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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 14 novembre 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzione in Commissione:


   La X Commissione,
   premesso che:
    negli ultimi anni, il settore turistico ha subito un processo di profondo cambiamento anche per effetto della crescente incidenza della tecnologia digitale e, in particolare, di internet nelle transazioni commerciali, circostanza che avrebbe facilitato gli acquisti per turismo – trasporti, ricettività e pacchetti vacanza – in assenza di intermediari, se non quelli rappresentati dalle piattaforme del commercio elettronico;
    il crescente peso del turismo digitale viene rilevato, tra le diverse fonti, dall'edizione 2016 dell'Osservatorio innovazione digitale nel turismo della School of Management del Politecnico di Milano, dal quale emergerebbe un costante aumento dell'incidenza del mercato online;
    secondo la ricerca, infatti, alla fine del 2016, il settore turistico nel suo complesso potrebbe registrare un incremento del 3 per cento rispetto al 2015, superando i 52 miliardi di euro, e di questa crescita, il mercato digitale rappresenterebbe un +8 per cento, con un valore complessivo di 10,3 miliardi di euro, a fronte di una crescita più contenuta (+1 per cento) della componente tradizionale;
    l'Osservatorio analizza l'andamento nel 2015 delle principali voci della «spesa digitale» (l'ammontare delle transazioni online tramite e-commerce): i trasporti rappresenterebbero il 72 per cento del mercato (+9 per cento); le strutture ricettive il 16 per cento (+6 per cento) e i pacchetti viaggio il 12 per cento (+10 per cento);
    la citata ricerca segnala che nella composizione del mercato delle strutture ricettive si starebbe riducendo (dal 70 per cento del 2015 al 65 per cento di quest'anno) il peso del comparto alberghiero rispetto a quello extra-alberghiero;
    questo cambiamento sarebbe sostenuto dalla crescente diffusione di nuovi modelli culturali e di nuovi stili di vita, connessi alla sharing economy, con un effetto accresciuto alle piattaforme internet che oggi rappresenterebbero circa un sesto delle strutture ricettive;
    nell'esaminare i canali digitali attraverso i quali si perfezionano le transazioni nel comparto della ricettività, l'Osservatorio rileva una crescita delle OTA (Online Travel Agency) e dei siti aggregatori, dal 23 al 24 per cento, in crescita in valore assoluto del 10 per cento rispetto al 2015;
    la ricerca 2016 dell'Osservatorio innovazione digitale nel turismo del Politecnico di Milano sostanzialmente certificherebbe una crescita della componente digitale (+8 per cento) nel mercato del turismo italiano che corrisponderebbe a circa un quinto delle transazioni online;
    è il caso di rilevare che la diffusione delle transazioni online, seppure rappresenti una straordinaria e indiscussa opportunità, sia per i consumatori sia per gli operatori, determinerebbe, in assenza di regole, elevati rischi nel facilitare l'accesso al settore turistico di soggetti non autorizzati, tradizionalmente estranei al comparto oppure privi dei requisiti essenziali per garantire un servizio di qualità;
    nella pratica si assisterebbe all'ingresso nel settore turistico di una molteplicità di operatori che, facilitati dai mezzi di comunicazione online e dall'assenza di regole ovvero di controlli, propongono servizi nel settore della ricettività e ristorazione;
    le piattaforme OTA favorirebbero il citato processo con una varietà di proposte che si sarebbero moltiplicate negli ultimi anni e che si collocherebbero per tipologia nel comparto extralberghiero, come i tradizionali affittacamere, bed and breakfast, case vacanza, affitto o condivisione con finalità turistiche di porzioni di unità immobiliari private e altro;
    sembrerebbe che il mercato della ricettività venga progressivamente occupato da operatori non autorizzati ed estranei al settore, ma interessati a ricavare un'integrazione al reddito affittando, attraverso le online travel agency, propri immobili;
    questo processo sarebbe favorito dalla mancanza di regole ovvero di limitazioni nella sottoscrizioni di contratti con gli intermediari online che, conseguentemente, promuoverebbero le attività di strutture ricettive anche prive di autorizzazioni di legge;
    in pratica, le online travel agency consentirebbero l'inserimento di qualunque struttura sui portali senza alcuna verifica di regolarità prima di iscriverla, determinando, conseguentemente, una situazione in cui si troverebbero a competere alla pari strutture ricettive regolari, irregolari, abusive, fittizie e religiose;
    questa circostanza, oltre a incrementare situazioni di abusivismo nel settore, non fornirebbe alcuna garanzia per il consumatore sia per la qualità del servizio ricevuto sia per quanto attiene alla trasparenza e alla legittimità delle transazioni con soggetti non autorizzati a esercitare attività di ricezione e ospitalità;
    questo «sommerso» rappresenterebbe una forma di concorrenza sleale che causa un gravissimo danno agli operatori del settore alberghiero ed extra alberghiero, regolarmente autorizzati ad esercitare attività nel settore turistico e soggetti, pertanto, agli adempimenti fiscali e contributivi, nonché al rispetto delle norme sugli standard di qualità e sicurezza;
    è il caso di riferire che gli operatori non autorizzati si sottrarrebbero agli adempimenti di legge del settore, come le comunicazioni alle questure, i controlli delle forze dell'ordine, le denunce reddituali a fini fiscali, gli obblighi previdenziali;
    le online travel agency verrebbero identificate dagli operatori turistici e dai titolari delle strutture ricettive regolari come uno strumento di promozione che consentirebbe loro di raggiungere un'ampia platea di potenziali clienti;
    nel contempo le online travel agency, anche per effetto delle commissioni che trattengono (dal 15 per cento al 30 per cento, nella media, fino al 50-70 per cento in taluni casi) eserciterebbero un ruolo predominante nei rapporti con gli operatori, in particolare modo quelli di medie e piccole dimensioni, limitando le condizioni per lo sviluppo delle imprese;
    sostanzialmente, le online travel agency e i siti web di intermediazione nel settore turistico, in assenza di regole, da una parte, rappresenterebbero una limitazione allo sviluppo delle piccole e medie imprese che operano in condizioni di regolarità, dall'altra, favorirebbero l'ingresso nel mercato dell'ospitalità di soggetti spesso privi dei requisisti e delle autorizzazioni per operare,

impegna il Governo

ad assumere iniziative volte a regolamentare il settore dell'intermediazione online nel turismo con particolare riguardo al sistema delle online travel agency al fine di limitare l'accesso alle piattaforme di prenotazione digitale alle sole strutture alberghiere ed extra-alberghiere provviste di autorizzazione all'esercizio di attività ricettività turistica e rispettose delle normative vigenti.
(7-01143) «Vallascas».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   SCOTTO e PALAZZOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 novembre 2016, il Fatto Quotidiano ha pubblicato un articolo a firma Carlo Tecce in cui si rivela l'esistenza di un documento riservato del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale redatto all'indomani delle elezioni politiche del 2013;
   il documento, firmato dall'ambasciatrice Cristina Ravaglia, attualmente direttrice generale per gli italiani all'estero e le politiche migratorie del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, riporta la data del 26 febbraio 2013 e indirizzato, tra gli altri, alla Presidenza del Consiglio, ai Ministri degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dell'interno, contiene «valutazioni e proposte» sull'attuazione della legge «Norme per l'esercizio del diritto di voto dei cittadini italiani all'estero»;
   scrive l'ambasciatrice: «Come principale responsabile delle operazioni elettorali all'estero, mi corre l'obbligo di richiamare l'attenzione — nel superiore interesse dello Stato e della tutela di un diritto fondamentale — su modalità di attuazione che, ancora una volta, si sono dimostrate, alla prova dei fatti, tali da mettere a rischio gli imponenti sforzi messi in atto per assicurare un ordinato svolgimento del voto»;
   in particolare, secondo Ravaglia, «quello per corrispondenza è soggetto, come evidente, a una serie di variabili e incertezze quali l'affidamento ai sistemi postali locali, il pericolo di furti, incette, pressioni, compravendite, sostituzione del votante, ma non solo»;
   in sostanza l'ambasciatrice denuncia «gli effetti potenzialmente distorsivi dell'impianto vigente», proponendo anche degli interventi immediati per rafforzare i controlli (e magari allestire i seggi);
   con riferimento alle elezioni politiche 2013, Ravaglia fa riferimento all'anomala affluenza ridotta (32 per cento) e all'elevata quantità di schede nulle (10 per cento). Dati anomali che si riscontrano anche nell'ultima consultazione referendaria dello scorso aprile con circa il 20 per cento di votanti e 8,6 per cento di schede nulle, contro l'0,68 per cento in Italia;
   per l'ambasciatrice in definitiva il voto degli italiani all'estero alle elezioni politiche del 2013 è stato «totalmente inadeguato, se non contrario fondamentali principi costituzionali che sanciscono che il voto sia personale, segreto, e libero». Tuttavia, nonostante la missiva, nessun provvedimento risulta essere stato adottato;
   alla luce di quanto succintamente riportato, desta preoccupazione la lettera appena spedita dal Presidente del Consiglio, Matteo Renzi, che riporta lo stemma tricolore del comitato «Basta un Sì», la quale, come precisato dalla Ministra per le riforme costituzionale e i rapporti con il Parlamento Boschi, «arriverà in contemporanea» al plico per il voto;
   ugualmente preoccupanti, rispetto agli effetti potenzialmente distorsivi denunciati da Ravaglia, risulta quindi essere il recente protagonismo di ambasciatori ad eventi organizzati da partiti politici italiani all'estero, in particolare ad iniziative promosse per il «Sì» al referendum costituzionale –:
   per quali ragioni non siano state adottate le immediate iniziative di competenza alla luce dell'importanza del documento di cui in premessa, vertente su fondamentali diritti costituzionali in capo ai cittadini; 
   quali iniziative urgenti di competenza si intendano, intraprendere per assicurare che il voto venga esercitato personalmente, in maniera libera e segreta;
   se il Governo intenda fornire il dato dei plichi stampati per ciascuna circoscrizione consolare e chiarire quali siano le stamperie utilizzate per la stampa delle schede, nonché quante siano le schede stampate da ciascuna stamperia per circoscrizione elettorale;
   se non intenda fornire il dato dei cittadini che si rivolgono ai consolati, lamentando il fatto che non hanno ricevuto il plico, e quale sia la procedura in tal caso;
   come si giustifichi la lettera appena spedita dal Presidente del Consiglio dei ministri che, ad avviso degli interroganti, produce un effetto distorsivo e quindi se il Presidente del Consiglio non intenda interrompere tale iniziativa in quanto non propriamente istituzionale, ma da considerarsi alla stregua di una iniziativa di propaganda sulle questioni della consultazione referendaria. (3-02625)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BASILIO, CORDA, FRUSONE, RIZZO, TOFALO, DIENI, CECCONI, COZZOLINO, DADONE, D'AMBROSIO, TONINELLI, DE ROSA, BUSTO, DAGA, MANNINO, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI, MASSIMILIANO BERNINI e NUTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da alcuni filmati andati in onda al telegiornale nelle ore immediatamente successive al sisma che ha colpito Amatrice il 24 agosto 2016, alcune unità dei vigili del fuoco, dei carabinieri e dei militari dell'Esercito, giunte sul posto per i primi soccorsi, non utilizzavano le mascherine e le apposite tute previste dalla legge per la manipolazione di materiali contenenti fibre di amianto;
   fin dall'entrata in vigore della legge-quadro in materia (n. 257 del 1992 e successive modificazioni), una serie di interventi normativi successivi e di protocolli si sono susseguiti per tutelare la salute dei cittadini e dei lavoratori esposti all'amianto, attribuendo specifici obblighi di vigilanza a carico delle ASL e delle aziende private;
   risulta pertanto del tutto anomalo che il personale appartenente alle forze dell'ordine ed alle forze armate, seppur chiamato a svolgere nella circostanza funzioni di primo soccorso e di emergenza, possa recarsi in luoghi colpiti da forti scosse telluriche in totale assenza di strumenti di prevenzione dal contatto con l'amianto;
   oltre agli eventi sismici, numerose sono le altre calamità naturali che la protezione civile ed il personale delle forze armate e delle forze dell'ordine è chiamato a fronteggiare, rendendo quindi quantomai opportuno aggiornare ed integrare i relativi protocolli di intervento con la previsione di idonei strumenti di salvaguardia della salute del personale medesimo;
   come denunciato nelle scorse settimane dall'Unione sindacale di base dei vigili del fuoco, detriti contenenti amianto sarebbero stati utilizzati per riempire, livellare e mettere in sicurezza le aree delle tendopoli site tra Amatrice ed Arquata del Tronto;
   il medesimo sindacato ha denunciato, inoltre, che anche la pista di atterraggio degli elicotteri sarebbe stata posta nelle immediate vicinanze delle macerie contenenti amianto, causando un pericolosissimo «effetto-ventilatore» che propaga nell'ambiente le cancerogene particelle di amianto;
   ancor più allarmante può considerarsi l'appello lanciato da Ezio Bonanni, presidente dell'Osservatorio nazionale amianto, il quale ha ritenuto inevitabile la polverizzazione della fibra di amianto contenuta nei materiali distrutti dal sisma, invitando le istituzioni a dotare i soccorritori di mascherine di protezione adeguate e considerando insufficienti le semplici mascherine antipolvere;
   tali mascherine antipolvere, in parte utilizzate durante i primi soccorsi ad Amatrice, sarebbero infatti del tutto inadeguate ad impedire l'inalazione della fibra di amianto e, quindi, l'insorgenza di malattie cancerogene ad essa correlate;
   l'elevato rischio sismico che caratterizza numerose aree del territorio italiano, con il crescente impiego di mezzi e risorse per i relativi soccorsi, impone di garantire la salute del personale addetto a tali operazioni, limitando quanto più possibile il contatto con materiali cancerogeni –:
   se dalle prime ore dei soccorsi si sia provveduto a garantire la salute del personale della protezione civile, dei vigili del fuoco, dell'Esercito e dei carabinieri attraverso adeguate attrezzature ed equipaggiamento in grado di limitare i danni dalla respirazione di amianto;
   se il Governo non reputi opportuno inserire nel protocollo d'intervento in caso di terremoto o di altre calamità naturali tutte le necessarie indicazioni ed equipaggiamenti in grado di limitare o abbattere il rischio di asbestosi. (5-09999)


   CRISTIAN IANNUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel settembre del 1997 le regioni Umbria e Marche furono colpite da un forte terremoto;
   secondo i dati dell'Osservatorio sulla ricostruzione della regione Umbria, nel dicembre 2014, il 97 per cento della popolazione colpita dai danni risultava rientrata nelle case lesionate dal sisma;
   dal servizio del programma televisivo «Le Iene», andato in onda il 6 novembre 2016, si apprende che vi sono circa 700 casette di legno inutilizzate e rimovibili di Sellano, Capodacqua e Nocera Umbra, realizzate in occasione del sisma del 1997, mentre, lo Stato ne sta acquistando altre e paga gli alberghi del perugino e del Trasimeno per ospitare parte degli sfollati del terremoto dello scorso ottobre;
   in particolare, sembra che più che utilizzare gli alloggi del sisma del ’97 si preferisca un nuovo appalto nazionale per la costruzione di 18 mila casette, disponibili entro l'estate, che costerà allo Stato oltre un miliardo di euro, circa 60-65mila euro a casetta. Inoltre, un addetto alla manutenzione del comune di Foligno, intervistato dal «Le Iene» spiega: «La manutenzione di queste casette di legno viene costantemente fatta, ogni anno con un costo di 160 mila euro»;
   la regione Umbria invece, attraverso una nota stampa, fa sapere che «queste strutture, collocate in prevalenza, nei territori di Foligno e Nocera Umbra, sono infisse al suolo e non smontabili, a differenza dei nuovi prototipi di moduli provvisori che saranno montati nelle zone della Valnerina. Quand'anche si volesse procedere ad un loro smontaggio e rimontaggio, i costi sarebbero addirittura superiori a quelli per l'acquisto di nuovi moduli e sarebbe inoltre alquanto complessa la procedura per certificarne l'abitabilità»;
   invece, nell'intervista già citata, il consigliere Liberati spiega che «ci hanno detto che non si possono muovere», mentre l'addetto alla manutenzione dice che «si possono spostare, modificando la base, come fu fatto un anno e mezzo fa per destinarle ai pompieri». Anche chi le costruisce, intervistato, ha detto: «Queste case si possono smontare e rimontare»;
   San Giuliano di Puglia, comune italiano della provincia di Campobasso, in Molise, il 31 ottobre 2002, fu colpito da un violento terremoto;
   da fonti stampa, che risalgono a ottobre 2015, si apprende che San Giuliano di Puglia è stata interamente ricostruita e che il villaggio temporaneo di San Giuliano di Puglia che nel 2002 accolse i terremotati verrà trasformato in centro hub per l'accoglienza di famiglie di immigrati in grado di accogliere, a partire dalla fine del 2016, circa 500 persone;
   secondo dati dell'Istat, il Molise accoglie sul proprio territorio 396,8 migranti ogni 100 mila abitanti;
   dalle intercettazioni tra Massimo Carminati, Salvatore Buzzi e Luca Odevaine, che figurano nell'inchiesta «Mafia Capitale», si apprende che il clan di Carminati vede il centro temporaneo allestito dopo il sisma del 2002 a San Giuliano di Puglia da riutilizzare per l'accoglienza dei profughi, sino a mille dichiarati, ma in realtà duemila come stimato da Odevaine, come l'oggetto dell'appalto da pilotare –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato;
   se non si ritenga opportuno destinare urgentemente gli alloggi utilizzati per far fronte al sisma del ’97 e il villaggio di San Giuliano di Puglia all'accoglimento degli sfollati, vittime dei terremoti del centro Italia del 2016, chiarendo se sia effettivamente possibile la rimozione delle casette e il loro trasferimento quanto più vicino alle zone di residenza delle comunità evacuate, provvedendo quindi in tal senso;
   se si intendano assumere le iniziative di competenza utili a chiarire la situazione in cui attualmente versa il villaggio di San Giuliano di Puglia, in riferimento agli ospiti e alla gestione, per scongiurare eventuali infiltrazioni mafiose. (5-10000)


   CARRESCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 14 luglio 2016 il Consiglio dei ministri ha approvato in via definitiva, su proposta del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, lo schema di decreto del Presidente della Repubblica relativo alla regolamentazione delle terre e delle rocce da scavo;
   sullo schema di tale decreto la Commissione ambiente della Camera aveva avanzato all'unanimità alcune osservazioni dopo un'ampia consultazione con gli operatori del settore, indicazioni che, stando alle dichiarazioni del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al comunicato stampa della Presidenza del Consiglio, sono state in ampia parte accolte;
   dal 14 luglio sono trascorsi quasi quattro mesi, ma, a differenza di altri provvedimenti analoghi approvati dal Consiglio dei ministri successivamente e quello sulle terre e rocce da scavo e già pubblicati, di quel decreto del Presidente della Repubblica non c’è traccia in Gazzetta Ufficiale;
   nel settore delle opere pubbliche e dell'edilizia privata dalla cui attività si producono terre e rocce da scavo esiste grande attesa per quel decreto che semplificherà le procedure e la conseguente realizzazione anche di opere di grande importanza per il Paese, ma c’è anche grande sconcerto per l'irrituale ritardo relativo alla pubblicazione dell'atto;
   la ricostruzione nei territori del centro Italia colpiti di recente dal sisma comporterà inoltre la produzione di rilevantissimi quantitativi di terre e rocce da scavo che non potranno essere gestite nell'incertezza normativa che l'emanando decreto del Presidente della Repubblica porterà a superare –:
   quali elementi intenda fornire con riguardo ai tempi effettivi di pubblicazione dell'atto in questione in Gazzetta Ufficiale, che dovrebbe avvenire con la massima sollecitudine. (5-10003)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COLONNESE, LOREFICE e BRESCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   quando si parla del sistema di accoglienza italiano, si fa riferimento a tutte quelle procedure e strutture presenti sul territorio nazionale che concorrono all'accoglienza dei richiedenti asilo;
   stando ai dati forniti alla commissione parlamentare di inchiesta sul sistema di accoglienza, di identificazione ed espulsione, nonché sulle condizioni di trattenimento dei migranti e sulle risorse pubbliche impegnate (di seguito solo commissione parlamentare d'inchiesta migranti) dal prefetto Morcone, ai dati rinvenibili sul sito del Ministero dell'interno, nella sezione del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione, al 31 marzo 2016, risultavano 111.081 i migranti in accoglienza in Italia. Di questi, 81.581 erano ospitati in strutture temporanee (più del 70 per cento) e solo la restante quota parte in strutture di cui al Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (Sprar) e nei centri di accoglienza per richiedenti asilo (Cara);
   In Italia esistono diverse tipologie di strutture di accoglienza:
    Cpsa/Cda: Centri di primo soccorso e accoglienza;
    Cara: Centri di accoglienza per richiedenti asilo;
    Cas: Centri di accoglienza straordinaria;
   questi ultimi istituiti, per il tramite delle prefetture, attraverso bando di gara, vengono dati in gestione diretta a seguito della sottoscrizione di una convenzione;
   proprio l'alto numero dei posti in accoglienza, straordinaria desta grande preoccupazione: al momento le informazioni sui Centri di accoglienza straordinaria (Cas) sono frammentate e parziali: non sono ben definiti giuridicamente e a poco più di due anni dalla loro istituzione, i Cas hanno visto crescere il loro «peso» nel sistema di accoglienza in Italia fino a diventarne una componente dominante;
   i numeri descrivono una realtà in costante espansione: attualmente sul territorio italiano sono presenti più di 3.000 Cas, mentre i progetti Sprar, il sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati, gestito dagli enti locali e teoricamente alla base di tutto il modello di accoglienza, sono soltanto 430: tre migranti su quattro sono ospitati in un Cas;
   si tratta di strutture eterogenee, dislocate su tutto il territorio nazionale ed affidate in gestione ai soggetti più diversi, inclusi imprenditori privati, consorzi di vario genere e grandi ditte che nulla conoscono in materia di mediazione, assistenza psicologica e altro;
   in seguito ad ispezioni effettuate dalla Prefettura di Napoli, nonché dalla prima firmataria del presente atto presso alcuni Cas in Campania gestiti da New Family (come il «San Martino resort») e Homo Diogene (strutture che sono state oggetto di diverse interrogazioni parlamentari), è stato rilevato proprio il bassissimo livello degli standard per garantire un'idonea di ospitalità in tale strutture, ad iniziare dalla promiscuità tra generi: uomini, donne e spesso minori ospitati nella stessa struttura, in spazi ristretti: i richiedenti asilo sono sistemati in strutture improvvisate, alberghi, ristoranti o addirittura case private, con servizi di orientamento sociale e legale praticamente assenti ed assistenza sanitaria quasi nulla. Eppure, nonostante quella che appare agli interroganti una modalità di gestione dell'accoglienza da parte dei suddetti soggetti non corretta e già oggetto di sanzioni, essi continuano, a tutt'oggi, ad essere assegnatari di bandi e convenzioni da parte delle prefetture. È urgente e necessario fare luce sulla gestione emergenziale, che produce tutta una serie di facili speculazioni e che può alimentare il business criminale che gira intorno ad un sistema di accoglienza così delineato;
   anche Raffele Cantone, presidente dell'Anac, audito in commissione parlamentare d'inchiesta aveva dichiarato che tra criminalità organizzata e gestione dell'emergenza migranti vi era un legame che da mafia capitale avrebbe portato presto ad altre regioni: un fenomeno a «macchia di leopardo», non per questo meno pericoloso di quello monopolistico di Mafia Capitale; «Noi abbiamo ragione di ritenere che vicende di questo tipo si possano essere verificate in molte realtà e che anche negli ultimi tempi ci siano delle situazioni strane relativamente all'individuazione dei soggetti disponibili, soprattutto in alcune regioni d'Italia, dove ci sono rapporti anomali e anche presenze della criminalità organizzata. Ci sono strutture, tipo alberghi e ristoranti, che operano al di fuori delle logiche di trasparenza» –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, onde superare il sistema di accoglienza così delineatosi nel nostro Paese, che ha dimostrato gravi criticità e il mancato rispetto, da parte di alcune strutture operanti nel settore, della normativa vigente in materia, così come rilevato anche dall'Anac;
   se non si ritenga opportuno assumere iniziative normative, al fine di assicurare un più efficace controllo del livello di professionalità degli operatori e della sussistenza dei requisiti di legge degli assegnatari delle Convenzioni per la gestione dei Cas da parte delle prefetture. (4-14756)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in occasione della trasmissione televisiva «Le Iene» andata in onda il 6 novembre scorso, si è venuti a conoscenza che nei comuni di Foligno, Nocera Umbra, Sellano e Gualdo Tadino, ci sarebbero circa 700 casette in legno realizzate in occasione del terremoto che colpì l'Umbria nel 1997;
   le strutture parrebbero disabitate e disponibili, e potrebbero essere immediatamente destinate alle popolazioni umbre sfollate dalle proprie abitazioni dopo il terremoto del 26 agosto e del 30 ottobre 2016;
   consentire il trasferimento di suddette strutture abitative in legno risolverebbe il problema temporaneo «casa» per circa 2.500 persone, ossia, le metà degli sfollati di Norcia;
   tuttavia, secondo la regione Umbria parrebbe non sia vero che la disponibilità all'uso delle casette esiste da tempo e trasferirle nei luoghi terremotati costerebbe di più che realizzarne di nuove;
   si dichiara inoltre: «sono attualmente gestite dalle amministrazioni comunali in cui insistono ed utilizzate da più soggetti sulla base di comodato d'uso o locate, con la precisa condizione che in caso di necessità le stesse devono essere immediatamente restituite. Scelta, questa, che ha consentito ai comuni di preservare questo patrimonio e non farlo deperire»;
   un addetto alla manutenzione del comune di Foligno, ha spiegato ai microfoni nel corso del servizio andato in onda, che per le casette di legno viene costantemente fatta ogni anno la manutenzione che consiste nella tinteggiatura delle doghe con costi annui di circa 160 mila euro;
   le casette di legno parrebbe vengano affittate per periodi di vacanza ma, sempre a detta dell'addetto alla manutenzione, il contratto prevedrebbe che, in caso di emergenza da terremoto, debbano essere immediatamente sgomberate e messe a disposizione degli sfollati;
   il Governo, dopo l'evento sismico del 30 ottobre 2016 ha comunicato che sarà effettuato un nuovo appalto nazionale per la costruzione di 18 mila casette da destinare alle popolazioni terremotate rimaste senza abitazione. Il costo medio di ciascuna casa in legno è di circa 65 mila euro per un totale di un miliardo di euro;
   tuttavia, dopo l'emergenza del 30 ottobre, di fatto, alle persone sfollate si è preferito dare una collocazione distante dalla crisi sismica, per la maggior parte lungo la costa adriatica di Marche e Abruzzo, con l'obiettivo di riportarle, nel più breve tempo possibile, nei rispettivi luoghi di appartenenza, in container e nella prossima primavera in casette di legno;
   è noto come moltissime persone, soprattutto gli anziani, non vogliano abbandonare le proprie case distrutte o inagibili e intendano restare nei propri luoghi di residenza. La soluzione dell'immediato trasferimento delle circa 730 unità abitative in legno site nei comuni di Foligno, Nocera Umbra, Sellano e Gualdo Tadino potrebbe di fatto tamponare una situazione molto precaria anche per le condizioni climatiche molto rigide di quei territori e inoltre, consentirebbe a parte della popolazione di non dover abbandonare i paesi –:
   se il Presidente del Consiglio sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non ritenga di dover verificare le condizioni delle 730 strutture in legno, che potrebbero essere smontate e utilizzate per le esigenze di Norcia, Cascia, Preci e delle zone limitrofe colpite dal sisma del 30 ottobre 2016;
   se non ritenga, nell'immediato, di dover offrire ai cittadini una collocazione presso i luoghi di residenza, assumendo le iniziative di competenza per agevolare il trasferimento delle casette in legno suindicate, al fine di consentire alle popolazioni terremotate di tornare subito nei propri territori vicino anche ai luoghi di lavoro;
   in caso contrario, se possa chiarire quali siano le motivazioni che non consentano lo spostamento e la collocazione delle 730 strutture di legno disabitate e inutilizzate. (4-14759)


   GRIMOLDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa risulta che è stato inviato al Consiglio di Stato, per il necessario parere, lo schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di cui al comma 210 dell'articolo 1 della legge 208 del 2015 (legge di stabilità 2016), riguardante la chiamata diretta di professori di prima e seconda fascia per complessive 500 unità, a cui verrebbero attribuite posizioni stipendiali particolarmente favorevoli e uno stato giuridico, caratterizzato da norme che fanno eccezione al regime ordinario;
   l'articolo 4 del suddetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri prevedrebbe la nomina, da parte del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dei presidenti delle commissioni giudicatrici, caratterizzati da «elevatissima qualificazione scientifica» e dal ricoprire posizioni di vertice presso istituzioni di ricerca internazionali o in istituzioni situate in Italia, ma con una verosimile caratterizzazione internazionale. A tale fine si dovrebbero creare 25 commissioni per 25 aree disciplinari, già individuate nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   i presidenti di nomina governativa avrebbero poi il compito di nominare due commissari per la commissione di riferimento, scelti entro una lista di 20 nominativi predisposta dall'Anvur;
   al finanziamento di queste cattedre a chiamata diretta, il comma 207 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016, istituisce un fondo speciale al quale sono assegnati, per il 2016, 38 milioni di euro e 75 milioni di euro a decorrere dal 2017;
   le modalità di selezione del presidente e dei commissari destano viva preoccupazione, è infatti la prima volta nella storia repubblicana che professori universitari, per di più in numero rilevante, vengono selezionati da commissioni costituite direttamente e indirettamente dal Governo, ciò in palese violazione dell'articolo 33, primo comma della Costituzione che detta un generale principio di libertà della scienza, che si deve intendere anche come libertà da qualsiasi condizionamento politico nella selezione degli scienziati;
   tutto il meccanismo di reclutamento di queste future èlites accademiche viene quindi sottratto alla comunità scientifica nazionale, per attribuirlo a docenti scelti a livello governativo con una discrezionalità che appare eccessiva, si consideri l'assenza di criteri per individuare la «elevatissima qualificazione scientifica». Va peraltro aggiunto che i membri dell'Anvur, che propongono al presidente di nomina «politica» una lista di 20 candidati per la individuazione degli ulteriori due commissari, sono anch'essi nominati dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   la posizione di assoluto rilievo di questi futuri professori, all'interno dei rispettivi atenei, ben evidenziata dal particolare stato giuridico e dalle eccezionali disponibilità finanziarie per supportare l'attività di ricerca, fa sì che essi appaiano come l'emblema di un possibile, futuro, condizionamento politico della docenza universitaria;
   appare poi di difficile comprensione la creazione di un fondo, dotato di ben 75 milioni di euro, a fronte delle crescenti difficoltà a finanziare i progetti di ricerca di interesse nazionale, a cui afferiscono risorse del tutto inadeguate alle esigenze della ricerca italiana. Per la esiguità dei finanziamenti alla ricerca ordinaria interi settori scientifico disciplinari non hanno potuto ottenere alcun tipo di sostegno economico ai progetti presentati, per la cronica mancanza di finanziamenti al fondo di finanziamento ordinario delle università italiane –:
   se il Governo sia disponibile a modificare radicalmente l'impostazione di siffatto provvedimento per andare nel senso di una selezione di futuri professori a chiamata diretta, del tutto slegata da condizionamenti, anche solo lontanamente riferibili alla politica, garantendo inoltre l'autonomia delle università nel reclutamento del personale docente;
   se il Governo intenda assumere iniziative per aumentare in modo significativo le risorse per il fondo di finanziamento ordinario dell'università italiana;
   se il Governo intenda assumere iniziative per aumentare in modo significativo le risorse destinate al finanziamento dei progetti di ricerca di interesse nazionale, garantendo un ben più ampio finanziamento dei progetti di ricerca rispetto a quanto avviene oggi. (4-14761)


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 29 gennaio 2010 la Confederazione nazionale delle associazioni per la coscienza di Krishna, avente sede a Roma, in via Sardegna n. 55 — presentava al Ministero dell'interno una formale e documentata istanza, volta ad ottenere il riconoscimento come ente religioso, ai sensi dell'articolo 2 della legge 1159 del 1929 e degli articoli 10 e 11 del regio decreto 289 del 1930, con la denominazione di «Congregazione Italiana per la Coscienza di Krishna». Dopo una lunga istruttoria, durata oltre 4 anni, ad ottobre 2014 il Consiglio di Stato esprimeva parere favorevole all'invocato provvedimento e la direzione centrale dei culti presso il Ministero dell'interno predisponeva lo schema del decreto del Presidente della Repubblica, finalizzato al richiesto riconoscimento, su proposta del Ministro dell'interno. Detto schema di decreto del Presidente della Repubblica veniva trasmesso alla Presidenza del Consiglio dei ministri — e, in particolare, al dipartimento per gli affari giuridici e legislativi (DAGL). Il 3 giugno 2015, in assenza di notizie, la Congregazione formulava una richiesta di aggiornamento alla direzione centrale dei culti del Ministero dell'interno, che, a quanto consta all'interrogante, confermava la giacenza attuale dello schema di decreto del Presidente della Repubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, evidentemente per un rallentamento delle procedure;
   gli Hare Krishna sono il ramo monoteista dell'Induismo, con decine di milioni di fedeli in India, in Bangladesh e in Indonesia, trapiantato cinquant'anni orsono in Occidente e oggi punto di riferimento e ponte culturale tra le comunità indiane e bengalesi del nostro Paese e l'Italia. Considerando che i ministri di culto sono tutti italiani, questo rende naturale lo scambio, la comprensione tra culture e tradizioni religiose diverse. Nel 1997, vista l'espansione del Movimento Hare Krishna in Italia, fu deciso di riunire le associazioni locali in una confederazione nazionale che fungesse da coordinamento e che rappresentasse il Movimento Hare Krishna, con i suoi valori, presso lo Stato italiano. Pertanto, il 10 settembre 1998, con decreto del Ministero dell'interno, la confederazione nazionale delle associazioni per la coscienza di Krishna è stata riconosciuta come ente morale. Al momento attuale si contano più di 400 templi nel mondo, con circa 50.000 devoti iniziati e consacrati alla missione, e milioni di devoti/fedeli che frequentano i templi. In Europa, in particolare, vi sono centri di Krishna in ogni grande città. Negli ultimi vent'anni le comunità indiana, mauriziana e del Bangladesh sono salite in Italia dalle 30.000 unità, alle 90.000 e, tra i membri di queste comunità, almeno il 30 per cento sono hindu di fede Vaishnava- Krishnaita; questo ha contribuito largamente allo sviluppo del movimento Hare Krishna in Italia ed al conseguente incremento dei devoti che partecipano alle attività nei centri della Confederazione, i quali ad oggi possono essere valutati in alcune migliaia, senza contare coloro che partecipano alle feste e alle processioni dei carri che si svolgono da anni a Milano, Viareggio e Roma –:
   se il Governo non ritenga sia giunto il momento di assumere tutte le iniziative di competenza per procedere al riconoscimento come ente religioso, dopo anni di attesa e dopo che la Congregazione ha ottemperato a tutte le richieste di chiarimento secondo la legge italiana e le sue procedure. (4-14762)


   FERRARESI, DELL'ORCO, SPADONI, SARTI, DALL'OSSO e PAOLO BERNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dei terremoti del maggio 2012, avvenuti in Emilia-Romagna, per favorire l'opera della ricostruzione, è stata autorizzata l'assunzione di personale, da parte della struttura commissariale, a supporto in particolare degli uffici comunali che a tale opera si sono dedicati; i commi 8 e 9 dell'articolo 3-bis del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, così come convertiti e modificati, hanno previsto l'assunzione con contratti di lavoro flessibile;
   centinaia di persone sono state «somministrate» dalle agenzie per il lavoro attraverso bandi di gara biennali promossi dalla struttura commissariale della regione, con contratti di breve durata (fino ad un massimo di sei mesi) continuamente rinnovati;
   a distanza di oltre quattro anni, questo personale si trova nella situazione paradossale di vivere un'esperienza di così lunga durata, in un contesto pubblico di questo tipo, che difficilmente potrà essere utilizzata per trovare occupazione sul mercato del lavoro privato, in assenza di un supporto formativo ulteriore e specifico;
   tale riflessione è stata condivisa sia in sede sindacale che con la struttura commissariale: aspetto qualificante per l'affidamento del servizio di somministrazione di giugno 2015 è stato proprio l'impegno dell'Agenzia alla formazione del personale; formazione che però, a quanto consta agli interroganti, si sarebbe limitata, dal giugno 2015 ad ottobre 2016, ad un solo corso di formazione di 4 ore sull'anticorruzione;
   non si può tacere il fatto che, come da numerose testimonianze pervenute agli interroganti dagli interessati, diverse unità di questo personale in realtà risulterebbero essere state utilizzate dai comuni per attività all'interno degli uffici non attinenti con la ricostruzione, evidenziando un problema da un lato di non sufficiente valutazione sulle reali necessità e sui fabbisogni, oltre che sulla collocazione del personale, e dall'altro della dispersione delle competenze;
   la scelta della modalità di reclutamento del personale necessario di supporto alla ricostruzione attraverso la somministrazione può ritenersi discutibile, in quanto gli aspetti intrinseci della precarietà ed occasionalità male si confanno ad un servizio che è, ad ora, durato oltre quattro anni, in prossimità della nuova gara di affidamento, ed anche nella prospettiva della inevitabile riduzione delle necessità; con il progredire della ricostruzione, vi è la necessità di prevedere una soluzione occupazionale maggiormente stabile per chi vi ha lavorato;
   si ritiene che nel nuovo bando promosso dalla struttura commissariale sia importante, a tal fine, l'inserimento di premialità in funzione dei risultati che si realizzano di fuoriuscita dal programma della ricostruzione e l'inserimento nel settore privato con contratti stabilizzati; così come andrebbe valorizzata l'esperienza specifica acquisita in bandi di concorsi pubblici, sia nel settore della protezione civile che degli enti locali –:
   se non si ritenga di assumere iniziative, per quanto di competenza, per favorire il percorso di ricollocamento occupazionale del personale impiegato nella ricostruzione post terremoto dagli enti pubblici, anche al fine di non disperdere un patrimonio di competenze e professionalità maturato negli anni. (4-14764)


   RICCIATTI, SCOTTO, FRATOIANNI, MELILLA, ZARATTI, PELLEGRINO, NICCHI, COSTANTINO, FERRARA, PIRAS e DURANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   gli eventi sismici che hanno colpito il Centro dell'Italia (Marche, Umbria e Lazio), a partire dal 24 agosto 2016, hanno interessato un'area molto ampia del territorio, con effetti di maggiore intensità a seconda della prossimità all'area dell'epicentro;
   secondo le stime riportate da Antonio Piersanti, sismologo dell'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv), basate sui dati elaborati dalla stessa Ingv insieme al Cnr-Inea, l'area dalle scosse di terremoto del 30 ottobre in Centro Italia è superiore ai mille chilometri quadrati (Agi, 2 novembre 2016);
   un'area così vasta ha creato enormi disagi alle popolazioni residenti in quelle aree, anche nei comuni colpiti da eventi sismici di intensità minore;
   gli effetti del sisma sugli immobili hanno costretto diversi nuclei familiari ad abbandonare le proprie abitazioni, vedendosi essi in alcuni casi costretti ad attivare interventi di messa in sicurezza a proprie spese;
   in particolare, si segnala un caso verificatosi nel comune di Falerone (Fermo), sottoposto all'interrogante, del quale ha dato rilievo la testata Il Corriere Adriatico del 10 novembre 2016;
   il caso riguarda un residente del comune citato, il signor Marco Viola, che ha visto la propria abitazione, insieme a quelle dei suoi familiari (tre abitazioni per sette persone tutte ubicate nel centro cittadino), gravemente danneggiate dagli ultimi eventi sismici, al punto da dover abbandonare gli immobili;
   l'articolo di stampa richiamato riporta come, a seguito dei sopralluoghi effettuati dal personale tecnico del comune di Falerone, il comune abbia intimato con una ordinanza la messa in sicurezza delle tre abitazioni. In caso contrario, interverrà d'ufficio, addebitando le spese alle 3 famiglie interessate;
   il signor Viola si è prontamente attivato, chiedendo una stima dei costi degli interventi necessari per la messa in sicurezza e, non avendo la disponibilità economica necessaria, si è rivolto ad un istituto di credito per ottenere un prestito. Prestito che non è stato concesso dall'istituto;
   oltre ai danni subiti e al disagio di dover cercare una nuova abitazione temporanea per sé e la propria famiglia (che vede nel nucleo familiare una bimba di 10 mesi), vi è l'impossibilità di far fronte ai costi economici della messa in sicurezza –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative per monitorare situazioni come quella richiamata in premessa;
   se i fondi per la ricostruzione copriranno i costi per la messa in sicurezza degli immobili anche per i comuni colpiti da fenomeni sismici di minore intensità, in particolare a copertura della messa in sicurezza delle proprietà di persone non in grado di sostenere autonomamente le spese delle ristrutturazioni;
   in alternativa, quali iniziative di competenza intenda adottare per far fronte a situazioni come quella illustrata in premessa. (4-14769)


   NESCI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un editoriale del direttore Paolo Pollichieni, apparso il 31 ottobre 2016 sul portale web di «Il Corriere della Calabria», viene approfondita la vicenda dell'incompatibilità del direttore generale dell'asp di Cosenza, Raffaele Mauro, ricostruita in altri articoli, precedenti, della stessa testata;
   nel citato articolo si fa riferimento a «un magistrato il cui marito (ovviamente per mera coincidenza) lavora nel settore diretto da Raffaele Mauro presso l'asp di Cosenza»;
   in sostanza, prima della nomina a direttore generale dell'asp di Cosenza, lo stesso Mauro, già dirigente della medesima azienda, intentò e vinse una causa di lavoro, vedendosi riconosciute le pretese per depressione procurata da pressioni e stress nell'ambito del proprio ufficio;
   divenuto direttore generale, Mauro non impugnò la sentenza e, addirittura, riporta «Il Corriere della Calabria», revocò l'incarico a un avvocato dell'azienda che aveva proposto l'impugnazione della riferita sentenza;
   nel suo pezzo, il giornalista Pollichieni riferisce degli attacchi che Mauro ha raccontato nel fornire pubblicamente la sua versione dei fatti;
   «in tali periodi – riporta Pollichieni delle affermazioni di Mauro – ho subito l'avvelenamento del cane, minacce di morte e danneggiamenti all'automobile, nonché, l'occupazione della struttura da me diretta, con conseguente intervento della Digos, in più circostanze. Di fronte a tali aggressioni ed alle minacce di cui ero oggetto, invece di registrare la solidarietà dei vertici aziendali pro-tempore, venivano esercitate ingerenze nell'espletamento delle mie funzioni, con l'intento di operare una mia rimozione dall'incarico ricoperto»;
   «a fronte di tutto questo, nessuna denuncia, nessun – obietta Pollichieni – esposto alla magistratura, nessuna relazione»;
   «niente di tutto questo – prosegue l'articolo di Pollichieni – perché secondo il dottor Mauro un dirigente minacciato e vessato cosa fa: “Ho dovuto, pertanto, ricorrere alla causa di servizio, come extrema ratio, al fine di invocare la tutela aziendale nei miei confronti. Ero costretto in quel periodo a subire un grave stato di stress, in quanto mi sentivo isolato e non supportato dal management pro-tempore. Inevitabilmente, solo il riconoscimento della dipendenza da causa di servizio poteva essere l'unica ed estrema tutela nei confronti della mia condizione lavorativa ed esistenziale. Tutto questo, unicamente, per aver operato nel rispetto della legalità e nell'interesse della Pubblica amministrazione”»;
   «ma – prosegue il direttore di Il Corriere della Calabria – il direttore generale Raffaele Mauro decide anche di giocare d'anticipo così, candidamente, ammette, “la sentenza interviene a novembre 2015, riconoscendo un danno alla persona ascrivibile all'ottava categoria, tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981 n. 834; tale condizione è pienamente compatibile con l'espletamento di qualsiasi attività lavorativa, ivi compresa quella di direttore generale aziendale”»;
   Pollichieni virgoletta, più avanti, le dichiarazioni pubbliche del Mauro a difesa della propria posizione;
   il dottor Mauro in qualità di direttore generale dell'asp di Cosenza avrebbe ricevuto la notifica della sentenza emessa in suo favore riferita al periodo in cui era dipendente della medesima azienda;
   sarebbe opportuno chiarire la data dell'autocertificazione con la quale il dottor Mauro ha assunto di non avere alcun contenzioso in essere con l'asp che si candidava a dirigere, nonché verificare se quando il dottor Mauro presentò la domanda per la nomina al vertice dell'Azienda informò la regione Calabria che aveva trascinato in giudizio l'asp che voleva guidare –:
   se si intenda valutare se sussistono i presupposti per assumere le iniziative di competenza, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, ai sensi dell'articolo 2, comma 80, della legge n. 191 del 2009, volte a revocare l'incarico al direttore generale dell'azienda sanitaria provinciale di Cosenza, la cui condotta appare agli interroganti essere stata di ostacolo ad un funzionamento trasparente, efficiente e corretto della sanità calabrese. (4-14772)


   PAGLIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della legge 22 febbraio 2000, n. 28 («Disposizioni per la parità d'accesso ai mezzi d'informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica»), a far data dalla convocazione dei comizi e fino alla chiusura delle operazioni di voto «è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni»;
   in particolare, il divieto di cui all'articolo 9 della legge n. 28 del 2000 è direttamente destinato alle «amministrazioni pubbliche» intese come enti e organi e non già come i singoli soggetti che ne esercitano le funzioni, e «mira ad evitare che la comunicazione istituzionale delle amministrazioni venga piegata ad obiettivi elettorali, promuovendo l'immagine dell'ente, dei suoi componenti o di determinati attori politici, in violazione degli obblighi di neutralità politica degli apparati amministrativi (articolo 97 Costituzione), della necessaria parità di condizione fra i candidati alle elezioni e della libertà di voto degli elettori (articolo 48 Costituzione)»;
   in data 4 novembre 2016 il sindaco di Costermano (Verona) Stefano Passarini invia una lettera protocollata su carta intestata del comune, indirizzata a tutte le elettrici e gli elettori del comune, in cui esprime valutazioni di parte sul referendum costituzionale, invitando di fatto a votare «Sì» e annuncia l'organizzazione di quattro iniziative pubbliche a cura del comune per propagandare le proprie ragioni;
   tale iniziativa appare in aperto contrasto con la suddetta normativa –:
   se il Governo intenda assumere iniziative normative per implementare la disciplina concernente la par condicio in campagna elettorale, eventualmente rafforzando i meccanismi sanzionatori, in modo da evitare il ripetersi di casi come quello esposto in premessa. (4-14778)


   CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel marzo 2015 ADI (Associazione dottorandi e dottori di ricerca italiani) e FLC-CGIL hanno promosso la Campagna nazionale #perchènoino ? per l'estensione dell'indennità di disoccupazione denominata «Dis-Coll» anche agli assegnisti, borsisti e dottorandi di ricerca;
   l'Inps, con circolare 83 del 27 aprile 2015, ha fornito istruzioni operative, illustrando i criteri di erogazione dell'indennità «Dis-Coll». La circolare nel definire i destinatari del nuovo trattamento riprende il testo normativo (articolo 15 del decreto legislativo n. 22 del 2015) includendo tutti i lavoratori il cui rapporto di lavoro sia riconducibile, per le proprie caratteristiche, alla collaborazione coordinata e continuativa;
   il rapporto di collaborazione è contraddistinto da assenza di un vincolo di subordinazione, prestazione resa a favore di un committente, rapporto unitario e continuativo, nessun impiego di mezzi organizzati da parte del collaboratore e retribuzione periodica prestabilita;
   si segnala che non è stato approvato un emendamento che estendeva la «Dis-Coll» anche ai «titolari di assegni di ricerca di cui all'articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e all'articolo 51 della legge 27 dicembre 1997, n. 449», disponendo, a tal fine, lo stanziamento di 289 milioni di euro per l'anno 2016 e di 73 milioni di euro per l'anno 2017;
   il 15 gennaio 2016 il Sottosegretario Faraone ha sostenuto, in proposito, che, pur essendo assoggettati alla medesima contribuzione nella gestione separata INPS, «(..) tali soggetti (assegnisti, borsisti e dottorandi) svolgono attività non riconducibili alle collaborazioni coordinate e continuative. Tali fattispecie, infatti, hanno una finalità diversa da quelle per le quali è stata introdotta la norma sopra richiamata, ovvero quello di formare studiosi altamente qualificati mediante lo svolgimento di attività di studio e di ricerca scientifica». In pratica, affermando che assegnisti, borsisti e dottorandi sono esclusi dalla fruizione della «Dis-Coll» perché studenti;
   la norma (articolo 15 del decreto legislativo n. 22 del 2015) ha previsto l'esclusione dalla «Dis-Coll» di talune figure (gli amministratori e i sindaci) e lo ha fatto in modo esplicito. Ogni eventuale altra esclusione, comunque motivata da una presunta ratio legis, cede il passo di fronte ad una interpretazione letterale chiaramente omnicomprensiva (articolo 12 delle preleggi al codice civile). L'indagine per la corretta interpretazione di una disposizione legislativa deve essere condotta in via primaria sul significato lessicale che, se chiaro ed univoco, non consente l'utilizzazione di altre vie di ricerca (sentenza della Cassazione sezioni unite 82/4000 e sentenza della Cassazione 88/6907; vedere anche le sentenze n. 93/11359 e n. 5128/2001);
   oltre un terzo del personale accademico, circa 60.000 persone, è composto da queste figure, senza le quali gli atenei e gli enti non potrebbero garantire gran parte delle proprie attività di ricerca e didattica;
   il Sottosegretario Faraone, in una nota del 16 gennaio 2016 affidata alla sua pagina Facebook, si impegnava scrivendo: «Per la vicenda Dis-coll, gli assegnisti di ricerca hanno ragione. Per loro ci assumiamo l'impegno di prevedere adeguati ammortizzatori sociali (....) dobbiamo trovare comunque un istituto di tutela per l'adesso per coloro che lavorano con contratti co.co.co. Tali sono gli assegni di ricerca. E hanno perfettamente ragione» –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti finora esposti e se, alla luce di quanto emerge in premessa, non ritenga opportuno assumere iniziative per l'equiparazione di assegnisti, borsisti e dottorandi di ricerca con coloro che lavorano con contratti di collaborazione coordinata e continuativa;
   se, nell'ipotesi di impossibilità di estendere direttamente la «Dis-Coll», abbia previsto, o in caso contrario se non ritenga doveroso prendere iniziative finalizzate a individuare adeguati istituti di tutela per queste figure. (4-14779)


   TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   organi di stampa (tra cui l'agenzia Adnkronos) hanno riferito il contenuto di un intervento del Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento Maria Elena Boschi, nel corso di un incontro con i comitati esteri per il «Sì» alla riforma costituzionale, svoltosi il 10 novembre 2016, in base al quale il Governo starebbe inviando a tutti gli italiani all'estero una lettera del Presidente del Consiglio per il voto nel referendum del 4 dicembre. Il Ministro ha specificato che questa lettera arriverà in contemporaneità cronologica, ma separatamente, rispetto alle schede per il voto referendario. Ci si domanda quale sia l'utilità di questa iniziativa, dato che è presumibile ritenere che si tratterà di un ennesimo strumento di propaganda tra i tanti che ad avviso dell'interrogante, il Governo sta impropriamente utilizzando, esercitando con dubbie modalità le proprie funzioni istituzionali, e quali siano i costi di questa operazione; a tal proposito, si considera infatti che i soli italiani registrati presso l'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (A.I.R.E.) ammontavano al 2016 a ben 4.811.163 e che questo dato non tiene conto degli italiani temporaneamente residenti all'estero che saranno coinvolti dalla consultazione referendaria. Ciò al fine di valutare la portata dell'utilizzo di questo strumento e la sua capacità di incidere sul corretto ed equilibrato svolgimento della campagna per il referendum costituzionale –:
   per quale motivo il Governo stia  inviando milioni di lettere del Presidente del Consiglio dei ministri agli italiani residenti all'estero contestualmente alle schede elettorali per il referendum costituzionale del 4 dicembre e a quanto ammontino complessivamente le spese per tale invio. (4-14780)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SPADONI, MANLIO DI STEFANO, SIBILIA, DI BATTISTA, SCAGLIUSI, GRANDE e DEL GROSSO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 26 ottobre 2016, il Ministro interrogato, nel corso del question time n. 3-02584 in Assemblea a prima firma Di Stefano, relativo all'effettiva autorizzazione del transito e dell'esportazione di armamenti dall'Italia verso l'Arabia Saudita, ha replicato che l'Arabia Saudita non è oggetto di alcuna forma di embargo, sanzione o restrizione internazionale nel settore delle vendite di armamenti e che «Naturalmente, ove in sede Nazioni Unite o Unione europea fossero accertate eventuali violazioni, l'Italia si adeguerebbe immediatamente a prescrizioni o divieti»;
   l'Arabia Saudita è impegnata da oltre 19 mesi in una campagna di bombardamenti in Yemen contro i civili che, secondo stime ONU, ha causato finora quasi 7 mila morti, oltre 35 mila feriti e almeno 3 milioni di sfollati;
   secondo Amnesty International e Human Rights Watch, l'Arabia Saudita commette «gravi e sistematiche violazioni dei diritti umani» all'estero e all'interno del Paese e sfrutta la propria posizione all'interno del Consiglio dei diritti umani per ostacolare efficacemente la ricerca della giustizia per i possibili crimini di guerra nello Yemen;
   ai sensi dell'articolo 1, comma 6, della legge 9 luglio 1990, n. 185, l'esportazione ed il transito di materiali di armamento sono vietati verso i Paesi in stato di conflitto armato, verso Paesi la cui politica contrasti con i principi dell'articolo 11 della Costituzione, verso i Paesi i cui Governi sono responsabili di gravi violazioni delle convenzioni internazionali in materia di diritti umani;
   sono triplicate tutte le esportazioni di armamenti nell'ultimo anno, passate da 2,9 miliardi nel 2014 a oltre 8,2 miliardi di euro nel 2015; questa cifra comprende sia le esportazioni per programmi di cooperazione intergovernativa, armi esportate a Paesi dell'Unione europea o della NATO, sia le autorizzazioni all'esportazione di sistemi militari ad altri Paesi, che hanno raggiunto i 4,7 miliardi, tra cui anche l'Arabia Saudita;
   durante l'audizione del 9 novembre 2016, presso il Comitato permanente sull'attuazione dell'Agenda 2030 e gli obiettivi di sviluppo sostenibile della Commissione affari esteri, il Vice Ministro Mario Giro ha sostenuto che non si possono vendere armi ai Paesi in guerra; in tal senso, a parere degli interroganti, il nostro Paese continua a non rispettare pienamente la normativa sul controllo dell'esportazione, importazione e transito dei materiali di armamento;
   nel disegno di legge di bilancio 2017, la cooperazione italiana allo sviluppo ha subìto un taglio di 36 milioni di euro, senza alcuna comunicazione al Vice Ministro, il quale ha poi dichiarato nell'articolo apparso il 7 novembre su Info-cooperazione.it, «Aumento dei fondi per la cooperazione a rischio. Duro attacco del VM Giro ai burocrati del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale», di non essere stato avvertito del citato taglio ai fondi alla cooperazione;
   la delibera del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale n. 1845 del 22 febbraio 2016, che ha disposto il finanziamento dell'iniziativa di emergenza in Yemen e nei Paesi limitrofi per un importo non superiore a 1.500.000 euro, palesa la necessità di rispondere alla crisi umanitaria considerato lo stato di emergenza determinato dalle violenze in corso –:
   se non intenda assicurare il massimo coordinamento tra i responsabili politici, e anche amministrativi, del Ministero sulla materia in questione e, in particolare, se non intenda fornire chiarimenti in merito all'asserita mancata informazione del Vice Ministro sugli intendimenti relativi alle risorse destinate alla cooperazione come descritto in premessa;
   come intenda sanare l'evidente contrasto tra la politica italiana di export di armi verso Paesi in guerra, o che commettono gravi violazioni dei diritti umani nei confronti di civili, e la politica di finanziamento delle agenzie ONU come l'Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (UNHCR) per crisi umanitarie causate anche dalla stessa vendita di armi italiane. (5-10009)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 novembre 2016 l'interrogante apprendeva dal sito internet «infocilento.it» che nel comune di Vallo della Lucania, nei pressi dell'asilo comunale e del parco Spes sono stati abbattuti circa dieci alberi di pino di medio fusto;
   il comune non forniva alcuna comunicazione sui motivi che conducevano a tale decisione;
   la cittadinanza esprimeva forte senso di contrarietà, stante il simbolo che il parco rappresentava per la città stessa;
   la cittadinanza lamentava, inoltre, che l'abbattimento degli alberi era dovuto al ritardo nell'intervento manutentivo da parte dell'amministrazione comunale e che se fosse stato attuato tempestivamente si sarebbe potuto evitare l'abbattimento dei fusti;
   i cittadini decidevano quindi di riunirsi lo stesso giorno 10 novembre 2016 per costruire un comitato di vigilanza ambientale;
   le zone verdi all'interno dei centri urbani devono essere al centro di tutela e cura costante da parte dell'amministrazione cittadina;
   nella fattispecie si trattava di importanti fusti di pino –:
   quali elementi si intendano fornire sui fatti descritti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano assumere per salvaguardare gli alberi monumentali. (5-10004)

Interrogazioni a risposta scritta:


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo la circolare del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 1o luglio 2016 n. 0010045, che risponde alla nota della direzione generale per l'ambiente dell'Unione europea del 9 dicembre 2015 n. 5705403, si prevede che un rifiuto cessa di essere tale (end of waste) quando è stato sottoposto ad un'operazione di recupero e soddisfa criteri specifici da adottare nell'ambito delle seguenti condizioni (articolo 184-ter del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni:
    a) la sostanza o l'oggetto è comunemente utilizzato per scopi specifici;
    b) esiste un mercato o una domanda per tale sostanza od oggetto;
    c) la sostanza o l'oggetto soddisfa i requisiti tecnici per gli scopi specifici e rispetta la normativa e gli standard esistenti applicabili ai prodotti;
    d) l'utilizzo della sostanza o dell'oggetto non porterà a impatti complessivi negativi sull'ambiente o sulla salute umana;
   queste condizioni generali necessitano di ulteriori specificazioni che sono rimandate a criteri comunitari. In mancanza di questi è possibile per gli Stati membri decidere per tipologie omogenee di rifiuti quando un determinato rifiuto cessi di essere tale. I criteri includono, se necessario, valori limite per le sostanze inquinanti e tengono conto di tutti i possibili effetti negativi sull'ambiente della sostanza o dell'oggetto;
   criteri così generali non sono però sufficienti alla complessa filiera del riciclo, sempre in costante sviluppo. In particolare, essi sono inefficaci nel definire un quadro normativo certo per alcune attività importantissime nell'ambito dell'economia circolare. In tal senso, è emblematico il caso di Fater spa che, accanto ad un'esperienza di eccellenza mondiale nel recupero di pannolini commerciali, grazie alla collaborazione con Contarina, non riesce a ottenere dalla regione Veneto la possibilità di aggiornamento dell'impianto di riciclo per quello che appare all'interrogante un «rimpallo» burocratico tra regione Veneto e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   nonostante l'importanza strategica del progetto sia stata manifestata alla regione Veneto dalla stessa Commissione europea ad oggi la risposta della regione è stata di esprimersi attraverso un atto amministrativo che, mentre autorizza l’upgrade impiantistico di cui sopra e rappresenta l'opportunità di qualificare la plastica come non rifiuto purché certificata UNI 10667, dichiara anche che la regione non ha la potestà per emanare criteri specifici per l’end of waste (necessari per cellulosa e superassorbente), reclamando la troppa genericità della citata circolare ministeriale e ritenendola non sufficientemente chiara –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della questione, se ritenga fondate le critiche mosse dalla regione Veneto, e se non ritenga opportuno, anche per evitare svantaggi competitivi ad attività ad alto contenuto tecnologico e innovativo che permettono all'Italia di essere all'avanguardia sul fronte del recupero dei materiali assumere iniziative per definire un elenco di criteri « end of waste» più puntuale anche conformemente alla normativa comunitaria. (4-14758)


   BRESCIA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la località marina di Punta Penna Grossa, all'interno dell'area protetta di Torre Guaceto, è meta di numerosi turisti che vi si recano con le loro autovetture. Ciò causa importanti problemi di traffico e parcheggio nelle zone limitrofe e rappresenta un ostacolo in situazioni di emergenza;
   fino all'estate 2015, il Consorzio di gestione di Torre Guaceto ha svolto servizio di sosta temporanea su area agricola, previa autorizzazione rilasciata annualmente dal comune di Carovigno;
   nel 2013 il Consorzio ottiene un finanziamento dalla regione Puglia nell'ambito del P.O. 2007/2014 per la realizzazione del progetto «Torre Guaceto Paesaggio come Museo», che prevede la creazione di un'area parcheggio per lo scambio intermodale auto/bici/mezzo di trasporto collettivo. Il 23 gennaio 2015 il Consorzio decide di non realizzare il parcheggio e di utilizzare il finanziamento per la manutenzione straordinaria della torre aragonese;
   il 28 maggio 2015 il Consorzio delibera di spostare le aree di parcheggio della riserva in zone più distanti rispetto agli habitat prioritari e comunitari;
   il 16 luglio 2015 il Consorzio risolve il contratto di diritto di superficie e il 29 dicembre 2015 approva un progetto preliminare d'intervento sulla mobilità sostenibile attraverso un parcheggio nelle nuove aree di reperimento. Con nota del 13 gennaio 2016 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare finanzia la progettazione e l'acquisizione delle aree;
   il 23 maggio 2016 il Consorzio chiede al comune di Carovigno di individuare aree di sosta per gli utenti della riserva di Torre Guaceto. L'amministrazione comunale indice una manifestazione d'interesse per tutti i proprietari di terreni agricoli presenti sulla costa carovignese;
   la Cooperativa D&A chiede al comune di Carovigno l'autorizzazione per creare un parcheggio e nel maggio 2016 presenta all'ufficio tecnico una comunicazione di inizio lavori per l'installazione di strutture in legno. I lavori sono bloccati dai Carabinieri per abusivismo, con revoca della comunicazione di inizio lavori da parte del comune;
   la Cooperativa presenta ricorso al Tar contro l'ordinanza del 7 maggio 2016 n. 52 del responsabile del servizio area assetto del territorio – urbanistica del comune di Carovigno;
   è attivato un servizio navetta a cura della Società trasporti provinciale (Stp) da Serranova a Punta Penna Grossa per i turisti che raggiungono le spiagge parcheggiando presso il centro visite Al Gawsit;
   il 24 giugno 2016 il consiglio comunale approva la delibera n. 20 per regolamentare i parcheggi in aree private lungo la costa con una manifestazione di interesse per la creazione e gestione di parcheggi temporanei. A metà luglio 2016 nessun'area risulta assegnata agli operatori che avevano manifestato interesse;
   il 7 luglio 2016 la cooperativa ottiene la sospensiva dal Tar e attiva l'area di parcheggio; il comune di Carovigno sospende il servizio della Stp. Nelle settimane successive la magistratura sequestra il parcheggio a causa di strutture in legno abusive. Il comune di Carovigno riattivava il servizio Stp;
   il 4 agosto 2016 il comune di Carovigno autorizza il Consorzio e la Cooperativa D&A a svolgere attività di parcheggio su due aree agricole adiacenti. La gestione del servizio risulta comunque problematica e contribuisce ad allontanare numerosi fruitori dalla riserva;
   inoltre, la gestione del sistema parcheggi ad opera del comune di Carovigno ha portato spesso i cittadini a parcheggiare in aree non autorizzate con il rischio di danneggiare il patrimonio naturalistico rappresentato dalla riserva naturale di Torre Guaceto –:
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, al fine di tutelare e valorizzare la spiaggia di Punta Penna Grossa, insignita della «bandiera blu», e il patrimonio naturalistico della riserva naturale di Torre Guaceto;
   di quali elementi disponga circa le cause che hanno impedito di assicurare gli opportuni servizi nella spiaggia attrezzata di Punta Penna Grossa e di attivare le procedure per la realizzazione di un'area parcheggio pubblica per la quale lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha concesso finanziamenti al Consorzio;
   quali misure specifiche intenda promuovere a tutela del patrimonio naturalistico della riserva naturale di Torre Guaceto. (4-14770)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   le regole dell'Unione europea in materia di concorrenza, recepite dal Parlamento italiano, sono pensate per garantire condizioni eque e leali, lasciando nel contempo spazio all'innovazione e promuovendo standard uniformi e lo sviluppo delle piccole imprese;
   nell'agosto del 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) ha avviato un'indagine conoscitiva nel settore della gestione dei rifiuti urbani, a seguito di numerose segnalazioni che suggerivano la presenza di diverse criticità concorrenziali nel settore. L'indagine si è conclusa nel 2016 con l'individuazione di una serie di proposte migliorative tra le quali:
    gli affidamenti non dovrebbero superare la durata massima di cinque anni stabilita per via normativa. Ciò al fine di rendere più frequente, per quanto possibile, il confronto concorrenziale simulato dalla gara;
    le dimensioni dei bacini per l'affidamento del servizio di raccolta e dei cosiddetti ambiti territoriali ottimali (ATO), all'interno dei quali deve avvenire l'intera gestione dei rifiuti urbani, devono essere funzionali alla realizzazione di un servizio efficiente e alla concorrenzialità delle gare. Occorre l'adeguamento delle dimensioni a quelle ottimali (80.000-90.000 tonnellate/30.000-100.000 abitanti);
    le dimensioni dei bacini per l'affidamento delle fasi a valle della raccolta differenziata dovrebbero essere quantomeno pari al territorio regionale, al fine di garantire che in un mercato liberalizzato gli affidatari del servizio di raccolta possano fare riferimento a un numero adeguato di impianti di TMB, di TMV e di discariche e non siano dipendenti da pochi soggetti dotati di potere di mercato;
   sotto il profilo della governance degli affidamenti, inoltre, al fine di ridurre le ingiustificate restrizioni derivanti dall'integrazione verticale delle imprese, l'autorità antitrust auspica che si mantenga separata la gestione dei due segmenti della filiera (raccolta e fasi a valle), introducendo due livelli istituzionali differenti, come già succede in alcune regioni;
   l'autorità d'ambito Toscana Centro, comprendente una popolazione di circa 1.500.000 abitanti, ha proceduto, ai sensi dell'articolo 202 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 26, comma 1, della legge regionale n. 61 del 2007, al primo affidamento del servizio di gestione integrata dei rifiuti urbani e assimilati, individuando un solo gestore. L'affidamento ha la durata di anni 20, a partire dalla data di sottoscrizione del contratto di servizio –:
   se siano a conoscenza dei fatti sopra riportati e se non ritengano di assumere, per quanto di loro competenza, le opportune iniziative normative urgenti allo scopo di recepire e rendere cogenti le proposte migliorative indicate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. (4-14775)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nella biblioteca comunale di Massa Martana, in provincia di Perugia, si è scoperto, solo nel febbraio 2016, che nel settembre del 2014, sono andati distrutti una parte dei lasciti di Ottorino Giuseppe Caramazza e di Don Angelo Alcini;
   il cosiddetto fondo O.G. Caramazza era costituito da una raccolta libraria comprendente rari e pregevoli volumi dei secoli scorsi che il cittadino massese aveva ricevuto dal padre e successivamente donato alla biblioteca comunale;
   al momento della distruzione, il fondo si trovava, insieme ai volumi della donazione Alcini, negli stessi locali in cui era collocato anche del materiale bibliografico predisposto per lo scarto e del quale era stato deciso l'invio al macero;
   la biblioteca si trova nell’ex Convento di Santa Maria della Pace e il servizio è affidato alla cooperativa Teca, gestore unico delle biblioteche dell'Unione dei comuni cui afferisce anche il comune di Massa Martana;
   la distruzione di tale patrimonio ha rappresentato un grave e ingente danno materiale e culturale per la comunità;
   dal 1972 O.G. Caramazza era impegnato nell'opera di allestimento del Museo Flaminio Massetano, per incarico gratuito ricevuto dall'amministrazione comunale di Massa Martana;
   della ricca collezione di reperti del territorio da lui collazionati una parte è stata destinata al Centro documentazione dei Monti Martani, realizzato con finanziamenti di oltre 300.000 euro, gran parte dei quali a valere sui fondi del Gruppo di azione locale – Media Valle del Tevere, e inaugurato nel 2006 grazie alla collaborazione tra Soprintendenza archeologica dell'Umbria, Pontificia Commissione di archeologia sacra e comune di Massa Martana;
   con delibera del consiglio comunale del 18 ottobre 2015 il comune di Massa Martana ha deliberato di cedere in comodato d'uso per un periodo di 80 anni al Terz'Ordine Regolare di San Francesco, cui peraltro era stato già concesso in passato una parte del complesso immobiliare ex Convento di Santa Maria della Pace, l'antico refettorio all'interno del quale, al momento della delibera, si trovavano alcuni reperti archeologici dei quali si è dovuto concordare lo spostamento in altri locali del Centro documentazione con la Soprintendenza, con conseguente contrazione dell'attività museale –:
   se non intenda il Ministro assumere iniziative per acquisire ogni utile elemento in ordine alla distruzione del Fondo Caramazza – costituito da oltre 1800 volumi, alcuni dei quali risalenti al XVI e al XVII secolo – e della raccolta di documentazione donata da monsignor Angelo Alcini. (4-14757)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BASILIO, FRUSONE, CORDA, RIZZO e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 306 del codice dell'ordinamento militare, concernente il piano di gestione del patrimonio abitativo della difesa, è stato di recente modificato nel senso che il relativo decreto deve essere adottato dal Governo, sentite le competenti commissioni parlamentari, ogni due anni entro il mese di marzo;
   alla luce della formulazione della norma, entro il mese di marzo 2017, dovrà essere adottato, previo parere delle competenti commissioni parlamentari, il decreto relativo agli anni 2015-2016;
   per quanto riguarda, invece, il programma pluriennale per la costruzione, l'acquisto e la ristrutturazione di alloggi di servizio, tale documento è stato adottato nel 2010 (decreto ministeriale n. 112 del 18 maggio), acquisito il parere delle commissioni difesa di Camera e del Senato;
   dalla lettura della norma che disciplina tale strumento (articolo 297, comma 1, del codice dell'ordinamento militare) non sembrerebbe sussista un obbligo di aggiornamento del richiamato documento da parte del Governo;
   la recente risoluzione Zanin (n. 8-00206) approvata dalla Commissione difesa della Camera impegna il Governo a presentare al Parlamento, con cadenza annuale, una relazione riepilogativa della situazione dei procedimenti di valorizzazione in atto, delle iniziative assunte, dei risultati conseguiti e delle difficoltà incontrate;
   la Corte dei Conti, nella delibera con la quale si approva la relazione concernente «Gli alloggi di servizio del Ministero della difesa», ha previsto (pagina 7) che «(...) le amministrazioni interessate: comunicheranno alla Corte e al Parlamento, entro sei mesi dalla data di ricevimento della presente relazione, le misure consequenziali adottate ai sensi dell'articolo 3, comma 6, legge n. 20 del 1994, come modificato dall'articolo 1, comma 172, legge n. 266 del 2005; adotteranno, entro trenta giorni dalla ricezione della presente relazione, l'eventuale provvedimento motivato previsto dall'articolo 3, comma 64, legge n. 244 del 2007, ove ritengano di non ottemperare ai rilievi formulati»;
   al riguardo non risulta agli interroganti pervenuta alla Camera alcuni relazione concernente le misure adottate dal Ministero della difesa a seguito delle osservazioni formulate dalla Corte dei Conti nella richiamata relazione;
   appare altresì censurabile, in via generale, nel corso di questa legislatura il comportamento disinteressato da parte delle amministrazioni che sono state oggetto di rilievi della Corte dei Conti, in quanto su un centinaio di relazioni adottate dalla Corte dei Conti ai sensi dell'articolo 3, comma 6, della legge n. 20 del 1994 che sono state trasmesse alla Camera, sono pervenute una decina di «risposte consequenziali» –:
   se il Ministro intenda riferire quali soluzioni siano state individuate rispetto a quanto rilevato dalla Corte dei Conti in merito alla relazione su «Gli alloggi di Servizio del Ministero della Difesa» del 12 novembre 2015;
   come intende procedere di fronte alle richieste dei cosiddetti fruitori «sine titulo», ovvero utenti che perdono il titolo ad occupare l'alloggio di servizio.
(5-10005)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta orale:


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Admie è l'operatore della rete di trasmissione elettrica in Grecia e possiede e gestisce la rete elettrica nazionale di trasmissione;
   Italia e Grecia sono unite dal 2002 da un elettrodotto in corrente continua con una trasmissione massima di potenza pari a 500 Megawatt;
   il 26 ottobre 2016, la Public power corporation (Ppc), controllata al 51 per cento dal Governo di Atene, ha dichiarato di aver ricevuto dalla società cinese State Grid una proposta da 320 milioni di euro per il 24 per cento del capitale di Admie, la società che gestisce la rete di trasmissione elettrica in Grecia;
   la citata quota è stata messa in vendita nell'ambito con una gara internazionale avviata il 12 luglio 2016, gara nella quale Terna Spa concorreva insieme al fondo F2i SGR per questi asset;
   il Piano strategico di Terna, relativo al periodo 2016-2019, prevede strategie finalizzate anche allo sviluppo internazionale;
   Terna è controllata dal ministero dell'economia e delle finanze attraverso Cassa depositi e prestiti che è anche tra i principali sottoscrittori del fondo infrastrutturale;
   a sua volta Cassa depositi e prestiti Reti è partecipata al 35 per cento dalla State Grid attraverso una società del gruppo, la State Grid International Development, e ha diritto a designare un amministratore nei consiglio di amministrazione di Snam e Terna;
   SGID ha già realizzato investimenti nelle Filippine, Brasile, Portogallo, Australia e Hong Kong –:
   quali iniziative intenda adottare, per quanto di competenza, per garantire la piena libertà operativa della società Terna spa rispetto alla partecipazione ad altre gare che prevedano la presenza tra i partecipanti della società State Grid o di sue controllate e/o partecipate. (3-02624)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   rispettivamente da maggio e giugno 2016, in seguito ad aumenti di capitale privi di riscontro sul mercato, Banca Popolare di Vicenza e Veneto Banca sono partecipate interamente dal Fondo Atlante, che in entrambi i casi ha acquisito l'intero inoptato;
   le due banche avevano subito un tale depauperamento degli attivi da rischiare procedure di risoluzione, in conseguenza di metodi di gestione spregiudicati e del forte impatto della crisi sul territorio di insediamento;
   l'operazione di aumento di capitale ha comportato l'azzeramento del valore delle azioni, con perdite per gli investitori per quasi 19 miliardi di euro;
   ora il Fondo Atlante starebbe spingendo per un'operazione di fusione fra i due istituti, che potrebbe portare fino a 3.000 posizioni lavorative in esubero, oltre a generare il rischio di una contrazione generalizzata del credito, data la forte sovrapposizione territoriale fra le due entità;
   lavoratori e sindacati hanno già manifestato tutta la loro contrarietà ad un'operazione che risulta ad oggi priva di un vero piano industriale e motivata, a giudizio dell'interrogante, solo dal desiderio dell'azionista di recuperare rapidamente il proprio investimento;
   a questo proposito si ricorda che il Fondo Atlante è partecipato da soggetti controllati direttamente o indirettamente dal Ministero dell'economia e delle finanze, quali CDP e PosteVita, per complessivi 750 milioni di euro, pari al 17,8 per cento delle quote;
   in data 7 novembre 2016 il presidente di Veneto Banca Anselmi si dimette dall'incarico, manifestando esplicitamente il proprio disaccordo in merito alla fusione, imputata alla volontà dei vertici di BPVI e del Fondo Atlante;
   in particolare, Anselmi si dice indisponibile a gestire un'operazione che comporterebbe tagli drastici al personale, senza che siano prese adeguatamente in considerazione ipotesi di contratti di solidarietà, ricorso al fondo esuberi, riorganizzazione del lavoro;
   appare chiaro all'interrogante che se non saprà gestire il rafforzamento del sistema bancario senza pregiudicarne la diffusione territoriale, la capacità relazionale e la difesa delle professionalità esistenti, l'Italia uscirà gravemente indebolita dall'attuale fase di ristrutturazione;
   si è in presenza infatti strutturalmente un sistema «bancocentrico», data la prevalenza assoluta delle piccole e medie imprese nel tessuto produttivo, e non ci si può permettere modelli di sistema bancario adeguati a realtà economiche completamente diverse –:
   considerando anche il rilevante, impegno di capitale apportato da imprese a controllo pubblico in Fondo Atlante, se e quali iniziative di competenza intenda assumere per garantire che il rafforzamento di Veneto Banca e Banca popolare di Vicenza non passi per la riduzione forzata del personale, per un piano industriale non condiviso con le organizzazioni sindacali e per una riduzione sensibile della presenza territoriale delle aziende di credito in Veneto. (4-14765)


   FRACCARO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 1 della tabella allegato B al decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 642 e successive modificazioni, le richieste per l'occupazione temporanea di suolo pubblico per fini politici sono esenti dall'imposta di bollo;
   sulla base degli orientamenti formalmente espressi dall'Agenzia delle entrate con la risoluzione n. 89/E del 1o aprile 2009, le richieste e i provvedimenti di concessione di occupazione di suolo pubblico per propaganda elettorale e referendaria sono esenti dal pagamento dell'imposta di bollo, rispettivamente se presentate ed emessi nei 30 giorni antecedenti la data di svolgimento della consultazione;
   il comune di Pergine Valsugana (Trento) per il rilascio della concessione n. 85 del 3 novembre 2016 per l'occupazione di spazi ed aree pubbliche o destinate ad uso pubblico ha applicato l'imposta di bollo di 16 euro. La concessione rilasciata a favore del Movimento Cinque Stelle per le date 5, 12, 19 e 26 novembre 2016 riguarda l'esposizione di tavolo e gazebo per propaganda politica per il referendum popolare confermativo del 4 dicembre 2016 convocato con decreto del Presidente della Repubblica del 27 settembre 2016, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 227 del 28 settembre 2016 –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per assicurare l'applicazione dell'esenzione dell'imposta di bollo sulle richieste di occupazione temporanea di suolo pubblico per le iniziative di propaganda politica nei 30 giorni che precedono i comizi elettorali e referendari. (4-14771)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di stabilità del 2016 uno dei principali interventi sul capitolo della previdenza ha riguardato l'ampliamento del regime sperimentale dell’«Opzione donna» (OD), introdotto dalla legge n. 243 del 2004;
   nonostante la pensione calcolata con il metodo contributivo sia mediamente più bassa di circa il 25 per cento «Opzione donna» ha riscontrato il gradimento di molte lavoratrici che hanno presentato domanda di accesso. I requisiti previsti nel 2004 erano di 58 anni di età e 35 di contributi per le autonome, di 57 anni e 35 di contributi per le dipendenti e i requisiti richiesti dovevano essere maturati entro il 31 dicembre 2015: purtroppo alcune criticità riscontrate nell'applicazione dell'Opzione donna ne hanno impedito negli anni il pieno utilizzo;
   con la legge di stabilità 2016 sono state superate le criticità emerse con l'interpretazione restrittiva dell'Inps sulla maturazione dei requisiti, lasciando però escluse dalla sperimentazione le lavoratrici «4T'57/’58» (nate nell'ultimo trimestre) a causa dell'incremento dei 3 mesi dell'aspettativa di vita;
   una speranza per loro rappresentava il cosiddetto «contatore» (articolo 1, comma 281, della legge n. 208 del 2015), in virtù del quale, monitorando le domande, negli anni successivi si sarebbero potuti reimpiegare i fondi risparmiati, anche per quelle lavoratrici che chiedono la proroga al 2018 della sperimentazione del regime di accesso;
   l'articolo 1, comma 281, della legge n. 208 del 2015 prevede che «Sulla base dei dati di consuntivo e del monitoraggio, effettuato dall'INPS, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, entro il 30 settembre di ogni anno, trasmette alle Camere una relazione sull'attuazione della sperimentazione», che a tutt'oggi non è stata ancora presentata. Si precisa che qualora dall'attività di monitoraggio risulti un risparmio rispetto alle previsioni di spesa, con successivo provvedimento legislativo verrà disposto l'impiego delle risorse non utilizzate per «interventi con finalità analoghe a quelle di cui al presente comma, ivi compresa la prosecuzione della medesima sperimentazione»;
   la postilla «finalità analoghe», inserita dal Governo, a giudizio degli interroganti, rappresenta un alibi e si accompagna alla mancanza di indicazioni circa il reimpiego dei fondi risparmiati in favore del reintegro delle donne «4T'57/’58» e la proroga della sperimentazione dell’«Opzione donna»;
   potrebbero sussistere, infatti, «consistenti» risparmi sui 2,5 miliardi di euro di risorse stanziate dalla legge di stabilità 2016;
   il 7 novembre il Comitato per la proroga al 2018 di Opzione donna ha inviato una nota al Ministro Padoan dove viene chiesto di «sottoscrivere e trasmettere alle Camere i dati del monitoraggio forniti dall'Inps» in modo che si possa venire a conoscenza dell'ammontare dei risparmi che devono «prioritariamente» essere destinati a garantire l'accesso al provvedimento alle donne escluse lo scorso anno –:
   se il Governo non ritenga urgente e legittimo rendere pubblici i dati del cosiddetto «contatore» relativo alle risorse utilizzate e avanzate di «Opzione donna» affinché la misura possa essere estesa alle lavoratrici nate nell'ultimo trimestre 1957/1958;
   come si intenda ottemperare agli adempimenti di cui all'articolo 1, comma 281, della legge n. 208 del 2015, dando attuazione a quanto previsto dalla legge n. 243 del 2004 e destinando i risparmi relativi ad una proroga al 2018 di «Opzione donna» e non a finalità analoghe, assumendo, se necessario, le opportune iniziative normative, così da non disattendere le aspettative delle lavoratrici alle quali questa intenzione è stata profilata e promessa dal 2015. (4-14773)


   RICCIATTI, FASSINA, PAGLIA, MELILLA, MARCON, PIRAS, DURANTI, QUARANTA, FERRARA, SCOTTO, NICCHI e COSTANTINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la guardia di finanza di Pesaro Urbino ha reso noto il bilancio degli accertamenti effettuati nel corso dell'anno nell'ambito delle attività di contrasto all'economia illegale (Ansa, 11 novembre 2016);
   il Corpo ha scoperto «153 evasori fiscali, segnalati a vario titolo per l'emissione e l'utilizzo di fatture false, omessa dichiarazione, occultamento o distruzione di documenti contabili», proponendo il sequestro a fini di confisca di oltre 18,5 milioni di euro, importo che sarebbe pari alla stima delle imposte evase;
   tra i 153 evasori individuati sono stati 49 gli evasori totali, 23 dei quali hanno omesso totalmente di presentare la dichiarazione dei redditi;
   tra gli indagati uno è stato arrestato nel mese di luglio 2016 per aver ideato e gestito un sistema di evasione delle imposte attraverso l'utilizzo di ditte individuali intestate a prestanome –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per intensificare e rendere più efficiente il lavoro di ricerca e accertamento della guardia di finanza al fine di contrastare l'evasione fiscale e l'economia illegale. (4-14776)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   TULLO e GIACOBBE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2015 è in vigore la legge 23 dicembre 2014 n. 190 che, all'articolo 1 comma 112, prevede quanto segue: «Ai fini del conseguimento delle prestazioni pensionistiche da parte dei lavoratori attualmente in servizio, con effetto dal 1o gennaio 2015, senza corresponsione di ratei arretrati, non si tiene conto dei provvedimenti di annullamento delle certificazioni rilasciate dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (INAIL) per il conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni, salvo il caso di dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva»;
   a seguito dell'introduzione della predetta norma l'Istituto nazionale della previdenza sociale (Inps) ha emanato la circolare applicativa n. 51 del 26 febbraio 2015, con la quale ha individuato i destinatari della norma in questione nei «lavoratori in servizio al 1o gennaio 2015, per i quali sia stata annullata la certificazione rilasciata dall'INAIL per il conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni», precisando altresì che, per effetto della sanatoria di cui sopra, «ai fini della determinazione del diritto e della misura del trattamento pensionistico, sono privi di effetto i provvedimenti di annullamento, adottati dall'INAIL, delle certificazioni rilasciate dallo stesso Istituto assicuratore»;
   tuttavia, l'Inps, investito delle domande dei lavoratori in possesso dei requisiti previsti dalla disposizione di legge e dalla circolare sopra citate, non l'ha ritenuta applicabile a coloro per i quali i giudizi di accertamento dell'esposizione ad amianto ai fini previdenziali secondo l'originaria formulazione dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 si erano conclusi con sentenza di rigetto passata in giudicato;
   questo è stato quindi impedito e si impedisce ai lavoratori in questione, alcuni dei quali addirittura ammalatisi nel frattempo di patologie amianto correlate, di accedere al trattamento pensionistico;
   gli oneri economici per la liquidazione delle pensioni di tali lavoratori rientrano nella copertura finanziaria prevista dal medesimo articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014;
   infatti, la norma introdotta nell'ordinamento con la legge di stabilità per l'anno 2015 è stata emanata al fine di risolvere una volta per tutte le questioni sorte a seguito della indiscriminata revoca da parte dell'Inail delle certificazioni di esposizione all'amianto a suo tempo rilasciate, con le note gravi ripercussioni sulle posizioni lavorative e pensionistiche degli assicurati;
   le norme approvate dal Parlamento – con il chiaro proposito di salvaguardare i diritti acquisiti dai lavoratori nei lunghi anni intercorsi fra il rilascio delle certificazioni e la revoca delle stesse – hanno inteso mettere fine ad una vicenda che ha a lungo occupato le corti liguri, ripristinando «per legge» le certificazioni di esposizione a suo tempo rilasciate dall'Inail;
   per effetto dell'articolo 1, comma 112, della legge di stabilità 2015, quindi, non si può più tener conto del provvedimento con il quale l'Inail aveva «annullato» le dichiarazioni di esposizione ad amianto dei lavoratori, sicché tali dichiarazioni rilasciate dall'ente accertatore «sulla base degli atti d'indirizzo emanati sulla materia dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali» – ritornano ad essere valide «ai fini del conseguimento dei benefici previdenziali previsti dall'articolo 13, comma 8, della Legge 27 marzo 1992 n. 257 e successive modificazioni»;
   ciò anche in applicazione di quanto previsto dall'articolo 18, comma 8, della legge n. 179 del 2002;
   la norma sopravvenuta aveva una chiara natura «sanatoriale», con lo scopo di fare sì che, decaduto per legge il provvedimento di revoca, le certificazioni Inail recuperassero la loro piena validità indipendentemente dall'esito degli accertamenti di merito svolti nei giudizi previdenziali aventi ad oggetto la sussistenza dell'esposizione ad amianto ultradecennale superiore alla soglia di cui agli articoli 24 e 31 del decreto legislativo n. 277 del 1991 (0,1 ff/cc);
   la disciplina di cui al comma 112 ha istituito una nuova via di accesso ai benefici per coloro che si sono ammalati per patologie amianto correlate, con requisiti propri quanto a presupposti di fatto e decorrenza del diritto;
   la nuova normativa, di carattere eccezionale e quindi di stretta interpretazione, costituisce una disciplina con portata innovativa rispetto all'impianto originale della legge n. 257 del 1992, come è dimostrato dai requisiti richiesti e dalle limitazioni in essa previste (come la mancata corresponsione di arretrati e l'esclusione dei soggetti già pensionati);
   la ratio della disposizione è la medesima che ha contraddistinto i precedenti interventi legislativi volti a salvaguardare pensionati e lavoratori in relazione al loro diritto ai benefici previdenziali secondo quanto già certificato molti anni prima dall'Inail ed accreditato dall'Inps nelle loro posizioni assicurative;
   la portata innovativa di tutte le discipline «sanatoriali» emesse tra il 2009 e il 2014 e la loro indipendenza/alternatività rispetto all'accertamento dell'esposizione qualificata ad amianto appaiono ancor più evidenti con riferimento all'ultimo intervento legislativo in materia, come risulta chiaramente dai lavori parlamentari che ne hanno preceduto l'emanazione;
   in particolare, la relazione tecnica della legge di stabilità 2015 con la quale è stato presentato in commissione alla Camera dei deputati e successivamente al Senato il comma 112, illustra lo scopo della disposizione così testualmente affermando: «A seguito di una indagine della Procura di Genova, avviata circa 7 anni fa e tuttora in corso, riguardante presunte irregolarità nel rilascio di certificazioni INAIL relative all'esposizione all'amianto per i lavoratori dell'area industriale e portuale genovese, sono stati avviati degli accertamenti e delle verifiche da parte di INPS e INAIL che hanno determinato la revoca di migliaia di certificazioni di esposizione all'amianto già rilasciate a lavoratori di stabilimenti e reparti dove è stato utilizzato l'amianto. Tali revoche hanno riguardato sia i lavoratori in attività sia i lavoratori già pensionati lasciando, in alcuni casi, alcune persone prive di sostegno economico. Attraverso alcuni provvedimenti legislativi approvati negli ultimi anni (in particolare nel 2009, 2011 e 2013) si è posto parziale rimedio a dette situazioni. Da questi provvedimenti legislativi sono rimasti esclusi oltre 700 lavoratori esposti all'amianto (molti dei quali sottoposti a regime di ammortizzatori sociali) che non hanno potuto usufruire del pensionamento. L'emendamento è finalizzato a consentire anche a questi lavoratori di godere dei benefici pensionistici previsti per l'esposizione all'amianto rendendo, così, possibile in presenza dei necessari requisiti, l'accesso al trattamento pensionistico a far data dal 1o gennaio 2015»;
   come emerge anche dalla successiva relazione tecnica della commissione parlamentare, la nuova disciplina è tesa a consentire agli ultimi «700 lavoratori» colpiti dalla revoca della certificazione Inail di accedere comunque al pensionamento attribuendo «per legge» valore di requisito costitutivo alla stessa certificazione revocata, purché non ottenuta con dolo accertato giudizialmente in via definitiva;
   a tale scopo, la norma ha ricevuto apposita copertura finanziaria calcolata sull'onere economico necessario ad erogare i trattamenti pensionistici a partire dal 1o gennaio 2015: «Pertanto è stato valutato il maggior onere per lo Stato derivante dalla concessione dei benefici previdenziali per l'esposizione all'amianto qualora a detti lavoratori venisse riconosciuta la validità della certificazione...». L'onere che ne deriva per la finanza pubblica è duplice e consiste: – nell'intero importo della pensione per il periodo di anticipo nel conseguimento del diritto; – nella maggior quota di pensione dovuta alla maggiore anzianità assicurativa acquisita (fino alla estinzione della pensione stessa). Si è ipotizzato che dei circa 700 soggetti interessati ne verranno liquidati 400 nel corso del 2015 e i restanti nel corso del 2016;
   il diritto al pensionamento sulla base della maggiorazione contributiva per esposizione all'amianto è quindi direttamente legato alla riacquistata validità della certificazione Inail, risultando ininfluente qualunque altro requisito connesso all'accertamento dell'esposizione stessa;
   le finalità della nuova disciplina erano peraltro state già poste all'ordine del giorno n. 9/1248-A-R-/141 della Camera dei deputati, illustrando dettagliatamente l'intento di conseguire una maggiore equità sociale e di porre rimedio alle storture generate nel corso degli anni (oltre sette dall'inizio dell'indagine della procura di Genova);
   dall'esercizio indiscriminato del potere di autotutela e dalle alterne vicende dei singoli procedimenti giudiziari che avevano creato stridenti disparità di trattamento tra lavoratori che operavano nelle stesse mansioni e negli stessi ambienti di lavoro, riporta il citato ordine del giorno: «Per i lavoratori ancora in attività permane una situazione per cui la revoca delle certificazioni non consente di accedere ai benefici previsti per gli esposti all'amianto; è opportuno quindi operare affinché si possa individuare una soluzione in grado di salvaguardare le certificazioni già rilasciate dall'INAIL anche per questi lavoratori, lasciando impregiudicata, ovviamente, l'azione della magistratura nell'accertamento di eventuali casi di dolo»;
   le considerazioni suddette sono rafforzate dalle seguenti: sono state revocate anche certificazioni di lavoratori in cui è stata accertata l'insorgenza di patologie derivanti dall'esposizione all'amianto;
   nel contenzioso legale attivato dai singoli lavoratori interessati viene riconosciuto il diritto ai benefici previsti, nella maggioranza dei casi;
   la revoca delle certificazioni da parte dell'Inail è avvenuta in modo massivo e, a quanto risulta agli interroganti, non a seguito di verifica della loro illegittimità;
   nelle altre realtà territoriali, in ambito nazionale, i lavoratori nelle stesse condizioni, con gli stessi requisiti, occupati spesso in siti produttivi delle stesse aziende, con stesse lavorazioni e condizioni ambientali di lavoro, hanno visti riconosciuti, sulla base della stessa normativa e identiche procedure, i benefici previdenziali derivanti dall'esposizione all'amianto;
   i dati del Registro nazionale mesoteliomi non lasciano dubbi, purtroppo, sulla pesantissima incidenza di questa patologia nella regione Liguria;
   l'articolo 42-ter inserito in corso di esame del decreto-legge n. 69 del 2016 ha – pur in modo parziale – recepito l'esigenza di un intervento volto a tutelare i suddetti lavoratori;
   con l'ordine del giorno n. 9/1248-A-R-/141 la Camera ha impegnato «il Governo a valutare, nel rispetto delle compatibilità di finanza pubblica, l'opportunità di adottare iniziative, anche di carattere normativo, volte a mantenere validi ed efficaci i provvedimenti di certificazione di esposizione all'amianto rilasciati dall'istituto Nazionale per l'Assicurazione contro gli infortuni sul Lavoro ai fini del conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13 comma 8, della legge 27 marzo 1992 n. 257, rendendo inoltre senza effetti – salvo il dolo dell'interessato accertato in via giudiziale con sentenza definitiva – i provvedimenti di revoca delle certificazioni rilasciate»;
   la legge 23 dicembre 2014 n. 190, all'articolo 1, comma 112, definisce in modo esplicito il suo unico limite di efficacia in un giudicato (di natura penale) che abbia accertato il dolo del lavoratore e, tra i limiti di funzionamento della norma di legge, non rientra anche il giudicato civile relativo all'accertamento del superamento della soglia di rischio ex articolo 24 e articolo 31 del decreto legislativo n. 277 del 1991, elemento estraneo alla fattispecie sanatoriale;
   l'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 istituisce una prestazione nuova, diversa (per quantità e data di efficacia) da quella che sarebbe spettata sulla base dell'impianto originario dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992 come modificato dall'articolo 47 del decreto-legge n. 269 del 2003;
   l'interpretazione della norma in esame come istituente un nuovo diritto diretto ai lavoratori (e solo ad essi), le cui certificazioni erano state revocate dall'Inail è stata accolta dalla giurisprudenza di merito e di legittimità nello stesso senso indicato dalle precedenti normative sanatoriali sulla materia. La Corte d'appello di Genova, con articolata sentenza, ha precisato in modo chiaro ed esaustivo le problematiche legate al coordinamento della normativa sopravvenuta di cui all'articolo 1, comma 112 della legge n. 190 del 2014, con il previgente impianto normativo in materia di benefici amianto (Corte d'appello di Genova, sentenza n. 35 del 30 gennaio 2015, relatore dottor Bellé, in causa Di Bernardini Paolo/Inps). In particolare, la Corte d'appello ha evidenziato che «...La domanda di accertamento dell'esposizione qualificata ad amianto, utile al riconoscimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, legge n. 257 del 1992 e quella di applicazione della sanatoria di cui all'articolo 1, comma 112, cit., pur producendo in gran parte analoghi effetti, non sono tra loro coincidenti»;
   «nell'un caso (accertamento dell'esposizione), la verifica giudiziale e la pronuncia di merito si fondano sul positivo accertamento di un certo grado di esposizione ad amianto. Nell'altro caso (sanatoria) ciò che fonda il diritto non è un tale accertamento di merito, quanto piuttosto quello di una fattispecie costituita dal susseguirsi di una certificazione INAIL favorevole e della successiva revoca di essa ... La fattispecie della sanatoria è ... autonoma e giustifica, per ragioni di tutela dell'affidamento poste a base dell'intervento legislativo, in sé stessa il riconoscimento del beneficio negato, purché sussista, a parte il caso di dolo dell'interessato, una originaria certificazione INAIL, poi revocata dallo stesso Ente»;
   l'impostazione della Corte d'appello di Genova dà conto di come la certificazione Inail, revocata perda la connotazione di elemento probatorio liberamente apprezzabile dal giudice per diventare, invece, elemento costitutivo della nuova fattispecie;
   la Corte con sentenza n. 233 del 2015 si è pronunciata anche sull'eccezione di giudicato formulata dall'Inps per non avere il lavoratore impugnato la sentenza di primo grado in punto accertamento dell'esposizione qualificata; la Corte ha affermato in proposito: «L'eccezione formulata dall'INPS, secondo cui la sentenza di primo grado sarebbe passata in giudicato quanto alla statuizione di insussistenza dell'esposizione qualificata ad amianto, va disattesa ... Seguendo la prospettazione dell'INPS il giudicato sarebbe sceso non sul rigetto del beneficio contributivo ... bensì sul requisito dell'esposizione qualificata; va dunque rilevato che tale requisito non è più richiesto dalla normativa sopravvenuta che si limita a far rivivere, sul punto, gli effetti della certificazione INAIL revocata. Deve dunque ritenersi che l'appellante ben potesse, con la proposizione del gravame, invocare l'applicazione della normativa sopravvenuta di cui all'articolo, 1 comma 112, della Legge 190 del 2014, idonea a fargli conseguire il petitum suddetto, senza dover necessariamente formulare censure avverso il capo della sentenza che aveva negato la sussistenza dell'esposizione qualificata»;
   sia pure indirettamente, la questione è anche stata affrontata e risolta nel medesimo senso dalla Corte di cassazione la quale ha affermato il principio per cui lo ius superveniens che introduca «una nuova disciplina del rapporto controverso» può trovare applicazione nel corso del giudizio di legittimità «alla (sola) condizione necessaria che la normativa sopraggiunta sia pertinente rispetto alle questioni agitate nel ricorso, posto che i principi generali dell'ordinamento in materia di processo in Corte di cassazione – e soprattutto quello che impone che la funzione di legittimità sia esercitata attraverso l'individuazione delle censure espresse nei motivi di ricorso e sulla base di esse – richiedono che il motivo di ricorso, con cui è investito, anche indirettamente, il tema coinvolto nella disciplina sopravvenuta, oltre che sussistente sia ammissibile secondo la disciplina sua propria. ... Dalla esposizione della censura si evince, infatti, con chiarezza, dalla sentenza sopra richiamata che «la doglianza investe direttamente il provvedimento caducatorio della certificazione rilasciata dall'Istituto nazionale per l'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro (Inail) per il conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992. Ne consegue che il tema coinvolto nella disciplina sopravvenuta, attinente agli effetti dei provvedimenti atti a incidere sulle certificazioni quali quella in argomento, utili ai fini pensionistici, assume rilievo ai fini della decisione del motivo di ricorso sub 1. Pertanto la questione investita dal novum normativo deve reputarsi rientrare nell'ambito della materia devoluta all'esame di questa Corte con l'impugnazione ...» (Cassazione, Sezione Lavoro sentenza n. 20988/2015 del 16 ottobre 2015);
   il bene tutelato dalla legge n. 257 del 1992 e dalle sue successive modificazioni è il diritto alla salute del lavoratore sotto il profilo della «riparazione» del danno potenziale all'aspettativa di vita, comportato dalla esposizione ad un materiale letale come l'amianto;
   i requisiti previsti dall'articolo 1, comma 112, della legge sopra citata non sono stati e non potevano essere fatti valere nei giudizi instaurati e conclusi prima della promulgazione della stessa;
   la disposizione di cui all'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 non è retroattiva ed anzi, esclude qualsiasi effetto della previsione in essa contenuta anteriormente alla sua emanazione (in tal senso si pone l'esplicita esclusione della corresponsione di arretrati);
   l'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 ha modificato i presupposti dell'agire del lavoratore, sul piano sostanziale, consentendo di apprezzare la corrispondente azione come «nuova», rispetto a quella su cui si era formato il giudicato: la nuova norma ha radicalmente mutato la disciplina della situazione sostanziale di quei lavoratori per i quali, in passato, l'Inail avesse rilasciato una «valida» certificazione per l'accesso ai «benefici» da esposizione ad amianto che fosse poi stata «annullata»; dopo l'approvazione della norma citata, la certificazione Inail torna ad essere «valida» per il «conseguimento dei benefici di cui all'articolo 13, comma 8, della legge 27 marzo 1992, n. 257, e successive modificazioni», non dovendosi «tener conto» del suo «annullamento» in «autotutela» amministrativa. Ciò introduce una nuova regola sostanziale per le procedure amministrative di pensionamento e per i rapporti del lavoratore con l'ente previdenziale;
   sempre sulla questione si è recentemente pronunciato anche il tribunale di Genova, con sentenza 26 febbraio 2016 n. 165/16 (dottor Marcello Basilico): «Mutando la causa petendi vi è diversità di azione. Non può pertanto farsi valere il giudicato in questo giudizio ... Il diritto alle prestazioni pensionistiche per rivalutazione contributiva da esposizione all'amianto, ai sensi dell'articolo 1 comma 112 Legge 190/2014, sorge per effetto e nei limiti della certificazione INAIL successivamente annullata. La regola giuridica ed il bene della vita rivendicato dal quale è esclusa la corresponsione di arretrati sono diversi da quelli riconosciuti ai sensi dell'articolo 13 comma 8 Legge 257/92 in conseguenza dell'accertamento della concreta esposizione ultradecennale oltre la soglia di 0,1 ff/cc. ... Il passaggio in giudicato della sentenza del Tribunale – anteriore peraltro all'entrata in vigore della Legge 190/2014 – non inficia dunque il diritto del ricorrente a far valere la nuova sanatoria»;
   la sentenza n. 165/16 del tribunale di Genova è stata confermata dalla Corte d'appello di Genova con sentenza n. 350 del 16 settembre 2016 che ha respinto in toto l'appello presentato dall'Inps;
   la lettura costituzionalmente orientata della norma contenuta nell'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014, impone di ritenerla applicabile a tutti coloro che, alla data della sua entrata in vigore (1o gennaio 2015), siano in possesso dei requisiti da essa previsti, risultando come detto del tutto ininfluenti le vicende dei procedimenti amministrativi e giudiziari attinenti all'accertamento nel merito dell'esposizione qualificata ad amianto che hanno preceduto l'emanazione della norma;
   inoltre, verrebbe a crearsi una situazione di paradossale disparità di trattamento tra lavoratori che hanno agito in giudizio per l'accertamento dell'esposizione ad amianto e si sono visti respingere la domanda per mancato superamento (magari solo parziale) della soglia di 0,1 ff/cc e lavoratori che, pur avendo ugualmente subìto la revoca della certificazione non hanno ritenuto di adire l'autorità giudiziaria: l'accesso al pensionamento per effetto della nuova norma sarebbe condizionato dalla scelta del lavoratore di avere o meno contestato la legittimità della revoca anche in punto accertamento di fatto, con la conseguenza che verrebbe «premiato» chi ha fatto acquiescenza al provvedimento di annullamento rispetto a chi ha agito per vedersi comunque accertare il diritto;
   come ha osservato la corte d'appello di Genova, l'esclusione dall'ambito di applicazione della norma dei lavoratori per i quali sia stata accertata definitivamente l'insufficienza della esposizione ad amianto contrasta con la ratio della norma di salvaguardare in via generale l'affidamento in buona fede sull'atto emanato dall'INAIL e quindi il trattamento previdenziale ad esso connesso. Inoltre, si farebbe dipendere l'applicazione del beneficio previdenziale dalla durata del procedimento giudiziale per l'accertamento dell'esposizione qualificata ad amianto: a parità di accertamento negativo, la norma di sanatoria sarebbe applicabile a coloro per i quali il giudizio risulti ancora pendente in ogni stato e grado al momento di entrata in vigore della nuova normativa –:
   se trovi conferma quanto evidenziato in premessa e, quindi, se si intendono assumere iniziative per chiarire se la norma di cui all'articolo 1, comma 112, della legge n. 190 del 2014 vada applicata a tutti i destinatari da essa contemplati nell'ambito della copertura finanziaria prevista (700 lavoratori) e quindi anche a coloro per i quali i giudizi di accertamento dell'esposizione ad amianto ai fini previdenziali, secondo l'originaria formulazione dell'articolo 13, comma 8, della legge n. 257 del 1992, si erano conclusi con sentenza di rigetto passata in giudicato, anteriormente all'entrata in vigore della legge (1o gennaio 2015);
   in caso affermativo, quali iniziative il Governo intenda attivare per rimuovere le criticità relative all'applicazione della norma di cui all'articolo 1, comma 112, legge n. 190 del 2014 consentendo l'accoglimento delle domande di rivalutazione contributiva e di pensionamento presentate. (4-14755)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   per quanto di conoscenza, metà dei circa 1.000 etilometri in dotazione alla polizia stradale sarebbero attualmente inutilizzabili, in quanto in attesa di essere revisionati all'interno dei centri autorizzati, a norma del decreto ministeriale 22 maggio 1990, n. 196;
   i singoli apparecchi devono essere periodicamente sottoposti a verifiche e prove secondo norme e procedure stabilite dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, d'intesa con il Ministero della salute;
   come denunciato dall'Associazione sostenitori e amici della polizia stradale (Asaps), stando ai monitoraggi in corso relativi agli etilometri in uso alle forze di sicurezza, sarebbero infatti numerosi gli apparecchi fermi ormai da mesi presso i laboratori autorizzati, in attesa della prevista revisione annuale da parte del Centro superiore ricerche prove autoveicoli e dispositivi di Roma (CSRPAD) e presso il Centro prove autoveicoli di Milano;
   secondo l'associazione che ha lanciato l'allarme, numerosi comandi di polizia locale risulterebbero attualmente sprovvisti o con un numero assai limitato di etilometri, al punto da dover chiedere aiuto ad altri organi di polizia;
   la carenza di strumenti di controllo, utilizzabili dagli agenti di polizia, rischia di compromettere seriamente la sicurezza stradale e di pregiudicare l'impegno per contrastare il fenomeno dell'ubriachezza alla guida –:
   se il Governo possa riferire informazioni aggiornate in merito al numero effettivo degli etilometri attualmente utilizzabili e funzionanti, e a quanti invece sarebbero in stato di fermo, in quanto sottoposti alla procedura di revisione presso i Centri autorizzati del Ministero dell'interno;
   quali iniziative il Governo intenda adottare, per quanto di competenza, per potenziare le operazioni di manutenzione degli etilometri, consentendo un'effettiva e tempestiva azione di controllo da parte dei comandi di polizia locale. (5-09997)


