sarebbe invece studiare il modo per utilizzarla in tutte le sue potenzialità; come per esempio potrebbe essere un valido «ponte» tra il mondo minorile e quello degli adulti. Sarebbe quindi auspicabile che le custodie attenuate in genere, in linea con gli orientamenti della Unione europea venissero valorizzate, definendo dei criteri comuni e con margini più ampi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di questa realtà penitenziaria;
   se il piano carceri 2015 preveda la chiusura e lo smantellamento di questa struttura per motivi di spending review, e quali iniziative di competenza, intenda assumere al fine di potenziare e valorizzare esperienze come quella dell'istituto a custodia attenuata «L. Daga», vista anche la costante urgenza strutturale determinata dal sovraffollamento del sistema nazionale delle carceri. (4-10911)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante segnala l'insufficiente utilizzo della casa di reclusione di Laureana di Borrello, evidenziando l'opportunità che siano avviate tutte le iniziative più utili per valorizzarne le peculiarità e incrementarne l'impiego.
  Le osservazioni svolte dall'interrogante sono integralmente condivise da questo dicastero, che, infatti, ha sollecitato l'adozione di nuovi criteri di gestione della casa di reclusione di Laureana di Borrello, proprio con l'intento di consentire che la stessa possa esprimere tutto il potenziale che riveste e che merita certamente di essere valorizzato.
  Con riferimento al numero di persone ospitate presso il detto istituto, ritenuto dall'interrogante inspiegabilmente ridotto rispetto alle possibilità concretamente offerte dallo stesso, deve evidenziarsi che, secondo quanto comunicato dalla competente articolazione ministeriale, la capienza regolamentare è fissata a 34 posti detentivi. Tuttavia, sempre secondo quanto comunicato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, la capienza meriterebbe di essere opportunamente rivalutata, posto che è stata calcolata secondo il parametro normativo che prevede 9 metri quadri di spazio per ciascun detenuto. Inoltre, presso l'istituto è già attiva la modalità detentiva della «custodia aperta», che comporta la possibilità per i detenuti di dedicarsi ad attività lavorative e che, conseguentemente, riduce decisamente l'utilizzo della cella al solo momento del pernottamento.
  Quanto alla sollecitata estensione degli accessi alla struttura, a seguito delle intervenute modifiche normative con cui sono stati ampliati i presupposti per l'avviamento alle misure alternative alla detenzione, la competente articolazione ministeriale ha provveduto a modificare i criteri di ammissione. È stata, infatti, innalzata l'età massima dei detenuti da 50 a 55 anni ed è stato spostato in avanti il fine pena da 5 a 6 anni. Inoltre, viene comunque consentito l'accesso a coloro che, pur avendo un fine pena più elevato, abbiano tuttavia fatto un percorso di revisione critica dimostrato da un interesse al lavoro, riportato nel provvedimento di trasferimento del magistrato di sorveglianza.
  La modifica dei criteri riferita ha consentito un afflusso di detenuti sensibilmente maggiore. Alla data del 14 novembre scorso, i detenuti presenti nell'istituto di Laureana di Borrello «Luigi Daga» erano 27, ossia quattro in più rispetto all'anno passato.
  Tuttavia, nella prospettiva di ampliare ulteriormente l'accesso e considerata la difficoltà sinora riscontrata nel reperire in ambito regionale detenuti che non solo abbiano i requisiti necessari alla custodia aperta ma che, altresì, accettino il patto di adesione al programma trattamentale, oltre ad un interpello in ambito regionale, si è svolto nel 2016 anche un interpello in ambito nazionale, che è tuttavia andato deserto.
  Nella prospettiva di dare nuovo slancio alla struttura e, soprattutto, e di favorire nuovi ingressi sono attualmente allo studio della competente articolazione ministeriale nuove ed ulteriori ipotesi di rivisitazione dei requisiti di ammissione.
  Preme evidenziare che anche le attività rieducative e trattamentali sono state potenziate e che presso la casa di reclusione di Laureana sono in corso di realizzazione nuovi importanti progetti. Tra questi devono essere ricordati la realizzazione, attualmente in corso, di un «campo polivalente», che impiega sei detenuti, nell'ambito di un progetto finanziato da cassa delle ammende, un piano per cui sono stati stanziati 200.000 euro per la produzione e la commercializzazione di olio d'oliva definito attraverso protocollo d'intesa stipulato lo scorso 19 ottobre con il presidente della regione Calabria ed una convenzione con una cooperativa per il rilancio delle serre e del laboratorio di falegnameria.
  Quanto sin qui riferito dimostra l'interesse del dicastero, oltre che al mantenimento, anche al potenziamento dell'istituto, che si pone in una linea di coerenza con la filosofia che è emersa nel corso dei lavori degli stati generali dell'esecuzione penale, volta alla responsabilizzazione ed alla concreta rieducazione dei detenuti.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato in un articolo de La Nuova Venezia del 18 febbraio 2016 il presidio dei vigili del fuoco di Mirano è da giorni privo dell'autopompa in dotazione poiché l'automezzo è stato destinato alla caserma dei vigili del fuoco di Mira in sostituzione di un altro automezzo in riparazione;
   la durata temporale del trasferimento dell'autopompa alla caserma di Mira al momento non è stata quantificata e non sembra quantificabile;
   tale situazione desta preoccupazione dal momento che l'assenza dell'automezzo ordinariamente in dotazione costringe all'inattività il presidio dei vigili del fuoco di Mirano;
   tale presidio è costituito da vigili del fuoco volontari e dunque non è operativo ventiquattro ore su ventiquattro, allo stesso tempo però l'area che il presidio è destinato a coprire con la propria azione è estesa e serve un bacino di sette comuni e 140 mila abitanti, con importanti infrastrutture stradali e zone industriali, da Scorzè a Spinea, da Martellago a Santa Maria di Sala;
   più volte in passato i vigili del fuoco volontari del presidio di Mirano hanno dato ottima prova del loro operato e si sono dimostrati preziosi negli interventi sul territorio di competenza, in particolare per quanto riguarda la riduzione dei tempi di attesa per gli interventi da parte degli altri presidi circostanti –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro per evitare che il presidio dei vigili del fuoco di Mirano possa in futuro trovarsi sprovvisto degli automezzi in dotazione e per ampliare la dotazione di automezzi a disposizione delle caserme dei vigili del fuoco della provincia di Venezia. (4-12158)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, prendendo spunto dalla situazione del distaccamento volontario dei vigili del fuoco di Mirano che sarebbe stato privato dell'autopompa in dotazione, chiede l'ampliamento del parco automezzi a disposizione delle sedi dei vigili del fuoco della provincia di Venezia.
  In proposito, si rappresenta che dal 1° marzo 2016 il predetto distaccamento dispone nuovamente di un'autopompaserbatoio funzionante e regolarmente in uso.
  Lo spostamento temporaneo di tale mezzo dalla sede di Mirano era stato il frutto di una precisa scelta organizzativa volta a garantire l'operatività della sede permanente dei vigili del fuoco di Mira, a sua volta rimasta priva dell'autopompaserbatoio in dotazione, in quanto inviata in officina per le riparazioni del caso.
  Su un piano più generale, si sottolinea che la carenza del parco automezzi nelle strutture dei vigili del fuoco della provincia di Venezia è una situazione che interessa tutte le sedi del Corpo nazionale a livello nazionale.
  Nel corso degli ultimi dieci anni, infatti, i Vigili del fuoco hanno concorso attivamente allo sforzo di riduzione delle dotazioni annuali di spesa che ha caratterizzato le reiterate manovre di bilancio, spesso concretizzatesi in tagli lineari alle spese di funzionamento e ai fondi per nuovi investimenti.
  Ciò ha determinato il progressivo invecchiamento del parco automezzi medesimo e il suo non adeguato ricambio.
  Questo Governo ha, quindi, avviato una fase di interventi normativi che, coniugando il rigore nell'impiego delle risorse con la certezza dei mezzi finanziari, rendessero possibile il mantenimento in efficienza delle risorse strumentali del Corpo nazionale, come è necessario per un'organizzazione preposta in via prioritaria alla sicurezza dei cittadini e delle imprese.
  Il primo provvedimento adottato in tal senso è stato il decreto-legge n. 119 del 2014, convertito con legge n. 146 del 2014, che ha previsto all'articolo 8 misure per l'ammodernamento di mezzi, attrezzature e strutture della Polizia di Stato e del Corpo nazionale, autorizzando una spesa di 2 milioni di euro per l'anno 2014, 4 milioni per l'anno 2015 e 6 milioni per ciascuno degli anni dal 2016 al 2021, da destinare al Corpo medesimo per l'acquisto di automezzi per il soccorso urgente.
  Successivamente, la legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016, articolo 1, comma 967) ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo con una dotazione finanziaria di 50 milioni di euro per l'anno 2016 per l'ammodernamento delle dotazioni strumentali e delle attrezzature anche di protezione personale in uso alle Forze di polizia e al Corpo nazionale.
  Disposizioni normative di particolare interesse per il Corpo nazionale sono state adottate anche nel corso del 2016.
  Si fa riferimento, da un lato, all'articolo 6
-bis, comma 3, del decreto-legge n. 113 del 2016, convertito con legge n. 160 del 2016, con cui è stata autorizzata la spesa complessiva di 10 milioni di euro per ciascuno degli anni dal 2016 al 2018, per provvedere all'ammodernamento dei mezzi e dei dispositivi di protezione individuale; dall'altro, all'articolo 51 del decreto-legge n. 189 del 2016, con cui è stata autorizzata la spesa di 5 milioni di euro per l'anno 2016 e di 45 milioni di euro per l'anno 2017 per l'ammodernamento del parco mezzi, in relazione all'esigenza del pieno ripristino della funzionalità dei mezzi fortemente usurati nell'attività di soccorso espletata nei territori colpiti dall'eccezionale evento sismico del 24 agosto 2016, nonché per la rimozione delle macerie dai predetti territori.
  Infine, nel disegno di legge di legge di bilancio 2017 è stata inserita una disposizione normativa che destina risorse per l'acquisto e l'ammodernamento di mezzi strumentali delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, secondo un programma pluriennale di finanziamento.
  Tali provvedimenti legislativi potranno consentire – e in parte hanno già consentito – di ridurre le lamentate carenze del parco automezzi del Corpo nazionale. Si confida, infatti, di poter procedere a nuove assegnazioni di automezzi nel prossimo anno 2017, comunque in un'ottica di equa distribuzione sulla base delle analisi di priorità.
  Nelle more, eventuali e particolari esigenze saranno fronteggiate con le dotazioni disponibili a livello regionale.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   D'AMBROSIO e LIUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo la strategia energetica nazionale (SEN) entro il 2020 in Italia si vuole più che raddoppiare l'estrazione di idrocarburi fino a 24 milioni di barili all'anno;
   tra le 5 zone ritenute ad elevato potenziale di sviluppo, in Basilicata c’è la Val d'Agri dove, a 2 chilometri dal lago del Pertusillo – invaso che raccoglie le acque poi distribuite alla rete idrica potabile di tutta la regione Puglia – e a 700 metri dal corso dei fiumi affluenti del lago, insiste il centro oli ENI (divisione E&P) che estrae 88 mila barili al giorno di greggio (noi riteniamo ben di più) e la SEN prevede un potenziamento per 129 mila barili al giorno di greggio estratti;
   secondo gli unici dati di monitoraggio eseguiti dall'Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente Basilicata (ARPAB) – come da progetto sulla «Valutazione dello stato ecologico del Lago del Pertusillo» finanziato con PO FESR 2007/2013 – i valori di bario, boro, ferro, manganese, rame, vanadio, fluorantene e naftalene risultano in varia misura pericolosamente superiori ai limiti massimi previsti per le acque superficiali, le quali in questo caso sono destinate all'uso potabile, distribuiti in rete in tutta regione Puglia da Acquedotto Pugliese spa;
   le piattaforme off-shore nella fase esplorativa e in quella estrattiva, causano lo sversamento in mare di un quantitativo di idrocarburi valutato nel 10 per cento del totale dell'inquinamento marino da idrocarburi: si tratta di fluidi e fanghi generati dalle trivellazioni e dagli scarti degli idrocarburi, estratti e lavorati letali per la fauna marina e l'intero ecosistema Adriatico, a cui si somma l'inquinamento provocato dal transito in mare di ogni tipo di natanti e delle navi-cisterna per il trasporto degli idrocarburi (si calcola che per ogni milione di tonnellate di petrolio trasportate via mare, una tonnellata vada dispersa a causa di riversamenti di varia natura);
   il Governo parla di 40.000 posti di lavoro grazie alle trivelle ma ad oggi si contano solo circa 240 occupati locali oltre a 500 stagionali –:
   se non ritenga necessario e urgente porre in essere iniziative finalizzate a limitare prima e fermare poi, la contaminazione da idrocarburi e metalli pesanti del mare e delle acque superficiali, specialmente quelle destinate all'uso potabile. (4-06313)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, relativa al monitoraggio delle piattaforme in mare per idrocarburi, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  L'associazione ambientalista Greenpeace, in data 20 luglio 2015, ha avanzato alla competente direzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare una richiesta di accesso agli atti per acquisire i dati sul monitoraggio ambientale delle piattaforme di estrazione di idrocarburi in mare. A fronte di tale richiesta il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che era in attesa di ricevere i monitoraggi da parte dell'Eni, ha reso disponibile la documentazione richiesta sino a quel momento in possesso, ossia le relazioni sui monitoraggi per gli anni dal 2012 al 2014, dando formalmente riscontro alla richiesta di accesso agli atti.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, qualora l'intervento non sia soggetto a valutazione di impatto ambientale nazionale, autorizza, ai sensi dell'articolo 104 del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni ed integrazioni, le attività di scarico in mare delle acque di strato presenti nelle formazioni geologiche associate agli idrocarburi liquidi e gassosi estratti dalle piattaforme in mare e che vengono separate durante il processo di produzione degli stessi.
  Lungo le coste italiane sono presenti circa 135 piattaforme posizionate parte entro le 12 miglia e parte oltre. Di queste per sole 40 è attivo lo scarico delle acque di strato, autorizzato previa presentazione di un piano di monitoraggio ambientale volto a verificare l'assenza di pericoli per le acque e per gli ecosistemi acquatici.
  Sono stati pertanto forniti all'associazione Greenpeace i dati per 34 piattaforme che scaricano in mare.
  A seguito del riscontro fornito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non sono state avanzate ulteriori richieste da parte dell'associazione.
  Tutto ciò premesso, si fa presente che, per quanto riguarda i dati sui monitoraggi ambientali e il rilascio delle autorizzazioni allo scarico, a fronte delle pervenute richieste da parte degli operatori, l’iter per il rilascio dei rinnovi allo scarico in mare per 34 piattaforme è attualmente sospeso in attesa di ricevere le necessarie valutazioni da parte dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale. Nel corso di questi mesi, è stato specificatamente richiesto al suddetto istituto, tenendo conto degli esiti dei monitoraggi effettuati dal 2012 al 2014 e dei dati elaborati dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale negli anni precedenti, quanto segue:
   di evidenziare eventuali criticità ambientali, superamento di livelli di attenzione previsti da specifiche normative nazionali europee ed internazionali, pericolo ed eventuale compromissione per le acque e gli ecosistemi marini, tali da poter rappresentare motivo ostativo ai rinnovi;
   di individuare, ove necessario, specifiche misure prescrittive in relazione alla caratterizzazione dello scarico e alla tutela del corpo recettore.

  A fronte delle richieste di cui sopra, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale ha espresso la propria valutazione indicando che «...pur essendosi evidenziati degli effetti delle piattaforme, nella loro complessità sull'ambiente marino nelle aree più prossime alle strutture, in generale per la quasi totalità delle piattaforme prese in esame non sono emerse criticità a carico degli ecosistemi». Peraltro, su quattro piattaforme l'istituto ha evidenziato alcune criticità, per le quali sono stati richiesti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ulteriori approfondimenti che sono in corso di svolgimento.
  Preso atto di tali valutazioni, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto opportuno avviare ulteriori verifiche sui dati rilevati durante i monitoraggi ambientali per le annualità 2011-2012-2013-2014-2015 per le piattaforme in fase di rinnovo dell'autorizzazione allo scarico, trasmessi da Eni tra settembre 2015 e giugno 2016. Tali verifiche sono necessarie per completare l’iter istruttorio e interpretare correttamente alcune variazioni della concentrazione dei parametri chimico-fisici monitorati, che non presentano andamenti costanti nel tempo. Per i profili tecnico-scientifici rilevati si è resa necessaria una valutazione supplementare da parte di un qualificato istituto di ricerca pubblico ed è stata pertanto richiesta una collaborazione mirata al Cnr.
  In relazione ai controlli e alle sanzioni, riguardo la composizione delle acque di strato, la normativa vigente prevede l'effettuazione dei controlli da parte delle capitanerie di porto, con il supporto delle Arpa, al fine di verificare la rispondenza con le prescrizioni previste dalle autorizzazioni e con la qualità e quantità delle acque di scarico dichiarate nella domanda di autorizzazione. L'unico parametro di legge previsto per lo scarico delle acque di strato è ad oggi quello relativo ad una concentrazione di olii minerali che deve essere inferiore a 40 milligrammi per litro (articolo 104 del decreto legislativo n. 152 del 2006) e che qualora rilevata porta al blocco dello scarico.
  Inoltre, come previsto dalla Parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2016, chiunque non osservi i divieti di scarico previsti all'articolo 104 è punito con l'arresto fino a tre anni.
  Ad ulteriore integrazione di quanto sopra rappresentato, si informa che è in corso l'attivazione di un tavolo tecnico con i tre istituti di ricerca (Ispra, Istituto superiore di sanità, Cnr), per rivedere le modalità per l'autorizzazione dello scarico direttamente in mare delle acque derivanti dalle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare, in ottemperanza alle disposizioni previste all'articolo 104, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006. Attualmente, infatti, la procedura istruttoria per il rilascio dell'autorizzazione allo scarico in mare da piattaforme di estrazione di idrocarburi fa riferimento al decreto ministeriale 28 luglio 1994 che quindi non tiene conto delle sopraggiunte modifiche al quadro normativo ambientale.
  In ogni caso, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Nardò, in località «Castellino» a ridosso dell'abitato, è ubicata l'ex discarica per rifiuti solidi urbani autorizzata con progetto della «Mediterranea Castelnuovo srl» come discarica di 1° categoria con D.G.P. n. 650 del 27 marzo 1991 per intercettare le esigenze di 6 comuni salentini;
   a pochi giorni dalla richiesta di realizzazione della discarica, la società proponente, la Mediterranea Castelnuovo srl, si trasformava in Mediterranea Castelnuovo 2 srl;
   nell'autorizzazione rilasciata dalla provincia di Lecce si stabiliva che il gestore avrebbe dovuto garantire, per i 10 anni successivi alla chiusura, l'attività di raccolta e stoccaggio del percolato e la combustione del biogas prodotto, a questo scopo presentava fideiussione di 700 milioni di lire (attuali 361.520,00 euro);
   ai sensi del decreto legislativo n. 36 del 13 gennaio 2003 – articolo 17 – la discarica viene autorizzata a continuare a ricevere rifiuti sino al 16 luglio 2005, per poi cessare definitivamente di ricevere rifiuti dal 31 gennaio 2007;
   l'ex discarica di Castellino continua oggi a rappresentare la più importante emergenza ambientale nel territorio di Nardò, emergenza aggravata alla sua mancata messa in sicurezza finale che determina periodicamente eventi pericolosi per la pubblica incolumità, come l'incendio verificatosi il 22 agosto 2011;
   secondo consolidata giurisprudenza l'imputazione dell'inquinamento ad un determinato soggetto può avvenire sia per condotte attive che per condotte omissive e la relativa prova può essere data in forma diretta o indiretta, potendo in quest'ultimo caso la pubblica amministrazione avvalersi anche di presunzioni semplici ex articolo 2727 c.c., prendendo in considerazione elementi di fatto da cui si traggano indizi gravi, precisi e concordanti: sulla base di tali indizi deve risultare verosimile che si sia verificato un inquinamento e che questo sia attribuibile a determinati autori –:
   se siano stati avviati o si intendano avviare o sia stato richiesto di avviare, per quanto di competenza così come previsto dagli articoli 305, 306, 308, 309 del decreto legislativo n. 152 del 2006, procedimenti inerenti alla problematica evidenziata.
(4-12573)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, relativa alla ex discarica situata nel comune di Nardò, in località Castellino, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Il servizio ambiente della provincia di Lecce in data 28 febbraio 2014 chiedeva all'Arpa Puglia aggiornate notizie sullo stato della discarica sita in località Castellino di Nardò e sui livelli di inquinamento del territorio circostante.
  L'Arpa Puglia, il 12 maggio 2014, trasmetteva i rapporti di prova sulle acque dei pozzi di monitoraggio. Comunicava, inoltre, di avere in corso la valutazione dei trend di concentrazione degli analiti, monitorati nel corso degli anni. In data 15 ottobre 2014 trasmetteva la relazione relativa ai controlli effettuati sulle acque dei pozzi spia nel decennio 2003-2013. In tale relazione, Arpa evidenziava, per il parametro nichel, superamenti dei valori soglia di contaminazione stabiliti dal decreto legislativo n. 152 del 2006 in due dei tre pozzi di monitoraggio.
  Il servizio ambiente della provincia, pertanto, convocava per il 1o dicembre 2014 un tavolo tecnico con Arpa, Asl, polizia provinciale e regione Puglia, per pianificare le attività di indagine volte ad individuare l'origine delle contaminazioni. Inoltre, trasmetteva la relazione Arpa, relativa alla qualità delle acque dei pozzi spia al gestore della discarica «Mediterranea Castelnuovo 2 S.r.l.», evidenziando il superamento delle Concentrazioni soglie di contaminazione per il parametro nichel, nonché lo scostamento tra le concentrazioni rilevate da Arpa e quelle indicate nei certificati di analisi periodicamente prodotti dal gestore.
  Il gestore della discarica, in data 18 dicembre 2014, comunicava di non ritenere attribuibili alla discarica la contaminazione da nichel.
  Il 27 gennaio 2015, Arpa Puglia trasmetteva i rapporti di prova dei pozzi spia campionati il 22 ottobre 2014, che confermavano il permanere delle contaminazioni da nichel in due dei tre pozzi di monitoraggio.
  Il servizio ambiente della provincia di Lecce, il 5 febbraio 2015 chiedeva al genio civile di Lecce di trasmettere i dati identificativi dei pozzi presenti nel raggio di 1 chilometro intorno alla discarica.
  Ricevuti i dati richiesti, detto servizio predisponeva gli elaborati grafici di riferimento per le indagini e convocava il tavolo tecnico, trasmettendo gli ultimi rapporti di analisi al gestore, con invito a partecipare al tavolo tecnico.
  Nel corso della terza riunione del tavolo tecnico, il 22 gennaio 2015, sulla base delle considerazioni di Arpa sulle responsabilità della riscontrata contaminazione, si stabiliva di avviare nei confronti del gestore la procedura prevista dall'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Il servizio ambiente, con decreto delegato n. 1959 del 10 novembre 2015, ordinava alla «Mediterranea Castelnuovo 2 S.r.l.» di attuare le misure di prevenzione necessarie.
  Di seguito il gestore comunicava di averle attuate e, successivamente, contestava le determinazioni della provincia, trasmettendo propria relazione tecnica.
  Arpa Puglia, con nota del 15 febbraio 2016, trasmetteva gli esiti dei monitoraggi eseguiti il 5 ottobre 2015 sulle acque dei pozzi spia. I rapporti di analisi rivelavano, limitatamente ad un pozzo, un lieve superamento delle Concentrazioni soglie di contaminazione per l'arsenico, mentre per il nichel il valore rientrava al di sotto delle Concentrazioni soglie di contaminazione.
  Il 1o marzo 2016 veniva convocato il tavolo tecnico, nel corso del quale si apprendeva che Arpa Puglia aveva eseguito dei campionamenti sui pozzi di monitoraggio della vicina discarica della «REI S.r.l.», con esiti non ancora disponibili e si stabiliva di effettuare campionamenti su base quadrimestrale dei pozzi di monitoraggio della discarica di «Mediterranea Castelnuovo 2 S.r.l.» con primo prelievo nello stesso mese di marzo.
  Attualmente, i rapporti di analisi dei pozzi di monitoraggio della discarica REI non evidenziano superamenti o valori di attenzione, mentre non sono ancora disponibili i risultati dei campionamenti eseguiti in marzo da ARPA Puglia sui pozzi di monitoraggio della discarica «Mediterranea Castelnuovo 2 S.r.l.».
  Si precisa che i conferimenti dei rifiuti nella discarica sono cessati completamente il 30 gennaio 2007.
  Circa le politiche regionali in materia di rifiuti, si fa presente che nella regione Puglia è attribuita specificatamente agli organi di governo di ambito (OGA) la competenza relativa ai servizi di gestione degli impianti di recupero, riciclaggio e smaltimento di tutti i rifiuti urbani e assimilati (legge regionale n. 24 del 2012). Gli stessi OGA – come risulta da atto dirigenziale n. 4 del 9 maggio 2016 – effettuata la ricognizione della disponibilità impiantistica sul proprio territorio, in caso di impossibilità di realizzare l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti solidi urbani per insufficienza o indisponibilità momentanea degli impianti pubblici dedicati, possono stipulare accordi con altri OGA per la corretta gestione dei rifiuti solidi urbani nei territori interessati.
  Con decreto del Presidente della giunta regionale n. 114 del 29 febbraio 2016 è stato disposto il commissariamento degli OGA delle province di Bari, Bat (Barletta-Andria-Trani), Brindisi, Foggia, Taranto e Lecce per le funzioni previste dalla legge regionale n. 24 del 2012 nonché per le funzioni autorizzative connesse al ciclo dei rifiuti.
  Con decreto del presidente della giunta regionale n. 412 del 16 giugno 2016 è stato disposto il potenziamento dei servizi di raccolta, spazzamento e trasporto di rifiuti solidi urbani presso i comuni, con particolare riferimento a quelli aventi vocazione turistica, caratterizzati da un aumento della presenza di residenti occasionali nel periodo tra giugno e settembre 2016. Gli OGA, nell'ambito delle funzioni loro attribuite, sono tenuti a predisporre strumenti attuativi di supporto ai singoli comuni.
  Si segnala, altresì, che con riferimento alla prevenzione della criminalità, la prefettura di Lecce ha promosso il coinvolgimento delle stazioni appaltanti con impegni pattizi che estendono le verifiche antimafia al di sotto dei limiti di legge.
  A tal fine, il 12 ottobre 2012 è stato sottoscritto il protocollo «La rete dei responsabili della legalità negli appalti pubblici» (successivamente aggiornato alla luce delle nuove disposizioni introdotte dal decreto legislativo n. 218 del 2012, con la conferma dell'adesione di oltre cento stazioni appaltanti, avvenuta il 19 ottobre 2013), che rientra nel più generale protocollo della cosiddetta «Architettura della Legalità». Ne è conseguita la creazione presso la suddetta prefettura di una banca dati per il settore degli appalti pubblici. Una sezione di tale banca dati è riservata ai dati giudiziari concernenti gli amministratori locali, al fine di applicare la normativa anticorruzione, in linea con quanto previsto dal piano nazionale anticorruzione in tema di misure ulteriori per la prevenzione del rischio di corruzione.
  Delle questioni sono interessate anche altre amministrazioni e, pertanto, non appena dovessero giungere nuovi elementi informativi, si provvederà agli opportuni aggiornamenti.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da molti mesi ormai, numerosi parchi nazionali attendono, a vario titolo, la nomina dei rispettivi organi dirigenziali: presidenti, membri del consiglio direttivo e direttori. Tali anomalie, attribuibili alle mancate intese tra autorità preposte, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e regioni competenti, incidono pesantemente sulla gestione, determinando una precarietà che potrebbe pregiudicare e riflettersi sia sugli aspetti ambientali nonché, su quelli economici e di legalità, rischiando di compromettere anche la effettiva sopravvivenza degli enti stessi;
   queste problematiche, in cui versano numerosi parchi nazionali, fra cui quello delle Dolomiti Bellunesi, sono state già segnalate il 13 gennaio 2016 con una interrogazione a risposta in commissione ambiente della Camera (interrogazione n. 5-07341), allo stato senza risposta, a prima firma della deputata Terzoni Patrizia, con la quale le si chiedeva: «se non ritenesse urgente intervenire, per quanto di competenza, per porre fine alla situazione di emergenza nella quale si trovano ad operare i parchi nazionali e di esporre le eventuali azioni che intendesse porre in essere riportando anche un relativo cronoprogramma»;
   nel caso di specie dell'ente parco Dolomiti Bellunesi, si rilevava la mancata nomina della figura del presidente, il componente più importante dell'organo collegiale di Governo dell'area naturale protetta previsto dall'articolo 9 della legge quadro n. 394 del 1991, ed elemento essenziale per la legale rappresentanza ed il coordinamento delle attività degli enti parco;
   tale mancanza rischia di compromettere inoltre, così come denuncia l'esecutivo del comune di Gosaldo in una delibera inviata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e alle autorità ed esponenti politici del territorio Bellunese, la possibilità di adottare ed intraprendere le azioni per accedere ai fondi e finanziamenti sia europei sia strutturali fino al 2020. Ciò determinerebbe un evidente danno sia per i comuni che ricadono nei territori dell'area protetta sia per quelli limitrofi che risentono comunque delle eventuali ricadute;
   a parere dell'interrogante, il protrarsi oltremodo di questa situazione di stallo, risulterebbe deleterio per la programmazione e lo sviluppo dei territori interessati e pertanto, la nomina degli organi dirigenziali, tra cui il presidente, è un elemento indispensabile per il corretto funzionamento istituzionale dei parchi nazionali che devono essere messi rapidamente nelle condizioni per svolgere efficacemente compiti a loro affidati tra cui la conservazione e valorizzazione del patrimonio naturale, da considerare come il vero interesse generale che deve prevalere su interessi di parte o sugli equilibri politici dei diversi territori –:
   se intenda assumere iniziative normative urgenti, per quanto di competenza, volte a superare la situazione di stallo in cui versano molti parchi nazionali e nel caso di specie procedere nel più breve tempo alla nomina del presidente dell'ente parco delle Dolomiti Bellunesi;
   se intenda rendere pubbliche e trasparenti le relative operazioni di selezione della figure ricercate da scegliere tra persone di alto profilo professionale e ambientale, lontane da logiche spartitorie della pratica partitica, in grado di condurre gli enti parco con la necessaria competenza e lungimiranza che porti ad un conseguente rilancio di uno dei settori fondamentali per l'economia del territorio bellunese, ovvero la gestione e conservazione del nostro patrimonio naturale.
(4-13995)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto concerne le problematiche relative alla gestione degli enti parco, si segnala che i consigli direttivi mancanti sono 2: si tratta dei consigli direttivi dei parchi del Gran Paradiso e del Vesuvio, per i quali si è in attesa di ricevere le designazioni da parte di tutti i soggetti competenti.
  Per quanto concerne, invece, i direttori degli enti parco, questo Ministero ha sollecitato l'avvio delle procedure di selezione da parte dei parchi della Majella, dell'Alta Murgia, dell'Appennino Lucano/Val d'Agri, e del Gargano.
  Il Parco dell'Appennino Lucano/Val d'Agri, il Parco del Gargano e il Parco del Pollino hanno già pubblicato l'avviso di selezione per l'individuazione della terna di candidati da trasmettere a questo ministero, mentre i Parchi della Majella e dell'Alta Murgia sono stati sollecitati a provvedere.
  Per quanto riguarda, infine, i presidenti dei Parchi, nel 2016 sono stati nominati 4 presidenti:
   ente parco nazionale del Vesuvio (decreto n. 99 del 26 aprile 2016);
   ente parco nazionale del Cilento e Vallo Diano e Alburni (decreto n. 100 del 26 aprile 2016);
   ente parco Gran Sasso (decreto n. 166 del 9 giugno 2016);
   ente parco nazionale del Gran Paradiso (decreto n. 191 del 12 luglio 2016).

  Peraltro, si segnala altresì che, per quanto riguarda l'ente Parco Nazionale della Sila, si è in attesa di conseguire l'intesa con il presidente della regione Calabria sul nominativo del presidente.
  Al riguardo si evidenzia che il provvedimento di nomina dei presidenti, secondo il disposto dell'articolo 9 della legge 6 dicembre 1991, n. 394, richiede l'espressione dell'intesa della regione, che si qualifica, secondo il costante indirizzo della Corte costituzionale, quale intesa «forte», cioè a dire che, in assenza della stessa, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non può procedere alla nomina.
  Per questo motivo, ad oggi, non è stato nominato il presidente del parco delle Dolomiti Bellunesi, non essendo stata raggiunta un'intesa necessaria ad assicurare un'adeguata sinergia e leale collaborazione tra Stato e regione, al fine di individuare nella figura del presidente dell'ente parco nazionale un soggetto titolato e competente a svolgere un compito delicato, proprio in ragione delle finalità istitutive che sono assegnate agli enti parco nazionali.
  Ad ogni modo, relativamente alla governance degli enti parco nazionali, si segnala che questo Ministero sta seguendo l’iter di modifica della legge quadro sulle aree protette (n. 394 del 1991), il cui testo è stato approvato dalla Commissione ambiente del Senato lo scorso 20 ottobre.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dagli interroganti sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DELL'ORCO, FERRARESI e SPADONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da fonti stampa risulta che venerdì 23 ottobre 2015 si sarebbe riunito il consiglio d'amministrazione di Coopsette, società cooperativa di Castelnuovo di Sotto (RE), per analizzare la crisi aziendale. In considerazione però dell'esito negativo delle ultime negoziazioni relative alla collocazione del ramo aziendale costruzioni, il consiglio d'amministrazione avrebbe preso atto dell'impossibilità di predisporre un piano industriale, economico finanziario che possegga quelle caratteristiche di credibilità e fattibilità idonee a supportare una proposta concordataria che si fondi sulla continuità dell'attività della società;
   nella suddetta riunione si è deciso pertanto di non presentare presso il tribunale una proposta di concordato e, al momento, risultano comunque scaduti i termini. La strada che si delinea per Coopsette è dunque quella della liquidazione coatta amministrativa, per cui sembrerebbe essere già stata inoltrata istanza al Ministero dello sviluppo economico, che dovrà nominare un commissario tra i tre nominativi proposti dalla Legacoop. Non risulta neppure escluso il fallimento su istanza avanzata da un fornitore della coop, che andrà in udienza tra pochi giorni;
   in entrambi i casi, l'operatività dell'azienda sembra, almeno al momento, non poter essere più assicurata e a questo punto si pone il problema dei nuovi equilibri e degli impegni assunti da Coopsette all'interno delle società di progetto Arc e Autocs concessionarie per la progettazione, la costruzione e la gestione rispettivamente dell'autostrada regionale Cispadana e della Bretella di Campogalliano-Sassuolo;
   inoltre, sebbene la società di progetto sia un'entità giuridicamente distinta da quelle dei soggetti promotori, tuttavia, l'uscita di Coopsette potrebbe configurarsi come un venir meno dei requisiti delle società di progetto stesse. Coopsette, che detiene quasi il 15 per cento della società Autocs e oltre il 19 per cento della società di progetto Arc, è infatti uno dei soci che hanno certamente concorso a formare i requisiti per la qualificazione ai bandi per le suddette tratte autostradali. Ciò risulta chiaro anche da un comunicato stampa, diffuso dalla capofila Autobrennero, subito dopo la costituzione del raggruppamento temporaneo di imprese, per partecipare al bando della Bretella, in cui si sosteneva che le cooperative Coopsette e Pizzarotti rappresentassero i maggiori soci costruttori, come da collaudate precedenti esperienze quali le iniziative appunto per l'autostrada Cispadana e la superstrada Ferrara-Porto Garibaldi;
   in merito ai soci promotori che concorrono a formare i requisiti di qualificazione di una società di progetto, il legislatore ha inteso porre maggiori garanzie per gli equilibri del piano economico finanziario, per i lavori stessi e per tempistiche, gara, garanzie che, al momento, potrebbero non più sussistere come risulta chiaro in tema ad esempio di cessione di quote su cui l'articolo 156, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006 n. 163, prevede appunto che i soci promotori che hanno concorso a formare i requisiti per la qualificazione siano tenuti a partecipare alla società fino al collaudo dell'opera –:
   se i Ministri interrogati non ritengano che l'eventuale fallimento o liquidazione di Coopsette possa configurarsi come causa di perdita dei requisiti di qualificazione previsti dal bando per Autocs;
   se il Governo sia a conoscenza degli intendimenti di Autocs in merito alla gestione dei fatti in premessa e se si intenda prevedere un subentro a Coopsette;
   se il Governo non intenda sospendere la concessione di Autocs per la bretella di Campogalliano-Sassuolo, almeno fino a quando non risulteranno chiari gli effetti della crisi di Coopsette, per evitare che, in futuro, si palesi la necessità di ulteriori apporti di contributi pubblici. (4-10954)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, concernente le vicende della Coopsette società cooperativa di Castelnuovo di Sotto (Reggio Emilia), si rappresenta quanto segue.
  Occorre premettere che la Coopsette, costituita in data 30 aprile 1960 e operante nel settore delle cooperative di produzione e lavoro, è stata posta in liquidazione coatta amministrativa con decreto ministeriale n. 541 del 2015 del 30 ottobre 2015 con la nomina di un commissario liquidatore.
  L'avvio di tale procedura trae origine dagli accertamenti effettuati dalla associazione lega nazionale cooperative e mutue, cui l'ente aderiva. Le risultanze ispettive hanno evidenziato lo stato di decozione dell'ente che non è in grado di far fronte regolarmente alle obbligazioni assunte. Oltre alla difficoltà oggettiva a comporre accordi per la salvaguardia dei rami d'azienda, si registrano decreti ingiuntivi attivati da creditori ed azioni esecutive avviate da ex dipendenti/dirigenti esodati o licenziati.
  La cooperativa in parola ha, inoltre, ritirato la proposta di concordato preventivo
ex articolo 161, sesto comma, legge fallimentare formulata al tribunale con nota del 27 maggio 2015 per l'impossibilità di procedere al deposito del necessario piano concordatario.
  Pertanto, sulla base di tali elementi è stato adottato il provvedimento di apertura della procedura concorsuale.
  Inoltre, per quanto attiene i rapporti con le società di progetto autostrada regionale cispadana s.p.a. (ARC) e autostrada Campogalliano Sassuolo s.p.a. (AUTOCS), concessionarie per la progettazione, costruzione e gestione, rispettivamente, dell'autostrada regionale cispadana Reggiolo Ferrata sud e dell'accordo autostradale Campogalliano Sassuolo tra la A22 e la strada statale 467 «Pedemontana», in
project financing, si rileva che, come chiarito dall'Autorità nazionale anticorruzione (confronti determinazione n. 10 del 23 settembre 2015), con il termine project financing si indica il finanziamento di un progetto in grado di generare flussi di cassa sufficienti a remunerare l'investimento effettuato ed a garantire un utile. Caratteristica fondamentale di tali operazioni è la costituzione di una società di progetto, istituto finalizzato a garantire una situazione di isolamento reciproco tra i rischi e le responsabilità che fanno capo al progetto e quelle che fanno capo ai suoi sponsor.
  Nello specifico, ai sensi dell'articolo 156, commi 1 e 2, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni, la società di progetto subentra nel rapporto di concessione all'aggiudicatario e diviene la concessionaria a titolo originario. Il subentro della società di progetto nella posizione dell'aggiudicatario integra un'ipotesi di novazione soggettiva e prevede che un soggetto del tutto nuovo rispetto al rapporto concessorio originario succeda nella titolarità dei diritti e degli obblighi rispetto al previo aggiudicatario-concessionario.
  Il rapporto di concessione intercorre, pertanto, tra l'ente concedente e la società di progetto, cosicché eventuali procedure concorsuali che colpiscano i soci della stessa non possono avere effetti diretti ed immediati sulla concessione.
  In capo ai soli soci che hanno concorso a formare i requisiti di qualificazione è previsto dall'articolo 156, comma 3, del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 e successive modificazioni il permanere di una posizione di garanzia, peraltro limitata all'eventuale rimborso del contributo pubblico percepito, cui è correlato un obbligo di permanenza nella società di progetto sino alla data di emissione del certificato di collaudo.
  In particolare, sulla base delle informazioni fornite sul caso specifico dal Commissario liquidatore si precisa che, per quanto concerne la concessione relativa al raccordo autostradale Campogalliano Sassuolo, i soci autostrada del Brennero s.p.a. e impresa Pizzarotti & C. s.p.a., che detengono congiuntamente l'82,29 per cento della società di progetto Autocs, di cui fa parte anche Coopsette, soddisfano autonomamente i requisiti di capacità economico-finanziaria e capacità tecnica richiesti dal bando della gara originariamente indetta dall'Anas.
  La predetta società di progetto risulta, inoltre, correttamente capitalizzata, in conformità alle prescrizioni dettate dal medesimo bando di gara.
  In ragione di quanto sopra, si sottolinea:
   1. la liquidazione coatta amministrativa della società Coopsette determina la perdita dei requisiti di qualificazione previsti dal bando per Autocs, in quanto i soci della società di progetto diversi da Coopsette, ed in particolare Autostrada del Brennero s.p.a. e Impresa Pizzarotti & C. s.p.a., sono autonomamente in possesso dei predetti requisiti. La società di progetto è inoltre correttamente capitalizzata nel rispetto delle prescrizioni di gara;
   2. la valutazione circa l'opportunità di eventuali variazioni della compagine sociale di Autocs sono di esclusiva competenza della società di progetto e dei soci della medesima, alle condizioni e termini previsti dalle disposizioni normative vigenti e sotto la vigenza dell'ente concedente.

  Pertanto, non si ritiene ricorrano le condizioni per procedere alla sospensione della concessione, visto che il concessionario non versa in condizioni di inadempienza e, come illustrato, non si è verificata alcuna perdita dei requisiti di qualificazione.
  Infine, per completezza di informazione si rende noto che, a seguito della delibera del 18 febbraio 2016, con la quale ARC – autostrada regionale cispadana spa ha richiamato l'1 per cento del capitale sottoscritto, ma non versato, al fine di poter continuare ad operare per l'esecuzione della concessione, in virtù della quota di partecipazione di Coopsette, su richiesta del Commissario liquidatore, il Ministero dello sviluppo economico, vigilante, ha autorizzato il versamento del citato richiamo dell'1 per cento del capitale sociale, pari ad euro 135.000,00, quale quota di competenza. Ovviamente l'autorizzazione è stata rilasciata nell'ottica della migliore valorizzazione della partecipazione posseduta in ARC derivante dalla continuazione di tale attività.

Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la riforma della geografia giudiziaria, attuata con i decreti legislativi n. 155 del 2012 e n. 156 del 2012, disponendo la soppressione delle sezioni distaccate di tribunale presenti sui territori di Afragola e Casoria, ha al contempo previsto l'accorpamento degli ambiti territoriali siti in tali mandamenti nel costituendo tribunale di Napoli nord, collocato nel comune di Aversa, in provincia di Caserta;
   tale revisione della geografia giudiziaria ha prodotto e sta producendo effetti che vengono riferiti al deputato interrogante come devastanti non solo per gli utenti che quotidianamente operano nel settore, ma di fatto ostacola l'accesso alla giustizia dei cittadini dei comuni di Afragola, Arzano, Casavatore e Casoria, in particolare per i cittadini meno abbienti, in totale violazione di diritti costituzionalmente garantiti;
   al deputato interrogante è stata consegnata una petizione recante alcune centinaia di firme, con la quale si sollecita lo scorporo dal tribunale di Napoli nord dei comuni di Afragola, Arzano, Casavatore e Casoria e la ricollocazione dei medesimi nell'ambito territoriale del circondario del tribunale di Napoli;
   molteplici e diverse appaiono – a parere dei cittadini sottoscrittori della suddetta petizione – le cause che rendono inopportuna l'assegnazione dei citati comuni all'ambito territoriale del tribunale di Napoli nord;
   la prima sarebbe la perdita di un presidio di legalità su territori notoriamente interessati da significativi fenomeni di malavita organizzata, comprime ulteriormente il controllo dello Stato, non essendo agevolato dalla non trascurabile distanza dalla sede del tribunale di Napoli nord presso Aversa;
   peraltro, la predetta distanza tra i tribunali e le località menzionate sarebbe aggravata dalla totale assenza di collegamenti diretti del servizio pubblico, peraltro destinato ad ulteriori rimodulazioni e ridimensionamenti a seguito del piano del trasporto pubblico previsto dalla regione Campania;
   tale difficoltà negli spostamenti causerebbe inoltre un aggravio dei costi legati alla giustizia;
   infine, sarebbero molteplici i legami di ordine economico, sociale e culturale che fondono il territorio del comune di Napoli con quello dei comuni citati formando un unicum inscindibile, tanto che gli stessi rientrano nella costituita città metropolitana di Napoli –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei disagi descritti in premessa e quale sia la sua opinione in merito;
   se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare, per quanto di sua competenza e anche utilizzando il potere di iniziativa legislativa, al fine di procedere con la massima urgenza allo scorporo di detti comuni dal circondario del tribunale di Napoli nord disponendo la contemporanea assegnazione degli stessi all'ambito territoriale del tribunale di Napoli. (4-09482)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – criticità derivanti dal trasferimento della competenza giurisdizionale sui comuni di Arzano, Casavatore e Casoria dal tribunale di Napoli a quello neo istituito di Napoli nord in Aversa, chiedendo di sapere: «se il Ministro...sia a conoscenza dei disagi descritti in premessa e quale sia la sua opinione in merito; se...non ritenga di doversi attivare, per quanto di sua competenza e anche utilizzando il potere di iniziativa legislativa, al fine di procedere con la massima urgenza allo scorporo di detti comuni dal circondario di Napoli Nord, disponendo la contemporanea assegnazione degli stessi all'ambito territoriale del tribunale di Napoli».
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Va, peraltro, evidenziato come l'adeguatezza delle scelte generalmente operate con il decreto legislativo n. 155 del 2012 sia stata, in più occasioni, vagliata positivamente dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 237 del 2013 e nell'ordinanza n. 15 del 2014 in cui, tra l'altro, è stato rilevato che «...si è in presenza di una misura organizzativa, in cui la soppressione dei singoli tribunali ordinari ha costituito la scelta rimessa al Governo, nel quadro di una più ampia valutazione del complessivo assetto territoriale degli uffici giudiziari di primo grado, finalizzata a realizzare un risparmio di spesa e un incremento di efficienza; che tale valutazione è stata effettuata sulla base di un'articolata attività istruttoria, come si desume dalla relazione che accompagna il decreto legislativo n. 155 del 2012 e dalle schede tecniche allegate – le quali, con specifico riferimento alle singole realtà territoriali, illustrano le modalità di applicazione dei criteri – nonché dalle relazioni e dai pareri, in particolare delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, sottoposti all'attenzione del Governo e del Parlamento; che, alla stregua di tale quadro di riferimento per l'esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte del decreto legislativo n. 155 del 2012 dei relativi criteri, né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione».
  Inoltre, con specifico riferimento alla richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai consigli regionali delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Campania, Liguria e Piemonte sulla riforma della geografia giudiziaria, si rileva che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2014, ne ha dichiarato l'inammissibilità.
  In particolare, con l'emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega, nel distretto di Napoli si è provveduto ad un significato riordino dell'assetto dei tribunali del territorio.
  Tale ambito territoriale è, infatti, caratterizzato da una concentrazione di popolazione per chilometro quadrato davvero rilevante, nonché da una vasta area metropolitana particolarmente congestionata, in precedenza interamente assegnata alla competenza del Tribunale di Napoli.
  Al fine di superare le conseguenti criticità del tribunale capoluogo attraverso l'opportuna creazione di un secondo tribunale sub-provinciale di Napoli, il tribunale di Giugliano in Campania è stato rinominato in «Napoli Nord», con sede nel comune di Aversa, ampliandone al contempo la competenza al fine di realizzare un intervento deflattivo non solo del tribunale di Napoli, ma anche di quello di Santa Maria Capua Vetere.
  Il neo istituito Tribunale di Napoli Nord in Aversa ha, pertanto, iniziato a funzionare nel settembre 2013, in corrispondenza dell'efficacia delle disposizioni di riforma della geografia giudiziaria disposte dal richiamato n. 155 del 2012, senza alcun carico di lavoro pregresso in quanto i preesistenti procedimenti relativi ai territori aggregati sono rimasti incardinati presso i tribunali ove sono stati iscritti.
  In particolare, i tre comuni di cui si chiede la riassegnazione al tribunale di Napoli costituivano il territorio della soppressa sezione distaccata di Casoria del predetto tribunale, con un bacino di utenza complessivo pari a 132.000 abitanti ma che distano poco più (Casoria) o poco meno (Arzano e Casavatore) di venti chilometri dalla nuova sede di tribunale di competenza.
  L'entità del bacino di utenza complessivo dei tre comuni è poi tale da introdurre un ulteriore elemento da considerare: se considerati in blocco, infatti, i 132.000 abitanti di riferimento costituirebbero un incremento pari a circa il 10 per cento dell'attuale bacino di utenza previsto per il tribunale di Napoli o un decremento di circa il 14 per cento di quello attribuito al nuovo tribunale di Napoli nord, modificando in maniera considerevole il riordino territoriale avviato prima ancora che le determinazioni assunte possano dispiegare pienamente i loro effetti.
  I dati indicati sono stati valutati dalla commissione, istituita con decreto ministeriale 19 settembre 2013 con lo specifico compito di verificare lo stato di realizzazione della riforma, osservare gli effetti dell'applicazione del nuovo assetto territoriale sulla operatività degli uffici giudiziari e proporre soluzioni organizzative e normative per superare le eventuali criticità riscontrate, soprattutto in riferimento ai presidi giudiziari nelle aree fortemente caratterizzate da infiltrazioni della criminalità organizzata.
  Sulla scorta dei rilievi proposti, sono stati valutati e predisposti interventi correttivi e di coordinamento alle disposizioni emanate con i decreti legislativi n. 155 e 156 del 2012 attraverso l'emanazione del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14, concernente «Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari».
  Con tale decreto sono state realizzate alcune variazioni all'assetto delineato per gli uffici di primo grado che risultano del tutto coerenti con i criteri generali adottati in sede attuativa della riforma ed anzi assicurano, nell'ambito dei circondati interessati, maggiore omogeneità territoriale e migliori condizioni di accesso al servizio giustizia.
  In particolare, con riferimento alla ridefinizione del tribunale di Napoli nord, la Commissione non ha ritenuto necessari interventi correttivi di tipo tecnico, né il ripristino di uffici soppressi.
  Risultano, pertanto, allo stato consolidate le disposizioni relative al tribunale di Napoli nord, essendo ormai scaduto il 13 settembre 2014 il termine biennale assegnato dalla legge delega per adottare eventuali ulteriori disposizioni integrative, correttive e di coordinamento.
  Nonostante il consolidamento della prima fase della riforma, il processo di revisione della geografia giudiziaria è tuttora sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'interrogante – lo studio della Commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative. Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale del 3 luglio 2015 il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo ha adottato l'elenco annuale dei lavori per l'anno 2015 finanziato con le risorse ordinarie di bilancio del Ministero nonché la programmazione ordinaria dei lavori pubblici per il triennio 2015-2017;
   il prospetto per la regione Campania, nonostante la significativa consistenza e la notevole importanza del patrimonio storico-artistico e architettonico che esercita una significativa attrattività nei confronti della domanda turistico-culturale, è a dir poco drammatico;
   per il settore «Belle Arti e Paesaggio», che ha accorpato le competenze sui beni architettonici e sui beni storici, artistici ed etnoantropologici, alla Campania è stata assegnata dal Ministero per l'anno 2015 una cifra davvero irrisoria: 277.241,09 euro, sufficienti per avviare solo sei interventi (tre somme urgenze nella città di Napoli, due somme urgenze sull'isola d'Ischia e il completamento di un intervento già iniziato a Sant'Agata dei Goti in provincia di Benevento);
   nell'ambito della tutela e del restauro del patrimonio architettonico, paesaggistico e storico-artistico della Campania è stato operato dal Ministero un drastico taglio delle risorse che passano dai complessivi 2.158.519,42 euro stanziati nel 2013 (2.008.519,42 euro per i beni architettonici + 150.000,00 per i beni storico-artistici ed etnoantropologici) e i 2.575.800,00 euro stanziati nel 2014 (2.458.000,00 euro per i beni architettonici + 117.800,00 per i beni storico-artistici ed etnoantropologici) ai pochi spiccioli di quest'anno;
   poche risorse finanziarie per pochi e mal distribuiti interventi: ignorando, infatti, le accorate richieste che giungono dalle soprintendenze alle belle arti e al paesaggio della Campania per tamponare le numerose emergenze legate alla salvaguardia del patrimonio culturale vigilato, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo non ha ritenuto di approvare o finanziare nell'elenco annuale dei lavori per l'anno 2015 interventi di manutenzione, ripristino e/o messa in sicurezza di beni architettonici e storico-artistici ubicati nei territori delle province di Avellino, Salerno e Caserta, molti dei quali particolarmente meritevoli di cure e attenzione a causa del precario stato di conservazione che ne minaccia l'integrità;
   anche la città di Napoli e la sua provincia, dove le emergenze al patrimonio culturale non si contano più (lo stesso interrogante ha più volte e inutilmente, segnalato al Ministero attraverso atti di sindacato ispettivo alcuni, emblematici casi) sono state punite dai tagli e completamente dimenticate;
   il millantato «cambio di rotta» nella politica dei tagli ai beni culturali annunciato dal Ministero e la magnificata necessità di rilanciare il turismo nel Mezzogiorno d'Italia, soprattutto in Campania, si scontrano con la brutale evidenza dei fatti –:
   quali iniziative intenda adottare per porre rimedio a questa situazione grave e inaccettabile che penalizza la Campania e il suo patrimonio storico-artistico mortificando il ruolo delle soprintendenze alle belle arti e al paesaggio che, private di risorse fondamentali, sono impossibilitate a intervenire direttamente per la conservazione e la tutela del patrimonio culturale; quali provvedimenti intenda avviare per reintegrare i finanziamenti decurtati e far fronte alle richieste di interventi urgenti da parte delle soprintendenze alle belle arti e al paesaggio della Campania. (4-10260)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante fa riferimento al decreto ministeriale del 3 luglio 2015 con il quale è stato adottato l'elenco annuale dei lavori per l'anno 2015 finanziato con le risorse ordinarie del bilancio del Ministero nonché la programmazione ordinaria dei lavori pubblici per il triennio 2015-17.
  L'interrogante ritiene che i provvedimenti sopra indicati abbiano destinato alla Campania e alla città di Napoli «poche risorse finanziarie per pochi e mal distribuiti interventi», nonostante la significativa consistenza e la notevole importanza del patrimonio storico-artistico e architettonico.
  Con riguardo alla questione sollevata nell'atto ispettivo, la direzione generale bilancio ha informato che, come comunicato dal segretariato generale, la regione Campania ha beneficiato, in aggiunta alle risorse ordinarie, stanziate dal ministero per l'anno 2015, anche di ulteriori fondi dei programmi: Programma operativo interregionale attrattori culturali, naturali e turismo (fesr) 2007-2013 e piano di azione coesione (pac mibact) 2007-2013, per un ammontare totale di euro 104.768.594,66, destinato alla realizzazione dei seguenti quattordici interventi sui grandi attrattori localizzati nella regione e, in particolare, nelle province di Napoli, Avellino e Caserta: Poin attrattori culturali, naturali e turismo (FESR) 2007 – 2013.

NAPOLI
   Palazzo reale. Lavori di restauro, adeguamento funzionale, impiantistico e allestimento per euro 12.000.000,00;
   Palazzo Reale – Scuderie Borboniche. Allestimento spazi espositivi e multimediali nelle scuderie borboniche per euro 3.000.000,00;
   Real bosco di Capodimonte. Lavori di restauro, adeguamento funzionale e adeguamento impiantistico finalizzati alla valorizzazione dei giardini e delle fabriques per euro 10.700.000,00;
   Museo della ceramica Duca di Martina. Via Cimarosa. Restauro, recupero funzionale, potenziamento della fruizione del parco e delle pertinenze, restyling delle collezioni del museo per euro 5.000.000,00;
   Castel Sant'Elmo. Complesso monumentale Museo e Certosa di San Martino/Castel Sant'Elmo. Opere di riqualificazione e valorizzazione funzionale per euro 3.750.000,00;
   Certosa di S. Martino. Complesso monumentale Museo e Certosa di San Martino/Castel Sant'Elmo. Opere di riqualificazione e valorizzazione funzionale per euro 4.750.000,00;
   Museo archeologico nazionale di Napoli (MANN). Opere di riallestimento e messa a norma impiantistica sezioni Egizia e Epigrafica per euro 3.408.048,27;
   Palazzo Caracciolo D'Avellino. Museo d'Arte contemporanea, spazio espositivo e residenza per artisti per euro 9.800.000,00.

CASERTA
   Reggia di Caserta. Lavori di restauro delle facciate finalizzati alla fruizione in sicurezza ed alla valorizzazione del Complesso vanvitelliano per euro 9.300.000,00.
Piano di azione coesione (Programma azione coesione Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo) 2007-2013;
   Mercogliano (AV). Abbazia di Montevergine (ente Parco regionale del Partenio). Restauro conservativo, riqualificazione, valorizzazione del patrimonio storico-culturale e naturale dell'abbazia di Montevergine quale polo di attrazione e accoglienza del flusso religioso per euro 12.883.467,60;
   Ercolano (NA). Villa Campolieto (Fondazione Ente ville vesuviane). Restauro e adeguamento funzionale Villa Campolieto per euro 6.862.599,12;
   Francolise (ente capofila), Alife, Calvi Risorta, Rocca d'Evandro (CE). Castello medioevale di Francolise (e altri beni nei comuni vicini). Le porte dei parchi. Lavori di recupero, consolidamento statico e messa in sicurezza del castello medioevale di Francolise (e altri beni nei comuni vicini) per euro 8.914.479,61;
   Caserta (CE). Reggia di Caserta. Lavori di restauro delle facciate finalizzati alla fruizione in sicurezza ed alla valorizzazione del Complesso. Lotto funzionale per euro 11.400.000,00;
   San Tammaro (CE). Reggia di Carditello. Lavori di restauro conservativo, valorizzazione ed accoglienza del patrimonio storico culturale e naturale della Reggia per euro 3.000.000,06.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   da alcuni giorni nel territorio dei comuni di Forlì, Cesena e limitrofi numerose segnalazioni di cittadini alle autorità locali hanno ravvisato la presenza di un odore pesante;
   nonostante il tempestivo impegno di tutti gli enti preposti, non si ha notizia di una chiara identificazione delle cause che hanno portato all'emanarsi di questo odore acre che ha reso in alcune ore delle giornate tra il 31 ottobre e il 2 novembre 2016, l'aria decisamente irrespirabile;
   nel territorio del comune di Forlì sono attivi due inceneritori, uno destinato allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani gestito dall'azienda pubblico-privata Hera spa e uno per lo smaltimento dei rifiuti ospedalieri gestito dall'azienda interamente privata Mengozzi spa;
   secondo la sezione di Forlì-Cesena dell'Arpae, non sarebbero gli inceneritori a rendere l'aria così maleodorante;
   si registra la pressante richiesta di molti cittadini, oltre che delle istituzioni locali, di avere certezze e chiarimenti in merito alle ragioni dell'odore acre, anche in considerazione della preoccupazione diffusa che possa essere dovuta a sostanze nocive per la salute –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati possano e intendano mettere in atto, anche promuovendo una verifica del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, per assicurare che si faccia massima chiarezza sull'origine del cattivo odore nel più breve tempo possibile;
   se i Ministri non ritengano opportuno mettere a disposizione ogni strumento in loro possesso per sostenere l'impegno degli enti che già si sono attivati nel tentativo di chiarire le cause e le conseguenze del fenomeno, anche rafforzando temporaneamente la presenza di personale e mezzi di competenza statale sul territorio, allo scopo di dare risposte agli abitanti delle zone interessate e alle loro preoccupazioni. (4-14704)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alla problematica dei cattivi odori nel territorio dei comuni di Forlì, Cesena e comuni limitrofi, si rappresenta quanto segue.
  Il decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, già oggi, permette alle autorità competenti di introdurre, con atti, normativi o provvedimenti autorizzativi, specifiche prescrizioni concernenti limiti di concentrazione delle sostanze o modalità di esercizio degli impianti finalizzate a ridurre i fenomeni odorigeni.
  In particolare, tali prescrizioni possono essere previste, in termini generali, attraverso le normative regionali e, in relazione a ciascuno stabilimento, attraverso i relativi atti autorizzativi (autorizzazione alle emissioni in atmosfera oggi assorbita nell'autorizzazione unica ambientale), secondo gli articoli 271 e 272 del decreto legislativo n. 152 del 2006. Le normative regionali e gli atti autorizzativi sono legittimati in questo quadro a introdurre prescrizioni più severe di quelle statali contenute negli allegati alla parte quinta del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Tali prescrizioni possono essere inserite a maggior ragione nelle autorizzazioni integrate ambientali che devono assicurare, con riferimento a tutti gli impatti ambientali di uno stabilimento, un livello di tutela pari o superiore a quello previsto dalle singole normative ambientali di settore.
  Per quanto attiene al controllo sull'esercizio degli impianti si evidenzia che le attività ordinarie di verifica competono per legge alle competenti autorità locali, le quali dispongono di una diretta conoscenza delle caratteristiche degli impianti presenti sul proprio territorio e delle caratteristiche ambientali della zona di insediamento.
  Dell'attività istruttoria in questione sono comunque interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori elementi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Ad ogni modo, questo dicastero si terrà informato sull'evolversi della situazione, anche al fine dell'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DIENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 15 marzo 2016 le forze dell'ordine hanno proceduto, su mandato dell'autorità giudiziaria, a compiere 19 arresti di figure apicali dell'organizzazione `ndranghetista a Reggio Calabria;
   le cosche della `ndrangheta reggina colpite fanno capo alle famiglie De Stefano, Franco, Rosmini, Serraino e Araniti e i reati contestati vanno dall'associazione mafiosa, al concorso esterno in associazione mafiosa, estorsione, detenzione e porto di materiale esplosivo, intestazione fittizia di beni e rivelazione del segreto d'ufficio;
   tra gli arrestati figurerebbe, a quanto emerge da notizie apparse sugli organi di stampa, Maria Angela Marra Cutrupi di 52 anni che lavorava, come impiegata con contratto interinale a tempo determinato e con mansioni esclusivamente esecutive, all'ufficio del giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Reggio Calabria, in virtù di una convenzione tra il tribunale di Reggio Calabria e l'ente Azienda Calabria Lavoro;
   la donna avrebbe informato alcuni indagati dell'esistenza di un'inchiesta a loro carico e per questo è stata accusata di rivelazione ed utilizzazione di segreti di ufficio aggravata dalla circostanza di aver agevolato la `ndrangheta;
   assieme a lei e con la stessa accusa è finito in manette anche il marito Domenico Nucera, cui la donna avrebbe rivelato le informazioni coperte da segreto, apprese negli uffici giudiziari, che sarebbero poi state riferite da quest'ultimo al fratello Carmelo Salvatore Nucera;
   il caso esposto dimostra che l'utilizzo di personale non selezionato attraverso un regolare concorso pubblico e con le garanzie ed i controlli ad esso riferiti può dare origine all'infiltrazione negli uffici giudiziari di personale non solo non preparato, ma anche colluso con le realtà criminali;
   d'altra parte, come segnalato da molti soggetti, tra cui l'Associazione nazionale magistrati, oltre alle rappresentanze sindacali, in molti uffici giudiziari calabresi, a causa di una molteplicità di ragioni c’è, per il poco personale giudiziario in servizio, un carico di lavoro eccessivo che sta pregiudicando, e rischia di pregiudicare sempre più, l'attività di ufficio;
   la mancanza di personale, per stessa ammissione del Ministro interrogato sta assumendo caratteristiche emergenziali se è vero quanto egli stesso riferisce nella relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario 2016: «la non felice congiuntura economica che ha contrassegnato questi ultimi anni, unita all'assenza di vere politiche per il personale, ha provocato un processo di progressivo invecchiamento del personale amministrativo della giustizia, tanto che i dati di fine 2014 riportavano un quadro desolante: il personale in forza all'amministrazione contava 35.625 unità su una dotazione organica di 43.702, con una scopertura del 18,48 per cento. A fine 2015, purtroppo, la scopertura di organico presenta ancora un dato di crescita, ammontando a 34.656 unità, con una carenza di 9.046 unità, pari al 20,7 per cento, che scende al 19,9 per cento se si considerano i comandi da altre amministrazioni. Se poi il dato viene rapportato alle dotazioni organiche del personale stabilite dal nuovo regolamento di organizzazione, complessivamente determinate in 43.326 unità, la scopertura risulta di 8.670 elementi, pari al 20,01 per cento»;
   questa problematica diviene tanto più urgente specie in luoghi ove il fenomeno mafioso è più radicato e dove l'assenza dello Stato rischia in tradursi in una perdita del territorio a favore della legalità –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover impedire, anche con iniziative di natura normativa, il ricorso negli uffici giudiziari a personale amministrativo selezionato attraverso procedure diverse dal concorso pubblico, e pertanto preventivamente sottoposto alle verifiche di onorabilità e di riservatezza ad esso connesse, evitando il ripetersi di casi come quello esposto in premessa;
   se non ritenga di adottare iniziative di propria competenza atte a rafforzare l'entità del personale amministrativo a disposizione degli uffici giudiziari calabresi e specialmente della provincia di Reggio Calabria al fine di meglio contrastare il fenomeno mafioso. (4-12604)

  Risposta. — Prendendo spunto da una vicenda processuale, che vede indagata per rivelazione del segreto d'ufficio, aggravato da finalità di agevolazione mafiosa, una dipendente, a tempo determinato ed in virtù di un contratto interinale, dell'ufficio del giudice per le indagini preliminari del tribunale di Reggio Calabria, con l'interrogazione in esame l'interrogante prospetta criticità degli uffici giudiziari del distretto di Reggio Calabria, derivanti dall'inadeguata dotazione di personale amministrativo.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze attraverso procedure selettive idonee ad immettere nell'amministrazione personale dotato dei necessari requisiti di competenza ed affidabilità.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   
a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   
b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P;
   
c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo Unico di Amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il 22 novembre 2016 – il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la
ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-
quater del già richiamato decreto-legge il 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di Fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare depone nel senso auspicato dall'interrogante e consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari calabresi.
  Allo stato, risulta che presso il distretto della Corte d'appello di Reggio Calabria l'indice di scopertura del personale amministrativo, rispetto alla pianta organica prevista dal decreto ministeriale 25 aprile 2013, è pari al 14 per cento, notevolmente inferiore alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Le iniziative sulla mobilità sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  Per quanto riguarda il personale di magistratura, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi,
cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al distretto di Reggio Calabria risultano assegnate, complessivamente, undici unità aggiuntive giudicanti – nove delle quali previste in aumento per il tribunale di Reggio Calabria.
  Alla procura della Repubblica di Reggio Calabria risultano assegnati, inoltre, tre posti di sostituto procuratore.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Il 20 ottobre 2016 è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   FANTINATI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dall'8 ottobre 2016 il Palazzo della Gran Guardia di Verona ospita la mostra «I Maya. Il linguaggio della bellezza»;
   l'esposizione, che terminerà il 5 marzo 2017, è promossa dal comune di Verona con il supporto di Arena Museo Opera (AMO), prodotta e organizzata da Arthemisia Group e Kornice srl con l'intervento dell'Istituto nazionale di antropologia e storia del Messico (INAH);
   la mostra è, inoltre, patrocinata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   il Ministro interrogato, a giugno 2016, nel corso del viaggio della delegazione italiana a Città del Messico in occasione dell'inaugurazione del nuovo volo Alitalia Roma-Città del Messico, ha annunciato in anteprima l'apertura «verso fine anno di una grande mostra dedicata alla cultura Maya che sarà allestita a Verona, in Gran Guardia, e successivamente a Roma presso le Scuderie del Quirinale»;
   Andrea Brunello, amministratore della società trevigiana Kornice, è stato rinviato a giudizio per truffa aggravata a causa di una vicenda avvenuta nella città di Brescia che ha visto addirittura la revoca, nel 2012, della delega ai musei per l'ex assessore alla cultura di Brescia;
   Brunello, secondo quanto appreso dall'interrogante, avrebbe incassato 790.000 euro come bonus per aver superato un limite di visitatori durante una mostra su Matisse organizzata dalla società Artematica (ora in liquidazione) in collaborazione con la Fondazione Brescia Musei;
   il comune di Brescia, nel procedimento penale, si è costituito parte civile chiedendo il risarcimento dei danni d'immagine;
   come già dichiarato da Brunello alla stampa locale bresciana, lo stesso avrebbe gonfiato il numero dei visitatori così da ottenere il bonus pecuniario;
   tale mostra è già stata proposta a Treviso, a Brescia e a Conegliano Veneto e in queste sedi non è stata realizzata;
   la concessione del comune di Verona prevede la totale gratuità e l'autofatturazione dell'IVA a carico dello stesso comune pari a 16.804 euro, fondi a carico dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato fosse a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   senza nulla togliere alla validità della mostra se non si ritenga inopportuna, e anche lesiva dell'immagine del Ministero, la concessione del patrocinio ad un evento organizzato da una società amministrata da un personaggio rinviato a giudizio per truffa aggravata ai danni di una pubblica amministrazione. (4-14523)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame nella quale l'interrogante, con riferimento alla concessione del patrocinio alla mostra I Maya. Il Linguaggio della bellezza, in corso di svolgimento a Verona, presso il palazzo della Gran guardia, promossa dal comune di Verona, con il supporto di Arena museo opera (Amo), prodotta e organizzata da Arthemisia group e Kornice srl, con l'intervento dell'Istituto nazionale di antropologia e storia del Messico, chiede se «non si ritenga inopportuna, e anche lesiva dell'immagine del Ministero», la concessione del patrocinio ad un evento organizzato dalla società Kornice srl in quanto questa, secondo quanto affermato dall'interrogante, sarebbe amministrata dal signor Andrea Brunello, rinviato a giudizio per truffa aggravata ai danni di una pubblica amministrazione.
  Dalla documentazione agli atti di questa Amministrazione risulta che la richiesta di patrocinio, per la mostra cui si riferisce l'interrogazione, è stata presentata dalla signora Anna Cadamuro, che l'ha sottoscritta in qualità di amministratore delegato della società
Kornice srl.
  Come confermato anche dalla Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, l'evento è organizzato da Kornice srl insieme con Arthemisia group e con il comune di Verona che ha messo a disposizione, valutando affidabile il progetto espositivo, il piano nobile della Gran guardia.
  La mostra è prodotta dall'Inah (
Instituto national de antropolgia e historia), l'istituzione più importante del Ministero della cultura del Messico. È stata portata in Italia e adattata al pubblico italiano da Kornice.
  L'esposizione, la cui validità culturale è riconosciuta anche dall'interrogante, offre una rassegna della cultura maya con circa 300 opere (sculture, elementi architettonici, vasi, strumenti musicali, oreficeria, eccetera) che permettono di conoscere una civiltà particolarmente affascinante dell'America precolombiana. Curatori della mostra sono Antonio Aimi per l'Italia e Karina Romero Blanco per il Messico.
  Il percorso espositivo, suddiviso in sei sezioni, analizza la cultura Maya da diversi punti di vista (storico, religioso, artistico, sociale ecc.) utilizzando in particolare le parole e i testi degli stessi maya, per offrire al visitatore una visione dall'interno di quella suggestiva civiltà.
  Sulla base delle positive valutazioni espresse dagli uffici dell'Amministrazione (sopra riportate), dell'autorevolezza dell'Inah, produttore della mostra, dell'impegno del comune di Verona, promotore dell'evento, si è ritenuto pertanto che la mostra possedesse caratteristiche qualitative tali da meritare la concessione del patrocinio ministeriale.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   FAVA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   mercoledì 18 marzo 2015, a San Pietroburgo in Russia, veniva individuato e sottoposto a fermo di polizia, in esecuzione di un provvedimento emanato dalla direzione distrettuale antimafia di Roma, il latitante Nicola Di Mauro, ritenuto una figura di spicco del clan mafioso dei Fasciani;
   tale clan radicato da tempo sul litorale di Ostia e smantellato a seguito delle operazioni di polizia giudiziaria denominate «Alba Nuova» e «Tramonto» che hanno sin qui portato alla condanna in primo grado per il reato di associazione mafiosa di numerosi esponenti del sodalizio criminale (con sentenza del GUP di Roma, all'esito del processo abbreviato, del 13 gennaio 2014 e sentenza del tribunale di Roma, X sezione penale, all'esito di processo ordinario, del 30 gennaio 2015);
   Nicola Di Mauro è riuscito a sottrarsi alla cattura disposta nell'ambito dell'operazione «Tramonto» che ha portato all'arresto, il 4 marzo 2014, di 15 persone per diversi reati volti a favorire il sodalizio mafioso dei Fasciani di Ostia;
   secondo quanto riferito da alcune testate giornalistiche, Di Mauro è stato rilasciato dall'autorità giudiziaria russa a causa di alcuni vizi formali che inficerebbero la richiesta di cattura ed estradizione del latitante;
   a quanto consta all'interrogante taluni organi di stampa della Federazione russa stanno, a seguito della vicenda della scarcerazione del latitante Di Mauro, criticando il sistema giudiziario del nostro Paese, con particolare riferimento alle modalità di contrasto delle associazioni criminali mafiose –:
   quali provvedimenti il Ministro interrogato intenda adottare al fine di ottenere l'immediata estradizione di Nicola Di Mauro e per evitare l'ulteriore fuga di questo pericoloso latitante. (4-08600)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante pone all'attenzione la complessa vicenda estradizionale relativa a Nicola Di Mauro, ritenuto un personaggio di spicco della criminalità organizzata romana, chiedendo di indicare quali iniziative il Ministero intenda adottare per ottenere l'estradizione dalla Russia e per porre fine alla sua fuga.
  Dalle informazioni acquisite dalla competente articolazione ministeriale, è emerso che il GIP di Roma, il 26 febbraio 2014, emetteva, nei confronti di Di Mauro, nell'ambito del procedimento penale 845/14 r.g.n.r. e 1018/14 R.G. GIP, ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere per i reati di associazione di tipo mafioso e di attribuzione fittizia di valori continuata e aggravata dal metodo mafioso e dalla finalità di favorire detto sodalizio.
  Su richiesta della procura generale della Repubblica presso la corte di appello di Roma, il 9 gennaio 2015 il Ministero disponeva la diffusione delle ricerche in campo internazionale del Di Mauro. Poiché il ricercato veniva localizzato sul territorio della Federazione russa, il 3 febbraio 2015 veniva formalmente richiesto alle competenti autorità russe l'arresto e la consegna in estradizione del Di Mauro, sulla base della Convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957.
  Il 17 febbraio 2015 il servizio per la cooperazione internazionale di polizia della direzione centrale della polizia criminale comunicava che la procura della Federazione russa non aveva ritenuto sufficienti le informazioni trasmesse a corredo della domanda di estradizione, e chiedeva, dunque, l'invio di documentazione integrativa.
  Pertanto, il 5 marzo 2015 questo Ministero inoltrava, tramite canali diplomatici, alle autorità della Federazione russa una relazione trasmessa dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma, relativa ai fatti addebitati all'estradando, nonché copia delle norme di legge violate.
  Il 19 marzo 2015 il servizio per la cooperazione internazionale di Polizia della direzione centrale della Polizia criminale comunicava che il Di Mauro era stato tratto in arresto a fini estradizionali verso l'Italia, e il 20 marzo 2015 il servizio per la cooperazione internazionale di Polizia della direzione centrale della Polizia criminale riferiva che il difensore di Di Mauro aveva presentato, innanzi al competente tribunale russo, una stampa sintetica della sentenza con cui, in esito all'udienza camerale del 10 marzo 2015, la VI Sezione della Suprema Corte di cassazione aveva annullato senza rinvio l'ordinanza emessa dal Tribunale della libertà di Roma, disponendo trasmettersi gli atti a detto Tribunale «per nuovo esame».
  Il 21 marzo 2015, mentre la procura generale presso la corte di appello di Roma assumeva informazioni circa «l'aggiornata posizione giuridica di Di Mauro, con particolare riguardo alla attuale validità ed eseguibilità dell'ordinanza di custodia cautelare oggetto della domanda di estradizione», il tribunale del distretto amministrativo di Moskovskij di San Pietroburgo respingeva la richiesta di emissione di misure cautelari nei confronti del predetto, ritenendo provato che il provvedimento restrittivo a fondamento della procedura estradizionale fosse stato annullato.
  Con nota del 24 marzo 2015 il GIP presso il Tribunale di Roma precisava come la sentenza del 13 marzo 2015 della Suprema Corte prodotta dal Di Mauro si fosse limitata ad annullare l'ordinanza di inammissibilità, e non già l'originario titolo custodiale, il quale era da considerarsi valido ed efficace.
  Sulla scorta di ciò, il 27 febbraio 2015 il Ministero della giustizia inoltrava alle competenti autorità russe, tramite l'ambasciata di Mosca, nota con cui rappresentava negli esatti termini sopra riportati le vicende relative al giudizio incidentale
de libertate, confermando la domanda di estradizione del Di Mauro.
  Con nota del 20 marzo 2015 l'ambasciata di Mosca comunicava di aver ricevuto per le vie brevi dal servizio Interpol di San Pietroburgo la stampa sintetica della decisione di annullamento della Suprema Corte, prodotta dal difensore del Di Mauro alle autorità russe, corredata di traduzione in lingua russa.
  Dalla lettura della motivazione della sentenza del 10 marzo 2015 della Corte di cassazione si evince chiaramente che l'ordinanza di inammissibilità del gravame emessa dal tribunale della libertà di Roma è stata annullata in quanto, non risultando notificata all'imputato latitante – mediante consegna di copia al difensore
ex articolo 165 del c.p.p. – l'ordinanza impositiva della custodia in carcere, e non potendo tale adempimento ritenersi surrogato dall'avviso di deposito in cancelleria del provvedimento, l'istanza di riesame non poteva considerarsi tardiva.
  L'estradando veniva, tuttavia, posto in libertà, a seguito della declaratoria di inefficacia della misura custodiale
ex articolo 309, comma 10, c.p.p., medio tempore pronunciata dal tribunale del riesame.
  In data 28 maggio 2015 il G.I.P. emetteva nuova ordinanza di custodia cautelare (proc. 60107/14 R.G.N.R. e 12748/15 R.G.GIP) e, conseguentemente questo Dicastero riattivava la procedura estradizionale sulla base del tale nuovo titolo custodiale.
  Le competenti autorità della Federazione russa comunicavano il nuovo arresto del Di Mauro, eseguito in data 25 novembre 2015, a seguito del quale il Ministero provvedeva ad inoltrare la necessaria documentazione estradizionale, nonché le garanzie richieste nel corso della procedura di consegna (in particolare in ordine al rispetto del principio di specialità).
  In data 24 giugno 2016 interveniva, tuttavia, ordinanza di revoca della misura custodiate, nella quale, pur confermandosi la gravità, indiziaria (tra l'altro confermata in fase di merito), l'autorità giudiziaria riteneva cessate le esigenze cautelari.
  Pertanto, in data 27 giugno 2016, il Ministero comunicava, sempre per via diplomatica, l'intervenuta revoca della misura cautelare e revocava la domanda di estradizione.
  Poiché in assenza di un titolo custodiale, sia esso provvisorio o definitivo, non è possibile attivare la procedura estradizionale, allo stato è preclusa al Ministero qualsivoglia iniziativa. Resta, tuttavia, elevata l'attenzione sul caso e provvederemo tempestivamente sulle richieste che l'autorità giudiziaria intenderà avanzare nel prosieguo del procedimento.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   FEDRIGA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il codice penale prevede per il reato di vilipendio nei confronti delle Camere, del Governo e della magistratura una pena pecuniaria da mille a cinquemila euro;
   viceversa, per gli stessi fatti posti nei confronti del Capo dello Stato prevede una pena detentiva da un anno a cinque anni;
   ciò è probabilmente dovuto al fatto che, in origine, il reato era previsto nei confronti della «sacra» persona del Re;
   con l'avvento della Repubblica, la Camera dei deputati, il Senato della Repubblica, la magistratura, ad avviso dell'interrogante, hanno pari se non maggiore dignità rispetto al Capo dello Stato, in quanto sono tutti organi costituzionali, ma il Parlamento è immediata rappresentanza della democrazia, essendo esso direttamente eletto dai cittadini, mentre il Capo dello Stato è eletto in modo indiretto –:
   se, stante quella che appare all'interrogante una irragionevole differenza sanzionatoria, il Governo intenda porvi rimedio, assumendo iniziative normative al fine di una riforma sul punto. (4-11326)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante lamenta la disparità del trattamento sanzionatorio previsto dalle norme incriminatrici di cui agli articoli 290 e 278 del codice penale.
  Chiede, pertanto, se il Governo intenda assumere iniziative normative finalizzate a superare la paventata irragionevolezza.
  Con riferimento al tema prospettato, deve rilevarsi come i profili inerenti il trattamento sanzionatorio previsto per il reato di offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica di cui all'articolo 278 del codice penale, ora punito con la pena della reclusione da uno a cinque anni, siano già all'esame del Parlamento.
  L'ufficio legislativo di questo dicastero ha, sul punto, rappresentato che pende presso la Camera dei deputati il disegno di legge AC n. 3161, recante «Modifiche all'articolo 278 del codice penale in materia di offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica», approvato il 4 giugno 2015 dal Senato, che prevede, con riferimento al reato di cui all'articolo 278 c.p., la sostituzione della pena detentiva della reclusione da uno a cinque anni con la pena della multa da 5.000 a 20.000 euro e, solo nel caso di attribuzione di un fatto determinato, l'applicazione della pena della reclusione fino a due anni.
  È stato, inoltre, presentato alla Camera dei deputati in data 3 novembre 2015 il disegno di legge AC n. 3400, recante «Modifiche agli articoli 278 del codice penale e 19-
bis delle disposizioni di coordinamento e transitorie per 11 codice penale, in materia di offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica», che propone la trasformazione in illecito amministrativo del reato di cui all'articolo 278 c.p., prevedendo l'applicazione di una sanzione pecuniaria da euro 1.000 a euro 5.000, aumentata sino ad euro 10.000 nel caso in cui il medesimo fatto sia commesso in occasione di una pubblica ricorrenza o di una cerimonia ufficiale.
  L'opportunità di ridefinire le condotte che integrano offesa all'onore o al prestigio del Presidente della Repubblica entro il sistema di valori tutelato dal codice penale è, pertanto, già devoluta al dibattito parlamentare.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è stato predisposto di recente il testo di un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, previsto dal comma 210, dell'articolo 1 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), riguardante la chiamata diretta di professori di prima e seconda fascia per complessive 500 unità, a cui verrebbero attribuite posizioni stipendiali particolarmente favorevoli e uno stato giuridico, caratterizzato da norme che fanno eccezione al regime ordinario;
   l'articolo 4 del suddetto schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevedrebbe la nomina, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dei presidenti delle commissioni giudicatrici, caratterizzati da «elevatissima qualificazione scientifica» e dal ricoprire posizioni di vertice presso istituzioni di ricerca internazionali o in istituzioni situate in Italia, ma con una verosimile caratterizzazione internazionale. A tale fine si dovrebbero creare 25 commissioni per 25 aree disciplinari, già individuate nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   in questo modo si potrebbero già prefigurare i vincitori, proprio quello che la «meritocrazia» sostiene di volere evitare; dietro la retorica della lotta ai «baroni», ad avviso dell'interrogante, vengono creati percorsi accademici opachi;
   negli allegati alla bozza del decreto ci sarebbe quella che l'interrogante giudica un'altra anomalia: una riserva di cattedre distribuite in tre settori disciplinari, il più grande dei quali è glottologia e linguistica materie insegnate dalla Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca Stefania Giannini e dall'attuale capo dipartimento dell'università, ex presidente dei rettori della Crui Marco Mancini;
   se le cattedre dovessero essere distribuite in maniera proporzionale rispetto al numero dei docenti italiani, a questo bacino toccherebbero 6 posti, invece ne risulterebbero 24. Un orientamento questo che penalizzerebbe le altre scienze umane. A queste ultime sarà riconosciuta in media mezza cattedra ogni cento docenti. Al settore Erc a cui afferiscono anche la glottologia e la linguistica otto volte in più. Il settore avrà due «supercattedre» in più rispetto a chimica di sintesi e dei materiali o ingegneria dei sistemi e delle comunicazioni;
   tra il 2009 e il 2016 sono stati persi 12.500 posti per tagli e blocco del turn-over, ma il Governo preferisce porre la sua particolare attenzione sull'1 per cento dei docenti italiani –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per ritirare la suddetta bozza di decreto e procedere all'abrogazione dell'impianto normativo che lo ha previsto, provvedendo piuttosto a rimpinguare i fondi per ricerca scientifica sempre più ridotti negli ultimi anni. (4-14683)

  Risposta. — Come è noto, la procedura di selezione per chiamata diretta di studiosi di elevato e riconosciuto merito scientifico, è stata prevista al comma 207 della legge di stabilità per il 2016, la n. 208 del 2015.
  Non può sfuggire che la finalità della norma in questione è quella di prevedere una procedura a carattere straordinario al fine di accrescere l'attrattività e la competitività internazionale del sistema universitario italiano: 500 cattedre aggiuntive, basate su una procedura altamente selettiva che dia le massime garanzie di qualità per gli atenei italiani, La straordinarietà, per altro, è stata garantita dal comma 208 della stessa legge attraverso la deroga alle norme sul reclutamento dei professori universitari previste dal combinato disposto dagli articoli 16 e 18 della legge n. 240 del 2010.
  Ciò posto, si specifica che al fine di garantire l'imparzialità delle nomine dei componenti delle commissioni, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo della norma in parola, in procinto di arrivare per i pareri di rito alle competenti commissioni parlamentari, prevede quanto segue:
   1) i 50 commissari sono scelti – secondo precisi titoli preferenziali – tra coloro che sono inseriti in una lista predisposta dall'Agenzia nazionale di valutazione del sistema universitario e della ricerca ANVUR per ciascuna delle aree ERC e in possesso della qualifica di professore ordinario di ruolo, presso università italiane, aventi una posizione riconosciuta nel panorama internazionale, in conseguenza delle proprie pubblicazioni scientifiche;
   2) i presidenti vengono nominati tra studiosi di elevatissima qualificazione scientifica, al vertice di istituzioni universitarie o di ricerca estere o internazionali e che ricoprono una posizione equipollente a quella di professore ordinario.

