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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 22 giugno 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    il grasso estratto dai frutti dalla specie di palma Elaeis guineensis risulta essere l'olio vegetale più importato nel mondo occidentale a fronte del suo ampio e versatile impiego in ambito cosmetico, alimentare, energetico;
    i bassi costi di produzione, l'assenza di sapore e di odore e la grande produttività della palma da cui viene ricavato, risultano essere incentivi per un aumento della sua coltivazione nel Sud-est asiatico (dove ad ora si concentra circa il 90 per cento della produzione), in Africa e nell'America del sud, impattando interi ecosistemi ad alta biodiversità tanto da risultarne seriamente minacciati o completamente distrutti a causa della coltivazione della palma;
    la maggior parte delle piantagioni di palma da olio sono state sviluppate incendiando le foreste con conseguente danno ambientale e climatico. La principale espansione di queste piantagioni continua a dipendere dal drenaggio della torba per rendere possibile la coltivazione, rendendola un potente fattore di moltiplicazione incontrollata di incendi. Le emissioni prodotte da tali incendi e dal degrado della torba hanno reso l'Indonesia il terzo Paese per emissioni di gas serra. Secondo il rapporto congiunto della Banca mondiale e del Governo britannico, il disboscamento indonesiano sarebbe responsabile del rilascio in atmosfera di 2,563 MtCO2e (milioni di tonnellate equivalenti di biossido di carbonio);
    secondo il rapporto Fao sulle foreste del 2015, l'Indonesia ha perduto una media di un milione di ettari annui negli ultimi 25 anni, ossia da quando è esploso il boom della palma da olio (deforestazione media tra il 1990 e il 2015: 1.101.400 ha ogni anno, Global Forest Resources Assessment 2015);
    la riduzione del fenomeno di evapotraspirazione, dovuto alla distruzione della copertura forestale, è causa della variazione del regime pluviometrico a scala sovranazionale, rischiando di compromettere l'andamento della produttività dei suoli agricoli;
    il degrado della torba comporta il fenomeno della subsidenza del suolo, alla velocità media di 5 cm annui, rendendo vaste estensioni di terreno prone a inondazione e portando in circolo suoli solfati acidi che rappresentano una minaccia per l'agricoltura (Hooijer A, R. Vernimmen, M. Visser, N. Mawdsley. 2015b. Flooding Projections from Elevation and Subsidence Models for Oil Palm Plantations in the Rajang Delta Peatlands, Sarawak, Malaysia. Deltares report 1207384);
    le monoculture di palma da olio sono accompagnate da deforestazione, erosione dei suoli, contaminazione delle acque e all'inserimento di specie vegetali e animali alloctone organismi infestanti tanto da essere causa della perdita dell'equilibrio ecologico delle aree interessate;
    i tentativi di certificazione della sostenibilità della filiera con vari marchi, tra i quali il Roundtable on Sustainable Palm Oil (RSPO), non sono riusciti a ottenere una reale riduzione del tasso di deforestazione, e gli stessi marchi non garantiscono la provenienza del raccolto da piantagioni che non hanno causato deforestazione, ma ne certificano solo la «sostenibilità» a valle della catena produttiva, che va dall'olio estratto alla vendita;
    la perdita delle funzioni eco-sistemiche delle foreste tropicali danneggia irreparabilmente la possibilità di sussistenza delle popolazioni autoctone e indigene, private dell'accesso alla terra e alle risorse naturali, a vantaggio delle monocolture di palma. Secondo il Forum Permanente sulle questioni indigene delle Nazioni Unite, 60 milioni di indigeni nel mondo corrono il rischio di perdere i mezzi di sussistenza e di conseguenza la possibilità di sopravvivenza alimentare a causa dell'espansione delle piantagioni, in violazione dei loro diritti e innescando migrazioni forzate nei territori prescelti;
    va considerata la dichiarazione del 2008 contro l'espansione delle coltivazioni di olio di palma, firmata da circa 300 associazioni in contestazione delle stesse certificazioni di sostenibilità stabilite nei criteri della RSPO, a fronte dello sradicamento dai propri territori o della riduzione in manovalanza a basso costo di un numero crescente di comunità rurali e popolazioni indigene (la cui sopravvivenza è direttamente legata all'uso sostenibile delle foreste), con conseguente perdita della loro identità culturale, autonomia e sovranità alimentare;
    si rilevano la pressione sulle popolazioni indigene e l'appropriazione delle loro terre in palese contrasto con la Convenzione per i popoli indigeni e tribali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (ILO 169), volta a stabilire i diritti delle suddette popolazioni, con particolare attenzione al diritto di proprietà delle terre che da secoli risultano essere funzionali alla loro stessa sussistenza;
    un numero crescente di studi scientifici avvertono sui rischi dell'olio di palma per la salute umana, tra cui: uno studio dell'Organizzazione mondiale della sanità, che dimostra come i principali acidi grassi (come acidi grassi saturi, l'acido miristico e l'acido palmitico) comportino un aumento del livello di colesterolo nel sangue, favorendo malattie cardiovascolari; uno studio del Center for Science in the Public Interest (CSPI), che conferma il fatto che l'olio di palma aumenti i fattori di rischio cardiovascolare, poiché l'acido palmitico è uno dei grassi saturi che più aumenta il rischio di coronaropatie; recenti studi, che dimostrano che l'acido palmitico infiamma le membrane cellulari, induce l'aterosclerosi e ha un ruolo chiave nella produzione di un fattore necrotico che è all'origine di tumori; uno studio dell'American Heart Association che consiglia di limitarne l'uso per le persone che devono ridurre il livello di colesterolo; nonché un recentissimo studio dell'Autorità europea per la sicurezza alimentare in cui viene denunciato come nell'olio di palma siano contenute tre sostanze tossiche, di cui una genotossica e cancerogena, il glicidiolo, formatesi durante la raffinazione degli oli vegetali;
    la direttiva 2009/28/CE sulla produzione di energia da fonti rinnovabili introduce l'obbligo di utilizzo di biocarburanti; gli olii vegetali sono inoltre incentivati per la produzione di biocarburanti;
    nella comunicazione della Commissione europea del 19 giugno 2010 n. 2010/C 160/02 sull'attuazione pratica del regime dell'Unione europea di sostenibilità per i biocarburanti e i bioliquidi è indicato che il termine bioliquido comprenda liquidi viscosi tra cui l'olio di palma;
    la crescita di 6 volte dei biocarburanti dal 2010 al 2014 in Europa è legata principalmente alla crescita dei consumi di olio di palma, con un ammontare di circa 3,5 miliardi di litri di olio di palma bruciati per il trasporto nel solo 2014;
    un recente studio dell'Unione  europea rivela l'impatto climatico della produzione dell'olio di palma tre volte maggiore a quello dei fossili a causa della deforestazione e del drenaggio della torba del Sud-est asiatico, Africa ed America Latina, tanto da spingere la Commissione europea ad una prossima rielaborazione dei criteri di sostenibilità della Renewable Energy Directive (RED) per tutta la bioenergia compresi i bio-carburanti;
    le pressioni parlamentari – si consideri al proposito la mozione 1-00423 a prima firma del senatore Martelli, presentata in Senato in data 3 giugno 2015 – e le pressioni della società civile contro l'olio di palma sono in continuo aumento in tutto il mondo;
    il Governo italiano è firmatario delle seguenti convenzioni internazionali: Convezione sulla diversità biologica delle Nazioni Unite (CDB) e Dichiarazione delle Nazioni Unite sui diritti delle popolazioni indigene (UNDRIP), e pertanto si impegna a rispettare tali convezioni, dichiarazioni e standard internazionali nell'attuazione di politiche che tutelino l'ambiente, le comunità locali/autoctone e la diversità bio-culturale,

impegna il Governo:

   ad adottare le iniziative volte a escludere l'energia elettrica prodotta mediante olio di palma dalla categoria delle fonti di energia rinnovabile («fer»);
   intraprendere iniziative volte ad introdurre il divieto dell'utilizzo dell'olio di palma come carburante puro o diluito per qualunque veicolo;
   a intraprendere le iniziative normative volte ad introdurre il divieto dell'utilizzo di olio di palma (in ogni sua forma) per la produzione di energia elettrica (anche in assetto cogenerativo);
   ad assumere iniziative per prevedere un'etichettatura addizionale per i prodotti alimentari che indichi chiaramente la presenza di oli tropicali (di palma o di palmisto o cocco) nelle preparazioni alimentari tesa a specificarne il danno per la salute umana;
   ad intraprendere iniziative normative volte ad introdurre, nel più breve tempo possibile, il divieto della vendita su tutto territorio nazionale e dell'importazione di prodotti contenenti oli tropicali (di palma o palmisto o cocco) a fini alimentari e cosmetici;
   ad intraprendere iniziative volte a stabilire il divieto dell'utilizzo dell'olio di palma o palmisto come ingrediente nelle preparazioni alimentari;
   ad assumere iniziative normative finalizzate alla sostituzione dell'olio di palma con olii che non siano nocivi per la salute umana e per l'ambiente e che incentivino le economie nazionali e i settori agricoli interessati (olio di semi di girasole, olio d'oliva, e altro);
   a mettere in atto le iniziative necessarie per pervenire in tempi brevi alla ratifica della convenzione sui popoli indigeni e tribali dell'Organizzazione internazionale del lavoro (convenzione ILO 169);
   ad attivarsi, nelle sedi comunitarie, per una moratoria immediata degli incentivi agli agro combustibili e all'agro energia prodotta da mono-colture estensive di palma da olio, nonché per le importazioni di olio di palma.
(1-01310) «Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Zolezzi, Vignaroli, Tripiedi, Ciprini, Cominardi, Gagnarli, Paolo Nicolò Romano, Liuzzi, De Lorenzis, Manlio Di Stefano, Sibilia, Spadoni, Grande, Di Battista, Del Grosso, Fraccaro, Scagliusi, Spessotto, Dieni, Fico, Villarosa, Alberti, Dall'Osso, Sorial, Marzana, Massimiliano Bernini, Brugnerotto, Crippa, Vallascas, Nesci, Parentela, Caso, Grillo».


   La Camera,
   premesso che:
    la dotazione iniziale dei fondi strutturali 2014-2020 assegnata agli Stati membri dell'Unione europea era stata effettuata, a suo tempo sulla base delle previsioni di crescita del prodotto interno lordo disponibili nel 2012. Il regolamento in materia prevedeva poi che nel 2016 fosse verificata la crescita effettiva nel biennio 2014-2015 e, al termine di tale verifica, sarebbe emerso che in tre Paesi, Italia, Spagna e Grecia, la divergenza tra crescita prevista è crescita effettiva sarebbe stata addirittura superiore al 5 per cento;
    lo stesso regolamento prevedeva la costituzione di una sorta di «tesoretto», una somma che l'Unione europea ha tenuto da parte per compensare proprio eventuali divergenze e quindi aiutare con un ulteriore dotazione aggiuntiva di fondi, i Paesi che, come l'Italia, hanno registrato i tassi di crescita peggiore nell'Unione europea;
    in base alle stime effettuate dalla commissione europea, all'Italia spetterebbero risorse aggiuntive per 1,4 miliardi di euro (su un totale di 4 miliardi) che si sommano ai 42,4 (più 31 di cofinanziamento nazionale) assegnati al nostro Paese per il periodo 2014-2020;
    tali risorse, la cui destinazione su obiettivi e programmi da privilegiare va stabilita dal Governo d'intesa con la Commissione europea, dovrebbero essere assegnate a fine giugno 2016, e potranno essere spese dal 2017 al 2020 per finanziare i programmi operativi regionali e nazionali in corso;
    è evidente che obiettivo della Unione europea nel prevedere questo «tesoretto» è quello di sostenere i Paesi che hanno difficoltà a crescere e che, quindi, meritano risorse aggiuntive per essere sostenuti nel processo di superamento del gap. Ed è altrettanto evidente, di conseguenza, che il Governo italiano dovrà perseguire lo stesso obiettivo e, quindi, destinare l'intera somma aggiuntiva di 1,4 miliardi di euro alle regioni dell'Obiettivo 1, quindi alle regioni del Sud;
    la somma di cofinanziamento nazionale prevista non è uguale per tutti i programmi e su alcuni è addirittura pari a zero,

impegna il Governo,

   a rispettare la ratio e gli obiettivi del regolamento dell'Unione europea sui fondi strutturali e, in coerenza con esso, a destinare la somma aggiuntiva di 1,4 miliardi di euro alle regioni dell'Obiettivo 1;
   a privilegiare, nell'individuazione dei progetti e dei programmi su cui incrementare i finanziamenti, quelli che richiedono un tasso di cofinanziamento nazionale più basso o pari a zero, onde evitare problemi di copertura;
   ad utilizzare parte delle risorse, a partire dal 2017, per finanziare l'esonero contributivo del 100 per cento per le aziende che assumono a tempo indeterminato, misura prevista nella legge di stabilità 2016, ma non attuata;
   ad assumere iniziative per incrementare il fondo di dotazione finanziaria per il credito d'imposta, previsto nella legge di stabilità per il periodo dal 2016 al 2019, ma con risorse risicate;
   ad assumere iniziative per incrementare le somme stanziate per le politiche giovanili che, in coerenza con la grande sensibilità dell'Unione europea su questi temi, sono a «cofinanziamento zero», come ad esempio borse di studio, dottorati di ricerca, corsi di specializzazione e altro;
   ad assumere iniziative per prevedere, trattandosi di risorse straordinarie, uno stanziamento ad hoc per un problema straordinario, come quello della Xylella, che sta azzerando l'economia olivicola pugliese, con grave pregiudizio al prodotto interno lordo agricolo meridionale e nazionale.
(1-01311) «Palese, Pisicchio».