   SPESSOTTO e DE LORENZIS. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
    la direzione  generale  per le  investigazioni ferroviarie  e marittime (DIGIFEMA) annovera tra i suoi compiti, di cui al decreto legislativo 10 agosto 2007, n. 162, anche quello di elaborazione, gestione ed aggiornamento della banca dati della incidentalità ferroviaria e la redazione delle raccomandazioni in materia di sicurezza;
   alcune criticità sono emerse in materia di trasparenza all'interno della DIGIFEMA, per quanto attiene la trasmissione delle relazioni redatte dalla suddetta direzione ai destinatari istituzionali competenti per materia;
   in particolare, risulterebbe agli interroganti, che la relazione finale d'indagine relativa ad «Eventi incidentali occorsi dal 1o gennaio 2014 al 31 marzo 2015, con esiti gravi o mortali, caratterizzati da investimenti di persone principalmente in ambito di stazioni o relative pertinenze» non sia stata trasmessa alla direzione generale per le infrastrutture ed il trasporto ferroviario del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, così come probabilmente a tutti i destinatari delle raccomandazioni ivi contenute;
   è stata inviata ai destinatari della relazione finale solo una lettera contenente le raccomandazioni  di  sicurezza (http://www.ferpress.it), lettera in cui, a pagina 6, si fa riferimento, per poter accedere alla versione integrale della suddetta relazione, a un indirizzo internet risultato però inesistente;
   tali raccomandazioni impegnano i vari attori ad adoperarsi «per rafforzare le attività di controllo e di repressione delle violazioni riguardanti sia l'accesso non autorizzato alla proprietà ferroviaria sia l'attraversamento dei binari e dei passaggi a livello», proponendo una serie di misure da adottare, tra cui rendere maggiormente efficace l'effetto sanzionatorio, estendere al maggior numero di operatori la facoltà di comminare sanzioni e di elevare l'ammontare delle sanzioni stesse;
   a seguito di ricerca effettuata dagli interroganti, la relazione finale d'indagine non risulta peraltro disponibile sulla pagina web del Ministero nella sezione direzione generale per le investigazioni ferroviarie e marittime –:
   se il Ministro possa fornire chiarimenti in merito alla mancata pubblicazione sulla pagina web del Ministero della relazione d'indagine, redatta dalla Direzione generale per le investigazioni ferroviarie e marittime, avente per oggetto «Eventi incidentali occorsi dal 1o gennaio 2014 al 31 marzo 2015 con esiti gravi o mortali, caratterizzati da investimenti di persone principalmente in ambito di stazioni o relative pertinenze» e se possa altresì fornire rassicurazioni sulla effettiva trasmissione delle raccomandazioni ivi contenute ai legittimi destinatari.
(5-10001)


   AGOSTINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   un articolo de L'Espresso del 28 ottobre 2016, dà conto di una serie di nomine che fanno capo al Ministro interrogato, che appaiono frutto dell'influenza di figure che lo circondano collegate al Presidente del Consiglio Matteo Renzi;
   dalle stesse fonti si apprende che «il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (Mit) sembra essere sfuggito di mano a Graziano Delrio», mentre Luca Lotti, segretario del CIPE e sottosegretario alla Presidenza del Consiglio, viene definito «il vero boss-ombra del Mit»;
   Delrio, sarebbe stato neutralizzato con l'affiancamento di fedelissimi del Presidente del Consiglio Renzi nei settori strategici del Ministero;
   gli uomini del Presidente Renzi sarebbero Renato Mazzoncini alle Ferrovie e Gianni Vittorio Armani all'ANAS; l'influenza di Renzi sul Ministero si estenderebbe anche attraverso il numero uno delle costruzioni nazionali, Pietro Salini, nonché Giovanni Castellucci di Atlantia-Adr-Autostrade;
   a controllare Delrio sarebbero anche l'ex Ministro Lupi ed il senatore Denis Verdini attraverso il signor Rocco Girlanda; Girlanda, coordinatore regionale del PdL per la regione Umbria, è stato sottosegretario di Stato per le infrastrutture e i trasporti (Ministro Lupi, Governo Letta). Il 10 maggio 2013 il Consiglio dei ministri lo ha nominato anche segretario del CIPE: in tutta la storia unico responsabile del Cipe ad avere anche la delega alle infrastrutture;
   Rocco Girlanda, che ora percepisce 180.000 euro all'anno, è stato assunto alla direzione affari istituzionali ANAS, ma, poi, il 3 ottobre, nonostante il «decreto Madia» che blocca le assunzioni nelle società pubbliche non quotate è stato distaccato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti (dove Girlanda è stato già sottosegretario);
   altro distaccato è l'ex Sogei Marco Bonamico mandato a lavorare alla Quadrilatero Umbria-Marche, società che dalla sua costituzione è stata finanziata esclusivamente da fondi pubblici, fallendo gli obiettivi della «cattura di valore», che avrebbe dovuto cofinanziare la realizzazione delle opere viarie;
   tra i neo assunti dell'Anas come dirigente da 185 mila euro all'anno anche Emanuela Poli, ex CIPE, proveniente da Salini-Impregilo, assunta nonostante per il ponte di Messina sia pendente un contenzioso tra Stato ed Impregilo. Salini Impregilo, attraverso COCIV, sta realizzando anche il collegamento genovese Terzo valico che ha portato, alla fine del mese di ottobre 2016 a 30 provvedimenti giudiziari di cui 10 arresti domiciliari; tra i destinatari di questi provvedimenti il presidente COCIV, ingegnere Michele Longo, che è anche presidente di Passante Dorico spa che dovrebbe realizzare il collegamento del porto di Ancona all'Autostrada A 14, denominato «Uscita a Ovest»;
   la realizzazione dell'uscita ovest ha già interessato l'Anac proprio perché, grazie alle «sviste» di alcuni dirigenti ministeriali nelle tre stesure della Convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, e la Passante Dorico spa, sono state inserite, ad avviso dell'interrogante con modalità di dubbia legittimità, clausole vessatorie per lo Stato che lo impegnerebbero a sborsare alla Passante Dorico centinaia di milioni di euro non dovuti;
   mentre la pratica uscita a ovest sembra essere finita in qualche cassetto, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti continua ad assumere personalità provenienti proprio dalle imprese coinvolte negli affari illeciti che hanno già danneggiato l'ANAS e le finanze pubbliche –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   quali iniziative intenda assumere nei confronti di ANAS a fronte delle assunzioni e dei distacchi dei signori Girlanda, Bonamico e Poli; se e quali iniziative di competenza intenda attuare per riportare a legalità la conduzione della Quadrilatero Marche Umbria s.p.a. e per sapere a quanto ammonti fino ad ora il contributo pubblico alla realizzazione dei predetti collegamenti viari; se e quando intenda definitivamente chiudere la partita con la Passante Dorico s.p.a., visto che il piano economico e finanziario presentato dalla stessa e inopinatamente accolto dal responsabile del procedimento, architetto Goletta, si è rivelato incongruo come evidenziato dall'interrogante a suo tempo. (5-10008)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOSCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema viario nazionale di secondo livello, quello costituito dalle strade statali facente capo all'Anas, attraversa un periodo di notevole difficoltà a causa, prevalentemente, della totale assenza di manutenzione anche ordinaria;
   l'osservazione di talune infrastrutture, da punti di vista desueti quali ad esempio l'alveo di un torrente nel caso di ponti o viadotti, conferisce spettacoli che si potrebbero definire terrificanti;
   per quanto concerne la strada statale 115 Porto Empedocle (AG), numerosi ponti sono stati monitorati dal basso nel loro tratto aereo: in particolare, sono stati controllati i ponti di Spinola, Salsetto, Zubbie-Re;
   si tratta di viadotti con strutture portanti in cemento armato realizzati negli anni ’60 secondo criteri oramai superati. Infatti, i viadotti sui torrenti Spinola e Salsetto sono costituiti da arco portante in cemento armato sul quale gravano i pilastri che sostengono l'impalcato stradale. Il viadotto sul torrente Zubbie-Re, invece, è costituito da una travatura Gerber in cemento armato;
   le strutture in argomento sono state realizzate ancor prima della emanazione delle norme anti-sismiche avvenuta il 2 febbraio 1974. Le strutture dei tre viadotti si presentano in condizioni di estremo degrado, con le armature metalliche a vista, staccate dall'impalcato ed interessate da fenomeni corrosivi in avanzato stadio;
   il processo ossidativo è stato innescato dalla mancanza di adeguate opere o apparati di smaltimento delle acque meteoriche. Infatti, i manufatti presentano solo in qualche pluviale spezzoni di tubo per il deflusso delle acque. Il sistema, tuttavia, è risultato assolutamente inadeguato per cui, nei 50 anni di vita e a causa del persistente dilavamento degli elementi in cemento armato, si è innescato un fenomeno di ossidazione che, in forza di una progressione evolutiva anche in condizioni anaerobiche, comporterà, in mancanza di adeguati provvedimenti, la disgregazione delle armature metalliche e, di conseguenza, il collasso delle strutture aeree;
   numerosi «conci» degli elementi ad arco si presentano in condizioni critiche, con armature ossidate e prive di copri ferro e con evidenti segni di sfaldamento del calcestruzzo. Particolare apprensione destano quelli che vengono definiti «conci in chiave» che sono quelli corrispondenti al punto apicale dell'arco portante, poiché la loro eventuale disgregazione comporterà l'immediato crollo della struttura;
   lo schema strutturale del viadotto sul torrente Zubbie-Re è diverso, in quanto si tratta di travate a struttura piena di consistenti dimensioni in termini di sezioni in cemento armato e di luci delle campate. Tuttavia, anche in questo caso e per le stesse ragioni, le strutture portanti del manufatto, ancorché ciclopiche, sono interessate da avanzati fenomeni disgregativi, sia del calcestruzzo che delle relative armature metalliche, che condurranno certamente a condizioni di pregiudizio della stabilità dell'infrastruttura e della sicurezza pubblica;
   il direttore regionale Anas, in risposta ad una sollecitazione dell'associazione «Mareamico» di Agrigento, ha comunicato che i viadotti in questione sono oggetto di un continuo monitoraggio, che ne verifica lo stato d'efficienza e funzionalità;
   si precisa, in particolare, che il viadotto Salsetto è stato oggetto negli anni scorsi di interventi di manutenzione ed altri interventi sono stati programmati per il futuro –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   se non ritenga opportuno promuovere un tavolo tecnico composto da personale dell'Anas ed amministratori locali, al fine di fare il punto completo dello stato dei viadotti della strada statale 115 Porto Empedocle (il cui stato di degrado ed abbandono non può più essere disconosciuto e tanto meno può essere giustificato da questioni legate alle ristrettezze economiche) e stabilire un piano di interventi che assicurino la sicurezza dei viadotti citati. (4-14781)


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a Forlì è operativa una sede della motorizzazione civile in cui sono impiegati oltre 34 dipendenti, mentre nella vicina sede di Cesena ne lavorano meno di 10;
   alcuni anni fa, per ragioni piuttosto discutibili, la sede di Forlì è stata venduta e ora la motorizzazione paga un affitto di 146mila euro annui;
   la sede di Forlì è la principale del territorio provinciale, tanto che su di essa convergono tutti i servizi principali e vengono gestiti oltre 4.500 fra collaudi e revisioni che andrebbero a gravare sulla sede di Cesena in caso di chiusura della sede di Forlì;
   tutte le organizzazioni economiche e sindacali, le istituzioni locali e gli operatori del settore sono concordi nell'individuare l'eventualità di una chiusura della sede di Forlì come una grave perdita e un costo sociale (in termini di tempo da impiegare, costi da sostenere, rischi da affrontare) molto maggiore rispetto ai 146mila euro di risparmio che si produrrebbero con la soppressione della sede di Forlì;
   risulta che, a fronte dell'annunciata chiusura della sede di Forlì, tutti i dipendenti della sede abbiano ritirato la propria disponibilità a sostenere turni di lavoro straordinari a partire dal mese di dicembre –:
   se non ritenga opportuno assicurare, attraverso ogni sforzo possibile, una presenza qualificata e pienamente operativa della motorizzazione anche a Forlì, data la particolare conformazione del territorio provinciale di Forlì-Cesena e l'ormai consolidata ubicazione di tutti i servizi nell'area forlivese;
   se non intenda farsi parte attiva affinché, nell'ambito delle disponibilità di spazi di proprietà pubblica, sia possibile individuare un'altra collocazione per la motorizzazione di Forlì che assicuri il mantenimento di un servizio di cui beneficiano migliaia di persone ogni anno. (4-14782)

INTERNO

Interrogazione a risposta scritta:


   FIANO, FERRO, PIAZZONI, CARELLA e MINNUCCI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel comune di Anzio è stata rilevata la presenza di diverse organizzazioni criminali. Nelle relazioni della direzione nazionale antimafia si legge che nell'area compresa tra Cisterna di Latina, Anzio e Nettuno risulta operativo il clan Schiavone-Noviello (2011-2012) e che, in tale realtà territoriale, è stata giudizialmente affermata la presenza della cosca ’ndranghetista dei Gallace di Guardavalle (inchiesta Appia). Il 22 ottobre 2013 è stata emessa la sentenza a carico di esponenti di tale sodalizio la cui rilevanza era già stata confermata dalle pronunce giudiziarie dei tribunali di Reggio Calabria e Milano (2013);
   numerosi amministratori comunali di Anzio sono stati oggetto di atti intimidatori: il 5 marzo 2012 vengono esplosi numerosi colpi di pistola all'indirizzo della villa dell'assessore Patrizio Placidi; il 14 febbraio 2015 stesso copione contro l'abitazione dell'assessore Alberto Alessandroni; il 5 agosto 2016 viene incendiata l'auto del vicesindaco Giorgio Zucchini e il 15 ottobre 2016 viene nuovamente data alle fiamme la macchina del vicesindaco;
   il 14 marzo 2016, è stato richiesto il rinvio a giudizio dell'assessore Patrizio Placidi, per abuso d'ufficio per l'affidamento di diversi servizi a cooperative sociali. L'indagine vede coinvolti anche il dirigente dell'ufficio ambiente Dell'Accio Walter, Parziale Ernesto, che amministrava la cooperativa Giva, il consigliere comunale Salsedo Valentina (rappresentante legale della cooperativa Giva fino alla sua elezione nel 2013 a consigliere comunale e moglie di Parziale Ernesto), il presidente della cooperativa Quadrifoglio, Pietro Leoni, candidato alle ultime elezioni amministrative del 2013 nella Lista Enea, capeggiata dallo stesso Placidi; nella richiesta di rinvio a giudizio nei confronti di Dell'Accio si legge che lo stesso avrebbe adottato diversi atti amministrativi al fine di far conseguire vantaggi anche ai «soci elettori di Placidi»;
   la cooperativa Giva risulta citata anche nell'indagine «mala suerte»; tale inchiesta, nell'ambito della quale sarebbero emersi collegamenti tra alcuni indagati e la camorra, ha portato all'arresto di 14 persone per traffico internazionale di sostanze stupefacenti ed estorsione, tra i quali Roberto Madonna e Angelo Pellecchia; nell'indagine si evidenzia che la cooperativa Supercar, gestore del servizio di parcheggio delle vetture dei turisti diretti a Ponza, pagava, tramite Augusto De Bernardinis, amministratore della cooperativa Rainbow, il pizzo a Pellecchia Angelo; si rileva inoltre dall'indagine che la cooperativa ex Giva, poi divenuta «I Neroniani», operava dal 2012 all'interno del porto di Anzio; emerge ancora dall'indagine che la Supercar, trovandosi in difficoltà con il Pellecchia, che operava a nome della cooperativa «neroniana», si è vista costretta a pagare anche Roberto Madonna affinché questi intervenisse presso il Pellecchia, in quanto legato allo stesso da buoni rapporti. Dagli atti emergono numerose intercettazioni telefoniche in cui Madonna Roberto minaccia di «gambizzare» il De Bernardinis e di mettere una bomba sotto la vettura dell'amministratore della Supercar. Nella stessa indagine figura anche il vicesindaco Giorgio Zucchini che, sebbene non indagato, è indicato come mediatore tra la ex Giva, poi divenuta «I Neroniani» e la Supercar che portò alle successive richieste estorsive;
   Madonna Roberto è fratello di Madonna Raffaele, quest'ultimo risulta impiegato nella cooperativa sociale Bic (ex cooperativa neroniana), destinataria di diversi lavori per il comune di Anzio, come confermato dalle intercettazioni telefoniche allegate all'indagine «mala suerte»;
   il 18 ottobre 2014, Augusto De Bernardinis, è stato condannato per corruzione assieme al dirigente dell'ufficio servizi sociali del comune, Santaniello Angela, e dell'assessore ai servizi sociali, Colarieti Italo, nell'ambito dell'indagine riguardante il servizio di assistenza bus, di gestione parcheggi e della Casa di riposo francescana;
   l'assessore Patrizio Placidi risulta indagato nell'ambito dell'indagine «caro estinto» assieme a Luca Gramazio, all'epoca dei fatti consigliere alla regione Lazio per Forza Italia e ad esponenti della famiglia Taffo (pompe funebri) –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato circa i fatti indicati in premessa;
   se non si ritenga opportuno valutare le eventuali iniziative fin qui intraprese dal prefetto di Roma e se non si ritenga di assumere iniziative ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, e, in particolare, promuovere l'insediamento di una commissione di accesso di cui all'articolo 143 presso il comune di Anzio. (4-14785)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VACCA, COLLETTI e DEL GROSSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si è venuti a conoscenza, per via informale, di una missiva inviata dagli uffici periferici del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca nella regione Abruzzo, ed in particolare l'ambito territoriale della provincia di Chieti e di Pescara, via posta elettronica ai dirigenti scolastici per invitare gli stessi a dare massima diffusione, tra gli studenti e i docenti, ad un evento nella città di Pescara;
   tale evento prevedeva il 10 novembre 2016, alle ore 18,00, presso il Teatro Circus di Pescara, l'intervista da parte di Luca Sofri al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, all'interno della XIV edizione del Festival delle letterature di Pescara;
   secondo tale missiva le istituzioni scolastiche, con i loro studenti, hanno sempre mostrato grande interesse verso questa manifestazione che rappresenta un contesto culturale attivo di scambi di idee e conoscenza e per questo motivo si desidera dare spazio ad una loro ampia partecipazione. Oltre a ciò, la missiva sottolinea l'impegno in orario extracurricolare dei partecipanti e, quindi, comunica che verrà rilasciato un attestato di presenza;
   per concludere, la missiva chiede, per fini organizzativi e per la compilazione degli attestati, l'elenco degli studenti e dei docenti partecipanti entro le ore 10.00 di mercoledì 9 novembre indicando una mail istituzionale;
   nelle ultime settimane le province di Chieti e di Pescara sono tappezzate, lungo le strade, da manifesti e raffigurazioni, probabilmente, in violazione delle norme sulla campagna elettorale e del codice della strada, che sponsorizzano la visita di Renzi a Pescara affiancato dalla dicitura «basta un SI», riferendosi esplicitamente al referendum costituzionale del 4 dicembre 2016;
   sono note a tutti la personalità e quella che gli interroganti giudicano la spregiudicatezza con cui l'attuale Presidente del Consiglio dei ministri affronta gli incontri pubblici e le interviste, pertanto si paventa il rischio che l'intervista affronterà anche le riforme istituzionali e il referendum. In considerazione di ciò, le istituzioni dovrebbero assumere un atteggiamento di equilibrio e prudenza non sponsorizzando direttamente o indirettamente la propaganda elettorale di una sola delle parti –:
   se effettivamente tale missiva sia stata inviata dall'ufficio scolastico territoriale dell'Abruzzo ai dirigenti delle scuole delle province di Chieti e Pescara ed, in particolare, a quelle di Pescara;
   in caso di risposta affermativa, secondo quale criterio gli uffici scolastici decidano di invitare le scuole ad una manifestazione rispetto ad un'altra e a chi sia pervenuto l'ordine di servizio d'invitare la missiva ai dirigenti scolastici;
   quale valore formale abbia l'attestato di presenza che verrà rilasciato e quale soggetto giuridico rilascerà tale attestato;
   se tale invito sia stato inoltrato, in occasioni simili che prevedono la partecipazione di esponenti governativi in periodo di propaganda elettorale per il referendum costituzionale, anche in altre province d'Italia;
   se il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere un atteggiamento di equilibrio e prudenza non sponsorizzando, direttamente o indirettamente, la propaganda elettorale di una sola delle parti ed in particolare delle ragioni del «Sì».
(5-10006)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che il 10 novembre 2016, in occasione della visita del Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi al Festival delle Letterature dell'Adriatico a Pescara, l'ufficio scolastico regionale Abruzzese abbia invitato i dirigenti scolastici a far partecipare gli studenti all'incontro con il Premier delle ore 18 al cinema Circus, ed in cambio sarà rilasciato un attestato di partecipazione;
   appare all'interrogante un'inaccettabile forzatura che si invitino le scuole a partecipare all'incontro di apertura del Festival della letteratura dell'Adriatico, che prevede una intervista al Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi;
   soprattutto ciò appare una evidente ingerenza considerando che si è in piena campagna elettorale per il referendum costituzionale –:
   se non intenda verificare se tale notizia corrisponda al vero e, in caso affermativo, fare luce sulle motivazioni e sulle responsabilità di tale scelta, a giudizio dell'interrogante inqualificabile, da parte dell'ufficio scolastico regionale Abruzzese. (4-14760)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi dall'ufficio scolastico regionale dell'Abruzzo è stata inviata una circolare ai dirigenti scolastici degli istituti della provincia di Pescara, con la quale si invitava a raccogliere adesioni di studenti e professori per partecipare ad un evento che il Presidente del Consiglio avrebbe tenuto il 10 novembre 2016 a Pescara, nell'ambito del Festival delle letterature, raccomandando la massima diffusione dell'invito;
   l'evento è consistito in un'intervista pubblica al Presidente del Consiglio di Luca Sofri al teatro Circus, ma poiché l'orario è extrascolastico, le ore 18, e un invito potrebbe non bastare a mobilitare studenti e insegnanti, nella circolare sulla «manifestazione che rappresenta un contesto culturale attivo di scambi di idee e conoscenza» e per la quale si vorrebbe «una loro ampia partecipazione», si comunica che «in considerazione dell'impegno in orario extracurricolare ai partecipanti verrà rilasciato un attestato di presenza», che servirà come credito scolastico;
   più che un invito, sembra all'interrogante una vera e propria precettazione, tesi avvalorata dal fatto che ai partecipanti verrà rilasciato appunto un attestato di presenza;
   l'istituto tecnico Tino Acerbo di Pescara ha messo l'invito dell'ufficio regionale nella bacheca online della scuola, scatenando le proteste di molti genitori e solo per questo se ne è avuta contezza;
   appare molto grave che il Presidente del Consiglio possa utilizzare l'occasione per ottenere consensi in vista del referendum del 4 dicembre 2016 sulla riforma costituzionale promossa dal Governo, utilizzando strutture pubbliche e coinvolgendo, a giudizio dell'interrogante, indebitamente professori e alunni, con la previsione per di più di crediti formativi aggiuntivi;
   la richiesta dell'ufficio scolastico regionale alle scuole sembra all'interrogante ricordare iniziative di regime –:
   se il Ministro interrogato e i suoi collaboratori fossero a conoscenza della circolare;
   se il Governo abbia dato direttive o indirizzi agli uffici scolastici per organizzare l'iniziativa;
   di chi sia la responsabilità di questa missiva e a che titolo sia stata fatta;
   quale valore formale avrà l'attestato di presenza che verrà rilasciato e quale soggetto giuridico rilascerà tale attestato. (4-14767)


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   tra i partecipanti all'evento pubblico promosso dalla corrente «renziana» del Partito Democratico, cosiddetta Leopolda 2016, svoltosi nei giorni 23-24 ottobre 2016, era presente attivamente il rettore dell'università degli studi di Udine, professor Alberto Felice De Toni;
   ai sensi dello statuto della stessa università, il rettore ha la rappresentanza legale dell'università ed è responsabile del perseguimento delle finalità dell'università (articolo 8), la quale è sede primaria «di libera ricerca e libera formazione» e inoltre «ha autonomia scientifica, didattica, organizzativa» e «persegue le proprie finalità istituzionali ispirandosi a principi di autonomia, responsabilità, laicità e pluralismo e garantendo libertà di ricerca, di insegnamento e di studio» (articolo 2);
   sembra all'interrogante non rientrare tra le funzioni del rettore di una università pubblica quella di partecipare attivamente a incontri pubblici di partito (o di sue componenti) –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere ogni iniziativa di competenza, anche normativa, per salvaguardare la dovuta indipendenza e neutralità delle istituzioni universitarie, a garanzia della libertà d'opinione e di pluralismo culturale dei professori, degli studenti e del personale tutto. (4-14784)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, MARTELLI, GREGORI, SCOTTO, MELILLA, DURANTI, PIRAS e QUARANTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Tombolini è una importante realtà produttiva attiva nel settore della moda e dell'abbigliamento. Nata come sartoria artigianale nel 1964, nel corso degli anni è diventato un gruppo industriale di respiro internazionale, che impiega 150 dipendenti (oltre all'indotto), con stabilimenti produttivi ad Urbisaglia (Macerata) e una distribuzione presente in Europa, Nord e Sud America, Cina e Medio Oriente;
   in data 11 novembre 2016, diversi organi di stampa (per tutti Corriere Adriatico) hanno diffuso la notizia della dichiarazione di fallimento di due società del gruppo (Eugenio Tombolini spa, Tombolino Industrie srl) ad opera del tribunale di Macerata, in grado di segnare la fine della realtà produttiva;
   l'azienda ha diffuso una nota dalla quale si apprende come l'istanza di fallimento sia stata proposta dall'Inps, quale unico creditore, relativamente ad un credito rateizzato dalla società attraverso accordo raggiunto con la concessionaria Equitalia e sia intervenuta «in un momento di massima produzione, con le linee produttive sature fino a fine febbraio di ordini da dover consegnare, con il rischio della perdita di oltre 150 posti di lavoro, più un indotto rilevante, con il rischio della perdita di affidabilità e di immagine sia della famiglia che delle società»;
   le società interessate dal provvedimento del tribunale hanno annunciato un reclamo con istanza di sospensiva della sentenza e la richiesta ai curatori fallimentari indicati dal tribunale perché si autorizzi, secondo le previsioni di legge, «la continuazione temporanea dell'impresa al fine di garantire piena tutela ai fornitori, ai dipendenti, ai clienti e da ultimo alla stessa Tombolini Industrie come impresa che opera da 50 anni i cui asset aziendali ed il cui avviamento non possono e non devono esser comunque pregiudicati» –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire maggiori informazioni sui fatti riportati in premessa;
   sulla base di quali presupposti sia stata assunta la decisione dell'Inps di presentare istanza di fallimento nei confronti di una azienda comunque attiva ed in grado di ripianare almeno in parte i propri debiti;
   ferma restando le competenze dell'autorità giudiziaria sul caso illustrato in premessa, quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato al fine di salvaguardare i livelli occupazionali dell'area produttiva. (4-14777)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TERROSI, MAZZOLI, FERRO, CARELLA, MINNUCCI, MICCOLI, MELILLI e OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   uno dei prodotti italiani a denominazione tra i più famosi nel mondo è il pecorino romano Dop la cui zona di produzione comprende il territorio del Lazio e quello della Sardegna;
   la valorizzazione, la promozione, la tutela dell'immagine di questo prodotto, nonché l'informazione del consumatore, in ottemperanza alla normativa nazionale che attribuisce ai consorzi di tutela specifiche prerogative in merito, spetta al Consorzio di tutela del pecorino romano;
   nel 2010 il pecorino romano arriva alla ribalta della cronaca perché la società Lactitalia sarebbe stata coinvolta nello scandalo del «pecorino romeno», un prodotto realizzato in Romania e venduto con marchio che richiamava i formaggi italiani Toscanella, Dolce Vita e Pecorino. La proprietà della suddetta società sarebbe stata in mano, per il 70,5 per cento, alla Roinvest tra i cui amministratori comparivano il vicepresidente del Consorzio di tutela del pecorino romano Dop e un consigliere dell'organismo di controllo dei formaggi pecorino romano, sardo e fiore sardo Dop i quali, in virtù della loro appartenenza al Consorzio di tutela del pecorino romano Dop, avrebbero dovuto promuovere quest'ultimo e vigilare sui fenomeni di concorrenza sleale, di contraffazione e di italian sounding;
   nella primavera scorsa il Consorzio di tutela del pecorino romano DOP avrebbe richiesto interventi pubblici di sostegno, poiché, secondo quanto riportato da analisi realizzate dallo stesso Consorzio, il 2016 sarebbe stato caratterizzato da una super produzione di latte ovino del 30 per cento. La comunicazione dei suddetti dati di sovrapproduzione avrebbe determinato una diminuzione del prezzo del pecorino romano Dop, a causa della attestazione da parte del mercato su quantitativi maggiorati del 30 per cento. I dati di produzione certi, tuttavia, non risultano essere, ad oggi, noti con evidenti possibilità di incorrere in speculazioni;
   sembrerebbe invece che la produzione di latte ovino, a differenza delle previsioni, non sia aumentata che di un 10 per cento circa: se così fosse, le informazioni diffuse dal Consorzio, risulterebbero errate ed allarmistiche e il danno economico che ne deriverebbe agli allevatori e ad una parte dei trasformatori, sarebbe stimabile in decine di milioni di euro;
   l'intera filiera del latte ovino laziale, costituita da circa 3.000 allevamenti specializzati, con una consistenza di 750 mila capi e 359 imprese di trasformazione del latte, di cui 3 accreditate per la produzione di pecorino romano Dop necessita di politiche che tengano conto anche della specificità territoriale, e, per quanto riguarda in particolare la suddetta denominazione, che svincolino il comparto da scelte economiche che inevitabilmente risentono del fatto che la maggior parte della produzione di pecorino romano Dop avviene in altro territorio;
   inoltre, secondo quanto segnalato anche dalle associazioni di categoria, si ravviserebbe nell'azione del Consorzio di tutela, una mancanza di trasparenza e di coinvolgimento della base produttiva, ad esempio nella programmazione dell'offerta del pecorino romano Dop e nella politica di promozione, le quali, così come costruite, non sembrano avere alcuna efficacia a livello complessivo, risultando anzi penalizzanti per la produzione laziale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se intenda acquisire elementi sui presunti comportamenti speculativi messi in atto dal Consorzio di tutela del pecorino romano Dop a danno della campagna lattiero casearia ovina per l'anno 2016 e, nel caso in cui vengano appurati comportamenti scorretti e non trasparenti, se intenda assumere ogni iniziativa di competenza per pervenire al commissariamento del Consorzio medesimo;
   se non ritenga utile assumere le iniziative di competenza per arrivare in tempi brevi all'approvazione della Dop cacio romano;
   quali iniziative ritenga di mettere in atto per garantire la riconoscibilità del pecorino romano del territorio laziale all'interno della complessiva Dop pecorino romano. (5-10002)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE e PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ultima riunione del comitato scientifico dell’International Commission for the Conservation of Atlantic Tunas (ICCAT) tenutasi a Madrid, la Commissione, evidenziando l'inadeguatezza e l'inefficacia delle misure adottate fino ad ora per la tutela del pesce spada, ha chiesto azioni decisive per ridurre la sovrapesca di tale stock ittico, che soffre un allarmante depauperamento nel mare Mediterraneo, dove le catture sono costituite per il 75 per cento da individui giovanili che non hanno ancora raggiunto l'età riproduttiva e pertanto il recupero biologico di tale specie, la cui disponibilità rispetto a 30 anni fa è crollata del 70 per cento, è estremamente difficile;
   il preoccupante sfruttamento di questo stock, denunciato anche da Stati membri come Italia, Grecia e Malta dove la pesca del pesce spada è praticata da sempre, richiede urgenti misure sia a livello nazionale, come sollecitato dal M5S con la risoluzione n. 7-01113 ad oggi non ancora discussa, sia a livello europeo;
   il commissario per la pesca e gli affari marittimi Karmenu Vella, Vella, nel Consiglio dell'Unione europea Agricoltura e Pesca che si è svolto il 10 ottobre 2016 in Lussemburgo, al fine di diminuire le catture in Mediterraneo, ha chiesto l'appoggio dei Governi dell'Unione europea per introdurre le quote per la pesca del pesce spada;
   al prossimo meeting della Commissione ICCAT, che si terrà il 14 novembre 2016, l'Unione europea dovrebbe proporre un adeguato piano di recupero del pesce spada nel Mediterraneo, con l'obiettivo di raggiungere il rendimento massimo sostenibile entro il 2020, come previsto all'articolo 2 del regolamento dell'Unione europea n. 1380/2013 relativo alla politica comune della pesca; è prevedibile che tale piano di recupero includa un limite di catture e quote per il pesce spada –:
   quali utili iniziative intenda adottare anche in previsione di un'eventuale introduzione del limite di catture e di quote del pesce spada, per scongiurare una distribuzione iniqua di tali quote tra le aziende di pesca interessate, nonché per tutelare e sostenere quelle che usano sistemi di cattura sostenibili e che sono in grado di dare un contributo diretto alle economie locali. (4-14763)


   BECATTINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il settore oleario rappresenta un'eccellenza autentica all'interno della produzione agro-alimentare italiana: ne è assoluta testimonianza la quota di export nel mondo (il 23 per cento – dati 2015; in ciò l'Italia è preceduta solo dalla Spagna che tuttavia, è bene ricordare, è proprietaria di alcuni tra i marchi più prestigiosi del made in Italy) e ne è inoltre prova l'alto numero di riconoscimenti e premi che le aziende agricole italiane ottengono a livello internazionale per l'eccellente livello qualitativo dell'olio prodotto;
   secondo l'ultimo censimento generale dell'agricoltura del 2010 risultano attive sul territorio nazionale 902.075 aziende agricole, 4808 frantoi e 220 imprese industriali all'interno della filiera olivicola-olearia;
   secondo un'indagine della Coldiretti, presentata nel 2015, sono quadruplicate le frodi nel settore degli oli e dei grassi con un incremento record del 278 per cento rispetto all'anno precedente del valore dei prodotti adulterati, contraffatti o falsificati;
   l'impennata di casi di frodi si ritiene imputabile al moltiplicarsi di oli di oliva importati, mescolati con quelli italiani, così da essere poi spacciati come totalmente prodotti nel nostro Paese; il tutto ad enorme danno dei produttori e dei consumatori italiani;
   sempre secondo l'indagine di cui sopra, nei pubblici esercizi italiani, sono «fuorilegge» 3 contenitori di olio su 4 (il 76 per cento), in quanto non rispettanti l'obbligo dell'apposizione del tappo cosiddetto «antirabbocco», previsto dalla legge n. 161 del 2014, e la cui omissione è punita con sanzioni che vanno da 1 a 8 mila euro più la confisca del prodotto;
   è attualmente in vigore la legge cosiddetta «salva-olio» (legge n. 9 del 2013) «Norme sulla qualità e la trasparenza della filiera degli oli di oliva vergini» che prevede, tra le altre, novità importanti in tema di controlli qualitativi sul prodotto e l'estensione del reato di contraffazione di indicazioni geografiche –:
   se quanto in premessa trovi conferma e se il Governo non ritenga urgente e doveroso adottare iniziative, per quanto di competenza, volte ad intensificare i controlli ed a porre un argine ai fenomeni di contraffazione suesposti;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per stabilire le caratteristiche del cosiddetto «tappo anti rabbocco» per evitare facili elusioni delle norme vigenti;
   se non ritenga di dover assumere iniziative normative, nel più breve tempo possibile, per tutelare l'alta qualità dell'olio italiano, facendo riferimento anche alle modalità produttive ed alla loro tracciabilità, con particolare riferimento all'olio artigianale prodotto in modo conforme al disciplinare stabilito e la cui documentazione è già stata presentata dai frantoi artigiani attraverso la loro organizzazione di categoria (Aifo). (4-14768)


   L'ABBATE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la richiesta ministeriale di certificato medico di idoneità fisica all'attività agonistica ippica trova discordanza tra l'area galoppo e quella trotto. La modulistica per l'area trotto limita di fatto ai normodotati la possibilità di ottenere l'autorizzazione ad allenare. Una situazione poco corrispondente alla realtà dei fatti che vede in coloro che partecipano alle gare (ovvero alle corse) esclusivamente guidatori trotto, fantini galoppo, cavalli e non già gli allenatori. Nell'area galoppo, infatti, le persone diversamente abili possono svolgere regolarmente la propria attività di allenatore sia dirigendo una scuderia di allenamento sia dando direttive sulla tipologia dell'allenamento a cui sottoporre il cavallo, stazionando a bordo pista;
   chi deve già rinunciare a guidare in corsa per sopravvenute difficoltà motorie (a cui questo sport, per forza di cose, espone) vede così negato il proprio diritto al lavoro;
   i ripetuti contatti intercorsi tra la «cassa ippica» ed il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali a tal riguardo hanno avuto per oggetto il disposto dell'articolo 20 del regolamento delle corse aggiornato al 7 novembre 2012 e gli articoli 20 (guidatori e fantini), 21 (guidatori professionisti), 22 (allievi guidatori), 26 (allenatori), 26-bis (società di allenamento), 27 (categorie professionali) e 28 (licenza a cittadini stranieri);
   a parere dell'interrogante, l'articolo 20 attiene ai guidatori ed i fantini, non già agli allenatori. La lettera «d», laddove è menzionato il termine «allenatore», è da ricondursi piuttosto all'allenatore che richieda la licenza a guidare cavalli in corsa e non già a chi si limita ad allenare. Davanti a tale richiesta di poter guidare in corsa, risulta ovviamente giusto avanzare la richiesta del certificato medico per attività agonistica e della copertura assicurativa. L'articolo 21 (guidatori professionisti) contempla (b: parametri riservati agli allenatori richiedenti l'autorizzazione a guidare cavalli in corsa) e avvalora quanto sopracitato, motivando così l'inserimento della voce «allenatore» all'interno dell'articolo 20. L'articolo 26 (allenatori) non contempla tra gli obblighi di tale categoria la presentazione del certificato medico per attività agonistica e della copertura assicurativa. L'articolo 29 (disposizioni comuni) riporta testualmente «rinnovo delle licenze di guida, di allenamento e (...)», ovvero fa un chiaro distinguo tra le due tipologie di licenze –:
   se non ritenga di dover assumere urgentemente iniziative, per quanto di competenza, affinché la licenza di allenatore, che comunque non consente la guida dei cavalli in gara, sia concessa anche ai soggetti diversamente abili che ne facciano richiesta, al fine di assicurare ad essi il diritto al lavoro e di non alimentare diseguaglianze tra allenatori trotto e allenatori galoppo. (4-14774)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO e NESCI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda sanitaria provinciale di Catania con una sua nota prot. n. 108905/DP del 27 ottobre 2016, rispondeva ad una richiesta di accesso formale agli atti da parte di parlamentari nazionali e siciliani, di cui era prima firmataria la deputata Giulia Grillo;
   la richiesta dei parlamentari era inerente alle autorizzazioni sanitarie necessarie ad operare sul territorio per erogare servizi di pronto intervento ed assistenza medica dell'azienda sanitaria provinciale di Catania rilasciata ad associazioni/società: Ambulanze Onlus Catalano, Via Stabilimenti 12, Santa Venerina 95010 (CT); Ambulanze Ferretti, Via Alcide de Gasperi 79/81, Acireale 95024 (CT); Ambulanze S. Pietro e Paolo Onlus, Corso Italia 83 – 95018 Riposto (CT); Ambulanze Andrea Patanè, Via Bellini 73 – 95010 Milo (CT);
   l'azienda sanitaria provinciale di Catania, nella sua nota, ha scritto «che per le associazioni/società sopra citate, non è stata rilasciata da questa ASP di Catania per il tramite dell'U.O.C. Igiene Ambienti di Vita, alcuna autorizzazione sanitaria ai fini del trasporto infermi a mezzo ambulanza, e si sta provvedendo, di concerto con altro personale ispettivo, ad effettuare i dovuti controlli;
   la circolare dell'assessorato alla sanità della regione siciliana n. 615 del 14 dicembre 1991 stabilisce le direttive per disciplinare il rilascio dell'autorizzazione al trasporto dei malati a mezzo autoambulanze; per il rilascio dell'autorizzazione sopra citata bisogna indicare:
    a) il direttore sanitario responsabile;
    b) un regolamento interno dell'associazione; l'elenco del personale che opera a qualsiasi titolo nella struttura;
    c) orario di servizio dell'attività;
    d) tariffario (conforme alle tariffe vigenti);
   il comunicato n. 87 della Presidenza del Consiglio relativo al decreto del Presidente della Repubblica 27 marzo 1992 stabilisce alla lettera C: «Superare il concetto di trasporto, sempre e comunque del paziente al pronto soccorso più vicino, con quello di trasporto assistito al pronto soccorso (...)» –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito ai requisiti per l'esercizio delle attività di trasporto di ammalati da parte delle società e associazioni sopra citate e se non ritenga, nell'ambito del monitoraggio sostanziale delle azioni finalizzate all'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, di promuovere una verifica volta ad accertare se le prestazioni di pronto intervento, cui partecipano le sopra citate associazioni e società, assicurino pienamente i livelli essenziali di assistenza.
(5-10007)

Interrogazione a risposta scritta:


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, SILVIA GIORDANO, MANNINO, MANTERO, MICILLO, PARENTELA, TERZONI, ZOLEZZI, LOREFICE e COLONNESE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Ferrero Italia s.p.a. ha recentemente promosso una pubblicità, divulgata su tutti i canali nazionali, tra cui le reti pubbliche della Rai, contenente l'indicazione della provenienza sostenibile dell'olio di palma impiegato nei propri prodotti che, a parere degli interroganti, tramite notizie parziali e non corrispondenti alla realtà, finiscono di fatto per indurre in errore il consumatore sulla proprietà e la natura del prodotto;
   la maggior parte delle piantagioni di palma da olio sono state sviluppate incendiando le foreste, con conseguente danno ambientale e climatico. La loro espansione continua inoltre a dipendere dal drenaggio della torba, rendendola un potente fattore di moltiplicazione incontrollata di incendi. Le emissioni prodotte da tali incendi e dal degrado della torba hanno reso l'Indonesia il terzo Paese per emissioni di gas serra, con effetti mondiali a cascata;
   un numero crescente di studi scientifici avvertono sui rischi dell'olio di palma per la salute umana, tra cui: uno studio dell'Organizzazione mondiale della sanità, che dimostra come i principali acidi grassi (come acidi grassi saturi, l'acido miristico e l'acido palmitico) comportino un aumento del livello di colesterolo nel sangue, favorendo malattie cardiovascolari; uno studio del Center for Science in the Public Interest, che conferma il fatto che l'olio di palma aumenti i fattori di rischio cardiovascolare, poiché l'acido palmitico è uno dei grassi saturi che più aumenta il rischio di coronaropatie; numerosi studi che dimostrano che l'acido palmitico infiamma le membrane cellulari, induce l'aterosclerosi e ha un ruolo chiave nella produzione di un fattore necrotico che è all'origine di tumori; uno studio dell’American Heart Association che consiglia di limitarne l'uso per le persone che devono ridurre il livello di colesterolo; un recentissimo studio dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare (Efsa) in cui viene denunciato come nell'olio di palma siano contenute tre sostanze tossiche, di cui una genotossica e cancerogena, il glicidiolo, formatesi durante la raffinazione degli oli vegetali;
   si segnalano la recente diffida del Codacons all'Istituto superiore di sanità in base a rilevazioni discordanti e contrastanti sulla valutazione dell'olio di palma e l'invito della stessa associazione all'Istituto superiore di sanità, Efsa e al Ministero della salute, a stimolare una sospensione della campagna pubblicitaria sino a quando non verranno forniti chiarimenti, con certificazione dei criteri di valutazione di sicurezza, e venga redatto un nuovo parere, aggiornato all'anno corrente, che faccia immediatamente chiarezza sulla vicenda;
   si ricorda la posizione favorevole all'olio di palma assunta dal viceministro delle politiche agricole alimentari e forestali Andrea Olivero durante il convegno organizzato a Milano il 27 ottobre dalla Ferrero sulla questione «olio di palma» che in tale sede ha espresso una contrarietà alla campagna contro l'olio di palma definita dal vice-ministro di «demonizzazione» oltre che volta a favorire «questo o quel Paese» –:
   quali risposte il Governo intenda dare all'istanza del Codacons di cui in premessa;
   quale sia la posizione del Governo rispetto alle dichiarazioni del vice-Ministro Olivero e quali iniziative intenda intraprendere per avviare una valutazione scientifica nazionale sull'olio di palma, ai fini della tutela della salute e dell'ambiente. (4-14783)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   il 16 settembre 2016, in occasione del tavolo tecnico convocato al Ministero dello sviluppo economico sulla vertenza della multinazionale inglese dell'acciaio Vesuvius, il vicepresidente, Richard Sykes, avrebbe annunciato la decisione dell'azienda di chiudere gli impianti attivi in Italia di Assemini e Avezzano;
   la decisione sarebbe stata motivata con il fatto che l'azienda si troverebbe in una condizione di sovraccapacità produttiva rispetto a una produzione globale di acciaio che ha subito una forte flessione negli anni;
   gli impianti interessati dal provvedimento producono infatti materiale refrattario isostatico per le colate degli altiforni in acciaieria che viene venduto alle industrie siderurgiche; conseguentemente, a una contrazione della produzione di acciaio, ne conseguirebbe una maggiora difficoltà della Vesuvius nell'allocare i materiali prodotti presso le acciaierie;
   è il caso di rilevare che, sempre secondo notizie di stampa, l'azienda, per abbattere i costi, intenderebbe trasferire le produzioni negli impianti dislocati in Polonia e nella Repubblica Ceca, continuando, nel contempo, a commercializzare i prodotti in Italia;
   gli stabilimenti, secondo quanto riportato dagli organi di stampa, occuperebbero circa 190 dipendenti, 81 ad Avezzano e 105 ad Assemini, a cui si aggiungerebbero centinaia di unità lavorative indirette;
   è il caso di sottolineare che la chiusura dei suddetti impianti avverrebbe in un contesto di grave crisi economica che determinerebbe la chiusura di numerosi insediamenti produttivi in Abruzzo e Sardegna;
   questa situazione di crisi, anche per le specializzazioni e le qualifiche del personale dell'azienda, renderebbe difficoltosa, se non impossibile, una ricollocazione nel mercato del lavoro dei dipendenti, diretti e indiretti, della Vesuvius;
   secondo quanto riferito dal Governo rispondendo ad una interrogazione in X Commissione (Attività produttive) nella seduta del 20 ottobre 2016, lo scorso 16 settembre si è tenuto un tavolo di riunione presso il Ministero per lo sviluppo economico, in cui la proprietà della Vesuvius ha confermato l'intenzione di chiudere entro fine 2016 gli stabilimenti di Assemini in Sardegna e di Avezzano in Abruzzo. Nonostante tutti i partecipanti al tavolo (Ministero, regioni Sardegna e Abruzzo e sindacati) abbiano stigmatizzato tale decisione, l'azienda ha comunque deciso di aprire la mobilità per i due stabilimenti;
   il 18 ottobre 2016 è stato convocato un altro tavolo in cui l'azienda ha confermato il licenziamento di 186 lavoratori e l'azienda si è dichiarata disponibile a cedere a prezzi di mercato gli stabilimenti ma non gli impianti, escludendo quindi qualsiasi continuità delle attuali produzioni con altri imprenditori eventualmente interessati. Risulta agli interpellanti che il Ministero dello sviluppo economico in tale sede si sia impegnato a chiedere un incontro con i vertici inglesi della Vesuvius finalizzato a verificare le possibili azioni alternative alla cessazione dell'attività annunciata per la fine di dicembre;
   da ultimo, il 3 e 4 novembre 2016, in un incontro del Comitato aziendale ristretto, tenutosi a Dussendorf, per discutere sulla straordinarietà dei due stabilimenti italiani della Vesuvius, il responsabile delle risorse umane della Vesuvius PLC, secondo quanto risulta agli interpellanti, ha tenuto a precisare che il Governo italiano non ha fornito nessuna offerta formale per salvaguardare i suddetti stabilimenti, ma ha soltanto manifestato l'intenzione di inibire la vendita dei prodotti Vesuvius sul mercato italiano. Nonostante l'ampio ventaglio di offerte del Governo, fatte alla presenza dell'amministratore delegato Vesuvius Italia, la Vesuvius PLC si è dimostrata comunque «refrattaria», rifiutando qualsiasi apertura alle trattative; esaurito il ventaglio delle proposte, il Governo stesso ha chiesto alla società di formulare delle richieste concrete da vagliare, ma al momento nessun piano di ristrutturazione aziendale formale risulta arrivato in sede governativa –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali siano le risultanze del tavolo tecnico istituito al Ministero dello sviluppo economico sulla vertenza della Vesuvius, con particolare riguardo ai dettagli tecnici, come costi di produzione e andamento del mercato, che sottendono la decisione di chiudere l'impianto di Assemini e Avezzano;
   se vi siano, allo stato attuale, delle ipotesi di rinvio o di revoca della decisione assunta dalla Vesuvius;
   quali iniziative intenda adottare il Governo per salvaguardare i livelli occupativi e scongiurare la chiusura dei siti produttivi di Assemini e Avezzano;
   se, nell'ottica del mantenimento degli impianti di Assemini e Avezzano, sia stata già contemplata la possibilità di intervento attraverso forme di finanziamento indiretto mediante intermediazione a livello nazionale e locale ed, eventualmente, in che misura e secondo quali modalità e tempistiche;
   se, nel caso di abbandono della produzione, sia stato previsto l'integrale ripristino dei siti industriali di Assemini e Avezzano tramite una completa opera di bonifica;
   se il Ministro interpellato intenda avviare contatti con la sede centrale londinese della Vesuvius PLC per verificare quali siano le reali intenzioni.
(2-01541) «Luigi Di Maio, Vallascas, Corda, Vacca, Cecconi».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOGNATO, MARTELLA, MURER, ZOGGIA e MORETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il polo aeronautico di Tessera, contraddistinto dalla presenza delle società «Superjet International», «Leonardo/Finmeccanica Divisione Elicotteri» (ex Agusta Westland) e «Leonardo/Finmeccanica Divisione Veivoli» (ex Alenia Aermacchi) conta circa 700 lavoratori tra operai, tecnici e impiegati con la presenza di elevate professionalità formate nel tempo;
   Finmeccanica Leonardo, partner di Sukhoi nella joint-venture della società «Superjet International», ha annunciato di volersi progressivamente disimpegnare dalla stessa società, mantenendo, nel caso, una partecipazione assolutamente minoritaria nella compagine societaria;
   tale scelta rischia di compromettere non solo gli assetti attuali della società, ma soprattutto le scelte strategiche in ordine alla produzione, alla commercializzazione e all'assistenza post-vendita del veicolo superjet 100, che avevano nel polo di Tessera la base di riferimento per i mercati europei e d'oltreatlantico, aggravando la situazione occupazionale del sito lagunare;
   vanno considerate le notevoli difficoltà che sconta attualmente anche l'unità produttiva di Leonardo divisione veivoli (ex Alenia), in quanto questa realtà ad oggi può disporre di un programma di lavoro, che a detta della direzione di Leonardo/Finmeccanica, impegnerà solo la metà degli attuali occupati;
   le lavoratrici e i lavoratori di Superjet international hanno proclamato nei giorni scorsi uno sciopero con astensione dal lavoro, per denunciare la scelta di Finmeccanica Leonardo e segnalare il rischio che questa stessa scelta rappresenti il preludio al graduale impoverimento produttivo del polo aeronautico di Tessera;
   il Governo, rispondendo in data 17 marzo 2016 all'interrogazione n. 5/06626 avente come oggetto le scelte strategiche di Finmeccanica per quanto riguarda il polo aeronautico di Tessera, aveva dichiarato che «l'eventuale riassetto di alcune attività non è mirato ad un impoverimento delle realtà territoriali, bensì a creare le condizioni per un loro effettivo rilancio e rafforzamento, salvaguardando le competenze specifiche»;
   nella stessa risposta si riferiva che «il Governo, in qualità di azionista di riferimento di Finmeccanica, porrà in essere ogni iniziativa e vigilerà affinché il nuovo modello di organizzazione della società, vada nella direzione dello sviluppo e del rilancio produttivo dei settori costituenti una risorsa strategica e irrinunciabile per l'intero Paese» –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, in qualità di azionista di riferimento e nell'ambito delle proprie competenze, affinché Finmeccanica garantisca effettivamente il rilancio produttivo di uno dei principali settori strategici per il Paese, qual è quello aeronautico e aerospaziale, assicurando in particolare la continuità lavorativa e occupazionale del polo di Tessera. (5-09998)

Interrogazione a risposta scritta:


   SPESSOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a decorrere dal 1o gennaio 2014, in base a quanto disposto dall'articolo 15, comma 4, del decreto-legge 179 del 2012, i soggetti che effettuano attività di vendita di prodotti e di prestazione di servizi, anche professionali, sono tenuti ad accettare anche pagamenti digitali, effettuati attraverso carte di debito e carte di credito;
   con l'entrata in vigore della legge di stabilità 2016, a partire dal 1o luglio, il POS, già obbligatorio per i professionisti, è diventato obbligatorio anche per i dispositivi di controllo di durata della sosta ovvero per i parchimetri, per cui, anche questi ultimi, devono essere predisposti per l'accettazione di pagamenti elettronici con carta di credito e bancomat;
   la norma sui micro-pagamenti elettronici contenuta nel decreto-legge 179 del 2012, cui fa riferimento il comma 901 dell'articolo 1 della legge di stabilità, rinvia a sua volta all'emanazione di decreti attuativi, necessari a regolare i pagamenti, decreti che ad oggi non risultano essere mai stati approvati;
   nonostante sia giunto a scadenza l'obbligo di adeguamento entro il 1o luglio, molti parcometri risultano a tutt'oggi sprovvisti della funzione di pagamento digitale Pos;
   pur in assenza dei dispositivi elettronici necessari a regolare i pagamenti, la norma contenuta nella legge di stabilità non prevede l'esenzione dal pagamento del ticket per gli automobilisti, né, in assenza di una disciplina normativa specifica, sono previste sanzioni per le amministrazioni che non provvedano a mettersi in regola con le nuove disposizioni sui pagamenti elettronici –:
   quali iniziative, anche di natura normativa, il Ministro intenda adottare al fine di promuovere la possibilità di effettuare operazioni di pagamento tramite carta di debito o di credito, nonché al fine di assicurare l'effettiva applicabilità della norma contenuta nella legge di stabilità 2016, che prevede l'obbligo della funzione bancomat anche sui parcometri, e la definizione di un sistema sanzionatorio nei confronti dei comuni e dei gestori eventualmente inadempienti. (4-14766)

Apposizione di firme ad interpellanze.