  Quanto alla notizia di una presunta ripartizione di posti che favorirebbe il settore «glottologia e linguistica», si precisa che essa è priva di ogni fondamento, come già hanno rilevato il Sottosegretario Nannicini in un articolo de «La Nazione» e il Sottosegretario Toccafondi in risposta a una interrogazione parlamentare.
  In primo luogo, le cattedre Natta per gli accessi in SH4 non sono 10-10 ma 9-9; l'assegnazione di tali 18 cattedre (di I e di II fascia) è frutto dell'applicazione puramente matematica di un sistema di calcolo che prescinde totalmente dalle afferenze agli attuali settori concorsuali, sistema correlato con la percentuale di grani ERC diversamente ponderati per ciascuno dei 25 settori sul totale delle assegnazioni, così come da ultimi bandi 2014 e 2015. In tale conteggio sono peraltro ricompresi anche i settori concorsuali di Psicologia, Altrimenti le percentuali non consentirebbero l'assegnazione matematica di 18 cattedre all'SH4 vista la performance ERC nei settori di «estetica», «filosofia della scienza» e «linguistica e glottologia».
  In via generale non ha alcun fondamento l'affermazione secondo cui l'assegnazione oggi delle cattedre all'area ERC prefiguri l'oggettiva ripartizione per gli appartenenti ai SC domani, al momento, cioè, in cui si svolgerà il concorso: nessuno conosce la platea internazionale, prima ancora che nazionale, cui è rivolta la procedura; nessuno sa quanti vincitori verranno proclamati dentro la medesima area ERC ascrivibili ai SC di «glottologia e linguistica», «estetica e filosofia dei linguaggi», eccetera.
  Questa e altre apparenti asimmetrie vengono fatte oggetto di critica in quanto si ritiene erroneamente che la variabile su cui è stata calcolata la ripartizione corrisponda a quella degli afferenti o al numero dei SC correlati a ciascuna area ERC. Ciò, si ribadisce, non è corretto.
  Da ultimo, va precisato che i «glottologi» in senso stretto non concorrono sul settore SH4 ma su SH5 («Cultures and Cultural Production: Literature, philology, cultural studies, anthropology, arts, philosopliy»), visto che l'italiano «glottologia» è sinonimo di «historical linguistics» (SH5-3 «Philology and palaeography; historical linguistics»); dunque in un settore ERC che corrisponde a 24 SC italiani. Su SH4 concorrono esclusivamente quanti si occupano di linguistica generale, tipologia linguistica eccetera.
  Lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, sul quale il Consiglio di Stato ha espresso il parere il 4 novembre scorso, sarà esaminato dalle Commissioni parlamentari, come stabilito dalla legge (comma 210), pertanto al momento non appare appropriato avviare modifiche delle disposizioni.
  Infatti, l'esame parlamentare rappresenta il luogo deputato al confronto politico sulle scelte effettuate dal Governo e sull'individuazione di possibili miglioramenti da apportare al testo. A tale proposito, assicuriamo fin da ora la massima apertura ai contributi che perverranno dagli organi competenti, tenuto conto che il parere parlamentare ha proprio lo scopo di individuare e risolvere-eventuali criticità. Sarà poi il Governo a fare le opportune valutazioni conclusive di merito.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la pianta organica del personale amministrativo del tribunale di Bergamo risulta sottodimensionata rispetto alle effettive esigenze del territorio;
   in aggiunta a questa criticità strutturale, si registra una protratta e progressiva scopertura di personale amministrativo, il che aggrava il deficit di detto personale, portandolo a una percentuale del 40 per cento;
   tale situazione, come evidenziato dal presidente del tribunale in alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa, è da attribuirsi soprattutto alla mancanza di turn-over, in quanto il personale che va in pensione o che si trasferisce non viene sostituito da nuovo personale;
   benché il Ministro della giustizia rivendichi il merito di avere promosso nuove assunzioni, la situazione resta grave, in quanto gli effetti delle suddette misure di rimpiazzo potranno, eventualmente, essere apprezzati solo nel corso di alcuni anni, per elementari ragioni tecniche e logistiche;
   ciò sta avendo gravi ripercussioni sul funzionamento degli uffici giudiziari bergamaschi, provocando blocchi e rallentamenti non più tollerabili, con conseguenti pesanti disagi per la popolazione;
   secondo un principio consolidato in dottrina e giurisprudenza, «una giustizia ritardata è una giustizia negata» –:
   quali iniziative intenda adottare per colmare il grave deficit di organico del tribunale di Bergamo con personale amministrativo qualificato;
   quali siano i tempi previsti per gli interventi volti ad assicurare il ritorno alla normalità del funzionamento del tribunale di Bergamo. (4-12024)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta criticità del tribunale di Bergamo, con riferimento alle dotazioni di personale amministrativo.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di Governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   
a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   
b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n.132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   
c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni, dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale lo scorso 22 novembre – il reclutamento a tempo indeterminato di 1.000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la
ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-
quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari lombardi.
  In particolare, allo stato, risulta che presso il tribunale di Bergamo prestano servizio 99 unità, di cui una
part time, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 132 risorse umane, compresa la posizione dirigenziale.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 25,38 per cento, rispetto alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del CCNL del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   fino al 1° settembre 2015 il comune di Bergamo ha anticipato, per a i, il canone di locazione della procura e del tribunale di Bergamo, che doveva essere successivamente rimborsato dal Ministero della giustizia. Dalla metà del 2012 al 1° settembre 2015 il comune di Bergamo ha maturato un credito di oltre tre milioni duro nei confronti del Ministero della giustizia;
   dal 1° settembre 2015 i costi di funzionamento degli uffici giudiziari, comprensivi dei costi di affitto degli immobili, sono direttamente a carico dei Ministero;
   i tempi di rimborso dei canoni di locazione anticipati dal comune da parte del Ministero sono a giudizio dell'interrogante esageratamente lunghi, mettendo a dura prova il bilancio del comune di Bergamo;
   in quali tempi il Ministero della giustizia provvederà a rifondere al comune di Bergamo l'intera somma anticipata per il canone di locazione del tribunale, anche in considerazione delle ristrettezze e dei vincoli di bilancio dei comuni e della diversa destinazione di impiego di queste risorse in opere direttamente di competenza del comune. (4-12865)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante sottolinea – nel contesto anteriore al trasferimento al Ministero della giustizia delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari – le esigenze del comune di Bergamo in relazione alla liquidazione dei contributi riferibili alle annualità pregresse.
  La complessità della materia esige, anche in ragione delle norme che la regolano e delle plurime esigenze ad esse sottese, una ricostruzione puntuale della situazione.
  Com’è noto, la cosiddetta legge di stabilità 2015 (legge 23 dicembre 2014, n. 190) ha radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, con la finalità di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative, tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
  Nella prospettiva di raccogliere, attraverso il metodo del confronto, i contributi dei soggetti coinvolti dall'attuazione del nuovo modello di gestione, il Ministro della giustizia ha, in particolare, istituito un tavolo tecnico permanente, aperto alle amministrazioni interessate, per la coerente definizione degli indirizzi politici delle amministrazioni centrali e per il monitoraggio delle attività necessarie alla relativa e coerente attuazione.
  È stata, pertanto, avviata e consolidata una proficua interlocuzione con gli enti istituzionali coinvolti, in special modo con l'Associazione nazionale dei comuni italiani, grazie alla quale si è pervenuti all'adozione congiunta di una convenzione quadro, sperimentando la praticabilità di forme di collaborazione tra amministrazione centrale ed amministrazioni periferiche, in termini di assistenza e supporto.
  È stato, inoltre, adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato nella
Gazzetta Ufficiale del 29 agosto 2015, che assume la peculiare funzione – nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del Regolamento di Organizzazione dell'intero apparato ministeriale – di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con l'amministrazione centrale.
  A ciò va aggiunto che, nella prospettiva di riuscire a gestire efficacemente ed assicurare sul territorio la continuità dei servizi di custodia, di telefonia, di riparazione e di manutenzione ordinaria – in precedenza svolte dal personale dei comuni già distaccato, comandato o comunque specificamente destinato presso gli uffici giudiziari – si è sostenuta l'introduzione nel decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, in sede di conversione nella legge 6 agosto 2015, n. 132, miranti fra l'altro all'organizzazione e funzionamento dell'amministrazione giudiziaria, dell'articolo 21-
quinquies, che prevede come gli uffici giudiziari possano continuare ad avvalersi dei servizi forniti dal predetto personale comunale, sulla base di accordi o convenzioni da concludere in sede locale.
  Va, da ultimo, sottolineato come il Ministero della giustizia sia attivamente impegnato anche nella promozione delle attività formative dei soggetti coinvolti nel procedimento di spesa. Già nel settembre 2015, di fatti, si è svolta una giornata di riflessione condivisa sul nuovo modello di gestione con il Procuratore generale presso la Corte di cassazione ed i Procuratori generali presso le Corti d'appello, anche al fine di delineare linee guida comuni. Analoghe iniziative sono state rivolte – su impulso del Ministro e con la collaborazione della Scuola Superiore della Magistratura – ai dirigenti amministrativi per agevolare una nuova cultura dell'innovazione.
  Tutto ciò per rassicurare sul fatto che l'impianto delle misure che hanno delineato il passaggio al nuovo modello di gestione della spesa si sia fondato sull'edificazione di comuni basi culturali e su di un rinnovato rapporto con gli enti locali, in particolare i comuni, chiamati a sostenere la giurisdizione, secondo un rinnovato equilibrio che intende valorizzare il patrimonio di esperienze ed il ruolo tradizionalmente svolto in sede locale, per potenziare i rapporti tra il cittadino e le istituzioni.
  Ed è proprio grazie al sostegno dei comuni ed alle sinergie sviluppate in sede locale che la transizione si è svolta senza evidenziare particolari disservizi, pur con le inevitabili difficoltà che il cambiamento ha comportato.
  Nel passaggio al nuovo modello di gestione si iscrive, pertanto, la definizione dei contributi ancora dovuti ai comuni in virtù della pregressa gestione diretta della spesa.
  Preme, al riguardo, sottolineare che proprio la prospettiva di un corretto avvio delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari ha orientato l'impegno del Ministero nel regolare definitivamente e al più presto le posizioni pregresse con i comuni, al fine di poter procedere in modo più funzionale gli impegni della nuova gestione.
  Il Ministero della giustizia ha adottato tutte le iniziative necessarie a far fronte alle spettanze dei comuni, nel quadro legislativo di riferimento e con i limiti finanziari dettati dalle disposizioni normative che hanno regolato la quantificazione e la liquidazione dei rimborsi.
  L'interrogazione offre, invero, l'occasione per rappresentare come il procedimento di liquidazione dei contributi sia particolarmente complesso.
  Anzitutto – ai sensi dell'articolo 1 del decreto del Presidente della Repubblica 4 maggio 1998, n. 187 – la determinazione del contributo da erogare ai Comuni doveva essere assunta, annualmente, con decreto del Ministro della giustizia, adottato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro dell'interno, sulla base dei consuntivi delle spese effettivamente sostenute.
  Con il fine di allineare le scelte di politica economico-finanziaria ai generali obiettivi di contenimento della spesa pubblica fissati anche in ambito comunitario, il decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, recante disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini, aveva previsto per il Ministero della giustizia risparmi – in misura non inferiore ad 30 milioni di euro per l'anno 2012 e 70 milioni di euro a decorrere dall'anno 2013 – in termini di minori contributi ai Comuni per le spese di funzionamento degli uffici giudiziari.
  I tempi e l'entità dei contributi erogabili sono stati, pertanto, essenzialmente condizionati dalle misure di risparmio previste dal citato decreto-legge n. 95 del 2012: oltre a doversi attendere che le spese siano indicate a consuntivo dei bilanci comunali e sottoposte al vaglio della commissione di manutenzione, la liquidazione è disposta poi con decreto interministeriale, a firma del Ministro della giustizia, del Ministro dell'interno nonché del Ministro dell'economia e delle finanze, e secondo rigide percentuali di rimborso.
  Con riferimento all'anno 2012, dalle informazioni assunte presso il Ministero dell'economia e delle finanze, ed attraverso le competenti articolazioni ministeriali, consta come il decreto interministeriale volto a rideterminare i contributi per le spese sostenute e rendicontate dai comuni abbia assegnato una somma pari ad 77 milioni di euro circa, fino alla concorrenza dell'importo stanziato sul capitolo 1551, da imputarsi all'esercizio finanziario 2013.
  Per lo stesso esercizio era già stato erogato – con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo Dicastero del 5 marzo 2014 – un acconto pari a circa 65 milioni di euro.
  Lo stesso decreto interministeriale ha determinato nel 25,88 per cento circa delle spese effettivamente sostenute dai comuni la misura del rimborso liquidabile.
  Con decreto del direttore generale delle risorse e tecnologie di questo Dicastero del 7 dicembre 2015 si è, pertanto, provveduto all'erogazione del saldo e, per alcuni comuni, è stata operata la decurtazione degli importi erogati in acconto per le annualità precedenti, risultati eccedenti rispetto al contributo effettivamente determinato.
  Anche il decreto per le spese sostenute nell'anno 2013 è stato già firmato dai tre Ministri competenti ed è stato, pertanto, liquidato il saldo.
  Per venire incontro alle difficoltà rappresentate dai comuni, la direzione generale delle risorse ha disposto – con decreto in data 12 febbraio 2016 – l'erogazione dell'acconto per le spese sostenute nell'anno 2014, precisando come per tale operazione occorra fare riferimento all'importo determinato per il contributo delle spese sostenute nell'anno 2012, che risulta, allo stato, liquidato in via definitiva.
  Lo stanziamento di bilancio del capitolo 1551 nello stato di previsione del Ministero della Giustizia è pari, inoltre, ad 11 milioni di euro per il 2014 e 133 milioni di euro per il 2015.
  Per quanto riguarda, infine, l'anno 2015, si sta procedendo all'esame dei rendiconti di tutti i comuni, al fine della determinazione dei contributi spettanti sino al 31 agosto 2015.
  Orbene, nel delineato contesto generale, in merito alle spese di giustizia sostenute dal comune di Bergamo dall'anno 2012 al 2015, nelle quali rientrano anche i canoni per i fitti reali, si precisa quanto segue.
  Con riguardo all'anno 2012, il comune di Bergamo ha già ricevuto l'intero contributo, pari ad 493.671,02 euro, ripartito in 384.405,32 euro a titolo di acconto e 109.276,70 euro quale saldo.
  Dal rendiconto presentato dal comune di Bergamo di 1.910.209,82 euro, detratte le somme non ammesse a contributo
ex articolo 1 della legge n. 392 del 1941, si è giunti al rendiconto effettivo di 1.412.827,95 euro, sul quale è stata applicata la percentuale del 25,88 per cento, la quale, come già sopra evidenziato, è stata stabilita a livello nazionale tenendo conto, oltre che delle somme relative ai rendiconti trasmessi, anche dello stanziamento sul capitolo per l'anno finanziario di riferimento.
  Il versato è pari ad 493.671,02 euro e non residuano ulteriori pendenze.
  Per l'anno 2013, il comune di Bergamo ha già ricevuto l'intero contributo pari ad 642.977,35 euro, ripartito in 489.014,89 euro di acconto ed 1.153.962,46 euro di saldo.
  Dal rendiconto presentato dal comune di Bergamo di 1.793.908,68 euro, detratte le somme non ammesse a contributo
ex articolo 1 della legge n. 392 del 1941, si è giunti ad un rendiconto effettivo pari ad 1.788.407,39 euro, sul quale è stata applicata la percentuale del 35,95251 per cento, percentuale che, come sopra evidenziato, è stabilita a livello nazionale tenendo conto, oltre che delle somme relative ai rendiconti trasmessi, anche dello stanziamento sul capitolo per l'anno finanziario di riferimento.
  Pertanto, il contributo versato di 642.977,35 euro risulta determinato correttamente e nulla è ancora dovuto.
  Con riguardo all'anno 2014, è stato liquidato l'acconto pari ad 345.569,71 euro (calcolato applicando, in conformità alle disposizioni normative richiamate, la percentuale del 70 per cento sull'ultimo contributo complessivamente erogato, ovvero quello per il 2012, che era pari a 493.671,02 euro).
  La percentuale sull'importo complessivo, e quindi il contributo complessivo da assegnare per il 2014, sono in corso di determinazione.
  Per l'anno 2015 (fino al 31 agosto), i rendiconti di tutti i comuni sono in corso di esame e, di conseguenza, così come per il 2014, il contributo complessivo non è determinato, né allo stato determinabile.
  Dal 1o settembre 2015, alla luce di quanto disposto dall'articolo 1, commi 526 e 527, della legge di stabilità menzionata n. 190 del 2014, per il pagamento dei canoni, così come per le altre spese degli uffici giudiziari, è stata delegata la Corte d'appello di Brescia, la quale, interpellata sul punto, ha riferito che, a far data dal 1o settembre 2015, i pagamenti dei canoni di locazione degli immobili risultano regolarmente eseguiti.
  Nell'ambito dei lavori preparatori della manovra di finanza pubblica per il 2017-2019, sono, inoltre, allo studio iniziative finalizzate ad assicurare risorse, per l'importo complessivo di circa 300.000.000 euro, destinate al ripianamento del debito complessivo verso i comuni per il rimborso delle spese di funzionamento degli uffici giudiziari sino al 31 agosto 2015.
  In definitiva, si intende rassicurare come saranno, in ogni caso, poste in essere tutte le azioni che possano soddisfare nella misura più adeguata le aspettative dei comuni sede degli uffici giudiziari.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   FORMISANO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 ottobre 2013 il tribunale penale di Gorizia, nella persona del giudice unico, dottor Matteo Trotta, emetteva sentenza di condanna per omicidio colposo nei confronti di tredici dirigenti dell'Italcantieri di Monfalcone, rei di aver cagionato la morte di 85 operai della stessa azienda, deceduti tra il 1992 ed il 2005 per le conseguenze dell'asbestosi, dopo aver lavorato per anni sul cantiere navale in provincia di Gorizia;
   dopo sedici mesi dalla lettura del dispositivo, non vi è ancora traccia del deposito delle motivazioni della sentenza che a norma di legge avrebbe dovuto avvenire entro 90 giorni (articolo 544, comma 3 del codice di procedura penale);
   tale incresciosa situazione rischia concretamente di vanificare quanto statuito nel provvedimento giudiziale, atteso che, nelle more, il termine della prescrizione continua a decorrere impietosamente, mentre sale l'amarezza e lo sgomento di tutti i parenti delle 85 vittime dell'amianto, che avevano sperato in una giustizia sostanziale per i loro cari;
   l'insostenibile ritardo di cui sopra è ascrivibile per alcuni versi all'avvenuto trasferimento del giudice Trotta presso il tribunale di Trieste, laddove oggi svolge le funzioni di presidente, tuttavia, appare pacifico che il trasferimento ad altro ufficio, dopo la stesura del dispositivo, e prima della sottoscrizione della sentenza, non fa venir meno il potere di redigere personalmente la motivazione, trattandosi di una funzione che permane fino al deposito della stessa, indipendentemente dal perdurare dell'appartenenza all'ufficio giudiziario –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra in premessa e se non intenda valutare se sussistano i presupposti per un'iniziativa ispettiva ai fini dell'eventuale esercizio dei poteri di competenza. (4-08037)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, dopo aver riferito che, in data 15 ottobre 2013, il tribunale di Gorizia, nella persona del giudice dottor Matteo Trotta, ha emesso sentenza di primo grado, condannando 13 persone per omicidio e lesioni colpose ai danni di 87 ex lavoratori del cantiere navale di Monfalcone (Gorizia), deceduti a causa dell'esposizione all'amianto, lamenta che, a distanza di oltre un anno dall'intervenuta sentenza, non sono ancora state depositate le relative motivazioni.
  Su tali premesse, chiede quindi di sapere se questo Ministro sia a conoscenza della vicenda e se intenda attivare i propri poteri ispettivi e promuovere le eventuali iniziative disciplinari.
  Orbene, va preliminarmente segnalato che, in data 11 aprile 2015, sono state depositate le motivazioni della sentenza
de qua dal tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, nella persona del dottor Matteo Giovanni Trotta.
  Ciò premesso, in relazione alla vicenda in esame, giova segnalare che il procuratore generale presso la Corte di Cassazione, in data 23 marzo 2015, ha esercitato l'azione disciplinare nei confronti del dottor Trotta in relazione agli articoli 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera
a), g) e q) del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, contestandogli: quale giudice del tribunale in composizione monocratica, il ritardo nel deposito di numerose sentenze, tra cui quella in esame (ritardo pari a 363 giorni); la violazione dell'articolo 132-bis disp. att. c.p.p. in relazione al processo in esame (n. 673/2006 R.G.Dib.), quale presidente e giudice del Tribunale per non aver garantito nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi, priorità assoluta a tale giudizio, pur essendo relativo a delitti commessi in violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro e, infine, quale giudice del Tribunale in composizione monocratica nel processo n. 673/2006 R.G.Dib., di aver procurato un ingiusto danno alle persone offese in conseguenza dell'intervenuta prescrizione dei reati, da ricondurre ai ritardi nella conduzione del giudizio e nel deposito delle motivazioni della pronunzia di condanna.
  Mi preme rilevare che pari attenzione al caso in esame è stata riservata da questo Ministero.
  Ed infatti, in ordine al dedotto ritardo nel deposito delle motivazioni della sentenza emessa dal tribunale di Gorizia, ho provveduto a delegare all'ispettorato generale specifici accertamenti.
  All'esito delle verifiche, la predetta articolazione ministeriale, in data 26 marzo 2015, ha formulato autonome proposte di azione disciplinare a carico dei dottor Matteo Giovanni Trotta, magistrato titolare del cosiddetto processo sull'amianto.
  In considerazione del tenore della relazione dell'Ispettorato Generale, ho ritenuto opportuno disporre, in data 1o aprile 2015, un'inchiesta amministrativa per verificare la complessiva situazione del tribunale di Gorizia, a far data dal dicembre 2013; inoltre, in data 21 aprile 2015, ho promosso l'estensione dell'azione disciplinare già avviata dal Procuratore Generale presso la Corte di Cassazione nei confronti del dottor Trotta, ai sensi dell'articolo 14, comma 3, del d.lgs. 23 febbraio 2006, n. 109, per contestazioni connesse, relative alla violazione dell'articolo 132-
bis, commi 1 e 2, disp. att. c.p.p.
  In ordine al procedimento disciplinare, si rappresenta che, a conclusione delle indagini svolte, in data 15 marzo 2016, il procuratore generale presso la Corte di Cassazione ha richiesto al Consiglio superiore della magistratura la fissazione dell'udienza di discussione orale nel procedimento indicato (n. 28 del 2015).
  In data 21 luglio 2016 si è svolta l'udienza di trattazione dinanzi alla Sezione disciplinare del C.S.M., definitasi con sentenza di assoluzione del dottor Matteo Giovanni Trotta dalle incolpazioni a lui ascritte essendo rimasti esclusi gli addebiti.
  Dalle motivazioni della sentenza (n. 144/2016), depositate in data 14 settembre 2016, emerge, con specifico riguardo alla contestata gestione del cosiddetto processo sull'amianto – oggetto dell'atto ispettivo – che l'eccessiva lunghezza temporale dello stesso si giustificava anche in ragione della situazione di crisi esistente presso il Tribunale di Gorizia, come comprovata sia da una relazione degli ispettori ministeriali relativa al periodo 2002-2007, sia da una specifica delibera dello stesso C.S.M., del 14 gennaio 2009, in cui si segnalava la grave sofferenza del Tribunale di Gorizia. Inoltre, in relazione ai ritardi nel deposito delle motivazioni della sentenza in parola, sono stati esclusi profili di rilievo disciplinare a carico del dottor Trotta tenuto conto dell'entità del ritardo (inferiore all'anno) e dell'importanza e complessità della motivazione.
  In ordine, invece, all'inchiesta amministrativa da me disposta, l'ispettorato generale, all'esito degli accertamenti trasmessi il 2 luglio 2015, ha rilevato una situazione di criticità del tribunale di Gorizia, anche in relazione alla carenza degli organici del personale di magistratura e amministrativo, inadeguato a sostenere una domanda di giustizia di un territorio che vede la presenza di uno dei più importanti insediamenti cantieristici italiani, costituito appunto dal polo produttivo di Monfalcone.
  Tanto rappresentato, mi preme tuttavia segnalare che presto la massima attenzione alla situazione in cui versano gli uffici giudiziari e, sin dall'inizio del mio mandato, ho messo in campo efficaci misure e risorse per far fronte ad una situazione di cronica criticità, tanto sul versante del personale amministrativo, quanto sul versante dell'organico magistratuale.
  Sono pienamente consapevole, infatti, che l'efficienza e la celerità del sistema giustizia passi necessariamente attraverso il potenziamento degli uffici giudiziari; solo in tal modo potrà scongiurarsi il rischio di episodi analoghi a quello oggetto del presente atto di sindacato ispettivo.
  E gli interventi realizzati, di cui ha beneficiato anche il tribunale di Gorizia, vanno in questa direzione.
  In proposito, sul fronte del personale amministrativo, mi preme infatti rilevare che, presso il predetto ufficio giudiziario, allo stato attuale, rispetto ad un programmato organico di 37 dipendenti, ne sono in servizio 29, con un tasso di scopertura del 21,62 per cento, sostanzialmente in linea con la media di scopertura nazionale, pari al 21,26 per cento, e comunque inferiore rispetto al dato riscontrato dall'ispettorato generale nel corso dell'inchiesta amministrativa da me disposta, che si assestava al 29,7 per cento.
  In particolare, si segnala che, a seguito del bando di mobilità volontaria da altre amministrazioni del 2015 e della I fase della procedura di mobilità obbligatoria sono state immesse in servizio presso il tribunale di Gorizia 3 unità di personale amministrativo, rispettivamente, 1 funzionario giudiziario e 2 cancellieri. Inoltre, all'esito della II fase della mobilità obbligatoria, attualmente in corso, si provvederà ad acquisire, per la provincia di Gorizia, 1 ulteriore unità proveniente dalla Croce rossa.
  Pari attenzione è stata da me rivolta anche al personale della magistratura.
  È stato infatti recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi,
cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al tribunale di Gorizia è stato assegnato 1 posto di giudice, in aumento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Da ultimo, con specifico riguardo alla tutela dei lavoratori esposti all'inalazione di fibre di amianto, mi preme segnalare che, proprio nella consapevolezza dell'importanza e delicatezza del tema, al fine di chiarire talune situazioni dubbie, venutesi a creare a seguito della revoca di una serie di attestazioni di esposizione ultradecennale all'amianto, emesse dall'INAIL in favore di numerosi lavoratori, l'articolo 1, comma 112, legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) ha ripristinato per tali lavoratori il diritto ai benefici contributivi previsti dalla legge.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   FRACCARO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'11 maggio 1990, in occasione del deposito dello strumento di ratifica della Carta Europea dell'Autonomia Locale, il Governo italiano ha integrato il documento aggiungendo la seguente dichiarazione: «Con riferimento alle disposizioni dell'articolo 12, comma 2 della Carta europea dell'autonomia locale, la Repubblica italiana si considera vincolata dalla Carta nella sua integralità». La Carta Europea dell'Autonomia Locale è entrata in vigore per l'Italia il 1° settembre 1990;
   l'articolo 3 della citata Carta Europea dell'Autonomia Locale prevede che il diritto e la capacità effettiva, per le collettività locali, di regolamentare ed amministrare nell'ambito della legge, sotto la loro responsabilità, e a favore delle popolazioni, una parte importante di affari pubblici possa essere esercitato anche con il ricorso ad assemblee di cittadini, referendum e ogni altra forma di partecipazione diretta dei cittadini qualora questa sia consentita dalla legge;
   l'articolo 118 della Costituzione prevede che Stato, regioni, città metropolitane, province e comuni favoriscono l'autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà;
   l'articolo 8 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n.267, prevede che i comuni, anche su base di quartiere o di frazione, valorizzano le libere forme associative e promuovono organismi di partecipazione popolare all'amministrazione locale. I rapporti di tali forme associative sono disciplinati dallo statuto. Specifica inoltre che nel procedimento relativo all'adozione di atti che incidono su situazioni giuridiche soggettive devono essere previste forme di partecipazione degli interessati secondo le modalità stabilite dallo statuto, nell'osservanza dei principi stabiliti dalla legge 7 agosto 1990, n. 241. Infine, dispone che nello statuto devono essere previste forme di consultazione della popolazione nonché procedure per l'ammissione di istanze, petizioni e proposte di cittadini singoli o associati dirette a promuovere interventi per la migliore tutela di interessi collettivi e devono essere, altresì, determinate le garanzie per il loro tempestivo esame. Possono essere, altresì, previsti referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini;
   nel 2004, con 4 anni di ritardo, lo Statuto comunale di Sesto San Giovanni ha recepito le disposizioni del citato decreto legislativo, prevedendo, nelle norme transitorie e finali, che entro un anno venga adottato un regolamento relativo alla partecipazione popolare. Tuttavia, tale regolamento ad oggi non è ancora stato approvato;
   nel novembre 2011, è stata depositata una petizione popolare per la modifica allo Statuto comunale, alla quale non è seguito alcun provvedimento per colmare le inadempienze in ordine all'esecuzione dello Statuto;
   nel febbraio 2012, il Consiglio comunale ha esaminato una modifica dello Statuto al riguardo che non è stata portata a compimento per la fine della consiliatura;
   nel dicembre 2012, è stata presentata un'iniziativa popolare con l'intento di richiedere l'estensione dei diritti referendari. Ancorché tale proposta sia stata respinta, il Consiglio comunale, in data 8 luglio 2013, ha approvato all'unanimità un ordine del giorno relativo all'orientamento che lo Statuto del Comune debba essere compiutamente rivisitato, alla luce dei cambiamenti normativi intercorsi e della necessità di valorizzare compiutamente la partecipazione della cittadinanza, a partire da quanto elaborato nella precedente consiliatura. Il Consiglio comunale ha altresì ritenuto che, nel quadro della valorizzazione della partecipazione civica, dovesse essere ridotto il numero di firme necessario alla proposizione dei referendum e il quorum che ne rende valida la votazione, invitando il Presidente a convocare la competente commissione consiliare per avviare il percorso di revisione statutaria, da concludersi con celerità.
(4-10101)

  Risposta. — L'interrogazione in esame richiama l'attenzione sul mancato adeguamento dello statuto del comune di Sesto San Giovanni alle disposizioni in materia di referendum popolare di cui al testo unico sull'ordinamento degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000) e alla Carta europea per le autonomie locali.
  In relazione a ciò, viene chiesto al Ministro dell'interno quali iniziative intenda adottare per agevolare l'esercizio democratico dei diritti popolari nel comune predetto, anche esercitando i poteri sostitutivi previsti dall'ordinamento nelle ipotesi di mancato rispetto di norme e trattati internazionali o della normativa comunitaria o quando lo richieda la tutela dell'unità giuridica o la tutela dei livelli essenziali dei diritti dei cittadini.
  Preliminarmente, si osserva che, come rilevato anche dall'interrogante, l'ordinamento italiano presta una particolare attenzione alla partecipazione diretta del cittadino alla vita delle istituzioni locali.
  Giova ricordare, al riguardo, che l'Italia ha fatto propri i principi della predetta Carta europea, sottoscrivendo la relativa convenzione, poi ratificata con la legge 30 dicembre 1989, n. 439.
  L'articolo 3, comma 2, della Carta, riconoscendo alle collettività locali il diritto di regolamentare ed amministrare, nell'ambito della legge, una parte importante di affari pubblici mediante consigli e assemblee costituiti da membri eletti a suffragio libero, segreto, paritario, diretto e universale, ha precisato, altresì, che «detta disposizione non pregiudica il ricorso alle Assemblee di cittadini, al referendum, o ad ogni altra forma di partecipazione diretta dei cittadini qualora questa sia consentita dalla legge».
  L'istituto del referendum trova, inoltre, una sua concretizzazione nel citato Testo unico e, indipendentemente dalla dimensione demografica dell'ente, fa parte del contenuto facoltativo dello statuto.
  Un rinvio allo statuto è previsto, infatti, dall'articolo 8 del testo unico, secondo cui, in materie di esclusiva competenza locale, «possono essere previsti
referendum anche su richiesta di un adeguato numero di cittadini».
  Ciò premesso, con riferimento specifico alla questione posta con l'interrogazione, si rappresenta che il consiglio comunale di Sesto San Giovanni, con delibere n. 55 del 16 dicembre 2015 e n. 49 del 17 ottobre 2016, ha apportato varie modifiche allo Statuto e al Regolamento per la partecipazione dei cittadini ed i referendum (quest'ultimo atto non ancora esecutivo).
  In tali sedi, proprio nel senso auspicato dall'interrogante, è stata rivisitata anche la disciplina dei referendum, relativamente ai seguenti aspetti salienti:
   tipi di referendum ammissibili (consultivo, abrogativo e propositivo);
   individuazione dei requisiti, anche di età, per l'ammissione all'esercizio del diritto di voto (requisiti diversificati a seconda del tipo di
referendum);
   
quorum per l'indizione dei referendum (percentuale del 2,5 per cento di tutti gli aventi diritto al voto, anziché del 5 per cento) e per la validità dei medesimi (percentuale dei votanti superiore al 20 per cento degli aventi diritto);
   materie che possono formare oggetto di ciascuno dei tre tipi di
referendum;
   attribuzione del carattere vincolante ai risultati dei referendum per la durata di cinque anni (prevedendo che, nello stesso arco temporale, non possa essere ripresentato un requisito referendario che non abbia raggiunto il quorum del 20 per cento degli aventi diritto o che non sia stato approvato dalla maggioranza dei partecipanti al voto).

  Per quanto riferito, si ritiene che le doglianze e le obiezioni espresse nell'interrogazione sull'operato dell'Amministrazione comunale di Sesto San Giovanni possano intendersi superate.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Reggello, in provincia di Firenze, si trova il castello di Sammezzano, eclettica costruzione in stile moresco dall'architettura visionaria, impreziosita da forme fantasmagoriche e coloratissime, appartenente alla società Sammezzano Castle srl, ma attualmente è in stato di abbandono da circa trent'anni;
   il castello si trova in uno dei parchi più vasti della Toscana, in cui a metà dell'Ottocento Ferdinando Panciatichi vi fece piantare una grande quantità di specie arboree esotiche, come sequoie e altre resinose americane e numerose piante di interesse floriculturale, che ne valorizzano la ricchezza botanica;
   la storia del castello è assai antica e rilevante, può risalire all'epoca romana e continuare nei secoli successivi. Fu il Marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d'Aragona, tuttavia, a progettarne l'aspetto attuale realizzando, tra il 1853 e il 1889, un'insolita e splendida struttura in stile moresco;
   nell'aprile del 2012, tuttavia, si è costituito il Comitato FPXA (Ferdinando Panciatichi Ximenes d'Aragon) 1813-2013, un'associazione senza finalità di lucro che, pur non avendo la disponibilità del castello, collabora con la proprietà per organizzare aperture al pubblico. In particolare, essa promuove la conoscenza e lo studio della vita, idee ed attività svolte dal Marchese d'Aragona, con particolare riferimento all'architettura, all'ingegneria, la botanica, lo studio della storia del castello e del parco;
   attualmente, a causa del fallimento della Sammezzano Castle srl, castello e parco sono in vendita ed il 20 ottobre 2015 si terrà l'asta giudiziaria su base di 20 milioni di euro, nella quale il complesso sarà posto all'incanto, con notevoli danni sia per la memoria storica e culturale della zona che per il valore ambientale e turistico che il parco riveste per l'intera nazione;
   dalle ultime notizie, sembra che alcuni imprenditori cinesi siano interessati all'acquisito per trasformare la struttura in un albergo di lusso, con la conseguenza che i cittadini italiani e stranieri non potranno più godere, se non clienti, di questo importante sito storico, monumentale, ambientale e turistico;
   su sito intoscana.it un articolo informa che un gruppo di persone di San Giovanni Valdarno hanno avviato una raccolta di fondi su Kickstarter per provare ad acquisire il castello prima del 20 ottobre, giorno in cui è fissata l'asta per la vendita del complesso, e renderlo nuovamente accessibile al pubblico –:
   se le donazioni in favore del fondo istituito dai cittadini di San Giovanni Valdarno grazie al sistema di crowdfunding «Kickstarter» possano usufruire dei benefici fiscali introdotti dagli ultimi provvedimenti promossi dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, in particolare del decreto-legge n. 83 del 31 maggio 2014, convertito dalla legge 29 luglio 2014, n. 106;
   se il Governo non ritenga, visti l'enorme valore culturale ed artistico e la potenzialità turistica del castello di Sammezzano e dell'area in cui si trova, di valutare l'opportunità di inserirlo tra i progetti oggetto di finanziamenti pubblici ai fini del recupero, della tutela e della fruizione dello stesso. (4-10613)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo sopra indicato, nel quale l'interrogante, con riferimento alla vendita all'incanto del castello di Sammezzano, situato nel comune di Reggello, in provincia di Firenze, chiede di conoscere se le donazioni in favore del fondo istituito dai cittadini di San Giovanni Valdarno per l'acquisto del Castello possano usufruire dei benefici fiscali del cosiddetto Art bonus nonché le valutazioni dell'amministrazione circa l'opportunità di finanziamenti pubblici per il recupero dell'immobile.
  Come ricordato anche dall'interrogante, il castello di Sammezzano in località Leccio, comune di Reggello (Firenze), con l'annesso parco e le altre pertinenze edilizie, è una famosa opera eclettica in stile orientalistico, realizzata intorno al 1850, dal marchese Ferdinando Panciatichi Ximenes d'Aragona, il quale fece di Sammezzano
l'opus magnum del suo appassionato e prolungato impegno di «architetto» e committente.
  Il bene è stato assoggettato alle disposizioni di tutela culturale con successivi provvedimenti ministeriali e la competente soprintendenza esercita sul castello l'attività di vigilanza ai sensi di legge.
  Un primo vincolo è stato apposto ai sensi della legge 20 giugno 1909, n. 364, in materia di antichità e belle arti, notificato in data 24 giugno 1925 al signor Giulio Oriani, di professione agente di cambio, per il bene denominato «villa di Sammezzano insieme col parco che le è annesso e le adiacenze ad essa pertinenti».
  Un secondo vincolo è stato imposto ai sensi della legge 11 giugno 1922, n. 778, per la tutela delle bellezze naturali e degli immobili di particolare interesse storico, con provvedimento del 19 gennaio 1927, notificato in data 11 ottobre 1927 al signor Alessandro di San Giorgio, per il bene denominato «parco della villa di Sammezzano».
  Con successivo decreto ministeriale del 20 settembre 1972, notificato in data 24 novembre 1972 alla Sammezzano S.p.A., la «villa di Sammezzano nel suo interno quanto nel suo esterno ed il parco annesso» venivano vincolati ai sensi della legge 1o giugno 1939, n. 1089 (tutela delle cose d'interesse artistico o storico), legge che è rimasta in vigore fino al 1999 ed è ora sostituita dal (codice dei beni culturali e del paesaggio «di seguito codice»).
  L'immobile è di proprietà privata e non esistono nel codice disposizioni che ne impediscano la compravendita.
  La sua vendita va comunque, e proprio in ragione dei vincoli apposti su di esso, denunciata entro trenta giorni al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che può esercitare la prelazione sull'atto di vendita o trasferirne la facoltà alla regione o ad altri enti pubblici territoriali interessati.
  L'acquisizione in via di prelazione – va peraltro sottolineato – avviene al medesimo prezzo stabilito nell'atto di alienazione o di conferimento che, nell'atto parlamentare, viene indicato in venti milioni di euro, quale prezzo a base dell'asta giudiziaria, fissata, secondo quanto riferisce l'interrogante, per il 20 ottobre 2015 e che, da notizie di stampa, è andata deserta.
  L'attuale congiuntura economica non appare favorevole ad una spesa di tale ammontare da parte di una amministrazione pubblica. Tuttavia, ad oggi, alla competente soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Firenze e le province di Pistoia e Prato non è ancora pervenuta la denuncia di trasferimento ai sensi dell'articolo 59 del codice e quindi è ancora presto per fare ipotesi o trarre conclusioni.
  Nel frattempo, i competenti uffici periferici, e in particolare la soprintendenza, vigilano sul territorio proprio per impedire che il complesso vincolato subisca interventi non autorizzati e per imporre gli eventuali interventi necessari per assicurarne la conservazione.
  Per quanto riguarda la pubblica fruizione, il castello, benché vincolato, è tuttora di proprietà privata e il proprietario di un bene vincolato, come è noto, non è obbligato ad assicurarne la visita e la fruizione al pubblico.
  Il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo comunque, considera con attenzione e interesse la questione, nella prospettiva di una necessaria collaborazione con le istituzioni territoriali e i soggetti privati, ed ha accolto l'ordine del giorno 01.101 (testo2), votato dal Senato nella seduta del 5 novembre 2015, col quale si «impegna il Governo a favorire la funzione del patrimonio artistico e culturale della nazione attraverso un piano nazionale di investimenti, anche valutando la possibilità di prevedere, nei termini consentiti dal codice dei beni culturali e dalle risorse disponibili, tra gli altri, il rilancio, il restauro e la valorizzazione del castello di Sammezzano».
  Con riguardo all'applicabilità del benefìci fiscali introdotti dalla normativa richiamata dall'interrogante (cosiddetto
Art bonus), i competenti uffici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, valutata la questione, hanno comunicato che l'operazione di crowdfunding in favore del fondo istituito dai cittadini di San Giovanni Valdarno, grazie al sistema Kickstarter, non ha diritto ai sopradetti benefici fiscali in quanto si tratta si iniziativa finalizzata all'acquisto di un bene di proprietà privata.
  L'articolo 1 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 29 luglio 2014, n. 106, prevede, invece, testualmente che il beneficio fiscale si applichi «per le erogazioni liberali in denaro effettuate nei periodi d'imposta successivi a quello in corso al 31 dicembre 2013, per interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, per il sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica, delle fondazioni lirico-sinfoniche e dei teatri di tradizione e per la realizzazione di nuove strutture, il restauro e il potenziamento di quelle esistenti di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo...».

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   RICCARDO GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto pubblicato dal quotidiano economico Il Sole 24 Ore il 3 ottobre 2015, le condizioni complessive della regione siciliana, nell'ambito della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti, rischiano a breve termine, di diventare estremamente gravi, a causa della mancanza di un piano ordinario di gestione (obbligatorio al fine di ottenere i finanziamenti a valere sui fondi comunitari);
   la medesima regione (unica peraltro a non essere dotata del suesposto piano) si regge su un equilibrio molto precario, secondo quanto denuncia lo stesso articolo di stampa, anche per le misure adottate dal dipartimento regionale per i rifiuti dell'amministrazione siciliana, valutate deboli e considerate un palliativo, se connesse alla situazione generale dell'isola, particolarmente complessa;
   l'articolo del Sole 24 Ore prosegue evidenziando le rivelazioni provenienti dall'università di Palermo, secondo le quali, tra la primavera e l'estate prossima, la regione siciliana, non sarà più in grado di smaltire i rifiuti, in quanto ancora oggi, l'impostazione attuale si fonda sulle discariche, anziché incentivare la raccolta differenziata (in Sicilia ferma a poco più del 10 per cento);
   le responsabilità del governo regionale siciliano al riguardo, risultano evidenti, secondo le opinioni riportate dal quotidiano economico, in considerazione del fatto che l'amministrazione, nel corso degli ultimi anni, ha contribuito a rafforzare il sistema delle discariche pubbliche con gare gestite in maniera emergenziale e pertanto con affidamenti in deroga, addirittura secondo il presidente della commissione regionale antimafia, al limite delle leggi e in alcuni casi fuori legge;
   l'assenza di strumenti di pianificazione e l'inarrestabile condizione emergenziale configurano nel complesso, all'interno della regione siciliana, una situazione di estrema inefficienza e precarietà, nell'ambito della corretta gestione dei rifiuti, dello smaltimento e delle discariche; il disordine legislativo e la mancanza di adeguate misure di sorveglianza, sono state oggetto d'attenzione e d'intervento del Governo nazionale, che al riguardo nel mese di agosto 2015, ha diffidato la regione isolana;
   l'intervento del Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio De Vincenti nei riguardi dell'amministrazione siciliana guidata dal presidente Crocetta, evidenzia il Sole 24 Ore, affinché adotti misure urgenti al fine riordinare la legislazione regionale, adeguandola a quanto si rende necessario per il superamento delle condizioni di estrema gravità, rappresenta un ammonimento, pena la procedura di esercizio del potere sostitutivo;
   a giudizio dell'interrogante, quanto in precedenza richiamato risulta di estrema preoccupazione e di particolare gravità, in considerazione della situazione giudicata «esplosiva» dal suesposto quotidiano, che da un giorno all'altro, rischia di diventare realmente insostenibile;
   la logica del prendere tempo, in attesa che la situazione potesse migliorare, senza che nel frattempo si prendano misure serie ed efficaci, a giudizio dell'interrogante, conferma anche in questa occasione l'inefficienza della regione siciliana, nella gestione di un settore così delicato ed importante quale quello dei rifiuti;
   risulta pertanto inevitabile, a parere dell'interrogante, un intervento rapido del Governo, affinché possa introdurre misure rigorose ed urgenti, anche attraverso la procedura di esercizio del potere sostitutivo nei riguardi dell'amministrazione regionale siciliana, che, anche in questa occasione, ha dimostrato di non essere in grado di gestire una moltitudine di emergenze socioeconomiche nell'isola, causate dalla crisi economica, la quale ha prodotto effetti altamente negativi, anche per l'assenza d'interventi concreti del Governo Renzi in favore del Mezzogiorno, a partire dal suo insediamento –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quale sia l'effettiva situazione nella regione siciliana, in merito alla gestione dei rifiuti, i cui ritardi nell'attuazione del piano ordinario rischiano, oltre che di determinare il mancato ottenimento dei finanziamenti a valere sui fondi comunitari, anche di configurare una situazione emergenziale nel breve termine;
   se siano a conoscenza dei motivi per i quali la regione siciliana ritarda nell'introduzione di misure organiche e di riordino della normativa in materia di disciplina di rifiuti e della gestione delle discariche, nonché nella corretta applicazione della raccolta differenziata;
   quali iniziative urgenti e necessarie il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, al fine di contribuire alla risoluzione delle numerose criticità che gravano sulla regione siciliana, alla luce della diffida inviata, che ha attivato la procedura di esercizio del potere sostitutivo. (4-10615)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Innanzitutto, occorre premettere che la produzione dei rifiuti in Sicilia ammonta per l'anno 2014 a 2.342.219 tonnellate. Tale quantità corrisponde ad una produzione
pro capite pari a circa 462 kg/abitante anno. La produzione dei rifiuti in Sicilia è diminuita dal 2010 al 2014 del 10,3 per cento. Tale andamento riflette quello della produzione a livello nazionale, correlato al trend degli indicatori socio-economici ed al consumo delle famiglie.
  La raccolta differenziata nella Regione Siciliana nel 2014 ammontava a 292.972 tonnellate. Tale quantità rappresenta solo il 12,5 per cento del totale dei rifiuti prodotti, valore molto al di sotto dell'obbligo di legge del 65 per cento.
  Nel 2014, in controtendenza rispetto al resto del territorio nazionale, la quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato si è ridotta di oltre un punto percentuale, al 12,5 per cento dal 13,2 per cento dell'anno precedente.
  Le quantità raccolte in maniera differenziata nel 2014 sono pari complessivamente a 292.972 tonnellate di cui 125,829 sono costituite da frazione organica e 167.143 da frazione secca riciclabile.
  La frazione secca viene conferita alle piattaforme Conai e quindi riciclata o recuperata al netto degli scarti.
  In molti Comuni del territorio regionale la raccolta differenziata non viene ancora realizzata.
  Le quantità di rifiuto indifferenziato prodotte nel 2014 ammontano a 2.049.247 tonnellate. Questi rappresentano una quota pari all'89 per cento dei rifiuti urbani prodotti in Regione.
  Di tali quantità solo 349.774 tonnellate sono state inviate, secondo modalità ordinarie, agli impianti di trattamento meccanico-biologico (TMB) prima di essere inviate al successivo smaltimento.
  La restante quota, pari a 1.003.302 tonnellate, è stata quindi smaltita in deroga alle prescrizioni, ricorrendo a forme speciali di gestione dei rifiuti attraverso Ordinanze del presidente della regione ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La frazione umida raccolta in modo separato è conferita nei 15 impianti di compostaggio presenti sul territorio, molti dei quali risultano non operativi per mancanza di materiale da trattare.
  Tali impianti, sebbene presentino nominalmente una potenzialità complessiva autorizzata pari a 416.967 tonnellate annue, hanno trattato nel 2014 una quantità di rifiuti pari a circa 160.000 tonnellate.
  Appare evidente che gli stessi siano sottoutilizzati e che l'attuale capacità installata potrebbe far fronte ad un flusso maggiore di frazione organica derivante da un auspicato incremento della raccolta differenziata. La capacità autorizzata degli impianti di compostaggio garantisce l'autosufficienza regionale anche al raggiungimento del 30 per cento di raccolta differenziata.
  Inoltre, la regione prevede di realizzare ulteriori impianti di compostaggio per garantire il corretto trattamento della frazione organica anche al crescere della raccolta differenziata.
  La gestione del rifiuto indifferenziato, solo a seguito dell'emissione dell'Ordinanza n. 5 del 2016, emanata previo rilascio dell'Intesa ai sensi dell'articolo 191 (comma 4) del Codice dell'Ambiente, avviene secondo quanto prescritto dalla medesima Ordinanza garantendo un pre-trattamento al rifiuto conferito in discarica. Ciò grazie all'installazione di impianti mobili di biostabilizzazione che, nelle more della realizzazione dei TMB previsti dalla pianificazione regionale, operano il pretrattamento del rifiuto. Al riguardo, si precisa comunque che in alcune aree vi sono degli approfondimenti tecnici in corso da parte delle autorità territoriali competenti, per verificare se vi è stato il pieno adeguamento rispetto alle previsioni della citata ordinanza.
  Gli impianti mobili rappresentano una soluzione tampone e provvisoria per garantire la corretta gestione del rifiuto fino al completamento della realizzazione degli impianti, dell'attivazione dei provvedimenti necessari per l'invio fuori regione del rifiuto.
  La regione, nel contempo, sta provvedendo alla realizzazione e messa in esercizio degli impianti di TMB necessari al trattamento di tutti i rifiuti indifferenziati prodotti in regione, in particolare presso le piattaforme integrate pubbliche di Enna, Gela e Messina, nonché presso la piattaforma privata sita a Siculiana.
  Lo smaltimento dei rifiuti avviene esclusivamente tramite conferimento in discarica.
  La capacità residua di trattamento in discarica, agli attuali livelli di smaltimento, garantisce l'autonomia regionale solo per 6 mesi e l'assenza di impianti di termovalorizzazione rende ancora più critica la situazione. Lo schema di decreto di cui all'articolo 35 dello «sblocca Italia» ha individuato, per la Regione Siciliana, fabbisogni residui di incenerimento molto rilevanti (circa 700.000 t).
  L'attuale piano regionale per la gestione dei rifiuti è stato predisposto dal Presidente della Regione Siciliana, nominato
pro tempore Commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Sicilia. Tale piano è stato approvato con decreto del Ministero dell'ambiente nel mese di luglio 2012, previo parere vincolante del dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio. Con specifica prescrizione si è disposto che «Il piano regionale per la gestione dei rifiuti in Sicilia dovrà essere sottoposto alle previste procedure di valutazione ambientale strategica (Vas)».
  Nel mese di gennaio 2014, il dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti della Regione Siciliana ha avviato la fase preliminare della Vas, procedura che si è conclusa con l'emanazione del decreto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel mese di maggio 2015. La regione, a seguito anche della diffida del Presidente del Consiglio dei ministri del mese di agosto 2015, ha approvato, con propria delibera (n. 2 del 18 gennaio 2016) il piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani in Sicilia.
  Il piano approvato fa solo riferimento alla gestione dei rifiuti, urbani, demandando ad altro documento quella dei rifiuti speciali.
  Con la già richiamata ordinanza n. 5 del 2016, il presidente della regione ha disposto l'aggiornamento del piano regionale, anche alla luce del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014 che contiene la ricognizione del fabbisogno di impianti di incenerimento di rifiuti a livello nazionale. In tale decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è prevista la realizzazione in Sicilia di una capacità complessiva di 700.000 tonnellate di incenerimento. L'ordinanza stabilisce che l'approvazione del nuovo piano possa avvenire con tempi ridotti, rispetto a quelli previsti dal Codice dell'ambiente, in modo da arrivare alla realizzazione di tutta l'impiantistica necessaria.
  Si evidenzia inoltre che la Commissione europea ha aperto uno specifico progetto pilota (EU pilot 6582/14) sulla gestione dei rifiuti in Sicilia e sul mancato rispetto delle procedure di Via e Vas nella fase di adozione del piano di gestione dei rifiuti urbani nonché per la mancata realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti, previsti dal Piano stesso.
  Peraltro, occorre segnalare che il servizio competente della Commissione europea ha archiviato il caso indicato con le seguenti precisazioni: «La Commissione ha deciso di chiudere questa investigazione EU-Pilot, in quanto la procedura di VAS è stata espletata a posteriori per quanto riguarda il piano di gestione dei rifiuti. Tuttavia, poiché la Commissione ha delle perplessità in merito al sistema di gestione dei rifiuti nella Regione Siciliana, essa si riserva di esaminare in seguito il contenuto del Piano di gestione dei rifiuti».
  La regione è, inoltre, inserita nella procedura di infrazione «Discariche abusive» con 10 discariche (di cui 1 ricadente in un Sin e 1 sita nel comune di Racalmuto). L'amministrazione regionale ha inviato certificazione di conclusione del procedimento ambientale, che è stato peraltro inoltrato in data 31 maggio 2016 ai servizi tecnici della
Commissione europea per lo stralcio del pagamento della sanzione semestrale.
  I comuni e la regione sono stati destinatari, nello scorso dicembre, di un atto di diffida ad adempiere alle attività per la risoluzione della procedura di infrazione in parola. Tuttavia, i termini sono trascorsi infruttuosamente ed è stata avanzata la proposta di commissariamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare costantemente le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta dal VI rapporto banca dati predisposto dall'Anci e dal Conai (Consorzio nazionale imballaggi) pubblicato il 24 ottobre 2016 dal quotidiano economico « Il Sole 24 Ore», la regione Sicilia risulta all'ultimo posto a livello nazionale, nell'ambito della raccolta differenziata e della capacità di riciclo dei rifiuti a differenza del trend generale delle altre regioni, in progressiva ascesa negli ultimi cinque anni;
   il suindicato articolo di stampa, al riguardo, evidenzia che, se l'Umbria e la Sardegna hanno compiuto passi indietro nell'ambito della raccolta differenziata, la regione Siciliana risulta ancora più distante in termini di efficienza, anche rispetto ai valori di altre regioni del Mezzogiorno;
   nel corso dell'incontro di illustrazione del medesimo documento presentato nella sede dell'Anci, in considerazione dei livelli di criticità esistenti nelle regioni meridionali con riferimento alla raccolta e al riuso, è stata evidenziata la necessità di assumere dei provvedimenti straordinari nei riguardi del Mezzogiorno attraverso un intervento normativo che riduca i tempi della programmazione del piano dei rifiuti, migliorando al contempo le condizioni esistenti nell'attività di riciclo, evidentemente, ancora difficili;
   a tal fine, risulta infatti che la Sicilia, dove la raccolta differenziata staziona all'11 per cento e la capacità di riciclo è al 10,81 per cento, è caratterizzata negativamente sia a livello organizzativo che impiantistico e necessita, secondo Anci e Conai, di provvedimenti straordinari per risollevare la situazione dell'isola;
   a giudizio dell'interrogante, in considerazione di quanto emerge dal rapporto in precedenza indicato, anche nell'ambito ambientale e dell'ecosistema del territorio, la regione Siciliana è interessata da una situazione grave e complessa, i cui riflessi connessi alle criticità legate alla raccolta differenziata, che relega la Sicilia all'ultimo posto in Italia come percentuale di avvio a riciclo e intercettazione pro capite di raccolta differenziata, chiamano in causa l'amministrazione regionale, evidentemente disattenta e in ritardo nei controlli e negli incentivi, i cui effetti negativi rischiano di ripercuotersi sull'igiene e sulla salute pubblica della comunità siciliana –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se sia a conoscenza del rapporto predisposto da Anci – Conai che evidenzia come il Mezzogiorno ed, in particolare, la regione siciliana siano in grave ritardo, nell'ambito della raccolta differenziata e del riciclo dei rifiuti;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti e necessarie il Ministro interrogato, intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di definire regole più restrittive e controlli più accurati e di incentivare il sistema della raccolta differenziata su tutto il territorio nazionale e, in particolare, in Sicilia.
   (4-14687)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla situazione della raccolta differenziata nella Regione Siciliana, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali dei Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Innanzitutto, occorre premettere che la produzione dei rifiuti in Sicilia ammonta per l'anno 2014 a 2.342.219 tonnellate. Tale quantità corrisponde ad una produzione
pro capite pari a circa 462 kg/abitante anno. La produzione dei rifiuti in Sicilia è diminuita dal 2010 al 2014 del 10,3 per cento. Tale andamento riflette quello della produzione a livello nazionale, correlato al trend degli indicatori socio-economici ed al consumo delle famiglie.
  La raccolta differenziata nella Regione Siciliana nel 2014 ammontava a 292.972 tonnellate. Tale quantità rappresenta solo il 12,5 per cento (11,02 per cento nel 2015, con una variazione di avvio a riciclo per Regione per gli anni 2015-2014 pari a -8,66 per cento) del totale dei rifiuti prodotti, valore molto al di sotto dell'obbligo di legge del 65 per cento.
  Nel 2014, in controtendenza rispetto al resto del territorio nazionale, la quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato si è ridotta di oltre un punto percentuale, al 12,5 per cento dal 13,2 per cento dell'anno precedente.
  Le quantità raccolte in maniera differenziata nel 2014 sono pari complessivamente a 292.972 tonnellate di cui 125.829 sono costituite da frazione organica e 167.143 da frazione secca riciclabile.
  La frazione secca viene conferita alle piattaforme Conai e quindi riciclata o recuperata al netto degli scarti.
  In molti comuni del territorio regionale la raccolta differenziata non viene ancora realizzata.
  Le quantità di rifiuto indifferenziato prodotte nel 2014 ammontano a 2.049.247 tonnellate. Questi rappresentano una quota pari all'89 per cento dei rifiuti urbani prodotti in Regione.
  Di tali quantità solo 349.774 tonnellate sono state inviate, secondo modalità ordinarie, agli impianti di trattamento meccanico-biologico (TMB) prima di essere inviate al successivo smaltimento.
  La restante quota, pari a 1.003.302 tonnellate, è stata quindi smaltita in deroga alle prescrizioni, ricorrendo a forme speciali di gestione dei rifiuti attraverso ordinanze del presidente della regione ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La frazione umida raccolta in modo separato è conferita nei 15 impianti di compostaggio presenti sul territorio, molti dei quali risultano non operativi per mancanza di materiale da trattare.
  Tali impianti, sebbene presentino nominalmente una potenzialità complessiva autorizzata pari a 416.967 tonnellate annue, hanno trattato nel 2014 una quantità di rifiuti pari a circa 160.000 tonnellate.
  Appare evidente che gli stessi siano sottoutilizzati e che l'attuale capacità installata potrebbe far fronte ad un flusso maggiore di frazione organica derivante da un auspicato incremento della raccolta differenziata. La capacità autorizzata degli impianti di compostaggio garantisce l'autosufficienza regionale anche al raggiungimento del 30 per cento di raccolta differenziata.
  Inoltre, la regione prevede di realizzare ulteriori impianti di compostaggio per garantire il corretto trattamento della frazione organica anche al crescere della raccolta differenziata.
  La gestione del rifiuto indifferenziato, solo a seguito dell'emissione dell'Ordinanza n. 5 del 2016, emanata previo rilascio dell'Intesa ai sensi dell'articolo 191 (comma 4) del Codice dell'Ambiente, avviene secondo quanto prescritto dalla medesima Ordinanza garantendo un pre-trattamento al rifiuto conferito in discarica. Ciò grazie all'installazione di impianti mobili di biostabilizzazione che, nelle more della realizzazione dei TMB previsti dalla pianificazione regionale, operano il pretrattamento del rifiuto. Al riguardo, si precisa comunque che in alcune aree vi sono degli approfondimenti tecnici in corso da parte delle autorità territoriali competenti, per verificare se vi è stato il pieno adeguamento rispetto alle previsioni della citata ordinanza.
  Gli impianti mobili rappresentano una soluzione tampone e provvisoria per garantire la corretta gestione del rifiuto fino al completamento della realizzazione degli impianti, dell'attivazione dei provvedimenti necessari per l'invio fuori regione del rifiuto.
  La regione, nel contempo, sta provvedendo alla realizzazione e messa in esercizio degli impianti di TMB necessari al trattamento di tutti i rifiuti indifferenziati prodotti in Regione, in particolare presso le piattaforme integrate pubbliche di Enna, Gela e Messina, nonché presso la piattaforma privata sita a Siculiana.
  Lo smaltimento dei rifiuti avviene esclusivamente tramite conferimento in discarica.
  La capacità residua di trattamento in discarica, agli attuali livelli di smaltimento, garantisce l'autonomia regionale solo per 6 mesi e l'assenza di impianti di termovalorizzazione rende ancora più critica la situazione. Il decreto di cui allerti 35 dello «sblocca Italia» ha individuato, per la Regione Siciliana, fabbisogni residui di incenerimento molto rilevanti (circa 700.000 t).
  L'attuale piano regionale per la gestione dei rifiuti è stato predisposto dal Presidente della Regione Siciliana, nominato
pro tempore Commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Sicilia. Tale piano è stato approvato con decreto del Ministero dell'ambiente nel mese di luglio 2012, previo parere vincolante del Dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio. Con specifica prescrizione si è disposto che «Il piano regionale per la gestione dei rifiuti in Sicilia dovrà essere sottoposto alle previste procedure di valutazione ambientale strategica (Vas)».
  Nel mese di gennaio 2014, il Dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti della Regione Siciliana ha avviato la fase preliminare della Vas, procedura che si è conclusa con l'emanazione del decreto da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel mese di maggio 2015. La Regione, a seguito anche della diffida del Presidente del Consiglio dei ministri del mese di agosto 2015, ha approvato, con propria delibera (n. 2 del 18 gennaio 2016) il piano regionale per la gestione dei rifiuti, urbani in Sicilia.
  Il piano approvato fa solo riferimento alla gestione dei rifiuti urbani, demandando ad altro documento quella dei rifiuti speciali.
  Con la già richiamata ordinanza n. 5 del 2016, il Presidente della Regione ha disposto l'aggiornamento del piano regionale, anche alla luce del Dpcm adottato ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014 che contiene la ricognizione del fabbisogno di impianti di incenerimento di rifiuti a livello nazionale. In tale Dpcm è prevista la realizzazione in Sicilia di una capacità complessiva di 700.000 tonnellate di incenerimento. L'Ordinanza stabilisce che l'approvazione del nuovo piano possa avvenire con tempi ridotti rispetto a quelli previsti dal Codice dell'ambiente, in modo da arrivare alla realizzazione di tutta l'impiantistica necessaria.
  Per quanto riguarda la gestione dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Siciliana, si fa presente che a partire dall'anno 2009 fino al 2014 tale gestione è stata caratterizzata da uno stato emergenziale, anno in cui è stata adottata una nuova ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile per favorire e regolare il subentro della Regione Siciliana nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticità in regime ordinario. Tuttavia, occorre segnalare che il 2014 e il 2015 sono stati di fatto contraddistinti da un regime straordinario autorizzato mediante ordinanze ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 da presidente della Regione Siciliana.
  Tanto premesso, si va ad illustrare il percorso seguito dalla Regione Siciliana nel 2016 nell'ambito della gestione dei rifiuti.
  Nello specifico, il 23 marzo 2016 il presidente delle Regione Siciliana, con propria nota indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha richiesto lo stato di emergenza nel sistema di gestione dei rifiuti vista la scadenza dei termini di reitero dell'Ordinanza (emessa ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il 31 maggio 2016).
  A seguito di tale richiesta e all'esito della riunione tenutasi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e la Protezione civile, si è verificata la non sussistenza delle condizioni per l'attivazione dei poteri straordinari ai sensi della legge n. 225 del 1992. Per il caso di specie si è ritenuto, quindi, più opportuno il ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti
ex articoli 191 del Codice ambientale.
  Con nota del 5 maggio 2016, il presidente della regione ha nuovamente evidenziato la situazione di emergenza del settore rifiuti alla quale sarebbe andata incontro la regione qualora non avesse potuto reiterare gli effetti dell'ordinanza. Senza le misure straordinarie contenute in quest'ultimo atto, circa 3.000 tonnellate, delle 6.000 tonnellate di rifiuti prodotti al giorno, non avrebbero trovato impianti di smaltimento disponibili in Regione.
  Alla luce di ciò, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota del 31 maggio 2016, ha inviato alla regione le prescrizioni tecniche che necessariamente doveva contenere l'ordinanza per aspirare al rilascio dell'intesa ai sensi dell'articolo 191, comma 4, del codice dell'Ambiente, nonché le condizioni che avrebbero necessariamente dovuto essere adempiute per il permanere della medesima.
  Le prescrizioni contenute nella nota non solo stabilivano le condizioni tecniche per le quali sarebbe stato possibile il reitero dell'ordinanza ma chiedevano anche alla regione un impegno concreto al riassetto della
governance regionale, tenendo conto anche delle diffide della Presidenza del Consiglio dei ministri del 7 agosto 2015, nelle quali veniva richiesto alla regione di procedere immediatamente alla riperimetrazione delle Ato.
  In data 7 giugno 2016, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha concesso l'intesa ai sensi del citato comma 4, dell'articolo 191, sull'ordinanza n. 5 del 7 giugno 2016 del presidente della regione. Nell'ordinanza sono contenute le misure straordinarie per la gestione dei rifiuti, conformemente alle prescrizioni ministeriali, nel rispetto della normativa comunitaria, ed un fitto programma di impegni ed azioni che la regione è chiamata a mettere in atto nei 6 mesi di validità del provvedimento. Eventuali inadempienze determinano il venir meno dell'intesa.
  Le prescrizioni contenute nella nota ministeriale del 31 maggio 2016 si possono suddividere in tre categorie. Alla prima categoria appartengono gli adempimenti di ordine generale, volti alla necessaria riorganizzazione del sistema regionale di gestione dei rifiuti. Alla seconda categoria appartengono le prescrizioni necessarie a dare impulso alla raccolta differenziata. Infine, alla terza categoria appartengono le prescrizioni per il corretto pretrattamento dei rifiuti indifferenziati e il loro smaltimento in coerenza con le previsioni normative europee.
  Le principali azioni che la regione deve mettere in atto sono:
   approvazione del disegno di legge di riorganizzazione delle
governance regionale in giunta regionale e successiva approvazione della legge dall'Ars;
   presentazione di un programma di azioni per l'immediata realizzazione della rete impiantistica in grado di trattare i rifiuti prodotti in regione nel rispetto della normativa europea;
   aggiornamento del piano di gestione dei rifiuti per adeguarlo alle prescrizioni dell'emanando il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, redatto ai sensi dell'articolo 35 comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014;
   attivazione della raccolta differenziata in tutti i comuni della regione ed in particolare nelle aree metropolitane, con l'obiettivo di incrementare la raccolta differenziata di un punto percentuale al mese;
   attivare le misure necessarie al corretto pretrattamento dei rifiuti indifferenziati prima del loro invio allo smaltimento;
   stipula di accordi regionali per lo smaltimento/recupero dei rifiuti in altre regioni;
   procedure di gara internazionali per lo smaltimento/recupero dei rifiuti in altri stati membri o in altre Regioni.

  Il monitoraggio delle azioni e la verifica del rispetto della tempistica contenuta nelle disposizioni della predetta ordinanza n. 5 del 2016 sono svolti dalla direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per i rifiuti e l'inquinamento (Rin) con il supporto dell'Anac. La verifica intermedia dei risultati è stata fissata al 15 settembre 2016. Allo stato si è ancora in attesa di conoscere l'avviso dell'Anac.
  Dalle risultanze della direzione generale competente, ad oggi, risulta quanto segue.
  Dall'attuazione dell'ordinanza 5 del 2016 sono derivati i seguenti effetti positivi, che meritano di essere valorizzati:
   
a) pretrattamento del rifiuto prima dello smaltimento in discarica, grazie alla installazione degli impianti mobili, fermo restando quanto già detto in merito ad approfondimenti tecnici in corso in alcune aree della Regione;
   
b) adozione di un crono-programma concreto degli interventi necessari al rientro ad un regime ordinario di gestione dei rifiuti;
   
c) attivazione di un ufficio per il coordinamento delle attività sulla raccolta differenziata;
   
d) approvazione in giunta, e presentazione all'Assemblea regionale siciliana, di un disegno di legge che provvede alla riorganizzazione della governance regionale nel settore, in conformità ai principi posti dalla legislazione statale;
   
e) presentazione di una proposta di aggiornamento del piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani, in conformità ai contenuti del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014;
   
f) avvio dei lavori per la realizzazione delle piattaforme integrate di Enna e Gela;
   
g) avvio dei procedimenti di rilascio delle autorizzazioni e di modifica delle stesse per la realizzazione di nuove capacità per il trattamento dei rifiuti.

  Tuttavia, complessivamente, le attività poste in essere dalla regione non hanno ottemperato del tutto agli impegni assunti con l'ordinanza n. 5 del 2016. Tali risultanze, ad ogni modo, non possono considerarsi definitive stante l'istruttoria ancora in corso.
  In particolare, sulla raccolta differenziata non sono stati raggiunti gli obiettivi previsti. La regione, infatti, non ha messo in campo tutte le azioni di potenziamento della raccolta differenziata, Inoltre, pur avendo richiesto la disponibilità alle altre regioni d'Italia, la Regione Siciliana non ha poi stipulato gli accordi per l'invio fuori dal suo territorio dei rifiuti. Né, tantomeno, ha avviato le procedure per lo smaltimento in altri impianti nazionali o esteri dei rifiuti prodotti in regione.
  In considerazione di ciò, la situazione esistente nella Regione Siciliana continua a necessitare di misure straordinarie, nonostante l'attività posta in essere dall'amministrazione regionale abbia consentito di tamponare gli aspetti più gravi della situazione emergenziale.
  All'esito dell'istruttoria, che dovrà tener conto delle valutazioni dell'autorità anticorruzione, si valuterà se reiterare tali poteri e con quali strumenti eventualmente farlo.
  Si evidenzia inoltre che la Commissione europea ha aperto uno specifico progetto pilota (EU pilot 6582/14) sulla gestione dei rifiuti in Sicilia e sul mancato rispetto delle procedure di Via e Vas nella fase di adozione del piano di gestione dei rifiuti urbani nonché per la mancata realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti previsti dal Piano stesso.
  Peraltro, occorre segnalare che il servizio competente della Commissione europea ha archiviato il caso indicato con le seguenti precisazioni: «La Commissione ha deciso di chiudere questa investigazione EU-Pilot, in quanto la procedura di VAS è stata espletata a posteriori per quanto riguarda il piano di gestione dei rifiuti. Tuttavia, poiché la Commissione ha delle perplessità in merito al sistema di gestione dei rifiuti nella Regione Siciliana, essa si riserva di esaminare in seguito il contenuto del Piano di gestione dei rifiuti».
  La Regione è, inoltre, inserita nella procedura di infrazione «Discariche abusive» con 10 discariche (di cui 1 ricadente in un sito di interesse nazionale e 1 sita nel comune di Racalmuto). L'Amministrazione regionale ha inviato certificazione di conclusione del procedimento ambientale, che è stato peraltro inoltrato in data 31 maggio 2016 ai servizi tecnici della Commissione europea per lo stralcio del pagamento della sanzione semestrale.
  I comuni e la regione sono stati destinatari, nel dicembre 2016, di un atto di diffida ad adempiere alle attività per la risoluzione della procedura di infrazione in parola. Tuttavia, i termini sono trascorsi infruttuosamente ed è stata avanzata la proposta di commissariamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a monitorare costantemente le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GARAVINI, VILLECCO CALIPARI, OLIVERIO, MONGIELLO, CENSORE, BATTAGLIA, MORANI e BINDI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la pericolosità della ’ndrangheta è un dato ormai acclarato in numerose inchieste ed analisi;
   in particolare in queste ultime settimane si sono verificati episodi particolarmente inquietanti come il ritrovamento di un carico di armi (dieci kalashnikov, due mitragliette Skorpion e cinque pistole) che si sospetta potesse essere destinato ad un attentato contro esponenti della magistratura;
   numerosi magistrati sia della procura che del tribunale di Reggio Calabria sono stati sottoposti a minacce e sono attualmente sotto tutela per evitare rischi per la loro incolumità, sia perché impegnati in importanti inchieste, alcune concluse recentemente con il sequestro di notevoli quantità di stupefacenti, altre in via di conclusione; sia perché impegnati nei processi scaturiti da inchieste che, negli anni scorsi, hanno dimostrato l'espansione della ’ndrangheta anche nelle regioni del centro-nord;
   lo stesso comune di Reggio Calabria è stato sciolto per infiltrazioni mafiose e la gestione commissariale è stata prolungata oltre il termine minimo per consentire di portare a termine l'azione tesa a riportare la legalità e la trasparenza negli atti dell'amministrazione;
   al tribunale di Reggio Calabria sono previsti in organico 50 posti di magistrati ordinari. Al momento 10 posti sono vacanti e due magistrate sono assenti rispettivamente per maternità e per malattia di lungodegenza. Quindi sono coperti 38 posti su 50;
   in tribunale operano 6 sezioni, due civili e 4 penali;
   alla sezione penale dibattimentale sono pendenti 7561 processi (di cui 250 pendenti sul ruolo collegiale, 5714, in essi compresi i 407 provenienti dalla sezione di Melito P. Salvo, già fissati sui ruoli monocratici, cui vanno aggiunti 1.797 ancora da fissare, di cui 742 a citazione diretta e 855 opposizioni a decreti penali di condanna);
   a fronte dei processi in atto sono coperti soltanto 8 posti su 9. Dei quasi 8.000 processi pendenti, 50 sono di criminalità organizzata. 37 sono definiti maxi ossia, ciascuno a carico di più di 10 imputati per i reati contemplati dall'articolo 51, comma 3-bis, c.p.p. La maggior parte degli imputati in questi processi sono in stato di custodia cautelare e, sovente, nonostante sia stato adottato lo strumento previsto dal codice di rito del congelamento dei termini di custodia, essi sono prossimi a scadere in un periodo di tempo insufficiente alla celebrazione delle udienze con ritmi che non siano serrati;
   alla sezione Gip-Gup di Reggio Calabria sono coperti 9 posti su 12. I procedimenti pendenti sono circa 10.000;
   alla sezione misure di prevenzione sono solo in 3 magistrati (a fronte di un organico che dovrebbe essere di 4) a gestire beni sequestrati per svariati milioni di euro: aziende e beni immobili;
   al tribunale della libertà sono coperti 4 posti su 5 per circa 1.300 ricorsi all'anno;
   la situazione non è meno allarmante alle sezioni civili;
   alla prima sezione civile ci sono 6 magistrati su 8, Alla seconda sezione civile 5 su 7. 4 magistrati sono poi addetti alle trattazione delle cause di lavoro e previdenza;
   la situazione testimonia uno stato di estrema sofferenza del tribunale in considerazione dell'esiguità delle risorse di cui lo stesso dispone per far fronte all'enorme mole di lavoro, il cui smaltimento, secondo parametri realistici sembra stimarsi impossibile in tempi brevi con conseguente presa d'atto che, nel settore penale, alcuni reati per i quali i processi sono pendenti da tempo sono destinati alla prescrizione, indipendentemente da abilità organizzative e dal sacrificio della sfera personale che possa richiedersi ai magistrati;
   di qui la convinzione, per un verso, che lo sforzo profuso per evitare «incidenti di percorso», quali scarcerazioni di appartenenti alla criminalità organizzata o declaratorie di prescrizione di reati di particolare allarme sociale, è stato immane con significativa risposta in termini di presidio alla legalità imposto al tribunale penale, per altro verso, che occorre continuare nel solco del percorso già tracciato muovendo attraverso l'individuazione delle necessarie priorità, preferibilmente anche coinvolgendo gli uffici di procura. Ciò si impone, lo si ripete, in considerazione dell'oggettiva constatazione che le risorse a disposizione non possono assicurare lo smaltimento in tempi rapidi dell'intera pendenza e della sicura sopravvenienza (la situazione è in continua evoluzione ed è quindi destinata ad «aggravarsi» ove si pensi all'encomiabile impegno degli inquirenti nel contrasto alla criminalità organizzata, che avrà certa ricaduta sul tribunale in ogni settore, sia in termini di ordinanze custodiali da emettersi, processi da celebrarsi, misure di prevenzione da applicarsi e via dicendo);
   si sono nel tempo sperimentate soluzioni organizzative intese ad assicurare una maggiore efficienza di tutte le sezioni del Tribunale per fronteggiare l'emergenza e fornire una risposta credibile in termini di giustizia con riferimento alla trattazione sia dei processi di criminalità organizzata sia di quelli comuni aventi ad oggetto reati di particolare allarme sociale;
   tuttavia, si sottolinea che le risorse a disposizione del tribunale con le quali si chiede di far fronte allo smaltimento dell'enorme mole quantitativa e qualitativa del lavoro sono assolutamente insufficienti;
   occorre, infatti, sottolineare che ciò che crea particolare allarme non è solo il dato qualitativo ma, soprattutto, quello quantitativo;
   i processi in materia di criminalità organizzata sono assai delicati avendo ad oggetto presunte relazioni tra la ’ndrangheta, oggi considerata la più pericolosa consorteria di stampo mafioso operante in Italia ed all'estero ed il mondo politico e dell'imprenditoria in quel sistema di intrecci che oggi è all'attenzione di tutti gli organi istituzionali;
   anche con riferimento al personale di cancelleria la situazione del tribunale è assai preoccupante essendo coperti 143 posti su 171;
   alla sezione dibattimentale vi sono solo nove cancellieri abilitati a coprire tutte le udienze;
   infine, si fa presente che il numero delle aule bunker a disposizione per i maxi processi è assai limitato: le aule bunker vanno, di volta, in volta, prenotate per la trattazione dei maxi processi –:
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, finalizzate alla copertura integrale e all'ampliamento dell'organico tenendo conto della qualità e quantità dei processi pendenti presso il tribunale di Reggio Calabria. (4-04377)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta criticità del Tribunale di Reggio Calabria, con riferimento alle dotazioni di personale, amministrativo e di magistratura.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'21-
quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n.132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.
  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale lo scorso 22 novembre – il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la
ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-
quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari veneti.
  In particolare, allo stato, risulta che presso il Tribunale di Reggio Calabria prestano servizio 144 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 171 risorse umane, compresa la posizione dirigenziale.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 15,79 per cento, inferiore alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del CCNL del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Le politiche sulla mobilità sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  Per quanto riguarda il personale di magistratura, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi,
cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al tribunale di Reggio Calabria sono stati assegnati nove posti di giudice, in incremento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Allo stato, presso il tribunale di Reggio Calabria prestano servizio quaranta magistrati rispetto ad una dotazione di cinquanta unità complessive.
  Come noto, la copertura delle vacanze è rimessa al Consiglio superiore della magistratura e può essere temporaneamente fronteggiata mediante provvedimenti di applicazione, di competenza del Procuratore generale.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, per sostenere adeguatamente la giurisdizione sono attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Lo scorso 20 ottobre è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   GARAVINI, TACCONI e GIANNI FARINA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   diversi consigli scolastici del Regno Unito, nel distretto metropolitano di Bradford e in altri, sottopongono alle famiglie italiane un questionario di raccolta dei dati necessari per l'iscrizione dei figli nelle scuole pubbliche locali, nel quale si propone una inopinata classificazione etnica dei potenziali alunni;
   il questionario per i ragazzi italiani, infatti, contiene questa stupefacente articolazione: «Italian» – ITAA (Italian Any Other) – ITAN (Italian Napoletan) – ITAS (Italian Sicilian) che richiama, ad avviso degli interroganti, i peggiori stereotipi razzisti diffusi nel mondo anglosassone oltre un secolo fa, agli inizi della Grande emigrazione;
   questo schema di raccolta dei dati sarebbe stato adottato addirittura dal dipartimento dell'educazione del Governo del Galles e, quindi, divulgato negli istituti scolastici locali;
   la notizia fa seguito a quella sulla richiesta avanzata alle aziende, ridimensionata ma non smentita, di compilare elenchi dei lavoratori stranieri distinti direttamente per provenienza nazionale e, indirettamente, per orientamento culturale e civile;
   si tratta di premesse evidentemente allarmanti rispetto alle trattative, di fatto già avviate, per una gestione auspicabilmente equilibrata e misurata delle conseguenze che la «Brexit» può produrre nei rapporti tra i partner europei e, in particolare, nella condizione dei lavoratori italiani che risiedono nel Reno Unito;
   al 31 dicembre 2015, in base alle risultanze dell'anagrafe degli italiani residenti all'estero, i cittadini italiani residenti nel Regno Unito sono 256.253; ad essi si devono aggiungere decine di migliaia di giovani temporaneamente residenti per ragioni di studio e i protagonisti delle cosiddette mobilità brevi per ragioni di lavoro, a testimonianza del fatto che il Regno Unito è stato e continua ad essere una delle mete preferenziali degli italiani che decidono di espatriare –:
   quali iniziative, tramite l'ambasciata italiana nel Regno Unito, il Governo intenda assumere per ottenere con effetto immediato non solo il ritiro del questionario scolastico, ma anche una pubblica dichiarazione da parte delle autorità inglesi di rammarico per quanto accaduto, che certo non giova all'immagine dell'Italia e degli italiani, nonché quali ulteriori iniziative diplomatiche intenda assumere affinché episodi come quello descritto non abbiano a ripetersi, a maggior ragione da parte di enti pubblici;
   quali linee il Governo intenda seguire per la tutela della condizione, della dignità e dei diritti dei nostri connazionali nel Regno Unito nella prospettiva di una gestione controllata della situazione venutasi a creare in conseguenza della «Brexit».
   (4-14522)

  Risposta. — Con riferimento alle pratiche discriminatorie su base etnica nei confronti di alcuni studenti italiani al momento della richiesta di iscrizione presso scuole e università inglesi, l'ambasciatore d'Italia a Londra è prontamente ed energicamente intervenuto presso le competenti autorità britanniche.
  L'ambasciata d'Italia a Londra ha appreso che alcune circoscrizioni del Galles e dell'Inghilterra, al momento dell'iscrizione degli studenti presso le scuole del territorio, chiedevano ai genitori di indicare a quale gruppo linguistico appartengano i loro figli. In particolare, ai genitori italiani chiedevano di indicare tra le seguenti scelte: italiano-napoletano, italiano-siciliano, italiano. Pur trattandosi di casi apparentemente sporadici, di fronte a questa inaccettabile ed ingiusta classificazione, l'ambasciatore d'Italia a Londra ha ritenuto di inviare una nota verbale di protesta al
Foreign Office, chiedendo l'immediata rettifica nei moduli presenti online nei vari distretti scolastici.
  In parallelo, l'ambasciatore ha effettuato dei passi sia con il vice direttore Europa del
Foreign Office – in assenza del direttore – sia con il Ministro per l'Europa Alan Duncan. Egli ha ricevuto rassicurazioni da entrambi sul fatto che avrebbero al più presto provveduto all'immediata rettifica dei formulari di iscrizione, presentando anche le scuse per l'increscioso episodio. Infatti, poche ore dopo, il Governo britannico ha inviato un comunicato ufficiale, con il quale la sopracitata classificazione linguistica veniva definita «un errore amministrativo nei codici linguistici in uso dal 2006» e si esprimeva rammarico per l'accaduto e per le offese eventualmente arrecate. I britannici si sono inoltre dichiarati pronti a modificare i moduli in questione, raggruppando tutti i madrelingua italiani sotto un unico codice.
  L'ambasciatore d'Italia ha ricevuto anche la telefonata personale del Ministro di Stato per l'Europa presso il
Foreign office, Alan Duncan, il quale ha reiterato le scuse del Governo britannico per l'incidente occorso.
  Infine, è pervenuta il 15 ottobre 2016 alla nostra Ambasciata a Londra una nota verbale di risposta in cui la autorità britanniche ribadiscono che si è trattato di un errore amministrativo e assicurano che i codici linguistici sono stati corretti.
  Più che a una reale volontà discriminatoria, l'errore sembra probabilmente dovuto ad errore di superficialità di alcuni distretti scolastici volto ad accertare eventuali difficoltà linguistiche dei bambini da inserire nel sistema scolastico inglese e gallese.
  La condizione dei nostri connazionali in Regno Unito non è destinata a cambiare nell'immediato, in ragione del fatto che non vi è ancora stata una
«Brexit». Il Governo britannico dovrà prima notificare a Bruxelles la propria intenzione di uscire dall'Unione e successivamente negoziare e concludere un accordo sulle condizioni di uscita, ai sensi dell'articolo 50 del Trattato sull'Unione europea (TUE).
  Fino a quando non verrà attuato il recesso, il diritto dell'Unione continuerà a trovare piena applicazione all'interno del Regno Unito. Durante questo periodo, quindi, i cittadini italiani nel Regno conserveranno i diritti e i doveri propri di ogni cittadino europeo che vive e lavora in un Paese membro diverso da quello di origine.
  Qualora il Regno Unito decidesse di negare ai cittadini di altri Stati membri il riconoscimento di tali diritti prima del recesso, ne dovrà rispondere alla Commissione europea e, in caso di persistente violazione, alla Corte di giustizia dell'Unione europea.
  Nel frattempo, il Governo italiano continuerà a vigilare sul rispetto dei diritti acquisiti dei cittadini italiani tanto nell'immediato quanto nei futuri negoziati per l'uscita del Regno Unito dall'Unione europea e lavorerà, con gli altri
partner dell'Unione, per tutelare al meglio i diritti dei propri connazionali nel Regno Unito.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   GAROFALO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo lo schema di decreto ministeriale, che prevede la modifica delle piante organiche degli uffici giudicanti e requirenti di primo grado (conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e n. 156) trasmesso dal Ministero della giustizia, con nota del 19 luglio 2016, il distretto di Messina subirebbe, a giudizio dell'interrogante, un'ingiustificata riduzione del numero dei giudici;
   il tribunale di Messina perderebbe due magistrati del giudicante in pianta organica, mentre Barcellona e Patti perderebbero un magistrato in servizio al requirente ciascuna;
   il predetto schema di decreto, sul presupposto dell’«incidenza della criminalità organizzata» e nell'ottica «di salvaguardare ed anzi valorizzare la complessiva efficacia dell'intervento giudiziario» (come si legge a pagina 23 della relazione ministeriale sul progetto di rideterminazione delle piante organiche del personale degli uffici giudiziari), premia alcuni tribunali limitrofi (come quelli Catania e Reggio Calabria), con la previsione di sensibili aumenti d'organico, omettendo di considerare che Messina ha le medesime esigenze e subisce – con maggiori aggravi processuali – la medesima realtà criminale, posta com’è al crocevia tra la mafia palermitana e la ’ndrangheta calabrese;
   lo schema di decreto ministeriale – che secondo la relazione tecnica illustrativa dovrebbe rispondere a criteri oggettivi e omogenei – nella sua concreta applicazione tradisce, secondo l'interrogante, le premesse poste e regola con criteri disomogenei condizioni di fatto analoghe;
   dalla relazione tecnica si evince per l'interrogante che si continua ad applicare il metodo di «contare» i processi, anziché valutare il loro peso specifico, in funzione sia della natura dei reati contestati, sia del numero degli imputati, con la conseguente distorta distribuzione delle risorse di personale;
   ogni giudice civile del distretto di Messina riesce a smaltire 500/550 cause ogni anno (vantando così un indice di produttività nettamente superiore alla media nazionale) e, invece, ha un ruolo personale con un carico medio di 1.400/1.500 cause e una sopravvenienza annuale di 400/500 cause;
   i giudici del distretto di Messina lavorano in condizioni ambientali e logistiche di grande difficoltà e, pur avendo indici di produttività tra i più elevati del Paese (come segnalato dai dati statistici ministeriali), riescono a fronteggiare solo le sopravvenienze e a ridurre in minima parte l'immensa mole di cause civili ultradecennali;
   il tribunale di Messina è al 134° posto su 139 (quanto a sopravvenienze) e al 128° posto quanto ad affari pendenti sul ruolo di ciascun giudice;
   il tribunale di Messina è stato interessato negli ultimi anni anche dagli effetti dell'esplosione del fenomeno dell'immigrazione clandestina, con un vertiginoso aumento di affari penali e di volontaria giurisdizione in materia di minori non accompagnati e l'organico ordinario del tribunale non consente di fronteggiare queste sopravvenienze;
   il fenomeno dell'arretrato accumulato nel distretto di Messina, unito alle sopravvenienze, è ormai strutturale e non può essere «aggredito» se non con una adeguata previsione di aumento di organico;
   lo stesso presidente del tribunale di Messina, nella relazione al piano ha evidenziato come, se verranno sottratti magistrati al tribunale, non sarà in grado di soddisfare le esigenze di giustizia della cittadinanza;
   il piano enuncia espressamente di soddisfare le esigenze di giustizia che provengono dal tessuto produttivo dei distretti del Nord Est del Paese e, di fatto, per l'interrogante trascura un distretto complicato come quello di Messina che deve far fronte alle emergenze della criminalità organizzata, dei nuovi flussi migratori che la riguardano e dei quali non si può non tenere conto –:
   alla base di quali criteri di razionalità e, soprattutto, di efficienza, il Ministro interrogato abbia ipotizzato di ridurre di quattro unità il numero dei giudici del distretto di Messina, nonché se, alla luce delle criticità riscontrate, non sia il caso di invertire il segno dell'intervento, disponendo un aumento, anziché una diminuzione dell'organico nel distretto sopra richiamato come è attualmente previsto. (4-14469)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante lamenta – nel contesto di una più ampia ricostruzione delle caratteristiche criminali del territorio del messinese – la riduzione dei magistrati assegnati agli uffici giudiziari di Messina, Patti e Barcellona Pozzo di Gotto, come previsto nel progetto di modifica delle piante organiche del personale di magistratura predisposto dal Ministero.
  Chiede, pertanto, se ed in che termini il Ministero intenda attuare le linee riformatrici prospettate.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  In considerazione della stabilizzazione degli effetti della prima fase del processo di razionalizzazione delle circoscrizioni giudiziarie, il Ministero ha avviato il percorso finalizzato anche al coerente adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  In questa prospettiva, è stato istituito presso il gabinetto un tavolo tecnico di coordinamento che ha elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità assegnate è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi,
cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'interrogante – lo studio della Commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  In particolare, occorre evidenziare che per l'elaborazione della proposta sono stati considerati e ponderati non solo i valori medi nazionali rilevati con riferimento al dato statistico-giudiziario, ma anche una serie di fattori, non immediatamente «ponderabili» che, pur non manifestando una immediata e visibile incidenza sui flussi di lavoro, determinano rilevanti ricadute sul piano organizzativo e gestionale.
  Alla stregua dei predetti criteri, complessivamente valutati, è stata proposta una rideterminazione delle dotazioni organiche del distretto di Messina in diminuzione rispetto all'attuale previsione che ha, peraltro, tenuto conto dell'integrale assegnazione agli uffici accorpanti delle risorse organiche del personale di magistratura precedentemente attribuite alle sedi soppresse.
  Lo schema di decreto è stato trasmesso, in data 19 luglio 2016, al Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere, ai sensi dell'articolo 10, secondo comma, della legge 24 marzo 1958, n. 195.
  All'esito delle determinazioni del Consiglio, rese nella seduta di
plenum del 23 novembre 2016, e tenuto conto del contributo offerto alla complessiva riflessione, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del tavolo tecnico, anche in riferimento alle peculiari esigenze del tribunale e della procura della Repubblica delle sedi di Barcellona Pozzo di Gotto, Messina e Patti.
  Il contenuto tecnico del decreto di determinazione delle piante organiche del personale di magistratura che prenderà progressivamente forma potrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   GIACHETTI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   1. il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità (decreto legislativo 235 del 2012, cosiddetta legge Severino) prevede, all'articolo 1, che non possano essere candidati e non possano comunque ricoprire la carica di deputato e di senatore:
    a) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale;
    b) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione per i delitti, consumati o tentati, previsti nel libro II, titolo II, capo I, del codice penale;
    c) coloro che hanno riportato condanne definitive a pene superiori a due anni di reclusione, per delitti non colposi, consumati o tentati, per i quali sia prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a quattro anni, determinata ai sensi dell'articolo 278 del codice di procedura penale;
   2. analogamente i medesimi limiti al diritto di elettorato passivo sono estesi alla carica di parlamentare europeo (articolo 4) e per gli incarichi di Governo (articolo 5);
   3. l'articolo 10, infine e per quanto qui interessa, individua le fattispecie di incandidabilità per le competizioni elettorali locali. Nello specifico prevedendo che:
   «alle elezioni provinciali, comunali e circoscrizionali e non possono comunque ricoprire le cariche di presidente della provincia, sindaco, assessore e consigliere provinciale e comunale, presidente e componente del consiglio circoscrizionale, presidente e componente del consiglio di amministrazione dei consorzi, presidente e componente dei consigli e delle giunte delle unioni di comuni, consigliere di amministrazione e presidente delle aziende speciali e delle istituzioni di cui all'articolo 114 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, presidente e componente degli organi delle comunità montane:
    a) coloro che hanno riportato condanna definitiva per il delitto previsto dall'articolo 416-bis del codice penale o per il delitto di associazione finalizzata al traffico illecito di sostanze stupefacenti o psicotrope di cui all'articolo 74 del testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, o per un delitto di cui all'articolo 73 del citato testo unico concernente la produzione o il traffico di dette sostanze, o per un delitto concernente la fabbricazione, l'importazione, l'esportazione, la vendita o cessione, nonché, nei casi in cui sia inflitta la pena della reclusione non inferiore ad un anno, il porto, il trasporto e la detenzione di armi, munizioni o materie esplodenti, o per il delitto di favoreggiamento personale o reale commesso in relazione a taluno dei predetti reati;
    b) coloro che hanno riportato condanne definitive per i delitti, consumati o tentati, previsti dall'articolo 51, commi 3-bis e 3-quater, del codice di procedura penale, diversi da quelli indicati alla lettera a);
    c) coloro che hanno riportato condanna definitiva per i delitti previsti dagli articoli 314, 316, 316-bis, 316-ter, 317, 318, 319, 319-ter, 319-quater, primo comma, 320, 321, 322, 322-bis, 323, 325, 326, 331, secondo comma, 334, 346-bis del codice penale;
    d) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva alla pena della reclusione complessivamente superiore a sei mesi per uno o più delitti commessi con abuso dei poteri o con violazione dei doveri inerenti ad una pubblica funzione o a un pubblico servizio diversi da quelli indicati nella lettera c);
    e) coloro che sono stati condannati con sentenza definitiva ad una pena non inferiore a due anni di reclusione per delitto non colposo;
    f) coloro nei cui confronti il tribunale ha applicato, con provvedimento definitivo, una misura di prevenzione, in quanto indiziati di appartenere ad una delle associazioni di cui all'articolo 4, comma 1, lettera a) e b), del decreto legislativo 6 settembre 2011, n. 159;
   la legge poi (articolo 13) stabilisce che la sanzione di incandidabilità abbia una durata limitata nel tempo, fissandola nel doppio della durata della pena accessoria dell'interdizione ai pubblici uffici se irrogata o, in caso di mancanza di pena, accessoria, nel massimo di sei anni, a partire dal passaggio in giudicato della sentenza di condanna; tale limitazione temporale è però prevista per le sole cariche di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo;
   la legge niente dispone in riferimento alle cariche locali di cui all'articolo 10, né in verità relativamente alle cariche regionali di cui all'articolo 7, con l'effetto che, per queste e soltanto per queste, l'incandidabilità risulterebbe, limitandosi ad una lettura testuale della norma, quale sanzione definitiva e sine die;
   tale «doppio binario», in forza del quale dopo un periodo massimo di sei anni dal passaggio in giudicato della sentenza penale di condanna un cittadino potrebbe ricoprire la carica di deputato o Senatore della Repubblica ma non già quella di consigliere comunale o circoscrizionale, appare irragionevole e contrario a fondamentali norme costituzionali (il principio di uguaglianza e non discriminazione di cui all'articolo 3, il principio della rieducazione cui devono tendere le pene di cui all'articolo 27, il diritto di ogni cittadino di accedere alle cariche elettive di cui all'articolo 51);
   che tale discrasia normativa ha già creato contenziosi giudiziali, che potrebbero sfociare in una istanza rivolta alla Corte Costituzionale –:
   se non ritengano opportuno intervenire tramite un'apposita iniziativa normativa del Governo per emendare il Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità (decreto legislativo 235 del 2012 cosiddetta Legge Severino) nella parte in cui non preveda, anche per le cariche locali (consiglieri comunali, circoscrizionali, provinciali e regionali), un termine alla sanzione di incandidabilità analogamente a quanto previsto per gli uffici di Senatore, deputato e Parlamentare europeo. (4-07104)