   La Camera,
   premesso che:
    secondo l'edizione 2015 del rapporto internazionale « Education at a Glance» prodotto dall'Ocse, solo il 42 per cento degli italiani inizia gli studi universitari, valore che è il più basso in Europa (a parte il Lussemburgo che non ha università) e il penultimo nell'Ocse (davanti solo al Messico), a fronte di una media europea del 63 per cento e di valori massimi che superano l'80 per cento;
    gli studenti universitari italiani dovrebbero, quindi, aumentare almeno di metà anche solo per raggiungere la media europea, addirittura raddoppiare per raggiungere i Paesi europei più avanzati;
    secondo il medesimo rapporto, l'Italia, per percentuale di laureati nella fascia 25-34 anni, occupa adesso l'ultimo posto nell'Ocse con il 24 per cento (dopo essere stata a lungo penultima davanti alla Turchia), a fronte di una media europea del 39 per cento;
    il numero dei laureati italiani dovrebbe, quindi, aumentare di oltre il 60 per cento per raggiungere la media europea, mentre l'obiettivo del 40 per cento fissato da «Europa 2020» è ormai del tutto irraggiungibile per il nostro Paese;
    la percentuale di laureati italiani scende poi al 17 per cento nella fascia 25-64 anni, di nuovo la più bassa nell'Ocse, e, se si analizza il dato su base regionale come ha fatto il gruppo di ricerca coordinato da Gianfranco Viesti nel suo recente rapporto «Università in declino» pubblicato da Donzelli nel 2016, si vede che ai valori più alti (20 per cento) toccati dal Lazio, comunque pur sempre ben lontani dalla media europea, vi sono valori inferiori addirittura al 14 per cento in Puglia e in Sicilia, dello stesso ordine di quelli di Cina, Indonesia o Sudafrica;
    nemmeno l'andamento recente delle immatricolazioni induce a ben sperare, poiché, come già evidenziato dal Consiglio universitario nazionale sin dal 2013 e come documentato un mese fa dal XVIII rapporto Almalaurea appena pubblicato, dopo l'aumento registratosi dal 2000 al 2003, legato soprattutto al rientro nel sistema universitario di fasce di popolazione adulta dopo la riforma dell'ordinamento degli studi nel 1999, si è verificato un vistoso calo del 20 per cento dal 2003 al 2015 (in valori assoluti si sono perse circa 70.000 matricole), solo in piccola parte mitigato dal leggero aumento del 2 per cento registrato nell'ultimo anno accademico;
    il dato delle immatricolazioni è anch'esso molto differenziato tra le regioni: infatti, il calo di matricole tocca il –30 per cento al Sud, il –22 per cento al Centro ed è pari solo al –3 per cento al Nord; del resto anche il rapporto di Viesti valuta che circa i due terzi delle matricole mancanti abitino nel Meridione e nelle Isole, mentre, in valori assoluti, le università campane e quelle siciliane hanno avuto 6.500 matricole in meno tra il 2009 e il 2013, 5.000 in meno quelle pugliesi;
    tali dati evidenziano, tra l'altro, un accresciuto flusso di giovani meridionali che vanno a studiare nelle università del Centro-nord: il citato rapporto Viesti evidenzia che al Sud la mobilità riguarda il 28,9 per cento degli immatricolati, di cui 4 su dieci si spostano al Nord e altri 4 al Centro: sono circa 29.000 ogni anno i giovani meridionali in mobilità per l'università, fenomeno importante associato con una mobilità interna al Mezzogiorno assai contenuta e con un flusso in uscita dalla circoscrizione a cui non corrisponde un flusso in entrata;
    la mobilità studentesca non è di per sé un fenomeno negativo quando consente ai giovani di esprimere al meglio le proprie capacità in sedi e tipologie di studi che ritengono più consone alle loro aspirazioni, ma nel nostro Paese si sta trasformando in una vera e propria emigrazione intellettuale senza ritorno, generando da una parte una perdita per le regioni di uscita in termini di capitale umano, dall'altra un trasferimento di reddito a favore delle regioni di entrata per le spese sostenute dalle famiglie per il mantenimento dei figli fuori sede;
    la scelta del trasferimento fuori sede per gli studi universitari dipende da più fattori; in particolare, da una più elevata capacità attrattiva di singoli atenei centro-settentrionali, soprattutto della Lombardia e dell'Emilia Romagna, anche per la maggiore qualità della vita nelle città universitarie, nonché dalle maggiori prospettive occupazionali nei mercati del lavoro del Nord, mentre assai limitata risulta l'attrattività delle università meridionali;
    il sopra citato rapporto Almalaurea, relativamente ai laureati magistrali a 5 anni dal conseguimento del titolo, evidenzia che, tra i residenti nel Nord Italia, l'88 per cento ha svolto gli studi universitari e attualmente lavora nella propria area di residenza, mentre l'unico flusso uscente di una certa consistenza (7 per cento) dipende dal trasferimento all'estero; invece, tra i laureati di origine nell'Italia meridionale, il 53 per cento ha trovato lavoro al Nord, mentre solo l'11 per cento di chi si è laureato al Nord rientra dopo gli studi nella propria regione di origine;
    dati sostanzialmente simili riguardo alla mobilità interregionale durante gli studi universitari sono stati ricavati anche da un gruppo di ricerca guidato da Pasqualino Montanaro, ricercatore presso la Banca d'Italia, utilizzando l'Anagrafe nazionale degli studenti universitari nell'ambito del progetto ACHAB (Affording College with the Help of Asset Building), gestito da un consorzio di enti pubblici o privati senza fini di lucro e finanziato dall'Unione europea;
    il basso numero di studenti e laureati italiani dipende anche da un inefficace sistema di orientamento pre-universitario: il rapporto ANVUR 2016 sullo stato del sistema universitario, presentato il 24 maggio 2016, certifica un tasso di abbandoni che tocca il 38,5 per cento a dieci anni dall'immatricolazione e soprattutto che tocca il 19,6 per cento a soli due anni dall'immatricolazione (abbandoni precoci), anche se si registra un piccolo miglioramento rispetto al rapporto 2014;
    lo stesso rapporto evidenzia che il tasso di abbandoni precoci è maggiormente concentrato tra i diplomati degli istituti tecnici e professionali e tra gli studenti del Meridione e delle Isole;
    tra le ragioni che spiegano il basso numero di studenti e di laureati deve sicuramente annoverarsi anche il limitato impegno nazionale nel campo del diritto allo studio universitario anche se deve essere registrato positivamente il recente e molto significativo aumento dello stanziamento statale che è passato dai 162 milioni del 2015 ai 217 del 2016: infatti, nel 2014/2015 solo l'8,2 per cento degli studenti italiani ha ottenuto la borsa di studio solo il 10,3 per cento è stato destinatario di un qualche intervento di diritto allo studio, a fronte di valori superiori al 30 per cento in Francia, Inghilterra e Svezia, superiori addirittura all'80 per cento in Olanda, Danimarca, Finlandia;
    è ancora purtroppo sussistente la categoria degli idonei non beneficiari, cioè studenti valutati come idonei, per ragioni di reddito e di merito, a ottenere la borsa di studio ma che non la ricevono per mancanza di fondi, categoria di cui fa parte circa un quarto degli idonei (oltre 45.000 studenti);
    anche sotto questo aspetto si registrano notevoli differenze a livello regionale: la percentuale di idonei non beneficiari è inferiore al 10 per cento in tutte le regioni del Nord e del Centro, salvo Piemonte e Lazio, mentre è superiore al 40 per cento in Piemonte, Campania, Calabria, Sardegna, con un picco negativo di oltre il 65 per cento in Sicilia;
    eppure la borsa di studio si dimostra strumento abbastanza efficace: come mostra una ricerca condotta dall'Osservatorio regionale del Piemonte sotto la guida di Federica Laudisa, i borsisti abbandonano gli studi universitari il 13 per cento di volte in meno dei non borsisti e conseguono in media 13 crediti formativi in più ogni anno rispetto ai non borsisti;
    anche sul fronte delle contribuzioni alle università da pagare da parte degli studenti (le cosiddette tasse universitarie), le università italiane si dimostrano alquanto esose con i loro studenti: per entità delle tasse pagate dagli studenti, l'Italia è al terzo posto in Europa dopo la Gran Bretagna e l'Olanda, con poco meno di 2.000 euro annui in media, mentre in molti Paesi europei, tra cui la Germania e tutte le nazioni scandinave, l'istruzione universitaria è gratuita o quasi;
    il risultato è che nel nostro Paese le condizioni economiche e culturali delle famiglie di origine pesano molto più che in altri sul successo scolastico e sul reddito dei figli: ad esempio, il rapporto annuale dell'ISTAT valuta che il livello professionale del capo famiglia e la proprietà della casa di abitazione porta ai figli un vantaggio reddituale del 14 per cento in Italia a fronte dell'8 per cento in Francia, mentre il figlio di un genitore laureato dispone in Italia di un reddito mediamente superiore del 29 per cento al figlio di genitori con la licenza media;
    riguardo, infine, all'efficacia sociale di possedere un titolo di studio universitario, non solo i laureati hanno una speranza di vita maggiore di 3,8 anni rispetto a chi ha raggiunto solo la licenza media, ma, nonostante la lunga crisi economica globale, hanno ancora oggi occasioni di occupazione e livello di reddito ben maggiori dei diplomati; ad esempio, il rapporto annuale dell'ISTAT certifica che nel 2007 la disoccupazione nella fascia 25-34 anni era del 9,5 per cento tra i laureati ma del 13,1 per cento tra i diplomati, mentre nel 2014 (dopo sette anni di crisi) ambedue le percentuali erano molto cresciute attestandosi al 17,7 per cento per i laureati, ma ben al 30 per cento per i diplomati;
    dati simili sono forniti anche dal XVIII Rapporto Almalaurea che indica nel 67 per cento il tasso di occupazione dei laureati magistrali a un anno dal conseguimento del titolo, in piccola ripresa dopo la lunga crisi che lo ha fatto scendere dall'82 per cento del 2008 al 66 per cento del 2014;
    il XXI rapporto sulle retribuzioni, pubblicato recentemente dal gruppo privato «OD&M Consulting», mostra altresì che il neolaureato in ingresso guadagna di più di un lavoratore senza laurea con alle spalle già 3-5 anni di anzianità; inoltre, il titolo di laurea mitiga anche il differenziale retributivo tra uomini e donne rispetto a quello presente tra i non laureati;
    i dati esposti nelle premesse, provenienti da agenzie internazionali e da accurate ricerche, acclarano dunque il fatto che l'Italia soffre di un serio ritardo nella diffusione della formazione universitaria nella popolazione, sia in generale, sia nella fascia più giovane, e che non si registrano purtroppo segnali di inversione di tendenza e di recupero;
    gli stessi dati evidenziano ancora una volta il profondo divario sociale ed economico che caratterizza le regioni italiane: a pagare il prezzo più elevato di questo depauperamento di capitale umano sono le regioni del Mezzogiorno, continentali e insulari, dove si registra la diminuzione più marcata di immatricolati e i flussi più significativi di mobilità giovanile unidirezionale verso le altre regioni, ma non mancano segni di difficoltà anche nelle aree interne e marginali del Settentrione e del Centro;
    nonostante la ripresa sia stata finalmente agganciata dopo la lunga crisi globale, grazie alle politiche del Governo sul mercato del lavoro e ad altre specifiche scelte di natura sociale ed economica per incrementare la domanda interna, occorre anche tener conto che la disuguaglianza nella distribuzione del reddito è aumentata nel primo decennio del secolo e quindi sembra opportuno realizzare interventi redistributivi che incidano, in particolare, sui meccanismi che conducono alla formazione dei redditi primari e, quindi, aiutino gli individui a dotarsi di capacità meglio remunerate sul mercato del lavoro, come, ad esempio, tutte le politiche dell'istruzione;
    ciò che è stato realizzato nell'ambito scolastico con gli ingenti investimenti e le riforme messe in campo dalla legge n. 107 del 2015, deve ora essere esteso alla formazione post-secondaria, in quanto conseguire un titolo di studio superiore non solo permette di realizzare l'apprezzabile obiettivo di una società forte di competenze di cittadinanza, competitiva e dinamica, ma porta evidenti vantaggi ai singoli cittadini interessati;
    occorre, dunque, rimuovere gli ostacoli che si frappongono al raggiungimento di quest'obiettivo, agendo sia sul lato del diritto allo studio che su quello della contribuzione universitaria per dare supporto alle famiglie di studenti universitari che devono affrontare i costi degli studi: la gracilità degli attuali sistemi determina una perdita netta di talenti e di opportunità, individuali e per l'intero Paese, e perpetua l'immobilità sociale ed economica, la rigidità delle rendite di posizione e la sclerosi delle corporazioni di cui soffre l'Italia;
    in questo ambito, una particolare attenzione deve essere rivolta alle sperequazioni esistenti tra le diverse aree territoriali del Paese, a danno soprattutto delle regioni meridionali e delle aree interne e marginali, che sono probabilmente tra le cause delle gravi difficoltà economiche e sociali di queste aree e della loro maggiore difficoltà di ripresa;
    a seguito dell'entrata in vigore delle norme del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013, lo Stato dispone adesso di uno strumento raffinato ed efficace, l'indicatore della situazione economica equivalente o ISEE, per valutare il reddito e il patrimonio di chi richiede di accedere alle prestazioni sociali, in particolare delle famiglie degli studenti universitari, ai quali è specificamente destinato l'articolo 8 del sopra citato provvedimento;
    a seguito dell'entrata in vigore del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 893 del 2014, è entrato in funzione nel 2015 uno strumento introdotto dalla legge n. 240 del 2010, cioè il costo standard per studente, che è certamente un metodo molto innovativo e trasparente per ripartire una parte della quota base del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, metodo certamente da consolidare e potenziare dopo aver provveduto ad individuare e a correggere gli aspetti che si fossero rivelati più deboli rispetto agli obiettivi e alle prescrizioni della legge;
    tra gli aspetti del costo standard per studente che si sono rivelati più problematici vi sono:
     a) la quantificazione dei costi degli studenti in ritardo, inclusi gli studenti part-time, rispetto all'attuale sistema on-off (1 gli studenti in corso, 0 gli studenti in ritardo, cioè «fuori corso»);
     b) l'addendo perequativo, che dovrebbe essere per legge commisurato ai differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali in cui opera l'università, ma che nel 2015 ha pesato per una percentuale minima sul costo standard totale: meno del 6 per cento per la Sicilia, circa del 3 per cento per la Sardegna, rispetto alla Lombardia;
     c) la dimensione delle classi ottimali, uniforme in tutta Italia in modo indipendente dai territori e quindi dalle diverse densità di popolazione e disponibilità di infrastrutture per la mobilità e l'ospitalità degli studenti, che si riflette pesantemente sul finanziamento assegnato alle università con corsi di studio di dimensioni sub-ottimali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per stabilizzare definitivamente il fondo integrativo per il diritto allo studio al valore stanziato per il 2016 dall'ultima legge di stabilità, come primo passo per consolidare il diritto allo studio universitario e per garantire la borsa di studio a tutti gli idonei, con l'obiettivo di una crescita graduale del fondo per raggiungere almeno i valori medi europei;
   ad adottare quanto prima, superando la normativa pregressa che risale al 2001, il decreto ministeriale previsto dall'articolo 7, comma 7, del decreto legislativo n. 68 del 2012, con un duplice obiettivo: da un lato, aggiornare e rendere maggiormente omogenei a livello nazionale i requisiti di merito dello studente e di reddito e patrimonio della famiglia (cioè il valore ISEE) per accedere alle prestazioni del diritto allo studio universitario; da un altro lato, stabilire i criteri di ripartizione del fondo integrativo statale sulla base dei fabbisogni regionali e rendere altresì vincolante per le regioni lo stanziamento di risorse proprie, oltre al gettito della tassa regionale per il diritto allo studio, in misura pari ad almeno il 40 per cento del fondo integrativo ricevuto, come già stabilito dall'articolo 18, comma 1, del sopra citato decreto legislativo;
   a valutare l'opportunità di intraprendere — nel rispetto dell'autonomia delle università statali — iniziative normative volte a modificare la disciplina attualmente vigente sulla contribuzione studentesca alla università statali stabilendo un'area di reddito entro cui lo studente sia esente dal pagamento della contribuzione (fascia no-tax) per tutti gli studenti con ISEE al di sotto di una determinata soglia, garantendo al tempo stesso un adeguato ristoro delle minori entrate delle università;
   ad assumere iniziative per disporre che, relativamente alle regioni dell'ex-obiettivo convergenza, una quota del fondo di sviluppo e coesione previsto dal decreto legislativo n. 88 del 2011 sia destinata alle università a parziale compensazione del basso gettito che deriva loro da una più vasta platea di studenti che non pagano contribuzioni o pagano importi molto ridotti per ragioni di basso reddito familiare;
   a stabilizzare su base pluriennale le cifre e i criteri di allocazione e di ripartizione del fondo di finanziamento ordinario delle università statali, al fine di consentire agli atenei una migliore programmazione delle risorse finanziarie sulla base di obiettivi nazionali condivisi e noti ex ante;
   a valutare la possibilità di aggiornare il modello di calcolo del costo standard dello studente, in particolare per quanto riguarda: l'addendo perequativo, per tener meglio conto, come prescrive la legge n. 240 del 2010; dei «differenti contesti economici, territoriali e infrastrutturali» in cui operano le università; il numero di studenti (regolari, in ritardo e part-time) da ponderare con maggiore gradualità; le dimensioni ottimali dei corsi di studio articolandole rispetto alle classi di corsi di laurea, ai contesti territoriali e alle tipologie di studenti;
   ad adottare idonee iniziative per garantire, almeno a livello regionale, la presenza di corsi di studio in grado di soddisfare le diverse esigenze culturali e di formazione degli studenti, con particolare riferimento ad ambiti scientifici specialisti o settoriali, alle tradizioni disciplinari e alle vocazioni territoriali;
   ad assumere iniziative, per quanto di competenza, per ampliare e pluralizzare l'offerta formativa universitaria e per rafforzare le attività di orientamento pre-universitario per contrastare il fenomeno del calo delle iscrizioni e soprattutto degli abbandoni precoci, con particolare riguardo agli studenti del Mezzogiorno e tenendo anche conto delle caratteristiche e delle aspirazioni dei diplomati degli istituti tecnici e professionali.
(1-01312) «Ghizzoni, Pisicchio, Vezzali, Santerini, Buttiglione, Coscia, Molea, Covello, Dallai, Piccoli Nardelli, Ascani, Blazina, Bonaccorsi, Carocci, Coccia, Crimì, D'Ottavio, Iori, Malisani, Malpezzi, Manzi, Narduolo, Pes, Rampi, Rocchi, Sgambato, Ventricelli, Vico, Paola Boldrini, Iacono, Binetti».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni I e IV,
   premesso che:
    l'articolo 8, comma 1, lettera a) della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante: «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», delega il Governo ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della stessa legge, agosto 2016, uno o più decreti legislativi per modificare la disciplina della Presidenza del Consiglio dei ministri, dei Ministeri, delle agenzie governative nazionali e degli enti pubblici non economici nazionali;
   tra i principi e criteri direttivi da rispettare nell'esercizio della delega, con riferimento all'amministrazione centrale e a quella periferica, vi sono le modificazioni agli ordinamenti del personale delle forze di polizia, in aderenza al nuovo assetto funzionale e organizzativo, anche attraverso la revisione della disciplina in materia di reclutamento, di stato giuridico e di progressione in carriera tenendo conto del merito e delle professionalità, nell'ottica della semplificazione delle relative procedure, prevedendo l'eventuale unificazione, soppressione ovvero istituzione di ruoli, gradi e qualifiche e la rideterminazione delle relative dotazioni organiche, comprese quelle complessive di ciascuna forza di polizia, in ragione delle esigenze di funzionalità e della consistenza effettiva alla data di entrata in vigore della presente legge, ferme restando le facoltà assunzionali previste alla medesima data, nonché assicurando il mantenimento della sostanziale equiordinazione del personale delle forze di polizia e dei connessi trattamenti economici, anche in relazione alle occorrenti disposizioni transitorie, fermi restando le peculiarità ordinamentali e funzionali del personale di ciascuna forza di polizia;
    il comma 4-bis, dell'articolo 7, del decreto-legge n. 185 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 9 del 2016, reca una novella all'articolo 1, comma 5, della legge delega per la revisione dello strumento militare (legge n. 244 del 2012), aggiungendo la previsione in base alla quale una quota parte non superiore al 50 per cento dei risparmi di spesa di parte corrente di natura permanente derivanti da tale revisione, deve essere impiegato per adottare ulteriori disposizioni integrative entro il 1o luglio 2017, al fine di assicurare la sostanziale equiordinazione delle Forze armate e delle forze di polizia;
    il tema del riordino delle carriere è uno dei temi più importanti per gli appartenenti alle forze del comparto sicurezza-difesa,

impegnano il Governo:

   ad aprire un confronto diretto con i rappresentanti del comparto sicurezza-difesa;
   ad assumere iniziative normative volte:
    a) ad affrontare il problema dell'allineamento delle distinte deleghe tra Forze armate e forze di polizia, in modo da permettere una effettiva equiordinazione tra gli operatori dei diversi comparti rispettando il principio di specificità del settore,
    b) a stanziare le opportune risorse, senza le quali non ci potrà essere un vero riordino delle funzioni e delle carriere del personale.
(7-01030) «Vito, Centemero, Palmizio, Gregorio Fontana, Secco».