  L'interpellanza urgente Romanini e altri n. 2-01537, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Locatelli, Tidei.

  L'interpellanza urgente Binetti e Bosco n. 2-01538, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Minardo.

  L'interpellanza Lacquaniti e altri n. 2-01540, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Chaouki.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Oliverio n. 5-08744, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Lenzi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Ginefra n. 5-09884, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 ottobre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Miccoli.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Matarrese e altri n. 5-09978, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Monchiero.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Mannino n. 5-09980, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Rosa.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Mucci n. 5-09982, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 novembre 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Menorello.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interpellanza urgente Silvia Giordano n. 2-01528 del 2 novembre 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: Interrogazione a risposta in Commissione Tullio e Giacobbe n. 5-09651 del 30 settembre 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-14755.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   BALDASSARRE, ARTINI, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   fonti di stampa hanno informato circa i danni economici subiti dal Paese a causa di fenomeni criminosi che avvengono in ambito lavorativo;
   emergono dati poco incoraggianti: dalla corruzione dipende una perdita collettiva pari a 65 miliardi di euro annui, le contraffazioni di prodotti sono aumentate del 128 per cento. La contraffazione del solo settore agroalimentari è pari al 16 per cento del totale;
   l'ammontare del giro di affari delle agromafie e del caporalato è pari a una cifra compresa tra i 14 e i 17 miliardi di euro, principalmente attribuibile alla gestione del mercato del lavoro nero, all'attività illecita di import-export di prodotti alimentari, a frodi ai danni dell'Unione europea, al riciclaggio ed estorsione, all'infiltrazioni di associazioni malavitose nei mercati ortofrutticoli, alla pesca di frodo, all'infiltrazione nel settore delle energie rinnovabili legate alle attività agricole;
   nel Paese sono stati individuati 80 epicentri del fenomeno del caporalato e i lavoratori vittime di questo abuso si aggirano tra i 400.000 e i 430.000, di cui ben 100.000 vivono in condizioni di sfruttamento e grave vulnerabilità;
   l'economia non osservata produce volumi di affari pari a circa 290 miliardi di euro annui, di cui 5 provenienti dal settore dell'agricoltura sommersa;
   i lavoratori con impiego irregolare si aggirano attorno ad una cifra compresa tra i 3 e i 4 milioni, cagionando un danno economico pari a 35 miliardi di euro, mentre nel solo settore agricolo i lavoratori irregolari sono oltre 400.000;
   dalle ispezioni condotte dalle autorità competenti nel 2015 sono emersi 713 episodi di caporalato. I lavoratori sottoposti al caporale non hanno tutele e diritti garantiti dal contratto e dalla legge, percepiscono un reddito pari alla metà di quello di un lavoratore in regola con le disposizioni normative, cosicché la paga media varia tra i 22 euro e i 30 euro quotidiani;
   si ricorda che il 60 per cento di essi non ha accesso ad acqua o a servizi igienici e deve pagare al caporale il trasporto sul luogo di lavoro e i beni di prima necessità, circa 10 euro giornalieri a lavoratore;
   quali iniziative gravi e urgenti i Ministri interrogati intendano assumere per dare soluzione ai fatti narrati in premessa. (4-13219)

  Risposta. — In riferimento all'atto parlamentare in esame, con il quale si richiama l'attenzione del Governo sui fenomeni del caporalato e dello sfruttamento dei lavoratori in agricoltura, si rappresenta quanto segue.
  Governo e Parlamento insieme, sono fortemente impegnati a contrastare questo deplorevole fenomeno, anche attraverso il coinvolgimento delle istituzioni nazionali e territoriali, delle associazioni di categoria, nonché delle organizzazioni sindacali e dei cittadini stessi.
  Per quanto di specifica competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali; si rappresenta che nell'ambito del documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2015 – adottato dalla commissione centrale di coordinamento (di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 124 del 2004) – sono stati pianificati, in specifici ambiti regionali, interventi di vigilanza nel settore agricolo. Le attività di verifica, svolte in sinergia con altri soggetti istituzionali – quali l'arma dei carabinieri, le ASL, il corpo forestale dello Stato e la guardia di finanza –, hanno consentito di esaminare i rapporti di lavoro sotto diversi aspetti, ivi inclusi quelli di rilevanza penale (ad esempio il traffico di esseri umani).
  Nel contesto delle sinergie inter-istituzionali promosse dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, si iscrive, inoltre, il protocollo d'intesa siglato con l'Automobile Club d'Italia (ACI) che consente agli ispettori del lavoro di risalire ai cosiddetti caporali attraverso il numero di targa dei mezzi utilizzati per il trasporto dei lavoratori.
  I dati dell'attività ispettiva svolta nel 2015 nel settore agricolo mostrano risultati molto positivi sia dal punto di vista qualitativo che quantitativo. Sono state effettuate, infatti, 8.662 ispezioni – con un incremento del 59,4 per cento rispetto al 2014 pari a 5.434 ispezioni in più – che hanno consentito di individuare 6.153 lavoratori irregolari, di cui 3.629 in nero e 180 stranieri privi di permesso di soggiorno. Sono stati accertati, inoltre, 713 casi di interposizione di manodopera/caporalato e 186 violazioni della normativa sull'orario di lavoro. Sono stati riqualificati 82 rapporti di lavoro e individuati 35 minori impiegati irregolarmente. Si evidenzia, inoltre, che sono stati adottati 459 provvedimenti di sospensione dell'attività imprenditoriale.
  Anche il documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2016 dedica particolare attenzione al contrasto del lavoro sommerso, ai fenomeni di sfruttamento dei lavoratori nonché al caporalato. In particolare, sono stati pianificati interventi nel settore agricolo in specifici ambiti regionali, tra i quali Puglia (nello specifico le province di Foggia, Taranto e Bari), Campania (in particolare la Piana del Sele e l'Agro Nocerino-Sarnese) e Lazio (nello specifico l'Agro Pontino). A tale proposito, al fine di rafforzare l'efficacia dell'attività ispettiva, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha previsto la costituzione di apposite task-force ispettive.
  Lo scorso 27 maggio è stato sottoscritto dai Ministri Poletti, Alfano e Martina un Protocollo di intesa contro il caporalato e lo sfruttamento lavorativo in agricoltura. L'intesa, sottoscritta anche dall'ispettorato nazionale del lavoro, da diverse regioni, dalle organizzazioni sindacali, dalle associazioni di categoria e da alcuni rappresentanti del cosiddetto terzo settore, ha come finalità principale sostenere e rafforzare gli interventi di contrasto al caporalato e allo sfruttamento su tutto il territorio nazionale, a partire dai territori più interessati da tale fenomeno. Tra le azioni principali previste dal protocollo si annoverano: la stipula di convenzioni, per il servizio di trasporto gratuito dei lavoratori per il tragitto casa/lavoro; l'istituzione di presidi medico-sanitari mobili; il potenziamento delle attività di tutela ed informazione ai lavoratori.
  Lo scorso 13 luglio, inoltre, è stato siglato un secondo protocollo – sulla scia di quello concluso lo scorso 27 maggio – per il lancio dell'attività di vigilanza «interforze» nel settore agricolo. Tale protocollo è stato sottoscritto, oltre che dai Ministeri del lavoro, della difesa, delle politiche agricole, anche dall'ispettorato nazionale del lavoro, dalle regioni, dalle organizzazioni sindacali e datoriali del settore agricolo e dalle organizzazioni di volontariato. Il protocollo ha carattere strettamente operativo, in quanto mira ad assicurare – attraverso l'impiego dei militari dell'Arma dei carabinieri e del personale del corpo forestale dello Stato – un contrasto ancora più efficace contro, le violazioni della disciplina in materia di lavoro e legislazione sociale, grazie a una forte e costante presenza sul territorio di tutti i soggetti competenti a svolgere azioni di vigilanza nel settore agricolo.
  Il caporalato costituisce, purtroppo, un problema storico del nostro Paese sul quale si è intervenuti ripetutamente e, anche di recente, in termini legislativi. Evidentemente gli avvenimenti, anche tragici, che si apprendono dai media costringono a ritornare su questo argomento, imponendo una riflessione in ordine alle azioni, alle norme ed ai comportamenti più adeguati per far fronte a tale situazione. Il problema, dunque, non va affrontato in maniera emergenziale bensì strutturale perché si ripropone ogni anno con le medesime modalità e nei medesimi territori. A tale proposito ricordo che il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge contenente disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni di lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. Tale provvedimento legislativo, approvato dal Senato ed ora all'esame delle Commissioni lavoro e giustizia della Camera dei deputati, mira a garantire una complessiva e maggiore efficacia dell'azione di contrasto, introducendo modifiche significative in diversi testi normativi al fine di prevenire e colpire in modo organico e mirato tale fenomeno criminale nelle sue diverse manifestazioni.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la febbre gialla è un'epidemia emorragica virale trasmessa da zanzare infette. Il nome «gialla» si riferisce all'itterizia che colpisce alcuni pazienti;
   la zanzara Aedes aegypti è il vettore principale della febbre gialla, ed è portatrice anche di febbre dengue, di chikungunya e Zika;
   non esiste alcun trattamento per questa malattia, la vaccinazione è il metodo di prevenzione più efficace. I sintomi includono febbre, mal di testa e dolori muscolari, e per i pazienti che si trovano nelle fasi più gravi, febbre alta ed emorragie interne;
   secondo l'Organizzazione mondiale della sanità, più del 50 per cento dei pazienti gravemente malati muore nel giro di 15 giorni dopo aver contratto l'infezione;
   la distribuzione del vaccino per la febbre gialla è la chiave per prevenire future epidemie, e le scorte limitate del vaccino devono essere utilizzate in modo efficiente nei vari ospedali ove si registrano i casi;
   a sentire i medici esperti di malattie tropicali per eliminare qualsiasi rischio di diffusione della malattia è fondamentale essere vigili e reattivi in quanto non esiste alcun trattamento specifico per la febbre gialla;
   la prevenzione attraverso vaccinazioni mirate e misure di controllo del vettore rimane l'arma migliore contro l'epidemia;
   nella Repubblica democratica del Congo, dalla fine di febbraio 2016 ad oggi sono stati confermati 48 casi di infezione dovuta alla febbre gialla. Tante persone ammalate arrivano in Italia dall'Angola;
   a Matadi, la capitale del Congo Centrale, il 15 giugno 2016 scorso le équipe della maggior parte delle associazioni hanno lanciato una campagna di vaccinazione rivolta ai 350.000 residenti, come parte del programma del Ministero della sanità congolese che mira a vaccinare una popolazione di due milioni di persone. Sempre in collaborazione con il Ministero della salute italiana, in quanto organizzazioni come MSF hanno lanciato misure di controllo del vettore dell'epidemia a Kinshasa e nel Congo Centrale;
   queste attività puntano a debellare la zanzara Aedes aegypti portatrice della febbre gialla;
   le case sono state disinfestate o sottoposte a fumigazione per uccidere le zanzare adulte e distruggere i siti di riproduzione, come rifiuti o oggetti contenenti acqua stagnante in cui la zanzara depone le uova. Queste attività vengono svolte nei luoghi dove i casi sono stati confermati e in quelli più esposti, come ospedali, scuole e mercati;
   vari allestimenti sanitari stanno curando inoltre i pazienti, fornendo supporto medico ai centri sanitari identificati e formando il personale, affinché l'epidemia si contenga;
   in Angola, molti medici virologi italiani dalla metà di febbraio 2016 sono impegnati nel trattamento dei casi di febbre gialla. Le équipe di varie associazioni sta o inoltre curando diretti ente i pazienti nella capitale Luanda (ospedale di Kapalanga), così come nelle province di Huambo, Huila e Benguela;
   finora però hanno curato pochi pazienti per mancanza di fondi per acquistare il vaccino;
   nel 2016, 3 Paesi del continente americano hanno confermato la circolazione del virus della febbre gialla: Bolivia, Brasile e Perù;
   in Brasile, casi sporadici di febbre gialla si sono verificati in soggetti senza una storia di vaccinazione contro la febbre gialla. Tra il luglio 2015 e il giugno 2016 sono stati registrati un totale di 6 casi confermati di febbre gialla, tra cui 5 morti. Tutti i casi però sono relativi a persone che non avevano seguito i protocolli di vaccinazione;
   in Perù, fino a questo momento sono stati segnalati 14 casi confermati, 18 classificati come probabili e 4 morti. Dei 25 dipartimenti del Perù, quello in cui è stato segnalato il maggior numero di casi confermati e probabili è il dipartimento di Junin (21 casi) –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare per contrastare eventuali rischi di contagio del virus in Italia, dato il forte flusso immigratorio di persone che transitano nel nostro Paese provenienti da Paesi stranieri in ragione del fatto che si sono scoperti in loco vari casi sospetti di febbre gialla. (4-13760)

  Risposta. — Il direttore dell'Organizzazione mondiale della sanità (Oms), a seguito della riunione del comitato di emergenza in data 19 maggio 2016, ha stabilito che l'epidemia di febbre gialla in Angola e Repubblica democratica del Congo costituisce un grave evento di sanità pubblica, anche se non rappresenta ancora un'emergenza di sanità pubblica di rilevanza internazionale.
  In tale occasione, è stato raccomandato che tutti i viaggiatori, in particolare i lavoratori migranti, provenienti da o diretti in Angola e Repubblica Democratica del Congo, siano vaccinati contro la febbre gialla.
  Il Ministero della salute ha diramato la circolare n. 17015 del 15 giugno 2016 alle regioni e province autonome, al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, all'ispettorato generale della sanità militare del Ministero della difesa, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministero dell'interno, al Comando generale corpo delle capitanerie di porto e alla Croce rossa italiana, informando della situazione e raccomandando al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale di voler richiamare l'attenzione delle ambasciate/consolati sulla necessità di richiedere il certificato di vaccinazione contro la febbre gialla prima del rilascio del visto per l'Italia ai cittadini provenienti dall'Angola o dalla Repubblica democratica del Congo.
  Per informare i cittadini italiani, è stata aggiornata la pagina del portale di questo Ministero dedicata alla febbre gialla e quella relativa alla vaccinazione contro la febbre gialla, dove è disponibile l'elenco dei centri regionali in cui è possibile effettuare la vaccinazione contro la febbre gialla: http://www.salute.gov.it/portale/news/p3_ 2_1_1_1.jsp ?lingua=italiano&menu=notizie&p=dalministero&id=2602.
  Nel portale è inoltre disponibile la pagina vaccinazioni e profilassi nel mondo – guida interattiva, in cui le persone in procinto di recarsi all'estero possono controllare se è necessario effettuare la vaccinazione contro la febbre gialla e se è raccomandabile assumere una profilassi.
  Nella sezione eventi epidemici all'estero, vengono diramati i comunicati dell'Oms sulla situazione epidemiologica http://www. sanita.it/Malinf gestione/Rischi/documenti/80-16.pdf
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   CAPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 81 del 2014 ha stabilito il superamento degli ospedali psichiatrici giudiziari (OPG) ed il conseguente trasferimento degli internati alle residenze per l'esecuzione della misura di sicurezza (REMS);
   in attuazione di quanto disposto dalla legge, il 24 febbraio 2015 la Conferenza unificata ha siglato un accordo con il quale si dispone che le assegnazioni e i trasferimenti degli internati delle REMS debbano essere effettuati sulla base del principio di territorialità;
   detto principio, richiamato in premessa dell'accordo citato, impegna regioni e province a garantire l'accoglienza nelle proprie REMS di persone sottoposte a misura di sicurezza detentiva residenti nel proprio ambito territoriale regionale o provinciale;
   l'articolo 1, comma 4, del suddetto accordo stabilisce che la territorialità si fondi sull'accertata residenza degli internati;
   il titolo V della parte II della Costituzione ha introdotto espressamente (articolo 120, comma 2), il riferimento al principio di leale collaborazione nei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali, mentre la Conferenza unificata è considerata sede privilegiata della negoziazione politica tra le amministrazioni centrali e quelle periferiche, all'interno della quale si esplica al meglio il citato principio di leale collaborazione;
   detto principio non è stato, però, rispettato, dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria (DAP) del Ministero della giustizia che ha deciso di inviare un internato che non risulta attualmente detenuto in Sardegna – Luigi Chiatti – nel REMS di Capoterra in Sardegna;
   appare evidente all'interrogante che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria abbia agito in contrasto con il detto principio di leale collaborazione, giacché ha effettuato assegnazione e trasferimenti degli internati alla EMS sarda ignorando il principio di territorialità sancito dal citato accordo del 24 febbraio 2015;
   è singolare, tra l'altro, la spiegazione che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha ritenuto di dare in replica ad una diffida per la violazione del principio di territorialità: «Tuttavia, con il venir meno della concreta disponibilità di posti letto presso le REMS attive e tenuto conto della mancata attivazione da parte di alcune Regioni delle strutture nel proprio territorio, questa Direzione Generale è stata costretta a designare, per l'assegnazione delle persone raggiunge da provvedimenti di applicazione di una misura di sicurezza detentiva, le strutture già attive nelle Regioni limitrofe (...)»;
   il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria aggiunge inoltre che «la Regione Sardegna ha previsto un numero di posti letti insufficiente ad accogliere tutti i 10 pazienti con residenza nel proprio territorio di riferimento, ancora ospitati negli OPG, e che, pur riassegnando i due pazienti non residenti nella Regione Sardegna in strutture residenziali di altra Regione, la REMS di Capoterra non sarebbe comunque in grado di accogliere i propri pazienti (...)». Da che sembra dedursi che la REMS di Capoterra non è in grado di accogliere pazienti residenti in Sardegna, ma è in grado di accogliere un paziente proveniente da altra regione;
   le risposte, a giudizio dell'interrogante illogiche, del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria mostrano, in realtà, un evidente imbarazzo nel giustificare una decisione che appare, invece, ingiustificabile –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per evitare che l'accordo del 24 febbraio 2015 venga così clamorosamente disatteso da una struttura dello Stato centrale, che ad avviso dell'interrogante mostra di non aver compreso lo spirito di riforma del Titolo V della parte II della Costituzione, prediligendo una concezione verticale e gerarchica dei rapporti tra Stato, regioni ed enti locali che dovrebbe essere ormai «fuori gioco», vista l'introduzione del principio di leale collaborazione più volte ricordato. (4-11069)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante segnala una anomala gestione nell'assegnazione degli internati alle Residenze per la esecuzione della misura di sicurezza rilevando che nel caso di Luigi Chiatti è stato violato il principio di territorialità fissato dall'articolo 1, comma 4, della legge n. 81 del 2014, essendo stato destinato alla struttura di Capoterra in Sardegna, benché fosse originario della regione Toscana.
  In via preliminare, occorre evidenziare che, all'esito della complessa procedura di transizione dagli ospedali psichiatrici giudiziari alle REMS operata con la legge suindicata e a seguito dell'accordo sancito nella conferenza unificata del 26 febbraio 2015, le competenze del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria sono state decisamente ridotte. Allo stato, pertanto, spetta alla competente articolazione del Ministero della giustizia solo l'indicazione, all'autorità giudiziaria che lo richieda, della struttura residenziale di riferimento per il ricovero delle persone raggiunte dal provvedimento applicativo della misura di sicurezza detentiva.
  Ricade, invece, nella competenza del Ministero della salute e dell'amministrazione regionale la materiale esecuzione dei provvedimenti emessi dall'autorità giudiziaria.
  Com’è noto, la mancata realizzazione, da parte delle regioni, di un numero di posti letto sufficiente ad accogliere le persone sottoposte alle misure di sicurezza detentive ha determinato una situazione di generale criticità.
  Tale situazione è, tuttavia, in corso di risoluzione a seguito del commissariamento delle regioni inadempienti disposto dalla Presidenza del Consiglio dei ministri nell'ottobre del 2015 ed alla nomina, nello scorso febbraio, del commissario straordinario, recentemente rinnovata per ulteriori sei mesi. Le Regioni commissariate al conferimento dell'incarico sono state: Veneto, Piemonte, Toscana, Abruzzo-Molise, Puglia e Calabria.
  La mancata attivazione delle REMS in alcune regioni e, dunque, la materiale assenza di strutture disponibili ad accogliere i pazienti nel loro territorio di residenza, ha imposto, dunque, all'amministrazione penitenziaria di indicare all'autorità giudiziaria le REMS aventi posti disponibilità di posti e di prescindere provvisoriamente dal principio di territorialità, in attesa del completamento delle strutture da parte di tutte le regioni.
  Con particolare riguardo all'assegnazione di Luigi Chiatti alla REMS di Capoterra in Sardegna, il Dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha riferito che, secondo quanto disposto con la sentenza di condanna, al termine della pena detentiva, nei confronti dello stesso doveva essere eseguita la misura di sicurezza detentiva, in ragione della pericolosità sociale dimostrata.
  Poiché, tuttavia, al momento dell'espiazione della pena, la regione Toscana non aveva ancora adempiuto all'obbligo di attivare le REMS, l'amministrazione penitenziaria, si è trovata costretta ad indicare l'unica tra le strutture residenziali attive nelle regioni limitrofe, che, all'atto dell'esecuzione del provvedimento, aveva ancora disponibilità di posti.
  Più in particolare, all'epoca dell'assegnazione di Luigi Chiatti alla REMS di Capoterra, la regione Toscana – che in virtù dell'accordo stipulato con la regione Umbria avrebbe dovuto accogliere anche i pazienti di tale regione – non disponeva ancora di alcuna REMS, posto che la prima è entrata in funzione a Volterra solo il 1o dicembre 2015.
  In buona sostanza, il mancato rispetto del principio di territorialità è da imputarsi non ad una scelta discrezionale dell'amministrazione, bensì alla mera indisponibilità di una struttura sul territorio regionale di riferimento.
  Con specifico riferimento, poi, alle censure mosse dagli interroganti in ordine alle motivazioni addotte dall'amministrazione per l'assegnazione di Luigi Chiatti alla REMS sarda, deve innanzitutto precisarsi, che, come riferito dalla competente articolazione ministeriale, il ricorso a «strutture già attive nelle regioni limitrofe», va inteso con riferimento al bacino macroregionale cui afferivano le regioni Toscana, Umbria, Liguria e Sardegna.
  Corrispondentemente, le persone sottoposte alla misura di sicurezza detentiva residenti nella regione Sardegna, fino alla data del 1o aprile 2015, erano state assegnate all'ospedale psichiatrico giudiziario di Montelupo Fiorentino, che era la struttura di riferimento di tale bacino macroregionale.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   CIRIELLI e RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, recante «disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire, a norma della legge 2 agosto 2004, n. 210» è stato promulgato con il lodevole intento di garantire gli acquirenti di immobili in corso di costruzione relativamente agli acconti versati al costruttore;
   in particolare, l'articolo 2 dispone: «All'atto della stipula di un contratto che abbia come finalità il trasferimento non immediato della proprietà o di altro diritto reale di godimento su un immobile da costruire o di un atto avente le medesime finalità, ovvero in un momento precedente, il costruttore è obbligato, a pena di nullità del contratto che può essere fatta valere unicamente dall'acquirente, a procurare il rilascio ed a consegnare all'acquirente una fideiussione, anche secondo quanto previsto dall'articolo 1938 del codice civile, di importo corrispondente alle somme e al valore di ogni altro eventuale corrispettivo che il costruttore ha riscosso e, secondo i termini e le modalità stabilite nel contratto, deve ancora riscuotere dall'acquirente prima del trasferimento della proprietà o di altro diritto reale di godimento»;
   dalla lettera della disposizione, pertanto, si comprende come la stessa abbia tratto la propria ragione di esistere dalle ipotesi in cui i costruttori, o non hanno ultimato gli immobili, o sono falliti durante la costruzione, lasciando così gli acquirenti senza né casa né restituzione delle somme versate;
   la realtà dei fatti, però, si discosta molto dal diritto scritto, posto che spesso le banche si rifiuterebbero di rilasciare le suddette polizze e, in caso di rilascio, chiederebbero un versamento da parte del costruttore di importi pari a quanto occorre garantire, vincolando detti versamenti su conti «bloccati» che rilasciano interessi irrisorie pretendendo cifre non trascurabili per il servizio reso al costruttore;
   anche le compagnie assicurative spesso si rifiuterebbero di rilasciare le polizze e quando lo fanno, da una parte pretenderebbero fideiussioni abnormi da parte del costruttore, e dall'altra cercherebbero di vendere «collateralmente» al costruttore altre polizze solitamente collegate a versamenti economici molto vicini alle cifre a dover garantire, chiedendo altresì premi assicurativi con percentuali non trascurabili;
   non trasparente e alquanto spregiudicato sarebbe altresì l'operato degli intermediatori finanziari;
   al riguardo il decreto non ha previsto alcun obbligo a carico delle banche o delle assicurazioni per il rilascio delle fideiussioni, né tantomeno ha indicato dei parametri economici calmieratori del prezzo della polizza;
   il costruttore si trova, pertanto, nella condizione di dover garantire il rilascio di una polizza all'acquirente, senza avere la possibilità concreta di poterla reperire sul mercato;
   tale decreto, così come emanato, ha generato una serie di evidenti lacune operative che «di fatto» stanno aggiungendo notevolissime difficoltà a quanti, nonostante la grave crisi economica che ha colpito il nostro Paese e, in particolare, il settore edile, ancora desiderano fare impresa;
   se da una parte è apprezzabile l'intento di voler opportunamente garantire gli acquirenti e perseguire quei costruttori che non adempiono a quanto promesso, dall'altra non lo si può fare imponendo obblighi materialmente non assolvibili o difficilmente assolvibili, con danno degli imprenditori –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda valutare l'opportunità di assumere iniziative per apportare modifiche al decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, in particolare, in materia di rilascio delle polizze fideiussorie ai costruttori venditori, tali da rendere il dettato normativo concretamente attuabile. (4-10641)

  Risposta. — Mediante interrogazione in esame – che pone come premessa di fatto la difficoltà per gli imprenditori edili di ottenere, a condizioni eque, le polizze fideiussorie richieste dall'articolo 2 del decreto legislativo in data 20 giugno 2005, n. 122 da parte di banche o società assicuratrici – si chiede di conoscere se i Ministri interrogati intendano assumere, per quanto di rispettiva competenza, iniziative normative finalizzate alla modifica del decreto citato, introducendo, in particolare, disposizioni che prevedano a carico delle banche o delle assicurazioni l'obbligo di contrarre per il rilascio di fideiussioni e, comunque, parametri economici calmieratori del prezzo delle polizze.
  Il tema posto dall'interrogazione richiede, indubbiamente, una attenta valutazione da parte del Governo, nella prospettiva del bilanciamento tra il valore primario della tutela degli investimenti privati e la necessità di dover individuare con la massima chiarezza le regole per il corretto funzionamento del mercato, oltre che per l'effettiva tutela del credito.
  Come è noto, il decreto legislativo n. 122 del 20 giugno 2005, recante «Disposizioni per la tutela dei diritti patrimoniali degli acquirenti di immobili da costruire», ha inteso disciplinare un ambito molto delicato del settore degli acquisti immobiliari, apprestando una serie di tutele a favore della parte che acquista diritti, attraverso la varietà dei negozi giuridici in cui si manifesta l'autonomia negoziale, su un bene immobile ancora da costruire.
  In particolare, oltre alla menzionata garanzia fideiussoria, il citato decreto legislativo prevede, all'articolo 4, ulteriori forme di tutela per il contraente, tra le quali l'obbligo posto a carico del costruttore di stipulare il contratto e di consegnare al compratore, al momento della stipula del definitivo, una polizza assicurativa indennitaria di durata decennale, per i danni da rovina dell'immobile o per gravi difetti costruttivi.
  È stata, altresì, prevista la costituzione di un fondo di solidarietà, presso il Ministero dell'economia e delle finanze, gestito dalla C.o.n.s.a.p.-Concessionaria di servizi assicurativi pubblici s.p.a. ed avente la funzione di corrispondere un giusto indennizzo all'acquirente qualora questi, a causa della situazione di insolvenza del venditore-costruttore, abbia subito la perdita di somme di denaro o di altri beni e non abbia conseguito il diritto di proprietà sull'immobile oggetto della stipula.
  A fronte dei rimedi apprestati, va ricordato che il nostro ordinamento tutela il principio generale della libertà negoziale dei singoli e delle imprese, che è suscettibile di limitazioni soltanto se giustificate da prevalenti ragioni di interesse pubblico generale, in ossequio all'articolo 41 della Costituzione ed in armonia con gli articoli 43 e 49 del Trattato istitutivo della Comunità europea, nonché della consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia.
  Nel quadro così delineato e con riferimento alle specifiche questioni prospettate nell'interrogazione, ritengo doveroso segnalare – così come comunicato dal Ministero dell'economia e delle finanze – che la Banca d'Italia, investita della problematica relativa alla mancata previsione di un obbligo, a carico delle banche o delle assicurazioni, avente ad oggetto il rilascio delle fideiussioni, ove richiesta dall'imprenditore, ha evidenziato come le scelte in materia di erogazione del credito non possano che essere rimesse alle autonome determinazioni degli intermediari, fermo restando l'obbligo di fornire al richiedente indicazioni sulle ragioni dell'eventuale rifiuto.
  Va aggiunto che detto principio risulta essere stato ribadito in più occasioni anche dall'arbitro bancario finanziario, istituito nel 2009, il quale, peraltro, con specifico riguardo alla disciplina di cui al decreto legislativo n. 122 del 2005, nell'esercizio delle sue funzioni di organismo indipendente di risoluzione stragiudiziale delle liti fra intermediari e clienti, si è principalmente occupato di controversie instaurate dagli acquirenti degli immobili contro gli intermediari.
  Al contrario, secondo quanto risulta, i ricorsi presentati dalle società costruttrici sono stati numericamente contenuti ed hanno riguardato questioni diverse da quelle in disamina: quale, ad esempio, la legittimità del rifiuto di ritenere estinta la fideiussione da parte dell'intermediario, che ha continuato ad addebitare i relativi costi al cliente anche dopo la consegna degli immobili agli acquirenti, in assenza del rilascio della documentazione prevista nel contratto di fideiussione quale requisito necessario per la estinzione della garanzia.
  Quanto alle iniziative di modifica della disciplina prevista dal decreto legislativo 20 giugno 2005, n. 122, segnalo che risultano attualmente iscritti presso le rispettive Commissioni permanenti giustizia di Camera e Senato cinque disegni e proposte di legge.
  Secondo quanto rappresentato dall'ufficio legislativo di questo Dicastero, i citati atti partono tutti dalla considerazione della sostanziale elusione della disciplina prevista dall'articolo 2 del decreto da parte dei venditori-costruttori e della sostanziale ineffettività, dal punto di vista della tutela dell'acquirente, della sanzione di nullità del contratto prevista dalla norma. Propongono, pertanto, l'introduzione dell'obbligo a carico del notaio rogante di verificare, in sede di stipula, l'effettivo rilascio della polizza e, nel caso in cui tale controllo abbia avuto esito negativo, di segnalare la violazione all'autorità del comune presso il quale si trova l'immobile al fine della applicazione di sanzioni pecuniarie amministrative a carico del venditore. Prevedono, inoltre, l'irrinunciabilità da parte dell'acquirente delle tutele previste dal decreto legislativo n. 122 del 2005, nonché l'ampliamento dei presupposti di fatto che consentono l'escussione della fideiussione.
  Si tratta, invero, di disegni e proposte di legge che, pur partendo da una ricognizione dello stato di applicazione della disciplina vigente in senso sostanzialmente coincidente con quello prospettato nell'interrogazione, pongono, tuttavia, in rilievo piuttosto la necessità di incrementare i profili di tutela dell'acquirente.
  Dal confronto parlamentare che sicuramente si svilupperà intorno ad un tema di così evidente complessità e rilevanza è auspicabile che possano essere individuati, nel rispetto dei principi vigenti, i rimedi più idonei ad assicurare l'opportuno contemperamento degli interessi coinvolti.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dal 2010, per le gravi carenze di organico che ammontano, secondo le stime del Ministero di giustizia, a circa 8 mila unità e per sostenere i lavoratori svantaggiati di aziende in crisi, sono stati arruolati in tirocinio, tramite bando pubblico, all'incirca 3 mila lavoratori, utilizzati dal predetto Ministero per tre anni;
   la legge di stabilità ha previsto lo stanziamento di fondi per il proseguimento dei tirocini formativi;
   i tirocinanti hanno acquisito, nei tre anni di attività, competenze e abilità al lavoro indispensabili al buon funzionamento degli uffici, e hanno sopperito alle carenze di personale;
   le carenze nel funzionamento degli uffici giudiziari saranno probabilmente oggetto di varie procedure di infrazione dell'Unione europea verso l'Italia, con conseguenti sanzioni milionarie a carico dello Stato italiano –:
   se e come, per quanto di competenza, intenda intervenire nella vicenda.
(4-05788)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede quali iniziative il Ministro della giustizia intenda assumere in riferimento alla situazione di coloro che hanno preso parte agli stages formativi presso le cancellerie degli uffici giudiziari.
  Come noto, l'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito nella legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, nell'ambito delle misure previste per assicurare l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie ha disposto uno stanziamento di risorse «per consentire ai lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e ai disoccupati e agli inoccupati, che a partire dall'anno 2010 hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, il completamento del percorso formativo entro il 31 dicembre 2013, nel limite di spesa di 7,5 milioni di euro».
  L'articolo 1, comma 344, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha destinato ulteriori risorse finanziarie, affinché i soggetti che avevano completato il tirocinio presso gli uffici giudiziari, a norma dell'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, svolgessero un ulteriore tirocinio di perfezionamento, da concludere entro il 30 settembre 2014.
  A seguito dell'integrazione degli stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio, presso tutti gli uffici interessati è stata avviata, a partire dal 1o dicembre 2014, la seconda fase del percorso formativo di perfezionamento, destinata esclusivamente ai tirocinanti che avevano partecipato al primo intervento formativo.
  Tale sessione formativa si sarebbe dovuta concludere il 30 aprile 2015, per effetto di quanto previsto dall'articolo 1, comma 12, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192, cosiddetto «decreto milleproroghe», convertito nella legge 27 febbraio 2015, n. 11.
  Nella prospettiva di valorizzare il percorso professionalizzante anche di quanti fossero già impegnati in stage presso le cancellerie in virtù delle proroghe normative citate, con l'articolo 21-ter del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito nella legge 6 agosto 2015, n. 132, è stata, invece, introdotta la possibilità di partecipazione dei tirocinanti all'ufficio del processo, per un periodo di dodici mesi, a seguito di una adeguata selezione e attribuendo loro, altresì, una borsa di studio mensile.
  In particolare, l'articolo 21-ter citato ha previsto che il completamento del periodo di perfezionamento costituisca titolo di preferenza, a parità di merito, ai sensi dell'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione; inoltre lo stesso articolo prevede che nelle procedure concorsuali indette dall'amministrazione della giustizia siano introdotti meccanismi finalizzati a valorizzare l'esperienza formativa acquisita.
  Con la prospettiva introdotta dal recente decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, che ha autorizzato il ministero al reclutamento di personale amministrativo per 1.000 nuove assunzioni, anche con bando di concorso, saranno certamente valorizzati e riconosciuti i percorsi professionali di coloro che hanno svolto tirocini e stage presso gli uffici giudiziari, così da offrire una reale possibilità di impiego a persone che hanno maturato competenze significative nei servizi di cancelleria.
  L'attenzione ai tirocinanti è stata, dunque, sempre massima da parte del Ministero della giustizia, che non ha ricercato soluzioni transitorie, ma ha voluto costruire un vero e proprio percorso professionalizzante.
  In tale prospettiva, è già alla firma il decreto interministeriale con il quale si dà avvio all'assunzione, a tempo indeterminato, di 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale, in attuazione del decreto-legge n. 117 del 2016.
  Il bando per il concorso sarà pubblicato entro il prossimo 21 novembre 2016.
  Sono certo che, anche nei concorsi che si apriranno presso altre amministrazioni, centrali e periferiche, il titolo preferenziale che abbiamo voluto riconoscere ai tirocinanti – con la previsione dell'articolo 21-ter del decreto-legge 30 giugno 2015, n. 83 – sarà davvero assicurato.
  Evidenzio, inoltre, che, nelle more della definizione delle procedure concorsuali previste dal citato decreto-legge n. 117, per coloro che hanno partecipato al tirocinio di perfezionamento presso l'ufficio del processo (1.115 unità) che si concluderà entro la fine del corrente anno, è stata proposta dal mio dicastero, nell'ambito della legge di bilancio per l'anno 2017, la proroga del periodo di tirocinio, della durata non superiore a 12 mesi, ove espressamente richiesto dagli interessati, mantenendo il diritto alla borsa di studio.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   DI BATTISTA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Roma, a seguito dei numerosi incontri svolti tra i rappresentanti dell'Università «La Sapienza» e degli enti territoriali, nel corso dei quali sono stati individuati i princìpi generali di collaborazione per la ristrutturazione del sistema universitario metropolitano e regionale, ha ritenuto opportuno e necessario promuovere la redazione di un piano di assetto generale quale strumento di inquadramento urbanistico degli ambiti interessati dal «Progetto di riqualificazione e sviluppo delle strutture dell'Università degli Studi di Roma “La Sapienza«»;
   sulla base del Protocollo di intesa sottoscritto in data 6 aprile 2000 anche dalla regione Lazio e dalla provincia di Roma, il comune di Roma e l'università degli studi di Roma «La Sapienza» hanno concordato nell'assumere come riferimento per l'elaborazione del piano di assetto generale un documento linee di sviluppo e riassetto territoriale dell'ateneo di Roma «la Sapienza»;
   nell'aprile 2003, con deliberazione n. 76, il comune di Roma approvava «l'adeguamento alle nuove esigenze di decongestionamento delle strutture universitarie e la riqualificazione dei quartieri limitrofi» in particolare prevedendo uno sviluppo territoriale nel senso della creazione di un polo centrale, facente capo principalmente agli insediamenti della città universitaria, del Policlinico Umberto I e del Castro Laurenziano;
   nel 2006, il consiglio di amministrazione dell'università «La Sapienza» deliberava la costruzione di un parcheggio interrato nell'area fra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati e del basamento di una piscina comunale; la fase esecutiva veniva affidata nel 2007 al provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna;
   il 10 ottobre 2008, con nota prot. n. 37661, il provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna, facendo seguito a precedente istanza inoltrata il 20 maggio 2008, chiedeva l'attivazione della procedura ex decreto del Presidente della Repubblica n. 383 del 1994 per «l'intervento complessivo di riqualificazione» dell'area fra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati;
   l'intervento veniva disarticolato in due stralci:
    a) lavori di realizzazione di un parcheggio multipiano interrato nell'area fra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati;
    b) interventi per la realizzazione di strutture sportive e la riqualificazione dell'area di superficie tra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati;
   l'11 dicembre 2008, con nota n. 35567, il Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza speciale per i beni archeologici, ribadiva «la già dichiarata necessità di ulteriori indagini che consentano alla Scrivente di acquisire tutte le informazioni indispensabili all'elaborazione di un parere sul progetto che, per quanto fino ad ora noto, interferisce con le stratigrafie archeologiche identificate, questo Ufficio richiede l'esecuzione di una indagine con Tomografia elettrica tridimensionale ad alta definizione, secondo una maglia di acquisizione quadrata di m. 1,5 che assicuri un elevato dettaglio fino ad almeno m. 12 di profondità e l'elaborazione in 3D dei dati ottenuti dalla sezioni adiacenti, per evidenziare con apprezzabile dettaglio la presenza di anomalie riconducibili a strutture archeologiche e, in particolare, a cavità e galleria», precisando che «successivamente si procederà all'esecuzione di indagini di scavo sull'area, con particolare riferimento alle anomalie evidenziate dai risultati in Tomografia»;
   nel giugno 2009, l'Agenzia del demanio-Filiale Lazio, il comune di Roma, Laziodisu, il municipio II del comune di Roma e l'Università «La Sapienza» firmavano un protocollo d'intesa che prevedeva la realizzazione di un parcheggio multipiano da 252 posti auto, che «sarà a disposizione della comunità universitaria e nella fascia oraria pomeridiana e serale potrà essere utilizzato da tutta la cittadinanza»;
   il 18 febbraio 2010 con nota n. 5560, il Ministero per i beni e le attività culturali – Soprintendenza speciale per i beni archeologici, esprimeva parere favorevole con le seguenti prescrizioni: «Questo ufficio recepisce positivamente l'opportunità prospettata dalla riqualificazione dell'area a condizione che il progetto esecutivo si integri con la realtà archeologica valorizzandola. Si forniscono dunque le seguenti condizioni vincolanti:
    1. Si eseguiranno gli scavi archeologici e tutte le indagini che questo Ufficio reputi necessarie;
    2. La progettazione dovrà recepire le prescrizioni che la Soprintendenza esprimerà successivamente alla valutazione dei risultati delle indagini;
    3. L'attuale progetto, a discrezione dello Scrivente Ufficio, potrà subire varianti anche sostanziali compresa la totale irrealizzabilità dei piani interferenti con preesistenze archeologiche;
    4. L'intervento dovrà prevedere documentazione completa e valorizzazione della realtà archeologica»;
   il 4 maggio 2010, con nota prot. n. 113670, la regione Lazio – direzione territorio e urbanistica, esprimeva il seguente parere: «come specificato dal comma 3 del suddetto articolo 3, detti Ambiti di Valorizzazione della Città Storica sono ad intervento indiretto e si attuano mediante Programma integrato, Progetto urbano, Piano di recupero o altro strumento urbanistico esecutivo, estesi nell'intero ambito. Pertanto, l'approvazione del progetto complessivo si pone in difformità dal PRG in quanto interessa solo una parte dell'Ambito. Tuttavia, per quanto riguarda l'intervento a) – lavori di realizzazione di un parcheggio multipiano interrato – è possibile ritenere il medesimo autorizzabile in conformità in considerazione del fatto che la Legge 122/89 consente la realizzazione di parcheggi pertinenziali anche in deroga ai vigenti strumenti urbanistici. Detta possibilità viene consentita ai proprietari degli immobili al fine del reperimento di parcheggi necessari al soddisfacimento del fabbisogno di edifici esistenti. A tale proposito però risulta necessario che venga chiarito con esattezza l'assetto proprietario dell'area di intervento. Il progetto dovrà inoltre avere recepito le eventuali prescrizioni derivanti dal parere della competente Soprintendenza Archeologica. Relativamente all'intervento b) – realizzazione di strutture sportive e riqualificazione dell'area di superficie – ricordato che la relativa approvazione si pone in difformità al PRG vigente per le ragioni sopra esposte, al fine di consentirne la valutazione urbanistica, occorre acquisire una dettagliata analisi urbanistica dell'intervento complessivo con riferimento alle previsioni urbanistico edilizie del PRG vigente ad esso applicabili e che approfondisca il tema del soddisfacimento degli standard minimi richiesti dalla normativa vigente per la realizzazione delle opere previste ... Alla luce di quanto sopra si ritiene autorizzabile in conformità la realizzazione dell'intervento a) “Lavori di realizzazione di un parcheggio multipiano interrato nell'area fra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati” con le precisazioni sopra indicate. Si resta in attesa delle integrazioni richieste per l'intervento b) “Interventi per la realizzazione di strutture sportive e la riqualificazione dell'area di superficie tra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati”, la cui approvazione si pone invece in difformità dal vigente PRG»;
   il 15 giugno 2010, con nota prot. n. 25877, il provveditorato interregionale alle opere pubbliche per il Lazio, l'Abruzzo e la Sardegna, dichiarava autorizzato il progetto definitivo a) lavori di realizzazione di un parcheggio multipiano interrato nell'area fra via C. De Lollis e via dei Dalmati;
   nel 2011, l'università «La Sapienza», acquistava il terreno, cedendo a Roma Capitale il diritto di superficie sull'intera area per consentire l'edificazione della piscina; il bando di gara del provveditorato del 4 gennaio 2011 stabiliva per la progettazione esecutiva ed esecuzione dei lavori relativi al progetto definitivo generale l'importo di euro 7.624.657,24; le opere da realizzarsi sono un parcheggio multipiano interrato, la riqualificazione di superficie tra via C. De Lollis e via dei Dalmati e un impianto natatorio;
   il 9 aprile 2013, alla luce del «Progetto Urbano San Lorenzo», veniva approvata dal consiglio del municipio Roma III, la risoluzione di moratoria con oggetto «Permessi a costruire a San Lorenzo», con cui si chiedeva il blocco dei lavori di tutti i cantieri in corso e dei permessi rilasciati dal Dipartimento IX, nonché l'interruzione dell’iter amministrativo per il rilascio di nuovi permessi;
   il 23 aprile 2013, l'ex presidente del municipio Marcucci invia la moratoria al sindaco Alemanno e agli assessori competenti, malgrado il consiglio comunale fosse decaduto il 20 aprile 2013;
   nel corso del secondo semestre del 2013, le indagini archeologiche preliminari confermavano l'esistenza dei resti di una grande villa romana, con pavimentazioni marmoree e a mosaico; un tratto considerevole di una strada basolata fornita di crepidini e marciapiedi laterali (verosimilmente l'antico tracciato della via Tiburtina); un articolato sistema fognario che assicurava lo smaltimento e il deflusso delle acque piovane; l'entità dei ritrovamenti consentiva di ritenere che quanto identificato costituiva solo una parte di ciò che scavi estensivi avrebbero potuto rilevare;
   il 15 luglio 2014, con nota prot. n. 25372, il Ministero per i beni e le attività culturali – soprintendenza speciale per i beni archeologici, rilevava espressamente che «il lotto interessato dalla realizzazione del parcheggio e delle strutture sportive conserva strutture antiche – solo parzialmente indagate – che coprono un arco cronologico dall'alta media età repubblicana fino al medioevo»; «oltre ad un percorso viario e a depositi di materiale antico, sono da segnalare i resti di una domus (si sono evidenziati l'impianto termale ed ambienti relativi alla pars rustica), strutture idrauliche ed un vasto sistema di cavatura ipogea del tufo»; a motivo dell'importanza del ritrovamento, «tutela e conservazione del sito archeologico nel suo complesso dovranno essere integrali»;
   malgrado ciò, la stessa sovrintendenza chiedeva l'elaborazione di un progetto di variante del parcheggio interrato cosicché l'intradosso del solaio del piano garage si ponesse a +2,70 metri rispetto al piano di calpestio della quota archeologica, «al fine di rendere visitabile e fruibile al pubblico il complesso archeologico»;
   il 29 ottobre 2014, l'assessore ai lavori pubblici Santoriello del municipio II e l'architetto Geusa del dipartimento programmazione e attuazione urbanistica del comune di Roma annunciavano che la zona in questione sarebbe divenuta un'area archeologica permanente, ma veniva, comunque, presentato il nuovo progetto con una versione sopraterra dei parcheggi, per 200 posti auto oltre la realizzazione di una piscina; il costo dell'opera era indicato in 7 milioni di euro;
   l'8 novembre 2014, nella riunione del comitato «Vestini-Dalmati-Marrucini», gli architetti del comune presentavano un progetto variato rispetto all'ultima assemblea, che prevedeva l'edificazione di un parcheggio fuori terra, costituito da un enorme parallelepipedo contenente parcheggi per 250 auto con annessa piscina, sopraelevato su pali alti 2,70 metri e per consentire il passaggio degli archeologi che lavoreranno sugli scavi;
   il 3 dicembre 2014, il consiglio d'istituto dell'istituto comprensivo statale «Via Tiburtina Antica, 25», Roma – considerato, tra l'altro, «che il quartiere San Lorenzo, in cui si trova il nostro Istituto, è già eccessivamente vittima di speculazioni edilizie e non, che non tengono affatto conto delle reali esigenze dei cittadini che lo abitano; che il quartiere San Lorenzo è carente di spazi destinati a verde pubblico; che la realizzazione di un parco archeologico attrezzato potrebbe costituire una risorsa per i bambini ed i ragazzi della nostra scuola che potrebbero usufruirne facilmente data la vicinanza con i due plessi scolastici Saffi Borsi» – chiedeva «che le autorità competenti in materia (Ministero beni culturali ed ambientali, Laziodisu, regione, comune e municipio) mettano in atto tutte le iniziative di propria competenza affinché il parcheggio universitario venga realizzato altrove, in un'area di minore impatto ambientale, e che si realizzino nell'area via de Lollis-via dei Dalmati un parco Archeologico attrezzato e la piscina comunale»;
   il 22 dicembre 2014, il Comitato «Vestini-Dalmati-Marrucini» e il coordinamento «Quadrante Dalmati» (Anpi, Legambiente, Libera Repubblica di San Lorenzo, altre associazioni e singoli cittadini) – con lettera avente ad oggetto «Richiesta di incontro prima della riunione del 7 gennaio 2015 tra l'Università e gli Uffici competenti per vagliare il nuovo progetto «parcheggio De Lollis» – chiedeva al rettore dell'università «La Sapienza» di respingere il nuovo progetto avanzato dal Provveditorato, per tutte le motivazioni indicate nella lettera medesima, avvertendo che, in caso contrario, un componente del Comitato e membro dell'associazione ecopacifista PeaceLink – recentemente accreditata presso la Commissione europea e il Parlamento europeo per le questioni ambientali – intendeva sollecitare un parere della Commissione al riguardo; e sarebbero state comunque assunte ulteriori iniziative per ottenere il diniego invocato;
   è indubbio il valore archeologico e storico-artistico dei ritrovamenti effettuati nel cantiere aperto per la realizzazione del parcheggio interrato, come riconosciuto espressamente dal Ministero per i beni e le attività culturali – soprintendenza speciale per i beni archeologici;
   e appare inoltre evidente che gli obiettivi posti dalla medesima amministrazione di tutelare e conservare in modo integrale il sito archeologico nel suo complesso e di rendere visitabile e fruibile al pubblico il complesso archeologico non possono essere raggiunti mediante la realizzazione del proposto parcheggio sopraelevato, costituito da un grosso cubo di cemento di tre piani e sorretto su pilastri;
   tale edificio, difatti, contrasterebbe ogni possibilità di valorizzazione, non solo in quanto i pali di fondamento sarebbero posizionati all'interno del sito, ma anche perché l'incombenza dell'edificio ad appena 2,70 metri rispetto al piano di calpestio renderebbero di fatto il sito stesso inaccessibile al pubblico; l'unica modalità per tutelare e valorizzare i ritrovamenti è la costituzione di un parco archeologico attrezzato, con sentieri per le visite agli scavi con costi complessivi e tempistiche di realizzazione di gran lunga inferiori al progetto in questione;
   l'edificazione di un ecomostro in cemento di tre piani fuori terra, oltre a danneggiare irrimediabilmente il sito archeologico, avrebbe comunque un impatto negativo nell'ambito dell'edilizia del quartiere e rappresenterebbe un ennesimo capitolo della speculazione edilizia che lo ha interessato (il «sacco» di San Lorenzo), unitamente alla già avvenuta distruzione delle ex Fonderie Bastianelli, alla ricostruzione dei fabbricati nell'area di via dei Dalmati, alla proposta trasformazione dell'ex dogana in un mega centro commerciale, alla realizzazione del complesso «Città del Sole» che ha sacrificato il sito archeologico di estrema rilevanza, rinvenuto durante i lavori (il più importante giacimento del Pleistocene del territorio romano, fossili animali databili 650 mila anni fa, strutture che testimoniano un insediamento dal V secolo avanti Cristo all'età repubblicana e imperiale fino al Medioevo e Rinascimento);
   come rilevato nella risoluzione di moratoria del 9 aprile 2013, il quartiere San Lorenzo ha subito per decenni trasformazioni urbanistiche incontrollate, prive di qualsivoglia organicità che hanno stravolto il suo equilibrio architettonico; al fine di evitare ulteriori danni, si è imposta la necessità di elaborare un piano particolareggiato e unitario degli interventi da effettuare, rappresentato dal Progetto Urbano San Lorenzo, all'interno del quale individuare in modo partecipato e complessivo gli spazi per la collocazione dei servizi pubblici, del verde, dei luoghi per il tempo libero e la cultura, gli spazi per gli interventi di recupero edilizio e quelli per la realizzazione di nuovi fabbricati; il percorso, iniziato nel 2002, ha trovato una sintesi nel 2010, con l'elaborazione di un documento da parte dei cittadini di San Lorenzo, votato dal Consiglio municipale, nel quale sono contenute le linee di indirizzo degli assetti futuri del quartiere; il progetto in variante del parcheggio in questione risulta evidentemente del tutto in contrasto con le dette linee di indirizzo;
   la costruzione dei nuovi parcheggi aumenterebbe il congestionamento e l'inquinamento, già molto consistente sul quadrante de Lollis-Marruccini, aggravando, inoltre, una situazione già insostenibile per il quartiere, poiché la cementificazione dell'area comporterebbe la perdita di uno spazio verde in un territorio che ne è già drammaticamente privo;
   la costruzione del parcheggio non risponde ad alcun interesse pubblico, poiché avrebbe unicamente l'effetto di consentire a duecento dipendenti dell'Università «La Sapienza», di poter arrivare al lavoro semplicemente attraversando la strada, anziché camminare 12 minuti dal parcheggio universitario già esistente di largo Passamonti, ad oggi ingiustificatamente non utilizzato, che potrebbe essere anche eventualmente ampliato, con un bassissimo impatto ambientale e con un considerevole contenimento dei costi rispetto al mega-progetto attuale;
   la costruzione del parcheggio inoltre disattende gli indirizzi comunali sulla mobilità, tesi a scoraggiare l'uso del mezzo privato per coloro che lavorano nel centro, attraverso un nuovo piano strategico finalizzato al miglioramento dell'offerta dei sistemi di trasporto collettivi, della mobilità ciclabile al servizio dei cittadini e dei pedoni;
   è infine ragionevole prevedere che il costo dell'opera, già molto elevato, potrebbe lievitare in ragione delle prevedibili iniziative giudiziarie o dalle altre possibili contestazioni dei residenti della zona –:
   se non si ritenga che l'edificazione del parcheggio, consistente in una costruzione in cemento di tre piani fuori terra, possa irrimediabilmente danneggiare il sito archeologico rinvenuto nell'area oggetto del presente atto di sindacato ispettivo;
   quali ragioni abbiano determinato il Ministero per i beni e le attività culturali – soprintendenza speciale per i beni archeologici, ad esprimere parere favorevole all'elaborazione di un progetto di parcheggio sopraelevato di 2,70 metri rispetto al piano di calpestio della quota archeologica, nonostante il riconoscimento della rilevanza dei rinvenimenti archeologici e la manifestata necessità di tutelare e conservare il sito archeologico nella sua interezza;
   quali opportune ed urgenti iniziative di propria competenza il Ministro interrogato intenda porre in essere al fine di impedire la realizzazione del progetto di parcheggio multipiano interrato e/o fuori terra di cui in premessa;
   quali iniziative di propria competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere per valorizzare il rinvenuto sito archeologico e se sia stata valutata la possibilità di creare un progetto di musealizzazione dei reperti o di realizzare un parco archeologico al fine di tutelare la godibilità e fruibilità pubblica di tutta l'area de qua. (4-07701)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, nella quale l'interrogante, con riferimento al progetto di edificazione di un parcheggio in Roma, nell'area compresa tra via Cesare de’ Lollis e via dei Dalmati, chiede di conoscere le ragioni per le quali il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo si è espresso favorevolmente all'elaborazione di un progetto di parcheggio sopraelevato di 2,70 metri rispetto al piano di calpestio della quota archeologica, «nonostante il riconoscimento della rilevanza dei rinvenimenti archeologici e la manifesta necessità di tutelare e conservare il sito archeologico nella sua interezza»; le iniziative che il Ministero intenda porre in essere per impedire la realizzazione del parcheggio suddetto; le iniziative, infine, che il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per quanto di competenza, intenda intraprendere per valorizzare il sito archeologico rinvenuto, eventualmente valutando anche la possibilità di realizzazione di un parco archeologico e di musealizzazione dei reperti ivi rinvenuti.
  Riguardo ai quesiti posti dall'interrogante, la soprintendenza speciale per il Colosseo, il museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma (di seguito Sscol) e il Provveditorato alle opere pubbliche del Lazio (di seguito provveditorato) hanno comunicato quanto segue.
  Già nel 1999 la Sscol, a seguito dell'individuazione di stratigrafie archeologiche durante una campagna di carotaggi eseguiti nell'area sopra indicata, comunicò all'Università degli studi di Roma «La Sapienza» (di seguito università), che si rimaneva «in attesa di comunicazioni in ordine agli interventi che si intendeva realizzare nell'area indagata», anticipando, però, che sarebbe potuto essere utile acquisire ulteriori dati archeologici (prot. 21218 del 2 agosto 1999).
  Successivamente la Sscol, a seguito della proposta di realizzare un parcheggio sotterraneo, aule e un centro sportivo, avanzata dall'università nel luglio 2004, rilevò la necessità di eseguire indagini di scavo, valutando probabile la presenza di resti archeologici nel sottosuolo. In tale sede si rappresentò anche l'opportunità che la Sscol venisse chiamata a collaborare, per quanto di competenza, alla stesura del progetto preliminare.
  L'università, con delibera del consiglio di amministrazione del 26 febbraio 2006, espresse la volontà di realizzare un parcheggio nell'area compresa tra via Cesare De Lollis e via dei Dalmati.
  Il provveditorato, in forza di una convenzione stipulata con l'università per svolgere le funzioni di stazione appaltante, redasse un progetto preliminare che prevedeva la realizzazione di un parcheggio interrato con sovrastante terrazza, destinata a palestra e campo da basket e sistemazioni esterne.
  Successivamente alla redazione del progetto definitivo, l'università richiese al provveditorato, sulla base delle istanze della cittadinanza e dei comitati di quartiere, di eliminare l'impianto sportivo per l'inserimento di una piscina.
  Il progetto definitivo venne, pertanto, integralmente rielaborato dal provveditorato sulla base di tale indicazione e vennero contestualmente avviate la procedura di conformità urbanistica e l'intesa Stato-regioni ai sensi del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383 (regolamento recante disciplina dei procedimenti di localizzazione delle opere di interesse statale), per acquisire anche il parere del comune di Roma.
  Il progetto riguardante l'autorimessa interrata venne, quindi, approvato dall'università con delibera del luglio 2007.
  In sede di conferenza dei servizi del 10 dicembre 2008, convocata per l'esame del progetto definitivo, elaborato senza la partecipazione (seppure auspicata) della soprintendenza, la Sscol rilevò interferenze con le stratigrafie archeologiche già identificate e richiese ulteriori indispensabili indagini prima di esprimere il proprio parere, mentre il comune e il municipio III si espressero favorevolmente rappresentando la necessità di piccole integrazioni.
  La Sscol, in particolare, richiese indagini di tomografia elettrica tridimensionale, specificando che, successivamente, si sarebbe proceduto all'esecuzione di indagini di scavo sull'area, con particolare riferimento alle anomalie evidenziate dalla tomografia. Nel frattempo, sospese il proprio parere di competenza.
  Nel corso del 2009 e del 2010 furono eseguite le prescritte indagini archeologiche nei limiti consentiti dalla messa in sicurezza delle pareti di scavo, consistenti nella tomografia tridimensionale sull'intera area di intervento e nello scavo di trincee eseguito in corrispondenza delle anomalie rilevate dalla predetta tomografia.
  In ordine al progetto definitivo, presentato nella successiva conferenza dei servizi del 18 febbraio 2010, la Sscol confermò quanto già rilevato ripetutamente in passato circa la presenza nel sottosuolo, alle quote interessate dal progetto, di un sistema di cavità sotterranee e di stratigrafie di frequentazione antica. La stessa Sscol, considerando la valenza pubblica del progetto e la necessità, riferita dal provveditorato, di evitare la perenzione dei fondi già stanziati, recepì positivamente l'opportunità prospettata della riqualificazione dell'area, a condizione che il progetto esecutivo si integrasse con la realtà archeologica, valorizzandola.
  A tale proposito, la Sscol indicò le seguenti condizioni vincolanti: esecuzione di scavi archeologici e di tutte le indagini reputate necessarie; recepimento nel progetto esecutivo delle prescrizioni dettate dalla soprintendenza espresse successivamente alla valutazione dei risultati delle indagini; possibilità di variare il progetto anche in modo sostanziale, a discrezione della soprintendenza, compresa la totale irrealizzabilità dei piani interferenti con preesistenze archeologiche; documentazione completa e valorizzazione della realtà archeologica (nota n. 5560 del 18 febbraio 2010).
  Acquisito definitivamente in data 15 giugno 2010 il «provvedimento di raggiunta intesa», relativamente all'area da destinare a parcheggi, nel successivo ottobre 2010, l'università deliberò l'acquisizione dell'area di proprietà dell'Agenzia del demanio.
  A seguito di procedura di gara ad evidenza pubblica, l'opera venne appaltata e avviati i lavori di scavo che evidenziarono la presenza di reperti archeologici. Gli scavi furono condotti alla presenza continua dell'archeologo ma anche di rappresentanti dell'università e del municipio presenti in cantiere in più occasioni.
  Al Provveditorato alle opere pubbliche del Lazio – il quale aveva trasmesso una tavola progettuale riferendo trattarsi della sovrapposizione del progetto esecutivo approvato sul rilievo quotato delle emergenze archeologiche – la Sscol confermò la possibilità di realizzare il parcheggio sull'area, a condizione che si ponesse al di sopra della massima quota archeologica; chiese, inoltre, di individuare e trasmettere la tipologia di realizzazione delle opere nonché il progetto di valorizzazione, così da consentire di esprimere il proprio parere (nota n. 38447 del 22 ottobre 2013).
  Con successiva nota n. 25372 del 15 luglio 2014, la Sscol ha ribadito i propri pareri già espressi in precedenza circa la tutela e la conservazione integrale del sito archeologico nel suo complesso, richiedendo un progetto rispettoso delle proprie prescrizioni.
  Il provveditorato, allora, a seguito di incontri con i rappresentanti del comune, dell'università, della Sscol e del municipio, ha elaborato una proposta progettuale tenendo conto del vincolo imposto dalla Soprintendenza di posizionare il manufatto ad una quota tale da consentire la fruibilità del piano archeologico, trasmettendola a tutti i soggetti interessati all'area, per le autorizzazioni di rito.
  La Sscol, da ultimo, ha comunicato che «il comune di Roma Capitale, in seguito alle considerazioni negative emerse relativamente alla nuova configurazione progettuale dell'area, ha preso atto della conclusione con esito negativo della conferenza dei servizi interna dell'8 gennaio 2015».
  In via informale, tramite consultazione del sito web dell'università, si è appreso che il consiglio di amministrazione dell'università ha deliberato, nella seduta del 17 febbraio 2015, di abbandonare il progetto relativo alla realizzazione del parcheggio multipiano interrato, delle strutture sportive e della riqualificazione dell'area di superficie in via De Lollis-via dei Dalmati, per le ragioni indicate nelle premesse della delibera dell'organo dell'ateneo (http://www.uniroma1.it/ateneo/circolari/consiglio-di-amministrazione-del-17-febbraio-2015).
  Stante l'incertezza sulla destinazione futura dell'area, la Sscol stessa ha prescritto di procedere all'adeguata protezione dei resti e al loro rinterro (nota n. 10176 dell'8 aprile 2015).
  A tale riguardo la Sscol ha informato che, in una riunione svoltasi il 23 luglio 2015, è stato concordato che il provveditorato avrebbe curato la ricopertura del lotto, con l'accordo tra il comune di Roma e l'università.
  Nel frattempo la soprintendenza stessa, per scongiurare la perdita dei beni e realizzare adeguate opere di protezione prima degli auspicati rinterri, ha provveduto a eseguire interventi di somma urgenza.
  Le indagini archeologiche, anche se non hanno potuto riguardare l'intera area (per motivi non dipendenti dalla soprintendenza), hanno evidenziato una frequentazione del sito già dal quinto secolo avanti Cristo, con resti di viabilità e un ampio reticolo di ambienti ipogei, riferibile a un'area di cavatura antica nonché i resti una villa con annesse strutture termali.
  La soprintendenza ha anche avviato la procedura per l'apposizione del vincolo archeologico sull'intera area, secondo quanto dettato dalle nome del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio).
  Nel corso degli anni, la Sscol ha più volte ribadito il valore archeologico dell'area, richiedendo tutela e conservazione integrale delle strutture rinvenute e consentendo, una volta concluse le indagini di scavo, che l'università e Roma Capitale, elaborassero un progetto che permettesse non solo la conservazione ma anche la valorizzazione, la protezione e la fruibilità del complesso archeologico da parte del pubblico.
  L'amministrazione riconferma la propria piena disponibilità a valutare le proposte progettuali, che potranno essere elaborate – una volta sciolti taluni nodi in ordine alle competenze – dagli enti aventi titolo, relative alla costituzione di un parco archeologico attrezzato, rientrando ciò nei suoi compiti istituzionali.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   DI LELLO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   verso la fine del mese di agosto, dalla denuncia del massmediologo Klaus Davi e da alcuni quotidiani si è appresa notizia della scarcerazione del boss Paolo Rosario De Stefano che, prima di essere arrestato, nel 2009, era stato inserito nell'elenco dei trenta latitanti più pericolosi d'Italia;
   oggi, dopo quattro anni di latitanza e soli sei di carcere, Paolo Rosario De Stefano, considerato reggente dell'omonimo e potentissimo clan di `ndrangheta di Reggio Calabria, torna a casa a seguito dell'ottenimento di due anni di sconto di pena per meriti universitari;
   ricordiamo che il boss De Stefano, 39 anni appartiene alla famiglia del padrino storico e suo omonimo Paolo, ucciso durante la sanguinosa faida reggina degli anni Ottanta. Dopo l'arresto e la condanna di suo cugino Peppe a 27 anni di carcere, gli inquirenti hanno ritenuto che fosse diventato lui il punto di riferimento delle attività criminali del clan. L'arresto avviene il 18 agosto 2009 e, da allora, era detenuto in regime di 41-bis a seguito di condanna per associazione mafiosa estorsione ed altri reati;
   nel corso della sua detenzione si è iscritto alla facoltà di giurisprudenza dell'università mediterranea di Reggio Calabria ottenendo risultati brillanti che, secondo quanto riportato dai giornali, lo hanno fatto beneficiare della liberazione anticipata, prevista dall'ordinamento penitenziario per «il condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione»;
   è pur vero che, nel nostro ordinamento, l'articolo 27 della Costituzione enuncia che: «Le pene (...) devono tendere alla rieducazione del condannato», così sancendo il principio del finalismo rieducativo della pena, la cui giustificazione etica e logica, evidentemente, non può non fare riferimento alle specifiche esigenze risocializzative del condannato. In particolare, la funzione della prevenzione speciale è quella di eliminare o ridurre il pericolo che il soggetto ricada in futuro nel reato; essa fa riferimento ad un concetto di relazione, presupponendo la necessità del reinserimento del reo nella comunità dalla quale si era estraniato, mediante l'azione sugli stessi fattori che avevano determinato il perpetrarsi del delitto;
   la rieducazione si traduce, pertanto, in una solidaristica offerta di opportunità, affinché al soggetto sia data la possibilità di un progressivo reinserimento sociale, correggendo la propria antisocialità e adeguando il proprio comportamento alle regole giuridiche. Ma, in tal caso, sembra essere passati da un «regime duro» come previsto dal 41-bis alla scarcerazione;
   si ricorda che ai sensi dell'articolo 41-bis, comma 2-bis, della legge 26 luglio del 1975, n. 354, così come modificato da ultimo dall'articolo 2, comma 27, lettera d), legge 15 luglio 2009, n. 94: «Il provvedimento ...è adottato con decreto motivato del Ministro della giustizia, anche su richiesta del Ministro dell'interno, sentito l'ufficio del pubblico ministero che procede alle indagini preliminari ovvero quello presso il giudice procedente e acquisita ogni altra necessaria informazione presso la Direzione nazionale antimafia e antiterrorismo, gli organi di polizia centrali e quelli specializzati nell'azione di contrasto alla criminalità organizzata, terroristica o eversiva, nell'ambito delle rispettive competenze. Il provvedimento medesimo ha durata pari a quattro anni ed è prorogabile nelle stesse forme per successivi periodi, ciascuno pari a due anni. La proroga è disposta quando risulta che la capacità di mantenere collegamenti con l'associazione criminale, terroristica o eversiva non è venuta meno, tenuto conto anche del profilo originale e della posizione rivestita dal soggetto in seno all'associazione, della perdurante operatività del sodalizio criminale, della sopravvenienza di nuove incriminazioni non precedentemente valutate, degli esiti del trattamento penitenziario e del tenore di vita dei familiari del sottoposto. Il mero decorso del tempo non costituisce, di per sé, elemento sufficiente per escludere la capacità di mantenere i collegamenti con l'associazione o dimostrare il venir meno dell'operatività della stessa»;
   è pur vero che il successivo comma 2-ter, inserito dall'articolo 2, comma 1, legge 23 dicembre 2002, n. 279, recita testualmente che: «Se anche prima della scadenza risultano venute meno le condizioni che hanno determinato l'adozione o la proroga del provvedimento di cui al comma 2, il Ministro della giustizia procede, anche d'ufficio, alla revoca con decreto motivato» ma, in tal caso, se la valutazione riguarda solo la buona condotta per meriti scolastici questo non sembra contemplare una rieducazione ai sensi dell'articolo 27 della costituzione –:
   di quali notizie, per le parti di competenza, il Ministro interrogato sia a conoscenza rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se corrisponda al vero che la liberazione anticipata sia stata disposta in relazione al curriculum universitario;
   se e quali azioni intenda adottare al fine di verificare il rispetto dei principi del nostro ordinamento sia con riferimento alle finalità di detenzione in regime  di 41-bis ordinamento penitenziario, per il soggetto in questione, sia con riferimento alla rieducazione della pena sempre comunque nell'ottica della salvaguardia dell'incolumità dei cittadini. (4-10255)

