Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 6 luglio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    la crisi che ormai da tempo interessa il settore cerealicolo nazionale rappresenta una vera e propria emergenza e l'individuazione di misure atte a contenere la pesante situazione di mercato, unitamente ad una ristrutturazione complessiva della filiera, sono interventi che non possono essere più rimandati;
    tra le criticità più significative, oltre al fatto che il comparto opera in un contesto internazionale estremamente instabile e condizionato da una serie di dinamiche non strettamente correlate con la legge della domanda e dell'offerta, si segnalano sicuramente: l'elevata frammentazione della superficie colturale, con costi del terreno e di impresa nettamente superiori ad altre realtà e conseguente perdita di competitività da parte delle imprese nazionali; elevati costi di produzione e diminuzione costante dei prezzi che costringe la fase agricola a lavorare spesso sottocosto; spontaneismo ed eterogeneità delle produzioni raramente collegate agli andamenti reali dei consumi; diversità degli ambienti pedoclimatici e alta differenziazione quantitativa e qualitativa delle produzioni; scarsa concentrazione dell'offerta; difficoltà nella gestione commerciale causata dalla prevalenza del conto deposito rispetto al conto conferimento e attività di ricerca varietale non sempre rispondente alle reali esigenze di mercato;
    ad alimentare le debolezze del settore contribuiscono poi le mutate strategie dell'industria di trasformazione: l'organizzazione e la concentrazione degli operatori comporta nuove esigenze di fornitura che la filiera non sembra saper soddisfare;
    la questione organizzativa della produzione appare pertanto uno dei nodi strutturali più rilevanti: l'organizzazione di filiera è indispensabile non solo per affrontare le sfide del mercato globale ma anche per aumentare la capacità di negoziazione della parte agricola e qualificare e valorizzare il prodotto;
    al fine di consentire ai produttori di poter collocare il proprio prodotto ad un prezzo congruo e di garantire la trasparenza nelle relazioni contrattuali tra gli operatori di mercato e nella formazione di prezzi è indispensabile la costituzione di una Commissione Unica nazionale del settore cerealicolo di cui all'articolo 6-bis del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91;
    la cerealicoltura italiana è stata finora fortemente condizionata dalle politiche attuate, per le quali gli interventi applicati non sempre hanno prodotto innovazione, spesso determinando invece un incremento delle superfici coltivate a discapito della qualità dei prodotti e dell'impatto ambientale;
   la strutturazione della filiera nazionale cerealicola non può prescindere dalla adozione di sistemi di coltivazione sostenibili e più efficienti basati su tecniche produttive conservative (ad esempio lavorazioni ridotte, semina su sodo, rotazioni) e di precisione;
    il settore si sta confrontando con nuove normative in tema di sicurezza alimentare, aspetto che determina una maggiore attenzione alle caratteristiche igienico-sanitarie della granella e che evidenzia caratteristiche di salubrità e minor rischio dei prodotti cerealicoli nazionali rappresentando un vantaggio competitivo per l'offerta sul mercato interno;
    la predisposizione di un piano proteico nazionale integrato con quello cerealicolo, anche alla luce delle rinnovate resistenze verso le coltivazioni geneticamente modificate, darebbe un valido contributo alla necessità di qualificare la produzione agricola nazionale anche nel settore mangimistico, oltre ad impattare positivamente su tutte le filiere zootecniche di qualità;
    è condiviso il convincimento secondo cui per lo sviluppo delle filiera è necessario sostenere la ricerca, affinché sia più efficiente ed efficace in un settore strategico come quello dei cereali, favorendo una maggiore interazione tra chi produce innovazione e chi la utilizza,

impegna il Governo

   a predisporre urgentemente un piano nazionale del settore cerealicolo ed in particolare a:
    a) promuovere ed incentivare, anche alla luce della recente normativa comunitaria in materia di organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, l'organizzazione di filiera delle produzioni cerealicole, attraverso il sostegno alla costituzione di organizzazioni di produttori e organizzazioni interprofessionali, anche al fine di garantire una più equilibrata distribuzione del valore nel sistema produttivo nazionale;
    b) assumere iniziative al fine di assicurare all'industria di trasformazione determinati volumi e al produttore la collocazione del proprio prodotto a prezzo congruo e slegato dalle contrattazioni delle borse merci, volte ad incrementare le risorse da destinare al sostegno degli accordi di filiera e ad attivare una Commissione unica nazionale per il mercato dei cereali;
    c) predisporre un piano proteico nazionale, nell'ottica di una visione integrata di sistemi colturali sostenibili che consentano di qualificare anche le produzioni cerealicole incluse quelle del settore mangimistico a sostegno delle filiere zootecniche di qualità;
    d) assumere iniziative per indirizzare la ricerca verso l'ammodernamento della filiera a partire dal settore sementiero, agricolo ed industriale di trasformazione mediante l'attribuzione di risorse dedicate ed il sostegno alla costituzione di gruppi operativi di cui all'articolo 56 del regolamento (UE) n. 1305/2013 del Parlamento europeo e del Consiglio sul sostegno allo sviluppo rurale da parte del fondo europeo agricolo per lo sviluppo rurale;
    e) promuovere la valorizzazione delle produzioni di qualità e salubri e la loro innovazione tramite il trasferimento delle conoscenze della ricerca tecnologica e scientifica.
(7-01045) «L'Abbate, Gallinella, Gagnarli, Parentela, Lupo, Benedetti, Massimiliano Bernini».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    le difficoltà economiche che stanno attraversando gli operatori della pesca in seguito all'impennata dei prezzi del carburante e al deterioramento degli stock ittici, unitamente alle perdite in acquacoltura causate da patologie ittiche spesso derivanti da avverse condizioni atmosferiche rendono sempre più urgenti concrete misure strutturali in grado sia di promuovere e favorire l'accesso al credito, sia di introdurre modalità innovative per la gestione dei rischi;
    il fondo di solidarietà nazionale della pesca e dell'acquacoltura, pur rappresentando un quadro normativo importante per l'attivazione di misure volte ad incentivare la stipula di contratti assicurativi, di interventi compensativi e di altre azioni in favore degli eredi diretti dei marittimi imbarcati sulle navi o degli addetti agli impianti di acquacoltura deceduti a seguito di cause di servizio o di affondamento delle unità asservite agli impianti, non è tuttavia sufficiente per fronteggiare le innumerevoli criticità che caratterizzano il comparto;
    gli strumenti di gestione del rischio, così come avviene per il comparto agricolo, rappresentano senza dubbio la via maestra per la tutela dei redditi degli operatori ed è indispensabile pertanto l'attuazione del regolamento (CE) n. 508/2014;
    quest'ultimo, riconoscendo i rischi inerenti agli investimenti in attività acquicole, promuove la sicurezza delle imprese contribuendo alla copertura assicurativa dell'acquacoltura, salvaguardando così il reddito dei produttori in caso di perdite anomale di produzione dovute, in particolare, a calamità naturali, eventi climatici avversi, improvvisi cambiamenti della qualità delle acque, malattie o infestazioni parassitarie e la distruzione di impianti di produzione, e contribuisce a fondi comuni che forniscono ai pescatori compensazioni finanziarie per le perdite economiche causate da eventi climatici avversi, un'emergenza ambientale o i costi di salvataggio;
    investire nel capitale umano è altresì vitale al fine di accrescere la competitività e il rendimento economico della pesca e delle attività marittime, ed è pertanto urgente attuare e sostenere i servizi di consulenza, la cooperazione tra scienziati e pescatori, la formazione professionale e l'apprendimento permanente anche con l'obiettivo di divulgare le conoscenze e contribuire a migliorare le prestazioni complessive e quindi la competitività degli operatori,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per attuare urgentemente quanto disposto dagli articoli 27, 35 e 57 del regolamento (CE) n. 508/2014 del parlamento europeo e del consiglio relativo al fondo europeo per gli affari marittimi e la pesca;
   ad adottare ogni utile iniziativa volta a promuovere l'accesso alle operazioni di microcredito con garanzia pubblica da parte delle aziende del settore ittico e dell'acquacoltura, anche attraverso l'istituzione di un fondo operante senza la valutazione economico-finanziaria del soggetto beneficiario.
(7-01046) «Benedetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   VALLASCAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la programmazione comunitaria è in fase di transizione tra il ciclo 2007- 2013, ormai concluso, e il ciclo 2014-2020, che sta iniziato;
   secondo quanto è indicato nel portale Opencoesione, «è fissato al 31 dicembre 2015 il termine ultimo di ammissibilità della spesa rendicontabile alla Commissione per il ciclo 2007-2013», mentre sarebbe fissato al 31 marzo 2017 il termine ultimo cui fare pervenire alla Commissione europea le domande di pagamento;
   per quanto concerne il settennato 2007-2013, secondo quanto pubblicato dal portale Opencoesione, la dotazione totale sarebbe pari a 46,4 miliardi di euro, mentre la dotazione dell'Unione europea ammonterebbe a 27,9 miliardi di euro;
   sebbene il sistema di monitoraggio della spesa stia ancora acquisendo i dati e, conseguentemente, possa risultare prematuro fare una valutazione sul raggiungimento degli obiettivi di spesa, a partire dall'inizio dell'anno, autorevoli istituti di ricerca avrebbero divulgato dati che delineerebbero un quadro poco roseo sulla capacità italiana di utilizzare e spendere pienamente i fondi europei;
   in particolare, nelle scorse settimane, sarebbero state pubblicate le risultanze di uno studio dell'associazione Openpolis, che avrebbe elaborato i dati del portale Opencoesione, da cui emergerebbero molteplici criticità dell'Italia nell'utilizzo delle opportunità offerte dai fondi europei nonché nella stessa capacità del nostro Paese di conseguire elevati livelli di spesa per i progetti finanziati;
   il 19 maggio 2016, nel corso della trasmissione di approfondimento politico Agorà su Rai 3, dedicata al tema dei fondi europei, sarebbe intervenuto un esponente della citata associazione che avrebbe esplicitato meglio le risultanze dello studio condotto da Openpolis;
   in particolare, sarebbe stato chiarito che nella programmazione 2007-2013, il valore dei fondi dell'Unione europea, in termini di progetti approvati, sarebbe stato pari a 40-45 miliardi di euro, a questo si aggiungerebbero gli interventi dell'Italia che, con proprie risorse, contribuirebbe alle politiche di coesione che determinerebbero investimenti complessivi pari a 100 miliardi di euro in sette anni;
   secondo quanto emerso, l'Italia avrebbe speso poco più della metà del fondo per le politiche di coesione, mentre non sarebbero stati spesi oltre 5 miliardi di euro dei fondi dell'Unione europea, a causa del mancato avvio di progetti finanziati;
   questo stato di cose delineerebbe una situazione di grave criticità per il venire meno di cospicue risorse economiche in una fase di profonda crisi per l'economia nazionale, con risvolti negativi sul tessuto sociale e sugli interventi a sostegno dell'imprese e delle famiglie;
   è il caso di rilevare che, il 26 aprile 2016, sul sito istituzionale del Governo sono stati pubblicati i dati sul monitoraggio finanziario Ue 2007-2013 al 26 febbraio 2016, in base al quale risulterebbero pagamenti effettuati per un ammontare di 44,2 miliardi di euro, pari al 96,5 per cento della dotazione totale;
   questa discordanza di dati susciterebbe alcune perplessità sui processi di rendicontazione dei fondi dell'Unione europea del ciclo 2007-2013;
   nel 2013, è stata istituita l'Agenzia per la coesione territoriale che ha assorbito le funzioni del soppresso dipartimento per lo sviluppo e la coesione territoriale;
   nel corso degli ultimi anni, autorevoli organi di stampa avrebbero sottolineato i forti ritardi nel raggiungimento della piena operatività da parte dell'Agenzia, ritardi che potrebbero aver rallentato le attività di supporto, proprie dell'organismo, nell'attuazione della programmazione comunitaria e nazionale 2007-2013 –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quale sia lo stato di avanzamento effettivo delle attività e della spesa dei fondi dell'Unione europea per il ciclo 2007-2013;
   se i ritardi nell'entrata in funzione dell'Agenzia per la coesione territoriale possano aver influito sulle capacità di spesa dell'Italia dei fondi della programmazione comunitaria 2007-2013;
   quali iniziative intenda adottare per migliorare le prestazioni e le capacità di spesa dell'Italia in relazione all'avvio della programmazione comunitaria 2014-202. (3-02368)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   ROMANINI, ZAMPA, ANTEZZA, D'INCECCO, IORI, MALPEZZI e ZANIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 12 luglio 2011, n. 112 è stata istituita l'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza al fine di assicurare la piena attuazione e la tutela dei diritti e degli interessi delle persone di minore età, in conformità a quanto previsto dalle convenzioni internazionali, con particolare riferimento alla Convenzione sui diritti del fanciullo, fatta a New York il 20 novembre 1989, dal diritto dell'Unione europea e dalle norme costituzionali e legislative nazionali;
   nel definire le competenze dell'Autorità garante, l'articolo 3 della legge sopracitata, riserva particolare importanza alla promozione di sinergie e di idonee forme di collaborazione con i «garanti regionali dell'infanzia e dell'adolescenza o con figure analoghe, che le regioni possono istituire con i medesimi requisiti di indipendenza, autonomia e competenza esclusiva in materia di infanzia e adolescenza previsti per l'Autorità garante». A tal fine lo stesso articolo, al comma 7, ha istituito la Conferenza nazionale per la garanzia dei diritti dell'infanzia e dell'adolescenza, presieduta dall'Autorità garante e composta dai garanti regionali dell'infanzia e dell'adolescenza;
   attualmente in 18 regioni e nelle due province autonome di Trento e Bolzano esistono leggi che istituiscono la figura del garante per l'infanzia (o figure simili), tuttavia alcune di esse non hanno provveduto alla nomina o ne hanno accorpato le funzioni ad altre figure istituzionali di garanzia come, ad esempio, quella del garante per i detenuti o il difensore civico;
   la presenza di una capillare, qualificata e indipendente rete di garanzia per l'infanzia e l'adolescenza è prerequisito essenziale per assicurare anche all'Autorità garante nazionale il pieno e puntuale assolvimento delle funzioni ad essa attribuite dalla legge –:
   se il Governo non intenda assumere, nel rispetto delle competenze e della autonomia organizzativa delle regioni, iniziative volte a promuovere e favorire lo strutturarsi di una rete dei Garanti per l'infanzia e l'adolescenza dotata di una propria puntuale specificità d'azione.
(5-09101)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi mesi fa la notizia che prefetto e arcivescovo di Salerno hanno deciso di avviare un percorso «comune» per un impegno quotidiano in difesa delle donne costrette a prostituirsi;
   si tratta di trovare stimoli comuni per combattere sul piano etico e morale il fenomeno della prostituzione, in particolare quella che arriva dai Paesi esteri e che vede le donne vittime della tratta e della mercificazione;
   l'impegno arriva all'indomani dei due episodi delittuosi verificatesi recentemente in città, l'uccisione di due prostitute, trovate morte a distanza di quattro mesi l'una dall'altra in un terreno agricolo della zona industriale;
   secondo il prefetto la chiave di tutto è nel rapporto tra offerta e domanda; se quest'ultima è alta cresce anche l'offerta e il dovere delle istituzioni non dovrebbe limitarsi ad adempiere agli obblighi di legge ma dovrebbe anche essere quello di impegnarsi quotidianamente da un punto di vista sociale con interventi concreti;
   se non si può parlare di una vera e propria emergenza, si tratta certamente di un grave problema che bisogna prevenire e combattere perché dietro tale fenomeno, spesso, ci sono storie fatte di vessazioni, violenze e sfruttamento;
   esiste però anche un problema di carenza di organici che non consente di garantire un servizio di controllo adeguato su tutto il territorio e di potenziare il servizio notturno per un effettivo contrasto al mercato del sesso e alla tratta delle donne –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quali urgenti iniziative ritenga opportuno adottare per rafforzare l'organico delle forze dell'ordine per un controllo del territorio più capillare e se non ritenga necessario anche un'iniziativa decisa a livello normativo che consenta di arginare il fenomeno dello sfruttamento della prostituzione e della riduzione in schiavitù delle donne.
(4-13695)


   CIRIELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a fine maggio 2016 la città di Salerno è stata teatro di un ennesimo brutale atto di violenza, che ha scosso l'intera cittadinanza;
   secondo quanto descrivono le cronache locali, nella notte tra lunedì 16 e martedì 17 maggio sulla spiaggia di Santa Teresa, una giovane donna di origini straniere, ma nazionalizzata italiana, è stata abusata da due magrebini e, dopo l'aggressione fisica, è stata anche costretta a rimanere in compagnia dei suoi aguzzini;
   in particolare, due uomini l'avrebbero avvicinata chiedendole dei soldi, ma, non contenti dei cinquanta euro dati dalla ragazza, l'hanno immobilizzata e violentata a turno;
   dopo aver abusato di lei, uno dei violentatori sarebbe andato via, mentre l'altro le avrebbe imposto di portarlo in giro in macchina fino a quando, approfittando di un momento di distrazione del marocchino, la trentunenne sarebbe riuscita a telefonare a un suo amico per chiedere aiuto;
   gli uomini del nucleo operativo e radio mobile della compagnia di Salerno in poco tempo hanno intercettato l'Audi con i due a bordo e Radouane Makkak è stato bloccato e condotto in caserma, mentre l'altro uomo è stato arrestato nel tardo pomeriggio di mercoledì, grazie anche all'identikit fornito dalla vittima;
   il marocchino arrestato, senza permesso di soggiorno, aveva già trascorso diversi mesi nel centro di accoglienza di Siracusa e poi in carcere: avrebbe, infatti, precedenti per una rapina e un furto e nel 2011 sarebbe stato anche arrestato per violenza e resistenza a pubblico ufficiale;
   in molti guardano con disappunto alla situazione di insicurezza che da lungo tempo vive la città di Salerno, una situazione che si trascina da lungo tempo e alla quale, denunciano i cittadini, nessuna amministrazione comunale ha finora trovato soluzione;
   si lamenta, in particolare, la forte presenza in zona di cittadini stranieri, incrementatasi negli ultimi anni con i frequenti sbarchi di immigrati nel porto di Salerno;
   la città di Salerno e la sua provincia stanno facendo registrare negli ultimi anni una escalation di violenza e criminalità molto preoccupante, che mette a rischio l'incolumità dei cittadini, riduce il livello della qualità della vita e danneggia oltremodo l'immagine del territorio;
   in più di una circostanza l'interrogante ha evidenziato il notevole incremento della delinquenza in città e nei centri di provincia e le preoccupazioni per gli effetti devastanti che l'ondata continua di sbarchi nel porto di, Salerno potrebbe avere sul territorio –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se ritenga opportuno, considerato il costante incremento della criminalità in provincia di Salerno, rafforzare l'organico delle forze dell'ordine per un controllo del territorio più capillare, anche al fine di far fronte al repentino incremento di immigrati registrato negli ultimi anni;
   se il Governo ritenga necessario assumere iniziative per cambiare la normativa sulle espulsioni e concedere poteri più ampi alle forze dell'ordine;
   quali iniziative di competenza intendano assumere per impedire la permanenza irregolare sul territorio italiano di stranieri perfino con precedenti penali.
(4-13701)