  Risposta. — L'interrogazione in esame riguarda la disciplina sull'incandidabilità introdotta dal testo unico di cui al decreto legislativo n. 235 del 2012 (cosiddetta legge Severino), della quale sono prospettate criticità in ordine alla disparità tra la normativa relativa all'incandidabilità alla carica di parlamentare e le disposizioni previste per quanto riguarda le cariche regionali e locali.
  In particolare, viene rilevato il profilo critico concernente la difformità tra le discipline relative alla durata dell'incandidabilità, giacché l'incandidabilità alle cariche locali ha durata illimitata, mentre quella per il mandato parlamentare ha effetto, a seguito della condanna definitiva, per un periodo corrispondente al doppio della durata della pena accessoria dell'interdizione temporanea dai pubblici uffici e, in ogni caso, non inferiore a sei anni.
  Si chiede pertanto se il Governo non ritenga opportuno intervenire tramite un'apposita iniziativa normativa per emendare il testo unico predetto, nella parte in cui non prevede, anche per le cariche locali (consiglieri comunali, circoscrizionali, provinciali e regionali), un termine alla sanzione di incandidabilità analogamente a quanto previsto per gli uffici di senatore, deputato e parlamentare europeo.
  Al riguardo, l'ufficio legislativo di questo dicastero ha evidenziato come, nel declinare il diverso regime delle incandidabilità, il legislatore abbia considerato il differente livello dell'autonomia parlamentare rispetto alla necessità di garantire il sistema amministrativo locale dalla rappresentanza di soggetti che, per gravi motivi, non possono ritenersi degni della fiducia popolare.
  La finalità principale del regime dell'incandidabilità è, invero, quella di escludere per motivi di indegnità morale coloro che si siano macchiati di delitti di una certa gravità.
  La scelta normativa di intervenire per gli enti locali con particolare durezza, stabilendo distinti regimi riguardo all'incandidabilità fra livello nazionale ed europeo, da un lato, e livelli sub-statali, dall'altro lato, ha tenuto conto di dati di esperienza oggettivi, i quali dimostrano che i fenomeni che si intendono arginare con la normativa de qua trovano in tale secondo ambito le loro principali manifestazioni.
  Il decreto legislativo n. 235 del 2012 ha, peraltro, ripreso e consolidato la disciplina sull'incandidabilità introdotta nell'ordinamento italiano dalla legge 18 gennaio 1992, n. 16 (Norme in materia di elezioni e nomine presso le regioni e gli enti locali), rimasta immune da censure di costituzionalità.
  Difatti la Corte costituzionale, pronunciandosi nell'ambito del giudizio di legittimità dell'articolo 1 della legge n. 16 del 1992 citata, con la sentenza n. 407 del 1992 ha ritenuto non irragionevole la previsione di discipline differenziate per i limiti all'elettorato passivo «essendo evidente il diverso livello istituzionale e funzionale degli organi costituzionali ora citati».
  Anche il Consiglio di Stato, con la sentenza del 6 febbraio 2013, n. 695 (nonché nelle successive nn. 5222, 5223 e 5224 del 2013) non ha ritenuto sussistente alcun profilo di irragionevolezza collegato alla mancata previsione, quanto alle elezioni regionali, di un limite temporale analogo a quello fissato dall'articolo 13 della normativa in esame con riferimento all'incandidabilità alla carica di deputato, senatore e membro del Parlamento europeo, stante la diversità di elezioni e di cariche, onde l'insindacabilità dell'apprezzamento discrezionale operato sul punto dal legislatore.
  Nel quando così delineato, non sono, allo stato, allo studio del Dicastero atti di iniziativa legislativa volti a fissare disposizioni integrative e correttive del Testo unico delle disposizioni in materia di incandidabilità, di cui al decreto legislativo n. 235 del 2012.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   GINATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la crisi che ha colpito la banca Popolare di Vicenza ha seriamente minato il tessuto sociale e imprenditoriale della provincia vicentina, con migliaia di risparmiatori, parte di questi anche dipendenti della banca stessa, che hanno visto le proprie azioni diminuire drasticamente di valore, da 62,50 euro fino al 2014 a 0,10 euro, prezzo stimato con un'eventuale entrata in borsa;
   dopo la scoperta dei problemi finanziari della Popolare di Vicenza e dopo la diminuzione del valore delle azioni, si stima che circa 1.500 azionisti abbiano deciso di intentare una causa nei confronti degli ex vertici della banca e nei confronti di chi aveva la funzione di vigilante;
   qualche giorno fa, il tribunale delle imprese di Venezia, nella persona del giudice Anna Maria Marra, ha accolto il ricorso d'urgenza di un imprenditore che ha chiesto di dichiarare nullo il contratto di fido in relazione alla sottoscrizione dell'aumento di capitale correlato, che in gergo viene chiamato «finanziamento baciato puro»;
   di conseguenza, il giudice Marra ha ordinato di congelare il rimborso delle rate del prestito di 9,3 milioni di euro a fronte dell'acquisto di azioni il cui valore è stato praticamente azzerato;
   tale ordinanza potrebbe avere ricadute anche su quanti hanno sottoscritto «finanziamenti baciati parziali», ovvero ditte o persone fisiche che hanno ricevuto azioni all'interno di un finanziamento per una quota stimata del 20-30 per cento sul valore del finanziamento;
   come riportato dal « Giornale di Vicenza», la Consob ha rilevato nei confronti della banca Popolare di Vicenza delle violazioni della normativa europea «Mifid» in circa 58.000 casi, soprattutto con l'aumento di capitale avvenuto nel biennio 2013-2014;
   come ha affermato il procuratore capo della Repubblica presso il tribunale Vicenza, dottor Antonio Cappelleri, le denunce dovranno essere esaminate singolarmente, creando così uno straordinario carico di lavoro per il tribunale di Vicenza;
   al 30 giugno 2015, la procura di Vicenza aveva 14.929 fascicoli pendenti, circa 1.650 per ciascuno degli 11 magistrati presenti, con la conseguenza di rendere impossibile una ragionevole durata nei processi;
   nella procura di Vicenza, rispetto alla pianta organica, si stima che manchi il 25 per cento dei pubblici ministeri e oltre il 20 per cento del personale amministrativo. Le difficoltà nella trattazione delle inchieste è causa anche dei ritardi, tanto che 1.055 delle 8.666 definizioni consistono in prescrizioni, pari al 12 per cento –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione generale della giustizia penale in Veneto e degli effetti sul sistema giustizia della crisi della banca Popolare di Vicenza;
   se non ritenga opportuno attivarsi, per quanto di competenza, al fine di incrementare l'organico del personale del tribunale di Vicenza, la carenza del quale risulta essere uno dei maggiori e più urgenti problemi in provincia. (4-13820)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante prospetta criticità degli uffici giudiziari di Vicenza, con riferimento alle dotazioni di personale, amministrativo e di magistratura.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-
quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.
  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il 22 novembre 2016 – il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-
quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di Fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari veneti.
  In particolare, allo stato, risulta che presso la Procura della Repubblica di Vicenza prestano servizio 40 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 48 risorse umane, compresa la posizione dirigenziale.
  Presso il tribunale, invece, prestano servizio 101 delle 129 risorse previste in organico.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, rispettivamente pari al 16,67 per cento, inferiore alla media nazionale del 21,26 per cento ed alla media del distretto (19,69 per cento), ed al 21,71 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del CCNL del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della Corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Nella prospettiva di fornire adeguato sostegno agli uffici veneti, in attesa della definizione delle procedure di mobilità in corso, lo scorso 3 novembre 2016 ho sottoscritto – con il presidente della regione Veneto, il presidente della corte d'appello di Venezia e il procuratore generale della Repubblica di Venezia – un protocollo d'intesa, per la temporanea assegnazione di personale della regione Veneto agli uffici giudiziari del distretto.
  L'accordo nasce, da un lato dalla considerazione dal carattere particolare del territorio della regione, a forte connotazione imprenditoriale e commerciale, con evidenti ripercussioni in termini di investimenti, sviluppo economico e competitività dello stesso; dall'altro, dal fatto che l'efficiente svolgimento dell'azione giudiziaria sul territorio regionale è indispensabile per garantire certezza alle attività economiche e contrattuali e fronteggiare fenomeni di infiltrazione della criminalità organizzata e di corruzione.
  Le politiche sulla mobilità sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  Per quanto riguarda il personale di magistratura, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi,
cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, alla procura di Vicenza sono stati assegnati due posti di sostituto procuratore ed al tribunale sei posti di giudice, in incremento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Allo stato, presso la procura di Vicenza prestano servizio quattordici magistrati rispetto ad una dotazione di sedici unità complessive; presso il tribunale, trentacinque dei trentasei magistrati previsti.
  Come noto, la copertura delle vacanze è rimessa al Consiglio superiore della magistratura e può essere temporaneamente fronteggiata mediante provvedimenti di applicazione, di competenza del Procuratore generale.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, per sostenere adeguatamente la giurisdizione sono attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Il 20 ottobre 2016 è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   GUIDESI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il procuratore capo della procura della Repubblica presso il tribunale di Lodi, dottor Vincenzo Russo, ha da tempo evidenziato la carenza di personale amministrativo della procura da lui presieduta, sollecitando, in questo senso, il Consiglio superiore della magistratura affinché si facesse parte attiva presso il Ministero della giustizia al fine di provvedere all'assegnazione del personale in parola;
   purtroppo, come emerge chiaramente sia dalla stampa locale Il Cittadino del 4 dicembre 2015 e sia dalla stampa nazionale Il Giorno del 5 dicembre 2015, il procuratore capo dottor Vincenzo Russo rileva come «... le unità di polizia giudiziaria a disposizione... sono 12, rispetto alle 14 obbligatorie per legge, mentre il numero di dipendenti amministrativi è stato quasi dimezzato, con 16 unità sulle 30 necessarie. Da gennaio 2013 la situazione è pressoché la stessa. Ma adesso è diventata insostenibile. Da fine settembre gli uffici del casellario giudiziale hanno dovuto ridurre le aperture al pubblico a due giorni la settimana. Troppo poco per uno degli uffici più frequentati dall'utenza che registra oltre mille accessi al mese. Da qualche settimana si è aggiunto un nuovo dipendente proveniente dalla Provincia, un altro aiuto, saltuario, viene offerto da un carabiniere in pensione, gratuitamente. Ancora troppo poco per garantire un servizio completo. “La Procura di Lodi ha bisogno di altro personale – spiega il procuratore capo Vincenzo Russo –. Ho fatto più volte richieste al ministero, ma non ho mai ricevuto nessuna risposta. Dal mio arrivo nel Lodigiano non ho mai smesso di segnalare il problema ma nessuno ci ascolta”. Per risolvere l'emergenza, Russo, è pronto a qualsiasi cosa. L'intenzione è di convocare un tavolo condiviso con i sindacati e l'Ordine degli avvocati di Lodi, per preparare un documento unitario da consegnare al Ministero della giustizia. Una scelta maturata anche dopo la decisione del ministero di destinare quattro dipendenti della ragioneria della Provincia, ormai in chiusura, invece che alla procura di Lodi ad altri enti di Pavia e Cremona. “Siamo al paradosso – spiega Russo –. Abbiamo saputo da qualche giorno che i quattro dipendenti che sarebbero dovuti arrivare da noi, sono stati assegnati ad altri. Il personale continua a fare ogni giorno dei sacrifici enormi per non creare disagi, lavorando anche di domenica. Siamo pronti a intraprendere una battaglia istituzionale insieme a sindacati e avvocati. Non è corretto che a pagare siano i cittadini. Noi abbiamo il dovere di garantire un servizio pubblico, ma in queste condizioni è impossibile”. Un esempio? “La procura non ha nemmeno uno dei due autisti che dovrebbero essere in organico – continua Russo –. O meglio, uno c’è ma non è idoneo alla guida...”»;
   la situazione della procura della Repubblica presso il tribunale di Lodi, lungi dal realizzare l'obiettivo di assicurare la giustizia in tempi ragionevoli, a un territorio di fondamentale importanza nel tessuto imprenditoriale e industriale del Nord, sta comportando un gravissimo disservizio, nonché un aumento dei disagi e dei costi per tutti i cittadini e gli operatori economici;
   appare urgente e straordinario un immediato intervento al fine di consentire alla procura della Repubblica presso il tribunale di Lodi di funzionare in modo efficiente ed efficace –:
   quali urgenti iniziative il Ministro della giustizia intenda assumere al fine di ricostituire la pianta organica del personale amministrativo oggi carente per il 50 per cento, così consentendo di svolgere in tempi ragionevoli il ruolo e i compiti che costituzionalmente sono assegnati a detto organo giudiziario. (4-11435)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta criticità della procura della Repubblica di Lodi, con riferimento alle dotazioni di personale amministrativo.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-
quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n.132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.
  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in
Gazzetta Ufficiale il 22 novembre 2016 – il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-
quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di Fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari lombardi.
  Allo stato, risulta che presso la Procura della Repubblica di Lodi prestano servizio 19 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 30 risorse umane.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 36,67 per cento, superiore alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del Contratto collettivo nazionale del lavoro del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, Presidente della Corte d'Appello e Procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Le politiche sulla mobilità sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  Per quanto riguarda il personale di magistratura, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi,
cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al Tribunale di Lodi è stato assegnato un posto di giudice e, nel distretto di Milano, un posto di sostituto procuratore, in incremento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Lo scorso 20 ottobre è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   GULLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'attività dei tribunali è essenziale sia quale presidio di legalità che come ufficio all'esercizio della collettività per lo svolgimento delle attività connesse previste dalla legge;
   la recente soppressione di alcune sedi giudiziarie non è ancora metabolizzata dagli uffici e permangono difficoltà e disagi in diverse sedi giudiziarie;
   dalla suddetta riforma è derivato l'accorpamento al tribunale ordinario di Patti della sede staccata di Sant'Agata di Militello e del tribunale ordinario di Mistretta;
   precedentemente alla suddetta riforma era già evidente la carenza di personale presso le suddette sedi;
   i pensionamenti avvenuti negli ultimi anni non sono stati integrati con nuovo personale;
   organi giudiziari, sindacati, amministratori locali e cittadini hanno più volte sollecitato interventi volti alla copertura dei posti vacanti relativi al personale amministrativo non dirigenziale;
   specificamente, la carenza di organico riguarda 20 unità su 62 e in particolare: risultano scoperti 7 posti di funzionari giudiziario su 13, un posto di cancelliere su 14, 5 posti di assistente giudiziario su 12, 2 posti di operatore giudiziario su 6, 2 posti di conducente di automezzi su 3, 3 posti di ausiliario su 9;
   bisogna altresì considerare i programmati pensionamenti, nonché i possibili trasferimenti;
   ciò determina un notevole aggravio di oneri lavorativi per il personale presente;
   una possibile soluzione, suggerita da alcuni sindacati, potrebbe tener conto dell'applicazione del personale amministrativo in servizio presso gli uffici del giudice di pace del circondario che attualmente si trovano in posizione soprannumeraria nonché dell'utilizzo del personale degli uffici dei giudici di pace del circondario che a breve dovrebbero essere soppressi –:
   quali iniziative urgenti di competenza si intendano intraprendere per:
    a) intervenire rapidamente al fine di consentire una più efficace attività del tribunale ordinario di Patti;
    b) evitare disagi per i cittadini, gli operatori del settore ed i dipendenti;
    c) coprire le carenze d'organico. (4-04618)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – criticità del tribunale di Patti derivanti dall'accorpamento della sezione distaccata di S. Agata Militello e del tribunale di Mistretta.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Va, peraltro, evidenziato come l'adeguatezza delle scelte generalmente operate con il decreto legislativo n. 155 del 2012 sia stata, in più occasioni, vagliata positivamente dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 237 del 2013 e nell'ordinanza n. 15 del 2014 in cui, tra l'altro, è stato rilevato che «...si è in presenza di una misura organizzativa, in cui la soppressione dei singoli tribunali ordinari ha costituito la scelta, rimessa al Governo, nel quadro di una più ampia, valutazione del complessivo assetto territoriale degli uffici giudiziari di primo grado, finalizzata a realizzare un risparmio di spesa e un incremento di efficienza; che tale valutazione è stata effettuata sulla base di un'articolata attività istruttoria, come si desume dalla relazione che accompagna il decreto legislativo n. 155 del 2012 e dalle schede tecniche allegate – le quali, con specifico riferimento alle singole realtà territoriali, illustrano le modalità di applicazione dei criteri – nonché dalle relazioni e dai pareri, in particolare delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, sottoposti all'attenzione del Governo e del Parlamento; che, alla stregua di tale quadro di riferimento per l'esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte del decreto legislativo n. 155 del 2012 dei relativi criteri, né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione».
  Inoltre, con specifico riferimento alla richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai consigli regionali delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, Friuli-Venezia Giulia, Campania, Liguria e Piemonte sulla riforma della geografia giudiziaria, si rileva che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2014, ne ha dichiarato l'inammissibilità.
  In particolare, con l'emanazione dei decreti legislativi attuativi della delega, anche nel distretto di Messina si è provveduto ad un significato riordino dell'assetto dei tribunali del territorio.
  I dati relativi alla prima fase di attuazione sono stati valutati dalla commissione, istituita con decreto ministeriale 19 settembre 2013, con lo specifico compito di verificare lo stato di realizzazione della riforma, osservare gli effetti dell'applicazione del nuovo assetto territoriale sulla operatività degli uffici giudiziari e proporre soluzioni organizzative e normative per superare le eventuali criticità riscontrate, soprattutto in riferimento ai presìdi giudiziari nelle aree fortemente caratterizzate da infiltrazioni della criminalità organizzata.
  Sulla scorta dei rilievi proposti, sono stati valutati e predisposti interventi correttivi e di coordinamento alle disposizioni emanate con i decreti legislativi 155 e 156 del 2012 attraverso l'emanazione del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14, concernente «Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari».
  Con tale decreto sono state realizzate alcune variazioni all'assetto delineato per gli uffici di primo grado, che risultano del tutto coerenti con i criteri generali adottati in sede attuativa della riforma ed anzi assicurano, nell'ambito dei circondati interessati, maggiore omogeneità territoriale e migliori condizioni di accesso al servizio giustizia.
  In particolare, con riferimento alla ridefinizione del tribunale di Patti, la Commissione non ha ritenuto necessari interventi correttivi di tipo tecnico, né il ripristino di uffici soppressi.
  Risultano, pertanto, allo stato consolidate le disposizioni relative al tribunale di Patti, essendo ormai scaduto il 13 settembre 2014 il termine biennale assegnato dalla legge delega per adottare eventuali ulteriori disposizioni integrative, correttive e di coordinamento.
  Con riferimento alla distribuzione delle risorse umane conseguente alla riforma, va rilevato come la considerevole riduzione dei presidi sul territorio è stata adeguatamente bilanciata da una migliore riassegnazione del personale, come espressamente previsto dal legislatore delegato agli articoli 5, 6 e 7 del decreto legislativo n. 155 e all'articolo 4 del decreto legislativo n. 156.
  In conformità alle determinazioni assunte per il personale di magistratura, con il decreto ministeriale 25 aprile 2013 anche la pianta organica del personale amministrativo degli uffici di Patti è stata ridefinita, disponendo l'assegnazione in aumento al tribunale delle risorse disponibili presso gli uffici soppressi e aggregati.
  In merito, appare opportuno evidenziare che le determinazioni assunte con il decreto richiamato sono state integralmente condivise, anche nell'entità numerica, dal Consiglio superiore della magistratura, con il parere reso nella seduta del 18 aprile 2013.
  Allo stato, risulta che presso il tribunale di Patti prestano servizio 49 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il citato decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 63 risorse umane, compresa la posizione dirigenziale.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 22,22 per cento di poco superiore alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti tiene conto del personale acquisito per effetto degli accorpamenti e delle unità che già prestavano servizio presso gli uffici del giudice di pace, e registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha, difatti, rappresentato un fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P. notificazioni esecuzione protesti;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 22 novembre – il reclutamento a tempo indeterminato di 1.000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia, cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato decreto-legge il 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse, al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche al tribunale di Patti.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del Contratto Collettivo nazionale dei lavoratori del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   LACQUANITI, ZAN e ROSTELLATO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 6 febbraio 2016 è entrato in vigore il decreto legislativo n. 8 del 2016, con il quale sono depenalizzati e trasformati in illeciti amministrativi una serie di reati considerati di minor allarme sociale, tra cui tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda previsti al di fuori del codice penale ed una serie di reati presenti invece nel codice penale, con esclusione dei reati previsti dalla normativa sulla salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, ambiente territorio e paesaggio, sicurezza pubblica, giochi d'azzardo e scommesse, armi, elezioni e finanziamento ai partiti;
   la depenalizzazione persegue gli obiettivi di deflazionare il sistema penale: data la scarsa offensività degli illeciti, si ritiene che l'applicazione di una sanzione amministrativa in tempi rapidi e certi avrà un effetto dissuasivo maggiore rispetto alla minaccia di un processo penale destinato spesso a cadere nel nulla;
   tra le fattispecie depenalizzate previste nel codice penale è compresa quella degli atti contrari alla pubblica decenza (articolo 726 c.p.);
   per diversi anni l'articolo 726 del codice penale è stato utilizzato per sanzionare la pratica del naturismo, ma la sentenza della Corte di Cassazione n. 3557 del 2000 afferma che il naturismo non sia assolutamente da considerare indecente, se praticato in luoghi adatti. Così il testo: «È evidente che non può considerarsi indecente, ad esempio, la nudità integrale di un modello o di un artista in un'opera teatrale o cinematografica, ovvero in un contesto scientifico o didattico, o anche di un naturista in una spiaggia riservata ai nudisti o da essi solitamente frequentata, mentre invece suscita certamente disagio, fastidio, riprovazione chi fa mostra di sé, ivi compresi gli organi genitali, in un tram, in strada, in un locale pubblico, o anche in una spiaggia frequentata da persone normalmente abbigliate»;
   la depenalizzazione degli atti contrari alla pubblica decenza con trasformazione in illecito amministrativo, apparentemente un passo avanti per il naturismo, rischia in realtà di trasformarsi in un boomerang con maggiori pregiudizi in capo ai naturisti;
   prima infatti gli atti contrari alla pubblica decenza erano un reato contravvenzionale, punito con ammenda. Questo significa che, ricevuta la notizia di reato, il pubblico ministero spesso, se il fatto avveniva in una zona pacificamente dedita a naturismo, pur non regolamentato, richiedeva al giudice l'archiviazione;
   ora, con la trasformazione in illecito amministrativo, che scatta automaticamente, oltre ad aver considerevolmente alzato la sanzione pecuniaria e reso più difficile per chi è colpito dalla sanzione opporvisi, l'ente che irroga la sanzione è il comune, con tutto l'interesse, per «fare cassa», a non archiviare la posizione, tramutando in questo modo la depenalizzazione in una beffa;
   il naturismo è un movimento nato in opposizione al degrado della vita urbana, che persegue pratiche di vita all'aria aperta e, nel rispetto della persona, della natura e dell'ambiente circostante, utilizza il nudismo come forma di sviluppo della salute fisica e mentale, in armonia con la natura;
   il numero di naturisti in Europa è attestato intorno ai 20 milioni di praticanti. In Italia, Paese nel quale non esiste una legge che regolamenti il nudismo, i naturisti si stimano siano circa 500.000;
   diverse sono in questi anni le regioni che hanno approvato una legge in materia: Emilia Romagna, Abruzzo, Veneto; nel 2015 la regione Lombardia ha riconosciuto nella legge regionale sul turismo la pratica del naturismo;
   nei Paesi europei il naturismo ricopre un importante settore del turismo estivo; nella sola Francia viene valutato circa un 20 per cento del turismo estivo. Spagna, Croazia, Grecia e Portogallo e poi i paesi del Centro e Nord Europa come l'Austria, la Svizzera, la Germania, il Belgio, l'Olanda, l'Ungheria, la Danimarca, la Gran Bretagna, sono tutte nazioni nelle quali il naturismo è ben presente;
   per quanto riguarda i dati economici si possono solo fare delle ipotesi: se si calcola che almeno due milioni di naturisti potrebbero ogni anno venire in Italia a trascorrere le loro vacanze, se vi fosse una legge che non li sanzionasse, il giro d'affari potrebbe essere di almeno 1 miliardo di euro l'anno;
   si consideri quindi, oltre allo spreco di risorse volte a reprimere il fenomeno del naturismo, il numero elevato di famiglie con bambini che, intendendo praticare il naturismo, si rivolgono ad altri Paesi europei come mete turistiche, sottraendo importanti entrate economiche al nostro Paese –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti, e se non ritenga che, a seguito dell'applicazione del decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8 recante Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'articolo 2, comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67, con la depenalizzazione del reato di cui all'articolo 726 del codice penale, e con la sua conseguente trasformazione in illecito amministrativo, si rischi di ottenere il risultato, paradossale, di smentire nei fatti quello che è un orientamento maggioritario della giurisprudenza, sostanzialmente favorevole alla cultura naturista, che ha portato ad una depenalizzazione dei reati di cui all'articolo 726 c.p., ritornando a sanzionare in maniera economicamente più pesante pratiche oggi di fatto diffuse; considerato che si tratta di pratiche che vanno a parere degli interroganti, addirittura sostenute anche in ragione del considerevole indotto economico che queste apportano al settore turistico, quali iniziative rientranti nelle sue competenze intenda adottare al fine di chiarire le modalità di applicazione e l'entità delle sanzioni economiche riferite agli atti contrari alla pubblica decenza, onde evitare di colpire indebitamente chi pratica in modo lecito il naturismo. (4-12552)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti chiedono quali iniziative il Ministro della giustizia intenda assumere per «chiarire le modalità di applicazione e l'entità delle sanzioni economiche riferite agli atti contrari alla pubblica decenza, onde evitare di colpire indebitamente chi pratica in modo lecito il naturismo», dopo il decreto legislativo n. 8 del 2016.
  Con il decreto legislativo 15 gennaio 2016, n. 8, la sanzione di natura penale dell'arresto fino ad un mese o dell'ammenda da euro 10 a euro 206, prevista dall'articolo 726 codice penale per gli atti contrari alla pubblica decenza, è stata trasformata in sanzione amministrativa (essendo divenuto amministrativo l'illecito), con un minimo di euro 5.000 e un massimo di euro 10.000.
  Le disposizioni contemplate nel decreto legislativo citato, tra le quali quella sulla depenalizzazione della sopra indicata fattispecie, hanno dato attuazione alla delega parlamentare, di cui alla legge 28 aprile 2014, n. 67, recante «Deleghe al Governo in materia di pene detentive non carcerarie e di riforma del sistema sanzionatorio. Disposizione in materia di sospensione del procedimento con messa alla prova e nei confronti degli irreperibili».
  Il Governo è stato, pertanto, delegato dal Parlamento ad adottare uno o più decreti legislativi per la riforma del sistema sanzionatorio, nel rispetto di determinati principi e criteri direttivi (articolo 76 della Costituzione), tra i quali rientra anche la previsione di trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati, per i quali è prevista la sola pena pecuniaria della multa o dell'ammenda (ad eccezione di alcune materie che restano sanzionate penalmente: edilizia e urbanistica; ambiente, territorio e paesaggio; alimenti e bevande; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; sicurezza pubblica; giochi d'azzardo e scommesse; armi ed esplosivi; elezioni e finanziamento ai partiti; proprietà intellettuale e industriale) ed alcuni reati contemplati dal codice penale, relativi a fatti ritenuti di minore offensività, il cui bene-interesse può ritenersi adeguatamente tutelato anche mediante il ricorso alla sanzione amministrativa.

  In particolare, per gli atti contrari alla pubblica decenza, di cui all'articolo 726 codice penale, la trasformazione in illecito amministrativo era prevista espressamente dall'articolo 2, comma 2, lettera b), n. 2 della legge delega n. 67 del 2014.
  Al Governo è stata, dunque, demandata l'attuazione dei decreti legislativi secondo i principi e i criteri direttivi stringenti contenuti nella legge di delegazione delle Camere, che individuano le modalità da seguire e gli obiettivi da realizzare, delimitando il margine di manovra riservato all'esecutivo.
  La strategia di riduzione dell'area del penalmente rilevante, che è realizzata con l'intervento normativo oggetto della presente interrogazione tramite lo sfoltimento del sistema delle incriminazioni sulla base di criteri razionali (cosiddetta depenalizzazione «in astratto»), ha inteso ovviare alla evidente e attuale criticità connessa a una espansione ipertrofica del diritto penale, che rischia di determinare effetti particolarmente insidiosi, consistenti, da un lato, nello svilimento della serietà che occorrerebbe, invece, riconoscere alla pena e al ricorso ad essa, dall'altro, nella circostanza che l'eccesso di prescrizioni provoca inevitabilmente disorientamento e acutizza il problema della conoscibilità delle norme penali da parte dei cittadini: la possibilità di incorrere nella commissione di un reato finisce, invero, col dipendere sempre più dal caso, aggravando in tal modo la perdita di legittimazione dell'intervento punitivo medesimo.
  In tale prospettiva, l'ambito applicativo della depenalizzazione era individuato dalla legge delega in base a due diversi criteri.
  Il primo, contenuto nella lettera a) del comma 2 dell'articolo 2, riferendosi a «tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda», costituisce una clausola generale per una depenalizzazione – per così dire – «astratta»; il secondo, indicando specificatamente le fattispecie su cui intervenire, opera una depenalizzazione invece «nominativa».
  La forbice sanzionatoria prevista risponde, peraltro, a criteri predeterminati illustrati nella relazione di accompagnamento al testo normativo: «Con riferimento alla clausola generale di depenalizzazione, si è provveduto a fissare tre gruppi di reati puniti con multa o ammenda non superiore nel massimo a 5.000 euro il primo, a 20.000 euro il secondo, ovvero superiore a 20.000 euro il terzo. Ad essi corrisponde una sanzione pecuniaria amministrativa compresa, rispettivamente, tra 5.000 e 10.000 euro, tra 5.000 e 30.000 euro, ovvero tra 10.000 e 50.000 euro. Le sanzioni pecuniarie amministrative sono state fissate entro un minimo e un massimo stabiliti in via generale – per tutti gli illeciti depenalizzati – dal presente decreto, rispettivamente in 5.000 e 50.000 euro. Ai citati limiti di 5.000 e 50.000 euro dovrà attenersi anche la sanzione amministrativa che prenderà il posto dell'originaria pena pecuniaria proporzionale».
  La
ratio sottesa all'intervento di depenalizzazione ha richiesto, infatti, l'individuazione di criteri di commisurazione delle sanzioni amministrative, determinate secondo i principi esposti nella relazione di accompagnamento al testo normativo.
  Dunque, i reati soggetti a depenalizzazione sono stati suddivisi in tre gruppi, in relazione all'entità della multa o dell'ammenda originariamente prevista, articolando le sanzioni pecuniarie amministrative introdotte secondo tre diversi scaglioni: tra 5.000 e 10.000 euro, tra 5.000 e 30.000 euro, ovvero tra 10.000 e 50.000 euro.
  La sanzione amministrativa per l'illecito di cui all'articolo 726 codice penale è stata commisurata entro il primo dei predetti scaglioni e, dunque, in quello meno afflittivo. Il reato è stato, così, trasformato in illecito amministrativo e la relativa sanzione è stata determinata nella misura più lieve tra quelle introdotte dall'intervento di depenalizzazione.
  I rilievi svolti dagli interroganti investono, peraltro, non già l'intervenuta depenalizzazione, quanto gli effetti concreti di essa, che finirebbero per essere più afflittivi nella concreta applicazione del soggetto sanzionante.
  Rilevo come – allo stato – non siano allo studio da parte di questo Ufficio iniziative normative nella materia oggetto di doglianza nel presente atto ispettivo.
  Sottolineo peraltro, al riguardo, da un lato che, con riferimento ai criteri di determinazione delle sanzioni amministrative, nessuna osservazione, in punto di adeguatezza, è stata comunque sollevata dalle altre amministrazioni interessate alla delega; dall'altro lato, che l'adeguatezza in concreto delle sanzioni determinate potrà essere riconsiderata all'esito del monitoraggio degli effetti del complessivo intervento di depenalizzazione.
  In questa prospettiva si ricorda, difatti, come l'articolo 2 della legge delega prevede, al comma 5, la possibilità di emanare, entro diciotto mesi dalla data di entrata in vigore dell'ultimo dei decreti legislativi di attuazione, uno o più decreti correttivi ed integrativi, nel rispetto della procedura di cui al comma 4, nonché dei principi e criteri direttivi di cui al medesimo articolo. La norma, dunque, lascia aperta la strada legislativa per eventuali correttivi, ritenuti necessari all'esito dei primi monitoraggi svolti.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ordine nazionale dei giornalisti è un ente pubblico italiano non economico a struttura associativa, nato nel 1925, l'iscrizione al quale è obbligatoria per l'esercizio della professione di giornalista;
   l'attuale ordine dei giornalisti è stato istituito con la legge n. 69 del 3 febbraio 1963, detta «legge Gonella», che disciplina l'organizzazione della professione;
   il Ministero dell'interno ha istituito un bando, prot. n. 0002133 del 9 marzo 2016, che reca: «Procedura comparativa per il conferimento a titolo gratuito di incarico di prestazione di lavoro autonomo occasionale per lo svolgimento delle attività di Comunicazione per le esigenze della Direzione Centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo del Dipartimento per le Libertà Civili e l'immigrazione»;
   per proporre la propria candidatura il bando prevede l'iscrizione al sopracitato ordine dei giornalisti professionisti;
   il bando ha una validità di soli 9 giorni, in quanto l'istanza, con termini di decorrenza dal 9 marzo 2016, dovrà pervenire inderogabilmente entro e non oltre le ore 12,00 del 18 marzo 2016;
   nell'articolo 5 del bando, alla voce «compenso», viene specificato che «l'incarico dovrà essere svolto a titolo assolutamente gratuito. Previa autorizzazione del Capo Dipartimento che dovrà tener conto delle vigenti disposizioni in materia di contenimento delle spese di missione ai sensi dell'articolo 6, comma 12, del decreto-legge n. 78/2010, convertito dalla legge 122/2010 verranno rimborsate, nei modi e nei termini previsti dalla normativa riguardante il personale della carriera prefettizia, eventuali spese di viaggio, di soggiorno e di vitto sostenute per l'espletamento del presente incarico, fuori dal comune di propria residenza, imputate al capitolo di spesa 2253, piano gestionale 02 e 17 Missione 27 – sulla base della documentazione giustificativa presentata dall'interessato, che ne attesti l'effettivo esborso»;
   nel bando, inoltre, vengono esclusi dalla selezione gli iscritti nell'elenco dei giornalisti pubblicisti, il che potrebbe ad avviso dell'interrogante configurare una violazione della legge 150 del 2000;
   la Federazione nazionale della stampa italiana ha definito il bando «inaccettabile e offensivo» richiedendone il ritiro –:
   se il Ministro sia informato dei fatti esposti in premessa e se non intenda intraprendere iniziative, alla luce di quanto sopra espresso, per revocare il bando e riproporlo in modo che nella selezione degli iscritti non siano esclusi coloro che sono inseriti nell'elenco dei giornalisti pubblicisti e che l'addetto alla comunicazione vincitore del bando, iscritto all'Ordine dei giornalisti professionisti, venga regolarmente retribuito senza offendere il decoro e la dignità della professione giornalistica. (4-12566)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si richiama l'attenzione sulle perplessità sollevate dalla Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi) sulla procedura comparativa esperita dal Ministero dell'interno per il conferimento di un incarico esterno per lo svolgimento di attività di comunicazione istituzionale in tema di immigrazione e asilo.
  Le perplessità riguardano, da un lato, l'esclusione dalla selezione dei giornalisti pubblicisti, dall'altro, la gratuità dell'incarico per il cui espletamento sarebbe previsto solo il rimborso delle spese in base alle disposizioni vigenti per il personale della carriera prefettizia.
  Effettivamente, nel mese di marzo 2016, la direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo del Ministero dell'interno, a fronte della perdurante imponenza dei flussi migratori e degli innumerevoli problemi che ne sono scaturiti sul territorio, ha ravvisato l'esigenza di potenziare il proprio staff con un giornalista di consolidata e pluriennale competenza, in grado di gestire professionalmente i rapporti con i mezzi di informazione e l'opinione pubblica.
  È difficile disconoscere l'importanza di un'efficace ed equilibrata comunicazione e informazione pubblica istituzionale in un settore, quello dell'immigrazione appunto, che sta vivendo da tempo una fase parossistica densa di criticità, tensioni sociali e contrapposizioni, aggravate talvolta, da esasperazioni ideologiche, talaltra, dal coinvolgimento, in varie vicende, di diritti umani fondamentali, quale la stessa vita dei migranti.
  Proprio la delicatezza del contesto di riferimento e la conseguente complessità dell'attività comunicativa da porre in essere hanno portato questa amministrazione – e con ciò si risponde al primo quesito posto con l'interrogazione – a destinare la procedura comparativa alla specifica figura del giornalista professionista, in quanto dotata di esperienza e competenza consolidate e pluriennali.
  Si sottolinea che tale procedura è stata espletata nel pieno rispetto dei presupposti posti dall'ordinamento giuridico agli incarichi di lavoro autonomo nelle pubbliche amministrazioni, che – come noto – consistono nella straordinarietà ed eccezionalità delle esigenze da soddisfare, nell'alta qualificazione delle prestazioni richieste, nella carenza di personale idoneo all'interno dell'amministrazione, nella durata limitata e nell'oggetto circoscritto dell'incarico.
  Riguardo alla questione della gratuità dell'incarico, è evidente come non si sia trattato di una scelta dell'amministrazione, ma di una legittima soluzione da essa adottata giocoforza, in assenza di risorse finanziarie destinate specificamente alla remunerazione delle prestazioni di lavoro autonomo.
  Comunque, si fa presente che, a garanzia della legittimità della procedura comparativa, il bando aveva subordinato l'efficacia dell'incarico all'esito positivo del controllo preventivo da parte degli organi a ciò deputati.
  Si aggiunge, per completezza, che già in passato questa amministrazione aveva sperimentato la gratuità della prestazione proprio per un incarico identico a quello in esame, senza che gli organi deputati al controllo preventivo di legittimità avessero avuto nulla da eccepire sul contratto sottoposto al loro vaglio.
  Passando dagli aspetti giuridici della procedura ai suoi esiti concreti, si informa che sono state presentate complessivamente venticinque domande, di cui ventiquattro nel termine previsto dal bando e una fuori tempo massimo.
  Tali cifre testimoniano che diversi giornalisti hanno colto lo spirito dell'iniziativa e l'hanno considerata, indipendentemente da forme di retribuzione, un'importante opportunità di arricchimento professionale e umano, in un momento in cui l'immigrazione è un tema di grande rilievo e interesse lavorativo, culturale e mediatico.
  Al di là di questa considerazione, la procedura si è conclusa con un nulla di fatto, cioè senza il conferimento dell'incarico, in quanto nessuno dei candidati è risultato in possesso dei requisiti indicati nel bando.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, GRILLO, COLONNESE, MANTERO, NESCI e DI VITA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   già dal mese di luglio 2016 sul versante costiero del territorio ibleo, in particolare nella zona di Scicli, Modica, Pozzallo e Ispica, sono comparsi preoccupanti sintomi di malessere sulle piante di carrubo. Il sintomo visibile ad occhio nudo è rappresentato dalla secchezza diffusa di intere branche di rami;
   dopo una serie di attente analisi condotte da alcuni dottori agronomi, allertati da numerosi contadini sempre più preoccupati per il diffondersi del fenomeno, è stato possibile riuscire ad individuare e classificare l'insetto che sta generando questo danno. Si tratta di un coleottero, il cui nome volgare è «bostrico della vite» che attacca diverse essenze tra cui, oltre alla vite, il carrubo, l'olivo e svariate specie forestali;
   i danni provocati si evidenziano con profondi buchi nella corteccia degli alberi, dove ogni femmina matura deposita circa 20/30 uova. Alla schiusa delle uova, le larve formatesi si nutrono della parte midollare delle branche e dei rami, provocandone il totale disseccamento;
   essendo un insetto molto aggressivo, è necessario intervenire tempestivamente al fine di salvaguardare la specie arborea caratteristica del territorio ibleo;
   allo stato attuale non ci sono principi attivi autorizzati all'impiego sulla coltura per cui l'unico mezzo per poter controllare il fitofago rimane la soluzione agronomica, che consiste nell'effettuare una potatura delle parti colpite con l'immediata distruzione. Altra possibile soluzione secondo gli agronomi consiste nel porre «fasci di rametti esca» sul terreno nei mesi di marzo e aprile (periodo di svernamento degli adulti) per attrarre le femmine pronte ad ovidepositare. Questi fasci devono essere distrutti verso metà giugno, cioè prima della fuoriuscita degli adulti;
   a dire degli agronomi, queste soluzioni avrebbero sicuramente una certa efficacia, ma non risulterebbero risolutive del problema;
   si sta altresì manifestando una forte preoccupazione da parte dei produttori ispicesi per un virus, in parte già conosciuto, che sta distruggendo le coltivazioni di zucchine;
   il virus, che è arrivato in Sicilia nel 2015 e inizialmente non ha creato danni, adesso sta provocando la morte di quasi tutte le piantine delle serre;
   il virus si manifesta con uno accartocciamento della foglia verso il basso e il successivo ingiallimento a cui segue un blocco della crescita e la successiva morte della pianta. Come avviene per altri virus la sua trasmissione passa da pianta a pianta tramite un insetto vettore che si chiama «Bemisia tabaci» meglio nota come mosca bianca degli orti;
   il problema principale è la veloce diffusione del virus nelle campagne ispicesi, che sta annientando le coltivazioni e mandando in fumo sacrifici ed investimenti, oltre ovviamente a provocare frustrazione nei produttori locali;
   pare che il virus adesso stia attaccando anche altre specie orticole come peperoni, pomodori, patate e melanzane, anche se in maniera lieve e non paragonabile al danno provocato alle zucchine –:
   quali iniziative intendano intraprendere, per quanto di competenza, per bloccare immediatamente la grave infestazione che sta mietendo gli alberi di carrubo nel territorio ragusano e per salvaguardare la specie arborea caratteristica del territorio ibleo e l'intero paesaggio;
   se sia stata già avviata la ricerca del feromone specifico per catture massali e per bloccare la devastazione in atto;
   se sia stato identificato o sia stato avviato l’iter per identificare con esattezza il virus che sta distruggendo le coltivazioni di zucchine nel territorio ispicese e ibleo in generale;
   quali iniziative concrete intendano attivare, nell'immediato, per dare risposte a tutti gli operatori del settore agricolo, provati da questo grave fenomeno, e per tutelare il paesaggio del territorio ibleo, considerata la situazione davvero preoccupante e considerato altresì che l'economia del ragusano si basa proprio sull'agricoltura. (4-14555)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa ai danni procurati da parassiti alle piante di carrubo e di zucchine in Sicilia, sulla base degli elementi acquisiti dall'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), si rappresenta quanto segue.
  Il carrubo, il cui nome deriva dall'arabo « kharrub», è una pianta sempreverde, molto longeva, potendo superare anche i cinque secoli, e di grande taglia: riesce a raggiungere i 10-12 metri d'altezza, mentre il diametro della chioma spesso supera i 10 metri. La prima domesticazione del carrubo, appartenente alla famiglia delle leguminose, è avvenuta nel bacino orientale del Mediterraneo, ad opera dei greci, che poi la estesero in Sicilia. Gli arabi ne intensificano la coltivazione e la propagarono fino in Marocco e in Spagna.
  Attualmente la coltivazione del carrubo è diffusa nella Spagna meridionale e nelle Baleari, nel Portogallo, nelle coste settentrionali dell'Africa, nella Palestina, nel Libano e in Italia, soprattutto in Sicilia, che resta la regione italiana più ricca di carrubi. Nell'isola la coltivazione è concentrata nella fascia di territorio compresa fra le valli del Dirillo e dell'Anapo. Nella sola Provincia di Ragusa si trova il 72 per cento della superficie nazionale investita a carrubo, che fornisce il 70 per cento della produzione italiana e il 78 per cento di quella isolana. Ancora oggi, nonostante le frequenti estirpazioni per far posto alle colture intensive ed in serra, il carrubo domina quasi incontrastato e spesso, nei terreni più scoscesi, costituisce l'unica macchia di vegetazione. Le varietà di carrubo più diffuse in Sicilia sono la «Latinissima», la «Racemosa», la «Morescona», la «Saccarata» e la «Falcata». Nel ragusano operano ancora oggi una decina di aziende di trasformazione delle carrube, sia per uso zootecnico sia per uso alimentare o farmaceutico.
  Le parti più importanti del frutto (legume) del carrubo sono la polpa ed i semi. Dalla prima si possono ottenere diversi prodotti: uno di questi è uno sfarinato al 10 per cento di umidità, essiccato onde renderlo insilabile e scorrevole, pronto all'impiego immediato nella fabbricazione dei mangimi composti. Per quanto riguarda le sue proprietà dietetiche, con particolare riferimento al suo potere assorbente intestinale, questo prodotto è indicato con grande vantaggio in ogni regime speciale destinato al recupero di soggetti reduci da malattie infettive o da gravi disturbi del tratto digerente.
  Da qualche tempo sono segnalate, soprattutto nei comprensori di Scicli, Modica, Pozzallo e Ispica, in particolare sul versante costiero, disseccamenti diffusi sulle piante di carrubo, che interessano intere branche di rami. Alcuni entomologi hanno classificato Pinsetto che sta generando il danno. Si tratta del bostrico della vite (Sinoxylon perforans), un coleottero xilofago (cioè che si nutre di legno) e polifago, nel senso che attacca numerose piante arboree, sia fruttifere (vite, pomacee, drupacee, kaki, fico, olivo, carrubo, noce, ecc.) sia forestali (quercia, castagno, ecc.), generalmente su parti morte delle piante, inclusi i residui delle potature.
  Finora sono stati segnalati danni significativi sulla vite. Sui tralci delle viti e sui rami degli alberi in genere, la femmina dei bostrichi ricava da 3 a 6 gallerie. Dopo essere state fecondate, le femmine iniziano ad ovideporre fino a 150-180 uova di colore bianco, lisce e di forma allungata che vengono deposte in gruppetti di 20-60 elementi, all'interno delle escavazioni. L'incubazione dura fino a metà-terza decade di maggio poi si ha la fuoriuscita sulle piante delle piccole larve. Il danno è causato dall'azione meccanica di scavo delle gallerie all'interno dei rametti a cui si aggiunge la patogenicità di alcune specie di funghi come Fusarium solani. Anche altri parassiti fungini patogeni e batteri possono penetrare nei tessuti legnosi attraverso i fori di entrata, comportando stress fisiologici con conseguente declino che può divenire irreversibile con la morte della pianta.
  Riguardo alle iniziative volte a bloccare la grave infestazione che sta mietendo gli alberi di carrubo e per salvaguardare la specie arborea caratteristica del territorio ibleo e dell'intero paesaggio, si segnala che Ceratonia siliqua è una specie naturale indigena che nel suo areale può essere minacciata solo temporaneamente da nuovi infestanti come dimostra la sua permanenza nel corso dei millenni. Si ricorda che le esplosioni di infestanti dipendono spesso dalla mancanza di predatori e sono spesso conseguenti al degrado ambientale. La lotta contro il bostrico della vite è quasi esclusivamente di tipo agronomico, poiché è molto difficile raggiungere sia le larve che gli adulti che vivono all'interno delle gallerie del legno. La lotta agronomica si basa sulla rimozione dei tralci secchi e infestati e sulla rimozione e distruzione dei resti della potatura. E importante eliminare i vecchi tralci lasciati per dare sostegno a quelli nuovi. Altra pratica utile consiste nel posizionare, da metà aprile a metà maggio, dei fasci esca di rami e tronchetti di piccolo diametro sul terreno per attrarre le femmine pronte ad ovideporre. Tali fasci devono essere rimossi e bruciati verso metà giugno prima della fuoriuscita degli adulti.
  In relazione all'eventuale avvio di una ricerca del feromone specifico per catture massali e per bloccare la devastazione in atto, si afferma che l'impiego di feromoni è da diversi autori indicata come la forma più efficace di lotta e meno invasiva per l'ambiente in senso lato. Essa consiste nel posizionare apposite trappole di cattura contenenti il principio attivo Ips-dienol, un feromone sintetico, disponibile sotto forma di vari formulati commerciali.
  In merito all'identificazione o all'avvio di un iter per identificare con esattezza il virus che sta distruggendo le coltivazioni di zucchine nel territorio ispicese e ibleo in generale, si segnala che il servizio fitosanitario regionale di Ragusa, ha eseguito il prelievo di campioni dalle coltivazioni di zucchine nel territorio colpito per l'identificazione del virus. Il virus, favorito da condizioni climatiche caldo-umide, ha caratteristiche simili a quello chiamato Nuova Delhi e il vettore potrebbe essere la mosca bianca dell'orto Bemisia tubaci. Gli studi sono attualmente condotti dal dipartimento di scienze agrarie e forestali dell'Università di Palermo e dalla Bionat Italia (gruppo coordinato dal professor Salvatore Walter Davino).
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso, nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti degli enti territoriali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LOSACCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   tempo addietro un ragazzo nigeriano di 20 anni a Bisceglie ha sventato una rapina ai danni di un supermercato;
   un malvivente armato di coltello da cucina ha fatto ingresso nel supermercato di via Gentile in Bisceglie e minacciando la cassiera si è fatto consegnare l'incasso portando via anche il cassetto del registratore di cassa;
   il rapinatore salito su uno scooter ha cercato di fuggire, ma è stato prontamente inseguito dal ragazzo nigeriano;
   nella fuga è caduto il cassetto del registratore di cassa con il denaro e, fermatosi, il rapinatore è stato raggiunto dal ragazzo nigeriano con il quale è iniziata una colluttazione;
   il rapinatore è riuscito inizialmente a dileguarsi senza l'incasso recuperato dal cittadino nigeriano e grazie alla sua testimonianza è stato possibile risalire alla sua identità e ad arrestarlo; si trattava, tra l'altro, di un sorvegliato speciale ben noto alle forze dell'ordine;
   il ragazzo nigeriano sosta ogni giorno davanti al supermarket aiutando i clienti a trasportare la spesa per racimolare qualche euro per comprarsi da mangiare e ha rischiato la propria incolumità nell'inseguire il rapinatore;
   si è trattato di un gesto di grande coraggio che merita di essere segnalato alle autorità competenti;
   in base al comma 2 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992, n. 91, in materia di cittadinanza, è previsto che la cittadinanza italiana possa essere concessa con decreto del Presidente della Repubblica sentito il Consiglio di Stato previa deliberazione del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, allo straniero che abbia reso eminenti servizi all'Italia, o quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato;
   l'avvio della procedura non richiede un atto di impulso del soggetto interessato, ma necessita di una proposta avanzata da enti, personalità pubbliche, associazioni e altri sulla base di una ragionevole valutazione circa la sussistenza dei requisiti previsti;
   l'interrogante ritiene che, sulla scorta di quanto espresso in premessa sia possibile promuovere per il caso in questione una riflessione in merito a suddetto punto –:
   se non intendano valutare l'opportunità, sentito l'ufficio territoriale di Governo territorialmente competente, di avviare le procedure per la concessione della cittadinanza italiana al ragazzo nigeriano che ha sventato la rapina, in considerazione del coraggio dimostrato e della testimonianza di condivisione di valori di legalità che appartengono alla nostra comunità. (4-14815)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante ha inteso richiamare l'attenzione del Ministro dell'interno sulla tempestiva reazione con cui, nello scorso mese di gennaio, un giovane nigeriano ha sventato una rapina in danno di un supermercato di Bisceglie.
  Come riportato nel preambolo dell'atto, si è trattato effettivamente di un gesto di grande coraggio ed elevato valore civico, posto in essere disinteressatamente e con serio rischio della incolumità personale. D'altra parte, il gesto ha costituito anche una tangibile testimonianza di come il cittadino nigeriano abbia condiviso e fatto propri i valori di legalità della comunità nazionale.
  In relazione all'esemplarità e virtuosità di tale condotta, l'interrogante chiede che si valuti l'opportunità di conferire allo straniero la cittadinanza italiana, applicando la disposizione di legge che consente di concedere tale beneficio per gli eminenti servizi resi all'Italia o quando ricorra un eccezionale interesse dello Stato.
  Al riguardo, si rileva che la persona in questione corrisponde al signor Agho Osamodiamen, nato in Nigeria ventisei anni fa.
  Secondo quanto riferito dal comando provinciale dei carabinieri di Bari, il suo contributo in occasione della rapina sventata è stato, oltreché meritorio, anche determinante per l'arresto del rapinatore e il recupero della refurtiva.
  Nello scorso mese di ottobre, sulla base degli elementi acquisiti, la prefetta di Barletta-Andria-Trani ha espresso una valutazione positiva circa l'avvio della peculiare procedura di concessione della cittadinanza di cui all'articolo 9, comma 2, della legge n. 91 del 1992.
  E quindi – proprio nel senso auspicato dall'interrogante, il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione di questa Amministrazione ha avviato il complesso iter istruttorio di conferimento dello status civitatis, che, come noto, prevede diversi passaggi amministrativi e valutazioni ad alta discrezionalità.
  Per completezza, si rappresenta che il signor Osamodiamen, sbarcato nel porto di Napoli nell'ottobre 2014, è ospitato nella struttura «Villa San Giuseppe» di Bisceglie dal novembre dello scorso anno. Egli soggiorna nel territorio nazionale sulla base di un permesso di soggiorno rilasciatogli dalla Questura di Bari per «richiesta asilo» con scadenza 25 febbraio 017.
  Con provvedimento del 2 luglio 2015, la commissione territoriale di Foggia ha rigettato la sua istanza di riconoscimento della protezione internazionale, non ravvisando i presupposti neanche per la concessione della protezione umanitaria.
  Avverso tale diniego l'interessato ha proposto ricorso al tribunale di Bari, instaurando un procedimento civile, la cui udienza si terrà il prossimo 5 dicembre.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   ANDREA MAESTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 16 dicembre 2015, l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) ha presentato l'XI rapporto sulla «Qualità dell'ambiente urbano», ove sono stati analizzati i dati relativi a 12 nuove città e 85 comuni, in prevalenza capoluoghi di provincia, con popolazione superiore ai 40.000 abitanti e i capoluoghi delle regioni italiane;
   fra i temi tipicamente «urbani» trattati dal rapporto risulta particolarmente importante quello relativo al consumo di suolo, perché fortemente interconnesso con le maggiori criticità ambientali delle città e dei territori italiani: dissesto idrogeologico, rischio di erosione e perdita di biodiversità, ma anche alterazione dei cicli bio-geochimici e della relazione suolo-atmosfera;
   secondo l'Ispra, in Europa si perdono ogni ora undici ettari di terreno, giungendo in Italia ad un consumo doppio rispetto alla media europea che è pari a circa 6-7 metri quadrati al secondo, mentre in Italia si aggira attorno ai 20 e i 25 ettari ogni ora;
   il comune con il valore più alto di suolo consumato pro-capite è risultato quello di Ravenna che ha raggiunto valori incredibilmente superiori a quelli medi, ovvero superiori ai 500 metri quadrati ad abitante. Un primato negativo che si inserisce in uno scenario nazionale alquanto allarmante, soprattutto perché si registra per l'anno 2015, che è stato proclamato dalle Nazioni Unite come «Anno Internazionale del Suolo»;
   sulla base dei dati diffusi dall'Ispra, il territorio ed il suolo di Ravenna sono consumati ad una velocità pari a quella di una metropoli: la superficie consumata totale è pari a circa 9 mila ettari l'anno, un valore ben al di sotto dei 33 mila di Roma, ma quasi pari a grandi città come Milano e Torino, seconde nella graduatoria nazionale con 11 mila ettari totali «bruciati»;
   sempre secondo il apporto, a Ravenna spetta anche la maglia nera regionale del consumo di suolo totale, dato che Ferrara si ferma a 6.500 ettari, Bologna a 5 mila, mentre Forlì e Rimini non vanno oltre i 3 mila;
   nel apporto, il concetto di consumo di suolo è definito come una variazione da una copertura non artificiale naturale o seminaturale (suolo non consumato), a una copertura artificiale del suolo (suolo consumato). La copertura artificiale è quindi data dal «crescente insieme di aree coperte da edifici, capannoni, strade asfaltate o sterrate, aree estrattive, discariche, cantieri, cortili, piazzali e altre aree pavimentate o in terra battuta, serre e altre coperture permanenti, aeroporti e porti, aree e campi sportivi impermeabili, ferrovie ed altre infrastrutture, pannelli fotovoltaici e tutte le altre aree impermeabilizzate, non necessariamente urbane. Tale definizione si estende, pertanto, anche in ambiti rurali e naturali ed esclude, invece, le aree aperte naturali e seminaturali in ambito urbano» (Ispra, 2013);
   per combattere l'uso indiscriminato di suolo, ad avviso dell'interrogante, è necessario quindi, intervenire sul fronte della pianificazione urbanistica, limitando l'espansione di nuova superficie urbanizzata con la valorizzazione delle aree già edificate, attraverso quindi il recupero e la riqualificazione del patrimonio esistente, resi però difficili da diversi fattori, come ad esempio la lenta burocrazia e i costi altissimi che rendono spesso più conveniente la costruzione di un nuovo immobile, anziché la sistemazione dell'esistente;
   negli ultimi 25 anni, l'Italia ha perso il 28 per cento delle campagne proprio per colpa della cementificazione e dell'abbandono dell'esistente, provocati da un modello di sviluppo sbagliato, che al recupero dell'esistente ha preferito, spesso, per meri fini speculativi, consumare superficie «naturale»;
   è questo anche il caso della città di Ravenna che, anche durante gli anni della «crisi del mattone», si è infatti allargata con nuove edificazioni, inglobando quella che era superficie naturale e campagna ad un ritmo sempre più sfrenato, nonostante i proclami dell'amministrazione comunale sul «consumo di suolo zero» e i dati del censimento del 2011, dove già risultavano presenti 69.989 unità immobiliare attive occupate e 20.254 non occupate (il 23 per cento del totale);
   inoltre, secondo un'analisi condotta da opendata, ricavata dai dati diffusi dal rapporto dell'Ispra sopra richiamato, per il 2015, la provincia di Ravenna risulta essere quella con la minor spesa per la manutenzione del territorio;
   scelte politiche sbagliate, hanno portato il comune di Ravenna, oltre che ad un ampliamento sfrenato dell'urbanizzazione, alla riduzione graduale della capacità di ritenzione idrica dei terreni, rendendoli più fragili e vulnerabili di fronte agli eventi atmosferici estremi dovuti ai cambiamenti climatici e quindi, ad un peggioramento del dissesto idrogeologico del territorio, come mostrano i sempre più frequenti stati di emergenza;
   dal 6 marzo 2014 ancora risulta fermo, in corso di esame nelle Commissioni ambiente e agricoltura della Camera il disegno di legge n. 2039 recante «contenimento del consumo del suolo e riuso del suolo edificato», pensato dal Governo per difendere il territorio e combattere il dissesto idrogeologico –:
   alla luce dei dati allarmanti diffusi dal rapporto dell'Ispra, se il Governo, in attesa di una legge nazionale sul consumo del suolo e di politiche dirette a favorire il recupero dell'esistente, non intenda assumere iniziative normative urgenti per arginare la perdita vertiginosa di suolo naturale e, alla luce di quanto emerso dal rapporto di cui in premessa, nell'ambito delle sue competenze, se non ritenga opportuno verificare i motivi dei tristi primati summenzionati. (4-11727)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al fenomeno del consumo del suolo, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si riporta che il fenomeno del consumo del suolo, che in Italia è a livelli molti elevati, e la necessità di contrastarne il progressivo degrado, hanno portato negli ultimi anni alla presentazione di numerose proposte normative.
  I testi presentati tengono conto delle problematiche causate da un eccessivo consumo di suolo, che non sono solo quelle legate al rischio idrogeologico, ma anche della tutela delle aree agricole, della biodiversità e della produttività, in quanto le variazioni d'uso possono generare processi degenerativi che limitano o inibiscono totalmente la funzionalità del suolo e che spesso diventano evidenti solo quando sono irreversibili, o in uno stato talmente avanzato da renderne estremamente oneroso ed economicamente poco vantaggioso il ripristino (Ispra 2015).
  Per quanto concerne la questione posta dall'interrogante, si sottolinea come il consumo di suolo legato all'occupazione di superficie originariamente agricola, naturale o seminaturale, con l'incremento della copertura artificiale e con l'impermeabilizzazione (soil sealing), influisca negativamente sull'equilibrio del territorio, sui fenomeni di dissesto, erosione e contaminazione, sui processi di desertificazione.
  In particolare, il disegno di legge in materia di contenimento del consumo e riuso del suolo edificato (A.S. 2383), riconosce l'importanza del suolo come bene comune e risorsa non rinnovabile, fondamentale per i servizi eco sistemici che produce, anche in funzione della prevenzione e della mitigazione degli eventi di dissesto idrogeologico e delle strategie di adattamento ai cambiamenti climatici.
  Il testo impone, altresì, l'adeguamento della pianificazione territoriale, urbanistica e paesaggistica vigente alla regolamentazione proposta e coinvolge competenze degli enti territoriali.
  Nelle more dell'approvazione del disegno di legge predetto, non contemplando il decreto legislativo n. 152 del 2006 gli aspetti relativi al consumo del suolo legati al suo uso improprio ed alla possibile ricaduta sul fenomeno del dissesto (ad esempio attraverso una riduzione dei tempi di corrivazione dovuta all'impermeabilizzazione di ingenti porzioni del territorio) l'unica disciplina dell'uso del territorio legata alle problematiche del dissesto è quella contenuta negli atti di pianificazione delle autorità di bacino/distretto e nelle forme di attuazione ad essi relativi.
  Sull'argomento, la regione Emilia-Romagna, consapevole del fenomeno del consumo di suolo che ha investito il suo territorio, ha assunto l'obiettivo del consumo di suolo a saldo zero per il 2050 come elemento fondante per la nuova legge regionale sul governo del territorio, ad oggi in fase di elaborazione, e già dal 2014 ha messo in campo un sistema proprio di monitoraggio regionale del consumo di suolo.
  Questo sistema di monitoraggio fornisce dati di dettaglio sulle tipologie di consumo di suolo e consente una relazione con il sistema di pianificazione comunale, conteggiando entro il suolo consumato tutte quelle aree urbanisticamente destinate ad usi urbani (comprese, ad esempio, le aree permeabili in ambito urbano destinate a parco).
  Sulla base del sistema di monitoraggio regionale, secondo quanto riferito dalla Regione Emilia-Romagna, si forniscono alcuni elementi relativi alla situazione del comune di Ravenna.
  In via preliminare, è stato sottolineato dalla stessa regione che tutti i dati e le statistiche sul consumo di suolo risentono intrinsecamente dell'unità territoriale sulla quale vengono calcolati, nel caso in oggetto, il territorio comunale. Ogni comparazione tra città deve essere, perciò, interpretata anche alla luce delle differenze in termini di estensione e caratteristiche dei diversi territori comunali.
  Nello specifico, il comune di Ravenna, con una superficie territoriale superiore ai 650 chilometri quadrati, è il secondo comune più esteso d'Italia, dopo quello di Roma, che però è caratterizzato da una conurbazione metropolitana ben diversa da quella ravennate (dati Istat 2011), e supera di molto ogni altro capoluogo provinciale della Regione Emilia-Romagna.
  Per tener conto di questa singolarità, il dato sul consumo totale di suolo va interpretato rapportandolo a quello di intensità di consumo rispetto all'estensione del comune. Nel caso di Ravenna la percentuale di suolo consumato riferita all'intera superficie comunale è solo dell'8,2 per cento, valore più basso di tutte le città della regione Emilia-Romagna, e tra i minori nel contesto nazionale (dati Ispra 2015).
  Anche il valore sul suolo consumato pro-capite risente dell'estensione territoriale del comune che ricomprende non solo la conurbazione della città di Ravenna, ma anche una vasta parte di territorio caratterizzata dalla presenza di insediamenti di medio-piccole dimensioni e da un urbanizzato sparso, tipico dei comuni di pianura. A differenza dei maggiori centri urbani, tali contesti sono caratterizzati da una minore densità abitativa, da una maggiore presenza di fabbricati, spesso rurali, non utilizzati e di infrastrutture extraurbane. Registrano, perciò, un consumo di suolo pro-capite mediamente più alto rispetto ai capoluoghi di provincia emiliano-romagnoli, nei quali si concentra il 25 per cento del consumo di suolo totale, ma il 36 per cento della popolazione regionale (dati del monitoraggio del consumo di suolo della regione Emilia-Romagna).
  Inoltre, altro aspetto non trascurabile è la presenza sul territorio ravennate degli insediamenti e delle infrastrutture legate al sistema portuale e del polo industriale di rango nazionale.
  Infine, si segnala che alcune regioni, negli ultimi anni, hanno emanato leggi dirette a tutelare il suolo ed hanno ritenuto indispensabile inserire il controllo dell'impermeabilizzazione e la riduzione del consumo di suolo tra i parametri che devono guidare l'espansione e la trasformazione del tessuto urbano.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato nonché a svolgere un'attività di monitoraggio sulla materia in questione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da 26 anni i cittadini della città di Augusta attendono la realizzazione di un impianto di depurazione e di un collettore fognario efficiente che scarichi le acque reflue in un depuratore. Nonostante ciò ormai da anni i cittadini pagano un canone di depurazione che grava sulla bolletta dell'acqua;
   Augusta è ancora senza sistema di depurazione delle acque nonostante sia una città di circa 40 mila abitanti e rappresenti il centro più importante della provincia di Siracusa, ma anche del bacino del Sud-Est, dato confermato anche dal recente riconoscimento insieme con Catania per la Port Authority. Nonostante ciò nelle acque dei suoi 14 chilometri di litorale finiscono ben 31 scarichi fognari;
   il 26 marzo 2015 la Commissione europea ha inviato un «Parere motivato» all'Italia per violazioni sistematiche degli obblighi UE, sul miglioramento della raccolta e il trattamento delle acque reflue in una ventina di regioni tra le quali la Sicilia. In seguito al sollecito dell'Unione europea, nel mese di luglio 2015, il Presidente della Regione siciliana, su proposta del Governo nazionale, ha nominato l'allora assessore regionale del Territorio e Ambiente Vania Contraffatto, Commissario per i lavori di realizzazione del collettore fognario di Augusta, con il compito di completare l’iter per la dotazione di un sistema di depurazione. La nuova sanzione dell'Unione europea, pronta ad abbattersi sulla Regione Sicilia per questa inadempienza ammonta a 185 milioni di euro, se non verranno presi provvedimenti entro il 2016;
   l'urgenza di un commissario ad acta era stata ribadita da Presidente del Consiglio dei ministri già dal febbraio precedente, in seguito a una riunione sugli impianti di depurazione per la Sicilia e all'esistenza di una ingente somma inutilizzata, messa a disposizione dal Cipe (deliberazione 60/2012) che, per il superamento delle infrazioni europee, aveva stanziato 1,6 miliardi di euro per 183 opere urgentissime per reti fognarie e depuratori nel Sud Italia. Di questi, 1,1 miliardi assegnati alla Sicilia per 93 opere. Per il comune di Augusta erano destinati oltre 30 milioni di euro per la realizzazione del collettore fognario e previsti ben 12 interventi, con l'obiettivo precipuo di raccogliere e depurare tutti i reflui generati dal centro urbano di Augusta, dall'agglomerato urbano di Montetauro, dalla ex frazione di Brucoli e dalla ex frazione di Agnone Bagni. La nomina di un commissario era urgente anche per evitare che si verificasse una nuova pesante sanzione come nel 2012: all'epoca la Corte di giustizia dell'Unione europea aveva condannato 57 comuni siciliani (27 completamente sprovvisti di reti fognarie) per non aver rispettato gli articoli 3, 4 e 10 della Direttiva 91/271/CEE sul trattamento delle acque reflue urbane;
   la nomina del Commissario Contraffatto era stata vista positivamente dalla comunità augustea anche perché, oltre ad allontanare il rischio di una nuova procedura di infrazione europea, dopo decenni di attesa, faceva ben sperare nella realizzazione in tempi rapidi di un impianto di depurazione delle acque reflue, con tutto ciò che avrebbe comportato in termini di bonifica della rada del porto di Augusta e di mitigazione di rischio ambientale ed igienico-sanitario di un territorio già «provato» dalla vicinanza del Polo Petrolchimico Augusta-Priolo-Melilli. Avrebbe dato, inoltre, opportunità per centinaia di nuovi posti di lavoro;
   il 2 agosto 2015 viene pubblicata la notizia della decisione del commissario Contraffatto di far partire come prioritari i progetti di Augusta e di Misterbianco. L'articolo prosegue aggiungendo che «L'amministrazione Di Pietro – il sindaco di Augusta – con il sostegno di tutta la deputazione regionale, nazionale ed europea, ha il compito di seguire l’iter che negli ultimi giorni ha avuto un impulso»;
   visti i gravi ritardi dell'Italia nel rispetto della direttiva 91/271/CEE, il 15 dicembre 2015 la Commissione europea ha comunicato al Governo italiano la sua intenzione a breve di propone alla Corte di giustizia europea l'importo di ulteriori sanzioni che l'Italia dovrà pagare, non avendo ancora risolto i problemi accertati dalla sentenza di condanna del 2012 («Inadempimento di uno Stato — Direttiva 91/271/CEE — Trattamento delle acque reflue urbane — Articoli 3, 4 e 10 — Rete fognaria Trattamento secondario o equivalente — impianti di trattamento — Campioni rappresentativi»);
   ad aprile 2016, da fonti di stampa si è appreso che «il Ministero dell'Economia vuole far pagare a 12 comuni siciliani le mesci multe comminate all'Italia dall'Unione europea per non avere effettuato le bonifiche delle discariche e la depurazione delle acque reflue. A causa dei mancati interventi a giugno 2015 era scattata la prima penale da 2,4 milioni di euro e a dicembre ne è arrivata un'altra di pari importo. Quindi la sanzione complessiva è di 4,8 milioni di euro che adesso il Governo nazionale vuole addebitare ai Comuni di Augusta, Priolo, San Filippo del Mela, Cammarata, Siculiana, Racalmuto, Leonforte, Paternò, Monreale, Mistretta e Cerda»;
   dalla nomina del commissario Contraffatto ad oggi ad Augusta non sono stati ancora avviati i lavori di realizzazione del collettore fognario e, da voci non confermate, si ritiene che l'allaccio della città di Augusta al depuratore non risulti percorribile;
   a gennaio 2016 viene pubblicata la notizia secondo la quale a comune di Augusta «dichiara di non avere ricevuto alcuna comunicazione da parte del Commissario, se non quella riguardante il verbale della riunione in cui si è notificato l'insediamento del nuovo Commissario, tra l'altro l'unica volta in cui l'assessore Contraffatto si è recata nel comune del Siracusano. Nonostante i fondi per il sistema – di depurazione siano accantonati da tempo così come sono pronti i relativi progetti, la realizzazione dell'opera è inspiegabilmente bloccata e non si prevedono tempi brevi» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa e, se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare in che modo siano stati utilizzati fondi statali stanziati per gli scopi narrati in premessa e per evitare l'irrogazione di sanzioni da parte dell'Unione europea. (4-13271)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  Nel settore del collettamento e della depurazione, con la delibera n. 60 del 30 aprile 2012, il Cipe ha assegnato alle regioni Campania, Basilicata, Puglia, Calabria, Sicilia e Sardegna 1.776.000.000 di euro finalizzati alla realizzazione di 183 interventi. Tali interventi hanno rilevanza strategica in quanto, oltre a risolvere situazioni ambientali critiche, consentono all'Italia di uscire dalle procedure di infrazione in materia di trattamento delle acque reflue.
  In particolare, per quanto riguarda la regione Siciliana, la predetta delibera ha messo a disposizione risorse per un ammontare complessivo di euro 1.161.020.472,14, per la realizzazione di n. 96 interventi.
  Il 30 gennaio 2013, in attuazione della citata delibera Cipe è stato sottoscritto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, dal Ministero dello sviluppo economico, e dalla regione siciliana, l'accordo di programma quadro «Depurazione delle acque reflue», che ha individuato quali soggetti attuatori degli interventi i comuni e in alcuni casi il soggetto al quale è stato affidato il governo del servizio idrico integrato, nonché stabilito un cronoprogramma di realizzazione degli stessi.
  Considerato che per molti interventi si sono riscontrate difficoltà nell'avanzamento delle fasi procedurali di realizzazione, per dare tempestiva esecuzione alle sentenze di condanna della Corte di giustizia europea per violazione della direttiva 91/271/CE, la Presidenza del Consiglio dei ministri, con propria determina ha avviato il procedimento di commissariamento, ai sensi dell'articolo 7, comma 7 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito con legge 11 novembre 2014, n. 164.
  Con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 5 giugno 2015 è stato nominato commissario straordinario per la progettazione, l'affidamento e la realizzazione dei lavori relativi agli interventi da eseguirsi nel comune di Augusta la dottoressa Vania Contrafatto, assessore regionale dell'energia e dei servizi di pubblica utilità.
  In merito all'attività commissariale svolta per gli interventi riguardanti il comune di Augusta, sulla base delle informazioni fornite dal commissario straordinario, si rappresenta quanto segue.
  Nello stesso comune sono previsti 12 interventi, il cui costo complessivo, previsto, in APQ, è pari a euro 37.677.047,89, con la copertura finanziaria assicurata per euro 33.034.575,47 a carico della citata delibera Cipe n. 60 del 2012 e per euro 4.642.472,42 a carico del gestore del servizio idrico integrato, la cui concessione è ad oggi scaduta ed è in corso la procedura fallimentare.
  Si è proceduto comunque ad un'analisi istruttoria preliminare sui progetti sopra richiamati verificando anche la distribuzione dei carichi inquinanti rispetto agli agglomerati presenti nel comune di Augusta, al fine di individuare gli interventi direttamente funzionali al superamento dell'infrazione in corso.
  Dalla suddetta analisi è emerso che i 12 interventi sopra richiamati derivano da una frammentazione artificiosa delle opere, oggi non ritenuta razionale, che in realtà dal punto di vista funzionale costituiscono sostanzialmente due interventi:
   a) opere fognarie e depurative a servizio degli agglomerati di Augusta (comprendente il centro abitato, Isola e Borgata, e la zona di Monte Tauro) e di Augusta – Brucoli;
   b) opere fognarie e depurative a servizio dell'agglomerato Augusta – Agnone.

  Inoltre, fra le opere di cui al punto a) sono distinguibili le opere che realizzano l'intercettazione degli scarichi a mare attuali del centro Isola e Borgata, l'adduzione degli stessi al depuratore di punta Cugno, e il relativo potenziamento (blocco A.1) e le opere che realizzano la fognatura ed il collettamento delle acque reflue provenienti dalle zone meno densamente abitate di Monte Tauro e turistiche di Brucoli, verso il depuratore di Punta Cugno (blocco A.2).
  Il blocco degli interventi A.1 si configura come quello che principalmente contribuisce al conseguimento dell'obiettivo sopra declinato ma la sua funzionalità è condizionata da manufatti previsti all'interno di un precedente appalto, gestito dal comune di Augusta con finanziamento regionale e comunale che, o non sono stati mai realizzati (stazione di sollevamento P0), ovvero sono stati realizzati in parte e presentano forti criticità in merito alla possibile utilizzabilità (collettore emissario da P0 all'impianto di Punta Cugno), ovvero sono stati realizzati e successivamente vandalizzati (impianto di Punta Cugno).
  A tal riguardo, nel dicembre 2015 il dipartimento ambiente della regione siciliana ha comunicato al commissario straordinario che parte delle opere depurative e fognarie finanziate dallo stesso ente al comune di Augusta ed oggetto del suddetto appalto sono state dichiarate non collaudabili.
  Gli altri interventi (blocco A.2 e B), oltre a fornire un contributo minore all'obiettivo di intercettazione e depurazione di reflui, presentano parametri di costo elevato anche in ottica gestionale e, comunque, devono essere meglio coordinati con le scelte urbanistiche del comune di Augusta in quanto interessano aree a forte presenza di edifici non in regola dal punto di vista urbanistico.
  Gli esiti dell'analisi istruttoria effettuata sono stati formalizzati nel «documento di programmazione generale degli interventi di Augusta» (DdPG), sottoposto all'esame dell'unità tecnica specialistica del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, prendendo atto della criticità finanziaria evidenziata, ulteriormente aggravata da quanto comunicato dal dipartimento ambiente della regione siciliana circa le opere dichiarate non collaudabili, ha ritenuto prioritario l'intervento strettamente funzionale al superamento della procedura di infrazione in corso ed ha condiviso la necessità di redigere un progetto generale degli interventi funzionali al superamento delle criticità del sistema fognario e depurativo del Comune di Augusta in modo da avere un quadro complessivo dei fabbisogni finanziari.
  Sulla scorta di quanto evidenziato la struttura tecnica di supporto al commissario ha redatto un «progetto generale» degli interventi funzionali al superamento delle criticità del sistema fognario e depurativo del comune di Augusta determinando, per il solo intervento strettamente funzionale al superamento della procedura di infrazione in corso, che corrisponde agli interventi identificati dai codici ID. 33344, 33490, 33491, 33533, 33534, 33535, 33536, 33537, 33540, un fabbisogno finanziario pari a euro 47.000.000,00; inoltre viene confermato il fabbisogno finanziario individuato con gli interventi previsti nell'APQ per gli agglomerati di Augusta-Agnone, (identificati dai codici ID. 33538, 33539) e Augusta-Brucoli (identificato con l'intervento ID. 33532).
  Sulla base dei dati forniti dalla segreteria tecnica istituita per dare supporto alle attività del commissario straordinario, si fa presente che la stessa ha avviato le attività per redigere il progetto di fattibilità tecnico- economica (preliminare) degli interventi: ha svolto la ricognizione sul territorio ed ha definito un piano di indagini e verifiche di stato di consistenza, videoispezione e prove idrauliche su condotte esistenti, propedeutiche alla progettazione preliminare. Si procederà quindi, con apposita gara, all'affidamento dei servizi per attuare il suddetto piano, i cui esiti consentiranno di redigere il progetto preliminare che si prevede di portare in conferenza di servizi (anche in relazione alla presenza di opere all'interno del SIN di Priolo) entro il mese di marzo 2017.
  Successivamente, si potrà procederà a bandire le gare per l'acquisizione dei servizi di progettazione per conseguire il livello «definitivo/esecutivo» al fine di procedere, secondo quanto previsto dal nuovo codice degli appalti (decreto legislativo n. 50 del 2016), alla gara per l'appalto dei lavori sulla base della progettazione esecutiva.
  Si prevede di affidare i servizi di progettazione esecutiva entro il mese di giugno 2017, di giungere all'approvazione del progetto esecutivo entro il mese di ottobre 2017 e di potere affidare i lavori entro il mese di febbraio 2018, con ultimazione nell'aprile del 2019.
  Per il raggiungimento della conformità dell'agglomerato, stante la realizzazione degli interventi prioritari, la data presunta, è luglio 2019.
  Della questione sono interessate anche altre amministrazioni, pertanto, qualora dovessero pervenire nuovi elementi, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle considerazioni suesposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio nonché un'azione di sollecito nei confronti dei competenti soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI, CANCELLERI, CURRÒ, DI BENEDETTO, DI VITA, D'UVA, GRILLO, LOREFICE, LUPO, MARZANA, NUTI, RIZZO e VILLAROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che: –
   in base alla Direttiva europea 1999/31/CE, nelle discariche non possono essere smaltiti rifiuti non trattati, e la separazione dei rifiuti destinati agli invasi deve consistere in processi che, oltre a modificare le caratteristiche dei rifiuti allo scopo di ridurne il volume o la natura pericolosa e di facilitarne il trasporto o favorirne il recupero, abbiano altresì l'effetto di evitare o diminuire nel miglior modo possibile ripercussioni negative sull'ambiente nonché rischi per la salute umana;
   la direttiva 1999/31/CE – recepita in Italia con il decreto legislativo 13 gennaio 2003, n. 36, ed attuata con il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio 3 agosto 2005 – individua come biodegradabile qualsiasi rifiuto che per natura subisce processi di decomposizione aerobica o anaerobica, quali, ad esempio, rifiuti di alimenti, rifiuti dei giardini, rifiuti di carta e di cartone;
   ad esito del trattamento meccanico biologico – che viene utilizzato diffusamente come forma di pretrattamento di rifiuti urbani indifferenziati prima dello smaltimento in discarica – i rifiuti presentano, in molti casi, valori dell'Indice di respirazione dinamico ben più alti di 1.000 mg O2/kg SV/h, che rappresenta il valore di riferimento proposto a livello europeo per non considerare biodegradabile il rifiuto trattato;
   con la circolare U.prot.GAB-2009-0014963 del 30 giugno 2009, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha fornito delle indicazioni in merito alle forme di trattamento dei rifiuti, includendo la trito vagliatura tra quelle idonee a soddisfare gli obblighi contenuti nella normativa comunitaria di riferimento;
   il 6 agosto del 2013, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha inviato a tutte le regioni e alle province autonome di Trento e Bolzano una circolare avente per oggetto «termine di efficacia della circolare del Ministro dell'ambiente U.prot.GAB-2009-0014963 del 30 giugno 2009», all'interno della quale viene precisato – in base a quanto asserito dalla Commissione nel parere motivato della Commissione europea (prot. 9026 del 1° giugno 2012) e nel ricorso depositato il 13 giugno 2013 contro la Repubblica Italiana (registro della Corte numero causa C 323/13) – che la trito vagliatura, pur rappresentando un miglioramento della gestione dei rifiuti indifferenziati, non può soddisfare, da sola, l'obbligo di trattamento previsto dall'articolo 6, lettera a) della direttiva 1999/31/Ce;
   in quell'occasione il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha dichiarato che «con questa circolare viene definitivamente chiarito quali sono i trattamenti necessari per il conferimento dei rifiuti in discarica dove non potrà arrivare mai più il cosiddetto “tal quale”, anche se sottoposto a trito vagliatura»;
   con la stessa circolare del 6 agosto del 2013 il Ministero ha invitato le regioni e le province autonome a osservare le precisazioni fornite, e ad adottare le iniziative conseguenti e necessarie al fine di assicurare il pieno rispetto degli obiettivi stabiliti dalle norme comunitarie; in base ai dati del Rapporto dei Rifiuti Urbani 2013, a cura dell'ISPRA, risulta che in Sicilia, per l'anno 2012, la quota percentuale rifiuti oggetto di raccolta differenziata è pari al 13.3 per cento;
   nello stesso documento vengono riportate le quantità complessive dei rifiuti conferiti negli invasi di Sciacca (AG), Siculiana (AG), Gela (CL), Catania (CT), Motta Sant'Anastasia (CT), Enna (EN), Mazzara Sant'Andrea (ME), Castellana Sicula (PA), Palermo (PA), Ragusa (RG), Augusta (SR), Campobello di Mazzara (TP), Trapani (TP), distinguendo la parte smaltita come tal quale e quella pretrattata;
   rispetto all'anno 2013 non si sono riscontrati né aumenti significativi di raccolta differenziata né tantomeno si è provveduto alla costruzione e alla messa in esercizio di impianti di trattamento a servizio della raccolta dell'indifferenziato;
   dopo la scadenza della dichiarazione dello stato di emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani nella regione siciliana il capo del dipartimento della protezione civile ha adottato l'ordinanza n. 148/2014, in base alla quale spetta alla regione siciliana subentrare alle strutture del commissario delegato, e coordinare le attività necessarie al completamento degli interventi e al proseguimento, in regime ordinario, delle iniziative in corso da eseguire per fronteggiare l'emergenza in questione –:
   se sia a conoscenza del fatto che, in Sicilia, 1.188.632 tonnellate di rifiuti, pari al 58,8 per cento del totale nel 2012, sono state smaltite – in palese violazione della direttiva europea 1999/31/CE – senza essere sottoposte ad alcuna forma di pretrattamento;
   se risulti che il commissario delegato pro tempore per l'emergenza nel settore dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani nella regione siciliana, dottor Marco Lupo, ovvero la regione siciliana – subentrata al commissario delegato allo scadere dello stato di emergenza – abbiano provveduto ad adeguare il sistema di trattamento e conferimento in discarica dei rifiuti, rispetto alle precisazioni fornite con la circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 6 agosto 2013;
   se e in che modo – nella fase di transizione dalla gestione commissariale disciplinata dalla richiamata Ordinanza n. 148/2014 – intenda procedere perché vengano adottate tutte le misure necessarie ad assicurare che la quantità di rifiuti raccolti e conferiti, senza alcun trattamento, nelle discariche presenti in Sicilia, venga tempestivamente azzerata, in ottemperanza agli obblighi imposti dall'articolo 6, lettera a) della direttiva 1999/31/Ce, così come precisato dalla circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare richiamata in premessa. (4-04217)


   MANNINO, MICILLO, TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente dei Consiglio dei ministri del 9 luglio 2010 è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della regione siciliana in materia di gestione dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi;
   contestualmente alla dichiarazione dello stato di emergenza, il presidente della regione siciliana è stato nominato commissario delegato con il compito di predisporre l'adeguamento del piano regionale di gestione dei rifiuti;
   il piano doveva essere adottato d'intesa con il dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio dei ministri e, successivamente, approvato dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'11 luglio 2012 il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro-tempore ha approvato con proprio decreto piano di gestione dei rifiuti della regione siciliana, invitando contestualmente il commissario delegato a effettuare la procedura di valutazione ambientale strategica (VAS);
   si sottolinea che il precedente 4 giugno 2012 era stata inviata al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la richiesta della Commissione europea di informazioni riguardo lo stato dei predetto piano (Caso EU PILOT 6582/ENVI), in particolare, con detta nota venivano richieste le seguenti informazioni: il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di approvazione del piano di gestione dei rifiuti; l'espletamento della valutazione di incidenza ambientale (VINCA) nel corso del procedimento di approvazione del piano di gestione dei rifiuti; l'espletazione della valutazione ambientale strategica (VAS) successivamente all'approvazione del piano di gestione dei rifiuti della regione siciliana da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare; gli atti autorizzativi per tutti gli impianti compresi nel Piano regionale e lo stato di realizzazione degli stessi; l'espletamento della valutazione di incidenza per tutti gli impianti compresi nel piano che ricadono o si trovano nelle vicinanze dei siti Natura 2000; l'espletamento della VIA per tutti gli impianti compresi nel piano regionale; il rispetto delle direttive VIA, VAS, IED, habitat, discariche, 2008/98/CE per quanto concerne il progetto di discarica in c.da Timpazzo nel comune di Gela e l'impianto di trattamento meccanico biologico; il rispetto delle VIA, VAS, IED, Habitat, Discariche, 2008/98/CE per quanto concerne il progetto di discarica di Bellolampo (PA);
   gli elementi di risposta forniti non hanno, tuttavia, soddisfatto le richieste della Commissione europea la quale ha richiesto allo Stato italiano le seguenti ulteriori informazioni: chiarire se il piano è stato sottoposto a valutazione di incidenza ambientale; chiarire i motivi per cui il piano non riporta le interferenze con i siti Natura 2000; trasmettere copia del parere di chiusura della VAS; trasmettere informazioni circa il calendario di aggiornamento del piano sulla base delle prescrizioni della VAS; fornire le informazioni sugli impianti in esercizio e quelli non ancora realizzati; trasmettere l'atto autorizzativo, lo studio di incidenza, lo studio di impatto ambientale della discarica di Timpazzo nel comune di Gela e dell'impianto TMB, trasmettere l'atto autorizzativo, lo studio di incidenza, lo studio di impatto ambientale della piattaforma ma integrata di Cozzo Voturo nel comune di Enna; trasmettere l'atto autorizzativo, lo studio di incidenza, lo studio di incidenza, lo studio di impatto ambientale della piattaforma integrata di Pace nel comune di Messina; trasmettere l'atto autorizzativo, lo studio di incidenza, lo studio di impatto ambientale della piattaforma integrata di c.da Borranea nel comune di Trapani;
   rispetto alla prima nota di chiarimenti la Commissione europea ha ampliato molto lo spettro delle contestazioni e delle richieste formulate;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 28 maggio 2015, ha firmato un decreto ministeriale attraverso il quale ha espresso parere favorevole sulla proposta di piano regionale per la gestione dei rifiuti della regione siciliana e sul relativo rapporto ambientale a condizione che, nella stesura dell'aggiornamento del piano di gestione dei rifiuti in Sicilia, già avviata e nel relativo rapporto ambientale, siano tenute in considerazione le osservazioni e prescrizioni riguardanti: paesaggio, biosfera e habitat, geosfera (suolo e sottosuolo), atmosfera, idrosfera (ambiente idrico) e coerenza degli interventi con il piano di tutela acque Sicilia, rifiuti, obiettivi ambientali, coerenza interna dei piano, coerenza esterna del piano, misure di mitigazione, monitoraggio ed altre prescrizioni provenienti dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del Turismo –:
   se il parere favorevole al piano regionale per la gestione dei rifiuti della regione siciliana da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con le relative osservazioni e prescrizioni, abbia persuaso la Commissione europea ad archiviare l'indagine denominata Caso EU PILOT 6582/ENVI;
   quali siano, laddove ancora esistano, le contestazioni della Commissione europea in merito al piano regionale per la gestione dei rifiuti della regione siciliana;
   se esiste un'indagine della Commissione europea per quanto attiene allo smaltimento dei rifiuti tal quali ovvero trito vagliati presso le discariche siciliane relativamente al rispetto dell'articolo 6, lettera a), della direttiva 1999/31/CE, letto in combinato disposto con l'articolo 1, paragrafo 1, della direttiva/1999/31/CE e con gli articoli 4 e 13 della direttiva 2008/98/CE. (4-09773)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al comma 1 sostiene che: «ferme restando le disposizioni vigenti in materia di tutela ambientale, sanitaria e di pubblica sicurezza, con particolare riferimento alle disposizioni sul potere di ordinanza di cui all'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, istitutiva del servizio nazionale della protezione civile, qualora si verifichino situazioni di eccezionale ed urgente necessità di tutela della salute pubblica e dell'ambiente, e non si possa altrimenti provvedere, il Presidente della Giunta regionale o il Presidente della provincia ovvero il Sindaco possono emettere, nell'ambito delle rispettive competenze, ordinanze contingibili ed urgenti per consentire il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti, anche in deroga alle disposizioni vigenti, garantendo un elevato livello di tutela della salute e dell'ambiente. Dette ordinanze sono comunicate al Presidente del Consiglio dei Ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle attività produttive, al Presidente della regione e all'autorità d'ambito di cui all'articolo 201 entro tre giorni dall'emissione ed hanno efficacia per un periodo non superiore a sei mesi»;
   l'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al comma 4 prevede: «le ordinanze di cui al comma 1 possono essere reiterate per un periodo non superiore a 18 mesi per ogni speciale forma di gestione dei rifiuti. Qualora ricorrano comprovate necessità, il Presidente della regione, d'intesa, con il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, può adottare, dettando specifiche prescrizioni, le ordinanze di cui al comma 1 anche oltre i predetti termini»;
   l'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, al comma 5 prevede: «le ordinanze di cui al comma 1 che consentono il ricorso temporaneo a speciali forme di gestione dei rifiuti pericolosi sono comunicate dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla Commissione dell'Unione europea»;
   la regione siciliana, in materia di gestione dei rifiuti, ha fatto più volte ricorso alle suddette ordinanze contingibili ed urgenti, al fine di prevenire il manifestarsi di problematiche igienico sanitarie in tutto il territorio regionale;
   il presidente della regione siciliana, Rosario Crocetta, dinnanzi alla Commissione bicamerale parlamentare di inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti in data 25 giugno 2015, ha espressamente dichiarato che — senza intervento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare — non avrebbe più potuto firmare le ordinanze contingibili ed urgenti di cui all'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 perché trascorsi i 18 mesi di cui al comma 4;
   lo stesso Crocetta, al fine di evitare problemi igienico-sanitari, ha sottoscritto in data 14 luglio 2015 l'ordinanza, n. 20/Rif dal titolo: «ricorso temporaneo ad una speciale forma di gestione dei rifiuti nel territorio della Regione Siciliana nelle more dell'attuazione del Piano stralcio attuativo per il rientro in ordinario del ciclo integrato dei rifiuti»;
   la regione siciliana, nonostante le tante ordinanze contingibili ed urgenti, è tra i territori oggetto della procedura di infrazione 2015–2165 concernente «Piani regionali di gestione dei rifiuti. Violazione degli articoli 28(1) o 30(1) o 33(1) della Direttiva 2008/98/CE.»;
   anche per la città di Palermo, per quanto attiene alla gestione dei rifiuti, c’è un uso e secondo gli interroganti un abuso di ordinanze ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006. L'ultima in ordine di tempo è la n. 327 del 27 novembre 2015 avente come oggetto: «Messa in sicurezza degli impianti di stoccaggio del percolato denominati Stazione Silos Nord, Stazione Silos Sud e vasche Valentini della discarica di Bellolampo. Interventi urgenti per lo smaltimento del percolato» –:
   se il Ministero interrogato ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, comma 4, abbia raggiunto un'intesa con il Presidente della regione siciliana per reiterare oltre i 18 mesi le ordinanze di cui al comma 1, ossia se esista un accordo tra il Ministero e la regione siciliana che legittimi l'ordinanza n. 20/Rif;
   in caso di risposta negativa alla prima domanda, come si concili con quanto stabilito dall'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, l'ordinanza n. 20/Rif firmata dal Presidente Crocetta. (4-11401)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo Ministero, si rappresenta quanto segue.
  Innanzitutto, occorre premettere che la produzione dei rifiuti in Sicilia ammonta per l'anno 2014 a 2.342.219 tonnellate. Tale quantità corrisponde ad una produzione pro capite pari a circa 462 kg/abitante anno. La produzione dei rifiuti in Sicilia è diminuita dal 2010 al 2014 del 10,3 per cento. Tale andamento riflette quello della produzione a livello nazionale, correlato al trend degli indicatori socio-economici ed al consumo delle famiglie.
  La raccolta differenziata nella Regione Siciliana nel 2014 ammontava a 292.972 tonnellate. Tale quantità rappresenta solo il 12,5 per cento del totale dei rifiuti prodotti, valore molto al di sotto dell'obbligo di legge del 65 per cento.
  Nel 2014, in controtendenza rispetto al resto del territorio nazionale, la quantità di rifiuti raccolti in modo differenziato si è ridotta di oltre un punto percentuale, al 12,5 per cento dal 13,2 per cento dell'anno precedente.
  Le quantità raccolte in maniera differenziata nel 2014 sono pari complessivamente a 292.972 tonnellate di cui 125.829 sono costituite da frazione organica e 167.143 da frazione secca riciclabile.
  La frazione secca viene conferita alle piattaforme Conai e quindi riciclata o recuperata al netto degli scarti.
  In molti Comuni del territorio regionale la raccolta differenziata non viene ancora realizzata.
  Le quantità di rifiuto indifferenziato prodotte nel 2014 ammontano a 2.049.247 tonnellate. Questi rappresentano una quota pari all'89 per cento dei rifiuti urbani prodotti in Regione.
  Di tali quantità solo 349.774 tonnellate sono state inviate, secondo modalità ordinarie, agli impianti di trattamento meccanico-biologico (TMB) prima di essere inviate al successivo smaltimento.
  La restante quota, pari a 1.003.302 tonnellate, è stata quindi smaltita in deroga alle prescrizioni, ricorrendo a forme speciali di gestione dei rifiuti attraverso ordinanze del presidente della regione ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La frazione umida raccolta in modo separato è conferita nei 15 impianti di compostaggio presenti sul territorio, molti dei quali risultano non operativi per mancanza di materiale da trattare.
  Tali impianti, sebbene presentino nominalmente una potenzialità complessiva autorizzata pari a 416.967 tonnellate annue, hanno trattato nel 2014 una quantità di rifiuti pari a circa 160.000 tonnellate.
  Appare evidente che gli stessi siano sottoutilizzati e che l'attuale capacità installata potrebbe far fronte ad un flusso maggiore di frazione organica derivante da un auspicato incremento della raccolta differenziata. La capacità autorizzata degli impianti di compostaggio garantisce l'autosufficienza regionale anche al raggiungimento del 30 per cento di raccolta differenziata.
  Inoltre, la Regione prevede di realizzare ulteriori impianti di compostaggio per garantire il corretto trattamento della frazione organica anche al crescere della raccolta differenziata.
  La gestione del rifiuto indifferenziato, solo a seguito dell'emissione dell'Ordinanza n. 5 del 2016, emanata previo rilascio dell'Intesa ai sensi dell'articolo 191 (comma 4) del codice dell'ambiente, avviene secondo quanto prescritto dalla medesima ordinanza garantendo un pre-trattamento al rifiuto conferito in discarica. Ciò grazie all'installazione di impianti mobili di biostabilizzazione che, nelle more della realizzazione dei TMB previsti dalla pianificazione regionale, operano il pretrattamento del rifiuto. Al riguardo, si precisa comunque che in alcune aree vi sono degli approfondimenti tecnici in corso da parte delle autorità territoriali competenti, per verificare se vi è stato il pieno adeguamento rispetto alle previsioni della citata Ordinanza.
  Gli impianti mobili rappresentano una soluzione tampone e provvisoria per garantire la corretta gestione del rifiuto fino al completamento della realizzazione degli impianti, dell'attivazione dei provvedimenti necessari per l'invio fuori regione del rifiuto.
  La regione, nel contempo, sta provvedendo alla realizzazione e messa in esercizio degli impianti di TMB necessari al trattamento di tutti i rifiuti indifferenziati prodotti in Regione, in particolare presso le piattaforme integrate pubbliche di Enna, Gela e Messina, nonché presso la piattaforma privata sita a Siculiana.
  Lo smaltimento dei rifiuti avviene esclusivamente tramite conferimento in discarica.
  La capacità residua di trattamento in discarica, agli attuali livelli di smaltimento, garantisce l'autonomia regionale solo per 6 mesi e l'assenza di impianti di termovalorizzazione rende ancora più critica la situazione. Il decreto di cui all'articolo 35 dello «sblocca Italia» ha individuato, per la Regione Siciliana, fabbisogni residui di incenerimento molto rilevanti (circa 700.000 t).
  L'attuale piano regionale per la gestione dei rifiuti è stato predisposto dal Presidente della Regione Siciliana, nominato pro tempore commissario delegato per l'emergenza rifiuti in Sicilia. Tale piano è stato approvato con decreto del Ministero dell'ambiente e la tutela del territorio e del mare nel mese di luglio 2012, previo parere vincolante del dipartimento della protezione civile della Presidenza del Consiglio. Con specifica prescrizione si è disposto che «Il Piano regionale per la gestione dei rifiuti in Sicilia, dovrà essere sottoposto alle previste procedure di Valutazione ambientale strategica (Vas)».
  Nel mese di gennaio 2014, il dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti della regione siciliana ha avviato la fase preliminare della Vas, procedura che si è conclusa con l'emanazione del decreto da parte del Ministero dell'ambiente e la tutela del territorio e del mare nel mese di maggio 2015. La Regione, a seguito anche della diffida del Presidente del Consiglio dei ministri del mese di agosto 2015, ha approvato, con propria delibera (n. 2 del 18 gennaio 2016) il Piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani in Sicilia.
  Il piano approvato fa solo riferimento alla gestione dei rifiuti urbani, demandando ad altro documento quella dei rifiuti speciali.
  Con la già richiamata ordinanza n. 5 del 2016, il Presidente della regione ha disposto l'aggiornamento del piano regionale, anche alla luce del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014 che contiene la ricognizione del fabbisogno di impianti di incenerimento di rifiuti a livello nazionale. In tale decreto del Presidente del Consiglio dei ministri è prevista la realizzazione in Sicilia di una capacità complessiva di 700.000 tonnellate di incenerimento. L'ordinanza stabilisce che l'approvazione del nuovo Piano possa avvenire con tempi ridotti rispetto a quelli previsti dal codice dell'ambiente, in modo da arrivare alla realizzazione di tutta l'impiantistica necessaria.
  Per quanto riguarda la gestione dello smaltimento dei rifiuti nella Regione Siciliana, si fa presente che a partire dall'anno 2009 fino al 2014 tale gestione è stata caratterizzata da uno stato emergenziale, anno in cui è stata adottata una nuova ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile per favorire e regolare il subentro della regione siciliana nelle iniziative finalizzate al superamento della situazione di criticità in regime ordinario. Tuttavia, occorre segnalare che il 2014 e il 2015 sono stati di fatto contraddistinti da un regime straordinario autorizzato mediante ordinanze ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006 da presidente della regione siciliana.
  Tanto premesso, si va ad illustrare il percorso seguito dalla regione siciliana nel 2016 nell'ambito della gestione dei rifiuti.
  Nello specifico, il 23 marzo 2016 il presidente della regione siciliana, con propria nota indirizzata alla Presidenza del Consiglio dei ministri, ha richiesto lo stato di emergenza nel sistema di gestione dei rifiuti vista la scadenza dei termini di reitero dell'ordinanza (emessa ai sensi dell'articolo 191 del decreto legislativo n. 152 del 2006, il 31 maggio 2016).
  A seguito di tale richiesta e all'esito della riunione tenutasi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e la protezione civile, si è verificata la non sussistenza delle condizioni per l'attivazione dei poteri straordinari ai sensi della legge n. 225 del 1992. Per il caso di specie si è ritenuto, quindi, più opportuno il ricorso alle ordinanze contingibili ed urgenti ex articolo 191 del codice ambientale.
  Con nota del 5 maggio, il Presidente della regione ha nuovamente evidenziato la situazione di emergenza del settore rifiuti alla quale sarebbe andata incontro la regione qualora non avesse potuto reiterare gli effetti dell'ordinanza. Senza le misure straordinarie contenute in quest'ultimo atto, circa 3.000 tonnellate, delle 6.000 tonnellate di rifiuti prodotti al giorno, non avrebbero trovato impianti di smaltimento disponibili in regione.
  Alla luce di ciò, il Ministero dell'ambiente, con nota del 31 maggio 2016, ha inviato alla regione le prescrizioni tecniche che necessariamente doveva contenere l'ordinanza per aspirare al rilascio dell'Intesa ai sensi dell'articolo 191, comma 4 del codice dell'ambiente, nonché le condizioni che avrebbero necessariamente dovuto essere adempiute per il permanere della medesima.
  Le prescrizioni contenute nella nota non solo stabilivano le condizioni tecniche per le quali sarebbe stato possibile il reitero dell'ordinanza ma chiedevano anche alla regione un impegno concreto al riassetto della governance regionale, tenendo conto anche delle diffide della Presidenza del Consiglio dei ministri del 7 agosto 2015, nelle quali veniva richiesto alla Regione di procedere immediatamente alla riperimetrazione delle ATO.
  In data 7 giugno 2016, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha concesso l'intesa ai sensi del citato comma 4, dell'articolo 191, sull'ordinanza n. 5 del 7 giugno 2016 del Presidente della regione. Nell'ordinanza sono contenute le misure straordinarie per la gestione dei rifiuti, conformemente alle prescrizioni ministeriali, nel rispetto della normativa comunitaria, ed un fitto programma di impegni ed azioni che la regione è chiamata a mettere in atto nei 6 mesi di validità del provvedimento. Eventuali inadempienze determinano il venir meno dell'Intesa.
  Le prescrizioni contenute nella nota ministeriale del 31 maggio 2016 si possono suddividere in tre categorie. Alla prima categoria appartengono gli adempimenti di ordine generale, volti alla necessaria riorganizzazione del sistema regionale di gestione dei rifiuti. Alla seconda categoria appartengono le prescrizioni necessarie a dare impulso alla raccolta differenziata. Infine, alla terza categoria appartengono le prescrizioni per il corretto pretrattamento dei rifiuti indifferenziati e il loro smaltimento in coerenza con le previsioni normative europee.
  Le principali azioni che la regione deve mettere in atto sono:
   - approvazione del disegno di legge di riorganizzazione delle governance regionale in giunta regionale e successiva approvazione della legge dall'ARS;
   - presentazione di un programma di azioni per l'immediata realizzazione della rete impiantistica in grado di trattare i rifiuti prodotti in regione nel rispetto della normativa europea;
   - aggiornamento del Piano di gestione dei rifiuti per adeguarlo alle prescrizioni dell'emanando decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, redatto ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014;
   - attivazione della raccolta differenziata in tutti i comuni della regione ed in particolare nelle aree metropolitane, con l'obiettivo di incrementare la raccolta differenziata di un punto percentuale al mese;
   - attivare le misure necessarie al corretto pretrattamento dei rifiuti indifferenziati prima del loro invio allo smaltimento;
   - stipula di accordi regionali per lo smaltimento/recupero dei rifiuti in altre regioni;
   - procedure di gara internazionali per lo smaltimento/recupero dei rifiuti in altri stati membri o in altre regioni.

  Il monitoraggio delle azioni e la verifica del rispetto della tempistica contenuta nelle disposizioni della predetta ordinanza n. 5 del 2016 sono svolti dalla direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per i rifiuti e l'inquinamento (RIN) con il supporto dell'ANAC. La verifica intermedia dei risultati è stata fissata al 15 settembre 2016. Allo stato si è ancora in attesa di conoscere l'avviso dell'ANAC.
  Dalle risultanze della direzione generale competente, ad oggi, risulta quanto segue.
  Dall'attuazione dell'ordinanza n. 5 del 2016 sono derivati i seguenti effetti positivi, che meritano di essere valorizzati:
   a) pretrattamento del rifiuto prima dello smaltimento in discarica, grazie alla installazione degli impianti mobili, fermo restando quanto già detto in merito ad approfondimenti tecnici in corso in alcune aree della regione;

   b) adozione di un crono-programma concreto degli interventi necessari al rientro ad un regime ordinario di gestione dei rifiuti;
   c) attivazione di un ufficio per il coordinamento delle attività sulla raccolta differenziata;
   d) approvazione in giunta, e presentazione all'assemblea regionale siciliana, di un disegno di legge che provvede alla riorganizzazione della governance regionale nel settore, in conformità ai principi posti dalla legislazione statale;
   e) presentazione di una proposta di aggiornamento del piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani, in conformità ai contenuti del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri adottato ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014;
   f) avvio dei lavori per la realizzazione delle piattaforme integrate di Enna e Gela;
   g) avvio dei procedimenti di rilascio delle autorizzazioni e di modifica delle stesse per la realizzazione di nuove capacità per il trattamento dei rifiuti.

  Tuttavia, complessivamente, le attività poste in essere dalla Regione non hanno ottemperato del tutto agli impegni assunti con l'ordinanza n. 5 del 2016. Tali risultanze, ad ogni modo, non possono considerarsi definitive stante l'istruttoria ancora in corso.
  In particolare, sulla raccolta differenziata non sono stati raggiunti gli obiettivi previsti. La Regione, infatti, non ha messo in campo tutte le azioni di potenziamento della raccolta differenziata. Inoltre, pur avendo richiesto la disponibilità alle altre regioni d'Italia, la Regione Siciliana non ha poi stipulato gli accordi per l'invio fuori dal suo territorio dei rifiuti. Né, tantomeno, ha avviato le procedure per lo smaltimento in altri impianti nazionali o esteri dei rifiuti prodotti in regione.
  In considerazione di ciò, la situazione esistente nella regione siciliana continua a necessitare di misure straordinarie, nonostante l'attività posta in essere dall'Amministrazione regionale abbia consentito di tamponare gli aspetti più gravi della situazione emergenziale.
  All'esito dell'istruttoria, che dovrà tener conto delle valutazioni dell'Autorità Anticorruzione, si valuterà se reiterare tali poteri e con quali strumenti eventualmente farlo.
  Si evidenzia inoltre che la Commissione europea ha aperto uno specifico progetto pilota (EU pilot 6582/14) sulla gestione dei rifiuti in Sicilia e sul mancato rispetto delle procedure di VIA e VAS nella fase di adozione del Piano di gestione dei rifiuti urbani nonché per la mancata realizzazione degli impianti di gestione dei rifiuti previsti dal piano stesso.
  Peraltro, occorre segnalare che il servizio competente della Commissione europea ha archiviato il caso indicato con le seguenti precisazioni: «La Commissione ha deciso di chiudere questa investigazione EU-Pilot, in quanto la procedura di VAS è stata espletata a posteriori per quanto riguarda il piano di gestione dei rifiuti. Tuttavia, poiché la Commissione ha delle perplessità in merito al sistema di gestione dei rifiuti nella regione siciliana, essa si riserva di esaminare in seguito il contenuto del Piano di gestione dei rifiuti».
  La regione è, inoltre, inserita nella procedura di infrazione «discariche abusive» con 10 discariche (di cui 1 ricadente in un SIN e 1 sita nel comune di Racalmuto). L'amministrazione regionale ha inviato certificazione di conclusione del procedimento ambientale, che è stato peraltro inoltrato in data 31 maggio scorso ai servizi tecnici della Commissione europea per lo stralcio del pagamento della sanzione semestrale.
  I comuni e la ragione sono stati destinatari, nello scorso dicembre, di un atto di diffida ad adempiere alle attività per la risoluzione della procedura di infrazione in parola. Tuttavia, i termini sono trascorsi infruttuosamente ed è stata avanzata la proposta di commissariamento.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare costantemente le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di giustizia dell'Unione europea (CGUE) ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti;
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva «rifiuti»; inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva «rifiuti pericolosi»; infine, l'Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva «discariche di rifiuti»;
   nel corso della causa c-196/13, la Commissione europea ha affermato che, secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva «rifiuti» e che, di esse, 14 non erano conformi neppure alla direttiva «rifiuti pericolosi». Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva «discariche di rifiuti»;
   nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014, la Corte medesima ricordato, innanzitutto, che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla direttiva «rifiuti». Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. Oltre a ciò, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificarle. Il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure sufficienti. La Corte ha rilevato poi che, alla scadenza del termine impartito, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati in certi siti; riguardo ad altri siti, la Corte ha contestato che non è stato fornito alcun elemento utile a determinare la data in cui detti lavori sarebbero stati eseguiti. La Corte, quindi, è arrivata alla conclusione che l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente, nonché quello, per il detentore, o di consegnarli ad un raccoglitore che effettui le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti o di provvedere egli stesso a tali operazioni, sono stati violati in modo persistente;
   la Corte è arrivata alla conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione europea. Di conseguenza la Corte ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. Essa considera quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo è ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma, conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. L'imposizione su base semestrale consente di valutare l'avanzamento dell'esecuzione degli obblighi da parte dell'Italia. La prova dell'adozione delle misure necessarie all'esecuzione della sentenza del 2007 deve essere trasmessa alla Commissione europea prima della fine del periodo considerato. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data dal 2 dicembre 2014 e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità è calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo sono detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 di euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità è calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente, detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre;
   l'Italia ha pagato 40 milioni di euro come multa forfettaria, 39.800.000 e 33.400.000 di euro come multe relative al primo e secondo semestre successivo alla sentenza;
   il 2 giugno 2016 è scaduto il terzo semestre successivo alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea in merito alla causa c-196/13 –:
   quale sia l'ammontare della terza multa semestrale relativa alla causa c-196/13 e quale sia il numero delle discariche ancora non conformi alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014. (4-13481)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
Preliminarmente, si osserva che il caso relativo alla mancata esecuzione della prima sentenza di condanna del 26 aprile 2007 riguarda la violazione della direttiva rifiuti 75/442/CEE (modificata dalla direttiva 91/156/CEE), della direttiva 91/689/CEE e della direttiva 1999/13/CE in riferimento a 200 discariche presenti sul territorio di 18 Regioni italiane. Si tratta, in particolare:
   di n. 198 discariche dichiarate non conformi agli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442/CEE e all'articolo 2, paragrafo 1 della direttiva 91/689/CEE per le quali sono necessarie operazioni di messa in sicurezza e/o bonifica;
   di n. 2 discariche dichiarate non conformi all'articolo 14, lettere da a) a c) della Direttiva 1999/31/CE, per le quali si rendeva necessario dimostrare l'approvazione di piani di riassetto oppure l'adozione di decisioni definitive di chiusura.

