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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 11 luglio 2016

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   sul territorio dell'ex idroscalo di Ostia insistono immobili adibiti a civili abitazioni nei quali risiedono circa trecento famiglie riunitesi nel «Consorzio nuovo idroscalo»;
   la zona, che prende il nome dall'impianto per l'ammaraggio e il decollo di idrovolanti ed aerei anfibi costruito negli anni Venti, è stata, infatti, oggetto di insediamenti autonomi di decine di famiglie romane a partire dagli anni Sessanta, che hanno adibito a case vecchie costruzioni o ne hanno edificato delle nuove sui terreni demaniali;
   gli appartenenti al Consorzio nuovo idroscalo hanno provveduto, negli anni e a proprie spese, alle primarie opere di urbanizzazione, quali la costruzione e la regolare manutenzione di una scogliera interna volta a contrastare l'erosione del mare nell'area, la costruzione delle strade, la installazione e manutenzione di un sistema di illuminazione stradale, la costruzione e manutenzione di un sistema di fognature, la realizzazione di un sistema di tubature per la fornitura dell'acqua potabile in tutte le strade, la formazione di una regolare toponomastica;
   di conseguenza, i residenti della zona pagano tutte le tasse di normale urbanizzazione, oltre a versare un canone di occupazione al demanio in forza del fatto che l'area costituisce patrimonio disponibile proprio del demanio dello Stato;
   i consorziati hanno manifestato a più riprese la propria disponibilità ad acquistare l'intera area sulla quale insistono le abitazioni, ovvero, in subordine, ad addivenire ad una regolarizzazione della loro posizione;
   nelle zone periferiche della città di Roma sono stati numerosi gli interventi di sanatoria che hanno regolarizzato intere aree sorte — in un primo momento abusivamente, e per l'idroscalo già alcune decine di anni fa era stato previsto un piano di zona per la realizzazione di alloggi popolari nei quali trasferire gli attuali residenti e la urbanizzazione del territorio;
   nel febbraio 2010 con un intervento di vigili urbani e polizia sono state abbattute trentacinque abitazioni e gli abitanti trasferiti, in esecuzione di un piano, mai portato a termine, che prevedeva la demolizione di tutti gli edifici dell'area per asserite ragioni di rischio esondazione;
   tale intervento ha fatto nascere in molti il sospetto di una possibile operazione di speculazione edilizia, attraverso la quale i terreni «ripuliti» dell'idroscalo sarebbero dovuti diventare un'area a servizio del retrostante porto di Ostia, in una parte della quale sembrava addirittura dovessero sorgere un centro sportivo, un villaggio naturalistico con tanto di accoglienza ricettiva, cantieri nautici e yacht club;
   in realtà, stando alle dichiarazioni di alcuni esperti, raccolte anche in uno studio commissionato proprio dai membri del Consorzio nuovo idroscalo alle università di Roma Tre, le aree a rischio esondazione del fiume Tevere sarebbero a nord e non alla foce, posto che, in ogni caso il fiume è soggetto a un sistema di chiuse e traverse lungo il suo corso che minimizza il rischio esondazione;
   il 10 giugno 2016 il sindaco di Fiumicino nel corso di una trasmissione televisiva ha reso noto l'imminente avvio dei lavori per la realizzazione di un sistema idraulico a protezione degli abitanti di Fiumicino da una eventuale esondazione del Tevere, in esito alla quale la zona della foce del Tevere dal lato di Fiumicino sarà declassificata da R4 a R2 per quanto attiene al rischio idrogeologico;
   la realizzazione di questa sorta di «MOSE» in miniatura, tuttavia, sta creando grande preoccupazione tra gli abitanti dell'idroscalo di Ostia, in quanto il suo meccanismo di funzionamento fa sì che in caso di piena la stessa verrebbe interamente riversata sull'altra sponda, allagando di fatto tutto l'idroscalo –:
   se siano informati dei fatti di in premessa, e quali iniziative si intendano assumere in merito, anche per il tramite delle competenti autorità di bacino del fiume Tevere a tutela di tutti cittadini coinvolti e della messa in sicurezza dell'area in questione. (4-13755)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   BENI e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il visto per il ricongiungimento familiare di cittadini stranieri viene concesso dall'autorità consolare o diplomatica italiana previo nulla osta rilasciato dallo sportello unico per l'immigrazione presso la prefettura competente per il luogo di dimora del richiedente, e dopo aver accertato l'autenticità della documentazione comprovante i presupposti richiesti per l'accoglimento dell'istanza;
   la procedura per i titolari di protezione internazionale è di maggior favore e non prevede alcun requisito, se non il vincolo di parentela, per esercitare il diritto all'unità familiare e ricongiungere quindi i propri familiari (figli minori, coniugi, genitori ultra sessantacinquenni);
   per i titolari di protezione internazionale (status di rifugiato e protezione sussidiaria), consuetudine vuole che la maggior parte delle rappresentanze diplomatiche italiane all'estero chiedano, anche in presenza di documenti originali, il test del DNA da effettuare tramite l'Organizzazione internazionale per le migrazioni, con un costo pari a 300 euro, che diventa particolarmente gravoso da sostenere laddove i familiari da ricongiungere siano numerosi;
   l'ambasciata italiana ha tempo sei mesi per esaminare la documentazione richiesta per il rilascio del visto di ricongiungimento familiare, tempistica che coincide con la validità dei nulla osta emesso dalle prefetture;
   decorso il periodo di durata del nulla osta senza alcun pronunciamento da parte dell'autorità diplomatica, la procedura per la richiesta di ricongiungimento decade e i familiari devono presentare nuova richiesta alla prefettura competente per il rilascio di un nuovo nulla osta;
   le lungaggini delle procedure mettono in serio rischio l'incolumità delle persone da ricongiungere in quanto familiari di un titolare di protezione internazionale, per la quale lo Stato italiano ha riconosciuto il bisogno e quindi il diritto alla protezione;
   a quanto consta agli interroganti al numero verde per rifugiati e richiedenti asilo, gestito dall'associazione ARCI nazionale, sono arrivate numerose segnalazioni di enormi ritardi nelle pratiche di ricongiungimento familiare di cittadini somali presso l'ambasciata italiana a Nairobi;
   le richieste di ricongiungimento familiare, segnalate dall'Associazione, che risultano in sospeso presso tale ambasciata hanno tutte ottenuto il nulla osta necessario per il rilascio del visto, ma ad oggi l'autorità diplomatica non si è ancora pronunciata in merito all'accoglimento o meno dell'istanza;
   nonostante le richieste siano corredate da tutta la documentazione richiesta, ivi compreso il risultato positivo del test del DNA ove richiesto, non si comprendono i motivi del ritardo nel pronunciamento dell'autorità diplomatica italiana, che nella maggior parte dei casi supera di gran lunga un anno di attesa;
   inoltre, le segnalazioni ricevute dall'Associazione denunciano le numerose difficoltà riscontrate nell'ottenere un appuntamento per l'espletamento dell'istanza presso l'ambasciata, la quale si avvale di un'agenzia di intermediazione (VSF Global), e le ingenti somme che dovrebbero essere corrisposte spendere per i servizi che tale agenzia fornisce;
   l'immobilismo burocratico che blocca le pratiche di rilascio del visto di ricongiungimento e le notevoli risorse economiche necessarie per far fronte alle procedure richieste, senza che vi sia stato un pronunciamento da parte dell'autorità diplomatica competente, stanno di fatto costringendo i familiari dei richiedenti a rinunciare alle cosiddette «vie legali» per affidarsi ai trafficanti e raggiungere i propri cari mettendo a rischio la propria vita;
   l'ambasciata italiana a Nairobi, più volte contattata dall'Associazione a seguito delle numerose sollecitazioni, avrebbe motivato i ritardi relativi all'espletamento delle procedure di rilascio dei visti, attribuendoli ad un «sotto organico» che non permetterebbe di ottemperare alle richieste in tempi certi;
   alla luce degli impegni assunti dall'Italia e dalla stessa Unione europea nella lotta contro i trafficanti di esseri umani, l'operato dell'ambasciata italiana a Nairobi e le motivazioni che avrebbe fornito per giustificare i gravi ritardi burocratici che stanno bloccando numerose pratiche di rilascio dei visti per il ricongiungimento familiare, di fatto li disattendono, rischiando di favorire, seppur indirettamente, il ricorso alle vie illegali fortemente condannate dal nostro Paese –:
   se siano a conoscenza dei fatti espressi in premessa, e quante siano ad oggi le richieste di ricongiungimento familiare ancora in sospeso presso l'ambasciata italiana a Nairobi;
   quali siano le cause ostative che hanno generato i gravi ritardi nel rilascio dei visti per il ricongiungimento familiare da parte dell'ambasciata italiana a Nairobi, e in che modo intendano ovviare a questo ingiustificato immobilismo burocratico;
   in che modo intendano attivarsi al fine di far luce sulle difficoltà riscontrate nell'ottenere un appuntamento presso l'ambasciata italiana tramite la sopracitata agenzia di intermediazione e sulle tariffe da essa richieste per l'erogazione di tale servizio. (3-02380)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, GALLINELLA, CECCONI, CIPRINI, AGOSTINELLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si è appreso da fonti stampa (inter alios: http://www.valnerinaoggi.it) che l'area di Pian Grande ne territorio di Castelluccio di Norcia, in provincia di Perugia, sarebbe interessata da un progetto per la realizzazione di un parcheggio «sperimentale» che si tradurrebbe nella più grande area sosta per camper d'Europa;
   ciò avverrebbe a seguito dell'approvazione, da parte del consiglio comunale, del «Piano di azione per la mobilità sostenibile»;
   l'area in questione, individuata all'interno dei siti della Rete Natura 2000 (identificata come monti Sibillini codice sito IT5210071), si trova nel cuore del parco nazionale dei Sibillini e rappresenta un esempio unico di connubio ed equilibrio delicatissimo tra attività agricola con produzione di colture uniche, vocazione turistica e valore naturalistico ambientale e paesaggistico;
   nel documento disponibile sul sito del parco nazionale dei Sibillini Prime misure di conservazione dei siti natura 2000 e delle aree di particolare interesse paesaggistico-ambientale e turistico-ricreativo (approvate con D.C.S. n. 35 del 2007 e successive modificazioni e integrazioni ultima modifica; D.C.S. n. 2/2014) si legge all'articolo 3: «Misure di conservazione dei Piani di Castelluccio 1. Nell'area dei piani di Castelluccio, comprendenti il Piano Grande, il Piano Perduto, il Piano Piccolo e la Valle della Dogana, sono vietati il campeggio e il bivacco, ivi compresa la permanenza notturna dei camper, cioè da un'ora dopo il tramonto fino a un'ora prima dell'alba. 2. Ai sensi e per gli effetti della suddetta norma per bivacco s'intende l'accampamento, anche temporaneo, con presenza di tende da campeggio o con occupazione di suolo con strutture, quali tende e verande, annesse ai camper. 3. È fatta salva l'individuazione, in accordo con il Parco, di apposite aree limitate per la sosta temporanea dei camper e altri veicoli, senza comunque l'occupazione di suolo con tavoli, tende o verande»;
   diverse associazioni ambientaliste e non solo (professor Bernardino Ragni, zoologo; Mountain Wilderness Italia onlus; WWF, Umbria e Marche; Pro Natura Marche; Gruppo d'intervento giuridico onlus; Associazione mediterranea per la natura; Comitato per l'acqua bene comune Terni; Lupus in Fabula; Associazione Ambientalista onlus) preoccupate da questo progetto hanno diramato un comunicato con il quale denunciano la possibilità che tale progetto, se attuato, potrebbe comportare «un'alterazione permanente ed irreversibile sia degli equilibri ecosistemici, sia dell'assetto formale funzionale del paesaggio nonché la delusione delle aspettative di chi consapevolmente fruisce del Parco»; evidenziando come «i Piani di Castelluccio sono un Bene Comune, un Patrimonio dell'Umanità, un Sito di Importanza Comunitaria, che non può sottostare a motivazioni privatistiche o eminentemente finalizzate alla monetizzazione» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative di competenza il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda assumere per tutelare l'area del parco nazionale dei Monti Sibillini e il sito di importanza comunitaria di cui in premessa interessati dal progetto sopra evidenziato, anche al fine di scongiurare possibili interventi della Commissione europea con conseguente attivazione di un eventuale procedura d'infrazione a carico dell'Italia per violazione della direttiva «Habitat»;
   se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo sia in grado di fornire adeguate informazioni in merito al rispetto delle procedure autorizzative in materia paesaggistica ai sensi del codice dei beni culturali e se siano stati ottenuti i prescritti pareri degli organi competenti. (3-02382)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MUCCI e PRODANI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   è di questi giorni la notizia che la regione Emilia-Romagna, d'accordo con gli enti locali interessati, ha deciso di accogliere 20 mila tonnellate di rifiuti urbani che non possono essere conferite all'impianto di Brindisi, sottoposto nei giorni scorsi a sequestro dall'autorità giudiziaria;
   il conferimento sarà limitato: dal 12 luglio 2016 alla prima settimana di settembre 2016. Saranno i termovalorizzatori di Bologna e Ferrara, scelti in base all'analisi dei flussi e delle dotazioni, ad accogliere i rifiuti, per un quantitativo massimo di 20 mila tonnellate, che rientra comunque nei limiti autorizzati. In particolare, 8 mila sono destinate all'impianto bolognese e 12 mila a quello ferrarese; complessivamente, si tratta quindi di circa 400 tonnellate al giorno, per 6 giorni alla settimana. La Puglia trasferirà ai comuni di Bologna e Ferrara i proventi della tassazione ordinaria sui rifiuti prevista per i cittadini, più un ristoro ambientale di 14 euro a tonnellata;
   nel recente passato, precisamente nel mese di luglio 2015, la regione Emilia Romagna, per un'altra emergenza, decideva di accogliere i rifiuti provenienti da un'altra regione, in questo caso dalla Liguria, per 10 mila tonnellate. La sede allora individuata fu Piacenza per motivi di vicinanza e comunque nei limiti provinciali autorizzati. Anche, in tal caso, la regione Liguria ha pagato la stessa tariffa dei cittadini piacentini, più un ristoro ambientale di 14 euro tonnellata al comune di Piacenza;
   oggi come allora l'Emilia Romagna va in soccorso di altre regioni che, per emergenze conclamate e limitate nel tempo chiedono l'aiuto di territori più virtuosi;
   sta di fatto, comunque, che a farne le spese sono sempre i cittadini che vivono nei luoghi limitrofi alle discariche e che vedono minacciata la loro salute e l'ambiente circostante;
   così, mentre da un lato si assiste all'adozione di un «piano regionale per la gestione dei rifiuti» dove la regione Emilia Romagna punta all'azzeramento delle discariche e al progressivo spegnimento degli inceneritori e a portare il riciclo di carta, legno, vetro, plastica, metalli e organico al 70 per cento, il tutto entro il 2020; dall'altro lato, non si capisce perché si continui a discutere dell'ampliamento della discarica «Tre Monti», vicino ad Imola. Di recente, è stata chiesta una valutazione di impatto ambientale per un ampliamento di 7 ettari che aumenterà il volume di raccolta a 4 milioni di tonnellate di rifiuti indifferenziati, facendola diventare la più grande d'Italia;
   di recente, è stato lo stesso Ministro interrogato, in risposta all'interrogazione 4-04790, a confermare le problematiche inerenti alla contaminazione della falda, evidenziando che: «a novembre 2015, l'ARPA ha provveduto ad inoltrare la notifica di superamento delle concentrazioni di soglia di contaminazione presso l'area di discarica ai sensi dell'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006, in esito alla quale sono stati adottati i conseguenti atti di diffida nei confronti del gestore da parte della Città metropolitana di Bologna ed avviato il procedimento di bonifica. Nell'ambito di tale procedimento l'ARPA Emilia-Romagna ha eseguito ulteriori approfondimenti delle attività di campionamento del suolo, delle acque sotterranee e dei pozzi spia, che hanno sostanzialmente confermato per le acque sotterranee uno stato di contaminazione riconducibile a perdite di percolato»;
   così, continua il Ministro nella sua risposta: «l'organo di controllo tecnico ha richiesto la presentazione di specifiche relazioni di approfondimento. Contestualmente a tale procedimento, di competenza specifica della regione Emilia-Romagna, potrà essere valutato il quadro d'insieme ed espresso il giudizio di compatibilità sotto il profilo dell'impatto ambientale dell'ampliamento della discarica, anche alla luce degli obiettivi e delle previsioni degli strumenti di pianificazione vigenti, e del ricorso al conferimento in discarica come forma sempre più residuale, come previsto dal legislatore europeo nel pacchetto sull'economia circolare presentato il 2 dicembre 2015.»;
   in tal senso è stato Kaemenu Vella a nome della Commissione europea a chiarire, nel mese di febbraio 2016 nella risposta ad una interrogazione sull'argomento, che: «Qualsiasi decisione sull'eventuale espansione delle capacità di smaltimento in discarica deve prestare particolare attenzione all'attuazione della gerarchia dei rifiuti (che elenca lo smaltimento come metodo meno auspicabile per il trattamento dei rifiuti verificando anche che la decisione sia conforme al pertinente piano o ai pertinenti piani di gestione dei rifiuti stabiliti dalle autorità competenti). Le decisioni devono tener conto anche dell'obbligo per gli Stati membri di garantire la raccolta differenziata dei rifiuti che, dal 2015, comprende carta, metallo, plastica e vetro. In tale contesto va tenuto conto del fatto che la Commissione ha recentemente presentato delle proposte per obiettivi più ambiziosi in materia di riciclaggio e di riduzione del collocamento in discarica, da raggiungere entro il 2030» –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato abbia intenzione di adottare al fine di monitorare la vicenda inerente alla discarica di «Tre Monti»;
   quali siano gli orientamenti del Governo in merito alle politiche di raccolta e smaltimento dei rifiuti che dovrebbero andare verso un superamento degli attuali processi, in linea con le direttive europee, e quale sia lo stato di attuazione a livello nazionale delle misure definite con il decreto-legge «sblocca Italia». (4-13745)