   Le Commissioni III e VIII,
   premesso che:
    il 18 maggio 2016, si è tenuta alla Farnesina la Prima Conferenza Ministeriale Italia – Africa, organizzata dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, in collaborazione con l'Istituto per gli studi di politica internazionale (ISPI). La conferenza ha riunito a Roma i governi di oltre 50 Paesi africani, i loro rappresentanti permanenti presso l'Onu a New York e i responsabili di circa 15 tra organizzazioni internazionali del sistema delle Nazioni Unite e organizzazioni regionali;
    la Conferenza ha messo sul tavolo argomenti centrali per l'Africa, come la sostenibilità economica e socio-ambientale, le migrazioni, la pace e la sicurezza. Dal punto di vista dei leader africani, il tema più sentito è quello della cooperazione economica;
    durante la Prima conferenza ministeriale Italia – Africa il Presidente del Consiglio dei ministri ha dichiarato «Abbiamo nostalgia del futuro perché vediamo l'Africa non come una minaccia, ma come la più grande opportunità per l'Europa. A noi questo rapporto preme non solo per una questione etica e di giustizia. Ma anche per una visione politica e strategica.[...] «Chi pensa di risolvere costruendo muri non si accorge che sta solo imprigionando se stesso. Dobbiamo fare di più, innanzitutto a livello economico. Siamo disponibili a fare grandi investimenti dal punto di vista tecnologico, energetico e delle pmi. Dobbiamo investire negli scambi culturali e puntare sulle infrastrutture (...) le dighe, sì, ma anche la banda larga»;
    come già sottolineato nelle premesse della risoluzione n. 6-00176, a prima firma del deputato De Rosa, l'agricoltura industriale incide negativamente sul cambiamento climatico, facendo uso di sistemi meccanizzati ad alta intensità energetica e a combustibili fossili e, a sua volta, ne è influenzata, visto che le monocolture geneticamente omogenee, su cui si basa, non sono resilienti; diversamente, i sistemi di gestione agroecologici – varietà di tecniche agricole, come agricoltura biologica, sinergica, sostenibile o permacultura –, basandosi sul rispetto della biodiversità, sull'efficienza dei processi biologici e sulla diversificazione dei sistemi di produzione, rappresentano un modello alternativo sostenibile, socialmente equo, resiliente ai cambiamenti climatici; con riferimento alla risorsa acqua, gli effetti più evidenti del surriscaldamento globale consistono in una progressiva riduzione delle precipitazioni, accompagnata da una marcata accentuazione degli eventi estremi di breve durata con conseguente alternanza di piogge alluvionali e prolungate siccità e con tutto ciò che questo comporta per il dissesto idrogeologico e la carenza di acqua rispetto al fabbisogno; a causa dei frequenti quanto repentini cambiamenti delle condizioni climatiche si assiste a un progressivo intensificarsi dei fenomeni di dissesto e instabilità dei versanti (su 712.000 frane censite in Europa nel 2012, 486.000 ricadono nel territorio italiano e di cui oltre l'80 per cento è localizzato nei territori montani), con gravi problemi di sicurezza, incolumità pubblica e di tutela e mantenimento degli equilibri ecologici; secondo recenti studi delle Nazioni Unite i cambiamenti climatici possono intensificare o generare conflitti per risorse quali cibo, acqua, terre da pascolo, e potrebbero divenire, in un futuro non troppo remoto, la causa principale degli spostamenti di popolazione, sia all'interno che all'esterno dei confini nazionali; il dramma dei rifugiati climatici è sempre più preoccupante, determinato dalla stretta relazione tra degrado ambientale, mutamenti climatici e contesto socio-economico. Per il Rapporto dell’Internal Displacement Monitoring Centre pubblicato nel 2013, di oltre 32 milioni di persone costrette alla mobilità per effetto di disastri naturali, il 98 per cento sono profughi climatici e provenienti da Paesi poveri; nel 2060, il Programma delle Nazioni Unite sull'ambiente (UNEP) prevede che solo in Africa ci saranno circa 50 milioni di profughi climatici e che gli sviluppi connessi al clima in alcune aree dell'Africa potrebbero contribuire a un inasprimento della crisi dei profughi nel Mediterraneo;
    come già premesso dalla risoluzione Spadoni n. 7-00791, a prima firma della deputata nei Paesi in via di sviluppo, dal 2001, circa 227 milioni di ettari di terre sono state vendute o affittate a investitori internazionali; secondo le ricerche effettuate dalla Land Matrix Partnership, la maggior parte di queste acquisizioni di terreni è avvenuto negli ultimi due anni e l'incremento recente degli accordi di acquisizione delle terre può essere spiegata a seguito della crisi dei prezzi alimentari del biennio 2007/8, dopo il quale investitori e governi hanno ricominciato a interessarsi all'agricoltura dopo decadi di indifferenza; questo interesse nasconderebbe cause importanti: le terre acquisite sono destinate alla produzione di cibo per l'esportazione o di biocarburanti. In questi e molti altri casi si può parlare di «accaparramento di terre» o land grabbing; la definizione più citata di land grabbing è quella che emerge dalla Dichiarazione di Tirana, siglata da governi, organizzazioni internazionali e gruppi della società civile che hanno preso parte a una grande conferenza sulle regolamentazioni dei diritti fondiari nel maggio del 2011: «acquisizioni o concessioni di terra ... (i) in violazione di diritti umani, in particolare i pari diritti delle donne; (ii) non basate sul consenso libero, preventivo e informato di chi utilizza quella terra; (iii) non basate su una valutazione rigorosa, o che non tengono conto degli impatti sociali, economici e ambientali, inclusa la loro dimensione di genere; (iv) non basate su contratti trasparenti che specificano impegni chiari e vincolanti sulle attività, i posti di lavoro e la condivisione dei benefici; (iv) non basate su una pianificazione efficace e democratica, su una supervisione indipendente e su una partecipazione significativa di tutti gli attori»;
    essendo la scarsità delle risorse un nuovo fronte per l'economia, i capitali e chi li controlla sono già entrati in competizione per l'accaparramento e la speculazione sulle risorse naturali. Il modello di crescita illimitata ha reso tali risorse non solo scarse, ma ne ha anche compromesso la qualità. Le élites finanziarie stanno avviando un processo di finanziarizzazione delle risorse naturali al fine di creare nuove classi di asset finanziari basati su nuove commodity fittizie (habitat, specie, biodiversità) che complementino quelle esistenti. Questo approccio produrrà anche una nuova ondata di partnership finanziarie pubblico-private, spesso per il finanziamento delle infrastrutture fisiche e finanziarie, che aumenteranno la mercificazione dei beni comuni;
    il 28 luglio 2010 l'Organizzazione delle Nazioni Unite (ONU) ha votato una dichiarazione nella quale: Dichiara il diritto all'acqua potabile e sicura ed ai servizi igienici un diritto umano essenziale al pieno godimento della vita e di tutti i diritti umani;
    invita gli Stati e le organizzazioni internazionali a fornire risorse finanziarie, competenze e tecnologie, attraverso l'assistenza e la cooperazione internazionale in particolare verso i Paesi in via di sviluppo, al fine di incrementare gli sforzi per fornire acqua potabile sicura, pulita, accessibile e disponibile e servizi igienico-sanitari per tutti;
    l'acqua è una risorsa vitale, alla base della catena alimentare da cui dipendono, per qualità e quantità, lo stato di salute degli esseri viventi e l'equilibrio ecosistemico: la sua gestione è cruciale ai fini della sicurezza idrica. Quest'ultima, al centro del dibattito scientifico e politico, può assumere significati diversi e riferirsi a differenti scale spaziali: disponibilità idrica; vulnerabilità al rischio; sostenibilità e bisogni umani con riferimento all'accesso e alla sicurezza alimentare, collegata anche ai cambiamenti climatici. Tale aspetto assume particolare interesse per l'accresciuta vulnerabilità della regione del Mediterraneo e le conseguenti tensioni fra gli attori sociali, politici ed economici. Del resto, anche la Relazione sulla politica dell'informazione per la sicurezza del 2011 annovera i mutamenti climatici e la scarsità di risorse idriche fra i nuovi fronti di minaccia argomentando come «la scarsità delle risorse idriche quale fattore limitante dello sviluppo, suscettibile di ridisegnare alcuni scenari di politica internazionale, si riflette nel contempo sulla disponibilità delle risorse alimentari»;
    i dati dell'Onu dicono che la popolazione mondiale cresce di circa 80 milioni di persone ogni anno, e che, secondo le previsioni, raggiungerà i 9,1 miliardi entro il 2050; di questi, 2,4 miliardi vivranno in Africa subsahariana e i cambiamenti climatici non potranno che esacerbare i rischi associati alle variazioni della distribuzione e della disponibilità delle risorse idriche;
    secondo le stime, il 20 per cento delle falde acquifere mondiali è sovrasfruttato con gravi conseguenze tra cui fenomeni di subsidenza e intrusione di acqua salata;
    le perdite economiche dovute ai rischi causati dall'acqua sono fortemente cresciute nell'ultimo decennio. Dal 1992 a oggi, inondazioni, siccità e tempeste hanno condizionato la vita di 4,2 miliardi di persone (il 95 per cento di tutte le persone colpite da una qualunque catastrofe naturale), causando danni per 1,3 trilioni di dollari americani (pari al 63 per cento del totale dei danni causati);
    gli investimenti in infrastrutture idriche rivestono fondamentale importanza per dispiegare appieno il potenziale di crescita nelle fasi iniziali dello sviluppo economico di un paese. Con la riduzione dei vantaggi marginali dell'ulteriore sviluppo, si rende necessario spostare gradualmente l'attenzione verso la costruzione di capacità umane e istituzionali volte al miglioramento dell'efficienza e della sostenibilità idrica e in grado di garantire un maggiore sviluppo economico e sociale. Ma tali investimenti devono essere indirizzati verso politiche di generazione del reddito per i piccoli produttori al fine di stimolare la crescita economica nelle zone rurali. A titolo di esempio, il tasso interno di rendimento sugli investimenti dei progetti di irrigazione su vasta scala in Africa centrale è pari al 12 per cento, mentre per gli investimenti in progetti di irrigazione di piccola scala nel Sahel il tasso è pari al 33 per cento (UN-Water, 2013);
    le grandi infrastrutture, come ad esempio le dighe, possono comportare una perdita della biodiversità e il degrado dei servizi ecosistemici, pur dipendendo spesso proprio da questi ultimi per mantenere i propri livelli prestazionali. La sfida consiste nel gestire le risorse idriche in modo da conservare un mix vantaggioso di infrastrutture naturali e artificiali e la fornitura dei relativi servizi;
    l'elemento portante di numerose economie africane è l'agricoltura, fortemente dipendente da una pluviometria imprevedibile e fortemente variabile e solamente il 5 per cento dei terreni coltivabili africani viene irrigato;
    la regione è sempre più dipendente dalle importazioni. Nel 2011 i Paesi africani hanno speso 35 miliardi di dollari americani per l'importazione di alimenti (ad eccezione del pesce), mentre la quota di commercio intra-africano è inferiore al 5 per cento (Africa Progress Panel, 2014);
    è sicuramente un dato appurato che favorire il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli dell'Africa Sub sahariana, riducendo gli impatti derivanti dai disastri ambientali dovuti al cambiamento climatico, avrà effetti positivi anche sulla riduzione del numero dei profughi climatici,

impegnano il Governo:

   ad assumere iniziative per favorire il miglioramento delle condizioni di vita dei popoli dell'Africa sub-sahariana, riducendo gli impatti derivanti dai disastri ambientali dovuti al cambiamento climatico, con il fine di generare effetti positivi anche sulla riduzione del numero dei profughi climatici;
   a favorire la cooperazione economica tra l'Italia e l'Africa finalizzata allo sviluppo di piccole e medie imprese e alla diversificazione dell'economia africana in modo da poter creare più posti di lavoro soprattutto per i giovani, con conseguenze positive anche rispetto al contrasto delle capacità di aggregazione dell'estremismo islamico;
   ad adoperarsi, nelle opportune sedi europee e a livello nazionale, affinché sia promossa la coerenza delle politiche con gli obiettivi di sviluppo, garantendo che politiche settoriali come quelle commerciali, di investimento, agricole, energetiche e climatiche non finiscano per promuovere forme di «accaparramento» della terra;
   a dare crescente supporto ai Paesi africani, attraverso l'attivazione di specifici programmi di cooperazione internazionale finalizzati al trasferimento tecnologico e di conoscenze, affinché vengano poste le basi per la creazione di modelli di sviluppo sostenibile liberi dalla dipendenza delle fonti fossili;
   a promuovere la gestione sostenibile del suolo nelle aree soggette a migrazione attraverso meccanismi atti a salvaguardare e migliorare l'agricoltura locale, attraverso pratiche sostenibili, resilienti e, allo stesso tempo, efficienti e socialmente eque, in grado di sostenere le sfide ambientali e alimentari future;
   a favorire forme di cooperazione tra i piccoli produttori italiani e quelli africani, attraverso scambi di buone pratiche ed esperienze col fine di promuovere una agricoltura sostenibile sia per la produzione alimentare, che per il ruolo fondamentale nella mitigazione dei cambiamenti climatici e dei danni naturali, promuovendo, a livello normativo e finanziario, lo sviluppo di politiche agricole più sostenibili e incoraggiando le comunità locali a gestire la produzione e il consumo delle proprie risorse nell'ottica degli obiettivi ambientali;
   a promuovere progetti di sostegno all'accesso all'acqua e ai servizi igienico-sanitari, gestiti attraverso forme di cooperazione decentrata e partecipata dalle comunità locali dei Paesi di erogazione e dei Paesi di destinazione, con l'esclusione di qualsiasi profitto o interesse privatistico, e ad assumere iniziative per riconsiderare invece gli investimenti previsti in grandi opere infrastrutturali come le dighe che sono in fase di progettazione nel continente africano e che avranno un forte impatto ambientale e antropologico in termini di biodiversità e diritti dei popoli indigeni;
   a sostenere i progetti di cooperazione che includano attività di formazione, di microcredito e di «capacity building» nel comparto ingegneristico e in settori tecnici e manifatturieri di alta specializzazione, a sostegno della piccola e media impresa.
(7-01029) «Daga, Scagliusi, Terzoni, Mannino, Zolezzi, Busto, De Rosa, Micillo, Vignaroli, Spadoni, Del Grosso, Di Battista, Manlio Di Stefano, Grande, Sibilia».


   La III Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 77, paragrafo 2, lettera a), del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) ha stabilito la competenza dell'Unione europea sulla politica comune dei visti e di altri titoli di soggiorno di breve durata;
    il regolamento (CE) n. 539/2001 del Consiglio, più volte modificato, norma gli obblighi e le esenzioni dall'obbligo per i visti relativi ai soggiorni di breve durata per i cittadini di Paesi terzi che entrano. Il regolamento contiene un elenco dei Paesi terzi i cui cittadini devono essere in possesso di un visto o sono esenti dall'obbligo del visto all'atto dell'attraversamento della frontiera esterna dell'Unione europea;
    il visto per soggiorno di breve durata rilasciato da uno dei paesi dello spazio Schengen dà diritto a viaggiare in tutti i 26 Stati Schengen per soggiorni di non più di 90 giorni in, un periodo di 180 giorni;
    l'articolo 1 del regolamento (CE) n. 539/2001, introdotto dal regolamento (UE) n. 509/2014, stabilisce i criteri secondo cui si determina la decisione riguardate la permanenza o l'esenzione dei visti. Ci si riferisce in particolare «all'immigrazione clandestina, all'ordine pubblico e alla sicurezza, ai vantaggi economici, segnatamente in termini di turismo e commercio estero, e alle relazioni esterne dell'Unione con i Paesi terzi in questione, includendo anche considerazioni relative ai diritti umani e alle libertà fondamentali, nonché tenendo conto delle implicazioni di coerenza regionale e reciprocità». Parimenti importante risulta essere in questo contesto la sicurezza dei documenti di viaggio emessi dagli stessi Paesi terzi;
    come noto lo spazio e la cooperazione Schengen, che prendono origine e nome dal trattato di Schengen del 1985 e che sono successivamente stati integrati nel quadro legislativo dell'Unione europea attraverso il trattato di Amsterdam del 1997, istituiscono un territorio dove la libera circolazione delle persone è garantita attraverso l'abolizione delle frontiere interne e la sostituzione di queste con un'unica frontiera esterna. All'interno dello spazio Schengen sono stabilite regole e procedure comuni in materia di visti, soggiorni brevi, richieste d'asilo e controlli alle frontiere. Pertanto risulta evidente come l'esenzione dall'obbligo di visto comporta una totale e incondizionata possibilità di muoversi ed operare all'interno di tutti i 26 Stati attualmente aderenti allo spazio Schengen;
    la Georgia, l'Ucraina, il Kosovo e la Turchia figurano attualmente nell'allegato I del regolamento (CE) n. 539/2001, ovvero tra Paesi i cui cittadini devono essere in possesso del visto per entrare nel territorio dell'Unione europea;
    con quattro diverse proposte (COM(2016) 142 final; COM(2016) 236 final; COM(2016) 279 final; COM(2016) 277 final) il 4 maggio 2016 la Commissione europea ha proposto la liberalizzazione dei visti per, rispettivamente, Georgia, Ucraina, Turchia e Kosovo;
    il consiglio giustizia e affari interni del 9-10 giugno 2016 ha espresso forti perplessità sulla proposta, rimandando però la decisione a successive decisioni e formazioni del Consiglio. Alcune notizie apparse sulla stampa internazionale annoverano l'Italia tra gli Stati membri che, durante il suddetto incontro, si sono schierati contro la proposta;
    negli ultimi studi pubblicati e condotti al fine di valutare l'opportunità di liberalizzare i visti, la stessa Commissione europea ha sottolineato che né la Turchia né il Kosovo sono riusciti a raggiungere tutti i requisiti che l'Unione aveva posto agli stessi come necessari al fine di ottenere il nulla osta alla liberalizzazione. Appare pertanto singolare che nonostante la stessa istituzione certifichi ufficialmente il non rispetto di tutte le condizioni necessarie alla liberalizzazione, proponga comunque di continuare l’iter delle suddette proposte;
    come riportato in diverse analisi, svolte sia da autorevoli riviste di geopolitica quali Limes che da agenzie dell'UNHCR, gli Stati per cui la Commissione ha richiesto la liberalizzazione dei visti sono da considerarsi Paesi a democrazia debole, con istituzioni democratiche instabili e giovani, che con facilità potrebbero sfociare nel centralismo. Al contempo i suddetti studi rilevano alti livelli di corruzione, infiltrata a tutti i livelli sia nel settore pubblico e governativo, che comunemente diffusa;
    testimonianze ed analisi riportano anche una situazione complessa sotto il profilo della tutela dei diritti. Solo per citare alcuni esempi è risaputo come in Turchia sia assente la libertà di stampa e le violazioni in tal senso sono rilevanti e all'ordine del giorno. Ancora, in Ucraina al termine del conflitto bellico, il rapporto del commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa ha messo in evidenza una situazione drammatica, di torture e di esecuzioni collettive, oltre che di condizioni vitali e igienico-sanitarie particolarmente serie per i sopravvissuti e gli sfollati. Inoltre, si segnala da più parti una situazione politica interna confusa e difficoltà nel controllo delle pratiche volte a rilasciare i passaporti, con particolare riferimento agli abitanti degli Oblast di Donbass e Luhansk. In Georgia e in Turchia sono state dimostrate manchevolezze in tema di diritti umani, con trattamenti inumani e degradati subiti dai migranti da parte delle stesse autorità nazionali;
    la Turchia, nonostante la sua posizione strategica, ha in più occasioni mantenuto un rapporto ambiguo in relazione alla lotta al terrorismo dell'ISIS. È infatti dimostrato, ad esempio, come attraverso la sua frontiera con la Siria si assista ad un intenso transito di foreign fighters. Diverse fonti giornalistiche ritengono addirittura che si possa parlare di un aperto sostegno turco ai miliziani dell'ISIS. In ogni caso appare evidente, anche solo per la comprovata impossibilità della Turchia a controllare e rendere sicure le proprie frontiere, in particolare con la Siria, che la liberalizzazione dei visti incrementerebbe il pericolo di infiltrazioni terroristiche, complicando anche i lavori di intelligence;
    il problema dei flussi migratori, che si impone ogni giorno nelle cronache e nelle discussioni politiche internazionali per la sua importanza e gravità, comporta anche la necessità di valutare attentamente il tema della libertà di circolazione delle persone, in considerazione dell'elevato numero di individui che attraversano giornalmente il Mediterraneo o altri Paesi per raggiungere luoghi più sicuri rispetto a quelli di origine. I numeri, di difficile stima, sono in ogni caso rilevanti. L'Italia, ad esempio, è interessata soprattutto dal transito dalla Romania (circa 1.081.400), Albania (495.709), Bulgaria (54.932), Serbia (46.958), Kosovo (46.468). Questi Stati, insieme con la Turchia, rappresentano i maggiori Paesi di transito per i migranti. Le cause dell'entità di questi flussi possono essere ritrovate anche negli scarsi controlli effettuati alle partenze e ai confini, favorendo così anche la diffusione della criminalità. D'altra parte, la speranza per molte persone di sfuggire alle barbarie e alla atrocità perpetrate nei rispettivi Stati d'origine alimenta anche un fenomeno di sfruttamento, che a sua volta rafforza meccanismi di corruzione e di criminalità organizzata, che va dalla predisposizione di viaggi dall'esito incerto ed economicamente eccessivi alla falsificazione dei documenti necessari per ottenere il visto d'ingresso;
    l'abolizione dei visti come proposta attualmente dalla Commissione europea rischia pertanto di far perdere il controllo sul fenomeno migratorio irregolare e di diffondere le reti criminali che lo alimentano, oltre che favorire il transito irregolare e del tutto illegale, senza più alcun controllo esterno, nel territorio dell'Unione europea,

impegna il Governo

ad opporsi alla proposta di liberalizzazione dei visti per soggiorno di breve durata dei cittadini di Georgia, Kosovo, Ucraina e Turchia, come recentemente proposto dalla Commissione europea, in ciascuna delle appropriate sedi istituzionali ed in particolare in sede di Consiglio europeo, così come in ogni formazione del Consiglio interessata.
(7-01028) «Manlio Di Stefano, Luigi Di Maio, Battelli, Fraccaro, Petraroli, Baroni, Di Battista, Del Grosso, Grande, Sibilia, Spadoni, Scagliusi, Castelli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Garante dell'infanzia e dell'adolescenza della regione Campania, Cesare Romano, presentando una ricerca a Napoli fatta a campione sugli ambiti territoriali e su alcuni comuni (circa 45), stima in oltre 200 i casi di maltrattamenti, abusi, incesti e violenze in famiglia nei confronti di minori, perpetrati soprattutto ai danni di bambine tra i 6 e i 10 anni;
   emerge dalla ricerca che, a seguito di testimonianze dirette e indirette, sono moltissime le zone in quartieri critici del napoletano, come Salicelle, Afragola, Madonnelle, Acerra e Caivano, dove l'abuso sessuale e l'incesto sono la consuetudine;
   l'indagine svolta dal Garante, che si riferisce al periodo 2013-2014, ha interessato 45 comuni e stima che i dati emersi siano probabilmente inferiori ai dati reali molto difficili da quantificare poiché le vittime sono bambini e bambine legati da vincoli familiari ai loro aguzzini –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se non si ritenga urgente mettere in campo tutte le possibili iniziative per evitare il perpetrarsi di tali gravissimi fenomeni ai danni di minori e soprattutto per prevenire e contrastare un fenomeno che è una vera piaga sociale;
   se non si ritenga di dover mettere in atto tutte le iniziative possibili al fine di consentire, nella massima sicurezza un sostegno alle vittime per denunciare gli abusi;
   se non si ritenga di dover avviare un monitoraggio in tutte le regioni con l'obiettivo di pervenire a una raccolta di dati in modo da ottenere una mappatura generale che consenta di mettere in atto iniziative per il contrasto degli abusi sessuali e maltrattamenti in famiglia a danni dei minori. (4-13555)


