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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 1 luglio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    due terzi di insegnanti abilitati della seconda fascia di istituto non saranno stabilizzati con il nuovo concorso e, oltre a essere loro preclusa l'assunzione a tempo indeterminato, verrà agli stessi presto negata anche la possibilità di utilizzare contratti a tempo determinato, pur avendo maturato diversi anni di esperienza (che a questo punto rischia di andare dispersa) in seguito al comma 131 dell'articolo 1 della legge 107 del 2015 (buona scuola), per cui «a decorrere dal 1o settembre 2016, contratti di lavoro a tempo determinato (...) non possono superare la durata complessiva di trentasei mesi, anche non continuativi», negando la possibilità di insegnare anche a tempo determinato;
    le graduatorie ad esaurimento (Gae) degli insegnanti precari, stando al Consiglio di Stato, sono liste a titolo concorsuale e questo dovrebbe valere anche per le graduatorie di istituto (Gi) alla luce della sentenza n. 7773, 15 febbraio 2012, del Consiglio di Stato, sez. VI, e secondo quanto ribadito anche dalla sentenza n. 5795 del 24 novembre 2014;
    quando le graduatorie permanenti sono state trasformate in graduatorie «ad esaurimento», si sarebbe dovuto prevedere quantomeno la possibilità per i docenti delle graduatorie di istituto di iscriversi a concorsi con cadenza almeno triennale e con un numero di posti a bando in grado di garantire un'adeguata immissione in ruolo di abilitati, mentre è stato bandito un solo concorso a cattedra per un numero di posti esiguo, tanto che nemmeno il piano straordinario di assunzioni è stato sufficiente a diminuire le supplenze nella scuola italiana;
    il nuovo concorso, com’è noto, non coprirà l'intero fabbisogno e agli insegnanti abilitati presenti in II fascia di istituto continua a essere negata la possibilità di assunzione per scorrimento di graduatoria, poiché potranno entrare in ruolo solo attraverso il concorso, mentre continuano a essere assunti a tempo determinato, per svolgere lo stesso lavoro, cosa peraltro praticabile – come detto – solo fino al raggiungimento dei 36 mesi di servizio;
    allo scadere della graduatoria, nel 2017, la III fascia di istituto degli insegnanti precari sarà aggiornata per chi ne fa parte e chiusa a nuovi ingressi e, in assenza di misure transitorie (la possibilità di abilitarsi), gli iscritti saranno tenuti in un limbo lavorativo, per poi essere spazzati via dal limite dei 36 mesi per il rinnovo dei contratti a tempo determinato, anche se svolgono un servizio identico per mansioni e responsabilità a quello dei colleghi di ruolo;
    per gli insegnanti di III fascia servirebbe quindi un nuovo percorso abilitante speciale (PAS), in quanto tale percorso, a differenza del tirocinio formato attivo, non prevede numero chiuso e comprende tutte le classi di concorso (anche gli ITP), non trattandosi di una sanatoria, bensì di un atto che, stando alla direttiva europea 36/2005, spetterebbe di diritto a coloro che hanno maturato 3 anni di servizio in 10 anni (180 giorni x 3 anni);
   i docenti di III fascia hanno pronti i ricorsi per la richiesta di un nuovo percorsi abilitanti speciali, da avviare con decreto d'urgenza per chi ha maturato 180 giorni di servizio per 3 anni (e addirittura c’è chi chiede lo chiede per 180 giorni per 2 anni) o, in alternativa, per l'ingresso della III fascia con servizio nel 3o ciclo del tirocinio formativo attivo in soprannumero;
    le abilitazioni all'estero hanno più che dimezzato il loro costo, in quanto con 5.000 euro – alloggio compreso – è possibile abilitarsi in 6 mesi, ottenendo un punteggio superiore al percorsi abilitanti speciali e senza dover effettuare riconoscimenti in Italia, senza contare che, ancora più temibile per l'amministrazione, visti i risvolti economici, potrebbe rivelarsi la citazione per danni,

impegna il Governo:

   a definire iniziative precise atte a garantire un futuro — in troppi casi attualmente negato – ai docenti abilitati della seconda fascia di istituto;
   ad assumere, con urgenza, iniziative che proroghino i termini del provvedimento sui percorsi abilitanti speciali (PAS) per gli insegnanti con adeguati livelli di esperienza della terza fascia di istituto, dal momento che il limite non è perentorio e che lo stesso TFA, descritto come transitorio, di fatto è consolidato, non essendo ancora stato attuato il decreto ministeriale 249 del 2010, che prevede le lauree magistrali abilitanti.
(1-01315) «Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta scritta:


   SCAGLIUSI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'ente autonomo Acquedotto Pugliese (AQP), trasformato in società per azioni con il decreto legislativo 11 maggio 1999, n. 141, è una «impresa pubblica, che eroga il Servizio Idrico Integrato a favore del Mezzogiorno», così come indicato sul proprio sito istituzionale;
   ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo dell'11 maggio 1999 n. 141, l'Acquedotto pugliese S.p.A. provvede alla gestione del ciclo integrato dell'acqua ed in particolare, alla captazione, potabilizzazione, adduzione, accumulo e distribuzione ad usi civili, nonché al servizio di fognatura, depurazione e smaltimento delle acque reflue;
   in virtù di quanto stabilito dal decreto sopra menzionato, AQP è affidataria della gestione del Sistema idrico integrato nell'Ambito territoriale ottimale (ATO) Puglia e svolge la gestione dei servizi idrici nei comuni ricadenti nell'Alta Irpinia e nell'ATO Calore-Irpino della Campania e il servizio idrico di approvvigionamento per l'ATO di Basilicata. Gestisce, inoltre, per conto dell'Acquedotto Lucano S.p.A., soggetto Gestore dell'ATO Basilicata, il servizio di potabilizzazione;
   il 30 settembre 2002 è stata sottoscritta, ai sensi della legge n. 36 del 1994 la Convenzione per la gestione del servizio idrico integrato nell'Ambito Territoriale Ottimare Puglia con la quale viene affidata ad AQP la gestione del servizio per la Puglia fino al 31 dicembre 2018 e viene regolata l'attività del gestore AQP anche ai fini del miglior utilizzo e della gestione e attivazione delle risorse;
   ai sensi dell'articolo 5 della suddetta convenzione, AQP è responsabile di tutti i servizi allo stesso affidati, in particolare secondo quanto previsto dall'articolo 11 il gestore si impegna ad attuare tutto quanto previsto dal Piano d'Ambito realizzando il Programma degli interventi, i quali sono classificati sotto forma di obiettivi strutturali o standard tecnici che il gestore è tenuto a raggiungere nei tempi stabiliti dal Piano d'Ambito. È inoltre specificato che in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi del Piano d'Ambito la Convenzione prevede l'applicazione di penalizzazioni. L'articolo 13 dispone che il gestore deve garantire i livelli minimi di qualità del servizio, come stabiliti nel Piano d'Ambito, ed i relativi tempi per il loro raggiungimento e/o mantenimento. L'articolo 27 dispone, infine, che il gestore si impegna a comunicare all'Autorità d'Ambito i dati e le informazioni attinenti la gestione del servizio comunitarie e nazionali;
   ai sensi dell'articolo 151 del decreto legislativo 152 del 2006:
    «1. Il rapporto tra l'ente di governo dell'ambito ed il soggetto gestore del servizio idrico integrato è regolato da una convenzione predisposta dall'ente di governo dell'ambito sulla base delle convenzioni tipo, con relativi disciplinari, adottate dall'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico in relazione a quanto previsto dall'articolo 10, comma 14, lettera b), del decreto-legge 13 maggio 2011, n. 70, convertito, con modificazioni, dalla legge 12 luglio 2011, n. 106, e dall'articolo 21 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, come convertito, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214;
    «2. A tal fine, le convenzioni tipo, con relativi disciplinari, devono prevedere in particolare:
     h) le modalità di controllo del corretto esercizio del servizio e l'obbligo di predisporre un sistema tecnico adeguato a tal fine come previsto dall'articolo 165;
     i) il dovere di prestare ogni collaborazione per l'organizzazione e l'attivazione dei sistemi di controllo integrativi che l'ente di governo dell'ambito ha facoltà di disporre durante tutto periodo di affidamento;
     p) le modalità di rendicontazione delle attività dei gestore»;
   dal 30 settembre 2002 (data della sottoscrizione della convenzione di gestione del servizio idrico integrato in Puglia) ad oggi, lo Stato, la regione, l'unione europea, con i fondi comunitari, i comuni e perfino i privati hanno dovuto, per forza di questa modalità di gestione, affidare ad AQP Spa la realizzazione dei propri investimenti;
   la convenzione di gestione del servizio idrico integrato della Puglia prevede che AQP Spa garantisca determinati standard di servizio come pubblicati nella carta dei servizi e sottoscritti in maggior dettaglio tecnico nel piano d'ambito;
   il piano d'ambito originario del 2002, adottato alla sottoscrizione della convenzione di gestione, è stato rimodulato e prevede un dettagliato monitoraggio del gestore (AQP Spa);
   la carta del servizio idrico integrato, una dichiarazione di impegni che l'Acquedotto Pugliese assume verso i propri utenti e come tale costituisce elemento integrativo del contratto di fornitura nonché dal regolamento che disciplina le condizioni generali delle forniture del servizio; essa è volta a perseguire la tutela degli interessi degli utenti attraverso l'individuazione di misure metodologiche. La Carta si applica agli utenti dei servizi di acquedotto, fognatura e depurazione;
   a parere dell'interrogante, i cittadini pugliesi, veri datori di lavoro di AQP, dovrebbero essere informati visto che, quando si investe è necessario avere sotto controllo quanto si è investito e quanto valgono i benefici realmente ottenuti. Questo non accade, né ogni settimana, né tantomeno ogni mese. Non ci sono dati disponibili. Tutti hanno diritto a capire se l'investimento è più o meno positivo;
   giusto per citare un esempio, non è possibile verificare quanta acqua viene captata e dove, quanta acqua viene recapitata al serbatoio di ogni abitato in modo da poterla confrontare con quella prelevata quanta acqua viene distribuita ai contatori di quell'abitato, permettendo ai cittadini di leggere dei dati coerenti e confrontabili con dati di altre gestioni;
   inoltre, mancano le risposte a quei bisogni della popolazione pugliese di avere un servizio pubblico che garantisca acqua in quantità sufficiente e sicurezza igienico-sanitaria con adeguata depurazione delle acque di scarico;
   eppure, secondo quanto previsto dalla convenzione di Aarhus, è diritto del cittadino ad essere costantemente e pro-attivamente informato, tanto è vero che l'articolo 5 del decreto legislativo n. 31 del 2001 dispone che l'autorità sanitaria competente ed il gestore, ciascuno per quanto di competenza, provvedono affinché i consumatori interessati siano debitamente informati e consigliati sugli eventuali provvedimenti e sui comportamenti da adottare;
   è opinione degli interroganti che le informazioni dovrebbero essere rese non solo al momento della distribuzione dell'acqua, ma anche nei momenti di ricerca della fonti, con particolare riferimento alla classificazione dei corpi idrici superficiali destinati alla potabilizzazione;
   il diritto di accesso alle informazioni in materia ambientale è regolato dal decreto legislativo 19 agosto 2005, n. 195 («Attuazione della direttiva 2003/4/CE sull'accesso del pubblico all'informazione ambientale»);
   la citata direttiva comunitaria 2003/4/CE, a seguito della ratifica della convenzione di Aarhus del 25 giugno 1998, ha abrogato la precedente direttiva 90/313/CEE attuata dal decreto legislativo n. 24 febbraio 1997, n. 39, ed ha introdotto nell'ordinamento nazionale il riconoscimento di un vero e proprio diritto soggettivo di accesso alle informazioni ambientali contenute in atti prodotti dalla pubblica amministrazione;
   nello stabilire i principi generali in materia di informazione ambientale, il decreto legislativo n. 195 del 2005 è quindi diretto a:
    garantire il diritto d'accesso all'informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche e stabilire i termini, le condizioni fondamentali e le modalità per il suo esercizio;
    garantire, ai fini della più ampia trasparenza, che l'informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa, anche attraverso i mezzi di telecomunicazione e gli strumenti informatici, in forme o formati facilmente consultabili, promuovendo a tale fine, in particolare, l'uso delle tecnologie dell'informazione e della comunicazione;
   infine, facendo riferimento ad una normativa ancora più attuale, il decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (pubblicato nella Gazzette Ufficiale n. 80 del 5 aprile 2013 – in vigore dal 20 aprile 2013) recante «Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni», dispone importanti novità per gli enti locali, prevedendo che le amministrazioni siano obbligate a dare evidenza a queste informazioni sui loro siti, in una apposita sezione facilmente individuabile, denominata «informazioni ambientali», in modo che il cittadino possa accedervi facilmente, e questo obbligo riguarda ovviamente anche tutto il comparto relativo al servizio idrico integrato;
   sulla base dei dati disponibili relativi agli anni dal 2003 al 2008, rivenienti dagli obblighi di comunicazione ai sensi dell'articolo 27, comma 3, della convenzione sopracitata, la differenza tra i volumi immessi nel sistema dell'acquedotto sopra richiamato in ingresso alla distribuzione e il volume misurato dell'acqua consegnata alle utenze, e quindi dei volumi fatturati, farebbe registrare una perdita di rete media del 50 per cento;
   oggi, alla soglia della scadenza della convenzione di gestione fissata al 31 dicembre 2018, è indispensabile che tutti questi investimenti pubblici possano essere valutati; inoltre a parere dell'interrogante, la trasparenza e la disponibilità di tali dati è condizione necessaria per una concreta valutazione dei benefici oggettivi per la comunità pugliese che, solo sulla base di questi dati, può discutere sul futuro della gestione del Servizio Idrico Integrato in Puglia –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e se non intenda assumere iniziative, anche normative, per assicurare una maggiore trasparenza e accessibilità alle informazioni ambientali che sono nelle disponibilità dei gestori dei servizi idrici, in modo da evitare la carenza di dati rilevabile nel caso dell'Acquedotto Pugliese;
   alla luce di quanto esposto in premessa, se non ritenga opportuno, a tutela di quanto previsto dal decreto n. 33 del 2014 e dal decreto legislativo n. 152 del 2006 avviare anche tramite la struttura di missione per il dissesto idrogeologico e le infrastrutture idriche, un monitoraggio completo ed esaustivo degli interventi per lo sviluppo delle infrastrutture idriche sul territorio nazionale, in modo tale che possano essere individuate situazioni di inefficienza come quelle sopra descritte e possano essere assunte le iniziative di competenza per farvi fronte e garantire in tutto il territorio un sistema idrico di qualità. (4-13668)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si apprende dalle agenzie di stampa, l'incidente del 17 aprile 2016, che ha coinvolto l'oleodotto della IPLOM e provocato lo sversamento di idrocarburi nel torrente Polcevera e nel Mar Ligure, ha creato un ingente danno al quartiere Fegino, contaminando in profondità il suolo; sembrerebbe che le attività di bonifica previste non riusciranno ad asportare completamente il sedimento contaminato;
   secondo gli esperti che si occupano del problema, la fragilità strutturale degli argini del Rio Pianego potrebbe creare problemi tecnici per uno scavo in profondità, mentre, per rimuovere tutto il petrolio filtrato, occorrerebbe smontare le condotte interrate nell'alveo del torrente;
   nonostante Arpal e Asl 3 abbiano rilevato che la rottura del tubo in questione non abbia rilasciato quantità significative di inquinanti nell'aria, si apprende dai media la richiesta dei cittadini di approfondire la situazione generale della valle Polcevera dal punto di vista sanitario, anche in considerazione della presenza di numerosi stabilimenti industriali nell'area di Genova;
   la risposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ad una interrogazione il 13 maggio 2016, ha minimizzato secondo l'interrogante la pericolosità dei danni causati dall'incidente, ma i cittadini nutrono perplessità sulla corretta applicazione delle leggi e delle prescrizioni ambientali da parte della IPLOM;
   le agenzie di stampa riportano anche l'esistenza di uno studio dell'Agenzia regionale della sanità del 2009 che, senza entrare nel merito di cause e correlazioni, aveva già rivelato, sette anni fa, che 3 distretti liguri, Sanremese, Bormida e, appunto, le valli Polcevera e Scrivia presentavano, da un punto di vista statistico, una mortalità generale superiore della media per entrambi i sessi;
   l'opinione pubblica è divisa tra temi ambientali e mantenimento dei livelli occupazionali; il sequestro temporaneo dell'oleodotto e lo spegnimento dell'impianto della raffineria hanno provocato la cassa integrazione per 250 operai, creando problemi economici per le loro famiglie, per le attività industriali e per l'indotto;
   è stato costituito anche un comitato spontaneo dei cittadini di Borzoli Fegino che chiede approfondimenti sul comportamento dell'azienda e sulla possibilità per il sito IPLOM di Busalla di alimentarsi non solo dall'oleodotto Genova-Busalla ma anche attraverso il sito San Nazzaro, temendo che la cassa integrazione degli operai di IPLOM non sia dovuta a veri problemi produttivi ma alla volontà aziendale di sottoporre ai politici locali e nazionali un falso problema occupazionale;
   il 9 giugno 2016, sindacati di categoria, rappresentanze sindacali unitarie e dirigenza aziendale IPLOM hanno sottoscritto un protocollo d'intesa per la sicurezza e la sostenibilità delle attività aziendali, concordando sulla necessità di porre al centro del problema i temi della sicurezza e di compatibilità ambientale;
   l'obiettivo è quello di individuare aree di intervento e buone prassi per operare in modo sempre più efficace in tema di prevenzione, salute e sicurezza –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare intenda approfondire, per quanto di competenza, la situazione ambientale della valle Polcevera e le attività condotte, ai fini della completa eliminazione dell'inquinamento prodotto dall'incidente del 17 aprile 2016;
   se il Ministro dello sviluppo economico intenda appurare la possibilità dell'alimentazione del sito IPLOM di Busalla anche da altri oleodotti della rete nazionale, diversi da quello che ha provocato l'incidente sul torrente Polcevera, al fine di chiarire i problemi produttivi della IPLOM;
   se il Ministro della salute intenda promuovere, per quanto di competenza, uno studio epidemiologico sulla situazione sanitaria della vale Polcevera per individuare eventuali cause e correlazioni tra gli incrementi della mortalità della zona e l'inquinamento ambientale causato dalla concentrazione degli impianti industriali presenti nel territorio di Genova. (4-13658)


   DAGA, TERZONI, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO, BUSTO, DE ROSA e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel comprensorio ternano-amerino, in provincia di Terni, è stato redatto il progetto definitivo dell'acquedotto «Sistema acquedottistico Ternano-Amerino – captazione risorsa e realizzazione adduttrice di collegamento con l'acquedotto della città di Terni, in corrispondenza del serbatoio di località Pentima», che prevede la captazione di una nuova risorsa idropotabile nei comuni di Scheggino e Ferentillo da addurre al serbatoio di Pentima (Terni);
   tale opera è da intendersi come un adeguamento del progetto Scheggino-Pentima redatto nel 2004 che rientrava tra gli interventi urgenti e necessari per fronteggiare la crisi idrica che ha colpito l'Umbria, previsti dall'articolo 2, comma 1, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3230 del 2012, ed approvato con ordinanza del presidente della giunta regionale del 26 novembre 2002, n. 126;
   l'opera non fu realizzata poiché le dimensioni del finanziamento regionale assegnato e dell'investimento richiesto al gestore del servizio idrico, SII s.c.p.a., non erano compatibili con la capacità di quest'ultimo di accesso al credito;
   l'intervento fu pertanto rinviato in attesa di migliori condizioni finanziarie tali da mantenere la sostenibilità della tariffa. La recente assegnazione da parte della regione Umbria di una significativa integrazione all'originale cofinanziamento ha comportato il venire meno di quelle criticità finanziarie che avevano portato alla sospensione del progetto;
   dal rinvio dell'opera ad oggi sono trascorsi 11 anni, e 13 ne sono passati dalla proclamazione dello stato di emergenza per la crisi dell'approvvigionamento idrico, motivo della prima stesura del progetto approvato con l'ordinanza regionale n. 126 del 2002;
   il sistema di approvvigionamento prevede la captazione di 400 litri al secondo dall'acquifero basale, costituito dal complesso del Calcare massiccio e della Corniola, mediante la realizzazione di un campo pozzi aventi profondità variabile fra 150 e 300 metri. A parere degli interroganti, ciò contrasta con quanto consigliato dall'ordine dei geologi della regione Umbria, che richiede di limitare le profondità dei prelievi (seppure di entità minore rispetto ad un acquedotto) per non danneggiare le falde profonde, in linea con quanto disposto dalle direttive europee;
   il sistema di captazione sarà costituito da 9 pozzi ubicati a Scheggino (5) e Ferentillo (4) e la condotta adduttrice sarà lunga circa 24 chilometri e collegherà il serbatoio di Renaria con quello di Pentima;
   inoltre, il campo pozzi sito nelle vicinanze di località Terria, comune di Ferencillo, verrà realizzato in un'area sede di un'ex discarica di RSU (rifiuti solidi urbani), di rifiuti speciali e inerti. Tali discariche furono attivate precedentemente al decreto del Presidente della Repubblica n. 915 del 1982;
   secondo le direttive indicate dalla Convenzione di Aahrus, gli interroganti denotano una grave mancanza se si considera l'omissione nel progetto dell'insistere su un'area facente parte di un'ex discarica di RSU; inoltre l'osservanza della convenzione è prerogativa fondamentale per l'ottenimento dei fondi europei ai progetti presentati;
   nel tragitto interessato dall'opera vengono occupati i percorsi del belvedere inferiore alla cascata delle Marmore, con conseguente danno all'economia turistica e mettendo tra l'altro a rischio la candidatura della stessa, ripresentata per la seconda volta, come patrimonio UNESCO;
   a parere degli interroganti, la regione ha predisposto con fondi europei interventi contrastanti fra loro in quanto è stato disposto per il vecchio acquedotto del Narnese, che presenta perdite ingenti nella zona, un adeguamento alle nuove esigenze di riclassificazione per il rischio sismico ed idrogeologico, mentre con gli stessi fondi e le medesime condizioni del vecchio acquedotto nel tratto della Valnerina la regione ha disposto, nella zona protetta del parco fluviale del Nera un tipo di intervento, che potrebbe arrecare un ingente danno al parco stesso, nonché alla zona facente parte della rete Natura 2000, ZPS (zona di protezione speciale) e SIC (siti interesse comunitario). In tale zona dovrebbe essere calcolato l'impatto ambientale non sulla base della distanza «metrica» dal punto di prelievo fuori dal limite dell'area protetta (a cui dovrebbe essere aggiunta tra l'altro la fascia di rispetto che intercorre o corridoio), ma l'effetto di questo intervento sulla falda profonda che potrebbe produrre sull'elemento principe della zona SIC, ovvero il fiume ed il suo ecosistema, comportando per la verifica di impatto ambientale la presentazione di una VAS (valutazione ambientale strategica);
   la rete Natura 2000 è costituita dai siti di interesse comunitario, identificati dagli Stati membri secondo quanto stabilito dalla direttiva «habitat» (92/43/CEE), che vengono successivamente designati quali zone speciali di conservazione (ZSC), e comprende anche le zone di protezione speciale (ZPS);