  Il 2 dicembre 2014 la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia al pagamento, per le suddette violazioni, di una sanzione forfettaria di 40 milioni di euro e di una penalità semestrale di 42,8 milioni di euro da pagarsi fino all'esecuzione completa della sentenza.
  In data 24 febbraio 2015, il Ministero dell'economia e delle finanze ha provveduto al pagamento della somma forfettaria di 40 milioni di euro e, in data 11 marzo 2015, dei relativi interessi di mora pari a 85.589.04 euro.
  La sentenza ha una determinazione digressiva della sanzione pecuniaria: si prevede, infatti, la riduzione di 400.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi e di 200.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti non pericolosi. Inoltre, la Commissione europea ha chiarito che, per dare esecuzione alla sentenza, non basta garantire che nei siti oggetto della condanna non siano più depositati rifiuti o che i rifiuti già depositati siano gestiti in conformità alla normativa Ue in materia, ma occorre altresì verificare che i rifiuti non abbiano inquinato il sito e, in caso di inquinamento, eseguire le attività di messa in sicurezza o bonifica del sito ai sensi dell'articolo 240 del codice dell'ambiente.
  L'elenco completo delle discariche oggetto del procedimento di esecuzione della sentenza è stato trasmesso informalmente dalla Commissione europea nel marzo 2015 per il tramite della rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea. Tali discariche erano così ripartite sul territorio nazionale:
   Abruzzo 28;
   Basilicata 2;
   Calabria 43 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Campania 48 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Emilia Romagna 1 di rifiuti pericolosi;
   Friuli Venezia Giulia 3;
   Lazio 21 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Liguria 6 di cui 4 di rifiuti pericolosi;
   Lombardia 4 di cui 2 di rifiuti pericolosi;
   Marche 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Molise 1;
   Piemonte 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Puglia 12;
   Sardegna 1;
   Sicilia 12 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Toscana 6;
   Umbria 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Veneto 9.

  La Commissione europea, con due note del 14 dicembre 2014 e del 18 dicembre 2014, ha richiesto la trasmissione, entro il 2 giugno 2015, di specifiche informazioni sulle misure adottate in ottemperanza alla sentenza al fine di determinare l'entità della sanzione semestrale e decurtare dalla citata penalità semestrale la quota relativa agli interventi completati durante il primo semestre successivo alla sentenza.
  A seguito della disamina della documentazione ricevuta dalle regioni e trasmessa a giugno 2015 dalle autorità italiane, la Commissione europea ha riconosciuto la messa a norma di 14 discariche ed 1 errore di censimento, escludendoli dal pagamento della penalità semestrale, e ha contestualmente notificato l'ingiunzione di pagamento della penalità semestrale per le discariche restanti, per un ammontare di euro 39.800.000,00.
  Il pagamento della prima penalità semestrale è stato effettuato dal Ministero dell'economia e delle finanze in data 24 agosto 2015.
  Alla data del 13 luglio 2015, rimanevano, pertanto, in procedura di infrazione ancora 185 discariche. Nei mesi successivi il Ministero dell'ambiente ha avviato:
    un costante lavoro d'impulso delle attività con le amministrazioni regionali competenti al fine del completamento degli interventi ancora in corso e della certificazione di quelli completati;
   l'istruttoria della documentazione necessaria a proporre alla Presidenza del Consiglio dei ministri di diffidare ai sensi dell'articolo 120, secondo comma, Costituzione, e dell'articolo 8, commi 1 e 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131, le amministrazioni regionali e locali inadempienti ad adottare tutti i provvedimenti dovuti per completare le attività necessarie a dare corretta esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia, in vista dell'eventuale esercizio dei poteri sostitutivi che dovessero rendersi necessari;
   una collaborazione continua con il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio e con l'avvocatura dello Stato, attraverso l'istituzione di un tavolo di lavoro deputato all'elaborazione congiunta della documentazione, da trasmettere alla Commissione europea, per il calcolo delle penalità semestrali e per lo stralcio dei casi con interventi ultimati e adeguatamente certificati.

  Con riferimento all'attività d'impulso delle autorità regionali competenti, sono state convocate e regolarmente verbalizzate apposite riunioni con le regioni interessate dalla procedura d'infrazione, esaminando caso per caso le discariche oggetto di condanna, supportando gli organi regionali nell'individuazione dei percorsi utili alla risoluzione dei casi.
  A seguito dell'attività istruttoria svolta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono stati notificati, alle regioni e agli enti locali interessati, 161 decreti di diffida del Presidente del Consiglio ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2, della legge 5 giugno 2003, n. 131, in vista dell'eventuale esercizio del potere sostitutivo straordinario di cui all'articolo 120, secondo comma, della Costituzione.
  A seguito della disamina della documentazione trasmessa dalle autorità italiane a dicembre 2015, in data 8 febbraio 2016 la Commissione europea ha riconosciuto la messa a norma di 29 discariche, nonché 1 errore di censimento, escludendo i relativi siti dal computo della penalità semestrale, e ha contestualmente notificato l'ingiunzione di pagamento della seconda penalità semestrale per le discariche restanti, per un ammontare di euro 33.400.000,00.
  Appare di particolare rilevanza segnalare che tra i casi stralciati figura la Rada di Augusta per la quale, sulla base di chiarimenti e certificazioni trasmesse dal Ministero, la Commissione europea ha riconosciuto l'errore di censimento iniziale che, purtroppo, non era stato accettato né in fase di giudizio, né per il calcolo della prima sanzione semestrale.
  Per altre 8 discariche, oggetto di richiesta di stralcio dalla procedura di infrazione, la Commissione europea non ha ritenuto sufficiente la documentazione trasmessa dallo Stato Italiano. Rispetto allo stato dei procedimenti in corso, per le 155 discariche ancora oggetto della procedura d'infrazione a seguito delle predette valutazioni della Commissione europea (originariamente erano 200 discariche abusive), si segnala che gli enti territoriali competenti per 151 discariche sono stati destinatari di diffida ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131, e che per altri 4 casi di discariche che ricadono all'interno di Siti d'interesse nazionale di bonifica, sono in corso approfondimenti istruttori.
  I termini imposti nelle diffide del Presidente del Consiglio dei ministri non sono tutti scaduti e la situazione è quotidianamente monitorata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  In 10 casi gli enti territoriali hanno adempiuto a quanto richiesto nei termini imposti con le diffide ed è in istruttoria la documentazione al fine della trasmissione alla Commissione europea per il calcolo della terza sanzione semestrale. Sarà impegno costante di questo Ministero proseguire nel cospicuo lavoro di impulso e monitoraggio delle diverse Amministrazioni locali e regionali interessate al fine di completare tutti gli interventi nel minor tempo possibile.
  Tuttavia occorre segnalare che in molti casi i termini imposti con le diffide sono scaduti e le Amministrazioni interessate non hanno avviato o completato le attività prescritte. In tali casi, è senz'altro ipotizzabile l'esercizio dei poteri sostitutivi da parte dello Stato. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha pertanto comunicato le informazioni necessarie alla Presidenza del Consiglio dei ministri ai fini della valutazione dell'opportunità, da parte del Consiglio dei ministri, di procedere all'esercizio dei poteri sostitutivi nei confronti delle Amministrazioni inadempienti e al loro conseguente commissariamento. Sul punto merita di essere richiamata la nuova disciplina introdotta con l'articolo 1, comma 814, della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), che si applica pienamente anche ai casi in esame.
  In effetti, proprio in considerazione della grande importanza e della notevole complessità degli adempimenti qui in discussione, il Governo si è fatto promotore dell'approvazione, in sede di legge di stabilità, di una normativa volta a rendere più celere ed efficace l'intervento sostitutivo dello Stato a garanzia di importanti diritti fondamentali degli individui nonché del corretto adempimento agli obblighi europei. Per giungere alla definitiva bonifica di questi siti è infatti necessario procedere ad una serie di attività, strettamente collegate le une alle altre: questo rende particolarmente difficile l'esercizio di un efficace potere sostitutivo da parte del Governo. La norma prevista in legge di stabilità consente al Governo – nel caso in cui ciò si renda necessario per far fronte a sentenze di condanna o a procedure di infrazione UE – di diffidare gli enti inadempienti alla realizzazione di uno specifico cronoprogramma, con la possibilità, nel caso di inadempimento anche ad uno solo degli atti indicati nel cronoprogramma, di una integrale sostituzione fino al pieno raggiungimento del risultato. Come è evidente, si tratta di uno strumento di grande accelerazione dei procedimenti e di cui è intenzione del Governo servirsi con decisione.
  È evidente che tale sentenza di condanna rappresenti un paradosso. Lo Stato, infatti, è costretto a farsi carico, tanto dal punto di vista amministrativo quanto dal punto di vista finanziario, del comportamento omissivo delle amministrazioni locali e regionali che, nel caso delle discariche abusive, non ottemperano ai compiti loro assegnati dall'articolo 250 del decreto legislativo 152/2006.
  Da ultimo, in data 2 giugno 2016, le Autorità italiane hanno trasmesso alla Commissione europea documenti relativi a 24 discariche abusive. La Commissione ha ritenuto che 22 delle 24 discariche oggetto di procedura d'infrazione per le quali le autorità italiane hanno chiesto lo stralcio sono state effettivamente messe in regola. Il totale della penalità dovuta per il terzo semestre successivo alla sentenza del 2 dicembre 2014 ammonta dunque ad euro 27.800.000. Ricordo che partivamo da oltre 42 milioni.
  La documentazione relativamente a quest'ultima semestralità, nonché l'elenco delle discariche ad oggi ancora in procedura di infrazione, sono disponibili al seguente link: http://www.minambiente.it/sites/default/fi-les/archivio/allegati/trasparenza_valutazione_merito/RIN/decisione_iii_semestralita_ 19_09_2016_2.pdf.
  Su questi temi non è mai mancata, fin dal primo giorno, la grande determinazione del Governo. La consapevolezza delle difficoltà, dei ritardi da colmare, dei danni enormi che ha determinato per troppo tempo l'assenza di una vera cultura ambientale, non ci ha fatto perdere la speranza di invertire finalmente la rotta, di affrontare con fiducia e spinta propulsiva quell'enorme sfida morale, oltre che di sviluppo, rappresentata dalla tutela e dalla valorizzazione del nostro patrimonio ambientale. In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare le attività in corso nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti di tutti i soggetti istituzionali interessati e coinvolti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio nazionale degli ingegneri (CNI) – ente di diritto pubblico non economico sottoposto alla attività di vigilanza da parte del Ministero della giustizia, disciplinato nell'ordinamento giuridico italiano dalla legge n. 1395 del 1923, dal regio decreto n. 2537 del 1925, dal decreto luogotenenziale 382 del 1944 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005 – e, alla stregua di altri organismi che presentano le medesime caratteristiche, un'istituzione prevista dallo Stato per l'autogoverno di una professione riconosciuta dalla legge, al fine di garantire la qualità delle attività svolte dai professionisti appartenenti ad una determinata categoria;
   a tal proposito, è opportuno sottolineare in questa sede che, nel corso degli anni, oltre alle funzioni che sono proprie di tali soggetti giuridici collettivi – inerenti, principalmente, alla vigilanza sul mantenimento della disciplina fra gli iscritti, alla tutela del mercato, al regolare e legittimo esercizio della professione ed al potere di emanare provvedimenti di carattere disciplinare – si è aggiunta una prerogativa, non specificamente delineata all'interno delle disposizioni di legge, relativa ad una forma di rappresentanza istituzionale degli interessi delle categorie professionali la cui natura, tuttavia, è ad oggi quanto meno dibattuta – ed in parte non sorretta da puntuali riferimenti normativi – e rispetto alla quale si auspica un intervento chiarificatore del legislatore;
   dall'analisi comparata dei dati contenuti nei bilanci consuntivi del Consiglio nazionale degli ingegneri, relativi agli anni dal 2012 al 2015 emerge un non trascurabile incremento delle uscite correnti; alcune importanti voci di spesa sono, infatti, lievitate di anno in anno: dalle spese del personale alle manutenzioni ordinarie degli uffici, dai contributi ad organismi rappresentativi delle professioni tecniche alle spese telefoniche e per trasferte, dai costi per i servizi informatici ed i sistemi informativi alle attrezzature ed ai mobili d'ufficio;
   a tal proposito, la direzione generale della giustizia civile presso il Ministero della giustizia – ai sensi dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica 6 marzo 2001, n. 55, comma 2, lettera a) – è chiamata, tra le altre cose, ad esercitare, nell'ambito delle proprie competenze, una funzione di vigilanza su alcuni ordini professionali, controllo che si esplica attraverso richieste di chiarimenti ai consigli degli ordini professionali e, in talune ipotesi, tramite lo svolgimento di attività di carattere ispettivo;
   il Ministero, con nota prot. m–dg.DAG.15/09/2016.0166068.U del 15 settembre 2016 ed ai sensi dell'articolo 5, comma 6 del decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005, ha indetto le elezioni per il rinnovo del Consiglio nazionale degli ingegneri; le votazioni si svolgeranno il 14 novembre 2016, mentre le candidature dovranno essere presentate esclusivamente il 24 ottobre 2016;
   nell'ottica di favorire il processo volto a migliorare l'efficienza e l'efficacia della spesa pubblica e, conseguentemente, al fine di realizzare una effettiva riduzione degli sprechi all'interno delle strutture organizzative statali e territoriali, gli interroganti ritengono sia indispensabile provvedere, da un lato, nel senso di un più serio ed adeguato controllo sui bilanci degli enti e, dall'altro, nella direzione dell'individuazione di nuovi meccanismi e strumenti in grado di assicurare una più adeguata gestione della spesa pubblica –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere per la risoluzione delle problematiche esposte in premessa e se non ritenga opportuno intervenire, anche nell'ambito delle prossime elezioni per il rinnovo del Consiglio nazionale degli ingegneri, in ordine alla gestione economica e finanziaria di quest'ultimo.
(4-14346)

  Risposta. — Premesso che il Consiglio nazionale degli ingegneri è ente pubblico non economico, sottoposto alla attività di vigilanza del Ministero della giustizia, disciplinato dalla legge n. 1395 del 1923, dal regio decreto, n. 2537 del 1925, dal decreto legislativo n. 382 del 1944 e dal decreto del Presidente della Repubblica n. 169 del 2005, mediante l'atto di sindacato ispettivo in discussione gli interroganti lamentano che il medesimo Consiglio si sarebbe attribuito la prerogativa di «rappresentanza istituzionale degli interessi delle categorie professionali», oltre alle funzioni cui è istituzionalmente preposto.
  In particolare, evidenziano come, dall'esame dei bilanci relativi al periodo 2012-2015, emergerebbe un non trascurabile incremento delle uscite correnti, con conseguente necessità di assicurare «... da un lato, un più serio ed adeguato controllo sui bilanci degli enti» e di individuare, dall'altro lato, «nuovi meccanismi e strumenti in grado di assicurare una più adeguata gestione della spesa pubblica».
  Chiedono, pertanto, di conoscere quali iniziative, di competenza del Ministero della giustizia, si intenda intraprendere, anche in ordine alla gestione economica e finanziaria del Consiglio nazionale.
  La questione posta attiene, all'evidenza, alla corretta gestione delle entrate e alle determinazioni assunte dal Consiglio nazionale degli ingegneri in merito alla gestione delle proprie risorse, umane e finanziarie.
  Al riguardo, va premesso che il Consiglio nazionale degli ingegneri è l'organismo che rappresenta istituzionalmente, sul piano nazionale, gli interessi rilevanti della categoria professionale degli ingegneri ed è un ente pubblico non economico, a carattere associativo, dotato di autonomia patrimoniale e finanziaria, alimentato principalmente attraverso i contributi degli iscritti.

  Il Consiglio, pertanto, determina la propria organizzazione attraverso appositi regolamenti, nel rispetto delle disposizioni di legge.
  Come noto, al Ministero della giustizia è attribuita la funzione di vigilanza sui consigli e sugli ordini professionali.
  Tale prerogativa, finalizzata a garantire il funzionamento degli enti rappresentativi, si estrinseca nel potere di scioglimento del Consiglio che non sia in grado di svolgere, per qualsiasi ragione, le proprie attribuzioni regolarmente, ovvero quando sia decorso il termine, previsto dalla legge, entro il quale il Consiglio debba essere nuovamente eletto, alla scadenza del precedente, ovvero – ancora – quando il Consiglio stesso, richiamato all'osservanza degli obblighi ad esso imposti, persista nella loro violazione.
  Dal quadro così sommariamente delineato, discende che esula dai poteri di vigilanza del Ministero della giustizia la valutazione circa la legittimità o meno delle decisioni sulle spese deliberate dal Consiglio, che costituiscono, invece, esercizio dell'autonomia finanziaria e contabile dell'ente, il quale ne assume la responsabilità, politica e giuridica, che può essere sindacata attraverso gli istituti previsti dalla legge a tutela dei professionisti rappresentati.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MARCON. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale di Nervesa della Battaglia (TV) il 26 febbraio 2015 ha messo a gara l'affidamento in concessione della progettazione esecutiva, del restauro conservativo, del recupero architettonico e della gestione del complesso dell'abbazia di S. Eustachio (insediamento monastico del XI secolo);
   il piano finanziario posto a base di gara conferma la sostenibilità dell'operazione solo nella configurazione temporale massima di 80 anni;
   alcuni cittadini, ravvisando tale piano finanziario superficiale e lacunoso e preoccupati per la «perdita» della disponibilità del bene per un periodo così ampio, hanno presentato un esposto all'ANAC;
   l'Autorità (fascicolo 5068/2015) ha sostanzialmente accolto i loro rilievi: «....pervenire ad un termine di ben 80 anni, oltre 2,5 volte quello stabilito dalla norma appare una operazione di dubbia legittimità e ancora “la scelta dell'amministrazione come evidenziato dagli esponenti di fatto comporta la rinuncia per un lunghissimo periodo di tempo alla effettiva disponibilità di un bene tra l'altro acquisito alla proprietà comunale proprio in ragione del valore culturale e storico dello stesso”»;
   il comune ha comunque deciso (22 aprile 2016) di proseguire, determinando l'affidamento definitivo all'unico soggetto partecipante alla gara. Lo stesso nominativo era stato citato ben 14 mesi prima in un intervento di un consigliere comunale e verbalizzato nella seduta consigliare del 26 febbraio 2015. Il consigliere prefigurava una ipotesi di reato. Lo stesso consigliere ha confermato tali accuse con una segnalazione all'ANAC (25 novembre 2015);
   in data 1° maggio 2016 La Tribuna di Treviso riporta come un esposto avente ad oggetto anche la gara dell'abbazia sia stato presentato presso la procura di Treviso –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga necessario intervenire esercitando i poteri di competenza per il tramite della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici al fine di riequilibrare la situazione creatasi;
   quali iniziative di competenza, intenda porre in essere per permettere i necessari lavori di restauro conservativo mantenendo nel contempo la fruibilità pubblica dell'abbazia;
   se, per salvaguardare l'interesse pubblico non sia preferibile assumere iniziative volte a rendere disponibili fonti di finanziamento statali destinate alla tutela e valorizzazione del patrimonio storico e artistico. (4-13490)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante chiede al Ministero notizie in merito all'affidamento della progettazione esecutiva, del restauro e del recupero architettonico e strutturale dell'abbazia di Sant'Eustachio, sita a Nervesa della Battaglia, da parte del comune di Nervesa della Battaglia nonostante i rilievi dell'autorità nazionale anticorruzione, ed in particolare quali iniziative di competenza intenda porre in essere il Ministero per consentire i necessari lavori di restauro conservativo mantenendo nel contempo la fruibilità pubblica dell'abbazia, nonché se, per salvaguardare l'interesse pubblico, non sia preferibile assumere iniziative volte a rendere disponibili fonti di finanziamento statali destinate alla tutela e valorizzazione del patrimonio storico e artistico.
  A tal proposito si comunica quanto segue, assunti elementi dagli uffici periferici competenti.
  Occorre premettere che l'immobile è stato dichiarato di interesse culturale, ai sensi del combinato disposto dagli articoli 10, comma 1 e 12, del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 – Codice dei beni culturali e del paesaggio, con provvedimento del 13 marzo 2014.
  L'immobile appartiene al comune di Nervosa della Battaglia (Treviso), che in applicazione di quanto disposto dall'articolo 55 del codice (che disciplina l'alienabilità di immobili appartenenti al demanio culturale dello Stato e degli altri enti pubblici territoriali), ha inoltrato alla competente soprintendenza, nel maggio del 2016, istanza di autorizzazione alla concessione in uso, ai sensi del secondo comma dell'articolo 51-bis dello stesso codice, che prevede appunto la possibilità che i beni del demanio culturale possano essere locati o concessi in uso.
  L'autorizzazione richiesta dal comune è stata oggetto di valutazione collegiale in data 9 giugno 2016 da parte della commissione regionale per il patrimonio culturale.
  Il collegio ha esaminato il caso sulla scorta del parere istruttorio, espresso nel merito dalla soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Venezia, Belluno, Padova e Treviso, ed ha formulato il provvedimento di autorizzazione al trasferimento del bene mediante concessione in uso, ai sensi del comma 3 del sopra citato articolo 55 del codice dettando le seguenti prescrizioni e condizioni:
   « 1. Lettera a) prescrizioni e condizioni in ordine alle misure di conservazione programmate — la conservazione del bene sarà assicurata mediante adeguati provvedimenti restaurativi, con particolare riferimento all'architettura del monumento ed alle aree scoperte di pertinenza.
   Ai sensi dell'articolo 20, comma 1, del decreto legislativo n. 42 del 2004 dovrà essere comunicato preventivamente alla Soprintendenza competente ogni eventuale mutamento di destinazione, ai fini di accertarne la compatibilità con il presente provvedimento e con il carattere storico o artistico dell'immobile, escludendo ogni pregiudizio alla sua conservazione;
   lettera b) condizioni di fruizione pubblica del bene, tenuto conto della situazione conseguente alle precedenti destinazioni d'uso – le modalità di fruizione pubblica saranno quelle consentite dalle previste destinazioni d'uso culturali, espositive e didattiche, coincidenti in particolare con la conservazione e la fruizione del monumento, e alle sue condizioni di decoro;
   lettera c) congruità delle modalità e dei tempi previsti per il conseguimento degli obiettivi di valorizzazione indicati nella richiesta – si considerano congrui gli obiettivi di valorizzazione indicati nella richiesta di autorizzazione alla concessione in uso ed il termine di cinque anni decorrenti dalla data di concessione in uso per il loro conseguimento».

  Il provvedimento è stato emanato nell'ambito della competenza autorizzatoria di cui agli articoli 55 e seguenti del codice e, conseguentemente, non entra nel merito del termine di 80 anni di durata della concessione, che è argomento che esula dalla materia della tutela, ancorché connesso ai tempi di realizzazione e all'impegno finanziario che gli obiettivi di valorizzazione richiedono.
  La materia infatti è più propriamente riferita alla sfera della libertà di mercato e della difesa della libera concorrenza. Infatti la questione è stata sottoposta all'Autorità nazionale anticorruzione che, nella recente deliberazione in data 5 luglio 2016 (deliberazione che, in effetti, l'interrogante non poteva conoscere perché la data della deliberazione dell'Autorità nazionale anticorruzione coincide con quella di presentazione dell'interrogazione) ha ritenuto di non ravvisare margini per un proprio intervento.
  Si precisa che, in ogni caso, l'esecuzione del progetto allegato all'istanza di concessione rimane sottoposta alla competenza della Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Venezia e le province di Belluno, Padova e Treviso, ai sensi dell'articolo 33, comma 1, lettera b), del Codice: in base al quale «[Le Soprintendenze] autorizzano l'esecuzione di opere e lavori di qualunque genere sui beni culturali...», ed esercita altresì tutte le facoltà, attribuitele dalla Parte seconda del Codice stesso, di vigilanza, ispezione, protezione e conservazione del bene culturale.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   MARTELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi l'ex pretore e presidente del Tribunale di Pordenone, Dott. Antonio Lazzaro, nel corso della apertura dell'Anno accademico dell'Università della Terza Età del Portogruarese ha denunciato la scomparsa di alcuni documenti dall'archivio storico della Pretura di Portogruaro;
   Portogruaro è stata sede di Pretura sin dal 1870 e i documenti scomparsi si riferiscono a reati consumati proprio a partire da quel periodo;
   in base a quanto sostenuto nella suddetta sede i fascicoli giudiziari del tribunale di Portogruaro erano conservati presso palazzo Altan fin quando non sono stati soppressi gli uffici giudiziari di Portogruaro per essere trasferiti a Pordenone, ma oggi non risulterebbero più né a Portogruaro né a Pordenone;
   suddetti documenti non sarebbero presenti neppure presso la sede del Tribunale di Venezia;
   tale notizia ha suscitato notevole scalpore presso la comunità portogruarese –:
   si chiede pertanto di sapere se il Ministro sia a conoscenza di tale incresciosa scomparsa e quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di accertare quanto accaduto e so possibile di recuperare i documenti di cui in premessa. (4-10747)

  Risposta. — L'atto ispettivo in esame attiene alla vicenda, riferita dal presidente del tribunale di Pordenone, dottor Antonio Lazzaro, in occasione dell'apertura dell'anno accademico dell'Università della terza età del Portogruarese, relativa alla presunta scomparsa dall'archivio storico dell'ex pretura di Portogruaro di alcuni documenti inerenti a reati consumati a partire dal 1870, già conservati in passato presso palazzo Altan di Portogruaro, sino a quando il tribunale di Portogruaro non è stato soppresso per essere accorpato al tribunale di Pordenone.
  Tali documenti non sarebbero presenti né presso tale ufficio giudiziario, né presso la sede del tribunale di Venezia.
  Su tali premesse l'interrogante chiede di sapere se questo Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra riportati e quali iniziative intenda intraprendere al fine di accertare quanto accaduto e di recuperare, ove possibile, tale documentazione.
  Orbene, sulla base delle informazioni acquisite dalle competenti articolazioni ministeriali, che hanno provveduto ad interpellare gli uffici giudiziari interessati, è emerso quanto segue.
  Il tribunale di Pordenone ha comunicato che gli archivi storici della ex pretura di Portogruaro sono passati nella disponibilità del tribunale di Venezia e che non consta all'ufficio alcuna notizia relativa alla scomparsa di documenti di valore storico.
  Parimenti il tribunale di Venezia ha comunicato che, dalle ricerche effettuate, non risulta accertata e documentata l'esistenza di fascicoli processuali penali risalenti agli anni precedenti al 1900, ad eccezione di una serie di raccolte di sentenze ed atti che, per il loro interesse storico, sono stati concessi in comodato d'uso alla biblioteca del comune di Portogruaro.
  Si tratta, in particolare, come riferito dal predetto ufficio giudiziario, dei registri delle sentenze civili e delle conciliazioni riferiti al periodo compreso tra il 1881 ed il 1950, dei registri delle sentenze penali afferenti gli anni che vanno dal 1881 al 1890, nonché quelli ricompresi fra il 1900 al 1950 (sia pure con la lacuna degli anni 1918, 1919 e 1921), ed infine dei campioni delle pene pecuniarie e delle spese di giustizia iscritti negli anni intercorrenti tra il 1914 ed il 1956.
  Il tribunale di Venezia ha inoltre precisato che «gli unici fascicoli risalenti nel tempo, rinvenuti all'atto della ricognizione degli archivi conseguente alla soppressione delle sezioni distaccate di Tribunale sono quelli di cui agli allegati elenchi, inoltrati alla Commissione di Sorveglianza sugli Archivi».
  Infine, la procura della Repubblica di Pordenone ha comunicato che non risulta aperto alcun procedimento relativo alla sparizione di documenti dall'archivio storico dell'ex pretura di Portogruaro.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MARTELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il comma 979 della legge di stabilità 2016 prevede l'istituzione di una carta per acquisti culturali per le giovani e i giovani diciottenni;
   il beneficio economico disciplinato prevede come destinatari le cittadine e i cittadini italiani e degli Stati membri dell'Unione europea;
   è orientamento unanime della dottrina e della giurisprudenza che le prestazioni e i servizi sociali, se visti dalla parte di chi beneficia, realizzano diritti soggettivi fondamentali irrinunciabili della persona;
   per evitare una condotta discriminatoria e conformarsi alla normativa interna e sovranazionale le norme statali o regionali che prevedono prestazioni sociali, devono prevedere l'accesso oltre che per le cittadine e cittadini italiane e italiani e degli Stati dell'Unione europea anche per i cittadini stranieri di cui all'articolo 41 del Testo unico in materia di immigrazione –:
   se il Governo intenda assumere iniziative per rimuovere la situazione discriminatoria introdotta dal comma 979 della legge di stabilità 2016, relativa all'erogazione della carta per acquisti culturali per i giovani, tenuto conto che la prestazione sociale è esclusa alle ragazze e ragazzi stranieri regolarmente soggiornanti in Italia. (4-11570)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento al comma 979 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016 che istituisce la carta per acquisti culturali per le giovani e i giovani diciottenni, a beneficio di «tutti i cittadini italiani o di altri Paesi membri dell'Unione europea residenti nel territorio nazionale, i quali compiono diciotto anni nell'anno 2026», ha rilevato come la disposizione, così formulata, escluderebbe dalla prestazione sociale le ragazze e i ragazzi stranieri regolarmente soggiornanti in Italia, non appartenenti a stati dell'Unione europea. Chiede, pertanto, quali iniziative si intenda intraprendere per rimuovere tale situazione che appare discriminatoria per i giovani stranieri che pure avrebbero diritto a usufruire della carta.
  Allo scopo di consentire il godimento del beneficio introdotto dalla legge di stabilità 2016, a tutti i giovani che compiono diciotto anni nel corso del 2016, nel rispetto delle normative che tutelano lo straniero regolarmente soggiornante in Italia, l'articolo 2-quinquies, comma 1, del decreto-legge 29 marzo 2016, n. 42, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 maggio 2016, n. 89, ha modificato il comma 979 dell'articolo 1 della legge di stabilità che, ora, recita nel seguente modo: «Al fine di promuovere lo sviluppo della cultura e la conoscenza del patrimonio culturale, a tutti i residenti nel territorio nazionale, in possesso, ove previsto, di permesso di soggiorno in corso di validità i quali compiono diciotto anni nell'anno 2016, è assegnata, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 980, una carta elettronica».
  Riformulata, in tal modo, la disposizione, è venuta meno la situazione discriminatoria evidenziata nell'interrogazione.

  Ad integrazione, si segnala che è stata data attuazione alla disposizione prevista dalla legge di stabilità, con l'emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2016, n. 187, Regolamento recante i criteri e le modalità di attribuzione e di utilizzo della Carta elettronica, prevista dall'articolo 1, comma 979, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 e successive modificazioni.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   MARZANA, LUPO, GRILLO, NUTI, LOREFICE, DI VITA, RIZZO, D'UVA, MANNINO, DI BENEDETTO, CANCELLERI e VILLAROSA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'ufficio del Tribunale di Siracusa è afflitto da una gravissima carenza di organico in relazione al personale amministrativo, in particolare si rilevano alcune carenze in rapporto alle figure del direttore amministrativo (tre vacanze su sette posti, con scopertura del 42,9 per cento), del funzionario giudiziario (venti vacanze su trentuno posti con scopertura di circa il 70 per cento); del conducente di automezzi (tre vacanze su sei posti, con scopertura del 50 per cento);
   una insostenibile carenza di personale si riscontra anche presso la procura della Repubblica di Siracusa in relazione alle figure di direttore amministrativo (presente solo uno sui tre previsti, con scopertura del 66,7 per cento); funzionari giudiziari (presenti quattro su otto previsti, con scopertura del 50 per cento); nonché alla vacanza di due dei tredici posti di sostituto procuratore in organico;
   seppure a livello nazionale la procedura di mobilità infra-comparto attivata nel 2013 ha permesso di acquisire 71 unità di personale amministrativo proveniente dal comparto Ministeri, sebbene il 2 luglio 2014 è stato pubblicato un interpello nazionale per la mobilità del personale giudiziario; nonostante nella Gazzetta Ufficiale del 20 gennaio 2015 è stato pubblicato un avviso di mobilità riservato ai dipendenti delle amministrazioni pubbliche diverse dall'organizzazione giudiziaria, per la copertura di 1.031 posti, per vari profili professionali, presso gli uffici giudiziari di tutta Italia, la copertura di personale presso il tribunale di Siracusa è rimasta immutata e quindi fortemente inadeguata;
   tali condizioni, destinate ad aggravarsi con il pensionamento ed il prossimo trasferimento di altri dipendenti aventi qualifica professionale di funzionario giudiziario, impediscono già adesso, a prescindere dalle ulteriori imminenti carenze, il normale funzionamento dei servizi del tribunale, sia in area civile che in area penale, causando, dunque, gravissimi disagi non solo agli operatori della giurisdizione, impossibilitati a far fronte ad una domanda di giustizia in continua crescita, ma principalmente all'utenza, che viene privata di un servizio essenziale e funzionale alla crescita economica ed alla sicurezza di questa città e dei comuni del circondario;
   si aggiunga che la situazione è divenuta particolarmente insostenibile a seguito dell'accorpamento delle soppresse sezioni distaccate di Augusta, Avola e Lentini, a seguito del quale i quattro funzionari giudiziari, prima assegnati alle predette sezioni, vincitori dell'interpello del 15 ottobre 2012, hanno preso servizio presso altra sede diversa dal Tribunale di Siracusa;
   per cui a causa della soppressione delle sedi distaccate l'impegno lavorativo per il tribunale di Siracusa dal mese di settembre 2013 è aumentato, ma l'incremento del carico di lavoro non ha trovato un'adeguata compensazione in termini di assegnazione di personale, atteso che è stato trasferito presso il tribunale di Siracusa appena il 50 per cento del personale che operava presso le tre sedi distaccate;
   a fronte di tale situazione, in data 21 marzo 2014 il presidente del tribunale di Siracusa e il dirigente amministrativo dottoressa Rosa Pulito, hanno inviato una missiva al Ministro della giustizia e al dipartimento dell'organizzazione giudiziaria del personale per rappresentare le gravi carenze di personale degli uffici giudiziari di Siracusa che si ripercuotono negativamente sull'organizzazione e sull'efficienza della sede giudiziaria medesima;
   si aggiunga anche il carico di lavoro presso l'ufficio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Siracusa a seguito delle migliaia di immigrati che sono sbarcati nel territorio di Siracusa (Augusta) con l'operazione Triton;
   difatti l'ufficio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Siracusa ha assunto l'incarico, in quanto territorialmente competente, per le convalide di arresto o per i fermi dei cosiddetti scafisti che approdano nel territorio della provincia aretusea;
   giova precisare che i procedimenti relativi agli sbarchi degli immigrati non costituiscono più una straordinaria emergenza, ma una situazione ordinaria che però grava sul ridotto personale di cancelleria dell'intero tribunale e, in particolare, sull'ufficio Giudice per le indagini preliminari il cui organico (magistrati, cancellieri e funzionari) per la mole di lavoro che si trova a svolgere si rivela sottodimensionato in maniera preoccupante;
   si aggiunga che, a seguito del decreto legislativo n. 32 del 4 marzo 2014 in attuazione della direttiva 2010/64/UE del 20 ottobre 2010, poiché è divenuta obbligatoria la traduzione degli atti processuali per gli imputati di lingua straniera con la nomina di interpreti e traduttori si rende necessario il reperimento di tali professionalità che data l'esiguità delle risorse è sempre più difficile;
   inoltre la recente scelta del Ministero di non assegnare alcuna unità di personale delle soppresse Province al Tribunale di Siracusa (bando di mobilità volontaria esterna — Gazzetta Ufficiale del 20 gennaio 2015), rappresenta l'ennesimo atto di disinteresse ed abbandono di questi uffici e disattende le legittime aspettative dei cittadini in ordine al normale funzionamento del servizio giustizia –:
   a fronte delle misure intraprese a livello nazionale citate in premessa, poiché la copertura di personale amministrativo è rimasta immutata per il tribunale di Siracusa, quali interventi mirati voglia assumere per colmare la gravissima carenza di organico, che nel caso dei funzionari giudiziari raggiunge addirittura una scopertura pari al 70 per cento dei posti, al fine di giungere alla totale copertura dei posti vacanti in pianta organica, come ampiamente richiesto dal presidente e dal dirigente amministrativo del tribunale;
   se il Ministro intenda assumere iniziative per riconoscere l'ufficio del Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Siracusa sede particolarmente gravata dal carico di lavoro dovuto dagli oramai ordinari sbarchi di immigranti e pertanto, al fine di garantire efficienza e funzionalità, procedere dotando l'ufficio, nel più breve tempo possibile di almeno un'altra unità di cancelleria che possa occuparsi prevalentemente della gestione dei fascicoli relativi agli scafisti;
   se il Ministro intenda adottare le iniziative necessarie per reperire le risorse idonee ed adeguate per la nomina di interpreti e traduttori. (4-09252)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti prospettano criticità del tribunale di Siracusa, con riferimento alle dotazioni di personale amministrativo.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero della giustizia intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di Governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul fondo unico di Amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero della giustizia e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero della giustizia ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 22 novembre – il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero della giustizia, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero della giustizia, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari siciliani.
  In particolare, allo stato, risulta che presso il tribunale di Siracusa prestano servizio 127 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 132 risorse umane, compresa la posizione dirigenziale.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 3,79 per cento, inferiore alla media nazionale che è del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  È comunque possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del Ccnl del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MATTIELLO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   molte sono le inchieste giudiziarie particolarmente delicate che si stanno susseguendo su impulso e coordinamento della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria (solo per citarne alcune: Sistema, Fata Morgana, Reghion, Mammasantissima);
   dibattimenti altrettanto delicati, attualmente in corso, vedono, tra gli altri imputati, Scajola, Rizzo, Speziali;
   le condizioni in cui si trovano a lavorare i componenti della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria sono estremamente precarie: da anni, infatti, sono provvisoriamente ospitati presso la inadeguata struttura del centro direzionale di Reggio Calabria (CeDir), a causa della inagibilità del nuovo palazzo di giustizia, mai terminato;
   per usare la categoria proposta dal dottor Scarpinato va osservata quella che si può definire una mutazione di quantomeno una parte della `ndrangheta, che si sta trasformando in una sorta di «masso-mafia», e cioè di una organizzazione capace di saldare la struttura criminale tradizionale con segmenti della massoneria, della politica, dell'economia e delle professioni, come per altro sembrano confermare proprio le ipotesi accusatorie della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria;
   questo nuovo tipo di mafia presenta aspetti di seria pericolosità, che potrebbe condurla a non sopportare più passivamente i colpi della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria e degli investigatori, soprattutto a causa delle numerose misure di prevenzione patrimoniali adottate –:
   quali iniziative i Ministri interrogati stiano predisponendo al fine di rendere sempre più sicura l'attività dei membri della direzione distrettuale antimafia, sia in termini di eventuale rafforzamento delle misure di sicurezza disposte per i membri più esposti, sia in termini di adeguatezza delle strutture ad esse dedicate;
   quali siano i tempi previsti per la consegna del palazzo di giustizia di Reggio Calabria;
   se non ritengano di poter assumere iniziative volte a riconsiderare la riorganizzazione delle sedi giudiziarie, apprezzando in maniera specifica le conseguenze che avrebbe la cancellazione della corte di appello di Reggio Calabria anche sulla permanenza della direzione distrettuale antimafia medesima. (4-13871)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative i Ministri interrogati stiano predisponendo al fine di rendere più sicura l'attività dei componenti della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria, impegnata in numerose e delicate inchieste giudiziarie ed operante nella inadeguata struttura del centro direzionale della città, sia in termini di eventuale rafforzamento delle misure di sicurezza, sia in termini di adeguatezza delle strutture; quali siano i tempi previsti per la consegna del nuovo palazzo di giustizia di Reggio Calabria; se non ritengano di poter assumere iniziative volte a riconsiderare la riorganizzazione delle sedi giudiziarie, apprezzando in maniera specifica le conseguenze che avrebbe la cancellazione della Corte di appello di Reggio Calabria anche sulla permanenza della medesima direzione distrettuale.
  Con riferimento all'ultimo dei quesiti proposti, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato – come noto – il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, dunque, ancora sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la Commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'interrogante – lo studio della Commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Quanto alla geografia giudiziaria degli uffici distrettuali, è stato rilevato, dall'analisi dei dati statistici, che la distribuzione del carico di lavoro presso le singole Corti di appello, sia per il settore civile che per il settore penale, è estremamente eterogenea, con disequilibrata distribuzione degli affari tra gli uffici in questione.
  Conseguentemente, per un recupero di efficienza nella definizione dei procedimenti civili e penali è necessario procedere ad una razionalizzazione dell'impiego delle risorse del personale di magistratura ed amministrativo, investendo sulla specializzazione dei giudici e dei pubblici ministeri attraverso la rimodulazione della distribuzione sul territorio degli uffici e la riduzione di quelli che, per le esigue dimensioni, non garantiscono un efficiente livello di erogazione del servizio giustizia, a beneficio di altri fortemente gravati.
  In questa prospettiva, la Commissione ha elaborato un'ipotesi di intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, realizzato, con riguardo ai soli uffici giudiziari di primo grado, con i decreti legislativi n. 155 e 156 del 2012, e successive modificazioni.
  Tale intervento è finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  L'obiettivo di conseguire una situazione di tendenziale omogeneità tra gli uffici di secondo grado, attraverso la ridefinizione delle dimensioni dei distretti di corti di appello è astrattamente attuabile anche mediante l'inserimento di circondari o porzioni di circondari di tribunali appartenenti al distretto di una corte di appello in un distretto limitrofo, anche se appartenente ad una diversa area regionale.
  Immediata conseguenza della riorganizzazione delle corti di appello sarebbe rappresentata dalla ridefinizione degli uffici di procura generale e, in chiave di coordinamento, l'adozione di norme di delega per la ridefinizione degli assetti territoriali degli uffici distrettuali di primo grado, stante appunto la connessione con le sedi di corte d'appello.
  Oltre che di tali criteri, e nella prospettiva indicata dall'onorevole interrogante, lo studio della Commissione ha certamente considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, ivi inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento.
  In relazione al quesito proposto dall'onorevole interrogante è dunque possibile assicurare che la Commissione di studio incaricata di predisporre uno schema di riforma dell'ordinamento giudiziario, istituita con decreto del 12 agosto 2015, ha approfondito l'esame di queste tematiche, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino, anche tramite la riorganizzazione dell'assetto degli uffici della giustizia, e della loro distribuzione sul territorio.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la Commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
  L'impatto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione da parte del mio Dicastero anche in riferimento all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  In questa prospettiva, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi,
cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Alla stregua dei predetti criteri, alla Procura della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria sono stati assegnati tre posti di sostituto procuratore, in incremento della dotazione prevista, in considerazione del particolare impegno investigativo svolto dalla Direzione distrettuale antimafia.
  Allo stato, risultano in servizio presso l'ufficio giudiziario, oltre al procuratore della Repubblica, 2 procuratori della Repubblica aggiunti e 12 sostituti procuratori, con un indice di scopertura pari al 23 per cento rispetto alle previsioni di pianta organica.
  Ferme restando le competenze del Consiglio superiore della magistratura in ordine alle procedure finalizzate alla copertura dei posti vacanti, particolare impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Lo scorso 20 ottobre è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
  Per quanto attiene, infine, alle condizioni di sicurezza dei magistrati assegnati alla direzione distrettuale antimafia presso il tribunale di Reggio Calabria, dalla relazione trasmessa dal competente Ministero dell'interno risulta che la posizione di ogni magistrato è costantemente oggetto di analisi e approfondimenti sia in sede di riunione tecnica di coordinamento delle Forze di polizia, sia in sede di Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, cui partecipa anche il procuratore generale della Repubblica ed il procuratore della Repubblica presso il tribunale di Reggio Calabria. Risultano, altresì, applicati dispositivi di protezione e vigilanza adeguati al livello di rischio.
  In relazione allo specifico livello di rischio, come congiuntamente valutato nelle citate sedi, la competente prefettura ha avviato congrui dispositivi di protezione di volta in volta adeguati, acquisendo, anche, ove necessario, contributi informativi da parte dei diretti interessati.
  Inoltre, gli uffici della Direzione distrettuale antimafia sono allocati, come è noto, all'interno del palazzo Ce.Dir. di via Sant'Anna, l'area circostante è oggetto di particolari misure di vigilanza, cui concorrono unità dell'esercito, rafforzate da protocolli aggiuntivi di logistica e mobilità stradale espressamente finalizzate alla sicurezza degli uffici giudiziari in argomento.
  Per quanto attiene, invece, all'argomento inerente il completamento dei lavori di realizzazione del nuovo Palazzo di giustizia di Reggio Calabria e, di conseguenza, di riorganizzazione funzionale degli uffici giudiziari cittadini, il Ministero dell'interno ha riferito che il comune di Reggio Calabria, titolare delle procedure di appalto, ha comunicato alla locale Prefettura di aver definito il bando di completamento dei lavori, per un importo di 36 milioni di euro, consegnando i relativi atti alla stazione unica appaltante per l'avvio dei procedimenti di competenza.
  La prefettura di Reggio Calabria ha, inoltre, ripercorso l'iter amministrativo precedentemente avviato, interrotto in seguito della sospensione dei lavori da parte della ditta appaltatrice, dichiarata fallita, e ridefinito, nelle linee essenziali, nel corso di una serie di riunioni con i capi degli uffici giudiziari.
  In particolare, è stato ricostruito come, nella riunione del 12 febbraio 2014 – cui hanno partecipato, oltre al presidente della corte d'appello di Reggio Calabria e al procuratore generale della Repubblica, il provveditore interregionale per le opere pubbliche della Sicilia e della Calabria e i responsabili provinciali delle Forze di polizia – si sia proceduto a delineare un «piano di razionalizzazione» degli interventi finalizzati al soddisfacimento delle esigenze logistiche di uffici giudiziari e presidi delle Forze di polizia, e sono state individuate, tra le priorità, proprio il completamento del palazzo di giustizia di Reggio Calabria, il cui cantiere risultava, come sopra accennato, fermo da oltre due anni per il sopravvenuto fallimento della citata ditta aggiudicataria.
  Nella successiva riunione del 14 aprile 2014, alla presenza del vice Ministro dell'interno e del Ministro per gli affari regionali, dei rappresentanti della magistratura locale, compreso il procuratore della Repubblica di Reggio Calabria e titolare della direzione distrettuale antimafia, del provveditore interregionale alle opere pubbliche nonché dei componenti della commissione straordinaria del Comune di Reggio Calabria, sono stati individuati e pianificati i necessari interventi di completamento della detta struttura, sia in termini di procedure tecniche che in termini di individuazione e reperimento delle risorse, quantificate nella circostanza in 36 milioni di euro.
  Sulla base di quelle intese, sono stati identificati gli enti finanziatori, che hanno concorso al reperimento della detta somma nelle seguenti misure: il comune di Reggio Calabria, con i finanziamenti residuali ancora a disposizione, pari a circa 17 milioni di euro; la Regione Calabria, che con le deliberazioni di giunta n. 473 del 14 novembre 2014 e n. 75 del 20 marzo 2015 ha reso disponibili ulteriori 25 milioni di euro; il Cipe, infine, che nella seduta del 28 gennaio 2015, attraverso la rimodulazione dei fondi del piano di azione e coesione, ha individuato la restante somma di 3 milioni di euro.
  Secondo quanto riferito alla prefettura dal Comune di Reggio Calabria, con nota del 3 ottobre 2016, le assegnazioni finanziarie della Regione Calabria sono in via di formalizzazione, mentre il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha disposto la reiscrizione in bilancio dei citati finanziamenti Cipe.
  Il progetto esecutivo, validato dai competenti uffici giudiziari, è stato approvato con determina n. 1893 del 25 luglio 2016 ed affidato alla Suap ai fini della gestione delle procedure di gara ad evidenza pubblica, peraltro già avviate con termine ultimo di presentazione delle offerte fissato per il 21 novembre 2016.
  Al fine di consentire il contenimento dei tempi occorrenti al completamento degli interventi di propria competenza e condurre in tempi utili al pieno utilizzo la nuova struttura, la competente direzione generale di questo Dicastero ha avviato le opportune interlocuzioni sia con gli uffici giudiziari locali, sia con il Comune di Reggio Calabria, in modo da verificare nei tempi e nei costi la realizzazione degli impianti di sicurezza e protezione del nuovo palazzo di giustizia ed effettuare le operazioni di trasferimento degli uffici nei primi mesi dell'anno 2019.
  A tal fine è stato costituito un coordinamento tecnico tra le amministrazioni locali ed il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria in modo da definire il cronoprogramma delle diverse fasi operative e verificare l’
iter dei lavori e degli interventi di competenza dei diversi organi interessati alla ultimazione dell'opera.
  Il programma di riorganizzazione funzionale degli uffici giudiziari di Reggio Calabria, deciso dagli uffici locali, prevede, inoltre, la messa a norma dei locali della sede storica e la sistemazione all'interno di quest'ultima della corte d'appello e della procura generale.
  Pertanto, anche per detti interventi, al fine di consentire la sistemazione a lungo termine degli uffici, sarà cura della competente direzione generale verificare i termini di finanziamento e seguire i necessari
iter procedurali di competenza, in questo caso, sia degli uffici giudiziari che del locale provveditorato interregionale alle opere pubbliche.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il tratto costiero della provincia di Chieti è sicuramente quello di maggior pregio dei circa 125 chilometri di fascia costiera abruzzese. La fascia costiera della provincia di Chieti presenta numerosi corsi d'acqua, da nord a sud, abbiamo fiumi come l'Alento, il Moro, il Sangro, l'Osento, il Sinello e il Trigno, che delimita il confine tra la regione Abruzzo e il Molise. Importante è anche il sistema dei torrenti tra i quali si ricordano il Foro, il Feltrino, il San Giovanni, il Lebba, e il Buonanotte. Tra Ortona e Vasto in poco più di 50 chilometri troviamo 7 riserve naturali regionali (Ripari di Giobbe; Acquabella, Grotta delle Farfalle, San Giovanni in Venere, Lecceta di Torino di Sangro, Punta Aderci, Marina di Vasto, 1 Sito di importanza regionale (il Corridoio Verde, ai sensi della L.R. n. 5/2007) e 6 siti di importanza comunitaria (IT7140106 Fosso delle Farfalle, IT7140107 Lecceta litoranea di Torino di Sangro e Foce Fiume Sangro, IT7140111 Boschi riparali sul Fiume Osento, IT7140108 Punta Aderci, IT7140109 Marina di Vasto, IT7140127 Fiume Trigno) oltre a numerose stazioni dove sono segnalate specie vegetali in via d'estinzione e in lista rossa IUCN (International Union for Conservation of Nature) come documentato dall'università dell'Aquila dal gruppo del prof. Pirone. Complessivamente risultano protetti 11,41 chilometri quadrati, pari al 3,7 per cento del territorio costiero, considerando solo le aree protette. Superficie che aumenta fino a 19,3 chilometri quadrati, pari al 6,3 per cento se si considera anche la parte ricadente nei siti d'importanza comunitaria della Rete Natura 2000;
   con la legge n. 344 del 1997, (articolo 4, comma 3) la «Costa Teatina» viene inserita (su proposta del sen. Staniscia) tra le «prioritarie aree di reperimento» previste dalla legge n. 394 del 1991 (lettera 1-bis, comma 6, articolo 34) e sulle quali si dovevano realizzare parchi nazionali;
   successivamente la legge n. 93 del 2001, all'articolo 8, comma 3, avvia l’iter di istituzione, ricordando le procedure e le intese e richiamando la legge n. 394 del 1991 e fissa in lire 1.000 milioni dal 2001 i limiti massimi di spesa per l'istituzione e il funzionamento. La giunta Pace allora al governo regionale ricorre alla Corte Costituzionale contro la legge n. 93 del 2001 per farne dichiarare la incostituzionalità e, comunque, per conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato. La Corte Costituzionale con la sentenza n. 422 del 2002 depositata il 18 ottobre 2002 dichiara «non fondata» la richiesta della regione Abruzzo e ribadisce la legittimità dell'articolo 8, comma 3, della legge 23 marzo 2001, n. 93;
   nel 2005 cambia il governo regionale e con la dismissione della tratta Adriatica, tra Ortona e Vasto, di RFI si torna a parlare di Costa Teatina; viene fatta una prima proposta dall'assessore regionale Franco Caramanico, il 6 settembre 2006 una delegazione abruzzese guidata da Caramanico si incontra con il direttore del servizio di conservazione della natura del Ministero dell'ambiente e si riavvia l'iter di perimetrazione del parco nazionale della Costa Teatina dopo diversi mesi di confronto con i 720 comuni, deliberano solo in tre a favore del parco (Vasto, San Salvo e Francavilla); si approda quindi dopo un confronto di un anno e mezzo con associazioni ed università, al «sistema delle aree protette della Costa Teatina» con la legge regionale n. 05 del 2007 che viene costituito, nelle more della definizione del parco nazionale della Costa Teatina;
   l’iter del parco rallenta di nuovo e, vista la renitenza dei comuni la direzione regionale competente formula una proposta di perimetrazione e la invia ai comuni e al ministero (2008);
   a luglio 2008 viene arrestato l'allora presidente della regione Abruzzo, Ottaviano Del Turco, si va verso le elezioni a dicembre 2008 e l'iter si ferma di nuovo. A fine aprile 2010, nell'anno internazionale della biodiversità, con il Direttore Aldo Cosentino in procinto di andare in pensione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare riprende gli iter dei parchi sospesi (ne mancano ancora 5 da istituire: Costa Teatina, isola di Pantelleria, Egadi e litorale trapanese, Eolie, Iblei). Il 10 maggio 2010, regione Abruzzo, provincia di Chieti e comuni Costieri (Ortona, San Vito Chietino, Rocca San Giovanni, Fossacesia, Torino di Sangro, Casalbordino, Vasto e San Salvo) sono convocati a Roma presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e si riavvia l’iter di istituzione del parco nazionale della costa Teatina e alla regione Abruzzo viene affidato il compito di riconvocare i comuni e la provincia per definire una nuova perimetrazione condivisa entro la fine del 2010;
   il 9 luglio 2010 la regione Abruzzo convoca i comuni e la provincia di Chieti e preso atto della contrarietà alla proposta di perimetrazione elaborata dalla direzione regionale Aree Protette e Parchi del 2008, si concorda di lavorare su una ipotesi che preveda 4 zone, anticipando la donazione nel decreto istitutivo e graduando meglio i vincoli in considerazione delle valenze naturalistiche e dell'antropizzazione del territorio. Ogni comune si prende l'onere di deliberare in merito decidendo se essere favorevole o contrario, definendo anche una perimetrazione per il territorio di competenza da rimandare in regione Abruzzo per una successiva integrazione e raccordo complessivo delle proposte. Si ipotizza di terminare questa fase per settembre/ottobre. Dopo diversi incontri di coordinamento la questione resta sospesa, tra agosto e ottobre solo alcuni comuni si muovono e iniziano la discussione e avviano dei percorsi di confronto ed ascolto anche con i cittadini, tra questi Fossacesia, Torino di Sangro e Vasto. Nello specifico: Torino di Sangro delibera in consiglio sulla volontà di dare origine al parco e di definire una perimetrazione su 4 zone come concordato in regione, Fossacesia ne discute nel suo Forum ambiente e approva in commissione urbanistica la proposta di perimetrazione su 4 zone, Vasto approva un ordine del giorno e rimanda la discussione della perimetrazione;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri in data 4 agosto 2014 l'architetto Giuseppe De Dominicis presidente emerito della provincia di Pescara, è stato nominato quale «Commissario ad acta» per l'istituzione del parco nazionale della Costa Teatina;
   nell'ambito della procedura per l'istituzione del parco nazionale della Costa Teatina, disciplinato dalla legge n. 394 del 1991 e successive modificazioni e integrazioni, il menzionato «Commissario ad acta» dell'istituendo Parco, ne ha definito – nello scorso mese di maggio – la perimetrazione provvisoria, permettendo con tale fondamentale atto propedeutico una auspicabile e pronta emanazione da parte del Governo del relativo ed indispensabile decreto istitutivo dell'area protetta in argomento;
   nonostante i tempi e le procedure cui è vincolato il commissario per la perimetrazione provvisoria, numerosi sono stati gli incontri con associazioni e amministratori locali e diversi i suggerimenti e le proposte avanzati e accolti e riportati in cartografia o in normativa –:
   essendo concluso l’iter istituzionale ed essendo stati rispettati tutti i passaggi necessari già da vari mesi, quali siano le ragioni per cui a tutt'oggi manca la firma per formalizzare l'istituzione del parco.
(4-10966)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle competenti direzioni generali di questo Ministero si rappresenta quanto segue.
  Ai fini dell'istituzione del parco razionale della costa teatina, prevista dalla legge n. 93 dell'8 marzo 2001, il decreto-legge n. 225 del 2010 (convertito con legge n. 10/2011) ha stabilito, nel caso non si fosse pervenuti alla detta istituzione per via ordinaria entro il 30 settembre 2011, che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri fosse nominato un commissario
ad acta per provvedere alla predisposizione e attuazione di ogni intervento necessario.
  Poiché, nonostante successive proroghe di tale termine – prima al 31 dicembre 2012, poi al 30 giugno 2013 ed infine al 31 dicembre 2013 – non si è pervenuti all'istituzione del parco, il 4 agosto 2014, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, è stato nominato il commissario
ad acta nella persona del dottor Giuseppe De Dominicis. Pertanto, a far data dal predetto provvedimento, il procedimento ordinario per l'istituzione dei parchi nazionali è stato superato poiché, con la citata nomina commissariale è cessata la competenza del Ministero dell'ambiente sulla procedura in questione.
  Il Commissario
ad acta ha predisposto e presentato la proposta per l'istituzione del parco alla Presidenza del Consiglio, la quale ha richiesto e svolto interlocuzioni con i competenti uffici del Ministero per i profili tecnici.
  L'incarico del commissario è venuto a scadere il 4 agosto 2015 e la Presidenza del Consiglio dei ministri ha ritenuto di sottoporre il lavoro svolto dal commissario straordinario e la bozza di istitutivo del parco alla conferenza unificata Stato-regioni e autonomie locali, nella cui sede tecnica, tenutasi in data 10 settembre 2015, il Ministero ha ribadito di non rivestire più alcuna competenza sul procedimento e di avere unicamente fornito, su richiesta, un supporto tecnico. Il provvedimento istitutivo è stato oggetto di due successivi incontri di coordinamento presso la sede della stessa conferenza unificata, allo scopo di garantire la massima collaborazione fra i diversi livelli di Governo, pur non essendo formalmente necessaria, ai sensi della normativa vigente in materia, l'acquisizione di formale intesa sul provvedimento medesimo.
  Nei primi mesi dell'anno corrente sono pervenute presso gli uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri, rispetto allo schema di decreto del Presidente della Repubblica di istituzione del parco nonché alle misure di salvaguardia allegate al decreto, predisposti dal Commissario
ad acta, alcune valutazioni della Regione Abruzzo che hanno determinato una sequenza di verifiche e controlli particolareggiati e un'analisi attenta del lavoro presentato dal commissario sia dal punto di vista tecnico-amministrativo che da quello naturalistico paesaggistico e storico-culturale. Non si sono svolte altre riunioni in conferenza unificata e, in data 4 febbraio 2016, il presidente della regione Abruzzo ha trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare la delibera n. 27 del 26 gennaio 2016, concernente «Determinazioni riferite alla perimetrazione di competenza e connesse norme di salvaguardia».
  Sulla base di quanto precisato, nel mese di marzo 2016 la direzione generale del Ministero ha provveduto ad inoltrare tutta la documentazione pervenuta da parte del presidente della regione Abruzzo alla Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento per il coordinamento amministrativo, per il prosieguo della procedura in esame.
  All'esito delle necessarie e predette verifiche sarà, dunque, possibile procedere nell'iter relativo alla istituzione del parco nazionale della costa teatina.
  In ogni caso, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a monitorare costantemente le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la laguna di Orbetello è una laguna costiera della Toscana, la cui estensione è di circa 27 chilometri quadrati;
   la laguna è un ambiente ad alto rischio a causa dello scarso apporto di acqua dal mare e dell'immissione di scarichi ricchi di nitrati e di sali di potassio, provenienti dalle colture agricole, che hanno determinato il proliferare delle alghe, e il conseguente impoverimento di ossigeno;
   per consentire la protezione della laguna sono stati emanati numerosi provvedimenti di legge ed è stato istituito un apposito commissario del Governo;
   oggi parte della laguna di Ponente è protetta nell'Oasi del WWF della riserva naturale Laguna di Orbetello di Ponente e del bosco di Patanella, e sull'area insiste anche la riserva naturale Laguna di Orbetello, in gestione alla provincia di Grosseto e la zona di protezione speciale (ZPS) «Laguna di Orbetello»;
   la regione Toscana ha affidato ad ARPAT l'attività di monitoraggio sulla Laguna, e il bollettino del mese di giugno 2015 emesso da tale ente ha evidenziato la mancanza per l'intero mese dell'introduzione di acque fresche dalle idrovore, per motivi tecnici, fatto che ha determinato un innalzamento della temperatura dell'acqua lagunare non mitigato dall'apporto di acque esterne;
   la laguna è una zona umida di importanza internazionale secondo la Convenzione di Ramsar, al cui interno nidificano o transitano di passaggio molte specie di uccelli, fra i quali si ricordano il cavaliere d'Italia, il fenicottero rosa, l'airone bianco maggiore, il falco pescatore, la spatola, l'avocetta, il cormorano e varie specie di anatre;
   è di pochi giorni fa la notizia di una estesa moria di pesci nella laguna, con migliaia di esemplari di Orata, allevati nelle acque dello stagno lagunare, che hanno cominciato a morire a causa di un mix di temperature delle acque interne elevate, di temperature marine dell'acqua in entrata nella Laguna anch'esse elevate e di una carenza di ossigeno dovuta ad alcuni fenomeni distrofici (fermentazione delle alghe) che hanno caratterizzato soprattutto lo specchio di Levante, quello dove attualmente non è funzionante il nuovo programma istituzionale di intervento;
   la laguna di Orbetello è un'importante realtà economica della zona, e alcuni giornali riportano la notizia che si sarebbe già realizzato un danno economico di oltre dieci milioni di euro –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere in merito. (4-10020)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle direzioni generali e dall'ente territoriale di competenza si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare occorre precisare che gli eventi richiamati dall'interrogante verificatisi nel corso dei mesi estivi del 2015 hanno comportato, soprattutto nel bacino di levante, un anomalo sviluppo macroalgale, oltre a situazioni di anossia e distrofia e diffuse morie di pesci.
  È utile considerare che la laguna di Orbetello è caratterizzata:
   da un elevato stato di trofia, dovuto agli apporti del bacino scolante in laguna oltre che agli apporti eccezionali del fiume Albegna avvenuti durante l'alluvione del 2012;
   dagli scarsi ricambi idrici;
   dal basso idrodinamismo e dalla limitata batimetria del fondale (30-50 cm).
  La correlazione delle specifiche peculiari di questo ecosistema lagunare con il verificarsi del raggiungimento di elevate temperature estive, ha condotto all'ingente sviluppo macroalgale avvenuto nel periodo citato e al conseguente innesco del fenomeno distrofico.
  Dette problematiche sono state oggetto di un tavolo tecnico svoltosi presso questo Ministero in data 27 ottobre 2015, con il quale sono stati coinvolti gli enti territoriali competenti.
  Va precisato, innanzitutto, che il comprensorio laguna di Orbetello-lago di Burano è interessato dalla presenza di quattro siti Natura 2000 la cui gestione è delegata alla regione Toscana (ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997), e di due riserve naturali delle quali una statale e una regionale ed una zona umida Ramsar.
  Nell'ambito del predetto tavolo, è stato evidenziato anche l'aspetto inerente il pre-contenzioso comunitario, caso EU Pilot 6016/14/ENVI
«applicazione della normativa ambientale comunitaria nella zona della laguna di Orbetello e del lago di Burano», avviato nel marzo 2014.
  In particolare, considerata la presenza dei siti Natura 2000, il Ministero ha affrontato la tematica riguardante la verifica del rispetto di tutte le disposizioni della direttiva 92/43/CEE «Habitat», inerenti sia all'articolo 6, paragrafo 3, in materia di valutazione di incidenza, sia all'articolo 4, paragrafo 4, relativo alla designazione di siti di importanza comunitaria come zone speciali di conservazione, a seguito della individuazione di opportune misure di conservazione o piani di gestione.
  In particolare, si è verificato che la provincia di Grosseto, nella fase endoprocedimentale del rilascio dell'autorizzazione unica ambientale ha svolto la procedura di valutazione di incidenza (V.Inc.A) di cui all'articolo 6, comma 3, sugli impianti di itticoltura anche se limitatamente allo scarico dei reflui in laguna.
  Ulteriori procedure di V.Inc.A sono state espletate nella fase di verifica di assoggettabilità a VIA
ex post, richiesta dalla Commissione europea e condotta su tutti gli impianti di itticoltura attenzionati.
  Tutte le procedure sono state concluse nel mese di luglio 2016.
  In relazione all'articolo 4, comma 4, della direttiva, si segnala che l'autorità regionale ha provveduto all'individuazione di misure di tutela e di salvaguardia specifiche del SIC/ZPS IT51A0026 «Laguna di Orbetello», nelle more della sua definitiva designazione quale ZSC.
  A tale proposito la regione Toscana ha emanato la deliberazione di giunta regionale n. 1231 del 15 dicembre 2015, recante: «decreto del Presidente della Repubblica 357/97 – L.r. 30/2015 – Approvazione misure di salvaguardia per la gestione del SIC-ZPS “Laguna di Orbetello” », pubblicata sul BUR Toscana n. 52 del 30 dicembre 2015.
  Dette misure specifiche per la tutela del sistema lagunare, in quanto ricompreso nella rete Natura 2000, sono state allineate alle misure di conservazione approvate in pari data, con delibera della giunta regionale n. 1223 del 15 dicembre 2015, recante «direttiva 92/43/Ce “Habitat” – articolo 4 e 6 – Approvazione delle misure di conservazione dei SIC (Siti di Importanza Comunitaria) ai fini della loro designazione quali ZSC (Zone Speciali di Conservazione)», pubblicata sul Supplemento n. 179 al medesimo B.U.R. n. 52 del 30 dicembre 2015.
  Pertanto, sono stati affrontati concretamente sia i citati aspetti procedurali conclusi nel luglio 2016 e sia l'individuazione delle misure di salvaguardia del dicembre 2015, adottate a seguito del tavolo tecnico del 27 ottobre 2015.
  È opportuno precisare che l'approvazione regionale del 15 dicembre 2015 delle misure di conservazione per tutti i SIC regionali e la conseguente emanazione mediante decreto ministeriale della designazione dei SIC come ZSC, rientra negli impegni assunti nell'ambito della procedura di infrazione 2015/2163, costantemente seguita nelle interlocuzioni tra Ministero e regioni.
  Per quanto concerne gli aspetti relativi ai fenomeni distrofici che interessano la laguna, si riporta quanto trasmesso dal comune di Orbetello e dalla regione Toscana, in occasione della riunione pacchetto ambiente del 17 giugno 2016, nell'ambito del confronto sull'EU Pilot citato.
  Il comune di Orbetello con nota del 10 giugno 2016, ha chiarito che nell'ambito dei compiti gestionali e operativi in capo all'amministrazione comunale per la gestione della Laguna, sono state intensificate ed approfondite le attività di controllo e di monitoraggio dei parametri chimico-fisici e biologici che caratterizzano lo stato del bacino lagunare. Sono stati inoltre effettuati gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti per il ricircolo idraulico oltre all'impiego di imbarcazioni per la rimozione della risospensione dei sedimenti e la raccolta delle alghe.
  Il comune con medesima nota, ha altresì precisato che, nel corso del mese di aprile e fino agli inizi di maggio 2016, sono stati inoltre attivati in via anticipata, gli impianti di sollevamento di Fibbia e di Nassa con la finalità prevalente di mantenere il livello idrico relativamente alto, incidendo contestualmente sulla localizzazione della nidificazione della avifauna protetta, in maniera tale da avere maggiori possibilità operative al momento della attivazione del ricircolo idraulico poi programmata per l'inizio di giugno.
  Analogamente la regione Toscana, con nota del 13 giugno 2016, ha precisato che in attuazione di quanto previsto dalla sopra citata delibera della giunta regionale 1231/2015, in collaborazione con i soggetti a vario titolo interessati nella gestione della Laguna di Orbetello, ha definito:
   la stesura di un «piano di sicurezza ambientale per la gestione della laguna di Orbetello», volto a individuare possibili strategie e procedure operative per cercare di contrastare, sulla base dell'attuale disponibilità di mezzi ed attrezzature, gli effetti di eventuali crisi distrofiche, analoghe a quella verificatasi nell'estate 2015.
   la stesura, in accordo con il WWF, di un protocollo operativo per il pompaggio delle acque in Laguna con lo scopo di individuare, sia in condizioni di ordinarietà che di eccezionalità, le modalità di pompaggio delle acque in laguna compatibili con la preservazione degli ambienti di riproduzione delle specie di interesse conservazionistico, con particolare riferimento a quelle presenti nel formulario standard del sito Natura 2000 (specie
target);
   un piano di monitoraggio dello stato ambientale della Laguna finalizzato a monitorare costantemente i principali parametri ambientali e meteorologici in collaborazione con Arpat (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente in Toscana) e Consorzio LaMMA (Laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale).

  È inoltre importante evidenziare che l'EU Pilot 6016/14/ENVI – applicazione della normativa ambientale comunitaria nella zona della laguna di Orbetello e del lago di Burano, avviato nel marzo 2014, è stato archiviato dalla commissione europea in data 24 ottobre 2016, a seguito del completamento degli impegni assunti dallo Stato italiano, relativamente ai numerosi aspetti rappresentati.
  Con riferimento alle iniziative volte a erogare fondi per investimenti finalizzati all'attuazione di un piano coerente con la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta predisponendo il piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNAC) approvato con decreto direttoriale del 16 giugno 2015, n. 86 che ha la finalità di identificare le vulnerabilità di ciascun settore della strategia nazionale di adattamento SNAC. Tra i diversi settori è ovviamente inclusa la pesca marittima. Il PNAC segnalerà gli interventi integrati necessari.
  Ad ogni modo, per far fronte alla questione del mutamento climatico generale, la regione Toscana, per il tramite dell'ufficio ambiente e difesa del suolo, ha fatto presente che sono state adottate diverse misure di salvaguardia per la gestione del SIC ZPS «laguna di Orbetello» così individuate:
   valutazione di incidenza sulle attività di allevamento intenso;
   certificazione di provenienza degli esemplari immessi in laguna per il ripopolamento ittico;
   verifica del regolare funzionamento della rete di collettamento fognari;
   protocollo operativo di pompaggio delle acque in laguna;
   piano di sicurezza;
   monitoraggio ambientale.
  Alla luce di quanto evidenziato, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   «Stir», acronimo di stabilimenti di tritovagliatura ed imballaggio rifiuti, localizzato a Giugliano in Campania in provincia di Napoli, nell'area ASI, è un impianto di trattamento dei rifiuti solidi urbani;
   l'insediamento produttivo, in località Pontericcio, occupa una superficie complessiva di 77.000 metri quadrati;
   la superficie coperta si estende per circa 22.000 metri quadrati la restante parte è destinata a piazzali, strade interne ed aree verdi per un totale di 55.000 metri quadrati;
   si legge dal sito della Sapna (sistema ambiente provincia di Napoli che ha in gestione l'impianto) che «Le aree interne ai capannoni di stabilizzazione sono idoneamente impermeabilizzate con pacchetto classico di impermeabilizzazione con telo in HDPE per contenere le infiltrazioni da percolati»;
   insieme all'impianto di Tufino rappresenta uno dei due presenti nella provincia di Napoli;
   in data 20 settembre 2013 è notizia pubblicata sul quotidiano «Cronache di Napoli»: «Lo sfogo dei cittadini della zona di Ponte Riccio in una lettera inviata alla Commissione. Carcasse di animali e miasmi dalle ecoballe. I cittadini di Ponte Riccio denunciano la presenza di miasmi provenienti dell'area Asl alla Procura della Repubblica. L'esposto è stato firmato dall'omonimo Comitato che si batte per il decoro della zona decentrata: «Da veterani dei miasmi, siamo convinti che queste esalazioni possano provenire da alcuni impianti industriali del settore industriale lavorazione ossa e carni, e dallo smaltimento rifiuti Stir. Nelle vicinanze sostano centinaia di balle non sigillate correttamente»;
   i residenti accusano disturbi alla loro salute, sintomatici sono i conati di vomito provocati dal cattivo odore. La denuncia parla di miasmi che si propagano dalle prime luci dell'alba sino a tarda notte. Sospetti decadono anche sulla possibile presenza di carcasse di animali in decomposizione. La lettera è stata inviata al comune di Giugliano al comando di polizia municipale, all'Asl Napoli Nord 2, e per conoscenza, alla protezione civile della regione Campania al Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente e al procuratore della Repubblica di Napoli. I cittadini sostengono di non aver ricevuto ancora nessuna risposta. Pesa sulla zona la presenza delle ecoballe che dai rilievi dei militanti sembrerebbero non sigillate completamente. La successiva perdita di liquami sarebbe la causa dei miasmi percepiti nell'area. La zona Asl e di Ponte Riccio subiscono uno stato di degrado che dura da diversi anni, a causa sia dei roghi tossici sia degli sversamenti illeciti. Questa condizione non attira gli investimenti degli imprenditori, l'area industriale giuglianese è vittima di un continuo e inesorabile esodo delle aziende»;
   in data 19 settembre 2013, su un noto social network sono state pubblicate e condivise dai naviganti diverse immagini scattate all'interno del menzionato impianto e che, rivelerebbero un quadro ambientale ben diverso da quello rappresentato sul sito dell'appaltatore S.A.P.N.A.; in dette immagini riportante ciascuna la data dello scatto: 19 settembre ore 15,30, circa sono visibili pneumatici, rifiuti ingombranti, stracci e tanto altro. Si parla di roghi e rifiuti dati alle fiamme –:
   se, in particolare, in relazione alla gravità delle fonti di inquinamento descritte, il Ministro non ritenga opportuno disporre verifiche e controlli da parte del personale appartenente al Comando carabinieri tutela ambiente (CCTA), in relazione all'oggettivo pericolo che si verifichi un danno ambientale, ai sensi dell'articolo 197, comma 4, del decreto legislativo 3 aprile 2006 n. 152, per verificare, analizzare e constatare il corretto svolgimento dell'intero ciclo di tritovagliatura dell'impianto citato;
   alla luce degli interventi sopra richiamati, se e quali iniziative di competenza si intendano assumere per tutelare la salute pubblica e l'intera area interessata dall'attività dell'impianto Stir. (4-02090)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Le problematiche segnalate dall'interrogante relative all'inquinamento ambientale nel comune di Giugliano in Campania, sono da tempo all'attenzione di questo dicastero, nel quadro delle attività promosse dal patto per la Terra dei Fuochi, e coordinate presso la cabina di regia inter-istituzionale con le prefetture, la regione Campania e gli enti locali.
  A tale riguardo, nel corso della riunione del comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica del 21 luglio 2015, alla quale hanno partecipato il sindaco di Giugliano e il procuratore della Repubblica di Napoli nord, è stato disposto un rafforzamento delle attività di controllo e di vigilanza sui siti maggiormente interessati dagli incendi, anche con la rimodulazione del contingente militare già operante nell'area, che è stato in parte impiegato nella sorveglianza fissa di alcune zone del territorio di Giugliano, ritenute strategiche per il controllo delle strade di collegamento verso i siti di stoccaggio abusivo dei rifiuti.
  In prossimità dell'ultima stagione estiva, si sono svolti fin dalla primavera numerosi incontri per la predisposizione di specifiche misure di competenza dei diversi organi di amministrazione, controllo e repressione. In particolare nelle riunioni relative ai comuni di Giugliano, Acerra, Caivano per la provincia di Napoli sono state adottate misure in materia di:
   risanamento dei siti storici di abbandono dei rifiuti;
   potenziamento del servizio di raccolta rifiuti urbani e assimilati;
   aggiornamento del registro comunale e regionale delle aree interessate da abbandono e da roghi di rifiuti;
   interventi urgenti sui luoghi di stoccaggio abusivo di rifiuti a rischio incendio e di potenziamento dei sistemi di video-sorveglianza;
   rafforzamento delle misure di vigilanza e di repressione dei fenomeni.
  In particolare è stata approvata dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica presso la prefettura di Napoli una pianificazione dei servizi che prevede l'impiego mirato dei militari in alcuni settori nei quali si è evidenziata nell'ultimo periodo una più elevata propensione ai fenomeni di smaltimento illegale di rifiuti, tra cui, per la provincia di Napoli, il quadrilatero Giugliano-Melito-Qualiano-Marano.
  È stata svolta un'attività di controllo per posti di osservazione sui siti maggiormente interessati dai fenomeni di smaltimento abusivo, finalizzati alla prevenzione degli sversamenti e dei roghi, ma anche un'attività di identificazione e, in collegamento con i presidi delle forze dell'Ordine, di fermo di persone sospettate di attuare condotte illecite di abbandono e di incendio di rifiuti, specificamente sanzionate dall'articolo 256-
bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Inoltre le forze dell'ordine, le polizie municipali, la polizia provinciale, secondo le linee operative definite nel piano di contrasto dei roghi di rifiuti, sono impegnate ad effettuare controlli sulle attività economiche (gommisti, officine, imprese edili e manifatturiere, esercizi commerciali), finalizzati a verificare il rispetto delle procedure di smaltimento dei rifiuti speciali prodotti. Il Corpo forestale dello Stato concorre con mirate attività rivolte a risalire la filiera di produzione dei rifiuti speciali e sul corretto smaltimento dei rifiuti provenienti da attività zootecniche e agricole.
  Analogamente la Guardia di finanza provvede, anche avvalendosi delle informazioni che le pervengono per il tramite della sala dati regionale alla quale convergono le segnalazioni dei militari, degli osservatori civici e dei cittadini, ad effettuare, nell'ambito delle verifiche fiscali, controlli sulle imprese nei settori produttivi sensibili e sulle aziende iscritte all'albo dei gestori ambientali, sospettate di alimentare il flusso di materiale smaltito illegalmente.
  Nonostante l'impegno messo in campo e i risultati conseguiti in termini di contenimento e di contrazione del fenomeno dei roghi, si sono registrati negli ultimi mesi alcuni incendi di grandi dimensioni, non riconducibili in maniera specifica alla tematica dello smaltimento illegale dei rifiuti mediante combustione, ma che hanno talvolta interessato anche materiale qualificato come rifiuto.
  Il primo di questi si è sviluppato, nel pomeriggio dello scorso 9 luglio presso gli impianti delle ex discariche «Masseria del Pozzo ed ampliamento Masseria del Pozzo, Schiavi, Novambiente» che fanno parte dell'area vasta ex SIN di Giugliano, che si estende per circa 210 ettari e comprende una serie di aree utilizzate in passato come discarica e tuttora oggetto di sequestro giudiziario, tra le quali anche la Resit cava X e cava Z, San Giuseppiello, Fibe e stoccaggio Ecoballe Fibe in località Giuliani e Monte Riccio e discarica Eredi Giuliani.
  Su tali aree sono state effettuate negli scorsi anni indagini ambientali e sono stati realizzati o sono ancora in corso interventi di messa in sicurezza e di bonifica, a cura del Commissario delegato di cui all'articolo 11 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3891 del 4 agosto 2010.
  L'episodio incendiario, sul quale procede il tribunale di Napoli nord, non ha riguardato rifiuti, ma ha interessato, secondo quanto riferito dallo stesso commissario delegato, l'impiantistica (copertura, impianto di captazione bio-gas e percolato) della collinetta-ex discarica di Masseria del Pozzo, nonché la vegetazione che ricopre le altre discariche sopra indicate. Dalle prime informazioni sembrerebbe certa la natura dolosa dell'evento, che ha potuto aver luogo nonostante il servizio di custodia effettuato da una guardia giurata.
  A seguito di tale episodio sono stati ulteriormente rafforzati a Giugliano i servizi di vigilanza ravvicinata nei pressi dell'area in questione, anche con l'impiego di una pattuglia di militari del contingente dell'esercito.
  Sotto il profilo repressivo sono in corso attività giudiziarie che hanno già portato al sequestro e allo sgombero di alcuni insediamenti, come quello di Masseria del Pozzo a Giugliano.
  Ad ogni modo, si segnala che le problematiche connesse alla cosiddetta Terra dei Fuochi rappresentano una priorità per il Ministero dall'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che presiede il comitato interministeriale istituito con decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, con il compito di «determinare gli indirizzi per l'individuazione o il potenziamento di azioni e interventi di prevenzione del danno ambientale e dell'illecito ambientale, monitoraggio, anche di radiazioni nucleari, tutela e bonifica nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della Regione Campania».
  Nell'ambito del citato comitato è stata istituita un'apposita commissione quale organo tecnico-operativo, la quale ha avviato un approfondito esame delle diverse e complesse questioni poste all'attenzione dalle linee di indirizzo fornite dal comitato interministeriale, giungendo nel maggio scorso all'adozione di un programma degli interventi finalizzati alla tutela della salute, alla sicurezza, alla bonifica dei siti, nonché alla rivitalizzazione economica dei territori della Terra dei Fuochi.
  Nello specifico, il piano elaborato dalla commissione, caratterizzato da interventi di ampio respiro, mira a coniugare il delicato tema del monitoraggio e della bonifica delle aree agricole interessate nel passato dai fenomeni di tombamento di rifiuti con ricadute sulle matrici ambientali, con quello delle iniziative di
screening e di prevenzione dei rischi per la salute dei cittadini e ancora con quello del permanere di fenomeni di illegalità e di inciviltà che attengono allo smaltimento abusivo dei rifiuti e che contribuiscono al degrado del territorio e ad alimentare una percezione negativa con tutte le conseguenze sul piano economico e dello sviluppo. Il documento è stato oggetto di esame ed approvato dal comitato interministeriale, che si è riunito presso il Ministero dell'ambiente il 2 agosto 2016, il quale ha altresì deliberato la sua trasmissione alla cabina di regia per la programmazione del fondo di sviluppo e coesione 2014-2020, ai fini del successivo esame da parte del CIPE.
  Per quanto concerne le linee finanziarie strumentali agli interventi indicati nel programma della commissione, si fa presente che il fabbisogno economico complessivo per le misure previste è pari a 103,425 milioni di euro. Tali misure possono suddividersi in 6 macroaree d'intervento: misure per le bonifiche e il ripristino ambientale (le quali prevedono un fabbisogno economico pari a 38,5 milioni di euro); misure ricadenti sulla sicurezza (19,65 milioni di euro); area ambiente e salute (40,725 milioni di euro); rafforzamento delle misure di prevenzione antimafia e anticorruzione per le attività inerenti alla messa in sicurezza e la bonifica dei terreni (1,2 milioni di euro); misure relative alla comunicazione, sensibilizzazione e informazione della popolazione (250.000 euro); area rivitalizzazione economica del territorio (3,1 milioni di euro).
  Si segnala, inoltre, che in attuazione delle disposizioni urgenti previste dal citato decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha già predisposto lo schema di regolamento concernente i parametri fondamentali di qualità delle acque destinate ad uso irriguo su colture alimentari e le relative modalità di verifica. Tale schema è stato trasmesso in data 9 novembre 2016 agli altri ministeri competenti per acquisire il prescritto concerto. Al riguardo il Ministero è costantemente impegnato nell'attività di monitoraggio in ordine al predetto
iter.
  Della questione sono comunque interessate anche altre amministrazioni ed enti, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori e utili informazioni, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MINARDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Governo, ha adottato, per superare il fenomeno della disoccupazione giovanile nel nostro Paese, il programma «Garanzia Giovani»;
   la «Garanzia Giovani» è un piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile. Con questo obiettivo sono stati previsti dei finanziamenti per i Paesi membri con tassi di disoccupazione superiori al 25 per cento che saranno investiti in politiche attive di orientamento, istruzione e formazione e inserimento a lavoro, a sostegno dei giovani che non sono impegnati in un'attività lavorativa, né inseriti in un percorso scolastico o formativo;
   in sinergia con la raccomandazione europea del 2013, l'Italia dovrà garantire ai giovani al di sotto dei 30 anni un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio, entro 4 mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale;
   quindi un giovane tra i 15 e i 29 anni, residente in Italia – cittadino comunitario o straniero extra Unione europea, regolarmente soggiornante – non impegnato in un'attività lavorativa, né inserito in un corso scolastico o formativo, può usufruire della «Garanzia Giovani». Infatti quest'ultima è un'iniziativa concreta che può aiutarlo ad entrare nel mondo del lavoro, valorizzando le sue attitudini ed il suo background formativo e professionale;
   programmi, iniziative, servizi informativi, percorsi personalizzati, incentivi: sono queste le misure previste a livello nazionale e regionale per offrire opportunità di orientamento, formazione e inserimento al lavoro, in un'ottica di collaborazione tra tutti gli attori pubblici e privati coinvolti;
    per stabilire in modo opportuno il livello e le caratteristiche dei servizi erogati e aumentarne l'efficacia, si è scelto di introdurre un sistema di profiling che tenga conto della distanza dal mercato del lavoro, in un'ottica di personalizzazione delle azioni erogate: una serie di variabili, territoriali, demografiche, familiari e individuali profilano il giovane permettendo così di regolare la misura dell'azione in suo favore. Dal 1° febbraio 2015 le modalità di calcolo del profiling sono aggiornate a seguito del decreto direttoriale del 23 gennaio 2015 n.10, che mette fine alla fase di sperimentazione avviata il 1° maggio 2014;
   la regione siciliana con deliberazione della giunta regionale n° 106 del 13 maggio 2014, ha approvato il piano di attuazione regionale (PAR) della Garanzia per i giovani e lo schema della convenzione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è stata sottoscritta in data 16 maggio;
   sembra, da notizie riportate dalla stampa, che la regione abbia disponibilità finanziarie impegnate e non spese, per circa 41 milioni di euro –:
   di quali elementi disponga il Governo circa le risorse economiche impiegate ed effettivamente spese dalla regione siciliana per il programma «Garanzia Giovani»;
   quanti siano i soggetti che usufruiranno del piano «Garanzia Giovani» e, se il Piano non sia stato attuato, quali siano i tempi di realizzazione dello stesso;
   se risulti al Governo che la regione siciliana abbia a disposizione circa 41 milioni di euro che, a tutt'oggi, non sono stati impiegati per il programma «Garanzia Giovani»;
   di quali elementi disponga il Governo, ove siano fondate le notizie sopra riportate, circa le problematiche relative all'impiego di tali risorse. (4-12781)

  Risposta. — In riferimento all'atto parlamentare in esame, con il quale si richiedono chiarimenti in ordine ai tempi di pagamento dell'indennità di tirocinio nell'ambito del programma Garanzia giovani in Sicilia, si rappresenta quanto segue.
  La misura «Tirocini extracurricolari» avviata nell'ambito del programma «Garanzia Giovani» ha avuto, specialmente nella regione siciliana, un numero di adesioni particolarmente elevato e tale da determinare alcuni rallentamenti circa l'erogazione delle indennità di tirocinio.
  La regione, al fine di superare le criticità, ha operato alcune rimodulazioni rispetto alle risorse destinate ai tirocini e approvate dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, che hanno incrementato le risorse assegnate all'Inps per il pagamento dei tirocini per un totale ad oggi di euro 98.235.000.
  Al fine di superare tali problematiche, l'Inps e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali hanno condiviso con la regione le modalità operative per la gestione delle specifiche domande di pagamento respinte temporaneamente dall'istituto previdenziale per carenza di fondi, che hanno causato rallentamenti nei pagamenti delle indennità di tirocinio ai giovani beneficiari di tale misura. La nuova procedura prevede il reinvio da parte della regione, secondo un ordine di priorità cronologico delle domande. Di conseguenza, l'Inps ha così immediatamente ripreso la validazione delle richieste di pagamento e i relativi pagamenti.
  Si sottolinea, inoltre, che è l'intero programma regionale che garantisce la copertura finanziaria delle diverse misure la cui rimodulazione è elemento di coerenza con il principio di flessibilità del programma stesso e consente alle regioni di intervenire a rettifica di previsioni non rispondenti al fabbisogno del territorio e degli utenti. Non sussiste, pertanto, alcuna violazione al limite di risorse poste dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  Si informa, altresì, che alla data del 10 ottobre 2016, risultano inviate richieste di pagamento, da parte della regione Sicilia, per un importo pari ad euro 83.133.919,42, di cui solo 78.113,284,75 sono stati validati per il pagamento, in quanto l'INPS è in attesa di un ulteriore anticipo della provvista finanziaria da parte del Ministero del lavoro e delle politiche sociali per effettuare i pagamenti delle indennità di tirocinio su tutto il territorio nazionale (compresa la Regione Sicilia).
  Dei suddetti 78.113,284,75 euro validati sono stati liquidati 74.323,466,93 euro a favore di 39.109 tirocinanti. Si evidenzia, pertanto, che le successive rimodulazioni effettuate dalla regione Sicilia hanno ampliato la possibilità di erogare le indennità quasi raddoppiando l'importo iniziale.
  Da ultimo, nel ricordare che i giovani hanno la possibilità di scegliere più regioni in cui svolgere esperienze lavorative o formative, si segnala che attualmente il maggior numero di adesioni si rilevano in Sicilia con oltre il 13 per cento del totale.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 3 febbraio 2014, si è svolta un'importante assemblea pubblica organizzata dall'Ordine degli avvocati sui problemi della giustizia a Siena;
   in tale assemblea sono emersi i numerosi e gravi problemi che affliggono l'amministrazione della giustizia a Siena, problemi annosi e di recente ulteriormente aggravati dall'accorpamento, presso il tribunale di Siena, del tribunale di Montepulciano e della sezione staccata di Poggibonsi;
   tali problemi riguardano principalmente gli organici gravemente insufficienti per quanto riguarda i magistrati ed il personale amministrativo, gli aspetti legati all'organizzazione, la logistica, le gravi carenze del palazzo di giustizia, alcune delle quali aggravatesi recentemente, gli aspetti legati al trasferimento del tribunale civile e degli uffici del giudice di pace nella nuova sede individuata in via Camollia a Siena;
   tutto questo complesso di problemi, ulteriormente complicati dall'attuale celebrazione a Siena di alcuni processi di rilevanza nazionale che assorbono molto i magistrati presenti, si ripercuotono anche sul lavoro degli avvocati, e soprattutto comportano negative conseguenze per tutti i cittadini, che avrebbero diritto ad una giustizia rapida e certa, e che invece vedono allungare i tempi dei processi in maniera abnorme e sempre crescente;
   il comune di Siena e il Governo, nella persona del Ministro interrogato, hanno il dovere di percorrere tutte le strade possibili per migliorare il servizio ai cittadini –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno convocare, in collaborazione con l'ANCI e con l'amministrazione comunale di Siena, una conferenza di servizi fra tutti i comuni che gravitano sul distretto del tribunale di Siena, quindi attualmente anche di quelli dell'area di Montepulciano e dell'area di Poggibonsi, affinché tutti questi enti contribuiscano alle spese di manutenzione e funzionamento del palazzo attuale, o, in prospettiva, dei palazzi di giustizia di Siena, se necessario anche proponendo una nuova norma di carattere nazionale;
   se non ritenga opportuno attivarsi, per quanto di competenza, per sanare al più presto le gravi carenze nelle piante organiche presso il tribunale di Siena, sia per i magistrati che per il personale amministrativo, e presso la procura della Repubblica di Siena, e trovare le risorse per la non più rimandabile ristrutturazione degli immobili sede dell'amministrazione della giustizia a Siena, sia per quanto riguarda le emergenti carenze strutturali, sia per quanto riguarda la sicurezza;
   se nel frattempo non ritenga opportuno, avvalendosi di tutte le possibilità offerte dalle norme in vigore in tema di mobilità del personale impiegato nella pubblica amministrazione, esaminare l'ipotesi di destinare, anche temporaneamente, presso la cancelleria del tribunale, del personale in esubero, attualmente in forza nella pubblica amministrazione della città di Siena, quale, ad esempio, quello in forza alla stessa amministrazione comunale oppure anche presso l'università degli studi, la provincia o altri enti, intervenendo da un punto di vista finanziario a copertura delle necessarie spese conseguenti. (4-03766)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – criticità degli uffici giudiziari di Siena, derivanti dall'inadeguata dotazione di personale, di magistratura ed amministrativo, e dalla situazione delle sedi giudiziarie.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero della giustizia intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero della giustizia e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero della giustizia ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 22 novembre – il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero della giustizia, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di Fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari toscani.
  Allo stato, risulta che presso il tribunale di Siena prestano servizio 33 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 40 risorse umane. Presso la procura della Repubblica prestano, invece, servizio 33 delle 40 unità previste.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari rispettivamente al 33,3 per cento ed al 17,5 per cento, il primo superiore alla media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del CCNL del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Le iniziative sulla mobilità sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  Per quanto riguarda il personale di magistratura, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al distretto di Firenze sono stati assegnati nove posti di giudice e due di sostituto procuratore, in aumento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero della giustizia curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Lo scorso 20 ottobre è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
  Quanto, infine, alle spese di funzionamento degli uffici giudiziari, la legge di stabilità 2015 ha, come noto, radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico, nel senso prospettato dall'interrogante.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, con la finalità di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
  In particolare, è stato adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 29 agosto 2015, che assume la peculiare funzione, nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale, di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con l'amministrazione centrale.
  Nel quadro normativo così delineato, il Ministero della giustizia ha assunto la gestione diretta degli edifici giudiziari ed è subentrato nei rapporti contrattuali già in essere dalla data del 1o settembre 2015, essendo in precedenza di competenza del comune ogni intervento relativo alle sedi giudiziarie, come pure il pagamento di eventuali canoni di locazione, con successivo rimborso da parte dell'amministrazione centrale attraverso il rendiconto approvato dai competenti uffici.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MOLTENI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   al tribunale di Chiavari, inizialmente soppresso dalla riforma della geografia giudiziaria, è stata concessa una proroga, pare di due anni, per smaltire l'arretrato dei procedimenti civili ordinari e delle controversie in materia di lavoro, di previdenza e assistenza obbligatoria, pendenti alla data del 13 settembre 2013;
   dal 14 settembre 2013, dunque, le nuove cause, prima di competenza del tribunale di Chiavari, vengono incardinate presso il tribunale di Genova, con conseguenti disagi e costi sia per i cittadini sia per il palazzo di giustizia del capoluogo ligure, anche in termini di dilatazione dei tempi dei processi;
   benché la recente costruzione del nuovo edificio del tribunale di Chiavari sia costato allo Stato ed al comune della cittadina del Levante ligure ben 14 milioni e 200 mila euro, viene ora utilizzato solo per smaltire l'arretrato delle pratiche civili;
   i dati forniti dal Ministero della giustizia riguardo alla attività per gli anni 2006-2010 del tribunale di Chiavari, ne testano l'efficienza e la produttività anche rispetto ad altri tribunali;
   confrontando tali dati con quelli del tribunale di Genova si rileva infatti che, a fronte di una popolazione di 146.513 a Chiavari rispetto ai 735.228 abitanti di Genova, il numero dei nuovi procedimenti per magistrato è pari a 599,6 a Chiavari e 483,6 a Genova, con una media di procedimenti definiti per magistrato di 619,9 a Chiavari e 492 Genova;
   a fronte di tali numeri, è evidente che, nel caso di specie, non si sono realizzati quei «risparmi di spesa e incremento di efficienza» che avrebbero dovuto ispirare la riforma della geografia giudiziaria –:
   se il Ministro interrogato, alla luce anche dei dati sopra esposti e delle numerose istanze provenienti dal territorio del Tigullio, non reputi più opportuno assumere iniziative per ripristinare e mantenere la funzionalità del tribunale di Chiavari e così evitare che i 14 milioni di euro, appena spesi per costruire la nuova sede, non diventino un palese spreco di denaro pubblico. (4-03831)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante prospetta – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – criticità derivanti dalla soppressione del Tribunale di Chiavari.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Va, peraltro, evidenziato come l'adeguatezza delle scelte generalmente operate con il decreto legislativo n. 155 del 2012 sia stata, in più occasioni, vagliata positivamente dalla Corte costituzionale, in particolare nella sentenza n. 237 del 2013 e nell'ordinanza n. 15 dei 2014 in cui, tra l'altro, è stato rilevato che «...si è in presenza di una misura organizzativa, in cui la soppressione dei singoli tribunali ordinari ha costituito la scelta rimessa al Governo, nel quadro di una più ampia valutazione del complessivo assetto territoriale degli uffici giudiziari di primo grado, finalizzata a realizzare un risparmio di spesa e un incremento di efficienza; che tale valutazione è stata effettuata sulla base di un'articolata attività istruttoria, come si desume dalla relazione che accompagna il decreto legislativo n. 155 del 2012 e dalle schede tecniche allegate – le quali, con specifico riferimento alle singole realtà territoriali, illustrano le modalità di applicazione dei criteri – nonché dalle relazioni e dai pareri, in particolare delle Commissioni giustizia della Camera dei deputati e del Senato della Repubblica, sottoposti all'attenzione del Governo e del Parlamento; che, alla stregua di tale quadro di riferimento per l'esercizio della delega, non si ravvisa violazione da parte del decreto legislativo n. 55 del 2012 dei relativi criteri, né si evidenzia una irragionevolezza della loro applicazione».
  Inoltre, con specifico riferimento alla richiesta di referendum popolare abrogativo presentata dai Consigli regionali delle regioni Abruzzo, Basilicata, Calabria, Puglia, Marche, Friuli Venezia Giulia, Campania, Liguria e Piemonte sulla riforma della geografia giudiziaria, si rileva che la Corte costituzionale, con la sentenza n. 12 del 2014, ne ha dichiarato l'inammissibilità.