   SCOTTO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FOLINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PELLEGRINO, PIRAS, PLACIDO, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO, ZARATTI e ZACCAGNINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 9, comma 1, della legge 22 febbraio 2000, n. 28, recante Disposizioni per la parità d'accesso ai mezzi d'informazione durante le campagne elettorali e referendarie e per la comunicazione politica, a far data dalla convocazione dei comizi e fino alla chiusura delle operazioni di voto «è fatto divieto a tutte le amministrazioni pubbliche di svolgere attività di comunicazione ad eccezione di quelle effettuate in forma impersonale ed indispensabili per l'efficace assolvimento delle proprie funzioni»;
   come ribadito in più occasioni dalla Corte Costituzionale, il divieto di cui all'articolo 9 della legge n. 28 del 2000 è direttamente destinato alle amministrazioni pubbliche intese come enti e organi e non già come i singoli soggetti che ne esercitano le funzioni, e «mira ad evitare che la comunicazione istituzionale delle amministrazioni venga piegata ad obiettivi elettorali, promuovendo l'immagine dell'ente, dei suoi componenti o di determinati attori politici, in violazione degli obblighi di neutralità politica degli apparati amministrativi (articolo 97 Costituzione), della necessaria parità di condizione fra i candidati alle elezioni e della libertà di voto degli elettori (articolo 48 Costituzione)»;
   come è emerso di recente da alcuni articoli di stampa (Panorama, n. 24, 15 giugno 2016), il Presidente del Consiglio Matteo Renzi avrebbe avviato le procedure per la costituzione della cosiddetta «Bestia», ovverosia quella che sembrerebbe configurarsi come una struttura parallela apparentemente operante presso le strutture della Presidenza del Consiglio dei ministri con il mero obiettivo di dirigere e orchestrare la propaganda politica elettorale in vista del referendum costituzionale, al di fuori, dunque, di ogni logica istituzionale;
   detta «Bestia» risulterebbe costituita da tre teste. Una politica, costituita da un gruppo ristretto e vicino al Presidente del Consiglio dei ministri, che studia la demoscopia, determina la strategia comunicativa e, infine, scrive discorsi e organizza la raccolta fondi. La seconda testa, quella digitale, che dovrebbe corrispondere ad una sorta di war room con una trentina di addetti aventi il compito di operare sui social media e su internet in modo tale da orientare il voto referendario. Infine, la terza testa, per quanto risulta agli interroganti, risulterebbe composta da circa venti persone, una per ogni regione italiana, per governare i volontari dei Comitati per il sì al referendum;
   come emerge dalla stampa nazionale, la guida di questa struttura è stata affidata a consulenti che sarebbero attivi presso la Presidenza del Consiglio dei ministri come Jim Messina, consulente americano, in passato a capo delle campagne elettorali del Presidente Barack Obama, e oggi fondatore di una società di consulenza privata, la Messina Group, con sede anche in Europa, a Londra e con altrettanti interessi in Italia;
   tali notizie appaiono, con tutta evidenza di eccezionale gravità, considerato che agli interroganti non appaiono chiari i motivi per i quali una struttura di comunicazione di tal fatta invece di essere collocata nelle sedi del Partito democratico possa essere invece operante presso gli uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri;
   soprattutto non appare chiaro il modo con cui questa struttura venga pagata, se con risorse private o risorse a carico del Stato –:
   se possa assicurare che tale struttura, ove effettivamente costituita, non sia incardinata presso la Presidenza del Consiglio o presso una qualunque altra struttura pubblica, né che si avvalga in qualunque modo di risorse pubbliche. (4-13565)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PORTA, GIANNI FARINA, FEDI, GARAVINI, LA MARCA e TACCONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia ha stipulato una serie di convenzioni bilaterali per evitare le doppie imposizioni in materia di imposte sul reddito e per prevenire l'evasione e l'elusione fiscale;
   le convenzioni per evitare le doppie imposizioni sono trattati internazionali con i quali i Paesi contraenti regolano l'esercizio della propria potestà impositiva al fine di eliminare le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti;
   nell'area dell'America latina l'Italia ha stipulato convenzioni bilaterali contro le doppie imposizioni fiscali solo con l'Argentina, il Brasile, l'Ecuador e il Venezuela, ma non lo ha ancora fatto con l'Uruguay, Paese dove risiedono decine di migliaia di italiani e operano migliaia di imprese italiane;
   l'assenza di una convenzione bilaterale contro le doppie imposizioni fiscali con l'Uruguay non solo crea problemi di potestà impositiva e di doppia tassazione per le numerose collettività di emigrati, lavoratori e pensionati, ma può compromettere e limitare anche l'avvio di attività economiche e finanziarie di imprese italiane e uruguayane che rischiano un'applicazione incerta o penalizzante di norme che se invece fossero regolate da una convenzione eliminerebbero le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio dei rispettivi residenti e contrasterebbero l'elusione e l'evasione fiscale;
   l'Uruguay fa ora parte dei 130 Paesi membri del Global Forum sulla trasparenza fiscale e sullo scambio di informazioni, con segretariato presso l'Ocse, al quale il G20 ha affidato il compito di promuovere e monitorare l'effettiva trasparenza fiscale per quanto riguarda lo scambio di informazioni su richiesta (con l'emissione periodica di giudizi e rating sulla performance) e il nuovo standard unico globale di scambio automatico di informazioni fiscali a fini finanziari;
   recentemente, nell'anno in corso, l'Uruguay ha anche firmato la Multilateral Convention on Mutual Administrative Assistance Tax Matters espandendo così la propria capacità di contrastare l'elusione e l'evasione fiscale internazionale e impegnandosi pienamente a procedere a scambi di informazioni fiscali in funzione delle regole Ocse;
   con l'Uruguay tentativi negoziali sono stati esperiti dall'Italia nel 1988 e, successivamente, nel 2009; una prima bozza di accordo è stata inviata a Montevideo il 5 aprile 2011, sulla quale non si sa se l'Uruguay abbia finora trasmesso le proprie osservazioni –:
   quali iniziative intendano adottare i Ministri interrogati per accelerare e definire l'iter negoziale finalizzato alla stipula di un accordo contro le doppie imposizioni fiscali tra l'Italia e l'Uruguay e soddisfare così le aspettative e le richieste pressanti di cittadini e imprese al fine di eliminare le doppie imposizioni sui redditi e/o sul patrimonio e stimolare così una ripresa dei rapporti economici e finanziari tra i due Paesi. (4-13564)


   BASILIO, FRUSONE, CORDA, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la vicenda dei 12 elicotteri venduti nel 2010 alla Difesa indiana da AgustaWestland (ora divisione elicotteri di Finmeccanica) e finiti al centro di un caso di corruzione internazionale continua a rendere tese le relazioni tra il Governo di New Delhi e il gruppo italiano leader nazionale della produzione industriale bellica;
   nei giorni scorsi il Ministero indiano delle finanze ha pubblicato alcuni documenti da cui emerge che Indian Rotorcraft, joint venture tra AgustaWestland e il gruppo Tata Sons, è stata ammessa dal Governo nell'elenco delle imprese autorizzate a investire direttamente secondo la formula Fdi (Foreign Direct Investment), accogliendo le raccomandazioni formulate dal Foreign Investment Promotion Board. La notizia contraddice l'informazione secondo la quale New Delhi avrebbe inserito Finmeccanica e le sue controllate nella blacklist che le escluderebbe dagli affari sul mercato indiano;
   l'India è tra i Paesi – nonostante il persistere di livelli di povertà diffusa tra la popolazione – che stanno aumentando il budget per le spese militari, assieme ad Arabia Saudita e Cina ed è per questo ritenuto un partner strategico per l'industria armiera italiana;
   la vicenda della commessa dei 12 elicotteri in configurazione Vip aveva un valore di circa 560 milioni di euro. Dopo che nel 2014 l'India ha deciso di rescindere il contratto, ha stimato i danni in circa 648 milioni di euro, notificando contemporaneamente l'avvenuta richiesta di escussione delle garanzie e controgaranzie rilasciate in relazione al contratto per circa 306 milioni, compreso anche un performance bond;
   AgustaWestland e AgustaWestland International si sono opposte e ne è scaturita una battaglia legale presso il Tribunale di Milano. L'esito è stato un parziale accoglimento del reclamo presentato dal Ministero della difesa indiano: i giudici hanno revocato l'inibitoria per l'intero importo del performance bond, pari a circa 28 milioni di euro, e fino alla concorrenza dell'importo di circa 200 milioni di euro per quanto riguarda le advance bank guarantees. Invece è rimasta inibita l'escussione delle garanzie per altri 50 milioni di euro: la cifra è pari alla riduzione «che, in virtù di quanto stabilito dal contratto, avrebbe dovuto essere effettuata sul valore delle advance bank guarantee in seguito all'avvenuta accettazione dei primi tre elicotteri da parte del cliente», si legge nei documenti finanziari di Finmeccanica;
   il gruppo di piazza Monte Grappa sarebbe così riuscito a contenere i danni, Relativamente alla parte di fornitura già effettuata, e cioè i tre elicotteri consegnati (assieme a materiali di ricambio e di supporto), la recuperabilità degli attivi netti iscritti nel bilancio del gruppo ammonta a 110 milioni di euro. L'altro dato è che il magazzino residuo relativo al programma risulta interamente destinabile ad altri contratti, quindi la divisione elicotteri potrà rivenderli con poche modifiche ad altri committenti;
   nel frattempo è stato avviato l'arbitrato alla Camera di commercio internazionale di Parigi e ancora si discute sulla «compromettibilità» degli arbitri, sollevata dalla controparte indiana. «La società», è la posizione di Finmeccanica, «oltre a opporsi alle eccezioni di cui sopra, all'esito della decisione sulle questioni preliminari insisterà sulla fondatezza delle proprie pretese»;
   i giornali di New Delhi, ripresi anche dalla stampa italiana, parlano di pressioni della Marina indiana sul proprio Governo per concludere un contratto con Finmeccanica per la fornitura di siluri. Si tratta di ordigni d'ultima generazione, sofisticatissimi: i Black Shark, squalo nero, prodotti in Italia dalla Wass. La flotta locale sta per mettere in mare il primo dei nuovi sottomarini costruiti su licenza francese, che rischia però di rimanere disarmato. Ma essendo stati tutti gli accordi con Finmeccanica e le sue controllate bloccati dopo lo scandalo per le forniture di elicotteri Agusta e la vicenda delle tangenti ad essa legati, anche questo potenziale contratto rischia di saltare;
   – infatti la Wass – un'azienda interamente controllata da Finmeccanica con 358 dipendenti a Livorno e 75 a Pozzuoli, tutti altamente qualificati – è finita nella black list. Ma in questo modo i super-sottomarini indiani rischiano di rimanere senza arpioni. «A che serve un fucile senza pallottole ?», si chiede «The Times of India» descrivendo l’affaire. Per questo il Ministero della difesa indiano sta valutando una «eccezione speciale» permettendo l'acquisto di 98 siluri made in Italy: «Non è stata ancora presa una decisione. Ma lo stiamo attivamente considerando», ha spiegato una fonte del ministero al quotidiano;
   lo sblocco del contratto sarebbe chiaramente un'ottima notizia per Finmeccanica: la commessa vale circa 300 milioni di euro, con parte degli ordigni hi-tech da costruire a Livorno e parte da realizzare su licenza in Asia. E soprattutto potrebbe riaprire le porte del ricco mercato indiano all'industria bellica nazionale, con l'eccezione forse della sola Agusta: una occasione per i radar di Selex, le artiglierie navali di Oto Melara e gli aerei di Alenia, che potrebbero recuperare ordini fino a sei miliardi di dollari;
   appare però evidente che la mancanza di trasparenza e i ripetuti scandali prodotti dalla pratica delle tangenti come nel caso degli elicotteri Augusta rischiano di minare la credibilità di Finmeccanica e delle sue controllate danneggiandola sul mercato globale –:
   quali iniziative il Governo abbia assunto per evitare che casi di corruzione e di tangenti come quello della vicenda degli elicotteri Augusta abbiano a ripetersi; in particolare, se – rispetto a Finmeccanica, azienda di proprietà dello Stato – si sia provveduto a rimuovere i responsabili di queste pratiche e ad impartire linee guida ai suoi dirigenti atti ad escludere il ripetersi di pratiche in contrasto con la legge e ogni logica di trasparenza;
   quale sia la situazione attuale delle relazioni tra India ed Italia in merito al commercio bilaterale di sistemi d'arma ed in particolare se risulti persistere nei confronti di Finmeccanica un divieto generalizzato alla commercializzazione di armi in India (presenza nella blacklist del Governo indiano) o se ci si avvii ad un suo superamento sia pur parziale come da informazioni esposte in premessa.
(4-13567)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRESCIA, BRAGA, GADDA, GIOVANNA SANNA, ZARDINI e COMINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto ministeriale 30 marzo 2016, n. 78, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 24 maggio 2016 è stato  abrogato il decreto ministeriale 18 febbraio 2011, n. 52, recante il regolamento che ha istituito il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), ai sensi dell'articolo 189 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e dell'articolo 14-bis del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102;
   il nuovo regolamento (decreto ministeriale 30 marzo 2016, n. 78), reca disposizioni relative al funzionamento e all'ottimizzazione del SISTRI, in attuazione dell'articolo 188-bis, comma 4-bis, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il quale dispone che «con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si procede periodicamente, sulla base dell'evoluzione tecnologica e comunque nel rispetto della disciplina comunitaria, alla semplificazione e all'ottimizzazione del sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti, anche alla luce delle  proposte delle  associazioni rappresentative degli utenti,  ovvero  delle  risultanze  delle rilevazioni di soddisfazione dell'utenza; le semplificazioni e l'ottimizzazione sono adottate previa verifica tecnica e della congruità dei relativi costi da parte dell'Agenzia per l'Italia digitale»;
   l'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 116, prevedeva che tale semplificazione fosse realizzata in via  prioritaria, con l'applicazione dell'interoperabilità e la sostituzione dei dispositivi token usb, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica;
   il contratto con Selex SeMa, la società controllata da Finmeccanica che ha realizzato e gestito il Sistri, sottoscritto il 14 dicembre 2009 e in essere fino al 30 novembre 2014, è stato più volte prorogato ex lege fino al 31 dicembre 2016;
   alla scadenza naturale del contratto, perciò, i costi connessi alla sua realizzazione erano già stati ammortizzati e già dal 2015 non dovevano più essere compresi nel calcolo del contributo annuale pagato dalle imprese, contributo che concerne sia la realizzazione sia la gestione, articolata in manutenzione e aggiornamento (articolo 7 del decreto ministeriale 18 febbraio 2011, n. 52);
   dal 2015 le imprese aderenti avrebbero dovuto pagare solo il costo della manutenzione e degli aggiornamenti mentre hanno continuato a pagare come negli anni precedenti;
   il Parlamento più volte si è pronunciato in merito alla riduzione degli importi dovuti dalle imprese con atti di indirizzo politico quali:
    la risoluzione n. 00119 approvata il 17 giugno 2015 dalla Commissione ambiente, come riformulata su richiesta del Governo, che testualmente impegnava l'Esecutivo, fra l'altro, «a valutare l'adozione di tutti gli atti necessari a ridurre il contributo annuale di iscrizione al SISTRI previsto dal decreto ministeriale 18 febbraio 2011 n. 52, e successive modificazioni, dalla data del 1o gennaio 2016 scorporandone la parte relativa agli oneri di costituzione del SISTRI e limitandolo solo a quelli di funzionamento»;
   l'ordine del Giorno n. 25 del 22 dicembre 2015, accolto dal Governo, con il quale si impegnava lo stesso a ridurre il contributo annuale di iscrizione;
   l'ordine del giorno n. 9/3513-A/93, accolto dal Governo il 10 febbraio 2016 che, nelle premesse segnala che «in sede di approvazione del Parere reso dalla VIII Commissione Ambiente nel corso dell’iter di conversione del decreto-legge n. 210 del 2015, la Sottosegretaria rappresentante del Governo ha comunicato che lo schema di Decreto Ministeriale di modifica di quello del 18 febbraio 2011 e finalizzato alla riduzione del contributo annuale per l'iscrizione al SISTRI, nel rispetto dell'impegno di cui alla citata Risoluzione n. 800199, ovvero la riduzione a partire dal 2016, era stato trasmesso già nel dicembre 2015 al Consiglio di Stato»;
   il nuovo regolamento prevede, o meglio ipotizza, un sistema più semplice, ma il costo di tale nuovo sistema rischia di ricadere nuovamente sulle imprese che dovranno pagare la realizzazione del SISTRI-bis e, nelle more, continuare a sborsare per l'ammortamento di un bene già pagato (l'attuale Sistema di tracciabilità);
   l'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 30 marzo 2016, n. 78, prevede che la riduzione del contributo si applicherà solo a coloro che aderiscono al SISTRI «su base volontaria» e quindi praticamente a nessuno;
   solo all'articolo 23, comma 4, ultimo periodo, c’è l'indicazione di una «rimodulazione» dei contributi dovuti dalla categoria dei trasportatori che, in assenza di più precise indicazioni potrebbe, addirittura, concretizzarsi in un aumento dei contributi stessi;
   gli impegni assunti dal Governo tramite il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare erano ben altri: dalla risposta relativa all'attuazione dell'Odg n. 9/03513-A8 del 10 febbraio 2016 si evince che dal 2010 al 2014 le imprese hanno pagato allo Stato 131.063.022,03 euro a fronte di una prestazione da parte di Selex quantificata dall'Agenzia per l'Italia Digitale (d'accordo anche l'Avvocatura dello Stato) in soli 57.837.889 + IVA, pari a 70.562.224,58 euro;
   nella sentenza del TAR Lazio n. 05569/2016 dell'11 maggio 2016 relativa al ricorso proposto da Selex contro Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e CONSIP in merito alla gara per l'affidamento in concessione del SISTRI, la società Selex «ha rappresentato di aver ricevuto in pagamento un importo di 46,1 milioni di euro e di aver citato, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare chiedendo una somma pari a 186.605.714,00 euro»;
   nella risposta alla sopra citata il Ministero ha invece affermato che Selex ha fatturato 242.884.113,67 + IVA pari a 296.318.618,7 euro e che sono state contestate fatture per euro 192.273.718,91. Dai dati disponibili emerge dunque una differenza di circa 6.000.000 di euro fra quanto contestato e quanto Selex sostiene invece di poter esigere, come pure fra quanto la ditta dichiara di avere incassato (46,1 milioni) e quanto il Ministero dichiara di avere pagato (57 milioni e rotti più IVA, pari a circa 70 milioni);
   tra il 2010 e il 2014 le imprese hanno versato 131.063.022,03 euro a fronte di un servizio da pagare a Selex stimato in 70.562.224,58 euro, cioè 60.500.797 di euro in più del valore del servizio reso;
   nel 2015 Selex ha stimato e fatturato per i propri «costi di produzione» 21.580.552,80 di euro (IVA inclusa), mentre lo Stato ha incassato per il contributo SISTRI 31.962.207,43 di euro, cioè oltre 10 milioni in più;
   per il 2016 i dati forniti sono antecedenti al 30 aprile 2016 e non è possibile effettuare un calcolo puntuale;
   il decreto ministeriale 30 marzo 2016, n. 78, andrebbe, pertanto, immediatamente modificato prevedendo la riduzione del contributo annuale di iscrizione, la riduzione dei costi delle USB e dei black box;
   su tali strumentazioni per altro sorgono perplessità riguardo ai dati forniti dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: la previsione del loro costo «per gli ulteriori anni di durata del contratto» nella risposta sopra richiamata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è di 75,00 euro + IVA (cioè 91,50 euro lordi) per il dispositivo USB e di 500 euro + IVA (610 euro per il B/B black box);
   il soppresso decreto ministeriale 18 febbraio 2011, n. 52 (All. 1o seconda fase, n. 5), indicava, però, importi diversi e decrescenti negli anni che andavano dai 60 euro del 2010 ai 40 euro del 2013 per i dispositivi USB e dai 400 euro del 2010 ai 250 euro del 2013 per i B/B;
   va rilevata anche un'altra discrasia nella risposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in merito all'attuazione dell'ordine del giorno 9/3513-A8, a fronte di un corrispettivo ritenuto congruo di 57.837.889 euro + IVA, pari a 70.562.224,58 euro, sono state pagate fatture solo per 69.640.141 euro, a fronte di un afflusso di contributi per il 2010 - 2014 ben superiore;
   inoltre, risulta agli interroganti incomprensibile il fatto che a fronte di un costo di un token di 91,50 euro sia stato effettuato un pagamento di 3.272.955,84 euro (fattura 154/2010) che corrisponde a 35.770,009 unità di prodotto;
   per la fattura n. 155 del 2010 di 11.440.396,80 euro la fornitura risulta corrispondere a 18.754,74 Black Box, un altro prodotto che appare difficilmente frazionabile e che è venduto ad unità intere;
   dalla sentenza n. 05569/2016 del TAR Lazio emergono, però, altri due preoccupati aspetti:
    il primo è che l'articolo 12 del contratto stipulato nel 2009 prevedeva che alla scadenza del rapporto, fissato inizialmente al 30 novembre 2014, l'infrastruttura del SISTRI dovesse passare definitivamente e gratuitamente nella proprietà del Ministero resistente; l'automatismo alla scadenza fisiologica del contratto sarebbe stato, tuttavia, annullato, secondo Selex, dall'entrata in vigore dell'articolo 11 del decreto-legge n. 101 del 2013, il quale prevede che il contenuto e la durata del contratto con Selex service management s.p.a. e il relativo piano economico-finanziario siano modificati (comma 9) e che il termine finale di efficacia del contratto sia prorogato al 31 dicembre 2016; se alla scadenza del contratto originario e cioè nel 2014, l'infrastruttura fosse passata definitivamente e gratuitamente il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, pare evidente che ciò sarebbe dipeso dal fatto che negli anni decorsi dal 2009 in poi l'intero sistema era stato pagato dallo Stato con le risorse derivanti dai contributi annuali delle imprese. La proroga del termine del contratto Selex se davvero si configurasse come una modifica contrattuale tale che il concessionario avrebbe diritto anche ad un «importo pari al valore della infrastruttura non ancora recuperato» suonerebbe non solo come l'ennesima beffa di questa assurda vicenda, ma comporterebbe da parte delle imprese l'obbligo di pagare un'altra volta un bene che già dovrebbe essere di proprietà pubblica dal 30 novembre 2014;
    il secondo aspetto è che la sostituzione dell'attuale sistema informatico di tracciabilità è solo e del tutto ipotetica; come rileva il TAR Lazio «Il punto 8 del capitolato tecnico (cfr pagg. 72 e ss.) prevede, infatti, due scenari: il primo coincide con la presa in carico dell'attuale sistema informatico sviluppato e gestito dalla società ricorrente mentre il secondo prevede la mancata presa in carico dell'attuale sistema e la conseguente realizzazione di un nuovo sistema informatico da parte del nuovo gestore; lo stesso punto 8 del capitolato specifica, altresì, che, solo al momento della stipula del contratto di concessione con il nuovo gestore (alla cui gara la società ricorrente non ha partecipato), il Ministero resistente provvederà a comunicare se si procederà o meno alla presa in carico dell'attuale sistema informatico SISTRI.». In altri termini, conclude il giudice amministrativo, «(...) non può dirsi quindi smentito che l'oggetto della procedura selettiva (...) non preveda, se non come una delle possibili ipotesi, il passaggio obbligatorio dell'infrastruttura informatica realizzata dalla società ricorrente; in altre parole, tale evenienza costituisce una possibilità (recte: opzione) che si concretizzerà, se del caso, solo al momento della stipula del contratto di concessione con il nuovo gestore, laddove - è lecito supporre - il Ministero resistente abbia conseguito la disponibilità della struttura informatica realizzata dalla società ricorrente, previo riconoscimento della relativa titolarità»; da tutto ciò consegue che la procedura selettiva indetta da Consip non contiene clausole che dispongano, in via diretta, dell'infrastruttura informatica realizzata dalla società ricorrente, ma si limita a prevedere due opzioni alternative, l'una che prevede la presa in carico da parte del nuovo gestore del sistema sviluppato da Selex spa e l'altra che prescinde da tale passaggio con conferimento dell'incarico al concessionario entrante di realizzare un nuovo sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti; lo stesso bando di gara prevede, altresì, che la scelta sull'opzione da preferire sarà effettuata dal Ministero resistente all'atto della stipula del contratto con il nuovo concessionario;
   al riguardo, non è affatto inverosimile immaginare che l'introduzione di una tale opzione nel bando di gara sia il frutto proprio della situazione di incertezza in ordine alla titolarità dell'attuale infrastruttura SISTRI, venutasi a creare tra il Ministero resistente e la società ricorrente (come peraltro dimostra il contenzioso civile di recente avviato dinanzi al tribunale di Roma);
   si prospetta quindi non la presa in carico della piattaforma Selex, bensì la realizzazione di un nuovo sistema informatico di tracciabilità dei rifiuti. Nel primo caso il costo dovrebbe essere pari a zero (articolo 12 del contratto Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare-Selex del 2009); nel secondo, quello più probabile, i costi rischiano di essere addebitati ancora una volta alle imprese –:
   se non ritenga doveroso chiarire, in modo trasparente, i termini e le cifre reali in merito al contratto Selex per la realizzazione di sistema SISTRI sia per il periodo 2009-2014 sia per il 2015-2016, oltre alle discrasie emerse nelle risposte alle interrogazioni e nelle risposte inviate in merito all'attuazione degli ordini del giorno sopra richiamati, e fra tali affermazioni e gli atti del ricorso amministrativo davanti al TAR Lazio;
   se non consideri opportuno assumere iniziative per modificare il decreto ministeriale 78 del 2016, con particolare riguardo:
   a) all'Allegato 1 per ridurre di almeno il 25 per cento gli importi dei contributi annuali di iscrizione per tutte le categorie a decorrere dal 1o gennaio 2017 in considerazione del fatto che nel 2015, a fronte di costi, IVA inclusa, per 21.580.552 euro si sono registrate entrate per contributi di 31.962.207,43, superiori del 48 per cento ai costi di realizzazione del sistema;
   b) alla necessità di prevedere la compensazione, applicata su più anni, con quanto maggiormente versato nel periodo 2010-2014 o, in via subordinata, almeno negli anni 2015 e 2016, dalle imprese aderenti al SISTRI;
   c) alla necessità di prevedere che i costi per la realizzazione del nuovo sistema di tracciabilità non debbano comunque gravare sulle imprese perché il nuovo sistema viene introdotto per l'inefficienza di quello esistente e perché il sistema di tracciabilità attuale è stato già abbondantemente pagato dalle imprese;
   d) alla necessità di fissare un termine breve per l'emanazione dei decreti previsti dall'articolo 2, comma 1;
   e) alla revisione del meccanismo del «visto» di cui all'articolo 2, comma 2, per i manuali e le guide del concessionario, introducendo una procedura di verifica più incisiva e non meramente passiva;
   f) all'articolo 20 che prevede una convenzione con il servizio pubblico di raccolta per il conferimento a quest'ultimo, indistintamente, di rifiuti fra i quali rientrano, nel testo attuale, anche quelli speciali pericolosi che, proprio in quanto pericolosi, non sono, ex lege, «assimilabili» ai rifiuti urbani. (5-08954)


   MARTELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   una ondata di maltempo molto intensa è tornata a colpire il litorale veneto nel corso degli ultimi giorni;
   in particolare i forti venti di scirocco hanno determinato violente mareggiate e persino il fenomeno dell'acqua alta a Venezia evento rarissimo nel mese di giugno;
   lo scirocco ha spinto il mare verso l'arenile e i lidi con ombrelloni e sdraio sono finiti sott'acqua;
   per gli operatori economici il mese di giugno 2016 e stato disastroso prima con trombe d'aria e ora con le mareggiate;
   a questo bisogna aggiungere il fenomeno dell'erosione che continua purtroppo a interessare il litorale;
   Jesolo, Bibione, Chioggia, il Lido di Venezia sono le aree maggiormente interessate –:
   se, in considerazione di quanto riportato in premessa, il Governo non intenda attivare un tavolo interministeriale per affrontare le questioni concernenti il futuro del litorale veneto, in particolare per valutare l'opportunità di misure di sostegno in favore degli operatori economici, così duramente colpiti dal susseguirsi delle ondate di maltempo. (5-08957)


   VALLASCAS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di marzo 2016, è stata pubblicata l'11a indagine sul servizio idrico integrato a cura dell'Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva che analizza le diverse componenti del servizio idrico integrato;
   nell'indagine sono stati presi in considerazione, tra le altre cose, la tariffa per il servizio acquedotto, i costi di depurazione e fognatura, la spesa media per gli utenti domestici, la dispersione e i dati relativi alle nuove regole, i disservizi e le sanzioni;
   secondo quanto rilevato, le tariffe più elevate a livello regionale si sarebbero riscontrate in Toscana, Marche, Umbria, Emilia Romagna e Puglia;
   tra i dati, acquista particolare rilievo quello relativo alla dispersione idrica, secondo il quale in Italia un terzo dell'acqua immessa nelle tubature andrebbe sprecata. Al vertice della classifica tra le regioni con i maggiori sprechi ci sarebbero il Lazio, con un livello di disperazione idrica pari al 60 per cento, e la Sardegna, con il 52 per cento;
   il costo dell'acqua, secondo l'indagine, sarebbe in costante crescita: +5,9 per cento rispetto al 2014 e +61,4 per cento rispetto al 2007;
   l'indagine riferisce anche in merito alle condanne ricevute dall'Italia da parte della Corte di giustizia europea per inadempienze sul sistema delle reti fognarie e trattamento delle acque reflue e della procedura d'infrazione avviata nel 2014, che interesserebbe 817 agglomerati;
   l'Osservatorio prezzi e tariffe di Cittadinanzattiva riferisce, inoltre, delle indagini istruttorie dell'Antitrust su presunte pratiche commerciali scorrette, di alcuni gestori, nella procedura di fatturazione, richieste di pagamento di morosità pregresse ai nuovi clienti subentranti, modalità di gestione dei reclami e procedure di messa in mora e distacco;
   in particolare, secondo l'indagine, l'Antitrust avrebbe sanzionato, con le succitate motivazioni, quattro gestori: Abbanoa (Sardegna), sentenza successivamente annullata dal Tar del Lazio, Acea Ato2 (Lazio), Gori (Campania), CITL (provincia di Caserta);
   al di là delle decisioni assunte dall'Antitrust e degli annullamenti del Tar di competenza, da numerose notizie di stampa, emergerebbe una situazione, generale profondamente critica sotto il profilo organizzativo e gestionale di alcuni gestori del servizio idrico integrato;
   risulterebbe, ad esempio, che l'operato di Abbanoa, gestore unico del servizio idrico integrato della Sardegna, sin dalla sua costituzione, si sia caratterizzato per una molteplicità di disservizi nell'approvvigionamento, nella potabilizzazione, distribuzione della risorsa idrica, nei processi di depurazione delle acque reflue, nonché nel sistema della contabilizzazione dei consumi a cui si aggiungerebbe la sofferenza finanziaria dell'azienda riscontrata in anni passati;
   in particolare, una delle criticità più rilevanti, alla base di profondi malumori diffusi tra gli utenti del servizio, sarebbe rappresentata da un sistema di contabilizzazione e fatturazione dei consumi che si connoterebbe per i forti ritardi nell'invio delle fatture commerciali – ritardi in alcuni casi anche di diversi anni –, nella misura che Abbanoa, sistematicamente, ricorrerebbe a forme di conguaglio che risulterebbero particolarmente onerose per gli utenti. A questa situazione si aggiunge l'emissione da parte dell'azienda di fatture commerciali relative al «conguaglio regolatorio» con «partite pregresse» che la gestione commissariale straordinaria per la regolamentazione del servizio idrico integrato della Sardegna (ex autorità d'ambito) avrebbe deliberato il 26 giugno 2014;
   questa situazione che riguarderebbe anche altre aziende di gestione del sistema idrico integrato rischia di ripercuotersi pesantemente sugli utenti che potrebbero usufruire di un servizio di qualità inferiore a fronte di una spesa finale eccessivamente elevata e socialmente insostenibile –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per evitare che sugli utenti del servizio idrico integrato ricadano gli alti costi derivanti dalle criticità e dai disservizi di gestione;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare per ridurre le percentuali di dispersione della risorsa idrica;
   quali iniziative per quanto di competenza, intenda adottare per contenere i rincari del costo dell'acqua. (5-08975)