   il progetto è soggetto ad una serie di direttive e normative comunitarie, le quali si considerano essenziali per la realizzazione di quest'ultimo; in particolare i riferimenti normativi sono: a) la direttiva 98/83/CE, del 3 novembre 1998, concernente la «qualità delle acque destinate al consumo umano» che ha come obiettivo la salvaguardia della salute umana dai potenziali effetti negativi causati dalla contaminazione delle acque; b) la direttiva 2000/60/CE, del 23 ottobre 2000, che rappresenta un quadro per la protezione delle acque superficiali interne, delle acque di transizione, delle acque costiere e sotterranee in materia di acque a tutela gli ecosistemi acquatici e terrestri dai rischi di inquinamento, e che incoraggia un utilizzo delle risorse idriche sostenibile; c) il decreto legislativo n. 31 del 2001 che ribadisce i medesimi concetti di tutela e salvaguardia relativamente alla qualità delle acque destinate al consumo umano in attuazione della citata direttiva europea 98/83/CE; d) la direttiva 2006/118/CE, del 12 dicembre 2006, sulla «Protezione delle acque sotterranee dall'inquinamento e dal deterioramento», che ha introdotto specifiche misure tese alla prevenzione ed al controllo dell'inquinamento delle acque sotterranee, ai sensi dell'articolo 17, paragrafi 1 e 2, della direttiva 2000/60/CE;
   rispetto al 2002 lo stato meteorologico e quello idrogeologico sono variati e quindi, a parere degli interroganti, non giustificano l'emergenza siccità, citata nella premessa del progetto, come motivo della realizzazione dello stesso. Tale cambiamento è stato segnalato e documentato dall'ordine dei geologi dell'Umbria con comunicazione del 9 giugno 2014, prot. 1396, relativa alla limitazione della profondità delle ricerche idriche nel territorio dell'Umbria, ed indirizzata alla presidente della regione. In tale comunicazione si evidenzia che il provvedimento disposto con l'ordinanza del presidente della giunta regionale del 26 novembre 2002, n. 126, non risponde alla situazione attuale ed inoltre circoscrive il periodo di emergenza come intercorso tra il 2002 ed il 31 dicembre 2004. Inoltre, si sottolinea una lacuna normativa, in quanto, come evidenziato fin dal 2009, si attende la normativa regionale sulle disposizioni per la tutela, ricerca, estrazione ed utilizzo delle acque sotterranee, la quale a distanza di 5 anni non ha ancor concluso il suo iter di approvazione;
   a giudizio degli interroganti, le ragioni di «emergenza idrica» adottate dalla regione come motivazioni nel progetto, riferendosi all'ordinanza n. 126, non possono essere ritenute valide, dal momento che entra in totale contraddizione con la richiesta e l'ottenimento dei fondi a fronte di un'emergenza totalmente opposta, ovvero di eventi con precipitazioni eccezionali ed alluvioni, come riportato nel decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 23 marzo 2013, recante «Ripartizione delle risorse di cui all'articolo 1, comma 548, della legge 24 dicembre 2012, n. 228», il quale ha ripartito le risorse tra le regioni colpite dagli eventi alluvionali dell'11, 12 e 13 novembre 2012 assegnando alla regione Umbria la somma di 46.400.000 euro;
   captando le falde profonde del fiume, come è in progetto, se ne mette a rischio la vita. Non applicando il «principio di precauzione», insieme al Nera, pure l'economia turistica e le speranze per il futuro (ad esempio Candidatura UNESCO) della Valnerina e dei suoi abitanti verranno compromesse;
   lo stesso-direttore del Servizio idrico integrato, per giustificare l'acquedotto, parla di una presunta «sete» della conca ternana, ma non si capisce su quali dati reali si basi questa preoccupazione visto che a Terni attualmente la disponibilità media di acqua per ogni cittadino è di 195 litri/giorno, contro una media nazionale di 175 lt/giorno e europea di 163 lt/giorno e che qualora venisse attuato il progetto tale disponibilità salirebbe a 350 litri/giorno. Tra l'altro, con la chiusura delle aziende e delle industrie, rispetto ai tempi in cui è stato progettato l'acquedotto la domanda è calata;
   infine, i prelievi idrici previsti dai pozzi di Scheggino e di Ferentillo vanno ad attingere nello stesso sistema acquifero basale saturo che alimenta in alveo il Nera, mettendo in pericolo due sorgenti importanti per la vita del fiume: quella in zona Ceselli che versa nel fiume 1300 lt/secondo e quella di Terria con 350 lt/secondo. Infatti con l'emungimento dei pozzi questo apporto verrà a diminuire notevolmente e potrebbe arrivare a mancare del tutto, ciò porterebbe le acque del Nera sotto al deflusso minimo vitale che il Servizio idrico integrato ha calcolato in 2,7 m cubi/secondo. Deflusso minimo vitale che verrà ulteriormente impoverito quando la regione Marche porterà al massimo il prelievo dalla sorgente del fiume di ulteriori 300 lt/secondo, senza considerare gli altri incrementi di prelievo che le regioni autorizzano alle varie attività produttive presenti in Valnerina, nonché l'aumento della captazione per l'acquedotto spoletino all'altezza di S. Anatolia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti;
   occorrerebbe verificare quali siano le motivazioni per cui nelle relazioni a corredo del progetto non sia stato considerato il fatto che i 9 pozzi preleveranno acqua in prossimità di un'area sulla quale era presente una discarica contenente RSU, nonché se attualmente persistano i fabbisogni idrici previsti dal piano regolatore regionale degli acquedotti dell'Umbria e piano di tutela delle acque, oppure se siano cambiate le previsioni socioeconomiche del bacino di utenti servito;
   la presenza di una discarica sull'area di attingimento potrebbe essere ritenuto un fattore di rischio, in quanto probabilmente si preleverebbero acque con caratteristiche non adatte al consumo umano;
   se, anche per il tramite della competente autorità di bacino, si intenda verificare se siano ancora attuali i presupposti emergenziali, urgenti e necessari, per i quali era necessario attivarsi nel 2004 per fronteggiare la crisi idrica che ha colpito l'Umbria, e se il prelievo di 400 litri al secondo possa incidere sul deflusso minimo vitale e possa causare un deterioramento di qualità dei corpi idrici superficiali (fiume Nera) e sotterranei;
   quali iniziative, per quanto di competenza e in raccordo con le amministrazioni coinvolte, si intendano intraprendere al fine di tutelare i siti «Natura 2000» dell'Umbria, SIC IT5210046 «Valnerina», SIC IT5220010 «monte Solenne», SIC IT5220017 «cascata delle Marmore», ZPS IT5220025 «bassa Valnerina tra monte Fionchi e cascata delle Marmore».
(4-13663)


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, PASTORINO e MATARRELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il territorio nel bacino del fiume Uso, in provincia di Forlì-Cesena, compreso tra San Giovanni in Galilea, Montetiffi, Montebello, Poggio Torriana, è interessato da una serie di interventi particolarmente impattanti dovuti all'insediamento del Polo integrato di smaltimento rifiuti, sito nel comune di Sogliano al Rubicone, località Ginestreto e in prossimità dell'abitato di Masrola;
   nel corso degli anni, sono state realizzate una serie di opere che hanno devastato il territorio:
    nel 1990, «Ginestreto 1» (G1), una discarica che contiene 2.500.000 tonnellate di rifiuti non pericolosi, che è stata chiusa dopo 15 anni e per la quale sono previsti 50 anni per la sua bonifica;
    nel 2005, «Ginestreto 2» (G2), una discarica con una capienza di rifiuti non pericolosi inizialmente di 1.500.000 tonnellate, ma poi ampliata per 2.850.000 tonnellate;
    nel 2006, a Masrola, un impianto di stabilizzazione della frazione organica dei rifiuti e impianto di cernita a valorizzazione;
   nel 2015, presso la provincia di Forlì Cesena, sono state attivate due procedure di valutazione di impatto ambientale (V.I.A.):
    la prima riguardante la discarica «Ginestreto 2», per incrementare il volume di stoccaggio del percolato, con la realizzazione di 10 serbatoi aggiuntivi, con capienza di 1000 metri cubi, che andranno a sommarsi ai 600 già stoccati nella preesistente vasca di accumulo (approvata il 1o ottobre 2015 con decreto n. 237, Protocollo n. 83681/2015);
    la seconda relativa al progetto per un impianto di recupero di materie prime da apparecchiature e componenti elettronici da realizzarsi in località ponte Uso nel comune di Sogliano al Rubicone, presentato da Sogliano Ambiente S.p.a. (Bollettino ufficiale della regione Emilia Romagna n. 266 del 21 ottobre 2015 periodico – parte seconda);
   ma, in questo contesto, è stata attivata anche una nuova procedura di V.I.A. che preoccupa l'intera popolazione dell'area. La richiesta è partita dalla Sogliano Ambiente S.p.a. (controllata per l'80 per cento dal comune di Sogliano al Rubicone), per la realizzazione di una nuova discarica, la «Ginestreto 4» (G4), destinata ad accogliere 1.680.000 tonnellate «di rifiuti speciali non pericolosi e rifiuti pericolosi stabili e non reattivi». Verrà costruita all'interno di un invaso da ricavarsi, rimodellando un calanco esistente sullo stesso versante delle preesistenti discariche, a una distanza di 500 metri da «Ginestreto 2», e avverrà mediante asportazione di 440.000 metri cubi, che verrà poi riposizionato anche nell'alveo del torrente Morsano, all'interno del confinante «Sito di Interesse Comunitario Torriana, Montebello, Fiume Marecchia» e sito Rete Natura 2000 a livello europeo;
   a giudizio degli interroganti la realizzazione della G4 devasterebbe l'intero territorio, e ciò è palesemente riscontrabile da quanto riportato nel Bollettino ufficiale della regione Emilia Romagna n. 244 del 23 settembre 2015 periodico (Parte Seconda), l'eventuale conclusione positiva del procedimento di VIA comprende e sostituisce i seguenti atti di assenso ed autorizzazioni necessari alla realizzazione ed esercizio dell'opera:
    autorizzazione integrata, ambientale;
    autorizzazione per opere a vincolo idrogeologico;
    autorizzazione paesaggistica; valutazione di incidenza;
    segnalazione certificata inizio attività – SCIA per stoccaggi provvisori;
    variante agli strumenti urbanistici del comune di Sogliano al Rubicone e relativa VAS;
    autorizzazione idraulica per attraversamento Rio Morsano;
    occupazione aree demanio idrico;
    utilizzo terre e rocce da scavo;
   risulta quindi incomprensibile e a parere degli interroganti scellerato anche solo aver ipotizzato di costruire una nuova discarica in un'area di straordinaria rilevanza naturalistica, paesaggistica e culturale confermata da:
    decreto del Ministero per i beni culturali e ambientali del 18 settembre 1996 «Dichiarazione di notevole interesse pubblico della zona paesistica Valle fiumi Marecchia e Uso, centri di S. Giovanni in Galilea, Torriana, Montebello e Madonna di Saiano sita nei comuni di Borghi, Sogliano al Rubicone e Torriana» Gazzetta Ufficiale n. 282 del 2 dicembre 1996);
    decreto del Ministero per i beni culturali e ambientali del 14 novembre 1996 «Dichiarazione di notevole interesse pubblico dell'area Montetiffi e Alta Valle dell'Uso sita nei comuni di Mercato Saraceno e Sogliano al Rubicone in provincia di Forlì» (Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 41 del 19 febbraio 1997);
   comitati in difesa del territorio, associazioni di cittadini, aziende agricole e di allevamento sono profondamente contrari alla realizzazione della nuova discarica «Ginestreto 4» per le ricadute negative che l'opera, se realizzata, determinerà sulla qualità della vita e della salute degli abitanti e per le attività produttive del territorio. Contro la G4, i cittadini si sono mobilitati, raccogliendo ad oggi oltre 3.500 firme; sono state presentate interrogazioni regionali e comunali e approvate mozioni contro la discarica, da parte dei comuni vicini più coinvolti;
   il Report 2015 elaborato dalla regione Emilia Romagna dal Titolo «La gestione dei rifiuti in Emilia-Romagna» riporta che: «Il sistema impiantistico dedicato alla gestione dei rifiuti indifferenziati residui, in grado di soddisfare completamente il fabbisogno di smaltimento della regione, è costituito da: 6 impianti di trattamento meccanico-biologico, 5 impianti di trattamento meccanico, 8 inceneritori con recupero energetico (di cui uno dedicato alla combustione di CDR/CSS), 18 discariche per rifiuti non pericolosi operative e 18 piattaforme di stoccaggio/trasbordo»;