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, MANTERO, LOREFICE, GRILLO, NESCI e DI VITA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dagli anni Ottanta, a Salerno, nella zona di Fratte, al confine con la Valle dell'Irno, sono ubicate le Fonderie Pisano, dove viene smaltito e bruciato ferro e ghisa;
   all'epoca la zona era prevalentemente industriale, ma in seguito, con l'approvazione del nuovo piano regolatore generale del comune di Salerno, cominciarono ad edificare e adesso c’è un vero e proprio conglomerato urbano che ospita centinaia di famiglie, supermercati, bar, pompe di benzina e altro; 
   il 23 giugno 2016 i Carabinieri del Comando dei carabinieri per l'ambiente di Salerno hanno eseguito il sequestro preventivo d'urgenza delle Fonderie Pisano emesso dalla procura della Repubblica. I reati contestati ai titolari dello stabilimento sono: scarico di acque reflue inquinanti, gestione illecita di rifiuti speciali anche pericolosi, emissioni nocive in atmosfera, danneggiamento di beni pubblici, gettito di cose idonee a molestare le persone, violazione della normativa antincendio e della sicurezza dei luoghi di lavoro, abuso d'ufficio, falsità materiale ed ideologica in atti pubblici;
   abuso d'ufficio e falsità materiale e ideologica in atto pubblico, sono invece le ipotesi di reato nei confronti di Luca Fossati, ingegnere che firmò la relazione allegata all'istanza di rilascio dell'autorizzazione integrata ambientale (Aia) e Antonio Setaro, 65 anni, dirigente del settore ecologia e tutela dell'ambiente della regione Campania;
   nel decreto di sequestro emerge che «L'autorità competente regionale considerava ricevibile l'istanza di rilascio Aia presentata in data 1/8/2011 per impianto esistente, pur essendo scaduto in data 31/3/2008 il termine di utile presentazione per tale tipologia di istanze e pur non rientrando l'impianto nella nozione tecnico legislativa di impianto esistente, atteso che non si trattava di impianto munito al 10/11/1999 delle autorizzazioni o provvedimenti ambientali ovvero delle relative richieste complete, necessari all'esercizio». I giudici parlano di una «macroscopica illegittimità ricavabile nella fase genetica dell'atto stesso: il provvedimento autorizzativo è stato rilasciato su istanza tardivamente presentata per impianto esistente, ricevuta, poi, come istanza per un nuovo impianto» ma non conseguentemente gestita come tale;
   in un articolo del 26 giugno 2016 del quotidiano II Mattino si legge che «i Pisano hanno chiesto con quasi tre anni e mezzo di ritardo il rilascio dell'autorizzazione per “impianto esistente” e la regione non solo non ha respinto l'istanza “tardiva”, ma quando ha avviato la procedura lo ha fatto come se si trattasse di un “nuovo impianto”. “False dichiarazioni erano – inoltre – contenute nella relazione redatta dall'ing. Luca Fossati, prodotto in autocertificazione dal richiedente Luigi Pisano, circa la non esistenza aree protette, biotipi, vincoli nel raggio di 500 dello stabilimento”. Circostanze false scrivono i pubblici ministeri “in quanto nell'area di riferimento erano vigenti vicoli di tutela e/o di salvaguardia ambientale, paesaggistici e idrogeologici”. Vincoli, cioè, relativi sia al vicino Parco dell'Irno che è di interesse regionale – e che è stato anch'esso interessato da scarico di acque reflue inquinanti che al fiume Irno e alle sue sponde, come segnalato dal ministero dell'ambiente»;
   il 1o luglio 2016 sono stati notificati altri otto avvisi di garanzia ad altrettanti dipendenti dell'Arpac di Salerno per fatti risalenti al 2013 legati alle Fonderie Pisano. A ricevere il provvedimento giudiziario sono stati tre dirigenti e cinque impiegati che lavorano nella sede salernitana dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale. Sotto la lente di ingrandimento della procura sono proprio le differenze dei risultati relativamente ai controlli dell'ARPAC svolti dai due differenti dipartimenti, Salerno e Caserta, a parere della procura salernitana, i controlli che l'Arpac di Salerno avrebbe effettuato dal 2013 in poi sarebbero «viziati»; infatti, a novembre 2015, l'autorità giudiziaria aveva dato mandato al dipartimento Arpac di Caserta di eseguire un'ispezione straordinaria nello stabilimento;
   l'attività istruttoria condotta dal direttore tecnico dell'ARPAC regionale ha confrontato l'esito delle ispezioni del dipartimento di Caserta con quello delle ispezioni condotte dal dipartimento di Salerno facendo riferimento dagli anni 2013-2014, concludendo con una «costante presenza, negli anni, dei consueti profili di criticità ambientale legati alle emissioni e all'inadeguatezza delle strutture, e un approccio mai definitivamente risolutivo nelle varie sedi e fasi di controllo. Tali carenze, lungi dall'essere state superate dopo il conseguimento dell'Aia, si sono rivelate ulteriormente e più gravemente presenti a partire dall'ispezione straordinaria avviata su impulso dell'autorità giudiziaria affidata al dipartimento Arpac di Caserta, ed accertate e reiterate nel corso delle successive ispezioni eseguite anche dal dipartimento salernitano e dal gruppo di lavoro di supporto»;
   i magistrati si esprimono anche sull'impianto, ritenendolo «strutturalmente inidoneo al funzionamento in conformità alla vigente normativa ambientale e di sicurezza sui luoghi di lavoro e «inidoneo a ottenere l'autorizzazione al funzionamento come nuovo impianto». Sostengono che l'opificio «può essere definito, senza remore, fatiscente e vetusto, nonostante i tentativi di adeguamento. Le attività dell'impianto costituiscono un pericolo attuale e concreto, sia per l'ambiente esterno e la salute della popolazione, sia per gli stessi lavoratori. Questi ultimi sono costretti a operare in un ambiente di lavoro insalubre e in contrasto anche con le disposizioni finalizzate a prevenire incendi o esplosioni». Ma a rischio, evidenziano, non c’è solo «la incolumità dei dipendenti ma anche la incolumità pubblica». Trovandosi lo stabilimento nel centro abitato può determinare «un grave pericolo per le persone dimoranti nei pressi, in relazione alle immissioni dei fumi»;
   il 4 luglio 2016 il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Salerno, Stefano Berni Canani, ha accolto le richieste della procura e ha convalidato il provvedimento di sequestro delle Fonderie Pisano –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda intraprendere affinché sia tutelato il diritto ad un ambiente salubre, fondato sul combinato disposto degli articoli 2, 9 e 32 della Costituzione, dei cittadini residenti nelle aree interessate dalle criticità sopraevidenziate, anche promuovendo un monitoraggio dello stato dell'ambiente da parte dell'ISPRA, al fine di verificare e stimare i danni all'ambiente potenzialmente prodotti dallo stabilimento di cui in premessa negli anni;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non intenda assumere iniziative per accertare lo stato dei luoghi per il tramite del Comando dei Carabinieri per la tutela dell'ambiente;
   se il Ministro della salute intenda promuovere, per quanto di competenza, un'attività di screening, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità, a fine di verificare i potenziali danni alla salute dei cittadini residenti nell'area. (4-13756)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   con due atti successivi passati al vaglio delle competenti Commissioni parlamentari, il Governo ha deliberato di acquistare 249 e poi altri 381 blindati Freccia, per un totale di 630 mezzi, al costo, rispettivamente di circa 1,6 e 2,6 miliardi di euro complessivi;
   ogni blindato Freccia appartenente al primo lotto acquistato risulta all'interrogante essere costato 6,43 milioni di euro, mentre il costo unitario di quelli che saranno acquisiti con il secondo sarà pari a 6,8 milioni;
   a titolo di raffronto, esistono piattaforme molto più performanti, appartenenti alla categoria dei cosiddetti Main Battle Tank, di cui l'Esercito italiano risulta gravemente carente, potendo contare soltanto su una trentina di Ariete efficienti, il cui costo unitario è sensibilmente inferiore;
   il MBT britannico Challenger II costa, ad esempio, circa 5 milioni di euro al pezzo;
   il protettissimo MBT israeliano Merkava IV, quanto di meglio in fatto di protezione ed attitudine al combattimento urbano, è venduto a 4,5 milioni di dollari al pezzo;
   persino il carro americano Abrams M1A2 è acquistabile ad una cifra inferiore, dai 6,2 milioni di dollari in giù, mentre il Leopard II che numerosi generali del nostro Paese considerano particolarmente adeguato alle esigenze dell'Esercito italiano è reperibile per 5,74 milioni di dollari al pezzo;
   rispetto alle prestazioni di uno dei MBT appena generalizzati, il Freccia non dispone di una torretta girevole, ha un motore meno potente, risulta dotato di protezioni inferiori ed è anche decisamente lento;
   lo stesso Esercito italiano se ne è valso in quantità assai modeste, e solo in Afghanistan, probabilmente ritenendo di non averne bisogno sui teatri operativi in cui le sue unità sono state rischierate in questi anni;
   mentre va avanti l'acquisizione del Freccia, Francia e Germania stanno valutando l'opportunità di dar vita, ad un consorzio per produrre un MBT europeo di nuova generazione, da contrapporre ai T14 dell'Armata appena mostrati al pubblico dalla Federazione russa;
   anche la Gran Bretagna potrebbe essere sul punto di considerare opzioni di collaborazione internazionale per sostituire la linea dei suoi MBT –:
   per quali ragioni tecnico-operative il Ministro della difesa insista nell'acquisizione di veicoli blindati dalle potenzialità assai limitate per rafforzare la propria linea corazzata, assai deficitaria in rapporto alle presumibili esigenze future, invece di acquistare sul mercato mezzi più performanti e competitivi come i principali mezzi corazzati da combattimento occidentali disponibili sul mercato;
   per quali ragioni il Ministro della difesa non valuti l'opportunità di agganciare il nostro Paese all'eventuale produzione in consorzio di un nuovo MBT europeo, con Francia e Germania o, in alternativa, con la Gran Bretagna.
(4-13746)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in base ai dati resi noti dalla società Autovie si registra nel corso del 2016 un incremento del traffico lungo la A4;
   nei primi 6 mesi del 2016 sono transitati 22 milioni di veicoli e quasi il 25 per cento del traffico è costituito da mezzi pesanti;
   in una giornata feriale sull'A4 passano tra i 25 mila e i 27 mila mezzi pesanti di cui il 61 per cento di provenienza straniera;
   è un segnale incoraggiante per l'economia meno per quel che concerne la sicurezza poiché si sono registrati incrementi anche per quel che concerne gli incidenti;
   gli incidenti avvenuti nel primo semestre del 2016 hanno reso necessario per undici volte la chiusura di un tratto autostradale, mentre nello stesso periodo del 2015 le chiusure erano state tre;
   il tratto più complesso è quello compreso tra san Giorgio di Nogaro e San Donà;
   laddove è già stato realizzato l'ampliamento dell'autostrada e, cioè, tra Quarto d'Affino e San Donà, il totale degli incidenti si è ridotto drasticamente: 9 contro i 28 del periodo prima della costruzione della terza corsia;
   questo evidenzia la necessità di proseguire nell'ammodernamento di un'arteria strategica per tutto il Paese al fine di aumentarne gli standard di sicurezza –:
   quali iniziative il Governo intenda promuovere al fine di accelerare le attività volte all'ammodernamento dell'infrastruttura in questione nonché per aumentarne complessivamente gli standard di sicurezza, alla luce dell'enorme mole di traffico pesante riscontrato quotidianamente. (5-09121)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRATAVIERA, MATTEO BRAGANTINI, CAON e MARCOLIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la polizia di frontiera di Venezia opera in tre realtà ben distinte e separate: lo scalo aeroportuale «Marco Polo» di Tessera e gli scali marittimi, con il porto di Venezia riservato al traffico passeggeri ed il porto commerciale di Marghera che ha competenza anche sul nuovo scalo traghetti di Fusina;
   solo lo scorso anno, nei tre poli sopra citati sono state sottoposte a verifiche di sicurezza e di passaporti 10.788.097 persone e controllati 6.568 navi e 74.757 voli;
   i recenti attentati terroristici in Francia, Belgio e Turchia ed il diverso scenario internazionale che ne è scaturito hanno comportato un ulteriore potenziamento dei servizi di vigilanza e controllo del territorio, confermando gli scali marittimo ed aereo di Venezia quali obiettivi sensibili. In tutti questi scali, la polizia di frontiera svolge la propria attività con un numero di personale ritenuto insufficiente alle reali esigenze. A denunciare la mancanza di person le sufficiente a garantire ottimali livelli di sicurezza è il Sindacato autonomo di polizia;
   in tal senso, il personale con qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria è sotto organico e comunque tale da non permetterne la presenza in tutti i quadranti nello scalo aereo «Marco Polo»; diventa così necessario richiamare personale dal porto, lasciando scoperti uffici e realtà di frontiera importanti per la città lagunare;
   a partire dal 2011, il sindacato di cui sopra ha segnalato le carenze alla dirigenza locale e al direttore della IV zona di frontiera di Udine, che ha competenza territoriale su Venezia, sulla necessità di avere un regolare turn over di ufficiali di polizia penitenziaria;
   giova evidenziare che nella polizia di frontiera di Venezia sono operative anche la squadra cinofili ed il nucleo tiratori scelti, dove sono inseriti anche degli ufficiali di polizia giudiziaria, che, essendo inquadrati in un servizio specialistico, non possono essere impiegati per coprire la mansione più generica di capo turno nello scalo aereo. La dirigenza della polizia di frontiera nel corso degli anni si era impegnata ad assicurare che la funzione di «capo turno» presso lo scalo aereo «Marco Polo» di Venezia fosse ricoperta, con continuità e nell'arco delle 24 ore, da parte di personale della polizia di Stato in possesso della qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria. Impegno che non è stato più possibile mantenere per l'insufficienza di personale con questa qualifica, determinando da parte della stessa l'impiego quale capo turno di un appartenente al ruolo agenti-assistenti in turni serali e notturni, ed in alcuni casi anche nei quadranti giornalieri;
   è di intuitiva evidenza che tale mansione non è propria di un appartenente al ruolo agenti-assistenti, sia per il numero di persone da dover coordinare (circa quindici) sia per la carenza di strumenti normativi idonei. Non da ultimo va segnalata la mancata preparazione professionale per l'attuazione delle misure di intervento previste nel piano di sicurezza aeroportuale «Leonardo Da Vinci», da adottare in caso di emergenza anche di natura terroristica. Va ricordato infatti che il capo turno della polizia di frontiera è il responsabile del dispositivo di sicurezza aeroportuale dove partecipano anche le altre forze di polizia presenti in loco. Non si può affidare tale ruolo ad un assistente capo; è indispensabile la presenza di un ufficiale di polizia giudiziaria per la gestione di tutte le problematiche di frontiera e di sicurezza che si verificano in uno scalo aereo così importante quale è l'aeroporto di Venezia;
   si sta svolgendo il concorso interno a 7563 posti per l'accesso alla qualifica di vice sovrintendente per colmare le carenze a livello nazionale nel ruolo ma, ad oggi, ciò non ha comportato variazioni nell'organico della polizia di frontiera di Venezia, non interessata ad alcuna nuova assegnazione, segno evidente che non sono state recepite le criticità dalla dirigenza della polizia di Stato –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopra esposta e quali iniziative urgenti abbia intenzione di adottare al fine di potenziare in modo adeguato l'organico della polizia di frontiera di Venezia per assicurare l'opportuna vigilanza di un territorio dove sono presenti obiettivi sensibili. (4-13747)