   TERZONI, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, BUSTO, DE ROSA, DAGA, MICILLO, CARINELLI e DELL'ORCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   5 giugno 2016 è stata la giornata mondiale dell'ambiente. In quella occasione il WWF ha diffuso i dati relativi al bracconaggio mettendo in evidenzia il dato che indica in 213 miliardi di dollari il fatturato di tale attività illecita che risulta essere il quarto mercato criminale del pianeta;
   l'emergenza bracconaggio, spiega il WWF, «ha raggiunto un livello di attenzione talmente elevato da avere targets dedicati nell'importante Agenda 2030 con gli obiettivi di sviluppo sostenibile approvati da tutti i paesi del mondo lo scorso anno all'Assemblea generale delle Nazioni Unite la cui implementazione è stata oggetto della seconda United Nations Enviroment Assembly (UNEA2), tenutasi a Nairobi presso la sede dell'UNEP dal 23 al 27 maggio scorsi dove è stata lanciata la campagna Wild for Life dedicata ad arrestare il traffico di specie che a livello mondiale rischiano l'estinzione»;
   durante l'assemblea ambiente delle Nazioni Unite sono stati forniti i dati riguardanti le gravi perdite di biodiversità registrate negli ultimi anni in Africa: ogni anno vengono bracconati più di 30.000 elefanti, in Tanzania e in Mozambico in soli 5 anni sono stati persi tra il 50 e il 60 per cento della popolazione di questa specie. Inoltre ogni anno viene ucciso il 10 per cento dei gorilla di pianura, mentre in Zimbabwe è scomparso in pochi anni il 60 per cento della popolazione di rinoceronti e in 10 anni è scomparso quasi il 70 per cento degli elefanti di foresta del bacino del Congo;
   secondo le Nazioni Unite il bracconaggio e il commercio illegale di natura non si ferma alle specie così dette carismatiche: «l'indagine dell'UNODC, analizzando 164.000 sequestri in 164 paesi diversi ha riscontrato la presenza di ben 7000 specie oggetto di crimini. La cattura, l'uccisione, la trasformazione e la commercializzazione illegale di queste specie contamina un'infinità di prodotti e settori: dalla moda (come pelli e avorio) all'arredamento (come alberi e altre piante in via d'estinzione), dal cibo (come scimmie e pangolini) ai prodotti farmacologici tradizionali (come parti di tigre e corna di rinoceronti) e agli animali domestici (come pappagalli e rettili)».
   l'Italia non è esente da questi crimini e sempre secondo l'ufficio UNODC, ad esempio, milioni di uccelli ogni anno vengono uccisi da doppiette, trappole e reti;
   il WWF in occasione della giornata dell'ambiente ha inteso lanciare un messaggio per acuire a sensibilità verso questi crimini chiedendo che l'Italia si doti di un piano nazionale per fronteggiare il fenomeno illegale della cattura, uccisione e importazione di specie selvatiche e un maggiore coordinamento tra le forze dell'Ordine per rafforzare l'efficacia della sorveglianza, accurate indagini, condanna dei responsabili e un inasprimento delle sanzioni e delle pene per i reati contro la fauna selvatica;
   proprio in questo campo il Corpo Forestale dello Stato ha nel nostro territorio un ruolo fondamentale;
   il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – Corpo forestale dello Stato (MIPAF-CFS) è autorità competente al rilascio di alcune certificazioni CITES (la Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione) e ai controlli di polizia (cosiddetto « Enforcement»);
   nell'ambito del sistema CITES e delle sue attività, il Corpo Forestale dello Stato, oltre a essere autorità amministrativa per le contestazioni di natura amministrativa, si occupa del rilascio dei certificati CITES necessari alla riesportazione e utilizzo commerciale di numerose specie di animali e piante protette e del controllo tecnico-specialistico ai fini del rispetto della Convenzione;
   la convenzione di Washington viene considerata uno dei più importanti strumenti normativi internazionali per la conservazione della biodiversità del nostro pianeta. Attraverso questa Convenzione ogni Paese monitora e regolamenta il commercio nazionale ed internazionale di esemplari e prodotti derivati da specie animali e vegetali al fine di scongiurarne l'estinzione;
   i dati relativi ai controlli eseguiti nel 2015 dal Corpo forestale dello Stato, consultabili sul sito, evidenziano a mole di lavoro necessaria a svolgere al meglio quanto previsto dalla convenzione di Washington:
   in un solo anno sono stati eseguiti controlli su 12.574 animali vivi, 6.896 piante vive e 221.230 parti e prodotti derivati. Dei controlli su animali vivi, tra le principali specie controllate, si segnalano 2.500 esemplari della famiglia Testudinidae spp. (tartarughe di terra), 1.000 pappagalli, 130 primati (scimpanzé, macachi, cercopitechi etc.), 100 felini (tigri, leopardi, ghepardi, linci, leone, serval etc.), 250 boidi (pitoni, boa), 380 tra rapaci diurni e notturni;
   dei controlli su parti e prodotti derivati, tra le categorie merceologiche, si segnalano: 210.000 prodotti in pelle di rettile (Crocodylia spp., Boidae spp., Pythonidae spp., Varanidae spp., Chelonidae spp.), 7.000 tra zanne e oggetti in avorio, 26 mila tonnellate di legname, 33 tonnellate di piante di aloe, 110 chilogrammi di caviale;
   durante questa attività, eseguita perlopiù nelle strutture aeroportuali e navali, è stata sequestrata merce per un valore di circa un milione di euro e sono state comminate sanzioni amministrative per un totale di 270 mila euro –:
   se i Ministri interrogati intendono assumere iniziative normative per accogliere la richiesta avanzata dal WWF circa la necessità di dotare il Paese di un piano nazionale per fronteggiare il fenomeno illegale della cattura, uccisione e importazione di specie selvatiche, non solo a difesa degli uccelli, rispetto ai quali il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha appena avviato un processo di consultazione per la redazione di un piano, su sollecitazione dell'Unione europea;
   come verrà garantita l'attività attualmente svolta nell'ambito della convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione, in seguito al previsto accorpamento del Corpo Forestale dello Stato con l'Arma dei carabinieri in attuazione della legge n. 124 del 2015.
(5-08976)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPESSOTTO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, COZZOLINO, DA VILLA e LIUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 2 giugno 2016 la Commissione petizioni del Parlamento europeo ha avviato la discussione della petizione «qualità dell'aria a Venezia dell'aria a Venezia» (n. protocollo 2288/2014) – presentata il 3 novembre 2014 da alcune associazioni ambientaliste – relativamente all'inquinamento atmosferico prodotto dalle navi, all'inadeguatezza del sistema di rilevazione degli inquinanti e alla mancanza di provvedimenti e piani per la difesa e la tutela della salute pubblica;
   la petizione, oltre a sottolineare l'inopportuna localizzazione delle stazioni di misurazione dei principali inquinanti dell'aria, solleva diverse criticità in particolare in merito alla mancata osservanza della direttiva 2008/50/CE dovuta al non rispetto dei limiti di PM10 e di NO2 con riferimento al traffico acqueo a Venezia;
   inoltre, dalla petizione emerge come l'inopportuna localizzazione del punto di campionamento determini rilevazioni falsate e non rappresentative degli inquinanti da polveri sottili e ossido di azoto, come si evince dal confronto tra le misure effettuate da Arpav in due località nel 2012;
   l'unica stazione di misurazione nel centro storico di Venezia si trova infatti a Sacca Fisola e, come documentato nella petizione, trovandosi sopravento rispetto alle emissioni derivanti dal traffico acqueo, è qualificabile come «stazione di fondo», mentre la citata direttiva richiede che le stazioni siano posizionate nei pressi delle sorgenti di emissione;
   nonostante l'inopportuna localizzazione della stazione, tale da sottostimare l'inquinamento reale, i limiti previsti dalla legislazione europea per il PM10 e per il NO2 risultano ampiamente superati: per esempio la misura delle polveri ultrasottili effettuata nei pressi della stazione di Sacca Fisola, in più occasioni, è stata attorno alle 2000 particelle di polveri ultrasottili per centimetro cubo, mentre le misure prese sottovento al traffico (alle Zattere e a S. Elena) si sono rilevate da 4 volte a 80 volte maggiori;
   l'ampio superamento dei limiti previsti dalla legislazione comunitaria per il particolato (PM10) e per l'ossido di azoto espone la popolazione residente e i turisti che visitano ogni anno la città a gravi rischi per la salute;
   a tal propositi, si ricorda come la Commissione europea abbia già aperto due procedure di infrazione per la violazione degli articoli 13 e 23 della direttiva 2008/50/CE per quanto riguarda il PM10 e NO2 in Italia e che con decisione C (2012) 4524 def del 6 luglio 2012 la stessa Commissione abbia richiesto piani di qualità dell'aria adeguati per NO2 in Veneto;
   dato che Venezia è l'unica città pedonale d'Europa e che la direttiva richiede di misurare la qualità dell'aria in prossimità di fonti di traffico e non solo nelle stazioni di fondo, non valutare l'impatto del trasporto locale e marittimo equivale, ad avviso degli interroganti, ad una violazione degli obblighi di cui dalla direttiva e più precisamente degli articoli 6 e 7 della direttiva 2008/50/CE;
   la Commissione petizioni rileva come, considerate le circostanze specifiche di Venezia, la situazione attuale non risulti compatibile con l'allegato sezione III B paragrafo 1 (a), della direttiva (Ubicazione su macroscala dei punti di campionamento) e con l'allegato V, sezione A, paragrafo 2 secondo il quale: «Per valutare l'inquinamento nelle vicinanze di fonti puntuali, il numero di punti di campionamento per le misure fisse deve essere calcolato tenendo in considerazione delle densità di emissione, gli probabile profilo di distribuzione dell'inquinamento dell'aria ambiente e della potenziale esposizione della popolazione»;
   a Venezia l'emergenza ambientale da polveri sottili è ormai costante e nonostante la normativa europea abbia posto un limite al PM2,5 – che deve essere contenuto in 25 microgrammi per metro cubo d'aria a partire dal 1o gennaio 2015 – questo inquinante non viene rilevato da ARPAV –:
   quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, il Ministro intenda adottare affinché vengano rispettate le norme comunitarie contenute nella direttiva 2008/50/CE relativamente al numero e alla ubicazione dei punti di campionamento per la misurazione dei, principali inquinanti dell'aria nella città di Venezia, nonché all'estensione della misurazione dell'inquinamento anche alle polveri ultrasottili PM2,5, a tutela della salute dei cittadini; (4-13557)


   CIPRINI, GALLINELLA, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI, DE ROSA e GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Umbria, il cuore verde d'Italia, dopo trent'anni di loschi silenzi, scopre all'improvviso di avere la sua «terra dei fuochi»;
   il dato preoccupante è che la terra dei fuochi dell'Umbria non è in un'area circoscritta attorno a un'unica zona, ma è diffusa sul territorio che risulta, così, profondamente sfigurato;
   si tratta, in particolare, della zona della valle del Nestore, ma anche di altre realtà del nostro Paese, che negli anni ’80 e ’90, è stata interessata dal traffico delle ceneri da impianti a carbone verso destinazioni sparse sul territorio nazionale, anche quando autorizzato, a fini di smaltimento o recupero; esso rappresenta un allarme ambientale di dimensioni tutt'altro che trascurabili tale da indurre, come nel caso esposto, a forti preoccupazioni nella popolazione in ordine al possibile verificarsi di un danno ambientale o almeno al rischio di esso dovuto alla ritenuta presenza di materiale pericoloso in rifiuti classificati non pericolosi oppure all'assenza di analisi preventive;
   recentemente, si è attivata anche la Procura della repubblica di Perugia che ha aperto una indagine a carico di ignoti con l'ipotesi di reato di disastro ambientale e altre fattispecie contro la salute pubblica;
   i carabinieri del Noe hanno posto i sigilli su un'area di 255 ettari tra i comuni di Panicale e Piegaro: campi coltivati, pozzi, laghetti sono stati isolati e prosegue la ricerca di prove per l'ipotizzato danno all'ambiente e alla salute dei cittadini. Il decreto di sequestro ha raggiunto i anche la società Valnestore Sviluppo, la Comunità Montana, il Consorzio Consenergia Green, l'Enel e svariati privati i cui possedimenti ricadono nella zona interessata;
   secondo quanto pubblicato dal Corriere dell'Umbria del 17 giugno 2016: «I pm ritengono infatti che gli accertamenti effettuati da quando è esplosa l'inchiesta “Valle dei Fuochi” abbiano rilevato la contaminazione delle acque di falda e accertato l'affioramento di rifiuti (solidi urbani e ceneri di varia provenienza) dimostrando “il venir meno anche di quelle prescrizioni minimali” impartite con le autorizzazioni rilasciate negli anni ’80. E gli esiti analitici dei campionamenti effettuati evidenziano anomalie. Sul primo dei tre pozzi controllati (impianti sportivi di Tavernelle) risulta il superamento delle concentrazioni di arsenico (19,8 su limite di 10 microgrammi per litro), ferro (6432 su 200 di limite), manganese (903 su 50 di limite). Il pozzo della vecchia centrale Enel evidenzia il superamento delle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) per solfati (403 su limite 250) e manganese (565 su 50) e c’è poi il pozzo di un privato sul quale verranno effettuati ulteriori accertamenti per i valori di radioattività misurati. I laghi “Forest”, “Nero”, e “Enel piccolo” evidenziano valori anomali di solfati, boro e manganese. Passando alle ceneri, in località Poderaccio emerge il superamento delle Csc (concentrazioni soglia di contaminazione) per selenio (3,4 su 3), vanadio (98 su 90) e floruri (2,6 su 1,5). Situazione più complessa in località Macereto dove sono più significativi i superamenti dei valori per selenio e vanadio (249 su 90)»;
   aspetto non trascurabile è poi quello relativo all'aumento di tumori e altre gravi patologie registratosi negli ultimi anni nella regione Umbria, altamente imputabile alla presenza di tali sostanze tossiche sul territorio: nella mappa interattiva del Registro tumori umbro di popolazione (Rtup), nel periodo compreso tra il 2004 e il 2011, il territorio compreso tra le frazioni di Pietrafitta e Tavernelle (Panicale) e la città di Piegaro, per i nuovi casi di tumore, si tinge di rosso;
   si tratta di un dato per il quale è al momento impossibile stabilire una correlazione legata a fattori ambientali, ma comunque difficile da smentire, perché parla chiaro e forte e si fa largo tra i tantissimi cittadini che, giustamente preoccupati, chiedono certezze per la loro salute;
   Carlo Romagnoli, referente Isde (acronimo inglese che sta per associazione internazionale dei medici per l'ambiente) dell'Umbria, il 25 febbraio 2016 ha relazionato davanti alla Commissione bicamerale di inchiesta sugli ecoreati: il suo intervento che tocca preliminarmente alcuni casi (si veda Papigno) si incentra sul nesso causale tra fattore ambientale e patologie. Nel suo discorso, pur non facendo riferimento a fattispecie particolari ma che interessa il caso Valnestore, dove c’è un'incidenza di tumori sopra la media regionale, il dottor Romagnoli ha spiegato – secondo quanto pubblicato dal Corriere dell'Umbria che riporta uno stralcio della relazione – che «Relativamente agli effetti sulla salute si tratta di ricordare che è dimostrato in letteratura scientifica che i residenti nei dintorni di siti inquinati hanno una maggiore incidenza di malattie e anche una maggiore probabilità di trasmettere alla prole una suscettibilità a sviluppare malattie in età adulta. Per l'attività che svolgiamo – Isde fa advocacy degli esposti – abbiamo contatti con cittadini e comitati, che ci segnalano una situazione diffusa di esposizione involontaria a sostanze il cui effetto è noto e che dovrebbero, avendo un effetto noto, non essere disperse nell'ambiente. Questo crea una condizione di emergenza. Non dobbiamo aspettare che si determinino le malattie»;
   questo è quanto evidenziato dalla Commissione bicamerale d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti che, poco tempo fa, ha fatto tappa nella regione, prima a Terni, poi a Perugia e Orvieto, per fare il punto sulle indagini scattate sulla gestione dei rifiuti in Umbria;
   dunque, da quanto emerge dalla indagine della procura di Perugia e dai primi rilievi, si sarebbe sicuramente di fronte a chiari indizi di come questo territorio sia stato sottoposto a fortissimi rischi ambientali, senza un definitivo riassetto dei luoghi al termine di quelle attività, con potenziali pericolosi effetti sulla salute umana –:
   quali iniziative intendano mettere in campo i Ministri interrogati, per quanto di competenza, anche in accordo con le istituzioni locali, per tutelare i cittadini dalle possibili ripercussioni sulla salute, causate dalla contaminazione dei terreni e delle falde acquifere ovvero da altre fonti inquinanti o nocive presenti nei territori della Valnestore;
   quali iniziative intendano promuovere i Ministri interrogati, per quanto di competenza, a tutela del territorio e dell'ambiente della Valnestore, affinché l'area interessata riacquisti la bellezza originaria e ai residenti venga garantita la sicurezza rispetto alla salubrità del territorio;
   quali iniziative intenda adottare il Governo per informare la cittadinanza in particolare della Valnestore circa la situazione ambientale descritta in premessa. (4-13569)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VII Commissione:


   VEZZALI e MONCHIERO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Costituzione italiana tra i principi fondamentali annovera la promozione della cultura, della tutela del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della nazione;
   una gran parte del patrimonio storico immobiliare del nostro Paese è di proprietà di privati; questo patrimonio è sottoposto al vincolo delle soprintendenze che hanno il compito di valutarne la loro tutela e conservazione e di richiederne interventi di manutenzione;
   «il codice dei beni culturali e del paesaggio» (decreto legislativo n. 42 del 2004) prevede all'articolo 31 che in caso di restauro o altri interventi conservativi autorizzati su beni culturali ad iniziativa del proprietario, possessore o detentore del bene, la soprintendenza possa pronunciarsi – a richiesta dell'interessato – sull'ammissibilità dell'intervento ai contributi statali previsti e ne certifichi il carattere di necessità;
   il lento e farraginoso meccanismo di erogazione di questi contributi che si aggiunge ai limiti della disponibilità che il Ministero alloca annualmente ha avuto come inevitabile conseguenza l'accumulo di debiti nei confronti dei privati, che si possono stimare in oltre 100 milioni di euro;
   il Governo, nell'assestamento di bilancio 2015 (capitolo 7441), ha previsto 10 milioni di euro da destinare all'estinzione dei debiti progressi nei confronti dei proprietari;
   l'esiguità dell'importo rispetto al volume dei crediti vantati dai privati fa presagire almeno 10 anni o più di attesa per i rimborsi delle somme già spese;
   questo tipo di patrimonio immobiliare ha comunque bisogno di interventi continui e questi ritardi nell'erogazione dei contributi statali rischiano di condizionare pesantemente le disponibilità finanziarie dei privati che, dopo tanti anni di attesa, hanno poche garanzie di recuperare le somme investite –:
   se non ritenga necessario assumere iniziative per aumentare le risorse destinate a questo tipo di interventi per recuperare una parte del debito pregresso predisporre con tempestività le erogazioni di acconti per coloro che finora non hanno ricevuto nulla e provvedere ai saldi per quei privati che hanno i crediti più datati. (5-08964)


   PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO e CARLO GALLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 24 maggio 2016, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha pubblicato sul suo sito istituzionale il bando per il concorso per immettere nei ranghi dell'amministrazione 500 nuovi funzionari da assumere a tempo indeterminato presso, il MiBACT e da inquadrare nei seguenti profili professionali: antropologo (5 posti), archeologo (90 posti), architetto (130 posti), archivista (95 posti), bibliotecario (25 posti), demoetnoantropologo (5 posti), promozione e comunicazione (30 posti), restauratore (80 posti) e storico dell'arte (40 posti);
   dopo appena due giorni il professor Giovanni Solimine, componente del Consiglio superiore dei beni culturali e i professori Muro Guerrini, Luca Bellingeri, Paolo Matthiae e Gino Roncagli, componenti l'intero Comitato tecnico scientifico per le biblioteche e gli istituti culturali, rassegnano le dimissioni in protesta per il numero largamente insufficiente di posti a bibliotecario previsti dal bando. Denunciando la scarsa attenzione ancora una volta riservata dal Ministero al comparto delle biblioteche, le dimissioni sono motivate dalla convinzione di non poter fornire, in tali condizioni di scarsità di risorse, alcun utile contributo alle biblioteche statali;
   i dimissionari ritengono profondamente sbagliata la scelta rivendicata dal Ministro di basare la ripartizione dei posti a concorso sull'organico determinato nell'agosto 2015, essendo totalmente slegata da un'effettiva analisi dei fabbisogni reali, e contestano all'azione del Ministero l'assenza di disegno di ampio respiro e di visione organica finalizzati a valorizzare il ruolo delle biblioteche nelle politiche culturali, per la formazione, la ricerca e l'accessibilità della conoscenza;
   nella generale scarsità di attribuzione di risorse umane a ciascun profilo professionale, il ricorso a meri parametri aritmetici eufemisticamente definiti dallo stesso Ministro interrogato, «equa e proporzionale assegnazione di risorse umane», provoca maggior sofferenza in un settore già duramente provato ai limiti del collasso dalla riduzione degli orari di apertura, dalla scarsa accessibilità del patrimonio, dall'invecchiamento delle collezioni, dal costante abbassamento del livello dei servizi erogati, dalla contrazione dell'utenza; tutti fattori che hanno condotto ad una crescente marginalizzazione delle biblioteche statali nel panorama bibliotecario nazionale;
   la determinazione del 2015 non risultava da una visione ampia in un conseguente disegno organico, limitandosi invece a fotografare uno status quo determinato da scelte effettuate negli anni precedenti e spesso scellerate. Peraltro, detta determinazione pur riferendosi alle figure professionali, non ha riguardato attribuzioni finalizzate ad una allocazione funzionale, essendo oltre un terzo di tali figure ordinariamente impiegato in contesti diversi dalle biblioteche statali;
   la valutazione risalente all'anno 2015 è già oggi obsoleta e lo sarà ulteriormente nel 2017, quando i bibliotecari vincitori del concorso prenderanno servizio. Basti considerare che l'età media dei bibliotecari già in organico è la più alta dell'intero comparto dei beni culturali: da una rilevazione effettuata nel 2015 risulta che solo il 2,7 per cento, del personale in servizio ha un'età inferiore ai 50 anni e il 63 per cento dei bibliotecari supera i 60 a fronte del 35 per cento fra gli architetti, 29 per cento fra gli archeologi, 15 per cento fra gli storici dell'arte e 14 per cento fra gli amministrativi; nel tempo tale situazione è lapalissianamente destinata a peggiorare. Nel corso del 2016 sono previsti 37 pensionamenti e nell'arco dei prossimi 5 anni circa il 60 per cento dei bibliotecari lascerà il servizio; questo semplice dato rende evidente l'insufficienza dei 25 posti da ricoprire nel 2017;
   l'istituzione delle Soprintendenze archivistiche e bibliografiche del gennaio 2016 prevede l'aggiunta di nuove figure con competenze bibliotecarie in posti tuttora scoperti che se dovessero restare tali determinerebbe il fallimento della riforma stessa;
   la perdita di autonomia da parte di biblioteche – anche di grande rilievo – conseguente al passaggio sotto la direzione di un polo museale ha solo mascherato le carenze di organico dirigenziale, ma non ha migliorato la funzionalità e la progettualità specifiche che dovrebbero caratterizzare le istituzioni bibliotecarie;
   l'effetto riduttivo delle piante organiche prodotto dalla messa a concorso di soli cinquecento posti e distribuiti secondo le proporzioni sopra descritte colpisce soprattutto le regioni del Sud Italia che, a causa dell'irragionevole squilibrio territoriale accumulatosi negli ultimi trent'anni di politica clientelare, risultano paradossalmente in esubero d'organico, nonostante la situazione reale mostri la gravissima crisi in cui versano biblioteche, archivi e patrimonio storico-artistico, spesso inaccessibili e in preda la degrado. A tale stato di fatto il Ministero risponde con un bando che prevede la rimozione radicale dei qualificatissimi giovani meridionali in attesa di un'occupazione: alla Campania, alla Puglia, all'Abruzzo, alla Sicilia ed alla Calabria non verrà assegnato alcun storico dell'arte, mentre alla fortunata Basilicata ne toccherà uno, mentre al Molise due –:
   se il Ministro non ritenga opportuna una revisione radicale del bando quale primo atto concreto di una serie di iniziative da mettere in campo, attribuendovi le necessarie dotazioni finanziarie, anche mediante l'accesso ai fondi europei, affinché sia riaffermato e potenziato il ruolo insostituibile delle biblioteche nella conservazione e crescita di un bene comune di inestimabile valore culturale e scientifico e la sua accessibilità pubblica e gratuita, in tal modo rispondendo efficacemente alla crescente domanda di respiro europeo di lettura, studio, ricerca, informazione, aggiornamento, scambio, entro il quadro più ampio delle politiche dell'istruzione, di accesso alla conoscenza e di formazione permanente dei cittadini. (5-08965)