  La valutazione degli effetti della riforma è costantemente monitorata attraverso un'apposita commissione, istituita con decreto ministeriale 19 settembre 2013 con lo specifico compito di verificare lo stato di realizzazione della riforma, osservare gli effetti dell'applicazione del nuovo assetto territoriale sulla operatività degli uffici giudiziari e proporre soluzioni organizzative e normative per superare le eventuali criticità riscontrate, soprattutto in riferimento ai presidi giudiziari nelle aree fortemente caratterizzate da infiltrazioni della criminalità organizzata.
  Sulla scorta dei rilievi proposti, sono stati valutati e predisposti interventi correttivi e di coordinamento alle disposizioni emanate con i decreti legislativi 155 e 156 del 2012 attraverso l'emanazione del decreto legislativo 19 febbraio 2014, n. 14, concernente «Disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni di cui ai decreti legislativi 7 settembre 2012, n. 155 e 7 settembre 2012, n. 156, tese ad assicurare la funzionalità degli uffici giudiziari».
  Con tale decreto sono state realizzate alcune variazioni all'assetto delineato per gli uffici di primo grado che risultano del tutto coerenti con i criteri generali adottati in sede attuativa della riforma ed anzi assicurano, nell'ambito dei circondati interessati, maggiore omogeneità territoriale e migliori condizioni di accesso al servizio giustizia.

  In particolare, con riferimento alla soppressione del tribunale di Chiavari e alla ridefinizione del circondario di Genova, la commissione ha osservato come «....si tratta di ufficio che ha realizzato l'accorpamento in assenza di criticità logistiche, funzionali o organizzative, se non quelle meramente transitorie relative alla dislocazione dell'archivio storico, già fronteggiate con lo strumento appositamente previsto dall'articolo 8 decreto legislativo 155 del 2012. Nessun problema vi è stato, infatti, quanto all'archivio di uso corrente ed all'esercizio dell'attività giurisdizionale, posto che, come sopra richiamato, il Presidente del Tribunale di Genova non si è avvalso dell'utilizzo dei locali dell'ex Tribunale di Chiavari, di cui al decreto ex articolo 8 cit. autorizzato d'iniziativa del Ministro, avendo già a disposizione spazi adeguati all'accorpamento nel Palazzo di Giustizia di Genova. Si segnala, per completezza d'informazione, che il soppresso Tribunale di Chiavari, aveva un numero totale di procedimenti sopravvenuti annui, civili e penali, pari a 7.195, a fronte di una media nazionale di 18.623 e si poneva al di sotto dei parametri previsti dalla normativa, anche con riferimento agli ulteriori standard oggettivi prescelti, quali: popolazione, superficie, totale dei procedimenti annui definiti, organico di magistrati...».
  Lo stato avanzato di attuazione della riforma ed il conseguente consolidamento delle situazioni territoriali ha consentito, pertanto, di ritenere che non fossero necessari interventi correttivi in relazione ai territori comunali interessati, ovvero il ripristino di uffici soppressi.

  Risultano, pertanto, allo stato consolidate le disposizioni relative al tribunale di Chiavari che ne hanno disposto la soppressione e l'assegnazione del relativo territorio di competenza al tribunale di Genova, essendo ormai scaduto il 13 settembre 2014 il termine biennale assegnato dalla legge delega per adottare eventuali ulteriori disposizioni integrative, correttive e di coordinamento.
  Quanto all'uso dell'immobile già destinato a sede del tribunale soppresso, realizzato per uso giudiziario con finanziamento a carico dello Stato, deve rilevarsi come l'accorpamento non abbia comportato la perdita dell'immobile, in quanto l'originaria destinazione ad uso di giustizia non osta ad un diverso uso pubblico.
  Nel caso di specie, la valorizzazione del Palazzo di Giustizia di Chiavari è stata realizzata mediante la ricollocazione, nella nuova struttura, dell'ufficio del Giudice di pace di Chiavari, oltre che di tutto il materiale di archivio dei soppressi uffici giudiziari.
  La nuova destinazione d'uso dell'immobile già sede del soppresso tribunale ha, peraltro, consentito consistenti risparmi di spesa, derivanti dal recesso nei contratti di locazione in corso per gli uffici del giudice di pace e ad uso archivio, con evidente miglioramento dell'attività giudiziaria.
  Quanto ai residui spazi, non occupati dagli uffici giudiziari, il Ministero della giustizia ha manifestato la propria disponibilità all'utilizzo da parte di altre amministrazione, nella prospettiva di una complessiva razionalizzazione immobiliare e di contenimento della spesa pubblica, consentendo alla cittadinanza chiavarese migliori condizioni di accessibilità ai servizi.
  Nonostante il consolidamento della prima fase della riforma, il processo di revisione della geografia giudiziaria è tuttora sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ride funzione degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'onorevole interrogante – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio Superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
  L'impatto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione da parte del mio dicastero anche in riferimento all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  In questa prospettiva, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al Tribunale di Genova è stato assegnato un posto di giudice ed alla Procura della repubblica presso il medesimo Tribunale un ulteriore posto di sostituto procuratore, in incremento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati.
  Il 20 ottobre 2016 è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MOSCATT. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il programma «Garanzia Giovane» sta offrendo un'importante opportunità per tanti giovani;
   una regione come la Sicilia, seppur con notevole ritardo rispetto ad altre regioni, sta permettendo a ragazzi e ragazze di fare delle esperienze professionali di tirocinio presso Enti e aziende del territorio;
   al di là dell'importante aspetto formativo, in questo particolare momento di crisi economica, la «Garanzia Giovane» garantisce anche un non trascurabile sostegno economico personale;
   a oggi molti giovani partecipanti lamentano ritardi nei pagamenti dei propri contributi economici;
   a seguito di approfondite ricerche di chiarimento non si comprendono né le ragioni né la responsabilità di tali ritardi –:
   quali siano le ragioni di tali ritardi;
   se non ritenga opportuno adoperarsi affinché tale situazione, divenuta inaccettabile per tanti giovani, venga superata prima possibile. (4-10024)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, con la quale si richiedono chiarimenti in ordine ai tempi di pagamento dell'indennità di tirocinio nell'ambito del programma Garanzia giovani in Sicilia, si rappresenta quanto segue.
  La misura «Tirocini extracurricolari» avviata nell'ambito del programma «Garanzia Giovani» ha avuto, specialmente nella regione siciliana, un numero di adesioni particolarmente elevato e tale da determinare alcuni rallentamenti circa l'erogazione delle indennità di tirocinio.
  La regione, al fine di superare le criticità, ha operato alcune rimodulazioni rispetto alle risorse destinate ai tirocini e approvate dal Ministero del lavoro, che hanno incrementato le risorse assegnate all'Inps per il pagamento dei tirocini per un totale ad oggi di euro 98.235.000. Al fine di superare tali problematiche, l'Inps e il Ministero del lavoro e delle politiche sociali hanno condiviso con la regione le modalità operative per la gestione delle specifiche domande di pagamento respinte temporaneamente dall'istituto previdenziale per carenza di fondi, che hanno causato rallentamenti nei pagamenti delle indennità di tirocinio ai giovani beneficiari di tale misura. La nuova procedura prevede il reinvio da parte della regione, secondo un ordine di priorità cronologico delle domande. Di conseguenza, l'Inps ha così immediatamente ripreso la validazione delle richieste di pagamento e i relativi pagamenti.
  Si sottolinea, inoltre, che è l'intero programma regionale che garantisce la copertura finanziaria delle diverse misure la cui rimodulazione è elemento di coerenza con il principio di flessibilità del programma stesso e consente alle regioni di intervenire a rettifica di previsioni non rispondenti al fabbisogno del territorio e degli utenti. Non sussiste, pertanto, alcuna violazione al limite di risorsa poste dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali.
  Si informa, altresì, che alla data del 10 ottobre 2016, risultano inviate richieste di pagamento, da parte della Regione Sicilia, per un importo pari ad euro 83.133.919,42, di cui 78.113.284,75 sono stati validati per il pagamento.
  Dei suddetti 78.113,284,75 euro validati sono stati liquidati 74.323.466,93 euro a favore di 39.109 tirocinanti. Si evidenzia, pertanto, che le successive rimodulazioni effettuate dalla regione Sicilia hanno ampliato la possibilità di erogare le indennità quasi raddoppiando l'importo iniziale.
  Da ultimo, nel ricordare che i giovani hanno la possibilità di scegliere più regioni in cui svolgere esperienze lavorative o formative, si segnala che attualmente il maggior numero di adesioni si rilevano in Sicilia con oltre il 13 per cento del totale.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   MURA. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia ha comunicato alla prefettura di Cagliari, al dipartimento per le libertà civili e immigrazione del Ministero dell'interno, al dipartimento giustizia minorile del Ministero della giustizia e all'Agenzia del demanio di Cagliari che l'istituto penitenziario per minori di Quartucciu (Cagliari) e gli uffici del provveditorato regionale dell'ufficio esecuzione penale esterna saranno trasferiti nel penitenziario di Buoncammino non appena la struttura detentiva sarà trasferita nel carcere situato nel comune di Uta;
   contestualmente, il centro di prima accoglienza per immigrati e migranti di Elmas sarà trasferito nei locali che attualmente ospitano la scuola di polizia di Monastir (Cagliari);
   la notizia, resa nota dal sindacato di polizia penitenziaria Ugl Sardegna, assesta due colpi durissimi alla Sardegna: a) chiude la scuola di polizia di Monastir; b) lo Stato mantiene il carcere di Buoncammino per fare uffici e trasferire il carcere minorile di Quartucciu;
   all'interno della struttura della scuola di polizia penitenziaria è presente l'unico poligono di tiro chiuso di tutta la Sardegna, perfettamente funzionante e operativo della regione, che permette il regolare addestramento di tutti i poliziotti penitenziari della Sardegna;
   decisione è conseguenza del fatto che, entro il 2015, la zona militare dell'aeroporto di Elmas, dove è in funzione il centro di accoglienza per immigrati, passerà sotto il controllo della Sogaer (attraverso l'Enac) e con il trasferimento dell'Aeronautica alla base militare di Decimo anche il centro per immigrati dovrà trovare una nuova sistemazione;
   la decisione, oltre che violare una serie di norme, è antieconomica, perché incrementerà costi e oneri gestionali;
   le procedure per la dismissione sono particolarmente complicate. Ci sono da mettere d'accordo tre ministeri: giustizia, interno economia e finanze;
   l'8 ottobre 2014 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha consegnato il nuovo istituto di pena di Uta (ad esclusione dell'area dei 41 bis) al direttore del carcere cagliaritano. Resta da organizzare solo il trasferimento dei detenuti. Nel giro di pochi mesi, il vecchio istituto di Buoncammino, o almeno una sua parte, potrebbe essere messa a disposizione della città;
   è auspicabile che la struttura di Buoncammino, una volta che i detenuti saranno trasferiti nel nuovo carcere di Uta, passi al Demanio per poi essere ceduta, come prevede lo statuto autonomo della Sardegna, adottato con legge costituzionale, alla regione e, successivamente, al comune di Cagliari;
   la decisione dello Stato di «riprendersi» Buoncammino è un grave da o per Cagliari, perché toglie alla città uno degli edifici più ricchi di potenzialità di generare economia e occupazione;
   nell'isola e nel suo capoluogo sono presenti moltissimi immobili che possono essere utilizzati come CPA/CARA (centro di soccorso e prima accoglienza e centro soccorso richiedenti asilo) e, conseguentemente, le opzioni indicate dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia sono ad avviso dell'interrogante del tutto irragionevoli e pregiudizievoli per gli interessi della regione Sardegna e del comune di Cagliari;
   la struttura di Buoncammino ha una funzione baricentrica rispetto a molte sedi dell'ateneo di Cagliari e, in questo senso, potrebbe svolgere una funzione importante anche per l'università;
   come hanno ricordato il sindaco di Cagliari e il consiglio comunale attraverso due ordini del giorno approvati all'unanimità, la struttura di Buoncammino, in accordo tra regione, comune e università, potrebbe ospitare un albergo, spazi per gli studenti e spazi di aggregazione, attività commerciali e tanto altro ancora, con investimenti per diversi milioni di euro –:
   quali iniziative si intendano assumere affinché la struttura dell'istituto di Buoncammino, a Cagliari, una volta che i detenuti saranno definitivamente trasferiti nel nuovo carcere di Uta, passi al Demanio per poi essere ceduta, come prevede lo statuto autonomo della Sardegna, adottato con legge costituzionale, alla regione;
   quali provvedimenti intenda assumere per evitare la chiusura della scuola di polizia di Monastir che ha il compito di preparare coloro che intendono diventare agenti, sottufficiali o ufficiali di polizia penitenziaria, ma anche il personale civile effettivo dell'amministrazione;
   se non si ritenga opportuno trasferire il centro di soccorso e prima accoglienza e centro soccorso richiedenti asilo, ora localizzati nella zona militare dell'aeroporto di Elmas, in locali diversi rispetto a quelli che attualmente ospitano la scuola di polizia di Monastir (Cagliari), così come comunicato dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia. (4-06847)

  Risposta. — Il tema della soppressione della scuola di polizia penitenziaria di Monastir, sollevato dagli interroganti rientra nel più ampio disegno perseguito dal Governo di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, realizzato con priorità con riguardo ai casi in cui si è riscontrata la sovrapposizione di enti con funzioni e compiti analoghi.
  Nel caso delle scuole di formazione, in particolare, è stata effettuata una valutazione complessiva, che ha tenuto conto di fattori oggettivi, quali: la contrazione delle assunzioni di nuovo personale, contenute in due decimi (e – ma solo per deroga – in cinque decimi) delle unità cessate nell'anno precedente; la riduzione a 6 mesi della durata del corso di formazione degli allievi agenti ed il conseguente accorciamento del periodo di utilizzo delle strutture formative; la razionalizzazione e la riduzione dei corsi di aggiornamento, legate alle esigenze di contenimento dei costi.
  Già dal 2010 la competente articolazione ministeriale, nel procedere ad una ricognizione complessiva delle strutture destinate alla formazione del personale, aveva prospettato l'opportunità di ridurne il numero, risultando l'offerta sovradimensionata rispetto alle effettive esigenze dell'amministrazione.
  Sulla scorta di tale analisi, nel 2012 era stata proposta al Ministro allora in carica una bozza di decreto di rivisitazione del sistema Scuole che prevedeva, tra l'altro, anche la soppressione della struttura formativa di Monastir (oltre a quella di Portici).
  La ratio sottesa alla chiusura di alcune scuole risiede, dunque, nell'evidente calo della loro possibilità di utilizzo determinata dai diversi fattori, sopra ricordati.
  A tale riguardo, dal prospetto dei corsi che si sono svolti presso la scuola di Monastir dal 2006 alla fine del 2014 risulta in modo evidente la progressiva deflessione dell'operatività della struttura formativa (ad esempi nel 2010 e nel 2011 nessun corso vi si è svolto).
  Per quanto sopra – alla luce della congiuntura economica del Paese e della conseguente necessità di ricondurre a proporzione l'impiego delle risorse, umane e materiali, impegnate nel settore della formazione del personale – la scuola di formazione e aggiornamento del corpo di polizia e del personale dell'amministrazione penitenziaria di Monastir è stata soppressa con decreto ministeriale del 6 novembre 2014.
  Quanto, poi, al timore che, con la chiusura di Monastir, la formazione da espletare in altra sede comporterebbe costi assai onerosi, si osserva che con l'apertura delle nuove strutture penitenziarie in Sardegna non solo il personale dispone di locali e attrezzature in qualche caso addirittura superiori rispetto a quelli che garantiva la scuola di Monastir, ma la collocazione geografica dei nuovi istituti consente di razionalizzare ulteriormente i costi delle missioni e dei viaggi per la sede formativa individuata volta per volta.
  L'azione di razionalizzazione, cui si è accennato in premessa, è successivamente proseguita, attraverso la previsione contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 84 del 2015, recante il «Regolamento di riorganizzazione del Ministero della giustizia e riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche», con cui è stato ridotto a 300 unità l'organico della dirigenza penitenziaria. In coerenza con la scelta operata, il successivo decreto ministeriale 2 marzo 2016, in materia di riorganizzazione dell'amministrazione penitenziaria, con l'obiettivo di riconoscere priorità funzionale agli istituti penitenziari, ha destinato a questi ultimi le risorse dirigenziali, prima assegnate ai provveditorati soppressi, nonché quelle recuperate dalla riduzione dei posti di funzione dirigenziale a livello centrale e delle Scuole.
  All'esito di tale complessiva rivisitazione dell'assetto organizzativo, sono state mantenute le scuole di San Pietro Clarenza, Cairo Montenotte, Portici e Roma, e sono state previste come articolazioni ministeriali non dirigenziali della Direzione generale della formazione le strutture formative di Verbania, Parma e Sulmona.
  Quanto alla destinazione della struttura dismessa, sono in corso dei contatti interistituzionali con l'Agenzia del Demanio e con i rappresentanti delle altre Forze dell'Ordine, finalizzati a conservare la destinazione d'uso del poligono posto in un'area adiacente la stessa Scuola.
  Si tratta, infatti, di una struttura completamente separata dagli altri edifici che, pertanto, potrebbe conservare l'attuale destinazione, rinforzando l'attuale muro di cinta e predisponendo un adeguato sistema di videosorveglianza.
  Per ciò che riguarda, invece, un ipotetico trasferimento dell'istituto penale per i minorenni da Quartucciu al carcere di Cagliari Buoncammino e la ipotetica trasformazione dell'Istituto penale per i minorenni di Quartucciu in struttura di accoglienza per immigrati, tali ipotesi non sono mai rientrate tra gli obiettivi del Ministero, non essendo stato ritenuto l'immobile di Buoncammino adatto ad ospitare un Istituto penale per i minorenni e per le ingenti spese che il Ministero avrebbe dovuto sostenere per adeguare alcuni degli spazi della Casa circondariale agli standard degli I.P.M.
  La seconda ipotesi, d'altra parte, è stata parimenti abbandonata, in quanto non ritenuta assolutamente idonea dal prefetto di Cagliari, non potendosi infatti adibire tout court a Centro per gli immigrati CSPA/CARA un carcere vero e proprio, non essendo gli immigrati detenuti e non potendo essere colà ospitati.
  Pertanto, allo stato attuale, l'Istituto penale per i minorenni di Quartucciu (Cagliari) continuerà ad essere aperto ed a ricevere i detenuti di minore età di tutta al Sardegna.
  Presso l'istituto medesimo, inoltre, sono previsti lavori di ristrutturazione volti al suo ampliamento.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MURA. – Al Ministro della giustizia. – Per sapere – premesso che:
   il destino della depenalizzazione dei reati minori, soprattutto per quanto concerne il reato di immigrazione clandestina (già «bocciato» dall'Unione europea), quello di coltivazione, senza autorizzazione, di piante da cui si estraggono sostanze stupefacenti, oltre che sul reato di disturbo del riposo delle persone, è legato all'attuazione della relativa delega entro il 17 novembre 2015;
   da notizie di stampa si apprende che gli uffici giudiziari sono in fibrillazione;
   gli stessi uffici, confidando nell'attuazione della legge delega da parte del Governo, da tempo hanno congelato (d'accordo con la difesa) centinaia di migliaia di procedimenti relativi ai reati da depenalizzare (soprattutto immigrazione clandestina e omesso versamento di ritenute previdenziali fino a 10 mila euro) rinviandoli a dopo l'approvazione dei decreti legislativi;
   se i decreti dovessero saltare, in tutto o in parte, quei procedimenti si rovescerebbero sulle spalle degli uffici, con conseguenze pesanti sui carichi di lavoro e sulla durata dei processi;
   l'eventualità che i decreti legislativi non vengano approvati, fanno sapere moltissimi uffici di procura e tribunale, costituirebbe un «colpo mortale»;
   la depenalizzazione dei reati tributari, come l'omesso versamento dell'Iva fino a 250 mila euro, viene considerato dagli uffici giudiziari una norma giusta, perché oggi il reato costringe a condanne detentive irrisorie, di due mesi o poco più, al termine di un procedimento che dura tre gradi di giudizio per un mancato pagamento di fatto già accertato dall'Inps;
   con la depenalizzazione, oltre a risparmiare tempo e risorse, scatterebbe una (più rapida) sanzione amministrativa tra 10 mila e 50 mila euro, a meno che il datore di lavoro non versi le omesse ritenute entro 3 mesi dalla contestazione;
   quanto all'immigrazione clandestina, lo schema di decreto predisposto dalla giustizia prevedeva l'abrogazione secca del reato (punito con una multa) e lasciava sopravvivere la procedura amministrativa di espulsione;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea ha «bacchettato» l'Italia ritenendo che il reato di clandestinità sia contrario alle direttive europee perché non garantisce l'obiettivo dell'effettiva espulsione dello straniero;
   la relativa norma, infatti, viene spesso disapplicata anche se, rimanendo il reato formalmente in vita, i migranti spesso si ritrovano indagati con gli scafisti per reato connesso;
   una contraddizione, visto che nel frattempo la giurisprudenza ha «cancellato» sia l'aggravante di clandestinità (che aggravava qualunque reato commesso dallo straniero semplicemente perché «clandestino») sia la responsabilità penale dello straniero che, entrato in Italia clandestinamente e destinatario di un foglio di via per lasciare il Paese, rimanesse nel territorio italiano –:
   quali iniziative intenda assumere affinché vengano approvati i decreti legislativi relativi alla depenalizzazione dei reati minori, in particolare quelli concernenti i reati tributari e l'immigrazione clandestina;
   quali iniziative intenda adottare per evitare che centinaia di migliaia di procedimenti relativi ai reati da depenalizzare, «congelati» in attesa dell'attuazione della legge delega, si rovescino sulle spalle degli uffici, con conseguenze pesanti sui carichi di lavoro e sulla durata dei processi, con una palese violazione del diritto dei cittadini ad avere un processo in tempi ragionevoli. (4-11060)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante sollecita l'adozione dei decreti legislativi relativi alla depenalizzazione dei reati minori, «in particolare quelli concernenti i reati tributari e l'immigrazione clandestina», anche al fine di evitare di perpetuare un eccessivo carico di lavoro sui tribunali penali, con violazione del principio della ragionevole durata del processo.
  Si rappresenta, al riguardo, come siano stati in via definitiva adottati sia il decreto legislativo in materia di abrogazione di reati e di introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, sia il decreto legislativo recante disposizioni in materia di depenalizzazione.
  Si tratta, in particolare, dei decreti legislativi del 15 gennaio 2016, nn. 7 e 8, rispettivamente recanti «Disposizioni in materia di abrogazione di reati e introduzione di illeciti con sanzioni pecuniarie civili, a norma dell'articolo 2, comma 3, della legge 28 aprile 2014, n. 67» e «Disposizioni in materia di depenalizzazione, a norma dell'articolo 2 comma 2, della legge 28 aprile 2014, n. 67» i quali hanno realizzato un'importante attività di riduzione del ricorso al diritto penale, attraverso una massiccia depenalizzazione di alcune fattispecie di minor allarme sociale, dando attuazione alle deleghe contenute nell'articolo 2 della legge n. 67 del 2014, di delega al Governo per la riforma della disciplina sanzionatoria.
  Il Governo era stato, invero, delegato dal Parlamento ad adottare uno o più decreti legislativi per la riforma del sistema sanzionatorio, nel rispetto di determinati principi e criteri direttivi (articolo n. 76 della Costituzione) tra i quali anche la previsione di trasformare in illeciti amministrativi tutti i reati, per i quali era prevista la sola pena pecuniaria della multa o dell'ammenda (ad eccezione di alcune materie che restano sanzionate penalmente: edilizia e urbanistica; ambiente, territorio e paesaggio; alimenti e bevande; salute e sicurezza nei luoghi di lavoro; sicurezza pubblica; giochi d'azzardo e scommesse; armi ed esplosivi; elezioni e finanziamento ai partiti; proprietà intellettuale e industriale) ed alcuni reati contemplati dal codice penale, relativi a fatti ritenuti di minore offensività, il cui bene-interesse può ritenersi adeguatamente tutelato anche mediante il ricorso alla sanzione amministrativa.
  L'aspetto più significativo della revisione del sistema sanzionatorio delineato dalla legge delega consiste, oltre che nell'abrogazione di talune fattispecie criminose, anche nella trasformazione di altre in illeciti amministrativi.
  Il predetto decreto legislativo n. 8 del 2016 mira a depenalizzare, ossia a trasformare taluni reati in illeciti amministrativi, rispondendo ad una scelta di politica criminale, da tempo sollecitata dal Parlamento, anche in relazione alle sottese esigenze economiche e sociali, di deflazionare il sistema penale, sostanziale e processuale, in ossequio ai principi di frammentarietà, offensività e sussidiarietà della sanzione penale.
  La riduzione dell'area del penalmente rilevante intende ovviare alla attuale criticità connessa alla notoria espansione ipertrofica del diritto penale, che rischia di determinare effetti particolarmente insidiosi: essi, infatti, consistono, da un lato, nello svilimento della serietà che occorrerebbe, invece, riconoscere alla pena (ed al ricorso ad essa), e, dall'altro lato, nella circostanza che l'eccesso di prescrizioni provoca disorientamento ed acutizza il problema della conoscibilità delle norme penali da parte dei cittadini.
  L'enorme numero di ipotesi di reato costituisce la causa principale di ingolfamento dell'intero sistema giudiziario, non potendosi più garantire l'applicazione certa della sanzione penale a tutte le violazioni previste in tempi ragionevolmente rapidi.
  L'ambito applicativo della depenalizzazione è individuato dalla stessa legge delega in base a due diversi criteri.
  Il primo, contenuto nella lettera a) del comma 2 dell'articolo 2, riferendosi a «tutti i reati per i quali è prevista la sola pena della multa o dell'ammenda», costituisce una clausola generale per una depenalizzazione – per così dire – «astratta».
  Il secondo, indicando specificatamente le fattispecie su cui intervenire, opera una depenalizzazione – per così dire – «nominativa».
  Quanto al decreto legislativo n. 7 del 2016, esso mira ad abrogare alcuni reati, previsti da specifiche disposizioni del codice penale e, fermo il diritto al risarcimento del danno, ad istituire adeguate sanzioni pecuniarie civili in relazione ai predetti reati.
  Si sono imposte, infatti, scelte normative selettive delle fattispecie connotate da una attenuata offensività e di minor allarme sociale che, come il caso dell'ingiuria, del falso in scrittura privata, del danneggiamento semplice, si ritiene possano trovare adeguata e sufficiente tutela mediante sanzioni civili pecuniarie.
  Il legislatore delegante, in particolare, ha inteso riconsiderare il ruolo tradizionalmente compensativo, attribuito alla responsabilità civile nel nostro ordinamento, mediante un ulteriore e innovativo strumento di prevenzione dell'illecito, nella prospettiva del rafforzamento dei principi di proporzionalità, sussidiarietà ed effettività dell'intervento penale. Il fondamento e la premessa di carattere costituzionale delle sanzioni pecuniarie civili introdotte dal decreto sono individuabili nell'articolo 23 della Costituzione, sotto il profilo dell'indefettibile previsione legale di presupposti e conseguenze sanzionatorie.
  In considerazione del carattere innovativo dell'istituto delle sanzioni pecuniarie civili si è reso necessario individuare con chiarezza i criteri di riferimento emergenti dalla delega, ovvero: a) la funzione, per un verso, ultra-compensativa e, per l'altro, preventiva e repressiva, assegnata dal legislatore alle istituende «adeguate» sanzioni civili pecuniarie; b) l'esigenza di tipizzazione legislativa degli illeciti civili e di predeterminazione dei livelli sanzionatori.
  Nel silenzio della delega, si è ritenuto poi maggiormente in linea con la finalità general-preventiva attribuita dal legislatore all'istituto delle sanzioni pecuniarie civili prevedere che i proventi di quest'ultime siano devoluti a favore della cassa delle ammende: tale destinazione è stabilita dall'articolo 10 (destinazione del provento della sanzione). Si è prevista, pertanto, tale devoluzione alla cassa delle ammende, stante la funzione sanzionatoria di tali comportamenti, che hanno ricadute di inefficienza sul sistema giustizia gravandolo di costi.
  Poste tali generali premesse, e per quanto di più diretto interesse dell'interrogante, rilevo come il decreto legislativo n. 8 del 2016 non abbia recepito l'indicazione di depenalizzare il reato di cosiddetta immigrazione clandestina, di cui all'articolo 10-bis del decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286.
  Sebbene, in effetti, le difficoltà ed incongruenze di ordine processuale e sistematico, determinate dal reato di immigrazione clandestina, siano state segnalate direttamente dagli organi inquirenti, al riguardo non si è potuta raggiungere la necessaria maggioranza per l'esercizio della delega sul punto in questione.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   NESCI, DIENI e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella storia recente del comune di Longobucco, in provincia di Cosenza, si sono registrate, anche recentemente, frane e alluvioni di certo rilievo, come riportato sul blog «Castrumcropalatum», in un post del 2 marzo 2012 e in un altro del 26 ottobre 2009, e come visibile, in ordine all'alluvione del settembre 2009, sulla piattaforma video «YouTube»;
   la pericolosità del territorio è documentata anche con riferimento al 1913, come si può leggere a pagina 88 del volume «Frane e alluvioni in provincia di Cosenza agli inizi del `900» scritto — per una ricerca dell'università della Calabria, dell'Osservatorio di documentazione ambientale e dell'Archivio di Stato di Cosenza — da Olga Petrucci e Pasquale Versace e pubblicato da Editoriale Bios, di Castrolibero (Cosenza);
   in ordine al rischio sismico, oggi classificato di II categoria secondo l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274/2003, risulta, poi, che il terremoto del 1836 causò gravi danni alla quasi totalità degli edifici, il terremoto del 1870 causò gravi danni nella parte occidentale del paese e ulteriori danni, minori, si registrarono in seguito ai sismi del 1905, 1908, 1913 e 1980;
   a Longobucco vi è un'area, denominata «Santa Croce», già interessata da movimenti franosi e da cedimenti strutturali, avvallamenti e rottura della sede stradale in diversi punti della statale 177;
   con delibera di giunta n. 46 del 30 maggio 2012, il comune di Longobucco (Cosenza) approvò il progetto esecutivo dei lavori di un cogeneratore a biomassa solida per gli edifici adibiti ad attività didattico-culturale;
   il sito prescelto risulta, secondo la «Carta inventario delle frane e delle relative aree a rischio dell'Autorità di Bacino Regione Calabria», intercluso fra aree a rischio frana R2 ed R4 e in zona a rischio sismico R3, secondo quanto riportato nel Piano territoriale di coordinamento della provincia di Cosenza, in cui, peraltro, si legge: «La maggior parte dell'abitato, in base al PPR, insiste su conglomerati terrazzati alluvionali poco consolidati, facilmente disgregabili e ad elevata permeabilità» e, più avanti, «lungo il Torrente Macrocioli un'enorme frana ha provocato problemi al centro abitato»;
   sempre con riferimento all'area nella quale il citato progetto dovrebbe essere localizzato, nel medesimo Piano territoriale di coordinamento, si afferma che «il costone est del paese, ad altissimo rischio, è coinvolto in una zona franosa profonda quiescente»;
   nella zona prescelta per la realizzazione dell'impianto a biomassa, esiste inoltre un muro di contenimento palesemente degradato, oggetto di segnalazione di un consigliere comunale, Eugenio Celestino, che ha rivolto una lettera indirizzata all'ufficio tecnico del comune di Longobucco, al comandante dei carabinieri della stazione locale, al prefetto di Cosenza e all'appaltatore il 22 ottobre 2013;
   nei documenti del progetto del nuovo impianto, precisamente nella tavola N. IV, «Relazione Paesaggistica-Ambientale», è scritto a pagina 32 che «non si ravvisano per l'area in esame particolari problematiche di impatto connesse alle caratteristiche geologiche e litologiche dell'area che risulta lontana dalle aree a rischio frana» ma risulta altresì che il primo appaltatore la ditta De Masi srl con sede legale a Napoli, rinunciò all'esecuzione delle opere (poi affidate alla ditta FFC di Reggio Calabria);
   nelle comunicazioni al comune di Longobucco del 23 ottobre 2012 della ditta De Masi, è scritto, a motivare la rinuncia all'esecuzione delle opere, di «carenze progettuali tali da compromettere la validità dell'intero progetto»; l'amministrazione locale tuttavia afferma che le problematiche inerenti la progettazione di tale opera dipendono solo da refusi progettuali «ininfluenti ai fini della realizzazione del progetto»;
   appare evidente che la popolazione locale di fronte a dichiarazioni contraddittorie ha diritto di conoscere con certezza lo stato del territorio comunale e l'eventuale evoluzione delle problematiche connesse agli eventi franosi e al dissesto del proprio territorio;
   risulta all'interrogante che il CNR abbia posizionato, nei pressi dell'area interessata dai lavori del suddetto cogeneratore a biomasse, una serie di apparecchiature di monitoraggio dei fenomeni franosi;
   acquisire i risultati delle rilevazioni delle apparecchiature di monitoraggio citate, oltre ad una situazione aggiornata dell'area, potrebbe contribuire a rassicurare la popolazione in maniera piena sullo stato dei luoghi dell'intero territorio comunale e sulla validità del progetto in essere –:
   se possa fornire le risultanze delle rilevazioni delle apparecchiature di monitoraggio posizionate dal Centro nazionale ricerche in prossimità dell'area nella quale dovrà essere realizzato l'impianto a biomasse di cui alla premessa;
   di quali elementi dispongano in merito alla pericolosità del territorio del comune di Longobucco e sugli interventi di controllo e prevenzione in ordine a frane, alluvioni e terremoti, a tutela della popolazione locale. (4-03994)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  I fenomeni franosi, alluvionali e sismici di seria entità che colpiscono il nostro Paese, evidenziano la necessità di intervenire in maniera non frammentaria ma su scala nazionale e con maggiore efficacia nell'ambito della prevenzione e della manutenzione idrogeologica.
  Per quanto di competenza, questo Ministero ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2015-2020, definito dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'Ambiente in collaborazione con Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  Nel suddetto piano operativo nazionale, da una verifica effettuata nel sistema Rendis, risulta attualmente inserita e validata dalla regione la proposta di finanziamento relativa al «Risanamento idrogeologico del rione Castello di Longobucco», per un importo di euro 600.000,00.
  Tale proposta è relativa ad un intervento che risulta essere sviluppato ad un livello progettuale preliminare, pertanto non adeguato alla immediata cantierabilità.
  In relazione al citato piano, eventuali aggiornamenti delle informazioni già inserite nel sistema Rendis, nonché ulteriori nuove proposte di finanziamento di interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, potranno essere inserite dalla Regione attraverso il sistema descritto.
  Le proposte di finanziamento validate dalla regione saranno valutate secondo quanto previsto dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, relativo alla «Individuazione dei criteri e delle modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico», qualora si rendano disponibili le necessarie risorse finanziarie. Ciò consentirà di garantire, ai sensi della normativa vigente in materia, la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  Si evidenzia altresì che, nell'ambito dell'accordo programmatico tra la provincia di Cosenza e il Cnr-Irpi (Consiglio nazionale delle ricerche – Istituto di ricerca per la protezione idrogeologica), in data 20 maggio 2014 il Cnr-Irpi ha trasmesso alla Provincia una relazione illustrativa relativa al vasto movimento franoso del tipo «scorrimento», che a seguito di abbondanti piogge e nevicate, il 20 febbraio 2012 ha interessato il versante sovrastante Via Castello del comune di Longobucco, minacciando seriamente alcuni edifici sottostanti al versante.
  Il documento riporta le registrazioni degli spostamenti della frana verificatesi nel periodo tra il 1o agosto 2013 e il 5 aprile 2014, e, in particolare, illustra i dati ottenuti alla luce degli studi geologici e geomorfologici, nonché i dati forniti dal sistema di monitoraggio, in continuo e in tempo reale, implementato lungo il versante sovrastante Via Castello del comune di Longobucco.
  Da un punto di vista morfometrico, il fenomeno franoso di Via Castello presenta una forma allungata, una lunghezza di 100 m e una larghezza di 55 m. Il fenomeno è caratterizzato da tipiche fratture al suolo, tra cui si citano, per rilevanza, quelle che sono state distinte e cartografate lungo il versante a quota di 910 m sul livello del mare, 870 m sul livello del mare, 850 m sul livello del mare circa.
  Alla luce dei diversi controlli sul terreno, a seguito di segnali di allertamento della rete di sensori che preludevano evoluzioni del quadro fessurativo del suolo, è stato possibile ricostruire la geometria superficiale e i cinematismi del corpo di frana, sulla scorta dei quali è stata progettata e realizzata la rete di monitoraggio.
  Obiettivo specifico dell'attività di ricerca è stata la mitigazione del rischio dell'area in frana, attraverso il monitoraggio in continuo e in tempo reale mediante estensimetri rotativi, che ha consentito di fornire un supporto operativo all'amministrazione comunale, ai fini di protezione civile, per l'attivazione di provvedimenti di messa in sicurezza dei luoghi in prossimità dell'area in dissesto e la riduzione del danno potenziale per persone e cose.
  Tutte le operazioni sono state finalizzate al supporto della gestione degli interventi non strutturali, in attesa dei successivi interventi strutturali di consolidamento (anch'essi validabili, in termini di efficacia, per mezzo dello stesso sistema di monitoraggio).
  Della questione sono interessati anche altri enti, pertanto, qualora dovessero pervenire ulteriori informazioni, si provvederà a fornire un aggiornamento.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   NESCI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato su «Il Quotidiano del Sud» del 21 gennaio 2015 in un articolo a firma Michele Albanese, la Procura di Palmi, uno dei presidi giudiziari più importanti di tutta la Calabria, rischia a breve la paralisi;
   nel summenzionato articolo, infatti, viene precisato che «fra qualche mese l'organico di magistrati potrebbe ridursi anche del 60 per cento rispetto all'attuale che è già ridotto. A fine mese è previsto il trasferimento di ben cinque pubblici ministeri e cioè Salvatore Dolce trasferito alla procura generale di Catanzaro, Luigi Iglio alla procura di Avellino, Enzo Bucarelli alla procura di Torino, Francesco Ponzetta e Gianluca Gelso alla procura di Reggio Calabria. Questi ultimi quattro hanno chiesto di posticipare il possesso nei nuovi uffici a luglio prossimo. In forza a Palmi resterebbero Domenico Cappelleri magistrato di primo incarico, Anna Pensabene giunta lo scorso anno a marzo, Rocco Cosentino e Giulia Masci che è in aspettativa»;
   come riportato sul sito del Consiglio superiore della magistratura, la procura di Palmi già ad oggi presenta un organico vacante, a cominciare dall'assenza del procuratore della Repubblica, dopo il trasferimento a Firenze di Giuseppe Creazzo;
   in pratica, scrive ancora Albanese, «fra qualche mese, in forza alla procura di Palmi che al momento è guidata dal procuratore capo facente funzioni Emanuele Crescenti, resterebbero solo tre sostituti procuratori sui dieci previsti in organico, oltre al procuratore aggiunto e al pm capo»;
   secondo quanto riportato ancora nel succitato articolo, i vuoti di organico riguarderebbero anche il personale amministrativo dato che «di recente gli uffici di procura palmese hanno visto il passaggio ad altra sede di due funzionari che si occupavano degli affari civili e delle esecuzioni penali, due settori strategici, i quali non sono stati ancora rimpiazzati e presto un altro storico funzionario andrà in pensione»;
   la situazione, a parere dell'interrogante, è dunque molto preoccupante, considerando peraltro che la procura di Palmi riveste un ruolo determinante nella lotta alla criminalità organizzata, avendo come giurisdizione la Piana di Gioia Tauro, con il suo grande e problematico porto, da sempre mirino degli interessi «ndranghetistici»;
   a titolo di esempio, si menziona l'ultima operazione — «Cirello» — portata avanti dalla procura di Palmi (nella fattispecie dai sostituti procuratori Giulia Pantano e Salvatore Dolce) che ha portato all'arresto di diciotto persone per spaccio di droga e detenzione e porto abusivo di armi, accusati di avere gestito una vasta attività di spaccio di cocaina, eroina e canapa indiana tra Rosarno, Marina di Gioiosa Jonica e Rizziconi. Alcuni fermati risultano essere contigui alle cosche di `ndrangheta dei Pesce di Rosarno e dei Mazzaferro di Marina di Gioiosa Jonica;
   ancora, si può ricordare l'operazione condotta tra Roma e Palmi che ha portato all'arresto di tre affiliati al clan Bellocco, calabresi ma residenti nella capitale, ritenuti responsabili dei reati di favoreggiamento personale e procurata inosservanza di pena (avrebbero favorito la latitanza dei due boss Umberto e Francesco Bellocco);
   alla procura di Palmi sono in corso anche ulteriori indagini molto delicate, come quelle nate dopo le denunce dell'imprenditore Antonino De Masi a carico delle banche da cui la sua azienda è stata usurata e delle quali l'interrogante si è occupata in più atti parlamentari (n. 2-00282; n. 4-07023; n. 4-03994; n. 4-01099; n. 4-00724; n. 4-00294; n. 5-04504);
   si ricordano in questa sede i procedimenti penali ancora in corso n. 2540/08 R.G.N.R. – n. 1135/11 RGT, a carico dei direttori generali di Banca Antonveneta, ora MPS; n. 841/09 R.G.N.R. a carico dei direttori generali e funzionari di Banca Antonveneta (ora MPS) e BNL; n. 8006/12 RGNR – 2233/13 RGT, a carico dei direttori generali e funzionari di Unicredit Banca di Roma; n. 1755/13 R.G.N.R., in corso per ipotizzata violazione degli artt. 416 (associazione a delinquere), 644 e 110 c.p;
   la situazione della procura di Palmi è dunque al collasso, visto anche — come ricordato ancora da Michele Albanese su «Il Quotidiano del Sud», che la procura deve fare fronte ad esigenze dibattimentali enormi con «quattro udienze di collegio penale del tribunale e circa quattordici udienze dibattimentali del giudice monocratico, oltre alle udienze preliminari senza contare gli impegni davanti alla Corte d'assise con celebrazioni di processi non sempre di competenza della Direzione distrettuale antimafia» –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire il corretto funzionamento del procura di Palmi.
(4-07661)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante prospetta criticità della procura della Repubblica di Palmi, con riferimento alle dotazioni di personale, amministrativo e di magistratura.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 novembre 2016 – il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 34, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di Fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari calabresi.
  In particolare, allo stato, risulta che presso la Procura della Repubblica di Palmi prestano servizio 55 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 70 risorse umane, compresa la posizione dirigenziale.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 21,43 per cento, in linea con la media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del CCNL del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della Corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Le politiche sulla mobilità sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  Per quanto riguarda il personale di magistratura, è stato, recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sui territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al distretto della corte d'appello di Reggio Calabria sono stati assegnati undici posti di giudice ed uno di sostituto procuratore, in incremento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della – magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Il 20 ottobre 2016 è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   OCCHIUTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la direzione distrettuale antimafia ha condotto in Calabria importanti operazioni di contrasto al fenomeno della criminalità organizzata di stampo mafioso, tra le ultime quella riguardante l'esecuzione di venti provvedimenti cautelari nei confronti di soggetti ritenuti organici al gruppo criminale chiamato degli «zingari», attivo nell'area urbana di Cosenza, Rende e Paola, accusati di associazione a delinquere di stampo mafioso, estorsione e traffico di droga;
   come si apprende dagli organi di stampa, un detenuto avrebbe colto in carcere informazioni, poi riferendole ad un funzionario di polizia penitenziaria, circa la realizzazione di un imminente attentato nei confronti del dottore Pierpaolo Bruni, sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia di Catanzaro, già bersaglio di atti intimidatori da parte delle maggiori cosche calabresi;
   come si apprende dagli organi di stampa, il centralino della Guardia di finanza avrebbe ricevuto una telefonata dal tono altamente minatorio nei confronti del dottore Giuseppe Lombardo, sostituto procuratore della direzione distrettuale antimafia di Reggio Calabria: «Diteglielo che lo facciamo saltare per aria sul serio, i 200 chili di esplosivo sono sempre pronti; dite a Peppe Lombardo che se non la smette lo ammazziamo»;
   le recenti operazioni poste in essere dalla magistratura avrebbero allarmato le cosche calabresi;
   nel distretto di Catanzaro, dotato di 7 circondari, la direzione distrettuale antimafia sarebbe dotata di soli cinque pubblici ministeri;
   l'organico della procura della Repubblica presso il tribunale di Catanzaro, su una previsione organica di 18 unità, avrebbe registrato, per pochi mesi, una presenza massima di sedici unità;
   le magistrature antimafia calabresi sarebbero dotate di forze inadeguate al contrasto del fenomeno criminale di stampo mafioso;
   lo stato di tensione all'interno delle cosche che sfocia in attentati e minacce a magistrati, forze dell'ordine e giornalisti è certamente favorito anche dal fatto che le risorse investite dallo Stato per la repressione del crimine sono inversamente proporzionali alla densità delinquenziale dei territori –:
   quali urgenti ed incisive iniziative di competenza intenda adottare, al fine di assicurare agli uffici giudiziari calabresi le risorse umane e materiali necessarie a proseguire, con determinazione, nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata. (4-07095)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante chiede di conoscere quali siano le iniziative intraprese dal Ministero della giustizia per assicurare il pieno funzionamento della procura della Repubblica di Catanzaro, Direzione distrettuale antimafia, del quale si denunziano carenze di organico del personale di magistratura, soprattutto in riferimento alla recrudescenza dei fenomeni mafiosi che caratterizzano il territorio.
  Dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico della procura della Repubblica di Catanzaro si compone di diciotto sostituti procuratori, oltre a due procuratori aggiunti ed al capo dell'ufficio.
  Allo stato, risulta scoperto un solo posto di sostituto procuratore.
  Si tratta, pertanto, di un ufficio che evidenzia, nel suo complesso, un indice di scopertura minimo e fisiologico nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
  Come noto, la copertura delle vacanze è rimessa al Consiglio superiore della magistratura e può essere temporaneamente fronteggiata mediante provvedimenti di applicazione, di competenza del procuratore generale.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, per sostenere adeguatamente la giurisdizione, mi preme sottolineare come l'adozione di misure strutturali a sostegno degli uffici giudiziari attraverso politiche di valorizzazione e potenziamento del personale abbia rappresentato una delle priorità dell'azione del mio Dicastero.
  In questa prospettiva, l'assetto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione, nel complesso degli interventi, non ancora esauriti, di tipo normativo ed organizzativo, necessari a costruire una struttura ordinamentale idonea a rispondere in modo soddisfacente alla domanda di giustizia ed alle esigenze del territorio.
  Il complesso percorso di revisione sta ora attraversando una ulteriore, importante fase.
  È stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  La successiva distribuzione delle unità aggiuntive costituisce provvedimento di natura tabellare, rimesso alla valutazione del Consiglio superiore della magistratura.
  Alla stregua dei predetti criteri, alla procura della Repubblica di Catanzaro sono stati assegnati sette ulteriori posti, di cui uno di procuratore aggiunto, con conseguente rideterminazione della pianta organica in ventotto unità complessive, adeguandola così alle esigenze del territorio.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge 168 del 2016, del tirocinio formativo da diciotto a dodici mesi.
  Sarà, inoltre, prossimamente bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 350 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PAGANO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 maggio 2016, il presidente del parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, è stato il bersaglio di un gruppo di fuoco che ha sparato all'impazzata dopo aver bloccato la strada dove sarebbe passato con l'auto di scorta;
   il tutto si è svolto in pochi minuti: il gruppo di fuoco ha sparato all'impazzata contro la vettura di Antoci, provocando la reazione dei poliziotti che, a bordo di una seconda auto di scorta, hanno risposto al fuoco, mettendo in fuga i malviventi e ferendone uno;
   Antoci da anni sta combattendo una dura battaglia contro la mafia, in particolar modo quella relativa ai pascoli, ovvero al giro di terreni demaniali ottenuti dai membri della criminalità organizzata, a 30 euro anziché 3.000 euro, in concessione da amministratori corrotti o impauriti;
   quello di Antoci è solo l'ultimo episodio nella lotta alla mafia dei pascoli che ha portato, in data 21 settembre 2014, alla costituzione dell'Associazione spontanea liberi allevatori, comprendente aziende di allevatori di bestiame delle province di Palermo, Caltanissetta ed Enna;
   scopo di detta associazione consiste nell'urgenza di contrastare i numerosi furti organizzati di bestiame che da un paio di anni si verificano in Sicilia con sconcertante cadenza;
   le indagini delle forze dell'ordine, sebbene condotte con serietà, non hanno sortito alcun effetto senza contare che hanno evidenziato dei limiti, in quanto prive dei requisiti necessari alla lotta ad associazioni a delinquere, forse anche di stampo mafioso, alle quali certamente appartiene questa tipologia di reato, stante la complessa organizzazione della filiera criminale;
   inoltre, le su citate indagini non hanno mai tenuto nella giusta considerazione il fatto che le attuali organizzazioni criminali non operano più con le modalità tipiche del «pizzo» e delle estorsioni oggetto, negli ultimi anni, della censura delle popolazioni locali, bensì attraverso furti organizzati ai danni di allevamenti scarsamente controllati dalle forze dell'ordine;
   l'assenza dell'attenzione mediatica intorno a questi episodi di furto di bestiame non permette alle vittime di tali condotte criminali di ricevere la giusta attenzione e non consente di utilizzare mezzi maggiormente appropriati nel tentativo di contrastare questo fenomeno;
   questa tesi che gli allevatori stanno sostenendo deriva dalla considerazione che non ci si trova dinanzi a dei semplici furti di pochi capi di bestiame, in zone sperdute della Sicilia, bensì di fronte ad operazioni criminali articolate, si immaginano condotte a livello interregionale e probabilmente contraddistinte dalla presenza di mandanti, esecutori, basisti, trasportatori, nonché spesso macellatori;
   gli allevatori, a seguito dei ripetuti episodi di furto, versano in una condizione di forte preoccupazione, dal momento che tali condotte criminali sono causa di ingenti perdite, non solo in termini economici;
   alla luce di questo teorema è impensabile che singole stazioni dei carabinieri, pur serie e professionali, possano far fronte ad indagini complesse condotte nei confronti di organizzazioni agguerrite ed attrezzate;
   si pensa che solo attraverso indagini ben strutturate si può essere in grado di controllare una attività criminale che si avvale di una organizzazione che comprende, per esempio, camion motrici che di certo non possono passare inosservati in zone dalla bassissima densità abitativa e ad orari notturni;
   risulta inoltre impossibile poter intercettare le telefonate, che gli autori dei furti certamente si scambiano allo scopo di coordinare le loro attività criminali, senza una opportuna autorizzazione del magistrato al controllo delle cellule telefoniche delle zone interessate;
   è impensabile poi che la macellazione possa avvenire se non in macelli abusivi i quali non possono essere identificati in assenza di indagini ben coordinate, a livello regionale;
   l'assenza di una indagine condotta con i più moderni ed efficaci mezzi da parte delle forze dell'ordine e della magistratura, costringe gli allevatori a sorvegliare ventiquattro ore su ventiquattro i loro allevamenti, con la presenza di armi che, oltretutto, rappresentano anche un pericolo per l'incolumità fisica degli allevatori stessi, nonché una minaccia per l'ordine pubblico;
   anche le comunità territoriali scontano tali problematiche con cali occupazionali e di prodotto interno lordo locale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   come i Ministri interrogati intendano gestire quella che può tranquillamente essere considerata una emergenza interregionale, con pericolosi riflessi sulla tenuta sociale, sia in termini economici che di ordine pubblico;
   se non sia il caso di assumere le iniziative di competenza per fornire alla magistratura ed alle forze dell'ordine i mezzi adeguati alla lotta a delle vere e proprie associazioni a delinquere presenti sul territorio siciliano, riconsiderando i furti di bestiame come atti propri di una criminalità organizzata, anziché come sporadici ed isolati furti di bestiame.
(4-13428)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante, dopo avere ricordato il tentativo di agguato, avvenuto il 18 maggio 2016, ai danni del presidente dell'ente parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci, e, più in generale, evidenziato l'aumento dei furti organizzati di bestiame che si starebbe verificando in tutto il territorio siciliano, esponendo la necessità di contrastare efficacemente tale fenomeno attraverso strumenti investigativi adeguati, chiede se non sia il caso di assumere iniziative per fornire a magistratura e forze dell'ordine mezzi adeguati per la lotta a vere e proprie associazioni per delinquere presenti in Sicilia, riconsiderando i furti di bestiame come atti di criminalità organizzata, anziché come sporadici ed isolati furti.
  Da informazioni assunte presso il Ministero dell'interno risulta una avanzata conoscenza da parte delle forze di polizia con riguardo al fenomeno attuale dell'abigeato, che, sorto nell'ambito di un'economia rurale e pastorale, è oggi trasmutato in figure delittuose, cui sono interessate organizzazioni criminali di natura mafiosa.
  Come tale esso viene, pertanto, attentamente valutato ed affrontato.
  L'interesse di cosa nostra in tale settore fu documentato, invero, già nell'indagine «Nuovo Mandamento», condotta dal nucleo investigativo del gruppo carabinieri di Monreale, conclusasi nell'ottobre del 2013. In tale contesto, si accertò l'interesse dei vertici delle famiglie mafiose dell'area iatina, che comprende i mandamenti mafiosi di San Giuseppe Jato e Partinico, anche per i furti di bestiame, reati per i quali sono stati perseguiti dieci soggetti.
  L'attività tecnica ha permesso di ricostruire in maniera dettagliata, come sottolinea parimenti il Ministero dell'interno, il modus operandi ed il compito dei soggetti che hanno partecipato alla commissione di tali delitti, per la maggior parte imputati di associazione mafiosa, destinatari della misura di custodia cautelare in carcere.
  Le indagini hanno anche rivelato che gli animali, oltre ad essere destinati alla macellazione clandestina, con conseguente attività di commercializzazione di animali infetti, venivano altresì reimpiegati per il pascolo nelle aziende agricole degli stessi malfattori, che, sostituendo il marchio auricolare di un animale della loro mandria, ottenevano un ulteriore guadagno da tale tipo di reato. È stato sottolineato che l'attività delittuosa rappresenta, per l'organizzazione criminale operante nell'area iatina, una rilevante fonte di sostentamento.
  Molti altri arresti si sono da allora succeduti, recuperando bovini e mezzi d'opera, con i conseguenti sequestri.
  Per quanto attiene al fenomeno della macellazione abusiva di animali destinati al consumo alimentare, viene segnalata altresì l'indagine, di particolare rilievo, condotta dalla procura di Palermo nei confronti di Paolo Giambruno (all'epoca, direttore del dipartimento di prevenzione veterinaria dell'ASP di Palermo, nonché presidente dell'ordine dei medici veterinari della provincia di Palermo), destinatario di una misura di prevenzione patrimoniale, ai sensi della normativa antimafia, eseguita nell'ambito di una operazione di polizia condotta ad aprile 2015 dalla digos della questura di Palermo e coordinata dalla direzione distrettuale antimafia del capoluogo. Il provvedimento di sequestro è stato emesso dalla sezione misure di prevenzione del tribunale di Palermo, su proposta della procura della Repubblica, nell'ambito di un procedimento penale che vedeva coinvolte ventinove persone, tra cui funzionari e dirigenti dell'ASP, imprenditori del settore alimentare e allevatori, per i reati di abuso d'ufficio, concussione, falso ideologico, truffa aggravata e commercio di sostanze alimentari nocive.
  La vicenda, quindi, concerne la commissione di reati nei controlli sanitari, esperiti dal dipartimento veterinario sulla qualità delle carni da destinare al consumo: il direttore del medesimo avrebbe, infatti, tutelato gli interessi di un allevatore senza scrupoli, che avrebbe voluto commercializzare capi di bestiame infetti, nonostante il parere contrario del veterinario ufficiale.
  L'intervento della polizia ed il sequestro di un intero allevamento di bestiame hanno scongiurato la commercializzazione al dettaglio, per il successivo consumo alimentare, di bovini palesemente infetti, con potenziale grave nocumento per la salute dei consumatori finali.
  La direzione generale dell'ASP di Palermo, non appena ricevuti dall'autorità giudiziaria gli atti di relativa comunicazione, il 5 maggio 2015 ha adottato sedici provvedimenti di sospensione facoltativa dal servizio, ed attivato l'adozione dei procedimenti disciplinari nei confronti dell'indagato direttore del dipartimento e di altri dipendenti, disponendo la sostituzione del predetto dirigente.
  Più in generale, sulla base degli elementi informativi, forniti dalla questura e dal comando provinciale dei Carabinieri di Palermo, è emerso che in tale provincia il fenomeno dell'abigeato si registra per lo più nell'entroterra, in particolare nei comuni di Alia, Alimena, Borgetto, Caccamo, Castellana Sicula, Castronovo di Sicilia, Chiusa Sclafani, Collesano, Contessa Entellina, Gratteri, Finale di Pollina, Monreale, Palazzo Adriano, Partinico, Polizzi Generosa, Prizzi, Sclafani Bagni, Termini Imerese, Valledolmo.
  Il fenomeno, che risulta in diminuzione per gli episodi delittuosi, è invece in aumento per il numero di capi sottratti. Nel 2013 sono stati denunciati 14 episodi per 194 capi sottratti (bovini e ovini). Nel 2014, in relazione a 16 episodi, sono stati sottratti 139 capi. Per il 2015, sono stati segnalati 5 furti per 336 ovini sottratti, mentre per il 2016, alla scorsa estate, si rilevavano 4 casi per 273 capi sottratti.
  In tale contesto, inoltre, assume particolare rilievo il recente attentato mafioso perpetrato nei confronti del presidente dell'ente Parco dei Nebrodi, Giuseppe Antoci.
  Al riguardo, dalle informazioni assunte dalla competente articolazione del dicastero risulta che, intorno alle ore 1,55 del 18 maggio 2016, ignoti malviventi hanno posto in essere, nel tratto compreso tra il chilometro 26,700 ed il chilometro 26,800 (contrada Volpe) della strada statale 289 che collega i comuni nebroidei di San Fratello e Cesarò, un attentato mediante esplosione di alcuni colpi di fucile, nei confronti dell'autovettura blindata a bordo della quale personale del commissariato di P.S. di S. Agata Militello stava scortando il presidente dell'ente Parco dei Nebrodi. La procura generale di Messina ha avviato procedimento penale per i delitti di cui agli articoli 56, 575, 577 del codice penale, 2, 4 e 7 della legge n. 895 del 1967 e 7 della legge n. 203 del 1991. Le indagini, avviate nell'immediatezza – anche tramite opportuno coordinamento iniziale con la Procura di Patti – sono delegate alla squadra mobile di Messina ed al commissariato P.S. di S. Agata di Militello.
  Le informazioni attengono all'opera di sensibilizzazione sul tema della legalità portata avanti da Giuseppe Antoci e al pregiudizio che, a seguito di questa attività, talune imprese, percettrici degli aiuti comunitari erogati dall'Agenzia per le erogazioni in agricoltura, avrebbero subito, risultando anche destinatarie di informazioni interdittive antimafia.
  Infatti, presso la procura della Repubblica di Messina pendono, nella fase delle indagini preliminari, diversi procedimenti penali, finalizzati a delineare l'operatività di strutture criminali che, avvalendosi ragionevolmente della complicità di professionisti e centri di elaborazione e trasmissione di dati, fruiscono illecitamente di risorse pubbliche, mediante la fraudolenta percezione di aiuti comunitari da parte di imprese siciliane.
  Il Ministero dell'interno informa altresì che il 18 marzo 2015 è stato stipulato un Protocollo di legalità tra prefettura di Messina, Regione Siciliana, ente parco dei Nebrodi, comuni aderenti all'ente parco dei Nebrodi ed ente sviluppo agricolo, con il quale sono state estese ad atti prima esclusi per limiti di valore (cosiddetto sottosoglia) le verifiche antimafia, al fine di rendere più incisivi i controlli nell'ambito delle procedure di concessione ai privati di beni compresi nei Parco dei Nebrodi; ciò a tutela delle imprese che operano nel settore agro-silvo-pastorale, dove gravitano organizzazioni criminali, che potrebbero indebitamente finire dei finanziamenti pubblici erogati, in virtù della normativa comunitaria, in favore di soggetti che operano nel settore zootecnico ed agricolo ed ai quali sono altresì riconosciuti benefici ed agevolazioni di natura fiscale e previdenziale. L'interesse per tali contadi, da parte delle organizzazioni mafiose, è cresciuto di pari passo con l'erogazione dei contributi a fondo perduto.
  Si aggiunge che l'assessore regionale dell'agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea ha richiesto la sottoscrizione di un protocollo di legalità con tutte le prefetture della Regione, al fine di estendere i controlli antimafia, previsti dall'accordo stipulato il 18 marzo 2015 predetto, a tutte le concessioni di pascolo su aree demaniali da rilasciarsi in Sicilia, senza limiti di importo.
  Tanto premesso, per quanto di specifica competenza di questo Ministero, desidero osservare che il nostro ordinamento già dedica particolare attenzione al furto di bestiame, quale ipotesi di furto aggravato, punito con la pena della reclusione da uno a sei anni e della multa da euro 103 ad euro 1.032, ai sensi dell'articolo 625, comma 1, n. 8 del codice penale.
  Tale ipotesi, che consiste nel furto «commesso su tre o più capi di bestiame raccolti in gregge o in mandria, ovvero su animali bovini o equini, anche non raccolti in mandria», appare in tutto rispondente a quella di cui si tratta nell'atto parlamentare.
  Inoltre, nel caso in cui concorrano altre circostanze tra quelle indicate negli articoli 61 e 625 del codice penale – come l'essere commesso il fatto ad opera di tre o più persone (articolo 625, n. 5, del codice penale), o con armi (articolo 625, n. 3, del codice penale), come riferisce l'interrogazione – la pena è della reclusione da tre a dieci anni e della multa da euro 206 ad euro 1.549.
  Al riguardo, si osserva come il particolare rigore sanzionatorio, previsto per tale fattispecie, consente l'arresto in flagranza degli autori del delitto, che è obbligatorio in caso di furto pluriaggravato, nonché l'applicazione delle misure cautelari, compresa la custodia cautelare in carcere.
  Quanto agli strumenti di indagine utilizzabili nei procedimenti aventi ad oggetto tale tipologia di delitti, si evidenzia come i limiti edittali sopra riportati consentano di disporre di ogni mezzo previsto dal codice di rito, in particolare anche le intercettazioni telefoniche, telematiche ed ambientali.
  Qualora, poi, i furti di bestiame siano commessi da associazioni per delinquere di cui all'articolo 416 del codice penale, o addirittura da associazioni di tipo mafioso previste dall'articolo 416-bis del codice penale, troveranno applicazione le relative disposizioni, che puniscono assai severamente ogni forma di organizzazione criminale e, per quanto concerne le associazioni mafiose, individuano specifiche regole processuali che per taluni aspetti ampliano i limiti cui normalmente sono soggette le attività di indagine.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PANNARALE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 10 marzo 2016, il dipartimento per le libertà civili e immigrazione del Ministero dell'interno ha pubblicato sul proprio sito istituzionale una «Procedura comparativa per il conferimento a titolo gratuito di incarico di prestazione di lavoro autonomo occasionale per lo svolgimento delle attività di Comunicazione per le esigenze del Dipartimento per le Libertà Civili e l'immigrazione»;
   la Federazione nazionale della stampa italiana (il sindacato dei giornalisti italiani) è intervenuta sul bando del Ministero dell'interno per un posto da giornalista professionista «a titolo gratuito» chiedendo il ritiro dello stesso per voce del suo presidente, Giuseppe Giulietti, del suo segretario aggiunto, Raffaele Lorusso, e del presidente della Commissione lavoro autonomo, Mattia Motta sostenendo: «È inaccettabile, oltre che offensivo, che il Ministero dell'interno proceda ad una selezione pubblica per reclutare un giornalista professionista specificando che l'incarico è a titolo gratuito»;
   in una nota congiunta Giulietti, Lorusso e Motta, sottolineano: «Quel bando va immediatamente ritirato. E inconcepibile pretendere una ”complessa attività professionale” ad ”alto contenuto specialistico”, da affidare ad un giornalista professionista con certificata esperienza pluriennale, ma a titolo gratuito. Senza contare l'assurdità di definire ”occasionale” un incarico della durata di un anno e l'inammissibile esclusione dalla selezione degli iscritti nell'elenco dei giornalisti pubblicisti, in chiara violazione della legge n. 150/2000. L'attività giornalistica, al pari di tutte le altre attività professionali, non può mai essere a titolo gratuito. Il bando pubblicato dal ministero dell'Interno offende il decoro della professione giornalistica e la dignità di migliaia di giornalisti che aspirano ad una occupazione stabile e ad una retribuzione adeguata. Per queste ragioni è auspicabile che venga immediatamente ritirato»;
   per il momento il bando resta valido e il termine per le candidature scade alle ore 12 del 18 marzo 2016; l'esito della procedura verrà comunicato entro venerdì 8 aprile e poi pubblicato sul sito del Ministero;
   si tratta di una collaborazione di un anno rivolta ai giornalisti professionisti «con esperienza lavorativa documentabile di almeno tre anni nel settore della comunicazione e dell'informazione maturata nell'ambito della Comunicazione istituzionale presso le Pubbliche amministrazioni e/o presso questa Amministrazione». Questa figura, oltre a fornire una consulenza sulla comunicazione istituzionale, dovrebbe curare i rapporti con la stampa, promuovere le attività redazionali e individuare «forme innovative di comunicazione» anche con la realizzazione di video-documentari. Tutto questo per una retribuzione pari a zero;
   un bando pubblico di questa natura indetto da un Ministero, legittimando il lavoro professionale gratuito, costituirebbe un pericoloso precedente rispetto ad ogni politica di contrasto al precariato e allo sfruttamento del lavoro –:
   se non si intendano assumere iniziative per ritirare il bando di cui in premessa che offende la dignità dei lavoratori e delle lavoratrici a giudizio dell'interrogante in evidente contrasto con la legge n. 150 del 2000 e la normativa in materia di diritto del lavoro. (4-12575)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si richiama l'attenzione sulle perplessità sollevate dalla Federazione nazionale stampa italiana (Fnsi) sulla procedura comparativa esperita dal Ministero dell'interno per il conferimento di un incarico esterno per lo svolgimento di attività di comunicazione istituzionale in tema di immigrazione e asilo. Le perplessità riguardano, in particolare, la gratuità dell'incarico per il cui espletamento non sarebbe previsto alcun compenso.
  Al riguardo, l'interrogante chiede l'assunzione di iniziative per il ritiro del bando.
  Si rappresenta che, effettivamente, nel mese di marzo 2016, la Direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo del Ministero dell'interno, a fronte della perdurante imponenza dei flussi migratori e degli innumerevoli problemi che ne sono scaturiti sul territorio, ha ravvisato l'esigenza di potenziare il proprio staff con un giornalista di consolidata e pluriennale competenza, in grado di gestire professionalmente i rapporti con i mezzi di informazione e l'opinione pubblica.
  È difficile disconoscere l'importanza di un'efficace ed equilibrata comunicazione e informazione pubblica istituzionale in un settore, quello dell'immigrazione appunto, che sta vivendo da tempo una fase parossistica densa di criticità, tensioni sociali e contrapposizioni, aggravate, talvolta, da esasperazioni ideologiche, talaltra, dal coinvolgimento, in varie vicende, di diritti umani fondamentali, quale la stessa vita dei migranti.
  È stata indetta, così, la procedura comparativa a cui si fa riferimento nell'atto di sindacato ispettivo.
  In proposito, si premette che la procedura è stata espletata nel pieno rispetto dei presupposti posti dall'ordinamento giuridico agli incarichi di lavoro autonomo nelle pubbliche amministrazioni, che – come noto – consistono nella straordinarietà ed eccezionalità delle esigenze da soddisfare, nell'alta qualificazione delle prestazioni richieste, nella carenza di personale idoneo all'interno dell'amministrazione, nella durata limitata e nell'oggetto circoscritto dell'incarico.
  Riguardo alla questione della gratuità dell'incarico, è evidente come non si sia trattato di una scelta dell'Amministrazione, ma di una legittima soluzione da essa adottata giocoforza, in assenza di risorse finanziarie destinate specificamente alla remunerazione delle prestazioni di lavoro autonomo.
  È stato previsto, invece, il rimborso delle spese sostenute fuori dal comune di residenza, essendovi per esse la necessaria copertura finanziaria.
  Comunque, si fa presente che, a garanzia della legittimità della procedura comparativa, il bando aveva subordinato l'efficacia dell'incarico all'esito positivo del controllo preventivo da parte degli organi a ciò deputati.
  Si aggiunge, per completezza, che già in passato questa Amministrazione aveva sperimentato la gratuità della prestazione proprio per un incarico identico a quello in esame, senza che gli organi deputati al controllo preventivo di legittimità avessero avuto nulla da eccepire sul contratto sottoposto al loro vaglio.
  Passando dagli aspetti giuridici della procedura ai suoi esiti concreti, si informa che sono state presentate complessivamente venticinque domande, di cui ventiquattro nel termine previsto dal bando e una fuori tempo massimo.
  Tali cifre testimoniano che diversi giornalisti hanno colto lo spirito dell'iniziativa e l'hanno considerata, indipendentemente da forme di retribuzione, un'importante opportunità di arricchimento professionale e umano, in un momento in cui l'immigrazione è un tema di grande rilievo e interesse lavorativo, culturale e mediatico.
  Al di là di questa considerazione, la procedura si è conclusa con un nulla di fatto, cioè senza il conferimento dell'incarico, in quanto nessuno dei candidati è risultato in possesso dei requisiti indicati nel bando.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Calabria, il volume complessivo di acqua prelevata per uso potabile è di 421.992, milioni di metri cubi. In base ai dati aggiornati forniti dalla struttura «ItaliaSicura» della Presidenza del Consiglio dei ministri, la quantità d'acqua prelevata da sorgenti è di 194.311 milioni di metri cubi mentre la quantità prelevata da pozzo è di 170.930 milioni di metri cubi. Il prelievo dai corsi d'acqua superficiali è di 46.723 milioni di metri cubi e quello dai laghi e bacini artificiali è di 10.027 milioni di metri cubi. Non tutta l'acqua prelevata viene immessa ed erogata. Infatti, cento milioni di metri cubi dell'acqua prelevata mancano al volume dell'acqua immessa nelle reti che è pari a 327.622 milioni di metri cubi. E, considerata la perdita delle reti pari al 35,4 per cento si arriva ad una quantità di acqua erogata di 211.612 milioni di metri cubi. In pratica, la quantità d'acqua erogata risulta la metà di quella prelevata nella regione;
   emblematica la realtà del territorio di Lamezia Terme dove, nell'ambito dei 162 chilometri quadrati del territorio comunale, sono state censite ben 104 sorgenti con portata maggiore a sei litri al minuto. Tra le 36 sorgenti censite, nell'ex comune di Nicastro, nei primi decenni nel secolo scorso, ci sono alcune con portate di centinaia di litri al secondo. In particolare, 4 sorgenti denominate Candiano, Sabuco, Cappellano e Risi, complessivamente risultano in grado di fornire circa 20 miliardi di litri d'acqua all'anno. Ci si rende conto della rilevanza di questo dato se si considera che la quantità d'acqua complessivamente immessa nelle reti del comune di Lamezia Terme, di 6 miliardi e 631 milioni di litri. Non tutta l'acqua immessa viene erogata perché a Lamezia Terme il 23,7 per cento viene dato per disperso e così, mezzo miliardo di litri dell'acqua immessa nella rete viene a mancare con un quantitativo complessivamente erogato è pari a 5.061 miliardi di litri. In pratica, la quantità d'acqua erogata a Lamezia Terme è il 25 per cento della quantità fornita da quattro sorgenti presenti nei propri confini comunali. Si consideri, poi, che per ogni cittadino residente nel comune più ricco d'acqua d'Italia, la quantità d'acqua erogata è complessivamente di 197 litri al giorno ben cento litri in meno della quantità media erogata ai cittadini calabresi che è di 296 litri al giorno;
   nel Sud Italia si prevede una riduzione delle precipitazioni del 10 per cento in inverno e del 3 per cento in estate. Il deficit idrico stimato, per fine secolo, è dell'ordine di centinaia di milioni di metri cubi per le falde idriche di alcune regioni con effetti devastanti per l'agricoltura. In particolare, in Calabria si è rilevato l'aumento sia di periodi di siccità idrologica sia di precipitazioni brevi e intense e, quindi, una maggiore frequenza di alluvioni e piene straordinarie;
   la Calabria ha la più ampia disponibilità delle migliori acque potabili d'Europa, tuttavia, il 49,4 per cento della popolazione – secondo i dati del 2015 resi noti dall'ISTAT per la ricorrenza della giornata mondiale dell'acqua erogata – non ha fiducia a bere acqua del rubinetto e il 37,7 per cento dei cittadini ritiene irregolare l'erogazione dell'acqua nelle abitazioni. Per le caratteristiche geolitologiche delle rocce serbatoio e per la composizione dell'aria attraversata dalla pioggia prima d'infiltrarsi nel sottosuolo, infatti, l'acqua delle sorgenti calabresi presenta composizione chimica, biologica e temperatura ottimali dal punto di vista della potabilità;
   negli stessi territori ricchissimi d'acqua di ottima qualità, le norme nazionali e le direttive europee «in materia di valorizzazione e razionale utilizzazione delle risorse idriche e di tutela delle acque dall'inquinamento», restano ampiamente disattese e così la grande disponibilità d'acqua altro non fa se non provocare dissesti e frane sui rilievi collinari e alluvioni in pianura troppa acqua persa dalle reti idriche fatiscenti –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di mitigare gli effetti dei cambiamenti climatici e se non ritenga necessario ed urgente assumere le iniziative normative attuative di programmazione indicate sia nella direttiva 2000/60 dell'Unione europea sia negli obiettivi della strategia nazionale per la biodiversità per le aree «Acque interne» e «ambiente marino» e nelle azioni della strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al fine di proteggere la risorsa acqua, promuovere un suo utilizzo sostenibile in tutti i settori e, al contempo, garantire la sua conservazione per le generazioni future. (4-12695)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame sulla base degli elementi acquisiti dallo scrivente Ministero, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha approvato con decreto del direttore generale della direzione per il clima e l'energia n. 86 del 16 giugno 2015 la Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Snac). L'obiettivo principale della Strategia è quello di elaborare una visione generale sui percorsi comuni da intraprendere per far fronte ai cambiamenti climatici contrastando e attenuando i loro impatti.
  La strategia ha delineato un quadro di conoscenze sullo stato attuale degli impatti dei cambiamenti climatici e delle vulnerabilità delle risorse ambientali e dei settori economici interessati e ha individuato un primo insieme di proposte d'azione suddivise per tipologia (infrastrutturali, normativo-regolamentari, eco-sistemiche) e per priorità (entro è oltre l'arco temporale del 2020).
  La Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici sarà attuata attraverso l'elaborazione del Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici che insieme alla strategia dovrà indicare i temi e i modi di internalizzazione delle tematiche di adattamento ai cambiamenti climatici nei piani e programmi settoriali, nazionali, distrettuali, regionali e locali.
  In particolare, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, mediante accordo da concludere in sede di Conferenza Stato-Regioni si impegna a definire attraverso il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (Pnacc):
   ruoli e responsabilità per l'attuazione delle azioni e delle misure di adattamento nonché strumenti di coordinamento tra i diversi livelli di governo del territorio;
   scenari climatici di riferimento alla scala distrettuale/regionale, relativi impatti e vulnerabilità;
   azioni integrate di adattamento, valorizzando opportunità e sinergie; o stima delle risorse umane e finanziarie necessarie; o indicatori di efficacia delle misure di adattamento;
   modalità di monitoraggio e valutazione degli effetti delle azioni di adattamento.

  Al fine di perseguire efficacemente gli obiettivi indicati nella strategia, con particolare riferimento alla creazione di un sistema di governance in grado di assicurare la gestione ottimale della risorsa idrica e di affrontare le crisi da scarsità sotto l'egida della cooperazione, del dialogo tra le parti e dell'attenzione alle specificità territoriali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il 13 luglio 2016, ha istituito, a livello di ogni distretto italiano, gli Osservatori permanenti sugli utilizzi idrici, dando avvio, su tutto il territorio nazionale, ad una nuova modalità di gestione sostenibile dell'acqua, basata sulla condivisione delle informazioni, sulla concertazione con gli attori territoriali e sulla programmazione strategica.
  Gli osservatori rispondono all'esigenza di far sì che le prese di decisione delle amministrazioni pubbliche preposte al governo dell'acqua si basino su di un patrimonio di dati il più possibile esteso, affidabile e condiviso, che consenta di fondare razionalmente la programmazione, garantendo, soprattutto in condizioni di significativa severità idrologica, il miglior equilibrio possibile tra la disponibilità di risorse reperibili ed i fabbisogni per i diversi usi, in un contesto di sostenibilità ambientale, economica e sociale e nel pieno rispetto delle finalità di raggiungimento degli obiettivi di qualità dei corpi idrici. Ciò anche al fine di adempiere a quanto previsto dalla direttiva 2000/60/CE, la quale, per l'appunto, chiede di agevolare un utilizzo idrico sostenibile fondato sulla protezione a lungo termine delle risorse idriche disponibili.
  Gli Osservatori sono strutture snelle, prettamente operative, partecipate da tutti i principali attori distrettuali, pubblici e privati; al loro interno si effettua la raccolta, l'aggiornamento e la diffusione dei dati relativi alla disponibilità e all'uso della risorsa idrica dei distretti, compreso il riuso delle acque reflue, le importazioni e le esportazioni di risorsa ed i volumi eventualmente derivanti dalla desalinizzazione, e sono formulate proposte, tecnicamente basate, per la regolamentazione dei prelievi e degli usi, in funzione degli obiettivi fissati dai Piani di gestione dei distretti idrografici ed in coerenza con gli indirizzi forniti della Strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici.
  Gli osservatori operano anche da cabina di regia per la previsione e gestione degli eventi di carenza idrica e siccità, garantendo un adeguato flusso di informazioni, necessarie per la valutazione dei livelli della criticità, della sua evoluzione, dei prelievi in atto, e per la definizione delle azioni più adeguate per la gestione proattiva degli eventi da scarsità.
  Le attività degli osservatori sono ovviamente «tarate» a seconda dei vari scenari gestionali e di severità idrologica, secondo un criterio di proporzionalità ed efficienza. Nelle situazioni normali, in cui i valori degli indicatori (portate/livelli/volumi/accumuli) sono tali da prevedere la capacità di soddisfare le esigenze idriche del sistema naturale ed antropico, gli osservatori individuano ed implementano le reti osservative e gli strumenti necessari al monitoraggio dei volumi prelevati dai diversi soggetti, predisporranno gli indicatori ed i parametri di riferimento (idrologici, idraulici, agronomici, ambientali, di siccità e relativo impatto economico) rappresentativi della situazione di disponibilità idrica e di soddisfacimento dei fabbisogni del distretto, per la costruzione di una serie storica di riferimento che consenta l'inquadramento e la classificazione degli stati di carenza idrica e siccità, e definiscono il modello proattivo di gestione delle crisi idriche.
  In caso di «scenario di severità idrica bassa» o di «scenario di severità idrica media», gli osservatori assumono invece il ruolo di cabine di regia, provvedendo alla valutazione delle misure più appropriate per la mitigazione degli impatti della carenza idrica e della siccità, sulla base degli elementi conoscitivi disponibili e proponendo l'attuazione delle stesse misure.
  Infine, in caso di «scenario di severità idrica alta», allorquando, malgrado siano già state prese tutte le misure preventive, è presente uno stato critico non ragionevolmente prevedibile, nel quale la risorsa idrica non risulta sufficiente ad evitare danni al sistema, anche irreversibili, gli osservatori forniscono il supporto informativo/operativo al fine di contribuire alla definizione delle decisioni per la gestione dell'eventuale emergenza da parte degli organi della Protezione civile nazionale e delle altre autorità competenti coinvolte.
  Si rassicura, comunque, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Greenpeace, a seguito di un'istanza pubblica di accesso agli atti, ha ottenuto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i piani di monitoraggio di 34 piattaforme di proprietà Eni sulle 135 operanti nei mari italiani;
   il 30 marzo 2016, con una nota alle agenzie di stampa, l'Eni ha affermato: «Relativamente alle «100 piattaforme mancanti», per le quali secondo Greenpeace non sarebbero stati forniti i piani di monitoraggio, ENI spiega che quelle di propria pertinenza, non emettono scarichi a mare, né effettuano re-iniezione di acque di produzione in giacimento, pertanto non ci sono piani di monitoraggio prescritti e nessun dato da fornire»;
   l'interrogante da quanto affermato da Eni ne deduce, dunque, che nei mari italiani operano circa 100 piattaforme, a gas e petrolio, del cui impatto ambientale non si ha alcuna stima, misurazione o controllo. L'assenza di controlli su impianti del genere è un fatto gravissimo, che conferma che il 17 aprile votare «sì» al referendum sulle trivelle sia l'unica possibilità per cominciare ad arginare una situazione ai limiti dell'assurdo;
   riguardo alla mancata necessità di controllare le piattaforme che non re-iniettano le acque di produzione, si segnala il caso – portato alla luce nelle scorse ore da «5», il mensile di Live Sicilia – di 500 mila metri cubi di acque di strato, di lavaggio e di sentina che sarebbero state iniettate illegalmente nel pozzo Vega 6, del campo oli Vega della Edison, al largo delle coste di Pozzallo. I dati relativi a questo disastro ambientale verrebbero da un dossier di ISPRA, al centro di un procedimento penale della procura di Ragusa. Gli inquirenti ipotizzano «gravi e reiterati attentati alla salubrità dell'ambiente e dell'ecosistema marino attuando, per pura finalità di contenimento dei costi e quindi di redditività aziendale, modalità criminali di smaltimento dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi». Secondo ISPRA la miscela smaltita illegalmente in mare contiene «metalli tossici, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici aromatici e MTBE» e ha causato danni ambientali e inquinamento chimico. «La natura particolare delle matrici ambientali danneggiate», secondo ISPRA, non potrà essere riportata «alle condizioni originali»;
   gli esiti della ricerca condotta da ISPRA su committenza di ENI per verificare la contaminazione ambientale in campioni di cozze raccolti intorno a 19 piattaforme offshore localizzate in Adriatico e di proprietà della stessa ENI, documentano la presenza nei mitili analizzati di metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo e arsenico), benzene e altri idrocarburi policiclici aromatici. In merito agli scandali sul petrolio in Basilicata di questi giorni, adesso si scopre che i dipendenti ENI scambiarono le cozze che servivano a monitorare la qualità degli scarichi in mare alterando così i dati sull'inquinamento delle acque. Il gip di Potenza scrive: «sono apparsi ancora una volta soggetti portatori di una significativa attitudine a incidere illecitamente sulle situazioni attraverso meccanismi di alterazione», fino a spingersi a «situazioni artificiose destinate a ostacolare gli accertamenti»»;
   a parere dell'interrogante appare alquanto singolare che ad aver chiarito l'assenza di controlli non sia stato il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, seppur sollecitato per settimane, ma ENI, coinvolta nello scandalo sul petrolio in Basilicata –:
   se le motivazioni alla base del mancato rilascio dei piani di monitoraggio sulle 100 piattaforme indicate nelle premesse siano riconducibili a quanto affermato da Eni e in tal caso, per quale motivo il Governo non si sia espresso a riguardo e come sia possibile non averne alcuna stima, misurazione o controllo dell'impatto ambientale. (4-12787)

  Risposta. — Con riferimento alle problematiche evidenziate nell'interrogazione in esame, relativa al monitoraggio delle piattaforme in mare per idrocarburi, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  L'associazione ambientalista Greenpeace, in data 20 luglio 2015, ha avanzato alla competente direzione del Ministero dell'ambiente una richiesta di accesso agli atti per acquisire i dati sul monitoraggio ambientale delle piattaforme di estrazione di idrocarburi in mare. A fronte di tale richiesta il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che era in attesa di ricevere i monitoraggi da parte dell'Eni, ha reso disponibile la documentazione richiesta sino a quel momento in possesso, ossia le relazioni sui monitoraggi per gli anni dal 2012 al 2014, dando formalmente riscontro alla richiesta di accesso agli atti.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, qualora l'intervento non sia soggetto a valutazione di impatto ambientale nazionale, autorizza, ai sensi dell'articolo 104 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e ss.mm.ii, le attività di scarico in mare delle acque di strato presenti nelle formazioni geologiche associate agli idrocarburi liquidi e gassosi estratti dalle piattaforme in mare e che vengono separate durante il processo di produzione degli stessi.
  Lungo le coste italiane sono presenti circa 135 piattaforme posizionate parte entro le 12 miglia e parte oltre. Di queste per sole 40 è attivo lo scarico delle acque di strato, autorizzato previa presentazione di un Piano di monitoraggio ambientale volto a verificare l'assenza di pericoli per le acquee per gli ecosistemi acquatici.
  Sono stati pertanto forniti all'associazione Greenpeace i dati per 34 piattaforme che scaricano in mare.
  A seguito del riscontro fornito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, non sono state avanzate ulteriori richieste da parte dell'associazione.
  Tutto ciò premesso, si fa presente che, per quanto riguarda i dati sui monitoraggi ambientali e il rilascio delle autorizzazioni allo scarico, a fronte delle pervenute richieste da parte degli operatori, l'iter per il rilascio dei rinnovi allo scarico in mare per 34 piattaforme è attualmente sospeso in attesa di ricevere le necessarie valutazioni da parte di Ispra. Nel corso di questi mesi, è stato specificatamente richiesto al suddetto Istituto, tenendo conto degli esiti dei monitoraggi effettuati dal 2012 al 2014 e dei dati elaborati da Ispra negli anni precedenti, quanto segue:
   di evidenziare eventuali criticità ambientali, superamento di livelli di attenzione previsti da specifiche normative nazionali europee ed internazionali, pericolo ed eventuale compromissione per le acque e gli ecosistemi marini, tali da poter rappresentare motivo ostativo ai rinnovi;
   di individuare, ove necessario, specifiche misure prescrittive in relazione alla caratterizzazione dello scarico e alla tutela del corpo recettore.

  A fronte delle richieste di cui sopra, l'Ispra ha espresso la propria valutazione indicando che «... pur essendosi evidenziati degli effetti delle piattaforme, nella loro complessità sull'ambiente marino nelle aree più prossime alle strutture, in generale per la quasi totalità delle piattaforme prese in esame non sono emerse criticità a carico degli ecosistemi». Peraltro, su quattro piattaforme l'Istituto ha evidenziato alcune criticità, per le quali sono stati richiesti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ulteriori approfondimenti che sono in corso di svolgimento.
  Preso atto di tali valutazioni, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto opportuno avviare ulteriori verifiche sui dati rilevati durante i monitoraggi ambientali per le annualità 2011-2012-2013-2014-2015 per le piattaforme in fase di rinnovo dell'autorizzazione allo scarico, trasmessi da Eni tra settembre 2015 e giugno 2016. Tali verifiche sono necessarie per completare l'iter istruttorio e interpretare correttamente alcune variazioni della concentrazione dei parametri chimico-fisici monitorati, che non presentano andamenti costanti nel tempo. Per i profili tecnico-scientifici rilevati si è resa necessaria una valutazione supplementare da parte di un qualificato istituto di ricerca pubblico ed è stata pertanto richiesta una collaborazione mirata al Cnr.
  In relazione ai controlli e alle sanzioni, riguardo la composizione delle acque di strato, la normativa vigente prevede l'effettuazione dei controlli da parte delle capitanerie di porto, con il supporto delle Arpa, al fine di verificare la rispondenza con le prescrizioni previste dalle autorizzazioni e con la qualità e quantità delle acque di scarico dichiarate nella domanda di autorizzazione. L'unico parametro di legge previsto per lo scarico delle acque di strato è ad oggi quello relativo ad una concentrazione di olii minerali che deve essere inferiore a 40 mg/l (articolo 104 del decreto legislativo n. 152 del 2006) e che qualora rilevata porta al blocco dello scarico.
  Inoltre, come previsto dalla Parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, chiunque non osservi i divieti di scarico previsti all'articolo 104 è punito con l'arresto fino a tre anni.
  Ad ulteriore integrazione di quanto sopra rappresentato, si informa che è in corso l'attivazione di un tavolo tecnico con i tre istituti di ricerca (Ispra, Iss, Cnr), per rivedere le modalità per l'autorizzazione dello scarico direttamente in mare delle acque derivanti dalle attività di prospezione, ricerca e coltivazione di idrocarburi liquidi o gassosi in mare, in ottemperanza alle disposizioni previste all'articolo 104, comma 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006. Attualmente, infatti, la procedura istruttoria per il rilascio dell'autorizzazione allo scarico in mare da piattaforme di estrazione di idrocarburi fa riferimento al decreto ministeriale 28 luglio 1994 che quindi non tiene conto delle sopraggiunte modifiche al quadro normativo ambientale.
  In ogni caso, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare continuerà a monitorare le attività in corso anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PES. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il patrocinio gratuito garantisce ai soggetti economicamente deboli il diritto a farsi assistere e rappresentare in giudizio da un avvocato senza dover pagare le spese di difesa e le altre processuali le quali sono pertanto pagate dallo Stato;
   l'articolo 76, parte III, del Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, regola le condizioni per l'ammissione a tale beneficio, stabilendo che può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell'imposta personale sul reddito, risultante dall'ultima dichiarazione, non superiore a euro 10.628,16;
   il Capo VI, articolo 47, della Costituzione Europea, Diritto a un ricorso effettivo e a un giudice imparziale, stabilisce che «ogni persona i cui diritti e le cui libertà garantiti dal diritto dell'Unione siano stati violati, ha diritto a un ricorso effettivo dinanzi a un giudice, nel rispetto delle condizioni previste nel presente articolo. Ogni persona ha diritto a che la sua causa sia esaminata equamente, pubblicamente ed entro un termine ragionevole da un giudice indipendente e imparziale, precostituito per legge. Ogni persona ha la facoltà di farsi consigliare, difendere e rappresentare. A coloro che non dispongono di mezzi sufficienti è concesso il patrocinio a spese dello Stato, qualora ciò sia necessario per assicurare un accesso effettivo alla giustizia»;
   l'articolo 24 della Costituzione, al primo comma, prevede che tutti possono agire in giudizio per la tutela dei propri diritti e interessi legittimi. I commi successivi sanciscono che la difesa è diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento e che sono assicurati ai non abbienti, con appositi istituti, i mezzi per agire e difendersi davanti ad ogni giurisdizione;
   la difesa, dunque, diritto inviolabile in ogni stato e grado del procedimento, oltre ad essere costituzionalmente riconosciuto è anche costituzionalmente garantito a chi non ha mezzi sufficienti con la concessione del cosiddetto gratuito patrocinio, in attuazione, anche, del principio di uguaglianza dell'articolo 3 della Costituzione, con il quale la Repubblica si impegna a rimuovere gli ostacoli economici e sociali che ne minacciano l'attuazione;
   tuttavia, vi sono casi in cui l'uguaglianza dei cittadini dinanzi alla legge, richiamata nella nostra Carta fondamentale, in quella Europea e in altre fonti, non trova un'effettiva tutela con il patrocinio dello Stato, a causa di spese non contemplate dal suddetto istituto, come ad esempio nella fattispecie di denuncia per morte presunta, il cui iter, oltre alle spese legali, prevede quelle pubblicitarie più onerose;
   il tribunale ordinario dell'ultimo domicilio o dell'ultima residenza della persona scomparsa, cui gli eredi legittimi ricorrono per denunciare l'assenza, articoli 58 e 60 del codice civile, ai fini di emettere la sentenza di morte presunta, ai sensi degli articoli 723, 726, 727 del codice di procedura civile dispone che, per estratto sulla Gazzetta Ufficiale e su due quotidiani, per ben due volte consecutive, debba essere inserita la pubblicità legale;
   le persone prive di mezzi economici, che hanno il patrocinio gratuito dello Stato, non possono sostenere alcuna spesa per la formalizzazione ufficiale dell'atto di scomparsa di un proprio congiunto, come è avvenuto in Sardegna, ad Oristano, per la scomparsa del signor Caddeo in data 28 agosto 2009 –:
   se il Ministro, a seguito degli intendimenti del Governo in materia di pubblicità legale e a seguito della modifica introdotta dal decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, convertito con modificazioni dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, possa prevedere altre forme di pubblicità, in considerazione della digitalizzazione temporale e dell'efficacia delle nuove tecnologie, oppure autorizzare la diffusione della notizia attraverso altri mezzi opportuni, ma meno esosi, ex articolo 727, comma 3, del codice di procedura civile o sulla Gazzetta Ufficiale, articolo 729 del codice di procedura civile;
   se il Ministro non ritenga opportuno che la normativa concernente la concessione del patrocinio a spese dello Stato per le persone non abbienti debba ricomprendere anche i costi della pubblicità legale che, sovente, superano le spese legali, ma che sono determinanti ai fini della formalizzazione ufficiale dell'atto. (4-04673)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante lamenta come il sistema del patrocinio a spese dello Stato, previsto dal decreto del Presidente della Repubblica del 30 maggio 2012, n. 115, non comprenda anche i costi della pubblicità legale, obbligatoriamente prevista in alcuni procedimenti, quali quelli finalizzati alla dichiarazione di assenza e/o di morte presunta previsti dagli articoli 721 e successivi del codice di procedura civile.
  Chiede, pertanto, se non si intenda estendere opportunamente il gratuito patrocinio anche a tali costi.
  Il decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012 prevede, all'articolo 74, la concessione del patrocinio a spese dello Stato in ogni processo civile e, all'articolo 10, comma III, che siano esentati dal pagamento del contributo unificato, tra gli altri, i procedimenti di cui al libro IV, titolo II, capo III, tra cui le cause per la dichiarazione di assenza e di morte presunta.
  Secondo le osservazioni delle competenti articolazioni ministeriali, le norme non contengono disposizioni relative ai costi della pubblicità legale in quanto non trattasi di spese sostenute all'interno del procedimento civile, bensì di una modalità finalizzata ad assicurare la conoscibilità dell'esistenza dell'esercizio dell'azione finalizzata alla dichiarazione di assenza o di morte presunta di una persona, a tutela dei terzi interessati.
  Nella prospettiva indicata dall'interrogante, il legislatore, invero, è intervenuto, con l'articolo 37, comma 18, lettera b), del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, modificando l'articolo 729 del codice di procedura civile relativo alla pubblicazione della sentenza attraverso la previsione dell'obbligo di inserimento nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica soltanto dell'estratto, disponendo, invece, la pubblicazione per esteso nel sito internet del Ministero della giustizia, e non più «in due giornali indicati nella sentenza stessa».
  Non sono stati, invece, modificati l'articolo 723 del codice di procedura civile, che prevede la pubblicazione, facoltativa, in uno o più giornali dell'udienza di comparizione per la dichiarazione di assenza, e l'articolo 727 del codice di procedura penale, che ancora prevede la pubblicazione in due giornali della domanda diretta alla dichiarazione di morte presunta, potendo, in tale ultimo caso, il Presidente del Tribunale disporre anche di altri mezzi di pubblicità.