   NESCI, PARENTELA e DIENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in un articolo giornalistico pubblicato il 4 giugno 2016 sul sito della testata La Voce di Fiore, è riassunta la vicenda della recente gara pubblica, d'importo pari a 5,5 milioni di euro, volta all'affidamento della raccolta differenziata nel comune di San Giovanni in Fiore (Cs), ente in dissesto finanziario;
   ancora, nell'articolo si narra che «l'avviso di proroga dei termini per la presentazione delle offerte non è stato mai pubblicato sulla Gazzetta dell'Unione europea, come invece vuole la normativa»;
   nello stesso articolo si aggiunge che «se questo non è un problema per l'attuale amministrazione, se non lo è per lo studio Morcavallo – interpellato dal comune, che pure ha il proprio Ufficio legale –, per l'Autorità nazionale anticorruzione (Anac) è di certo causa invalidante»;
   la ragione, aggiunge il servizio giornalistico, è che «il Comune di San Giovanni in Fiore non ha utilizzato gli stessi strumenti di pubblicità adottati per il bando di gara, escludendo dalla partecipazione quanti non hanno potuto sapere del riferito avviso di proroga»;
   a tale ultimo riguardo, espressa conferma è data dalla deliberazione dell'Anac n. 92/2012, che ribadisce il principio sopra ricordato in termini di pubblicità;
   il sindaco di San Giovanni in Fiore, Giuseppe Belcastro, ha dichiarato, è ricordato nell'articolo, che il governo locale non firmerà «nulla di illegale», «riparando poi – secondo la riferita testata – nella divisione di legge tra funzione di indirizzo politico e responsabilità degli uffici»;
   in una nota del 19 maggio 2016 dell'associazione culturale «La Voce di Fiore» si legge che, con determinazione n. 236 del 31 dicembre 2015, il responsabile del servizio municipale n. 8 del comune di San Giovanni in Fiore ha ritenuto di assegnare alla Asmel consortile soc. cons. S.c.a.r.l. «i servizi di committenza ausiliari, inerenti l'indizione della procedura di gara sulla piattaforma ASMECOMM», con un corrispettivo a carico dell'aggiudicatario «fissato nella misura dell'1,5 per cento dell'importo aggiudicato»;
   al responsabile del summenzionato servizio municipale n. 8 «si chiede – conclude la nota in parola – con urgenza, con la presente informandone anche il sindaco pro tempore, la giunta e il consiglio comunale per una solerte valutazione di dominio pubblico, quali determinazioni intenda assumere alla luce del fatto che in data 2 dicembre 2015, quindi prima della riferita deliberazione, il Tar del Lazio, definitivamente pronunciandosi sul ricorso avverso la deliberazione dell'Anac n. 32/2015, respingendo il medesimo ha confermato in pieno la deliberazione dell'Autorità nazionale anticorruzione in merito al Consorzio Asmez e alla società consortile Amsel»;
   per ultimo, nel citato articolo è scritto, con riferimento a diversa procedura, che «la gara per l'edificio polifunzionale è stata aggiudicata, benché quella struttura, dopo la grave vicenda della mancanza di 377 mila euro nelle casse municipali, dovesse fruttare ben altro al Comune»;
   il 23 marzo 2015 la prima firmataria del presente atto incontrò il commissario del comune di San Giovanni in Fiore, viceprefetto Sergio Mazzia, discutendo anche della gestione del riferito immobile polifunzionale, di proprietà del municipio, per molti anni in mano alla cooperativa di ristorazione «Futura Park», che deve al municipio la riferita cifra e di cui faceva parte un fratello dell'attuale sindaco in carica, negli anni precedenti, addirittura proposto come candidato sindaco della coalizione di centrosinistra e, prima ancora, divenuto consigliere comunale del Partito popolare italiano in seguito alle elezioni municipali del 1996, come si legge al link abbreviato http://bit.ly/29bPWBQ;
   in quella sede, durante il rammentato colloquio con il Commissario dell'ente, emerse la necessità di vendere degli immobili municipali in ragione del dissesto finanziario dell'ente, all'epoca dei fatti già dichiarato in sede di consiglio comunale, nello specifico nel maggio 2014;
   successivamente, il consiglio comunale eletto a seguito delle ultime consultazioni del maggio 2015 levò l'immobile in questione dal novero dei beni da vendere, procedendo ad assegnarne la gestione per lo svolgimento di attività ristorativa privata, in quanto – come riferito in una conferenza stampa dal sindaco di San Giovanni in Fiore, visibile in un video datato 11 maggio 2016 sul sito www.silatv.it – una precedente asta andò deserta, di importo a base pari a euro 1.232.500,00, con estratto pubblicato su Gazzetta Ufficiale, Serie Speciale – 5a contratti pubblici n. 147 del 24 dicembre 2014;
   con determina del responsabile comunale dei servizi tecnici n. 73 del 2 maggio 2016, pubblicata il 3 maggio 2016, l'appalto per la gestione della struttura polifunzionale, con unica offerta pervenuta, è stato aggiudicato con il criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa alla società Ultreia srls di San Giovanni in Fiore (Cs), per un importo contrattuale pari a 28 mila euro di canone annuo, oltre alle tasse di legge;
   l'amministratore unico della predetta società, Barbara Nicastro, nella primavera del 2015 fu, come figura al link abbreviato http://bit.ly/296si7X, candidato consigliere comunale in una lista – denominata «Belcastro sindaco» – d'appoggio all'allora candidato sindaco Giuseppe Belcastro, poi eletto e attualmente segretario del Pd locale, che risulta percepito, a quanto consta agli interroganti, come il referente politico del presidente in carica della regione Calabria, Mario Oliverio;
   il 20 giugno la I Commissione consiliare del comune di San Giovanni in Fiore, preposta alla vigilanza sugli atti dell'ente, si è riunita per affrontare l'aggiudicazione della citata gara per il servizio della raccolta differenziata, ascoltando il responsabile unico del procedimento, geometra Antonio Cantisani;
   alla domanda sulla variazione delle condizioni di gara avvenuta nel periodo di proroga dei termini per la presentazione delle offerte, il responsabile unico del procedimento ha risposto, si legge nel verbale della citata commissione consiliare, che «si è verificata nella proroga la necessità di rivedere il bando per migliorarne il contenuto»;
   alla domanda – racconta il rammentato verbale della commissione consiliare – su un possibile utilizzo indebito della clausola di salvaguardia, nella procedura di gara in parola estesa a soggetti altri dai lavoratori che hanno finora effettuato la raccolta municipale dei rifiuti, costoro appartenenti alla cooperativa locale «Città pulita», il responsabile unico del procedimento ha risposto che «nel bando sono stati messi solo il numero delle unità lavorative e non i nomi e cognomi», benché siano nominati espressamente sei lavoratori – non appartenenti alla cooperativa in parola – in una nota di richiesta di notizie sull'eventuale godimento di mobilità in deroga inviata all'Inps della zona dal responsabile unico del procedimento in argomento, protocollo n. 2422 del 10 febbraio 2016, nella quale si legge che «questo ente ha in corso una procedura di gara ad evidenza pubblica dove è prescritta la salvaguardia dei livelli occupazionali in atto»;
   a parere degli interroganti sono gravissime le criticità sopra evidenziate;
   singolari, in tal senso, appaiono agli interroganti la tempistica, le omissioni, l'ammessa variazione delle condizioni di gara nel periodo di proroga dei termini per la presentazione delle offerte, l'improprio e arbitrario adattamento della cosiddetta «clausola di salvaguardia» e le altre modalità di gestione dell'intera procedura circa la gara per il servizio municipale di raccolta differenziata, nonché tutti i rilevati dubbi sull'affidamento della struttura polifunzionale a una società privata di ristorazione, a partire dall'importo del canone annuo, mentre il comune in argomento è in dissesto finanziario;
   con avviso di aggiudicazione provvisoria del comune di San Giovanni in Fiore, prot. n. 7706/2016, è stata resa nota la graduatoria delle prime due società partecipanti, a seguito dell'espletamento delle procedure della gara in predicato, CIG:65437129F6; dalla suddetta gara risulta essere prima aggiudicataria in via provvisoria l'associazione temporanea di imprese costituita da «Presila Cosentina spa» di Rogliano e «Locride Ambiente spa»;
   in un articolo della giornalista Alessia Truzzolillo, apparso il 1o giugno 2016 sul Corriere della Calabria, si precisa, sulla scorta della testimonianza resa da un pentito di ’ndrangheta, il rapporto che esisterebbe tra il clan Pesce di Rosarno ed Eugenio Guarascio, presidente di «Ecologia oggi», che è azionista privato di «Presila Cosentina spa»; nell'articolo è riportato l'estratto di una dichiarazione del citato collaboratore di giustizia, per cui «i Pesce hanno fatto assumere persone da questo Guarascio lì a Gioia Tauro» –:
   alla luce delle circostanze evidenziate in premessa, se non si ritenga di valutare se sussistono i presupposti per l'invio di una commissione di accesso presso il comune di San Giovanni in Fiore, ai sensi dell'articolo 143 del testo unico degli enti locali;
   se e quali verifiche, per quanto di competenza, si intendano svolgere o siano state svolte in relazione a quanto sopra esposto, anche per il tramite della commissione per la stabilità finanziaria degli enti locali, considerato che il comune si trova in situazione di dissesto finanziario.
(4-13749)