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati presentati il 28 giugno 2016 da Legambiente, nel rapporto Ambiente Italia 2016, l’habitat marino è seriamente messo alla prova dall'inquinamento, con il 25 per cento degli scarichi cittadini ancora non depurati (40 per cento in alcune località) e migliaia di agglomerati in procedura di infrazione europea. Sostanzialmente, un terzo dell'Italia vive con un sistema idrico fuorilegge e depuratori inesistenti, inadeguati, insufficienti, liquami in mare e nelle falde acquifere, infatti il 45 per cento dei prelievi realizzati da Goletta Verde nel 2015 è risultato inquinato, mentre la plastica continua a invadere spiagge e fondali marini;
   è del 2000 la direttiva europea che impone di raggiungere un buono stato delle acque entro il 2015, quindici anni non sono bastati. Per le inadempienze nell'attuazione della direttiva 91/271/CEE, l'Italia ha già subito due condanne da parte della Corte di giustizia europea, la C565-10 (procedura 2004-2034) e la C85-13 procedura 2009-2034) e l'avvio di una nuova procedura di infrazione (procedura 2014-2059); dal 2016 scatteranno le sanzioni fino a 500 milioni di euro l'anno. Sull’Unità del 2 gennaio 2016 (http://www.unita.tv) si legge «il 2016 inizia con una nuova grana ambientale sul tavolo del Governo: l'arrivo delle sanzioni europee per circa 480 milioni causate da circa 2500 comuni fuorilegge e sotto infrazione per mancata depurazione degli scarichi urbani e che inquinano fiumi e tratti di costa». Su questo fronte il ricorso alla figura del commissario straordinario è stata introdotta con il decreto-legge n. 133 del 2014 («SbloccaItalia»), il quale, con il comma 7 dell'articolo 7, ha previsto la possibilità del Governo di esercitare 4 poteri sostitutivi;
   una delle regioni che presenta un quadro drammatico per qualità delle acque e per carenza di infrastrutture di depurazione è proprio la Sicilia; in base al « Report 2015» sul controllo degli impianti di depurazione delle acque marine reflue urbane, redatto dall'Arpa Sicilia, risulta che solo il 61 per cento della popolazione residente in Sicilia (poco più di 3 milioni di abitanti) è servita da un impianto di depurazione. Infatti, la nuova sanzione dell'Unione europea, pronta ad abbattersi sulla regione Sicilia per questa inadempienza ammonta a 185 milioni di euro, se non verranno presi provvedimenti entro il 2016;
   con delibera del Cipe 60/201212 sono stati finanziati 183 interventi relativi al settore del collettamento e della depurazione delle acque nelle regioni Basilicata, Calabria, Campania, Puglia, Sardegna e Sicilia, per un totale stanziato di 1,6 miliardi di euro. Per la Sicilia sono previsti interventi per euro 1.161.020.472,14, di cui disponibili euro 65.098.799,53 (di fonte pubblica) per un totale di 93 opere;
   si cita il caso dello scarico industriale della Raffineria ISAB Impianti Sud, (stabilimento dedicato principalmente alla raffinazione del petrolio greggio) ubicato nella frazione di Melilli (provincia di Siracusa) a Città Giardino. La raffineria, grazie ad una autorizzazione quadriennale, concessa nel 2009 dal comune, scarica direttamente a mare, a Marina di Melilli (rilasciando in atmosfera puzze nauseabonde che compromettono seriamente lo stato di salute dei residenti) attraverso un canalone interrato detto «Canale Alpina» (in cemento armato che attraversa l'impianto industriale da ovest ad est lungo la dorsale sud, uscendo dalla recinzione lato est e passando sotto la SS 114 e la ferrovia), invece di convogliare le proprie acque al depuratore «IAS» (Industria Acqua Siracusana) di Priolo Gargallo (dove vengono già convogliati tutti i reflui industriali e civili dei comuni di Priolo e Melilli e di Belvedere). Nel suddetto «Canale Alpina» di scarico sono convogliati:
    lo scarico dalla vasca di raccolta delle acque bianche e meteoriche;
    lo stramazzo della vasca di raccolta delle acque in uscita dalle torri di raffreddamento;
    le acque di esubero provenienti dalla vasca di dissabbiamento dell'acqua mare (acqua di make-up);
    le acque provenienti dall'Impianto Trattamento Acque di Scarico (TAS);
   in ottemperanza a quanto fissato dai decreti ministeriali di compatibilità ambientale, DEC/VIA/2122 del 2 maggio 1995, DEC/VIA/2226 del 15 settembre 1995 e DA n. 60/9 del 9 febbraio 1995, è stato inviato alle autorità competenti il «Piano di caratterizzazione e di Computo delle Emissioni in Atmosfera – Piano di Monitoraggio Ambientale», che prevede una serie di rilievi ambientali da eseguire nel corso degli anni: per l'anno 2014 è stata monitora la temperatura e la concentrazione di cloro attivo nelle acque di scarico della raffineria; non risulta che ci siano altri dati pubblici sulle emissioni in atmosfera da quello scarico. Al Ministero competente risultavano essere presentati, nell'ambito del monitoraggio a mare dello scarico, solo i parametri cloro e temperatura;
   dal 2013 il comune di Melilli non rinnova l'autorizzazione allo scarico a mare, ma lo stabilimento continua imperterrito ad impiegare il «Canale Alpina» come canale di scarico. Inoltre l'area in questione è stata dissequestrata dalla procura di Siracusa per necessità di bonifica; infatti erano iniziati su richiesta dell'ex assessore Nicotra gli interventi di messa in sicurezza del sito. Situazioni analoghe a questa si ripetono in modalità differenti ma ripetute in tutto il territorio nazionale e causano un aggravio sempre maggiore delle condizioni igienico-sanitarie marine, così come documentato dai vari report ambientali –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per verificare in che modo siano stati utilizzati i fondi statali stanziati per gli scopi narrati in premessa e se sia in grado di fornire un dettagliato resoconto sulle attività intraprese dai commissari straordinari sopra richiamati;
   se il Ministro interrogato, ritenga che sussista il rischio di ricevere una terza condanna da parte della Commissione europea per inadempienza alla direttiva 91/271/CEE sui sistemi di collettamento e depurazione delle acque, e se possa indicare la stima dell'eventuale ammontare;
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza, possa assumere iniziative, anche normative, che permettano di impedire situazioni a giudizio degli interroganti paradossali, come quella citata in premessa del comune di Melilli, in relazione al «Canale Alpina», e se non si ritenga doveroso ampliare il campo di monitoraggio nelle acque di scarico della raffineria ISAB, anche ad altri fattori ed agenti senza limitare il monitoraggio solo ai parametri della temperatura e della concentrazione di cloro attivo nelle acque. (4-13705)


   CAPELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Automobile Club d'Italia, ente pubblico non economico, è posto sotto il controllo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   da marzo 2012 presidente dell'ente sopra citato è l'ingegner Angelo Sticchi Damiani;
   dal curriculum vitae disponibile on line nel sito dell'Automobile Club d'Italia il presidente risulta anche amministratore unico di Aci project srl (società controllata da Aci) da ottobre 2013, consigliere di SARA assicurazioni (società di cui Aci è capogruppo) da aprile 2014, presidente di SARA vita e, dal marzo 2014 presidente di Aci informatica SpA (società in house di Aci);
   per ognuna di queste cariche il citato presidente percepisce compensi rilevanti, di cui solo alcuni pubblicati, ai sensi del decreto legislativo n. 33 del 2013;
   per la precisione, sono pubblicati gli emolumenti percepiti per la presidenza Aci (264.498,66 euro anni), per la presidenza di Aci informatica (60 mila euro annui), mentre non risultato pubblicati i compensi percepiti come amministratore unico di Aci project;
   al riguardo, non risulta che siano state irrogate sanzioni amministrative pecuniarie previste a norma dell'articolo 47 del decreto legislativo n. 33 del 2013 sopra citato;
   risulta all'interrogante che il comitato esecutivo dell'Aci, al quale partecipa anche il presidente dell'Aci, abbia adottato, senza osservazioni, le deliberazioni formulate nelle riunioni del 22 luglio, del 10 settembre e del 12 novembre 2015;
   in particolare, nella deliberazione adottata dal comitato esecutivo dell'Aci del 12 novembre 2015 è stato previsto il riconoscimento a favore di Aci Project, a titolo di rimborso dei costi sostenuti per l'espletamento dell'incarico, di un importo complessivo massimo pari a 86.300 euro, iva inclusa; con la deliberazione del comitato esecutivo dell'Aci del 10 settembre 2015, è stato riconosciuto a favore di Aci Project, un rimborso per un importo complessivo di 45.000 euro, Iva inclusa; con la deliberazione del comitato esecutivo dell'Aci del 22 luglio 2015, è stato riconosciuto a favore di Aci Informatica, un rimborso per un importo massimo di 340.000 euro, oltre Iva;
   si ricorda che in generale il divieto di conflitto d'interessi nella pubblica amministrazione è disciplinata dall'articolo 6-bis della legge n. 241 del 1990, che prevede sempre, in capo ad un responsabile di un procedimento o titolare di un ufficio, l'obbligo di astensione e di segnalazione di ogni situazione di conflitto d'interessi, anche potenziale;
   l'Autorità nazionale anticorruzione (Anac), con parere n. AG/76/15/AC del 4 novembre 2015, ha ritenuto addirittura insufficiente il dovere di astensione, affermando che nel caso in cui il presidente di un ente pubblico sia anche amministratore di una società in controllo pubblico, vi sia una incompatibilità materiale che debba portare alla sua decadenza «in quanto si immedesimano nella stessa persona le figure di controllore e di controllato, a scapito dell'imparzialità che deve permeare l'agire dell'amministratore pubblico. Tale situazione di interferenza è di natura tale da influenzare l'esercizio indipendente, imparziale, e obiettivo della funzione pubblica rivestita, non sanabile con il solo dovere di astensione previsto dal legislatore»;
   quello che appare all'interrogante un rilevante conflitto d'interessi in capo al suddetto presidente, sarebbe ulteriormente aggravato dal fatto che l'ingegner Sticchi Damiani, subito dopo la formalizzazione della sua nomina a presidente Aci con decreto del Presidente della Repubblica del 2012, è stato condannato in via definitiva dalla Corte dei conti per danno erariale nei confronti dello stesso ente che presiede (rigetto dell'appello con sentenza n. 315 del 24 maggio 2012 della Corte dei conti centrale e rigetto della richiesta di revocazione con sentenza n. 386 del 2014 della Corte dei conti, seconda sezione giurisdizionale centrale d'appello) –:
   quali iniziative di competenza il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo intenda intraprendere urgentemente, in qualità di ente vigilante dell'Aci per porre fine a quelle che appaiono all'interrogante continue ed evidenti situazioni di conflitto d'interesse ed incompatibilità materiali dell'attuale presidente dell'Automobile Club d'Italia, nella sua doppia veste di erogatore e beneficiario di vantaggi economici;
   se non intendano, per quanto di competenza, attivarsi affinché siano resi noti i compensi, compresi i vari eventuali benefit, percepiti dal presidente di Aci e non resi noti, nonostante la previsione di legge;
   quali iniziative si intendano assumere per quanto di competenza, per garantire il versamento nelle casse dell'ente della somma liquidata dal giudice contabile;
   se il Governo non ritenga necessario prendere atto della situazione venutasi a creare, anche a seguito delle sentenze definitive di condanna di cui in premessa, e quali conseguenti iniziative di competenza intenda assumere al riguardo.
(4-13709)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CHAOUKI, CIMBRO, BRAGA e CASELLATO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da diverse fonti di stampa nazionali e internazionali che sarebbero arrivate in Marocco circa 2.500 tonnellate di rifiuti provenienti dall'Italia. Tali rifiuti — stando a quanto si apprende — sono approdati nel porto di Al Jadida e sarebbero delle ecoballe destinate ad essere smaltite in centri di smaltimento del Marocco;
   stando a quanto riportano alcuni media marocchini, gruppi di attivisti sui temi ambientali avrebbero avviato una raccolta di firme trovando, in pochi giorni, 10 mila adesioni contro l'ipotesi di bruciare questi rifiuti italiani nei cementifici di Casablanca e Settat;
   la petizione degli attivisti chiederebbe inoltre l'intervento del gabinetto reale, perché il Paese «non diventi il centro di raccolta della spazzatura internazionale», secondo i firmatari «la spazzatura italiana arrivata in Marocco rappresenta un pericolo per la salute dei cittadini»;
   questo avviene alla vigilia della conferenza della ventiduesima Conferenza mondiale sul clima (COP22), che si terrà a novembre, a Marrakech e che si propone di dare attuazione a quanto già deciso a Parigi e, cioè, di eliminare gradualmente tutte le sovvenzioni ai combustibili fossili verso una transizione energetica che punti al 100 per cento di energie rinnovabili entro il 2050;
   secondo la stampa i rifiuti approdati ad Al Jadida sarebbero provenienti dalla Campania, e precisamente da un sito di deposito combustibili che si chiama «Taverna del Re» e che ha sede tra la provincia di Caserta e quella di Napoli  –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati e se non ritenga urgente procedere, per quanto di competenza, ad una approfondita verifica della vicenda, al fine di chiarire quale tipologia di rifiuti sia arrivata nel porto marocchino e se tali rifiuti siano in linea con i parametri internazionali relativi allo smaltimento degli stessi. (5-09090)

Interrogazione a risposta scritta:


   RICCIATTI, PELLEGRINO, ZARATTI, FERRARA, QUARANTA, COSTANTINO, MELILLA, DURANTI, NICCHI, SANNICANDRO, D'ATTORRE e KRONBICHLER. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   a poco più di un anno dall'approvazione della legge sugli «ecoreati», crescono nelle Marche le illegalità e scapito dell'ambiente. Infatti, se nel 2014 sono stati 767 gli «ecoreati» constatati in regione, nel 2015 le infrazioni accertate salgono a 839, vale a dire oltre 2 reati ai danni dell'ambiente al giorno;
   sono i primi numeri legati alle Marche del rapporto Ecomafia 2016 di Legambiente, le storie e i numeri della criminalità ambientale in Italia edito da Edizioni Ambiente con il sostegno di Cobat, presentato in Senato a Roma. La regione Marche, con il 3,1 per cento delle infrazioni sul totale nazionale, si posiziona al decimo posto nella classifica delle illegalità ambientali con 764 denunce, 5 arresti e 189 sequestri registrati ne 2015. Ciclo del cemento, rifiuti, animali, incendi, agroalimentare e «archeomafia» sono i principali settori delle criminalità ambientale;
   «Anche quest'anno il Rapporto Ecomafia – dichiara Francesca Pulcini, presidente di Legambiente Marche — ci racconta quella brutta pagina del nostro Paese che non vorremmo mai scrivere. Purtroppo, dopo l'introduzione dei delitti contro l'ambiente nel Codice penale, nelle Marche sono aumentati i numeri degli illeciti ai danni dell'ambiente. Oltre due reati al giorno che pesano sul futuro del nostro territorio e che dobbiamo con forza contrastare, insieme alle associazioni che si occupano di legalità e di difesa dell'ambiente e con le forze dell'ordine che ogni giorno si adoperano per combattere la criminalità. Una inversione di tendenza che è necessaria per rendere le Marche più forti e competitive. Per fare questo, siamo convinti che l'ingresso dei ecoreati nel codice penale, anche se arrivato dopo 21 anni, sia solo l'inizio di una nuova fase in cui è fondamentale fare formazione e informazione tra cittadini, istituzioni e imprese, per dare speranza e generare nuova consapevolezza su questo tema così centrale per il nostro territorio» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto rappresentato da Legambiente;
   se i Ministri interrogati non intendano, per quanto di competenza promuovere iniziative concrete volte alla prevenzione degli «ecoreati» per contrastare l'aumento degli stessi. (4-13692)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   BOSSA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato in data 30 giugno 2016 dal quotidiano Corriere del Mezzogiorno, si sarebbero verificati alcuni crolli nella chiesa di Santa Brigida, a Napoli; in particolare, dal Soffitto sarebbero caduti alcuni stucchi, mentre gli affreschi si starebbero incrinando; la parte centrale della navata è stata transennata con barriere di ferro e nastro biancorosso per garantire la sicurezza dei fedeli e dei visitatori;
   la chiesa di Santa Brigida è un piccolo gioiello di arte e cultura; è del Seicento, ospita capolavori di Luca Giordano, Massimo Stanzione e Paolo De Matteis;
   un destino simile tocca, in questi giorni, anche alla basilica di Santa Maria degli Angeli, nella zona di Pizzofalcone, che è stata chiusa al pubblico dopo alcuni crolli all'altezza della seconda cupola della navata laterale destra, con evidenti lesioni agli altari della navata laterale sinistra e alcune crepe sull'affresco principale che sovrasta l'ingresso della chiesa;
   la chiusura della Basilica è stata decisa per evitare possibili danni alle persone; sull'origine dei crolli sarebbero in corso accertamenti e alcune ipotesi conducono ai lavori della vicina Metropolitana;
   sarebbero 360 gli edifici storici di Napoli in questo momento sotto osservazione speciale per rischio di crolli o cedimenti; 160 di essi sono ritenuti grandi monumenti o sono chiese storiche; si tratta di pezzi importanti del patrimonio culturale della città;
   sono quasi 200 le chiese monumentali di Napoli in rovina e chiuse al pubblico per interventi da realizzare e mai partiti;
   tra queste, la chiesa di San Carlo alle Mortelle, sventrata da una voragine, la chiesa di San Pietro Martire al Corso Umberto, chiusa per pericolo crolli da qualche anno e altri importanti edifici di culto come Santa Maria di Betlemme, San Biasiello alla Vicaria, Sant'Onofrio a Capuana, Sant'Agostino alla Zecca, conosciuta anche come Sant'Agostino Maggiore, quest'ultima chiusa addirittura dal terremoto del 1980 e mai più recuperata;
   si tratta di decine di edifici di culto che conservano dipinti, affreschi, pezzi di storia della città che non solo sono negati ai tanti turisti che affollano Napoli, e che li cercano, ma rischiano letteralmente di crollare nell'incuria e nell'abbandono;
   esiste sugli edifici di culto e sui pazzi monumentali storici una complessità riguardo alle competenze: c’è un incrocio tra comune, curia, soprintendenza, a volte anche proprietà private, e non sempre si riesce a capire con precisione chi deve fare cosa, con il risultato di non riuscire neppure a individuare le responsabilità dell'abbandono;
   si tratta, in ogni caso, di un tesoro della collettività; pezzi straordinari di un centro storico considerato patrimonio dell'umanità nel 1995 dall'Unesco e che non vede un progetto organico di recupero e valorizzazione;
   si avverte le necessità di un grande progetto per il centro storico di Napoli e per il suo patrimonio di chiese e palazzi monumentali, che metta insieme più attori istituzionali e costruisca un percorso certo, pianificato, di recupero e valorizzazione –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e se non ritenga, nell'ambito e nei limiti delle sue competenze, di attivarsi per una iniziativa al fine di garantire interventi, concertati con i livelli istituzionali locali, sul centro storico di Napoli e sulle chiese chiuse e abbandonate, che vanno considerate una grande questione nazionale, in considerazione dell'indiscusso valore artistico e culturale.
(4-13698)