  In relazione ai predetti adempimenti pubblicitari, va osservato come, nei casi in cui l'istante sia stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato, le relative spese non possono essere poste a carico dell'Erario ai sensi dell'articolo 107, comma 3, lettera g) del decreto del Presidente della Repubblica citato, che prevede l'anticipazione soltanto delle «spese per gli strumenti di pubblicità legale dei provvedimenti dell'autorità giudiziaria». Esula, pertanto, dall'ambito di applicazione della norma la pubblicità della domanda di dichiarazione di morte presunta, in quanto atto introduttivo del giudizio.
  Pur non essendo, allo stato, allo studio atti di iniziativa legislativa volti ad intervenire sulla disciplina dell'istituto in parola, l'ufficio legislativo di questo Dicastero ha osservato come non sussistano ragioni ostative alla previsione di forme di pubblicità legale non onerose, attraverso la pubblicazione sul sito internet del Ministero della giustizia (o su altri siti), anche in ordine agli adempimenti previsti dagli articoli 723 e 727 del codice di procedura civile.
  La questione è, dunque, all'attenzione di questo Dicastero.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PETRINI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale di Fermo, da sempre punto di riferimento per l'amministrazione della giustizia nel sud delle Marche, si trova in una condizione di grave difficoltà, a causa della carenza di organico;
   il problema di fondo riguarda i trasferimenti dei giudici che non sono seguiti da altrettanti ricambi e la situazione è destinata a peggiorare nei prossimi mesi proprio a seguito dello spostamento di altri tre giudici, che sono in procinto di lasciare il tribunale e i cui posti vacanti non verranno occupati immediatamente da nuovo personale, aumentando così la mole di lavoro tra i giudici restanti;
   ad oggi si stima che la percentuale di scopertura nel tribunale fermano sia del 60 per cento ma la cifra effettiva sarebbe addirittura più elevata proprio perché calcolata su un corpo giudiziario già insufficiente;
   le ripercussioni di questa carenza si riversano inevitabilmente sulla gestione degli uffici, sui tempi della giustizia e sulla qualità del lavoro dell'organico, che si vede obbligato a svolgere più compiti contemporaneamente per garantire l'attività della struttura;
   lo stesso presidente dell'ordine degli avvocati di Fermo, Francesca Palma, dichiara la sua profonda preoccupazione per il continuo trasferimento di magistrati dal tribunale, perché contribuisce ad acuire le lentezze nel fissare le udienze e di conseguenza rallenta i tempi già eccessivamente lunghi della giustizia;
   inoltre, i magistrati rimasti, anche se coadiuvati dai giudici onorari, che svolgono funzioni giudicanti e sostituiscono i procuratori in udienza, potranno soltanto riuscire a trattare le questioni più urgenti, lasciando in sospeso quelle di minore entità, le quali però si andranno a sommare all'arretrato, che nel frattempo aumenterà in maniera esponenziale, creando una sorta di circolo vizioso nella cattiva gestione del sistema giudiziario fermano;
   l'attuale normativa che disciplina la giustizia nel nostro Paese non lascia purtroppo alcuna speranza sulla possibilità di trovare una soluzione a breve termine in quanto i complessi iter burocratici e la difficile congiuntura economica che l'Italia sta attraversando, non consentono di mettere a concorso i posti vacanti prima di due anni;
   si rischia di fatto la paralisi del tribunale fermano, che si vedrà costretto, in ultima istanza, a congelare un elevato numero di procedimenti, soprattutto nel settore civile, generando disservizi e conseguenze negative sul piano socio-economico, a danno dell'intera collettività;
   il crescente deficit di risorse umane e finanziarie che da qualche anno interessa anche il mondo della giustizia sono il risultato dei tagli governativi che, sebbene siano necessari per far ripartire la crescita del Paese, non possono però pregiudicare il normale svolgimento dell'attività giudiziaria, creando una situazione insostenibile, con piante organiche già carenti che continuano ad assottigliarsi col passare del tempo;
   il risultato paradossale che si viene a creare fa sì che, da un lato, le sentenze rimangono inapplicate, con perdita di introito delle pene pecuniarie, e dall'altro i colpevoli di reati più o meno gravi non pagano i loro debiti con la giustizia nei, tempi dovuti;
   pertanto la grave dilazione dei tempi dei processi, che aumentano i disagi e i costi per tutti i cittadini, rendono urgente un immediato intervento al fine di consentire al tribunale di Fermo di funzionare in modo efficiente ed efficace –:
   quali iniziative il Ministro intenda intraprendere, per quanto di competenza, in relazione alla grave situazione di carenza di personale che il tribunale di Fermo si trova costretto ad affrontare, per consentire agli organi giudiziari di svolgere, in tempi ragionevoli e nel miglior modo possibile, il ruolo che è stato loro assegnato costituzionalmente. (4-04095)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante chiede di conoscere quali siano le iniziative intraprese dal Ministero della giustizia per assicurare il pieno funzionamento del tribunale di Fermo, del quale si denunziano carenze di organico del personale di magistratura.
  Dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico dei magistrati del tribunale di Fermo si compone di 11 giudici, oltre ad un presidente di sezione ed al capo dell'ufficio e che, allo stato, tutti i posti risultano coperti.
  Tutto ciò premesso quanto alla specifica e contingente situazione del Tribunale di Fermo, mi preme sottolineare come l'adozione di misure strutturali a sostegno degli uffici giudiziari attraverso politiche di valorizzazione e potenziamento del personale abbia rappresentato una delle priorità dell'azione del mio Dicastero.
  In questa prospettiva, l'assetto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione, nel complesso degli interventi, non ancora esauriti, di tipo normativo ed organizzativo, necessari a costruire una struttura ordinamentale idonea a rispondere in modo soddisfacente alla domanda di giustizia ed alle esigenze del territorio.
  Il complesso percorso di revisione sta ora attraversando una ulteriore, importante fase.
  È stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al distretto della corte d'appello di Ancona sono stati complessivamente assegnati due posti di giudice, in incremento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero della giustizia curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Lo scorso 20 ottobre è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
  Per quanto riguarda, invece, il personale amministrativo, risulta che presso il tribunale di Fermo prestano, allo stato, servizio 40 unità, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 51 risorse umane.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 21,57 per cento, in linea con la media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del CCNL del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Al di là dei rimedi straordinari, il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero della giustizia e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero della giustizia ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale lo scorso 22 novembre – il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate ai processi di mobilità obbligatoria.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero della giustizia attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di Fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari delle Marche.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   si è svolta nei giorni scorsi nei locali della scuola di formazione professionale del personale penitenziario di Monastir (Sardegna) una visita del prefetto di Cagliari con lo scopo di adibire quella struttura a centro di prima accoglienza di immigrati clandestini ponendo di fatto fine all'attività formativa con la chiusura del centro;
   l'increscioso ennesimo atto di chiusura è stato denunciato dal sindacato Ugl penitenziari attraverso il suo segretario regionale Alessandro Cara;
   chiudere la scuola di formazione professionale del personale penitenziario costituirebbe l'ennesimo attacco del Ministero della giustizia all'apparato penitenziario della Sardegna;
   tale decisione di fatto scellerata sarebbe ulteriormente aggravata dall'ipotesi di trasferire in quei locali il centro di prima accoglienza degli immigrati clandestini;
   si tratterebbe di una decisione che segnerebbe ancor di più l'atteggiamento negativo del dipartimento per l'amministrazione penitenziaria verso la Sardegna;
   si configurerebbe di fatto un atto palesemente contrario alla buona condotta della formazione professionale nei confronti del personale penitenziario che vedrebbe cancellata una struttura di primo livello che da sempre è la fucina degli agenti e del personale addetto alla sicurezza delle carceri;
   si tratta – secondo il sindacato Ugl – dell'ennesimo tentativo di colpire i servizi e le strutture carcerarie della Sardegna puntando questa volta al cuore della formazione professionale vero valore aggiunto in un sistema carcerario debole sul piano delle carenze d'organico e difficile da gestire;
   la visita alla struttura del prefetto di Cagliari per la dislocazione nella struttura formativa di Monastir del Centro di prima accoglienza di Elmas costituisce per l'interrogante l'ennesimo e ulteriore tentativo da parte del DPA di indebolire la struttura carceraria e formativa ai danni dei sardi e dei dipendenti dell'amministrazione penitenziaria, sia del Corpo di polizia penitenziaria che del Comparto Ministeri;
   è una chiusura che non può essere tollerata;
   la struttura formativa è un simbolo per il Corpo e per l'amministrazione di vitale importanza per tutto il comparto;
   alla nefasta decisione di chiudere gli Istituti di Iglesias e Macomer, nonostante le poco credibili smentite, si aggiunge la chiusura della scuola di Monastir, decisione che coinciderebbe con la fine dell'aggiornamento professionale di tutti i dipendenti dell'amministrazione penitenziaria in Sardegna e non solo;
   all'interno della stessa struttura è presente l'unico poligono di tiro chiuso di tutta la Sardegna, perfettamente funzionante e operativo della regione, che permette il regolare addestramento di tutti i poliziotti penitenziari della Sardegna;
   a questo si aggiunge l'impegno economico che il Ministero della giustizia ha affrontato per ristrutturare la struttura negli ultimi anni. Denaro sprecato di cui qualcuno dovrà obbligatoriamente rispondere;
   la possibilità, poi, che la struttura serva ad ospitare i clandestini sbarcati in Italia rende ancor più chiaro il disegno del Ministero di cancellare un servizio importantissimo sull'onda emozionale ed emergenziale legato al preventivato ulteriore sbarco di clandestini sulle coste italiane;
   il dissenso a questo progetto di chiusura manifestato dall'Ugl Sardegna e non solo è la conferma dell'importanza della formazione professionale per gli agenti perché costituisce un punto di aggiornamento formativo fondamentale per tutto il personale che opera in Sardegna, personale che altrimenti si vedrebbe precluso il possibile miglioramento professionale se non attraverso estenuanti e costosissimi spostamenti nel continente;
   con la trasformazione della scuola in struttura per ospitare i rifugiati anche di tipo politico, attualmente accolti in altre strutture insulari, non solo non si abbatterebbero i costi ma si genererebbe un aumento degli oneri di gestione della stessa struttura;
   il ricorso frenetico al risparmio non può essere utilizzato ovunque e indistintamente soprattutto quando vi è in gioco la formazione di un corpo, che per la delicatezza del comparto, avrebbe richiesto ben altro tipo di attenzione;
   con questa scellerata azione si mette a repentaglio l'esigenza di mantenere vivo un patrimonio strutturale e formativo che ha segnato negli anni il progresso formativo raggiunto dalla polizia penitenziaria –:
   se non ritenga di dover scongiurare in tutti i modi la chiusura della scuola di formazione del personale penitenziario di Monastir;
   se non ritenga di dover evitare che la Sardegna per via della condizione insulare debba affrontare l'ennesima cancellazione di un servizio, in questo caso formativo, che costituirebbe un aggravio non solo finanziario per l'amministrazione statale;
   se non ritenga di dover predisporre un piano di rilancio della stessa struttura formativa di Monastir e scongiurare la trasformazione della stessa in un centro di prima accoglienza per clandestini;
   se non ritenga di dover coinvolgere i sindacati e le autorità locali nelle scelte che riguardano la struttura formativa di Monastir. (4-04424)

  Risposta. — Il tema della soppressione della scuola di polizia penitenziaria di Monastir, sollevato dagli interroganti, rientra nel più ampio disegno perseguito dal Governo di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, realizzato con priorità con riguardo ai casi in cui si è riscontrata la sovrapposizione di enti con funzioni e compiti analoghi.
  Nel caso delle scuole di formazione, in particolare, è stata effettuata una valutazione complessiva, che ha tenuto conto di fattori oggettivi, quali: la contrazione delle assunzioni di nuovo personale, contenute in due decimi (e – ma solo per deroga – in cinque decimi) delle unità cessate nell'anno precedente; la riduzione a 6 mesi della durata del corso di formazione degli allievi agenti ed il conseguente accorciamento del periodo di utilizzo delle strutture formative; la razionalizzazione e la riduzione dei corsi di aggiornamento, legate alle esigenze di contenimento dei costi.
  Già dal 2010 la competente articolazione ministeriale, nel procedere ad una ricognizione complessiva delle strutture destinate alla formazione del personale, aveva prospettato l'opportunità di ridurne il numero, risultando l'offerta sovradimensionata rispetto alle effettive esigenze dell'amministrazione.
  Sulla scorta di tale analisi, nel 2012 era stata proposta al Ministro allora in carica una bozza di decreto di rivisitazione del sistema scuole che prevedeva, tra l'altro, anche la soppressione della struttura formativa di Monastir (oltre a quella di Portici).
  La ratio sottesa alla chiusura di alcune scuole risiede, dunque, nell'evidente calo della loro possibilità di utilizzo determinata dai diversi fattori, sopra ricordati.
  A tale riguardo, dal prospetto dei corsi che si sono svolti presso la scuola di Monastir dal 2006 alla fine del 2014 risulta in modo evidente la progressiva deflessione dell'operatività della struttura formativa (ad esempi, nel 2010 e nel 2011 nessun corso vi si è svolto).
  Per quanto sopra – alla luce della congiuntura economica del Paese e della conseguente necessità di ricondurre a proporzione l'impiego delle risorse, umane e materiali, impegnate nel settore della formazione del personale – la scuola di formazione e aggiornamento del corpo di polizia e del personale dell'Amministrazione penitenziaria di Monastir è stata soppressa con decreto ministeriale del 6 novembre 2014.
  Quanto, poi, al timore che, con la chiusura di Monastir, la formazione da espletare in altra sede comporterebbe costi assai onerosi, si osserva che con l'apertura delle nuove strutture penitenziarie in Sardegna non solo il personale dispone di locali e attrezzature in qualche caso addirittura superiori rispetto a quelli che garantiva la scuola di Monastir, ma la collocazione geografica dei nuovi istituti consente di razionalizzare ulteriormente i costi delle missioni e dei viaggi per la sede formativa individuata volta per volta.
  L'azione di razionalizzazione, cui si è accennato in premessa, è successivamente proseguita, attraverso la previsione contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 84 del 2015, recante il «Regolamento di riorganizzazione del Ministero della Giustizia e riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche», con cui è stato ridotto a 300 unità l'organico della dirigenza penitenziaria. In coerenza con la scelta operata, il successivo decreto ministeriale 2 marzo 2016, in materia di riorganizzazione dell'amministrazione penitenziaria, con l'obiettivo di riconoscere priorità funzionale agli istituti penitenziari, ha destinato a questi ultimi le risorse dirigenziali, prima assegnate ai provveditorati soppressi, nonché quelle recuperate dalla riduzione dei posti di funzione dirigenziale a livello centrale e delle scuole.
  All'esito di tale complessiva rivisitazione dell'assetto organizzativo, sono state mantenute le scuole di San Pietro Clarenza, Cairo Montenotte, Portici e Roma, e sono state previste come articolazioni ministeriali non dirigenziali della Direzione generale della formazione le strutture formative di Verbania, Parma e Sulmona.
  Quanto alla destinazione della struttura dismessa, sono in corso dei contatti interistituzionali con l'Agenzia del demanio e con i rappresentanti delle altre Forze dell'ordine, finalizzati a conservare la destinazione d'uso del poligono posto in un'area adiacente la stessa scuola.
  Si tratta, infatti, di una struttura completamente separata dagli altri edifici che, pertanto, potrebbe conservare l'attuale destinazione, rinforzando l'attuale muro di cinta e predisponendo un adeguato sistema di videosorveglianza.
  Per ciò che riguarda, invece, un ipotetico trasferimento dell'istituto penale per i minorenni da Quartucciu al carcere di Cagliari Buoncammino e la ipotetica trasformazione dell'istituto penale per i minorenni di Quartucciu in struttura di accoglienza per immigrati, tali ipotesi non sono mai rientrate tra gli obiettivi del Ministero, non essendo stato ritenuto l'immobile di Buoncammino adatto ad ospitare un Istituto penale per minorenni e per le ingenti spese che il Ministero avrebbe dovuto sostenere per adeguare alcuni degli spazi della Casa circondariale agli standard degli I.P.M.
  La seconda ipotesi, d'altra parte, è stata parimenti abbandonata, in quanto non ritenuta assolutamente idonea dal prefetto di Cagliari, non potendosi infatti adibire tout court a Centro per gli immigrati CSPA/CARA un carcere vero e proprio, non essendo gli immigrati detenuti e non potendo essere colà ospitati.
  Pertanto, allo stato attuale, l'istituto penale per i minorenni di Quartucciu (Cagliari) continuerà ad essere aperto ed a ricevere i detenuti di minore età di tutta la Sardegna.
  Presso l'istituto medesimo, inoltre, sono previsti lavori di ristrutturazione volti al suo ampliamento.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PILI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con una comunicazione del Ministero della giustizia inviata al prefetto di Cagliari e che doveva evidentemente restare segreta è stato comunicato l'obiettivo del Ministero di:
    a) chiusura della scuola penitenziaria di Monastir per trasformarla in centro per immigrati;
    b) trasferire nel carcere di Buon Cammino le funzioni del carcere minorile di Quartucciu;
    c) trasformare il carcere di Quartucciu in struttura di accoglienza per immigrati;
   il Ministero della giustizia con queste determinazioni mette in atto un piano per la Sardegna che l'interrogante giudica inaccettabile;
   il Ministero della giustizia assesta colpi durissimi alla Sardegna;
   chiude la Scuola penitenziaria di Monastir per fare un centro per immigrati;
   non si chiude il carcere di Buon Cammino, che andava trasferito alla regione Sardegna in base all'articolo 14 dello Statuto;
   nella struttura in modo secondo l'interrogante pretestuoso e illogico si progetta di realizzare uffici e trasferire il carcere minorile di Quartucciu;
   si chiude il carcere minorile di Quartucciu;
   si sta compiendo un atto senza precedenti che incrementerà costi e oneri gestionali;
   i dipendenti penitenziari non potranno più aggiornarsi in Sardegna con costi proibitivi;
   si vuole trasformare quella struttura in un centro per immigrati alla periferia di Cagliari che rischia di trasformarsi in un vero e proprio centro esplosivo sul piano sociale e della sicurezza;
   la comunicazione segue la denuncia che il sottoscritto interrogante fece sei mesi fa insieme al sindacato dell'Ugl penitenziari;
   con un'interrogazione sulla questione era stata manifestata la preoccupazione per quel pericolo;
   oggi il piano viene messo in campo con un'azione che denota la spregiudicatezza di coloro che secondo l'interrogante stanno continuando a considerare la Sardegna una vera e propria colonia;
   una decisione che va contrastata in tutti i modi auspicando che le amministrazioni locali si attivino;
   si tratta di una decisione irragionevole, irrazionale e irresponsabile;
   lascia allibiti e interdetti la decisione di non cedere alla regione e poi al comune di Cagliari il carcere di Buon Cammino e di destinarlo a struttura minorile solo per continuare a mantenere la proprietà dell'immobile che invece dovrebbe passare automaticamente nella disponibilità della regione Sarda;
   si è di fronte ad un atto politico del governo Renzi contro la Sardegna senza precedenti –:
   se non ritenga di bloccare questo scellerato piano di dismissioni che non tiene conto della realtà sarda;
   se non ritenga di dover avviare le procedure immediate per la cessione degli immobili non più utilizzati dalla Stato nella funzione statale originaria;
   se non ritenga di dover per ragioni inerenti ai costi gestionali, di dover escludere la Sardegna da qualsiasi piano di riparto delle quote immigrati;
   se non ritenga di dover coinvolgere le amministrazioni locali e le organizzazioni sindacali in qualsiasi ipotesi di piano riorganizzativo dell'amministrazione penitenziaria in Sardegna. (4-06420)

  Risposta. — Il tema della soppressione della scuola di polizia penitenziaria di Monastir, sollevato dagli interroganti, rientra nel più ampio disegno perseguito dal Governo di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, realizzato con priorità con riguardo ai casi in cui si è riscontrata la sovrapposizione di enti con funzioni e compiti analoghi.
  Nel caso delle scuole di formazione, in particolare, è stata effettuata una valutazione complessiva, che ha tenuto conto di fattori oggettivi, quali: la contrazione delle assunzioni di nuovo personale, contenute in due decimi (e – ma solo per deroga – in cinque decimi) delle unità cessate nell'anno precedente; la riduzione a 6 mesi della durata del corso di formazione degli allievi agenti ed il conseguente accorciamento del periodo di utilizzo delle strutture formative; la razionalizzazione e la riduzione dei corsi di aggiornamento, legate alle esigenze di contenimento dei costi.
  Già dal 2010 la competente articolazione ministeriale, nel procedere ad una ricognizione complessiva delle strutture destinate alla formazione del personale, aveva prospettato l'opportunità di ridurne il numero, risultando l'offerta sovradimensionata rispetto alle effettive esigenze dell'amministrazione.
  Sulla scorta di tale analisi, nel 2012 era stata proposta al Ministro allora in carica una bozza di decreto di rivisitazione del sistema scuole che prevedeva, tra l'altro, anche la soppressione della struttura formativa di Monastir (oltre a quella di Portici).
  La ratio sottesa alla chiusura di alcune Scuole risiede, dunque, nell'evidente calo della loro possibilità di utilizzo determinata dai diversi fattori, sopra ricordati.
  A tale riguardo, dal prospetto dei corsi che si sono svolti presso la scuola di Monastir dal 2006 alla fine del 2014 risulta in modo evidente la progressiva deflessione dell'operatività della struttura formativa (ad esempi nel 2010 e nel 2011 nessun corso vi si è svolto).
  Per quanto sopra – alla luce della congiuntura economica del Paese e della conseguente necessità di ricondurre a proporzione l'impiego delle risorse, umane e materiali, impegnate nel settore della formazione del personale – la scuola di formazione e aggiornamento del corpo di polizia e del personale dell'amministrazione penitenziaria di Monastir è stata soppressa con decreto ministeriale del 6 novembre 2014.
  Quanto, poi, al timore che, con la chiusura di Monastir, la formazione da espletare in altra sede comporterebbe costi assai onerosi, si osserva che con l'apertura delle nuove strutture penitenziarie in Sardegna non solo il personale dispone di locali e attrezzature in qualche caso addirittura superiori rispetto a quelli che garantiva la scuola di Monastir, ma la collocazione geografica dei nuovi istituti consente di razionalizzare ulteriormente i costi delle missioni e dei viaggi per la sede formativa individuata volta per volta.
  L'azione di razionalizzazione, cui si è accennato in premessa, è successivamente proseguita, attraverso la previsione contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 84 del 2015, recante il «Regolamento di riorganizzazione del Ministero della giustizia e riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche», con cui è stato ridotto a 300 unità l'organico della dirigenza penitenziaria. In coerenza con la scelta operata, il successivo decreto ministeriale. 2 marzo 2016, in materia di riorganizzazione dell'amministrazione penitenziaria, con l'obiettivo di riconoscere priorità funzionale agli istituti penitenziari, ha destinato a questi ultimi le risorse dirigenziali, prima assegnate ai provveditorati soppressi, nonché quelle recuperate dalla riduzione dei posti di funzione dirigenziale a livello centrale e delle scuole.
  All'esito di tale complessiva rivisitazione dell'assetto organizzativo, sono state mantenute le scuole di San Pietro Clarenza, Cairo Montenotte, Portici e Roma, e sono state previste come articolazioni ministeriali non dirigenziali della direzione generale della formazione le strutture formative di Verbania, Parma e Sulmona.
  Quanto alla destinazione della struttura dismessa, sono in corso dei contatti interistituzionali con l'agenzia del demanio e con i rappresentanti delle altre forze dell'ordine, finalizzati a conservare la destinazione d'uso del poligono posto in un'area adiacente la stessa Scuola.
  Si tratta, infatti, di una struttura completamente separata dagli altri edifici che, pertanto, potrebbe conservare l'attuale destinazione, rinforzando l'attuale muro di cinta e predisponendo un adeguato sistema di videosorveglianza.
  Per ciò che riguarda, invece, un ipotetico trasferimento dell'istituto penale per i minorenni da Quartucciu al carcere di Cagliari Buoncammino e la ipotetica trasformazione dell'istituto penale per i minorenni di Quartucciu in struttura di accoglienza per immigrati, tali ipotesi non sono mai rientrate tra gli obiettivi del Ministero, non essendo stato ritenuto l'immobile di Buoncammino adatto ad ospitare un istituto penale per i minorenni e per le ingenti spese che il Ministero della giustizia avrebbe dovuto sostenere per adeguare alcuni degli spazi della casa circondariale agli standard degli I.P.M.
  La seconda ipotesi, d'altra parte, è stata parimenti abbandonata, in quanto non ritenuta assolutamente idonea dal prefetto di Cagliari, non potendosi infatti adibire tout court a centro per gli immigrati CSPA/CARA un carcere vero e proprio, non essendo gli immigrati detenuti e non potendo essere colà ospitati.
  Pertanto, allo stato attuale, l'istituto penale per i minorenni di Quartucciu (Cagliari) continuerà ad essere aperto ed a ricevere i detenuti di minore età di tutta al Sardegna.
  Presso l'istituto medesimo, inoltre, sono previsti lavori di ristrutturazione volti al suo ampliamento.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PIRAS. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 1983, la SFAP Monastir è attiva come scuola di formazione e aggiornamento per il personale del Corpo degli agenti di custodia;
   dal 1983 al 2012 sono stati organizzati 32 corsi per allievi di agenti di Polizia penitenziaria per un totale di 4032 poliziotti formati dalla scuola di Monastir;
   nello stesso periodo di tempo, sono stati anche svolti 7 corsi per sottufficiali, con 700 sottufficiali formati, oltre che altri corsi di svariate tipologie: sicurezza nel posto di lavoro, guida per agenti e – in convenzione con la Asl n. 8 di Cagliari – per tutti i conduttori delle autoambulanze presenti nel territorio;
   l'attività dal 1983 ad oggi è stata portata avanti con grande efficienza e nonostante la strutturale carenza organica di personale in servizio superiore al 50 per cento;
   la SFAP di Monastir è dotata delle seguenti strutture: 2 aule didattiche da 60 posti, un'aula informatica da 24 posti, un auditorium da 130 posti, 14 stanze da 2 posti, 26 stanze da 3 posti, 10 stanze da 5 posti, 1 stanza da 6 posti, palestra completa di attrezzature, campo di calcetto, un capannone in cui sono custodite gran parte delle autovetture dell'amministrazione penitenziaria di Cagliari, un magazzino vestiario che contiene e fornisce tutte le divise del Corpo di polizia penitenziaria della Sardegna, una mensa da 200 posti;
   nella struttura è presente un poligono di tiro dove si esercitano tutte le forze dell'ordine presenti nella provincia di Cagliari, la più utilizzata dell'intera regione Sardegna;
   con comunicazioni del Dap si riferisce che la struttura di Monastir verrà dismessa ed adibita a CSPA/CARA, ipotizzando il trasferimento degli uffici da Monastir al carcere di Buoncammino a Cagliari, struttura detentiva per la quale è prevista la dismissione;
   in merito a tale progetto si sottolinea la contrarietà espressa sul piano «tecnico» dagli operatori della struttura, adducendo in particolare motivazioni inerenti la sicurezza della medesima e la effettiva rispondenza della stessa alle necessarie caratteristiche di accoglienza nel pieno rispetto dei diritti umani;
   con riferimento al trasferimento delle attività fin qui svolte in altra sede si sottolinea l'entità dei costi che si dovrebbero sostenere, assolutamente superiori a quelli che deriverebbero da un nuovo investimento per il potenziamento della struttura e una sua riqualificazione;
   nel carcere di Buoncammino – in via di dismissione – si ipotizza il trasferimento degli uffici amministrativi della Polizia Penitenziaria e del carcere minorile di Quartucciu;
   l'amministrazione comunale di Cagliari, capoluogo della regione Sardegna, ha già manifestato contrarietà all'ipotesi del riutilizzo di Buoncammino da parte del Ministero della giustizia, avanzando proposte di riqualificazione con diversa destinazione per la crescita economica, culturale e sociale della città e del territorio;
   il consiglio comunale di Cagliari, in data 4 novembre, ha approvato due ordini del giorno all'unanimità nei quali si chiede l'assegnazione alla città della struttura;
   la struttura detentiva di Buoncammino è un edificio storico che insiste su un'area di particolare pregio architettonico, archeologico, identitario e paesaggistico, contigua al castello di Cagliari, al polo universitario di Viale Fra Ignazio e di Sa Duchessa, all'area dell'anfiteatro romano e limitrofa al sito dei «Giardini sotto le mura», per tali ragioni appaiono del tutto evidenti le potenzialità della struttura medesima, che risulterebbe del tutto sacrificata e sottoutilizzata qualora la esclusiva destinazione fosse quella della sede della Dap;
   per avviso dei lavoratori, la chiusura della scuola di polizia penitenziaria di Monastir non ha ragioni economiche, e risulterebbe essere una grave perdita per il personale dell'amministrazione penitenziaria, a quel punto costretto a recarsi nella penisola per la formazione;
   il personale della SFAP di Monastir avanzano altresì interessanti proposte di alternative ed integrative rispetto all'utilizzo attuale: oltre al trasferimento il loco della Dap la creazione un luogo di formazione e crescita stabile per tutto il personale della pubblica amministrazione della Sardegna, attraverso sinergie con le altre amministrazioni pubbliche, dando una sorta di moderna «Cittadella Penitenziaria» che potrebbe ospitare provveditorato, Uepe, Centro di giustizia minorile e una piccola sezione adibita alla detenzione dei minori –:
   se sia a conoscenza dei fatti sopracitati riguardanti la dismissione della SFAP di Monastir;
   se non ritenga necessario un maggiore approfondimento della questione, trovando una sintesi tra le proposte in campo che possa essere razionale, economica e funzionale alla crescita del territorio della provincia di Cagliari;
   se non ritenga utile incontrare, insieme alle istituzioni della regione Sardegna, le organizzazioni dei lavoratori e le proposte che essi avanzano. (4-06765)

  Risposta. — Il tema della soppressione della Scuola di polizia penitenziaria di Monastir, sollevato dagli interroganti, rientra nel più ampio disegno perseguito dal Governo di razionalizzazione e riduzione della spesa pubblica, realizzato con priorità con riguardo ai casi in cui si è riscontrata la sovrapposizione di enti con funzioni e compiti analoghi.
  Nel caso delle scuole di formazione, in particolare, è stata effettuata una valutazione complessiva, che ha tenuto conto di fattori oggettivi, quali: la contrazione delle assunzioni di nuovo personale, contenute in due decimi (e – ma solo per deroga – in cinque decimi) delle unità cessate nell'anno precedente; la riduzione a 6 mesi della durata del corso di formazione degli allievi agenti ed il conseguente accorciamento del periodo di utilizzo delle strutture formative; la razionalizzazione e la riduzione dei corsi di aggiornamento, legate alle esigenze di contenimento dei costi.
  Già dal 2010 la competente articolazione ministeriale, nel procedere ad una ricognizione complessiva delle strutture destinate alla formazione del personale, aveva prospettato l'opportunità di ridurne il numero, risultando l'offerta sovradimensionata rispetto alle effettive esigenze dell'amministrazione.
  Sulla scorta di tale analisi, nel 2012 era stata proposta al Ministro allora in carica una bozza di decreto di rivisitazione del sistema Scuole che prevedeva, tra l'altro, anche la soppressione della struttura formativa di Monastir (oltre a quella di Portici).
  La ratio sottesa alla chiusura di alcune scuole risiede, dunque, nell'evidente calo della loro possibilità di utilizzo determinata dai diversi fattori, sopra ricordati.
  A tale riguardo, dal prospetto dei corsi che si sono svolti presso la scuola di Monastir dal 2006 alla fine del 2014 risulta in modo evidente la progressiva deflessione dell'operatività della struttura formativa (ad esempi nel 2010 e nel 2011 nessun corso vi si è svolto).
  Per quanto sopra – alla luce della congiuntura economica del Paese e della conseguente necessità di ricondurre a proporzione l'impiego delle risorse, umane e materiali, impegnate nel settore della formazione del personale – la Scuola di formazione e aggiornamento del Corpo di polizia e del personale dell'amministrazione penitenziaria di Monastir è stata soppressa con decreto ministeriale del 6 novembre 2014.
  Quanto, poi, al timore che, con la chiusura di Monastir, la formazione da espletare in altra sede comporterebbe costi assai onerosi, si osserva che con l'apertura delle nuove strutture penitenziarie in Sardegna non solo il personale dispone di locali e attrezzature in qualche caso addirittura superiori rispetto a quelli che garantiva la Scuola di Monastir, ma la collocazione geografica dei nuovi istituti consente di razionalizzare ulteriormente i costi delle missioni e dei viaggi per la sede formativa individuata volta per volta.
  L'azione di razionalizzazione, cui si è accennato in premessa, è successivamente proseguita, attraverso la previsione contenuta nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 84 del 2015, recante il «Regolamento di riorganizzazione del Ministero della Giustizia e riduzione degli uffici dirigenziali e delle dotazioni organiche», con cui è stato ridotto a 300 unità l'organico della dirigenza penitenziaria. In coerenza con la scelta operata, il successivo decreto ministeriale 2 marzo 2016, in materia di riorganizzazione dell'amministrazione penitenziaria, con l'obiettivo di riconoscere priorità funzionale agli istituti penitenziari, ha destinato a questi ultimi le risorse dirigenziali, prima assegnate ai provveditorati soppressi, nonché quelle recuperate dalla riduzione dei posti di funzione dirigenziale a livello centrale e delle Scuole.
  All'esito di tale complessiva rivisitazione dell'assetto organizzativo, sono state mantenute le scuole di San Pietro Clarenza, Cairo Montenotte, Portici e Roma, e sono state previste come articolazioni ministeriali non dirigenziali della Direzione generale della formazione le strutture formative di Verbania, Parma e Sulmona.
  Quanto alla destinazione della struttura dismessa, sono in corso dei contatti interistituzionali con l'Agenzia demanio e con i rappresentanti delle altre forze dell'ordine, finalizzati a conservare la destinazione d'uso del poligono posto in un'area adiacente la stessa Scuola.
  Si tratta, infatti, di una struttura completamente separata dagli altri edifici che, pertanto, potrebbe conservare l'attuale destinazione, rinforzando l'attuale muro di cinta e predisponendo un adeguato sistema di videosorveglianza.
  Per ciò che riguarda, invece, i dubbi espressi dall'interrogante circa un trasferimento dell'istituto penale per i minorenni da Quartucciu al carcere di Cagliari Buoncammino e circa la trasformazione dell'istituto Penale per i minorenni di Quartucciu in struttura di accoglienza per immigrati, tali ipotesi non sono mai rientrate tra gli obiettivi del Ministero, non essendo stato ritenuto l'immobile di Buoncammino adatto ad ospitare un Istituto penale per i minorenni e per le ingenti spese che il Ministero avrebbe dovuto sostenere per adeguare alcuni degli spazi della casa circondariale agli standard degli istituti penali per minorenni.
  La seconda ipotesi, d'altra parte, è stata parimenti abbandonata, in quanto non ritenuta assolutamente idonea dal prefetto di Cagliari, non potendosi infatti adibire tout court a centro per gli immigrati Cspa/Cara un carcere vero e proprio, non essendo gli immigrati detenuti e non potendo essere colà ospitati.
  Pertanto, allo stato attuale, l'Istituto penale per i minorenni di Quartucciu (Cagliari) continuerà ad essere aperto ed a ricevere i detenuti di minore età di tutta al Sardegna.
  Presso l'istituto medesimo, inoltre, sono previsti lavori di ristrutturazione volti al suo ampliamento.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 15 ottobre 2013 il giudice Matteo Trotta del tribunale di Gorizia ha emesso la sentenza di primo grado per la morte, causata dall'esposizione all'amianto, di più di 80 operai dello stabilimento Italcantieri di Monfalcone (Go) condannando 13 persone, delle 39 imputate tra amministratori e dirigenti dell'impianto, a pene detentive comprese dai due ai circa sette anni;
   ad oggi sono passati più di un anno e 20 giorni dalla sentenza, ma, a seguito del trasferimento del giudice Trotta alla presidenza del tribunale di Trieste, quest'ultima non è stata ancora depositata;
   tale circostanza costituisce una grave vulnus al diritto alla giustizia soprattutto per le parti lese, visto che l'intero procedimento potrebbe essere compromesso dai termini della prescrizione;
   il quotidiano Il Piccolo di Trieste con un articolo pubblicato il 4 novembre 2014 ha riportato alla pubblica attenzione la vicenda, riferendo la dichiarazione in proposito del nuovo presidente del tribunale di Gorizia, Giovanni Sansone, che laconicamente ha affermato di aver esercitato tutti i suoi poteri e doveri di vigilanza;
   è inaccettabile che una sentenza di primo grado non sia stata ancora depositata dopo più di un anno, fatto mai avvenuto nemmeno per gli storici processi legati alla mafia –:
   se il Ministro interrogato intenda attivare i poteri ispettivi di cui dispone per chiarire per quali motivi la sentenza summenzionata non sia stata ancora depositata e promuovere le eventuali azioni disciplinari del caso. (4-06790)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti, dopo aver riferito che, in data 15 ottobre 2013, il tribunale di Gorizia, nella persona del giudice dottor Matteo Trotta, ha emesso sentenza di primo grado, condannando 13 persone per omicidio e lesioni colpose ai danni di 87 ex lavoratori del cantiere navale di Monfalcone (Gorizia), deceduti a causa dell'esposizione all'amianto, lamentano che, a distanza di oltre un anno dall'intervenuta sentenza, non sono ancora state depositate le relative motivazioni.
  Su tali premesse, nel rilevare che il caso è stato riportato anche dagli organi di stampa del Friuli-Venezia Giulia, chiedono quindi di sapere se questo Ministro intenda attivare i propri poteri ispettivi e promuovere le eventuali iniziative disciplinari.
  Orbene, va preliminarmente segnalato che, in data 11 aprile 2015, sono state depositate le motivazioni della sentenza de qua dal tribunale di Gorizia, in composizione monocratica, nella persona del dottor Matteo Giovanni Trotta.
  Ciò premesso, in relazione alla vicenda in esame, giova segnalare che il procuratore generale presso la Corte di cassazione, in data 23 marzo 2015, ha esercitato l'azione disciplinare nei confronti del dottor Trotta in relazione agli articoli 1, comma 1, e 2, comma 1, lettera a), g) e q) del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, contestandogli: quale giudice del tribunale in composizione monocratica, il ritardo nel deposito di numerose sentenze, tra cui quella in esame (ritardo pari a 363 giorni); la violazione dell'articolo 132-bis disp. att. c.p.p. in relazione al processo in esame (n. 673/2006 Registro generale dibattimenti), quale presidente e giudice del tribunale per non aver garantito nella formazione dei ruoli di udienza e nella trattazione dei processi, priorità assoluta a tale giudizio, pur essendo relativo a delitti commessi in violazione delle norme relative alla prevenzione degli infortuni e all'igiene sul lavoro e, infine, quale giudice del tribunale in composizione monocratica nel processo n. 673/2006 Registro generale dibattimenti, di aver procurato un ingiusto danno alle persone offese in conseguenza dell'intervenuta prescrizione dei reati, da ricondurre ai ritardi nella conduzione del giudizio e nel deposito delle motivazioni della pronunzia di condanna.
  Mi preme rilevare che pari attenzione al caso in esame è stata riservata da questo Ministero.
  Ed infatti, in ordine al dedotto ritardo nel deposito delle motivazioni della sentenza emessa dal tribunale di Gorizia, ho provveduto a delegare all'ispettorato generale specifici accertamenti.
  All'esito delle verifiche, la predetta articolazione ministeriale, in data 26 marzo 2015, ha formulato autonome proposte di azione disciplinare a carico del dottor Matteo Giovanni Trotta, magistrato titolare del cosiddetto processo sull'amianto.
  In considerazione del tenore della relazione dell'ispettorato generale, ho ritenuto opportuno disporre, in data 1o aprile 2015, un'inchiesta amministrativa per verificare la complessiva situazione del tribunale di Gorizia, a far data dal dicembre 2013; inoltre, in data 21 aprile 2015, ho promosso l'estensione dell'azione disciplinare già avviata dal procuratore generale presso la Corte di cassazione nei confronti del dottor Trotta, ai sensi dell'articolo 14, comma 3, del decreto legislativo 23 febbraio 2006, n. 109, per contestazioni connesse, relative alla violazione dell'articolo 132-bis, commi 1 e 2, disp. Att. c.p.p.
  In ordine al procedimento disciplinare, si rappresenta che, a conclusione delle indagini svolte, in data 15 marzo 2016, il procuratore generale presso la Corte di cassazione ha richiesto al Consiglio superiore della magistratura la fissazione dell'udienza di discussione orale nel procedimento indicato (n. 28 del 2015).
  In data 21 luglio 2016 si è svolta l'udienza di trattazione dinanzi alla sezione disciplinare del Consiglio superiore della magistratura, definitasi con sentenza di assoluzione del dottor Matteo Giovanni Trotta dalle incolpazioni a lui ascritte essendo rimasti esclusi gli addebiti.
  Dalle motivazioni della sentenza (n. 144 del 2016), depositate in data 14 settembre 2016, emerge, con specifico riguardo alla contestata gestione del cosiddetto processo sull'amianto – oggetto dell'atto ispettivo – che l'eccessiva lunghezza temporale dello stesso si giustificava anche in ragione della situazione di crisi esistente presso il tribunale di Gorizia, come comprovata sia da una relazione degli ispettori ministeriali relativa al periodo 2002-2007, sia da una specifica delibera dello stesso Consiglio superiore della magistratura, del 14 gennaio 2009, in cui si segnalava la grave sofferenza del tribunale di Gorizia. Inoltre, in relazione ai ritardi nel deposito delle motivazioni della sentenza in parola, sono stati esclusi profili di rilievo disciplinare a carico del dottor Trotta tenuto conto dell'entità del ritardo (inferiore all'anno) e dell'importanza e complessità della motivazione.
  In ordine, invece, all'inchiesta amministrativa da me disposta, l'ispettorato generale, all'esito degli accertamenti trasmessi il 2 luglio 2015, ha rilevato una situazione di criticità del tribunale di Gorizia, anche in relazione alla carenza degli organici del personale di magistratura e amministrativo, inadeguato a sostenere una domanda di giustizia di un territorio che vede la presenza di uno dei più importanti insediamenti cantieristici italiani, costituito appunto dal polo produttivo di Monfalcone.
  Tanto rappresentato, mi preme tuttavia segnalare che presto la massima attenzione alla situazione in cui versano gli uffici giudiziari e, sin dall'inizio del mio mandato, ho messo in campo efficaci misure e risorse per far fronte ad una situazione di cronica criticità, tanto sul versante del personale amministrativo, quanto sul versante dell'organico magistratuale.
  Sono pienamente consapevole, infatti, che l'efficienza e la celerità del sistema giustizia passi necessariamente attraverso il potenziamento degli uffici giudiziari; solo in tal modo potrà scongiurarsi il rischio di episodi analoghi a quello oggetto del presente atto di sindacato ispettivo.
  E gli interventi realizzati, di cui ha beneficiato anche il tribunale di Gorizia, vanno in questa direzione.
  In proposito, sul fronte del personale amministrativo, mi preme infatti rilevare che, presso il predetto ufficio giudiziario, allo stato attuale, rispetto ad un programmato organico di 37 dipendenti, ne sono in servizio 29, con un tasso di scopertura del 21,62 per cento, sostanzialmente in linea con la media di scopertura nazionale, pari al 21,26 per cento, e comunque inferiore rispetto al dato riscontrato dall'ispettorato generale nel corso dell'inchiesta amministrativa da me disposta, che si assestava al 29,7 per cento.
  In particolare, si segnala che, a seguito del bando di mobilità volontaria da altre amministrazioni del 2015 e della I fase della procedura di mobilità obbligatoria sono state immesse in servizio presso il tribunale di Gorizia 3 unità di personale amministrativo, rispettivamente, 1 funzionario giudiziario e 2 cancellieri. Inoltre, all'esito della II fase della mobilità obbligatoria, attualmente in corso, si provvederà ad acquisire, per la provincia di Gorizia, 1 ulteriore unità proveniente dalla Croce Rossa.
  Pari attenzione è stata da me rivolta anche al personale della magistratura.
  È stato infatti recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al tribunale di Gorizia è stato assegnato 1 posto di giudice, in aumento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Da ultimo, con specifico riguardo alla tutela dei lavoratori esposti all'inalazione di fibre di amianto, mi preme segnalare che, proprio nella consapevolezza dell'importanza e delicatezza del tema, al fine di chiarire talune situazioni dubbie, venutesi a creare a seguito della revoca di una serie di attestazioni di esposizione ultradecennale all'amianto, emesse dall'INAIL in favore di numerosi lavoratori, l'articolo 1, comma 112, legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) ha ripristinato per tali lavoratori il diritto ai benefici contributivi previsti dalla legge.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PRODANI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   un articolo del 1° marzo 2016 de Il Piccolo riporta che il tribunale di Gorizia, già da tempo al centro di polemiche circa la dotazione dell'organico giudicante, si trova in una situazione molto critica che potrebbe portare alla paralisi delle attività: dopo la comunicazione resa il 29 febbraio durante l'assemblea dell'ordine degli avvocati della provincia di Gorizia dal presidente Gaggioli, secondo cui il giudice Ferretti avrebbe ottenuto il trasferimento ad altra sede, l'organico dei giudici, tra civile e penale si ridurrebbe a cinque unità, compreso il presidente Sansone;
   tra incompatibilità e questioni procedurali, secondo quanto riportato dal quotidiano, già oggi sarebbe molto complicato predisporre un collegio giudicante; la situazione potrebbe diventare ancora più complessa in primavera, quando dovrebbe assentarsi per maternità un'altra giudice. Nell'articolo vengono riportate le parole del presidente Gaggioli che, nel tentativo di individuare una soluzione pratica, avrebbe proposto una redistribuzione dei magistrati che coinvolgerebbe i tribunali di Udine e Trieste;
   il 28 febbraio 2016, in un'intervista pubblicata su Il Piccolo, il presidente Giovanni Sansone ha manifestato la preoccupazione per la sopravvivenza, in un'ottica di riorganizzazione del sistema giudiziario, del tribunale di Gorizia. Il foro isontino, che dovrebbe avere in organico 10 giudici, negli ultimi anni è stato interessato da un tasso altissimo di avvicendamenti, oltre che dalla riduzione preventivata. E, nonostante la situazione citata, nel 2015, grazie all'impegno dei giudici e del personale amministrativo ed a scelte organizzative appropriate, si sono ottenuti dei buoni risultati, quali una riduzione del 25 per cento dei pendenti nel penale, realizzate vendite giudiziarie e distribuiti ai creditori quasi 18 milioni di euro, celebrati processi complessi e rilevanti sotto il profilo economico e sociale;
   il 30 gennaio 2016, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario presso la corte d'appello di Trieste, il presidente vicario della corte Alberto Da Rin, nella sua relazione ha evidenziato la situazione del tribunale di Gorizia, sottolineando come la pianta organica del tribunale risulti sottodimensionata rispetto al carico di lavoro complessivo dell'ufficio. La situazione, come riportato, sarebbe ampiamente riconosciuta dal Consiglio superiore della magistratura. Già dal 2009, dall'esito di una cognizione complessiva degli uffici giudiziari di Gorizia nella quale è stato sottolineato «il permanere, nonostante l'elevata produttività dei Giudici, della situazione di sofferenza del tribunale, destinata ad aggravarsi con le nuove delicate sopravvenienze», il Consiglio superiore della magistratura ha ribadito il proprio giudizio sulla gravità del problema delle carenze organiche del tribunale di Gorizia ed ha disposto la trasmissione della deliberazione stessa al Ministro della giustizia, nuovamente «segnalando la necessità di una modifica delle piante organiche del Tribunale di Gorizia». Poi, nel 2010, «il CSM ha ancora una volta rappresentato la grave situazione del Tribunale di Gorizia e nuovamente disposto la trasmissione di copia della delibera al Ministro della Giustizia per quanto di competenza in tema di piante organiche. Le plurime, motivate e giustificate richieste di ampliamento di organico non hanno determinato alcuna utile modifica migliorativa;
   il presidente vicario Da Rin aggiunge che «all'insufficienza della pianta organica si aggiunge l'ulteriore elemento negativo rappresentato dall'ampio e continuo avvicendamento dei giudici: negli ultimi otto anni si è registrato un avvicendamento di 20 giudici su di un organico di 10. Attesi gli scostamenti temporali tra le date di scopertura dei posti e quelle in cui questi vengono effettivamente coperti (Gorizia risulta essere poco attrattiva, sicché i posti di giudice vengono coperti quasi esclusivamente dai MOT che, dovendo completare il periodo di tirocinio, si insediano dopo lungo tempo dall'assegnazione), avviene che annualmente l'Ufficio non può disporre di più giudici per lunghi periodi, il che rende difficile non solo la programmazione del lavoro, ma anche l'attuazione dell'attività programmata»;
   dopo una dettagliata panoramica dei periodi in cui diversi posti di giudici sono risultati scoperti, la relazione segnala che «ampie risultano anche le scoperture di organico del personale amministrativo: a fronte di 36 unità risultano, infatti, scoperti 5 posti di funzionario, 3 di cancelliere, 2 di assistente, 1 ausiliario –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente della situazione citata in premessa;
   se il Ministro interrogato sia intenzionato ad assumere iniziative, per quanto di competenza per integrare l'organico dei giudici e dei posti scoperti del personale amministrativo in modo da permettere lo svolgimento delle attività ed evitare il prospettato collasso del tribunale goriziano;
   se il Ministro interrogato per quanto di competenza, intenda chiarire le intenzioni, nell'ottica di un efficientamento del sistema giudiziario, anche in ambito regionale, sul futuro ruolo del tribunale di Gorizia. (4-12375)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante prospetta criticità del Tribunale di Gorizia, derivanti dall'inadeguata dotazione di personale, di magistratura ed amministrativo.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato lo scorso 22 novembre – il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21-quater del già richiamato, decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari friulani.
  Allo stato, risulta che presso il Tribunale di Gorizia prestano servizio 29 unità di personale amministrativo, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 37 risorse umane.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 21,62 per cento, tendenzialmente in linea con la media nazionale del 21,26 per cento.
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del CCNL del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, presidente della corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Le iniziative sulla mobilità sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  Per quanto riguarda il personale di magistratura, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione, territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al distretto di Trieste sono stati assegnati quattro posti di giudice, di cui uno al tribunale di Gorizia, in aumento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è stato sottoposto all'esame del Consiglio superiore della Magistratura per il prescritto parere, reso nella seduta di plenum del 23 novembre 2016.
  All'esito delle conseguenti valutazioni, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Lo scorso 20 ottobre è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio-Superiore della Magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 febbraio 2014 l'assemblea generale dell'ordine degli Avvocati di Cagliari ha deliberato, a partire dal giorno 11 febbraio 2014, l'astensione a oltranza dalle udienze civili, penali, tributarie e amministrative;
   tale deliberazione invita gli iscritti agli ordini a cancellarsi dalle liste di gratuito patrocinio e dalle liste d'ufficio delle difese penali, azione che, se attuata dalla totalità degli avvocati, lederebbe il diritto alla difesa per quei cittadini che a causa delle proprie condizioni economiche non possono permettersi altra scelta;
   tale drastica soluzione è stata dettata dalla preoccupazione, espressa dai Consigli dell'ordine degli avvocati della Sardegna nelle proprie delibere, che sia i provvedimenti in materia di geografia giudiziaria, sia le criticità delle riforme in programma – laddove prevedono scelte assolutamente inaccettabili quali il giudice unico in appello, la responsabilità solidale del difensore in caso di soccombenza per lite temeraria, la motivazione della sentenza a pagamento, l'esponenziale ed ingiustificato aumento delle spese di accesso alla giustizia soprattutto nella delicatissima materia della volontaria giurisdizione, il pericolo rappresentato dalla possibilità di vedere introdotta la reformatio in peius, la cronica, ed ormai intollerabile per chiunque, carenza degli organici di giudici e personale amministrativo cui consegue in incremento esponenziale dei tempi di risposta dei tribunali (la durata media di un processo ordinario di primo è secondo grado è ormai di 7,4 anni) ledano i diritti costituzionali dei cittadini, con particolare riferimento alla possibile violazione degli articoli 24 e 111 della Carta Costituzionale;
   la protesta degli avvocati ha registrato la solidarietà della locale Associazione nazionale magistrati, che allo stesso modo lamenta interventi e riforme che non hanno inciso o migliorato il sistema della giustizia;
   la protesta dell'avvocatura sarda, che ha varcato il mediterraneo, è attualmente seguita dai colleghi della Puglia, che vede il foro di Lecce aderire alla astensione a oltranza, ed è stata inserita all'ordine del giorno delle assemblee degli avvocati di numerosi altri fori che si terranno entro il corrente mese di marzo;
   in data 6 marzo 2014 i presidenti degli ordini degli avvocati della Sardegna hanno avuto un intenso confronto con il Sottosegretario dottor Cosimo Ferri e con il Vice Ministro On. Avv. Enrico Costa, sulla situazione dell'avvocatura sarda, della giustizia in Sardegna e delle ragioni, di ordine generale, della prolungata astensione dei Fori da loro rappresentati;
   da quanto si legge nei comunicati che sono seguiti, le superiori istanze sarebbero state rappresentate direttamente al Ministro per valutare la possibilità di intraprendere un dialogo sulle soluzioni attuabili;
   ad oggi tale protesta è ancora in corso, e malgrado gli incontri tenuti dagli esponenti del Ministero della giustizia con le rappresentanze istituzionali dell'avvocatura, CNF ed OUA la quale ultima ha revocato solo in parte l'astensione già deliberata, si registrano crescenti malcontenti anche da parte di altri Fori (Cosenza, Nocera Inferiore, Ascoli Piceno);
   vi è, dunque, il rischio concreto che a causa del divario tra le riforme in atto in materia di giustizia e le istanze degli operatori (magistrati ed avvocati) tali proteste, seppure con forme diverse, possano diffondersi a tutti i fori di Italia, paralizzando il sistema della giustizia a livello nazionale –:
   se non intenda intraprendere un percorso di organica riforma della giustizia, di concerto con gli organismi rappresentativi dell'avvocatura. (4-04025)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante lamenta – nel contesto di iniziative di protesta della magistratura associata e dell'avvocatura – la eccessiva durata dei tempi di definizione delle controversie e la perdurante criticità dell'arretrato civile, chiedendo se il Governo intenda avviare una complessiva riforma del processo civile che tenga conto delle istanze rappresentate.
  Come noto, la risoluzione delle croniche criticità della giustizia civile ha costituito obiettivo prioritario dell'azione del mio Dicastero, sin dall'insediamento.

Nell'avviare un complessivo piano strategico di riforme, finalizzato ad assicurare adeguati livelli di efficienza del sistema ed una idonea risposta alla domanda di giustizia, il metodo adottato ha inteso coinvolgere nei lavori l'avvocatura, nella consapevolezza del ruolo essenziale che la stessa svolge nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni.
  Il proficuo confronto avviato ha investito tanto l'aspetto normativo quanto l'assetto organizzativo e, grazie all'impegno ed alla collaborazione dimostrata dall'avvocatura, sono state varate importanti innovazioni e superate inevitabili criticità operative, come avvenuto nella fase di avvio del nuovo processo civile telematico, al cui definitivo ed efficace consolidamento gli avvocati hanno decisamente contribuito.
  Il percorso riformatore ha, difatti, preso avvio dall'informatizzazione del processo civile, nella prospettiva dell'incremento di efficienza, congiunto a risparmi della spesa e all'ottimizzazione delle risorse.
  In pochi anni, l'impatto dell'innovazione tecnologica sul processo civile ha progressivamente consolidato importanti risultati.
  Dopo l'introduzione del processo civile telematico per le cause civili ordinarie iscritte avanti ai tribunali, l'obbligatorietà del Piano centrale telematico è stata estesa ai procedimenti esecutivi fin dalla loro fase introduttiva, nonché – a partire dal 30 giugno 2015 – ai processi celebrati avanti alle Corti d'appello. Con l'introduzione generalizzata della facoltà di depositare l'atto introduttivo in via telematica, l'Italia può vantare oggi un processo civile di merito paperless in tutte le sue fasi.
  Inoltre, dallo scorso 15 febbraio, sono attive, anche presso la Corte di cassazione, le notificazioni e comunicazioni telematiche; contestualmente, è stata attivata sul Portale dei servizi telematici la consultazione dei registri civili, oltre che penali, della Corte, nonché l'elenco delle comunicazioni e notificazioni effettuate in cancelleria a seguito della mancata consegna del messaggio di posta certificata.
  Si tratta del primo passo verso la completa informatizzazione anche del giudizio di legittimità.
  Sempre con riguardo all'essenziale supporto dello strumento telematico, con il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, cosiddetto «decreto banche», è stato introdotto il registro elettronico con le informazioni afferenti le procedure esecutive e quelle concorsuali, anche concordate, quali i fallimenti, l'amministrazione straordinaria, i concordati preventivi, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, e così via, denominato Portale dei creditori.
  Sono in corso le attività prodromiche alla realizzazione di tale registro elettronico: si tratta di uno strumento fondamentale per favorire la creazione di un mercato per i crediti deteriorati (Non performing loans-NPL), che finora ha scontato la scarsità di adeguate informazioni, consentendo ai soggetti interessati l'accesso ad un adeguato set informativo, che consentirà la stima del valore dei crediti e l'identificazione dei titolari, da cui poterli eventualmente acquistare.
  In tale prospettiva, uno strumento fondamentale per i creditori sarà anche il cosiddetto portale unico delle vendite giudiziarie, già in fase avanzata di realizzazione: si tratta di un marketplace unico nazionale per la pubblicazione dei beni di tutte le procedure, concorsuali ed esecutive, in Italia ove risulti fissata la vendita: un luogo virtuale in cui i beni sono resi visibili e le vendite più accessibili.
  Il portale, che entrerà in funzione entro il 31 dicembre prossimo, è uno strumento altamente innovativo, non tanto e non solo sotto il profilo tecnologico, quanto, piuttosto, per il mutamento di prospettiva che esso comporterà, superando il localismo delle singole procedure concorsuali per proporsi come strumento di trasparenza e di apertura al mercato.
  Il marketplace e il portale dei creditori costituiscono due dei pilastri del sistema com. mon. (Competition Money). Tale sistema, come concepito dalla commissione ministeriale istituita il 4 agosto 2014, si fonda sulla necessità di sbloccare la parte qualificata dell'enorme massa creditoria, calcolata in circa 200 miliardi di euro, che rallenta la ripresa economica di molte imprese.
  Con la messa in opera del sistema Com. Mon. si mira a fornire un ulteriore strumento di valorizzazione dei crediti deteriorati, che potrà fungere da volano al relativo mercato.
  Oggi, quindi, si può constatare con chiarezza come il percorso di progressiva informatizzazione della giustizia civile non sia finalizzato al mero risparmio di spesa o al mero incremento di produttività del sistema, ma a fornire servizi innovativi, che rechino vantaggi tangibili alla generalità dei cittadini e agli operatori economici.
  Si tratta di un percorso che vede la partecipazione convinta di tutti gli operatori della giustizia: giudici, avvocati e personale di cancelleria.
  Ad oltre due anni dall'entrata in vigore dell'obbligo di deposito telematico degli atti endoprocessuali, e ad oltre un anno dalla facoltà di deposito non cartaceo degli atti introduttivi, i dati sui depositi telematici sono ancora in decisa crescita, segno tangibile della bontà delle scelte compiute.
  Ciò è confermato dai dati sui depositi telematici: nel solo mese di luglio 2016 sono stati eseguiti 645.148 depositi telematici a valore legale da parte di avvocati e professionisti, con un incremento del 15 per cento rispetto al luglio 2015, quando era già in vigore l'obbligo di deposito telematico.
  Notevole anche la crescita dei depositi telematici di atti introduttivi, pari al 53 per cento rispetto allo scorso anno, ancora più significativa in quanto per questa categoria di atti non esiste, a tutt'oggi, l'obbligo, bensì la mera facoltà di invio telematico. Complessivamente, nell'ultimo anno sono stati depositati, da parte di avvocati e professionisti, 7,6 milioni di atti.
  Estremamente positiva è stata anche la risposta dei magistrati.
  Nell'ultimo anno (statistica aggiornata ad agosto 2016) sono stati depositati oltre 4 milioni di provvedimenti nativi digitali (di cui 1.231.510 verbali, 417.723 decreti ingiuntivi, 273.273 sentenze), rispetto ai 2,8 milioni circa registrati nell'anno precedente. Qui il dato è ancor più significativo, perché solo una piccola parte di tali depositi (417.723, pari al 10 per cento del totale) si riferisce ai decreti ingiuntivi, che sono attualmente gli unici provvedimenti necessariamente nativi digitali.
  Questi numeri dimostrano una volta di più come la magistratura abbia spontaneamente aderito al processo civile telematico, comprendendone e sfruttandone le potenzialità, anche a prescindere da un obbligo in tal senso.
  I tempi di emissione dei decreti ingiuntivi si sono ulteriormente ridotti, raggiungendo punte di decremento, rispetto al periodo anteriore all'obbligatorietà del telematico, pari al 54 per cento per il tribunale di Roma.
   Ciò costituisce indice anche dell'evoluzione organizzativa degli uffici giudiziari, che hanno saputo incrementare la propria efficienza organizzativa, avvantaggiandosi in misura crescente delle possibilità offerte dalla tecnologia.
  Tali risultati spingono a guardare con fiducia alle prossime evoluzioni in termini di progressiva estensione del Piano centrale telematico a tutti i settori processuali, con la certezza che l'informatica giudiziaria possa costituire valido strumento di velocizzazione dei procedimenti giudiziari nel loro complesso, oltre che di miglioramento oggettivo delle modalità lavorative, in specie per le cancellerie e per l'avvocatura.
  La maggiore efficienza degli strumenti telematici rispetto a quelli tradizionali è immediatamente riscontrabile anche dai consistenti risparmi di spesa, conseguiti attraverso le comunicazioni telematiche. Basti pensare che, nell'ultimo anno, sono state consegnate oltre 18 milioni di comunicazioni telematiche, con un risparmio stimato di circa 63 milioni di euro.
  Sulla scia dell'obbligatorietà del Piano centrale telematico, è notevolmente cresciuto il numero di pagamenti telematici relativi a spese di giustizia.
  Nell'ultimo anno, sono stati eseguiti 126.138 pagamenti telematici, più del doppio rispetto all'anno precedente, quando ci si era fermati a 66.705. Nel solo mese di luglio 2016 i pagamenti sono stati 12.734, laddove nel luglio 2015 ne erano stati eseguiti 9.675, con un incremento, quindi, superiore al 31 per cento.
  Questi dati inducono a guardare con particolare attenzione alla possibile ulteriore estensione dei pagamenti telematici, in vista di una digitalizzazione integrale del processo civile, dal primo atto del processo di cognizione fino all'acquisto all'asta dei beni nell'ambito del processo esecutivo.
  Non va trascurata, poi, l'informatizzazione del settore minorile, sia civile che penale, attraverso la diffusione dell'applicativo Sigma, completata in pochi mesi su tutto il territorio nazionale, grazie anche all'esperienza maturata nell'evoluzione dei sistemi civili e penali.
  Tale sistema consentirà, peraltro, il pieno funzionamento della banca dati sulle adozioni.
  Inoltre, presso alcuni uffici è già attivo il servizio SIGM@Web, che consente a tutti, cittadini e avvocati, di attingere informazioni sullo stato dei procedimenti proposti innanzi al tribunale per minorenni, attraverso un semplice collegamento internet che consente l'accesso alla banca dati del software ministeriale.
  Quanto allo sviluppo degli strumenti statistici, le potenzialità offerte dal datawarehouse civile costituiscono ormai un patrimonio acquisito, al quale si attinge costantemente anche ai fini della cooperazione istituzionale con il Consiglio Superiore della Magistratura. Il livello conoscitivo del contenzioso raggiunto, riguardo al settore civile, ha consentito un'accurata diagnosi delle cause dell'arretrato e l'individuazione di possibili rimedi organizzativi.
  Il processo di digitalizzazione dell'attività amministrativa e processuale è stato supportato anche per il 2016 con l'assegnazione di cospicue risorse, pari ad oltre 86 milioni di euro. Oltre a tali risorse, vanno considerate quelle provenienti dai fondi strutturali europei nell'ambito del PON Governance per importanti progetti di informatizzazione quali il processo penale telematico e la digitalizzazione del processo innanzi ai giudici di pace, che troveranno compimento entro il 2020.
  Pertanto, dovrà essere assicurata la corretta distribuzione e utilizzazione di tali risorse per il dispiegamento degli interventi programmati conseguenti alle riforme normative introdotte quest'anno in tema di digitalizzazione integrale dell'amministrazione centrale, nonché di tutti quelli necessari allo sviluppo della informatizzazione avanzata degli uffici giudiziari.
  Al percorso di informatizzazione avanzata del processo civile sono state affiancate plurime misure, di tipo normativo ed organizzativo, finalizzate a migliorare il livello di efficienza dei servizi e la qualità della risposta alla domanda di giustizia dei cittadini.
  I risultati raggiunti nella giustizia civile in questi ultimi anni testimoniano l'efficacia degli strumenti messi in campo, a partire proprio dai programmi di riduzione dell'arretrato civile.
  Nonostante i magistrati italiani registrino costantemente una produttività tra le più alte in Europa ed in costante incremento, sia in termini di numeri assoluti, sia in termini di efficacia nello smaltimento dell'arretrato, al giugno 2013 erano circa 5 milioni e 200 mila le cause civili pendenti.
  L'impegno riformatore, sempre nella linea di necessaria complementarietà tra interventi di carattere normativo e di innovazione organizzativa, ha investito i fondamentali assetti del processo civile, con l'obiettivo di ridurre i carichi di lavoro e l'arretrato, nel contempo favorendo un'opportuna azione di diffusione nell'intera rete degli uffici giudiziarie delle esperienze organizzative più virtuose.
  Oggi si può ragionevolmente ritenere, con il conforto delle statistiche a consuntivo, particolarmente capillari e attendibili anche grazie alla ormai completa possibilità di utilizzo per i dati del settore civile del datawarehouse, che le misure normative ed organizzative adottate abbiano consentito il raggiungimento di importanti risultati.
  Alla data del 30 giugno 2016, il totale nazionale dei fascicoli pendenti – secondo l'analisi dei dati forniti dagli uffici, raccolti ed elaborati dalla direzione generale di Statistica nell'ambito di un monitoraggio periodico pubblicato sul sito istituzionale – risulta, al netto dell'attività del giudice tutelare, pari a 3.886.285 procedimenti, confermando il trend decrescente degli anni precedenti.
  Positivo corollario della riduzione delle iscrizioni e delle pendenze è il contenimento dei tempi di durata delle cause civili.
  Per la prima volta, nell'agosto 2016, i tempi medi di definizione in primo grado sono scesi a 992 giorni, sotto il tetto dei 1000.
  In particolare, i tempi medi di definizione dei procedimenti di competenza delle sezioni specializzate in materia di imprese sono passati da 1.155 giorni del 2012 agli 870 giorni del 2015.
  La significativa diminuzione della tempistica di trattazione dei procedimenti civili è dato particolarmente significativo dal momento che rappresenta elemento qualitativo della risposta di giustizia per il cittadino, nonché indicatore chiave di valutazione per gli organismi internazionali.
  L'inversione di tendenza registrata è stata, infatti, recepita ed evidenziata positivamente anche dalla banca mondiale nel suo ultimo rapporto annuale Doing Business 2016, nel quale l'Italia ha guadagnato, anche grazie al miglioramento dei tempi di trattazione del contenzioso commerciale, 36 posizioni nel ranking mondiale (dalla 147a posizione alla 111a).
  Anche per quanto riguarda l'arretrato civile, nel suo complesso, si registra una significativa riduzione, con un carico nazionale che, partendo dai quasi 6 milioni di procedimenti a fine 2009, nel 2014 è sceso a 4,9 milioni.
  I positivi risultati raggiunti anche in termini di riduzione dell'arretrato, testimoniano la efficacia dei numerosi interventi posti in essere, sia di carattere normativo sotto il profilo della deflazione delle cause in entrata, sia organizzativo, allo scopo di velocizzare i tempi di definizione.
  L'efficienza della giustizia civile è un fattore decisivo per la ripresa economica del Paese, oltre che fondamentale terreno di contatto quotidiano per rinnovare nei cittadini la fiducia nelle istituzioni e la cultura della legalità.
  In tale prospettiva debbono essere inquadrati gli interventi normativi, con i quali sono state introdotte forme alternative di risoluzione delle controversie, in primo luogo attraverso il ricorso all'istituto della negoziazione assistita, complementare e non alternativa alla già avviata mediazione, istituti per i quali sono stati previsti anche meccanismi di incentivazione fiscale.
  Proprio al fine di armonizzare e razionalizzare il quadro normativo in materia e di elaborare una ipotesi di riforma che sviluppi gli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all'arbitrato e di trovare strumenti per incentivare e costruire un sistema di maggiori convenienze all'utilizzo delle forme stragiudiziali di risoluzione delle controversie, ho voluto l'istituzione di una Commissione di studio ministeriale per l'elaborazione di una riforma organica degli strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie, presieduta dall'avvocato Guido Alpa, di cui a breve sono attesi gli esiti.
  Analogamente è da dirsi per la complessa ed organica revisione della disciplina dell'insolvenza, secondo linee progettuali definite attraverso il lavoro della commissione Rordorf e già trasfuse in uno schema di disegno di legge delega, nell'ovvia evidenza dei riflessi negativi che può produrre una gestione non adeguata della crisi di impresa, sia in termini strettamente economici, che di immagine del Paese rispetto ai competitors stranieri.
  In proposito, si può ragionevolmente ritenere che il deficit competitivo del Paese possa essere colmato, contestualmente creando le condizioni per una duratura crescita economica, anche per il tramite di un ripensamento complessivo del sistema processuale fallimentare.
  Il quadro delle riforme in itinere mira, infine, alla complessiva revisione delle regole processuali.
  Il disegno di riforma del processo civile in discussione in Parlamento intende, difatti, migliorare efficienza e qualità della giustizia, in chiave di spinta economica, conferendo maggiore organicità alle competenze del tribunale delle imprese, consolidandone la specializzazione; rafforzare le garanzie dei diritti della persona, dei minori e della famiglia mediante l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e la persona; realizzare un processo civile più lineare e comprensibile; assicurare la speditezza del processo mediante la revisione della disciplina delle fasi di trattazione e di rimessione in decisione.
  I dati statistici dei primi due anni di vita dei tribunali delle imprese sono estremamente positivi, con oltre il 90 per cento degli affari pervenuti nell'anno 2013 giunti a definizione ed oltre il 73 per cento degli affari pervenuti nell'anno 2014 definiti entro l'anno, con una media complessiva totale dalla nascita delle sezioni specializzate pari all'80 per cento) di definizioni entro un anno, con sentenze di primo grado confermate quattro volte su cinque in sede di impugnazione.
  La positiva esperienza della concentrazione in pochissimi tribunali di questo tipo di contenzioso assume un valore importante per la reputazione anche internazionale del Paese, in quanto rappresenta la risposta, in termini di rapidità e prevedibilità della giurisprudenza, alle critiche che venivano dall'estero.
  Sul piano delle misure dirette ad ottimizzare l'organizzazione dei servizi si colloca, invece, la costituzione dell'ufficio per il processo, introdotto con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, che consente al giudice di avvalersi di una struttura di staff per la gestione delle controversie.
  Attraverso l'ufficio per il processo si vuole, infatti, favorire l'integrazione di diverse figure professionali, allo scopo di migliorare non soltanto la produttività della giustizia civile nel suo complesso, ma anche la qualità del lavoro giudiziario attraverso un più razionale impiego delle risorse disponibili e di quelle reperite con specifici meccanismi di incentivazione.
  Accanto all'azione riformatrice realizzata sul piano normativo, sono stati adottati specifici interventi di orientamento e sostegno agli uffici giudiziari, al fine di un coerente sviluppo di attività uniformi nella gestione dei flussi.
  Con il progetto «Piano Strasburgo 2», elaborato nel corso del 2015 dal Dipartimento per l'organizzazione giudiziaria sulla scorta dei risultati del censimento speciale dell'arretrato civile iniziato nell'anno 2014, positivamente valutato anche dal Consiglio superiore della magistratura, sono stati messi a disposizione di tutti gli uffici giudiziari strumenti utili per abbattere l'arretrato, proponendo di adottare nell'impostazione del lavoro, quale criterio di calendarizzazione delle cause da decidere, quello della assoluta priorità per i procedimenti di più risalente iscrizione.
  Proprio per incrementare al massimo la comunicazione permanente tra Ministero e uffici giudiziari, nella prospettiva di accrescere i processi di responsabilizzazione di tutti gli attori del mondo della giustizia verso la massimizzazione del livello di servizio ai cittadini e creare un proficuo confronto, gli esiti del monitoraggio inerente la giustizia civile e penale, curato dal Dipartimento per l'organizzazione giudiziaria sulla scorta dei dati forniti dagli uffici, viene pubblicato, con aggiornamenti trimestrali, sul sito istituzionale del Ministero.
  I risultati raggiunti si sono, in conclusione, senz'altro giovati della complessiva razionalizzazione del sistema, consentendo un più proficuo investimento delle risorse, umane e materiali, dell'amministrazione della giustizia, come dimostrato dai dati statistici pubblicati e dagli osservatori internazionali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   le funzioni e i compiti spettanti allo Stato in materia di difesa civile sono attribuiti al Ministero dell'interno in base al decreto legislativo 30 luglio 1999, n. 300, e il dipartimento dei vigili del fuoco, soccorso pubblico e difesa civile svolge le proprie attività in questo ambito;
   il 22 novembre 2015 è stato pubblicato un articolo su un quotidiano di rilevanza nazionale con il titolo «Roma ha l'arma segreta contro gli attacchi chimici» nel quale è dettagliatamente descritto sia il sistema di controllo di prodotti chimici denominato SIGIS, sia chi lo detiene e chi è in grado di usarlo;
   inoltre è spiegato molto bene che i Vigili del fuoco di Roma, distribuiti nei vari distaccamenti, sono in grado di garantire la sicurezza dell'aria che si respira, soprattutto nell'evenienza di un attacco terroristico;
   nell'ultima parte dell'articolo si cita anche un altro strumento di riconoscimento delle sostanze chimiche, e l'articolo si chiude con la frase: «Il sistema antiterroristico è pronto»;
   da quanto sin qui esposto si evince chiaramente che ha avuto luogo una violazione del segreto applicato al piano di difesa civile, in quanto non solo sono stati rilevati alcuni dei mezzi in dotazione al personale dei Vigili del fuoco, ma è stato anche evidenziato come gli stessi vigili eseguano azioni antiterrorismo quotidianamente e nell'intero territorio della capitale –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa, e se non ritenga di assumere le iniziative necessarie affinché sia immediatamente aperta un'indagine finalizzata ad accertare chi abbia divulgato tali notizie, anche al fine di garantire l'incolumità degli operatori dei vigili del fuoco. (4-11472)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, l'interrogante richiama l'attenzione su un articolo pubblicato sulla stampa quotidiana il 22 novembre 2015 che, nel riferire notizie in merito agli apparati di controllo di prodotti chimici in dotazione al corpo nazionale dei vigili del fuoco, avrebbe impropriamente rivelato aspetti del piano di difesa civile coperti da livelli di sicurezza.
  Ai fini dell'inquadramento generale della questione sollevata con l'interrogazione, si rappresenta preliminarmente che il corpo nazionale dei vigili del fuoco svolge un ruolo fondamentale nel contrasto dei rischi, convenzionali e non, derivanti dall'impiego dell'energia nucleare e dall'uso di sostanze batteriologiche, chimiche e radiologiche.
  Si tratta di rischi che evocano il fenomeno del fiorire e rinvigorirsi nel contesto internazionale di movimenti terroristici dotati di notevoli appoggi finanziari, costituenti una grave minaccia per la sicurezza e il futuro delle comunità occidentali.
  La moltiplicazione di tali ipotesi di rischio ha indotto il Ministero dell'interno ad elaborare strategie di prevenzione e pianificazione mirate al soccorso in scenari complessi in cui il corpo nazionale garantisce il soccorso specializzato con appositi nuclei, in caso di pericolo nucleare, batteriologico, chimico e radioattivo.
  In situazioni di crisi, è determinante il compito del comando provinciale dei vigili del fuoco cui spetta la direzione tecnica degli «interventi operativi di contatto» e la responsabilità circa l'isolamento della cosiddetta «area calda» nonché l'eventuale individuazione della cosiddetta «area tiepida».
  L'intervento del Corpo nazionale negli scenari di difesa civile avviene nell'ambito dei piani specificatamente predisposti in ambito provinciale con il coordinamento della prefettura. I componenti del comitato provinciale di difesa civile sono muniti di «nulla osta di sicurezza» e la relativa attività di pianificazione è, pertanto, sottratta alle comunicazioni alla stampa.
  I piani in questione, date le specifiche interconnessioni con la prevenzione di eventi di natura terroristica, sono peraltro richiamati dai corrispondenti piani nazionali e discendenti (antiterrorismo), nel cui ambito sono espressamente contenuti riferimenti alle fondamentali competenze del corpo nazionale, anch'essi sottratti alla divulgazione dato il contenuto riservato dei documenti.
  Venendo alla questione specificamente evidenziata con l'interrogazione, acquisite dettagliate informazioni direttamente presso il competente Comando provinciale dei vigili del fuoco di Roma, si rappresenta che il reportage pubblicato sulla testata giornalistica « Il Tempo» contiene notizie che non concretizzano affatto una rivelazione di notizie di divulgazione vietata.
  Il Corpo nazionale, nel corso degli anni, ha acquisito strumentazioni tecniche in grado di rilevare sostanze di tipo NBCR (nucleare, chimico, batteriologico e radiologico), tra le quali vi è anche l'apparato denominato SIGIS2, menzionato nell'interrogazione.
  Dalla data della sua acquisizione questo sistema viene utilizzato in tutti i contesti di « high visibility» e in particolare nei luoghi pubblici ed è facilmente riconoscibile e identificabile.
  Il suo impiego è stato oggetto anche di una campagna informativa effettuata nel 2014, in occasione delle operazioni eseguite nel porto commerciale di Gioia Tauro di transloading delle armi a caricamento speciale provenienti dalla Siria.
  In buona sostanza, l'articolo si limita a riportare indicazioni di ordine generale circa le competenze istituzionali del Corpo nazionale.
  In nessun modo il reportage riferisce – e non potrebbe essere diversamente – informazioni contenute nel piano provinciale di difesa civile approvato dalla prefettura di Roma, che stabilisce in maniera precisa le procedure da osservarsi nel corso di interventi di soccorso con appositi nuclei specializzati, in caso di pericolo nucleare, batteriologico, chimico e radioattivo per la tutela e la salvaguardia della collettività.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   REALACCI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si stanno consolidando e ulteriormente diffondendo progetti e iniziative di riuso di ferrovie sospese o dismesse con treni storico-turistici, iniziative che vedono protagonisti istituzioni locali, soggetti sociali e Fondazione FS;
   l'Ansf (Agenzia per la sicurezza ferroviaria) ha già emanato una prima circolare sulla circolazione e la sicurezza di treni storico-turistici contribuendo positivamente ad una prima regolazione e sviluppo del settore come in altri Paesi europei;
   si rendono necessarie ulteriori indicazioni e regolazioni tecniche per cogliere tutte le potenzialità di riuso delle infrastrutture di cui sopra –:
   come intenda intervenire per portare rapidamente a completamento le indicazioni e regolazioni tecniche di riuso turistico di ferrovie sospese o dismesse, su cui peraltro un apposito gruppo di lavoro opportunamente istituito dall'Ansf ha già da tempo completato la definizione di specifiche proposte. (4-14879)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  In effetti l'Associazione nazionale per la sicurezza delle ferrovie (Ansf), dopo aver emanato e pubblicato sul proprio sito istituzionale una circolare sulla circolazione e la sicurezza di treni storico-turistici, ha affrontato l'argomento del riuso turistico delle ferrovie sospese o dismesse; ciò proprio per disciplinare aspetti quali la circolazione contemporanea dei treni turistici su linee ferroviarie sospese affiancate/integrate da percorsi ciclo-pedonali o la circolazione di veicoli tranviari o assimilabili sulle tratte ferroviarie sospese.
  Il relativo documento è in fase di avanzata stesura e se ne prevede l'emanazione in tempi brevi, previa la necessaria consultazione pubblica.
  Più in generale, le problematiche relative al riuso turistico di ferrovie sospese o dismesse dall'esercizio ferroviario sono state oggetto di discussione presso la IX Commissione nell'ambito dell'Atto Camera 72, relativo alla tutela ed alla valorizzazione del patrimonio ferroviario dismesso ed alla realizzazione di una rete di mobilità dolce.
  Presso la IX Commissione è poi in discussione la proposta di legge n. 1178 relativa alle disposizioni per l'istituzione delle ferrovie turistiche, e l'argomento principale riguarda la riconversione di parte del patrimonio ferroviario delle linee sospese dall'esercizio.
  Sul tema, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha chiesto al gestore dell'infrastruttura di acquisire una serie di informazioni sulla tratte ferroviarie sospese o dismesse dall'esercizio – quali ad esempio dati patrimoniali, livello degli investimenti, caratteristiche tecniche, tempi di indisponibilità e servizi sostitutivi su gomma – e di conoscere l'effettiva situazione di tali linee ferroviarie nonché l'eventuale sviluppo per fini turistici dei musei ferroviari.
  Quindi il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il gestore dell'infrastruttura hanno contribuito a stilare le disposizioni per la rete nazionale della mobilità dolce fornendo indicazioni per l'integrazione dalle seguenti categorie di infrastrutture e di mezzi di trasporto:
   a) retrovie in esercizio della rete del trasporto locale;
   b) ferrovie turistiche in esercizio;
   c) linee di navigazione interna;
   d) impianti a fune;
   e) autolinee pubbliche e private.