   anche nel piano regionale di gestione dei rifiuti (PRGR), approvato dalla regione il 4 maggio 2016, un atto di pianificazione che fa seguito alla legge regionale sull'economia circolare (legge regionale n. 16 del 2015), vengono confermate le scelte di autosufficienza regionale nello smaltimento dei rifiuti a livello emiliano-romagnolo; è inoltre pianificata, entro il 2020, agendo sulla riduzione della produzione di rifiuti, una significativa riduzione degli impianti di smaltimento, con la presenza sull'intero territorio regionale di sole 3 discariche attive (Carpi, Imola, Ravenna). L'obiettivo è di arrivare entro cinque anni agli obiettivi prefissati: raccolta differenziata al 73 per cento; riduzione del 20-25 per cento della produzione pro-capite dei rifiuti urbani; riciclaggio al 70 per cento;
   quanto finora detto conferma quindi che la discarica G4, sarà costruita soltanto per ospitare rifiuti provenienti esclusivamente da fuori regione, come succede già adesso in parte per la G2;
   è opportuno ricordare quanto recita la direttiva 2008/98/CE all'articolo 13: «gli Stati membri prendono le misure necessarie per garantire che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana, senza recare pregiudizio all'ambiente e, in particolare: a) senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, la fauna; b) senza causare inconvenienti da rumori od odori; c) senza danneggiare il paesaggio o i siti di particolare interesse»;
   si ricorda, inoltre, che il 2 dicembre 2015 la Commissione europea ha presentato il «Piano d'azione UE per l'economia circolare (schemi di direttive in materia di rifiuti, discariche, imballaggi e RAEE) e nella «Proposta di Direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio che modifica la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti», viene precisato al punto 1: «La gestione dei rifiuti nell'Unione dovrebbe essere migliorata per salvaguardare, tutelare e migliorare la qualità dell'ambiente, proteggere la salute umana, garantire un'utilizzazione accorta e razionale delle risorse naturali e promuovere un'economia più circolare»; al punto 2: «Dovrebbero essere modificati gli obiettivi della direttiva 1999/31/CE del Consiglio 14 che stabiliscono restrizioni in merito al collocamento in discarica, affinché riflettano più incisivamente l'ambizione dell'Unione di passare a un'economia circolare e di fare progressi nell'attuazione dell'iniziativa unionale «materie prime» 15 riducendo la collocazione in discarica dei rifiuti destinati alle discariche per rifiuti non pericolosi»;
   la legge 28 dicembre 2015, n. 221, recante «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali», all'articolo 29, contiene una serie di disposizioni in materia di vigilanza sulla gestione dei rifiuti che riguardano il trasferimento di funzioni dal cessato Osservatorio nazionale sui rifiuti al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   a giudizio degli interroganti non esistono tesi che possono giustificare la realizzazione della discarica «Ginestreto 4», nonostante la replica contenuta nel documento «Controdeduzioni alle osservazioni», presentato dalla Sogliano Ambiente S.p.a., in risposta al documento di contrarietà e osservazioni, presentato da un legale rappresentante per conto dei Comitati, associazioni e produttori locali;
   questo progetto che è incoerente e in controtendenza con la normativa regionale, nazionale ed europea, ripropone per gli interroganti solo una pericolosa gestione «affaristica» dei rifiuti –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e se non ritenga opportuno intervenire per quanto di competenza affinché sia tutelata un'area di straordinaria rilevanza naturalistica paesaggistica e culturale caratterizzata dalle peculiarità e dai vincoli sopra esposti, che rischia di essere danneggiata dalla realizzazione della nuova discarica «Ginestreto 4» nel bacino del fiume Uso;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nell'espletamento del suo compito in materia di vigilanza sulla gestione dei rifiuti, non ritenga urgente promuovere ogni necessaria verifica di competenza in ordine alla situazione in atto, per rassicurare la popolazione di quel territorio preoccupata dai rischi di compromissione dell'ambiente. (4-13669)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   SPADONI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Mauriziano è una villa quattrocentesca in riva al Rodano dove il poeta Ludovico Ariosto soggiornò per lunghi periodi e rappresenta un'opera di grande prestigio in cui si conservano strutture del XV secolo e affreschi cinquecenteschi;
   questa villa è attualmente chiusa al pubblico perché inagibile e si può supporre che l'edificio non sarà aperto nemmeno per l'8 settembre 2016, anniversario della nascita di Ariosto; per scongiurare suddetta ipotesi la Gazzetta di Reggio Emilia ha lanciato una petizione online;
   il Mauriziano giace semiabbandonato da molti anni nonostante il susseguirsi di promesse delle varie amministrazioni comunali che non hanno saputo risolvere questa situazione; non solo, ma nonostante i lavori di messa in sicurezza dello stabile siano stati messi a bilancio dal comune di Reggio Emilia nel 2015, essi non accennano minimamente a partire;
   questo edificio, come tantissimi altri su tutto il territorio nazionale, rappresenta un patrimonio immenso per la collettività e la perdita, dovuta alla mancata ristrutturazione e alla relativa riapertura, non solo in termini economici è inestimabile –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se intenda intervenire, con tutti gli strumenti di competenza che ritenga utili, al fine di evitare la perdita definitiva di un sito storico-culturale di tale pregio, scongiurando la chiusura al pubblico dalla quale potrebbe derivare un danno di immagine per il nostro Paese ed una perdita in termini economici. (4-13661)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   CIRACÌ. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   pochi giorni fa si è appresa dalla stampa la notizia dell'ufficialità del taglio del 150 per cento ai trasferimenti destinati alla provincia di Brindisi che, in appena due anni, hanno subito decurtazioni per 17 milioni di euro;
   fra tutte le province pugliesi, quella di Brindisi sembrerebbe essere quella che più risentirà dei tagli lineari previsti dalla «riforma Delrio»;
   il presidente della provincia Bruno ha annunciato, tramite un comunicato stampa, che già dal mese di luglio 2016 gli stipendi del personale non potranno essere pagati e che con tagli di tale entità non sarà più possibile garantire alcun servizio, dalla sicurezza stradale a quella nelle scuole, dai servizi sociali per i più deboli alla tutela ambientale. Una situazione preoccupante e al contempo imbarazzante che segna l'inizio di un collasso politico-amministrativo dell'intera provincia;
   appena una settimana fa il presidente dell'Unione province italiane Antonio Gabellone, ha lanciato l'allarme richiamando l'attenzione dei prefetti sulla grave situazione che la Puglia si appresta a vivere perché, a causa dei tagli effettuati dal Governo, «ora sono a serio rischio scuole, strade e anche gli stessi stipendi dei dipendenti. Intervengano i Prefetti o in Puglia sarà il caos completo»; e, dunque, se la situazione non si sbloccherà a breve l'inizio del prossimo anno scolastico sarà a serio rischio –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti e se e quali iniziative di competenza intenda assumere in relazione alla grave situazione della provincia di Brindisi che, allo stato dei fatti, non sarà più in grado di far fronte né alla propria gestione né all'esercizio delle proprie competenze.
(4-13660)


   SCHULLIAN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si è appreso di un caso a dir poco clamoroso, in cui un tassista di 78 anni che svolge attività di noleggio di autovettura con conducente sull'isola di Ponza si è visto recapitare un avviso di accertamento da parte dell'Agenzia delle entrate, direzione provinciale di Latina, per ricavi non dichiarati di 184.646,80 euro relativi all'anno 2006;
   tale avviso di accertamento era fondato su indagini bancarie che avevano fatto presumere all'Ufficio delle imposte che il tassista, peraltro senza dipendenti e con certificati problemi di salute, avrebbe effettuato 99 corse al giorno al costo medio di 20 euro per 365 giorni all'anno sull'isola di Ponza, dove a fine settembre si interrompono quasi tutte le attività turistiche;
   mentre il giudice tributario di primo grado aveva accolto solo parzialmente il ricorso fatto dal tassista contro l'avviso di accertamento, la commissione tributaria regionale di Roma, sezione staccata di Latina, con la sentenza n. 2324/40/16 ha annullato del tutto l'accertamento e disposto la compensazione delle spese processuali, riconoscendo la palese assurdità delle conclusioni raggiunte dall'Agenzia delle entrate e l'inosservanza delle condizioni per la rettifica di cui all'articolo 39 del decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600 –:
   se non si ritenga opportuno, alla luce della manifesta irragionevolezza dell'operato dell'ufficio procedente, valutare la sussistenza di eventuali responsabilità amministrative e disciplinari in capo ai soggetti pubblici intervenuti. (4-13662)


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comando generale della Guardia di finanza – probabilmente per ragioni riguardanti la razionalizzazione delle proprie strutture – ha deciso la soppressione della tenenza presente nel comune di Amantea (Cosenza);
   la cittadina di Amantea è una nota località turistica di quasi 15.000 abitanti (per popolazione 10o comune della provincia di Cosenza e 2o della costa tirrenica cosentina) e centro di un comprensorio più vasto che conta una popolazione di circa 30.000 abitanti; la sola cittadina di Amantea nel periodo estivo triplica la propria popolazione per l'arrivo dei turisti;
   nel territorio sono purtroppo presenti sodalizi criminali ormai radicati: la Guardia di finanza ha dato un contributo determinante nell'ambito della recente operazione delle forze dell'ordine denominata «Nepetia», che ha portato alla confisca di beni alla criminalità organizzata locale;
   Amantea ad oggi può contare solo sulla presenza di una stazione di carabinieri (con organico numericamente inadeguato), oltre che su quella della tenenza della Guardia di finanza; non esiste nella cittadina nessun reparto della polizia di Stato;
   la tenenza che si intende sopprimere, considerata l'esigua presenza numerica di forze dell'ordine, ha anche fornito un fondamentale supporto nel garantire l'ordine pubblico in occasione di eventi e manifestazioni che frequentemente si svolgono nel territorio;
   per effetto della chiusura della tenenza in questione, circa 70 chilometri di territorio costiero – dai comuni a sud di Paola (Cosenza) e fino a Lamezia Terme (Catanzaro) – rimarrebbero senza alcun presidio della Guardia di finanza, mentre nel tratto costiero a nord, altri 70 chilometri circa – da Paola (Cosenza) a Tortora (Cosenza) – sono attualmente presenti ben tre reparti della Guardia di finanza è palese lo squilibrio che si determinerebbe rispetto alla copertura territoriale della Guardia di finanza sull'intera costa tirrenica cosentina;
   è comprensibile quindi la fortissima preoccupazione già espressa dalla cittadinanza e dalle istituzioni cittadine circa la paventata chiusura della tenenza e l'inevitabile maggior senso d'insicurezza che i residenti percepirebbero;
   il solo irrisorio risparmio sul costo annuo dell'affitto dei locali dove attualmente ha sede la tenenza della Guardia di finanza di Amantea non può motivare una decisione che priverebbe il territorio di un indispensabile presidio di legalità e di contrasto alla criminalità –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intendano adottare per mantenere la sede della tenenza della Guardia di finanza ad Amantea, garantendo alle comunità della costa tirrenica cosentina a sud di Paola un adeguato presidio di forze dell'ordine in grado di espletare in modo congruo le funzioni di ordine pubblico e di controllo del territorio. (4-13666)


   PALMIZIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   a seguito delle sfavorevoli risultanze degli accertamenti ispettivi di vigilanza, il Ministro dell'economia e delle finanze su proposta della Banca d'Italia, ha sottoposto la Cassa di Risparmio di Ferrara spa (Carife) ad amministrazione straordinaria ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettere a) e b), e dell'articolo 98 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 (cosiddetto testo unico bancario), e successivamente al commissariamento del medesimo istituto;
   la proposta di commissariamento della Banca d'Italia, indirizzata al Ministro dell'economia e delle finanze contiene, a parere dell'interrogante, un rilevante errore poiché in essa si indica una carenza patrimoniale, rispetto ai requisiti minimi regolamentari, di 60 milioni di euro. Il grave errore è derivato principalmente dal mancato inserimento della fiscalità differita attiva nel conteggio degli indici patrimoniali, che, se presi in considerazione, avrebbero fatto balzare il patrimonio di vigilanza ad una eccedenza patrimoniale di 27,5 milioni di euro;
   a seguito del periodo di gestione commissariale, l'unica prospettiva per il salvataggio dell'istituto bancario sembrava essere quello di un intervento da parte del fondo interbancario di tutela dei depositi con la sottoscrizione di un aumento di capitale di 300 milioni di euro;
   in data 30 luglio 2015 l'assemblea straordinaria di Carife ha approvato l'aumento di capitale sopra citato accantonando la proposta avanzata dalla Fondazione Carife, socio di maggioranza, che aveva segnalato alla Banca d'Italia ed al Ministero dell'economia e delle finanze la concreta disponibilità di un fondo di investimento ad intervenire per una significativa parte dell'aumento di capitale;
   a destare notevoli perplessità, ad avviso dell'interrogante, è la posizione della Banca d'Italia che in questa vicenda è sempre stata consapevole degli ostacoli provenienti dalla Commissione europea per l'utilizzo del Fondo interbancario di tutela dei depositi (Fidt) per i salvataggi degli istituti di crisi;
   una serie di documenti pubblicati nell'anno 2015 hanno dimostrato come il Ministro dell'economia e delle finanze fosse a conoscenza, fin dall'autunno 2014, dell'opposizione dell'Unione europea all'intervento nel capitale delle banche in difficoltà e abbia, dunque, tenuto all'oscuro della contrarietà della Commissione europea gli altri soggetti coinvolti, innanzitutto il fondo interbancario;
   in ben tre occasioni, a partire dal 2014, la Commissione europea ha intimato al Ministro di desistere dall'utilizzo del fondo interbancario, ma, nonostante ciò il 28 luglio 2015 il Ministero ha autorizzato la Fondazione Carife, allora prima azionista della banca, a votare favorevolmente all'ingresso del Fondo;
   emerge con nitidezza, ad avviso dell'interrogante, una forte responsabilità della Banca d'Italia, soggetto che avrebbe dovuto vigilare e nel caso di Carife risanare, per il tramite dei commissari, i conti, ma che non ha evidentemente svolto il proprio ruolo con le conseguenze che si sono successivamente sviluppate. In sostanza, e quindi anche a Carife, si è fatto credere, a giudizio dell'interrogante, che si poteva usare il fondo interbancario, mettendo in condizione anche i commissari di perseguire una strada di risanamento che, soprattutto la stessa Banca d'Italia sapeva bene essere impraticabile;
   data la ferma posizione della Commissione europea che escludeva qualsiasi forma di intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi, qualificato come auto pubblico, non accompagnato da burden sharing, lo schema di intervento ipotizzato prevedeva, dunque, la ricapitalizzazione della banca da parte del fondo stesso, previo abbattimento delle perdite e conversione in azioni delle obbligazioni subordinate;
   il Ministero dell'economia e delle finanze, acquisita la valutazione positiva della Banca d'Italia, ha sottoposto lo schema alla Commissione europea, che ne ha infine riconosciuto la conformità al quadro normativo dell'Unione; tuttavia, a parere della Commissione, dalla qualificazione come aiuti di Stato dell'intervento preventivo del fondo, alla luce del combinato disposto della direttiva 2014/59/UE e della direttiva 2014/49/UE, concernente gli schemi di garanzia dei depositi, la banca doveva essere considerata in stato di dissesto o a rischio di dissesto e quindi Carife avrebbe comunque dovuto essere avviata alla risoluzione;
   nonostante l'interessamento, pervenuto ad ottobre 2015, da parte di un fondo di investimento estero per l'ingresso nella compagine azionaria di Carife, il Governo ha considerato necessario ed indifferibile procedere ad un intervento immediato, mediante l'avvio della risoluzione della banca, insieme con altri 3 istituti (Banca Marche, Carichieti e Banca Etruria) con il decreto-legge n. 183 del 2015, il cui testo è poi confluito ed è stato approvato nella legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015);
   nel frattempo, il 1o febbraio 2016, su indicazione della Banca d'Italia, sono stati rinnovati il collegio sindacale ed il consiglio d'amministrazione della Cassa di Risparmio di Cesena che è attualmente composto da nove consiglieri, rispetto agli undici del passato, di cui sette sono espressione delle Fondazioni Bancarie di Cesena, Faenza e Lugo, azioniste al 66 per cento del capitale, mentre due degli azionisti privati detengono il restante 34 per cento;
   la risoluzione, pur garantendo la continuità operativa dell'istituto e la tutela dei suoi occupati, ha di fatto implicato il sacrificio degli azionisti, con conseguenti effetti sui risparmi di circa 13.200 azionisti nonché sull'intera economia;
   il consiglio di amministrazione della Cassa di risparmio di Cesena ha recentemente deliberato un aumento di capitale di 280 milioni di euro riservato al cosiddetto «schema volontario» del Fondo interbancario di tutela dei depositi con l'obiettivo di evitare la liquidazione coatta dell'istituto;
   la Cassa di risparmio di Cesena ha, altresì, approvato un piano industriale che permetterà di ripianare i pesanti dati di bilancio d'esercizio del 2015; il bilancio della Cassa di Risparmio di Cesena del 2015 ha quantificato le perdite della banca i 252 milioni di euro quando, pochi mesi prima dell'intervento della Banca d'Italia su tale istituto, a quanto risulta all'interrogante le perdite erano stimate in meno di 100 milioni di euro;
   con l'aumento di capitale si produrrà un sostanziale azzeramento del valore delle azioni storiche, che passeranno da 15 euro degli ultimi mesi (erano stimate 19 euro nel corso dell'anno 2014) a 0,50 centesimi di euro (più precisamente il valore delle azioni sarà stimato tra i 10 e gli 80 centesimi), così la fondazione che oggi detiene il 48 per cento delle azioni perderà 193 milioni e si ritroverà con il 3 per cento del capitale, mentre gli azionisti privati che hanno il 34 per cento del capitale, si ritroveranno con il 2 per cento;
   relativamente alla vicenda che sta riguardando la Cassa di Risparmio di Cesena non è stato interessato il Fondo Atlante (per la gestione dei crediti NPL), in relazione al quale peraltro Margarethe Vestager, commissario alla concorrenza, analizzando il nuovo strumento, ha affermato che con tale fondo il Governo non intende «aggirare, evitare le regole europee per gli aiuti di Stato o il controllo sugli aiuti di Stato, ma cerca di trovare la strada migliore per far funzionare il sistema bancario»;
   relativamente alla Cassa dei Risparmi di Cesena, nonostante fosse commissariata, ad avviso dell'interrogante non venivano divulgate le giuste e doverose informazioni affinché potessero essere tutelati clienti, azionisti ed eventualmente i risparmiatori: proprio per questo la Consob, con un procedimento notificato alla Carisp circa tre mesi fa, si è pronunciata denunciando delle irregolarità nei bilanci ed una mancata informativa all'opinione pubblica. In sostanza, proprio nel periodo in cui si era insediato il nuovo consiglio d'amministrazione, presieduto da Catia Tommasetti, non sarebbero state fornite alcune indicazioni fondamentali per una completa comprensione della situazione del rischio economico patrimoniale in cui versava la banca –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire, per quanto di competenza, i presupposti della decisione assunta da parte del consiglio di amministrazione della Cassa di risparmio di Cesena di provvedere ad un aumento di capitale di 280 milioni di euro tramite l'intervento del fondo interbancario di tutela dei depositi, e se sussistano ragioni specifiche per cui non si è potuto realizzare, anche per Carife, un intervento che prevedesse le medesime modalità operative;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei motivi per cui successivamente all'insediamento del nuovo consiglio di amministrazione della Cassa di risparmio di Cesena non siano state fornite alcune indicazioni fondamentali per una completa comprensione della situazione del rischio economico patrimoniale in cui versava la banca, affinché potessero essere tutelati clienti, azionisti ed eventualmente i risparmiatori. (4-13671)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   MUCCI e PRODANI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la recente approvazione della cosiddetta legge europea 2016 recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2015-2016», ha visto l'adozione di disposizioni volte a rafforzare la cooperazione in materia di obbligazioni alimentari richiesta a livello europeo e internazionale dal regolamento (CE) n. 2201/2003 del 27 novembre 2003 (così detto Bruxelles II-bis) relativo alla competenza, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni in materia matrimoniale e in materia di responsabilità genitoriale, dal regolamento (CE) n. 4/2009 relativo alla competenza, alla legge applicabile, al riconoscimento e all'esecuzione delle decisioni e alla cooperazione in materia di obbligazioni alimentari e dalla Convenzione fatta all'Aja il 23 novembre 2007 sulla «esazione internazionale di prestazioni alimentari nei confronti di figli e altri membri della famiglia», entrata in vigore per l'Italia il 1o agosto 2014 in forza di approvazione e ratifica da parte dell'Unione Europea con effetto vincolante per tutti gli Stati membri;
   in tal senso, con la disposizione contenuta nell'articolo 7, si autorizza il dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia ad accedere alle informazioni contenute in banche dati pubbliche relative alla situazione economica di soggetti obbligati al pagamento di alimenti in favore di familiari, affinché queste siano trasmesse all'ufficiale giudiziario che procede in via esecutiva alla riscossione dei crediti alimentari;
   in altre parole, il dipartimento per la giustizia minorile e di comunità del Ministero della giustizia è riconosciuto come l'autorità centrale del nostro Paese per la cooperazione prevista dagli atti europei e internazionali relativi all'adempimento degli obblighi alimentari;
   l'autorità centrale è dunque, il punto di riferimento sia per quanto riguarda le procedure attive – nelle quali soggetti residenti in Italia si rivolgono all'autorità nazionale perché si faccia tramite di richieste di recupero crediti presso altre autorità estere – sia per quelle passive – nelle quali l'autorità centrale di uno Stato estero si rivolge all'autorità italiana per recuperare in Italia somme in nome di cittadini europei o stranieri;
   per l'adempimento delle sue funzioni, la disposizione in parola consente al dipartimento di rivolgersi agli «organi della pubblica amministrazione» e a «tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle funzioni che gli derivano dalle convenzioni e dai regolamenti», per chiedere assistenza, così come consente al medesimo l'accesso alle banche dati dei suddetti enti e amministrazioni –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati abbiano intenzione di porre in essere, anche sul piano normativo, al fine di chiarire quali siano gli enti e le amministrazioni cui si fa riferimento e quale ne sia la natura, specificando, inoltre, quale sia la natura della cooperazione in materia tra l'autorità e le amministrazioni e gli enti interessati. (4-13659)


   NACCARATO, CAMANI, MIOTTO, NARDUOLO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il distretto giudiziario del Veneto è all'ultimo posto in Italia per quanto riguarda il rapporto magistrati-popolazione;