   DIENI, D'UVA e VILLAROSA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione prevede, all'articolo 117, secondo comma, tra le materia di competenza esclusiva dello Stato la tutela dell'ambiente, dell'ecosistema e dei beni culturali;
   la Corte Costituzionale, a partire dalla sentenza n. 94 del 2003, ha precisato che la normativa «riserva alla esclusiva competenza statale anzitutto la “apposizione di vincolo, diretto e indiretto, di interesse storico o artistico e vigilanza sui beni vincolati” e tutto quanto riguarda “autorizzazioni, prescrizioni, divieti, approvazioni e altri provvedimenti, anche di natura interinale, diretti a garantire la conservazione, l'integrità e la sicurezza dei “beni di interesse storico o artistico” ed “esercizio del diritto di prelazione”»; il primo comma dell'articolo 152 del medesimo testo normativo afferma, invece, che «lo Stato, le regioni e gli enti locali curano, ciascuno nel proprio ambito, la valorizzazione dei beni culturali»;
   il riferimento normativo è in tal senso il codice dei beni culturali e del paesaggio, ai sensi dell'articolo 10 della legge 6 luglio 2002, n. 137;
   la conservazione, integrità e sicurezza dei beni culturali di particolare pregio è questione di cui lo Stato non può disinteressarsi neppure nel caso in cui siano le omissioni delle regioni a statuto speciale, nelle loro competenze, a porre in pregiudizio beni di valore inestimabile per la Nazione;
   questo è il caso delle opere conservate all'interno del Museo di Messina, di cui si è occupato di recente un articolo apparso su la Repubblica del 22 giugno 2016 dal titolo «Messina aspetta il museo fantasma chiuso da vent'anni»;
   l'articolo rimarca come il nuovo museo di Messina sia «pronto da vent'anni e mai aperto [...] pensato e progettato per dare spazio ai beni recuperati dal terribile terremoto del 1908 rimasti in gran parte nei magazzini fino o già posizionati nella nuova struttura per l'allestimento finale»;
   si tratta di «un patrimonio complessivo di 20 mila pezzi tra reperti archeologici, opere pittoriche, elementi architettonici, monete, maioliche, gioielli, manufatti preziosi e tanto altro»;
   in esso risultano peraltro conservate da 20 anni, «alcune tavole di Antonello da Messina e due tele del Caravaggio»;
   il lungo stato di abbandono, lontano da pubblico e riflettori, non può che destare serie preoccupazioni circa lo stato di conservazione di tali inestimabili capolavori;
   come sostiene l'articolo, infatti, «l'umidità cammina nelle pareti esterne» del Museo, mentre dopo un ventennio, per motivi che non sono stati completamente chiariti, esso resta chiuso;
   nonostante i vincoli costituzionali e, di conseguenza, quelli statutari, che pongono la «conservazione delle antichità e delle opere artistiche» nelle competenze esclusive della regione siciliana, restano spazi, previsti dallo stesso statuto regionale, al Governo nazionale per intervenire nei casi più gravi di violazione dello stesso, tra cui, a parere degli interroganti, devono risultare anche le omissioni sulla tutela delle opere artistiche di inestimabile valore, come quelle conservate nel Museo di Messina –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e alle criticità evidenziate dagli organi si stampa;
   quali iniziative di competenza intenda assumere per promuovere, di concerto con le regioni e gli enti locali, un piano di rilancio delle strutture museali su tutto il territorio nazionale, considerato che queste, come nel caso del Museo di Messina sopra descritto, custodiscono un patrimonio culturale di inestimabile valore. (4-13704)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nella mattinata del 5 luglio 2016 due forti boati a distanza ravvicinata sono stati avvertiti nel territorio del comune di Ravenna;
   lo stesso fenomeno si era verificato il 20 giugno 2016;
   pare che a determinare il rumore siano stati, in entrambi i casi, passaggi di aerei a velocità superiore quella del suono;
   se confermato, si tratterebbe senza dubbio di apparecchi militari, dato che essi soli raggiungono la velocità necessaria;
   dovrebbe essere sempre limitata la possibilità di superare il muro del suono in prossimità di un centro abitato, per limitare il disagio su persone e esseri viventi –:
   se il Ministro interrogato possa dare conferma della notizia e, in caso positivo, per quali motivi siano stati autorizzati voli supersonici a breve distanza da una città;
   se possa garantire che non si ripeteranno casi simili, salvo inderogabili necessità operative. (4-13691)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI e TARTAGLIONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la recentissima riforma delle banche di credito cooperativo, di cui al decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, convertito con modificazioni, dalla legge 8 aprile 2016, deve essere attentamente seguita e monitorata nel suo complesso processo applicativo per poter correttamente attuare le sue finalità ispiratrici ed i suoi principi di fondo;
   questa azione è fondamentale per scongiurare ed evitare che applicazioni improprie, sbagliate e forzate della riforma possano condurre a comprimere l'autonomia del credito cooperativo, a determinare costi eccessivi del sistema cooperativo, a provocare la perdita del ruolo e della funzione da sempre esercitati dalle banche di credito cooperativo (BCC) sul territorio, a produrre la perdita di redditività delle singole aziende;
   in particolare, occorre assicurare e preservare la concreta autonomia per quelle banche di credito cooperativo che sono state ben governate ed amministrate, soprattutto nella governance e negli indici di rischio, che non presentano criticità ed anzi hanno prodotto risultati positivi in termini di redditività e basso rischio creditizio;
   tali realtà del credito cooperativo debbono essere poste in grado di continuare a coniugare autonomia e responsabilità;
   inoltre, è necessario investire della guida e del governo della società capogruppo amministratori che provengano dal mondo delle banche di credito cooperativo senza aver mai provocato criticità, valorizzando criteri di meritocrazia;
   del resto, nell’iter di discussione ed approvazione della riforma, è stata generalmente affermata la volontà di garantire la continuazione della preziosa attività mutualistica svolta dalle banche di credito cooperativo al servizio delle comunità locali;
   la tutela della funzione del credito cooperativo deve scongiurare che la riforma, nella sua attuazione concreta, porti a trasformare le banche di credito cooperativo da realtà autonome in semplici sportelli al servizio della capogruppo centrale –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda con tempestività adottare per seguire e monitorare il complesso ed articolato processo applicativo ed attuativo della riforma delle banche di credito cooperativo, al fine di assicurare l'autonomia delle realtà bancarie che hanno avuto una gestione sana, efficiente e positiva per tutti gli indici essenziali di riferimento, dimostrando di saper tradurre con responsabilità e corretta autonomia il loro ruolo in azione costante e proficua al servizio del territorio e delle comunità locali e che, quindi, non possono essere ridotte ad una funzione meramente marginale e priva di respiro strategico. (5-09087)

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE, GALLINELLA, PESCO, VILLAROSA, ALBERTI e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle Entrate, nelle istruzioni al modello unico persone fisiche 2015 (Rigo RP7-interessi per mutui ipotecari per l'acquisto dell'abitazione principale), ha provveduto a chiarire che un contratto di mutuo che sia stato stipulato autonomamente da quello acceso per l'acquisto della «prima casa» al fine di acquistare una pertinenza (box), non dà diritto alla detrazione, anche se si tratta di una pertinenza dell'abitazione principale, e che non danno, comunque, diritto alla detrazione gli interessi pagati a seguito di aperture di credito bancario, di cessione di stipendio e, in generale, gli interessi derivanti da tipi di finanziamento diversi da quelli relativi a contratti di mutuo, anche se assistiti da garanzia ipotecaria su immobili;
   la normativa fiscale attualmente in vigore non appare idonea ad accrescere ulteriormente l'interesse della domanda e dell'offerta di box sotterranei nelle aree urbane densamente popolate, mentre vi è un evidente interesse più generale dello Stato a prevedere una simile misura, atteso che da un incremento dello spostamento di autovetture nel sottosuolo attraverso l'acquisto di box sotterranei deriva un decongestionamento delle arterie viarie di superficie e vantaggi economici reali superiori al costo della possibile detrazione nella successiva dichiarazione dei redditi; infatti, nonostante una misura siffatta possa presentare astrattamente problemi di copertura, concretamente dall'aumento del gettito tributario e contributivo per la sua realizzazione dovrebbe derivare un alleggerimento dei conti dello Stato per il settore previdenziale e un incremento del gettito fiscale;
   essa rappresenta, inoltre, una misura di equità fiscale;
   è comunque opportuno ricordare che il mutuo è un contratto tipico, disciplinato dall'articolo 1813 del codice civile, e che l'assenza dei caratteri tipici del contratto di mutuo costituisce la causa legale del mancato riconoscimento del beneficio stesso (Direzione affari giuridici e contenzioso tributario risoluzione n. III del 29 luglio 1994) nel caso in cui il contribuente si trovi ad accedere ad altre forme di credito bancario per finanziare l'acquisto di una unità immobiliare;
   secondo la circolare del 12 giugno 2002 n. 50 – Agenzia delle entrate-direzione centrale normativa e contenzioso, non danno diritto alla detrazione gli interessi per aperture di credito bancarie o di cessione di stipendio, ovvero di prefinanziamento –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per estendere il diritto alla detrazione degli interessi ipotecari per l'acquisto di box da adibire a pertinenza dell'abitazione principale anche a coloro che li acquistano successivamente all'abitazione. (4-13694)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOGNATO, MARTELLA, MURER, NACCARATO, CAMANI, MALISANI, NICOLETTI e ZOGGIA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   gli uffici sterni per l'esecuzione penale (UEPE) costituiscono un'articolazione essenziale del sistema penitenziario del Paese, in quanto sono demandati alla gestione delle misure alternative alla detenzione in carcere;
   le misure alternative alla detenzione in carcere rappresentano un perno del sistema penitenziario, sia per ottemperare quanto previsto all'articolo 27 della Costituzione, sia per agire efficacemente sulla riduzione del sovraffollamento della popolazione carceraria italiana;
   più aggiornate statistiche in tema di recidiva evidenziano che le persone che sono ammesse alle misure alternative alla detenzione hanno una probabilità sensibilmente inferiore di incorrere nella reiterazione di reati e comportamenti illeciti rispetto a quanti scontano la misura detentiva all'interno del carcere;
   l'UEPE è composto da personale altamente professionalizzato nel campo dell'assistenza sociale, che cura la presa in carico dei soggetti ammessi a scontare le misure alternative come l'affidamento in prova al servizio sociale ovvero la sanzione di comunità, in collaborazione con le reti territoriali associative, le forze dell'ordine, la magistratura, le autonomie locali, le comunità terapeutiche;
   le funzioni dell'UEPE sono state implementate proprio per consentire all'Italia di fronteggiare la drammatica situazione del sovraffollamento carcerario, per la quale il nostro Paese è stato condannato dalla Corte europea per la violazione dell'articolo 3 della Convenzione dei diritti umani (cosiddetta sentenza «Torregiani»);
   tale implementazione di funzioni non ha però corrisposto un adeguamento delle risorse umane assegnate all'UEPE: a livello nazionale infatti, sono circa 900 gli assistenti sociali in forza all'UEPE a fronte di un organico di 1.600, che hanno in carico la gestione di circa 33.000 misure e sanzioni non detentive (affidamento in prova al servizio sociale, detenzione domiciliare, lavori di pubblica utilità, messa alla prova e altro);
   nel Triveneto sono presenti 7 UEPE, che possono contare su 61 assistenti sociali, i quali al 30 aprile 2016 avevano in carico 8.229 persone, per una media di 134 persone per operatore. In particolare, UEPE come Trento, Udine e Padova toccano carichi di lavoro ancora più elevati a causa di ulna particolare condizione di sotto-organico di funzionari di servizio sociale;
   il costo di funzionamento degli UEPE è pari solo al 2,5 per cento bilancio complessivo del sistema penitenziario italiano;
   nel corso degli ultimi 20 anni le misure alternative e le sanzioni non detentive seguite dall'UEPE sono aumentate del 700 per cento;
   il blocco del turn-over che permane da 15 anni rende sempre più gravoso il carico di lavoro assegnato agli operatori, e rischia soprattutto di compromettere l'investimento in materia di alternativa alla pena compiuto dal nostro paese, vanificando quindi i risultati raggiunti –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare nell'ambito delle sue competenze, al fine di verificare, come peraltro previsto dall'articolo 7 della legge n. 67 del 2014, le necessità di incremento degli organici degli assistenti sociali dell'UEPE e consentire a questi uffici di avere la dotazione adeguata per mantenere e incrementare l'attuale livello di accesso alle misure alternative alla detenzione. (5-09095)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MOGNATO, MARTELLA, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento produttivo IMC Mestre del gruppo FSI (Ferrovie dello Stato Italiane), comunemente denominato «deposito locomotive Mestre» costituisce uno dei siti manutentivi per il materiale rotabile più importante in Italia;
   negli anni si è provveduto ad adeguare progressivamente le modalità operative dell'IMC Mestre alle rinnovate esigenze dei vettori del trasporto su ferro, per garantire la massima flessibilità e funzionalità del sito: esso è infatti operativo 7 giorni su 7 con un nastro orario di 24 ore che riesce a garantire un ciclo continuo di lavorazione e produzione;
   la produzione manutentiva può essere garantita a tutti i mezzi rotabili che operano sia nel trasporto ferroviario locale che nella rete Alta Velocità/Alta Capacità, e si concentra in particolare sui prodotti Frecciarossa, Frecciargento, Thellò, Trasporto regionale, VSOE, trazione per servizi universali;
   gli ingressi/uscite giornaliere dello stabilimento IMC Mestre assommano oggi a 58, cui si sommano 2 entrate/uscite periodiche con cadenza settimanale;
   il personale impiegato presso lo stabilimento IMC Mestre è pari a 402 unità, di cui 290 appartenenti al gruppo FSI, 98 a ditte in appalto, 33 a ditte di servizi;
   lo stabilimento IMC Mestre, a fronte di tali indubbi elementi di eccellenza, possiede alcuni limiti strutturali che possono limitarne l'ulteriore sviluppo: a fronte di un volume notevole di ingressi e uscite dei treni esso mantiene un unico scambio/binario di accesso che, in caso di guasto, isolerebbe il sito dal restante complesso della stazione ferroviaria di Mestre; inoltre, i binari attrezzati per la pulizia e quelli coperti interni ai capannoni risultano oggi saturi negli orari di picco dell'attività lavorativa, e pertanto ogni piccola modifica imprevista delle attività manutentive può compromettere l'intera capacità dell'impianto;
   il contratto di programma 2012-2016 e lo stesso suo aggiornamento 2015 tra il gruppo Ferrovie dello Stato italiane e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti individua il trasporto di ferro come una delle modalità di spostamento di persone e merci da privilegiare, con obiettivi precisi quali ad esempio la connessione ferroviaria tra i poli aeroportuali, il completamento della rete Alta Velocità europea, la soglia del 50 per cento del trasporto merci oltre i 300 chilometri attraverso rotaia;
   in questo scenario un ruolo strategico è destinato a giocare l'area regionale veneta e metropolitana di Venezia, che si colloca allo snodo di alcuni tra i principali corridoi di connessione europea –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare, nell'ambito delle sue competenze, per assicurare lo sviluppo dell'IMC Mestre, e in particolari quale sia il piano di investimento previsto per tale sito, e per l'eliminazione dei limiti infrastrutturali in premessa richiamati, anche al fine di garantire qualità del servizio e sviluppare i livelli occupazionali. (5-09093)


   MARTELLA, MOGNATO, MURER e ZOGGIA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 gennaio 2016 l'interrogante, con altri colleghi deputati, ha depositato, una interrogazione, la n. 5-07413 in merito al futuro della società Thetis di Venezia con la richiesta al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti di promuovere un tavolo istituzionale di confronto sul futuro della società stessa al fine di acquisire informazioni e valutare le prospettive di mercato con l'obiettivo di evitare uno smembramento della stessa società a vantaggio di realtà straniere, nonché di salvaguardare i livelli occupazionali, in una fase storica in cui i processi di rigenerazione urbana in particolare per Venezia assumono, una rilevanza strategica anche sotto l'aspetto delle politiche di rilancio economico;
   purtroppo, il citato atto di sindacato ispettivo, dopo 6 mesi, è ancora in attesa di risposta e nel frattempo si sono accentuate le criticità e i rischi rispetto al prosieguo dell'attività di tale società;
   dal 2008 Thetis, attraverso il Consorzio Venezia Nuova, fornisce il servizio di monitoraggio ambientale e campionamento della Laguna di Venezia presso il provveditorato interregionale per le opere pubbliche (ex magistrato alle acque);
   dal 1o gennaio 2017 non vi sarebbe l'intenzione di rinnovare la concessione Consorzio Venezia Nuoro e questa scelta inevitabile rischia di creare ripercussioni innanzitutto per i 22 lavoratori che, andranno incontro alla perdita del proprio posto di lavoro e anche perché rischia di venir meno un servizio importantissimo per la città di Venezia, a partire dal controllo e monitoraggio dalle acque di scarico in tutta la laguna;
   tale prospettiva viene, tra l'altro, ad inquadrarsi in una non semplice fase di transizione delle competenze verso la città metropolitana e la responsabilità del servizio antinquinamento e di controllo delle acque sicuramente ricade in questo processo di nuova attribuzione;
   da tempo, le organizzazioni sindacali e i lavoratori della Thetis hanno cercato una interlocuzione con le istituzioni per affrontare i non semplici problemi in campo che però, purtroppo, non hanno ancora trovato un luogo di confronto;
   il 18 luglio 2016 alle ore 15, è stata convocata una riunione presso Veneto Lavoro per affrontare le problematiche in questione;
   Thetis e il Consorzio Venezia Nuova avrebbero proposto al provveditore di istituire un bando di gara che garantisca, dal 1o gennaio 2017, la continuità lavorativa dei dipendenti e quindi il prosieguo dell'attività dei laboratori, ma su questo serve un'attenta valutazione soprattutto alla luce delle mutate competenze istituzionali –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda porre al fine di pervenire a un intervento chiarificatore sulle competenze in materia di attività volte a contrastare l'inquinamento della laguna di Venezia, scongiurando la perdita di posti di lavoro e il prosieguo dell'attività all'interno di un nuovo assetto giuridico e normativo, evitando pericolose conflittualità che inevitabilmente si ripercuoterebbero a danno dei lavoratori e del territorio. (5-09097)