  È già previsto che nei contratti tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale quest'ultimo fornisca l'elenco delle linee rientranti nella concessione che sono state dismesse o che risultano sospese dall'esercizio ferroviario. Per quanto riguarda le linee dismesse, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha già attivato sul proprio sito istituzionale una pagina che riporta le informazioni sulle linee dismesse dal 1997 ad oggi sulla base dei dati forniti da Rfi, e potrà anche aggiungere i dati relativi alle linee sospese.
  Le linee ferroviarie dismesse o sospese, le stazioni impresenziate, le case cantoniere, gli immobili e i terreni ex teatri e aree verdi – in generale patrimoni con un destino quasi sempre scontato di degrado e abbandono – possono essere senz'altro trasformati in attività di riuso e rigenerazione.
  Il potenziale di crescita per il nostro Paese è enorme, come dimostra un'analisi comparata con la Gran Bretagna. Sugli 800 chilometri di tratte italiane gestite da FS si calcola un introito stimato intorno ai 2 milioni di euro, con un incremento annuo del 60 per cento; ad oggi sugli 850 chilometri del Regno Unito si registrano 7,7 milioni di visitatori per un fatturato diretto di 139 milioni di euro e uno indiretto di 350 milioni, oltre 2.000 dipendenti e quasi 20.000 volontari coinvolti. I percorsi a piedi, in bicicletta e su treni turistici, potrebbero essere resi fruibili in modo integrato con una vera e propria rete per la mobilità dolce, frutto di una visione dell'offerta fatta di mappe, servizi, tariffe, posteggi e accoglienza turistica da realizzare lungo tutta la rete realizzando territori, borghi e imprenditoria locale.
  L'Italia può contare su oltre 1.500 chilometri di linee ferroviarie dismesse o abbandonate da tempo, che in buona parte potrebbero diventare linee di mobilità dolce e potrebbero essere utilizzate per servizi turistici e, in diversi casi, offrire una buona integrazione con i servizi ordinari per residenti e pendolari come avviene in Trentino Alto Adige con la ferrovia Merano Malles, della val Pusteria e della val Venosta. È stabilito che la proprietà dei compendi ferroviari dismessi rimanga in capo ai soggetti proprietari che sono, però, tenuti a consentirne l'uso come vie verdi, previa stipulazione di specifici accordi.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   RICCIATTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo unico della legge n. 319 del 2 aprile 1958, così come modificato dall'articolo 10 della legge n. 533 dell'11 agosto 1973, prevede l'esonero da ogni spesa e tassa per i giudizi di lavoro;
   nello specifico la modifica apportata alla norma citata dall'articolo 10 della legge 11 agosto 1973 prevede l'esenzione per: «Gli atti, i documenti e i provvedimenti relativi alle cause per controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, gli atti relativi ai provvedimenti di conciliazione dinanzi agli uffici del lavoro e della massima occupazione o previsti da contratti o accordi collettivi di lavoro nonché alle cause per controversie di previdenza e assistenza obbligatorie sono esenti, senza limite di valore o di competenza, dall'imposta di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura. Sono allo stesso modo esenti gli atti e i documenti relativi alla esecuzione sia immobiliare che mobiliare delle sentenze ed ordinanze emesse negli stessi giudizi, nonché quelli riferentisi a recupero dei crediti per prestazioni di lavoro nelle procedure di fallimento, di concordato preventivo e di liquidazione coatta amministrativa. [...]»;
   l'articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, prevede la «Diffida accertativa per crediti patrimoniali, che consente al personale ispettivo delle Direzioni del lavoro, nell'ambito della propria attività di vigilanza, di diffidare il datore di lavoro a corrispondere gli importi dovuti ai lavoratori che dovessero risultare dagli accertamenti eseguiti;
   il comma 3 dell'articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, testé richiamato, prevede espressamente che: «Decorso inutilmente il termine di cui al comma 2 [30 giorni dalla notifica della diffida accertativa] o in caso di mancato raggiungimento dell'accordo, attestato da apposito verbale, il provvedimento di diffida di cui al comma 1 acquista, con provvedimento del direttore della Direzione provinciale del lavoro, valore di accertamento tecnico, con efficacia di titolo esecutivo»;
   sono emersi dubbi interpretativi in merito al regime delle spese da applicare in materia di notifiche degli atti di precetto fondate su diffide accertative della direzione territoriale del lavoro ex articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124;
   tali dubbi sono stati formalizzati, attraverso la richiesta di pareri da parte dell'autorità giudiziaria al Ministero della giustizia (dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi direzione generale del personale e della formazione), in due distinte occasioni: nell'ottobre 2014 dalla corte di appello di Firenze (Rif. Prot. n. 6557-m–dg-IV.5.2 del 29 ottobre 2014) nel giugno 2015 dalla corte di appello di Ancona (Rif. Prot. n. 3105 del 30 giugno 2015);
   a tali richieste di parere, sulla corretta applicazione del regime di esenzione per i giudizi di lavoro, il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi direzione generale del personale e della formazione del Ministero della giustizia ha chiarito, adottando una interpretazione restrittiva della legge n. 319 del 2 aprile 1958, così come modificata dall'articolo 10 della legge n. 533 dell'11 agosto 1973, che il dubbio interpretativo va risolto nel senso di una esclusione della diffida accertativa ex articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, dal regime di esonero previsto dalla 319/1958 e successive modifiche, in quanto pur vertente in materia di lavoro la diffida suddetta non è conseguente a provvedimento giurisdizionale (cfr. comunicazione Prot. VI-DOG/155/03-1/2015/CA, Roma 18 febbraio 2015, a firma del direttore generale del dipartimento);
   richiamando un precedente orientamento dello stesso Ministero, risalente a 1995 (cfr. nota prot. n. 5/702/03-1/PAC/sc del 3 aprile 1995 della direzione generale degli affari civili e delle libere professioni – Ufficio V) il Ministero della giustizia ha inteso escludere l'esenzione della spesa di esecuzione, inoltre, in quanto passibile di contestazione di danno erariale («dalla disposizione richiamata è assente qualsiasi riferimento alla fattispecie per la quale, con il quesito di cui trattasi, viene chiesta l'esenzione dalle spese di esecuzione con consequenziale onere a carico dell'erario delle stesse, il che configurerebbe l'ipotesi di un danno erariale ammettendosi un'interpretazione estensiva del dettato normativo in esame, finora mai seguita da questa Amministrazione centrale in quanto tale procedimento non è espressamente richiamato dalla norma» (cfr. comunicazione Prot. VI-DOG/540/03-1/2015/CA, Roma 30 luglio 2015, a firma del direttore generale del dipartimento);
   la Corte Costituzionale, con sentenza n. 227 del 2001, ha fornito, per converso, una interpretazione di carattere estensivo dell'articolo 10 della legge n. 533 dell'11 agosto 1973 – che ha modificato il previgente regime previsto dalla legge n. 319 del 2 aprile 1958 – nel senso di ritenere compresi nell'ambito dell'esenzione anche procedimenti non formalmente contemplati ma pur sempre finalizzati alla tutela del credito di lavoro, ciò in quanto ”Una diversa lettura dell'articolo 10 rivelerebbe del resto una radicale incoerenza interna della norma, fonte di irragionevoli disparità di trattamento, e condurrebbe a negare l'esenzione a una serie di procedimenti non menzionati dal secondo comma, con evidente e irragionevole discriminazione rispetto a quelli esplicitamente esentati;
   in merito al richiamato orientamento giurisprudenziale della Consulta, la direzione generale del personale e dei servizi direzione generale del personale e della formazione ha chiarito che non rientra nelle proprie prerogative «recepire l'indirizzo giurisprudenziale emergente dalla sentenza della Corte costituzionale n. 227/2001 in data 4 luglio 2001» (cfr. comunicazione Prot. VI-DOG/540/03-1/2015/CA, Roma 30 luglio 2015) –:
   se il Ministro interrogato non intenda adottare iniziative, anche di carattere normativo, al fine di estendere l'esenzione ex articolo 10 della legge n. 533 dell'11 agosto 1973, anche alle diffide accertative ex articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004 n. 124. (4-12245)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo in esame, l'interrogante chiede di conoscere se il Ministro della giustizia intenda adottare iniziative, anche di carattere normativo, al fine di estendere l'esenzione, di cui all'articolo 10 della legge 11 agosto 1973, n. 533, in tema di disciplina delle controversie individuali di lavoro e di previdenza ed assistenza obbligatorie, anche alle diffide accertative, previste dall'articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124.
  Come noto, l'articolo unico della legge 2 aprile 1958, n. 319, come sostituito dall'articolo 10 (rubricato «Gratuità del giudizio») della legge 11 agosto 1973, n. 533, stabilisce l'esenzione dalle imposte di bollo, di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura, con riguardo agli atti, documenti e provvedimenti relativi alle cause per controversie individuali di lavoro o concernenti rapporti di pubblico impiego, agli atti relativi ai provvedimenti di conciliazione dinanzi agli uffici del lavoro e della massima occupazione o previsti da contratti o accordi collettivi di lavoro, nonché alle cause per controversie di previdenza e assistenza obbligatorie.
  L'esenzione è dalla norma estesa agli «atti e i documenti relativi alla esecuzione sia immobiliare che mobiliare» in detti giudizi, oltre che al recupero dei crediti di lavoro nelle procedure concorsuali.
  Dal suo canto, l'articolo 12 del decreto legislativo 23 aprile 2004, n. 124, rubricato «Diffida accertativa per crediti patrimoniali», prevede che, qualora nell'ambito dell'attività di vigilanza emergano inosservanze alla disciplina contrattuale da cui scaturiscono crediti patrimoniali in favore dei prestatori di lavoro, il personale ispettivo delle direzioni del lavoro diffida il datore di lavoro a corrispondere gli importi risultanti dagli accertamenti; all'esito del tentativo di conciliazione ivi previsto, il provvedimento di diffida è destinato ad acquistare, con provvedimento del direttore della Direzione provinciale del lavoro, valore di accertamento tecnico «con efficacia di titolo esecutivo».
  Premesso il quadro normativo ora ricordato, va rilevato che la direzione generale della giustizia civile del Ministero ha avuto modo di affrontare la questione relativa al regime delle spese per la notificazione degli atti di precetto, fondate sulle diffide accertative di cui al richiamato, articolo 12 del decreto legislativo n. 124 del 2004.
  Si è, al riguardo, ritenuto non operante l'esenzione prevista dall'articolo 10 della legge 533 del 1973, sul duplice presupposto che le diffide in parola non appaiono riconducibili ai provvedimenti di conciliazione, di cui al comma 1 di tale disposizione, e che Patto di notifica del precetto fondato sulle stesse non integra ancora una procedura esecutiva, posto che, ai sensi dell'articolo 491 del codice di procedura civile, «espropriazione forzata inizia con il pignoramento» (nota n. 4075 del 13 gennaio 2015).
  Va precisato che tale opzione interpretativa non confligge con la pronunzia della Corte costituzionale (sentenza n. 227 del 2001), pure richiamata nell'atto parlamentare.
  Il giudice delle leggi, interpellato sulla legittimità costituzionale del citato articolo 10 della legge n. 533 del 1973, per contrasto con gli articoli 3 e 24 della Costituzione, nella parte in cui «escluderebbe, ovvero non contemplerebbe» il regime di gratuità e di esenzione per i giudizi aventi ad oggetto azioni surrogatorie (articolo 2900 codice civile) o revocatorie (articolo 2901 codice civile), nonché per il procedimento di sequestro conservativo funzionale all'esercizio della revocatoria (articolo 2905, secondo comma, codice civile), qualora il loro esperimento avvenga per conservare la garanzia patrimoniale di un credito di lavoro, ha dichiarato la non fondatezza della questione sul presupposto che la norma impugnata è suscettibile di interpretazione estensiva.
  Orbene, ai fini rilevanti per la questione posta dall'interrogante, la richiamata pronunzia, con specifico riferimento alle procedure esecutive, nel fornire un'interpretazione estensiva della norma in esame consente di ritenere ricomprese nell'ambito di applicazione della stessa, e dunque esenti da spese, anche le procedure esecutive avviate in forza di titolo stragiudiziale, non solo in virtù di sentenze o ordinanze.
  Ne consegue che anche le procedure esecutive avviate in forza di diffide accertative di cui all'articolo 12, comma 3, del decreto legislativo 124 del 2004 devono ritenersi esenti da spese, integrando esse un titolo esecutivo stragiudiziale.
  Ciò non toglie, tuttavia, che le spese di notificazione dell'atto di precetto fondato su tali diffide accertative continuino a rimanere a carico della parte richiedente, atteso che, come va sottolineato, tale attività non integra ancora una procedura esecutiva, essendo piuttosto prodromica alla stessa, che segue solo al mancato pagamento spontaneo da parte del debitore nel termine indicato nel precetto. E ciò è, appunto, espressione della regola generale di cui all'articolo 10, comma 2, della legge 533 del 1973, che prevede l'esenzione da spese solo per le procedure esecutive, non anche per le attività alle stesse prodromiche.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   RIZZO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   presso il tribunale di Caltagirone ormai da innumerevoli mesi sono presenti un numero di magistrati assai inferiore a quello previsto;
   come dichiarato dall'ordine degli avvocati di Caltagirone, nel comunicato stampa del 23 maggio 2015, «Il Presidente nominato non ha ancora preso possesso dell'Ufficio, il trasferimento di tre magistrati, sui tredici in pianta organica, sta per acquistare efficacia, il magistrato distrettuale a giorni esaurirà l'incarico, il Presidente di Sezione starebbe per lasciare Caltagirone». Da qui a qualche settimana potrebbero rimanere solo cinque magistrati. Il che importa la materiale impossibilità di funzionamento dell'ufficio giudicante;
   tale carenza crea un'intollerabile serie di malfunzionamenti della «macchina giustizia» afferenti innanzitutto i tempi definizione dei procedimenti civili e penali;
   tale malfunzionamento coinvolge altresì anche la definizione delle domande di ammissione al patrocinio a spese dello Stato; nonché la definizione delle domande di liquidazione dei compensi professionali relativi ai procedimenti che riguardano soggetti ammessi al patrocinio a spese dello Stato;
   i ritardi sopra indicati limitano, di fatto, l'accesso alla giustizia ai non abbienti, in palese violazione del diritto di difesa costituzionalmente garantito, e allo stesso tempo rischiano di ledere la dignità professionale degli avvocati del foro di Caltagirone;
   a causa delle disfunzioni e delle carenze presenti presso il Tribunale di Caltagirone, l'ordine degli avvocati di Caltagirone ha indetto, già diverse volte, l'astensione dalle udienze;
   come si apprende dal giornale «La Sicilia» del 9 giugno 2015 tale astensione è stata indetta, ultimamente, dall'8 al 13 giugno 2015 –:
   se il Ministro non ritenga di assumere ogni iniziativa, per quanto di sua competenza, per salvaguardare il corretto funzionamento della «macchina giustizia» presso il Tribunale di Caltagirone;
   se il Ministro non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza per facilitare l'accesso alla giustizia da parte dei non abbienti e la tutela della dignità professionale degli avvocati del foro di Caltagirone. (4-09415)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante prospetta criticità del tribunale di Caltagirone, con riferimento alle dotazioni di personale di magistratura.
  Chiede, pertanto, quali iniziative il Ministero della giustizia intenda assumere per superare le evidenziate carenze e per facilitare l'accesso alla tutela giurisdizionale per i non abbienti.
  Dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico del tribunale di Caltagirone si compone di tredici unità, allo stato integralmente coperto.
  Si tratta, pertanto, di un ufficio che evidenzia, allo stato, la completa copertura dell'organico, nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
  Come noto, la copertura delle eventuali vacanze è rimessa al Consiglio superiore della magistratura e può essere temporaneamente fronteggiata mediante provvedimenti di applicazione, di competenza del procuratore generale.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, per sostenere adeguatamente la giurisdizione, mi preme sottolineare come l'adozione di misure strutturali a sostegno degli uffici giudiziari attraverso politiche di valorizzazione e potenziamento del personale abbia rappresentato una delle priorità dell'azione del mio Dicastero.
  In questa prospettiva, l'assetto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione, nel complesso degli interventi, non ancora esauriti, di tipo normativo ed organizzativo, necessari a costruire una struttura ordinamentale idonea a rispondere in modo soddisfacente alla domanda di giustizia ed alle esigenze del territorio.
  Il complesso percorso di revisione sta ora attraversando una ulteriore, importante fase.
  È stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sui territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  La successiva distribuzione delle unità aggiuntive costituisce provvedimento di natura tabellare, rimesso alla valutazione del Consiglio superiore della magistratura.
  Alla stregua dei predetti criteri, al distretto della corte d'appello di Catania risulta assegnata una unità aggiuntiva, in incremento della dotazione prevista, adeguandola così alle esigenze del territorio.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, del tirocinio formativo da diciotto a dodici mesi.
  Sarà, inoltre, prossimamente bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 350 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
  L'assetto attuale e le misure di stabilizzazione previste potranno, pertanto, assicurare il regolare funzionamento dell'ufficio e la tutela dei diritti dei cittadini, anche ammessi al patrocinio a spese dello Stato.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ROSTAN. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il litorale domitio – sotto il profilo della morfologia del territorio – è la fascia costiera che costituisce il margine della pianura campana, la cosiddetta «Campania Felix» dei romani, formata:
    a) in parte da materiali alluvionali portati dai grandi fiumi Volturno e Garigliano e dai corsi d'acqua più piccoli dell'Agnena, del Savone e dell'antico fiume Clanis, da qualche secolo purtroppo inglobato nel sistema idrico dei Regi Lagni;
    b) nonché nella restante parte, da materiali eruttivi provenienti, a nord, dal vulcano di Roccamonfina e, a sud, dal sistema vulcanico dei Campi Flegrei;
   l'area del litorale, dal punto di vista geografico, si estende per circa 45 chilometri di costa sul mar Tirreno, dal fiume Garigliano a Lago Patria, e confina a nord con il Lazio (golfo di Gaeta), a sud con Napoli (area Campi Flegrei e Giugliano in Campania), ad est con la pianura che sale verso i monti Aurunci (Sessa Aurunca) e la città di Caserta;
   si tratta di un'area vastissima, dalle straordinarie potenzialità di sviluppo turistico ed agricolo ma, nel contempo, afflitta da una pluralità di criticità e di problematiche, tutte di straordinaria gravità ed entità;
   di queste, sicuramente l'incremento demografico avvenuto nell'ultimo ventennio nella zona del basso casertano (in oggetto) e nella macroarea a nord di Napoli ad essa contigua ha stravolto completamente l'essenza di piccoli paesi trasformati in grandi agglomerati urbani;
   se a questo, poi, si aggiunge un altro grande elemento di criticità dato dalla presenza delle organizzazioni criminali, spesso protagoniste anche dello scempio edilizio ed urbano di queste aree territoriali, si capisce bene da dove deriva uno dei problemi ambientali che maggiormente impattano la qualità delle acque sul litorale casertano e, cioè, la mancanza di reti e collettori fognari capaci di impedire lo sversamento delle cosiddette «acque nere» direttamente nei Regi Lagni o, comunque, in sistemi di raccolta non messi a sistema con gli impianti di depurazione;
   in tale ottica, sarebbe assolutamente indicato ed opportuno fare chiarezza, dati alla mano, di quanti e quali siano attualmente i comuni, appartenenti alla macroarea Napoli nord-Caserta (che incidono coi propri scarti sul litorale preso in considerazione), che sono provvisti di rete fognaria e quali e quanti non lo siano; nonché, tra quelli che ne sono provvisti, quanti e quali sono collegati attraverso i collettori principali ai sistemi di depurazione regionale; qual è, inoltre, ad oggi lo stato di ammodernamento e funzionamento dei depuratori regionali preposti per queste aree;
   i tratti maggiormente inquinati della costa sono, ovviamente, quelli in corrispondenza delle foci dei corsi d'acqua: recenti studi hanno fatto emergere che la natura dell'inquinamento è prevalentemente microbiologica, causata per lo più da scarichi fognari umani e zootecnici che, direttamente o indirettamente, attraversando i corpi idrici superficiali, giungono a mare;
   altro fattore con forte impatto inquinante è lo sversamento delle acque nere derivanti dagli allevamenti bufalini, giacché è circostanza nota quella che, pur dimostrando lo smaltimento delle proprie acque nere attraverso l'opportuna e richiesta documentazione cartacea, molti, forse la maggioranza delle strutture di allevamento, riversano direttamente nei Regi Lagni le proprie acque nere;
   un altro aspetto rilevante della vicenda è l'effettiva verifica dell'incidenza dei controlli attraverso un rapporto tra numero di allevamenti e controlli effettuati, ma soprattutto per quanto riguarda la qualità e l'incisività dei controlli, giacché è da ritenersi inopportuno, se non inefficace, verificare esclusivamente la presenza della vasca a tenuta per le acque nere nei singoli allevamenti o il possesso della documentazione cartacea formale, laddove sarebbe più utile che i controlli effettuati su indicazione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare interessassero l'intero comparto di smaltimento rifiuti speciali e, dunque, consentissero la verifica dell'effettivo trattamento delle acque nere da parte dei soggetti coinvolti;
   le conseguenze che dall'inquinamento possono derivare per la popolazione sono sia di natura igienico-sanitaria (rischio di malattie trasmissibili), sia di tipo economico, collegate alle attività produttive inevitabilmente danneggiate (acquacoltura e maricoltura) e al turismo, alquanto compromesso sia, infine, connesse al malfunzionamento degli ecosistemi marini;
   qualche miglioramento della situazione era stato registrato nel corso degli accertamenti, con particolare riguardo all'andamento decrescente dell'inquinamento microbiologico;
   invero, con riferimento alla stagione balneare del 2011, può dirsi che, mentre all'inizio della stagione medesima, i dati dell'ARPAC indicavano che circa il 59 per cento del litorale casertano, che si estende dal fiume Garigliano a Lago Patria, era vietato alla balneazione (dato peraltro già migliore rispetto a quello registrato nel 2010, del 63 per cento), nel corso della stagione balneare 2011 per diciannove aree della conurbazione casertana (sedici del comune di Castelvolturno, tre del comune di Mondragone), si sono verificate le condizioni di cui all'articolo 2, comma 5, del decreto ministeriale 30 marzo 2010: in sostanza, la dimostrazione, da parte dei comuni di Castelvolturno e Mondragone, delle messa in opera di adeguate misure di miglioramento, insieme con gli esiti favorevoli di quattro campionamenti, effettuati con cadenza quindicinale a decorrere dal mese di aprile, ha consentito, nel rispetto della norma, di revocare i divieti di balneazione di diciannove tratti di costa «storicamente non balneabili»;
   ovviamente, il recupero alla balneazione dei tratti inquinati non può prescindere dalla rimozione delle cause di inquinamento dei corpi idrici che si immettono in questo tratto di costa;
   va senza dubbio tenuto in considerazione il fatto che l'azione della magistratura inquirente sammaritana e delle forze dell'ordine è stata determinante per la rimozione di alcune di quelle cause, con conseguenti effetti positivi anche sulla qualità dell'acqua del litorale;
   tuttavia, è necessario che lo sforzo per ripristinare la legalità non cessi e che tutte le forze messe in campo continuino a operare, in sintonia tra loro, e senza cedimenti;
   a tali difficoltà vanno senza alcun dubbio aggiunte quelle emerse a seguito delle attività di monitoraggio ed indagine sulle cave esistenti nel territorio;
   da tali attività di approfondimento è emerso che alcune cave dismesse sono state trasformate in discariche incontrollate di rifiuti speciali pericolosi;
   si tratta di un numero di cave molto elevato, circa 440 unità presenti nel territorio domitio ed al confine tra le province di Napoli e Caserta, che, per le loro caratteristiche (ad esempio, la circostanza di essere riempite) o per la loro ubicazione (ad esempio: vicinanza ad arterie stradali, prossimità a corsi d'acqua, e altro) potrebbero non solo contenere rifiuti, ma potrebbero nascondere rifiuti particolarmente inquinanti per le vicine acque superficiali o per le falde acquifere;
   a parere dell'interrogante, sarebbe opportuna un'approfondita verifica della condizione in cui versano le società partecipate della regione Campania operanti nel settore ambientale e delle ragioni della sostanziale condizione di stallo e di collasso, nella quale le stesse versano –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della situazione evidenziata in premessa e se, alla luce di quanto esposto, ritengano opportuno valutare la possibilità di assumere iniziative tese a favorire, in tempi ragionevoli e compatibilmente con le risorse economiche a disposizione, contestuali interventi di risanamento e politiche di presidio del territorio in sinergia con gli enti locali presenti nell'area. (4-01192)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente le problematiche ambientali relative all’ex sito di bonifica di interesse nazionale «Litorale domitio flegreo ed agro aversano», sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si premette che le problematiche ambientali poste riguardano, principalmente, la qualità delle acque superficiali dell'area dell’ex SIN oggetto della relazione prodotta da ARPA Campania – dipartimento provinciale di Caserta.
  Il sito di interesse nazionale «Litorale domitio flegreo ed agro aversano» è stato individuato come sito di bonifica di interesse nazionale dall'articolo 1, comma 4 della legge n. 426 del 1998 ed è stato perimetrato con decreto ministeriale 10 gennaio 2000, decreto ministeriale 8 marzo 2001, decreto ministeriale 31 gennaio 2006, con l'inserimento all'interno della perimetrazione del territorio di 77 comuni.
  Inoltre, i risultati dell'attività di subperimetrazione del sito in oggetto sono stati esaminati nel corso delle conferenze di servizi decisorie tenutesi presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 28 febbraio 2006, 22 novembre 2007 e 6 giugno 2008.
  A seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 7 dell'11 gennaio 2013, concernente l'approvazione dell'elenco dei siti che non soddisfano i requisiti di cui ai commi 2 e 2-bis dell'articolo 252 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e che non sono più ricompresi tra i siti di bonifica di interesse nazionale, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 60 del 12 marzo 2013, la procedura è stata attribuita alla regione Campania come competenza dei procedimenti in materia di bonifiche delle aree ricomprese nel perimetro del SIN medesimo.
  Inoltre, per quanto concerne l'utilizzo delle cave dismesse, tra le aree comprese nella subperimetrazione dell’ex SIN del litorale domitio flegreo ed agro aversano si evidenziano le aree di cava nel comune di Giugliano in Campania (Napoli).
  L'area cave ha una superficie complessiva di circa 200 ettari e le aree oggetto di indagine, consistenti in porzioni di territorio interessate in passato da attività estrattive nel territorio di Giugliano in Campania, sono ad oggi per lo più inattive e, in alcuni casi, oggetto di riempimenti con materiale alloctono abusivo.
  La conferenza di servizi decisoria del 28 marzo 2008 ha approvato il piano di indagini preliminari delle aree di cava del comune di Giugliano redatto a seguito della richiesta del Ministero dell'ambiente.
  La proposta di modifica del piano di indagini preliminare dell'area cave, eseguita sulla base di sopralluoghi e di indagini di tipo indiretto, e stata approvata dalla conferenza di servizi decisoria del 5 maggio 2013, convocata dalla regione Campania.
  Infine, nell'ambito della convenzione quadro Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – Sogesid del 7 agosto 2008, si segnala che sono previsti interventi per la caratterizzazione delle aree di cava, bonifica e ripristino ambientale delle cave. Tuttavia, ad oggi deve essere eseguita la caratterizzazione delle cave incluse nelle aree individuate da ARPAC.
  Si segnala, inoltre, che la regione Campania, ha evidenziato che la subperimetrazione di ARPAC ha individuato, all'interno della tipologia «impianti di trattamento dei rifiuti», anche gli impianti di depurazione di reflui urbani, seppure questi ultimi non rientrano in detta tipologia. La regione medesima ha, quindi, richiesto al Ministero dell'ambiente di valutare la possibilità di rettificare la subperimetrazione escludendo i predetti impianti di depurazione.
  Successivamente è intervenuto il decreto di deperimetrazione del SIN «Litorale Domitio Flegreo ed Agro Aversano», in base al quale la competenza sull’ex SIN è rientrata nell'ambito regionale.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti degli enti territoriali competenti, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto risulta da un articolo pubblicato dal quotidiano Il Messaggero Veneto il 29 novembre 2014, nel comune di San Daniele del Friuli in provincia di Udine si è verificato l'ennesimo caso di violenza sulle donne, provocato da un cittadino extracomunitario marocchino, il quale ha percosso per diversi mesi, in maniera estremamente violenta la moglie, rinchiudendola all'interno dell'abitazione in cui vivono, divenuta una sorta di prigionia;
   il tragico episodio, che ripropone il fenomeno della violenza sulle donne, ha determinato l'intervento dei carabinieri che hanno arrestato il violentatore per i maltrattamenti e le violenze effettuate ai danni della compagna, una connazionale di 24 anni, arrivata in Italia lo scorso aprile;
   il suesposto quotidiano, riporta inoltre che l'operazione di soccorso, è avvenuta a seguito della disperata richiesta di soccorso via Skype, da parte della giovane moglie, rivolta ai genitori in Marocco, i quali successivamente sono riusciti ad allarmare le forze dell'ordine, con la richiesta di pronto soccorso avanzata direttamente in Italia;
   a giudizio dell'interrogante, tale vicenda conferma nuovamente, come sia inutile spendere risorse pubbliche in campagne pubblicitarie di sensibilizzazione contro la violenza sulle donne, nel momento in cui l'interpretazione della legge che ha consentito la scarcerazione del violentatore marocchino non avrebbe dovuto prevederne l'uscita dal carcere;
   sarebbe stato opportuno maggiore rigore e severità nell'applicazione della disciplina normativa;
   a tal fine, a parere dell'interrogante, occorre una maggiore attenzione giuridica e sociale, nei confronti di un fenomeno di particolare gravità che ha assunto nel nostro Paese dimensioni allarmanti, in particolare, da parte degli extracomunitari che soggiornano in Italia, i quali spesso per fanatismo, legato alla propria religione, esercitano un'aggressività spropositata, anche a causa di un sistema normativo inaccettabile, che determina addirittura la scarcerazione dopo soli due giorni dall'avvenuto maltrattamento;
   il suesposto episodio impone in definitiva, a giudizio dell'interrogante, una rapida accelerazione nell'introduzione di norme di carattere penale più stringenti e rigorose, finalizzate a garantire una maggiore certezza della pena da scontare negli istituti detentivi, per coloro che in Italia effettuano maltrattamenti e violenze alle donne; occorrono altresì ulteriori iniziative di carattere sociale e culturale, finalizzate ad incrementare i livelli di rispetto e tolleranza nei riguardi del sesso femminile, in particolare nei confronti degli extracomunitari, il cui comportamento spesso esageratamente violento, esige rapide iniziative normative da parte del Governo –:
   quali orientamenti intendano esprimere, per quanto di competenza, e se, in considerazione di quanto esposto in premessa, non ritengano opportuno prevedere specifiche iniziative, finalizzate ad inasprire le pene detentive in caso di violenza e maltrattamenti sulle donne e soprattutto a garantire che il reato sia interamente scontato all'interno delle strutture carcerarie ed evitare casi come quello accaduto a San Daniele del Friuli, in cui il violentatore marocchino è stato scarcerato soltanto pochi giorni dopo l'avvenuta aggressione. (4-07458)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante – prendendo spunto dalla scarcerazione di un cittadino extracomunitario, nonostante la convalida dell'arresto in flagranza per atti di grave violenza consumati in danno del coniuge – chiede quali iniziative si intendano assumere per assicurare più adeguate forme di tutela per le vittime e garantire l'effettività della sanzione.
  Con riferimento alla specifica vicenda riportata, la competente articolazione ministeriale, acquisite le informazioni presso l'autorità giudiziaria procedente, ha riferito che, in data 24 novembre 2014, Mennoune Said veniva tratto in arresto dai Carabinieri di San Daniele del Friuli nella flagranza dei reati di maltrattamenti in famiglia e sequestro di persona continuati in danno della moglie, Abba Mouna.
  Il pubblico mistero di turno chiedeva al giudice per le indagini preliminari la convalida dell'arresto e la applicazione all'indagato della custodia cautelare in carcere.
  Con ordinanza in data 27 novembre 2014, il giudice per le indagini preliminari convalidava dell'arresto e applicava a carico del Mennoune la misura degli arresti domiciliari.
  L'ordinanza cautelare non veniva impugnata dalla procura della Repubblica, in considerazione della ritenuta adeguatezza della misura per il contestuale allontanamento della persona offesa dalla casa familiare. L'indagato proponeva, invece, richiesta di riesame, ottenendo dal Tribunale della libertà di Trieste, con ordinanza del 16 dicembre 2014, la sostituzione della misura degli arresti domiciliari con quella dell'allontanamento dalla casa familiare, con l'obbligo di non farvi rientro o di non accedervi, senza autorizzazione dell'autorità giudiziaria, e con ulteriore prescrizione di non avvicinarsi ai luoghi frequentati dalla persona offesa, Abba Mouna.
  L’iter procedimentale descritto non ha evidenziato profili di abnormità, anche in relazione alla valutazione di adeguatezza della misura cautelare, rimessa all'insindacabile apprezzamento dell'autorità giudiziaria in ordine al concreto atteggiarsi, nel caso specifico, delle esigenze di cautela, soprattutto in relazione alla tutela della persona offesa, soprattutto vulnerabile.
  Al tema della violenza di genere è, del resto, rivolta prioritaria attenzione nell'agenda del Governo.
  Già la legge 15 ottobre 2013 n. 119, di conversione del decreto-legge 14 agosto 2013 n. 93, recante «Disposizioni urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto alla violenza di genere», ha inteso inasprire, con finalità dissuasive, il trattamento sanzionatorio nei confronti degli autori di reati di violenza domestica perpetrata nei confronti delle donne.
  Ma notevole impegno è stato profuso nella realizzazione di una vera e propria rete di sostegno alle vittime di abusi e violenze.
  Sono state, infatti, adottate azioni specificamente volte ad incoraggiare le vittime vulnerabili, soprattutto le donne, a denunciare i reati consumati in loro danno.
  In particolare, merita di essere ricordata l'adozione generalizzata del progetto «Codice Rosa bianca» che – già in corso di sperimentazione con il patrocinio dai Ministeri della giustizia e della salute e con la cooperazione istituzionale tra azienda sanitaria locale, forze di polizia e procure della Repubblica – intende assicurare un accesso privilegiato alle cure sanitarie delle vittime di maltrattamenti ed abusi.
  Al fine di delineare un vero e proprio sistema di garanzie attraverso una disciplina generalizzata per la protezione, l'assistenza e la tutela di ogni persona offesa dal reato, è stato adottato il decreto legislativo 15 dicembre 2015, n. 212, in attuazione della direttiva 2012/29/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 25 ottobre 2012, che istituisce norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato e che sostituisce la decisione quadro 2001/220/GAI.
  Il decreto, pubblicato in  Gazzetta Ufficiale il 5 gennaio 2016, ha inteso apprestare un efficace apparato difensivo per tutte le vittime di reato, soprattutto le più vulnerabili, nella consapevolezza non solo di un doveroso adeguamento agli standard europei, ma, soprattutto, della necessità di assicurare posizione paritaria ai diritti di tutte le parti del processo.
  Il sistema di tutela ha recentemente visto il suo perfezionamento attraverso l'istituzione di un fondo destinato al ristoro patrimoniale delle vittime di reato che, unitamente all'ammissione al patrocinio a spese dello Stato per le persone offese dei delitti di violenza sessuale al di fuori dei limiti reddituali previsti, intende ampliare nella massima latitudine la salvaguardia dei soggetti vulnerabili ed il pieno esercizio del diritto di difesa.
  Da ultimo, nell'ambito dei lavori parlamentari finalizzati all'approvazione della legge di bilancio per il 2017, è stato approvato il 23 novembre 2016 – uno specifico emendamento che destina cinque milioni di euro annui, in incremento del fondo per le politiche relative ai diritti e alle pari opportunità per il triennio 2017-2019, finalizzati alle attività di assistenza e sostegno alle donne vittima di violenza ed ai loro figli, in favore del piano antiviolenza, dei servizi territoriali, dei centri antiviolenza e dei servizi di assistenza.
  Nella medesima direzione di potenziamento del contrasto alla violenza di genere merita di essere, infine, citato decreto del Presidente della Repubblica del 7 aprile 2016, n. 87, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 maggio 2016, con cui è stato adottato il «Regolamento recante disposizioni di attuazione della legge 30 giugno 2009, n. 85, concernente l'istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, ai sensi dell'articolo 16 della legge n. 85 del 2009».
  Il regolamento ha, tra l'altro, attuato l'istituzione della banca dati e del relativo laboratorio centrale, al fine di agevolare le attività di identificazione degli autori di reato, contribuendo a rafforzare gli strumenti di contrasto alle più odiose forme di violenza.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   SBERNA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Federazione italiana gioco calcio alcuni giorni fa ha diffuso la notizia di aver sottoscritto un accordo di partnership con «Intralot» che la rende «premium sponsor» delle nazionali di calcio;
   la Intralot appartiene al gruppo Gamenet – concessionario di Stato per scommesse, slot, video-lotterie e ha numerosi punti scommesse, nonché una presenza crescente sul mercato online;
   si deve ricordare che la ludopatia si sta diffondendo in maniera preoccupante, tanto da diventare una vera e propria piaga sociale che sta rovinando tante persone e famiglie e la stessa economia del Paese;
   infatti, il 25 per cento dei giovani delle scuole superiori, di età compresa fra 15 e 19 anni dichiara di considerare l'azzardo come una fonte di reddito;
   inoltre, tre milioni di individui sono malati di gap (gioco d'azzardo patologico), mentre 88 miliardi di euro nell'intero Paese, pari al 5 per cento del prodotto interno lordo sono consumati in azzardo;
   dunque, esporre, direttamente o indirettamente, i giovani a un rischio gravissimo come quello delle ludopatie appare sbagliato, tenendo conto che nel 2015 sono stati registrati oltre un milione di giocatori tra i 15 e i 19 anni, l'8 per cento degli studenti italiani, 60.000 in più dell'anno precedente;
   l'azzardo non è un prodotto di consumo come tutti gli altri, non risponde ai valori educativi e di sviluppo del benessere psicofisico che si riconoscono al gioco, crea dipendenza ed espone a gravi rischi;
   la pubblicità è un elemento costitutivo della dipendenza: la induce e la produce. Quindi gli interessi insiti nel gioco d'azzardo sono altro rispetto ai valori sani dello sport, dell'etica, della legalità, della competizione positiva, del gioco di squadra;
   a seguito dei molteplici disaccordi espressi tra gli altri dal Garante per l'infanzia e l'adolescenza, dall'unione nazionale consumatori, dal presidente della Consulta nazionale antiusura «Giovanni Paolo II», monsignore Alberto D'Urso, le insegne Intralot sono state tolte dal materiale tecnico della squadra di calcio italiana e dai cartelloni pubblicitari;
   inoltre, la FIGC ha ribadito che «la visibilità di Intralot non sarà accostata all'immagine dei giocatori della Nazionale né, in alcuna forma, alle squadre giovanili azzurre». Queste rassicurazioni sono importanti, ma appaiono tuttavia ancora insufficienti, dal momento che l'Italia è tra i primi Paesi al mondo nel consumo di gioco d'azzardo;
   il «decreto Balduzzi» vieta la pubblicità del gioco d'azzardo con vincite in denaro nelle trasmissioni televisive, radiofoniche, cui potrebbero assistere dei minori nonché sui giornali, su riviste e pubblicazioni e via internet;
   nella legge n. 208 del 2015 (stabilità 2016), sono state approvate disposizioni limitative della pubblicità, con riferimento sia agli orari in cui sono vietati i messaggi pubblicitari nelle tv generaliste sia ai contenuti dei messaggi stessi, nonché misure atte a realizzare campagne di informazione e di sensibilizzazione, in particolare nelle scuole, sui fattori di rischio connessi al gioco d'azzardo ed è stato istituito presso il Ministero della salute il fondo per il gioco d'azzardo patologico;
   è, quindi inopportuno, ad avviso dell'interrogante, che a fare da sponsor della nazionale di calcio, vista e seguita da milioni di italiani, sia una società attiva nel mondo delle scommesse con il rischio che si aggiri il divieto di pubblicità del gioco d'azzardo –:
   quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle sue competenze e nel rispetto dell'autonomia dell'ordinamento sportivo, per proteggere lo sport del calcio dallo sfruttamento commerciale e per rafforzare il contrasto alle ludopatie, disincentivando forme di pubblicità, anche indirette, del gioco d'azzardo. (4-14511)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si rappresenta quanto segue.
  La lotta alla ludopatia è uno degli obiettivi di questo Governo che si è già impegnato su questo con incisive iniziative. Sappiamo, infatti, che il fenomeno ha raggiunto dimensioni rilevanti e per questo sono state adottate negli ultimi tempi concrete misure sia di contenimento dell'offerta di gioco che di ordine socio-sanitario.
  Con la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), sono state introdotte misure più restrittive, in particolare sulla pubblicità dei giochi pubblici, le quali, oltre a ribadire la validità dei principi dettati con la cosiddetta legge Balduzzi, in vigore già da gennaio 2013, fissano ulteriori limitazioni per gli operatori di gioco e non solo, nel rispetto dei principi sanciti in sede europea. È stata, infatti, vietata la pubblicità di giochi con vincita in danaro nelle trasmissioni radiofoniche e televisive generaliste dalle ore 7 alle ore 22 di ogni giorno (ad esclusione delle lotterie nazionali ad estrazione differita).
  Sono state escluse dal divieto soltanto le forme qualificate come forme di comunicazione indiretta e derivanti dalle sponsorizzazioni in alcuni settori, tra i quali quello dello sport (comma 939 dell'articolo 1 della citata legge n. 208 del 2015).
  Nel ricordare, quindi, quanto prevede la normativa in vigore, e passando al caso segnalato dall'interrogante, circa l'accordo di sponsorizzazione tra la nazionale di calcio e la società di scommesse Intralot, è opportuno innanzitutto premettere che la Federazione gioco calcio, che è una delle cinque grandi federazioni calcistiche europee, ha personalità giuridica di diritto privato e come tale si muove in autonomia.
  Nel fornire chiarimenti sulla questione, la Federazione ha rilevato come altre istituzioni e organizzazioni sportive, nazionali ed internazionali, abbiano anch'esse concluso importanti accordi di sponsorizzazione con il settore del betting e come in Europa ci siano numerose federazioni calcistiche sponsorizzate da marchi del settore, tra le quali le federazioni inglese, francese, spagnola e portoghese (la nazionale portoghese ha vinto il campionato europeo). Rileva la federazione che i marchi dei maggiori operatori del settore hanno da tempo una vastissima diffusione pubblicitaria, godendo di ampi spazi mediatici anche con l'intervento di popolari artisti.
  Riguardo all'accordo sottoscritto con Intralot, la FIGC rileva come si tratti di una partnership commerciale limitata rispetto alle prerogative concesse abitualmente ad altri sponsor: la sponsorizzazione infatti è limitata alle sole nazionali maggiori (nazionale A e under 21) e non prevede l'utilizzazione di immagini di calciatori né l'apposizione del marchio sulle maglie né su altro materiale tecnico.
  Con riferimento particolare alla partita disputata dalla nazionale contro la Spagna, non è apparso neppure alcun cartellone pubblicitario riferito alla Intralot.
  Preso atto anche di quanto riferito dalla federazione, ritengo che non appaiono elementi per considerare l'episodio riferito nell'interrogazione un aggiramento del divieto di pubblicità stabilito dalla norma, rientrando, piuttosto nei casi di esclusione dal divieto specificamente individuati dal comma 939 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016.
  Relativamente al collegamento tra il «mondo delle scommesse» e i «recenti scandali legati al calcio scommesse», ci si limita ad osservare che nell'interpellanza non sembra distinguersi il gioco legale dal gioco illegale, specie quello praticato su internet da società con sede in Paesi esteri che operano sul territorio dello Stato in modo illecito. Al riguardo, si ricorda, tra l'altro, come il primo scandalo scommesse, che ebbe vasta eco sugli organi di informazione, si registrò negli anni 1979-1980, mentre le scommesse sportive sono state legalizzate in occasione dei mondiali di Francia del 1998.
  Recenti inchieste della magistratura (v., per esempio, quella denominata «Dirty soccer») hanno documentato il fatto che le scommesse illegali connesse al cosiddetto «match fixing» vengono alimentate su reti di bookmakers stranieri o su siti illegali, quindi al di fuori del circuito concessorio nazionale. Dalle notizie di stampa relative alla citata inchiesta «Dirty soccer») è emerso che l'indagine ha preso avvio anche sulla base di una segnalazione dell'Agenzia demanio e monopoli riguardo alla partita Juve Stabia – Lupa Roma, nell'ambito della collaborazione costante dell'agenzia sia con le autorità giudiziarie e le forze di polizia sia con l'apposita struttura costituita presso il Ministero dell'interno (Unità informative scommesse sportive).
  Tale segnalazione è stata possibile solo perché le scommesse sono affluite al circuito legale di gioco. I flussi di gioco che transitano nella rete ufficiale dell'agenzia demanio e monopoli, tramite il partner tecnologico (SOGEI), possiede il totale della raccolta sulla rete italiana ed è in grado di controllare ogni singola giocata, l'avvenimento oggetto di scommessa, l'importo giocato, la quota offerta dai concessionari, data ora e luogo di vendita.
  Il Governo, comunque, continuerà a mantenere massima attenzione sulla questione e a vigilare sull'applicazione delle regole, anche al fine di migliorare la normativa vigente e individuare e adottare gli strumenti più idonei a contrastare le conseguenze del gioco d'azzardo e la ludopatia.
  Infine si evidenzia anche che, come previsto dalla legge di stabilità 2016, in sede di confronto con le regioni e gli enti locali si stanno discutendo le caratteristiche dei punti vendita, dove si raccoglie il gioco pubblico, e i criteri per la loro distribuzione e concentrazione territoriale, allo scopo di garantire il raggiungimento dei migliori livelli di sicurezza per la tutela della salute, dell'ordine pubblico e della pubblica fede dei giocatori nonché di prevenire il rischio di accesso dei minori di età. La questione è stata sottoposta alla Conferenza unificata per il raggiungimento dell'intesa tra lo Stato, le regioni e le autonomie locali in data 10 novembre 2016: l'esame è stato rinviato ad una prossima Conferenza per maggiori approfondimenti.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BARBANTI, BECHIS, MUCCI, PRODANI, RIZZETTO e TURCO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella laguna di Orbetello è in atto un disastro ecologico senza precedenti, poiché da circa una settimana si raccolgono in media 40 tonnellate di pesce morto al giorno;
   al fine di evitare problemi igienico-sanitari, i pesci morti vengono trasportati e smaltiti per il loro incenerimento nella città di Livorno;
   dai primi accertamenti risulta che i pesci, indubbiamente sani, sono morti a causa delle elevate temperature record registrate in questi giorni dalle acque della laguna, che hanno toccando la punta massima di 35 gradi centigradi;
   al disastro ambientale si aggiunge quello economico, con il settore dell'itticoltura e della pesca messo in ginocchio nell'immediato, ma anche con la forte probabilità che i danni all'ecosistema marino, e quindi alle attività produttive, si ripercuotano ancora per anni: si precisa infatti che anche gli avannotti sono morti e le prime stime quantificano i danni all'economia locale pari ad almeno 15 milioni di euro;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, per il tramite dell'Agenzia del demanio, è proprietario dell'intera laguna di Orbetello;
   dati allarmanti giungono anche da altre località lagunari, in particolare ci si riferisce agli impianti di itticoltura situati in Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia;
   si ricorda che gli ambienti naturali lagunari risultano particolarmente fragili e quindi particolarmente esposti agli effetti dell'innalzamento della temperature –:
   se siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa e, nell'eventualità positiva, se condividano le analisi esposte in premessa con particolare riguardo al rapporto causa-effetto indicato tra l'innalzamento della temperatura e la moria di pesci che ha messo in crisi le attività produttive legate all'itticoltura;
   se intendano assumere iniziative, con priorità e urgenza, volte a erogare fondi per investimenti al fine di dare attuazione ad un piano di mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici, da definire partendo dalle risultanze emergenti dalla strategia elaborata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, considerando tali investimenti come prioritari per il rilancio dell'economia e dell'occupazione;
   quali iniziative di competenza intendano porre in atto per evitare ulteriori eventi calamitosi e mitigare gli effetti di quelli già realizzatisi;
   relativamente allo specifico caso di Orbetello, se intendano intervenire tempestivamente, eventualmente dichiarando lo stato di emergenza, richiesta già pervenuta da parte degli amministratori locali, per porre in essere misure urgenti al fine di agevolare il ritorno alle condizioni di vita precedenti al disastro ambientale, minimizzare gli effetti negativi sul tessuto produttivo e commerciale, salvaguardare i posti di lavoro e favorire la ripresa economica delle attività produttive locali danneggiate. (4-10049)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalle direzioni generali e dall'ente territoriale di competenza si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare occorre precisare che gli eventi richiamati dall'interrogante verificatisi nel luglio del 2015 hanno comportato, soprattutto nel Bacino di Levante, un anomalo sviluppo macroalgale, oltre a situazioni di anossia e distrofia e diffuse morie di pesci.
  È utile considerare che la Laguna di Orbetello è caratterizzata:
   da un elevato stato di trofia, dovuto agli apporti del bacino scolante in laguna oltre che agli apporti eccezionali del Fiume Albegna avvenuti durante l'alluvione del 2012;
   dagli scarsi ricambi idrici;
   dal basso idrodinamismo e dalla limitata batimetria del fondale (30-50 cm).

  La correlazione delle specifiche peculiari di questo ecosistema lagunare con il verificarsi del raggiungimento di elevate temperature estive, ha condotto all'ingente sviluppo macroalgale avvenuto nel periodo luglio-agosto 2015 e al conseguente innesco del fenomeno distrofico.
  Dette problematiche sono state oggetto di un tavolo tecnico svoltosi presso questo Ministero in data 27 ottobre 2015, con il quale sono stati coinvolti gli enti territoriali competenti.
  Va precisato innanzitutto che il comprensorio laguna di Orbetello-Lago di Burano è interessato dalla presenza di quattro siti Natura 2000 la cui gestione è delegata alla regione Toscana (ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997), e di due riserve naturali delle quali una statale e una regionale ed una zona umida Ramsar.
  Nell'ambito del predetto tavolo, è stato evidenziato anche l'aspetto inerente il pre-contenzioso comunitario, Caso EU Pilot 6016/14/ENVI – applicazione della normativa ambientale comunitaria nella zona della laguna di Orbetello e del lago di Burano, avviato nel marzo 2014.
  In particolare, considerata la presenza dei siti Natura 2000, il Ministero ha affrontato la tematica riguardante la verifica del rispetto di tutte le disposizioni della direttiva 92/43/CEE «Habitat», inerenti sia all'articolo 6 paragrafo 3, in materia di valutazione di incidenza, sia all'articolo 4 paragrafo 4 relativo alla designazione di Siti di importanza comunitaria come zone speciali di conservazione, a seguito della individuazione di opportune misure di conservazione o piani di gestione.
  In particolare, si è verificato che la provincia di Grosseto, nella fase endoprocedimentale del rilascio dell'Autorizzazione unica ambientale ha svolto la procedura di valutazione di incidenza (V.Inc.A) di cui all'articolo 6, comma 3 sugli impianti di itticoltura anche se limitatamente allo scarico dei reflui in laguna.
  Ulteriori procedure di V.Inc.A sono state espletate nella fase di verifica di assoggettabilità a Via ex post, richiesta dalla Commissione europea e condotta su tutti gli impianti di itticoltura attenzionati.
  Tutte le procedure sono state concluse nel mese di luglio 2016.
  In relazione all'articolo 4, comma 4 della direttiva, si segnala che l'Autorità regionale ha provveduto all'individuazione di misure di tutela e di salvaguardia specifiche del SIC/ZPS IT51A0026 «Laguna di Orbetello», nella more della sua definitiva designazione quale Zsc.
  A tale proposito la regione Toscana ha emanato la deliberazione di giunta regionale n. 1231 del 15 dicembre 2015, recante: «decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997 – legge regionale n. 30 del 2015 – Approvazione misure di salvaguardia per la gestione del SIC-ZPS "Laguna di Orbetello"», pubblicata sul Bollettino Ufficiale della regione Toscana n. 52 del 30 dicembre 2015.
  Dette misure specifiche per la tutela del sistema lagunare, in quanto ricompreso nella rete Natura 2000, sono state allineate alle misure di conservazione approvate in pari data, con delibera della Giunta Regionale n. 1223 del 15 dicembre 2015, recante «Direttiva 92/43/CE "Habitat" – articoli 4 e 6 — approvazione delle misure di conservazione dei SIC (Siti di importanza comunitaria) ai fini della loro designazione quali ZSC (Zone speciali di conservazione)», pubblicata sul Supplemento n. 179 al medesimo Bollettino Ufficiale della regione n. 52 del 30 dicembre 2015.
  Pertanto, sono stati affrontati concretamente sia i citati aspetti procedurali conclusi nel luglio 2016 e sia l'individuazione delle misure di salvaguardia del dicembre 2015, adottate a seguito del tavolo tecnico del 27 ottobre 2015.
  È opportuno precisare che l'approvazione regionale del 15 dicembre 2015 delle misure di conservazione per tutti i SIC regionali e la conseguente emanazione mediante decreto ministeriale della designazione dei SIC come ZSC, rientra negli impegni assunti nell'ambito della procedura di infrazione 2015/2163, costantemente seguita nelle interlocuzioni tra ministero e regioni.
  Per quanto concerne gli aspetti relativi ai fenomeni distrofici che interessano la laguna, si riporta quanto trasmesso dal comune di Orbetello e dalla regione Toscana, in occasione della riunione pacchetto ambiente del 17 giugno 2016, nell'ambito del confronto sull’EU Pilot citato.
  Il comune di Orbetello con nota del 10 giugno 2016, ha chiarito che nell'ambito dei compiti gestionali e operativi in capo all'amministrazione comunale per la gestione della laguna, sono state intensificate ed approfondite le attività di controllo e di monitoraggio dei parametri chimico-fisici e biologici che caratterizzano lo stato del bacino lagunare. Sono stati inoltre effettuati gli interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria degli impianti per il ricircolo idraulico oltre all'impiego di imbarcazioni per la rimozione della risospensione dei sedimenti e la raccolta delle alghe.
  Il comune con medesima nota, ha altresì precisato che, nel corso del mese di aprile e fino agli inizi di maggio 2016, sono stati inoltre attivati in via anticipata, gli impianti di sollevamento di Fibbia e di Nassa con la finalità prevalente di mantenere il livello idrico relativamente alto, incidendo contestualmente sulla localizzazione della nidificazione della avifauna protetta, in maniera tale da avere maggiori possibilità operative al momento della attivazione del ricircolo idraulico poi programmata per l'inizio di giugno.
  Analogamente la regione Toscana, con nota del 13 giugno 2016, ha precisato che in attuazione di quanto previsto dalla sopra citata delibera della giunta regionale 1231 del 2015, in collaborazione con i soggetti a vario titolo interessati nella gestione della laguna di Orbetello, ha definito:
   la stesura di un «Piano di sicurezza ambientale per la gestione della Laguna di Orbetello», volto a individuare possibili strategie e procedure operative per cercare di contrastare, sulla base dell'attuale disponibilità di mezzi ed attrezzature, gli effetti di eventuali crisi distrofiche, analoghe a quella verificatasi nell'estate 2015.
   la stesura, in accordo con il WWF, di un protocollo operativo per il pompaggio delle acque in laguna con lo scopo di individuare, sia in condizioni di ordinarietà che di eccezionalità, le modalità di pompaggio delle acque in laguna compatibili con la preservazione degli ambienti di riproduzione delle specie di interesse conservazionistico, con particolare riferimento a quelle presenti nel Formulario Standard del sito Natura 2000 (specie target);
   un piano di monitoraggio dello stato ambientale della laguna finalizzato a monitorare costantemente i principali parametri ambientali e meteorologici in collaborazione con ARPAT (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente in Toscana) e consorzio LaMMA (Laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale).

  È inoltre importante evidenziare che l’EU Pilot 6016/14/ENVI – applicazione della normativa ambientale comunitaria nella zona della laguna di Orbetello e del lago di Burano, avviato nel marzo 2014, è stato archiviato dalla Commissione europea in data 24 ottobre 2016, a seguito del completamento degli impegni assunti dallo Stato Italiano, relativamente ai numerosi aspetti rappresentati.
  Con riferimento alle iniziative volte a erogare fondi per investimenti finalizzati all'attuazione di un piano coerente con la strategia nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici, il Ministero dell'ambiente sta predisponendo il Piano nazionale di adattamento ai cambiamenti climatici (PNAC) approvato con decreto direttoriale del 16 giugno 2015, n. 86 che ha la finalità di identificare le vulnerabilità di ciascun settore della strategia nazionale di adattamento SNAC. Tra i diversi settori è ovviamente inclusa la pesca marittima. Il PNAC segnalerà gli interventi integrati necessari.
  Ad ogni modo, per far fronte alla questione del mutamento climatico generale, la regione Toscana, per il tramite dell'Ufficio ambiente e difesa del suolo, ha fatto presente che sono state adottate diverse misure di salvaguardia per la gestione del SIC ZPS «Laguna di Orbetello» così individuate:
   valutazione di incidenza sulle attività di allevamento intenso;
   certificazione di provenienza degli esemplari immessi in laguna per il ripopolamento ittico;
   verifica del regolare funzionamento della rete di collettamento fognari;
   protocollo operativo di pompaggio delle acque in laguna;
   piano di sicurezza;
   monitoraggio ambientale.

  Alla luce di quanto evidenziato, si rassicura comunque che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prosegue nella sua azione costante di monitoraggio senza ridurre in alcun modo lo stato di attenzione su tali tematiche.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SORIAL. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   a Brescia l'inquinamento atmosferico fa più vittime degli incidenti stradali, la leonessa d'Italia ha infatti il triste e preoccupante primato di essere la città della Lombardia con l'aria più inquinata: secondo fonti di stampa, nel mese di ottobre 2013 con ben 55 giorni di aria malsana, ovvero con il livello di polveri sottili oltre il limite consentito, Brescia si è collocata al primo posto, ha superato una metropoli come Milano (50 giorni), e poi Monza (46 giorni), Bergamo e Lodi (45 giorni), Pavia (44 giorni), Mantova (41 giorni) e Pavia e Cremona (40 giorni);
   questi dati si rifanno ai rilevamenti delle centraline Arpa secondo i quali la regione Lombardia è in una situazione critica rispetto all'inquinamento atmosferico, nonostante le frequenti piogge che hanno caratterizzato il 2013: ad eccezione di Lecco, Como e Varese, già all'inizio della stagione dello smog, tutti i capoluoghi avevano abbondantemente superato il limite di 35 giorni l'anno con i livelli già oltre la soglia massima consentita di 50 mg di PM10;
   la pianura padana è stabilmente tra le cinque regioni più inquinate del pianeta: addirittura nel gennaio 2011 nelle città di Milano, Brescia, Verona, Padova, Treviso e Ferrara, l'inquinamento è stato così consistente da produrre un fenomeno di «neve chimica», ovvero una particolare forma di pioggia di ghiaccio causata dalla presenza massiccia di particolato nell'aria;
   il nostro Paese, e la Lombardia in particolare, ha in media più chilometri di autostrade che il resto d'Europa, mentre risulta nettamente arretrato nel settore delle reti ferroviarie, metropolitane e del servizio di trasporto pubblico in genere;
   l'inquinamento atmosferico nuoce all'ambiente e alla salute umana e, nelle zone più inquinate, riduce in media di due anni l'aspettativa di vita: secondo gli esiti di una ricerca condotta su 300 mila persone in 9 Paesi europei seguite nel corso di ben tredici anni, pubblicati dalla rivista Lancet Oncology, la presenza dei biossidi d'azoto, dell'ozono e degli idrocarburi volatili, presenti nell'aria delle città, fa aumentare drammaticamente il rischio di cancro polmonare, per non parlare delle pericolosissime polveri cosiddette ultra-fini, di cui si sa che incidono pesantemente anche su infarti e aritmie, ma di cui in effetti si conosce ancora troppo poco;
   l'Unione europea stima che l'aria avvelenata è causa di circa 500 mila morti premature ogni anno;
   nel 2011, in provincia di Brescia, i tumori infantili sono cresciuti dell'8 per cento rispetto all'anno precedente, nel bresciano si registrano ogni anno 25/30 nuovi casi e ad aumentare sono soprattutto i carcinomi nel primo anno di età, dato che conferma il rapporto tra tumore e inquinamento ambientale; l'aria respirata, con le polveri sottili continuamente fuori norma, sta facendo crescere in modo esponenziale anche il numero di bambini che presentano malattie allergiche e respiratorie;
   l'Associazione genitori antismog di Milano nel marzo 2013 ha promosso una petizione alla Commissione e al Parlamento europeo in cui si chiedeva di riaffermare il diritto dei cittadini italiani a respirare aria pulita e a promuovere una procedura di infrazione nei confronti dell'Italia per la violazione della direttiva 2008/50/CE relativa alla qualità dell'aria ambiente e per un'aria più pulita in Europa, recepita con il decreto legislativo 13 agosto 2010 n. 155, come modificato dal decreto legislativo 24 dicembre 2012, n. 250, perseguendo l'obiettivo di cui all'articolo 1, lettera d), sull'esigenza di «mantenere la qualità dell'aria ambiente, laddove buona, e migliorarla negli altri casi»;
   con sentenza del 19 dicembre 2012 (causa C-68/11) la Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato che la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti avendo omesso di provvedere affinché le concentrazioni di PM10 nell'aria ambiente non superassero i valori limiti fissati dalla normativa dell'Unione europea sulla qualità dell'aria; questa sentenza riguarda 55 zone e agglomerati, dell'Italia dove l'aria è tra le più inquinate d'Europa;
   nel mese di gennaio 2013 la Commissione europea ha inviato una nuova lettera al Governo italiano, chiedendo di mettersi in regola con le norme europee sulla qualità dell'aria, visto che il nostro Paese viola costantemente quanto previsto dalla direttiva europea sulla qualità dell'aria e, infatti, in Lombardia si ritiene che i limiti previsti per PM10 e N02 non saranno rispettati per il 2015 e nemmeno per il 2020 –:
   se i Ministri siano a conoscenza dei fatti esposti e non intendano verificare, per quanto di competenza, la situazione ambientale del territorio di Brescia per quanto riguarda la qualità dell'aria e la potenziale relazione tra agenti inquinanti dell'atmosfera e incidenza di malattie tumorali per fare luce sull'impatto delle contaminazioni sulla salute delle popolazioni residenti;
   quali siano le ragioni per le quali il Governo non abbia ancora provveduto a mettersi in regola con la normativa comunitaria in materia di qualità dell'aria e se non intenda avviare tutte le iniziative di propria competenza in questa direzione;
   se non si consideri necessario individuare una sede di confronto istituzionale tra il Ministero, gli enti territoriali e le associazioni portatrici degli interessi diffusi delle popolazioni coinvolte, con particolare riferimento al punto di vista della comunità scientifica, soprattutto per quanto riguarda gli aspetti legati all'impatto sulla salute dell'inquinamento atmosferico;
   se non si intendano assumere iniziative normative per consentire per i comuni in condizioni di vera emergenza per i livelli di inquinamento dell'aria, l'allentamento del patto di stabilità, indispensabile con riferimento esclusivamente ai capitoli relativi alla realizzazione degli interventi necessari in ambito ambientale a monitorare la situazione, verificarne le cause e attuare una serie di azioni necessarie per migliorare la qualità dell'aria, come l'implementazione e l'ottimizzazione del trasporto pubblico. (4-02850)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'inquinamento atmosferico nella pianura padana e, in particolare, nella città di Brescia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, sulla base della normativa nazionale di settore (decreto legislativo n. 155 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni) le regioni e le province autonome sono le autorità competenti in materia di gestione e valutazione della qualità dell'aria. Tali amministrazioni sono pertanto competenti nella zonizzazione del territorio (con la relativa classificazione delle zone in funzione dei livelli di inquinamento registrati), nel monitoraggio della qualità dell'aria, nella valutazione annuale dei livelli di inquinamento e nella pianificazione degli interventi di risanamento della qualità dell'aria.
  Inoltre, si segnala che la legislazione comunitaria in materia di qualità dell'aria (direttiva 2008/50/CE e direttiva 2004/107/CE) prevede che gli Stati debbano assicurare, entro specifiche date, il rispetto di determinati obiettivi di qualità dell'aria per una serie di inquinanti, grazie alla pianificazione di misure ed interventi di risanamento.
  In particolare, per il materiale particolato PM10 sono previsti due valori limite per le concentrazioni in aria ambiente, un limite annuale (pari a 40 mg/m3) ed un limite giornaliero (pari a 50 mg/m3 da non superare più di 35 volte per anno civile), da rispettare a partire dal 1o gennaio 2005.
  Tali limiti non risultano rispettati in ampie aree del territorio nazionale, situate presso la maggior parte delle regioni.
  Tale situazione di inadempimento è però differenziata sul territorio nazionale: infatti, mentre per le regioni del Centro-sud il mancato rispetto dei valori limite è localizzato in piccole aree, appartenenti per lo più ai principali centri urbani, nel bacino padano i superamenti, anche a causa di condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli, sono diffusi su tutto il territorio.
  Concentrando, ad esempio, l'analisi del
trend dei valori del materiale particolato PM10 dal 2002 al 2014 a tutti i capoluoghi lombardi, si può evidenziare come dal 2013 il valore limite sulla media annua sia stato rispettato in tutti i capoluoghi, mentre il limite giornaliero è rispettato nei capoluoghi di Como, Lecco, Sondrio e Varese, con un miglioramento rispetto al 2013 in cui tale limite era rispettato solo nel capoluogo di Lecco. Si osserva, inoltre, che il numero di giorni di superamento della media giornaliera è fortemente diminuito nel tempo.
  Tali dati evidenziano, quindi, sebbene in un contesto di miglioramento generale della qualità dell'aria, come il problema dell'inquinamento da PM10 non sia circoscritto alla sola città di Brescia, ma esteso all'intero territorio della regione Lombardia.
  Da un punto di vista tecnico, parte del problema è identificabile nella specificità meteo-climatica e orografica della Lombardia, e dell'intero bacino padano, che determina una situazione particolarmente critica in quanto ostacola la dispersione degli inquinanti emessi in atmosfera e favorisce la formazione di composti secondari a seguito di reazioni chimiche (quali ozono, materiale particolato PM10 e PM2,5 e biossido di azoto NO2). Questa particolare criticità naturale del Bacino Padano rende particolarmente difficile il rispetto degli obiettivi di legge, nonostante gli sforzi sostenuti.
  Le regioni del bacino padano, attraverso una intensa collaborazione reciproca ed un continuo confronto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono da anni impegnate ad attuare attività comuni volte al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di qualità dell'aria posti a maggiore tutela della salute dei cittadini dalle direttive comunitarie e dalle norme nazionali di riferimento.
  Per tale ragione da anni le regioni del bacino padano promuovono attività comuni di miglioramento della qualità dell'aria che nel tempo hanno consentito un costante e progressivo miglioramento dello stato della qualità dell'aria.
  La regione Lombardia, ad esempio, ha approvato nel 2013 il nuovo piano regionale degli interventi per la qualità dell'aria, che costituisce il nuovo strumento di pianificazione e di programmazione regionale in materia di qualità dell'aria, aggiornando ed integrando quelli già esistenti ed individuando misure più rigorose per il contenimento delle emissioni. Tale piano individua un insieme di azioni ed interventi suddivisi tra i tre macrosettori «Trasporti su strada e mobilità», «Sorgenti stazionarie e Uso razionale dell'energia» e «Attività agricole e forestali», attuabili nel breve, medio e lungo periodo, efficaci per assicurare la massima riduzione degli inquinanti, tenendo in considerazione anche la relativa fattibilità e sostenibilità.
  Considerando l'effetto delle azioni di piano, la regione Lombardia ha stimato che le nuove misure consentono il rientro all'interno del valore limite relativo alla media annuale di materiale particolato PM10 già dal 2015 su tutto il territorio regionale, mentre si evidenzia una maggiore difficoltà nel rientro del numero di superamenti del limite giornaliero, con orizzonte al 2020, per alcune zone/agglomerati, tra cui l'agglomerato di Brescia. Per tale zona le stime effettuate, con orizzonte temporale al 2015-2020, circa gli effetti derivanti dall'attuazione delle misure previste dal nuovo piano, mostrano comunque un
trend in diminuzione del numero di superamenti del valore limite giornaliero del materiale particolato PM10.
  Ciò premesso, per quanto concerne gli aspetti relativi all'adozione di piani stringenti per il contenimento dell'inquinamento atmosferico in tutto il territorio italiano, si evidenzia che lo scrivente Ministero ha avviato da tempo una strategia condivisa con gli altri ministeri aventi competenza sui settori emissivi quali trasporti, energia, inclusi gli usi civili, attività produttive ed agricoltura, per l'individuazione di misure da attuare congiuntamente nel territorio nazionale al fine di contrastare i reiterati superamenti delle concentrazioni limite di materiale particolato PM10 e di biossido di azoto NO2 registrati in ampie zone del territorio nazionale.
  In tale contesto, nel dicembre 2013, si è arrivati alla sottoscrizione di un importante Accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole alimentari e forestali e della salute e le regioni e province autonome del bacino padano, contenente misure coordinate e congiunte volte a promuovere il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano.
  Nel merito, l'accordo prevede l'assunzione di precisi impegni per le parti sottoscrittrici, da attuarsi attraverso la predisposizione di misure di breve, medio e lungo periodo per il contrasto dell'inquinamento atmosferico nel Bacino Padano, quali, ad esempio, l'elaborazione di proposte normative condivise sulla riforma degli attuali sistemi di riqualificazione energetica degli edifici, sull'individuazione di linee guida nel settore agricolo o nel settore dei trasporti, sull'aggiornamento dei vigenti piani urbani della mobilità nonché per la predisposizione di studi relativi alla revisione dei limiti di velocità dei veicoli di trasporto di passeggeri e merci nelle zone del bacino padano.
  In particolare, per le regioni del bacino padano è previsto l'impegno ad attuare tali proposte normative nei propri territori attraverso una modifica dei propri piani di qualità dell'aria, che sono gli strumenti previsti dalle norme nazionali di settore per garantire il rispetto dei valori limite per la protezione della salute umana stabiliti dalle disposizioni comunitarie.
  Contestualmente all'attuazione del citato Accordo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha altresì avviato una interlocuzione con le regioni del centro e sud Italia finalizzata a porre in essere soluzioni mirate e condivise, sul modello del suddetto Accordo di programma delle regioni del bacino padano, per l'individuazione di misure congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria dei territori di tali regioni.
  Si segnala, infine, che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
  In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), il protocollo prevede: l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale ed alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Nel protocollo, inoltre, Ministero, regioni e Anci si sono impegnati a promuovere ulteriori misure tra cui il controllo e la riduzione delle emissioni degli impianti di riscaldamento delle grandi utenze, incrementando l'efficienza energetica e agevolando il passaggio a combustibili meno inquinanti, il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni (rinnovando il parco mezzi), misure di sostegno e sussidio finanziario per l'utenza del trasporto pubblico come, ad esempio, l'offerta di abbonamenti integrati treno/bus/metro/bike
o carsharing, sosta gratuita nei nodi di scambio extraurbani, corsie preferenziali per il trasporto pubblico e aree di totale pedonalizzazione, nonché la diffusione di buone pratiche agricole per limitare le emissioni di ammoniaca derivanti dalla somministrazione di fertilizzanti azotati o dagli allevamenti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina, e continuerà comunque a tenersi informato nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti degli enti territoriali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SORIAL, ALBERTI, COMINARDI e BASILIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo lo studio «Polveri sottili ed effetti a breve termine sulla salute nell'Asl di Brescia» dell'Osservatorio epidemiologico della stessa Asl bresciana, l'inquinamento atmosferico ha causato negli ultimi dieci anni a Brescia circa 3.000 morti con una spesa sanitaria di circa 146 milioni di euro, visti i 58 mila ingressi in ospedale derivanti dal superamento del limite dei 20 microgrammi di polveri sottili nell'aria sul territorio dell'Asl di Brescia (limite raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità, diverso da quello dei 50 microgrammi fissato dall'Unione europea), e considerando che ogni ricovero per motivi legati a patologie respiratorie costerebbe in media 2.500 euro, come riportato da fonti di stampa;
   in particolare, secondo lo studio, nel periodo 2000-13, se si fosse rispettato il valore raccomandato dall'Organizzazione mondiale della sanità PM10 al di sotto dei 20 mg/m3, sarebbero stati evitati circa 5.650 decessi pari al 4,7 per cento del totale, per una media annua di 400 decessi, mentre se si fosse sempre rispettato il valore limite dei 50 mg/m3 attualmente stabilito per legge, si sarebbero evitati circa 3.000 decessi pari al 2,5 per cento del totale, per una media annua di 213 decessi;
   secondo i dati dello studio, nell'ASL di Brescia ad ogni incremento di 10 mg/m3 di PM10 vi era un aumento significativo del rischio di mortalità naturale dello 0,9 per cento un aumento di mortalità per malattie cardiovascolari dello 0,8 per cento ed un aumento di mortalità per malattie respiratorie del 3,4 per cento;
   lo studio sottolinea che «l'area «padana» in cui Brescia è situata è una delle zone con peggior inquinamento atmosferico d'Europa, e dunque la riduzione delle emissioni è la strada per ridurre l'inquinamento atmosferico ed è una priorità di salute pubblica che come tale dovrebbe avere la precedenza assoluta»;
   i dati confermano che anche rimanendo al di sotto del limite di legge vi è un chiaro aumento del rischio di mortalità all'aumentare del PM10, visto che la correlazione tra mortalità per malattie respiratorie e PM10 è molto più forte e lineare anche dopo i 50 mg/m3 (con un rischio relativo del +20 per cento a tale livello);
   nelle conclusioni, lo studio dichiara che «I dati presenti confermano quanto già riscontrato in letteratura e cioè che quello atmosferico è di gran lunga il fattore di inquinamento ambientale con il maggior impatto sulla salute umana causando in media ogni anno nella nostra ASL: 400 decessi, 200 infarti, 165 ictus e 3.900 ricoveri per malattie respiratoria. Questi sono «solo» gli eventi a breve termine cui bisognerebbe aggiungere quelli cronici e confermano quanto stimato dagli studi VIIAS per la provincia di Brescia»;
   gli interroganti avevano già posto all'attenzione del Governo la gravità del problema dell'inquinamento atmosferico a Brescia con ben due atti parlamentari a tutt'oggi rimasti senza risposta:
    a) l'interrogazione a risposta scritta n. 4-05434 dell'8 luglio 2014, nella quale si riportava i risultati della ricerca del progetto «Respira – “Danni al Dna nelle cellule della mucosa buccale di bimbi d'età prescolare esposti ad alti livello di inquinamento urbano”», svolta a Brescia dalle facoltà di medicina e di ingegneria con fondi europei e la partecipazione della Loggia, che evidenziava come l'aria avvelenata da polveri sottili provochi ai bimbi che vivono a Brescia alterazioni genetiche maggiori che nei minori che vivono nell'inquinatissima Calcutta, in India;
   l'interrogazione a risposta scritta n. 4-02850, depositata addirittura il 5 dicembre del 2013, con la quale si sottolineava come a Brescia l'inquinamento atmosferico faccia più vittime degli incidenti stradali, visto che la leonessa d'Italia ha il triste e preoccupante primato di essere la città della Lombardia con l'aria più inquinata –:
   se i Ministri interrogati siano consapevoli della gravità del problema esposto in premessa e in che modo intendano intervenire per affrontare quella che si delinea come un'emergenza sanitaria, oltretutto con un elevatissimo costo anche economico, tale da causare centinaia di morti l'anno che sarebbero in gran parte evitabili attuando politiche adeguate a gestire il problema agendo sulla diminuzione delle emissioni, su un maggiore controllo del rispetto dei limiti alle stesse, ma anche sulla salvaguardia e sull'implementazione del verde pubblico in ambito urbano. (4-09987)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla qualità dell'aria nella città di Brescia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, sulla base della normativa nazionale di settore (decreto legislativo n. 155 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni) le regioni e le province autonome sono le autorità competenti in materia di gestione e valutazione della qualità dell'aria. Tali amministrazioni sono pertanto competenti nella zonizzazione del territorio (con la relativa classificazione delle zone in funzione dei livelli di inquinamento registrati), nel monitoraggio della qualità dell'aria, nella valutazione annuale dei livelli di inquinamento e nella pianificazione degli interventi di risanamento della qualità dell'aria.
  Secondariamente, si segnala che a Brescia la valutazione della qualità dell'aria ambiente è effettuata, per il materiale particolato PM10, tramite 2 stazioni fisse di monitoraggio, «Brescia Broletto» e «Brescia Villaggio Sereno».
  I dati di qualità dell'aria di materiale particolato PM10, misurati da tali stazioni a partire dal 2005, mostrano il superamento del valore limite giornaliero (valore limite di 50 μg/m3 da non superarsi per più di 35 giorni all'anno), mentre si rileva che dal 2013 le medie annuali rispettano il valore limite di 40 μg/m3. In generale, è comunque osservabile un miglioramento dei valori misurati rispetto agli anni precedenti sia in termini di media annua che di numero di superamenti.
  Estendendo l'analisi del
trend dei valori del materiale particolato PM10 dal 2002 al 2014 a tutti i capoluoghi lombardi, si può evidenziare come dal 2013 il valore limite sulla media annua sia stato rispettato in tutti i capoluoghi, mentre il limite giornaliero è rispettato nei capoluoghi di Como, Lecco, Sondrio e Varese, con un miglioramento rispetto al 2013 in cui tale limite era rispettato solo nel capoluogo di Lecco. Si osserva, inoltre, che il numero di giorni di superamento della media giornaliera è fortemente diminuito nel tempo.
  Tali dati evidenziano, quindi, sebbene in un contesto di miglioramento generale della qualità dell'aria, come il problema dell'inquinamento da PM10 non sia circoscritto alla sola città di Brescia, ma esteso all'intero territorio della regione Lombardia.
  Da un punto di vista tecnico, parte del problema è identificabile nella specificità meteo-climatica e orografica della Lombardia, e dell'intero bacino padano, che determina una situazione particolarmente critica in quanto ostacola la dispersione degli inquinanti emessi in atmosfera e favorisce la formazione di composti secondari a seguito di reazioni chimiche (quali ozono, materiale particolato PM10 e PM2,5 e biossido di azoto NO2). Questa particolare criticità naturale del bacino padano rende particolarmente difficile il rispetto degli obiettivi di legge, nonostante gli sforzi sostenuti.
  Per tale ragione da anni la regione Lombardia, assieme alle altre regioni del bacino padano, promuove attività comuni di miglioramento della qualità dell'aria che nel tempo hanno consentito un costante e progressivo miglioramento dello stato della qualità dell'aria.
  La regione Lombardia ha, quindi, approvato nel 2013 il nuovo Piano regionale degli interventi per la qualità dell'aria, che costituisce il nuovo strumento di pianificazione e di programmazione regionale in materia di qualità dell'aria, aggiornando ed integrando quelli già esistenti ed individuando misure più rigorose per il contenimento delle emissioni. Tale piano individua un insieme di azioni ed interventi suddivisi tra i tre macrosettori «Trasporti su strada e mobilità», «Sorgenti stazionarie e Uso razionale dell'energia» e «Attività agricole e forestali», attuabili nel breve, medio e lungo periodo, efficaci per assicurare la massima riduzione degli inquinanti, tenendo in considerazione anche la relativa fattibilità e sostenibilità.
  Considerando l'effetto delle azioni di piano, la regione ha stimato che le nuove misure consentono il rientro all'interno del valore limite relativo alla media annuale di materiale particolato PM10 già dal 2015 su tutto il territorio regionale, mentre si evidenzia una maggiore difficoltà nel rientro del numero di superamenti del limite giornaliero, con orizzonte al 2020, per alcune zone/agglomerati, tra cui l'agglomerato di Brescia. Per tale zona le stime effettuate, con orizzonte temporale al 2015-2020, circa gli effetti derivanti dall'attuazione delle misure previste dal nuovo piano, mostrano comunque un
trend in diminuzione del numero di superamenti del valore limite giornaliero del materiale particolato PM10.
  Ciò premesso, per quanto concerne gli aspetti relativi all'adozione di piani stringenti per il contenimento dell'inquinamento atmosferico in tutto il territorio italiano, si evidenzia che lo scrivente Ministero ha avviato da tempo una strategia condivisa con gli altri ministeri aventi competenza sui settori emissivi quali trasporti, energia, inclusi gli usi civili, attività produttive ed agricoltura, per l'individuazione di misure da attuare congiuntamente nel territorio nazionale al fine di contrastare i reiterati superamenti delle concentrazioni limite di materiale particolato PM10 e di biossido di azoto NO2 registrati in ampie zone del territorio nazionale.
  In tale contesto, si segnala che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha da tempo avviato una strategia volta a favorire l'individuazione di misure condivise da attuare congiuntamente nei territori del bacino padano, che ha condotto alla sottoscrizione, nel dicembre 2013, di un Accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti, delle politiche agricole alimentari e forestali e della salute, competenti nei settori che producono emissioni in atmosfera, e le regioni e province autonome del bacino padano.
  In particolare, tale accordo prevede l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile e risparmio energetico, industria, agricoltura) e di individuare, con riferimento ad ogni singolo settore, specifiche misure analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socio economici. Le regioni del bacino padano dovranno, quindi, provvedere all'adozione delle misure elaborate dai gruppi attraverso una modifica dei propri piani di qualità dell'aria.
  Dall'attuazione di tale accordo è atteso pertanto un ulteriore contributo al percorso di risanamento in atto sul territorio nazionale finalizzato ad intervenire sulle fonti che contribuiscono ai superamenti, mirando in questo modo ad una generale riduzione delle concentrazioni degli inquinanti atmosferici critici sul territorio nazionale.
  Contestualmente all'attuazione del citato accordo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha altresì avviato una interlocuzione con le regioni del centro e sud Italia finalizzata a porre in essere soluzioni mirate e condivise, sul modello del suddetto Accordo di programma delle regioni del bacino padano, per l'individuazione di misure congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria dei territori di tali regioni.
  Si segnala, infine, che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Conferenza delle regioni e delle province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
  In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), il protocollo prevede: l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Nel protocollo, inoltre, Ministero, regioni e Anci si sono impegnati a promuovere ulteriori misure tra cui il controllo e la riduzione delle emissioni degli impianti di riscaldamento delle grandi utenze, incrementando l'efficienza energetica e agevolando il passaggio a combustibili meno inquinanti, il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni (rinnovando il parco mezzi), misure di sostegno e sussidio finanziario per l'utenza del trasporto pubblico come, ad esempio, l'offerta di abbonamenti integrati treno/bus/metro/
bike o carsharing, sosta gratuita nei nodi di scambio extraurbani, corsie preferenziali per il trasporto pubblico e aree di totale pedonalizzazione, nonché la diffusione di buone pratiche agricole per limitare le emissioni di ammoniaca derivanti dalla somministrazione di fertilizzanti azotati o dagli allevamenti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina, e continuerà comunque a tenersi informato nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti degli enti territoriali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SORIAL, COMINARDI e ALBERTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo il rapporto 2015 sull'ecosistema urbano di Legambiente pubblicato dal Sole 24 Ore il 26 ottobre 2015 anche quest'anno Brescia risulta gravemente inquinata visto che si troverebbe alla 79° posizione su 104, come peggiore città del Nord Italia insieme a Torino;
   la nuova edizione del rapporto ha utilizzato 18 indicatori per confrontare tra loro i 104 capoluoghi di provincia italiani: tre indici sulla qualità dell'aria (concentrazioni di polveri sottili, biossido di azoto e ozono), tre sulla gestione delle acque (consumi idrici domestici, dispersione della rete e depurazione), due sui rifiuti (produzione e raccolta differenziata), due sul trasporto pubblico (il primo sull'offerta, il secondo sull'uso che ne fa la popolazione), cinque sulla mobilità (tasso di motorizzazione auto e moto, modale share, indice di ciclabilità e isole pedonali), uno sugli incidenti stradali, due sull'energia (consumi e diffusione rinnovabili);
   i risultati negativi per Brescia arrivano come sempre soprattutto dal versante dell'inquinamento atmosferico, con valori alti di polveri sottili, biossido di azoto e ozono, ma Brescia risulta essere anche una città che spreca le risorse idriche con ben 177 litri d'acqua consumata pro capite al giorno, mentre ad Ascoli, la città migliore d'Italia in questo campo, se ne consumano 99; inoltre per Brescia risulta anche imbarazzante il risultato della produzione annua di rifiuti, ben 705 chilogrammi a testa, valore che la pone al 91° posto;
   gli interroganti dall'inizio della legislatura segnalano con diversi atti di sindacato ispettivo la drammatica situazione della «leonessa d'Italia» dal punto di vista dell'inquinamento: il 24 luglio scorso con l'interrogazione n. 4-09987, l'8 luglio del 2014 con l'interrogazione numero 4-05434 e il 5 dicembre del 2013 con l'interrogazione n. 4-02850; tutti e tre questi atti sono tutt'oggi rimasti senza risposta –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente della situazione della città di Brescia dal punto di vista dell'inquinamento ambientale e se non considerino urgente, per quanto di competenza, approfondire i risultati del rapporto di cui in premessa e promuovere anche ulteriori monitoraggi di approfondimento;
   se in questi anni si siano attivati, per quanto di competenza, per fare in modo che la situazione ambientale della città migliorasse e in che modo e quali iniziative intendano intraprendere nel prossimo futuro, per trovare una soluzione all'inquinamento che affligge e mette in pericolo ogni giorno la salute degli abitanti della città di Brescia. (4-11059)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla qualità dell'aria nella città di Brescia, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, sulla base della normativa nazionale di settore (decreto legislativo n. 155 del 2010 e successive modificazioni e integrazioni) le regioni e le province autonome sono le autorità competenti in materia di gestione e valutazione della qualità dell'aria. Tali amministrazioni sono pertanto competenti nella zonizzazione del territorio (con la relativa classificazione delle zone in funzione dei livelli di inquinamento registrati), nel monitoraggio della qualità dell'aria, nella valutazione annuale dei livelli di inquinamento e nella pianificazione degli interventi di risanamento della qualità dell'aria.
  Secondariamente, si segnala che a Brescia la valutazione della qualità dell'aria ambiente è effettuata, per il materiale particolato PM10, tramite 2 stazioni fisse di monitoraggio, «Brescia Broletto» e «Brescia Villaggio Sereno».
  I dati di qualità dell'aria di materiale particolato PM10, misurati da tali stazioni a partire dal 2005, mostrano il superamento del valore limite giornaliero (valore limite di 50 μg/m3 da non superarsi per più di 35 giorni all'anno), mentre si rileva che dal 2013 le medie annuali rispettano il valore limite di 40 μg/m3. In generale, è comunque osservabile un miglioramento dei valori misurati rispetto agli anni precedenti sia in termini di media annua che di numero di superamenti.
  Estendendo l'analisi del
trend dei valori del materiale particolato PM10 dal 2002 al 2014 a tutti i capoluoghi lombardi, si può evidenziare come dal 2013 il valore limite sulla media annua sia stato rispettato in tutti i capoluoghi, mentre il limite giornaliero è rispettato nei capoluoghi di Como, Lecco, Sondrio e Varese, con un miglioramento rispetto al 2013 in cui tale limite era rispettato solo nel capoluogo di Lecco. Si osserva, inoltre, che il numero di giorni di superamento della media giornaliera è fortemente diminuito nel tempo.
  Tali dati evidenziano, quindi, sebbene in un contesto di miglioramento generale della qualità dell'aria, come il problema dell'inquinamento da PM10 non sia circoscritto alla sola città di Brescia, ma esteso all'intero territorio della regione Lombardia.
  Da un punto di vista tecnico, parte del problema è identificabile nella specificità meteo-climatica e orografica della Lombardia, e dell'intero bacino padano, che determina una situazione particolarmente critica in quanto ostacola la dispersione degli inquinanti emessi in atmosfera e favorisce la formazione di composti secondari a seguito di reazioni chimiche (quali ozono, materiale particolato PM10 e PM2,5 e biossido di azoto NO2). Questa particolare criticità naturale del bacino padano rende particolarmente difficile il rispetto degli obiettivi di legge, nonostante gli sforzi sostenuti.
  Per tale ragione da anni la regione Lombardia, assieme alle altre regioni del bacino Padano, promuove attività comuni di miglioramento della qualità dell'aria che nel tempo hanno consentito un costante e progressivo miglioramento dello stato della qualità dell'aria.
  La regione ha, quindi, approvato nel 2013 il nuovo Piano regionale degli interventi per la qualità dell'aria, che costituisce il nuovo strumento di pianificazione e di programmazione regionale in materia di qualità dell'aria, aggiornando ed integrando quelli già esistenti ed individuando misure più rigorose per il contenimento delle emissioni. Tale Piano individua un insieme di azioni ed interventi suddivisi tra i tre macrosettori «Trasporti su strada e mobilità», «Sorgenti stazionarie e Uso razionale dell'energia» e «Attività agricole e forestali», attuabili nel breve, medio e lungo periodo, efficaci per assicurare la massima riduzione degli inquinanti, tenendo in considerazione anche la relativa fattibilità e sostenibilità.
  Considerando l'effetto delle azioni di piano, la regione ha stimato che le nuove misure consentono il rientro all'interno del valore limite relativo alla media annuale di materiale particolato PM10 già dal 2015 su tutto il territorio regionale, mentre si evidenzia una maggiore difficoltà nel rientro del numero di superamenti del limite giornaliero, con orizzonte al 2020, per alcune zone/agglomerati, tra cui l'agglomerato di Brescia. Per tale zona le stime effettuate, con orizzonte temporale al 2015-2020, circa gli effetti derivanti dall'attuazione delle misure previste dal nuovo piano, mostrano comunque un
trend in diminuzione del numero di superamenti del valore limite giornaliero del materiale particolato PM10.
  Ciò premesso, per quanto concerne gli aspetti relativi all'adozione di piani stringenti per il contenimento dell'inquinamento atmosferico in tutto il territorio italiano, si evidenzia che lo scrivente Ministero ha avviato da tempo una strategia condivisa con gli altri ministeri aventi competenza sui settori emissivi quali trasporti, energia, inclusi gli usi civili, attività produttive ed agricoltura, per l'individuazione di misure da attuare congiuntamente nel territorio nazionale al fine di contrastare i reiterati superamenti delle concentrazioni limite di materiale particolato PM10 e di biossido di azoto NO2 registrati in ampie zone del territorio nazionale.
  In tale contesto, nel dicembre 2013, si è arrivati alla sottoscrizione di un importante Accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e trasporti, delle politiche agricole e della salute e le regioni e province autonome del bacino badano, contenente misure coordinate e congiunte volte a promuovere il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano.
  In particolare, tale accordo prevede l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile e risparmio energetico, industria, agricoltura) e di individuare, con riferimento ad ogni singolo settore, specifiche misure analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socio economici. Le regioni del bacino padano dovranno, quindi, provvedere all'adozione delle misure elaborate dai gruppi attraverso una modifica dei propri piani di qualità dell'aria.
  Contestualmente all'attuazione del citato accordo, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha altresì avviato una interlocuzione con le regioni del centro e sud Italia finalizzata a porre in essere soluzioni mirate e condivise, sul modello del suddetto Accordo di programma delle regioni del bacino padano, per l'individuazione di misure congiunte per il miglioramento della qualità dell'aria dei territori di tali regioni.
  Si segnala, infine, che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la Conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
  In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), il protocollo prevede: l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Nel protocollo, inoltre, Ministero, regioni e Anci si sono impegnati a promuovere ulteriori misure tra cui il controllo e la riduzione delle emissioni degli impianti di riscaldamento delle grandi utenze, incrementando l'efficienza energetica e agevolando il passaggio a combustibili meno inquinanti, il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni (rinnovando il parco mezzi), misure di sostegno e sussidio finanziario per l'utenza del trasporto pubblico come, ad esempio, l'offerta di abbonamenti integrati treno/bus/metro/
bike o carsharing, sosta gratuita nei nodi di scambio extraurbani, corsie preferenziali per il trasporto pubblico e aree di totale pedonalizzazione, nonché la diffusione di buone pratiche agricole per limitare le emissioni di ammoniaca derivanti dalla somministrazione di fertilizzanti azotati o dagli allevamenti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina, e continuerà comunque a tenersi informato nonché a svolgere un'attività di sollecito nei confronti degli enti territoriali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SPESSOTTO, LIUZZI, NICOLA BIANCHI e DELL'ORCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento (UE) 2015/757 stabilisce norme per il monitoraggio, la comunicazione e la verifica accurati delle emissioni di anidride carbonica (CO2) e di altre informazioni pertinenti in relazione alle navi che arrivano, circolano o partono dai porti sotto la giurisdizione di uno Stato membro, al fine di promuovere in modo efficace dal punto di vista dei costi la riduzione delle emissioni di CO2 derivanti dal trasporto marittimo;
   gli accertamenti sul rispetto degli obblighi relativi alle emissioni inquinanti legate all'utilizzo dei combustibili, da effettuarsi mediante il campionamento e l'analisi dei combustibili per uso marittimo contenuti nei serbatoi della nave e mediante controlli sui documenti di bordo e sui bollettini di consegna dei combustibili, sono di competenza del Corpo delle capitanerie di porto e della guardia costiera, mentre le sanzioni sono irrogate dalla autorità portuale;
   da un recente articolo apparso sul Corriere del Veneto il 29 settembre 2016, è emerso che la capitaneria di porto di Venezia, nel corso dei suoi controlli, ha riscontrato – in questi ultimi due anni – numerose irregolarità in merito ai carburanti utilizzati dalle navi da crociera;
   in particolare, nel 2015, su 60 controlli, 6 navi sono state multate per l'utilizzo di carburanti con tenore di zolfo oltre i limiti prescritti dalla legge, mentre per il 2016, su 80 controlli, sono state multate 5 navi, per un totale di 11 sanzioni comminate dalla capitaneria di porto di Venezia nel giro di due anni;
   le informazioni relative alle compagnie da crociera sanzionate sono state rese note all'opinione pubblica solo di recente, nonostante la sottoscrizione dell'accordo volontario Venice Blue Flag, che prevede l'impegno di utilizzo in laguna, sia in fase di navigazione sia in fase di attracco, di carburante con contenuti di zolfo inferiore allo 0,1 per cento;
   nessun atto di controllo specifico in merito alle emissioni inquinanti da grandi navi viene riportato nella sezione informazioni ambientali della autorità portuale di Venezia né della capitaneria di porto;
   i dati della Commissione europea stimano che 50.000 persone muoiono prematuramente ogni anno in Europa a causa dell'inquinamento dell'aria a causa del trasporto marittimo, e questo nonostante siano disponibili misure adeguate per risolvere efficacemente il problema –:
   se i Ministri interrogati possano fornire informazioni dettagliate sui controlli effettuati dalle autorità competenti negli ultimi anni sul rispetto degli obblighi relativi alle emissioni inquinanti da parte delle grandi navi e rendere altresì noti tutti i dati relativi alle irregolarità, con le relative sanzioni, eventualmente riscontrate durante i suddetti controlli.
(4-14493)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  Si segnala, in via preliminare, che nel Consiglio dei ministri del 12 ottobre 2015, è stato approvato il decreto legislativo, n. 172 del 2015 recante «Attuazione della direttiva 2013/39/UE, che modifica le direttive 2000/60/CE per quanto riguarda le sostanze prioritarie nel settore della politica delle acque».
  Il provvedimento modifica alcune disposizioni del decreto legislativo n. 152 del 2006, e riguarda gli
standard di qualità ambientale nel settore della politica delle acque. L'obiettivo è combattere l'inquinamento idrico rafforzando il monitoraggio dello stato delle acque.
  Il decreto aggiorna, recependo le indicazioni della normativa europea, gli elenchi delle sostanze chimiche ritenute maggiormente pericolose con 12 nuove sostanze tra cui componenti contenuti in prodotti fitosanitari, sostanze chimiche industriali e sottoprodotti della combustione, rivedendo inoltre i livelli di concentrazione di altre 7 sostanze già incluse nell'elenco, in linea con i parametri indicati dall'Unione europea. Vengono definiti anche i termini e le modalità certe con cui eseguire il monitoraggio sulle acque e contestualmente viene introdotto l'obbligo di un continuo controllo delle sostanze presenti nell'elenco definito dalla Commissione europea.
  Le regioni e le province autonome, avvalendosi delle agenzie regionali per l'ambiente, applicano gli standard di qualità ambientale (SQA), con l'obiettivo di raggiungere il buono stato chimico delle acque entro il 2021 per le sostanze individuate in passato ed entro il 2027 per le nuove sostanze individuate.
  Con specifico riferimento alle emissioni in atmosfera delle grandi navi da crociera, che contribuiscono ad abbassare la qualità dell'aria, la normativa nazionale in materia (decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155 e successive modificazioni e integrazioni) affida alle regioni e alle province autonome le attività di valutazione finalizzate a conoscere il contesto territoriale e quelle di pianificazione volte ad identificare gli interventi più efficaci per assicurare il rispetto degli standard di qualità dell'aria e ad assicurarne l'attuazione.
  A queste ultime compete quindi il monitoraggio degli inquinanti atmosferici, la predisposizione dei piani o programmi per il risanamento e la tutela della qualità dell'aria (compresa l'individuazione dei soggetti deputati all'attuazione di tali piani quali ad esempio la regione stessa o i comuni) nonché la trasmissione al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle relative informazioni per l'invio alla Commissione europea.
  La regione Veneto, per fronteggiare il problema dell'inquinamento atmosferico, con deliberazione del Consiglio regionale n. 57 dell'11 novembre 2004, ha approvato il piano regionale di tutela e risanamento dell'atmosfera che definisce le prime misure atte a ridurre l'inquinamento atmosferico nel Veneto per gli inquinanti considerati critici.
  A seguito dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 155 del 2010, la regione ha quindi provveduto a definire un secondo piano di risanamento e tutela della qualità dell'aria, tenendo in particolare considerazione le misure definite a livello di bacino padano.
  Tale Piano è stato approvato con deliberazione n. 34 del 15 aprile 2014 e include una serie di misure che mirano alla riduzione dei principali inquinanti atmosferici, con un orizzonte temporale fino al 2020.
  A livello nazionale si segnala che, stante la competenza primaria delle regioni in materia di valutazione e gestione della qualità dell'aria, l'azione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stata mirata a garantire un costante e fondamentale supporto alle amministrazioni regionali e locali.
  In primo luogo, al fine di favorire un confronto istituzionale sul tema della valutazione e gestione della qualità dell'aria, è stato istituito presso questo Ministero un Coordinamento tra i rappresentanti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, del Ministero della salute, di ogni regione e provincia autonoma, dell'Unione delle province italiane (UPI) e dell'Associazione nazionale dei comuni italiani (ANCI), nonché delle agenzie e degli istituti tecnici con competenze in materia ambientale (ISPRA, ISS, ENEA, CNR). Nel contesto di tale coordinamento sono individuati gli indirizzi comuni per la valutazione della qualità dell'aria, anche in relazione agli strumenti di pianificazione.
  Anche con le amministrazioni regionali è stata avviata un'interlocuzione finalizzata a porre in essere soluzioni mirate e condivise per l'individuazione delle misure per il miglioramento della qualità dell'aria specifiche per i diversi territori.
  In particolare, nel dicembre 2013 è stato sottoscritto un importante accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e trasporti, delle politiche agricole e della salute, aventi competenza in settori che producono emissioni in atmosfera, e le regioni e province autonome del Bacino Padano.
  Tale Accordo prevede l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile e risparmio energetico, industria, agricoltura) e di individuare, con riferimento ad ogni singolo settore, specifiche misure analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socio economici. Le regioni del bacino padano dovranno quindi provvedere all'adozione delle misure elaborate dai gruppi attraverso una modifica dei propri piani di qualità dell'aria.
  Relativamente al transito delle grandi navi da crociera in laguna, si evidenzia che il decreto interministeriale 2 marzo 2012 recante disposizioni generali per limitare o vietare il transito delle navi mercantili per la protezione di aree sensibili del mare territoriale, all'articolo 2, comma 1, prevede, per motivi di protezione dell'ambiente marino, ulteriori misure di protezione per zone particolarmente vulnerabili, tra cui i canali di San Marco e della Giudecca nella laguna di Venezia (battuti dalle navi facenti ingresso o uscenti dalle Bocche del Lido), con divieto di transito per quelle unità di tonnellate di stazza lorda (TSL) superiori a 40.000.
  Lo stesso decreto, all'articolo 3, prevede disposizioni transitorie subordinanti l'applicazione del divieto di cui al richiamato articolo 2, alla disponibilità di vie di navigazione alternative a quelle vietate, come individuate con specifica ordinanza n. 153 del 2013 (per profili tecnico-nautici e di sicurezza della navigazione) della Capitaneria di Porto di Venezia.
  La predetta ordinanza è stata oggetto di annullamento da parte del Giudice amministrativo.
  Ciò nonostante, l'allora misura temporanea di mitigazione del rischio della soglia limite delle 96.000 TSL, secondo quanto appreso dalla capitaneria di porto di Venezia, di fatto è stata autonomamente mantenuta fino ad oggi dagli agenti raccomandatari marittimi nel programma degli scali crocieristici presentati a seguito degli impegni assunti dall'autorità portuale anche nelle diverse riunioni interministeriali.
  Inoltre, a seguito dell'operatività del nuovo terminal Ro-Ro/Pax di Fusina, raggiungibile dalle opposte bocche di Malamocco, con percorso in direzione Marghera – zona industriale, tutte le navi traghetto non percorrono più i canali di San Marco e della Giudecca oggetto di divieto. Si precisa, al riguardo, che anche le navi adibite al traffico merci in atto transitano attraverso le stesse bocche di Malamocco.
  Peraltro, sulla base delle informazioni fornite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, si segnala che le compagnie di navigazione hanno già operato una programmazione in riduzione del traffico.
  La tematica in argomento viene affrontata anche nell'ambito della valutazione di impatto ambientale. Attualmente, infatti, sono all'esame istruttorio della Commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS le procedure relative ai seguenti progetti: «Adeguamento via acquea di accesso alla stazione marittima di Venezia e riqualificazione delle aree limitrofe al Canale Contorta Sant'Angelo» e «Nuovo Terminal Crociere di Venezia alla Bocca di Lido denominato Venis Cruise 2.0». Detti progetti hanno la finalità di rispondere a quanto previsto dal citato decreto interministeriale.
  Nel corso delle suddette istruttorie tecniche verranno tenuti in debita considerazione i problemi relativi all'impatto del transito delle grandi navi in laguna e degli scavi di nuovi canali per realizzare vie d'acqua di accesso alternative a quelle del canale di San Marco e della Giudecca. Saranno altresì opportunamente valutate tutte le eventuali opzioni alternative per il passaggio delle grandi navi in laguna.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si sta comunque adoperando per attivare i contatti necessari al fine di organizzare un apposito incontro con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per un esame congiunto e complessivo dell'intera problematica, anche al fine di dare piena attuazione al decreto interministeriale 2 marzo 2012.
  Da ultimo si segnala che dal 1o gennaio 2020 entrerà in vigore nelle acque mondiali il nuovo limite dello 0,5 per cento del tenore di zolfo nei combustibili marittimi. Lo ha deciso l'assemblea plenaria del MEPC, il Comitato per la protezione dell'ambiente marino, riunito in questi giorni a Londra. Con il voto favorevole della maggioranza delle delegazioni nazionali presenti, tra cui quello del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare italiano, è stato dunque raggiunto un traguardo di strategica importanza per limitare l'impatto delle emissioni in atmosfera delle navi. Con i nuovi rigorosi limiti in materia di emissioni solforose, il settore marittimo da un importante contributo all'attuazione dell'accordo raggiunto alla Cop21 di Parigi.
  La previsione era già inserita nella normativa internazionale e prevista dalla direttiva europea di riferimento: tuttavia la sua attuazione su scala globale era tutt'altro che scontata, perché condizionata all'esito positivo della valutazione sulla disponibilità di combustibile a basso tenore di zolfo in misura adeguata alle necessità del trasporto via mare di passeggeri e merci. Lo studio condotto dall'IMO, l'Organizzazione marittima internazionale dell'ONU che elabora il diritto marittimo convenzionale, ha fornito alle delegazioni mondiali attraverso studi indipendenti le basi tecnico-scientifiche sulle quali poggiare le proprie determinazioni di merito.
  Quanto riferito testimonia che le problematiche rappresentate dall'interrogante sono tenute in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle attività e valutazioni di competenza in materia con il massimo grado di attenzione, e a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, tenendosi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TRIPIEDI, CIPRINI, ROSTELLATO, BECHIS, TURCO, COMINARDI, RIZZETTO, CHIMIENTI e BALDASSARRE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge del 14 settembre 2011, n. 148, contenete la delega al Governo per la riorganizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, ha portato, in data 7 aprile 2014, alla chiusura del tribunale di Desio (MB) e in data 29 aprile 2014 alla chiusura dell'ufficio del giudice di pace di Desio con trasferimento di entrambe le sedi al vicino tribunale di Monza (MB);
   collocata in un territorio fortemente infiltrato dalla ’ndrangheta, la sede del tribunale di Desio copriva un territorio di 160 chilometri quadrati per un totale di venti comuni riconosciuti nella propria giurisdizione per un bacino di circa 400.000 cittadini e risultava essere la più grande sede distaccata di tribunali d'Italia;
   a riprova del fatto che la sede di Desio fosse riconosciuta come un'eccellenza per la sua funzionalità anche dagli stessi addetti ai lavori, in data 9 luglio 2014, l'ordine degli avvocati organizzò un incontro pubblico presso l'allora tribunale di Desio dal titolo «Soppressione della Sede Giudiziaria di Desio, sezione staccata del tribunale di Monza: l'efficienza e la qualità del servizio giustizia deve cedere il passo rispetto al paventato (ed insussistente) risparmio di spesa», all'interno del quale esponenti dello stesso Ordine affermarono che «il tanto sbandierato contenimento dei costi dovuto al trasferimento dalla sede di Desio a quella di Monza non sussiste affatto» e che «un accorpamento con Monza risulterebbe costoso e di difficile gestione logistica e funzionale». Tali affermazioni furono rafforzate dagli studi condotti dal Consiglio nazionale forense, che comprovarono che l'eliminazione del tribunale di Desio non comportò un effettivo taglio delle spese ma, al contrario, ne aumentarono la consistenza;
   lo spostamento del tribunale di Desio ha significato per la sede di Monza il dover trovare nuovi locali in affitto per ospitare il personale proveniente da Desio con un costo aggiuntivo rispetto ai 2.065.029 euro delle locazioni dei sei edifici della sede ospitante. A tali costi si aggiunsero anche quelli previsti e sostenuti dal Ministero di giustizia per lo spostamento degli arredi dalla vecchia alla nuova sede. Le spese annue sostenute per il funzionamento dell'ufficio giudiziario nella sede di Desio ammontavano, invece, a 196.274 euro per utenze telefoniche, riscaldamento, manutenzione e servizi, mentre per la locazione non vi era nessun costo in quanto l'edificio era messo gratuitamente a disposizione dal comune di Desio;
   il trasferimento delle sedi di Desio del tribunale e del giudice di pace hanno creato oggettivi problemi al tribunale di Monza che da sempre soffre di carenza di spazi e personale amministrativo, provocando il collasso delle cancellerie, soprattutto quella civile, dove tutti i fascicoli provenienti da Desio sono stati trasferiti ma non il personale, che ha scelto altre destinazioni diverse da Monza. Nel palazzo di Monza non vi sono spazi per ulteriori aule dove celebrare i processi monocratici ereditati da Desio e quindi aumentati a dismisura, tanto che alcune udienze davanti ai giudici monocratici sono state fissate per il primo trimestre del 2015;
   in una lettera inviata dal presidente della provincia di Monza e Brianza Dario Allevi, dal presidente dell'ordine degli avvocati di Monza e Brianza Francesca Sorbi e dai comuni di Desio e Monza all'allora Ministro della giustizia, Maria Grazia Cancellieri, insieme alle critiche rivolte all'ingiusto, a loro avviso, trasferimento della sede del tribunale di Desio, si ricordava che la stessa struttura annoverava 12 magistrati (7 togati e 5 onorari) e che nel solo anno giudiziario 2010/2011 sono sopravvenuti 6.323 procedimenti civili e 977 penali;
   sul quotidiano on-line «Il Giorno», in data 5 aprile 2014, il sindaco di Desio, Roberto Corti, dichiarava che «le decisioni calate dall'alto non vanno sicuramente bene. In particolare nel caso specifico di Desio è stata chiusa una sede distaccata che per costi e numero di pratiche non aveva ragione di essere chiusa se non quella che ha riguardato tutte le sedi decentrate. Sicuramente una decisione che ha poco del razionale». Nello stesso articolo, l'avvocato Marco Negrini, presidente della camera penale monzese, dichiarava che «restiamo preoccupati per l'impatto che la chiusura del tribunale di Desio avrà su Monza. Bisogna trovare spazi e personale per ammortizzare il carico di lavoro in arrivo. Servono spazi, sia dal punto di vista logistico che processuale». E sempre nello stesso articolo l'avvocato Francesca Sorbi, presidente dell'ordine degli avvocati di Monza e Brianza, dichiarava che «sotto il profilo organizzativo è stata una grossa perdita la chiusura del tribunale di Desio. Ci siamo rimboccati le maniche e stiamo facendo tutti grandi sforzi per garantire l'efficienza. I giudici sono arrivati ma spazi e personale, che avevano promesso, no»;
   dopo pochi mesi dalla chiusura, l'ex tribunale di Desio è stato sostituito con uffici ed ambulatori della locale ASL –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti;
   se il Ministro non intenda risolvere, per quanto nelle sue possibilità, la grave situazione di disagio creatasi nel tribunale di Monza a seguito dei trasferimenti sopra citati, considerando l'opportunità di riportare il tribunale di Desio e l'ufficio del giudice di pace nelle originarie o in nuove sedi. (4-05590)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, gli interroganti prospettano – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – criticità del tribunale di Monza derivanti dalla soppressione della sezione distaccata di Desio.
  Chiedono, pertanto, quali iniziative il Ministero della giustizia intenda assumere per superare le evidenziate carenze.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  In particolare, risulta ormai stabilizzata la soppressione degli uffici del giudice di pace – tra i quali la sede di Desio – per i quali i comuni non hanno avviato la procedura di mantenimento con oneri a carico degli enti locali medesimi, nonché delle sezioni distaccate dei tribunali.
  La revisione degli uffici di primo grado ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa ed anche in riferimento all'adeguamento delle dotazioni organiche degli uffici.
  In questa prospettiva, è stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, al tribunale di Monza risultano assegnati tre posti di giudice ed alla procura un posto di sostituto, in incremento della dotazione prevista.
  Lo schema di decreto è stato trasmesso al Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere, reso nella seduta plenaria del 23 novembre 2016.
  All'esito dell'esame dei contributi pervenuti, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti, a cui seguiranno conformi iniziative anche con riferimento al personale amministrativo, che consentano alla riforma della geografia giudiziaria di dispiegare appieno i suoi effetti, raggiungendo il preordinato obiettivo del miglioramento del servizio giustizia.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico del tribunale di Monza si compone di cinquantacinque unità, di cui solo quattro, allo stato, vacanti. La procura, invece, registra, allo stato, due posti vacanti su una dotazione di sedici unità.
  Si tratta, pertanto, di un ufficio che evidenzia, allo stato e complessivamente, una scopertura sostanzialmente fisiologica, nel contesto delle dinamiche delle procedure di assegnazione e tramutamento, di competenza del Consiglio superiore della magistratura.
  Come noto, la copertura delle eventuali vacanze è rimessa al Consiglio superiore della magistratura e può essere temporaneamente fronteggiata mediante provvedimenti di applicazione, di competenza del presidente della corte d'appello e del procuratore generale.
  Nell'ambito delle attribuzioni del Ministero della giustizia, invece, le iniziative sull'ampliamento delle dotazioni organiche del personale di magistratura sono accompagnate da convergenti misure finalizzate anche a garantire maggiore stabilità delle presenze.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, convertito con legge 25 ottobre 2016, n. 197, del tirocinio formativo per i vincitori dei concorsi banditi negli anni 2014 e 2015.
  Il 20 ottobre 2016 è stato, inoltre, bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 360 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato – e confermato nella legge di conversione – anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento a domanda, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
  Analogo impegno viene profuso per fronteggiare le carenze di personale amministrativo.
  Il profondo rinnovamento delle politiche del personale dell'amministrazione della giustizia ha costituito fondamentale obiettivo dell'azione di governo, sin dal mio insediamento, nella consapevolezza dell'importanza che assume l'apporto di adeguate risorse umane per il funzionamento degli uffici giudiziari e per il supporto alle innovazioni organizzative e tecnologiche necessarie alla modernizzazione dei servizi della giustizia.
  Nella prospettiva di ottimizzare le potenzialità offerte dalla riforma della giustizia, ormai avviata, si è perseguita un'azione di continua attenzione al personale amministrativo, muovendo innanzitutto dalla ricerca di strumenti di reclutamento di nuove risorse, senza trascurare il riconoscimento delle competenze maturate e la valorizzazione delle professionalità già presenti nell'amministrazione.
  Il lavoro di questi anni, ispirato a tali finalità, ha consentito di raggiungere importanti risultati e di tracciare nuovi percorsi.
  Gli interventi adottati si sono articolati attraverso:
   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015 e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n.132, che consente il passaggio di area, con conseguente progressione professionale, a due fondamentali qualifiche dell'ordinamento professionale dell'amministrazione giudiziaria: cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul Fondo unico di amministrazione, con il quale sono state finalmente redistribuite risorse pari a 90.496.445 milioni di euro relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero e nel cui ambito è stato delineato, per la prima volta, per il personale dell'amministrazione giudiziaria un sistema graduale di introduzione di meccanismi premiali.