  Risposta. — L'atto di sindacato ispettivo in esame riguarda la scarcerazione di Paolo Rosario De Stefano, eseguita in data 19 agosto 2015 a seguito della concessione della liberazione anticipata.
  Chiede, in particolare, l'interrogante se al detenuto, sottoposto al regime speciale di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, di cui alla legge 26 luglio 1975, n. 354, siano stati riconosciuti meriti scolastici ai fini della concessione dei benefici e in che misura il proseguimento degli studi universitari sia stato compatibile con le modalità di detenzione.
  Dalle informazioni acquisite attraverso la competente articolazione ministeriale è risultato che Paolo Rosario De Stefano fu tratto in arresto il 18 agosto 2009, dopo una latitanza di quasi quattro anni, in esecuzione di ordinanza di custodia cautelare emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria in data 18 novembre 2005, nell'ambito del procedimento penale n. 4059/2004 RGNR DDA, per i delitti di associazione a delinquere di tipo mafioso ed estorsione aggravata.
  Con sentenza della Corte di appello di Reggio Calabria del 2 febbraio 2009 (divenuta irrevocabile il 18 gennaio 2011), il De Stefano era stato condannato alla pena di 8 anni di reclusione per il delitto di cui all'articolo 416-bis del codice penale, mentre era stato assolto dall'ulteriore imputazione.
  In considerazione del periodo sofferto in carcere in epoca antecedente alla data di irrevocabilità della sentenza di condanna, il residuo della pena da espiare in concreato era stato rideterminato in anni sei e mesi sette di reclusione ed il fine pena indicato il 7 agosto 2017.
  Nel corso della detenzione, eseguita presso le case circondariali di Novara e Sassari, gli Uffici di sorveglianza competenti concedevano al De Stefano la liberazione anticipata per complessivi giorni 750, con conseguente rideterminazione della pena fino al 29 luglio 2015.
  Il detenuto veniva, invece, effettivamente scarcerato solo il 19 agosto 2015 in quanto l'ultimo provvedimento di concessione della liberazione anticipata per giorni 45 veniva emesso solo in tale data.
  Così sinteticamente riassunto il percorso detentivo del De Stefano, va ulteriormente precisato che il magistrato di sorveglianza di Novara aveva concesso, in data 27 gennaio 2014, la liberazione anticipata speciale, prevista dall'articolo 4 comma 1, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, per i semestri ricompresi tra il 18 febbraio 2010 e il 18 agosto 2013, nella misura di complessivi 210 giorni.
  Infatti, solo successivamente all'ordinanza citata, con la citata legge di conversione del 21 febbraio 2014 n. 10 è sopravvenuta la modifica normativa, in cui è stata prevista l'esclusione della liberazione anticipata speciale per i condannati per taluno dei delitti previsti dall'articolo 4-bis della legge 26 luglio 1975, n. 354.
  L'ulteriore detrazione di pena, di cui ha beneficiato il detenuto, è derivata dalla concessione della liberazione anticipata, prevista dagli articoli 54 e 69-bis della legge n. 354 del 1975 in favore del condannato a pena detentiva che abbia dato prova di partecipazione all'opera di rieducazione, e per la cui concessione la legge non pone analoghe condizioni ostative.
  Secondo le informative trasmesse dall'Autorità giudiziaria, risulta, peraltro, che le ordinanze di liberazione anticipata emesse in favore del De Stefano danno conto della buona condotta del detenuto e della positiva partecipazione al processo di risocializzazione: al contrario, il beneficio non è stato collegato nelle ordinanze all'andamento degli studi universitari seguiti nel corso della detenzione.
  Al riguardo, all'atto della carcerazione il De Stefano già risultava, diversamente da quanto rappresentato dall'interrogazione, iscritto al secondo anno della facoltà di giurisprudenza presso l'Università degli studi Mediterranea di Reggio Calabria. Presso il carcere di Novara, il detenuto ha poi continuato il percorso universitario, sostenendo gli esami anche attraverso il sistema della multivideoconferenza, sperimentando positivamente il rapporto tra le prescrizioni limitative del regime di cui all'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario e il diritto allo studio, strumento nel percorso rieducativo anche per le persone detenute sottoposte a regimi di alta sicurezza.
  In conclusione, preme dunque sottolineare che nessun beneficio è stato concesso al De Stefano a motivo specifico della buona condotta per meriti scolastici legati ai suoi studi universitari.
  Devesi, comunque, rimarcare come al processo di revisione in atto del sistema dell'esecuzione penale, avviato per dare completa attuazione alle prescrizioni della Corte europea dei diritti dell'uomo, non può essere sottratta la tematica del trattamento dei detenuti sottoposti a regime di alta sicurezza, nella ricerca di un nuovo equilibrio tra qualità della vita detentiva, finalità trattamentali ed esigenze di sicurezza della collettività.
  La complessiva riflessione, aperta dopo la sentenza Torreggiarli ed arricchita dai lavori svolti nell'ambito degli Stati generali dell'esecuzione penale, non tende ad escludere, ma anzi conferma la ineliminabilità della detenzione carceraria, anche come unica forma di pena nel percorso trattamentale per determinati reati, soprattutto quando si tratta di interrompere legami criminali profondi e pericolosi per la democrazia.
  In questa prospettiva, il regime di detenzione declinato dall'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario è strumento irrinunciabile, e la sua compatibilità con la necessaria funzione risocializzante è garantita dalla periodica verifica delle sussistenza delle condizioni che impongono e giustificano le sue modalità di applicazione, legandone la permanenza al rapporto che il detenuto ha elaborato con il reato e con il trattamento ed alla conseguente eliminazione dell'area di rischio per la sicurezza e l'ordine pubblico.
  In tale campo, pertanto, l'offerta trattamentale deve essere ancor più mirata ed individualizzante per agevolare il percorso evolutivo individuale, superando le restrizioni non strettamente funzionali alle esigenze di sicurezza, che rischiano di risolversi in limitazioni automatiche dei diritti fondamentali, ingiustificate e punitive, ostacolando finalità rieducative, nell'interesse più generale al recupero del reo.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 12 maggio 2015 deputato interrogante ha depositato l'interpellanza urgente n. 2-00965, svolta poi in Assemblea il 12 giugno 2015 con la quale si chiedevano al Governo chiarimenti in merito al taglio dei fondi alle attività revisionali per le società cooperative, in conseguenza del quale, con nota protocollo n. 7421 del 21 gennaio 2015, il Ministero dello sviluppo economico (direzione generale per la vigilanza sugli enti, il sistema cooperativo e le gestioni commissariali – divisione V) ha disposto la sospensione di tutti gli incarichi di revisione alle società cooperative (ovviamente, quelle non aderenti ad alcuna associazione di rappresentanza);
   a parere del deputato interrogante, si tratta di una decisione gravissima, dal momento che la lunga sequela di scandali che stanno emergendo e avvelenando il nostro tessuto economico produttivo, politico e sociale ci hanno dimostrato una situazione di malaffare inquietante, nel quale molto spesso sono coinvolte società cooperative in attività di finanziamento di un sistema corruttivo spaventoso;
   in quella sede, il deputato interrogante aveva sottolineato anche quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 7 del decreto legislativo n. 220 del 2002 recante «Norme in materia di riordini della vigilanza sugli enti cooperativi, ai sensi dell'articolo 7, comma 1, della legge 3 aprile 2001, n. 142, recante ”Revisione della legislazione in materia cooperativistica, con particolare riferimento alla posizione del socio lavoratore«»; tale norma stabilisce che, nell'attività di vigilanza sulle società cooperative, il Ministero dello sviluppo economico possa «avvalersi, d'intesa con le amministrazioni interessate, di revisori esterni dipendenti da altre amministrazioni, nonché, sulla base di apposite convenzioni con le associazioni riconosciute, di revisori delle medesime»; pertanto, l'effetto del taglio dei fondi combinato con la norma appena citata è che la vigilanza sulle società cooperative è demandata integralmente alle associazioni riconosciute il cui rigore difficilmente sarà quello necessario per un'attività così delicata;
   in altre parole, le cooperative iscritte alle associazioni di categoria non vengono sottoposte agli ordinari controlli ministeriali, ma sono controllate dalle associazioni stesse con uno sconcertante conflitto d'interesse tra controllato e controllore;
   proprio per questo, è opinione del deputato interrogante che debbano essere fatte chiarezza e trasparenza su tutti i dati relativi a questo tipo di attività con riferimento ad alcuni dati statistici sicuramente in possesso della direzione generale per le piccole e medie imprese e gli enti cooperativi del Dipartimento per l'impresa e l'internazionalizzazione –:
   se il Ministro possa mettere a disposizione del deputato interrogante e della cittadinanza tutta i seguenti dati: a) il numero totale delle cooperative iscritte all'albo; b) il numero delle revisioni ordinarie effettuate dalle associazioni nazionali di categoria; c) il numero delle diffide effettuate in ambito di revisione ordinaria effettuate dalle associazioni nazionali di categoria; d) il numero dei provvedimenti proposti in ambito di revisione ordinaria effettuate dalle Associazioni Nazionali di categoria; e) il numero di revisioni ordinarie effettuate dal Ministero dello sviluppo economico; f) il numero delle diffide effettuate in ambito di revisione ordinaria effettuate dal Ministero dello sviluppo economico; g) il numero dei provvedimenti proposti in ambito di revisione ordinaria effettuate dal Ministero dello sviluppo economico; h) la destinazione del versamento del contributo biennale pubblicato in Gazzetta Ufficiale n. 74 del 30 marzo 2015, scaduto il 29 giugno 2015. (4-10270)

  Risposta. — In relazione all'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante ha chiesto di conoscere alcuni dati riguardanti l'attività di vigilanza effettuata dal Ministero dello sviluppo economico e dalle associazioni nazionali di categoria sulle società cooperative, si forniscono i dati in possesso presso gli uffici del Ministero dello sviluppo economico.
  È opportuno evidenziare preliminarmente che le modalità del finanziamento dell'attività di vigilanza sono disciplinate con normativa nazionale (eccezione fatta per le regioni a statuto speciale), dall'articolo 1, comma 3, della legge 15 marzo 1997, n. 59, ove è previsto il versamento con cadenza biennale da parte delle cooperative di una somma destinata al finanziamento dell'attività di vigilanza.
  Tale contributo è versato dalle società cooperative, in via alternativa, alle associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza, tutela e revisione del movimento cooperativo.
  La vigilanza sulle società cooperative nel nostro Paese si esplica, pertanto, in adesione al criterio della sussidiarietà orizzontale, come definito nell'ultimo comma dell'articolo 118 della Costituzione.
  L'attività di revisione ordinaria, per le cooperative aderenti, viene esercitata dalle associazioni di rappresentanza e nei casi di cooperative non aderenti ad alcuna associazione, dal Ministero dello sviluppo economico.
  A fronte di tale ruolo, che peraltro prevede che i revisori incaricati dalle associazioni si intendano – nell'esercizio di tale funzione – incaricati di pubblico servizio, l'articolo 3 del decreto legislativo n. 220 del 2002, stabilisce determinati requisiti per il riconoscimento – da parte del Ministero dello sviluppo economico – delle associazioni e assoggetta le medesime al controllo del Ministero stesso.
  Si rammenta, inoltre che, la revisione cooperativa, che di norma deve avvenire almeno una volta ogni due anni, assolve ad una duplice funzione sia di accertamento dei requisiti mutualistici sia di consulenza nei confronti dell'ente per il migliore raggiungimento della sua funzione sociale (articolo 4, comma 1, lettera a) del decreto legislativo 220 del 2002).
  Per l'effettuazione delle revisioni sulle cooperative non associate il Ministero dello sviluppo economico si avvale di personale interno, di personale del Ministero del lavoro e politiche sociali ed anche dell'Agenzia delle entrate sulla base di specifiche convenzioni stipulate con tali ultime amministrazioni.
  La legge prevede inoltre la possibilità di delegare (sempre su base convenzionale) alle associazioni di rappresentanza delle cooperative l'espletamento dell'attività di competenza ministeriale, ma il Ministero dello sviluppo economico non si è mai avvalso di tale facoltà.
  Diversamente dalle revisioni, l'attività di ispezione straordinaria è esercitata dal Ministero anche nei confronti delle cooperative associate. Tale attività viene svolta sulla base di accertamenti programmati anche a campione, per esigenze di approfondimento derivanti da precedenti revisioni e «ogni qualvolta se ne ravvisi l'opportunità», come nel caso di segnalazioni provenienti da altri organi dello Stato ovvero a seguito di esposti da parte di soci o terzi.
  L'ispezione straordinaria ha un carattere più squisitamente ispettivo, prescindendo dagli aspetti consulenziali propri della revisione ed, essendo unicamente mirata all'esecuzione dei controlli, attribuisce agli ispettori maggiori poteri.
  Si deve comunque sottolineare che la vigilanza ministeriale è finalizzata ad accertare la mutualità degli enti cooperativi e tutti gli accertamenti effettuati dagli ispettori sono finalizzati a stabilire l'effettivo raggiungimento dello scopo mutualistico per il quale gli enti si sono costituiti.
  Anche al fine di rispondere a quanto richiesto dai deputati interroganti circa la destinazione del versamento del contributo biennale scaduto il 29 giugno 2015 si rappresenta quanto segue.
  Come prima sottolineato, i costi per lo svolgimento dell'attività di vigilanza sul sistema cooperativo sono coperti dai versamenti che le società cooperative stesse effettuano all'erario a valere su diversi codici tributo. Tali somme, che fino all'anno 2007 venivano riversate integralmente al pertinente capitolo del bilancio del Ministero dello sviluppo economico, in conseguenza dei tagli previsti dall'articolo 2 comma 617 della legge 244 del 24 dicembre 2007 – legge finanziaria 2008, vengono – a tutt'oggi – solo parzialmente riassegnate (unitamente a risorse derivanti da altre disposizioni normative) al capitolo 1740 (Fondo da ripartire per le finalità previste dalle disposizioni legislative di cui all'elenco n. 1 allegato alla legge finanziaria 2008, per le quali non si dà luogo alle riassegnazioni delle somme versate all'entrata del bilancio dello Stato), la cui dotazione finanziaria è determinata nella sua capienza massima all'atto della formazione del bilancio.
  Tale meccanismo di tagli alla riassegnazione ha determinato negli ultimi anni, un significativo divario tra le somme versate alle entrate dello Stato dalle cooperative e quanto effettivamente affluito ai capitoli gestiti dalla direzione competente del Ministero dello sviluppo economico.
  Nel 2015, al fine di assicurare copertura finanziaria alle detrazioni fiscali per gli interventi di ristrutturazione ed efficienza energetica previste dal decreto-legge 4 giugno 2013, n. 63, lo stanziamento sul capitolo 1740 sopra citato, originariamente pari a 20 milioni di euro è stato ridotto ad una dotazione complessiva effettiva di euro 3.275.137 costituita, si ricorda, da entrate riferite a diverse disposizioni normative e da ripartire tra tutti i centri di responsabilità del Ministero dello Sviluppo economico.
  Pertanto, l'effettiva disponibilità di risorse ascrivibili alle attività relative alla vigilanza sulle cooperative è stata pari a euro 1.194.769,98, nonostante siano stati versati all'erario, per i soli codici tributo che riguardano l'attività di competenza della direzione generale vigilante sulle cooperative, ben 15.468.302,34 di euro.
  La situazione è stata in parte corretta in sede di assestamento, con la destinazione al capitolo 2159 di euro 6.800.000,00, la cui effettiva disponibilità per l'impegno è stata ottenuta nel corso del mese di ottobre 2015. Le somme disponibili sono state tutte impegnate, ma è evidente che le relative attività revisionali sono state svolte per la loro maggior parte nel corso del 2016. Non sarà, pertanto, possibile colmare – nell'arco del biennio – il deficit di attività causato dal blocco degli afflussi finanziari.
  Nell'anno 2015 si sono, comunque, concluse 6.238 revisioni ordinarie e 244 ispezioni straordinarie (parte delle quali disposte alla fine dell'anno precedente).
  Risulta, dunque, evidente che l'integralità della disposizione dell'utilizzo dello stock finanziario riveniente dal contributo dovuto dalle società cooperative costituisce condizione indispensabile per il corretto esercizio dell'attività da parte del Ministero dello sviluppo economico e affinché si abbia un trattamento non dissimile tra le cooperative associate alle associazioni di rappresentanza del movimento cooperativo (quest'ultime godono integralmente delle risorse derivanti dal contributo medesimo e possono, quindi, programmare ed effettuare una più puntuale attività di vigilanza) e quelle non associate.
  È evidente, altresì, che ove fosse ristabilito il meccanismo di integrale riassegnazione delle risorse versate dalle cooperative, le conseguenti disponibilità consentirebbero maggiore effettività ai programmi di contrasto alle cooperative spurie, in ciò ponendosi in termini di continuità operativa con le politiche governative che hanno condotto a protocolli di intesa tra amministrazioni e le organizzazioni più rappresentative del movimento cooperativo.
  Per quanto attiene la richiesta concernente informazioni in ordine ai dati riguardanti l'attività di vigilanza effettuata sulle società cooperative dal Ministero dello sviluppo economico e dalle associazioni nazionali di categoria, si forniscono i dati di cui dispongono gli uffici competenti del Ministero dello sviluppo economico.
  Al 30 settembre 2016, il numero totale di cooperative iscritte all'Albo nazionale è pari a 113.385 unità (il dato comprende anche le cooperative in liquidazione e quelle assoggettate a procedure concorsuali e sanzionatorie).
  Il dato di cui si tratta viene aggiornato quotidianamente, sulla base delle informazioni ricevute da Infocamere, ed è liberamente accessibile sul sito del Ministero stesso.
  In ordine alle revisioni ordinarie, si riepilogano di seguito i dati relativi al biennio 2013/2014:

  Ministero dello sviluppo economico:
   - n. 35.935 revisioni effettuate (comprese 10.714 mancate revisioni);
   - n. 16.964 diffide irrogate;
   - n. 10.321 provvedimenti proposti (compresi 6.515 a seguito di mancata revisione).

  Inoltre, risultano essere state effettuate n. 674 ispezioni straordinarie (di cui n. 269 con diffida) e dalle quali sono derivate n. 443 proposte di adozione di provvedimenti.

  Associazioni nazionali di rappresentanza, assistenza e tutela del movimento cooperativo:
   - n. 37.299 revisioni effettuate (comprese circa 2.293 mancate revisioni);
   - n. 4.416 diffide irrogate;
   - n. 2.932 provvedimenti proposti (compresi 1.022 a seguito di mancata revisione).

  Preme evidenziare che, la differenza tra il dato del Ministero dello sviluppo economico e quello delle associazioni, relativo ai provvedimenti proposti, deve tener conto della componente relativa alle mancate revisioni che, nel biennio in esame, sono state particolarmente numerose nell'attività di vigilanza del Ministero dello sviluppo economico, volta anche a monitorare lo stato di cooperative per le quali da tempo non si registrava attività sociale (ad esempio anni di mancato deposito dei bilanci presso la camera di commercio o di atti di gestione).
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   FEDRIGA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   al tribunale di Tolmezzo, inizialmente soppresso dalla riforma della geografia giudiziaria, non è stata concessa una proroga al fine di smaltire l'arretrato dei procedimenti civili ordinari e delle controversie in materia di lavoro, di previdenza e assistenza obbligatoria, pendenti alla data della soppressione del tribunale in parola;
   dal 13 settembre 2013, dunque, le nuove cause, prima di competenza del tribunale di Tolmezzo, centro più importante della Carnia e ne è quindi considerato il capoluogo, ora vengono incardinate presso il tribunale di Udine con conseguenti disagi e costi sia per i cittadini ed operatori della giustizia e sia in termini di dilatazione dei tempi dei processi;
   benché il tribunale di Tolmezzo sia costato allo Stato ed al comune della cittadina friulana, ora non viene più utilizzato; il 6 agosto 2015 è stata stabilita, attraverso un protocollo tra la regione Friuli-Venezia Giulia ed il Ministero di giustizia, l'apertura di un «presidio di giustizia» nella sede dell'ex tribunale di Tolmezzo. Tale accordo consentirà alla regione di organizzare in quella sede un ufficio presidiato da proprio personale che consenta agli utenti di depositare gli atti e di poter seguire l’iter dei procedimenti mediante collegamenti telematici dell'ufficio locale con il tribunale di Udine, evitando loro le relative trasferte. Costi che sono stati «ribaltati» sulla regione a fronte poi di un ufficio che, pur costando, non sopperisce alla grave decisione di aver soppresso un tribunale;
   i dati forniti dal Ministero della giustizia riguardo alla attività del tribunale di Tolmezzo ne testano l'efficienza e la produttività anche rispetto ad altri tribunali;
   confrontando tali dati con quelli del tribunale di Udine, si rileva che la produttività di quello di Tolmezzo era certamente in linea, o, per lo più maggiore, rispetto a quello a cui è stato accorpato;
   a fronte di tali numeri, è evidente che, nel caso di specie, non si sono realizzati quei «risparmi di spesa e incremento di efficienza» che avrebbero dovuto ispirare la riforma della geografia giudiziaria –:
   se il Ministro interrogato, alla luce anche dei dati sopra esposti e delle numerose istanze provenienti dal territorio, non reputi più opportuno assumere iniziative per ripristinare e mantenere la funzionalità del tribunale di Tolmezzo e così evitare gravi disagi per i cittadini e gli operatori della giustizia, posto che tale soppressione, ad avviso dell'interrogante, dà luogo a un non proficuo utilizzo di denaro pubblico. (4-11190)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame l'interrogante chiede l'assunzione di iniziative volte al ripristino del tribunale di Tolmezzo, soppresso nell'ambito della revisione della geografia giudiziaria avviata nel 2012.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  Il 13 settembre 2014 è, difatti, scaduto il termine assegnato dalla legge delega per adottare eventuali ulteriori disposizioni integrative, correttive e di coordinamento delle disposizioni assunte con i decreti legislativi citati.
  Risultano, pertanto, consolidate le disposizioni relative al tribunale di Tolmezzo che ne hanno disposto la soppressione e l'assegnazione del relativo territorio di competenza al tribunale di Udine.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, pertanto, sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  Con riferimento agli uffici distrettuali, difatti, l'analisi dei dati statistici evidenzia che la distribuzione dei carichi di lavoro presso le singoli corti di appello è estremamente eterogenea, sia per il settore civile che per il settore penale, con disequilibrata distribuzione degli affari tra gli uffici.
  Si è imposta, pertanto, l'esigenza di nuovi interventi in materia di geografia giudiziaria, con specifico riferimento all'assetto degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla carta costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
  Tutto ciò premesso in ordine alla eventuale ridefinizione normativa degli assetti territoriali della giurisdizione, mi preme sottolineare come l'impatto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione da parte del mio dicastero, nel complesso degli interventi, non ancora esauriti, di tipo normativo ed organizzativo, necessari a costruire una struttura ordinamentale idonea a rispondere in modo soddisfacente alla domanda di giustizia ed alle esigenze del territorio.
  Il complesso percorso di revisione sta ora attraversando una ulteriore, importante fase.
  È stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, agli uffici giudicanti di primo grado del distretto della Corte d'appello di Udine sono stati assegnati quattro posti di giudice, in incremento delle dotazioni prevista per i tribunali di Trieste, Pordenone e Gorizia.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, del tirocinio formativo da diciotto a dodici mesi.
  Sarà, inoltre, prossimamente bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 350 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   FERRARA, SCOTTO, FRANCO BORDO, AIRAUDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   durante la presentazione di industria 4.0 del 21 settembre 2016, alla presenza del Presidente del Consiglio Matteo Renzi, è stata distribuita una brochure, scritta dall’Italian Trade Agency per conto del Ministero dello sviluppo economico, che avrebbe dovuto illustrare i vari punti di forza del nostro Paese per l'attrazione di capitali in Italia;
   tra questi ce n’è uno che potrebbe apparire una semplice gaffe se non fosse che racchiude in poche righe il tratto che questo Governo ha dato alle politiche sul lavoro e dello sviluppo economico. Nella pagina «Capitale umano e talento», il Governo si vanta di un aspetto che caratterizza più di tutti il mercato del lavoro italiano e il brano recita testualmente: «L'Italia offre un livello di salari competitivo (che cresce meno rispetto al resto dell'Unione europea) e una forza lavoro altamente qualificata»;
   un passo che si potrebbe tradurre così: alta specializzazione a prezzi stracciati e secondo il Governo questa sarebbe una qualità da esaltare. Viene pure fornito un chiaro esempio su quanto sia conveniente investire nel nostro Paese e a questo proposito viene fatto un paragone sul guadagno medio di un ingegnere italiano e un collega «europeo»: «Un ingegnere in Italia guadagna in media uno stipendio di 38.500 euro, quando in altri Paesi europei lo stesso profilo ne guadagna mediamente 48.800», recita la brochure;
   quindi, pagare poco un lavoratore diventa non un problema al quale porre rimedio ma una qualità del mercato del lavoro italiano e per questo va esaltata;
   a leggere quella brochure, sembra che l'unica ricetta che il Governo propone per superare la crisi e attrarre investimenti sia quella di «svendere» l'Italia e i lavoratori italiani. D'altronde, dopo il Jobs Act si può anche licenziare più facilmente e pure questa caratteristica viene esaltata nella pubblicazione. Insomma, per il Ministero dello sviluppo economico sembra proprio che gli investimenti si facciano sulla pelle delle lavoratrici e dei lavoratori;
   agli interroganti appare paradossale come una delle prime cause della nuova emigrazione, i bassi salari, venga presentata all'estero come una qualità e un vantaggio per le imprese invece di mettere in atto politiche del lavoro che abbiano come obiettivo dare a tutti e tutte un impiego dignitoso e retribuito allo stesso livello delle medie europee;
   ad avviso degli interroganti, oltre a rappresentare una pessima figura per il Governo, il contenuto della suddetta brochure potrebbe perfino rappresentare un boomerang per chi l'ha pensata, perché una campagna strutturata su una competizione salariale al ribasso attirerebbe solo speculatori che nel nostro Paese non investirebbero certamente in ricerca, sviluppo e formazione;
   per convincere le imprese a rimanere in Italia o a tornare a investire servirebbe piuttosto valorizzare e mettere a sistema l'università e la ricerca, riformare la fiscalità, intervenire sui costi dell'energia e sulle infrastrutture, sullo snellimento della burocrazia, migliorare i servizi; il tema dei bassi salari è un problema serio in Italia. Come ricorda un servizio del Corriere, l'Italia è il Paese in cui ad un operaio medio della Fiat occorrerebbero quasi 1.500 anni per guadagnare quanto ha guadagnato Marchionne nel solo 2015: 62,5 milioni di euro. In Italia un lavoratore dell'edilizia, per eguagliare i compensi percepiti l'anno scorso dall'amministratore delegato e direttore generale di Italimmobiliare, dovrebbe lavorare fino al 2270 e un dipendente di Prada dovrebbe vivere quattro secoli, per raggiungere la cifra incassata nel 2015 dall'amministratore delegato;
   un top manager guadagna quanto mille operai. Accumula patrimoni che potrebbero risanare il bilancio di intere città, costruire opere pubbliche e creare migliaia di altri posti di lavoro –:
   se il Governo non ritenga di dover assumere iniziative per ritirare la campagna informativa avviata durante la presentazione di Industria 4.0 in quanto, a giudizio degli interroganti, offensiva per la dignità delle lavoratrici e dei lavoratori italiani;
   se il Governo non intenda provvedere o abbia già provveduto a rimuovere dal sito internet Investinitaly la brochure descritta in premessa;
   se e quali iniziative concrete il Governo intenda mettere in atto al fine di ridurre la precarietà, soprattutto quella giovanile, aumentare i salari affinché siano in linea con gli standard europei, e redistribuire la ricchezza a favore delle fasce più deboli;
   se e quali politiche il Governo intenda mettere in atto per attrarre investimenti e capitali esteri che non puntino esclusivamente al basso costo della manodopera italiana rispetto a quella di altri Paesi europei, come la Germania o la Francia. (4-14420)

  Risposta. — L'obiettivo dell'intera politica economica del Governo è il rilancio della crescita e, conseguentemente, l'aumento dei salari reali e la creazione di nuova occupazione. Un veicolo cruciale per ottenere questo risultato è l'attrazione di investimenti esteri di qualità. A tal fine bisogna sia proseguire il percorso di riforme strutturali, sia comunicare adeguatamente i vantaggi competitivi del nostro Paese e gli effetti delle politiche attuate.
  La guida « Invest in Italy» è parte di una più ampia campagna « Italy the Extraordinary Commonplace» (oltre 20 milioni di visualizzazioni – http://www.investinitaly.com) che risponde esattamente a questa esigenza. La guida, in particolare, assolve alla funzione di sfatare i più evidenti luoghi comuni che affliggono il nostro Paese e di esaltarne i punti di forza nel campo della produzione, della posizione logistica, del commercio e dell'eccellenza delle sue risorse professionali.
  Proprio il rapporto tra qualità e costo di queste risorse è un dato che viene considerato molto rilevante per decidere in quale paese localizzare un investimento e per questa ragione la maggior parte delle guide internazionali, atte a promuovere Paesi e territori come sede per gli investimenti esteri, lo includono. Per esempio, l'analoga brochure del Governo tedesco enfatizza che, nel periodo 2005-14, «la Germania ha registrato il tasso di crescita del costo del lavoro più basso di tutta Europa». « Invest in the UK» punta sul costo orario del lavoro (dichiarando 22,3 euro, contro i 28,3 euro italiani). « Invest in Canada» pone l'attenzione sul fatto che investitori internazionali del settore delle telecomunicazioni siano attratti dalla competitività del costo del lavoro. « Invest in Spain» specifica come il costo orario del lavoro in Spagna sia inferiore rispetto alla media europea. IDA Ireland sottolinea la stabilità del costo del lavoro nazionale, in confronto alla crescita registrata in altri paesi europei. « Invest Japan» pone l'accento sul fatto che il costo del lavoro a Tokyo sia inferiore rispetto ai principali paesi sviluppati.
  Lo stesso criterio è stato utilizzato per realizzare la guida « Invest in Italy» (al capitolo « Human Capital & Talent» sono dedicate due delle quaranta pagine della brochure) che, per inciso, tocca anche molti altri aspetti che possono spingere un investitore a scommettere sull'Italia.
  Naturalmente, fare la fotografia dell'esistente non implica inferirne un giudizio di valore né, tanto meno, auspicare che i redditi degli ingegneri italiani restino più bassi di quelli dei loro colleghi. Anzi: creare nuove occasioni di impiego e di sviluppo è la precondizione necessaria per innescare una dinamica positiva, considerato l'elevato livello di qualificazione professionale e l'alta qualità delle nostre università.
  Vale la pena ripetere che il livello dei salari – ossia una delle variabili di potenziale interesse per gli investitori a cui la brochure è rivolta – è un dato di partenza, non un punto di arrivo: vogliamo partire da qui per promuovere una crescita dei redditi e dei posti di lavoro, non innescare una concorrenza al ribasso che non può certamente offrire una risposta alle esigenze del Paese.
  I livelli nominali dei salari, inoltre, riflettono una serie di fattori quali produttività, infrastrutture, apparato burocratico e amministrativo. Ed è proprio qui che si inserisce la strategia generale del Governo, che è finalizzata appunto a rimuovere gli svantaggi competitivi del nostro Paese, rafforzandone al tempo stesso gli elementi di competitività. La riforma della giustizia, il Jobs Act, la riforma della pubblica amministrazione, gli importanti interventi di riduzione delle imposte (in particolare la manovra sull'Irap), la riduzione dei costi energetici delle imprese, le liberalizzazioni, sono tutti tasselli di questa strategia. Nella legge di bilancio vi sarà, tra l'altro, il piano Industria 4.0, che introduce importanti strumenti fiscali a sostegno degli investimenti e che valorizza le nostre competenze ingegneristiche (ad esempio circa 1.400 nuovi dottorati di ricerca con focus su Industria 4.0). Attraverso Industria 4.0 puntiamo ad attivare 24 miliardi di euro di investimenti, a fronte di un impegno pubblico pari a 13 miliardi di euro nel periodo 2018-2024. I segnali più recenti del mercato ci dicono che le azioni intraprese sin qui ci stanno conducendo sulla buona strada.
  Gli investimenti esteri sono fondamentali per l'economia reale di un Paese: creano occupazione e attraggono ricchezza, gli stipendi aumentano e di conseguenza anche i consumi. È quindi ferma intenzione del Governo portare avanti le politiche di attrazione degli investimenti esteri, anche attraverso una moderna forma di comunicazione istituzionale; quando la domanda di posti di lavoro aumenta, aumentano anche le remunerazioni: se vogliamo far crescere i salari degli ingegneri e di tutti i lavoratori dobbiamo creare le condizioni perché vi sia una maggiore domanda di capitale umano.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoIvan Scalfarotto.