Interrogazione a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   una preoccupante situazione di stallo caratterizza lo scalo di Forlì in merito all'indeterminatezza dei propositi manifestati dall'Air Romagna, la società che si è aggiudicata il bando di gara per la gestione trentennale dell'aeroporto di Forlì;
   nonostante le diverse rassicurazioni fatte nel tempo dal manager statunitense Robert Halcome, amministratore delegato della società, in merito ad una prossima apertura dello scalo forlivese, ad oggi ancora sembra essere tutto in alto mare;
   una prima dichiarazione aveva preannunciato la riapertura al 31 ottobre 2015, data in cui invece l'Enac ha proceduto ad un'ispezione per verificare la progressione dei lavori e gli adeguamenti strutturali richiesti fissando al 20 novembre successivo il termine ultimo per completare gli adempimenti necessari alla riapertura dell'aeroporto;
   altre dichiarazioni si sono susseguite nel tempo fissando altri termini, come giugno 2016 ed ora sembrerebbe, fine estate prossima; addirittura a marzo 2016 è stata aperta una pagina Facebook « Forlì Airport» con continui messaggi di aggiornamenti sullo stato dei lavori ma nessuno che dia certezza sulla data definitiva di apertura dell'aeroporto;
   preoccupa, peraltro, la mancata elaborazione di un piano di ricollocazione dei lavoratori ex SEAF, fatto salvo un verbale di incontro tra regione Emilia-Romagna, provincia di Forlì-Cesena, comune di Forlì, Camera di commercio di Forlì e sindacati confederali Cgil-Cisl-Uil, siglato il 21 maggio 2013, in cui «le parti hanno assunto l'impegno di operare ognuno le proprie funzioni affinché gli ottanta lavoratori che attualmente operano nel sito aeroportuale di Forlì siano avviati a nuove attività occupazionali» –:
   se e quali iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda adottare affinché Air Romagna renda noto il piano industriale e i termini di riapertura dello scalo, considerati i ritardi accumulatisi;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno convocare urgentemente un tavolo istituzionale Con tutte le parti interessate (proprietà, rappresentanze sindacali, rappresentati dei lavoratori, istituzioni locali) al fine di valutare ogni possibile soluzione a salvaguardia dei livelli occupazionali dei lavoratori licenziati da Seaf. (4-13706)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   CANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi in Sardegna si è verificato un assalto armato ad un mezzo portavalori al chilometro 30 della strada statale 130 nei pressi del bivio per Domusnovas, lungo la trafficata arteria che collega Cagliari a Iglesias e Carbonia;
   l'assalto è avvenuto intorno alle ore 8 quando un commando armato, dotato di armi semiautomatiche, ha bloccato la strada e tentato di rapinare il furgone portavalori;
   contestualmente all'azione paramilitare è intervenuta una pattuglia della polizia stradale di Carbonia che era in transito;
   c’è stato un conflitto a fuoco, ma senza feriti e i banditi si sono dati alla fuga facendosi scudo di una guardia giurata presa in ostaggio e poi rilasciata;
   è immediatamente partita la caccia all'uomo ma senza esito positivo;
   purtroppo episodi del genere non sono isolati e periodicamente azioni della stessa natura interessano portavalori in transito lungo le arterie della Sardegna –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per affrontare questa problematica e per rafforzare i dispositivi di sicurezza per quanto concerne il trasporto di valori al fine di prevenire episodi come quello riportato in premessa e contrastare in maniera efficace bande criminali dedite a tali attività garantendo piena sicurezza agli operatori e anche agli automobilisti. (3-02369)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VICO, VENTRICELLI, GRASSI, MICHELE BORDO, CAPONE, GINEFRA, MARIANO e MONGIELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in queste ore sta facendo il giro del web ed è richiamato sui siti dei principali quotidiani del Paese un video postato su facebook che riguarda Franco Metta, sindaco di Cerignola (provincia di Foggia);
   all'inaugurazione di un parco giochi con tanto di fascia tricolore, il sindaco rivolgendosi anche in «dialetto» insulta e usa un frasario a giudizio degli interroganti assolutamente volgare nei confronti di un bambino che confessa di essere stato bocciato a scuola;
   davanti a tante persone e in una condizione di oggettivo condizionamento il bambino è stato messo in grave imbarazzo da un comportamento improprio del sindaco;
   guardando il video, anche a voler interpretare il richiamo paternalistico verso il bambino da parte del primo cittadino, si è di fronte ad una evidente eterogenesi dei fini;
   quelle frasi si sono trasformate in una oggettiva umiliazione del ragazzo;
   si sa quanto è importante la scuola e quanto, soprattutto al Sud, vi siano difficoltà soprattutto in segmenti sociali non irrilevanti, nel frequentare con profitto gli studi ma compito delle istituzioni è stimolare a far meglio non umiliare;
   ad aggravare la circostanza c'era la fascia tricolore indossata, poiché in quel momento rappresentava una istituzione a cui il bambino si rapportava;
   a parere degli interroganti non si può non rilevare che episodi di tal genere rischiano di favorire anche fenomeni di bullismo, che spesso conducono a conseguenze particolarmente gravi –:
   se non si intenda adottare ogni iniziativa di competenza volta a prevenire e contrastare atti ed episodi che possono favorire tali fenomeni. (5-09102)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PIRAS, DURANTI, RICCIATTI e QUARANTA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con i 291 profughi arrivati a Cagliari domenica 3 luglio 2016 a bordo della nave olandese Van Amstel (come documentato da diversi organi di stampa, fra cui La Nuova Sardegna di lunedì 4 luglio), si è raggiunta la cifra di oltre 1400 migranti accolti in pochi giorni dalla Sardegna;
   come dichiarato dal vice prefetto di Cagliari Carolina Bellantoni – che ha coordinato l'ultima operazione — le varie strutture di accoglienza del territorio sardo sono al completo, rischiando quindi il collasso con i probabili arrivi dei prossimi giorni;
   nello specifico durante l'ultimo arrivo sono sbarcati almeno 100 minori, dei quali la maggior parte «non accompagnati». In tal modo, si è andata ad aggravare ulteriormente la situazione dei centri di accoglienza per minori senza familiari;
   come infatti si apprende da L'Unione Sarda del 28 giugno 2016, la delegata del presidente di regione ai problemi della immigrazione, Quaquero, denunciava come a fronte dei 350 minori non accompagnati ci fossero solo 40 posti disponibili presso i centri di prima accoglienza;
   la normativa nazionale, integrata dal decreto ministeriale aprile 2015 — allegato A su «Linee guida per la presentazione delle domande di contributo per il fondo nazionale per le politiche e i servizi dell'asilo per l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati», prevede diverse e particolari forme di tutela per tali soggetti, data l'età ed il percorso di arrivo;
   gli interventi della regione Sardegna sono stati tempestivi, come testimoniato anche da Laura Manca, direttrice del Consorzio solidarietà di Villanovaforru. Con delibera di gennaio 2016, infatti, sono state fissate le regole per i centri di accoglienza per minori non accompagnati, che prevedono fra le altre cose che «le comunità devono avere al massimo quindici ospiti ed una èquipe multidisciplinare: assistenti socio-sanitari, mediatori linguistico-culturali, consulenti legali e psicologici, insegnanti di italiano ed educatori». In questo modo si garantiscono i diritti dei minori, oltre a fornire ai ragazzi stessi gli strumenti necessari per proseguire al meglio la vita dopo il compimento dei diciotto anni (formazione scolastica e/o professionale);
   i rimborsi per ogni minore sono divisi fra Stato e regione, nella misura di 45 e 35 euro. Una delle problematiche – per la gestione dei centri — è determinata dal fatto che l'erogazione del contributo statale è posticipata e quindi in capo alle amministrazioni comunali con le cosiddette «anticipazioni di cassa», peraltro fortemente limitate dalle normative vigenti. In tal modo, si rischia di creare un cortocircuito burocratico capace di inceppare il sistema di accoglienza;
   il sistema di accoglienza così strutturato ha innanzitutto la funzione di generare lavoro positivo in un territorio, come quello sardo, pesantemente colpito dalla crisi;
   sino ad adesso – ed anche grazie alla stretta relazione fra privati, comuni e regione — da parte della popolazione sarda vi è stata una buona risposta verso i migranti arrivati (per esempio, diverse famiglie dopo lo sbarco di domenica 3 luglio 2016 hanno fatto richiesta diretta di affido per i minori). Interrompere un possibile circolo virtuoso rischierebbe seriamente di pregiudicare la tenuta sociale dei territori, trasformando quella che è opportunità di crescita ed integrazione in emergenza –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali iniziative intenda intraprendere per potenziare il sistema di accoglienza sardo, valutando innanzitutto una maggiore ed immediata disponibilità di risorse al fine di fronteggiare il prevedibile aumento di flusso dei migranti, che già allo stato attuale rischia di mandare al collasso le strutture per minori non accompagnati. (4-13693)


   OCCHIUTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Amantea è un comune italiano della provincia di Cosenza di circa 15.000 abitanti, nonché nota località di vacanza che, durante la stagione estiva, arriva ad ospitare circa 30.000 turisti;
   il comando generale della Guardia di finanza ha deciso, sin dall'11 maggio 2016, per la chiusura della tenenza presente nel comune di Amantea, come confermato dal sindaco, Monica Sabatino, «È notizia di questi giorni la chiusura della locale tenenza della Guardia di Finanza. L'ufficialità l'ho avuta come sindaco mercoledì 11 maggio nel corso dell'incontro con il comandante della locale stazione, Antonio Cassano, e il capitano della compagnia di Paola (Cosenza), Matteo Angelillis»;
   va ricordato, oltretutto, che proprio il comune di Amantea subisce da sempre vessazioni, minacce, atti criminali, intimidazioni e violenze da esponenti della criminalità organizzata (`Ndrangheta principalmente);
   nel 2008, infatti, circa 39 consociati vennero arrestati in una vasta operazione antimafia (denominata «Nepetia»), conclusasi con la confisca di beni del valore superiore ai 15 milioni di euro;
   nonostante questi dati, la cittadina di Amantea non può contare su nessun reparto della polizia di Stato. Sul territorio è presente una sola stazione di carabinieri, (peraltro con personale insufficiente a livello numerico) e la tenenza della Guardia di finanza in questione;
   con l'eventuale chiusura di questa tenenza, quindi, la parte di territorio che va da Paola (Cosenza) a Lamezia Terme (Catanzaro), rimarrebbe senza alcun presidio della Guardia di finanza, laddove da Paola (Cosenza) a Tortora (Cosenza), in un territorio di estensione pari al precedente, si registra la presenza di ben 3 reparti della Guardia di finanza, avvalorando un inspiegabile squilibrio per il mantenimento dell'ordine e della sicurezza in tutto il territorio;
   l'esposizione ad atti criminosi del territorio in questione è confermata da recenti azioni di stampo mafioso: nel maggio del 2016, una ruspa della Eurostrade srl, società vincitrice dell'appalto per i lavori di riqualificazione di Via Neto (Amantea), è stata incendiata;
   cittadinanza ed istituzioni, comprensibilmente allarmati, hanno altresì stimato che la privazione di legalità e di deterrenti alla criminalità (inevitabili con la chiusura della tenenza della Guardia di finanza), porterebbe comunque ad un impercettibile risparmio (meno di 20.000 euro) sul costo dell'affitto dell'immobile dove per anni e a tutt'oggi la tenenza ha operato;
   non solo: ad Amantea ci sono immobili confiscati alla stessa `Ndrangheta, in particolare 3 ville di cui 2 destinate all'Arma dei carabinieri ed una in cui si potrebbe sistemare la Guardia di finanza;
   infine, il reparto della Guardia di finanza operante ad Amantea (con soli 4 ispettori) ha conseguito, negli ultimi 2 anni, un rendimento maggiormente efficace rispetto alla superiore compagnia di Paola (Cosenza, con 20 ispettori) –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto e quali iniziative intendano adottare per evitare la chiusura della sede della tenenza della Guardia di finanza ad Amantea, garantendo così il rispetto degli standard minimi di sicurezza, legalità, protezione e presidio nell'area ed un numero di forze dell'ordine adeguato a ripristinare l'ordine pubblico ed il controllo del territorio quando necessario;
   se i Ministri interrogati intendano accelerare, di concerto con l'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata, l'assegnazione di uno degli immobili sequestrati alla Guardia di finanza di Amantea. (4-13700)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 maggio 2016, con prot. 1209, veniva avviato il procedimento di verifica edilizia dell'immobile a due piani sito nel comune di Terranova dei Passerini, in via San Giacomo n. 4 proprietà della signora Anzalone Tiziana, in qualità di legale rappresentante della società Atme S.a.s. di Anzalone Tiziana & C. e gestito dal signor Rovati Luca, amministratore unico della Multiethnic International Srl che ivi gestisce un centro di accoglienza per richiedenti asilo;
   il procedimento di cui sopra ha portato all'accertamento di alcune irregolarità e difformità, contestate con il provvedimento n. 1331 del 20 maggio 2016, il quale precisava che, per le condizioni dell'immobile, quest'ultimo era privo di agibilità e pertanto veniva irrogata la sanzione amministrativa di cui all'articolo 37 del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, notificata alla proprietà in data 24 maggio 2016;
   successivamente, e precisamente in data 1o giugno 2016, l'ufficio tecnico e la polizia locale, su indicazione del sindaco, eseguivano un sopralluogo dell'immobile ed in tale occasione accertavano la presenza di un'attività di gestione migranti attivata dalla Multiethnic destination International;
   nel sopralluogo, di cui sopra veniva rilevato altresì che la fornitura di energia elettrica era garantita da un gruppo elettrogeno esterno, pochi giorni dopo, in data 6 giugno 2016, l'ufficio tecnico e la polizia locale eseguivano un ulteriore accesso all'area (verbale del 6 giugno 2016 – prot. 1457) «durante il quale l'amministratore unico della società Multiethnic, presente in loco, comunicava di aver avviato l'attività su indicazioni della Prefettura di Lodi e che la proprietà aveva dichiarato la conformità edilizia della struttura»;
   in particolare, dai sopralluoghi effettuati, risulterebbero: «l'assenza di un impianto di riscaldamento funzionante dove la certificazione prodotta per la centrale termica presenta evidenti carenze (collegamento non conforme della condotta di evacuazione fumi di scarico alla canna fumaria esistente) e dove l'impianto risulta privo di radiatori al piano terra e non funzionati in quanto rotti al piano primo (si precisa che l'assenza di un impianto di riscaldamento non funzionante è elemento che concorre alla definizione di alloggio inabitabile ai sensi dell'articolo 3.1 .I I del regolamento d'igiene);
   l'impianto elettrico risulta di tipo misto (in parte esistente ed interno alla muratura ed in parte di recente realizzazione esterno con sistema di canalizzazioni in plastica fissate alle pareti) dove sono presenti fili non protetti. In questo caso è presente una certificazione di sola manutenzione ordinaria dell'impianto che non riporta le criticità rilevate e non è presente un progetto/schema d'impianto; l'impianto di smaltimento delle acque nere dei servizi igienici utilizza tre vasche di raccolta delle acque nere di cui non sono state fornite indicazioni circa l'eventuale recapito e non è presente uno schema di impianto delle stesse. Si precisa che come indicato nel verbale di sopralluogo del 20/06/2016 le vasche risultano nuove e di recente posa pertanto i lavori risultano eseguiti in assenza di idoneo titolo edilizio. Si precisa che la zona ove è ubicato l'immobile non è dotata di pubblica fognatura pertanto la gestione delle acque nere non risulta coerente con le disposizioni di cui al d.lgs. 152/2006 ed alle disposizioni di dettaglio della delibera CITAI e delle disposizioni regionali; per la fornitura di gas sono stati eseguiti lavori di posa nuovo impianto di distribuzione del gas ed è stato posato un bombolone di gpl. Agli atti del sopralluogo del 20/06/2016 è presente una SCIA per l'attività di acquisizione del CPI, tuttavia non risulta il timbro di deposito dell'istanza al Comando Vigili del Fuoco»;
   nel sopralluogo effettuato il 20 giugno 2016 risulterebbe che, rispetto al precedente del 12 maggio 2016, nel frattempo sarebbero stati effettuati lavori su impianti e strutture dell'immobile, in parte riconducibili ad interventi di manutenzione straordinaria ed in parte a possibili nuove realizzazioni, come nel caso del sistema di raccolta delle acque nere, ma che per tali attività rilevate non sarebbero presentate adeguate istanze edilizie e pertanto le opere risulterebbero eseguite senza titolo;
   per ciò che attiene le caratteristiche edilizie dell'immobile, così come rilevate in sede di accertamento edilizio e nei successivi sopralluoghi, l'edificio in questione non possiede i requisiti minimi di agibilità di cui all'articolo 24 comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001; risulterebbero assenti le certificazioni degli impianti tecnologici e, dove queste sono state prodotte tardivamente in sede di sopralluogo del 20 giugno 2016, risulterebbero parziali ed incomplete;
   il pagamento della sanzione amministrativa sopracitata, comminata con il provvedimento del 20 maggio 2016, è stato eseguito dalla proprietà in data 8 giugno 2016 e pertanto, come disposto dal medesimo provvedimento, solo da tale data il procedimento poteva considerarsi concluso e le opere eseguite e sanzionate potevano essere conservate, mentre l'occupazione delle struttura da parte della Multiethnic, accertata dagli uffici in data 1o giugno 2016, è avvenuta prima della conclusione del procedimento di verifica edilizia;
   dal punto di vista urbanistico, l'immobile in questione è ubicato in zona classificata, secondo il vigente piano di governo del territorio, come «PRODUTTIVO DI COMPLETAMENTO – Zona D» dove le possibilità di intervento sono limitate agli insediamenti produttivi ed artigianali mentre l'attività attuata dalla società Multiethnic è riconducibile alle attività di accoglienza o strutture sociali similari (riferimenti normativi decreto ministeriale 308/2001 e decreto legislativo 140/2005) e dunque risulta non conforme alle prescrizioni urbanistiche di PGT:
    i verbali dell'ATS di Lodi del 3 giugno 2016, del 20 giugno 2016 e la comunicazione dell'azienda di tutela della salute della città metropolitana di Milano – dipartimento prevenzione medico – U.S.C. igiene e sanità pubblica di Lodi, che con lettera del 23 giugno 2016 prot. n. 00111583/16 ha segnalato le carenze impiantistiche dell'immobile con particolare riferimento alla sicurezza degli impianti, all'assenza di un impianto termico funzionante ed all'ignota condizione di gestione del ciclo delle acque nere dell'immobile medesimo, considerata l'assenza di fognatura pubblica; ha confermato le criticità anche dal punto di vista igienico sanitario per l'attività intrapresa in rapporto alle condizioni dell'immobile;
   il 24 giugno 2016, con ordinanza dell'ufficio tecnico comunale n. 4/2016, notificata in copia anche alla prefettura di Lodi, ai sensi dell'articolo 27, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001 e successive modificazioni è stato intimato alla proprietaria, Anzalone Tiziana, e al conduttore, Rovati Luca, la sospensione immediata dei lavori intrapresi presso l'immobile e la chiusura immediata dell'attività posta in essere senza SCIA presso il medesimo immobile, in quanto attività non è conforme alle vigenti prescrizioni urbanistiche ed edilizie;
   secondo quanto evidenziato dall'ufficio tecnico comunale e dall'ATS di Lodi, allo stato attuale l'immobile risulterebbe antigienico e non avrebbe le condizioni minime di abitabilità, situazione inoltre aggravata dal suo affollamento il quale risulta essere al limite delle capacità ricettiva della struttura;
   successivamente, il 4 luglio 2016 con ordinanza sindacale n. 5/2016, il sindaco, richiamata la precedente ordinanza n. 4 del 24 giugno 2016 di cui sopra e ritenuto di dover adottare, come richiesto dall'ATS di Lodi, idoneo provvedimento a tutela della salute pubblica, ha dichiarato la inabitabilità dell'immobile sito in via San Giacomo per ragioni igienico-sanitarie ed ha ordinato alla proprietà, al conduttore dell'attività di accoglienza di richiedenti asilo e a chiunque ne faccia uso, lo sgombero immediato dell'immobile medesimo, disponendo altresì che in caso di utilizzo dell'edificio, la proprietaria dovrà presentare idoneo progetto di riqualificazione a firma di un professionista abilitato, con il fine di adeguare la struttura e gli impianti nel rispetto delle prescrizioni di legge ed in conformità alle prescrizioni del vigente piano di governo del territorio;
   anche tale ordinanza è stata notificata in copia alla prefettura di Lodi –:
   se il Ministro sia a conoscenza della vicenda sopra riportata relativa all'immobile sito nel comune di Terranova dei Passerini, in via San Giacomo n. 4, all'interno del quale è stata autorizzata l'apertura di un centro di accoglienza per richiedenti asilo gestito dalla Multiethnic International Srl;
   se corrisponda al vero che tale attività sia stata avviata «su indicazioni della prefettura di Lodi» e quali controlli la medesima prefettura abbia preventivamente effettuato riguardo sia al soggetto conduttore che alla struttura ospitante al fine di verificarne idoneità e quali siano stati gli esiti; quale procedura la prefettura stessa abbia adottato per affidare alla Multiethnic International Srl la gestione del centro di accoglienza nel comune di Terranova dei Passerini e se non ritenga opportuno procedere alla immediata chiusura del centro in questione e alla revoca della convenzione stipulata, per il tramite della suddetta prefettura, con la Multiethnic International Srl. (4-13702)