   SCOTTO, FRATOIANNI, PALAZZOTTO, COSTANTINO, QUARANTA, D'ATTORRE e NICCHI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 5 luglio 2016 un nigeriano di 36 anni, Emmanuel Chidi Namdi richiedente asilo, veniva aggredito mentre camminava in via XX Settembre a Fermo insieme alla compagna Chinyery, 24 anni, non lontano dal seminario arcivescovile di Fermo, dove la coppia era ospite;
   la coppia stava camminando per la strada, quando un uomo seduto su una panchina con un amico ha cominciato a provocarli e a insultarli, chiamando la donna «scimmia africana»;
   dopo gli insulti dei due uomini, Emmanuel Chidi Namdi si era avvicinato per chiedere spiegazioni e a quel punto dai due sono partite le violenze fisiche. Emmanuel veniva colpito alla nuca con un palo della segnaletica e una volta messo a terra si accanivano su di lui con calci e pugni;
   Emmanuel veniva portato nel locale ospedale e nel pomeriggio seguente i medici decretavano la morte cerebrale di Namdi;
   la sua compagna Chinyery ha chiesto la donazione degli organi, ma il suo desiderio non è stato esaudito per la mancanza dei documenti necessari;
   i responsabili del pestaggio a morte venivano identificati in Amedeo Mancini e un suo amico. In particolare il primo, vicino ad ambienti di estrema destra e frequentatore della curva della tifoseria locale, già noto alle forze di polizia e destinatario di daspo, veniva dapprima denunciato a piede libero e, in seguito alla morte di Emmanuel, veniva arrestato con l'accusa di omicidio preterintenzionale con l'aggravante della finalità razziale;
   Emmanuel Chidi Namdi e la compagna Chinyery avevano fatto richiesta di asilo in Italia. Erano arrivati al seminario vescovile di Fermo, che accoglie profughi e migranti, lo scorso settembre. I due se ne erano andati dalla Nigeria dopo l'assalto di Boko Haram ad una delle chiese cristiane del posto: nell'esplosione erano morti i genitori dell'uomo e una figlioletta. Passando dalla Libia, erano sbarcati a Palermo. Un viaggio difficile e ancora una volta costellato di lutti: in Libia erano stati aggrediti e picchiati da malviventi del posto e lei aveva subito un aborto durante la traversata;
   la coppia aveva di recente celebrato i rito della benedizione degli anelli, alla presenza di don Vinicio Albanesi, presidente della comunità di Capodarco ed era in attesa dei documenti per potersi sposare;
   Chinyery, che è stata anch'essa malmenata durante l'aggressione a Fermo riportando escoriazioni alle braccia e a una gamba, guaribili, in sette giorni, studia medicina. L'università di Ancona si è offerta si farle proseguire gli studi, mentre l'università di Perugia si è messa a disposizione per permetterle di frequentare un corso di italiano;
   centinaia di mail e telefonate sono giunte alla comunità di Capodarco a supporto di Chinyery e l'appello per la concessione della cittadinanza italiana a Chinyery ha già raggiunto in poche ore decine di migliaia di sottoscrizioni sul sito change.org –:
   se il Governo anche alla luce di quanto esposto in premessa, non intenda assumere le iniziative di competenza al fine di verificare se sussistano i presupposti per conferire la cittadinanza italiana a Chinyery Emmanuel secondo quanto previsto dal comma 2 dell'articolo 9 della legge 5 febbraio 1992 n. 91. (4-13753)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GALGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo il comma 6 dell'articolo 1 della legge n. 107 del 2015 (la cosiddetta «Buona Scuola»): «Le istituzioni scolastiche effettuano le proprie scelte in merito agli insegnamenti e alle attività curricolari, extracurricolari, educative e organizzative e individuano il proprio fabbisogno di attrezzature e di infrastrutture materiali, nonché di posti dell'organico dell'autonomia di cui al comma 64»;
   ai commi 56 e 57 dell'articolo 1, la suddetta legge fa esplicito riferimento al «Piano nazionale per la scuola Digitale», evidenziando come «al fine di sviluppare e di migliorare le competenze digitali degli studenti e di rendere la tecnologia digitale uno strumento didattico di costruzione delle competenze in generale, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca adotta il Piano nazionale per la scuola digitale, in sinergia con la programmazione europea e regionale e con il Progetto strategico nazionale per la banda ultralarga» e ancora «a decorrere dall'anno scolastico successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore della presente legge, le istituzioni scolastiche promuovono, all'interno dei piani triennali dell'offerta formativa e in collaborazione con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, azioni coerenti con le finalità, i principi e gli strumenti previsti nel Piano nazionale per la scuola digitale di cui al comma 56»;
   la legge sulla «Buona Scuola», inoltre, al comma 58 dell'articolo 1 specifica gli obiettivi del Piano nazionale per la scuola digitale « a) realizzazione di attività volte allo sviluppo delle competenze digitali degli studenti, anche attraverso la collaborazione con università, associazioni, organismi del terzo settore e imprese, nel rispetto dell'obiettivo di cui al comma 7, lettera h); b) potenziamento degli strumenti didattici e laboratoriali necessari a migliorare la formazione e i processi di innovazione delle istituzioni scolastiche; d) formazione dei docenti per l'innovazione didattica e sviluppo della cultura digitale per l'insegnamento, l'apprendimento e la formazione delle competenze lavorative, cognitive e sociali degli studenti»;
   infine il comma 59 dell'articolo 1 è dedicato ai docenti per il coordinamento delle attività del Piano nazionale per la scuola digitale, stabilendo che «le istituzioni scolastiche possono individuare, nell'ambito dell'organico dell'autonomia, docenti cui affidare il coordinamento delle attività di cui al comma 57. Ai docenti può essere affiancato un insegnante tecnico-pratico»;
   dunque, secondo le finalità del Governo e del Parlamento, l'informatica e l'informatizzazione sono due dei pilastri fondamentali per la formazione degli studenti. Tanto che nella nota divulgativa relativa alla legge n. 107 del 2015 si evidenzia che «il nostro è il secolo dell'alfabetizzazione digitale: la scuola ha il dovere di stimolare i ragazzi a capire il digitale oltre la superficie. A non limitarsi ad essere “consumatori del digitale”. A non accontentarsi di utilizzare un sito web, una app, un videogioco ma a progettarne uno. Perché programmare non serve solo agli informatici, serve a tutti, e serve al nostro Paese per tornare a crescere, aiutando i nostri giovani a trovare lavoro e a crearlo per sé e per gli altri»;
   è lo stesso Governo ad indicare il punto di arrivo delle previsioni della legge cosiddetta della «Buona Scuola» specificando che «si dovrà promuovere l'informatica per ogni indirizzo scolastico. Fin dal prossimo anno vogliamo attivare un programma per Digital Maker, sostenuto dal Ministero e anche da accordi con la società civile, le imprese, l'editoria digitale innovativa. Concretamente ogni studente avrà l'opportunità di vivere un'esperienza di creatività e di acquisire consapevolezza digitale»;
   tuttavia, se si vanno a guardare i numeri dei posti di potenziamento relativi all'anno scolastico 2016/2017 si scopre che, ad oggi, per l'informatica ne sono stati previsti 6 in tutta Italia, contro i 147 di matematica e fisica e i 501 di diritto;
   eppure in Italia ci sono circa 8 mila docenti abilitati all'insegnamento dell'informatica nelle scuole secondarie e, anche a fronte di una consistente richiesta di potenziamento della materia presentata dagli istituti delle rispettive regioni, questi si troveranno a dover essere trasferiti altrove perché hanno ricevuto una proposta di assunzione soprattutto nel Nord Italia con la «fase B» del piano straordinario di assunzioni della legge sulla «Buona Scuola»;
   nel caso specifico dell'Umbria, ad esempio, si tratta di docenti abilitati all'insegnamento di matematica, fisica e informatica, della provincia di Perugia, che sono stati assunti fuori regione con la cosiddetta «fase B» del piano straordinario di assunzioni della legge sulla «Buona scuola» e che, da almeno 6 anni (alcuni addirittura 12), lavorano come supplenti nelle scuole superiori della provincia di Perugia, principalmente insegnando matematica e fisica;
   docenti che hanno scelto di lavorare nella scuola, che hanno investito in questo lavoro molti anni della loro vita, sebbene fossero precari, con passione e con dedizione, insegnando materie che hanno studiato e approfondito e nella cui didattica si sono specializzati;
   grazie all'abilitazione in informatica, a settembre 2015, è stata fatta loro una proposta di assunzione per insegnare questa disciplina nelle regioni del Nord Italia, dove mancano docenti di informatica. Proposta che hanno dovuto accettare pena il «depennamento» da tutte le graduatorie nelle quali erano inseriti, lasciando così scoperti i posti nelle scuole in Umbria;
   i colleghi, che si trovavano nelle stesse graduatorie di matematica e fisica, ma non sono abilitati in informatica, sono rientrati nella fase successiva del piano di assunzioni (fase c) ottenendo una cattedra nell'organico di potenziamento in provincia di Perugia in matematica o in fisica;
   di fatto, dunque, questi docenti si sono visti penalizzati per aver voluto prendere un'abilitazione in più rispetto agli altri docenti, ovvero quella in informatica, e si sono visti scavalcati non solo dai colleghi delle GAE (Graduatorie ad esaurimento) con meno punti, ma anche dai docenti che saranno assunti con il nuovo concorso. Anche se la legge sulla «Buona scuola» considera l'informatica come una delle materie chiave per la formazione degli studenti, nel Perugino le numerose richieste di potenziamento per la materia avanzate dalle scuole non verranno soddisfatte nonostante — questo il paradosso — ci siano docenti che potrebbero farlo e che, invece, si troveranno ad essere trasferiti nel Nord Italia;
   nel caso dell'Umbria, infatti, per l'insegnamento dell'informatica sono stati messi a concorso solo 3 posti proprio a seguito dell'assunzione degli insegnanti sopra richiamati fuori regione;
   una condizione che accomuna circa 8 mila docenti in tutto il Paese e che, tra l'altro, potrebbe essere sanata in parte se venissero accolte le richieste delle scuole riguardo l'organico di potenziamento, come previsto dalla legge sulla «Buona scuola» –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per far fronte alle richieste di potenziamento per l'insegnamento dell'informatica presentate dalle singole scuole e per garantire la puntuale applicazione delle previsioni della legge «Buona scuola» in relazione in particolare al piano nazionale per la scuola digitale, facendo in modo che l'insegnamento dell'informatica venga garantito in tutte le scuole. (5-09122)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con precedenti atti di sindacato ispettivo, sono stati chiesti alcuni dati necessari per predisporre la prossima salvaguardia dei cosiddetti esodati, restanti dopo il 2018, esclusi dalle precedenti manovre e, dunque, ancora privi di tutele;
   costoro sono stati ingiustamente esclusi dalle sette salvaguardie precedenti, poiché il diritto previdenziale matura in data successiva al 2018, a causa dell'applicazione del progressivo incremento dell'aspettativa di vita (legge n. 111 del luglio 2011) e dell'aumento del requisito anagrafico stabilito dalla «legge Fornero» n. 214 del 2011, particolarmente penalizzante per le donne e non previsto al momento in cui sono stati sottoscritti gli accordi di esodo o di mobilità, ossia entro il 31 giugno 2011;
   sul punto, tra l'altro, l'interrogante ha recentemente presentato una risoluzione in Commissione lavoro (risoluzione n. 7/00983) per l'abolizione dell'incremento dell'aspettativa di vita, che si basa su parametri previsionali e non reali, come dimostrano i recenti dati che attestano un calo dell'aspettativa di vita; 
   inoltre, all'interno della categoria degli esodati postali over 2018, alcune persone, soprattutto donne, maturerebbero il requisito anagrafico entro il 2018 altre in anni successivi, anche se nate dopo pochi mesi nel 1957. Si tratta delle nate tra il 1956 il 1957 che hanno firmato l'accordo irrevocabile entro giugno 2011, ossia quando ancora non erano vigenti la legge n. 111 del 2011 del 15 luglio 2011, articolo 18, nonché la «legge Fornero» che prevede l'aumento del requisito anagrafico di 5 mesi ogni anno dal 2018. Oltre all'ingiustizia sull'applicazione di una norma non prevista al momento dell'accordo, la stessa, come noto, determina un notevole incremento anagrafico e la sua progressività, congiunta alla prevista aspettativa di vita, genera disparità di trattamento fra coloro che sono nate nello stesso anno, poiché le nate nel primo trimestre del 1957 maturerebbero il requisito anagrafico entro dicembre del 2018, mentre le nate nell'ultimo trimestre del 1957, invece, maturerebbero tale requisito addirittura nel 2021; pertanto, un'apposita clausola dovrebbe tutelare tutte le nate nel 1957;
   ad oggi, altra questione che ha impedito la salvaguardia di questi lavoratori è l'impossibilità di riconoscere, ufficialmente, la loro consistenza numerica. Tuttavia, con risposta all'atto n. 5/08687 presentato dall'interrogante è stato comunicato che il numero degli esodati cosiddetti ex postali con maturazione del diritto oltre il 2018 è pari a 82 lavoratori, individuati dalle domande non accolte delle precedenti sette salvaguardie. Al riguardo, ai fini della prossima salvaguardia, è necessario conoscere alcuni dati che possono fornire il Ministero del lavoro e delle politiche sociali e la direzione generale all'Inps;
   è necessario altresì tenere conto, oltre che degli 82 lavoratori individuati, anche della platea di ex postali che non hanno presentato alcuna domanda nelle precedenti salvaguardie, applicando poi un numero complessivo che non supera i 250 soggetti; lo stesso criterio andrà applicato a 200 esodati ex Alitalia LAI CAI con maturazione del diritto oltre il 2018;
   sarebbe opportuno, nella prossima salvaguardia, non stabilire un limite temporale per la maturazione del requisito (un anno limite il 2018 o 36 mesi per i mobilitati), ma fare mero riferimento ad un diritto di legittima aspettativa acquisito prima della «legge Fornero» con un accordo o il licenziamento, tra il 2007 e il 2011;
   per quanto concerne la copertura finanziaria della manovra di salvaguardia è chiaro che si farà riferimento al fondo appositamente istituito per gli esodati, a cui dovranno, anche confluire le risorse non utilizzate nelle precedenti salvaguardie nonché nuove risorse, al fine di recuperare i fondi rientrati nelle economie del Ministero dell'economia e delle finanze e quelli spesi per altri scopi (come, ad esempio, il Giubileo) –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
   quale sia la distribuzione per anno, dopo il 2018, degli 82 lavoratori ex postali, in modo da stabilire le risorse economiche necessarie di anno in anno per la salvaguardia, considerando poi un numero tendenziale della platea da salvaguardare che sia di circa 250 lavoratori ex postali;
   quale sia la distribuzione, anno per anno dopo il 2018, dei lavoratori che hanno fatto istanza nelle precedenti sette salvaguardie alla direzione generale dell'Inps, in modo da stabilire le risorse economiche necessarie, tenendo presente che su 49.361 domande non accolte andranno considerate solo circa 10.000 domande, poiché andranno sottratti i numeri concernenti: le istanze presentate più volte dal medesimo soggetto (tra una salvaguardia e l'altra); i soggetti che hanno poi ottenuto salvaguardia successivamente; i casi diniego per coloro che non sono considerati esodati perché usciti dal lavoro dopo la «legge Fornero» e dopo il 31 dicembre 2011;
   se e quali iniziative intenda adottare per individuare definitivamente il numero degli esodati, aventi decorrenza pensionistica oltre il 2018 e nati dopo il 31 dicembre 1956, al fine di includerli quali beneficiari dell'ottava salvaguardia.
(5-09123)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta orale:


   CANI e MARROCU. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione internazionale Iccat, riunitasi il 17 novembre 2014 a Genova, ha preso in considerazione la possibilità di un aumento del 20 per cento per il 2015 delle quote di tonno rosso pescabile in quanto il controllo scientifico in atto per il monitoraggio dello stock di tonno ne ha rilevato un leggero aumento presumibilmente dovuto ad un corrispondente aumento della temperatura del mare, avvenuta in questi anni a causa dei cambiamenti climatici;
   per quanto riguarda l'Italia si passerà dalle attuali 1.950 tonnellate alle oltre 2.300 tonnellate nel 2015;
   tenendo conto della realtà odierna, oltre alle previste misure contro la pesca illegale non dichiarata e non regolamentata, bisognerebbe considerare un riequilibrio di assegnazione delle quote di pesca in base alle tecniche adottate. Sino ad oggi il Governo italiano ha assegnato la ripartizione delle quote mediante il decreto del 13 maggio 2014 assegnando ben il 75 per cento alla pesca a circuizione (così dette tonnare volanti), il 13,5 per cento ai palangari, solo l'8 per cento alle tonnare fisse e oltre il 10 per cento alla pesca sportiva ed indiviso;
   appare necessario un riequilibrio della ripartizione delle suddette quote prevedendo una ripartizione che assegni il 30 per cento delle quote alle tonnare fisse, un 30 per cento alla pesca con i palangari, un 30 per cento per la circuizione e il 10 per cento per la pesca sportiva e indiviso. Questa nuova ripartizione contribuirebbe non poco a salvaguardare la specie e aumentarne così la popolazione, in quanto le tonnare fisse rappresentano la pesca ecologicamente più sostenibile e con forti tradizioni locali come nel caso di quelle di Portoscuso e Carloforte;
   un ulteriore aspetto da valutare è quello relativo all'aumento del peso della taglia del pescato attualmente stabilito in 30 chilogrammi ossia quando il tonno è all'inizio della sua maturità sessuale e della fase riproduttiva; è quindi necessario prevedere un parametro diverso per dare il giusto tempo al tonno di riprodursi naturalmente. In pratica, la piccola taglia del pescato determina il fatto che oltre il 90 per cento viene portato nelle gabbie ad ingrasso per soddisfare la richiesta del mercato che richiede taglie ben superiori –:
   se il Ministro interrogato intenda intervenire per riequilibrare la ripartizione delle quote prevedendone l'assegnazione del 30 per cento a ciascuna delle tipologie di pesca quali tonnare fisse, pesca con i palangari e circuizione ed il rimanente 10 per cento per la pesca sportiva e «indiviso»;
   se si intenda aumentare il peso della taglia minima del pescato oggi fissato in 30 chilogrammi. (3-02375)


   TARICCO, CAPOZZOLO, TERROSI e ANTEZZA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Popillia japonica è un coleottero parassita, lungo circa 12 millimetri, con torace verde dorato che mangia le radici delle piante; può attaccare 295 specie vegetali, coltivate o spontanee, di cui almeno cento di forte interesse economico, come il mais, la vite, il pomodoro, alberi da frutto come vite, nocciolo, meli, piccoli frutti e ancora tiglio, acero, faggio, betulla, ontano, soia, erba medica, fagioli, asparagi, zucchine, rose, dalie;
   le sue larve bianche mangiano sottoterra le radici delle piante e, quando sono numerose, possono fare sparire un intero prato, tanto che nella normativa fitosanitaria quest'insetto è inserito fra gli organismi di quarantena, di cui deve essere vietata l'introduzione e la diffusione nel territorio dell'Unione europea;
   la Popillia japonica è originaria del Giappone ed è stata scoperta a Turbigo, nel parco del Ticino, non lontano da Malpensa, nel luglio del 2014; era già presente in Europa, ma soltanto nelle isole Azzorre;
   secondo la Banca dati mondiale delle specie invasive sono oltre 200 quelle presenti nel nostro Paese e i commerci spregiudicati o incoscienti, il turismo o più semplicemente incauti spostamenti di persone e materiali possono essere causa di calamità;
   è risaputo che negli Stati Uniti, dove è presente dal 1916, il coleottero giapponese rappresenta la specie di insetto infestante più diffusa e, secondo il dipartimento di agricoltura degli Usa, gli interventi di controllo arrivano a costare più di 460 milioni di dollari all'anno; pertanto, nella graduatoria delle specie infestanti più nocive, la Popillia japonica è sul terzo gradino del podio;
   va considerato che durante quest'inverno non c’è stato un vero gelo, così gli insetti che normalmente non passano la stagione vivi, come i pidocchi delle piante, le farfalle dei gerani, le zanzare, sono sopravvissuti e anche quelli che dovrebbero subire una forte riduzione, non sono affatto indeboliti;
   per debellare l'attacco di questo parassita, sono state usate trappole attrattive, per catturare migliaia di esemplari e distruggerli, ma anche insetticidi, chiaramente nei limiti consentiti per i trattamenti chimici;
   fondamentale è trovare un antagonista naturale, così come si è fatto con l'insetto parassitoide Torymus contro il cinipide galligeno del castagno, per ricostruire un equilibrio ecologico; ma i tempi per questo risultato sono a tre, cinque o dieci anni;
   i coltivatori sono chiaramente molto preoccupati dalla globalizzazione dei parassiti, in quanto ci si trova a fare i conti con specie originarie dell'Asia o delle Americhe, per le quali l'ambiente italiano non è preparato e non ha predatori naturali;
   così come il dipartimento di scienze agrarie, forestali e alimentari dell'università di Torino sta sperimentando un sistema radar contro la vespa velutina, la cosiddetta vespa «killer» delle api, allo stesso modo è necessario che la ricerca e la sperimentazione di nuove tecniche di monitoraggio e di prevenzione ad ampio raggio, tutelino campi e coltivazioni da queste nuove specie aggressive di parassiti (come la Diabrotica del mais, il tarlo asiatico, la Xylella) in tempi utili a preservare raccolti e frutti;
   le organizzazioni di categoria di alcune province del nord Italia hanno lanciato l'allarme sulla presenza della Popillia japonica, in aree peraltro dove l'agricoltura è già pesantemente penalizzata dalla presenza con danni ingenti di animali selvatici e quindi molto sensibile e preoccupata da ogni nuova potenziale difficoltà che possa pregiudicare le prospettive delle produzioni e del territorio –:
   se il Governo sia in possesso di informazioni circa il problema e la sua pericolosità e i rischi potenziali per i territori;
   se e quali iniziative il Ministro intenda mettere in atto per affrontare i rischi ed i potenziali danni a colture e territori da questo nuovo aggressivo parassita. (3-02376)


   SIMONETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 sono state oltre mille le stalle da latte chiuse, il 60 per cento delle quali in montagna, con una media di una stalla su cinque, con effetti drammatici sull'economia, sulla sicurezza alimentare e sul presidio ambientale nonché sull'occupazione;
   il latte agli allevatori viene pagato ben al di sotto dei costi di produzione infatti, nell'ultimo anno il prezzo a loro corrisposto è sceso a 34 centesimi al litro, ben al di sotto dei costi di produzione, stimanti in un valore medio compreso tra i 38 e i 41 centesimi;
   con la continua e crescente importazione di latte (circa il 42 per cento del latte consumato) dai Paesi esteri, in particolare dall'Est Europa — che ha costi inferiori ed è di scarsa qualità – si sta verificando una situazione insostenibile per i produttori italiani, in particolare quelli piemontesi. Ogni giorno si assiste al passaggio presso il passo del Brennero di Tir provenienti in particolare da Romania e Ucraina, che trasportano il latte nel nostro Paese;
   in questi Paesi dell'Est europeo sembra che non sussistano normative così rigorose come nel nostro. In particolare, sembra che in Ucraina le mucche vivano allo stato brado e che il latte venga raccolto senza un grande rispetto delle norme igieniche. Inoltre, il latte, perché non fermenti durante il viaggio, deve subire un trattamento chimico-termico particolare;
   il Piemonte è la quarta regione in Italia per produzione di latte con i suoi 8 milioni di quintali annui e 2.000 aziende produttrici con 8.000 posti di lavoro e 390 milioni di produzione lorda vendibile. Oltre il 70 per cento del latte prodotto viene destinato alla trasformazione casearia e il 25 per cento riservato alla preparazione di formaggi dop con oltre 30 caseifici storici;
   il Piemonte si fregia di 6 dop regionali, Bra, Castelmagno, Murazzano, Robiola di Roccaverano, Torna Piemontese e una interregionale, il Gorgonzola;
   nel 2015 in provincia di Vercelli si contavano 347 allevamenti bovini per un totale di 11.956 capi, che si sommano ai 570 allevamenti del Biellese con i loro 20.841 capi;
   nel Vercellese e nel Biellese non può esistere agricoltura senza zootecnia. Eppure il rischio è che questo importante patrimonio culturale, economico e identitario vada perduto per sempre, per colpa di una crisi senza precedenti che sta mettendo a rischio il futuro delle imprese del settore lattiero caseario;
   sembra che dei contributi europei, ripartiti in Piemonte, solo 6 milioni siano stati destinati alle ditte di trasformazione che lavorano prodotto italiano. Sarebbe opportuno che si verificasse attentamente la ripartizione dei fondi del Psr (piano di sviluppo rurale) e che realmente siano destinati alle imprese che lavorano esclusivamente latte piemontese e italiano;
   tre cartoni di lattea lunga conservazione su quattro venduti in Italia sono stranieri, mentre la metà delle mozzarelle sono fatte con latte o addirittura cagliate provenienti dall'estero, soprattutto dai Paesi dell'Est Europa. Il consumatore finale è allo scuro di tutto ciò perché non esiste l'obbligo di indicare in etichetta l'origine degli alimenti;
   con una consultazione pubblica online sull'etichettatura dei prodotti agroalimentari condotta dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali da novembre 2014 a marzo 2015, l'89 per cento dei consumatori ritiene che la mancanza di etichettatura, di origine possa essere ingannevole per i prodotti lattiero caseari;
   per garantire al consumatore un prodotto di qualità e totalmente « made in Italy» è necessaria una corretta e completa informazione sulla provenienza della materia prima, ovvero il latte utilizzato per la produzione di prodotti lattiero caseari;
   trasparenza e chiarezza sono indispensabili affinché le risorse messe in campo da parte dell'Europa, ma anche dal nostro Paese siano realmente destinate alla trasformazione del latte, anche per far fronte a questo momento di profonda crisi che sta attraversando il comparto della zootecnia da latte;
   è necessaria e urgente una «boccata d'ossigeno» per non far chiudere per sempre le stalle italiane –:
   se non sia quanto mai necessario ed urgente assumere iniziative per prevedere l'obbligo di etichettatura di origine del latte anche come materia prima nei prodotti lattiero caseari, al fine di fermare le importazioni dall'estero, che potrebbero essere poi spacciate come « made in Italy», e sostenere i produttori di latte italiani, e in particolare piemontesi, che lamentano di essere sottopagati dall'industria anche per la concorrenza del latte dell'Est Europa. (3-02377)


   FANUCCI e COVA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa di previdenza e assistenza di fantini, guidatori e allenatori, fondata nel 1968, ha lo scopo di assistere i professionisti ippici durante e al termine della propria attività, sia dando supporto nel caso di incidenti dovuti alla pericolosità della professione svolta, sia facendo fronte alla precarie condizioni economiche in cui si venivano e si vengono a trovare allenatori, guidatori e fantini, al termine della loro carriera professionale;
   la predetta Cassa viene finanziata in parte, con contributi diretti dei soci; per una parte maggioritaria, dalle quote provenienti dalle multe erogate dagli organi di disciplina a carico dei professionisti ippici; e infine con una contribuzione annuale disposta dall'ente competente (ora il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) e prelevata dai fondi destinati alle categorie ippiche;
   la delibera del Consiglio d'amministrazione UNIRE (ora Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali) n. 179 del 29 dicembre 2009, dispone che – dal 1o gennaio 2010 – gli importi delle sanzioni pecuniarie inflitte sul campo siano versati al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali che li destina poi, con apposito provvedimento, al finanziamento della Cassa di previdenza assistenza di fantini, guidatori e allenatori;
   la delibera commissariale ASSI (Agenzia dello sviluppo del settore ippico — ex UNIRE ora Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali n. 21 del 5 aprile 2012, in adempimento a quanto disposto dalla suddetta delibera n. 179, stabilisce le quote di ripartizione delle multe in questione destinando alla predetta Cassa la quota dell'80 per cento;
   le rilevazioni effettuate dalla «PQAI VII – Corse e manifestazioni ippiche», individuano nell'importo di euro 561.967,44 il montante delle multe comminate sul campo ad allenatori guidatori trotto negli anni 2010 all'anno 2014 e di euro 78.561,00 il montante delle multe irrogate sul campo ad allenatori fantini galoppo negli anni 2012-2014 per un totale complessivo di euro 640.528,44;
   con decreto del 30 dicembre 2015, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali provvedeva impegnare la somma complessiva 512.422,75 (quale saldo della quota pari all'80 per cento delle multe inflitte sul campo delle corse ippiche trotto e galoppo) nei confronti della Cassa nazionale di assistenza e previdenza degli allenatori guidatori trotto e allenatori fantini galoppo, somme che, però, non sono ancora state stanziate;
   da marzo 2013 (oltre 3 anni) gli assistiti della Cassa di previdenza e assistenza di fantini, guidatori e allenatori non percepiscono più il loro sussidio –:
   per quali motivi non si sia ancora provveduto al trasferimento degli importi già stanziati dal decreto 30 dicembre 2015 alla Cassa nazionale di assistenza e previdenza degli allenatori guidatori trotto e allenatori fantini galoppo. (3-02378)


   CAPOZZOLO e FAMIGLIETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni compresi tra il 25 e il 26 aprile 2016 il comprensorio irpino è stato colpito da una intensa ondata di maltempo;
   la gelata tardiva che ha interessato suddetta area ha arrecato danni ingentissimi ai vigneti, in particolar modo a quelli ubicati nelle vicinanze dei torrenti d'acqua, nelle vallate e nelle zone più basse;
   si sono registrati ingentissimi danni acuiti dalla stagione che vede le piante giunte nella fase fenologica di «grappoli separati» e pertanto maggiormente vulnerabili alle gelate;
   sulla base delle informazioni raccolte dagli enti locali e dalle organizzazioni di categoria i danni in particolare alla viticoltura purtroppo si ripercuoteranno anche sull'annata successiva poiché per le varietà guyot, difficilmente si potrà ottenere un tralcio fruttifero mentre per le varietà allevate a cordone, molti speroni non emetteranno germogli;
   i territori colpiti per l'area del Taurasi sono Taurasi, Bonito, Castelfranci, Castelvetere sul Calore, Fontanarosa, Lapio, Luogosano, Mirabella Eclano, Montefalcione, Montemarano, Montemiletto, Paternopoli, Pietradefusi, 5, Angelo all'Esca, S. Mango sul Calore, Torre le Nocelle e Venticano;
   per l'area del Fiano i comuni interessati sono quelli di Avellino, Lapio, Atripalda, Cesinali, Aiello del Sabato, S. Stefano del Sole, Sorbo Serpico, Salza Irpina, Parolise, S. Potito Ultra, Candida, Manocalzati, Pratola Serra, Montefredane, Grottolella, Capriglia Irpina, S. Angelo a Scala, Summonte, Mercogliano, Forino, Contrada, Monteforte Irpino, Ospedaletto D'Alpinolo, Montefalcione, Santa Lucia di Serino e San Michele di Serino;
   infine per l'area del Greco di Tufo, Denominazione di origine controllata e garantita: Tufo, Altavilla Irpina, Chianche, Montefusco, Prata di Principato Ultra, Petruro Irpino, Santa Paolina e Torrioni;
   danni poi si registrano anche in altre realtà sempre dell'Irpinia;
   organizzazioni di categoria, enti locali e anche gli uffici regionali del competente assessorato risultano essersi attivati per valutare l'opportunità di misure di sostegno ad un comparto di assoluta rilevanza dell'economia territoriale –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato per il sostegno alla viticoltura irpina così duramente colpita dalla tardiva ondata di maltempo invernale del 26 aprile 2016 valutando anche l'opportunità di predisporre misure a tutela degli operatori in considerazione dei danni perduranti, anche in vista delle prossime annate.
(3-02379)