   MANZI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in forza del disposto dell'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, il dipartimento dell'organizzazione giudiziaria, ha proceduto ad avviare, negli uffici giudiziari, percorsi formativi di completamento per i lavoratori cassintegrati, in mobilità, i lavoratori socialmente utili o i disoccupati e gli inoccupati che, a partire dall'anno 2010, hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso le strutture giudiziarie;
   tali percorsi formativi di completamento, che hanno coinvolto più di 3.000 unità sono stati attivati in tutti gli uffici giudiziari interessati e sono terminati nel 2013;
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147, meglio nota come legge di stabilità 2014, rinnovando tale esperienza, ha previsto, per il corrente anno, la realizzazione di un nuovo progetto formativo di perfezionamento, per coloro che hanno svolto percorsi formativi di completamento nell'anno 2013, ma ad oggi il Ministero della giustizia, titolare del relativo progetto, non ha ancora dato seguito a tale disposizione di legge; 
   in un recente incontro presso il Ministero della giustizia alla delegazione dell'Unione precari giustizia è stata data rassicurazione dell'imminente rientro dei tirocinanti, ma la stessa è stata anche informata del fatto che le risorse all'uopo stanziate non arriverebbero a 15 milioni di euro, come previsto dalla legge di stabilità 2014, ma a 7,5 milioni, sufficienti per appena 230 ore a lavoratore e per una retribuzione di circa 2.300 euro lordi l'anno;
   le carenze di organico del personale amministrativo continuano ad essere una costante dell'apparato giudiziario, a causa anche del blocco del turn over e delle norme per il contenimento della spesa, con conseguenze negative sul funzionamento stesso degli uffici giudiziari e del sistema giudiziario nel suo complesso;
   proprio per garantire comunque il funzionamento degli uffici, per mantenere un ausilio e una collaborazione al personale di ruolo, i dirigenti degli uffici giudiziari hanno attivato nel corso degli anni convenzioni e implementato progetti che hanno immesso nelle loro strutture lavoratori di aziende colpite dalla crisi –:
   se siano vere le notizie riportate dall'Unione precari giustizia ed, in caso affermativo, quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere a garanzia dello stanziamento previsto dalla legge 27 dicembre 2013, n. 147 per il perfezionamento del tirocinio, pari a 15 milioni di euro. (4-03854)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede quali iniziative il Ministro della giustizia intenda assumere in riferimento alla situazione di coloro che hanno preso parte agli stages formativi presso le cancellerie degli uffici giudiziari, anche con riferimento alle risorse stanziate nella legge di stabilità per l'anno 2014.
  Come noto, l'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 nell'ambito delle misure previste per assicurare l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie, ha disposto uno stanziamento di risorse «per consentire ai lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e ai disoccupati e agli inoccupati, che a partire dall'anno 2010 hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, il completamento del percorso formativo entro il 31 dicembre 2013, nel limite di spesa di 7,5 milioni di euro».
  L'articolo 1, comma 344, della legge 27 dicembre 2013, n. 147, ha destinato ulteriori risorse finanziarie affinché i soggetti che avevano completato il tirocinio presso gli uffici giudiziari, a norma dell'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, svolgessero un ulteriore periodo di perfezionamento, da concludere entro il 31 dicembre 2014.
  A seguito dell'integrazione degli stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio, presso tutti gli uffici interessati è stata avviata, a partire dal 1o dicembre 2014, la seconda fase del percorso formativo di perfezionamento, destinata esclusivamente ai tirocinanti che avevano partecipato al primo intervento formativo.
  Tale sessione formativa si sarebbe dovuta concludere il 30 aprile 2015, per effetto di quanto previsto dall'articolo 1, comma 12, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 – cosiddetto «decreto milleproroghe» – convertito con la legge 27 febbraio 2015, n. 11.
  Al fine di agevolare il completamento della formazione, la competente articolazione ministeriale ha diramato, con nota in data 31 marzo 2014, a tutti gli uffici giudiziari le linee guida per la predisposizione dei progetti formativi di perfezionamento e, a seguito dell'attivazione in favore dei tirocinanti della copertura assicurativa antinfortunistica, nonché di quella derivante dalla responsabilità civile verso i terzi, i progetti di formazione sono stati avviati.
  La durata del percorso formativo di perfezionamento era stata determinata in 230 ore individuali per le 2.924 unità interessate, con la corresponsione di un'indennità forfettaria oraria pari a 10,00 euro, tenuto conto delle risorse finanziarie, all'epoca disponibili, ammontanti ad euro 7.500.000,00.
  Nella prospettiva di valorizzare il percorso professionalizzante anche di quanti fossero già impegnati in stage presso gli uffici giudiziari in virtù delle proroghe normative citate, con il decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, è stata, invece, introdotta la possibilità di partecipazione dei tirocinanti all'ufficio del processo, per un periodo di dodici mesi, a seguito di una adeguata selezione e attribuendo, altresì, una borsa di studio mensile.
  In particolare, l'articolo 21-ter del decreto-legge citato ha previsto che il completamento del periodo di perfezionamento costituisce titolo di preferenza, a parità di merito, ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994 n. 487, nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione; inoltre lo stesso articolo prevede che nelle procedure concorsuali indette dall'amministrazione della giustizia siano introdotti meccanismi finalizzati a valorizzare l'esperienza formativa acquisita.
  Con la prospettiva introdotta dal recente decreto-legge 30 giugno 2016, n. 117, che ha autorizzato il Ministero al reclutamento di personale amministrativo per 1.000 nuove assunzioni, anche con bando di concorso, saranno certamente valorizzati e riconosciuti i percorsi professionali di coloro che hanno svolto tirocini e stage presso gli uffici giudiziari, così da offrire una reale possibilità di impiego a persone che hanno maturato competenze significative nei servizi di cancelleria.
  L'attenzione ai tirocinanti è stata, dunque, sempre massima da parte del Ministero della giustizia, che non ha ricercato soluzioni transitorie, ma ha voluto costruire un vero e proprio percorso professionalizzante.
  In tale prospettiva, è già alla firma il decreto interministeriale con il quale si dà avvio all'assunzione, a tempo indeterminato, di 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale, in attuazione del decreto-legge n. 117 del 2016.
  Il bando per il concorso sarà pubblicato entro il prossimo 21 novembre 2016.
  Sono certo che, anche nei concorsi che si apriranno presso altre amministrazioni, centrali e periferiche, il titolo preferenziale che abbiamo voluto riconoscere ai tirocinanti – con la previsione dell'articolo 21-ter del decreto-legge citato – sarà davvero assicurato.
  Evidenzio, inoltre, che, nelle more della definizione delle procedure concorsuali previste dal citato decreto-legge n. 117, per coloro che hanno partecipato al tirocinio di perfezionamento presso l'ufficio del processo (1.115 unità) che si concluderà entro la fine del corrente anno, è stata proposta dal mio Dicastero, nell'ambito della legge di bilancio per l'anno 2017, la proroga del periodo di tirocinio, della durata non superiore a 12 mesi, ove espressamente richiesto dagli interessati, mantenendo il diritto alla borsa di studio.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MATARRELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la disposizione contenuta nell'articolo 3 del decreto legislativo del 21 giugno 2013, n. 69, prevede che «I laureati in giurisprudenza all'esito di un corso di durata almeno quadriennale, in possesso dei requisiti di onorabilità di cui all'articolo 42-ter, secondo comma, lettera g), del regio decreto 30 gennaio 1941, n. 12, che abbiano riportato una media di almeno 27/30 negli esami di diritto costituzionale, diritto privato, diritto processuale civile, diritto commerciale, diritto penale, diritto processuale penale, diritto del lavoro e diritto amministrativo, ovvero un punteggio di laurea non inferiore a 105/110 e che non abbiano compiuto i trenta anni di età, possono accedere, a domanda e per una sola volta, a un periodo di formazione teorico-pratica presso le Corti di appello, i tribunali ordinari, gli uffici e i tribunali di sorveglianza e i tribunali per i minorenni della durata complessiva di diciotto mesi»;
   a coloro che siano risultati in possesso di determinati requisiti previsti dalla citata norma, la legge attribuisce ai sensi dell'articolo 73, comma 8-bis e ter, una borsa di studio determinata in misura non superiore ad euro 400 mensili;
   il comma 8-ter del succitato decreto, infatti dispone: «Il Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto di natura non regolamentare, determina annualmente l'ammontare delle risorse destinare all'attuazione degli interventi di cui al comma 8-bis del presente articolo sulla base delle risorse disponibili (...)»;
   per tutto quanto esposto, pur riconoscendo i vantaggi offerti da tale tirocinio ai giovani laureati in giurisprudenza, non si può trascurare l'importanza del contributo che i laureati inseriti in percorsi teorico-pratici stanno offrendo all'organizzazione degli uffici giudiziari di tutta Italia, nell'intento di favorire un più celere superamento del sovraccarico che affligge le aule giudiziarie, di supporto all'attività dei magistrati;
   la previsione legislativa relativa alle borse di studio risale al mese di agosto 2014 e, ad oggi, la stessa è rimasta ancora inattuata –:
   quali iniziative nell'immediato il Ministro interrogato intenda adottare affinché le risorse per le borse di studio vengano al più presto determinate e distribuite, anche con efficacia retroattiva, dal momento che i tirocinanti sostengono comunque delle spese di trasporto poiché molto spesso non risiedono nella città ove è ubicato l'ufficio giudiziario. (4-10067)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame l'interrogante, richiamata la regolamentazione concernente i tirocini formativi previsti dall'articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, e, in particolare, i commi 8-bis e 8-ter di tale articolo, secondo cui per i predetti tirocinanti è prevista una borsa di studio determinata in misura non superiore ad euro 400 mensili, evidenzia come il comma 8-ter dispone: «Il Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto di natura non regolamentare, determina annualmente l'ammontare delle risorse destinare all'attuazione degli interventi di cui al comma 8-bis del presente articolo sulla base delle risorse disponibili (...)».
  Sottolineando come la previsione legislativa relativa alle borse di studio sia risalente al mese di agosto 2014, ne lamenta la mancata attuazione e chiede quali iniziative il Ministro della giustizia intende adottare affinché le risorse destinate alle borse di studio vengano al più presto determinate e distribuite, anche con efficacia retroattiva, dal momento che i tirocinanti sostengono comunque spese di trasporto per raggiungere gli uffici giudiziari presso cui sono inseriti.

  Merita di essere evidenziato, a riguardo, che il decreto interministeriale e la disciplina di attuazione della previsione legislativa richiamata sono stati emanati e pubblicati in data 21 luglio 2015 sul sito del Ministero della giustizia.
  Il decreto in argomento, unitamente alla relativa circolare esplicativa della Direzione generale dei magistrati del Dipartimento per l'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, hanno dettagliatamente indicato sia le risorse disponibili per l'anno 2015, individuate nei limiti di euro 8.000.000,00, sia le modalità di presentazione delle domande ed i requisiti reddituali per potere beneficiare delle borse di studio, determinate congruamente in misura non inferiore ad euro 350,00 mensili.
  Il predetto decreto prevede, peraltro, l'attribuibilità delle borse, nella ricorrenza dei requisiti normativi, anche con riguardo al periodo antecedente l'entrata in vigore del decreto stesso, con riferimento all'attività di tirocinio svolta a far data dal 1o gennaio 2015.
  Secondo quanto comunicato dalla competente articolazione, l'attribuzione delle borse di studio e la materiale destinazione delle stesse agli aventi diritto attraverso la messa disposizione dei relativi fondi agli uffici distrettuali è stata regolarmente completata.
  In data 20 aprile 2016 è stata, difatti, pubblicata la graduatoria dei tirocinanti aventi diritto alle borse di studio relative al primo semestre 2015 ed è stata, di conseguenza, distribuita la somma complessiva di euro 3.193.424,75 (compresa IRAP) in favore di 1.521 stagisti.
  Analogamente, con riferimento alle borse di studio relative al secondo semestre dell'anno 2015, sono state distribuite risorse pari ad euro 3.821.469,07 (comprensive di IRAP), a 1.833 stagisti, secondo la graduatoria definitiva pubblicata alla fine del mese di giugno 2016.
  La disponibilità di adeguate risorse ha, pertanto, consentito di attribuire il beneficio a tutti i tirocinanti che hanno presentato domanda nelle forme di legge.
  Va, infine, evidenziato come una rilevazione effettuata con riferimento ai mesi di giugno e luglio 2016 ha consentito di verificare che, in quel periodo, presso gli uffici giudiziari operavano circa 2.930 tirocinanti.
  Si tratta degli esiti di un monitoraggio che tiene conto della naturale fluidità del dato, legato alle diverse e non contestuali epoche in cui i relativi bandi sono stati emessi dai diversi uffici giudiziari, ma che testimonia la positiva sperimentazione delle attività di tirocinio.
  La ricerca di strumenti organizzativi a supporto degli uffici è stata una delle priorità del mio mandato e, in questa prospettiva, sono state rese disponibili, per la prima volta, adeguate risorse per organizzare gli staff di assistenza al magistrato.
  A tal fine, si è ritenuto di poter valorizzare il percorso professionalizzante anche di quanti fossero già impegnati in stage presso le cancellerie in virtù di una serie di proroghe normative, prevedendone, con l'articolo 21-ter del decreto-legge n. 83 del 2015, convertito nella legge n. 132 del 2015, la possibilità di partecipazione, per un periodo di dodici mesi, all'ufficio del processo a seguito di una adeguata selezione e attribuendo, altresì, una borsa di studio mensile.
  Mi preme, pertanto, precisare che non di precariato della giustizia – come impropriamente viene definito il fenomeno – si tratta, bensì della valorizzazione di lavoratori che già erano in mobilità o in stato di disoccupazione rispetto ad attività in precedenza svolte in altri settori.
  Una realtà sociale certamente da considerare e verso cui il Ministero della giustizia ha, con senso di responsabilità, riservato grande attenzione, prevedendo non una mera proroga dei tirocini già svolti, come in precedenza accaduto, e delineando, invece, un vero e proprio percorso professionalizzante di durata maggiore rispetto ai precedenti e, soprattutto, con un riconoscimento conclusivo.
  Lo svolgimento del tirocinio costituisce, infatti, titolo preferenziale nell'ambito di tutte le procedure concorsuali indette dalla pubblica amministrazione.
  Le nuove procedure di mobilità avviate operano in questa prospettiva, prevedendo nuove assunzioni nel ministero attraverso una procedura in cui anche i tirocinanti potranno spendere il titolo e, soprattutto, le competenze acquisite.
  È già alla firma il decreto interministeriale con il quale si dà avvio all'assunzione a tempo indeterminato di 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale, in attuazione del decreto-legge n. 117 del 2016: e il bando per il concorso sarà pubblicato entro il prossimo 21 novembre 2016.
  Sono certo che, anche nei concorsi che si apriranno presso altre amministrazioni, centrali e periferiche, il titolo preferenziale che abbiamo voluto riconoscere ai tirocinanti – con la citata previsione di cui all'articolo 21-ter del decreto-legge n. 83 del 2015 – sarà davvero assicurato.
  Evidenzio, inoltre, che, nelle more della definizione delle procedure concorsuali previste dal citato decreto-legge n. 117, per coloro che hanno partecipato al tirocinio di perfezionamento presso l'ufficio del processo (1.115 unità) e che si concluderà entro la fine dei corrente anno, è stata proposta dal mio dicastero, nell'ambito della legge di bilancio per l'anno 2017, la proroga del periodo di tirocinio, della durata non superiore a 12 mesi, ove espressamente richiesto dagli interessati, mantenendo il diritto alla borsa di studio.
  Sono convinto, invero, che la migliore risposta ai tirocinanti, i quali hanno certamente costituito un'importante risorsa per gli uffici giudiziari, va ricercata non in soluzioni transitorie, peraltro non percorribili a normativa vigente, ma in risposte che determinano la crescita di professionalità per una seria possibilità di reinserimento nel mondo lavorativo.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MELILLA, SCOTTO, DANIELE FARINA, SANNICANDRO e ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 23 dicembre 2013 il Governo ha approvato il decreto-legge n. 146 convertito con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10;
   all'articolo 7 del citato decreto si prevede l'istituzione del Garante nazionale dei diritti delle persone limitate o private della libertà personale;
   il Garante è costituito in collegio, composto da un presidente e da due membri, che sono nominati, previa delibera del Consiglio dei ministri, con decreto del Presidente della Repubblica, sentite le competenti Commissioni parlamentari;
   attraverso l'istituzione tempestiva di tale figura sarebbe stata già assicurata a qualunque detenuto, quale che fosse il suo status sociale e giudiziario, la possibilità di accedere a un'autorità indipendente capace di verificare e sollecitare la garanzia dei diritti previsti dall'ordinamento a prescindere dal formale ricorso giurisdizionale già previsto dall'ordinamento penitenziario, come richiesto dalle norme internazionali –:
   per quale motivo, ad oltre un anno dall'approvazione della legge relativa all'istituzione della figura illustrata in premessa, non si sia ancora proceduto alla nomina del Garante e quali iniziative urgenti intenda assumere il Governo per procedere rapidamente all'attuazione della normativa. (4-07439)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, rappresento che con decreto dell'11 marzo 2015, n. 26 del Ministero determinata la struttura e la composizione dell'ufficio del Garante, in attuazione all'articolo 7, comma 4, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 146, convertito con modifiche dalla legge 21 febbraio 2014, n. 10, recante «Misure urgenti in tema di tutela dei diritti fondamentali dei detenuti e di riduzione controllata della popolazione carceraria», il quale ha istituito la figura del Garante nazionale dei diritti delle persone detenute o private della libertà personale.
  Il decreto, dopo la registrazione della Corte dei conti, è stato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 75 del 31 marzo 2015 ed è divenuto efficace dal giorno successivo a quello della pubblicazione.
  L'ufficio del Garante, organo collegiale composto da un presidente e due membri, ha sede presso il Ministero della giustizia e si avvale di un organico di venticinque unità di personale, messo a disposizione dallo stesso Dicastero, che opererà in via esclusiva alle dipendenze del Garante e non potrà essere destinato ad altri uffici senza il suo parere favorevole.
  Con decreto del Garante, di concerto con questo Ministero del 3 agosto 2016, è stata determinata la pianta organica del personale non dirigenziale da assegnare all'autorità di garanzia, ripartita tra le aree professionali III (11 unità) e II (14 unità) e ruoli equiparati. Il 5 agosto 2016 è stata avviata la procedura di selezione per 15 unità di personale (di cui 8 di area III e 7 di area II) conclusasi nello scorso mese di settembre ed è attualmente in corso l'adozione dei provvedimenti di assegnazione da parte dei dipartimenti di provenienza del personale così individuato.
  L'istituzione del Garante nazionale – che si affianca ai garanti territoriali, aventi competenza per tutti i luoghi di privazione della libertà, compresi i CIE (centri di identificazione e di espulsione) e le comunità terapeutiche – rappresenta una puntuale risposta alle criticità evidenziate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo, con la sentenza cosiddetta Torreggiani del 2013, circa la presenza di efficaci strumenti di tutela dei diritti delle persone private della libertà personale.
  Mi preme, infatti, rilevare che, sin dall'inizio del mio mandato, ho prestato la massima attenzione al sistema dell'esecuzione penale, con l'obiettivo di ridefinire una dimensione della pena che, nel quadro dei diritti e delle garanzie, punti al reinserimento del detenuto.
  A tal fine, a partire dal maggio 2015 ho avviato gli «Stati Generali dell'esecuzione penale», un lungo percorso di riflessione ed approfondimento durato oltre un anno, all'esito del quale, nel mese di aprile scorso, i 18 tavoli tematici hanno illustrato le attuali criticità del sistema ed avanzato le proposte di intervento per una sua riforma complessiva, alcune delle quali, immediatamente praticabili, sono già state recepite da questo Ministero.
  L'amministrazione penitenziaria è stata chiamata, dunque, ad assicurare al Garante nazionale la massima collaborazione. Invero, è mio intendimento sollecitare il Garante a svolgere una positiva interlocuzione preventiva nell'ambito del progressivo adeguamento, normativo ed organizzativo, dell'amministrazione penitenziaria, nel quale il ruolo di garanzia dell'effettività della protezione dei diritti delle persone private della libertà, lungi dal rischiare compressioni, possa esprimersi con piena indipendenza di giudizio, rafforzando la maturità dei processi decisionali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MELILLA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il «parco archeologico di Amiternum» de L'Aquila, è stato dedicato a Thomas Ashby, archeologo e fotografo che frequentò questi luoghi all'inizio del novecento. Ma più che ad un parco, l'area archeologica, soggetta a continue pressioni antropiche, assomiglia sempre più ad un giardino, ad un appezzamento di terreno circondato da costruzioni e capannoni ed attraversato da strade già costruite (come quella del G8 che parte dalla scuola della Guardia di finanza e corre parallela alla strada statale 80) e da costruire come bretella alla strada statale 80 di poco più di un chilometro che passerà immediatamente a ridosso del Teatro Romano (opera diretta dall'Anas che preveda lavori di miglioramento delle condizioni di sicurezza mediante realizzazione di un nuovo svincolo con la strada statale 260 e la strada statale 80 in località Cermone);
   a queste opere va aggiunta la strada provinciale progettata in località Torroncino e località Grottoni (sistemazione strada di collegamento via delle Fiamme gialle – sr 80 dir – sp 30 «di Cascina»);
   le strade in questione passano tutte su aree delicate e notissime per i copiosi reperti che hanno restituito. Attraversano, per una significativa parte, la zona dove sorgeva l'antica città di Amiternum, città senza mura e di vaste dimensioni come certificato dal professor M. Heinzelmann nelle sue ricerche finanziate dal Governo tedesco. Un'area protetta con precisi e dettagliati vincoli espressi nel piano regionale paesistico «ambito fiume Aterno» che la classifica in zona A1, a conservazione integrale, dove tra gli usi compatibili è negata la costruzione di strade di qualsivoglia gerarchia. Anche un altro provvedimento (decreto ministeriale 21 giugno 1985) interessa la zona e ne prevede la sua integrale salvaguardia;
   la strada provinciale in progetto è interessata pure dalla legge Galasso (legge n. 43 del 1985), poiché passa, per il primo tratto, entro la fascia di rispetto di 300 metri dal laghetto «Giorgio» interessantissimo ed importantissimo geosito alimentato da sorgenti perenti con un piccolo emissario che confluisce nell'Aterno;
   nonostante tutte queste regole e limiti ed in contrasto con il divieto espresso di realizzare qualsivoglia tipo di strada nelle aree in zona A1 del PRP, negli anni passati anche in relazione all'emergenza del G8, l'ANAS e poi ancora la provincia dell'Aquila hanno realizzato, progettato e si sono visti approvare senza colpo ferire due bretelle che passano entro la zona di conservazione integrale. Strade che interrompono sia la continuità archeologica sia la continuità paesaggistica e raddoppiano di fatto la viabilità esistente che doveva e poteva essere solo migliorata;
   la strada progettata dall'Anas, quella che passerà a meno di quaranta metri dal teatro e tra quest'ultimo ed il grande monumento funerario noto come «Sant'Antonigliù», distrugge un frammento ancora leggibile del paesaggio agrario costruito e nega la continuità archeologica tra la parte della città romana in basso e i beni archeologici sul colle di Jereone rappresenti dai resti del castello medioevale che poggiano su murature romane e con probabili resti italici;
   malgrado tutte queste considerazioni, alle quali vanno aggiunti anche gli aspetti naturalistici come la presenza accertata nell'area del capriolo e di altri mammiferi che utilizzano quei luoghi come corridoi per l'abbeverata, non è stata nemmeno redatta la valutazione di impatto ambientale ma solo un impreciso e superficiale studio preliminare ambientale per la verifica di assoggettabilità a VIA;
   se possibile ancora più grave è l'opera progettata dalla provincia dell'Aquila riguardante la «Sistemazione strada di collegamento via delle Fiamme Gialle – sr 80 dir – sp 30 “di Cascina” che, almeno per la parte entro il vincolo paesistico, abbandona quasi completamente il tracciato interpoderale storicizzato esistente e di fatto si configura come una nuova arteria. L'importo dell'opera è di 2.000.000 di euro, l'importo dei lavori di 1.200.000 euro. È di difficile comprensione l'utilità della bretella, perché nella zona sono presenti già numerose arterie di diversa importanza e il San Donato Golf Resort, se questo è il motivo per cui è stata pensata, è già comodamente servito dalla viabilità esistente. Il progetto ha origine da un protocollo di intesa del 22 marzo 2010 tra il comune dell'Aquila e la provincia e viene approvato definitivamente dalla conferenza di servizi del 30 ottobre 2011;
   nella conferenza sono stati assenti tutti quegli enti che avrebbero dovuto controllare e far rispettare le norme sulle aree sottoposte a vincolo paesaggistico ed archeologico ed in particolare è stata assente la regione Abruzzo nelle sue articolazioni (beni ambientali, urbanistica e pianificazione, conservazione della natura e altro), come pure la Soprintendenza per i beni archeologici e la Soprintendenza per i beni paesaggistici ed è mancato perfino il comune dell'Aquila;
   oggi, a ridosso della gara di appalto, la Soprintendenza archeologica finalmente, ha deciso a far fare dei saggi più estesi e naturalmente, come era facilissimo prevedere, ogni saggio ha restituito copiosi resti antichi. L'area è già nota in letteratura e sia la Segenni (Amiternum, pagina 151 e seguenti) che il Persichetti narrano del ritrovamento di importanti iscrizioni, tombe e murature sia nella zona denominata Torroncino che in località Grottoni. Qualche anno fa durante la realizzazione di un ramo del metanodotto, negli stessi luoghi, furono rinvenute tombe e murature;
   nel primo saggio eseguito a ridosso della rotonda, nei pressi della ex stazione di San Vittorino, saggio della larghezza di circa dieci metri, sono stati trovati ambienti confinati da murature, alcune intonacate, naturale prosieguo della domus intercettata sotto la stessa rotonda e poi risotterrata ed asfaltata. Sono visibili anche estesi crolli dove sono stati trovati elementi lapidei lavorati appartenenti a stipiti o soglie;
   l'indagine si è fermata alle creste dei resti murari; approfondimenti almeno fino ai livelli pavimentali darebbero sicuramente ulteriori indicazioni;
   nel tratto di saggio successivo, quello a confine con la strada statale 80 dir, si notano copiosi resti fittili ed una serie di elementi lapidei ancora da indagare. Il Persichetti, nello stesso luogo, rinvenne un tratto di strada lastricata. Nella parte dei saggi sotto la frazione di Pozza, località Grottoni, sempre entro l'area vincolata dal piano paesistico, sono state rinvenute creste di murature di notevole spessore, ambienti confinati, pavimenti appartenenti probabilmente ad una domus o ad una villa rustica;
   la quantità e la qualità dei resti trovati dovrebbero scongiurare la realizzazione di qualsiasi opera ma, visto quello che è successo nel recente e nel più lontano passato quando sono state «asfaltate» e «cementificate» aree di notevole interesse archeologico, ci sono fondate preoccupazioni e per questo motivo le organizzazioni ambientalistiche e culturali hanno chiesto al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, alla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici per L'Abruzzo, alla Soprintendenza archeologica di provare ad avere per una volta un po’ di coraggio e di essere «forti con i forti», negando la realizzazione delle opere con la semplice giustificazione che lì sotto c’è un pezzo importante della antica città di Amiternum –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato per salvare il «parco archeologico di Amiternum» de L'Aquila. (4-13143)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, nel quale l'interrogante chiede quali iniziative di competenza si intenda assumere per «salvare il “parco archeologico di Amiternum” de L'Aquila, minacciato, tra l'altro, dall'attraversamento di strade statali e provinciali, alcune già realizzate o in corso di realizzazione e altre in fase di progettazione».
  Nell'interrogazione sono richiamate la strada provinciale n. 30 di Cascina, progettata dalla provincia di L'Aquila e la strada statale 80 dir. in località Cermone di competenza dell'Anas. Nel primo caso si tratta del collegamento veloce tra il Viale delle Fiamme Gialle presso la scuola allievi della guardia di finanza a Coppito e l'aeroporto di Preturo; nel secondo caso della variante alla strada statale 80 in località Cermone, nei pressi dell'area archeologica del teatro romano di Amiternum.
  Si precisa che, diversamente da quanto riportato nell'atto ispettivo, la soprintendenza competente ha avviato già dal 2010 le indagini archeologiche preventive alla realizzazione delle due strade e non da «oggi, a ridosso della gara d'appalto».
  In tutti e due i casi i competenti uffici dell'amministrazione hanno dettato prescrizioni in merito all'esecuzione dei progetti nelle fasi preliminari, soprattutto con riguardo alla effettuazione delle indagini preventive allora previste dagli articoli 95 e 96 del decreto legislativo n. 163 del 2006.
  Relativamente alla strada provinciale di Cascina, i lavori di realizzazione della strada sono stati interrotti nel 2014, dopo il rinvenimento di strutture archeologiche pertinenti ad una villa di età romana a seguito delle indagini di archeologia preventiva prescritte dalla Soprintendenza e non si hanno notizie della eventuale prosecuzione degli interventi previsti nel progetto.
  Anche per la variante alla strada statale 80 i lavori risultano fermi e non si conosce lo stato attuale della progettazione, dopo che sono state concluse nel 2011 le indagini archeologiche preventive disposte anche per questa opera.
  Allo stato attuale delle conoscenze degli uffici periferici di questa amministrazione le opere relative ai progetti della provincia e dell'Anas risultano di fatto sospese.
  Riguardo la strada provinciale di Cascina, il parere endoprocedimentale dell'allora soprintendenza per i beni archeologici dell'Abruzzo, inviato alla direzione regionale per la conferenza dei servizi convocata dalla provincia dell'Aquila (protocollo n. 10166 dell'11 novembre 2011), informava l'amministrazione provinciale dell'Aquila del «notevole interesse archeologico delle aree interessate dal progetto», prescrivendo l'avvio di una campagna di archeologia preventiva.
  Con successiva nota (protocollo 7378 dell'11 settembre 2012), la soprintendenza comunicava all'amministrazione provinciale che le indagini archeologiche preliminari avevano delineato, sin dalle prime fasi, l'importanza delle preesistenze, tale da rendere necessarie ulteriori ricerche «con approfondimento ed estensione degli scavi in relazione alla futura sede stradale»; si informava, inoltre, che i risultati di tali indagini avrebbero costituito «elemento determinante per l'elaborazione del progetto definitivo/esecutivo [...] che dovrà essere approvato da questo Ufficio».
  Le indagini archeologiche, riprese il 20 ottobre 2014, hanno portato alla luce notevoli resti della villa romana precedentemente individuata; gli scavi, sospesi per la inoltrata stagione invernale, non sono stati ancora riavviati, né tantomeno conclusi. Non è stato ancora formulato, pertanto, un parere definitivo per quanto di competenza di questa amministrazione.

  Il progetto dell'Anas «di miglioramento delle condizioni di sicurezza mediante realizzazione di un nuovo svincolo con la strada statale 260 e la strada statale 80 in località Cermone e rettifica piano altimetrica», rientrante nel piano di emergenza della mobilità nel comune di L'Aquila, approvato preliminarmente, in sede di conferenza dei servizi del 10 e 15 settembre 2009, al tavolo diretto e coordinato dal commissario delegato all'emergenza sismica, è stato sottoposto alla allora soprintendenza archeologica per «ogni utile indicazione per il prosieguo delle attività progettuali e dello studio di compatibilità archeologica».
  La Soprintendenza per i beni archeologici dell'Abruzzo (nota protocollo n. 7065 del 3 settembre 2009) ha valutato la fattibilità dell'intervento solo in relazione al fatto che la nuova viabilità, a monte del teatro, avrebbe permesso la dismissione del tratto rettilineo della strada statale 80 che divide le due aree archeologiche della città romana di Amiternum, non consentendone una visione né una visita unitaria.

  Vennero, pertanto, comunicate all'Anas, alla direzione regionale di questa amministrazione e al vice commissario per il patrimonio culturale – emergenza sismica (nota protocollo numero 7123 del 4 novembre 2009) le prescrizioni relative alle indagini archeologiche preventive e venne richiesta una integrazione sostanziale degli elaborati progettuali per le valutazioni di competenza.
  Vennero avviate le indagini archeologiche preventive che diedero esito negativo su tutta l'area interessata dalla nuova sede stradale e furono chieste ulteriori brevi indagini di verifica (nota protocollo n. 6376 del 3 settembre 2010). Anche in questo caso l'esito negativo dei saggi archeologici autorizzò la prosecuzione dell’iter progettuale, e la soprintendenza si riservò di esprimere un parere definitivo dopo l'inserimento negli elaborati progettuali di quanto richiesto con nota protocollo n. 7065 del 3 novembre 2009, relativamente al rendering virtuale della nuova strada inserita nel paesaggio, alla progettazione delle opere di dismissione dell'attuale tratto della strada statale 80 che divide le due aree archeologiche del teatro e dell'anfiteatro, all'inserimento nel quadro economico della copertura economica per l'assistenza archeologica a tutte le fasi di scavo legate alla realizzazione della strada.
  L'Anas trasmise gli elaborati grafici relativi al progetto di dismissione del tratto della strada statale 80 che attualmente attraversa l'area archeologica della città di Amiternum e la soprintendenza espresse il proprio parere endoprocedimentale di competenza dopo l'esame degli elaborati pervenuti e la verifica dei contenuti corrispondenti alle prescrizioni (nota protocollo n. 6305 del 30 luglio 2012).
  Dal 2012 non si hanno informazioni circa lo stato della questione che, per quanto di competenza di questa amministrazione, dovrà procedere con l'assistenza continua da parte di archeologi alle operazioni di alterazione dei livelli di campagna durante l'esecuzione del progetto.
  Questa Amministrazione, attraverso l'azione dei propri uffici periferici, è impegnata affinché il parco archeologico di Amiternum sia opportunamente valorizzato e potenziato, proseguendo negli interventi finora condotti nell'area da parte della ex soprintendenza archeologia e dalla ex direzione regionale e, da marzo del 2015, proseguiti dalla soprintendenza unica archeologia, belle arti e paesaggio per la città dell'Aquila nei comuni del cratere.
  Le due aree archeologiche sono, infatti, state oggetto di due grandi interventi articolati e sistematici, finanziati attraverso Arcus e l'otto per mille, che hanno reso possibile lo scavo di ampie aree – nelle quali sono stati riportati alla luce inediti contesti monumentali – il restauro di imponenti porzioni degli edifici di spettacolo e la valorizzazione del sito, mediante la sistemazione di spazi per la custodia e l'esposizione dei reperti provenienti dalla zona.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   GIORGIA MELONI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con decreto 12 agosto 2015 recante «Istituzione di Commissioni di studio presso l'Ufficio legislativo e il Gabinetto del ministro» sono state istituite presso il Ministero della giustizia due apposite commissioni, tra loro coordinate, con il compito di realizzare «la prima, uno studio approfondito della materia dell'ordinamento giudiziario», e la seconda, «tenendo conto anche delle iniziative di “autoriforma” e delle proposte del Consiglio Superiore della magistratura, uno studio approfondito dei meccanismi di funzionamento del medesimo Consiglio Superiore della Magistratura»;
   all'articolo 1 del predetto decreto si istituisce in particolare, presso l'ufficio legislativo, una commissione di riforma dell'ordinamento giudiziario, presieduta dal professor avvocato Michele Vietti, «incaricata di predisporre uno schema di progetto di riforma dell'ordinamento giudiziario, nella prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione dei profili di disciplina riferiti, in particolare: a) allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria, attraverso una riorganizzazione della distribuzione sul territorio delle corti di appello e delle procure generali presso le corti di appello, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica ed una collegata promozione del valore della specializzazione nella ripartizione delle competenze; b) all'accesso alla magistratura; c) al sistema degli illeciti disciplinari e delle incompatibilità dei magistrati; d) al sistema delle valutazioni di professionalità e di conferimento degli incarichi; e) alla mobilità e ai trasferimenti di sede e di funzione dei magistrati; f) all'organizzazione degli uffici del pubblico ministero»;
   il termine entro il quale i commissari dovranno presentare uno «schema di progetto», con la nuova geografia di corti d'appello, tribunali e procure della Repubblica è fissato al 31 dicembre 2015, salvo proroghe;
   non sono stati definiti i criteri che la commissione suddetta dovrà seguire al fine predisporre lo studio con riguardo alla riorganizzare della distribuzione sul territorio delle corti di appello, delle procure generali presso le corti di appello, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica;
   le linee guida della Commissione europea per l'efficienza della giustizia civile (CEPEJ) del Consiglio d'Europa, che mirano a «favorire le condizioni di accesso ad un sistema giudiziario di qualità», redatte il 21 giugno 2013, da un lato riconoscono il valore dell'accesso alla giustizia in termini di vicinanza dei tribunali ai cittadini, dall'altro prescrivono che «dover presenziare a un'udienza fissata la mattina presto per una persona anziana, o per una persona che non guida o non è dotata di mezzo proprio, in assenza di adeguati mezzi di trasporto pubblico, rappresentano tutte situazioni problematiche che possono influire sul diritto di equo accesso alla giustizia»;
   il medesimo rapporto, infine, afferma che «Allo stesso tempo non possiamo escludere che ci potrebbero essere situazioni in cui l'autorità costituita potrebbe voler introdurre nuovi Tribunali in modo da ridurre la distanza ai cittadini», valutazione ribadita anche nella successiva revisione del rapporto;
   la riforma che ha abolito ed accorpato giudici di pace e tribunali, alla prova dei fatti, non ha portato risultati positivi né in termini di risparmio di spesa né di amministrazione della giustizia,
   lo stesso presidente del Consiglio nazionale forense Guido Alpa ha affermato che «I nostri riscontri sull'applicazione della riforma della geografia giudiziaria sono negativi»;
   la soppressione dei distretti delle corti di appello comporterebbe la chiusura anche della direzione distrettuale antimafia, del tribunale per minorenni, del TAR di Basilicata e dei tribunale per il riesame, con ingente nocumento per la popolazione, e con il risultato non di risparmiare in termini oggettivi ma soltanto di riversare il costo sui cittadini, già gravati per non dire vessati dalla più alta tassazione del mondo;
   vi sono regioni, quali la Basilicata, che, a fatica, riescono a contenere la penetrazione della malavita organizzata, e per le quali la chiusura delle direzioni distrettuali antimafia rappresenterebbe l'eliminazione di un presidio fondamentale della lotta alla criminalità;
   inoltre, in Basilicata la morfologia prevalentemente montuosa e la situazione infrastrutturale della viabilità sono tali da rendere difficile se non impossibile l'accesso alla giustizia dei cittadini residenti nella regione a fronte della soppressione di distretti delle corti d'appello –:
   se non si ritenga opportuno ed urgente definire criteri oggettivi per al commissione di riforma dell'ordinamento giudiziario, presieduta dal professor avvocato Michele Vietti, al fine di rendere la revisione della geografia giudiziaria conforme alle linee guida della Commissione europea per l'efficienza della giustizia civile (CEPEJ) del Consiglio d'Europa;
   quali siano le intenzioni del Governo in merito alla soppressione delle orti d'appello che hanno sede soltanto nel comune capoluogo di regione e delle circoscrizioni di corte d'appello che coincidono con il territorio della relativa regione. (4-10462)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, l'interrogante paventa – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – la soppressione della Corte di appello del distretto della Basilicata, con sacrificio del principio di prossimità della giurisdizione, secondo le conclusioni rassegnate dalla commissione ministeriale per la riforma dell'ordinamento giudiziario.
  Chiede, pertanto, se ed in che termini il Ministro intenda attuare le linee riformatrici tracciate nella relazione conclusiva dei lavori.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi n. 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, pertanto, sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  Con riferimento agli uffici distrettuali, di fatti, l'analisi dei dati statistici evidenzia che la distribuzione dei carichi di lavoro presso le singoli corti di appello è estremamente eterogenea, sia per il settore civile che per il settore penale, con disequilibrata distribuzione degli affari tra gli uffici.
  Si è imposta, pertanto, l'esigenza di nuovi interventi in materia di geografia giudiziaria, con specifico riferimento all'assetto degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta Costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'interrogante – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   MOLTENI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   recentemente è entrata in vigore una legge che sottrae la competenza della «tutela dei beni librari» alle regioni. Infatti è stata modificata la precedente disciplina e con la legge 6 agosto 2015 (di conversione del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78) il Ministro ha avocato a sé detta competenza;
   per tutela si intende anche la procedura di rilascio degli attestati di libera circolazione e delle licenze di esportazione necessari, secondo l'ordinamento vigente, per tutti i libri a stampa con più di 50 anni;
   non si è però ancora a conoscenza di quale ufficio, con quale procedura e con che tempistica, dovrà occuparsi della materia e, allo stato attuale, chi deve esportare un libro non sa a chi rivolgersi e come operare;
   ciò sta determinando la drastica fuoriuscita dal mercato globale di tutto il commercio italiano del libro di antiquariato e di larga parte di quello dell'usato;
   a nulla sono valse le lettere alla direzione generale biblioteche, l'appello al Ministro, il coinvolgimento di alcuni influenti giornalisti della carta stampata;
   allo stato attuale non si vedono segnali che possano far presumere ad un rapido sblocco di questa situazione;
   la possibilità di commercio verso l'estero da parte delle librerie, oltre ad essere un diritto costituzionale, costituisce una parte decisiva del loro complessivo fatturato; se questo stato di cose perdurerà porterà, senza il minimo dubbio, alla chiusura delle librerie o alla loro sopravvivenza in uno stato di illegalità;
   se non interverrà presto una norma di attuazione, nessun libro di età superiore ai 50 anni potrà più varcare i confini nazionali, per nessun motivo, di natura privata o commerciale, sia esso un «Albo di Topolino» del 1964 o la prima edizione a stampa della Divina Commedia e per chi si rendesse responsabile di un simile reato, la pena prevista andrebbe da uno ai quattro anni di reclusione;
   il perdurare di una simile situazione di incertezza per gli operatori del settore e per il mercato del libro antico, non può essere configurata in altro modo, a giudizio dell'interrogante, che come, mancata prestazione di un servizio, con i funzionari che continuano a rispondere che risolveranno «a breve» la situazione, incuranti di cosa significhi per un'attività commerciale avere l'inibizione al commercio con l'estero per oltre due mesi e fino a data da destinarsi;
   tale attività ha bisogno di interagire con una struttura competente, responsabile, caratterizzata da tempi certi adatti all'economia del mercato globale in cui oggi si opera –:
   se in Ministro intenda, in tempi brevi, assumere iniziative normative per dare attuazione alla legge 6 agosto 2015, n. 125, o comunque indicazioni precise su come procedere per la libera circolazione e per le licenze di esportazione dei libri antichi, allo scopo di porre fine a questa situazione di incertezza nella quale versano i librai antiquari e tutti gli operatori del settore e qualsiasi privato cittadino che dovesse spedire o portare con sé, fuori dall'Italia, un libro datato. (4-10812)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame, l'interrogante, fatto riferimento alla novella della legge 6 agosto 2015, n. 125 (Conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 19 giugno 2015, n. 78, recante disposizioni urgenti in materia di enti territoriali) che ha restituito allo Stato competenze in materia di tutela dei beni librari e alle incertezze insorte, nell'ambito del commercio antiquario dei libri, circa le procedure di esportazione dei libri a stampa di età superiore ai cinquant'anni, chiede di conoscere se l'Amministrazione «intenda, in tempi brevi, assumere iniziative normative per dare attuazione alla legge 6 agosto 2015, n. 125, o comunque indicazioni precise su come procedere per le licenze di libera circolazione e per le licenze di esportazione dei libri antichi».
  La legge sopra citata ha soppresso il comma 2 dell'articolo 5 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, Codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137 (di seguito Codice), il quale disponeva che «Le funzioni di tutela previste dal presente codice che abbiano ad oggetto manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni, non appartenenti allo Stato, sono esercitate dalle regioni».
  Di conseguenza le funzioni sinora esercitate dalle soprintendenze bibliografiche regionali in materia di esportazione dei beni librari di proprietà non statale sono rientrate nella competenza di questa Amministrazione.
  Successivamente alla modifica normativa, direzione generale biblioteche e istituti culturali ha dovuto affrontare un grande impegno organizzativo conseguente al ricevimento di numerose richieste dell'utenza (biblioteche comunali, associazioni e istituzioni varie, privati cittadini, antiquari eccetera), provenienti dall'intero territorio nazionale e riguardanti tutte le funzioni sinora svolte dalle soprintendenze bibliografiche delle regioni, in materia di tutela di beni librari di proprietà non statale, alle quali ha dato puntuali risposte circa lo stato di attuazione della normativa.
  La novella, modificando anche il comma 3 dell'articolo 5 del codice, ha previsto che «Sulla base di specifici accordi od intese e previo parere della Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano..., le Regioni possono esercitare le funzioni di tutela su manoscritti, autografi, carteggi, incunaboli, raccolte librarie, nonché libri, stampe e incisioni, su certe geografiche, spartiti musicali, fotografie, pellicole o altro materiale audiovisivo, con relativi negativi e matrici non appartenenti allo Stato».
  La direzione generale biblioteche e istituti culturali, in attesa della definizione degli accordi regionali previsti dalla novella legislativa, in data 20 ottobre 2015, ha stipulato un accordo con la direzione generale belle arti e paesaggio (cui compete dare indirizzi agli uffici esportazione dipendenti da questa Amministrazione), per dare soluzione alle questioni sollevate nell'interrogazione circa le procedure per il rilascio dell'attestato di libera circolazione dei libri antichi e delle altre autorizzazioni, regolate dalle sezioni I e I-bis del capo V del Titolo I della parte seconda del codice.
  L'accordo ha previsto che la direzione generale biblioteche e istituti culturali, in via transitoria e temporanea e, in ogni caso, fino alla stipula degli accordi con le regioni, si avvalga degli uffici esportazione presenti sul territorio nazionale, secondo la competenza territoriale, con il supporto essenziale del personale in servizio, presso le biblioteche pubbliche statali ubicate nei medesimi territori, dotato delle specifiche competenze tecnico-scientifiche richieste, per lo svolgimento delle funzioni sinora svolte dalle Soprintendenze bibliografiche regionali in materia di tutela di beni bibliografici di proprietà non statale, connesse alla libera circolazione e all'esportazione dei beni bibliografici.
  Delle disposizioni riguardanti le procedure per il rilascio di autorizzazioni e attestati per l'esportazione temporanea e libera circolazione definitiva riguardanti i beni bibliografici non statali, la Direzione ha dato ampia pubblicità sul proprio sito web istituzionale (http://www.librari.beniculturali.it) in modo che gli operatori interessati ne siano informati.
  Le direzioni generali biblioteche e istituti culturali e belle arti e paesaggio hanno opportunamente monitorato l'attuazione delle nuove procedure, operando gli interventi correttivi necessari per l'implementazione delle stesse e impartendo le opportune istruzioni integrative agli uffici esportazione.
  L'azione dell'Amministrazione ha consentito di pervenire a un iter procedurale ormai consolidato, con riscontri positivi di un puntuale e progressivo miglioramento del servizio reso agli operatori del settore.
  Consapevoli delle difficoltà che sono derivate per il mercato antiquario dalle nuove normative e dalla conseguente fase transitoria, sono state messe in campo tutte le iniziative possibili per attutire l'impatto della norma ma si resta comunque pronti a recepire ogni segnalazione e a promuovere ogni ulteriore intervento che possa semplificare e facilitare l'attività degli operatori interessati dalla nuova normativa.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   MORASSUT. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile del 2004 il consorzio Casa Lazio in Roma registrava un fallimento dovuto ad una truffa perpetrata, dalla presidenza del Consorzio stesso ai danni degli associati a seguito del quale la Guardia di Finanza operava il sequestro dei beni e delle attività ivi comprese quelle della Cooperativa Capannelle 2000 facente parte del Consorzio;
   nel novembre 2005 la Coop Capannelle 2000 veniva posta in gestione commissariale e veniva eletto commissario governativo l'ingegner Raffaele Mazzei di Lamezia Terme il quale restava in carica fino al settembre del 2008 anche grazie alla proroga concessa dal Ministero nel gennaio 2008 – Gazzetta ufficiale n. 17 del 21 gennaio 2008;
   durante il suo commissariamento l'ingegnere Mazzei accertava che la cooperativa era in attivo di euro 2.800.000,00 (due milioni ottocento mila), cifra corrispondente alla somma consegnata al Ministero dello sviluppo economico dall'ex proprietario del terreno e potenziale realizzatore degli alloggi delle famiglie, ingegner Giannini, il quale al momento del crack ed essendo non coinvolto dallo stesso aveva inteso mettere al sicuro le somme che i soci gli avevano versato per l'acquisto del terreno in località Capannelle;
   dalla data di proroga dei mandato commissariale da parte del Ministero all'ingegner Mazzei la direzione enti Cooperativi del Ministero non ha adottato alcun provvedimento riguardante la situazione della Coop Capannelle 2000;
   nel giugno del 2008 l'assemblea dei soci convocata dal Mazzei per l'approvazione dei bilanci votava per la messa in liquidazione della Coop Capannelle 2000 e per il ristorno delle somme recuperate ai soci aventi diritto;
   il Ministero non provvedeva ad onorare le decisioni dell'assemblea soci e alla messa in liquidazione costringendo i soci stessi a sollecitare per iscritto la direzione Enti cooperativi senza mai ricevere risposta;
   nel marzo 2011, venuti a conoscenza che le somme suddette si erano assottigliate per continui prelievi da parte del Mazzei anche a causa dell'incuria del Ministero, i soci provvedevano, attraverso i loro legali, a presentare apposita diffida con messa in mora del Ministero ma anche in questo caso senza alcuna risposta;
   nel gennaio 2012 veniva presentata una interrogazione parlamentare a firma dell'interrogante;
   a seguito dell'interrogazione, nel marzo 2012, con decreto del Ministero del 20 marzo 2012 l'avvocato Giuseppe Leone veniva nominato commissario liquidatore e lo stesso comunicava ai soci della cooperativa la messa in liquidazione coatta amministrativa ex articolo 2545-terdecies del codice civile;
   l'ingegner Raffaele Mazzei ha avuto modo in altre situazioni di rivelarsi inaffidabile e non trasparente nella sua attività di commissario governativo per conto del Ministero per lo sviluppo economico, come risulta dalla vicenda della liquidazione del Consorzio agrario provinciale di Catanzaro dal quale è stato rimosso nel 2010 – dopo sette anni di attività – da commissario governativo con decreto apposito del Ministero;
   lo stesso ingegner Raffaele Mazzei risulterebbe – da fonti di stampa calabresi – al centro di una inchiesta giudiziaria della procura della Repubblica di Lamezia Terme proprio in relazione alla sua attività di Commissario della coop Capannelle 2000 –:
   se, sulla base degli atti depositati, risulti come si giunse nel lontano 2005 alla nomina dell'ingegner Raffaele Mazzei da parte del Ministero;
   se risulti per quali ragioni nel corso degli anni trascorsi, nonostante solleciti, diffide e interrogazioni e nonostante il contemporaneo disvelamento delle irregolarità perpetrate dal Mazzei in altri incarichi attribuiti dallo stesso Ministero, quest'ultimo non abbia mai provveduto a dare risposta ai soci della Coop Capannelle 2000 e alle loro proteste e preoccupazioni scritte e si sia dovuta attendere la sollecitazione di una specifica interrogazione parlamentare per incaricare un nuovo liquidatore;
   se risulti come siano state custodite dal Ministero le somme pari ad euro 2.800.000,00 (due milioni ottocento mila) ad esso affidate a garanzia dei soci dall'ingegner Giannini e già oggetto di truffa per il crack del consorzio Coop Casa Lazio del 2004;
   quali misure intenda assumere il Ministero affinché le famiglie, ormai stanche, sfiduciate e deluse dal comportamento delle istituzioni possano all'un tempo recuperare fiducia e le risorse loro spettanti per garantire la realizzazione di un programma urbanistico finalizzato al diritto alla loro casa. (4-03416)

  Risposta. — Nell'interrogazione in esame si fa riferimento alla società cooperativa Capannelle 2000.
  Al riguardo, si rappresenta quanto segue.
  La società cooperativa Capannelle 2000 ha fatto parte per molti anni del Consorzio di cooperative edilizie denominato «Consorzio Coop. Casa Lazio», posto in liquidazione coatta amministrativa con decreto del Ministro delle attività produttive del 6 agosto 2004.
  Il tribunale penale di Roma ha accertato in capo all'amministratore del consorzio sopra citato il reato di truffa aggravata non solo nei confronti dei soci di Capannelle 2000, ma anche di tutti gli altri soci delle circa cinquanta cooperative aderenti al «Consorzio Coop. Casa Lazio».
  A seguito della diffusione della notizia della truffa al «Consorzio Coop. Casa Lazio» con decreto dell'8 novembre 2005 l'allora Ministro delle attività produttive ha posto la cooperativa Capannelle 2000 in gestione commissariale, revocandone gli organi amministrativi ai sensi dell'articolo 2545 sexiesdecies del codice civile, ed ha provveduto alla contestuale nomina del dottor Raffaele Mazzei nella carica di commissario governativo.
  La proposta di nomina del dottor Mazzei è stata formulata dalla direzione generale ed è stata sottoscritta dal Sottosegretario di Stato pro tempore Giuseppe Galati.
  La gestione commissariale è stata prorogata con decreto ministeriale del 5 dicembre 2006 e con successivo decreto ministeriale del 14 dicembre 2007 con scadenza in data 8 luglio 2008.
  Per quanto attiene ai criteri di nomina si rappresenta che l'articolo 9, secondo comma, della legge 17 luglio 1975, n. 400, prevede che i professionisti cui conferire incarichi di commissario liquidatore di enti cooperativi, devono essere scelti tra gli iscritti agli albi professionali degli avvocati e procuratori legali, dei dottori commercialisti, dei ragionieri, dei consulenti in materia di lavoro, nonché tra esperti in materia di lavoro e cooperazione.
  L'ufficio competente del Ministero dello sviluppo economico provvede all'accertamento della sussistenza dei requisiti di legge e dell'assenza di cause impeditive (la revoca di un precedente incarico di commissario liquidatore; lo status di interdetto o di inabilitato; l'assoggettamento a procedura di fallimento; l'applicazione di misure interdittive, anche temporanee, disposte dall'ordine professionale di appartenenza; condanne penali o la pendenza di procedimenti penali, l'esistenza di un rapporto organico di servizio con una amministrazione pubblica).
  Si precisa che nel 2005, quando il dottor Mazzei è stato nominato commissario governativo della società cooperativa Capannelle 2000 non era ancora stata accertata alcuna delle irregolarità che, successivamente, hanno dato luogo alla sua revoca dall'incarico di Commissario liquidatore del consorzio agrario provinciale di Catanzaro con D.L. n. 40 del 2010 del 15 marzo 2010.
  Diversamente da quanto si sostiene nell'interrogazione in parola, il dottor Raffaele Mazzei, al momento della sua nomina, accertava che la cooperativa Capannelle 2000 era priva di attivo e che non era stato realizzato alcun programma edilizio.
  Solo successivamente, nel corso della gestione commissariale è stata recuperata, dal dottor Raffaele Mazzei, la somma di 2.800.000,00 euro dalla Ricte s.r.l, (proprietaria del terreno su cui sarebbero dovuti sorgere gli alloggi). Tale somma, entrata a far parte dell'attivo della cooperativa Capannelle 2000, veniva versata su diversi conti correnti intestati alla cooperativa e di tale attività venivano informati i soci nel corso delle assemblee.
  La somma recuperata, quindi, è stata versata nelle casse della cooperativa e mai consegnata al Ministero, come invece si sostiene nell'interrogazione parlamentare.
  Si vuole evidenziare, infatti, che, il Ministero non svolge mai, in nessun caso, la funzione di tesoriere di società cooperative in quanto non è titolare di alcuna competenza al riguardo.
  La gestione commissariale, disposta con decreto del Ministro delle attività produttive dell'8 novembre 2005, prorogata con decreto ministeriale del 5 dicembre 2006 e con successivo decreto ministeriale del 14 dicembre 2007 veniva, come già accennato, a cessare in data 8 luglio 2008.
  Nell'imminenza della scadenza del proprio mandato, il dottor Mazzei avrebbe dovuto convocare l'assemblea dei soci per la ricostituzione degli organi sociali della cooperativa – che in assenza di alcun ulteriore provvedimento del Ministero dello sviluppo economico in merito – era ritornata in bonis. Allo scadere della gestione commissariale, infatti, e in assenza di altri provvedimenti da parte dell'Amministrazione vigilante, la cooperativa torna in una situazione di regolarità amministrativa e deve essere gestita da amministratori nominati dall'assemblea.
  Correlativamente, scaduto il termine decorrente dalla nomina, il commissario governativo, in assenza di una proroga espressa, cessa ex lege dalle sue funzioni, fatte salve le previsioni dell'articolo 3 della legge n. 444 del 1994 in materia di prorogatio.
  Il dottor Mazzei non ha convocato l'assemblea, né i soci – riuniti in apposito comitato denominato «Comitato Roma Casa» –, hanno attivato il percorso previsto dall'articolo 2479 del codice civile che consente agli stessi di convocare la riunione dell'assemblea per la nomina del nuovo amministratore unico o consiglio di amministrazione.
  Questa situazione si è protratta per quattro anni fino alla data del 20 marzo 2012, giorno in cui la cooperativa è stata sottoposta alla procedura concorsuale di liquidazione coatta amministrativa con decreto del Ministro dello sviluppo economico n. 210 del 2012.
  Dalla relazione prodotta in data 30 luglio 2012 dal commissario liquidatore è emersa la circostanza che dopo la cessazione delle funzioni di commissario governativo, cessazione avvenuta alla scadenza fissata con atto dell'Amministrazione dell'8 luglio 2008, il dottor Mazzei avrebbe proseguito una sorta di «esercizio di fatto» di attività gestionali e commissariali della cooperativa e che tale esercizio di fatto si sia protratto fino al 2012, e ben oltre la scadenza della prorogatio stabilita dal legislatore (articolo 3 della legge 15 luglio 1994, n. 444.)
  Inoltre, il commissario liquidatore asseriva che, da una pur iniziale verifica della contabilità della cooperativa, risultava l'assenza di Titoli di Stato per circa 2.000.000,00 euro rappresentati nel Bilancio d'esercizio 2008.
  Il commissario liquidatore ha successivamente conferito incarico al dottor Tirdi, di effettuare una perizia sulla situazione contabile della cooperativa.
  Tale perizia contabile, giurata e asseverata il 5 dicembre 2012 dal citato revisore legale dei conti, ha accertato consistenti irregolari prelievi di cassa. In breve, nel corso dei quattro anni successivi alla scadenza del proprio incarico, il dottor Raffaele Mazzei avrebbe prelevato dalle casse sociali gran parte del patrimonio della cooperativa Capannelle 2000 senza alcuna giustificazione plausibile e senza averne titolo alcuno.
  Più precisamente, la gestione posta in essere dopo lo spirare del doppio termine della scadenza del mandato e della prorogatio riferita, sarebbe consistita unicamente nel «pagamento di parcelle professionali a favore di se stesso (comprensivi di rimborso delle spese)» per l'importo di ben 1.171.089,37 euro e nel pagamento di parcelle a favore di altri professionisti per il restante importo di 695.556,75 euro.
  Sulla base di queste risultanze il commissario liquidatore ha quindi immediatamente dato corso alle più opportune iniziative giudiziarie nei confronti del dottor Raffaele Mazzei, sia in sede civile che in sede penale. I relativi giudizi sono tutt'ora pendenti presso il tribunale di Lamezia Terme.
  Si precisa che, a seguito delle indagini svolte dal pubblico ministero del tribunale di Lamezia Terme su sollecitazione del Commissario liquidatore nominato dal Ministero convenuto, il dottor Raffaele Mazzei è stato sottoposto agli arresti domiciliari.
  Precedentemente all'8 luglio 2008, e quindi durante il regime di commissariamento governativo – periodo nel quale il Ministero dello sviluppo economico ha vigilato sull'operato del commissario governativo, nessuna irregolarità contabile si è verificata, anzi, durante il periodo della gestione commissariale, come sopra detto, la Capannelle 2000 aveva recuperato la cifra di 800.000 euro.
  I presunti ammanchi di cassa sarebbero stati provocati dal dottor Raffaele Mazzei successivamente alla scadenza della proroga e pertanto quando lo stesso non poteva più operare in qualità di commissario governativo.
  Tale circostanza pone in dubbio il presunto nesso causale tra la mancata immediata adozione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa (attivabile in presenza di insolvenza) ed il comportamento illecito (presunto, fino a conclusione dei giudizi) posto in essere dal dottor Mazzei successivamente alla scadenza del suo mandato. È altresì da far presente che non risultano, nel quadriennio considerato, iniziative dei soci, né per la convocazione dell'assemblea finalizzata alla costituzione degli organi sociali, né per l'approvazione dei bilanci degli esercizi 2009-2010-2011.
  Per quanto riguarda le iniziative giudiziali assunte dalla procedura di liquidazione coatta amministrativa, si rappresenta che a fianco dell'azione penale sopra richiamata, è stata proposta azione di responsabilità in sede civile sia nei confronti del dottor Mazzei che delle banche presso cui era depositato l'attivo della cooperativa.
  Tali azioni hanno la finalità di tentare di recuperare tutte o almeno parte delle somme che si presume siano state illegittimamente distratte dall'attivo della cooperativa. Entrambi i giudizi sono attualmente in corso. All'esito dell'eventuale buon fine delle suddette azioni, tali somme andranno poi distribuite in favore dei creditori della cooperativa secondo le modalità e graduatorie previste dalla legge.
  Per quanto riguarda la contestazione contenuta nell'interrogazione che il Ministero dello sviluppo economico avrebbe potuto evitare il verificarsi del comportamento illecito da parte del dottor Mazzei se avesse tempestivamente dichiarato la liquidazione coatta amministrativa della società cooperativa Capannelle 2000, si rappresenta che la questione è in questo momento rimessa al vaglio dell'autorità giudiziaria. Il signor Giuliano Fulvio, ex presidente della società cooperativa Capannelle 2000, unitamente agli altri soci della cooperativa rappresentati e difesi dall'avvocato Marco Pizzuttelli, ha, infatti, proposto atto di citazione davanti al tribunale civile di Roma, al fine di ottenere la condanna al risarcimento in loro favore dei danni cagionati, patrimoniali e non, da liquidarsi in proporzione al credito vantato da ciascuno dei ricorrenti nei confronti della società cooperativa Capannelle 2000, come accertato nella formazione dello stato passivo della procedura di l.c.a. ex articolo 209 L.F.
  Il Ministero dello sviluppo economico si è ritualmente costituito in giudizio per il tramite dell'Avvocatura dello Stato provvedendo ad una circostanziata ricostruzione della vicenda.
Il Sottosegretario di Stato per lo sviluppo economicoAntonio Gentile.