   BRUNO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi nel comune di Aiello Calabro (CS) è avvenuto un atto vandalico ai danni degli automezzi del comune: sono infatti state squarciate le gomme dei mezzi per la raccolta differenziata;
   il gesto ha impedito nei giorni successivi il normale svolgimento della raccolta differenziata porta a porta creando disagi ai cittadini del piccolo comune calabrese;
   l'atto vandalico oltre a incidere sulla gestione ordinaria dei rifiuti desta preoccupazione, in quanto mina la tranquillità degli amministratori e degli onesti cittadini; in particolare la comunità di Aiello Calabro è una comunità piccola, ma da sempre fiore all'occhiello del territorio per quanto concerne la qualità della vita, la democraticità e la trasparenza nella gestione della cosa pubblica;
   la Calabria è purtroppo avvezza a questi episodi che tentano di isolare le azioni amministrative positive come emerge tristemente dal report dell'associazione «Avviso Pubblico. Enti locali e Regioni per la formazione civile contro le mafie», in cui la Calabria risulta al primo posto per le intimidazioni agli amministratori pubblici;
   i sindaci sono troppo spesso lasciati soli a gestire le preoccupanti ricadute sociali di questi atti, vandalici o intimidatori che siano, che aprono ferite democratiche e necessitano della presenza più incisiva dello Stato –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda porre in essere per contribuire a far luce al più presto sullo spiacevole episodio di Aiello Calabro, per contrastare tali fenomeni e per restituire serenità ai cittadini e agli amministratori pubblici. (4-13707)


   DIENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i fenomeni migratori che hanno interessato l'Italia in questi anni non hanno solo posto problematiche circa il contenimento degli arrivi, ma anche sulla qualità delle politiche di accoglienza e integrazione, fino ad arrivare a toccare il tema dei requisisti per la concessione della cittadinanza;
   il punto di riferimento deve essere tanto il rispetto della legge, quanto la tutela dei diritti umani, che dovrebbero marcare la distinzione tra l'astrattezza della norma e il caso concreto, che ha ripercussioni sulla vita del migrante;
   un caso di cui l'amministrazione italiana purtroppo ha dimostrato, ad oggi, di essersi disinteressata è quello di M.D., che risulta inserito in comunità di accoglienza per minori di Polistena dal 2011 e che tuttora vive lì in condizione di sostanziale clandestinità, in quanto, nonostante il tentativo esperito dai responsabili del centro, gli è stata negata la cittadinanza, con lettera del Ministero dell'interno del 2 maggio 2016, prot. K.10/356129, firmata dal responsabile Sesti Miraglia, dato che il soggetto non percepisce reddito;
   M. ha 22 anni e, a quanto risulta all'interrogante, un deficit cognitivo che non lo mette in condizione di poter lavorare e quindi ottenere il reddito di cui si parla nella comunicazione;
   M. è nato in Italia, a Caserta, ed è vissuto sempre nel nostro Paese: è stato tolto da un campo nomadi all'età di 9 anni dato che in esso lui e altri minori erano soggetti a violenza e venivano destinati all'accattonaggio;
   il ragazzo non ha famiglia e non è noto dove si trovino i suoi genitori, ai quali da tempo, è stata revocata la potestà genitoriale;
   dall'età di nove anni è stato ospitato presso una comunità per minori a Cosenza, fino al 18mo anno di età, rimanendoci con permessi di soggiorno per minore età, come si evince dai decreti del tribunale dei minori di Catanzaro e dai documenti scolastici;
   all'età di 18 anni viene trasferito in altra struttura, a Polistena (Reggio Calabria), che accoglie giovani fino al 21mo anno di età con disturbi del comportamento;
   gli operatori si trovano di fronte ad una situazione burocratica difficile da risolvere: M. era sprovvisto di passaporto e da 18 anni e 1 giorno senza permesso di soggiorno, che non veniva rinnovato, in quanto lo stesso non era in possesso di documenti idonei né di posizione lavorativa, considerato che lo stesso risulta affetto da ritardo mentale;
   gli operatori dopo 2 anni riescono a fargli ottenere il passaporto serbo n. 011920401;
   di fronte al diniego della cittadinanza da parte del Ministero dell'interno viene da chiedersi quale dovrebbe essere il destino di M.D. ragazzo nato in Italia e che non ha mai visto la Serbia, senza genitori e con un disagio psichico, in caso di un provvedimento di respingimento –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda intervenire, per quanto, di competenza per impedire l'adozione di un provvedimento di respingimento nei confronti di M. D., consentendo invece al ragazzo nato in Italia, affetto da deficit cognitivo, di ottenere la cittadinanza. (4-13708)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la legge sulla «buona scuola» considera la qualità della preparazione dei docenti e il loro continuo aggiornamento uno dei punti qualificanti per il modello di sviluppo e di rinnovamento del sistema scolastico italiano, sia sul piano strettamente didattico che su quello degli orizzonti formativi con cui la scuola oggi è chiamata a confrontarsi. È evidente la necessità di individuare nuovi modelli in termini di inclusione di studenti immigrati, o di studenti portatori di disabilità, sia per quanto attiene a fenomeni come la dispersione scolastica che il digital divide;
   in questo senso una più stretta collaborazione tra scuola e università, con opportunità di collaborazione tra docenti dei due livelli su progetti di ricerca concreti, per l'individuazione di nuove modalità per la soluzione di problemi ad alta complessità, potrebbe essere di grande utilità ad entrambi i circuiti della formazione e della collaborazione docente al servizio della società;
   abbattere steccati rigidi che separano la ricerca accademica e la ricerca sul campo educativo e docente è quindi un obiettivo di rilevante interesse per tutti, soprattutto in questa fase di delicata transizione;
   appare pertanto sorprendente che una giovane insegnante siciliana, destinataria di una proposta di assunzione a tempo indeterminato in qualità di docente di scuola primaria della fase C del piano assunzioni della legge 107 del 2015, il 10 novembre 2015, essendo contestualmente titolare di un contratto triennale, dal 1o novembre 2014 al 31 ottobre 2017, con l'università di Palermo, in qualità di ricercatore a tempo determinato ai sensi dell'articolo 24, comma 3, lettera a) della legge 30 dicembre 2010, n. 240, non possa concludere la sua attività di ricerca e debba interromperla per prendere servizio nella scuola a cui è stata destinata e a cui non vuole rinunziare;
   per il dottorato di ricerca e per l'assegno di ricerca, è prevista la possibilità di usufruire di un periodo di sospensione del contratto per tirocinio formativo attivo, maternità, e altro proprio per consentire di completarne l’iter anche in situazioni impreviste –:
   se intenda assumere iniziative per estendere alla nuova figura di ricercatore a tempo determinato, introdotta ai sensi dell'articolo 24, comma 3, lettera a) della legge 30 dicembre 2010, n. 240, analoga possibilità di sospensione del contratto per un anno, così consentendo nel caso di specie di completare l'attività di ricerca intrapresa con l'università di Palermo, la cui conclusione è prevista per il 1o settembre 2017;
   in alternativa, se si intendano assumere iniziative volte a prevedere la possibilità, in casi analoghi a quello indicato, di sospendere il rapporto di lavoro con l'università, in modo da svolgere l'anno di prova obbligatorio dopo l'assunzione in servizio nella scuola e poi chiedere l'aspettativa dalla scuola, in modo da completare la ricerca che si sta svolgendo presso l'università. (3-02370)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SCUVERA e FERRARI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da comunicazioni istituzionali che l'ufficio scolastico territoriale di Pavia versa in condizioni di estrema difficoltà causa dell'insufficienza delle risorse umane. A denunciarlo sono una lettera aperta dell'ufficio scolastico territoriale di Pavia datata 19 aprile 2016, diretta alle istituzioni di riferimento nazionali e regionali; una lettera delle rappresentanze sindacali unitarie dell'ufficio scolastico territoriale di Pavia, datata 20 aprile 2016; un documento delle rappresentanze sindacali unitarie del ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca della regione Lombardia datato 6 maggio 2016;
   le istanze di protesta contenute nelle missive, vengono condivise anche dagli uffici scolastici territoriali di Mantova, Cremona, Varese, Milano e dei restanti uffici scolastici territoriali d'Italia;
   in particolare, nell'ufficio scolastico territoriale di Pavia attualmente prestano servizio 18 persone, di cui 3 funzionari, 4 ausiliarie e il resto costituito da assistenti amministrativi, a fronte delle 29 unità operative risalenti all'anno 2014;
   oltre alle sedi del CPIA, sono 54 le istituzioni scolastiche statali in carico, sul territorio, all'ufficio scolastico territoriale di Pavia; 
   negli ultimi due anni sono cessate dal servizio 12 persone, di cui 6 in ruoli apicali, cosicché il personale rimasto deve cimentarsi con nuovi ruoli e con funzioni e mansioni derivanti dall'aumentata mole di lavoro legata soprattutto all'applicazione della legge 13 luglio 2015, n. 107;
   inoltre, dopo il verificarsi di un eccessivo avvicendamento di dirigenti, per effetto della riorganizzazione ministeriale, alla figura dirigenziale finalmente individuata sono stati assegnati due settori in due sedi diverse –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e di conseguenza, quali iniziative intenda assumere per garantire il riassetto dell'organico dell'ufficio scolastico territoriale di Pavia, in modo da favorire la corretta e puntuale esecuzione dei procedimenti in carico all'ufficio, anche a garanzia di un corretto avvio dell'anno scolastico.
(5-09088)


   LUIGI GALLO, BRESCIA, VACCA, CHIMIENTI, LUPO, GALLINELLA e CIPRINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   su proposta del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, di concerto con i Ministri dell'economia e delle finanze, per i rapporti con le regioni e per la pubblica amministrazione e l'innovazione, con decreto del Presidente della Repubblica del 20 marzo 2009, n. 81, è stato emanato un regolamento recante «Norme per la riorganizzazione della rete scolastica e il razionale ed efficace utilizzo delle risorse umane della scuola, ai sensi dell'articolo 64, comma 4, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133»;
   in base al succitato decreto si sono succeduti dei piani di «dimensionamento», tra cui il recente decreto ministeriale 30 giugno 2016, n. 528, la cui tabella di ripartizione dei posti a livello regionale prevede che le istituzioni scolastiche per l'anno scolastico 2016/2017 sono 8.281, di cui 334 sottodimensionate, e 125 centri provinciali per l'istruzione degli adulti (cpia) che hanno comportato condizioni disagevoli e tagli imposti, inter alia, dalla riduzione delle classi per l'anno scolastico in sede di assegnazione degli organici, specie per quegli istituti scolastici che adottano indirizzi didattici differenziati come, ad esempio, il cosiddetto «metodo Montessori»;
   l'Opera Nazionale Montessori, come si evince del sito internet della stessa, è un ente morale, con riconoscimento di personalità giuridica, istituito, per volontà di Maria Montessori, con regio decreto dell'8 agosto 1924, n. 1534; sottoposto alla vigilanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che ne ha approvato lo statuto il 20 luglio 2001; accreditato per la formazione dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca con decreto ministeriale del 30 maggio 2002, confermato in via definitiva il 2 luglio 2005; titolare di convenzione a cadenza triennale, la cui ultima è stata firmata il 1o agosto 2013, con il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca stesso dal 1990;
   lo Stato italiano nel 1987, con la legge 16 febbraio 1987, n. 46, riportata nel testo unico del 16 aprile 1994, n. 297, ha riconosciuto all'Opera Nazionale Montessori il diritto-dovere di sostenere sotto il profilo metodologico tutte le scuole che adottano il metodo Montessori, sia pubbliche che private, mediante apposite convenzioni;
   i princìpi su cui si fondano le scuole che adottano il metodo Montessori e che forniscono alle stesse una connotazione specifica, fanno riferimento a tre aspetti fondamentali: ambiente educativo, che deve essere appositamente organizzato e preparato, anche per quanto riguarda gli spazi e gli arredi, e nel quale il bambino deve essere lasciato libero di esplorare il suo mondo; materiale, che permetta l'autoeducazione e i processi di astrazione e simbolizzazione; insegnante, che non dirige, ma siede accanto al bambino, prepara un ambiente accogliente che rafforzi l'autostima, favorisca la socializzazione e la condivisione e che funge da mediatore che prepara il bambino all'acquisizione del sapere, senza operare alcun condizionamento sui tempi e i ritmi di apprendimento;
   da un censimento del 2013 effettuato dall'Opera Nazionale Montessori le scuole dell'infanzia e primarie, statali e paritarie, che attuano la didattica differenziata Montessori sono: 104 «Case dei bambini» e scuole primarie, statali e paritarie con oltre 900 docenti; 35 nidi con circa 250 educatrici; 22 «Case dei bambini» e scuole primarie private con circa 115 docenti; due scuole paritarie secondarie di primo grado e 2 scuole paritarie secondarie di secondo grado con circa 80 docenti; inoltre si stanno realizzando sperimentazioni in quattro scuole secondarie di primo grado statali; circa 10.000 famiglie, in Italia, si affidano oggi al metodo Montessori;
   in seguito alle «condizioni disagevoli che i tagli dovuti al piano di dimensionamento previsto dal decreto del Presidente della Repubblica 20 marzo 2009, n. 81, hanno causato alla Scuola a indirizzo didattico differenziato Montessori», i docenti della scuola primaria Montessori di Perugia hanno inviato una lettera indirizzata al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, all'ufficio scolastico regionale per l'Umbria, al sindaco del comune di Perugia, all'ufficio scolastico provinciale di Perugia, all'Opera Nazionale Montessori e all'Istituto comprensivo Perugia 2, con l'intento di richiamare l'attenzione per ottenere una revisione del succitato regolamento;
   frutti del suddetto dimensionamento sarebbero, per l'anno scolastico 2016/2017, «il taglio di n. 4 unità in organico; il taglio di due classi (attuali seconde e terze); il taglio di n. 1 unità in organico di potenziamento (da 6 a 5) del tutto privo, per giunta, di specializzazione didattica Montessori (tale specializzazione non è minimamente contemplata a sistema neppure nei modelli di richiesta da parte della scuola)»;
   i docenti firmatari della suddetta lettera lamentano, inoltre, che «durante l'assegnazione dell'organico a fronte della riduzione delle classi, non è stato tenuto in considerazione il fatto che la Scuola Primaria Statale Maria Montessori di Perugia è distribuita su due plessi logisticamente distanti, sede “Primo Ciabatti” in zona Porta Pesa e sede “Enzo Valentini” in zona Elce», rimarcando l'inconcepibilità della decisione di accorpare classi che si trovano in sedi diverse durante il ciclo scolastico «in virtù del fatto che la normativa non lo prevede, che gli organi collegiali hanno stabilito tra i criteri di iscrizione alla scuola la scelta della sede e che tale scelta è prevista anche a livello ministeriale nel modulo di iscrizione on-line del MIUR»;
   risulterebbe, quindi, un «inopinato accorpamento delle classi seconde e terze, già funzionanti nel corrente anno scolastico nei due plessi e nelle quali sono iscritti complessivamente 223 alunni, di cui 3 con certificazione ex L. 104», malgrado «il decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009, articolo 10, comma 1, nulla preveda ai fini dell'accorpamento, negli anni intermedi, delle classi iniziali costituite in base ai parametri ivi contenuti»;
   i docenti della Scuola Primaria Maria Montessori di Perugia, confluita nel nuovo Istituto Comprensivo Perugia 2 con deliberazione della giunta comunale n. 29 del 28 gennaio 2014, pertanto, allo scopo di assicurare un pieno diritto allo studio degli alunni già frequentanti le classi seconde e terze, nei rispettivi plessi, «chiede di rispettare la richiesta della Scuola, consistente nel mantenimento di n. 5 Classi Seconde e n. 6 Classi Terze, nel più rigoroso rispetto del decreto del Presidente della Repubblica n. 81 del 2009», anche al fine di rispettare i sopra elencati principi fondanti la didattica specifica del metodo Montessori con i propri peculiari bisogni in termini di: ambiente/classe, che necessita innanzitutto di spazi superiori a quanto previsto dal decreto ministeriale 18 dicembre 1975, e di materiali, che risentirebbero alquanto dell'accorpamento; nonché in termini di attivazione di percorsi di inclusione ed integrazione a favore dei numerosi bambini con bisogni educativi speciali, che necessitano di figure di supporto e di potenziamento specializzate a livello di insegnanti e per cui il metodo Montessori è particolarmente indicato;
   tali iniziative di natura meramente amministrativa andrebbero, in definitiva, a compromettere i capisaldi del metodo montessoriano –:
   se non ritenga urgente assumere iniziative normative atte a tutelare gli alunni, specie quelli che necessitano di piani educativi speciali, e le rispettive famiglie, da taluni piani di «dimensionamento» che spesso provocano tagli e accorpamenti inopinati e lesivi delle specificità didattiche degli istituti scolastici a vocazione specifica e se in particolare intenda assumere iniziative per modificare il decreto del Presidente della Repubblica del 20 marzo 2009, n. 81;
   quali urgenti iniziative intenda intraprendere per salvaguardare la specificità del metodo didattico Montessori, adottato nella scuola primaria statale «Maria Montessori» di Perugia per l'anno scolastico 2016/2017 e per quanti istituti riversino nelle medesime condizioni di rischio, anche predisponendo una ricognizione ad hoc dei dimensionamenti indetti per il prossimo anno scolastico;
   se non ritenga opportuno incentivare, tramite il piano nazionale di formazione previsto dalla legge n. 107 del 2015, l'aggiornamento per tutta la classe docente sulle metodologie montessoriane e sulle pratiche didattiche e pedagogiche riconosciute dalle attuali ricerche del mondo scientifico in campo educativo, nonché sui modelli virtuosi già sperimentati nel sistema scolastico d'istruzione nazionale come quello delle «scuole senza zaino».
(5-09099)