   SIMONE VALENTE, LUIGI GALLO, VACCA, D'UVA, BRESCIA, DI BENEDETTO e MARZANA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 dicembre 2013, visto il decreto direttoriale del 6 dicembre 2013, con il quale è stato disposto l'avvio di una procedura per la selezione di 500 giovani laureati da formare per la durata di 12 mesi, nelle attività di inventariazione e di digitalizzazione del patrimonio culturale italiano presso gli istituti ed i luoghi della cultura statali, viene definito il contingentamento regionale dei posti assegnati a livello territoriale. Inoltre, viene integrato l'allegato contenente titoli, soggetti ed attribuzione del punteggio;
   inizialmente il bando era rivolto a neo laureati con il massimo dei voti e prevedeva un compenso di 3,20 euro all'ora, per 30 ore settimanali;
   la pubblicazione del bando ha sollevato non poche proteste fra i giovani laureati e gli archeologi. Al riguardo il presidente della Confederazione italiana archeologi, Alessandro Pintucci, ha affermato che «un assegno di 5.000 euro per lavorare un anno intero rappresenta di fatto un'autentica umiliazione» e «con questa elemosina il sistema politico ci vorrebbe rendere tutti suoi clienti. Tra un anno quei 500 giovani, saranno di nuovo a bussare alle porte di qualcuno per chiedere di estendere il contratto per qualche mese o di essere assunti come novelli miracolati»;
   il Ministro dei beni e delle attività culturali pro tempore Bray, il 16 dicembre 2013, attraverso una nota diramata sul sito, a seguito delle numerose proteste sorte dalle comunità interessate, ha apportato delle modifiche al bando. Il risultato è un aumento della retribuzione corrisposta per ora di lavoro, lasciando però di fatto immutato il compenso complessivo di 5.000 euro lordi per un anno di attività, caratterizzando così a tutti gli effetti quella che doveva essere una «proposta di lavoro» in un tirocinio di formazione rivolto a giovani laureati;
   nel rispondere all'interrogazione parlamentare n. 4-02955 il Ministro Franceschini aveva specificato che «la procedura selettiva in parola intende essere un'occasione per aprire una prospettiva di lavoro con il completamento di un percorso formativo nell'ambito di un'attività di collaborazione retribuita»;
   le delegate del Comitato nazionale 500 giovani per la cultura, Marta Laureanti e Eleonora Belli, 31 anni, in un'intervista rilasciata alla Repubblica degli Stagisti, raccontano di non percepire l'indennità da gennaio 2016 e di aver avuto un incontro con la direzione generale del Ministero nel corso del quale avrebbero appreso che «l'interruzione dei pagamenti è da imputare a un errore clamoroso del MEF che, anziché utilizzare un fondo pubblico di spesa del 2014, stanziato appositamente per noi, ha impiegato un fondo del 2015, con conseguente intervento della Corte dei Conti che ha bloccato tutto. Il responsabile ci aveva assicurato che la cosa si sarebbe risolta in quindici giorni. E specificò che dalla cifra totale sarebbero state detratte altre voci che nei mesi passati non erano state prese in considerazione: Inail ed Irpef» –:
   al fine di restituire dignità ai giovani laureati selezionati, quali iniziative urgenti di competenza intenda intraprendere per il sollecito pagamento delle indennità spettanti e per chiarire le reali prospettive della formazione svolta. (5-08966)


   PALMIERI, DE GIROLAMO e BERGAMINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il complesso termale denominato «Acque della salute» e noto anche come «Terme del corallo» di Livorno è considerato tra i primi in Italia, per eleganza, ingegneria, qualità, efficacia delle cure termali, ricchezza artistica, livello architettonico e stile liberty con il quale fu progettato e realizzato dall'ingegner Angelo Badaloni tra il 1903 ed il 1904;
   costruito in cemento armato (primo edificio in Toscana e tra i primi in Italia), fu medaglia d'oro all'Esposizione internazionale di Parigi (1904), ma, dopo i fasti iniziali, è giunto ai giorni nostri in stato di totale abbandono;
   da anni si valutano numerose ipotesi per il restauro, il recupero e la riqualificazione dell'intera struttura, ma, ad oggi, niente di concreto è stato fatto;
   nel marzo 2016 è stata approvata dal consiglio regionale della Toscana una mozione di Forza Italia che chiede per le suddette terme l'applicazione della legge n. 622 del 1996 «per la definizione di nuovi giochi ed estrazioni settimanali del gioco del Lotto», la quale prevede che ogni anno venga riservata al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo una quota degli utili derivanti dal gioco per iniziative ed interventi culturali, ambientali, archeologici, storici, artistici, archivistici e librari del nostro Paese, nonché per interventi di restauro paesaggistico o di promozione della cultura del nostro Paese;
   nel 2007, per la regolamentazione del procedimento di assegnazione, venne incrementata la quota destinata al fondo ex articolo 3, comma 83, della legge n. 622 del 1996 per il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con l'autorizzazione «alla spesa di 10 milioni di euro annui a decorrere dal 2016»;
   la mozione approvata dal consiglio regionale ha impegnato la giunta regionale «ad attivarsi per esprimere ogni possibile capacità di interlocuzione ed intervento interistituzionale al fine di favorire l'inserimento degli interventi di recupero dello stabilimento "Acque della Salute di Livorno", tra gli interventi di destinazione della quota di proventi del gioco del Lotto da destinare a quanto disposto dall'articolo 3, comma 83, della legge n. 622 del 1996» –:
   quali siano i criteri di allocazione e destinazione sul territorio nazionale della quota degli utili derivanti dal gioco del lotto riservata, ai sensi dell'articolo 3, comma 83, n. 622 del 1996 e dalla conseguente normativa del 2007, al recupero e alla conservazione dei beni culturali archeologici, storici, artistici e librari, nonché per interventi di restauro paesaggistico e per attività culturali e se fra questi il Ministro interrogato preveda l'inserimento delle «Terme del corallo» di Livorno.
(5-08967)


   COSCIA, NARDUOLO, RAMPI, MANZI, BONACCORSI, GHIZZONI, MALISANI, ASCANI, BLAZINA, CAROCCI, COCCIA, CRIMI, DALLAI, D'OTTAVIO, IORI, MALPEZZI, PES, ROCCHI, SGAMBATO e VENTRICELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   affermare il valore dei libri e della lettura significa garantire al Paese una crescita non solo culturale, ma anche economica e occupazionale;
   elemento essenziale per qualsiasi tipo di promozione è la comunicazione;
   proprio per raggiungere tale obiettivo, si apprende positivamente dell'iniziativa avviata dal Ministro interrogato che ha firmato nei giorni scorsi il «Patto per la Lettura» con il direttore generale della Rai, il presidente di Mediaset, l'amministratore delegato de La7, l'Executive Vice President di Sky Italia, e l'amministratore delegato di Discovery;
   tra i punti più importanti del patto, figurano l'impegno delle tv di pubblicizzare e diffondere i progetti nazionali di promozione della lettura realizzati del Centro per il libro e la lettura al fine di informare e coinvolgere il maggior numero possibile di cittadini, di promuovere e valorizzare la letteratura specifica per bambini e ragazzi attraverso programmi e format rivolti ai più giovani, di creare occasioni di promozione della lettura e dei libri all'interno di ogni genere di programma e non esclusivamente nei contenitori culturali, di realizzare contenuti dedicati alla promozione della lettura in un'ottica multipiattaforma allo scopo di creare un'interazione con i nuovi media digitali e i social network, di creare e sviluppare approfondimenti e progetti sui più importanti appuntamenti italiani legati ad autori, titoli, generi e festival e di valorizzare la memoria dei grandi autori della letteratura italiana in particolar modo in occasione di anniversari e ricorrenze;
   tale promozione, avviata dal Governo, conferma la volontà politica della maggioranza espressa nella Commissione competente, di portare a termine l’iter di approvazione della proposta di legge n. 1504 e abbinate sulla diffusione del libro e sulla promozione della lettura –:
   come intenda provvedere all'attuazione del patto sottoscritto al fine di concretizzare l'obiettivo condiviso di promuovere la diffusione del libro e la lettura. (5-08968)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MORANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Vittorio Sgarbi, in qualità di assessore per la rivoluzione – cultura e agricoltura – difesa del paesaggio e del centro Storico del comune di Urbino, come si può evincere da alcune interviste rilasciate al Resto del Carlino, riferendosi all'esclusione della città di Urbino dalla candidatura a Capitale europea della cultura 2019, avrebbe fatto riferimento a delle presunte, gravi, violazioni delle procedure per le selezioni delle capitali nazionali della cultura; selezioni che per Sgarbi non avverrebbero in modo regolare ma a seguito di segnalazioni politiche al Presidente del Consiglio dei ministri;
   si tratta di affermazioni e illazioni, a giudizio dell'interrogante, molto gravi, diffuse a mezzo stampa e aggravate dall'incarico pubblico che Sgarbi ricopre, e che causano grave pregiudizio all'immagine del Ministero al quale, inoltre, lo stesso Sgarbi, appartiene, essendo stato recentemente riammesso in servizio nei ruoli della Soprintendenza di Venezia –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle suesposte gravi dichiarazioni, diffuse inoltre a mezzo stampa, provenienti da un proprio funzionario, e se non ritenga dunque necessario adottare le opportune iniziative di competenza nei suoi confronti. (4-13570)


   COSTANTINO, DURANTI e RICCIATTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Reggia di Venaria apre ufficialmente i suoi spazi al pubblico il 12 ottobre 2007, dopo circa 10 anni di lavori di ristrutturazione. Si è trattato di un cantiere su cui sono state impegnate grandi risorse provenienti in gran parte da fondi comunitari, cantiere che è stato per anni il più grande d'Europa. Oggi la Reggia di Venaria è tra i beni protetti dall'Unesco;
   per l'organizzazione dei servizi necessari alla sua apertura la regione Piemonte predispone un bando di gara spedito in data 27 aprile 2007 che viene aggiudicato definitivamente all'A.T.I. CODESS CULTURA Soc. Coop – Società servizi socioculturali cooperativa sociale Onlus - Arethusa s.r.I - Cooperativa lavoratori ausiliari del traffico L.A.T - Cooperativa sociale P.G Frassati Onlus;
   avverso tale aggiudicazione, in data 7 giugno 2007, la seconda in graduatoria, il concorrente REAR Soc. Coop (Capogruppo) e CO.PA.T Soc. Coop – Pulintec Servizi s.r.l. proponeva ricorso al Tar e vedendosi accolto il ricorso, subentrava nel servizio a CODESS dopo 8 mesi circa dall'apertura del complesso. L'intera vicenda giuridica si concluderà poi ben oltre la scadenza naturale dell'appalto, con il riconoscimento da parte del Tar delle ragioni di CODESS avverso le decisioni del neo-nato consorzio La Venaria Reale, il quale ha lasciato gestire il servizio per l'intero periodo a REAR, nonostante il fatto che, a livello giuridico, le ragioni dei concorrenti parevano comunque in continua alternanza;
   l'ingresso della REAR è stato subitaneo e «traumatico»; nell'arco di 15 giorni i lavoratori che precedentemente operavano presso la Reggia di Venezia si sono visti recapitare le lettere di licenziamento da CODESS;
   il Contratto collettivo nazionale di lavoro (CCNL) applicato ai lavoratori da CODESS era il MULTISERVIZI PULIZIE FISE. Il subentro della REAR, che anche per tramite di funzionari della Reggia e per esplicita volontà della REAR, si voleva eseguire senza adempiere regolarmente al passaggio diretto delle maestranze ai sensi dell'articolo 4 del CCNL Multiservizi, normalmente previsto in cambio d'appalto, ma tramite «chiamate dirette» negli uffici della REAR (procedura anche «consigliata» dai funzionari della Reggia);
   tale situazione ha visto nascere una vertenza sindacale tesa da un lato ad assicurare che tutti i lavoratori in appalto venissero assunti da REAR (che non considerava il caso di fattispecie un cambio di appalto) e dall'altro al riconoscimento dell'applicazione del CCNL finora applicato per garantire i livelli di reddito;
   REAR era intenzionata infatti ad applicare un altro CCNL, notoriamente peggiorativo: il CCNL multiservizi unici;
   la vertenza (sintetizzata nel verbale della prefettura si conclude, anche a seguito dell'intervento della regione Piemonte con la vittoria del sindacato a vedersi applicato il Multiservizi Fise;
   ciononostante, alcuni lavoratori, a causa della paura, della confusione che regnava in quei giorni e anche a causa dei sedicenti consigli provenienti dai funzionari della Reggia si sono recati negli uffici REAR prima dell'accordo che ha posto fine alla vertenza e si sono visti applicati il Contratto collettivo nazionale di lavoro dell'Unione nazionale della cooperativa italiana (UNCI);
   come si vedrà, questo ultimo fatto avrà per tali lavoratori delle conseguenze che si protraggono finora, anche perché il tipo di contratto a loro proposto è stato non solo il contratto UNCI ma addirittura un contratto «a chiamata»;
   questo primo appalto finirà dopo un lungo periodo di proroga che vedrà il Consorzio (che nel frattempo si è costituito giuridicamente come ente strumentale) cercare di fronteggiare le vertenze sindacali nate per rivendicare una paga più consona al servizio fornito, l'applicazione del contratto di settore e la risoluzione di quelle storture ancora presenti a causa della politica sindacale di REAR che continuava ad applicare il CCNL UNCI a un discreto numero di lavoratori (anche provenienti da altri cantieri ma poi messi stabilmente ad operare in Reggia) e a causa del clima volutamente ostile e anti-sindacale della REAR;
   il periodo si conclude comunque positivamente per i lavoratori, con la stipula del Protocollo d'intesa tra organizzazioni sindacali e consorzio teso a definire i contenuti del nuovo bando di gara e con la conseguente aggiudicazione definitiva dell'appalto all'A.T.I LA CORTE REALE s.r.l., di cui fa parte anche la REAR;
   il CCNL applicato ai lavoratori da ATI LA CORTE REALE è quello accordato nel protocollo d'intesa e previsto nel bando di gara: il CCNL FEDERCULTURE;
   l'organizzazione del lavoro, nonché la mobilità interna e le procedure per la sostituzione del personale dimissionario sono regolate da un accordo quadro tra azienda e Organizzazioni sindacali tuttora vigente. Fine principale di tale accordo è pervenire nel tempo a una sempre maggiore stabilizzazione del personale ad oggi purtroppo ancora precario, poiché «a chiamata»;
   durante il periodo che va dall'aggiudicazione all'ATI LA CORTE REALE ad oggi, le condizioni e l'organizzazione del lavoro non sono rimaste del tutto inalterate: vi sono state delle riduzioni abbastanza contenute nel servizio riguardanti in un primo momento il lavoro «a chiamata» (inizialmente previsto anche nell'accordo quadro come lavoro da utilizzarsi nelle mostre temporanee al fine di garantire a questi lavoratori un bacino più o meno sicuro di ore da cui attingere) che è stato ridotto ai minimi termini e utilizzato o in via di grandi eventi straordinari o in via di sostituzione personale per ferie, malattie o aspettative –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intendano, per quanto di competenza, nella gestione della vertenza assumere ogni iniziativa che favorisca l'applicazione dei contratti di riferimento Federculture che tradizionalmente tutelano e migliorano la qualità del lavoro e i termini contrattuali e valorizzano la professionalità delle maestranze, oggi perlopiù assunte con contratti multiservizi, essendo il contratto Federculture l'unico contratto specificatamente indirizzato al settore culturale, soprattutto in ambito imprenditoriale. (4-13571)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE, BASILIO, CORDA, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   risulta agli interroganti che il generale Biagio Abrate, già capo di Stato maggiore della Difesa e precedentemente segretario generale della Difesa, sia stato recentemente richiamato in servizio;
   il generale Abrate ha lasciato l'incarico e il servizio attivo il 31 gennaio 2013 –:
   se risponda a verità che il generale Biagio Abrate sia stato richiamato in servizio e, in caso di risposta affermativa, quali siano le ragioni che hanno indotto il Ministro a richiamare il generale Abrate anziché utilizzare un dirigente militare della difesa già in servizio. (5-08953)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge n. 183 del 2015, il cui contenuto è confluito nella legge di stabilità 2016, è stata avviata la procedura di risoluzione per quattro banche italiane, ovvero la Banca Popolare dell'Etruria e del Lazio, la Banca Marche, la CariChieti e la Cassa di Risparmio di Ferrara;
   questo ha significato il conferimento delle attività in sofferenza ad una «bad bank», di tutte le altre ad una «banca ponte» fino alla cessione, e l'azzeramento del valore di 2 miliardi di azioni e 1 di obbligazioni subordinate;
   la scelta di percorrere la via della risoluzione fu motivata con l'adozione della direttiva BRRD, che tuttavia avrebbe avuto effetto solo dal 1o gennaio 2016, e soprattutto con l'opposizione della Commissione europea, che avrebbe considerato aiuto di Stato l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi per la ricostituzione del capitale sociale degli istituti in difficoltà;
   venne allora citata una corrispondenza fra Governo e Commissione, e venne richiamata in particolare la comunicazione 2013/C 216/01, con la quale l'Unione europea dichiarava inammissibile qualunque intervento pubblico che non prevedesse preliminarmente l'azzeramento del valore di azioni e obbligazioni subordinate;
   si sostenne che l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi appartenesse appunto alla categoria degli interventi vietati, nonostante una comunicazione non abbia valore normativo e nonostante questo raccolga capitale da privati, anche se per obbligo di legge;
   in queste ore, dopo un lungo commissariamento, è stata individuata una soluzione per Cassa di Risparmio di Cesena, che prevede l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi per una ricapitalizzazione tramite aumento di capitale di euro 280 milioni di euro;
   in questo contesto si produrrà un sostanziale azzeramento del valore delle azioni storiche, che passeranno da 19 euro del 2014 a 10-80 centesimi, e la proprietà passerà al Fondo, che ne gestirà la cessione ad altro operatore del settore;
   all'assemblea dei soci del 28 giugno 2016 sarà tuttavia proposta l'assegnazione di warrant gratuiti nel numero di 4 o 5 per ogni azione agli attuali azionisti al valore di 50 centesimi, da convertire poi eventualmente in azioni nei prossimi 5 anni;
   si produrrà così la soluzione proposta da molti anche per gli azionisti delle 4 banche sottoposte a risoluzione e che il Governo ha sempre rifiutato di adottare;
   è comunque evidente come si renda possibile nel giugno 2016, dopo la piena entrata in vigore della direttiva «BRRD», ciò che non si volle considerare nel novembre 2015, ovvero l'intervento del Fondo interbancario di tutela dei depositi, la tutela piena degli obbligazionisti, la corresponsione di warrant agli azionisti –:
   quale sia la posizione del Governo sulla questione e sulla base di quali presupposti sia stata assunta, atteso che potrebbe determinarsi una palese disparità di trattamento, in assenza di novità normative significative, fra le quattro banche avviate a risoluzione e Cassa di risparmio di Cesena. (5-08977)