   PARENTELA, L'ABBATE, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GALLINELLA, DE ROSA, BUSTO, CRIPPA e GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la popillia japonica è un piccolo scarabeo asiatico in grado di attaccare fino a trecento specie vegetali. L'insetto è giunto in Europa continentale da poco tempo, prima era stato individuato solo nelle Azzorre. Dall'estate scorsa si susseguono gli avvistamenti nel parco del Ticino e in altre zone tra Lombardia e Piemonte;
   negli Stati Uniti, dove è comparso per la prima volta all'inizio del Novecento, «venivano stimati già nel 2004 costi di circa 450 milioni di dollari per la lotta all'insetto e per i danni arrecati», spiega un documento della regione Piemonte pubblicato a fine febbraio. «Per i gravi danni che può arrecare è inserito tra gli organismi di quarantena (direttiva 2000/29 CE e lista A2 dell’Eppo-European and Mediterranean Plat Protection Organization) di cui deve essere vietata l'ulteriore introduzione e diffusione in altre aree europee», scrive Davide Michelatti, dirigente del settore fitosanitario della regione Piemonte. «Gli adulti, che volano da giugno a settembre, sono polifagie negli Stati Uniti si alimentano su oltre 300 specie vegetali tra cui sono comprese piante spontanee, ornamentali, colture di pieno campo, da frutto e forestali. Tra le specie d'interesse agrario si possono ricordare: mais, melo, pesco, soia, vite e molte altre»;
   «Il settore fitosanitario del Piemonte, in collaborazione con l'Ente Parco del Ticino, ha subito attivato i primi interventi di monitoraggio sulla diffusione dell'insetto e di contrasto allo sviluppo della sua popolazione mediante raccolta manuale degli adulti sulla vegetazione e sistemazione di una sessantina di trappole per la cattura massaie. Complessivamente sono stati raccolti circa 27.500 esemplari». Da questi dati è partita la decisione di compiere un ulteriore passo avanti: individuare le aree del focolaio e quelle tampone. In tutto sono coinvolti i territori, interi o per alcune parti, dei comuni di Pombia, Marano Ticino, Oleggio, Bellinzago Novarese, Cameri e Galliate, Romentino, Mezzomerico, Divignano, Varallo Pombia e Novara;
   anche in America, nonostante i massicci investimenti, non è riuscita l'eradicazione dello scarabeo. E come avverte l'agronomo dell'università di Catania Santi Longo sul periodico dell'Accademia dei georgofili, il pericolo è duplice perché l'insetto attacca le piante da sopra e da sotto: «Gli adulti, lunghi in media 1 centimetro, dal torace verde brillante e dalle ali color rame o bronzo, con caratteristici ciuffi di peli bianchi ai margini dell'addome, si alimentano di foglie, fiori e frutti, mentre le larve terricole rodono le radici di piante erbacee spontanee e coltivate». Non a caso è stata anche descritta come «la larva che può mangiare un prato da sotto» –:
   se non si ritenga opportuno intervenire urgentemente affinché vengano attivate tutte le procedure necessarie per circoscrivere ed eradicare eventuali ulteriori altri focolai nonché impedire la diffusione della popillia japonica sul territorio nazionale;
   se non si ritenga altresì opportuno, sentiti i pareri degli enti di ricerca e gli istituti zooprofilattici, elaborare una strategia che preveda un intervento diretto sullo scarabeo asiatico, la limitazione del proliferare delle popolazioni tramite le trappole per il controllo degli adulti, i trattamenti larvici nonché l'utilizzo della lotta integrata. (3-02381)

Interrogazione a risposta scritta:


   CANI e MARROCU. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione internazionale Iccat, riunitasi il 17 novembre 2014 a Genova, ha preso in considerazione la possibilità di un aumento del 20 per cento per il 2015 delle quote di tonno rosso pescabile in quanto il controllo scientifico in atto per il monitoraggio dello stock di tonno ne ha rilevato un leggero aumento presumibilmente dovuto ad un corrispondente aumento della temperatura del mare, avvenuta in questi anni a causa dei cambiamenti climatici;
   per quanto riguarda l'Italia si passerà dalle attuali 1.950 tonnellate alle oltre 2.300 tonnellate nel 2015;
   tenendo conto della realtà odierna, oltre alle previste misure contro la pesca illegale non dichiarata e non regolamentata, bisognerebbe considerare un riequilibrio di assegnazione delle quote di pesca in base alle tecniche adottate. Sino ad oggi il Governo italiano ha assegnato la ripartizione delle quote mediante il decreto del 13 maggio 2014 assegnando ben il 75 per cento alla pesca a circuizione (così dette tonnare volanti), il 13,5 per cento ai palangari, solo l'8 per cento alle tonnare fisse e oltre il 10 per cento alla pesca sportiva ed indiviso;
   appare necessario un riequilibrio della ripartizione delle suddette quote prevedendo una ripartizione che assegni il 30 per cento delle quote alle tonnare fisse, un 30 per cento alla pesca con i palangari, un 30 per cento per la circuizione e il 10 per cento per la pesca sportiva e indiviso. Questa nuova ripartizione contribuirebbe non poco a salvaguardare la specie e aumentarne così la popolazione, in quanto le tonnare fisse rappresentano la pesca ecologicamente più sostenibile e con forti tradizioni locali come nel caso di quelle di Portoscuso e Carloforte;
   un ulteriore aspetto da valutare è quello relativo all'aumento del peso della taglia del pescato attualmente stabilito in 30 chilogrammi ossia quando il tonno è all'inizio della sua maturità sessuale e della fase riproduttiva; è quindi necessario prevedere un parametro diverso per dare il giusto tempo al tonno di riprodursi naturalmente. In pratica, la piccola taglia del pescato determina il fatto che oltre il 90 per cento viene portato nelle gabbie ad ingrasso per soddisfare la richiesta del mercato che richiede taglie ben superiori –:
   se il Ministro interrogato intenda intervenire per riequilibrare la ripartizione delle quote prevedendone l'assegnazione del 30 per cento a ciascuna delle tipologie di pesca quali tonnare fisse, pesca con i palangari e circuizione ed il rimanente 10 per cento per la pesca sportiva e «indiviso»;
   se si intenda aumentare il peso della taglia minima del pescato oggi fissato in 30 chilogrammi. (4-13754)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta scritta:


   SCOTTO. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   decine di centri antiviolenza presenti su tutto il territorio italiano hanno, negli scorsi giorni, lanciato un allarme rispetto alla loro stessa capacità di continuare le attività e la fornitura dei servizi garantiti in questi anni;
   a quanto risulta all'interrogante dei 6,5 milioni di euro (cifra già probabilmente insufficiente) previsti per il 2012-2013 dal Piano nazionale anti violenza e la cui erogazione ai centri antiviolenza è disposta dalle regioni, quasi nulla è arrivato a chi lavora sul territorio;
   molte regioni, come ad esempio la Lombardia risultano non poter ancora assegnare i fondi destinati a tali centri e le singole realtà non possono quindi accedevi;
   in questo modo è diventato ormai impossibile garantire l'erogazione dei servizi proposti alle utenti e contestualmente il puntuale pagamento degli stipendi a chi lavora nei centri antiviolenza;
   il tutto si innesta in una fase storica in cui diminuiscono sensibilmente i fondi pubblici messi a disposizione per progetti di sostegno ed aumentano invece i casi di violenza e, dunque, le richieste di assistenza;
   i centri antiviolenza non sono un mero nascondiglio per chi ha denunciato, ma soprattutto uno spazio in cui gli specialisti aiutano la donna a riconquistare l'autostima, a trovare un lavoro, e quindi a rendersi autonoma dal suo aguzzino e nei quali operano spesso anche avvocati esperti di violenza di genere e psicologi per aiutare i figli che hanno assistito alle aggressioni a superare il trauma, oltre ai tanti operatori che fanno da collegamento tra ospedali, magistratura e polizia;
   si parla di centri che offrono un aiuto specifico e fondamentale a migliaia di donne ogni anno, permettendo loro di venir fuori da una spirale di violenza distruttiva che troppo spesso, se non affrontata, si conclude con la morte;
   solo nel 2016 sono già 67 le donne uccise da mariti o ex compagni incapaci di accettare un abbandono, e senza i centri antiviolenza questa cifra sarebbe stata con ogni probabilità di gran lunga superiore;
   su un tema così delicato non sono sufficienti slogan, annunci ed operazioni «spot», ma occorrono maggiore cooperazione, fondi e progetti di lunga gittata  –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, al fine di garantire che i fondi statali di cui al Piano nazionale anti violenza, che risultano essere nelle disponibilità delle regioni siano erogati ai centri antiviolenza;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative per lo stanziamento di ulteriori fondi per potenziare i servizi offerti dai centri antiviolenza ed aumentarne la presenza sul territorio nazionale. (4-13752)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, il Ministro dell'economia e delle finanze – per sapere – premesso che:
   la figura del massofisioterapista fu istituita con legge n. 570 del 5 luglio 1961, successivamente regolamentata con la legge n. 403 del 19 maggio 1971, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 162 del 30 giugno 1971 ad oggi in vigore;
   il decreto ministeriale 7 settembre 1976, (ad oggi in vigore), sancisce quanto segue: «Il massofisioterapista è in grado di svolgere tutte le terapie di massaggio e di fisioterapia in ausilio all'opera dei medici sia nel libero esercizio della professione sia nell'impiego negli enti pubblici e privati, nell'ambito delle disposizioni di legge. Pertanto esegue ed applica tutte le tecniche del massaggio e della fisioterapia sull'ammalato secondo le istruzioni del sanitario, a livello di personale sanitari o ausiliario e di terapista della riabilitazione»;
   con la legge 19 novembre 1990, n. 341, viene riformato l'ordinamento didattico universitario, ma non il corso di massofisioterapia in quanto formazione professionale. Questa legge differenzia i percorsi di formazione universitaria da quelli di formazione professionale;
   il decreto ministeriale n. 105 del 1997, dimostra che i corsi di massofisioterapia non rientrano tra quelli soppressi per legge;
   il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 conferma che le regioni, a norma della legge-quadro sulla formazione professionale (articolo 8, lettera b), della legge 21 dicembre 1978, n. 845), sono chiamate a curare la formazione professionale di coloro che siano in possesso di un titolo di studio non universitario, ai fini del rilascio di un attestato di qualifica (o patente di mestiere), diploma di qualifica superiore o credito formativo;
   il decreto ministeriale 10 luglio 1998, riconosce la specificità del massofisioterapista;
   il decreto ministeriale 27  luglio 2000, dice che il massofisioterapista in possesso di un corso triennale di formazione specifica (legge 19 maggio 1971, n. 403) ha un titolo che è equipollente al percorso di laurea in fisioterapia;
   allo stato, e sino a che non venga disposto altrimenti, la figura del massaggiatore-massofisioterapista rientra fra quelle conservate nel vecchio ordinamento;
   la stessa normativa comunitaria consentirebbe un pieno riconoscimento della figura del massofisioterapista;
   il parere, pubblicato in data 30 giugno 2010, dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato-direzione generale per la tutela del consumatore ha verificato che i titoli conseguiti al termine di corsi di massaggiatori-massofisioterapisti di durata almeno biennale e tenuti presso istituti riconosciuti a livello regionale, abilitano all'esercizio della relativa professione;
   la direzione generale delle professioni sanitarie del Ministero della salute in data 27 aprile 2016, risponde a una diffida del Comitato europeo dei massofisioterapisti, introducendo il concetto di «riordino» della professione anche se nella diffida nessuno lo cita o lo chiede perché è tutto già stabilito nel decreto legislativo n. 112 in vigore dal 1998;
   questa figura, che per quanto stabilito nella legislazione vigente può operare in regime di lavoro dipendente o autonomo, dovrebbe essere iscritta nei profili professionali inseriti nel decreto ministeriale 17 maggio 2002, recante «l'individuazione delle prestazioni sanitarie esenti dall'applicazione dell'Iva», perché possa rilasciare la propria certificazione fiscale al paziente con l'esenzione Iva riservata alle prestazioni sanitarie erogate dagli esercenti le professioni sanitarie e le arti ausiliarie –:
   se non si intendano assumere iniziative per definire una disciplina specifica per i massofioterapisti in linea con quanto disposto dalla disciplina comunitaria;
   se non si intendano assumere iniziative per prevedere per le prestazioni del massofisioterapista l'esenzione Iva al pari di altre professioni assimilabili;
   se non si intendano assumere iniziative per superare la disparità tra massofisioterapisti in possesso di un diploma di formazione triennale conseguito prima del 19 marzo 1999 per i quali si applica l'esenzione di cui all'articolo 10, comma 1, n. 18, del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, e massofisioterapisti che hanno conseguito un diploma di formazione triennale successivamente a quella data (disparità ritenuta priva fondamento anche dalla sentenza n. 1105/2015 del Consiglio di Stato).
(2-01424) «Vezzali, Altieri, Quintarelli, Lodolini, Manfredi, Minnucci, Brandolin, Latronico, Patriarca, Sottanelli, Paolo Rossi, Rostellato, Rabino, Capua, Molea, Vecchio, Librandi, Palladino, Mazziotti Di Celso, Fitzgerald Nissoli, Sberna, Oliaro, Matarrese, Pastorino, Civati, Matarrelli, Rostan, Verini, Rampi, Giuditta Pini, Turco, D'Agostino, Ciracì, Falcone, Distaso, Prataviera».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli articoli 32 e 117 della Costituzione italiana sanciscono rispettivamente il diritto di tutti gli individui alla tutela della salute e la garanzia, su tutto il territorio nazionale, dei medesimi livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali;
   tuttavia, in dispregio a tali principi fondamentali, il servizio sanitario in Italia è caratterizzato da un grave divario territoriale rispetto ai servizi garantiti dalle diverse regioni; ciò accade, in particolare, per quanto concerne le cure oncologiche, la cui spesa sanitaria cresce anno dopo anno, unitamente al numero di decessi dovuti alle diverse forme tumorali. Nel 2014, addirittura, la spesa sanitaria per i farmaci per il cancro ha superato quella per gli antimicrobici e per i medicinali per il sistema cardiovascolare, risultando al primo posto per un totale di 3,2 miliardi di euro complessivi;
   come attestato dall’«Ottavo Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici» pubblicato dalla FAVO (Federazione italiana delle associazioni di volontariato in oncologia), l'aspetto ulteriormente grave di tale sistema è costituito dalle forti disuguaglianze che intercorrono fra le regioni, per quanto riguarda l'accesso alle cure. Si tratta, ad esempio, di prestazioni di terapia del dolore, in alcune zone inesistenti quando invece dovrebbero venire erogate, profonde differenze nell'assistenza domiciliare, disparità di accesso ad adeguate terapie nutrizionali, disomogeneità nel numero di posti letto e di servizi per le cure palliative. È questa una situazione inaccettabile, anche considerando che tutte le prestazioni di assistenza tutelare sono definite come LEA (livelli essenziali di assistenza) dal 2001;
   le disuguaglianze per l'accesso alle cure oncologiche si riscontrano dal primo passo del percorso, vale a dire dalla presa in carico da parte del servizio sanitario nazionale; già da tale fase iniziale vi è un divario nord-sud molto evidente. Se la media in Italia è di una presa in carico per malattie oncologiche su 1.000 abitanti, in quasi tutte le regioni del Nord e in particolare nel Nord-est, la percentuale è di poco inferiore al 2 per mille, mentre il Sud è profondamente sotto la media; in Calabria si contano 0,11 prese in carico per 1.000 abitanti, nel Lazio 0,22 e in Campania 0,36;
   ulteriore disomogeneità riguarda il numero di strutture che prevedono un servizio di radioterapia e il numero di posti letto disponibili per abitante. In Toscana e in Umbria, per esempio, si superano le 4 strutture per milione di abitanti, mentre in Campania, Basilicata e Sardegna non si toccano le 2 strutture per milione. Sono ancora più forti le differenze per quanto concerne i posti letto per servizi di radioterapia e radioterapia oncologica: qui il Nord-est spicca con una media di 18 posti letto per milione di abitanti, mentre al Sud si trovano 4 posti letto per regione per milione di residenti;
   anche l'accesso alle cure chemioterapiche fa emergere profonde disuguaglianze considerando che, in media, al Sud vi è la metà delle prestazioni del Nord: 6,8 ogni 1000 abitanti contro 15,8 delle regioni settentrionali;
   anche la verifica dello stato di attuazione della legge n. 38 del 15 marzo 2010 che prevede la presenza di un'unità operativa di cure palliative e terapia del dolore e, di protocolli di collaborazione con i medici di medicina generale e, il consumo dei farmaci oppiacei e la valutazione dell'intensità del dolore nella cartella clinica, ha fatto emergere dimensioni assistenziali disomogenee; al riguardo, infatti, la percentuale di adeguamento alla normativa è risultata infatti essere del 91-93 per cento al Nord, del 75 per cento al Centro, mentre nel Meridione è del 41 per cento;
   ebbene, la palese ingiustizia di un sistema sanitario che non riesce a garantire sul territorio nazionale gli stessi livelli essenziali delle prestazioni ha come immediata conseguenza quella di costringere i malati dei territori più svantaggiati a dover accedere alla cure oncologiche in altra regione rispetto a quella di propria appartenenza, con costi esorbitanti rispetto a quelli che potrebbero essere sostenuti se le prestazioni fossero erogate nella propria regione;
   inoltre, ulteriore preoccupazione desta l'ormai nota inadeguatezza del sistema sanitario italiano nei programmi di prevenzione, rispetto ai quali l'Italia è agli ultimi posti in Europa, poiché destina soltanto il 4,1 per cento della spesa sanitaria totale; considerando che il 30 per cento dei tumori è prevenibile, l'impegno nella lotta contro tale patologia, con la continua ricerca di nuove strategie di diagnosi e cura, deve essere dunque efficacemente affiancato e sopportato con politiche che riconoscano, come punto indispensabile, il valore della prevenzione –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro su quanto esposto in premessa;
   se e quali urgenti e idonee iniziative intenda assumere affinché, in conformità agli articoli 32 e 117 della Costituzione, siano garantiti su tutto il territorio nazionale i medesimi livelli essenziali delle prestazioni sanitarie, in particolare, per quanto concerne l'accesso alle cure oncologiche, considerando che rispetto a tali prestazioni sussistono inaccettabili disuguaglianze tra le regioni italiane;
   se e quali urgenti iniziative intenda adottare affinché in Italia vi siano adeguati standard di prevenzione, con particolare attenzione alle malattie tumorali, posto che è allarmante l'inadeguatezza del sistema sanitario italiano, per l'appunto, nei programmi di prevenzione, a cui è stato addirittura imputato il calo di aspettativa di vita degli italiani registrato nei primi mesi del 2016. (5-09120)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante ha appreso, da notizie a mezzo stampa, che associazioni animaliste di numerose parti d'Italia tra cui la Lida (lega italiana dei diritti dell'animale) e l'Associazione Gabbie Vuote Onlus di Firenze, nonché personalità del mondo della cultura, come Paola Re hanno denunciato lo stato in cui versano i cani che vivono nel canile comunale di Rossano;
   la signora Re fa presente che le è giunta «una segnalazione con le immagini relative alla presenza, presso il canile di Rossano, di cani malati di rogna e leishmaniosi, con tumori a livello avanzato, ferite esposte a infezioni e in stato di denutrizione». Evidenzia ancora che «da un paio di settimane, la gestione del canile è stata affidata a un'associazione animalista che però non ha risorse umane, finanziarie e strumentali atti a garantire il buon andamento del canile. Mi è stato riferito – sottolinea – che non è possibile fare uscire dal canile i cani che hanno trovato adozione perché non c’è alcun veterinario responsabile del canile che rilasci i permessi»;
   la costruzione di canili sanitari da parte delle amministrazioni locali e la detenzione dei randagi è diventato un vero e proprio business. In tutta Italia, sono sorte strutture esclusivamente private che spesso diventano dei veri e propri lager con il sovraffollamento di cani denutriti o che, malati, non ricevono cure adeguate. Se ciò non bastasse, si consideri, altresì, che i gestori dei canili spesso ostacolano anche le adozioni degli animali, al fine di non perdere le diarie, fonte del loro arricchimento;
   la legge quadro 14 agosto 1991, n. 281, enuncia, infatti, il principio generale secondo il quale «lo Stato promuove e disciplina la tutela degli animali d'affezione, condanna gli atti di crudeltà contro di essi, i maltrattamenti ed il loro abbandono al fine di favorire la corretta convivenza tra uomo e animale e di tutelare la salute pubblica e l'ambiente»;
   l'articolo 727 del codice penale stabilisce che «Chiunque abbandona animali domestici o che abbiano acquisito abitudini della cattività è punito con l'arresto fino ad un anno o con l'ammenda da 1.000 a 10.000 euro. Alla stessa pena soggiace chiunque detiene animali in condizioni incompatibili con la loro natura, e produttive di gravi sofferenze» –:
   se, al fine di accertare il rispetto della normativa, siano state eseguite presso il canile di Rossano, delle ispezioni, anche per il tramite del comando carabinieri per la tutela della salute (Nas), e, in caso affermativo quale ne sia stato l'esito;
   se non ritenga più utile assumere iniziative per definire un sistema di incentivi per i gestori dei canili con più adozioni così da ostacolare il business dei canili lager. (4-13748)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   vi sono tutt'oggi, in Italia, circa 40.000.000 di tonnellate di materiali contenenti amianto, con persistenza di aerodispersione di polveri e fibre sia negli ambienti lavorativi che in quelli di vita;
   l'amianto, come noto, ha effetti neoplastici (provoca mesotelioma delle varie sierose, tumore polmonare, alla laringe e all'ovaio, solo per citare quelli per i quali vi è unanimità scientifica ed è dimostrata una più alta incidenza di tumori degli altri organi delle vie aeree, e del tratto gastrointestinale) e fibrotici (asbestosi, placche pleuriche e ispessimenti pleurici) oltre a complicazioni cardiocircolatorie e cardiovascolari;
   non sussiste una soglia al di sotto della quale il rischio si annulla e qualsiasi esposizione ad amianto è dannosa per la salute umana e queste patologie hanno tempi di latenza che possono arrivare anche a 50 anni;
   ci sono state, nei decenni, e proseguono a tutt'oggi, anche se con minore intensità, esposizioni ad amianto sia professionali che extraprofessionali con un impatto per la salute umana che determina, solo in Italia, circa 6000 morti l'anno, così come censiti dall'Osservatorio nazionale amianto (mentre il Renam nel suo V Rapporto ha censito circa 1500 casi di mesotelioma ogni anno, tutti ad esito infausto, senza alcuna rilevazione degli altri casi di patologie asbesto correlate);
   se l'unico strumento per debellare le patologie asbesto correlate è evitare l'esposizione ad amianto, principalmente attraverso le bonifiche che però vanno molto a rilento, è di fondamentale importanza la sorveglianza sanitaria, tale da permettere la diagnosi precoce e quindi un intervento tempestivo dei sanitari;
   se per il mesotelioma anche un intervento tempestivo è difficilmente risolutivo, comunque permette un maggior periodo di sopravvivenza e a condizioni più dignitose, ma di più, per le altre patologie, invece, è risolutivo, perché per esempio per il tumore polmonare permette l'estirpazione della neoplasia prima dell'invasione metastatica, così per tutte le altre neoplasie e ancor di più per quanto riguarda l'asbestosi e le altre patologie non neoplastiche;
   l'obbligo di sorveglianza sanitaria deriva dalla stessa normativa comunitaria (direttiva 477/83/CEE, e in ultimo 148/2009/CE). In Italia soltanto poche regioni (Toscana, Veneto, Piemonte, Sardegna, Campania e Umbria) hanno affrontato questo problema;
   l'Osservatorio nazionale amianto (Ona) segnala all'interrogante che soltanto la regione Toscana, la regione Veneto e la regione Piemonte hanno messo in campo strumenti efficaci di sorveglianza sanitaria per i lavoratori esposti, ed ex esposti, a polveri e fibre di amianto;
   uno dei pochi centri in Italia dove viene abitualmente svolta questa attività di diagnosi precoce e/o certificazione delle patologie asbesto correlate di natura professionale è l'unità operativa di medicina del lavoro dell'università di Siena, di cui è direttore il professor Pietro Sartorelli, il quale ha contribuito a elaborare le linee di indirizzo della sorveglianza sanitaria in Toscana, che, in accordo con i criteri di Helsinki 2014, prevedono l'accesso gratuito agli accertamenti ai lavoratori fino a 79 anni e con meno di 30 anni dalla cessazione dell'esposizione (con una certa discrezionalità per quanto riguarda quest'ultimo parametro);
   la regione Campania, tranne sporadiche iniziative, è largamente inadempiente;
   l'Ona ha segnalato un picco di patologie asbesto correlate nella regione Campania, anche per l'azione sinergica degli altri cancerogeni, presenti nei luoghi di lavoro e di vita;
   in particolare, nella città di Volla, la locale articolazione dell'Ona ha censito circa 30 nuovi casi di patologie asbesto correlate tra i soli lavoratori dell'ex Sacelit di Volla, rispetto ai quali la stessa regione Campania ha prima istituito, su sollecitazione dell'ex sindaco, la sorveglianza sanitaria e poi, l'ha interrotta, nonostante siano stati segnalati decine di nuovi casi, sia di patologie fibrotiche che neoplastiche, che coinvolgono anche i familiari dei lavoratori e i singoli cittadini;
   l'Ona evidenzia all'interrogante che per la città di Volla, come per il resto dell'area, e per l'intera regione Campania, vi sia un'assoluta carenza di sorveglianza in ordine al rischio amianto e al rischio dovuto agli altri cancerogeni, che sono presenti nelle numerose discariche a cielo aperto che inquinano la cosiddetta «terra dei fuochi», di cui deve considerarsi parte anche il comune di Volla;
   la regione Campania, attraverso le sue aziende sanitarie, è priva di una effettiva rilevazione epidemiologica dei casi di tumore, legati ai territori della cosiddetta «terra dei fuochi» e dell'intera regione e di un effettivo piano di bonifiche e di recupero dei territori contaminati e di messa in sicurezza dei siti lavorativi;
   esiste, quindi, l'estrema difficoltà dei lavoratori esposti ad amianto (e loro familiari, altrettanto esposti per il fatto che i lavoratori tornavano a casa con le tute contaminate di fibre che quindi sono state inalate anche dagli altri componenti della famiglia), ad essere sottoposti alla doverosa sorveglianza sanitaria necessaria per la diagnosi precoce delle patologie asbesto correlate che permette il più sollecito approccio terapeutico e quindi maggiori chance di sconfiggere e/o sopravvivere alla malattia;
   molti di questi lavoratori si sono rivolti all'unità operativa di medicina del lavoro dell'università di Siena, centro di riferimento per le malattie professionali della regione Toscana e centro di eccellenza anche a livello internazionale;
   l'attività dei sanitari del policlinico «Le Scotte» di Siena ha permesso la diagnosi precoce e quindi l'intervento terapeutico tempestivo per centinaia di lavoratori esposti all'amianto, inconsapevoli di essere malati, i quali sarebbero deceduti se non ci fosse stato l'intervento immediato e tempestivo antecedente la diffusione metastatica del tumore (di quello al polmone come di quello alla laringe, del colon piuttosto che dell'ovaio);
   la regione Toscana, al pari della regione Veneto e della regione Piemonte, ha quindi istituto un efficace servizio di sorveglianza sanitaria;
   anche i lavoratori di altre regioni, compresi quelli della regione Campania, anche su indicazione dell'Ona, si sono rivolti al day hospital del policlinico «Le Scotte» di Siena. Le altre regioni ritengono però inappropriati gli interventi in favore di quei lavoratori non residenti nella regione Toscana e quindi rifiutano il pagamento delle prestazioni, anche in compensazione;
   questa situazione impedisce, e comunque ostacola, la sorveglianza sanitaria dei lavoratori, e imporrebbe a quelli non residenti nella regione Toscana, la necessità di dover chiedere il pagamento di ticket;
   in termini più generali attualmente la sorveglianza sanitaria degli ex esposti può essere prevista solo a livello regionale. In realtà, solo poche regioni al momento si sono organizzate in tal senso perché gli investimenti non sono indifferenti (la Toscana spenderà 1.500.000 euro in 5 anni) e possono essere stanziati solo dove non esistono deficit di bilancio. La natura di questa tipologia di accertamenti preventivi, svolta su pazienti non acuti spesso addirittura asintomatici, rende inappropriato qualsiasi regime di ricovero (anche il day hospital) che quindi diventa impossibile. Il risultato pratico è quello di impedire ai lavoratori di rivolgersi fuori regione: nei pochi casi dove è previsto un programma regionale di controlli gli ex esposti dovranno necessariamente affidarsi alle strutture locali di riferimento. Queste ultime in caso di afferenza extra regionale non potranno evitare di far pagare il ticket non potendo contare su compensazioni da parte della regione di provenienza;
   pertanto, coloro che risiedono dove non esistono questi programmi dovranno necessariamente pagare il ticket sulle prestazioni ovunque si rivolgano;
   secondo quanto segnalato al deputato interrogante, l'Ona ha richiesto la creazione di una specifica «linea nazionale di assistenza» che consentirebbe ai lavoratori notoriamente esposti ad amianto (quali quelli con riconoscimento dei benefici previdenziali INPS e/o presenti nelle coorti della sorveglianza epidemiologica) di accedere gratuitamente a protocolli sanitari previsti in apposite linee di indirizzo. Queste ultime in pratica esistono già e sono quelle, molto simili per non dire sovrapponibili, elaborate dalla regione Toscana e nell'ambito del progetto ministeriale CCM 2012, coordinato dalla regione Veneto;
   inoltre, l'Ona non solo ha elaborato un protocollo di assistenza essenziale tale da uniformare su tutto il territorio nazionale i programmi di sorveglianza sanitaria, ma ha anche istituito il registro delle patologie asbesto correlate, che comprende tutte le patologie provocate dall'amianto, non solo il mesotelioma, anche attraverso l'utilizzo dell'applicativo web REPAC (http://www.repacona.it/), attraverso il quale i cittadini possono segnalare i diversi casi di patologie sia neoplastiche che fibrotiche che ritengono essere state provocate dall'esposizione e/o ingestione di amianto, negli ambienti di lavoro e in quelli di vita e i dati sono allarmanti poiché hanno permesso di stimare un totale di circa 6000 decessi ogni anno, provocati dalla sola esposizione ad amianto: questa emergenza, che è resa dal dato epidemiologico completo e non dai soli dati relativi al mesotelioma, resi noti dall'INAIL attraverso la pubblicazione del V rapporto (dicembre 2015, con circa 1.500 casi l'anno di mesotelioma) non è più soltanto sanitaria, previdenziale, sociale ed economica, ma impone un impegno di civiltà e di giustizia, a tutte le pubbliche istituzioni, ai diversi livelli, per istituire i necessari strumenti di prevenzione primaria e secondaria, tra questi ultimi la sorveglianza sanitaria ed efficaci e immediati interventi terapeutici, che possono permettere di salvare migliaia di vite umane;
   le terapie sono sicuramente efficaci se le patologie, anche quelle neoplastiche, vengono colte al primo stadio, perché ciò permette di arrestare questo processo attraverso l'intervento chirurgico e con i tradizionali sistemi di chemioterapia e radioterapia, oltre a tutte le altre misure terapeutiche;
   a quanto consta all'interrogante il programma della regione sardegna è del tutto inappropriato quanto all'approccio, e inefficace quanto ai risultati; quello della regione Campania è a «macchia di leopardo» e sostanzialmente inefficace; quello della regione Umbria interrotto da tempo e assolutamente marginale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto sopra e quali siano i loro orientamenti in merito;
   se il Ministro della salute intenda adottare iniziative affinché siano dettate le regole fondamentali per una uniforme disciplina della sorveglianza sanitaria per tutto il territorio nazionale;
   se il Ministro della salute intenda elaborare una specifica linea nazionale di assistenza che consentirebbe ai lavoratori notoriamente esposti ad amianto (quali quelli con riconoscimento dei benefici previdenziali INPS e/o presenti nelle coorti della sorveglianza epidemiologica) di accedere gratuitamente a protocolli sanitari previsti in apposite linee di indirizzo, già elaborate;
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali sia a conoscenza del fatto che soltanto poche regioni in Italia (Toscana, Veneto e Piemonte) hanno istituito un programma di sorveglianza sanitaria che ha un minimo di efficacia e che le altre sono inadempienti;
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, anche attraverso l'INAIL, e con il coordinamento e con la messa in rete di tutte le banche dati, intenda istituire un registro delle patologie asbesto correlate, come richiesto dall'Ona, capace di far emergere l'effettivo impatto dell'esposizioni ad amianto sulla salute (6.000 decessi l'anno) al fine di permettere di adottare quegli strumenti di prevenzione primaria (bonifica) e secondaria (ricerca scientifica, diagnosi precoce e terapia e cura delle patologie asbesto correlate). (4-13750)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO, SIMONE VALENTE, BATTELLI e MANTERO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il Movimento 5 Stelle da sempre deplora e denuncia l'utilizzo indiscriminato degli affidamenti diretti senza gara ad evidenza pubblica: si tratta di una pessima prassi utilizzata per operare favoritismi ed eludere la libera concorrenza tra soggetti privati;
   tale pratica è purtroppo ancora consentita dalla normativa con riferimento ad alcune fattispecie di affidamento sotto una certa soglia economica, a giudizio degli interroganti ancora troppo alta;
   tipico esempio delle conseguenza di quanto descritto è quanto sta avvenendo nelle ultime settimane a La Spezia, nella vicenda concernente l'affidamento dello spazio noto come «La Pinetina» presso i giardini pubblici di viale Mazzini: una struttura molto accogliente e funzionale, che ha 480 metri quadrati coperti e 2.100 metri quadrati di spazio esterno ideale per l'utilizzo a fini commerciali nel periodo estivo;
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, tale spazio è stato affidato per il quarto anno consecutivo al «Comitato BOSS» composto da 4 circoli ARCI attivi nel territorio spezzino (Btomic, Origami, Shake e Skaletta);
   infatti, sempre secondo quanto si apprende da fonti di stampa, tra il 19 e il 25 maggio 2016 gli uffici del comune di La Spezia hanno stipulato un accordo con il legale rappresentante del «Comitato BOSS» sulla base del quale viene affidata la gestione della Pinetina dal 10 giugno al 28 agosto del corrente anno, periodo nel quale il comune mette «a disposizione gratuitamente gli spazi e le attrezzature di proprietà, nonché palchi e sedie e quanto possa essere disponibile tra le attrezzature» di altre strutture comunali presenti sul territorio. Inoltre, il comune garantisce «agevolazioni, riduzioni, abbattimento di imposte e tariffe per i servizi» e si impegna «a promuovere la manifestazione e a favorire l'utilizzo degli spazi comunali di pubblica affissione e gli strumenti di comunicazione». Garantisce, inoltre, la piena collaborazione dei servizi culturali e del personale loro assegnato e, addirittura, assegna un budget di 32.000 euro «per le spese per organizzazione e allestimenti e servizi tecnici, cachet degli spettacoli e varie, da definire con successivi provvedimenti»;
   è pertanto di tutta evidenza, a giudizio degli interroganti, come il valore dell'affidamento sia ben superiore ai 32.000 euro di contributo sopra indicati, considerando il supporto logistico e la gratuità per la gestione degli spazi;
   da fonti di stampa si apprende anche un ulteriore elemento piuttosto grave, ovvero che, nell'ambito della gestione della stagione estiva, verrebbe inoltre utilizzato personale assunto nello staff del sindaco;
   sempre secondo quanto si apprende da fonti di stampa, nell'accordo del 2016, si specifica un aspetto che dovrebbe essere assolutamente ovvio, ovvero che il comitato «dovrà osservare le disposizioni in materia di legge, per il personale impiegato, e quelle in materia di legislazione del lavoro». Non è ben chiara la ragione per cui si è dovuto specificare che il Comitato BOSS debba rispettare la normativa vigente in materia di diritto del lavoro, dal momento che a ciò è tenuta la generalità dei cittadini. Il comitato, inoltre, dovrà «riconoscere al comune una percentuale del 10 per cento sugli incassi e altre entrate», ovviamente sempre qualora si raggiunga un utile, cosa che come si vedrà più avanti – non è avvenuta l'anno scorso;
   come è normale che sia, l'assegnazione di un'area pubblica con tanto di appoggio logistico e finanziamento comunale per l'organizzazione del cartellone ha creato malumori tra le attività commerciali concorrenti e ha ingenerato nell'opinione pubblica la necessità di trasparenza sulle rendicontazioni relative a spese e incassi della manifestazione. Per quanto sembrerebbe non obbligatorio rendere pubblici questi dati, l'utilizzo di spazi, fondi e risorse pubblici, impone la massima trasparenza. Già nel 2015 alcuni giornalisti locali avevano chiesto all'assessore alla cultura chiarimenti circa il rendiconto economico dell'operazione, con particolare riferimento alle spese che il comune ha effettivamente sostenuto in relazione alle attività di sostegno sopra esposte e sulla destinazione degli eventuali utili;
   le risposte dell'amministrazione comunale alle critiche sono legate da un lato al fatto che la legge in questi casi consenta l'affidamento diretto e, dall'altro, all'asserito successo del programma estivo. L'unico dato reso disponibile, tuttavia, parla di una lieve passivo nel bilancio tra entrate e uscite, che non giustifica secondo gli interroganti una simile valutazione positiva;
   in particolare, quello che si contesta non è il tentativo di creare un polo di aggregazione culturale nel capoluogo ligure, ma la metodologia con cui ciò è avvenuto per il quarto anno consecutivo;
   a tutto ciò si deve aggiungere un palese e sconcertante conflitto di interesse il sindaco del Partito democratico della città, Massimo Federici, che è un dipendente dell'Arci in aspettativa per mandato elettorale, laddove, come si è detto, l'affidamento diretto avviene a favore di un consorzio composto da 4 circoli Arci;
   in seguito alle polemiche emerse, si apprende da fonti di stampa che il 1o luglio 2016 i carabinieri hanno visitato gli uffici del comune per sequestrare la documentazione relativa all'affidamento diretto;
   non è ben chiaro agli interroganti per quale ragione il comune della Spezia prosegua nell'affidamento diretto ad un comitato di circoli Arci senza procedere ad una gara pubblica e trasparente: sarebbe opportuno dipanare ogni dubbio circa la sussistenza di ragioni di vicinanza politica tra l'amministrazione e l'Arci considerando anche il citato macroscopico conflitto di interessi che coinvolge il sindaco Massimo Federici;
   tuttavia, se naturalmente compete alla magistratura accertare che tali procedure di assegnazione si siano svolte nel rispetto della legge, in questa sede appare opportuno agli interroganti denunciare l'inopportunità politica di simili operazioni opache e poco trasparenti è per questo che gli interroganti ritengono in ogni caso assolutamente necessaria una riforma della normativa vigente che abbassi ulteriormente la soglia sotto la quale si può procedere mediante affidamento diretto e disciplini in modo più rigoroso al regime dei conflitti d'interesse degli amministratori cittadini;
   quanto fino ad ora delineato rappresenta – a parere degli interroganti – un coacervo di conflitti d'interesse, gestione impropria dei fondi pubblici e assegnazione di spazi pubblici sulla base non di logiche oggettive, ma sulla base di criteri che inducono grossi dubbi sulla correttezza metodologica soprattutto da un punto di vista etico e politico, ma anche e da un punto di vista formale, tant’è che la vicenda è attualmente all'attenzione della magistratura;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa e quali siano i suoi orientamenti in merito;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover assumere iniziative normative, anche urgenti, per promuovere una riforma della normativa vigente in materia di appalti pubblici nel senso di abbassare la soglia sotto la quale è possibile procedere mediante affidamento diretto ed impedire che si verifichino situazioni a giudizio degli interroganti opache come quella descritta in premessa. (4-13751)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, SANNICANDRO, SCOTTO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la presidente nazionale di Assocalzaturifici Annarita Pilotti afferma che il settore è in crisi. Gli stessi sindacati hanno riconosciuto le criticità ed insieme hanno avviato un tavolo di confronto per individuare soluzioni e specificare le difficoltà del settore calzaturiero; sul sito di informazione online www.laprovinciadifermo.com la presidente Pilotti ha esternato le proprie preoccupazioni affermando: «La prossima settimana avvieremo una importante campagna stampa. Scriverò personalmente a Renzi. Chiederò un incontro per far sì che entro luglio ci si incontri i per ragionare su un progetto di manovra economica necessaria. Non basta più il Jobs Act, che è stato una soluzione temporanea per le assunzioni. Ma non bastano neppure gli incentivi per le fiere che diamo noi di Assocalzaturifici. Non ho a disposizione milioni di euro. A Renzi vorrei portare le parole di Lombardia, Veneto, Toscana, dove la cassa integrazione è disarmante e allarmante. Esempio, noi siamo al 117 per cento mentre in Emilia è al 206 per cento. Dobbiamo affrontare subito e in maniera completa i problemi»;
   Pilotti continua a denunciare la «questione Russia» le cui sanzioni continuano a danneggiare pesantemente l'impresa della moda: «Da dieci milioni di paia siamo a 6 milioni di paia vendute. La Russia conferma il -30 per cento, e il Kazakistan -24 per cento. Ho fiducia che il Governo accolga il disperato urlo di questa categoria e pensi a una manovra specifica per il nostro settore»;
   sono molte le interrogazioni presentate riguardanti, direttamente e indirettamente, le sanzioni russe, ma le imprese italiane continuano a denunciare questo problema –:
   se il Ministro interrogato non intenda convocare quanto prima un tavolo di confronto fra le realtà produttive ed il Ministero dello sviluppo economico;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per chiedere formalmente nelle competenti sedi europee e internazionali una soluzione rapida al problema delle sanzioni alla Russia;
   quali iniziative concrete il Ministro interrogato intenda promuovere affinché la realizzazione del made in Italy diventi realtà. (5-09124)