   LUIGI GALLO, BRESCIA, VACCA, CHIMIENTI, LUPO e GALLINELLA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   in base a quanto previsto dall'articolo 3 del decreto ministeriale del 10 settembre 2010, n. 249, in termini di regolamento concernente la definizione della disciplina dei requisiti e delle modalità della formazione iniziale degli insegnanti della scuola dell'infanzia, della scuola primaria e della scuola secondaria di primo e secondo grado, i percorsi formativi preordinati all'insegnamento di strumento musicale sono attivati dalle università e dagli istituti di alta formazione artistica, musicale e coreutica di cui alla legge del 21 dicembre 1999, n. 508, e si articolano nel corso di diploma accademico di II livello e nel successivo anno di tirocinio formativo attivo (TFA);
   secondo il Coordinamento nazionale TFA, gli abilitati in «Strumento musicale nella scuola secondaria di I grado» (classe di concorso A056, ex A077) «occupano, tra i beffati dal Governo, un posto speciale» in quanto esclusi dall'applicazione del cosiddetto «Bonus TFA», istituito con decreto ministeriale del 22 maggio del 2014, n. 353, che rappresenta una sorta di «risarcimento» per i docenti abilitati TFA, quantificato in 42 punti per gli abilitati ai sensi dell'articolo 15, comma 1, del decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249 (ossia per tutti gli abilitati TFA che hanno seguito il percorso transitorio avviato dalle università), e in 66 punti per gli abilitati ai sensi dell'articolo 3, comma 3, del medesimo decreto;
   tale trattamento differenziato è facilmente deducibile finanche dall'allegato del decreto del direttore generale del 6 luglio 2015, n. 680, «Modello A3», che, alla pagina 3, relativa alla dichiarazione di possesso di abilitazione, specifica chiaramente: «Graduatorie diverse da strumento musicale»;
   oltracciò, come riportato nella tabella A del decreto del Presidente della Repubblica del 14 febbraio 2016, n. 19, «fino a quando non entreranno a regime gli specifici percorsi abilitanti, e comunque non oltre l'anno accademico 2018/2019, ha titolo di accesso il docente abilitato nella ex classe di concorso A031 o A032 o A077 in possesso del diploma di conservatorio nello specifico strumento purché congiunto a diploma di istruzione secondaria di secondo grado»;
   icto oculi, appare chiaro come tale disciplina di accesso alle nuove classi di concorso sia solo transitoria, presupponendo che gli abilitati che entro tale data non abbiano ancora avuto la possibilità di ottenere il ruolo su una delle classi di concorso, vedranno ridursi le proprie possibilità lavorative, come se un titolo conseguito possa avere un valore soltanto temporaneo, oltre il quale non è più usufruibile per quell'insegnamento;
   si ricorda, infine, che a gravare la situazione di indifferenza in cui sembra versare tale categoria di docenti, si aggiunge il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca del 6 maggio 2016, n. 414, che «individua la confluenza nelle nuove classi di concorso, previste dal decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 2016, n. 19, delle precedenti in relazione ad ogni disciplina» e, nel caso della sezione musicale (Allegato A), ha previsto una confluenza da «Musica nella scuola secondaria di II grado» a «Storia della Musica» mentre nulla dice sullo strumento musicale;
   appare comprensibile che, nel far fronte ad una situazione del genere, i docenti di strumento musicale si sentano discriminati e giudicati secondo criteri non equi rispetto ai propri colleghi di altre discipline –:
   se non ritenga doveroso ed appropriato assumere iniziative volte a chiarificare e modificare la posizione in cui versano, nella fattispecie, i docenti di strumento musicale, riconoscendo anche agli abilitati di strumento musicale il bonus TFA, affinché vengano gettate le basi per una giusta ed equa selezione di tutto il personale docente. (5-09100)

Interrogazione a risposta scritta:


   BOSSA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dal quotidiano Corriere del Mezzogiorno, durante un convegno su cultura e ricerca in Campania, sono stati evidenziati numeri, contraddizioni e problemi rispetto agli investimenti e alle scelte fatte per la ricerca scientifica e la cultura sull'intero territorio nazionale, anche a fronte di risultati considerevoli;
   secondo quanto riportato dal quotidiano napoletano, come evidenza del convegno di cui sopra, in Italia sono addetti alla ricerca solo 4 ogni mille abitanti (dati Ocse – 2013); in Germania sono 8; in Finlandia sono 14;
   la spesa italiana per la ricerca è solo dell'1,29 per cento del prodotto interno lordo, mentre la media europea è del 2 per cento e quella Ocse del 2,4 per cento; ogni anno la Germania aumenta del 5 per cento i suoi investimenti su cultura e ricerca scientifica, a maggior ragione in tempo di crisi;
   anche il sostegno dei privati alla ricerca scientifica — come pubblicato dal sito Valigiablu — è bassissimo; pari solo al 52 per cento della spesa nazionale, uno dei più bassi d'Europa visto che la media dell'Unione europea si attesta intorno al 62 per cento;
   la principale voce del bilancio pubblico che dà fondi alle università è il fondo di finanziamento ordinario (FFO), istituito nel 1993; secondo quanto scrive Giovanni Zagni su Linkiesta, esso durante questi anni ha avuto una tendenza alla riduzione, con un taglio tra il 2009 e il 2010, di oltre 800 milioni di euro, mentre tra il 2014 e il 2015 si è registrato un ulteriore taglio di circa 100 milioni di euro;
   a fronte di così scarsi investimenti, esistono eccellenze in tutto il Paese; in Campania, in particolare, esistono diversi centri per la ricerca di fama internazionale: strutture che collaborano con aziende di tutto il mondo; innovazioni che vengono richieste da ogni Paese e sono premiate anche su frontiere complesse della salute e della medicina;
   il tutto avviene con fondi esigui, con una mancanza cronica di infrastrutture e attrezzature, con l'abbraccio soffocante di una burocrazia spesso insensata;
   su quest'ultimo aspetto, va segnalato il caso indicato proprio dal quotidiano Corriere del Mezzogiorno con riguardo alle università Federico II e del Sannio che, prima di vedersi trasferiti i fondi dal Ministero, hanno dovuto dimostrare perfino la loro esistenza, sottoponendosi a lunghe e costose ricerche catastali per produrre la documentazione che attestasse l'esistenza dei centri stessi;
   secondo opinioni diffuse nella comunità economica e scientifica, solo cultura e ricerca creano innovazione e lavoro, quindi un futuro per un territorio che altrimenti è destinato a un lento declino –:
   se sia a conoscenza di quanto sopra esposto e cosa intenda fare, nell'ambito delle sue competenze, sui temi in questione. (4-13697)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VALLASCAS. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, commi 178-181, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, (legge di stabilità per l'anno 2016), riconosce, per le nuove assunzioni a tempo indeterminato, a decorrere dal 1o gennaio al 31 dicembre 2016, un esonero della durata di ventiquattro mesi dal versamento del 40 per cento dei complessivi contributi previdenziali, ferma restando l'aliquota di computo delle prestazioni pensionistiche e con l'esclusione dei premi e contributi dovuti all'INAIL, nel limite massimo di un importo di esonero pari a 3.250 euro su base annua;
   al comma 110, del medesimo articolo, è formulata la previsione di un'estensione dell'esonero contributivo — introdotto per il 2016 dai commi 178-181 –, eventualmente rimodulando la durata temporale e l'entità dell'esonero e comunque assicurando una maggiorazione della percentuale di decontribuzione e del relativo importo massimo, per le assunzioni a tempo indeterminato effettuate nell'anno 2017 nelle regioni Abruzzo, Molise, Campania, Basilicata, Sicilia, Puglia, Calabria e Sardegna, di donne di qualsiasi età prive di impiego da 6 mesi;
   la citata previsione sarebbe subordinata alle risultanze della ricognizione, da concludersi entro il 31 marzo 2016, delle risorse del fondo di rotazione, di cui all'articolo 5 della legge 16 aprile 1987, n. 183, già destinate agli interventi del piano di azione per la Coesione (PAC) e non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati;
   il comma 110 stabilisce che «con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, adottato entro il 30 aprile 2016 di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e con il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, è determinato l'ammontare delle risorse disponibili in esito alla ricognizione di cui al comma 109 ed è disposto l'utilizzo delle stesse per l'estensione dell'esonero contributivo» –:
   quali siano gli esiti della ricognizione, che si sarebbe dovuta concludere entro il 31 marzo 2016, delle risorse già destinate agli interventi del piano di azione per la coesione (PAC) e non ancora oggetto di impegni giuridicamente vincolanti rispetto ai cronoprogrammi approvati;
   quale sia l'ammontare complessivo delle risorse da utilizzare per l'estensione dell'esonero contributivo di cui all'articolo 1, comma 110, della legge 28 dicembre 2015, n. 208. (5-09086)


   CARIELLO, PISANO e TRIPIEDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con nota prot. n. 917 del 9 luglio 2010, la direzione regionale entrate della regione Puglia, in risposta all'interpello proposto dalla regione Puglia in merito al regime fiscale applicabile alle borse di studio «Ritorno al futuro» (istituite con D.D. n. 376 del 9 aprile 2008), ha stabilito la completa esenzione da qualsiasi forma di tassazione della quota di borsa studio rappresentativa dei fondi comunitari FSE;
   in particolare, richiamando la sentenza della Corte di giustizia della CE n. 427/05 del 25 ottobre 2007, recepita dalla Corte di cassazione con sentenza n. 2082 del 30 gennaio 2008, con la quale è stato sancito il divieto di detrazione o trattenuta relativamente a somme erogate dall'Unione europea a titolo di contributo (salvo i casi di stretta connessione del contributo con la produzione di redditi d'impresa o da lavoro), la direzione regionale entrate ha non solo stabilito l'inapplicabilità ai contributi FSE della ritenuta prevista ai sensi dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 (condividendo l'interpretazione dell'Ente), ma ha anche riconosciuto l'integrale esenzione ai fini RPEF: come chiarito dall'Agenzia, «l'eventuale assoggettamento ad imposizione fiscale del contributo comunitario ricevuto dai soggetti che frequentano i master, corrisponderebbe ad un prelievo specificatamente connesso al contributo stesso e come tale risulterebbe in contrasto con la previsione del principio dell'integrità dei 917-216/2010 pagamenti di cui all'articolo 80 del Regolamento (CE) n. 1083/2006»;
   l'articolo 80 del regolamento (CE) 1083/2006 introduce, infatti, il principio dell’«integrità del contributo» prevedendo che «gli Stati membri si accertano che gli organismi responsabili dei pagamenti assicurino che i beneficiari ricevano l'importo totale del contributo pubblico entro il più breve termine e nella sua integrità. Non si applica nessuna detrazione o trattenuta né alcun onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che porti alla riduzione di detti importi per i beneficiari». Con tale disposizione (applicabile nell'ordinamento interno), dunque, si riconosce l'esenzione da ogni forma di prelievo o onere dei contributi erogati dall'Unione europea;
   sennonché, il condivisibile orientamento espresso dall'Amministrazione finanziaria è stato successivamente superato da un diverso e contrario orientamento. In particolare, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, interpellato dalla regione Sardegna in merito al trattamento fiscale da riservare alle borse di studio finanziate nell'ambito del POR F.S.E. 2007-2013, ha espresso un parere sulla questione e, con nota n. 4397 del 17 ottobre 2011, ha ritenuto che soggetto «beneficiario dei finanziamenti» (ex articolo 80 Regolamento CE n. 1083 dell'11 luglio 2006) deve ritenersi la regione e non i soggetti percettori finali delle singole somme; pertanto, l'amministrazione regionale in qualità di sostituto d'imposta, deve applicare la ritenuta a titolo d'acconto IRPEF prevista dall'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, sull'intero importo della borsa di studio, compresa la parte finanziata dal F.S.E.;
   adeguandosi al parere espresso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'Agenzia delle entrate ha pertanto proposto una soluzione interpretativa contraria a quella assunta con la nota n. 917/2010 e, con nota n. 8285 del 14 marzo 2012, ha comunicato alla regione che «lo scrivente ritiene che la regione Puglia, in qualità di sostituto d'imposta, debba applicare la ritenuta a titolo d'acconto dell'IRPEF ai sensi dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973»;
   rispondendo all'interrogazione n. 5-08981 del 22 giugno 2016 (con la quale è stato chiesto al Ministro dell'economia e delle finanze di esprimersi in merito al regime fiscale dei contributi FSE) il Sottosegretario per l'economia e le finanze delegato, richiamando nuovamente la nota 4397 del 17 ottobre 2011 del Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha ribadito che alle persone fisiche che percepiscono borse di studio cofinanziate con fondi europei «restano applicabili le ordinarie regole di tassazione previste dall'ordinamento ed in particolare l'assoggettamento ad IRPEF quali redditi assimilati a quelli di lavoro dipendente, ai sensi dell'articolo 50, comma 1, lettera c), del TUIR, ad eccezione delle ipotesi in cui la borsa di studio ricada in una specifica previsione di esenzione», precisando ulteriormente che «un eventuale orientamento di prassi diretto a chiarire il regime fiscale delle borse di studio in esame non potrebbe che confermare quanto precisato dal Ministero del lavoro con la nota sopra citata»;
   in pratica, il Ministero dell'economia e delle finanze ha richiamato tout court l'interpretazione resa dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con la nota 4397 del 17 ottobre 2011, concludendo per la tassabilità ai fini IRPEF dei contributi FSE percepiti a titolo di borsa di studio;
   a parere degli interroganti, la soluzione prospettata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, peraltro non supportata da alcuna argomentazione giuridica, non trova sostegno nel chiaro tenore letterale dell'articolo 80 del regolamento (CE) n. 1083/2006, ove per soggetti beneficiari si intende i destinatari finali dei contributi e non anche le regioni. Lo stesso regolamento definisce il beneficiario: «un operatore, organismo o impresa, pubblico o privato, responsabile dell'avvio o dell'avvio e dell'attuazione delle operazioni; nel quadro del regime di aiuti di cui all'articolo 87 del trattato, i beneficiari sono imprese pubbliche o private che realizzano un singolo progetto e ricevono l'aiuto pubblico». È evidente allora che per beneficiario debba intendersi il soggetto ultimo destinatario delle somme ovvero colui che, sempre secondo le definizioni del regolamento, attua l’«operazione» (ovverosia «il progetto o un gruppo di progetti selezionato dall'autorità di gestione del programma operativo in questione o sotto la sua responsabilità, secondo criteri stabiliti dal comitato di sorveglianza ed attuato da uno o più beneficiari, che consente il conseguimento degli scopi dell'asse prioritario a cui si riferisce»). Inoltre, a conferma che il beneficiario sia proprio il soggetto ultimo destinatario delle somme, sempre l'articolo 80 precisa che sulle somme corrisposte «Non si applica nessuna detrazione o trattenuta né alcun onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che porti alla riduzione di detti importi per i beneficiari». Ebbene, non si vede come si possa riferire tale norma alle regioni, che ovviamente non scontano alcuna imposizione fiscale o altro onere sulle somme comunitarie che gestiscono –:
   quale sia il presupposto normativo e giuridico a fondamento dell'interpretazione di cui alla nota prot. 4397 del 17 ottobre 2011 in merito alla definizione del soggetto «beneficiario dei finanziamenti» di cui all'articolo 80 del regolamento (CE) n. 1083 dell'11 luglio 2006 e se non si ritenga opportuno rivedere l'interpretazione resa, adeguandosi alla ratio della norma volta a garantire l'integrità del contributo a favore del destinatario finale. (5-09094)


   ALBANELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la riforma degli ammortizzatori sociali, ad opera del decreto legislativo n. 148 del 14 settembre 2015, è intervenuta nel corso di utilizzo da parte delle imprese dei settori con accesso alla cassa integrazione straordinaria, del contratto di solidarietà, ai sensi dell'articolo 1, comma 1 del decreto-legge n. 726 del 30 ottobre 1984, convertito dalla legge n. 863 del 19 dicembre 1984, il quale già aveva previsto il ricorso a tale specifico ammortizzatore sociale «(...)al fine di evitare in tutto o in parte, la riduzione o la dichiarazione di esuberanza del personale»;
   l'articolo 1, comma 2, del citato decreto-legge n. 726 del 1984 prevedeva un termine massimo di durata, esplicitando che «(...) il trattamento di integrazione salariale viene corrisposto per un periodo non superiore a ventiquattro mesi (...)», pertanto, senza condizionare tale durata ad un'esplicita previsione di tale termine massimo sin dall'atto iniziale di stipula del contratto di solidarietà, ma lasciando alle parti la possibilità di prevedere la modalità, anche frazionata, di tale durata, purché nell'ambito del termine massimo;
   pertanto, le imprese di tutti i settori industriali, comunque imprese con contribuzione versata alla cassa integrazione guadagni straordinaria in esito a procedure collettive ai sensi degli articolo 4 e 24 della legge n. 223 del 1991, al fine di evitare la riduzione del personale, trovavano con le parti sociali accordi di gestione degli esuberi, mediante ricorso al contratto di solidarietà;
   tali accordi, a salvaguardia occupazionale, si ponevano un termine di 24 mesi, determinato dalla legge, senza sussistenza di condizionamenti o vincoli normativamente espressi sulle modalità del decorso temporale, nel senso che poteva prevedersi un frazionamento di tale arco temporale, come in realtà, normalmente esercitato, in due periodi contigui di 12 mesi ciascuno, il secondo usualmente a proroga del primo, anche vista e considerata, in tal senso, la regolamentazione assunta in sede di procedure autorizzative ministeriali;
   si pone a tal proposito, l'interrogativo circa la previsione del rispetto della norma previgente al decreto legislativo n. 148 del 2015, relativamente agli accordi intervenuti in data antecedente, e regolamentati, per gli effetti a valere sulla salvaguardia occupazionale e sulle condizioni e modalità di gestione degli esuberi aziendali;
   il decreto legislativo n. 148 del 2015 interviene a modificare con maggior onerosità le condizioni e le modalità di gestione degli esuberi, a far data dalla pubblicazione del medesimo provvedimento, ovvero dal 24 settembre 2015;
   efficienza di carattere sociale, nonché ragioni di stabilità giuridica, dovrebbero escludere conseguenze che possano disattendere o disconoscere gli effetti già prodotti dalle norme di legge, e nella fattispecie, gli effetti prodotti sugli accordi di contratti di solidarietà intervenuti antecedentemente al decreto legislativo n. 148 del 2015, al fine di evitare, in tutto o in parte, la riduzione del personale, in esito a procedure di cui agli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991;
   la circolare n. 30 del 9 novembre 2015, a firma della direzione generale degli ammortizzatori sociali del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, invece sembrerebbe, disattendere l'adottato criterio, prevedendo che precedenti accordi ai sensi del decreto-legge n. 726 del 1984 potessero proseguire fino alla naturale scadenza dei 24 mesi previsti dalla norma, ma solo a condizione esclusiva, peraltro non rinvenuta neanche nel decreto legislativo n. 148 del 2015, della previsione nell'accordo tra le parti (imprese e organizzazioni sindacali), di un'esplicita durata di 24 mesi, già predeterminata e manifestata nell'accordo di stipula del contratto di solidarietà;
   la previsione, contenuta al comma 1, dell'articolo 42 del decreto legislativo n. 148 del 2015, dispone che: «I trattamenti straordinari di integrazione salariale conseguiti a procedure di consultazione sindacale già concluse alla data di entrata in vigore del presente decreto, mantengono la durata prevista, nei limiti di cui alle disposizioni di legge vigenti alla data delle stesse», consentendo di interpretare la permanenza fino allo scadere dei 24 mesi, così come previsto dall'articolo 1, comma 1 del decreto-legge n. 726 del 1984, delle condizioni e delle modalità di gestione degli esuberi, potendosi cioè ritenere che la consultazione sindacale si riferisca all'atto delle parti (imprese e organizzazioni sindacali), con cui hanno inteso dar corso al contratto di solidarietà, in esito alla conclusione con accordo della procedura ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge n. 223 del 1991. In tal senso, dovrebbe ritenersi priva di effetti, l'interpretazione di cui alla parte richiamata in seno alla circolare ministeriale n. 30 del 9 novembre 2015 –:
   alla luce delle considerazioni sommariamente espresse in premessa, se non intenda adottare iniziative correttive coerenti con lo spirito e la lettera del decreto legislativo n. 148 del 2015 al fine di evitare l'interruzione delle scelte già condivise da imprese e organizzazioni sindacali, i ottemperanza alla normativa preesistente. (5-09096)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, per sapere – premesso che:
   è in atto e in molte aree del Mezzogiorno si avvia a conclusione la raccolta del grano;
   ad oggi il prezzo del prezioso prodotto è precipitato come segnala la borsa del grano di Foggia anche a 16 euro al quintale;
   solo ad inizio della stagione di raccolta il prezzo, già basso e insostenibile per i produttori, era a 22 euro e 50 centesimi;
   i produttori sono molto preoccupati da questa assurda discesa del prezzo e purtroppo temono che possa non arrestarsi;
   secondo le organizzazioni di categoria con prezzi al di sotto dei 30 euro al quintale i produttori non riescono a sostenere i costi di produzione e dall'inizio dell'anno si è registrato un deprezzamento che ormai viaggia intorno al 40-45 per cento;
   nei porti italiani continuano a giungere navi importatrici di grano che contribuiscono ulteriormente ad abbassare il   prezzo, senza voler soffermarsi sui dubbi e sull'opacità in tema di tracciabilità del prodotto che giunge importato;
   diventa indispensabile per la filiera e per la qualità stessa del prodotto in circolazione che venga adottato in tempi brevi il piano cerealicolo nazionale, uno dei punti qualificanti dell'azione del Governo –:
   quali iniziative di contrasto intenda adottare il Governo per frenare le speculazioni in atto sul prezzo del grano che penalizzano una intera filiera produttiva, nonché per accelerare il varo definitivo del piano nazionale cerealicolo e assicurare una migliore organizzazione del comparto e una maggiore qualità del prodotto nell'interesse dei produttori e dei cittadini.
(2-01422) «Burtone, Ribaudo, Zappulla, Paola Boldrini, Oliverio, Preziosi, Falcone, Pelillo, Montroni, Magorno, Murer, Piccione, Borghi, Carrozza, Mongiello, Ventricelli, Albanella, Aiello, Vico, Anzaldi, Palma, Capone, Amato, Berretta, Cani, Cova, Mariano, Marrocu, Marco Di Stefano, Brandolin, Battaglia, Tentori, Bossa, Capodicasa, Moscatt».