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il distretto giudiziario del Veneto è all'ultimo posto in Italia per quanto riguarda il rapporto magistrati-popolazione;
   nella regione Veneto che coincide con il distretto giudiziario, tale rapporto è di un magistrato di Corte d'appello ogni 99 mila abitanti e un magistrato di tribunale ogni 14 mila abitanti;
   questo rapporto è addirittura la metà di quello di altri distretti italiani, che dispongono del doppio di magistrati rispetto al Veneto, con una sproporzione evidente e immotivata;
   già in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, il Procuratore generale aveva rinnovato l'allarme, inviato al Ministero nel marzo 2014, facendo presente che l'organico dei magistrati conta 415 unità, ma gli effettivi sono 40 in meno, inoltre mancano 345 cancellieri su 1803 previsti dalla pianta organica;
   in particolare, a Padova il rapporto giudice-popolazione scende a un magistrato ogni 15 mila abitanti, mentre, per comprendere la sproporzione, in Molise è di un magistrato ogni 5 mila abitanti;
   il territorio della provincia di Padova conta 900 mila residenti, 68 mila attività economiche e, ciò che risulta più, grave, un numero crescente di reati legati al mondo delle imprese e della finanza (bancarotta, fallimenti, truffe, evasioni fiscali, false fatturazioni, riciclaggio);
   la scorsa settimana a Padova, nel corso dell'assemblea di Magistrati, avvocati e vertici delle forze dell'ordine in presenza del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, sono stati presentati i dati sul sistema giudiziario a Padova e in Veneto;
   in quell'occasione il Procuratore capo di Padova ha chiesto con forza l'adeguamento degli organici;
   dopo la revisione delle circoscrizioni giudiziarie del 2013, infatti, il tribunale di Padova conta su un organico composto da 41 magistrati, di cui, per la sola procura di Padova, 14 sostituti procuratori, il procuratore aggiunto e il procuratore capo;
   soltanto nel 2015, a Padova, sono stati aperti 15.000 procedimenti penali, circa 41 al giorno;
   la sopravvenienza annuale di un pubblico ministero è di oltre mille fascicoli all'anno, più che tripla se si considerano altre realtà giudiziarie del Paese;
   a fronte di questo contesto, le strutture giudiziarie appaiono inadeguate a rispondere alle esigenze dei cittadini per la preoccupante insufficienza del numero di magistrati e del personale amministrativo alla quale si sopperisce, il più delle volte, grazie alle forze dell'ordine, ai lavoratori socialmente utili e, infine, al senso di abnegazione degli stessi giudici che affrontano carichi di lavoro enormi;
   a ciò si aggiunge la costante mancanza di finanziamenti per gli straordinari, per gli spostamenti e per la strumentazione tecnica che potrebbe accelerare le procedure;
   nonostante la situazione drammatica, l'impegno e l'abnegazione dei magistrati ha consentito, di affrontare il lavoro che giornalmente nasce nel territorio e, contemporaneamente, di abbattere l'arretrato del 10 per cento;
   il Ministero della giustizia, anche in considerazione della revisione delle circoscrizioni giudiziarie, ha promosso provvedimenti per migliorare l'efficienza del sistema della giustizia che per troppi anni è stato colpito da tagli lineari;
   alla luce di questi dati, gli interroganti, condividendo le preoccupazioni espresse dai magistrati veneti, ritengono necessari ed urgenti interventi per potenziare gli organici dei tribunali del Veneto –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare per promuovere un potenziamento delle piante organiche dei magistrati dei tribunali del Veneto, al fine di riequilibrare e garantire l'organizzazione e l'amministrazione della giustizia nella nostra regione. (4-13665)

  Risposta. — Mediante l'atto di sindacato ispettivo in esame, gli interroganti chiedono di conoscere quali siano le iniziative intraprese dal Ministero della giustizia per assicurare adeguate dotazioni organiche del personale di magistratura agli uffici giudiziari del Veneto e, in particolare, al tribunale e alla procura della Repubblica di Padova, secondo indici rapportati al bacino di utenza ed ai flussi dei procedimenti, anche tenuto conio della effettiva scopertura.
  Dalle informazioni acquisite presso la competente articolazione ministeriale risulta che l'organico dei magistrati previsto per il distretto della Corte d'appello di Venezia si compone di 415 unità, alle quali vanno aggiunti due posti di magistrato, rispettivamente assegnati al tribunale di sorveglianza di Venezia ed all'ufficio di sorveglianza di Padova in virtù del decreto ministeriale 11 luglio 2016, che ha già incrementato di complessive 11 unità le piante organiche del personale della magistratura di sorveglianza.
  Il numero dei magistrati effettivamente in servizio nel distretto è, allo stato, pari a 376 unità, con un indice di scopertura pari al 9,83 per cento, inferiore alla media nazionale dell'11,69 per cento.
  In particolare, al tribunale di Padova ed alla procura della Repubblica presso il medesimo tribunale risultano rispettivamente assegnati, in pianta organica, 41 e 16 magistrati, di cui effettivamente in servizio 39 e 15 unità.
  Come noto, le procedure necessarie alla copertura dei posti vacanti rientrano nelle attribuzioni del Consiglio superiore della magistratura e situazioni di particolare criticità possono essere fronteggiate attraverso il ricorso agli istituti della applicazione, endodistrettuale o extradistrettuale, di magistrati.
  In proposito va sottolineato che le misure richiamate esulano dalle attribuzioni del Ministero della giustizia.
  Compete, difatti, al presidente della corte d'appello disporre, all'interno del distretto, l'assegnazione temporanea di magistrati ad altri uffici, mentre il Consiglio superiore della magistratura delibera, previo interpello, l'applicazione presso uffici giudiziari siti in distretti diversi da quello in cui il magistrato presta servizio.
  In particolare, in base alla vigente circolare del Consiglio superiore della magistratura n. 19197 del 27 luglio 2011, l'applicazione endodistrettuale compete – previo impulso del capo dell'ufficio che intenda avvalersi di risorse aggiuntive per fronteggiare situazioni di criticità – in via esclusiva al Presidente della Corte d'appello medesima.
  I citati provvedimenti postulano la valutazione comparativa delle esigenze dell'ufficio a quo e dell'ufficio richiedente, né possono essere assunti senza il consenso del magistrato.
  Tutto ciò premesso in ordine alla attuale previsione organica ed alle effettive scoperture del personale di magistratura nel distretto del Veneto, mi preme sottolineare come l'adozione di misure strutturali a sostegno degli uffici giudiziari attraverso politiche di valorizzazione e potenziamento del personale abbia rappresentato una delle priorità dell'azione del mio Dicastero.
  In questa prospettiva, l'assetto conseguente alla riforma della geografia giudiziaria è stato oggetto di continua osservazione, nel complesso degli interventi, non ancora esauriti, di tipo normativo ed organizzativo, necessari a costruire una struttura ordinamentale idonea a rispondere in modo soddisfacente alla domanda di giustizia ed alle esigenze del territorio.
  Il complesso percorso di revisione sta ora attraversando una ulteriore, importante fase.
  È stato recentemente elaborato lo schema di decreto ministeriale concernente la determinazione delle piante organiche degli uffici, giudicanti e requirenti, di primo grado, conseguente proprio alla revisione delle circoscrizioni giudiziarie, e che recepisce le esigenze degli uffici secondo la loro dislocazione territoriale.
  La determinazione delle unità aggiuntive è stata effettuata sulla base di specifici parametri statistici – popolazione, flussi, cluster dimensionali – integrati da indicatori qualificativi della domanda di giustizia, quali il numero di imprese presenti sul territorio e la loro concentrazione per circondario, l'incidenza della criminalità organizzata, l'accessibilità del servizio per i cittadini.
  Alla stregua dei predetti criteri, agli uffici giudicanti di primo grado del distretto della corte d'appello di Venezia sono stati complessivamente assegnati 29 ulteriori posti di giudice, 5 dei quali in incremento della dotazione prevista per il tribunale di Padova. Agli uffici requirenti del distretto sono state, invece, assegnate 9 unità aggiuntive, una delle quali in aumento delle dotazioni della procura della Repubblica di Padova.
  Lo schema di decreto è attualmente all'esame del Consiglio superiore della magistratura per il prescritto parere e, all'esito, il Ministero curerà con la necessaria tempestività gli ulteriori adempimenti.
  Analogo impegno è riservato ad assicurare il numero delle unità di magistrati in servizio, agevolando anche il processo di ricambio generazionale.
  Sono, difatti, attualmente in corso due procedure di selezione e reclutamento, rispettivamente, di 340 e 350 magistrati ordinari, che consentiranno, tra il gennaio 2017 e il gennaio 2018, l'entrata in servizio di 690 nuovi magistrati, anche grazie alla riduzione, operata con il decreto-legge n. 168 del 2016, del tirocinio formativo da diciotto a dodici mesi.
  Sarà, inoltre, prossimamente bandito un nuovo concorso per la copertura di ulteriori 350 posti e mi preme sottolineare che si procederà, con cadenza annuale, all'espletamento di procedure concorsuali per la selezione di 350 magistrati ordinari, come già avvenuto nell'ultimo triennio.
  Proprio al fine di stabilizzare la permanenza nelle sedi di assegnazione è stato, infine, previsto nel decreto-legge citato anche l'innalzamento da tre a quattro anni del termine di legittimazione perché i magistrati possano partecipare alle procedure di trasferimento, bandite dal Consiglio superiore della magistratura.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   NARDI, DI SALVO e LAVAGNO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il complesso immobiliare di Villa Massoni, detta «della Rocca», sito nel comune di Massa (MS), risalente al sec. XVII, già villa ducale sotto Carlo I e Carlo II Cybo Malaspina, di proprietà privata, ma risulta inserito, con decreto 27 settembre 1975, nell'elenco dei beni culturali della provincia di Massa Carrara, vincolati ai sensi del decreto legislativo del 22 gennaio 2004, n. 42, cosiddetto «Codice Urbani»;
   la tutela ricade su tutto il complesso della Villa e dell'annesso parco;
   ai sensi dell'articolo 18 del decreto legislativo di cui al primo capoverso, la vigilanza sui beni culturali spetta in via esclusiva al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; mentre l'ispezione su tali beni vincolati è affidata ai soprintendenti, i quali, ai sensi dell'articolo 19, possono in ogni tempo e con il preavviso di cinque giorni controllare lo stato di conservazione e di custodia dei beni culturali;
   all'articolo 28 e seguenti del decreto legislativo citato, sono espressamente previste a tutela dei beni culturali «misure cautelari e preventive», «obblighi conservativi» «interventi conservativi imposti», «procedura di esecuzione degli interventi conservativi imposti», «oneri per gli interventi conservativi imposti»;
   ai sensi dell'articolo 1 comma 5 del vigente «codice Urbani» «I privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale sono tenuti a garantirne la conservazione»;
   è nota, ormai da anni, la condizione di assoluto degrado in cui versa il bene culturale «Villa Massoni», detta «della Rocca»;
   il bene suddetto, dichiarato di interesse culturale fin dal citato decreto del 1975, nella sua unicità costituisce una insostituibile testimonianza storico-artistica valorizza il patrimonio culturale nazionale;
   il 21 giugno 2015 la procura della Repubblica presso il tribunale di Massa, nell'ambito del procedimento penale aperto per il reato di cui all'articolo 733 del codice penale a carico dei fratelli Casonato, proprietari dell'intero compendio immobiliare, ha proceduto ad un sequestro preventivo, ex articolo 321 del codice di procedura penale, di Villa Massoni e dell'annesso parco –:
   se il Ministro sia a conoscenza di quanto descritto in premessa e se intenda mettere a disposizione della competente soprintendenza i fondi necessari per poter esercitare le prerogative e adempiere gli obblighi di legge relativamente ai beni vincolati di Villa Massoni ed annesso parco, anche allo scopo di permettere l'esecuzione degli interventi più opportuni ed urgenti, nella attuale fase di vigenza della misura cautelare reale, così da rendere effettivo l'approccio sinergico tra Ministero e procura della Repubblica, anche nell'interesse della collettività, così come previsto dagli articoli 6, 38 e 43 del «codice Urbani». (4-09814)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo, in esame, con il quale l'interrogante, premesso che il complesso immobiliare di Villa Massoni, sito nel comune di Massa, risulta inserito nell'elenco dei beni vincolati ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004 (codice dei beni culturali e paesaggistici) e quindi dichiarato di interesse culturale e posto sotto la tutela del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, e che nel giugno del 2015 tale complesso è stato posto sotto sequestro preventivo dalla procura della Repubblica a seguito di provvedimenti penali a carico dei proprietari del compendio, chiede di sapere se il Ministero intenda effettuare gli interventi previsti dal codice relativamente ai beni vincolati di Villa Massoni e annesso parco, anche mettendo a disposizione i fondi necessari per l'esecuzione di interventi più opportuni alla salvaguardia del bene, visto lo stato di forte degrado in cui versa da anni.
  Al riguardo, si comunica quanto segue.
  La Villa, i suoi annessi ed il suo parco, vincolati per importante interesse storico artistico ai sensi del codice dei beni culturali e del paesaggio con decreto ministeriale del 27 settembre del 1975, costituiscono un complesso storico di elevato pregio storico-architettonico sia per la conformazione degli edifici, sia per il loro assetto nel territorio con posizione panoramica sulla città di Massa. La villa, come riporta la relazione storica allegata al decreto di vincolo, «si distingue nell'ambiente circostante per il suo inconfondibile aspetto scenografico conferitole, oltre che dalla posizione stessa, dall'ampio parco che la circonda, con vegetazione ricca di agrumi e di olivi e dal degradare delle pregevoli loggette della galleria esterna che unitamente al giardino costituiscono parte integrante della costruzione stessa». Proprio tale pregio e significatività hanno portato alla citata apposizione di vincolo.
  Un ulteriore vincolo è stato dichiarato dalla soprintendenza per i beni archeologici della Toscana nel 1978 all'importante reperto costituito dal sarcofago romano strigilato di marmo lunense, da far risalire al III secolo d. C., collocato in uno dei loggiati della Villa.
  Tale reperto archeologico (sarcofago in marmo, strigilato con Musa e Poeta, risalente ad epoca romana imperiale), è stato pubblicato nel 1978 (L. Faedo, Un sarcofago con poeta e musa, in «Prospettiva 12», 1978, pagine 43-46) e vincolato con decreto ministeriale 18 ottobre 1978.
  Come comunicato dalla soprintendenza paesaggistica competente per territorio, da un confronto effettuato sulle fotografie allegate al vincolo del 1975, le fotografie di un sopralluogo della soprintendenza competente avvenuto nel 2007, e quelle riferite alla situazione attuale, risulta che una condizione di degrado del complesso già esistesse al momento della dichiarazione del vincolo, tanto che la citata relazione riporta come «questo complesso di notevole importanza storico-artistica si presenta in stato di quasi totale abbandono e decadenza». Tuttavia, il degrado risulta sensibilmente progredito negli anni, sia per l'assenza, nell'arco dei quattro decenni trascorsi, di interventi rilevanti di manutenzione e di restauro, sia in conseguenza di azioni antropiche negative (vandalismo e probabili furti).
  Un esempio è dato dallo stato di tinteggiatura del loggiato centrale frontale dell'edificio principale, con le fasce decorative ciliare di contorno, ancora presente nel 1975 quasi integralmente al di sopra degli archi; nel 2007 tale apparato pittorico era completamente assente. Altro esempio è costituito dal confronto della situazione attuale e quella del 1975 del sarcofago romano. Mentre allo stato attuale questo risulta poggiato a terra, nell'anno della dichiarazione del vincolo era poggiato su una «vasca» marmorea, probabilmente in marmo di Carrara, attualmente non presente.
  Per questo motivo, con riferimento all'intero arco temporale indicato, si deve considerare carente l'adempimento degli obblighi conservativi posti in capo ai proprietari dall'articolo 30, comma 3, del codice.
  Tale carenza di cura e impegno manutentivo adeguati all'importanza e delicatezza del compendio, ha portato inevitabilmente ad una sempre maggiore irreversibilità del danno, con pregiudizio dell'integrità e del carattere autentico dell'architettura storica, e delle connesse opere di scultura e pittura presenti.
  La soprintendenza competente ha evidenziato come abbia più volte, nel corso degli anni, richiesto formalmente alla proprietà del complesso l'esecuzione delle misure e degli interventi conservativi più urgenti per evitare ulteriori danni al bene tutelato, con particolare riferimento alle coperture, alla vegetazione infestante da rimuovere ed al muro di cinta del complesso.
  In relazione ai lavori alle coperture riscontrati si fa presente che essi, pur carenti di formale autorizzazione, in quanto non richiesta nei modi previsti dall'articolo 21 del codice, erano stati richiesti dalla Soprintendenza competente al fine di arrestare con urgenza l'avanzamento del presumibile degrado all'interno degli immobili, e in quanto in assenza di adeguate misure sussisteva il rischio di danni sempre più irreversibili.
  Dal dicembre 2013 all'aprile 2015 sono state effettuate diverse ispezioni, sia da parte della soprintendenza paesaggistica competente che da parte del comando carabinieri tutela patrimonio culturale del nucleo di Firenze.
  Nel giugno 2014, durante un'ispezione congiunta con la proprietà, la visita si è dovuta limitare alla parte accessibile del parco in quanto la vegetazione non consentiva di accedere all'interno dell'edificio. Nel corso del sopralluogo è stato chiesto di avviare gli interventi necessari per accedere alla villa e poter valutare in modo più appropriato le priorità di intervento.
  A tali sollecitazioni, e dopo una lunga e non facile opera di sensibilizzazione e convincimento condotta dalla soprintendenza paesaggistica, la proprietà, mutando l'atteggiamento di inazione ed elusione del problema tenuto negli anni, ha finalmente dato qualche significativo riscontro, attuando alcune opere di conservazione, sia pure di carattere limitato e parziale.
  Infatti, a seguito di un ulteriore sopralluogo, avvenuto nel febbraio 2015, la pulizia dalla vegetazione dei loggiati risultava parzialmente eseguita in ottemperanza a quanto richiesto dalla Soprintendenza competente. Lo stesso poteva dirsi per il taglio degli alberi cresciuti in adiacenza del muro perimetrale esterno, i quali mettevano in pericolo la stabilità del muro stesso e che sono risultati rimossi, come concordato, durante il succitato sopralluogo.
  In occasione del sopralluogo era stata inoltre riscontrata la presenza del sarcofago (risultante in buono stato di conservazione), e ciò veniva comunicato alla soprintendenza archeologica competente per territorio. In riferimento al reperto ritrovato, la soprintendenza archeologica competente ha comunicato che l'oggetto non era stato riscontrato negli ultimi 40 anni in quanto collocato in un luogo di difficile accesso.
  A seguito di tale comunicazione l'ufficio tutela della soprintendenza archeologica, nello stesso mese di febbraio 2015, provvedeva a trasmettere una nota informativa ai proprietari del complesso, rammentando gli obblighi conseguenti al provvedimento di tutela, rimasta senza risposta.
  Nell'aprile 2015 è stata infine fatta un'ulteriore ispezione dai funzionari della Soprintendenza paesaggistica competente in collaborazione con il comando carabinieri tutela patrimonio culturale – nucleo di Firenze, durante la quale è stato possibile avvicinarsi alla villa ed entrare in alcuni ambienti, nonché accedere anche ai vari livelli della struttura a terrazzamenti.
  Durante quest'ultima ispezione è risultato che tutte le aree della villa e annessi erano in preda all'incuria ed in parte fatiscenti, anche se pulite dalla vegetazione di recente. Vigevano un totale e completo abbandono, degrado, gravi infiltrazioni di acqua, finestre ed infissi gravemente danneggiati, controsoffitti in canniccio decorati ceduti sia all'ingresso che all'ultimo piano. All'interno non erano presenti opere d'arte mobili, ma in un mobiletto d'angolo erano stati raccolti diversi frammenti marmorei. La villa risultava non abitata ma collegata alle utenze di energia elettrica, gas ed acqua.
  Nel successivo mese di giugno, l'immobile è stato infine posto sotto sequestro preventivo da parte dei carabinieri TPA di Firenze su disposizione del procuratore della Repubblica di Massa ed è stato aperto un fascicolo ai sensi dell'articolo 733 del codice penale a carico dei proprietari:
  A seguito della comunicazione di sequestro della Villa Massoni, pervenuta alla soprintendenza archeologica nel giugno 2015 tramite il comando carabinieri TPA – nucleo di Firenze, la soprintendenza archeologica ha richiesto l'autorizzazione ad effettuare un sopralluogo al fine di prendere diretta visione del sarcofago e riscontrare lo stato di conservazione nonché le condizioni di sicurezza.
  Il sopralluogo è stato autorizzato ed effettuato nel luglio 2015 da un restauratore del centro di restauro della soprintendenza, accompagnato dai carabinieri di Massa.
  Dalla relazione trasmessa dal funzionario si è ricavato il buono stato di conservazione del sarcofago, fortunatamente collocato in luogo riparato dall'azione diretta delle precipitazioni atmosferiche. Alcune lacune nel sarcofago osservate in sede di sopralluogo erano le stesse già presenti alla data del vincolo.
  Al contrario hanno suscitato preoccupazione lo stato di abbandono della villa nel suo insieme e le condizioni di altri arredi, decorazioni e rivestimenti del complesso, tali da richiedere un'attenta valutazione circa l'opportunità di adottare misure di sicurezza in loco o, eventualmente, mediante trasferimento temporaneo del sarcofago in luogo più protetto.
  La soprintendenza archeologica ha comunicato che, nell'ipotesi si rendesse necessario procedere con quest'ultima misura, il sindaco del comune di Massa è stato preventivamente sensibilizzato, al fine di sostenere l'onere dell'operazione di trasferimento e deposito in un luogo di proprietà del comune, tale da offrire garanzie di sicurezza e di pubblica fruibilità, limitatamente al tempo necessario al ripristino delle normali condizioni di sicurezza del complesso edilizio a cui il sarcofago appartiene.
  Infine, nel mese di agosto 2015, la soprintendenza paesaggistica competente ha ricevuto tre comunicazioni da parte di uno dei proprietari dell'immobile (non è chiaro se a titolo personale o dell'intera proprietà). Pur dimostrando un seppur tardivo interesse alla conservazione del complesso, tali documenti non hanno apportato alcun elemento significativo per il recupero del bene. In sostanza, i documenti inviati ribadiscono la presenza del degrado dell'immobile nel momento del passaggio ereditario (dovuto, ad avviso del proprietario, anche a scosse sismiche avvenute del 2013) e l'impossibilità economica dei proprietari di provvedere autonomamente al suo recupero.
  In una delle note, la proprietà lamenta un disinteresse da parte del comune su alcune proposte di valorizzazione del complesso avanzate in passato, riguardanti presunte creazioni di percorsi pubblici, di aree verdi e costruzione di parcheggi.
  Tali ipotesi non possono rilevarsi come pertinenti, almeno al momento, in quanto subordinate ad un arresto dell'attuale situazione di degrado dell'immobile ed al suo recupero.
  In ogni caso, considerata la dichiarata e d'altronde evidente incapacità finanziaria della proprietà a provvedere al risanamento dell'immobile, occorre prendere atto che i costi della sua messa in sicurezza, restauro e recupero di agibilità, secondo una stima desunta a seguito di vari preventivi presentati da tecnici qualificati, sarebbero complessivamente di circa 80 milioni di euro. Tali costi superano ogni presumibile capacità di intervento singolo, sia da parte delle pubbliche amministrazioni, sia statali che locali.
  In merito alle responsabilità del Ministero conseguenti al sequestro preventivo della villa, esercitato dal procuratore della Repubblica di Massa nel giugno 2016, esse potrebbero riguardare, almeno nell'immediato, minimi provvedimenti di messa in sicurezza dei beni culturali scultorei e decorativi interni ed esterni alla villa, tramite l'individuazione di spazi idonei per la conservazione delle opere, sia pure in situazione di emergenza. Per questo tipo di operazione si è stimato un costo approssimativo di 30.000 euro, per il quale si riterrebbe opportuno un intervento delle amministrazioni comunale e regionale.
  Da tutto quanto sopra relazionato, appare evidente che solo a partire dalla fine del 2013 le Soprintendenze competenti hanno potuto svolgere varie ispezioni al parco ed alla villa (spesso in cooperazione con i carabinieri del nucleo TPC e con i vigili del fuoco), dovendo affrontare manifeste difficoltà derivanti dalle condizioni dello stato dei luoghi e dall'atteggiamento ostativo da parte della proprietà.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   PALESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il distretto socio-sanitario di Gagliano del Capo è uno dei 10 distretti socio-sanitari della asl di Lecce e ricomprende 15 comuni per un totale di oltre 95mila abitanti;
   tutto il distretto dispone di un unico ecografo che, da gennaio 2016, è rotto e non viene riparato con inevitabili ripercussioni sui pazienti che non possono sottoporsi ad ecografie, sulle liste d'attesa che si allungano sempre più, sul personale addetto che resta inevitabilmente fermo e, di conseguenza, sul livello dei servizi sanitari forniti;
   considerato che appare inaccettabile che 15 comuni e 95mila persone siano da tre mesi senza un ecografo, se il Ministro non ritenga di dover avviare ogni iniziativa di competenza per verificare quanto denunciato in premessa e accertare quali siano le cause di tale situazione;
   se il Ministro non ritenga di dover promuovere ogni iniziativa di competenza per una verifica dei livelli essenziali di assistenza in Puglia e in particolare nella zona di Lecce. (4-12942)

  Risposta. — In merito a quanto indicato nell'interrogazione in esame riguardo al distretto socio-sanitario di Gagliano del Capo (Lecce), occorre segnalare che il Ministero della salute non dispone di dati puntuali relativi alle diverse e specifiche realtà territoriali riguardo alla gestione delle apparecchiature per indagini diagnostiche e alla loro calibrazione rispetto alla popolazione di un determinato territorio.
  Compete alle regioni, infatti, nell'ambito della programmazione sanitaria e in base alle risorse disponibili, la valutazione della necessità di dotarsi di tecnologie avanzate.
  Le regioni stabiliscono sia la definizione dei contratti di assistenza per la riparazione che gli acquisti di nuove apparecchiature, ritenute necessarie per soddisfare le esigenze di un dato bacino di utenza.
  Premesso ciò, si evidenzia che, con il recepimento del piano nazionale di governo delle liste di attesa (Pngla) e l'adozione di un piano regionale, le regioni si sono impegnate a garantire l'erogazione delle prestazioni assistenziali e a realizzare le indicazioni adottate a livello centrale, secondo le effettive esigenze della popolazione, affinché ogni cittadino usufruisca dei servizi sanitari in tempi congrui e appropriati al proprio stato di salute e in base alle classi di priorità definite.
  Nel Pngla è stato inoltre previsto che le regioni debbano adottare disposizioni per regolare i casi in cui la sospensione dell'erogazione delle prestazioni è legata a motivi tecnici e di tale monitoraggio delle sospensioni, debba essere dato conto semestralmente al Ministero della salute.
  La regione Puglia ha assicurato che, in base al piano operativo 2013-2015, sono effettuati i monitoraggi previsti dal Pngla e che, attraverso i piani attuativi aziendali, è garantito il rispetto dei tempi di attesa previsti.
  In merito ai fatti riferiti al distretto socio-sanitario di Gagliano del Capo (Lecce), la prefettura di Lecce ha segnalato quanto di seguito si riporta.
  Come comunicato dalla direzione generale della Asl di Lecce, di seguito all'avaria dell'ecografo in uso presso il distretto socio-sanitario di Gagliano del Capo (Lecce), si è provveduto all'acquisto diretto di una sonda da installare sull'ecografo portatile del consultorio familiare del distretto. Tale acquisto ha consentito di eseguire le prestazioni prenotate.
  La stessa direzione riferisce, inoltre, che è stato avviato l'iter procedurale per l'acquisto di un ecografo ad architettura completamente digitale, per esami in ambito multidisciplinare ad elevate prestazioni, dotato di tutti gli ausili di ultima generazione per l'ottimizzazione dell'immagine ed il miglioramento della funzionalità del sistema.
  Concluso l'iter regionale ricognitivo dei fabbisogni prioritari di intervento in materia di investimenti tecnologici e strutturali per i servizi sanitari (tra i quali l'ecografo citato), l'Asl di Lecce ha posto in essere gli adempimenti necessari a provvedere agli acquisti, giungendo all'adozione dell'atto deliberativo n. 464 del 9 giugno 2016. Il successivo 10 giugno, mediante l'adesione alla convenzione Consip, si è proceduto all'acquisto degli ecotomografi portatili di fascia alta, completamente accessoriati, dei quali uno destinato al distretto di Gagliano del Capo.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   PASTORELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni negli ambienti giudiziari lucani e sui quotidiani locali è tornata con insistenza la voce che il Governo starebbe maturando l'idea di un nuovo riordino degli uffici giudiziari che vedrebbe la scomparsa di alcuni distretti di corte d'appello: tra questi figurerebbe la soppressione del distretto di corte d'appello di Potenza;
   la chiusura della corte d'appello di Potenza comporterebbe per la Basilicata lo smembramento di altri uffici giudiziari come procura generale, tribunale di sorveglianza, tribunale e procura per i minorenni, procura distrettuale antimafia, tribunale del riesame. Tutto questo comporterebbe conseguenze disastrose per l'assenza di organi giudiziari nella regione Basilicata e conseguente dispendio economico per i cittadini lucani che saranno costretti ad affrontare trasferte per vedere tutelati i propri diritti;
   la riduzione dell'efficienza del sistema giudiziario nel distretto di Potenza implicherebbe anche la riduzione delle forze dell'ordine e una minore difesa del territorio e pericolose ingerenze della criminalità presente nei territori circostanti;
   si ricorda che la Basilicata per ragioni orografiche di distribuzione della popolazione sul territorio, di carenze infrastrutturali e precarietà delle medesime, non può permettersi di perdere un indispensabile presidio di legalità qual è quello della corte di appello;
   la presunta soppressione della corte di appello non comporterebbe alcun risparmio di spesa, atteso che il personale rimarrebbe in servizio presso la sede di futura destinazione e che non potrebbero comunque dismettersi i locali attualmente destinati a sede della corte, nell'ambito del palazzo di giustizia;
   un intervento sulla geografia giudiziaria di questa portata non può prescindere da un'attenta e ponderata valutazione di diversi indicatori, da effettuarsi con il coinvolgimento delle componenti professionali, istituzionali, politiche e sindacali del territorio interessato;
   sembrerebbe che il Governo sia intenzionato ad investire dell'incarico di vagliare l'opportunità di una rivisitazione della geografia giudiziaria la stessa Commissione che, ai sensi del decreto legislativo n. 155 del 7 settembre 2012, aveva ritenuto necessaria la soppressione, tra gli altri, del tribunale di Melfi e il suo conseguente accorpamento al tribunale di Potenza;
   entro il 31 dicembre la Commissione dovrà presentare uno «schema di progetto», con la nuova geografia di corti d'appello, tribunali e procure della Repubblica. Poi spetterà al Governo decidere il da farsi: se tradurre la riforma in un disegno di legge dell'Esecutivo, oppure assumer iniziative per una delega legislativa ad hoc. Ma, nel decreto istitutivo a firma del Ministro della giustizia non si fa riferimento ai criteri da adottare per riscrivere l'organizzazione dei 26 distretti giudiziari italiani, a parte la «promozione del valore della specializzazione nella ripartizione delle competenze». Non c’è nessun accenno a parametri demografici o carichi di lavoro, né a regioni, capoluoghi o vecchie province –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda porre in atto al riguardo, in considerazione di quanto sopra esposto e della necessità, a fronte di un'ipotesi di riduzione dei distretti di corte d'appello, di tener conto delle condizioni e delle esigenze di interi territori e popolazioni che, come nel caso della Basilicata, verrebbero fortemente penalizzati da una simile scelta. (4-10498)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante paventa – nel contesto di una più ampia ricostruzione degli esiti della revisione delle circoscrizioni giudiziarie – la soppressione della corte di appello del distretto della Basilicata, con sacrificio del principio di prossimità della giurisdizione, secondo le conclusioni rassegnate dalla commissione ministeriale per la riforma dell'ordinamento giudiziario.
  Chiede, pertanto, se ed in che termini il Ministro intenda attuare le linee riformatrici tracciate nella relazione conclusiva dei lavori.
  Come noto, il Ministero della giustizia ha ormai consolidato il processo di adeguamento della geografia giudiziaria conseguente al riordino complessivo degli uffici di primo grado, disposto con l'adozione dei decreti legislativi numeri 155 e 156 del 7 settembre 2012, e successive modificazioni.
  La revisione dei tribunali ordinari ha costituito una delle più rilevanti riforme strutturali degli ultimi anni, comportando un significativo incremento di efficienza del sistema giudiziario attraverso il recupero di economie di scala e, soprattutto, il miglioramento dei tempi e della qualità delle decisioni giudiziarie in virtù della promozione del principio di specializzazione.
  La riforma ha, certamente, avviato un significativo processo di risparmio di spesa, in corso di progressiva implementazione e verifica, così come sono oggetto di continuo monitoraggio gli effetti degli interventi attuati, anche al fine di individuare possibili rimedi correttivi alle criticità evidenziate nella fase attuativa.
  Il processo di revisione della geografia giudiziaria è, pertanto, sottoposto ad una verifica progressiva, ed è ulteriormente orientato alla ridefinizione degli uffici di secondo grado.
  Con riferimento agli uffici distrettuali, difatti, l'analisi dei dati statistici evidenzia che la distribuzione dei carichi di lavoro presso le singoli corti di appello è estremamente eterogenea, sia per il settore civile che per il settore penale, con disequilibrata distribuzione degli affari tra gli uffici.
  Si è imposta, pertanto, l'esigenza di nuovi interventi in materia di geografia giudiziaria, con specifico riferimento all'assetto degli uffici di secondo grado.
  A tal fine, ho istituito una specifica commissione di studio alla quale sono state demandate attività di analisi e di approfondimento finalizzate alla formulazione di proposte normative, nella generale prospettiva dell'aggiornamento e della razionalizzazione del sistema secondo i principi dettati dalla Carta Costituzionale e con l'obiettivo dell'efficienza nella resa di giustizia, anche con specifico riferimento allo sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria.
  In questa prospettiva, la commissione ha elaborato un intervento che si propone di portare a compimento il processo di razionalizzazione della distribuzione sul territorio degli uffici giudiziari, finalizzato ad incrementare anche l'efficienza degli uffici di secondo grado e a realizzare risparmi di spesa pubblica, attraverso la ridefinizione dell'assetto territoriale dei distretti delle corti di appello, anche mediante l'attribuzione di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, secondo i criteri oggettivi dell'estensione del territorio, del numero degli abitanti, dei carichi di lavoro e dell'indice delle sopravvenienze.
  Oltre che di tali criteri – e nella prospettiva indicata dall'interrogante – lo studio della commissione ha considerato la specificità territoriale del bacino di utenza, inclusa la peculiare situazione infrastrutturale, nonché la misura dell'impatto del riassetto degli uffici sulle esigenze di contrasto dei fenomeni criminali come connotati nei singoli territori di riferimento, nella ricerca di un bilanciamento tra i vari interessi coinvolti che consenta di individuare le soluzioni più adatte a migliorare l'efficienza della giustizia al servizio del cittadino.
  Nella prospettiva di assicurare il più ampio confronto istituzionale e di acquisire ulteriori elementi di riflessione, la commissione ha svolto anche opportune interlocuzioni con il Consiglio superiore della magistratura, il Consiglio nazionale forense, l'Associazione nazionale dei magistrati.
  All'esito dei lavori e tenuto conto del fatto che le proposte formulate si offrono al più ampio dibattito, politico ed istituzionale, ulteriori valutazioni potranno essere sottoposte all'esame del Governo per l'avvio del percorso parlamentare delle opportune iniziative normative.
  Il contenuto tecnico dei progetti normativi che prenderanno progressivamente forma dovrà, pertanto, essere ancora delineato e più ampiamente discusso, soprattutto in riferimento a specifiche realtà territoriali.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PLACIDO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nella provincia di Potenza, da diverso tempo, i sindacati della scuola (CGIL, CISL e UIL) sono costretti a prendere decise posizioni nei confronti di una dirigente scolastica, dottoressa Giovanna Sardone, per i numerosi – e a dir poco inopportuni – comportamenti da questa tenuti nei confronti del personale docente e non docente delle scuole che nel corso degli anni ha diretto. In particolare, la dottoressa Sardone ha frequentemente adottato provvedimenti disciplinari nei confronti di personale scolastico, puntualmente annullati dal tribunale di Potenza e di Melfi (sentenza 274 del 5 marzo 2013; sentenza 544 del 4 ottobre 2013; sentenza 590 del 18 ottobre 2013; sentenza 842 del 17 dicembre 2013; sentenza 203 del 19 dicembre 2013; sentenza 250 del 28 febbraio 2014; sentenza 261 del 4 marzo 2014);
   la dottoressa Giovanna Sardone, per quanto consta all'interrogante, sarebbe indagata dalla procura della Repubblica di Potenza in due procedimenti per gravissimi reati ed in particolare, per il primo procedimento, per i reati previsti dagli articoli 572 (maltrattamenti) e 582 (lesioni personali) del codice penale, per il secondo procedimento per i reati previsti dagli articoli 582 (lesioni personali), 323 (abuso d'ufficio) e 476 (falso ideologico) del codice penale;
   in tale contesto i rappresentanti sindacali provinciali della CGIL, CISL e UIL hanno più volte sensibilizzato l'opinione pubblica denunciando, mediante comunicati stampa, i comportamenti della Sardone. In uno dei comunicati stampa, datato 4 aprile 2013, le organizzazioni sindacali evidenziavano la singolare condotta della citata dirigente che, a seguito di decisioni assunte collegialmente dal consiglio di classe, dava impulso ad un procedimento disciplinare nei confronti di una delle docenti dissenzienti alle decisioni propugnate dalla stessa dirigente in seno al consiglio di classe, e nel contempo indirizzava una nota di biasimo ad altri 5 docenti che si erano resi responsabili di non avallare le citate decisioni propugnate dalla dirigente;
   detto comunicato stampa veniva trasmesso dalla dirigente Sardone alla procura della Repubblica presso il tribunale di Potenza sull'assunto che le organizzazioni sindacali, con il citato comunicato stampa, avessero rivelato segreti di ufficio tanto da ipotizzare la violazione dell'articolo 326 del codice penale;
   secondo quanto riferito da fonti sindacali il sostituto procuratore della Repubblica di Potenza, all'esito delle indagini preliminari, avrebbe chiesto l'archiviazione del procedimento evidenziando, tra l'altro, come lo scritto rientrasse nel legittimo esercizio dell'attività sindacale costituzionalmente garantito. Sennonché il GIP del tribunale di Potenza – dottor Amerigo Palma – avrebbe rigettato la richiesta di archiviazione ritenendo che dal comunicato stampa potesse emergere la violazione dell'articolo 342 del codice penale (oltraggio a corpo amministrativo dello Stato). All'udienza del 22 gennaio 2016, in camera di consiglio dinanzi al GIP, il pubblico ministero avrebbe chiesto l'archiviazione anche per questa seconda ipotesi di reato e il GIP avrebbe adottato provvedimento con il quale chiedeva al pubblico ministero di formulare l'imputazione coatta;
   la professoressa Calabrese, madre del GIP di Potenza dottor Amerigo Palma, ha rivestito il ruolo di dirigente scolastico nella provincia di Potenza sino all'anno scolastico 2014/15;
   ha altresì rivestito le funzioni di ispettrice per conto del Ministero dell'istruzione;
   in tale duplice veste è stata destinataria di forti prese di posizione da parte dei segretari provinciali delle organizzazioni sindacali di categoria (oggi tratti a giudizio a seguito di imputazione coatta da parte del GIP Palma);
   in un caso la professoressa Calabrese non si sarebbe sottratta dal polemizzare apertamente e in chiave personalistica con rappresentanti sindacali della provincia di Potenza di CGIL e CISL;
   in ragione di quanto precede il dottor Amerigo Palma, GIP presso il tribunale di Potenza, a giudizio dell'interrogante, avrebbe forse dovuto, a tutela dell'immagine della magistratura, astenersi dal trattare il procedimento in questione;
   pare, all'interrogante, emerga la palese violazione dei principi costituzionali e la eccessiva ed abnorme costrizione del legittimo e costituzionalmente garantito diritto di critica sindacale diritto a fronte di gravi comportamenti tenuti dal destinatario delle critiche sindacali;
   quanto descritto determina un allarme sociale per i limiti stringenti posti all'attività sindacale –:
   se il Ministro interrogato intenda valutare la sussistenza dei presupposti per assumere iniziative ispettive presso gli uffici giudiziari di Potenza ai fini dell'eventuale esercizio di tutti i poteri di propria competenza. (4-12843)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede notizie in ordine alla gestione di alcuni procedimenti penali aperti in relazione a condotte realizzate nel clima di accesa conflittualità venutosi a creare tra la professoressa Giovanna Sardone, dirigente scolastica in alcuni istituti di Potenza, ed i rappresentanti sindacali territoriali, per effetto di alcuni provvedimenti disciplinari adottati dalla stessa.
  In particolare, l'interrogante chiede che siano attivati i poteri ispettivi nei confronti del giudice delle indagini preliminari, dottor Amerigo Palma, per la decisione assunta di non accogliere la richiesta di archiviazione avanzata dal pubblico ministero in ordine al procedimento sorto a seguito della segnalazione, da parte della professoressa Sardone, del comunicato stampa emesso dalle rappresentanze sindacali, ritenuto dalla medesima lesivo del segreto istruttorio nei procedimenti pendenti nei suoi confronti.
  Evidenzia l'interrogante, infatti, che la circostanza che la madre del dottor Amerigo Palma fosse stata dirigente scolastica a Potenza e, successivamente, ispettrice presso il Ministero dell'istruzione, avrebbe dovuto indurlo ad astenersi nel procedimento penale.
  Sui fatti rassegnati nell'atto di sindacato ispettivo sono stati richiesti approfondimenti alla competente articolazione ministeriale, che ha sollecitato l'invio di elementi conoscitivi agli uffici giudiziari coinvolti.
  Il presidente vicario della corte d'appello di Potenza, aderendo alla richiesta, ha comunicato, innanzitutto, che, come affermato dall'interrogante, il tribunale ha disposto l'annullamento dei provvedimenti disciplinari adottati dalla professoressa Giovanna Sardone nei confronti di dipendenti scolastici.
  Inoltre, ha riferito che nei confronti della stessa sono state emesse due richieste di rinvio a giudizio, per i reati di cui agli articoli 572, 582, 323 e 476 del codice penale.
  Ha altresì confermato che Domenico Telesca, Margherita Capalbi e Vitina Galasso sono stati destinatari di decreto di citazione diretta a giudizio per il reato di cui all'articolo 342 del codice penale.
  Con riferimento alla mancata astensione del dottor Amerigo Palma, il medesimo Presidente Vicario della Corte d'appello di Potenza ha trasmesso una nota del coordinatore dell'ufficio G.I.P., da cui risulta la richiesta di astensione che il dott. Palma presentò al presidente del tribunale di Potenza ed il provvedimento di rigetto, emesso da quest'ultimo.
  Sulla scorta di tutti gli elementi acquisiti, la competente articolazione ministeriale ha concluso rilevando che le vicende segnalate nell'atto di sindacato ispettivo attengono essenzialmente alla professoressa Sardone, e non al dottor Palma o alla di lui madre, la professoressa Calabrese.
  Con riferimento al procedimento penale, nel quale si assume che il dottor Palma avrebbe dovuto astenersi, la competente articolazione ministeriale ha precisato che: non vi sono state istanze di nessuna parte, volte alla richiesta di astensione o alla ricusazione del magistrato; non vi è chiara indicazione né descrizione dei motivi, rimasti affatto generici, del contrasto tra la madre del magistrato ed i tre rappresentanti sindacali, poi divenuti imputati; eventuali momenti di dialettica lavorativa, anche aspra, tra un familiare del magistrato ed altri soggetti, per di più sconosciuti al magistrato in questione, non possono trasformarsi in validi motivi di ricusazione ed astensione; non sussistono elementi certi in ordine alla consapevolezza del dott. Palma circa i conflitti intercorsi tra la madre e gli indagati-imputati.
  Tali elementi devono essere letti unitamente alla circostanza, sopra riferita, relativa alla presentazione dell'istanza di astensione da parte del dottor Palma stesso, tuttavia respinta dal presidente del tribunale.
  Le esposte circostanze, secondo quanto concluso dalla competente articolazione ministeriale, conducono conclusivamente a ritenere l'insussistenza di una violazione dell'obbligo di astensione del dottor Amerigo Palma per la trattazione del procedimento penale n. 3565/2015 RG a carico dei sindacalisti Domenico Telesca, Margherita Capalbi e Vitina Galasso.
  Non avendo riscontrato nei fatti esposti altri profili di rilievo disciplinare meritevoli di approfondimento, non appaiono sussistere i presupposti per accertamenti ispettivi, risultando il sindacato nel merito delle decisioni giurisdizionali sottratto a valutazioni di tipo amministrativo.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   RAMPELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69, ha introdotto la possibilità per i giovani laureati in giurisprudenza di accedere ad un periodo di formazione teorico-pratica presso gli uffici giudiziari;
   tali tirocini hanno una durata di diciotto mesi e sostituiscono il primo anno di pratica per l'ammissione all'esame da avvocato o da notaio, nonché sostituiscono il primo anno di scuola di specializzazione, seppur il tirocinante sia comunque tenuto a sostenere le verifiche intermedie e finali (quindi deve essere iscritto alla scuola e pagare le relative tasse);
   l'esito positivo di questo tirocinio costituisce titolo di preferenza, a parità di merito, nei concorsi pubblici e nella nomina a giudice onorario;
   in sede di prima applicazione della norma non erano previste borse di studio per gli interessati, ma nella Gazzetta Ufficiale del 21 luglio 2015 è stato, invece, pubblicato un decreto interministeriale Giustizia-Economia del 10 luglio 2015, registrato dalla Corte dei conti il 17 luglio 2015, concernente l'attribuzione di borse di studio per tirocini formativi presso gli uffici giudiziari;
   con questo decreto il Ministro della giustizia ha istituito un fondo di otto milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo unico per la giustizia per l'erogazione di borse di studio del valore non inferiore a 350 euro e non superiore a 400 euro mensili;
   data l'esiguità delle risorse a disposizione, il decreto prevede altresì che l'erogazione dei contributi possa essere richiesta solo dai soggetti che hanno un indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), calcolato per le prestazioni erogate agli studenti nell'ambito del diritto allo studio universitario, pari od inferiore a 20.956,46 euro;
   appare evidente che tale scelta, seppur rispondente a requisiti di giustizia sociale che favoriscono le fasce meno agiate della popolazione, non tiene assolutamente conto del merito e determina l'impossibilità di ricevere un rimborso ad una larga fetta di popolazione studentesca;
   sarebbe, invece, più opportuno che il contributo fosse esteso a tutti i tirocinanti ammessi a sostenere il tirocinio, poiché il lavoro va retribuito e questi laureati entrano a pieno titolo nella pianta organica della sezione in cui prestano servizio;
   in tal senso il Ministero della giustizia, dopo aver stimato il fabbisogno delle sezioni territoriali disponibili ad ospitare i tirocinanti e dopo aver determinato il numero di posti messi a concorso, dovrebbe stilare una graduatoria nazionale che tenga in considerazione sia il merito, con il voto di laurea e con punteggi extra per la brevità degli studi, sia la giustizia sociale, attribuendo alle diverse fasce ISEE rimborsi differenziati –:
   se non ritenga di rivedere i criteri per l'accesso alle borse di studio nel senso di cui in premessa, o comunque secondo modalità che valorizzino il merito.
(4-10109)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante dato atto della disciplina introdotta dall'articolo 73 del decreto-legge 21 giugno 2013, n. 69 e richiamata la regolamentazione concernente i tirocini formativi ivi previsti, evidenzia come il Ministero della giustizia, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, con decreto pubblicato in Gazzetta ufficiale il 21 luglio 2015 abbia determinato annualmente l'ammontare delle risorse per l'erogazione di borse di studio per i tirocinanti.
  Sottolineando che le previsioni contenute nel citato decreto subordinano l'effettiva erogazione dei contributi alla ricorrenza di determinate condizioni reddituali, ne lamenta l'irragionevolezza rispetto a più adeguati indicatori di merito e chiede se il Ministro della giustizia non intenda rivedere i criteri per l'accesso alle borse di studio secondo le diverse modalità prospettate o, comunque, mediante adeguata valorizzazione del merito.
  Merita di essere evidenziato, a riguardo, che il decreto in argomento, unitamente alla relativa circolare esplicativa della Direzione generale dei magistrati del dipartimento per l'organizzazione giudiziaria, del personale e dei servizi, hanno dettagliatamente indicato sia le risorse disponibili per l'anno in corso, individuate nei limiti di euro 8.000.000,00, sia le modalità di presentazione delle domande ed i requisiti reddituali per potere beneficiare delle borse di studio, determinate congruamente in misura non inferiore ad euro 350,00 mensili.
  Il decreto è stato adottato in attuazione del disposto del comma 8-ter dell'articolo 73 del citato decreto-legge n. 69 del 2013, che prevede espressamente come l'individuazione dei requisiti per l'attribuzione delle borse di studio agli ammessi allo stage presso gli uffici giudiziari abbia luogo «sulla base dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE) calcolato per le prestazioni erogate agli studenti nell'ambito del diritto allo studio universitario», e, dunque, sulla base di un indicatore relativo alla situazione economica e patrimoniale dei potenziali beneficiari, rilevando i requisiti di merito esclusivamente ai fini dell'accesso allo stage a norma del comma 1 dello stesso articolo.
  Nella prospettiva di un più equo contemperamento dei criteri di erogazione delle borse di studio, con il decreto ministeriale del 15 ottobre 2015, adottato in parziale modifica ed integrazione del decreto 10 luglio 2015, sono stati previsti criteri correttivi, proprio nel senso prospettato dall'interrogante.
  Si è, difatti, previsto che l'attribuzione delle borse di studio per l'anno 2015 non avesse luogo esclusivamente in favore di coloro che disponessero di un indicatore della situazione economica equivalente, calcolato per le prestazioni erogate agli studenti nell'ambito del diritto allo studio universitario, pari od inferiore a euro 20.956,46, ma, piuttosto, che si procedesse all'erogazione fino ad esaurimento delle risorse disponibili, per ciascun semestre, secondo l'ordine di graduatoria formata in base al valore crescente dell'ISEE.
  In virtù della modifica dell'ottobre 2015, pertanto, la misura dell'indicatore ISEE rileva non più quale requisito assoluto di accesso al beneficio ma, invece, esclusivamente ai fini della collocazione nella graduatoria formata per l'esaurimento delle risorse destinate all'intervento.
  Il descritto intervento di modifica e il significativo ammontare delle risorse finalizzate all'intervento hanno reso possibile attribuire la borsa di studio in favore di tutti i tirocinanti richiedenti.
  Allo stato, è in corso di predisposizione analogo decreto interministeriale per la determinazione delle risorse e per la declinazione delle modalità di destinazione dei benefici in parola con riguardo alle attività di tirocinio svolte nel corso dell'anno 2016.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   SALTAMARTINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   per fronteggiare l'emergenza migratoria, una nuova tendopoli della Croce Rossa Italiana destinata all'accoglienza di migranti irregolari sembrerebbe in procinto di essere inaugurata in via Ramazzini a Roma;
   l'allarme è stato lanciato da alcuni residenti che, affacciandosi dai rispettivi balconi, hanno notato la presenza di tredici tende azzurre targate «ministero dell'interno» all'interno del perimetro gestito dalla Croce Rossa Italiana, fotografandole;
   informazioni confuse e caotiche rimbalzano tra i cittadini del quartiere: c’è chi parla di una tendopoli per l'accoglienza di centinaia di migranti, chi di una struttura voluta per ospitare gli ex occupanti dell'ospedale Forlanini, chi, infine, — forse più ingenuo — dei preparativi per una sorta di esercitazione;
   stando alle rassicurazioni fornite dalla Croce rossa a mezzo stampa, la tendopoli in allestimento sarebbe una soluzione temporanea, non destinata a trasformarsi in un centro permanente, ma solo a porsi come un hub di primissima accoglienza, non è chiaro tuttavia per quanto tempo;
   stando alle dichiarazione di Alessandra Filograno, addetta stampa del comitato Area metropolitana di Roma capitale, in effetti, «le persone saranno ricollocate altrove e non resteranno qui a lungo», precisando che si tratterebbe comunque di una situazione che la stessa Cri non gestisce, in attesa di istruzioni più dettagliate dalla prefettura di Roma;
   secondo alcuni politici locali, citati in un reportage dedicato al problema da un noto quotidiano nazionale, la struttura sarebbe destinata ad ospitare una parte dei 7.000 migranti irregolari sbarcati il 26 giugno 2016 a Brindisi, circostanza che non risulta al momento essere stata smentita da alcuna autorità competente;
   la sola certezza sembrerebbe dunque che il presidio umanitario è nato per volontà della Prefettura di Roma e si prepara ad accogliere un certo numero di rifugiati sbarcati nei giorni scorsi sulle coste pugliesi –:
   se trovino conferma le dichiarazioni della Croce Rossa Italiana in merito al costituendo centro di prima accoglienza in via Ramazzini a Roma e, in caso di risposta affermativa, quale termine ultimo si intenda porre alla temporaneità del centro, ovvero, in caso di risposta negativa, quale altra destinazione d'uso prevista per quell'area;
   se, trattandosi di centro di prima accoglienza della Croce Rossa Italiana, e dunque — si presume — con apposito presidio medico per lo screening d'ingresso e di primo soccorso sanitario, siano stati valutati i possibili rischi sanitari per la popolazione cittadina derivanti dall'individuazione di un'area in un quartiere così centrale della Capitale e densamente abitato stante l'indiscusso fatto che i migranti, per i territori da cui provengono e le condizioni in cui viaggiano per varcare confini del nostro Paese, risultano potenziali portatori di malattie contagiose.
(4-14305)