Apposizione di firme
ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Benedetti n. 7-01046, pubblicata nell'allegato B i resoconti della seduta del 6 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Gallinella, L'Abbate, Gagnarli, Parentela, Massimiliano Bernini, Lupo.

Apposizione di firme
ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Costantino e altri n. 4-13734, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Sannicandro, Placido, Kronbichler.

  L'interrogazione a risposta orale Fanucci n. 3-02378, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cova.

Trasformazione di documenti
del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Cani e Marrocu n. 5-04117 del 24 novembre 2014 in interrogazione a risposta orale n. 3-02375;
   interrogazione a risposta scritta Parentela e altri n. 4-08787 del 15 aprile 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02381;
   interrogazione a risposta in Commissione Taricco e altri n. 5-06209 del 30 luglio 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02376;
   interrogazione a risposta in commissione Beni e Quartapelle Procopio n. 5-06614 dell'8 ottobre 2015 in interrogazione a risposta orale n. 3-02380;
   interrogazione a risposta in Commissione Simonetti n. 5-08255 del 30 marzo 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02377;
   interrogazione a risposta in Commissione Fanucci n. 5-08867 del 10 giugno 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02378;
   interrogazione a risposta in Commissione Capozzolo e Famiglietti n. 5-08893 del 14 giugno 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02379;
   interrogazione a risposta orale Cani e Marrocu n. 3-02375 dell'11 luglio 2016 in interrogazione a risposta scritta n. 4-13754.