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE, GALLINELLA, GAGNARLI, LUPO, PARENTELA, BENEDETTI e MASSIMILIANO BERNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la crisi che ormai da tempo interessa il settore cerealicolo nazionale rappresenta una vera e propria emergenza e l'individuazione di misure atte a contenere la pesante situazione di mercato, unitamente ad una ristrutturazione complessiva della filiera, sono interventi che non possono essere più rimandati;
   tra le criticità più significative, oltre al fatto che il comparto opera in un contesto internazionale estremamente instabile e condizionato da una serie di dinamiche non strettamente correlate con la legge della domanda e dell'offerta, si segnalano sicuramente: l'elevata frammentazione della superficie colturale, con costi del terreno e di impresa nettamente superiori ad altre realtà e conseguente perdita di competitività da parte delle imprese nazionali; elevati costi di produzione e diminuzione costante dei prezzi che costringe la fase agricola a lavorare spesso sottocosto; spontaneismo ed eterogeneità delle produzioni raramente collegate agli andamenti reali dei consumi; diversità degli ambienti pedoclimatici e alta differenziazione quantitativa e qualitativa delle produzioni; scarsa concentrazione dell'offerta; difficoltà nella gestione commerciale causata dalla prevalenza del conto deposito rispetto al conto conferimento e attività di ricerca varietale non sempre rispondente alle reali esigenze di mercato;
   ad alimentare le debolezze del settore contribuiscono poi le mutate strategie dell'industria di trasformazione: l'organizzazione e la concentrazione degli operatori comporta nuove esigenze di fornitura che la filiera non sembra saper soddisfare;
   la questione organizzativa della produzione appare pertanto uno dei nodi strutturali più rilevanti: l'organizzazione di filiera è indispensabile non solo per affrontare le sfide del mercato globale ma anche per aumentare la capacità di negoziazione della parte agricola e qualificare e valorizzare il prodotto;
   al fine di consentire ai produttori di poter collocare il proprio prodotto ad un prezzo congruo e di garantire la trasparenza nelle relazioni contrattuali tra gli operatori di mercato e nella formazione di prezzi è indispensabile la costituzione di una Commissione unica nazionale del settore cerealicolo di cui all'articolo 6-bis del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni dalla legge 2 luglio 2015, n. 91–:
   come il Governo intenda affrontare la crisi del comparto cerealicolo, se non ritenga di dover urgentemente promuovere ed incentivare, anche alla luce della recente normativa comunitaria in materia di organizzazione comune dei mercati dei prodotti agricoli, l'organizzazione di filiera delle produzioni cerealicole e assumere iniziative per attivare una Commissione unica nazionale per il mercato dei cereali, al fine di assicurare all'industria di trasformazione determinati volumi e al produttore la collocazione del proprio prodotto ad un prezzo congruo e slegato dalle contrattazioni delle borse merci. (4-13696)

RIFORME COSTITUZIONALI E I RAPPORTI CON IL PARLAMENTO

Interrogazione a risposta scritta:


   NICCHI. — Al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o luglio 2016 il centro antiviolenza dell'associazione Casa della donna di Pisa si è visto costretto a sospendere una parte dei servizi di ascolto e di accoglienza, soprattutto quelli relativi al sostegno psicologico e legale delle donne maltrattate;
    nell'ultimo triennio, il centro antiviolenza della Casa della donna ha accolto 741 donne, di cui 91 seguite in percorsi integrati con i servizi sociali e 650 seguite direttamente dai servizi del centro e, dall'inizio del 2016, sono state già accolte 104 donne;
   il centro, attivo da oltre 23 anni, gestisce anche una casa-rifugio, ha 8 operatrici volontarie, 3 consulenti di accoglienza, 3 psicologhe e 3 avvocate che, con formazione specifica, esperienza pluriennale e un approccio multidisciplinare, seguono le donne nei loro percorsi di uscita dalla violenza; le psicoterapeute garantiscono supporto psicologico con sedute settimanali, le avvocate accompagnano le donne nei percorsi giudiziari che spesso durano anni. Tutti i servizi del centro antiviolenza sono gratuiti e riservati;
   la sospensione dei servizi del centro antiviolenza è causata dal taglio di oltre il 30 per cento dei finanziamenti pubblici della società della salute di Pisa, come si evince dal nuovo bando sui servizi di accoglienza per le donne;
    Pisa non è un caso isolato. In tutta Italia hanno chiuso o sospeso le attività molti centri antiviolenza con esperienza più che ventennale: il 23 giugno 2016 ha chiuso Casa Fiorinda, l'unico rifugio per donne maltrattate di Napoli. Il 20 giugno aveva serrato le porte il centro antiviolenza Le Onde di Palermo, che adesso riesce a garantire solo l'ascolto telefonico. Il 26 giugno è toccato a Sos Donna H24 lo sportello del comune di Roma che prendeva in carico 24 ore su 24 le vittime di abusi. Lo stesso potrebbe succedere il 30 luglio, sempre a Roma, al centro Colasanti-Lopez. Ad Arezzo è stato ridotto il servizio di ascolto e di reperibilità ed è stata chiusa una casa rifugio; 
   tanti dei 75 centri della rete nazionale Dire sono in difficoltà;
   tra le principali ragioni della difficoltà di sopravvivenza dei centri antiviolenza c’è la riduzione dei finanziamenti da parte del Governo e la mancanza di politiche pubbliche che, in modo stabile e omogeneo sul territorio, garantiscano adeguate risorse. I fondi per il 2015 e il 2016, circa 9 milioni di euro all'anno stanziati con la legge di stabilità, non sono ancora stati erogati. Si sta aspettando la conferenza Stato-regioni che decida come ripartirli. Ci sono poi le risorse per il biennio 2013-2014: 16,5 milioni di euro per tutte le regioni;
   ridurre i servizi significa ridurre la possibilità per le donne di lottare contro la violenza;
   sostenere le donne che sono vittime di violenza è una responsabilità di tutte e di tutti e le istituzioni devono fare la loro parte –:
   quali iniziative urgenti si intendano adottare per interrompere gli inaccettabili tagli di fondi statali ai centri antiviolenza, prevedendo al contrario un sensibile incremento dei finanziamenti;
   se non si ritenga indispensabile avviare una seria ed efficace programmazione a livello nazionale sui servizi di tutela e di protezione delle donne;
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano adottare, con specifico riguardo alla situazione esposta in premessa, relativamente al centro antiviolenza della Casa della donna di Pisa, dove i tagli del 30 per cento delle risorse, pesano gravemente sulla salute e sulla pelle delle donne che subiscono violenze e maltrattamenti. (4-13703)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GREGORI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la regione Lazio ha recentemente autorizzato nuove assunzioni nella misura di 543 unità, sbloccando così il turn over e permettendo l'apertura di nuovi servizi previsti dai piani operativi 2016-2018, anche al fine di rafforzare le strutture di Roma e provincia;
   si tratterebbe di un fatto positivo se non avvenisse attraverso un processo di penalizzazione dei presidi sanitari come quello dell’«A. Angelucci» di Subiaco. Tale presidio, oltre ad aver già subito un ridimensionamento a seguito dei piani di rientro definiti dal Ministero della Salute e dal Ministero dell'economia e delle finanze, di concerto con la regione Lazio, ha successivamente subito la chiusura del reparto di rianimazione e poi di ortopedia – non prevista nel piano di rientro – portando ad una forte carenza di un importante servizio in una zona con elevata percentuale di popolazione anziana, con presenza di tre strutture Rsa e con forte impatto turistico-sciistico;
   altrettanto pressanti per la popolazione locale sono le difficoltà del reparto di chirurgia, dove i due medici sono stati trasferiti nell'ospedale «S. Giovanni Evangelista» di Tivoli, e sostituiti da unità provenienti dall'ospedale di Monterotondo che non possono garantire così continuità assistenziale al fine della diagnosi e della cura;
   così come si registrano difficoltà presso il pronto soccorso, a causa della presenza di soli tre medici effettivi a tempo indeterminato ed uno a servizio ridotto con 28 ore settimanali;
   altrettanto grave è la carenza di personale infermieristico, soprattutto nei reparti di medicina e pronto soccorso;
   il piano di potenziamento sanitario messo in campo dalle autorità nazionali e locali sembra all'interrogante valere dunque solamente per alcune strutture come quelle di Monterotondo e Colleferro, creando gravi asimmetrie sanitarie sul territorio –:
   quali iniziative urgenti di competenza s'intendano assumere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza sanitaria nell'area di Subiaco, nonché la salvaguardia dei livelli occupazionali del personale impiegato, garantendo altresì il rispetto della normativa europea inerente i riposi e gli straordinari. (5-09089)


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, GRILLO, MANTERO, DI VITA, LOREFICE e NESCI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 1o luglio 2016 il presidente della regione Campania Vincenzo De Luca ha dichiarato ad un'emittente televisiva locale: «Sulla sanità abbiamo scoperto di avere debiti per 1 miliardo e 900 milioni che ci ha lasciato l'amministrazione precedente. La Corte dei Conti sul consuntivo del 2013, redatto dalla precedente amministrazione regionale, aveva addebitato alla Campania quattro miliardi di euro di debiti. Dopo un'analisi attenta lo sbilancio si è ridotto a un miliardo e 900 milioni. Ma dobbiamo in ogni caso pagarli e di questo ringraziamo quelli che ci hanno preceduto. Dovremo quindi fare un mutuo per spalmare il debito in attesa di conoscere l'analisi del consuntivo 2014». «Questi debiti – ha aggiunto il governatore – si aggiungono agli altri che paghiamo, come il debito da 700 milioni di euro dell'Eav (holding dei trasporti, ndr) e poi la multa la multa di 120.000 euro al giorno all'Unione Europea, dovuta a seguito della mancata realizzazione degli impianti e bonifica delle discariche la pagano i cittadini campani»;
   l'ex presidente della regione Campania Stefano Caldoro, oggi a capo dell'opposizione in consiglio regionale, in un video postato sulla sua pagina Facebook ha dichiarato: «Sono preoccupato. Il mio è un grido di allarme perché la sanità campana è allo sbando. I medici che si imbavagliano, i cittadini che si devono pagare le cure perché sono finite le risorse, gli ospedali che chiudono. So che non è facile amministrare la sanità ma la situazione oggi è drammatica come non mai. Dopo un anno di “cura De Luca” è tornato il virus del clientelismo, della spesa non controllata». «Questa Giunta regionale – ha continuato Stefano Caldoro – sta creando un danno enorme alla nostra sanità ed ai nostri medici. Noi avevamo iniziato a mettere le cose in ordine». «Fino al 2011, nei periodo in cui governavano De Luca ed il Pd, i dati riportano che la sanità campana era ultima in Italia. I Lea, i livelli essenziali di assistenza, si fermavano a 101 punti. Con la nostra gestione siamo riusciti a passare da 101 a 136, certo non ancora sufficiente ma siamo stati sicuramente la regione che, insieme alla Toscana, ha ottenuto il miglioramento più forte. Oggi si torna indietro, con De Luca, dai primi dati che mi risultano per il 2016 siamo tornati ultimi. È un dato molto negativo»;
   nella relazione del 1o aprile 2015, risultante dalla verifica annuale del piano di rientro della regione Campania emerge che le strutture competenti «in materia di erogazione dei LEA prendono atto dei miglioramenti registrati ed invitano a risolvere le criticità relative alla prevenzione e all'assistenza territoriale per anziani e disabili» –:
   se trovi conferma quanto esposto in premessa, in particolare quanto affermato dal presidente della regione Campania;
   se trovi conferma che la regione Campania sulla base dei primi dati che risulterebbero per il 2016, dalla verifica dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, sia in peggioramento rispetto agli anni precedenti fino a registrarsi ultima nella classifica nazionale;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo, anche attraverso la struttura commissariale, per migliorare l'appropriatezza delle prestazioni erogate in Campania, e se intenda prevedere ulteriori azioni considerando i risultati che emergono dagli indicatori utilizzati nella griglia LEA;
   alla luce dei fatti esposti in premessa, quali iniziative il Governo intenda avviare, anche attraverso il commissario per attuazione del piano di rientro, al fine assicurare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza e la stabilità finanziaria della sanità campana. (5-09091)

Interrogazione a risposta scritta:


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con la legge, 248 del 2006 è stato convertito il decreto-legge 4 luglio 2006, n. 223, recante disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché interventi in materia di entrate e di contrasto all'evasione fiscale;
   nella relazione allegata al disegno di legge di conversione del predetto decreto si dichiara che: «(omissis)... le disposizioni ivi contenute sono volte a promuovere la concorrenza per la tutela dei consumatori, in attuazione del Trattato CE (in particolare degli articoli 43, 49, 81, 82 e 86), nonché dei principi costituzionali fondamentali sanciti dall'articolo 3 (principio di uguaglianza formale e sostanziale) e dall'articolo 41 (principio di libertà di iniziativa economica), nonché degli articoli 11 e 117, commi primo e secondo, della Costituzione.(...) Il settore farmaceutico è caratterizzato da una estesa regolamentazione pubblica, che influenza profondamente tanto le condizioni di domanda e di offerta dei beni e servizi, quanto i comportamenti e il grado di autonomia dei soggetti coinvolti (imprese, medici, farmacisti, pazienti)... (omissis)»;
   nel medesimo documento si legge che: «(omissis .... una serie di indagini conoscitive di natura generale e di pareri e segnalazioni su aspetti particolari, la permanenza di condizioni di concorrenza impedita, ristretta o falsata, nel processo di riforma avviato con la legge finanziaria per il 1994 e poi proseguito con le successive leggi finanziarie e con ulteriori provvedimenti che, in realtà, pur conseguendo importanti risultati di contenimento della spesa pubblica, non hanno comportato un superamento del metodo di amministrazione dei prezzi...(omissis)»;
   il documento indica inoltre che: «omissis ... fin da oggi è, però, possibile incidere da subito sul processo normativo ed anche culturale di innovazione, mediante lo sviluppo su larga scala dei farmaci generici o equivalenti e la diffusione fra consumatori dei prodotti da banco, al fine di promuovere l'introduzione di maggiori elementi di concorrenzialità nel settore, eliminando quei vincoli alla libertà dell'iniziativa economica che non risultano necessari al fine di assicurare le superiori esigenze della tutela della salute e del contenimento della spesa pubblica. L'articolo proposto (articolo 5) reca, dunque, le misure suggerite dall'autorità per favorire la concorrenza fra farmaci (interbrand), incentivare l'utilizzo dei farmaci generici, stimolare la concorrenza fra distributori al dettaglio (intrabrand), mediante:
    1. l'estensione dei punti vendita dei medicinali non soggetti a prescrizione medica, comunque secondo modalità rispettose del diritto alla salute dei consumatori (commi 1 e 2);
    2. la possibilità di praticare, secondo modalità trasparenti, lo sconto sui farmaci (comma 3);
    3. l'eliminazione dei gravosi obblighi dei grossisti di detenzione delle scorte (comma 4);
    4. l'eliminazione del vincolo fra Albo provinciale in cui è iscritto il farmacista e circoscrizione provinciale sede della farmacia e del divieto di assumere la titolarità di più di una farmacia e del divieto di partecipare a più di una società, nonché l'eliminazione della possibilità per gli eredi di ottenere la titolarità della farmacia fino al trentesimo anno di età ovvero fino al termine di dieci anni dalla data di acquisizione, a condizione che il dante causa si iscriva ad una facoltà di farmacia (commi 5 e 6); ... (omissis)»;
   da tale relazione illustrativa appare chiaro per gli interroganti l'intendimento del legislatore, rispetto la possibilità prevista dall'articolo 5 del suddetto decreto-legge di apertura di attività denominate «parafarmacie», di promuovere una concorrenza di mercato a tutela dei consumatori nel settore sanitario;
   l'istituzione delle «parafarmacie» hanno dato anche la possibilità a tutti coloro che, seppur in possesso del titolo accademico, stante il contingentamento dei numeri di farmacie possibili nel territorio nazionale, di avviare una propria attività, seppur residuale, in tale settore;
   di contro, risulta che molti titolari di farmacie siano anche titolari di parafarmacie creando di fatto una dicotomia dove i due concorrenti economici coincidono –:
   quali siano i dati nazionali relativi a quante parafarmacie sono in attività;
   se risulti quante di esse siano gestite da farmacisti (ditte individuali) che non siano contestualmente titolari di farmacie. (4-13699)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   in data 30 maggio 2016, è avvenuto un forte terremoto di magnitudo 4.1 nell'area di Castel Giorgio-Acquapendente, a cui sono seguite nelle ore e nei giorni successivi oltre 70 scosse di varia intensità. Le scosse di assestamento sono durate circa una settimana. I danni hanno riguardato alcune abitazioni e strutture varie, con la necessità di dover sfollare alcune famiglie residenti nella zona interessata dalle scosse;
   la testata giornalistica «Orvieto News» all'indomani della scossa registrata il 30 maggio 2016, riportava la notizia con un articolo dal titolo: «Terremoto, a Castel Giorgio e Castel Viscardo scuole chiuse. Verifiche in tutto l'Orvietano», nel quale si descriveva come: «ORVIETO – Quadri staccati dai muri, bicchieri rotti nelle credenze, crepe lungo i muri. E gente in strada. Alle 22.25 circa di ieri sera un violento terremoto – magnitudo 4.1 con epicentro a Castel Giorgio – ha sorpreso i cittadini dell'Orvietano. La scossa registrata ad un profondità di 15 chilometri dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia, è stata avvertita in maniera distinta in molti paesi limitrofi: Castel Viscardo, Ficulle, Monterubiaglio, Porano, Orvieto, Fabro, Baschi. Un enorme boato seguito poi da una violenta scossa ha tenuto paralizzati a letto molte persone, altre sono scese in strada, altre hanno dormito in macchina;
   nel Lazio, la scossa è stata distintamente avvertita anche nella zona di Bolsena, a Grotte di Castro e Acquapendente;
   sui social, già dai ieri sera, ha cominciato a impazzare la polemica per il progetto legato alla geotermia da realizzare nei pressi a dove si è verificato l'epicentro del sisma. Una notizia che senza dubbio creerà non poche frizioni vista anche l'imminenza della tornata elettorale del 5 giugno per il rinnovo del consiglio comunale. Proprio per stasera il Coordinamento dei comitati dell'Orvietano, Tuscia e lago di Bolsena aveva convocato un incontro con i candidati sindaci di Castel Giorgio ed Acquapendente, i due paesi più sottoposti alla problematica geotermia, per la sottoscrizione di un impegno a contrastare questa scelta. Nelle prossime ore nuovi aggiornamenti»;
   il vicepresidente della regione Fabio Paparelli recatosi nella mattinata di martedì 31 maggio a Castel Giorgio, per fare il punto sul sisma che ha interessato l'area dell'Orvietano, con un'ulteriore sensibile replica del fenomeno sismico ha dichiarato: «Ho voluto recarmi nella zona interessata dal sisma per verificare direttamente e personalmente i danni causati, ma anche per essere vicino alle popolazioni ed agli amministratori locali. A tutti ho annunciato che al più presto la Regione Umbria inoltrerà al governo una precisa e dettagliata relazione relativa ai danni causati dal sisma, sulla base della quale richiederemo lo stato di calamità naturale»;
   il comitato «Sos Geotermia aderente alla Rete nazionale», NoGesi Rete Nazionale NO Geotermia Elettrica, Speculativa e Inquinante», da sempre attivo sul territorio, ha diramato attraverso il proprio portale web ed alcuni organi di stampa la seguente dichiarazione: – «Oltre 30 scosse in due giorni: altre trivelle diminuiranno o aumenteranno i rischi ? Lunedì 30 maggio sera una forte scossa, di 4.1 gradi di magnitudo, ha causato allarme e paura in tre regioni, Umbria, Toscana e Lazio, ricordando a chi spesso lo dimentica, che ci troviamo in una zona sismica peraltro ricca di fabbricati storici e paesi antichi di certo non costruiti per sostenere terremoti. La scossa più forte fa parte di uno sciame che in due giorni, lunedì 30 e martedì 31 maggio, ha già dato oltre trenta sismi e che si va manifestando spostandosi verso nord-ovest, in direzione Val di Paglia/Amiata. A Castel Giorgio, epicentro delle scosse più forti, è in iter autorizzativo il permesso di ricerca finalizzato ad una centrale pilota da parte della società ITW-LKW Geotermia Italia e, sovrapponendo la mappa della concessione con gli epicentri, si nota proprio una sinistra coincidenza dei luoghi. Sarebbe troppo facile dire oggi che bisogna stare molto attenti ad autorizzare impianti geotermici in queste zone, ma noi, come comitati, sono ormai anni che cerchiamo di fare informazione sui rischi da sismicità indotta e siamo spesso stati accusati di fare allarmismo. Ma la realtà ha la testa dura e, nonostante l'opera tranquillizzante di molti – interessati ai progetti –, la verità che realizzare impianti in queste zone è una follia torna prepotentemente alla ribalta. Può un territorio con questa sismicità tollerare ulteriori stimolazioni – estrazioni e re-iniezioni –  ? Noi siamo certi di no. Anche per questo non possiamo che ribadire la contrarietà più netta alla realizzazione di altre centrali geotermiche e la moratoria per tutti gli impianti inquinanti e speculativi esistenti»; anche il «Coordinamento Associazioni Orvietano, Tuscia e Lago di Bolsena» è intervenuto sulla vicenda; si legge sul sito «L'informazione del lago di Bolsena – Radiogiornale (www.readiogiornale.info) che: «Si è tenuta giovedì 30 maggio a Castel Giorgio una riunione di tutti i candidati sindaci ai comuni di Castel Giorgio e Acquapendente, i due centri più colpiti dal terremoto e dallo sciame sismico in atto. In entrambi i comuni è stato presentato un progetto di sfruttamento geotermico che prevede un'attività estrattiva che crea certamente eventi sismici, in una zona già ad alto rischio sismico, ma anche il pericolo concreto di possibile inquinamento di acque e di seri incidenti con fuoriuscita di gas velenosi. Le vive preoccupazioni sollevate da tanti comitati di cittadini e da ben 25 sindaci della zona – sostenuti dal parere di diversi illustri scienziati – sono rimaste fino ad ora quasi del tutto inascoltate. Le autorità governative e quelle regionali – tranne una importante presa di posizione contraria da parte del Consiglio Regionale umbro, sollecitata dal Presidente della Commissione Ambiente Eros Brega – hanno fino ad ora dato ascolto ciecamente alle rassicurazioni dei tecnici di parte della società proponente. Ed è dovuto purtroppo intervenire un grave terremoto per far capire che le loro rassicurazioni non erano basate su dati scientifici seri, ma viaggiavano sull'onda di un grande affare da mandare in porto, con un interesse economico tale da prevalere su ogni considerazione di salvaguardia della salute dei cittadini. Ora il terremoto dimostra, purtroppo con enorme chiarezza, che non solo dal punto di vista della contrarietà delle popolazioni, ma proprio dal punto di vista tecnico il progetto è improponibile e pericolosissimo. Lo sciame sismico sta avvenendo quasi per intero, sia per estensione territoriale che per profondità – proprio all'interno del campo di sfruttamento geotermico individuato sull'Alfina dai progetti presentati. Proprio in quel bacino geotermico che la società proponente aveva definito del tutto sicuro ed esente da rischi. Con l'acquiescenza – ormai dimostrata sostanzialmente incompetente, ma anche sospetta – degli organi del Ministero per lo sviluppo economico, della commissione di Valutazione di Impatto Ambientale nazionale e degli organi tecnici della, regione Umbria. I sindaci di tutto il territorio ed i comitati hanno da anni portato numerose prove e testimonianze della pericolosità del progetto, sostenuti dalle relazioni di importantissimi scienziati, come i professori Borgia, Margottini, Quattrocchi, De Vivo, Mucciarelli e altri. Tra i migliori in campo internazionale. Ma i politici ed i tecnici pubblici, troppo sensibili alle lobbies speculative, hanno fatto finta di niente, continuando a mandare avanti l'iter del progetto. Il terremoto – ma ci voleva il terremoto ? – mostra con chiarezza la loro negligenza ed incompetenza. È necessario che la Presidente Marini – nelle cui mani è da tempo una decisione finale – la prenda ora, con coraggio, sulla base di ormai incontestabili dati tecnici e della contrarietà delle popolazioni che amministra. E finalmente respinga il progetto, come è ampiamente nei suoi poteri e nei suoi doveri. E riveda urgentemente – dopo l'attuale terremoto, ancora in corso – la improvvida decisione di declassare Castel Giorgio e Castel Viscardo da classe sismica 291 classe 3 presa nel 2012 (DGR n. 1111/2012) [...]»;
   ad oggi, secondo gli interpellanti, le autorizzazioni in materia di utilizzo delle tecnologie per lo sfruttamento dell'energia geotermica sono state avanzate esclusivamente per tecnologie di prima generazione che prevedono il contatto diretto fra i fluidi iniettati dalla superficie e le rocce fratturate e criticità ben maggiori rispetto alla tecnologia BHE, la quale estrae dal giacimento solo calore, attraverso circuiti a tubo chiuso, che non «muovono» in alcun modo i fluidi geotermici, assicurando così l'assoluta assenza di emissioni e di scorie;
   secondo gli interpellanti risultano fondati i fortissimi dubbi, già esposti nell'interpellanza 2-01170 presentata dal primo firmatario del presente atto, il 23 novembre 2015, riguardo alla correttezza e alla professionalità coi quali si sono conseguiti i risultati scientifici riguardo la sicurezza sismica del territorio e della zona dell'altopiano dell'Alfina –:
   se i Ministri interpellati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere a riguardo;
   se i Ministri interpellati non reputino opportuno, vista la mancanza della zonizzazione e delle linee guida nazionali da parte del Governo (alla cui elaborazione le commissioni VIII e X della Camera hanno impegnato il Governo con la risoluzione del 15 aprile 2015) la cui assenza permette istanze su territori con sismotettonica fragile come nel caso di Castel Giorgio, velocizzare la procedura per la definizione delle citate linee guida da tempo attese;
   se i Ministri interpellati non stiano considerando la necessità di assumere iniziative per prevedere per il nostro Paese esclusivamente l'utilizzo delle tecnologie maggiormente rispettose delle risorse naturali per lo sfruttamento dell'energia geotermica, quali appunto gli impianti di terza generazione Borehole Heat Exchangers – BHE citati in premessa;
   se il Ministro dello sviluppo economico non ritenga di dover rivedere il percorso autorizzativo degli impianti più a rischio (in particolare quello di Castel Giorgio);
   se il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca intenda verificare in che modo abbia operato l'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia nel valutare gli effetti sismici che interventi come quelli descritti in premessa possano avere sul territorio.
(2-01421) «Zaccagnini, Melilla, Kronbichler».

Interrogazione a risposta orale:


   LUPI e VIGNALI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   per dispacciamento si intende la gestione dei flussi di energia elettrica necessaria a garantire la continuità e la sicurezza del servizio. I relativi oneri sono caricati sulle bollette elettriche di cittadini e imprese. In tale ambito sussiste una voce di spesa denominata «sbilanciamenti» consistente in una serie di assestamenti che serve per mantenere in equilibrio il sistema elettrico nazionale rispetto a quello che si programma con l'anticipo di un giorno, tramite i negoziati che formano i prezzi base (mercato del giorno prima, MGP);
   recentemente il coordinamento consorzi di Confindustria ha inviato una lettera aperta al Ministero dello sviluppo economico, all'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico e alle forze politiche, invitandoli ad indagare i motivi per i quali, nella gestione del dispacciamento, la voce sbilanciamenti abbia creato 300 milioni di euro di extra costi per le piccole e medie dimensioni e per i consorzi, una super-addizionale assolutamente non giustificata;
   secondo la denuncia, alcune centrali «(...) situate in posizioni strategiche per Terna (la società che gestisce la rete di trasmissione nazionale), non offrono energia nel mercato del giorno prima costringendo Terna a chiamarle nel mercato di dispacciamento» a prezzi enormemente maggiori, 400 euro/MWh con punte di 600 euro, contro i 40 dell'MGP. In tal modo «(...) il maggior costo per il sistema è stato nel solo mese di aprile di 230 milioni» a cui si aggiungono «almeno 60 milioni dovuti alle speculazioni dei traders»;
   nei giorni scorsi l'Autorità ha annunciato un incremento del costo dell'energia elettrica del 4,3 per cento, specificando che questo aumento è dovuto soprattutto alla «crescita dei costi del dispacciamento». I consumatori hanno denunciato oneri aggiuntivi ingiustificati pari a 1 miliardo di euro;
   il mercato elettrico concorrenziale è nato con l'obiettivo di offrire a cittadini e imprese l'energia elettrica al miglior prezzo possibile, non per dare spazio a manovre speculative sulla formazione delle componenti del prezzo dell'energia, replicando il modello di quelle architettate dalla americana ENRON nei primi anni 2000, nelle quali ad una carenza energetica artificialmente creata, seguiva una impennata dei prezzi praticati agli utenti finali;
   è chiaro che la gestione della domanda e dell'offerta sul mercato elettrico funziona ancora male; il Coordinamento consorzi di Confindustria dà atto a Terna di aver attuato un intervento correttivo, ma manca ancora una soluzione definitiva. Nuovi maggiori oneri stanno per essere scaricati sulle imprese nell'aggiornamento del corrispettivo unitario (uplift) di luglio –:
   se il ministro interrogato non ritenga opportuno approfondire le verifiche, anche per il tramite di Terna, sulla vicenda esposta in premessa, adottando le iniziative di competenza urgenti necessarie e se non ritenga di avviare con celerità l'auspicata riforma del mercato elettrico, sì da ridurre i conti per i cittadini e le imprese. (3-02371)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PELUFFO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella risposta all'interrogazione n. 5-04770 in data 1o aprile 2015, il viceministro dello sviluppo economico Claudio De Vincenti, segnalava che la società Italtel avrebbe avuto diritto al sostegno della società di servizio per la patrimonializzazione e ristrutturazione delle imprese se in possesso dei requisiti richiesti, e conformemente ai criteri e alle modalità di concessione previsti dal suddetto decreto;
   nella risposta all'interrogazione n. 5-06056 avente ad oggetto l'attuazione del fondo «Salva imprese» con riferimento a interventi di patrimonializzazione della società Italtel s.p.a. in data 28 luglio 2015, il Sottosegretario allo sviluppo economico pro tempore senatrice Simona Vicari, affermava che il Governo, raccolte le opportune manifestazioni di interesse da parte degli investitori al fine di costituire detto fondo, stava lavorando alla costruzione del management team e della struttura di governance della società di gestione;
   sulla stampa nazionale (articolo a firma di A. Puato sul « Corriere della Sera – Economia» del 27 giugno 2016), si accenna al fatto che sarebbero stati definiti i criteri di accesso, i nomi e i ruoli degli investitori istituzionali e la tempistica di partenza del Fondo «Turnaround» (già «Salvaimprese») e che tra le società potenzialmente interessate all'intervento del fondo, a detta dell'articolo riportato, potrebbe rientrare la società Italtel s.p.a., oggetto degli atti di sindacato ispettivo sopra menzionati –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle notizie riportate e, in particolare, dell'interessamento da parte del fondo a un intervento a favore di Italtel;
   se, al momento attuale, sia possibile indicare una tempistica precisa per l'attivazione del fondo;
   se siano stati definiti nel dettaglio i criteri per l'accesso al fondo.
(5-09092)


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n. 30 del 2005 e successive modificazioni «codice di proprietà industriale» stabilisce all'articolo 170, comma 2, che «per i marchi relativi a prodotti agricoli ed a quelli agroalimentari di prima trasformazione, che utilizzano denominazioni geografiche, l'Ufficio [ufficio italiano brevetti e marchi — UIBM] trasmette l'esemplare del marchio ed ogni altra documentazione al Ministero delle politiche agricole e forestali, che esprime il parere di competenza entro dieci giorni dalla data di ricevimento della relativa richiesta»;
   la registrazione internazionale n. 1139914 avente ad oggetto il marchio «DiNicola», esteso anche all'Italia, rivendica, tra gli altri, i seguenti prodotti «cheese, namely, mozzarella, parmesan, romano, gorgonzola, asiago» ricadenti nella classe 29 definita dalla classificazione di Nizza;
   per quanto risulta all'interrogante, non sarebbe pervenuta la nota di richiesta del Ministero dello sviluppo economico – ufficio italiano brevetti e marchi di cui sopra;
   la specificazione dei prodotti rivendicati dalla registrazione di marchio richiamato include delle denominazioni di origine di formaggi italiani protetti in conformità delle disposizioni contenute nel Regolamento (UE) n. 1151 del 2012 del Parlamento europeo e del Consiglio del 21 novembre 2012 sui regimi di qualità dei prodotti agricoli e alimentari, inerenti la registrazione e la protezione delle denominazioni di origine protette — DOP — e delle indicazioni geografiche protette — IGP. In particolare, si attira l'attenzione sull'articolo 13, paragrafo 1, lett. b), che stabilisce, fra l'altro, i principi della protezione delle DOP e delle IGP, stabilendo che le DOP e le IGP «registrate sono protette contro qualsiasi usurpazione, imitazione o evocazione, anche se l'origine vera dei prodotti o servizi è indicata o se il nome protetto è una traduzione o è accompagnato da espressioni quali “stile”, “tipo”, “metodo”, “alla maniera”, “imitazione” o simili, anche nel caso in cui tali prodotti siano utilizzati come ingrediente»;
   l'articolo 14, paragrafo 1, del citato regolamento europeo stabilisce nel caso di marchi depositati e/o registrati dopo la registrazione di una DOP o di una IGP che «qualora una denominazione di origine o un'indicazione geografica sia registrata ai sensi del presente regolamento, la registrazione di un marchio il cui uso violerebbe l'articolo 13, paragrafo 1, e che riguarda un prodotto dello stesso tipo è respinta se la domanda di registrazione del marchio è presentata dopo la data di presentazione della domanda di registrazione relativa alla denominazione di origine o all'indicazione geografica presso la Commissione europea»;
   relativamente al termine «Parmesan» è necessario segnalare che la sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 16 febbraio 2008, causa C-132/05, sancisce, fra l'altro, che nell'Unione europea detto termine è un sinonimo della DOP «Parmigiano Reggiano», in quanto «un prodotto a denominazione d'origine protetta è tutelato non solo nella forma precisa per cui è stato registrato, ma la tutela si estende al concetto che il prodotto DOP evoca o identifica»;
   lo stesso regolamento ha previsto dei precisi obblighi nella protezione di tutte le DOP e le IGP registrate a livello europeo a carico membri dell'Unione europea;
   l'articolo 13, paragrafo 3, infatti recita che «gli Stati membri adottano le misure amministrative e giudiziarie adeguate per prevenire o far cessare l'uso illecito delle denominazioni di origine protette e delle indicazioni geografiche protette ai sensi del paragrafo 1, prodotte o commercializzate in tale Stato membro»;
   l'Italia, quale Paese sottoscrittore dell'accordo di Nizza, è tenuto ad applicare la classificazione dei prodotti e servizi da questo definito. In particolare, in base al disposto dell'articolo 156 del decreto legislativo n. 30 del 2005 e successive modificazioni, per i prodotti e servizi che si intende rivendicare con una domanda di registrazione di marchio è necessario utilizzare sia il numero della classe che la specifica dei prodotti e servizi che si vuole proteggere;
   le note esplicative dell'accordo sopra richiamato, unitamente alla lista alfabetica, consentono di classificare direttamente o per analogia gran parte dei prodotti e servizi. I criteri base per una corretta classificazione dei prodotti e servizi sono la loro funzione e destinazione;
   il marchio Di Nicola, oggi registrato in Italia e a livello europeo, rivendica in modo generico, i seguenti prodotti «cheese, namely, mozzarella, parmesan, romano, gorgonzola, asiago» ricadenti nella classe 29 i quali, evidentemente, sono denominazioni di origine o sinonimi di denominazioni che, al più, identificano, ad avviso dell'interrogante con dubbie modalità, l'origine geografica del prodotto e non già la sua funzione e/o destinazione;
   nell'ipotesi in cui la porzione italiana della registrazione internazionale sopra citata fosse stata sottoposta alla valutazione del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ai sensi dell'articolo 170, comma 2, del decreto legislativo n. 30 del 2005, quest'ultimo avrebbe dovuto esprimere parere negativo –:
    per quale motivo il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali e quello dello sviluppo economico non siano intervenuti in sede di autotutela per bloccare tale registrazione internazionale, ad avviso dell'interrogante, di dubbia legittimità;
   se non si ritenga di dover immediatamente disporre un provvedimento di autotutela funzionale a bloccare tale tipo di registrazione che rischia di trasformare ogni marchio identificativo in generico con la complicità dello Stato italiano;
   se non si ritenga di dover individuare i responsabili di quello che appare all'interrogante un omesso controllo e verificarne le ragioni;
   se non si ritenga di dover promuovere un immediato controllo su tutte le registrazioni in ambito italiano, europeo e internazionale per evitare ulteriori aggressioni a produzioni strategiche come quelle richiamate. (5-09098)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Pesco e altri n. 3-02362, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Castelli.

  L'interrogazione a risposta in commissione Sibilia e Vallascas n. 5-09068, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 luglio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta scritta Matarrese n. 4-12264 del 25 febbraio 2016.