  Risposta. — Con la interrogazione in esame si chiedono notizie in merito all'apertura di una struttura destinata all'accoglienza dei migranti sita in via Ramazzini a Roma, richiamando l'attenzione, in particolare, sulla possibile esposizione della popolazione residente a rischi di natura sanitaria.
  Si informa, innanzitutto, che l'area destinata all'accoglienza dei migranti, situata nel compendio di via Ramazzini, si compone di due tendopoli allestite per dare ospitalità a 384 persone e di una struttura stabile con una capienza di 30 posti specificatamente riservati all'accoglienza di donne e nuclei familiari.
  Il centro, gestito dalla Croce rossa italiana sulla base di un'apposita convenzione, ha natura temporanea ed è stato adibito ad « hub» in ragione del considerevole numero di sbarchi avvenuti nel periodo estivo.
  Tale specifica destinazione implica che le persone accolte vi rimangano solo per il tempo necessario al loro inserimento nei cosiddetti centri di accoglienza straordinari. Peraltro, le persone ospitate non sono migranti irregolari ma richiedenti asilo, regolarmente fotosegnalati all'atto dello sbarco.
  Il loro numero è in continua evoluzione: a fine giugno gli ospiti erano 150 e a luglio erano diventati circa 350; nel mese di agosto le presenze sono salite ancora e attualmente sono pari a circa 400 unità.
  Per quanto riguarda il ventilato rischio sanitario per i cittadini residenti nelle zone limitrofe al centro, si assicura che il tema è stato oggetto di particolare attenzione da parte della prefettura di Roma.
  Nel corso di diversi incontri con il Presidente del Municipio e la Croce Rossa Italiana, quest'ultima è stata sensibilizzata a garantire il pieno rispetto del regolamento della struttura e l'effettiva fruizione dei servizi sanitari previsti dalla convenzione.
  In particolare, tra le prestazioni fornite dall'ente gestore in sinergia con i servizi pubblici, rientrano: lo screening sanitario accurato all'ingresso; un percorso di cura assistito per gli ospiti che ne abbiano necessità; lo screening per malattie infettive; la sorveglianza sindromica; l'orientamento, il supporto e l'accompagnamento per la fruizione dei servizi offerti dai presidi sanitari territoriali o medici di base, comprese le eventuali visite specialistiche; la presa in carico dei soggetti vulnerabili attraverso l'attivazione di servizi territoriali specifici e, infine, il supporto e l'accompagnamento per le vaccinazioni obbligatorie.
  Per assicurare l'osservanza di tale dispositivo sanitario, presso la struttura sono presenti 24 ore su 24, un medico ed un infermiere. Inoltre, lo staff sanitario del centro ha avviato un positivo rapporto di collaborazione con le strutture ospedaliere e l'Asl di competenza, basato anche su incontri bisettimanali di coordinamento.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SCOTTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Cesd s.r.l., anche nota come Cepu Education Group, è una società operante nel settore dell'istruzione e della formazione professionale attraverso l'organizzazione di corsi di recupero anni scolastici e la fornitura di sostegno didattico a studenti universitari in difficoltà;
   la Cesd s.r.l. controlla marchi importanti come «Cepu», «e-Campus», «Grandi Scuole» e «Scuola Radio Elettra»;
   la società in questione contava fino a pochi mesi fa circa 120 sedi dislocate in tutta Italia e si avvale di circa tremila docenti (o «tutor»), i quali hanno lavorato in questi anni con contratti di collaborazione atipici nonostante il prolungarsi del rapporto professionale anche per più di un decennio;
   nell'aprile del 2015 il gruppo Cesd ha chiesto al tribunale di Milano il concordato preventivo, poiché la società verserebbe da anni in una grave crisi finanziaria, aggravata anche da contenziosi aperti con Inps ed Inail;
   effetto di questa crisi sono state le svariate chiusure di sedi ed il licenziamento di numerosi dipendenti nel corso del 2015;
   l'istanza relativa al concordato preventivo è stata discussa il 30 settembre di quest'anno, ed è servita per la Cesd s.r.l. ad ottenere un allungamento dei termini per presentare la proposta di concordato definitivo;
   la cosa più grave, tuttavia, è un'altra: da quanto è emerso da fonti stampa sembrerebbe che i tutor con contratti di collaborazione possano vedersi impossibilitati ad accedere alle indennità di disoccupazione (in particolare la «DisColl»), perché negli anni l'azienda non avrebbe versato regolarmente i contributi previdenziali trattenuti al dipendente;
   nel frattempo, tuttavia, la società sta accettando nuove iscrizioni ed impiegando i tutor per nuovi lavori senza che essi abbiano certezze in merito alla retribuzione spettantegli per tali lavori;
   secondo la procura di Roma l'amministratore delegato della Cesd s.r.l. sarebbe responsabile di evasione fiscale per quasi tre milioni di euro di Iva non pagata, e la società avrebbe accumulato negli anni decine di migliaia di euro di debiti con l'erario, i fornitori e gli istituti di previdenza –:
   se risulti al Ministro l'effettivo mancato pagamento dei contributi previdenziali trattenuti ai collaboratori con contratti atipici da parte della Cesd s.r.l.;
   quali iniziative urgenti intenda mettere in campo, per quanto di competenza, al fine di garantire che il gruppo Cesd s.r.l. regolarizzi i contributi non versati per i propri dipendenti;
   se non ritenga di dover assumere iniziative per definire ulteriori norme di tutela per i lavoratori atipici, in particolare prevedendo che la «Dis-Coll» possa essere riconosciuta anche qualora sussistano delle irregolarità dei versamenti da parte dell'azienda, così da non penalizzare ulteriormente tale categoria di dipendenti. (4-10658)

  Risposta. — L'interrogazione parlamentare in esame concerne il mancato versamento, da parte del gruppo CESD srl, dei contributi previdenziali ai fini dell'erogazione dell'indennità di disoccupazione e di maternità nei confronti dei lavoratori con rapporto di collaborazione.
  Al riguardo, è opportuno precisare in via preliminare che, in attuazione della legge delega n. 183 del 2014 (cosiddetto Jobs Act), il decreto legislativo n. 22 del 2015 ha dettato nuove norme in materia di ammortizzatori sociali, in conformità all'articolo 38, 2o comma, della Costituzione che sancisce il diritto dei lavoratori a forme di tutela contro la disoccupazione. Il medesimo decreto ha, tra l'altro, introdotto nuove norme in materia di indennità di disoccupazione per i lavoratori con rapporto di collaborazione.
  In particolare, l'articolo 15 del predetto decreto ha istituito, in via sperimentale per l'anno 2015 – in relazione agli eventi di disoccupazione verificatisi a decorrere dal 1o gennaio 2015 e sino al 31 dicembre 2015 – una nuova indennità di disoccupazione mensile, (cosiddetta DIS-COLL) rivolta ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione.
  Possono beneficiare dell'indennità tutti i collaboratori iscritti in via esclusiva alla gestione separata dell'Inps, non pensionati e privi di partita IVA. Per beneficiare dell'indennità occorre, oltre lo stato di disoccupazione, che il soggetto interessato possa far valere tre mesi di contribuzione nel periodo intercorrente tra il 1o gennaio dell'anno precedente la cessazione del rapporto di lavoro e la data della cessazione stessa. Occorre, inoltre, che il soggetto interessato possa far valere nell'anno solare in cui si verifica la cessazione dal lavoro almeno un mese di contribuzione ovvero un rapporto di collaborazione di durata pari almeno ad un mese e che abbia dato luogo a un reddito almeno pari alla metà dell'importo che dà diritto all'accredito di un mese di retribuzione.
  Tanto premesso, con riferimento alla situazione debitoria del gruppo Cesd Srl nei confronti dell'Inps per l'omesso versamento dei contributi previdenziali per i propri collaboratori, l'istituto, a seguito di verifiche effettuate negli archivi della gestione separata, ha reso noto che, allo stato attuale:
   i crediti già transitati a Equitalia per la riscossione ammontano complessivamente a 27.2265.88,00 euro (di cui 23.532.431,00 euro per contributi e 3.697.156,47 euro per sanzioni);
   i crediti in fase di trasferimento a Equitalia, per l'anno 2015, ammontano a 2.080.727 euro (di cui 1.947.787,00 euro per contributi e 132.9400 euro per sanzioni);
   i crediti in fase di accertamento ammistrativo per l'anno 2016 ammontano a 389.124,00 euro.

  Pertanto, alla luce della situazione di irregolarità contributiva del gruppo, l'Inps non ha potuto procedere all'erogazione della DIS-COLL in favore dei propri tutors e collaboratori. Occorre peraltro considerare che a tali soggetti risulta inapplicabile, in quanto iscritti alla gestione separata, il principio di automaticità delle prestazioni di cui all'articolo 2116 del codice civile, come da ultimo precisato nella circolare Inps n. 83 del 27 aprile 2015.
  Per quanto concerne la possibilità che la DIS-COLL possa essere riconosciuta anche qualora sussistano irregolarità contributive da parte dell'impresa, occorre precisare che ogni iniziativa in tal senso non può prescindere da uno specifico intervento normativo per il quale è necessario reperire la relativa copertura finanziaria.
  Da ultimo, si rappresenta che, dalle verifiche ispettive sinora svolte nei confronti del gruppo CESD srl, sono emerse potenziali anomalie nella gestione dei rapporti di lavoro e nelle tipologie contrattuali utilizzate. Occorre tuttavia precisare che, nel corso dell'accertamento, il gruppo ha mostrato un atteggiamento collaborativo chiedendo, in diverse occasioni, l'apertura di una procedura di conciliazione monocratica, ai sensi dell'articolo 11 del decreto legislativo n. 124 del 2004, al fine di rendere più celere il soddisfacimento dei crediti dei lavoratori e il conseguente recupero contributivo.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiLuigi Bobba.


   SEGONI, BALDASSARRE, ARTINI, TURCO, BECHIS, CIVATI, ANDREA MAESTRI, BRIGNONE e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016, legge 28 dicembre 2015, n. 208, ai commi che vanno dal 974 al 977 stanzia per l'anno 2016 la somma di 500 milioni di euro per l'istituzione e l'attuazione del «Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia, finalizzato alla realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate attraverso la promozione di progetti di miglioramento della qualità del decoro urbano, di manutenzione, riuso e rifunzionalizzazione delle aree pubbliche e delle strutture edilizie esistenti, rivolti all'accrescimento della sicurezza territoriale e della capacità di resilienza urbana, al potenziamento delle prestazioni urbane anche con riferimento alla mobilità sostenibile, allo sviluppo di pratiche, come quelle del terzo settore e del servizio civile, per l'inclusione sociale e per la realizzazione di nuovi modelli di welfare metropolitano, anche con riferimento all'adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali ed educative promosse da soggetti pubblici e privati»;
   i commi specificano, inoltre, che ai «fini della predisposizione del Programma, entro il 10 marzo 2016 gli enti interessati trasmettono i progetti di cui al comma 974 alla Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo le modalità e la procedura stabilite con apposito bando, approvato, entro il 31 gennaio 2016, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281»;
   a differenza delle precedente edizione (attuata con decreto del Presidente del Consiglio il 15 ottobre 2015, dando seguito all'articolo 1 commi 431, 432, 433 e 434 della legge di stabilità 2015, 23 dicembre 2014, n. 190, che istituiva un «Piano nazionale per la riqualificazione sociale e culturale delle aree urbane degradate», stabilendo la somma complessiva per la dotazione al fondo per l'attuazione del Piano Nazionale in 194.138.500,00, ripartiti in modo diverso per gli anni 2015, 2016 e 2017 e da destinarsi a tutti i comuni) il nuovo programma straordinario di intervento per la riqualificazione delle periferie sarà rivolto alle sole città metropolitane e comuni capoluogo di provincia;
   il Governo ha deciso di destinare la somma sopradetta di 500 milioni di euro per la riqualificazione speciale, a fine novembre 2015, all'indomani degli attacchi terroristici di Parigi;
   alla data del 10 febbraio 2016, nessun bando con decreto della Presidenza del Consiglio è stato ancora pubblicato e tutti i comuni sono in attesa di sapere i criteri vincolanti per la presentazione dei progetti e per la successiva proclamazione dei vincitori da parte del «nucleo di valutazione»;
   in data 9 febbraio 2016 l'assessore all'urbanistica del comune di Torino, sul sito dell'ANCI (Associazione nazionale camuffi italiani), segnalato dalla stessa Gazzetta Ufficiale come sito di riferimento, denuncia come già a fine dicembre fosse stato chiesto un incontro con la Presidenza del Consiglio per conoscere i contorni della proposta;
   non avendo ricevuto alcuna risposta l'ANCI ha ribadito la propria disponibilità ad istituire il tavolo tecnico necessario all'emanazione del bando, ma di nuovo, è ancora in attesa di un riscontro e si augura che sia, a questo punto, garantito un tempo congruo per la presentazione dei progetti –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti in premessa;
   se intendano chiarire i motivi del ritardo della pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio riguardante la riqualificazione delle periferie metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia;
   se il Governo non reputi necessario e urgente fissare e rendere pubblica la nuova data di divulgazione del bando. (4-12048)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame vengono chiesti chiarimenti in merito alla pubblicazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo ai bandi per i progetti di riqualificazione urbana, ai sensi dell'articolo 1, comma 974, della legge 28 dicembre 2015, n. 208.
  Al riguardo, si rappresenta che si è svolta la necessaria istruttoria presso la Conferenza unificata, la quale si è espressa con parere favorevole in data 14 aprile 2016 sullo schema del provvedimento recante l'approvazione del bando che definisce le modalità e le procedure di presentazione dei progetti per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città.
  Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di approvazione del predetto bando è stato emanato in data 25 maggio 2016 e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 127 del 1o giugno 2016.
Il Ministro per gli affari regionali e le autonomieEnrico Costa.


   SGAMBATO, TINO IANNUZZI, CARRESCIA, MELILLI, TERROSI, BOCCUZZI, MANFREDI, ARLOTTI, DE MENECH, CARLONI, RUBINATO, LODOLINI e MANZI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge legge 30 giugno 2016, n. 117, recante proroga di termini previsti da disposizioni legislative in materia di processo amministrativo telematico, nel passaggio alla Camera si è arricchito, per mezzo dell'approvazione di un emendamento, di disposizioni relative alle assunzioni di personale amministrativo da parte del Ministero della giustizia;
   si tratta di una misura che avrà certamente effetti positivi sia sul processo di digitalizzazione della giustizia, che sull'intero comparto giustizia, poiché siamo di fronte al primo concorso pubblico per il personale della giustizia dopo circa 20 anni di blocco di assunzioni;
   l'inserimento del provvedimento in forma di emendamento di un decreto-legge già in discussione ha dimostrato la volontà di voler arrivare nel più breve tempo possibile alla pubblicazione dei bandi di concorso per l'assunzione di 1.000 nuove figure che dovranno contribuire a risolvere il problema della carenza di personale organizzativo degli uffici giudiziari, carenza evidenziata dal Consiglio superiore della magistratura, e che è comune praticamente a tutti gli uffici giudiziari italiani, provocando spesso riduzioni di orari di apertura delle cancellerie e perfino la sospensione delle udienze penali;
   il Ministero viene quindi autorizzato, per il triennio 2016-2018, ad assumere a tempo indeterminato fino a 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale; il personale sarà inquadrato nei ruoli dell'amministrazione giudiziaria e potrà essere selezionato, sia bandendo nuovi concorsi, che attingendo a graduatorie ancora valide. L'aumento del personale è destinato a supportare i processi di digitalizzazione degli uffici e a completare il processo di trasferimento allo Stato – avviato il 1° settembre 2015 – dell'obbligo di corrispondere le spese per gli uffici giudiziari precedentemente a carico dei comuni;
   nell'accogliere con molta soddisfazione tale misura, non si può, però non considerare ancora una volta la situazione che riguarda i precari della giustizia;
   si parla di tirocinanti che da ben 6 anni prestano in maniera continuativa il proprio lavoro nelle cancellerie alle dipendenze del Ministero della giustizia (attraverso il ricorso a contratti di tirocinio formativo reiterati di anno in anno), apportando un contributo notevole, sopperendo alla carenza di organico che da anni investe il settore giustizia;
   la funzione fondamentale svolta dai precari della giustizia è tanto più avvertita laddove si consideri le molteplici missive promananti dai presidenti delle Corti di appello, tribunali, nonché dal presidente della Suprema Corte di Cassazione, che incoraggiano il Ministro della giustizia a valorizzare in maniera fattiva e concreta il percorso svolto;
   trattasi, infatti, di soggetti più volte selezionati dallo stesso Ministero della giustizia (lavoratori in mobilità, cassintegrati, disoccupati/inoccupati e giovani laureati disoccupati/inoccupati) e da ultimo individuati attraverso la procedura concorsuale indetta con decreto interministeriale del 20 ottobre del 2015, emanato in attuazione dell'articolo 21-ter del decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 257 del 4 novembre 2015, che prevede l'istituzione del cosiddetto ufficio del processo;
   la procedura permetteva di individuare 1502 tirocinanti da selezionare tra i coloro i quali avevano già svolto il tirocinio di perfezionamento ex articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito, con modificazioni, dalla legge 15 luglio 2011, n. 111;
   ad oggi, dunque, sono circa 1200 i precari della giustizia che, dopo aver superato la selezione pubblica di cui in parola, sono impegnati nelle cancellerie degli uffici giudiziari italiani per garantire il corretto funzionamento dell'istituito Ufficio del Processo e la cui attività lavorativa cesserà in data 30 novembre 2016;
   come specificato dall'emendamento approvato il 12 luglio 2016, se alla base della scelta di operare uno scorrimento della graduatorie si pone la necessità di tener conto delle particolari esigenze connesse ai processi di razionalizzazione organizzativa e ai conseguenti fabbisogni di professionalità, non si comprende la pretermissione dalla procedura in oggetto della platea dei precari della giustizia che negli anni hanno arricchito il proprio bagaglio di competenze tecnico-professionali proprio nel settore giustizia, così diventando oltremodo idonei allo svolgimento delle mansioni di cui oggi si discute la razionalizzazione organizzativa;
   inoltre, se il ricorso a tecniche di mobilità e scorrimento delle graduatorie di concorsi indetti da altre pubbliche amministrazioni muove dal condivisibile intento di evitare un aggravio per la spesa pubblica dello Stato, così soddisfacendo i principi di economicità ed efficienza dell'azione della pubblica amministrazione, tale principio potrebbe trovare doppiamente attuazione attingendo la forza lavoro proprio nella platea dei precari della giustizia dal momento che, giova ribadirlo, trattasi di personale altamente qualificato che vanta anni di esperienza professionale maturata proprio nel settore dell'amministrazione giudiziaria, in quanto tali figure nascono con il precipuo intento di supportare il lavoro delle cancellerie in affanno;
   in sede di conversione del suddetto decreto-legge è stato accolto come raccomandazione un ordine del giorno n. 3954/A-1 proprio al fine di impegnare il Governo a valutare la possibilità di riconoscere in modo significativo, nelle procedure concorsuali pubbliche disciplinate con decreto del Ministro della giustizia per l'assunzione di personale finalizzata a rendere più efficienti i servizi anche mediante il processo telematico, il percorso formativo dei circa 1.100 tirocinanti di giustizia oggi a supporto agli uffici e, nelle more, al rinnovo del loro percorso formativo prevedendo una borsa lavoro più adeguata e confacente al contributo che essi stanno dando al sistema giudiziario –:
   se e con quali iniziative i Ministri interrogati intendano intervenire al fine di valorizzare e di tener in debito conto i precari della giustizia, soggetti su cui, da un lato, lo Stato ha per anni investito le proprie risorse e, dall'altro, ne ha ricavato un apporto fattivo e concreto per ridurre le disfunzioni della macchina giudiziaria. (4-14033)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, gli interroganti chiedono quali iniziative il Ministro della giustizia intenda assumere in riferimento alla situazione di coloro che hanno preso parte agli stages formativi presso le cancellerie degli uffici giudiziari, nell'ambito delle politiche sul personale amministrativo avviate, che consentiranno un nuovo piano di assunzioni per 1.000 unità.
  Come noto, l'articolo 37, comma 11, del decreto-legge 6 luglio 2011, n. 98, convertito con legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 nell'ambito delle misure previste per assicurare l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie, ha disposto uno stanziamento di risorse «per consentire ai lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e ai disoccupati e agli inoccupati, che a partire dall'anno 2010 hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, il completamento del percorso formativo entro il 31 dicembre 2013, nel limite di spesa di 7,5 milioni di euro».
  L'articolo 1, comma 344, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 ha destinato ulteriori risorse finanziarie affinché i soggetti che avevano completato il tirocinio presso gli uffici giudiziari, a norma dell'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, svolgessero un ulteriore periodo di perfezionamento, da concludere entro il 31 dicembre 2014.
  A seguito dell'integrazione degli stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio, presso tutti gli uffici interessati è stata avviata, a partire dal 1o dicembre 2014, la seconda fase del percorso formativo di perfezionamento, destinata esclusivamente ai tirocinanti che avevano partecipato al primo intervento formativo.
  Tale sessione formativa si sarebbe dovuta concludere il 30 aprile 2015, per effetto di quanto previsto dall'articolo 1, comma 12, del decreto-legge 31 dicembre 2014, n. 192 – cosiddetto « decreto milleproroghe» – convertito con legge 27 febbraio 2015, n. 11.
  Al fine di agevolare il completamento della formazione, la competente articolazione ministeriale ha diramato, con nota in data 31 marzo 2014, a tutti gli uffici giudiziari le linee guida per la predisposizione dei progetti formativi di perfezionamento e, a seguito dell'attivazione in favore dei tirocinanti della copertura assicurativa antinfortunistica, nonché di quella derivante dalla responsabilità civile verso i terzi, i progetti di formazione sono stati avviati.
  La durata del percorso formativo di perfezionamento era stata determinata in 230 ore individuali per le 2.924 unità interessate, con la corresponsione di un'indennità forfettaria oraria pari a 10,00 euro, tenuto conto delle risorse finanziarie, all'epoca disponibili, ammontanti ad euro 7.500.000,00.
  Nella prospettiva di valorizzare il percorso professionalizzante anche di quanti fossero già impegnati in stage presso gli uffici giudiziari in virtù delle proroghe normative citate, con il decreto-legge 27 giugno 2015, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, è stata, invece, introdotta la possibilità di partecipazione dei tirocinanti all'ufficio del processo, per un periodo di dodici mesi, a seguito di una adeguata selezione e attribuendo, altresì, una borsa di studio mensile.
  In particolare, l'articolo 21-ter del decreto-legge appena citato ha previsto che il completamento del periodo di perfezionamento costituisca titolo di preferenza, a parità di merito, ai sensi dell'articolo 5 del regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994, n. 487, nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione; inoltre lo stesso articolo prevede che nelle procedure concorsuali indette dall'amministrazione della giustizia siano introdotti meccanismi finalizzati a valorizzare l'esperienza formativa acquisita.
  In data 20 ottobre 2015 è stato emanato, pertanto, in attuazione dell'articolo 21-ter menzionato, il decreto interministeriale che ha indetto la procedura di selezione di 1.502 tirocinanti, da destinare all'ufficio per il processo.
  Secondo quanto riferito dalla competente articolazione, i tirocinanti che, al 30 aprile 2015, risultavano in possesso dei requisiti richiesti dalla citata disposizione normativa erano 2.529.
  Il numero dei posti da coprire a seguito della selezione presso i tribunali e le corti d'appello, per un totale di 1.502 a livello nazionale, è stato definito con il citato decreto interministeriale, tenuto conto delle risorse disponibili e valutate le scoperture di organico del personale amministrativo.
  All'esito della selezione, conclusasi il 9 dicembre 2015, non sono stati assegnati 270 posti, mentre il monitoraggio svolto presso gli uffici ha evidenziato che 123 tirocinanti non hanno sottoscritto il progetto formativo, rinunciando all'assegnazione.
  L'attenzione ai tirocinanti è stata, dunque, sempre massima da parte del Ministero della giustizia, che non ha ricercato soluzioni transitorie, ma ha voluto costruire un vero e proprio percorso professionalizzante.
  Con la prospettiva introdotta dal recente decreto-legge 30 giugno 2016 n. 117, che ha autorizzato il ministero al reclutamento di personale amministrativo per 1.000 nuove assunzioni, anche con bando di concorso, saranno certamente valorizzati e riconosciuti i percorsi professionali di coloro che hanno svolto tirocini e stage presso gli uffici giudiziari, così da offrire una reale possibilità di impiego a persone che hanno maturato competenze significative nei servizi di cancelleria.
  In tale prospettiva, è già alla firma il decreto interministeriale con il quale si dà avvio all'assunzione, a tempo indeterminato, di 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale, in attuazione del decreto-legge n. 117 del 2016.
  Il bando per il concorso sarà pubblicato entro il prossimo 21 novembre 2016.
  Sono certo che, anche nei concorsi che si apriranno presso altre amministrazioni, centrali e periferiche, il titolo preferenziale che abbiamo voluto riconoscere ai tirocinanti – con la previsione dell'articolo 21-ter del decreto-legge citato – sarà davvero assicurato.
  Evidenzio, inoltre, che, nelle more della definizione delle procedure concorsuali previste dal citato decreto-legge n. 117, per coloro che hanno partecipato al tirocinio di perfezionamento presso l'ufficio del processo (1.115 unità) che si concluderà entro la fine del corrente anno, è stata proposta dal mio Dicastero, nell'ambito della legge di bilancio per l'anno 2017, la proroga del periodo di tirocinio, della durata non superiore a 12 mesi, ove espressamente richiesto dagli interessati, mantenendo il diritto alla borsa di studio.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   TANCREDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come è noto il Comitato interministeriale per la programmazione economica ha approvato il piano cultura e turismo proposto dal Ministro interrogato, stanziando un miliardo di euro del fondo sviluppo e coesione 2014-2020 per realizzare 33 interventi di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale e di potenziamento del turismo culturale, di cui 170 milioni per il completamento di rilevanti interventi di interesse nazionale del patrimonio culturale;
   già dal 2009 – con atto del 22 dicembre – si formalizzavano intese tra la regione Abruzzo, la provincia di Teramo, il comune di Teramo, la direzione regionale del Ministero dei beni e delle attività culturali, la Soprintendenza per i beni archeologici dell'Abruzzo e la Fondazione Tercas per la definizione di un procedimento concordato per assicurare una tempistica certa e la ricerca di idonee risorse per la realizzazione di un progetto di recupero funzionale dell'area del teatro romano sita nel comune di Teramo;
   successivamente, in data 24 novembre 2010 veniva sottoscritto un protocollo di intesa tra i medesimi soggetti per il recupero del citato teatro romano e, parallelamente, si avviava in consiglio e in giunta del comune di Teramo l’iter finalizzato all'approvazione dello studio di fattibilità per realizzare tale valorizzazione;
   le intese proseguivano in prospettiva regionale con le sottoscrizioni – autenticate in data 13 settembre 2012 e 22 novembre 2012 – del protocollo per il coordinamento degli interventi di conservazione, restauro e valorizzazione del patrimonio culturale regionale da parte del Ministero, della regione Abruzzo, della Fondazione Cassa di Risparmio della provincia de L'Aquila, della Fondazione Pescara Abruzzo, della Fondazione Tercas e la Fondazione Cassa di Risparmio Provincia di Chieti;
   l'interesse artistico culturale del teatro romano del comune di Teramo ed il suo potenziale di attrattività turistica venivano riconosciuti altresì durante un incontro tenutosi presso il Ministero in data 4 luglio 2015 alla presenza, tra l'altro, del Ministro interrogato e del sindaco di Teramo Maurizio Brucchi, ma, nonostante le successive lettere di sollecito – del 28 luglio 2015 e del 26 novembre 2015 – le intese raggiunte non trovavano seguito;

   è stata, infine, vana l'ennesima sollecita azione del sindaco Brucchi, intrapresa all'indomani dell'esortazione del Presidente del Consiglio Renzi – rivolta a tutti i primi cittadini d'Italia – per produrre la documentazione necessaria per l'aggiudicazione delle risorse previste nel bando di un miliardo di euro per la cultura – Piano strategico turismo e cultura provenienti dal fondo sviluppo e coesione 2014-2020 –:
   quale sia l'orientamento del Governo, per quanto di competenza, in merito all'urgenza di avviare le opere di recupero funzionale del teatro romano di Teramo, nell'ambito dell'intrapresa strategia di valorizzazione del patrimonio culturale;
   se il Ministro interrogato non consideri l'opera in questione un'iniziativa di rilancio della competitività del territorio di riferimento, volta al potenziamento dell'offerta turistico-culturale, necessaria per la regione Abruzzo;
   se l'intervento in questione possa essere ricompreso tra quelli di interesse nazionale più rilevanti per i quali sono state stanziate risorse con il citato piano cultura e turismo recentemente proposto, da ripartire con successivo provvedimento. (4-13171)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, nel quale l'interrogante, con riferimento alle vicende riguardanti il recupero funzionale dell'area del teatro romano sita nel comune di Teramo, chiede quale sia l'orientamento del Governo, per quanto di competenza e se l'intervento in questione possa essere ricompreso tra quelli di interesse nazionale più rilevanti per i quali sono state stanziate risorse con il piano cultura di recente proposizione, da ripartire con successivo provvedimento.
  Al riguardo, si rappresenta che un primo intervento di scavo e restauro del teatro romano è stato realizzato nell'ambito dell'Accordo di programma quadro in materia di beni culturali – determina dirigenziale n. DF/11 del 10 marzo 2011, relativa a «lavori di scavo e restauro del Teatro Romano di Teramo», per un importo complessivo di 1.552.970,39 euro così suddiviso: delibera CIPE 35/05 per un importo di 1.060.000,00; legge 27 dicembre 2006 n. 296, articolo 1, comma 1138, per un importo pari a 181.468,67 euro; fondi derivanti dal gioco del lotto, per un importo pari a 311.501,62 euro.
  Le opere, eseguite pertanto con fondi statali, concluse nel 2012-2013, hanno consentito lo scavo di parti della cavea, lo studio e le prove di restauro sulle gesso-areniti dei fornici, nonché lo spostamento di tutti gli elementi lapidei non in situ esistenti nell'area del teatro.
  Il monumento è oggetto, già a partire dal 2009, di varie delibere comunali e di protocolli di intesa sottoscritti, oltre che dal comune di Teramo, dalla regione Abruzzo, dalla provincia di Teramo, dagli uffici periferici del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dalla Fondazione bancaria Tercas di Teramo, che ha già sottoscritto un impegno di finanziamento da destinare a questo monumento pari a 1.500.000,00 euro.
  Allo stato attuale esiste uno studio di fattibilità del progetto eseguito dal professor Giovanni Carbonara ed è necessario giungere in tempi rapidi, anche in conseguenza dell'entrata in vigore del nuovo «codice degli appalti» (decreto legislativo n. 50 del 2016) ad una progettazione esecutiva che possa permettere la pubblicazione di una procedura di evidenza pubblica per l'affidamento dei lavori, anche al fine di rendere efficace il finanziamento sottoscritto proprio dalla Tercas di Teramo.
  L'intervento relativo al restauro e alla valorizzazione del teatro romano di Teramo è inserito, infatti, nell'elenco dei progetti da realizzare col Programma degli interventi finanziati ai sensi dell'articolo 1, comma 338, della legge 28 dicembre 2015 (legge di stabilità 2016), recentemente approvato dal Consiglio superiore dei beni culturali e paesaggistici nella seduta del 18 luglio 2016.
  Il progetto esecutivo e i successivi lavori saranno, pertanto, realizzati con tali finanziamenti (1.500.000,00 euro finanziati dalla fondazione Tercas e 1.500.000,00 euro finanziati ai sensi dell'articolo 1, comma 338 della legge 28 dicembre 2015).
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   TARTAGLIONE. — Al Ministro della giustizia, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 24 dicembre 2012, n. 228 (cosiddetta legge di stabilità), il Ministero della giustizia ha previsto il completamento del percorso formativo entro il 31 dicembre 2013, per quei lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili, disoccupati e inoccupati, che a partire dall'anno 2010 hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari;
   in particolare, per quanto riguarda i laureati e i laureandi, vincitori di bandi di selezione pubblica per titoli ed esami (cosiddetta work esperience), la loro collaborazione all'interno delle cancellerie civili e penali e degli uffici amministrativi delle procure ha rappresentato un valido sostegno al lavoro, da tempo rallentato e penalizzato da una cronica carenza di organico;
   il 30 novembre 2013 vedrà la sua conclusione il percorso formativo di oltre tremila dei suddetti lavoratori;
   vari presidenti di tribunale hanno evidenziato che il citato personale esterno ha ormai acquisito adeguate conoscenze di base, anche informatiche, ed ha dimostrato competenza ed affidabilità offrendo un valido supporto al personale di ruolo, costituendo un'importante risorsa sia nel complesso lavoro di cancelleria, sia nelle attività di tipo prettamente amministrativo-contabile;
   vi è l'esigenza di non disperdere la professionalità acquisita e la necessità della prosecuzione della collaborazione di detti tirocinanti –:
   se sia intenzione del Governo, anche in sede di predisposizione del disegno di legge di stabilità, garantire il prosieguo della suddetta attività di tirocinio.
(4-02084)

  Risposta. — Mediante l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede quali iniziative il Ministro della giustizia intenda assumere in riferimento alla situazione di coloro che hanno preso parte agli stages formativi presso le cancellerie degli uffici giudiziari.
  Come noto, l'articolo 37, comma 11, del decreto-legge n. 98 del 6 luglio 2011, convertito con legge 15 luglio 2011, n. 111, come modificato dall'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 nell'ambito delle misure previste per assicurare l'efficienza del sistema giudiziario e la celere definizione delle controversie, ha disposto uno stanziamento di risorse «per consentire ai lavoratori cassintegrati, in mobilità, socialmente utili e ai disoccupati e agli inoccupati, che a partire dall'anno 2010 hanno partecipato a progetti formativi regionali o provinciali presso gli uffici giudiziari, il completamento del percorso formativo entro il 31 dicembre 2013, nel limite di spesa di 7,5 milioni di euro».
  L'articolo 1, comma 344, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 ha destinato ulteriori risorse finanziarie affinché i soggetti che avevano completato il tirocinio presso gli uffici giudiziari, a norma dell'articolo 1, comma 25, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, svolgessero un ulteriore periodo di perfezionamento, da concludere entro il 31 dicembre 2014.
  A seguito dell'integrazione degli stanziamenti sul relativo capitolo di bilancio, presso tutti gli uffici interessati è stata avviata, a partire dal 1o dicembre 2014, la seconda fase del percorso formativo di perfezionamento, destinata esclusivamente ai tirocinanti che avevano partecipato al primo intervento formativo.
  Tale sessione formativa si sarebbe dovuta concludere il 30 aprile 2015, per effetto di quanto previsto dall'articolo 1, comma 12, del decreto-legge n. 192 del 31 dicembre 2014 – cosiddetto «decreto milleproroghe» – convertito dalla legge n. 11 del 27 febbraio 2015.
  Al fine di agevolare il completamento della formazione, la competente articolazione ministeriale ha diramato, con nota in data 31 marzo 2014, a tutti gli uffici giudiziari le linee guida per la predisposizione dei progetti formativi di perfezionamento e, a seguito dell'attivazione in favore dei tirocinanti della copertura assicurativa antinfortunistica, nonché di quella derivante dalla responsabilità civile verso i terzi, i progetti di formazione sono stati avviati.
  La durata del percorso formativo di perfezionamento era stata determinata in 230 ore individuali per le 2.924 unità interessate, con la corresponsione di un'indennità forfettaria oraria pari a 10,00 euro, tenuto conto delle risorse finanziarie, all'epoca disponibili, ammontanti ad euro 7.500.000,00 euro.
  Nella prospettiva di valorizzare il percorso professionalizzante anche di quanti fossero già impegnati in stage presso gli uffici giudiziari in virtù delle proroghe normative citate, con il decreto-legge n. 83 del 27 giugno 2015, convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2015, n. 132, è stata, invece, introdotta la possibilità di partecipazione dei tirocinanti all'ufficio del processo, per un periodo di dodici mesi, a seguito di una adeguata selezione e attribuendo, altresì, una borsa di studio mensile.
  In particolare, l'articolo 21-ter del decreto-legge citato ha previsto che il completamento del periodo di perfezionamento costituisce titolo di preferenza, a parità di merito, ai sensi dell'articolo 5 del Regolamento di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 maggio 1994 n. 487, nei concorsi indetti dalla pubblica amministrazione; inoltre lo stesso articolo prevede che nelle procedure concorsuali indette dall'amministrazione della giustizia siano introdotti meccanismi finalizzati a valorizzare l'esperienza formativa acquisita.
  Con la prospettiva introdotta dal recente decreto legge 30 giugno 2016 n. 117, che ha autorizzato il Ministero al reclutamento di personale amministrativo per 1.000 nuove assunzioni, anche con bando di concorso, saranno certamente valorizzati e riconosciuti i percorsi professionali di coloro che hanno svolto tirocini e stage presso gli uffici giudiziari, così da offrire una reale possibilità di impiego a persone che hanno maturato competenze significative nei servizi di cancelleria.
  L'attenzione ai tirocinanti è stata, dunque, sempre massima da parte del Ministero della giustizia, che non ha ricercato soluzioni transitorie, ma ha voluto costruire un vero e proprio percorso professionalizzante.
  In tale prospettiva, è già alla firma il decreto interministeriale con il quale si dà avvio all'assunzione, a tempo indeterminato, di 1.000 unità di personale amministrativo non dirigenziale, in attuazione del decreto-legge n. 117 del 2016.
  Il bando per il concorso sarà pubblicato entro il prossimo 21 novembre 2016.
  Sono certo che, anche nei concorsi che si apriranno presso altre amministrazioni, centrali e periferiche, il titolo preferenziale che abbiamo voluto riconoscere ai tirocinanti – con la previsione dell'articolo 21-ter del decreto-legge citato – sarà davvero assicurato.
  Evidenzio, inoltre, che, nelle more della definizione delle procedure concorsuali previste dal citato decreto-legge n. 117, per coloro che hanno partecipato al tirocinio di perfezionamento presso l'ufficio del processo (1.115 unità) che si concluderà entro la fine del corrente anno, è stata proposta dal mio Dicastero, nell'ambito della legge di bilancio per l'anno 2017, la proroga del periodo di tirocinio, della durata non superiore a 12 mesi, ove espressamente richiesto dagli interessati, mantenendo il diritto alla borsa di studio.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   VEZZALI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da organi di stampa si apprende che nelle Marche sono stati segnalati 4 nuovi casi di listeriosi, precisamente nella provincia di Macerata e di Ancona su soggetti di età compresa fra 52 e 80 anni affetti da patologie precedenti o immunodepresse;
   la listeria è un batterio molto diffuso nell'ambiente, ubiquitario e opportunista, tollerato entro limiti fissati dalle norme europee, anche negli alimenti; in condizioni normali l'infezione si cura con un antibiotico, mentre può rappresentare un rischio per persone debilitate o immunodepresse;
   l'agenzia sanitaria regionale, i dipartimenti di prevenzione dell'ASUR e gli Istituti zooprofilattici sperimentali di Umbria, Marche, Abruzzo e Molise stanno cercando le cause dei 17 casi di listeriosi umana registrati nel 2015 (8 casi segnalati nel 2014) nelle province di Pesaro Urbino, Ancona e Macerata (fra i quali si segnalano due decessi e un ricovero in rianimazione);
   gli accertamenti condotti in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità e il Ministero della salute hanno consentito di identificare lo specifico ceppo di listeria dei casi trattati dalle autorità sanitarie;
   il medesimo ceppo è riscontrato in un alimento a base di carne, una «coppa di testa» la cui produzione e commercializzazione è stata bloccata il 2 febbraio 2016;
   la regione Marche fa sapere che a causa dei lunghi tempi di incubazione della forma sistemica di malattia da 70 a 90 giorni e della complessità dell'identificazione dell'origine delle contaminazioni ambientali e alimentari, è possibile che, nonostante le misure già disposte, si verifichino altri casi;
   peraltro va detto che non c’è connessione fra il ceppo individuato nel salumificio della provincia di Ancona in cui è stata sospesa l'attività (e che ha già ritirato dalla rete di vendita tutti i prodotti) perché la data del lotto contaminato è posteriore alla data di insorgenza dei sintomi in un paziente;
   secondo quanto si legge, il batterio se entra in un'azienda alimentare può riuscire a sopravvivere per anni;
   la maggior parte dei casi di infezione avviene a seguito del consumo di alimenti contaminati, ma sono stati riferiti rari casi di trasmissione nosocomiale (in ospedale);
   la patologia colpisce soprattutto gli anziani, le gestanti, i neonati e gli adulti con sistema immunitario depresso; tuttavia, non è escluso che possano essere colpiti anche pazienti che non presentano questi fattori di rischio; in gravidanza questa infezione è particolarmente subdola, perché le gestanti avvertono sintomi, lievi, di tipo influenzale –:
   se non ritenga il numero dei casi registrati di qualche evidenza scientifica e tale da far pensare al diffondersi dell'infezione, o se il problema sia ancora riconducibile a un evento raro;
   se non ritenga necessario pubblicare un vademecum su come riconoscere i sintomi di questa infezione;
   se non ritenga di informare la popolazione almeno quella più vulnerabile (le gestanti hanno un rischio di contagio 13 volte superiore) attraverso i medici di base e le strutture sanitarie su come trattare gli alimenti prima di ingerirli e sulle precauzioni da prendere per evitare la listeria, visto che il batterio sopravvive in alimenti cotti (carne, formaggi molli, pesce) ma ci si può infettare anche con ortaggi e frutta;
   se non ritenga necessario incrementare i controlli nelle mense scolastiche e nelle strutture sociosanitarie per anziani, visto che, da quanto si sa, non c’è connessione diretta fra il batterio riscontrato nel salumificio e almeno uno dei casi trattati e ciò potrebbe significare che il pericolo non è scongiurato. (4-14299)

  Risposta. — La listeriosi è un'infezione acuta causata da Listeria monocytogenes; nei casi in cui si sviluppa la malattia invasiva, l'incubazione media è di 3 settimane (ma può prolungarsi fino a 70 giorni).
  Il batterio è ubiquitario nell'ambiente e può essere causa di contaminazione a qualunque livello della catena di produzione e consumo degli alimenti.
  La strategia di lotta alla listeriosi si esplica attraverso la prevenzione, ovvero applicando le generali norme di igiene e attenzione previste per tutte le altre tossinfezioni alimentari.
  Al riguardo, il Ministero della salute ha pubblicato, in data 5 febbraio 2016, nel proprio sito alcuni opuscoli informativi correlati alla pagina relativa all'avviso di sicurezza per i consumatori.
  Inoltre, nel nostro Paese è attivo il sistema nazionale di notifica delle malattie infettive del Ministero della salute, regolamentato dal decreto ministeriale 15 dicembre 1990; i casi confermati di listeriosi devono essere segnalati dalle Autorità sanitarie competenti, presenti nel territorio, con le modalità di notifica previste per le malattie della classe II, che comprende le malattie rilevanti, passibili di interventi di controllo.
  Si forniscono, di seguito, alcuni dati raccolti sui casi di infezioni dovuti alla listeriosi.
  Dal 2003 al 2015 sono stati notificati 1.296 casi di listeriosi: il numero di casi è aumentato progressivamente negli anni, passando da un minimo di 32 casi nel 2004 a 159 casi notificati nel 2010, anno in cui è stato osservato il maggior numero di casi.
  Dopo il 2010 si osserva un ulteriore picco nel 2013 e una diminuzione del numero di segnalazioni negli anni successivi, sebbene i casi del 2015 siano ancora provvisori.
  Il tasso d'incidenza aumenta progressivamente da 0,55 per milione di abitanti nel 2004 a 2,64 per milione nel 2010 e a 2,48 nel 2013.
  I dati sopra descritti sono confermati dall'andamento delle segnalazioni di listeriosi (sepsi e meningiti) provenienti dal sistema di sorveglianza delle malattie batteriche invasive dell'istituto superiore di sanità, che evidenzia un incremento generale delle segnalazioni dal 2003 fino al 2010.
  In riferimento alla regione Marche, risulta che dal 2003 al 2014 tale regione ha notificato al Ministero della salute n. 29 casi di listeriosi umana; mentre nel corso del 2015 si è registrato un incremento di notifiche di casi di listeriosi umana rispetto agli anni precedenti.
  Dal 1o gennaio 2015 al 30 maggio 2016, nella stessa regione, sono occorsi 35 casi di listeriosi umana; in particolare in 23 casi sono stati isolati ceppi di listeria appartenenti allo stesso pulsotipo (in base alla tipizzazione molecolare attraverso elettroforesi in campo pulsato-PFGE dei ceppi di Listeria monocytogenes sierotipo 1/2a isolati dai pazienti) responsabile del « cluster epidemico», correlato al consumo del prodotto denominato «Coppa di Testa».
  Tra i casi appartenenti al « cluster», la maggior parte ha presentato manifestazioni cliniche di sepsi e meningite, e si è verificato un caso di sepsi neonatale.
  Sono stati segnalati 5 decessi, i quali hanno riguardato soggetti anziani e con patologie concomitanti gravi e, di questi, 2 decessi erano legati al « cluster».
  L'ultimo caso di listeriosi correlato al « cluster» è stato segnalato in data 4 marzo 2016.
  In considerazione degli aspetti generali della malattia (che si manifesta con picchi estivi ed invernali), dell'andamento nella regione Marche della listeriosi nel 2015 (in cui si è verificato un repentino aumento dei casi nel periodo maggio-giugno dovuto al verificarsi del « cluster» epidemico), nonché del tempo trascorso dall'intervento di chiusura dello stabilimento interessato, l'episodio epidemico può essere considerato concluso.
  Il Ministero della salute continua ad effettuare la sorveglianza, in collaborazione degli esperti dell'istituto superiore di sanità del centro di referenza nazionale per la listeriosi, e dell'istituto zooprofilattico sperimentale di Teramo, nonché con l'assessorato alla sanità della regione Marche e le Aziende sanitarie locali competenti per territorio.
  Malgrado non sia stato evidenziato un incremento delle segnalazioni ai diversi sistemi di sorveglianza disponibili nel 2015, l'evidenza della circolazione di un pulsotipo di listeria monocytogenes mai isolato prima negli alimenti in Italia, e responsabile di un « cluster» nella regione Marche, ha indotto il Ministero della salute a elaborare una strategia di rafforzamento della sorveglianza della listeriosi nel territorio nazionale, con la finalità di identificare sia l'esistenza di possibili casi appartenenti allo stesso pulsotipo che il legame alla potenziale fonte.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.