   nella regione Veneto che coincide con il distretto giudiziario, tale rapporto è di un magistrato di Corte d'appello ogni 99 mila abitanti e un magistrato di tribunale ogni 14 mila abitanti;
   questo rapporto è addirittura la metà di quello di altri distretti italiani, che dispongono del doppio di magistrati rispetto al Veneto, con una sproporzione evidente e immotivata;
   già in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario, il Procuratore generale aveva rinnovato l'allarme, inviato al Ministero nel marzo 2014, facendo presente che l'organico dei magistrati conta 415 unità, ma gli effettivi sono 40 in meno, inoltre mancano 345 cancellieri su 1803 previsti dalla pianta organica;
   in particolare, a Padova il rapporto giudice-popolazione scende a un magistrato ogni 15 mila abitanti, mentre, per comprendere la sproporzione, in Molise è di un magistrato ogni 5 mila abitanti;
   il territorio della provincia di Padova conta 900 mila residenti, 68 mila attività economiche e, ciò che risulta più, grave, un numero crescente di reati legati al mondo delle imprese e della finanza (bancarotta, fallimenti, truffe, evasioni fiscali, false fatturazioni, riciclaggio);
   la scorsa settimana a Padova, nel corso dell'assemblea di Magistrati, avvocati e vertici delle forze dell'ordine in presenza del vicepresidente del Consiglio superiore della magistratura, sono stati presentati i dati sul sistema giudiziario a Padova e in Veneto;
   in quell'occasione il Procuratore capo di Padova ha chiesto con forza l'adeguamento degli organici;
   dopo la revisione delle circoscrizioni giudiziarie del 2013, infatti, il tribunale di Padova conta su un organico composto da 41 magistrati, di cui, per la sola procura di Padova, 14 sostituti procuratori, il procuratore aggiunto e il procuratore capo;
   soltanto nel 2015, a Padova, sono stati aperti 15.000 procedimenti penali, circa 41 al giorno;
   la sopravvenienza annuale di un pubblico ministero è di oltre mille fascicoli all'anno, più che tripla se si considerano altre realtà giudiziarie del Paese;
   a fronte di questo contesto, le strutture giudiziarie appaiono inadeguate a rispondere alle esigenze dei cittadini per la preoccupante insufficienza del numero di magistrati e del personale amministrativo alla quale si sopperisce, il più delle volte, grazie alle forze dell'ordine, ai lavoratori socialmente utili e, infine, al senso di abnegazione degli stessi giudici che affrontano carichi di lavoro enormi;
   a ciò si aggiunge la costante mancanza di finanziamenti per gli straordinari, per gli spostamenti e per la strumentazione tecnica che potrebbe accelerare le procedure;
   nonostante la situazione drammatica, l'impegno e l'abnegazione dei magistrati ha consentito, di affrontare il lavoro che giornalmente nasce nel territorio e, contemporaneamente, di abbattere l'arretrato del 10 per cento;
   il Ministero della giustizia, anche in considerazione della revisione delle circoscrizioni giudiziarie, ha promosso provvedimenti per migliorare l'efficienza del sistema della giustizia che per troppi anni è stato colpito da tagli lineari;
   alla luce di questi dati, gli interroganti, condividendo le preoccupazioni espresse dai magistrati veneti, ritengono necessari ed urgenti interventi per potenziare gli organici dei tribunali del Veneto –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare per promuovere un potenziamento delle piante organiche dei magistrati dei tribunali del Veneto, al fine di riequilibrare e garantire l'organizzazione e l'amministrazione della giustizia nella nostra regione.
(4-13665)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con sentenza n. 96 del 1981 (ex articolo 603 c.p.) la Corte Costituzionale ritenendo sussistente la violazione del diritto di legalità, dichiarò l'incostituzionalità del reato di plagio;
   l'annullamento della norma, secondo quanto rilevato da buona parte della dottrina psichiatrica e penalistica avrebbe tuttavia finito col determinare un importante vuoto nella tutela giuridica dell'integrità psichica degli individui;
   l'abrogazione di detta norma non aveva d'altra parte inteso sostenere la negazione di perniciose forme di condizionamento, comportanti l'asservimento e assoggettamento psichico dell'individuo sia nel contesto di dinamiche interpersonali patologiche che in ambiti gruppali e/o culturali ad alta richiesta;
   non a caso, il panorama normativo italiano dell'ultimo trentennio è stato interessato da numerose proposte legislative in tema di «manipolazione mentale» tese all'introduzione di una disciplina in materia anche alla luce dei profondi mutamenti sociali che hanno caratterizzato la nostra epoca e che hanno visto il dilagare di controversi gruppi e organizzazioni di tipo coercitivo e/o a ideologia estremista e totalizzante;
   ancorché nessuna delle proposte abbia saputo, a oggi, pervenire in modo decisivo e univoco alla tipizzazione della condotta illecita, appare all'interrogante di estremo rilievo, in tema di settarismo abusante e/o di natura criminogena, evidenziare che già il Consiglio d'Europa con raccomandazione 1412 del giugno 1999, aveva sollecitato gli Stati membri a porre in essere, tra l'altro, mirati programmi di educazione, informazione preventiva e vigilanza del fenomeno volti a garantire una efficace azione di tutela, nella fattispecie, dei soggetti deboli e dei minori;
   tuttavia, non consta all'interrogante che lo Stato italiano abbia recepito alcuna delle indicazioni contenute nella raccomandazione;
   vari atti di sindacato ispettivo e di indirizzo presentati nell'attuale e nelle passate legislature hanno documentato come siano rimasti analogamente inascoltati anche i più recenti e rinnovati solleciti espressi in ambito europeo, e come, dunque, non sia stato a oggi realizzato alcun progetto di prevenzione;
   si rileva che nessuno dei menzionati atti ha ottenuto risposta (si vedano: Interrogazione On. Fitzgerald Nissoli Fucsia n. 4-11122 del 13 novembre 2015, mozione On. Motti e altri n. 1-00565 del 30 luglio 2014; lnterrogazione Senatrice Alberti Casellati e altri n. 4-01758 del 26 febbraio 2014; lnterrogazione On. T. Arlotti e altri n. 4-04316 del 2 aprile 2014; Interrogazione senatrice Elisabetta Alberti Casellati e altri n. 4-00374 del 19 giugno 2013; lnterrogazione senatrici Allegrini e Gallone n. 4-08890 del 18 dicembre 2012; lnterrogazione senatrice Elisabetta Alberti Casellati e altri n. 4-08835 del 6 dicembre 2012; Interrogazione On. Pino Pisicchio n. 4-12818 del 26 luglio 2011);
   va altresì ricordato che il fenomeno nel nostro Paese era già stato oggetto nel lontano 1998 di un rapporto della direzione centrale della polizia di prevenzione titolato «Sette religiose e Nuovi Movimenti Magici in Italia» – all'epoca Ministro dell'interno Giorgio Napolitano – e di più recenti e ripetute segnalazioni degli stessi servizi di intelligence nazionali nelle loro relazioni semestrali sulla politica dell'informazione per la sicurezza, a cui tuttavia, analogamente, non faceva seguito alcuna iniziativa in termini di prevenzione se non l'istituzione, con decreto n. 225 UAG/2006-64767-U del 2 novembre 2006, di apposita specialità denominata squadra anti sette (SAS), che, a quanto risulta, svolge segnatamente azione di tipo repressivo;
   non può dunque che ritenersi del tutto insufficiente, incomprensibile e inaccettabile la mancata risposta dallo Stato rispetto a un inquietante fenomeno che, anche e soprattutto a seguito della permeabilità delle frontiere e all'aumentato utilizzo della rete web e delle nuove tecnologie, ha continuato la sua ascesa incontrastata nei Paesi dell'Europa occidentale e orientale;
   autorevoli fonti italiane ed estere, hanno d'altra parte concordemente messo in guardia circa il nascente fenomeno della trasformazione e atomizzazione dei gruppi e l'emersione di nuove perniciose credenze settarie, che ne rendono particolarmente problematici il riconoscimento e la relativa attività di vigilanza e contrasto; né va dimenticata la preoccupante escalation dei gruppi pseudo-terapici o di guarigione che, promuovendo presupposte assurde cure, prive in realtà di qualunque evidenza scientifica, pongono a serio rischio la salute e la vita dei connazionali, alcuni dei quali sono purtroppo deceduti per patologie perfettamente curabili dal sistema sanitario;
   al riguardo, va infine ricordato che il contagio emozionale innescato dalla rete web è oggi rapidissimo. Ricordava di recente, tra altri, il celebre psichiatra Boris Cyrulnik, scampato alla deportazione nazista, che mentre «Sono occorsi dieci anni, nel 1929, per il propagarsi del nazismo, oggi ci vogliono alcune settimane per scatenare un'epidemia di credenze...»;
   si osserva infine che taluni studiosi e professionisti compiacenti unitamente a esponenti di organizzazioni internazionalmente controverse hanno dato vita a lobby di pressione tra esse collegate, che perseguono il fine apparente di promuovere e tutelare la libertà di credo e i diritti democratici e umani, mentre di fatto, «rivendicano la prerogativa di negarli ad altri in base a principi illiberali e tutt'altro che democratici dei leader ai gruppi coercitivi»; come evidenziato di recente in sede di OSCE — ODHIR o delle associazioni di supporto alle ex vittime, assumendo posizioni contro la menzionata specialità di polizia SAS, sostenendone l'inutilità, l'anticostituzionalità e addirittura la dannosità e divulgando, quelle che appaiono all'interrogante infondate e mendaci informazioni tese da un lato a creare ingiustificati allarmismi in merito ad asseriti ultradecennali fenomeni di discriminazione nei confronti delle minoranze e religiose e/o spirituali e dei bambini appartenenti a tali minoranze, e dall'altro, ad atteggiarsi vittime di tali intolleranze;
   se a seguito dell'abrogazione del reato di plagio, l'introduzione di una nuova fattispecie penale ha suscitato perplessità e preoccupazioni in ordine a possibili violazioni della libertà religiosa, appare evidente che una simile motivazione non può in alcun modo essere addotta a giustificazione del pressoché nullo impegno delle istituzioni nell'approntare politiche sociali e culturali di prevenzione onde far fronte fattivamente ai nuovi e inquietanti scenari contemporanei –:
   se sussistano fondate ragioni per il mancato recepimento delle indicazioni contenute nella citata raccomandazione 1412/1999 e dei successivi richiami espressi in sede europea;
   se non si ritenga necessario approntare con la massima urgenza le indispensabili politiche informativo – preventive in tema di settarismo abusante o criminale; se non si ritenga necessario provvedere, anche mediante un'apposita indagine ministeriale, a un approfondimento sulla condizione dei minori inseriti in contesti culturali ad alta richiesta di tutela;
   se non si ritenga necessario, per quanto di competenza, considerati i continui tentativi finalizzati a ingenerare nella pubblica opinione una vera e propria disinformazione sul fenomeno in questione e stante quella che appare una reiterata campagna diffamatoria online nei confronti delle associazioni di volontariato italiane impegnate nel settore specifico, adottare idonee iniziative e strumenti volti a garantirne adeguata tutela, ripristinando anche la corretta informazione a beneficio di tutti i connazionali. (4-13664)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   già lo scorso anno fu al centro di accese polemiche la decisione della presidente della provincia di Como, Maria Rita Livio, di concedere l'ex caserma dei carabinieri di via Borgovico al civico 117, di proprietà dell'amministrazione provinciale, come struttura temporanea per l'accoglienza dei richiedenti asilo a Corno;
   infatti, proprio davanti all'ex caserma, furono indette dai residenti diverse manifestazioni di protesta per contestare apertamente e ripetutamente la decisione adottata dall'amministrazione provinciale;
   come riportato anche dai quotidiani locali dal sito http://www.quicomo.it al termine della recente ispezione dell'Agenzia per la tutela della salute (Ats), ex asl, al terzo e quarto piano dell'ex caserma, ne è risultato un quadro allarmante e preoccupante per questioni igienico-sanitarie e di sovraffollamento dei locali;