  Relativamente all'incentivazione e alla valorizzazione del personale presente, i tempi sono finalmente maturi per avviare una nuova stagione di reclutamento e razionalizzazione delle risorse, combinando le azioni verso obiettivi di riqualificazione ed ottimizzazione dell'apporto professionale.
  Con le fondamentali misure introdotte dal decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, si è, infatti, conseguito il significativo risultato dell'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.
  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un vero e proprio programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato – il bando per il concorso è stato pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 22 novembre 2016 – il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale, cui potranno aggiungersi ulteriori, ancor più significative, risorse una volta completate le procedure di mobilità obbligatoria, impiegando le residue unità destinate a quest'ultime.
  In tal modo, si raggiunge non soltanto il fondamentale obiettivo dell'avvio di nuove assunzioni, dopo anni di sostanziale stagnazione delle fonti di reclutamento concorsuale, ma si delinea un complessivo quadro di disposizioni legislative che consentirà all'amministrazione di avviare in modo maggiormente efficace alcuni degli interventi assolutamente fondamentali per migliorare la qualità dei servizi di giustizia cui i cittadini hanno diritto.
  La legge prevede, infatti, la possibilità di introdurre nuovi profili, anche tecnici, e di rimodulare e rivedere i profili professionali e i relativi contingenti esistenti.
  Lo sviluppo delle tecnologie e la diffusione dell'informatizzazione nelle dinamiche processuali, accompagnato dalla crescente necessità di revisione dei moduli organizzativi e dei processi di lavoro, conduce necessariamente all'apertura di un percorso di riconsiderazione dei profili professionali esistenti, oltre che all'inserimento di nuove figure professionali attualmente non presenti nell'amministrazione della giustizia.
  Tale modifica apre anche la strada a percorsi di maggiore flessibilità nella mobilità interna di tutto il personale del Ministero, attuando in tal modo anche la ratio del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 giugno 2015, n. 84, complessivamente orientata dalla ricerca di fondamentali obiettivi di semplificazione strutturale, integrazione funzionale e massima efficienza operativa dell'amministrazione.
  La revisione dei profili professionali potrà, altresì, consentire, in una seconda fase, di aprire a nuovi percorsi e modalità di valutazione delle professionalità, assicurando una prospettiva di avanzamento professionale ad una platea più ampia rispetto a quella oggi coinvolta nelle procedure selettive di cui all'articolo 21–quater del già richiamato decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, avviando un ripensamento del sistema di valutazione e dei meccanismi di premialità.
  In considerazione della necessità di dare compiuta attuazione al regolamento di riorganizzazione del Ministero, si dovrà poi procedere ad una revisione complessiva della pianta organica del personale amministrativo, anche in linea con la revisione dei profili professionali, che potrà consentire una distribuzione tra le varie figure professionali sia in sede centrale che sul territorio coerente e adeguata.
  Infine, tale complessivo ripensamento delle politiche di gestione non potrà essere disgiunto dalla prosecuzione delle procedure di contrattazione collettiva in materia di Fondo unico di amministrazione, dando continuità al ciclo virtuoso che con la stipula dell'accordo del novembre 2015 si è avviato.
  Unitamente a ciò, nelle politiche del personale andranno introdotti criteri di razionalizzazione delle risorse al fine del recupero di quanto necessario per assicurare i nuovi modelli di formazione e i percorsi di riqualificazione del personale dell'amministrazione giudiziaria, anche per il tramite di interlocuzioni con le organizzazioni sindacali.
  La prospettiva che le misure indicate concorrono a delineare consentirà senz'altro di destinare ulteriori risorse anche agli uffici giudiziari lombardi.
  In particolare, allo stato, risulta che presso il tribunale di Monza prestano servizio 103 unità di personale amministrativo, oltre ad un dipendente assunto con contratto part time al 50 per cento, a fronte di una pianta organica costituita – secondo il decreto ministeriale 25 aprile 2013 – da 145 risorse umane, compresa la posizione dirigenziale.
  L'indice di scopertura risulta, pertanto, pari al 28,62 per cento superiore alla media nazionale del 21,26 per cento,
  Il computo dei presenti registra l'assetto conseguente alla prima fase di mobilità avviata, ed è destinato a giovarsi delle misure in atto.
  Per fare fronte alle attuali criticità, peraltro, è possibile ricorrere all'applicazione distrettuale di personale da altri uffici del distretto, ai sensi dell'articolo 4 del CCNL del 16 maggio 2001.
  L'istituto, regolato dall'articolo 14 dell'accordo sulla mobilità interna del personale del 27 marzo 2007, resta tuttora il più efficace e rapido strumento di ridistribuzione delle unità lavorative esistenti nell'ambito del territorio ed è rimesso all'attribuzione degli organi di vertice distrettuale, Presidente della Corte d'appello e procuratore generale, ciascuno per gli ambiti di rispettiva competenza.
  Quanto, infine, alle spese di funzionamento degli uffici giudiziari, la legge di stabilità 2015 ha, come noto, radicalmente innovato la disciplina delle funzioni di spesa correlate alla gestione degli uffici giudiziari, sino ad allora poste a carico dei comuni, per effetto della legge 24 aprile 1941, n. 392, attraverso il sistema dei rimborsi di spesa, offrendo l'opportunità – una volta fronteggiata l'emergenza – di costruire una prospettiva di maggiore efficienza, equità e risparmio economico, nel senso prospettato dall'interrogante.
  Il Ministero della giustizia ha assunto, sin nell'immediatezza, una serie di iniziative preparatorie, con la finalità di agevolare l'indifferibile trasferimento di funzioni, previsto ed effettivamente entrato in vigore dal 1o settembre 2015, adottando nuove misure organizzative tese a garantire la continuità dei servizi e dell'attività giurisdizionale.
  In particolare, è stato adottato il regolamento sulle misure organizzative a livello centrale e periferico, pubblicato in Gazzetta ufficiale il 29 agosto 2015, che assume la peculiare funzione, nel quadro generale consegnato dalla legge di stabilità 2015 e dalla recente adozione del regolamento di organizzazione dell'intero apparato ministeriale, di approntare le misure necessarie ad individuare i soggetti funzionalmente competenti alla definizione del procedimento decisionale di spesa, a delinearne i compiti e a definirne i rapporti con l'amministrazione centrale.
  Nel quadro normativo così delineato, il Ministero ha assunto la gestione diretta degli edifici giudiziari ed è subentrato nei rapporti contrattuali già in essere dalla data del 1o settembre 2015, essendo in precedenza di competenza del comune ogni intervento relativo alle sedi giudiziarie, come pure il pagamento di eventuali canoni di locazione, con successivo rimborso da parte dell'amministrazione centrale attraverso il rendiconto approvato dai competenti uffici.
  Nel mutato contesto delineato, risulta che gli uffici del tribunale e della Corte di assise di Monza sono sistemati in edifici di proprietà comunale e che è in corso di realizzazione una nuova struttura, destinata ad accentrare tutti gli uffici giudiziari nella stessa area.
  Dalla relazione trasmessa dalla competente articolazione consta come, oltre a non esservi criticità sotto il profilo strutturale e funzionale del plesso edilizio giudiziario di Monza, alcuna problematica sia stata rappresentata al Ministero della giustizia dalle autorità locali, anche giudiziarie, pur in seguito dell'accorpamento della sezione distaccata di Desio.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   TULLO e GIACOBBE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 1° gennaio 2015 è in vigore la legge 23 dicembre 2014 n. 190 che, all'articolo 1 comma 112, prevede quanto segue: «Ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche da parte dei lavoratori attualmente in servizio, con effetto dal 1° gennaio 2015, senza corresponsione di ratei arretrati, non si tiene conto dei provvedimenti di annullamento delle certificazioni rilasciate dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) per il conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, salvo il caso di dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva»;
   a seguito dell'introduzione della predetta norma l'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) ha emanato la circolare applicativa n. 51 del 26 febbraio 2015, con la quale ha individuato i destinatari della norma in questione nei «lavoratori in servizio al 1° gennaio 2015, per i quali sia stata annullata la certificazione rilasciata dall'INAIL per il conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni», precisando altresì che, per effetto della sanatoria di cui sopra, «ai fini della determinazione del diritto e della misura del trattamento pensionistico, sono privi di effetto i provvedimenti di annullamento, adottati dall'INAIL, delle certificazioni rilasciate dallo stesso Istituto assicuratore»;
   tuttavia, l'Inps, investito delle domande dei lavoratori in possesso dei requisiti previsti dalla disposizione di legge e dalla circolare sopra citate, non l'ha ritenuta applicabile a coloro per i quali i giudizi di accertamento dell'esposizione ad amianto ai fini previdenziali secondo l'originaria formulazione dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 si erano conclusi con sentenza di rigetto passata in giudicato;
   questo è stato quindi impedito e si impedisce ai lavoratori in questione, alcuni dei quali addirittura ammalatisi nel frattempo di patologie amianto correlate, di accedere al trattamento pensionistico;
   gli oneri economici per la liquidazione delle pensioni di tali lavoratori rientrano nella copertura finanziaria prevista dal medesimo articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014;
   infatti, la norma introdotta nell'ordinamento con la legge di stabilità per l'anno 2015 è stata emanata al fine di risolvere una volta per tutte le questioni sorte a seguito della indiscriminata revoca da parte dell'Inail delle certificazioni di esposizione all'amianto a suo tempo rilasciate, con le note gravi ripercussioni sulle posizioni lavorative e pensionistiche degli assicurati;
   le norme approvate dal Parlamento – con il chiaro proposito di salvaguardare i diritti acquisiti dai lavoratori nei lunghi anni intercorsi fra il rilascio delle certificazioni e la revoca delle stesse – hanno inteso mettere fine ad una vicenda che ha a lungo occupato le corti liguri, ripristinando «per legge» le certificazioni di esposizione a suo tempo rilasciate dall'Inail;
   per effetto dell'articolo 1, comma 112, della legge di stabilità 2015, quindi, non si può più tener conto del provvedimento con il quale l'Inail aveva «annullato» le dichiarazioni di esposizione ad amianto dei lavoratori, sicché tali dichiarazioni rilasciate dall'ente accertatore «sulla base degli atti d'indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali» – ritornano ad essere valide «ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali previsti dall'articolo 13, comma 8, della Legge 27 marzo 1992 n. 257 e successive modificazioni»;
   ciò anche in applicazione di quanto previsto dall'articolo 18, comma 8, della legge n. 179 del 2002;
   la norma sopravvenuta aveva una chiara natura «sanatoriale», con lo scopo di fare sì che, decaduto per legge il provvedimento di revoca, le certificazioni Inail recuperassero la loro piena validità indipendentemente dall'esito degli accertamenti di merito svolti nei giudizi previdenziali aventi ad oggetto la sussistenza dell'esposizione ad amianto ultradecennale superiore alla soglia di cui agli articoli 24 e 31 del decreto legislativo n. 277 del 1991 (0,1 ff/cc);
   la disciplina di cui al comma 112 ha istituito una nuova via di accesso ai benefici per coloro che si sono ammalati per patologie amianto correlate, con requisiti propri quanto a presupposti di fatto e decorrenza del diritto;
   la nuova normativa, di carattere eccezionale e quindi di stretta interpretazione, costituisce una disciplina con portata innovativa rispetto all'impianto originale della legge n. 257 del 1992, come è dimostrato dai requisiti richiesti e dalle limitazioni in essa previste (come la mancata corresponsione di arretrati e l'esclusione dei soggetti già pensionati);
   la ratio della disposizione è la medesima che ha contraddistinto i precedenti interventi legislativi volti a salvaguardare pensionati e lavoratori in relazione al loro diritto ai benefici previdenziali secondo quanto già certificato molti anni prima dall'Inail ed accreditato dall'Inps nelle loro posizioni assicurative;
   la portata innovativa di tutte le discipline «sanatoriali» emesse tra il 2009 e il 2014 e la loro indipendenza/alternatività rispetto all'accertamento dell'esposizione qualificata ad amianto appaiono ancor più evidenti con riferimento all'ultimo intervento legislativo in materia, come risulta chiaramente dai lavori parlamentari che ne hanno preceduto l'emanazione;
   in particolare, la relazione tecnica della legge di stabilità 2015 con la quale è stato presentato in commissione alla Camera dei deputati e successivamente al Senato il comma 112, illustra lo scopo della disposizione così testualmente affermando: «A seguito di una indagine della Procura di Genova, avviata circa 7 anni fa e tuttora in corso, riguardante presunte irregolarità nel rilascio di certificazioni INAIL relative all'esposizione all'amianto per i lavoratori dell'area industriale e portuale genovese, sono stati avviati degli accertamenti e delle verifiche da parte di INPS e INAIL che hanno determinato la revoca di migliaia di certificazioni di esposizione all'amianto già rilasciate a lavoratori di stabilimenti e reparti dove è stato utilizzato l'amianto. Tali revoche hanno riguardato sia i lavoratori in attività sia i lavoratori già pensionati lasciando, in alcuni casi, alcune persone prive di sostegno economico. Attraverso alcuni provvedimenti legislativi approvati negli ultimi anni (in particolare nel 2009, 2011 e 2013) si è posto parziale rimedio a dette situazioni. Da questi provvedimenti legislativi sono rimasti esclusi oltre 700 lavoratori esposti all'amianto (molti dei quali sottoposti a regime di ammortizzatori sociali) che non hanno potuto usufruire del pensionamento. L'emendamento è finalizzato a consentire anche a questi lavoratori di godere dei benefici pensionistici previsti per l'esposizione all'amianto rendendo, così, possibile in presenza dei necessari requisiti, l'accesso al trattamento pensionistico a far data dal 1° gennaio 2015»;
   come emerge anche dalla successiva relazione tecnica della commissione parlamentare, la nuova disciplina è tesa a consentire agli ultimi «700 lavoratori» colpiti dalla revoca della certificazione Inail di accedere comunque al pensionamento attribuendo «per legge» valore di requisito costitutivo alla stessa certificazione revocata, purché non ottenuta con dolo accertato giudizialmente in via definitiva;
   a tale scopo, la norma ha ricevuto apposita copertura finanziaria calcolata sull'onere economico necessario ad erogare i trattamenti pensionistici a partire dal 1° gennaio 2015: «Pertanto è stato valutato il maggior onere per lo Stato derivante dalla concessione dei benefici previdenziali per l'esposizione all'amianto qualora a detti lavoratori venisse riconosciuta la validità della certificazione...». L'onere che ne deriva per la finanza pubblica è duplice e consiste: – nell'intero importo della pensione per il periodo di anticipo nel conseguimento del diritto; – nella maggior quota di pensione dovuta alla maggiore anzianità assicurativa acquisita (fino alla estinzione della pensione stessa). Si è ipotizzato che dei circa 700 soggetti interessati ne verranno liquidati 400 nel corso del 2015 e i restanti nel corso del 2016;
   il diritto al pensionamento sulla base della maggiorazione contributiva per esposizione all'amianto è quindi direttamente legato alla riacquistata validità della certificazione Inail, risultando ininfluente qualunque altro requisito connesso all'accertamento dell'esposizione stessa;
   le finalità della nuova disciplina erano peraltro state già poste all'ordine del giorno n. 9/1248-A-R/141 della Camera dei deputati, illustrando dettagliatamente l'intento di conseguire una maggiore equità sociale e di porre rimedio alle storture generate nel corso degli anni (oltre sette dall'inizio dell'indagine della procura di Genova);
   dall'esercizio indiscriminato del potere di autotutela e dalle alterne vicende dei singoli procedimenti giudiziari che avevano creato stridenti disparità di trattamento tra lavoratori che operavano nelle stesse mansioni e negli stessi ambienti di lavoro, riporta il citato ordine del giorno: «Per i lavoratori ancora in attività permane una situazione per cui la revoca delle certificazioni non consente di accedere ai benefici previsti per gli esposti all'amianto; è opportuno quindi operare affinché si possa individuare una soluzione in grado di salvaguardare le certificazioni già rilasciate dall'INAIL anche per questi lavoratori, lasciando impregiudicata, ovviamente, l'azione della magistratura nell'accertamento di eventuali casi di dolo»;
   le considerazioni suddette sono rafforzate dalle seguenti: sono state revocate anche certificazioni di lavoratori in cui è stata accertata l'insorgenza di patologie derivanti dall'esposizione all'amianto;
   nel contenzioso legale attivato dai singoli lavoratori interessati viene riconosciuto il diritto ai benefici previsti, nella maggioranza dei casi;
   la revoca delle certificazioni da parte dell'Inail è avvenuta in modo massivo e, a quanto risulta agli interroganti, non a seguito di verifica della loro illegittimità;
   nelle altre realtà territoriali, in ambito nazionale, i lavoratori nelle stesse condizioni, con gli stessi requisiti, occupati spesso in siti produttivi delle stesse aziende, con stesse lavorazioni e condizioni ambientali di lavoro, hanno visti riconosciuti, sulla base della stessa normativa e identiche procedure, i benefici previdenziali derivanti dall'esposizione all'amianto;
   i dati del Registro nazionale mesoteliomi non lasciano dubbi, purtroppo, sulla pesantissima incidenza di questa patologia nella regione Liguria;
   l'articolo 42-ter inserito in corso di esame del decreto-legge n. 69 del 2016 ha – pur in modo parziale – recepito l'esigenza di un intervento volto a tutelare i suddetti lavoratori;
   con l'ordine del giorno n. 9/1248-A-R/141 la Camera ha impegnato «il Governo a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a mantenere validi ed efficaci i provvedimenti di certificazione di esposizione all'amianto rilasciati dall'istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli infortuni sul Lavoro ai fini del conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13 comma 8, della legge 27 marzo 1992 n. 257, rendendo inoltre senza effetti – salvo il dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva – i provvedimenti di revoca delle certificazioni rilasciate»;
   la legge 23 dicembre 2014 n. 190, all'articolo 1, comma 112, definisce in modo esplicito il suo unico limite di efficacia in un giudicato (di natura penale) che abbia accertato il dolo del lavoratore e, tra i limiti di funzionamento della norma di legge, non rientra anche il giudicato civile relativo all'accertamento del superamento della soglia di rischio ex articolo 24 e articolo 31 del decreto legislativo n. 277 del 1991, elemento estraneo alla fattispecie sanatoriale;
   l'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 istituisce una prestazione nuova, diversa (per quantità e data di efficacia) da quella che sarebbe spettata sulla base dell'impianto originario dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 come modificato dall'articolo 47 del decreto-legge n. 269 del 2003;
   l'interpretazione della norma in esame come istituente un nuovo diritto diretto ai lavoratori (e solo ad essi), le cui certificazioni erano state revocate dall'Inail è stata accolta dalla giurisprudenza di merito e di legittimità nello stesso senso indicato dalle precedenti normative sanatoriali sulla materia. La Corte d'appello di Genova, con articolata sentenza, ha precisato in modo chiaro ed esaustivo le problematiche legate al coordinamento della normativa sopravvenuta di cui all'articolo 1, comma 112 della legge n. 190 del 2014, con il previgente impianto normativo in materia di benefici amianto (Corte d'appello di Genova, sentenza n. 35 del 30 gennaio 2015, relatore dottor Bellé, in causa Di Bernardini Paolo/Inps). In particolare, la Corte d'appello ha evidenziato che «...La domanda di accertamento dell'esposizione qualificata ad amianto, utile al riconoscimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, legge n. 257 del 1992 e quella di applicazione della sanatoria di cui all'articolo 1, comma 112, cit., pur producendo in gran parte analoghi effetti, non sono tra loro coincidenti»;
   «nell'un caso (accertamento dell'esposizione), la verifica giudiziale e la pronuncia di merito si fondano sul positivo accertamento di un certo grado di esposizione ad amianto. Nell'altro caso (sanatoria) ciò che fonda il diritto non è un tale accertamento di merito, quanto piuttosto quello di una fattispecie costituita dal susseguirsi di una certificazione INAIL favorevole e della successiva revoca di essa... La fattispecie della sanatoria è... autonoma e giustifica, per ragioni di tutela dell'affidamento poste a base dell'intervento legislativo, in sé stessa il riconoscimento del beneficio negato, purché sussista, a parte il caso di dolo dell'interessato, una originaria certificazione INAIL, poi revocata dallo stesso Ente»;
   l'impostazione della Corte d'appello di Genova dà conto di come la certificazione Inail, revocata perda la connotazione di elemento probatorio liberamente apprezzabile dal giudice per diventare, invece, elemento costitutivo della nuova fattispecie;
   la Corte con sentenza n. 233 del 2015 si è pronunciata anche sull'eccezione di giudicato formulata dall'Inps per non avere il lavoratore impugnato la sentenza di primo grado in punto accertamento dell'esposizione qualificata; la Corte ha affermato in proposito: «L'eccezione formulata dall'INPS, secondo cui la sentenza di primo grado sarebbe passata in giudicato quanto alla statuizione di insussistenza dell'esposizione qualificata ad amianto, va disattesa... Seguendo la prospettazione dell'INPS il giudicato sarebbe sceso non sul rigetto del beneficio contributivo... bensì sul requisito dell'esposizione qualificata; va dunque rilevato che tale requisito non è più richiesto dalla normativa sopravvenuta che si limita a far rivivere, sul punto, gli effetti della certificazione INAIL revocata. Deve dunque ritenersi che l'appellante ben potesse, con la proposizione del gravame, invocare l'applicazione della normativa sopravvenuta di cui all'articolo, 1 comma 112, della Legge 190 del 2014, idonea a fargli conseguire il petitum suddetto, senza dover necessariamente formulare censure avverso il capo della sentenza che aveva negato la sussistenza dell'esposizione qualificata»;
   sia pure indirettamente, la questione è anche stata affrontata e risolta nel medesimo senso dalla Corte di cassazione la quale ha affermato il principio per cui lo ius superveniens che introduca «una nuova disciplina del rapporto controverso» può trovare applicazione nel corso del giudizio di legittimità «alla (sola) condizione necessaria che la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell'ordinamento in materia di processo in Corte di cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l'individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – richiedono che il motivo di ricorso, con cui è investito, anche indirettamente, il tema coinvolto nella disciplina sopravvenuta, oltre che sussistente sia ammissibile secondo la disciplina sua propria. ... Dalla esposizione della censura si evince, infatti, con chiarezza, dalla sentenza sopra richiamata che «la doglianza investe direttamente il provvedimento caducatorio della certificazione rilasciata dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) per il conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992. Ne consegue che il tema coinvolto nella disciplina sopravvenuta, attinente agli effetti dei provvedimenti atti a incidere sulle certificazioni quali quella in argomento, utili ai fini pensionistici, assume rilievo ai fini della decisione del motivo di ricorso sub 1. Pertanto la questione investita dal novum normativo deve reputarsi rientrare nell'ambito della materia devoluta all'esame di questa Corte con l'impugnazione...» (Cassazione, Sezione Lavoro sentenza n. 20988/2015 del 16 ottobre 2015);
   il bene tutelato dalla legge n. 257 del 1992 e dalle sue successive modificazioni è il diritto alla salute del lavoratore sotto il profilo della «riparazione» del danno potenziale all'aspettativa di vita, comportato dalla esposizione ad un materiale letale come l'amianto;
   i requisiti previsti dall'articolo 1, comma 112, della legge sopra citata non sono stati e non potevano essere fatti valere nei giudizi instaurati e conclusi prima della promulgazione della stessa;
   la disposizione di cui all'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 non è retroattiva ed anzi, esclude qualsiasi effetto della previsione in essa contenuta anteriormente alla sua emanazione (in tal senso si pone l'esplicita esclusione della corresponsione di arretrati);
   l'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 ha modificato i presupposti dell'agire del lavoratore, sul piano sostanziale, consentendo di apprezzare la corrispondente azione come «nuova», rispetto a quella su cui si era formato il giudicato: la nuova norma ha radicalmente mutato la disciplina della situazione sostanziale di quei lavoratori per i quali, in passato, l'Inail avesse rilasciato una «valida» certificazione per l'accesso ai «benefici» da esposizione ad amianto che fosse poi stata «annullata»; dopo l'approvazione della norma citata, la certificazione Inail torna ad essere «valida» per il «conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni», non dovendosi «tener conto» del suo «annullamento» in «autotutela» amministrativa. Ciò introduce una nuova regola sostanziale per le procedure amministrative di pensionamento e per i rapporti del lavoratore con l'ente previdenziale;
   sempre sulla questione si è recentemente pronunciato anche il tribunale di Genova, con sentenza 26 febbraio 2016 n. 165/16 (dottor Marcello Basilico): «Mutando la causa petendi vi è diversità di azione. Non può pertanto farsi valere il giudicato in questo giudizio... Il diritto alle prestazioni pensionistiche per rivalutazione contributiva da esposizione all'amianto, ai sensi dell'articolo 1 comma 112 Legge 190/2014, sorge per effetto e nei limiti della certificazione INAIL successivamente annullata. La regola giuridica ed il bene della vita rivendicato dal quale è esclusa la corresponsione di arretrati sono diversi da quelli riconosciuti ai sensi dell'articolo 13 comma 8 Legge 257/92 in conseguenza dell'accertamento della concreta esposizione ultradecennale oltre la soglia di 0,1 ff/cc. ... Il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale – anteriore peraltro all'entrata in vigore della Legge 190/2014 – non inficia dunque il diritto del ricorrente a far valere la nuova sanatoria»;
   la sentenza n. 165/16 del tribunale di Genova è stata confermata dalla Corte d'appello di Genova con sentenza n. 350 del 16 settembre 2016 che ha respinto in toto l'appello presentato dall'Inps;
   la lettura costituzionalmente orientata della norma contenuta nell'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014, impone di ritenerla applicabile a tutti coloro che, alla data della sua entrata in vigore (1° gennaio 2015), siano in possesso dei requisiti da essa previsti, risultando come detto del tutto ininfluenti le vicende dei procedimenti amministrativi e giudiziari attinenti all'accertamento nel merito dell'esposizione qualificata ad amianto che hanno preceduto l'emanazione della norma;
   inoltre, verrebbe a crearsi una situazione di paradossale disparità di trattamento tra lavoratori che hanno agito in giudizio per l'accertamento dell'esposizione ad amianto e si sono visti respingere la domanda per mancato superamento (magari solo parziale) della soglia di 0,1 ff/cc e lavoratori che, pur avendo ugualmente subìto la revoca della certificazione non hanno ritenuto di adire l'autorità giudiziaria: l'accesso al pensionamento per effetto della nuova norma sarebbe condizionato dalla scelta del lavoratore di avere o meno contestato la legittimità della revoca anche in punto accertamento di fatto, con la conseguenza che verrebbe «premiato» chi ha fatto acquiescenza al provvedimento di annullamento rispetto a chi ha agito per vedersi comunque accertare il diritto;
   come ha osservato la corte d'appello di Genova, l'esclusione dall'ambito di applicazione della norma dei lavoratori per i quali sia stata accertata definitivamente l'insufficienza della esposizione ad amianto contrasta con la ratio della norma di salvaguardare in via generale l'affidamento in buona fede sull'atto emanato dall'INAIL e quindi il trattamento previdenziale ad esso connesso. Inoltre, si farebbe dipendere l'applicazione del beneficio previdenziale dalla durata del procedimento giudiziale per l'accertamento dell'esposizione qualificata ad amianto: a parità di accertamento negativo, la norma di sanatoria sarebbe applicabile a coloro per i quali il giudizio risulti ancora pendente in ogni stato e grado al momento di entrata in vigore della nuova normativa –:
   se trovi conferma quanto evidenziato in premessa e, quindi, se si intendono assumere iniziative per chiarire se la norma di cui all'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 vada applicata a tutti i destinatari da essa contemplati nell'ambito della copertura finanziaria prevista (700 lavoratori) e quindi anche a coloro per i quali i giudizi di accertamento dell'esposizione ad amianto ai fini previdenziali, secondo l'originaria formulazione dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, si erano conclusi con sentenza di rigetto passata in giudicato, anteriormente all'entrata in vigore della legge (1° gennaio 2015);
   in caso affermativo, quali iniziative il Governo intenda attivare per rimuovere le criticità relative all'applicazione della norma di cui all'articolo 1, comma 112, legge n. 190 del 2014 consentendo l'accoglimento delle domande di rivalutazione contributiva e di pensionamento presentate. (4-14755)

  Risposta. — L'interrogazione ha ad oggetto l'applicazione dell'articolo 1, comma 112, legge 23 dicembre 2014, n. 190.
  Tale disposizione prevede che «ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche da parte dei lavoratori attualmente in servizio, con effetto dal 1o gennaio 2015, senza corresponsione di ratei arretrati, non si tiene conto dei provvedimenti di annullamento delle certificazioni rilasciate dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) per il conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, salvo il caso di dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva».
  A seguito dell'entrata in vigore della norma ora riportata, l'INPS ha emanato una circolare applicativa, con cui ha individuato i destinatari della norma nei «lavoratori in servizio al 1o gennaio 2015, per i quali sia stata annullata la certificazione rilasciata dall'Inail per il conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni» precisando anche che «ai fini della determinazione del diritto e della misura del trattamento pensionistico, sono privi di effetto i provvedimenti di annullamento, adottati dall'INAIL, delle certificazioni rilasciate dallo stesso Istituto assicuratore».
  Gli interroganti riferiscono che l'INPS non ha ritenuto applicabile la predetta circolare dell'INAIL ai lavoratori, in relazione ai quali era già intervenuta sentenza definitiva di rigetto della loro domanda di accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva per esposizione all'amianto.
  In sostanza, gli interroganti affermano che, sebbene l'intervenuta modifica normativa attribuisca nuovamente il diritto a conseguire i benefici previdenziali di cui all'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 ai lavoratori esposti all'amianto per un periodo superiore a dieci anni, l'INPS non riconosce il beneficio previdenziale loro spettante e non applica il coefficiente di rivalutazione previsto dal predetto articolo 13.
  Secondo gli interroganti, l'INPS nega un diritto che la legge ha riconosciuto ai lavoratori già esposti all'amianto, rispetto alle cui posizioni lavorative l'INAIL aveva erroneamente revocato le attestazioni di esposizione ultradecennale alle fibre di asbesto.
  Inoltre, gli interroganti evidenziano che la copertura di bilancio per l'erogazione delle prestazioni previdenziali, in favore di circa 700 lavoratori esposti all'amianto rientranti nella previsione di cui all'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014, è stata assicurata proprio da tale disposizione normativa, ragion per cui non vi sarebbe alcun problema di carattere finanziario, e l'INPS ben potrebbe procedere all'attribuzione dei contributi figurativi derivanti dall'applicazione della normativa in materia di benefici in favore di tale categoria di lavoratori.
  A tale proposito, gli onorevoli interroganti riportano il contenuto della relazione tecnica alla legge di stabilità 2015, nella parte relativa all'articolo 1, comma 112, ove si afferma che «a seguito di una indagine della Procura di Genova, avviata circa 7 anni fa e tuttora in corso, riguardante presunte irregolarità nel rilascio di certificazioni INAIL relative all'esposizione all'amianto per i lavoratori dell'area industriale e portuale genovese, sono stati avviati degli accertamenti e delle verifiche da parte di INPS e INAIL che hanno determinato la revoca di migliaia di certificazioni di esposizione all'amianto già rilasciate a lavoratori di stabilimenti e reparti dove è stato utilizzato l'amianto. Tali revoche hanno riguardato sia i lavoratori in attività sia i lavoratori già pensionati lasciando, in alcuni casi, alcune persone prive di sostegno economico. Attraverso alcuni provvedimenti legislativi approvati negli ultimi anni (in particolare nel 2009, 2011 e 2013) si è posto parziale rimedio a dette situazioni. Da questi provvedimenti legislativi sono rimasti esclusi oltre 700 lavoratori esposti all'amianto (molti dei quali sottoposti a regime degli ammortizzatori sociali) che non hanno potuto usufruire del pensionamento anticipato.
  L'emendamento è finalizzato a consentire anche a questi lavoratori di godere dei benefìci pensionistici previsti per l'esposizione all'amianto rendendo, così, possibile in presenza dei necessari requisiti, l'accesso al trattamento pensionistico a far data dal 10 gennaio 2015».
  Nella relazione tecnica della commissione parlamentare, citata testualmente dagli interroganti, si afferma che «è stato valutato il maggior onere per lo Stato derivante dalla concessione dei benefìci previdenziali per l'esposizione all'amianto qualora a detti lavoratori venisse riconosciuta la validità della certificazione».
  Gli interroganti richiamano anche l'ordine del giorno n. 9/1248-A-R/141, con cui la Camera ha impegnato «il Governo a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a mantenere validi ed efficaci i provvedimenti di certificazione di esposizione all'amianto rilasciati dall'Istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli Infortuni sul Lavoro ai fini del conseguimento dei benefìci di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, rendendo inoltre senza effetti – salvo il dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva – i provvedimenti di revoca delle certificazioni rilasciate».
  Per gli interroganti vi erano, dunque, tutti i presupposti di fatto e di diritto necessari all'applicazione dell'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 anche ai 700 lavoratori i cui attestati di esposizione all'amianto erano stati revocati dall'INAIL.
  Gli interroganti riferiscono quindi che, a seguito dell'entrata in vigore dell'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014, alcuni lavoratori, ai quali l'INPS ha negato il beneficio della rivalutazione contributiva previsto dalla legge n. 257 del 1992, hanno proposto ricorso all'autorità giudiziaria, ed hanno citato una pronuncia emessa dalla Corte di appello di Genova, secondo cui «la domanda di accertamento dell'esposizione qualificata ad amianto, utile al riconoscimento dei benefìci di cui all'articolo 13 comma 8, legge n. 257 del 1992 e quella di applicazione della sanatoria di cui all'articolo 1, comma 112, legge 190 del 2014, pur producendo in gran parte analoghi effetti, non sono tra loro coincidenti; nell'un caso (accertamento dell'esposizione), la verifica giudiziale e la pronuncia di merito si fondano sul positivo accertamento di un certo grado di esposizione ad amianto. Nell'altro caso (sanatoria) ciò che fonda il diritto non è un tale accertamento di merito, quanto piuttosto quello di una fattispecie costituita dal susseguirsi di una certificazione INAIL favorevole e della successiva revoca di essa... La fattispecie della sanatoria è... autonoma e giustifica, per ragioni di tutela dell'affidamento poste a base dell'intervento legislativo, in sé stessa il riconoscimento del beneficio negato, purché sussista, a parte il caso di dolo dell'interessato, una originaria certificazione INAIL, poi revocata dallo stesso Ente».
  Gli interroganti chiedono quindi di conoscere: «se trovi conferma quanto evidenziato in premessa e, quindi, se si intendono assumere iniziative per chiarire se la norma di cui all'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 vada applicata a tutti i destinatari da essa contemplati nell'ambito della copertura finanziaria prevista (700 lavoratori) e quindi anche a coloro per i quali i giudizi di accertamento dell'esposizione ad amianto ai fini previdenziali, secondo l'originaria formulazione dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, si erano conclusi con sentenza di rigetto passata in giudicato, anteriormente all'entrata in vigore della legge (1o gennaio 2015); in caso affermativo, quali iniziative il Governo intenda attivare per rimuovere le criticità relative all'applicazione della norma di cui all'articolo 1, comma 112, legge n. 190 del 2014 consentendo l'accoglimento delle domande di rivalutazione contributiva e di pensionamento presentate.
  Ringrazio gli interroganti, perché l'atto ispettivo ha ad oggetto una questione delicata e importante, che involge il diritto dei lavoratori esposti all'inalazione di fibre di amianto a percepire i benefici contributivi previsti dalla legge, in tutti i casi in cui ricorrano i presupposti normativi stabiliti dal legislatore.
  La questione posta è riconducibile alla portata ed applicazione di una norma, l'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014, finalizzata a ripristinare il diritto di alcuni lavoratori che, pur essendo stati esposti all'amianto sul luogo di lavoro per un tempo superiore a dieci anni, si erano visti revocare la certificazione che attestava la loro esposizione ultradecennale e, a seguito della proposizione di ricorso al giudice del lavoro, alcuni di loro si erano visti negare il diritto dall'autorità giudiziaria, con sentenza passata in giudicato.
  L'articolo 1, comma 112, della legge di stabilità 2015 è stato introdotto per chiarire le situazioni dubbie, venutesi a creare a seguito della revoca di una serie di attestazioni di esposizione all'amianto, emesse dall'INAIL in favore di numerosi lavoratori.
  A seguito dell'instaurazione di un procedimento penale e delle relative indagini da parte dell'autorità giudiziaria, l'INAIL revocò numerose attestazioni di avvenuta esposizione qualificata alle fibre di amianto, emesse in favore di altrettanti lavoratori; la revoca di tali certificazioni lasciò i lavoratori privi del documento che comprovava la loro esposizione all'amianto, e ciò comportò, in alcuni casi, il rigetto delle domande di accertamento del diritto alla rivalutazione contributiva, ai sensi dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992.
  Tanto premesso, tenuto conto che occorreva restituire ai lavoratori il loro diritto, venuto meno per effetto della revoca da parte dell'INAIL delle attestazioni di esposizione qualificata all'inalazione di fibre di amianto, e nella consapevolezza che si sarebbe perpetrata un'ingiustizia nei confronti di chi si era visto revocare autoritativamente la certificazione predetta, è stata introdotta la disposizione di cui all'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014.
  La norma stabilisce che «[a]i fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche da parte dei lavoratori attualmente in servizio, con effetto dal 1o gennaio 2015, senza corresponsione di ratei arretrati, non si tiene conto dei provvedimenti di annullamento delle certificazioni rilasciate dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) per il conseguimento dei benefìci di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, salvo il caso di dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva. Gli oneri di cui al presente comma sono valutati in 6 milioni di euro per l'anno 2015, in 16,5 milioni di euro per l'anno 2016, in 21,1 milioni di euro per l'anno 2017, in 21,1 milioni di euro per l'anno 2018, in 20,1 milioni di euro per l'anno 2019, in 16 milioni di euro per l'anno 2020, in 10,7 milioni di euro per l'anno 2021, in 6,2 milioni di euro per l'anno 2022, in 3,5 milioni di euro per l'anno 2023 e in 3 milioni di euro per l'anno 2024».
  La disposizione è stata recentemente interpretata ed applicata dall'autorità giudiziaria, nel corso di giudizi instaurati dai lavoratori che sono stati esposti all'amianto, ai fini del riconoscimento dei benefici pensionistici previsti dalla normativa in materia.
  In particolare, la corte di appello di Genova si è recentemente occupata di alcuni casi, relativi a lavoratori che si erano visti revocare la certificazione INAIL di esposizione ultradecennale alle fibre di amianto ed avevano agito in giudizio per ottenere il beneficio della rivalutazione contributiva previsto dalla legge n. 257 del 1992, ma dove il tribunale, in assenza della certificazione dell'INAIL, aveva respinto le domande con sentenze divenute definitive, negando in tal modo il diritto degli istanti. Tuttavia, a seguito dell'entrata in vigore della legge di stabilità 2015, i medesimi lavoratori hanno avanzato al tribunale di Genova nuove domande, chiedendo l'accertamento del diritto ai benefici previdenziali previsti in caso di esposizione ultradecennale all'amianto, sulla base di un nuovo e diverso fatto costitutivo, ossia in forza della previsione contenuta nell'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014.
  Come riferiscono gli stessi interroganti, sia il tribunale che la corte di appello di Genova hanno affermato che si è in presenza di un nuovo fatto costitutivo del diritto, intervenuto successivamente al passaggio in giudicato della prima sentenza di rigetto della domanda del lavoratore, e, quindi, non coperto dall'efficacia preclusiva del precedente giudicato.
  In particolare, la corte di appello di Genova ha osservato che, secondo l'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014, ai fini del riconoscimento dei benefici contributivi di cui all'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 non si deve tenere conto della revoca della certificazione INAIL già ottenuta, salvo il caso di dolo dell'interessato, accertato con sentenza passata in giudicato.
  In sostanza, la corte genovese ha ritenuto che, in base alla previsione della nuova norma introdotta con la legge di stabilità 2015, il diritto alla rivalutazione contributiva può essere riconosciuto «non solo sulla base dell'effettiva esposizione ultradecennale ad amianto, ma anche di diritto e per ragioni di politica previdenziale», sulla base di un nuovo presupposto, successivo alle sentenze definitive di rigetto delle domande e, quindi, non coperto dall'efficacia di giudicato delle precedenti pronunce sfavorevoli ai lavoratori.
  In conclusione, in attesa di eventuali pronunce del giudice di legittimità, non può che rilevarsi, da un lato, l'obbligo di rispettare le sentenze dei giudici del lavoro, che sono immediatamente esecutive salvo l'eventuale annullamento da parte della Corte di cassazione, e, dall'altro lato, l'esistenza di una previsione normativa, quella dell'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014, con cui si è riconosciuto il diritto dei lavoratori esposti all'amianto sulla base di un nuovo presupposto e si è assicurata la relativa copertura finanziaria, non solo per l'anno 2015, ma per tutti gli anni successivi, fino al 2024.
  Pertanto non appaiono, allo stato, necessarie ulteriori iniziative legislative, in quanto l'apparato normativo, ed in particolare l'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 copre già quelle situazioni, oggetto dell'interrogazione, che riguardano tutti i 700 lavoratori cui furono revocate le attestazioni di esposizione all'amianto, ivi compresi coloro che avevano agito in giudizio ed ottenuto pronunce sfavorevoli, divenute anche definitive.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e SEGONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha appena pubblicato il «Quadro di valutazione Ue della giustizia 2016», che passa in rassegna l'efficienza, la qualità e l'indipendenza dei sistemi giudiziari dei Paesi membri. Principale obiettivo del documento è fornire alle autorità nazionali dati comparativi che servano a migliorare i propri sistemi nazionali;
   dal documento emerge la necessità di ulteriori sforzi per migliorare la formazione in materia di competenze giudiziarie e l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione (TIC) per i sistemi di gestione delle cause;
   relativamente ai tempi della giustizia civile, nel quadro di valutazione dell'Unione europea della giustizia 2016, l'Italia è agli ultimi posti per efficienza. Nel quadro di valutazione di Bruxelles, l'Italia risulta infatti al quintultimo posto tra i Paesi per cui sono disponibili i dati, se si guarda al «tempo necessario a risolvere le cause civili, commerciali, amministrative e di altro tipo», al terzultimo posto con riferimento al «tempo necessario a risolvere contenziosi civili e commerciali» e al quartultimo posto per «il tempo necessario a risolvere le cause amministrative». Peggio dell'Italia fanno, nel primo caso, Malta, Grecia, Portogallo e Cipro, nel secondo caso, Malta e Cipro e, nel terzo, ancora Grecia, Malta e Cipro –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere per dare soluzione al problema narrato in premessa e dare effettiva e piena attuazione ai principi costituzionali, poiché la giustizia resa dopo troppo tempo dal compimento dell'atto o dall'accadimento del fatto non può considerarsi pienamente garantita, ulteriormente considerando che la funzione giurisdizionale incide concretamente sui processi reali di formazione del diritto. (4-12823)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo in esame, riferito ai tempi della giustizia civile, gli interroganti, dando atto che dal «Quadro di valutazione Ue della giustizia 2016», pubblicato dalla Commissione, l'Italia è agli ultimi posti per efficienza relativamente ai tempi della giustizia civile, chiede al Ministro della giustizia quali iniziative di competenza intenda assumere per dare soluzione al problema.
  Ricordo come la Commissione Europea, in anni recenti, ha elaborato rapporto «
UE Justice Scoreboard» il cui obiettivo è incrementare l'efficacia dei sistemi giudiziari. La consapevolezza che il funzionamento dei sistemi giudiziari nazionali è essenziale per l'economia fa sì che il rapporto si concentri su quei parametri che maggiormente influenzano il business environment, così importante per le imprese e per gli investimenti.
  Nell'ultimo rapporto, pubblicato ad aprile 2016, l'Italia fa registrare miglioramenti nella maggior parte degli indicatori di efficienza del sistema giudiziario.
  Se da un lato rimaniamo ancora negli ultimi posti della graduatoria europea sui tempi di risoluzione delle controversie, dall'altro il rapporto riconosce il netto miglioramento dei tempi medi, passati dagli oltre 600 giorni nel 2013 a poco più di 500 nel 2014.
  Viene riconosciuto, nel rapporto, il primato europeo dell'Italia nella capacità di «smaltimento» degli affari iscritti (
clearance rate), misurata con un indice di ricambio pari al 120 per cento.
  Migliora sensibilmente il dato sulle pendenze di procedimenti civili in linea con l'andamento registrato a livello nazionale.
  Com’è noto, la risoluzione delle croniche criticità della giustizia civile ha costituito obiettivo prioritario dell'azione del mio Dicastero, sin dall'insediamento.
  Nell'avviare un complessivo piano strategico di riforme, finalizzato ad assicurare adeguati livelli di efficienza del sistema ed una idonea risposta alla domanda di giustizia, il metodo adottato ha inteso coinvolgere nei lavori l'avvocatura, nella consapevolezza del ruolo essenziale che la stessa svolge nel rapporto tra i cittadini e le istituzioni.
  Il proficuo confronto avviato ha investito tanto l'aspetto normativo quanto l'assetto organizzativo e, grazie all'impegno ed alla collaborazione dimostrata dall'avvocatura, sono state varate importanti innovazioni e superate inevitabili criticità operative, come avvenuto nella fase di avvio del nuovo processo civile telematico, al cui definitivo ed efficace consolidamento gli avvocati hanno decisamente contribuito.
  1. – Il percorso riformatore ha, difatti, preso avvio dall'informatizzazione del processo civile, nella prospettiva dell'incremento di efficienza, congiunto a risparmi della spesa e all'ottimizzazione delle risorse.
  In pochi anni, l'impatto dell'innovazione tecnologica sul processo civile ha progressivamente consolidato importanti risultati.
  Dopo l'introduzione del processo civile telematico per le cause civili ordinarie iscritte avanti ai tribunali, l'obbligatorietà del processo civile telematico è stata estesa ai procedimenti esecutivi fin dalla loro fase introduttiva, nonché – a partire dal 30 giugno 2015 – ai processi celebrati avanti alle Corti d'appello. Con l'introduzione generalizzata della facoltà di depositare l'atto introduttivo in via telematica, l'Italia può vantare oggi un processo civile di merito
paperless in tutte le sue fasi.
  Inoltre, dallo scorso 15 febbraio, sono attive, anche presso la Corte di cassazione, le notificazioni e comunicazioni telematiche; contestualmente, è stata attivata sul portale dei servizi telematici la consultazione dei registri civili, oltre che penali, della Corte, nonché l'elenco delle comunicazioni e notificazioni effettuate in cancelleria a seguito della mancata consegna del messaggio di posta certificata.
  Si tratta del primo passo verso la completa informatizzazione anche del giudizio di legittimità.
  Sempre con riguardo all'essenziale supporto dello strumento telematico, con il decreto-legge 3 maggio 2016, n. 59, convertito dalla legge 30 giugno 2016, n. 119, cosiddetto «decreto banche», è stato introdotto il registro elettronico con le informazioni afferenti le procedure esecutive e quelle concorsuali, anche concordate, quali i fallimenti, l'amministrazione straordinaria, i concordati preventivi, gli accordi di ristrutturazione dei debiti, e così via, denominato Portale dei creditori.
  Sono in corso le attività prodromiche alla realizzazione di tale registro elettronico: si tratta di uno strumento fondamentale per favorire la creazione di un mercato per i crediti deteriorati (
Non performing loans-NPL), che finora ha scontato la scarsità di adeguate informazioni, consentendo ai soggetti interessati l'accesso ad un adeguato set informativo, che consentirà la stima del valore dei crediti e l'identificazione dei titolari, da cui poterli eventualmente acquistare.
  In tale prospettiva, uno strumento fondamentale per i creditori sarà anche il cosiddetto Portale unico delle vendite giudiziarie, già in fase avanzata di realizzazione: si tratta di un
marketplace unico nazionale per la pubblicazione dei beni di tutte le procedure, concorsuali ed esecutive, in Italia ove risulti fissata la vendita: un luogo virtuale in cui i beni sono resi visibili e le vendite più accessibili.
  Il portale, che entrerà in funzione entro il 31 dicembre prossimo, è uno strumento altamente innovativo, non tanto e non solo sotto il profilo tecnologico, quanto, piuttosto, per il mutamento di prospettiva che esso comporterà, superando il localismo delle singole procedure concorsuali per proporsi come strumento di trasparenza e di apertura al mercato.
  Il
marketplace e il portale dei creditori costituiscono due dei pilastri del sistema com. mon. (competition money). Tale sistema, come concepito dalla Commissione ministeriale istituita il 4 agosto 2014, si fonda sulla necessità di sbloccare la parte qualificata dell'enorme massa creditoria, calcolata in circa 200 miliardi di euro, che rallenta la ripresa economica di molte imprese.
  Con la messa in opera del sistema
competition money si mira a fornire un ulteriore strumento di valorizzazione dei crediti deteriorati, che potrà fungere da volano al relativo mercato.
  Oggi, quindi, si può constatare con chiarezza come il percorso di progressiva informatizzazione della giustizia civile non sia finalizzato al mero risparmio di spesa o al mero incremento di produttività del sistema, ma a fornire servizi innovativi, che rechino vantaggi tangibili alla generalità dei cittadini e agli operatori economici.
  Si tratta di un percorso che vede la partecipazione convinta di tutti gli operatori della giustizia: giudici, avvocati e personale di cancelleria.
  Ad oltre due anni dall'entrata in vigore dell'obbligo di deposito telematico degli atti endoprocessuali, e ad oltre un anno dalla facoltà di deposito non cartaceo degli atti introduttivi, i dati sui depositi telematici sono ancora in decisa crescita, segno tangibile della bontà delle scelte compiute.
  Ciò è confermato dai dati sui depositi telematici: nel solo mese di luglio 2016 sono stati eseguiti 645.148 depositi telematici a valore legale da parte di avvocati e professionisti, con un incremento del 15 per cento rispetto al luglio 2015, quando era già in vigore l'obbligo di deposito telematico.
  Notevole anche la crescita dei depositi telematici di atti introduttivi, pari al 53 per cento rispetto allo scorso anno, ancora più significativa in quanto per questa categoria di atti non esiste, a tutt'oggi, l'obbligo, bensì la mera facoltà di invio telematico. Complessivamente, nell'ultimo anno sono stati depositati, da parte di avvocati e professionisti, 7,6 milioni di atti.
  Estremamente positiva è stata anche la risposta dei magistrati.
  Nell'ultimo anno (statistica aggiornata ad agosto 2016) sono stati depositati oltre 4 milioni di provvedimenti nativi digitali (di cui 1.231.510 verbali, 417.723 decreti ingiuntivi, 273.273 sentenze), rispetto ai 2,8 milioni circa registrati nell'anno precedente. Qui il dato è ancor più significativo, perché solo una piccola parte di tali depositi (417.723, pari al 10 per cento del totale) si riferisce ai decreti ingiuntivi, che sono attualmente gli unici provvedimenti necessariamente nativi digitali.
  Questi numeri dimostrano una volta di più come la magistratura abbia spontaneamente aderito al processo civile telematico, comprendendone e sfruttandone le potenzialità, anche a prescindere da un obbligo in tal senso.
  I tempi di emissione dei decreti ingiuntivi si sono ulteriormente ridotti, raggiungendo punte di decremento, rispetto al periodo anteriore all'obbligatorietà del telematico, pari al 54 per cento per il tribunale di Roma.
  Ciò costituisce indice anche dell'evoluzione organizzativa degli uffici giudiziari, che hanno saputo incrementare la propria efficienza organizzativa, avvantaggiandosi in misura crescente delle possibilità offerte dalla tecnologia.
  Tali risultati spingono a guardare con fiducia alle prossime evoluzioni in termini di progressiva estensione del processo civile telematico a tutti i settori processuali, con la certezza che l'informatica giudiziaria possa costituire valido strumento di velocizzazione dei procedimenti giudiziari nel loro complesso, oltre che di miglioramento oggettivo delle modalità lavorative, in specie per le cancellerie e per l'avvocatura.
  La maggiore efficienza degli strumenti telematici rispetto a quelli tradizionali è immediatamente riscontrabile anche dai consistenti risparmi di spesa, conseguiti attraverso le comunicazioni telematiche. Basti pensare che, nell'ultimo anno, sono state consegnate oltre 18 milioni di comunicazioni telematiche, con un risparmio stimato di circa 63 milioni di euro.
  Sulla scia dell'obbligatorietà del processo civile telematico, è notevolmente cresciuto il numero di pagamenti telematici relativi a spese di giustizia.
  Nell'ultimo anno, sono stati eseguiti 126.138 pagamenti telematici, più del doppio rispetto all'anno precedente, quando ci si era fermati a 66.705. Nel solo mese di luglio 2016 i pagamenti sono stati 12.734, laddove nel luglio 2015 ne erano stati eseguiti 9.675, con un incremento, quindi, superiore al 31 per cento.
  Questi dati inducono a guardare con particolare attenzione alla possibile ulteriore estensione dei pagamenti telematici, in vista di una digitalizzazione integrale del processo civile, dal primo atto del processo di cognizione fino all'acquisto all'asta dei beni nell'ambito del processo esecutivo.
  Non va trascurata, poi, l'informatizzazione del settore minorile, sia civile che penale, attraverso la diffusione dell'applicativo Sigma, completata in pochi mesi su tutto il territorio nazionale, grazie anche all'esperienza maturata nell'evoluzione dei sistemi civili e penali.
  Tale sistema consentirà, peraltro, il pieno funzionamento della banca dati sulle adozioni.
  Inoltre, presso alcuni uffici è già attivo il servizio
SIGM@Web, che consente a tutti, cittadini e avvocati, di attingere informazioni sullo stato dei procedimenti proposti innanzi al tribunale per i minorenni, attraverso un semplice collegamento internet che consente l'accesso alla banca dati del software ministeriale.
  Quanto allo sviluppo degli strumenti statistici, le potenzialità offerte dal
datawarehouse civile costituiscono ormai un patrimonio acquisito, al quale si attinge costantemente anche ai fini della cooperazione istituzionale con il Consiglio superiore della magistratura. Il livello conoscitivo del contenzioso raggiunto, riguardo al settore civile, ha consentito un'accurata diagnosi delle cause dell'arretrato e l'individuazione di possibili rimedi organizzativi.
  Il processo di digitalizzazione dell'attività amministrativa e processuale è stato supportato anche per il 2016 con l'assegnazione di cospicue risorse, pari ad oltre 86 milioni di euro. Oltre a tali risorse, vanno considerate quelle provenienti dai fondi strutturali europei nell'ambito del
PON Governance per importanti progetti di informatizzazione quali il processo penale telematico e la digitalizzazione del processo innanzi ai giudici di pace, che troveranno compimento entro il 2020.
  Pertanto, dovrà essere assicurata la corretta distribuzione e utilizzazione di tali risorse per il dispiegamento degli interventi programmati conseguenti alle riforme normative introdotte quest'anno in tema di digitalizzazione integrale dell'amministrazione centrale, nonché di tutti quelli necessari allo sviluppo della informatizzazione avanzata degli uffici giudiziari.
  Al percorso di informatizzazione avanzata del processo civile sono state affiancate plurime misure, di tipo normativo ed organizzativo, finalizzate a migliorare il livello di efficienza dei servizi e la qualità della risposta alla domanda di giustizia dei cittadini.
  2. – In tale prospettiva debbono essere inquadrati gli interventi normativi, con i quali ho voluto compiere ogni sforzo per avviare a soluzione la difficile situazione della giustizia civile nel nostro Paese.
  Ricordo, al riguardo:
   l'introduzione di forme alternative di risoluzione delle controversie, in primo luogo attraverso il ricorso all'istituto della negoziazione assistita, complementare e non alternativa alla già avviata mediazione, istituti per i quali sono stati previsti anche meccanismi di incentivazione fiscale. Proprio al fine di armonizzare e razionalizzare il quadro normativo in materia e di elaborare una ipotesi di riforma che sviluppi gli strumenti di degiurisdizionalizzazione, con particolare riguardo alla mediazione, alla negoziazione assistita e all'arbitrato e di trovare strumenti per incentivare e costruire un sistema di maggiori convenienze all'utilizzo delle forme stragiudiziali di risoluzione delle controversie, ho voluto l'istituzione di una commissione di studio ministeriale per l'elaborazione di una riforma organica degli strumenti stragiudiziali di risoluzione delle controversie, di cui a breve sono attesi gli esiti;
   con riguardo alla riforma organica della magistratura onoraria, il decreto legislativo 31 maggio 2016, n. 92, che dà parziale attuazione alla delega di cui alla legge 29 aprile 2016, n. 57, recando la disciplina della sezione autonoma dei consigli giudiziari per i magistrati onorari e disposizioni per la conferma nell'incarico dei giudici di pace, dei giudici onorari di tribunale e dei vice procuratori onorari in servizio;
   nel quadro delle riforme
in itinere, la complessa ed organica revisione della disciplina dell'insolvenza, secondo linee progettuali definite attraverso il lavoro della commissione Rordorf e già trasfuse in uno schema di disegno di legge delega, nell'ovvia evidenza dei riflessi negativi che può produrre una gestione non adeguata della crisi di impresa, sia in termini strettamente economici, che di immagine del Paese rispetto ai competitors stranieri. In proposito, si può ragionevolmente ritenere che il deficit competitivo del Paese possa essere colmato, contestualmente creando le condizioni per una duratura crescita economica, anche per il tramite di un ripensamento complessivo del sistema processuale fallimentare;
   sempre nel quadro delle riforme
in itinere, la complessiva revisione delle regole processuali, mediante il disegno di riforma del processo civile, attualmente in discussione in Parlamento, che intende migliorare efficienza e qualità della giustizia, in chiave di spinta economica, conferendo maggiore organicità alle competenze specializzate del tribunale delle imprese; rafforzare le garanzie dei diritti della persona, dei minori e della famiglia mediante l'istituzione di sezioni specializzate per la famiglia e la persona; realizzare un processo civile più lineare e comprensibile; assicurare la speditezza del processo mediante la revisione della disciplina delle fasi di trattazione e di rimessione in decisione. Tale disegno di legge delega recante disposizioni per l'efficienza del processo civile è all'esame della Commissione giustizia al Senato, in sede referente;
   il decreto-legge 31 agosto 2016, n. 168, convertito nella legge 25 ottobre 2016, n. 197, recante, tra l'altro disposizioni urgenti per la definizione del contenzioso presso la Corte di cassazione e per l'efficienza degli uffici giudiziari, con il quale si è intanto provveduto ad ampliare l'ambito operativo del giudizio camerale in Cassazione, permettere una più razionale utilizzazione dei magistrati addetti all'ufficio del massimario e del ruolo, anche mediante possibilità di applicazione come componenti dei collegi giudicanti, introdurre i tirocini formativi presso la Corte di cassazione e la procura generale, assumere misure sull'accesso alla magistratura ordinaria e sul tirocinio dei magistrati ordinari (con possibilità, all'esito del concorso in magistratura, di assegnare ai concorrenti, risultati idonei, ulteriori posti rispetto a quelli messi a concorso, nel limiti di un decimo di quelli messi a concorso; contrazione dei tempi di copertura delle attuali vacanze nell'organico degli uffici giudiziari di primo grado, con riduzione da 18 a 12 mesi della durata del tirocinio dei magistrati dichiarati idonei all'esito di concorsi banditi negli anni 2014 e 2015), disporre limitazioni all'assegnazione del personale dell'amministrazione giudiziaria ad altre amministrazioni e regolare i tramutamenti successivi dei magistrati (si eleva da tre a quattro anni il tempo della legittimazione per i tramutamenti successivi dei magistrati);
   la costituzione dell'ufficio per il processo, introdotto con il decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, che consente al giudice di avvalersi di una struttura di
staff per la gestione delle controversie. Attraverso l'ufficio per il processo si vuole, infatti, favorire l'integrazione di diverse figure professionali, allo scopo di migliorare non soltanto la produttività della giustizia civile nel suo complesso, ma anche la qualità del lavoro giudiziario attraverso un più razionale impiego delle risorse disponibili e di quelle reperite con specifici meccanismi di incentivazione.

  3. – Accanto all'azione riformatrice realizzata sul piano normativo, sono stati adottati specifici interventi di orientamento e sostegno agli uffici giudiziari, al fine di un coerente sviluppo di attività uniformi nella gestione dei flussi.
  Con il progetto «
Piano Strasburgo 2», elaborato nel corso del 2015 dal dipartimento per l'organizzazione giudiziaria sulla scorta dei risultati del censimento speciale dell'arretrato civile iniziato nell'anno 2014, positivamente valutato anche dal Consiglio superiore della magistratura, sono stati messi a disposizione di tutti gli uffici giudiziari strumenti utili per abbattere l'arretrato, proponendo di adottare nell'impostazione del lavoro, quale criterio di calendarizzazione delle cause da decidere, quello della assoluta priorità per i procedimenti di più risalente iscrizione.
  Proprio per incrementare al massimo la comunicazione permanente tra Ministero e uffici giudiziari, nella prospettiva di accrescere i processi di responsabilizzazione di tutti gli attori del mondo della giustizia verso la massimizzazione del livello di servizio ai cittadini e creare un proficuo confronto, gli esiti del monitoraggio inerente la giustizia civile e penale, curato dal dipartimento per l'organizzazione giudiziaria sulla scorta dei dati forniti dagli uffici, vengono pubblicati, con aggiornamenti trimestrali, sul sito istituzionale del Ministero della giustizia.
  A ciò va aggiunta la costituzione, con mio decreto del 12 ottobre 2016, dell'osservatorio per il monitoraggio dell'efficienza complessiva del sistema giustizia e per la valutazione dell'efficacia delle riforme necessarie alla crescita del Paese, che concluderà il suo mandato nel termine di un anno: esso è volto ad un sistema integrato di monitoraggio del grado di raggiungimento degli obiettivi delle riforme intraprese, ai fini del miglioramento dell'efficienza complessiva del sistema giudiziario, così da sostenere la crescita economica e sociale del Paese.
  4. – Segnalo altresì che, in ordine al personale, gli interventi adottati si sono articolati attraverso:

   a) misure straordinarie per il reclutamento di nuove risorse, avviate con il bando per mobilità volontaria per 1031 posti, pubblicato il 18 febbraio 2015, e procedure di mobilità obbligatoria, promosse in attuazione dell'articolo 1, comma 425, della legge di stabilità 2015, e dell'articolo 1, comma 771, della legge di stabilità 2016;
   b) l'avvio delle procedure di riqualificazione autorizzate dall'articolo 21-quater del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, che consente il passaggio di area e progressione professionale alle fondamentali qualifiche dei cancellieri e ufficiali N.E.P.;
   c) la sottoscrizione, nel novembre 2015, dell'accordo sul fondo unico di amministrazione, con il quale sono state redistribuite risorse, pari a 90.496.445 milioni di euro, relative agli anni 2013, 2014 e 2015, destinate a tutto il personale del Ministero, con meccanismi premiali;
   d) il decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, convertito con modificazioni dalla legge 12 agosto 2016, n. 161, per l'acquisizione di nuove risorse per gli uffici giudiziari mediante procedure di assunzione, che apriranno al processo di ringiovanimento e al passaggio di competenze professionali nell'amministrazione giudiziaria, da molti anni atteso.

  Il decreto-legge citato autorizza il Ministero ad un programma di nuove assunzioni, articolato in più fasi: nell'immediato il reclutamento a tempo indeterminato di 1000 nuove unità di personale amministrativo non dirigenziale.
  Il bando per il concorso di 800 posti per assistente giudiziario è stato pubblicato in
Gazzetta ufficiale il 22 novembre scorso.

  5. – I risultati raggiunti nella giustizia civile in questi ultimi anni sembrano confermare l'efficacia degli strumenti messi in campo.
  Nonostante i magistrati italiani registrino costantemente una produttività tra le più alte in Europa ed in costante incremento, sia in termini di numeri assoluti, sia in termini di efficacia nello smaltimento dell'arretrato, al giugno 2013 erano circa 5 milioni e 200 mila le cause civili pendenti.
  L'impegno riformatore, sempre nella linea di necessaria complementarietà tra interventi di carattere normativo e di innovazione organizzativa, ha investito i fondamentali assetti del processo civile.
  È con un certo orgoglio che posso affermare, con il conforto delle statistiche a consuntivo, particolarmente capillari e attendibili anche grazie alla ormai completa possibilità di utilizzo per i dati del settore civile del
datawarehouse, come le misure normative ed organizzative adottate abbiano consentito il raggiungimento di confortanti risultati.
  Alla data del 30 giugno 2016, il totale nazionale dei fascicoli pendenti – secondo l'analisi dei dati forniti dagli uffici, raccolti ed elaborati dalla Direzione generale di Statistica nell'ambito di un monitoraggio periodico pubblicato sul sito istituzionale – risulta, al netto dell'attività del giudice tutelare, pari a 3.886.285 procedimenti, confermando il
trend decrescente degli anni precedenti.
  Positivo corollario della riduzione delle iscrizioni e delle pendenze è il contenimento dei tempi di durata delle cause civili.
  Per la prima volta, nell'agosto 2016, i tempi medi di definizione in primo grado sono scesi a 992 giorni, sotto il tetto dei 1000.
  I dati statistici dei primi due anni di vita dei tribunali delle imprese sono estremamente positivi, con oltre il 90 per cento degli affari pervenuti nell'anno 2013 giunti a definizione ed oltre il 73 per cento degli affari pervenuti nell'anno 2014 definiti entro l'anno, con una media complessiva totale dalla nascita delle sezioni specializzate pari all'80 per cento di definizioni entro un anno, con sentenze di primo grado confermate quattro volte su cinque in sede di impugnazione. Quanto ai tempi medi di definizione dei procedimenti di competenza delle sezioni specializzate in materia di imprese, essi sono passati da 1.155 giorni del 2012 agli 870 giorni del 2015.
  La positiva esperienza della concentrazione in pochissimi tribunali di questo tipo di contenzioso assume un valore importante per la reputazione anche internazionale del Paese, in quanto rappresenta la risposta, in termini di rapidità e prevedibilità della giurisprudenza, alle critiche che venivano dall'estero.
  La significativa diminuzione dei tempi di trattazione dei procedimenti civili è dato particolarmente significativo, dal momento che rappresenta elemento qualitativo della risposta di giustizia per il cittadino, nonché indicatore chiave di valutazione per gli organismi internazionali.
  E l'inversione di tendenza registrata è stata evidenziata dalla banca mondiale nel suo ultimo rapporto annuale
Doing Business 2016, nel quale l'Italia ha guadagnato, anche grazie al miglioramento dei tempi di trattazione del contenzioso commerciale, 36 posizioni nel ranking mondiale (dalla 147a posizione alla 111a).
  I positivi risultati raggiunti, anche in termini di riduzione dell'arretrato, testimoniano dunque l'efficacia dei numerosi interventi posti in essere, sia di carattere normativo sotto il profilo della deflazione delle cause in entrata, sia organizzativo, allo scopo di velocizzare i tempi di definizione.
  L'efficienza della giustizia civile è un fattore decisivo per la ripresa economica del Paese, oltre che fondamentale terreno di contatto quotidiano per rinnovare nei cittadini la fiducia nelle istituzioni e la cultura della legalità.
  I risultati raggiunti si sono, in conclusione, senz'altro giovati della complessiva razionalizzazione del sistema, consentendo un più proficuo investimento delle risorse, umane e materiali, dell'amministrazione della giustizia, come dimostrato dai dati statistici pubblicati e dagli osservatori internazionali.

Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   VILLAROSA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con nota prot. 0167027-2015 del 12 maggio 2015, l'ufficio per le relazioni sindacali del Dipartimento amministrazione penitenziaria ha trasmesso, alle organizzazioni sindacali, una bozza di decreto con il quale viene istituito «l'ufficio, di livello dirigenziale, per le attività del laboratorio centrale per la banca dati del D.N.A.»;
   le attività di tale ufficio, in verità, sono già disciplinate dalla legge 30 giugno 2009, n. 85 che prevede che le attribuzioni del responsabile del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA siano adottate con regolamento, sentiti il Garante per la protezione dei dati personali e il CNBBSV;
   l'articolo 18 della predetta legge, istituisce i ruoli tecnici del Corpo di polizia penitenziaria da impiegare nelle attività del laboratorio centrale di cui sopra. Il Ministro della giustizia, stando alla bozza di decreto pervenuta alle organizzazioni sindacali, intende istituire «l'ufficio», di livello dirigenziale, per le attività del laboratorio centrale per la banca dati del DNA, affidandone la dirigenza al personale del ruolo di istituto penitenziario della carriera dirigenziale penitenziaria che però non ha alcuna competenza professionale, né tantomeno esperienza tecnico/scientifica nella tipizzazione del profilo del DNA e nella conservazione dei campioni biologici dai quali sono tipizzati i profili del DNA;
   tale specificità appartiene ai direttori tecnici del Corpo di polizia penitenziaria, come previsto dalla tab. A del decreto ministeriale 22 dicembre 2012 n. 268. Lo stesso garante per la protezione dei dati personali, nell'esprimere il 31 luglio 2014 il parere sullo schema di regolamento recante disposizioni di attuazione della legge 30 giugno 2009, n. 85, concernente l'istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, ha ribadito quali siano le funzioni del responsabile del laboratorio centrale, funzioni che coincidono con quelle della figura del direttore tecnico del corpo di polizia penitenziaria;
   le forze di polizia dovranno custodire, per la successiva consultazione e gli immediati raffronti, solo i dati relativi ai profili del DNA, mentre al Ministero della giustizia viene riservata l'estrazione del profilo del DNA, che provvederà successivamente a trasmettere per via informatica alla banca dati nazionale;
   la banca dati del DNA ed il laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, sono stati istituiti al fine di rendere più agevole l'identificazione degli autori di delitti e pertanto, trattandosi di una vera e propria attività di polizia, appare illogico affidare la direzione del laboratorio ad una figura professionale come quella del Direttore penitenziario che oltre a non avere le competenze tecnico/scientifiche, non svolge neanche funzioni di polizia –:
   se il Comitato nazionale per la biosicurezza, le biotecnologie e le scienze della vita (CNBBSV), istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, quale organo di garanzia, sia a conoscenza della bozza di decreto in esame e se abbia espresso un parere in merito all'istituzione dell'ufficio, di livello dirigenziale, per le attività del laboratorio centrale per la banca dati del DNA, affidandone la responsabilità alla figura professionale del direttore penitenziario che non ha le competenze tecnico-scientifiche necessarie per legge;
   se il Ministro interrogato intenda davvero affidare la direzione del laboratorio centrale ad un dirigente penitenziario non in possesso della specifica abilitazione per l'impiego presso detto laboratorio, estromettendo da tale funzione il direttore tecnico dei ruoli tecnici del personale del Corpo di polizia penitenziaria che, per legge, tale incarico deve svolgere, avendone i requisiti e i titoli, senza quindi la necessità di creare un nuovo «centro di potere», giustificato da uno stato di necessità ed urgenza, in contrasto con le disposizioni di legge e con l'articolo 97 della Costituzione. (4-09430)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante lamenta la previsione, nella bozza di decreto ministeriale finalizzato ad istituire l'ufficio per il laboratorio centrale del DNA, di un dirigente penitenziario in luogo di un direttore tecnico.
  Con la legge 30 giugno 2009, n. 85, l'Italia ha provveduto alla ratifica del trattato di Prum che, con la finalità di rafforzare la cooperazione transfrontaliera nella lotta alla criminalità, disciplina, in particolare, l'impegno fra le Parti contraenti a creare schedari nazionali di analisi del Dna e a scambiare le informazioni contenute in tali schedari, come pure l'impegno a scambiare le informazioni sui dati dattiloscopici.
  Nella delineata prospettiva, la legge citata ha previsto, come noto, l'istituzione, presso il Ministero dell'interno, di una Banca dati nazionale del Dna e, presso il Ministero della giustizia, di un Laboratorio centrale, con la finalità di identificazione degli autori dei reati.
  L'articolo 7 della legge individua le attività affidate alla banca dati nazionale del Dna, ovvero:
   a) la raccolta del profilo del Dna, ad esclusione di una serie di reati specificatamente indicati, dei soggetti di cui all'articolo 9, commi 1 e 2: soggetti raggiunti da ordinanza di custodia cautelare o di arresti domiciliari; arrestati in flagranza, fermati, detenuti in esecuzione di pena; soggetti a misura alternativa alla detenzione; sottoposti a misura di sicurezza detentiva;
   b) raccolta dei profili del Dna relativi a reperti biologici acquisiti nel corso di procedimenti penali;
   c) raccolta dei profili del Dna di persone scomparse o loro consanguinei, di cadaveri e resti cadaverici non identificati;
   d) raffronto dei profili del Dna a fini di identificazione.
  L'articolo 16 della medesima legge, inoltre, rimanda ad uno o più regolamenti per la determinazione della disciplina relativa sia al funzionamento e all'organizzazione della Banca dati nazionale del Dna, sia alle tecniche e alle modalità di analisi e conservazione dei campioni biologici e dei profili di Dna.
  Con decreto del Presidente della Repubblica del 7 aprile 2016, n. 87, pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 maggio 2016, è stato adottato il «Regolamento recante disposizioni di attuazione della legge 30 giugno 2009, n. 85, concernente l'istituzione della banca dati nazionale del DNA e del laboratorio centrale per la banca dati nazionale del DNA, ai sensi dell'articolo 16 della legge n. 85 del 2009».
  Oltre ad attuare l'istituzione della banca dati e del relativo laboratorio centrale, al fine di facilitare le attività di identificazione degli autori di reato e delle persone scomparse, il decreto disciplina lo scambio delle informazioni raccolte per fini di cooperazione internazionale tese alla lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera.
  In particolare, il regolamento stabilisce le tecniche e le modalità di acquisizione e gestione dei campioni biologici, oltre ai tempi di conservazione e alla cancellazione dei profili estratti. Vengono individuate, inoltre, le attribuzioni dei responsabili della banca dati e del laboratorio centrale, al fine di assicurare l'osservanza dei criteri e delle norme tecniche di funzionamento del database.
  La banca dati è collocata presso il dipartimento della pubblica sicurezza del Ministero dell'interno (servizio per il sistema informativo interforze della direzione centrale della polizia criminale), mentre il laboratorio centrale presso il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, direzione generale dei detenuti e del trattamento, del Ministero della giustizia.
  Il database è stato predisposto per raccogliere e confrontare i profili del Dna raccolti. Il software è organizzato su due livelli gestionali: il primo, usato per le investigazioni interne al territorio nazionale; il secondo, per la collaborazione internazionale di polizia sul fronte della lotta al terrorismo e alla criminalità transfrontaliera.
  Quanto al laboratorio, lo stesso è dotato di strutture «robotizzate» in grado di elaborare automaticamente le fasi di tipizzazione del Dna (accettazione, catalogazione e conservazione dei campioni biologici; set-up; estrazioni, quantificazioni, lettura e interpretazione del profilo).
  L'archivio unico nazionale per la raccolta e il raffronto dei profili estratti sarà alimentato soprattutto attraverso il prelievo di campioni biologici dei soggetti indicati dalla legge, e l'acquisizione del campione avverrà attraverso prelievi di mucosa orale, «allo scopo di consentire l'eventuale ripetizione della tipizzazione del Dna, previa identificazione degli stessi tramite accesso telematico all'AFIS e registrazione delle operazioni di identificazione e prelievo, a cura dell'organo procedente, nel sistema AFIS».
  Il prelievo è effettuato solo se il soggetto non è stato già sottoposto in precedenza ad analoga operazione, salvi i casi di dispersione, e dovrà provvedervi personale della polizia penitenziaria, specificamente formato e addestrato.
  Il regolamento prevede i tempi per la conservazione dei profili, determinati in 30 anni dall'ultima registrazione, ovvero per 40 in caso di condanna con recidiva, e le modalità ed i casi di distruzione dei reperti.
  Le disposizioni introdotte e le procedure di autenticazione, di registrazione e di analisi degli accessi e delle operazioni relativi alla banca dati nazionale del Dna e al laboratorio centrale per la banca dati nazionale del Dna, che hanno registrato il parere favorevole del Garante della protezione dei dati personali in data 28 luglio 2016, consentono ora di disporre di strumenti efficaci nel contrasto alla violenza, anche di genere.
  Nel contesto così delineato, l'articolo 27 del regolamento per il funzionamento della banca dati e del laboratorio centrale del Dna, relativo alle «Attribuzioni del responsabile del Laboratorio centrale», prevede che il responsabile del laboratorio centrale e del trattamento dei dati, ai sensi dell'articolo 29 del decreto legislativo n. 196 del 2003, è il Direttore dell'ufficio del Laboratorio centrale, con ciò distinguendo il Laboratorio dall'ufficio.
  Al responsabile compete l'organizzazione ed il funzionamento del laboratorio centrale; l'identificazione dei metodi accreditati, delle procedure tecniche idonee per la tipizzazione del Dna e di quelle adottate per la conservazione e distruzione dei campioni biologici; l'individuazione dei corsi di formazione specifici per il personale del Laboratorio; la predisposizione del piano della sicurezza e del manuale della qualità del laboratorio.
  Ai sensi dell'articolo 28 del codice per la protezione dei dati personali, inoltre, il titolare del trattamento del Laboratorio centrale è individuato nel dipartimento dell'amministrazione penitenziaria del Ministero della giustizia.
  Il decreto ministeriale, sottoposto nella fase istruttoria all'esame delle organizzazioni sindacali del comparto, ha istituito l'ufficio, di livello dirigenziale, per le attività del Laboratorio centrale per la banca dati del Dna presso la direzione generale detenuti e trattamento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, assicurandone la responsabilità al personale della carriera dirigenziale penitenziaria, collocato organicamente all'interno della predetta direzione generale.
  In riferimento al rilievo formulato dall'interrogante in ordine alla individuazione del responsabile del laboratorio centrale in un dirigente penitenziario «... non in possesso della specifica abilitazione per l'impiego presso detto laboratorio, estromettendo da tale funzione il direttore tecnico dei ruoli tecnici del personale del Corpo di polizia penitenziaria...», si evidenzia come la normativa che istituisce e disciplina le funzioni dei ruoli tecnici della polizia penitenziaria (decreto legislativo 9 settembre 2010 n. 62), nell'indicare agli articoli 15 e 16 i periti biologi, esclude che il personale inserito in tali ruoli possa rivestire la qualifica dirigenziale, coerentemente, peraltro, con il titolo di studio richiesto per l'accesso al ruolo e con il profilo professionale richiesto.
  Nel quadro delineato dai capisaldi normativi richiamati, non è stato, pertanto, possibile indicare per la copertura di quell'ufficio dirigenziale personale proveniente dai ruoli tecnici.
  Il livello gerarchico dell'ufficio non può, difatti, che essere dirigenziale, in considerazione delle funzioni assegnate al direttore dell'ufficio e responsabile del laboratorio, in qualità di figura deputata ad assicurare l'organizzazione ed il funzionamento della struttura tecnica, ad identificare i metodi accreditati e le procedure, ad individuare l'amministratore del sistema ed i corsi di formazione per il personale, a predisporre il piano della sicurezza ed il manuale della qualità, a valutare i rischi sul lavoro.
  Trattasi di figura, quindi, che del laboratorio assume la responsabilità di ogni aspetto gestionale ed organizzativo, garantendone il funzionamento pur non essendo unità tecnica inserita nell'organico tabellare del laboratorio medesimo.
  Del resto, il profilo essenzialmente dirigenziale del direttore dell'ufficio è ulteriormente coerente con la mancata attribuzione a tale figura di competenze eminentemente tecniche, quali la tipizzazione del profilo, la sua validazione, la firma degli elettroferogrammi e quant'altro di esclusiva competenza del personale tecnico-scientifico, in aderenza a quanto disposto con il regolamento di cui al decreto ministeriale n. 268 del 22 dicembre 2012.
  Ciò non toglie, all'evidenza, che il direttore dell'ufficio potrà avvalersi del personale tecnico per alcune delle attività che gli competono, fermo restando il generale potere di delega attribuito, dall'ordinamento, alla dirigenza.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ZOLEZZI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel comunicato stampa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo del 23 dicembre 2014 si legge che: «Con il decreto musei si avvia una riforma che punta a rafforzare le politiche di tutela e di valorizzazione del nostro patrimonio dando maggiore autonomia ai musei, finora grandemente limitati nelle loro potenzialità. Viene finalmente riconosciuto il museo, fino ad oggi semplice ufficio della Soprintendenza, come istituto dotato di autonomia tecnico scientifica che svolge funzioni di tutela e valorizzazione delle raccolte assicurandone e promuovendone la pubblica fruizione. Vengono inoltre definiti i musei e i luoghi della cultura che, in sede di prima applicazione, consentiranno ai poli museali regionali di diventare subito operativi. I nuovi direttori dei musei elaboreranno inoltre i progetti di valorizzazione per consentire un'immediata messa a gara dei servizi aggiuntivi in tutti i musei statali»;
   dal punto di vista dell'organizzazione ogni museo avrà 5 distinte aree funzionali, ognuna assegnata a una o più unità di personale responsabile:
    a) direzione;
    b) cura e gestione delle collezioni, studio, didattica e ricerca;
    c) marketing, fundraising, servizi e rapporti con il pubblico, pubbliche relazioni;
    d) amministrazione, finanze e gestione delle risorse umane;
    e) strutture, allestimenti e sicurezza;
   il direttore del museo è il custode e l'interprete dell'identità e della missione del museo, nel rispetto degli indirizzi del Ministero;
   per quanto attiene agli standard di controllo e valutazione, il direttore generale musei presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo predispone standard di funzionamento e sviluppo dei musei, in coerenza con gli standard stabiliti dall'International Council of Museums (ICOM), e ne verifica il rispetto da parte dei musei statali. Così come valuta le singole gestioni in termini di economicità, efficienza ed efficacia, nonché di qualità dei servizi di fruizione e di valorizzazione erogati. I musei dotati di autonomia speciale sono sottoposti alla vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo tramite la direzione generale musei, d'intesa con la direzione generale bilancio;
   i musei dotati di autonomia speciale sono: la Galleria borghese, le Gallerie degli Uffizi, la Galleria Nazionale d'arte moderna e contemporanea di Roma, le Gallerie dell'accademia di Venezia, il Museo di Capodimonte, la Pinacoteca di Brera, la Reggia di Caserta, la Galleria dell'Accademia di Firenze, la Galleria estense di Modena, la Galleria nazionale d'arte antica di Roma, il Museo nazionale del Bargello, il Museo archeologico nazionale di Napoli, il Museo archeologico nazionale di Reggio Calabria, il Museo archeologico nazionale di Taranto, il Parco archeologico di Paestum, il Palazzo Ducale di Mantova, il Palazzo reale di Genova, il Polo reale di Torino. A questi si aggiungeranno presto la Galleria nazionale delle Marche e la Galleria nazionale dell'Umbria. Restano dotate di autonomia speciale anche la soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma e la soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia;
   Peter Assmann è stato nominato direttore del Palazzo Ducale di Mantova il 18 dicembre 2015
   dopo il suo insediamento si sono verificati numerosi eventi preoccupanti, segnalati in una lettera al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo che 40 custodi museali di Palazzo Ducale scrissero, lamentando fra l'altro danni alle opere e agli ambienti, dal crollo della cornice nel salone degli arcieri, a danni agli stucchi della sala degli specchi o delle cornici dei quadri in Galleria nuova (per citarne alcuni); grandi disagi ai visitatori, costretti a percorsi parziali, spesso nella confusione e nella non edificante situazione di ammirare capolavori assoluti in mezzo al via vai di operai e camerieri che trasportano tavoli e apparecchiature, rendendo difficoltoso persino l'ascolto dell'audioguida;
   a questo si aggiungono i continui errori e ritardi nella predisposizione delle informazioni o nella soluzione dei mancati funzionamenti; mai corrette le informazioni erronee evidenziate nel video del Politecnico, refusi ed imprecisioni nei nuovi pannelli su Rubens, audioguide, non rispetto di norme di sicurezza e mancanza di dispositivi di protezione individuale durante lavori pericolosi. I pregiati beni che fanno da sempre il vanto di questo museo sono accatastati nella polvere e persi pare nell'oblio, mentre le sale del palazzo diventano luogo di esposizione di beni e opere altrui, privati, che trovano qui una collocazione senza dubbio vantaggiosa (ad esempio grazie all'apertura della galleria, che a fronte di pochissimi ingressi distrae un addetto dalla sorveglianza delle sale del museo, o grazie alla trasformazione in uno show room dell'appartamento estivale, che impedisce di fatto il corretto apprezzamento degli spettacolari stucchi finalmente restituiti agli occhi ammirati dei visitatori). La lettera è stata pubblicata sul Notiziario On-line Sindacato Cultura Lavoro nel luglio 2016;
   l'appartamento della Rustica è stato finalmente riaperto al pubblico dopo i lavori post sisma. Giulio Romano progettò questi ambienti per volere di Federico II Gonzaga a partire dal 1539 e l'esecuzione, alla morte del grande artista, fu portata avanti dal Bertani. Nella mostra temporanea «Abitare Gonzaga» ovvero l'esposizione, inserita nell'edizione di Mantova Creativa, inaugurata l'11 giugno 2016 a Palazzo Ducale, è stata allestita una rassegna a cura di Giampaolo Benedini, con la collaborazione del direttore del Ducale Peter Assmann e della vicedirettrice Renata Casarin e di Marco Tonelli per la selezione delle opere contemporanee, in tale prestigioso appartamento, provando a rispondere a una domanda: «Ma se i Gonzaga con il loro gusto estetico e creativo fossero ancora vivi di quali oggetti si circonderebbero ?» Ed ecco la proposta: un viaggio nella contemporaneità. In pratica letto, vasca, cucina, sedute e divani del nostro tempo sono stati posti in queste sale, finemente decorate di stucchi e affreschi antichi. La «collezione» proviene da realtà commerciali come Agape e Benedini collection, si segnala come le numerose opere e foto contemporanee appese, sono state appese con chiodi direttamente infissi nelle pareti antiche appena restaurate;
   si segnalano altri dettagli, come un numero importante di tasselli fissati per appendere pannelli in legno dipinti sulle pareti esterne di piazza Paradiso in occasione della mostra di Moya, i 4 stendardi affissi sulle murature trecentesche del palazzo del Capitano all'ingresso del Museo; il portale in cartongesso fissato alla parete trecentesca per segnalare l'ingresso della mostra contemporanea. Si segnala a livello conservativo la scarsa attenzione ai diserbi delle erbe infestanti e alla pulizia del fossato del castello dove nella torre nord est è conservato il capolavoro della Camera Picta di Andrea Mantegna, la mancanza di alcuni scuri delle finestre del fronte est del palazzo e in generale della mancata manutenzione dei numerosi serramenti del complesso museale. Il riallestimento della sala del Rubens realizzato dal direttore del museo non rispetta gli standard di qualità museografica: gli apparati didascalici sono invasivi e non valorizzano le opere esposte;
   le mostre di arte contemporanea vengono selezionate a giudizio degli interroganti senza una particolare attenzione alla qualità e all'importanza degli artisti e comunque sono di basso livello in relazione al valore storico-artistico del complesso museale, con uno svilimento dell'anima e della cultura di Palazzo ducale e della città stessa. Mancano percorsi tematici;
   d'altronde nella «riforma Franceschini» appare evidente una separazione tra la tutela e conservazione museale e la promozione e gestione degli eventi, non dando chiarezza sulla figura del direttore museale che perde il ruolo di conservatore del bene (evidente anche nel caso di Palazzo ducale), dove non si coglie alcun progetto museologico, né una supervisione da parte della direzione generale musei. Non è comprensibile soprattutto il fattore economico, come è accaduto a Mantova ove la causa è riconducibile agli scarsi finanziamenti e a quella che appare agli interroganti come la mera necessità di fare cassa –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti esposti e se intenda promuovere adeguamenti normativi che, pur mantenendo l'autonomia gestionale, possano garantire la tutela e conservazione dei musei dotati di autonomia speciale, eventualmente prevedendo miglioramenti circa la supervisione da parte della direzione generale dei musei o individuando una figura ad hoc che si occupi di tutela, tale da ottimizzare il ruolo della commissione scientifica e rivaluta i finanziamenti al settore;
   se intenda garantire la qualità della promozione museale con un monitoraggio e una supervisione più efficace sugli eventi e sulla qualità delle mostre proposte;
   se intenda garantire progetti museologici e standard museali. (4-14211)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, nel quale l'interrogante, dopo aver espresso preoccupazioni sulla gestione del palazzo Ducale di Mantova, chiede come si intenda intervenire per rafforzare le funzioni di indirizzo del Ministero, pur mantenendo l'autonomia gestionale, per migliorare l'attività di tutela, conservazione e promozione dei musei dotati di autonomia speciale e garantire gli standard museali.
  A seguito della riforma del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT), al complesso museale del palazzo Ducale di Mantova è stato riconosciuto lo status di museo dotato di autonomia speciale, secondo quanto stabilito nel nuovo regolamento di organizzazione del MIBACT (adottato con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171) e nel decreto ministeriale 23 dicembre 2014, Organizzazione e funzionamento dei musei statali. Alla direzione del museo è stato preposto il dottor Peter Assmann, selezionato a seguito di procedura ad evidenza pubblica cui hanno partecipato studiosi italiani e stranieri.
  Nella sua interrogazione, l'interrogante riferisce criticità evidenziate in una lettera sottoscritta da alcuni dipendenti del museo. Molte delle osservazioni indicate in tale documento – comunica il direttore del museo – sono originate da una non perfetta conoscenza dei fatti o poggiano su supposizioni o illazioni, che avrebbero potuto essere facilmente e immediatamente chiarite e spiegate con un semplice colloquio con la direzione del museo che, fin dalla prima presentazione, ha dichiarato la propria massima disponibilità ad accogliere segnalazioni, suggerimenti, proposte, sia dall'interno dell'istituzione culturale che dall'esterno; tanto è vero che – prosegue il direttore – molti enti pubblici, fondazioni e associazioni private collaborano nella formulazione di proposte e sostengono anche economicamente le iniziative del palazzo Ducale.
  A seguito del riconoscimento dell'autonomia, il museo (non più pertinenza dipendente dalla soprintendenza territoriale) si trova in una fase di trasformazione, che ha comportato, tra l'altro, una crescita esponenziale dell'attività di valorizzazione museale e l'avvio di processi di innovazione nella gestione del personale. Entrambi questi elementi si sono posti in discontinuità con il passato e hanno comportato per tutto il personale, in particolare per quello che svolge l'assistenza e la vigilanza, la necessità di misurarsi con iniziative, mostre, anche di arte contemporanea, lontane dagli standard consueti prima dell'autonomia museale, nonché di misurarsi con tempi di allestimento molto ristretti rispetto al passato.
  Consapevoli di ciò, la direzione ha cercato di creare un sistema di comunicazione interna più efficace, calendarizzando anche un incontro fisso mensile con tutto il personale di vigilanza per tutto l'anno 2016.
  Giova anche evidenziare come tra gli organi del museo sia previsto anche un comitato scientifico composto dal direttore (che lo presiede) e da altri quattro componenti, scelti tra professori universitari di ruolo in settori attinenti all'ambito disciplinare del museo o tra esperti di qualificata e comprovata esperienza in materia di tutela e valorizzazione dei beni culturali, designati dal Ministro, dal consiglio superiore beni culturali e paesaggistici, dalla regione e dal comune. Il comitato ha, tra i suoi compiti, anche quello di supportare il direttore, sotto il profilo scientifico, nella predisposizione del programma annuale e pluriennale di attività del museo e di valutare e approvare i progetti editoriali del museo. La direzione del museo ha condiviso le proprie scelte e i propri programmi con il comitato, che si è già riunito più volte dal suo insediamento, operando in sinergia con esso.
  Premesso quanto sopra, si forniscono puntuali elementi di risposta in merito alle singole questioni indicate nell'interrogazione, sulla base degli elementi forniti dal direttore.
  Nella Sala degli Arcieri è esposto un capolavoro della collezione mantovana, la famosa Pala della Trinità di Pieter Paul Rubens. Si è reso necessario ripensare l'allestimento della sala per fornire una migliore lettura dell'opera, in quanto l'ambiente era affollato da opere che distoglievano l'attenzione dalla pala rubensiana e dal grande lunettone di Domenica Fetti, vale a dire gli artisti che con Antonio Maria Viani hanno lavorato per i duchi Vincenzo I, Ferdinando e Vincenzo IL Inoltre una cattiva illuminazione non valorizzava i capolavori della collezione e anche le didascalie di approfondimento erano mancanti o di scarso rilievo. Con la società Electa, concessionaria dei servizi museali aggiuntivi, è stata elaborata una nuova presentazione e un nuovo apparato didattico con una soluzione innovativa che include l'installazione di un particolare tendaggio che, oltre a evocare una quinta teatrale, ha messo in evidenza l'originaria soluzione compositiva della pala, ora mutila in seguito alle note vicende ottocentesche di smembramento della tela. L'illuminazione è stata adeguata alla nuova soluzione espositiva, così come i nuovi pannelli esplicativi che consentono, ora, al pubblico di ricevere una compiuta lettura di Rubens e di Fetti; inoltre il soggiorno nella sala è stato reso confortevole dai nuovi divani che i visitatori apprezzano, consentendo loro di sostare nel vasto ambiente per contemplare le opere o per fare una pausa lungo il percorso.
  Nel corso dei lavori per il fissaggio della tenda si sono verificate delle cadute di gesso da un cornicione della sala, senza danni a persone o opere d'arte. Questi pezzi, come è stato potuto verificare, fanno parte di un lavoro di restauro degli anni Settanta, eseguito non in modo propriamente consono. Ora la cornice è stata messa in sicurezza e si sta naturalmente monitorando, con grande attenzione, la situazione, in attesa di un restauro totale di tutta la sala, in programma nei prossimi anni.
  I visitatori hanno avuto l'opportunità di vedere un cantiere aperto e di comprendere le azioni necessarie alla valorizzazione della sala del museo. Le guide turistiche hanno, certamente, incontrato qualche difficoltà nel corso delle loro visite con i gruppi scolastici, che nel mese di aprile-maggio accorrono numerosi a Mantova, ma tutto è stato mantenuto nella norma senza particolari disguidi e lamentele, tanto che anche quest'anno, in base alle recensioni dei visitatori, è stato attribuito al palazzo Ducale il certificato di eccellenza di Tripadvisor.
  Nell'interrogazione si segnala la lunghezza dei tempi per la correzione di un errore all'interno della sala multimediale, totalmente sponsorizzata e realizzata dal Politecnico di Milano, che racconta la storia dello sviluppo architettonico del palazzo Ducale di Mantova.
  Tale inconveniente è da attribuire alla necessità di ricorrere a personale esterno, non immediatamente disponibile. L'installazione, in ogni caso, rimane un'innovazione molto apprezzata dal pubblico e indispensabile per comprendere la complicata evoluzione architettonica del palazzo nel corso dei secoli. Si segnala, invece, che nessun errore è stato rilevato nei nuovi pannelli della sala del Rubens.
  L'immagine di opere di pregio accatastate nella polvere e nell'oblio non corrisponde a realtà, mentre l'apertura al pubblico delle sezioni della galleria, nel complesso del palazzo, dedicate all'arte contemporanea è una precisa scelta della direzione del museo, che forse non incontra il gusto personale di alcuni, ma è sostenuta con forza anche dal comitato scientifico; tale scelta si muove in direzione di accoglimento e promozione del contemporaneo, proprio come fecero i Gonzaga ai loro tempi, sostenendo gli artisti del loro tempo. Nella mission di una istituzione culturale non ci può essere solo la conservazione e la valorizzazione del patrimonio storico esistente, ma deve coesistere anche la produzione di nuova cultura. Le stesse ragioni hanno anche condotto alla riapertura al pubblico (dopo anni di chiusura) dell'appartamento della Rustica, un ambiente architettonico prezioso, ma desolatamente vuoto. A tale proposito si precisa che la mostra Abitare Gonzaga 2016 è stata resa possibile grazie alla partecipazione di diverse industrie di design e interni, nonché al sostegno di riviste specializzate del settore, mentre la cura affidata a Mantova Creativa, e non allo studio Agape di Giampaolo Benedirli come erroneamente riportato nell'interrogazione, è stata fondamentale per poter radunare tanti partner che hanno finanziato la mostra e il catalogo.
  Tutti i lavori che comportano affissioni alle pareti si svolgono sotto la supervisione dei funzionari del museo, con anni di professione nel ruolo di funzionari storici dell'arte e architetti nelle soprintendenze, e, dove necessario, è stata richiesta l'autorizzazione della competente soprintendenza territoriale. Inoltre, a conclusione delle esposizioni, è sempre previsto il ripristino delle pareti non istoriate e, comunque, le installazioni interessano pareti con «superfici di sacrificio» e non contesti di pregio. Anche il nuovo spazio della Galleria, dedicato all'arte contemporanea, è stato dotato di pannelli impiegati per appendere le opere contemporanee, senza intaccare le pareti che mostrano resti di decorazioni settecentesche e ottocentesche. Lo stendardo affisso per segnalare l'ingresso del museo (come giustamente rileva anche l'interrogante) è indubbiamente necessario in quanto guida il turista verso l'ingresso del museo nell'immensa piazza Sordello.
  La presenza di una particolare tipo di vegetazione nelle acque del fossato del Castello indica, secondo gli esperti consultati, la buona salute dell'ecosistema, tanto che il Castello di San Giorgio è stato nominato «Monumento vivo» in quanto accoglie, nelle sue volte, una numerosa colonia di pipistrelli (la specie tutelata dei miniotteri), mentre nei bastioni trovano riparo rondoni e taccole e nelle acque del fossato nuotano carpe e lucci. Comunque, allo scopo di limitare l'impatto visivo esteticamente negativo, si ha in progetto un potenziamento del sistema di circolazione dell'acqua in modo da limitare la proliferazione del verde.
  Relativamente alle segnalate carenze nella manutenzione dei numerosissimi serramenti del complesso museale, il direttore rammenta che il palazzo Ducale si compone di più di 900 ambienti e giardini ed è uno dei più grandi complessi architettonici di tutta Europa. Al riguardo, però, il bilancio preventivo per l'anno 2017 ha posto, tra le proprie priorità, anche la manutenzione del palazzo cui si potrà far fronte anche grazie alle entrate proprie del museo che, per l'autonomia speciale, restano nella disponibilità dell'istituzione.
  La direzione generale musei, in questi due primi anni di avvio della riforma del MIBACT, ha assolto i compiti assegnati dal regolamento di organizzazione e dal decreto ministeriale sopra citato: sovraintendere al sistema museale e coordinare i poli museali, esercitando poteri di direzione, indirizzo, coordinamento e controllo, nel rispetto dell'autonomia dei singoli istituti museali di livello dirigenziale, in quanto l'autonomia scientifica e gestionale riconosciuta ai musei di rilevanza nazionale costituisce (come appare condividere anche l'interrogante) l'elemento caratterizzante e qualificante della riforma, imprescindibile per una efficace valorizzazione del patrimonio culturale e un effettivo rilancio del sistema museale nazionale.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.