   in particolare, sempre secondo quando riportato dalla stampa, la Ats avrebbe proceduto al controllo delle camere da letto poste al terzo e al quarto piano, con indicazione per ciascuna dei posti letto e metratura, da cui avrebbe dedotto «il sovraffollamento di alcune camere» aventi superficie inidonea;
   l'ispezione della Ats è poi proseguita in altri locali della struttura, tra cui il gruppo di servizi comuni, e la cucina che si presenterebbe «in condizioni igienico-sanitarie carenti»; secondo quanto riportato, l'Ats avrebbe rilevato che «diversi locali tra quelli visionati ed in particolare cucina, dispensa e servizi presentano scrostature a pareti e soffitti con distacco d'intonaco nonché annerimenti»; ed ancora risulterebbe che: «I rifiuti vengono ricoverati all'esterno della struttura in area pavimentata ove sono posizionati contenitori chiusi in numero insufficiente e dove non è visibile alcuna presa d'acqua in prossimità (in difformità alle vigenti regolamentazioni locali)»;
   al termine dell'ispezione, l'Ats, dunque, rilevava «che la valutazione del rischio sanitario specifico per l'attività oggetto del suddetto controllo si attesti a livello alto sia per gli ospiti che per gli operatori e che, pertanto, è necessaria la regolarizzazione dell'attività alle vigenti normative in materia di igiene e sicurezza» ed, in particolare, avrebbe evidenziato molteplici «rischi sanitari corre/abili alla specifica attività principalmente riconducibili a: «rischi dovuti a carenze strutturali; rischi dovuti a carenze di apparecchiature e macchine; rischi da carenze impiantistiche; rischi d'incendio; rischi da agenti chimici; rischi da agenti fisici; rischi da agenti biologici; rischi da organizzazione del lavoro»;
   a seguito delle risultanze dell'ispezione di cui sopra, il sindaco di Como, Mario Lucini, avrebbe emesso, quindi, un'ordinanza per intimare alla Fondazione Somaschi onlus (ente gestore) e anche alla provincia (ente proprietario) di provvedere immediatamente al ripristino di una situazione «accettabile», facendo esplicito riferimento alla «situazione di pericolo per la salute pubblica»;
   alla Fondazione Somaschi, onlus che materialmente gestisce l'ex caserma riadattata a centro di accoglienza, è stato intimato di: «riorganizzare i posti letto nelle camere, eliminando il sovraffollamento nelle stesse, ripristinare il funzionamento di wc e docce inutilizzabili, adeguare servizio igienico, eliminare distacchi di intonaco, provvedendo alla reimbiancatura di pareti e soffitti laddove necessari, dotare l'area rifiuti di un numero adeguato di contenitori e prevedere idonea presa d'acqua per le operazioni di pulizia della stessa, predisporre idoneo piano di autocontrollo e relative procedure in merito alla gestione del rischio legionellosi, predisporre idoneo piano di autocontrollo e relative procedure (per le rete di distribuzione interna alla struttura) per le acque destinate al consumo umano, individuare locale ambulatorio opportunamente attrezzato, garantire la presenza di una camera per eventuale gestione delle malattie infettive con servizio igienico dedicato» –:
   sulla base di quali motivazioni sia stata stipulata da parte della prefettura competente, la convenzione con la Fondazione Somaschi onlus per la gestione del centro di cui in premessa e quali controlli siano stati effettuati presso la struttura in vista della stipula di tale convezione;
   se il Ministro interrogato, alla luce di quanto sopra esposto e reso noto anche dalla stampa, intenda assumere ogni iniziativa di competenza per pervenire all'immediata chiusura del centro di accoglienza temporaneo presso l'ex caserma dei carabinieri di via Borgovico a Como e, contestualmente, procedere, per il tramite della prefettura competente, alla revoca della convenzione stipulata con la Fondazione Somaschi onlus, gestore del centro;
   quali ulteriori conseguenti ed opportune iniziative di competenza intenda disporre al riguardo. (4-13667)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FEDRIGA e SIMONETTI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la situazione dei lavoratori della Ericsson rappresenta un serio e delicato problema, oltre che per i diretti interessati, anche per l'indotto cittadino, regionale ed extraregionale;
   sono stati, infatti, previsti circa 90 esuberi per il 2016 e 45 entro il 2017, con ripercussioni principalmente sul dipartimento di ricerca e sviluppo, ma le cifre sembrano destinate ad aumentare appena sarà aperta la relativa procedura e coinvolta anche l'area commerciale;
   la protesta dei dipendenti della multinazionale tenutasi il 28 giugno 2016 ha addirittura creato difficoltà di viabilità alla stessa città di Genova: un corteo di persone ha bloccato in entrambe le direzioni di marcia la strada sopraelevata Aldo Moro, che costituisce la principale arteria di collegamento tra ponente e levante della città;
   oggetto della vertenza è il piano aziendale, inaccettabile per lavoratori, sindacati ed amministrazioni locali, che prevede appunto un nuovo adeguamento delle risorse occupazionali con un'ipotesi di esuberi a livello nazionale pari a 385 unità su 4 mila dipendenti;
   un primo tentativo di trattativa, con la convocazione di un tavolo al Ministero dello sviluppo economico, poi annullata, è fallito per la mancata presenza di Ericsson –:
   se e quali iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda adottare urgentemente per addivenire ad una rapida soluzione della vertenza e se non ritenga opportuno, all'uopo, istituire un tavolo istituzionale in sede ministeriale con tutte le parti coinvolte nella vicenda. (5-09049)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, GRILLO, DI VITA, BARONI, NESCI e COLONNESE. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) ha istituito uno specifico «Fondo per la cura dei soggetti con disturbi dello spettro autistico»;
   il comma 401 dell'articolo 1, della legge n. 208 del 2015, ha previsto che: «Al fine di garantire la compiuta attuazione della legge 18 agosto 2015, n. 134, è istituito nello stato di previsione del Ministero della salute il Fondo per la cura dei soggetti con disturbo dello spettro autistico, con una dotazione di 5 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2016»;
   legge non disciplina direttamente le modalità di funzionamento del Fondo; infatti, il comma 402 dell'articolo 1 della legge di stabilità stabilisce, che «Con decreto del Ministro della salute, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, previa intesa in sede di conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281» (cioè l'organismo formato dall'insieme della Conferenza Stato – regioni e della Conferenza Stato – città e autonomie locali) «da adottarsi entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono stabiliti i criteri e le modalità di accesso al Fondo di cui al comma 218-bis» –:
   quale sia ad oggi l’iter del decreto in questione, quali siano i tempi per addivenire ad una rapida approvazione dello stesso nonché quali siano state fino ad ora le cause ostative che di fatto hanno impedito, dopo oltre quattro mesi, l'adozione del decreto medesimo. (5-09048)


   MARIANO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Puglia, in adempimento a quanto previsto dalla legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) e dal decreto ministeriale n. 70 del 2015, ha predisposto la riorganizzazione della rete ospedaliera con la deliberazione della giunta regionale n. 161 del 2016, successivamente rettificata con la deliberazione di giunta regionale n. 265 del 2016;
   come evidenziato dalla risposta del sottosegretario alla salute, on. De Filippo, all'atto di sindacato ispettivo n. 5-08223, «tale documentazione, come previsto dall'articolo 1, comma 541, della legge n. 208 del 2015, è stata sottoposta all'esame del tavolo del Regolamento sugli standard ospedalieri (decreto ministeriale n. 70 del 2015), che ha ritenuto la stessa non sufficiente per esprimere una valutazione, considerata la mancanza di elementi essenziali e prioritari, rispetto ad un disegno di rete assistenziale coerente con il decreto ministeriale n. 70 del 2015. Il tavolo del Regolamento sugli standard ospedalieri ha rinviato pertanto la valutazione di merito alla presentazione di un provvedimento di riorganizzazione della rete ospedaliera, integrato con la rete dell'emergenza – urgenza, che tenga conto di tutte le osservazioni già rese dai Ministeri affiancanti»;
   la provincia di Brindisi è caratterizzata da una dotazione di posti letto inferiore agli standard e la nuova deliberazione di giunta regionale n. 265 del 2016 prevede per la provincia di Brindisi una ulteriore contrazione dei posti letto pubblici, passando dai 1085 previsti ai 901 del piano previsto dalla deliberazione di giunta regionale n. 265 del 2016 e posizionandosi al di sotto dei parametri previsti dal decreto ministeriale n. 70 del 2015;
   questa ulteriore decurtazione dei posti letto nelle provincia di Brindisi non tiene conto di fattori importantissimi quali, innanzitutto, lo stato di salute della popolazione della provincia di Brindisi. Ricordiamo, infatti, che la provincia di Brindisi, è stata dichiarata area a elevato rischio di crisi ambientale con due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri del 30 novembre 1990 e del 30 luglio 1997 che ha o dichiarato parte del territorio della provincia di Brindisi «area ad elevato rischio di crisi ambientale»;
   il decreto legislativo n. 22 del 1997 e il successivo decreto legislativo n. 152 del 2006 hanno incluso Brindisi tra i 57 siti di interesse nazionale per interventi di bonifica. Ricordiamo che il criterio di inclusione di un sito tra quelli di interesse nazionale dipende dal rischio sanitario che le condizioni di quel sito determinano per le popolazioni; il piano regionale della qualità dell'aria predisposto dall'Arpa Puglia inserisce Brindisi in fascia C, la più critica, che necessita di azioni di riduzione dell'inquinamento; la legge regionale 24 luglio 2012, n. 21, «Norme a tutela della salute, dell'ambiente e del territorio sulle emissioni industriali inquinanti per le aree pugliesi già dichiarate a elevato rischio ambientale», introduce all'articolo 2, in riferimento sia a Taranto che a Brindisi, in quanto dichiarate entrambe «aree ad elevato rischio ambientale», l'obbligo di redigere con cadenza annuale un rapporto di «valutazione del danno sanitario»;
   numerosi studi ha o mostrato una mortalità in eccesso rispetto alla media regionale per malattie cardiovascolari (in particolare infarto acuto del miocardio) e malattie respiratorie croniche in relazione all'alzamento di alcuni inquinanti atmosferici, in considerazione del fatto che la provincia ospita un'area ad elevato rischio di crisi ambientale e un sito di interesse nazionale per le bonifiche che condiziona il profilo della salute della popolazione residente; per tali motivi sono in corso, nell'ambito del centro salute ambiente della regione Puglia, specifici interventi di monitoraggio ambientale e di sorveglianza epidemiologica. Si evidenzia infatti che nell'area a rischio esistono eccessi di mortalità nel sesso maschile per tumori della vescica e leucemie oltre che per malattie dell'apparato respiratorio; nel sesso femminile si registrano eccessi per tumori del polmone e malattie respiratorie croniche. Nel comune di Brindisi, si osservano in aggiunta eccessi per tutti i tumori e tumori della pleura, mentre nelle donne per malattie dell'apparato digerente e per tutte le cause così come evidenziato dai report epidemiologici della stessa regione Puglia;
   con riferimento agli obiettivi del piano di riordino: «La ratio della legge è quella di ricondurre le strutture ospedaliere dentro un regime gestionale che coniughi efficienza economica, alti volumi, adeguata qualità e la migliore sicurezza delle cure». In particolare, l'efficienza economica (rispetto degli standard e dei volumi) pone, tra gli indici di verifica, lo standard relativo alla degenza media: meno di 7 giorni di degenza per i ricoveri ordinari;
   la delibera della giunta regionale sintetizza il decreto ministeriale n. 70 del 2015, in particolare: «individuazione dei fabbisogni prestazioni ospedaliere, ai fini della ridefinizione della rete ospedaliera dei letti per acuti e postacuti, con individuazione analitica del numero dei posti letto suddivisi per struttura, disciplina; (...)»; «Aumento del numero di posti letto ospedalieri per postacuti per l'adeguamento agli standard nazionali al fine di migliorare la qualità dell'assistenza, offrendo al paziente la giusta intensità di cura per le sue condizioni cliniche e la presa in carico globale (...)»;
   attualmente, la provincia di Brindisi risulta soprattutto carente di posti letto dedicati a percorsi terapeutici post acuzia. In particolare, sono attivati soltanto posti letto per riabilitazione motoria e per riabilitazione neurolesi e motulesi pari all'0,36 per mille sulla popolazione. Si sottolinea come tali posti letto siano interamente affidati a strutture private. In tutta la provincia risulta completamente assente sia nell'offerta pubblica che in quella privata la disponibilità di posti letto per la riabilitazione pneumologica e cardiologica, pur a fronte dei dati epidemiologici evidenziati e della previsione di due reparti di pneumologia per acuti sia presso il «Perrino» di Brindisi, che presso l'ospedale di Ostuni. Per ciò che attiene alla lungodegenza, ad oggi, per tutta la provincia sono previsti 35 posti letto distribuiti tra gli ospedali di Fasano, Mesagne e San Pietro. Il nuovo piano riduce ulteriormente questa dotazione poiché, a fronte della prevista riconversione dei tre suddetti ospedali, sia il «Camberlingo» di Francavilla Fontana, per storici problemi di staticità, sia il «Perrino» di Brindisi, per mancanza di spazi utili, non saranno nelle condizioni di attivare ed ospitare nell'immediato le lungodegenze;
   ne consegue un gap in termini di assistenza e qualificazione futura con prevedibile impossibilità a rientrare negli standard previsti dal decreto ministeriale n. 70 del 2015;
   in particolare, con il nuovo piano ospedaliero, il «Perrino» di Brindisi viene classificato come degenza ad elevata assistenza di II livello, l'ospedale di Francavilla Fontana di I livello e quello di Ostuni come ospedale di base, mentre per gli ospedali di Fasano, Mesagne, San Pietro Vernotico è prevista una riconversione in presidi territoriali di assistenza, dismettendo così i reparti che permettono di svolgere attività ospedaliera;
   nello specifico, l'ospedale «Melli» di San Pietro in Vernotico, ad oggi plesso del Perrino, rappresenta la struttura che più di tutte è adatta a svolgere funzioni di continuità assistenziale rispetto alla degenza ad elevata assistenza di II livello, dedicate a patologie internistiche e alla post acuzie nell'ottica di un decongestionamento dello stesso e, nell'ottica, di una maggiore appropriatezza dei ricoveri e dei percorsi terapeutici. La stessa struttura, infatti, è perfettamente rispettosa sia degli standard strutturali (presenza di area verde, di facile accesso, parcheggi), che dotata di reparti, di palestra, già recentemente ristrutturati ed equipaggiati per funzioni riabilitative specialmente nella riabilitazione pneumologica e cardiologica e delle post acuzie in generale; altri recenti investimenti hanno riguardato le sale operatorie e la diagnostica senologica;
   proprio per queste ragioni, presso l'ospedale di San Pietro Vernotico, è stata più volte prevista l'attivazione di 270 posti letto di riabilitazione cardiologica e pneumologica in realtà mai attivati che risulta oggi quanto mai necessaria;
   la stessa lungodegenza potrebbe essere potenziata ed ospitata nello stesso presidio, vista la disponibilità di spazi e reparti attrezzati; così come le sale operatorie potrebbero utilmente essere attivate per interventi di « day service» chirurgico, oculistico e dermatologico, così come previsto da recenti delibere della direzione generale della asl;
   diventa, inoltre, rilevante potenziare l'offerta sanitaria della struttura di II livello (Perrino), integrandone la dotazione esistente, prevedendo la presenza di una gastroenterologia e di una reumatologia, nonché salvaguardandone alcune particolari eccellenze tra cui il reparto grandi ustionati, centro di riferimento regionale, con 11 posti letto, sul quale sono stati già investiti 6 milioni di euro e altrettanti sono in corso di investimento, la radiologia interventistica, la « breast unit» per il cancro alla mammella, tra le prime della Puglia per numero di interventi –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione descritta e del piano di riordino pugliese 2016 afferente alla asl di Brindisi e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per fronteggiare le emergenze sanitarie ed ambientali di Brindisi e della provincia già note al Ministro interrogato e garantire pienamente i livelli essenziali di assistenza (5-09050)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   CARUSO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il sistema delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura (CCIAA) è stato interessato, in poco più di un decennio, da una serie di interventi legislativi i quali hanno finito per delineare un quadro normativo in materia caratterizzato da un forte grado di incoerenza;
   con la legge 29 dicembre 1993, n. 580, il sistema camerale è stato interessato da un prima e completa riforma, con la quale si è teso accrescere – in particolare – le competenze delle CCIAA, anche attraverso l'istituzione del registro delle imprese e sostanziali modifiche rispetto al passato in tema di organi di governo;
   l'articolo 12 della citata legge n. 580 del 1993, peraltro, prevedeva la possibilità, esperita la fase transitoria di un primo consiglio, fatto sostanzialmente di «nominati» da parte delle associazioni di categoria, di procedere, in sede di rinnovo, all'elezione diretta dei componenti del Consiglio stesso da parte «dei titolari o dei rappresentanti legali delle imprese iscritte nel registro di cui all'articolo 8 (registro delle imprese)». Tale previsione, che avrebbe rafforzato le camere di commercio, mediante la costituzione di un legame di democrazia con le imprese (creando un vero e proprio «corpo intermedio»), si è di fatto rivelata un'occasione persa, forse, per sempre e questo presumibilmente grazie all'azione delle principali associazioni di categoria che, pur rappresentando appena il 20 per cento dell'intera imprenditoria italiana (secondo stime accreditate), hanno preferito mantenere ben salde le redini della «governance» camerale;
   nella successiva normativa di riforma, recata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23 – emanato in attuazione dell'articolo 53 della legge 23 luglio 2009, n. 99 – l'opportunità di cui sopra, per evidenti spinte centralistiche, non è stata raccolta dal legislatore, in quanto i componenti del consiglio (che poi nominano giunta e presidente) vengono designati e non eletti;
   il sistema camerale è attualmente oggetto di un nuovo processo di riforma: la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche (cosiddetta legge Madia), all'articolo 10, detta i principi e i criteri direttivi in base ai quali il Governo è delegato ad adottare un decreto legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura;
   nonostante il citato articolo 10 della legge n. 124 del 2015 preveda che la riforma del sistema camerale possa avvenire: «anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993, n. 580, come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23, (....)» non emerge nel dettato normativo alcun proposito di democratizzazione del sistema camerale stesso;
   il combinato disposto tra le disposizioni dettate dall'articolo 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114, relativamente alla riduzione del diritto annuale a carico delle imprese del 35 per cento nel 2015, del 40 per cento nel 2016 e del 50 per cento a decorrere dal 2017 e quanto previsto dai principi e criteri direttivi dettati dall'articolo 10 della citata legge delega n. 124 del 2015, infatti, sembrerebbe poggiare – a giudizio dell'interrogante – sull'idea di declassare le camere di commercio al rango di meri uffici burocratici, sciogliendo quel positivo rapporto (desumibile peraltro da indici di soddisfazione degli utenti molto alti) esistente tra sistema camerale e tessuto imprenditoriale, infatti la riduzione dei fondi disponibili nel 2017, stimabili all'incirca per un 35/40 per cento rispetto al 2010, uniti ad un quasi totale azzeramento degli interventi promozionali (per certi versi necessitato dalla riduzione di fondi e per un altro verso determinato da limitazioni legislative, così come previsto ai sensi del comma 1, lettera c) dell'articolo 10 della citata legge delega n. 124 del 2015) comporterà un sempre maggiore scollamento delle camere di commercio dagli interessi delle imprese italiane, intese nella loro generalità;
   il principio dell'accorpamento degli enti territoriali, con il quale è stato recepito il concetto di area vasta introdotto dalla legge 7 aprile 2014, n. 56, recante disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni (cosiddetta legge Delrio) ha contribuito ad aggravare la situazione sopra descritta, atteso l'inevitabile effetto di distruggere l'identità territoriale delle camere di commercio, per lunga tradizione coincidente con l'ambito provinciale, svincolandole così dal rapporto di interessi, fiduciario e di servizio rispetto al territorio di riferimento.;
   in questo quadro non è, altresì, dato comprendere quali economie di scala possano conseguirsi accorpando le camere di commercio, se non mettendo in atto le (temute) riduzioni di personale, peraltro non consentite dalla citata legge delega n. 124 del 2015, la quale all'articolo 10, comma 1, lettera h), si esprime esplicitamente per «il mantenimento dei livelli occupazionali»;
   da notizie giunte all'interrogante, sembra che nell'adozione del decreto legislativo previsto dall'articolo 10 della legge delega n. 124 del 2015 si pensi di superare il previsto vincolo del mantenimento dei livelli occupazionali con la mobilità, ma visti i possibili effetti di quest'ultima (tra quali il licenziamento, per mancanza di posti disponibili nella pubblica amministrazione), non è difficile prevedere l'instaurarsi di un corposo contenzioso in sede giudiziaria, sia ordinaria che costituzionale, dagli esiti imprevedibili –:
   quale sia l'orientamento dei Ministri interrogati, con particolare riferimento:
    a) all'effettiva tutela occupazionale di tutti i dipendenti che fanno parte del sistema camerale, comprendendo in esso anche le unioni regionali e le aziende speciali, considerando a questo proposito anche la possibilità di ricorrere – in subordine o in concorrenza – ai prepensionamenti previsti dal decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 1351 e dalla circolare 28 aprile 2014, n. 4, cosiddetta circolare Madia, che fornisce alle amministrazioni pubbliche gli indirizzi applicativi sul ricorso all'istituto del cosiddetto «prepensionamento», per riassorbire le eccedenze di personale conseguenti alla riduzione delle dotazioni organiche o alla redazione di piani di ristrutturazione, per ragioni funzionali o finanziarie, con eventuale proroga al 2019 del termine finale per la maturazione dei requisiti della quiescenza sulla base della normativa antecedente all'entrata in vigore dell'articolo 24 del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 convertito, con modificazioni, con legge 22 dicembre 2001, n. 214 (cosiddetta riforma Fornero);
    b) alla necessità di prevedere un aumento della misura dei diritti annuali a carico delle imprese al fine di consentire la sostenibilità finanziaria delle camere di commercio, industria, artigianato ed agricoltura, alcune delle quali, già con la riduzione al 40 per cento, presentano bilanci strutturalmente in perdita;
    c) all'effettiva conservazione delle principali funzioni camerali di tipo non burocratico, tra cui – in posizione di preminenza – quella promozionale, in quanto utile all'economia nazionale e molto apprezzata dalle imprese;
    d) all'effettiva garanzia che presso ogni provincia venga mantenuta una sede secondaria, al fine di non arrecare ulteriori penalizzazioni ad un tessuto imprenditoriale messo già a dura prova dalla recente crisi economico-finanziaria.
(4-13670)

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza urgente Kronbichler e altri n. 2-01398, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 14 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pellegrino.