   LAFFRANCO e PALMIZIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi anni, in considerazione delle gravi difficoltà finanziarie dei contribuenti, il legislatore è intervenuto offrendo la possibilità di rateizzare le somme iscritte a ruolo fino a un massimo di dieci anni, nel tentativo di salvaguardare realtà economiche in crisi e di scongiurare i fallimenti industriali e le conseguenti ripercussioni occupazionali;
   i dati forniti da Equitalia mostrano che le dilazioni di pagamento rappresentano un fenomeno in costante crescita: dal 2008 ad oggi sarebbero state gestite circa 5,6 milioni di istanze di rateizzazione, per un valore di oltre 107 miliardi di euro e quasi la metà delle riscossioni avverrebbe mediante il pagamento dilazionato;
   nel corso dell'audizione presso la Commissione di vigilanza sull'anagrafe tributaria, svoltasi il 9 marzo 2016, l'amministratore delegato di Equitalia ha confermato il trend sopra riportato, affermando che, attualmente, sono attive circa 30 milioni di rateizzazioni, per un controvalore di circa 38 miliardi di euro;
   per fare fronte all'esigenza dei cittadini di snellire il procedimento di accesso alla rateizzazione del debito e di rendere maggiormente fruibile la ripartizione del pagamento in rate, il legislatore è più volte intervenuto in materia apportando puntuali modifiche all'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973;
    nello specifico, nel corso dell'anno 2014, il legislatore ha emanato disposizioni di carattere eccezionale (l'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014, cosiddetto «Milleproroghe» e l'articolo 10 del decreto-legge n. 192 del 2014) per consentire ai debitori decaduti dal beneficio della rateazione, entro e non oltre il 31 dicembre 2014, di essere riammessi, su specifica richiesta, al pagamento rateale;
   con l'articolo 15, comma 7, del decreto legislativo 24 settembre 2015, n. 159 (recante misure per la semplificazione e razionalizzazione delle norme in materia di riscossione, in attuazione dell'articolo 3, comma 1, lettera a) della legge 11 marzo 2014, n. 23), è stata concessa la possibilità ai debitori decaduti nei 24 mesi antecedenti alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, di rimettersi in regola, presentando apposita richiesta entro 30 giorni dalla suddetta data al fine di ottenere la ripartizione delle somme iscritte a ruolo non ancora versate fino ad un massimo di 72 rate mensili;
   il decreto legislativo n. 159 del 2015 ha altresì previsto che, in caso di decadenza dei piani di ammortamento concessi a decorrere dal 22 ottobre 2015, i debitori in difficoltà possano ottenere un nuovo piano di rateizzazione a condizione che al momento della presentazione della relativa istanza, le rate del precedente piano, già scadute a tale data, vengano integralmente saldate;
   situazione diversa si verifica per i debitori che hanno ottenuto un piano di rateizzazione prima del 22 ottobre 2015, per i quali la decadenza continuerà a verificarsi solo in caso di mancato pagamento di 8 rate, anche non consecutive, e che una volta decaduti non potranno, invece, essere più riammessi al beneficio;
   coloro che, in caso di peggioramento della propria situazione economica, non abbiano chiesto tempestivamente una proroga del piano in essere, ovvero la relativa conversione in un piano straordinario, saranno quindi esposti alle azioni cautelari ed esecutive di Equitalia;
   un'ultima possibilità, in termini temporali, è stata concessa con la legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208, articolo 1, commi da 134 a 138), che consente anche ai contribuenti decaduti dal beneficio della rateazione di somme dovute a seguito di accertamenti con adesione di essere riammessi, a specifiche condizioni, al piano originario di dilazione; in particolare, il predetto beneficio che spetta ai contribuenti decaduti nei trentasei mesi antecedenti al 15 ottobre 2015, per i quali la riammissione è effettuata al piano di rateazione inizialmente concesso, riguarda il solo versamento delle imposte dirette ed è condizionata alla ripresa, entro il 31 maggio 2016, del versamento della prima rata scaduta;
   alla luce della normativa sopra riportata, nonché dell'ultima previsione contenuta nella legge di stabilità 2016, è del tutto evidente che il rischio di fallimento rappresenta una realtà concreta sia per molte imprese italiane sia per tutte quelle famiglie che non potendo ottemperare ai propri debiti si trovano a dover fronteggiare una situazione di grande incertezza;
   lo stesso amministratore delegato di Equitalia, nel corso dell'audizione sopra richiamata ha sottolineato che è necessario trovare soluzioni adeguate per fronteggiare tale situazione, poiché grazie ai pagamenti a rate, le famiglie e le imprese in difficoltà economiche riescono, nel tempo, a regolarizzazione il loro debito con l'Erario e di conseguenza Equitalia è in grado di riscuotere le somme che gli enti creditori le affidano, nel modo meno invasivo possibile, facilitando il rapporto con i debitori interessati e favorendo, al contempo, un clima di minor tensione sociale e di maggiore fiducia nelle istituzioni;
   il 24 maggio 2016 è stata approvata la risoluzione n. 7-00976, attraverso la quale si impegna il Governo ad assumere iniziative che consentano a coloro che sono decaduti dai piani di rateazione, prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 159 del 2015, di poter ottenere, attraverso semplice richiesta, da presentare entro 60 giorni dalla stessa data, la concessione di un nuovo piano di rateizzazione senza necessità di pagare le rate scadute; a prevedere che le disposizioni di cui all'articolo 19, comma 3, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 si applichino anche ai piani di dilazione concessi ai sensi dello stesso articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602, in data antecedente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 159 del 2015, per i quali, alla data di entrata in vigore della nuova norma, non si sia già verificata la decadenza, saldando, contestualmente alla presentazione di una richiesta apposita, tutte le rate precedentemente scadute; a prevedere che i contribuenti decaduti dai piani di rateazione in data successiva al 15 ottobre 2015, nelle ipotesi di definizione degli accertamenti di cui al decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, o di omessa impugnazione degli stessi, alla data di entrata in vigore della nuova norma, possano ottenere, a semplice richiesta, da presentare entro 60 giorni dalla stessa data, la concessione di un nuovo piano di rateizzazione, senza necessità di pagare le rate scadute –:
   con quali tempi e con quali modalità il Ministro interrogato intenda dare seguito a quanto stabilito nella risoluzione n. 7-00976, richiamata in premessa, al fine di scongiurare rischi che possano portare al fallimento di molte imprese italiane. (5-08978)


   FREGOLENT e PELILLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la rendita erogata dall'INAIL ad infortunati sul lavoro e vittime di malattie professionali è attualmente esente da imposizione fiscale in forza di un orientamento amministrativo e giurisprudenziale consolidato che ne ha evidenziato la natura risarcitoria;
   l'articolo 6, comma 2, del testo unico delle imposte sui redditi — TUIR di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, prevede che i proventi conseguiti in sostituzione di redditi, anche per effetto di cessione dei relativi crediti, e le indennità conseguite, anche in forma assicurativa, a titolo di risarcimento di danni consistenti nella perdita di redditi, esclusi quelli dipendenti da invalidità permanente o da morte, costituiscono redditi della stessa categoria di quelli sostituiti o perduti;
   la circolare del Ministero delle finanze n. 23 del 20 giugno 1986, riprendendo i contenuti di precedenti pronunciamenti (circolari Ministero finanze n. I/RT del 15 dicembre 1973 e n. 29 del 31 maggio 1979), ha confermato l'assunto secondo il quale le rendite da infortunio, ad esclusione della indennità giornaliera per inabilità temporanea assoluta, costituiscono erogazioni a carattere risarcitorio e in quanto tali non possono essere considerate ai fini delle imposte sui redditi;
   in termini analoghi si è espressa la commissione tributaria centrale (decisione della XVI sezione, n. 16468, del 21 dicembre 1978 e decisione della XXIV sezione, n. 2070, del 14 luglio 1983);
   successivamente il Ministero del lavoro (Divisione III, protocollo n. 1441 del 31 marzo 1987) e il Ministero del tesoro (RGS-Igop protocollo n. 129430 del 10 settembre 1987) si sono espressi per l'esclusione delle rendite INAIL dai redditi valutabili (ex articolo 23 della legge n. 41 del 1986) ai fini della determinazione del reddito familiare del soggetto richiedente gli assegni familiari; mentre il Ministero della sanità (circolare n. 100/SCPS/010/3641 del 20 maggio 1987) si è pronunciato per l'esclusione della rendita (ex articolo 28 della legge n. 41 del 1986) dalla formazione del reddito valutabile ai fini della concessione dell'esenzione dai tickets sanitari;
   numerose pronunce della (Corte di cassazione (Cassazione 18 luglio 1985 n. 4237; Cassazione 21 giugno 1991 n. 6982; Cassazione 18 luglio 1995 n. 7792), hanno più volte ribadito la non assoggettabilità all'imposta sul reddito delle persone fisiche degli importi erogati dall'INAIL a titolo di rendita per invalidità, visto il carattere risarcitorio di dette prestazioni;
   con la risoluzione 155/E del 24 maggio 2002, l'Agenzia delle entrate, in tema di risarcimento danni o di indennizzi percepiti da un soggetto, ha chiarito che è principio generale quello per cui, laddove l'indennizzo vada a compensare in via integrativa o sostitutiva la mancata percezione di redditi di lavoro, ovvero il mancato guadagno, le somme corrisposte, in quanto sostitutive di reddito, vanno assoggettate a tassazione e, così, ricomprese nel reddito complessivo del soggetto percipiente; viceversa, laddove il risarcimento erogato voglia indennizzare il soggetto delle perdite effettivamente subite (il cosiddetto danno emergente), ed abbia, quindi, la precipua funzione di reintegrazione patrimoniale, tale somma non sarà assoggettata a tassazione;
   l'articolo 13 del decreto legislativo 23 febbraio 2000, n. 38, in tema di danno biologico, afferma la necessità di corrispondere le prestazioni per il ristoro del danno biologico in misura indipendente dalla capacità di produzione del reddito del danneggiato, sottolineando ulteriormente il carattere non reddituale della prestazione, principio ormai definitivamente assodato nell'elaborazione giurisprudenziale;
   sarebbe tuttavia necessario un riconoscimento legislativo di tale principio, che tuteli definitivamente gli oltre 800.000 titolari di rendita da eventuali provvedimenti futuri di diverso indirizzo –:
   se non ritenga utile assumere iniziative normative, al fine di stabilire, in linea con quanto già accertato in via giurisprudenziale, che la rendita per infortunio sul lavoro o malattia professionale erogata dall'INAIL ai sensi del testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 30 giugno 1965, n. 1124, ha carattere risarcitorio del danno subito dall'assicurato per effetto dell'evento invalidante e, pertanto, è esclusa dalla formazione del reddito del percipiente ai fini delle imposte sui redditi. (5-08979)


   PAGANO e CAUSIN. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 49 del decreto legislativo n. 22 del 1997 (cosiddetto «decreto Ronchi») ha soppresso la tassa per lo smaltimento dei rifiuti (cosiddetta TARSU), istituendo una specifica tariffa di igiene ambientale (cosiddetta TIA) per la gestione dei rifiuti urbani commisurata al servizio svolto, invece che alla superficie dell'utenza; la TIA promuove l'uso razionale e sostenibile delle risorse, secondo il principio del «chi inquina paga», e cerca di favorire i meccanismi atti ad incentivare il consumatore alla riduzione dei rifiuti prodotti;
   sulla natura di questa tariffa, si è ben presto aperto un dibattito tra chi la riteneva un corrispettivo per un servizio reso e chi, invece, ne sottolineava la natura tributaria;
   almeno limitatamente alle utenze non domestiche, la TIA si configura come tariffa da esigere a pagamento di un servizio, e non come tassa a copertura di un costo, e quindi non dovrebbero esserci dubbi sulla possibilità per i soggetti di poter scaricare l'Iva relativa;
   a fronte di sentenze tra loro contrastanti, è intervenuto il legislatore, che, con una specifica norma (comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto-legge 30 settembre 2005, n. 203, convertito dalla legge n. 248 del 2005) ha disposto che «appartengono alla giurisdizione tributaria anche le controversie relative alla debenza del canone per lo smaltimento dei rifiuti urbani»;
   ciò non è stato sufficiente per dirimere la questione, in quanto molti giudici (per ultima anche le Sezioni Unite della Corte di cassazione con ordinanza 13894/2009), ritenendo costituzionalmente illegittima la norma del 2005, hanno investito della questione la Corte costituzionale, sul presupposto della natura corrispettiva della tariffa d'igiene ambientale;
   la Consulta, nella parte motiva della sentenza n. 238 del 2009, relativa alla conformità costituzionale del citato comma 1 dell'articolo 3-bis del decreto-legge n. 203 del 2005, ha affermato che la tariffa rifiuti (TIA), avendo comunque natura tributaria come la vecchia tassa sui rifiuti (TARSU), non può essere assoggettata al pagamento dell'Iva;
   a fronte di tale sentenza, numerosi cittadini hanno iniziato a chiedere alle aziende, la restituzione dell'IVA che avevano versato all'atto del pagamento delle fatture/bollette relativa al servizio di igiene urbana; i giudici ordinari di merito aditi, nella preponderante maggioranza dei casi, hanno accolto le domande proposte dai cittadini, condannando le aziende gestrici della TIA alla restituzione di quanto percepito per l'Iva;
   la sentenza 15 marzo 2016 n. 5078 delle Sezioni Unite della Cassazione è ulteriormente intervenuta su tale questione, confermando che la TIA «non è assoggettabile ad Iva in quanto essa ha natura tributaria mentre l'imposta sul valore aggiunto mira a colpire una qualche capacità contributiva che si manifesta quando si acquisiscono beni o servizi versando un corrispettivo e non quando si paga un'imposta sia pure destinata a finanziare un servizio da cui trae beneficio il medesimo contribuente»: interpretazione in linea con la previsione di cui all'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, istitutivo dell'imposta sul valore aggiunto;
   tra le argomentazioni a sostegno della decisione, vengono ricordati dalla Corte di cassazione alcuni elementi che caratterizzano la cosiddetta TIA e cioè: l'assenza di volontarietà nel rapporto fra gestore ed utente; la totale predeterminazione dei costi da parte del soggetto pubblico – essendo irrilevanti le varie forme di attribuzione a soggetti privati di servizi (ed entrate) pubblici; l'assenza del rapporto sinallagmatico a base dell'assoggettamento ad Iva»; nella medesima sentenza la Corte di cassazione ha escluso la sussistenza dei presupposti per un rinvio pregiudiziale alla Corte di giustizia dell'Unione europea;
   le aziende erogatrici del servizio di igiene urbana, uniformandosi a quanto stabilito dalle ripetute pronunce relative alla restituzione dell'Iva versata dai cittadini, hanno iniziato a chiederne il rimborso all'Agenzia delle entrate, alla quale, ovviamente, essa era stata puntualmente riversata;
   l'Agenzia delle entrate, a fronte di tali richieste, ha sempre opposto il proprio rifiuto, prevalentemente in forma di silenzio, in qualche caso con esplicita nota di diniego, agendo secondo una prassi amministrativa consolidata; tale prassi trova peraltro riscontro in alcune circolari del Ministero delle finanze (ad esempio la n. 111/1999) e almeno due risoluzioni dell'Agenzia delle entrate (n. 25/2003 e n. 250/2008), che hanno confermato l'applicabilità dell'Iva alla TIA, in ciò confliggendo con quanto determinato dalla giurisprudenza, da ultimo con la citata sentenza a sezioni unite della Corte di cassazione n. 5078/2016;
   l'atteggiamento di assoluta chiusura tenuto sin qui dall'Amministrazione finanziaria dello Stato ha costretto le aziende del settore, da un lato, a resistere alle domande dei cittadini, pur nella consapevolezza della fragilità delle proprie difese, con un incalcolabile danno sia economico sia di immagine, e, dall'altro, ad aprire un ulteriore fronte di contenzioso nei confronti dell'Agenzia delle entrate dinanzi al giudice tributario, per ottenere il rimborso delle somme erogate;
   si ricorda inoltre che la TIA era dovuta anche nel caso in cui il contribuente non avesse fatto un utilizzo del servizio, e soprattutto era commisurata come i criteri tipici dei tributi, gravando quindi di più sui non residenti, che sono quelli che producono meno rifiuti da smaltire;
   in un quadro già così complesso, si innestano altri due problemi:
    1) l'intervenuta detrazione dell'Iva da parte di chi ha ricevuto queste fatture nell'esercizio di impresa, arte e professione;
    2) l'ipotesi di indetraibilità dell'Iva sui beni e servizi acquistati per lo svolgimento del servizio da parte dei comuni o dei gestori del servizio, in quanto «trasformazione» del corrispettivo in tassa: qualora, prevalesse l'interpretazione che la frazione del tributo imputabile all'Iva no è scaricabile, questa si tradurrebbe in un significativo aggravio dei costi per gli enti e le imprese, dato che l'aliquota è fissata al 10 per cento –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda adottare, nell'ambito delle proprie competenze, per risolvere le criticità evidenziate in premessa, con particolare riferimento ai numerosi contenziosi tra l'Agenzia delle entrate e le aziende erogatrici del servizio e al ristoro delle maggiori somme pagate dai cittadini. (5-08980)


   PISANO e CARIELLO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 60, comma 1, lettera c), del TUIR, sono redditi assimilati a quello di lavoro dipendente le «somme da chiunque corrisposte a titolo di borsa di studio o di assegno, premio o sussidio per fini di studio o di addestramento professionale, se il beneficiario non è legato nei confronti del soggetto erogante da rapporti di lavoro dipendente»; la percezione di una borsa di studio, dunque, dà origine ad un reddito che viene «assimilato» a quello da lavoro dipendente e pertanto tassato ai fini IRPEF;
   in deroga a tale regime di imponibilità, l'ordinamento giuridico disciplina specifici casi di esenzione: a titolo esemplificativo, sono riconosciute esenti dall'IRPEF le borse di studio corrisposte a titolo di assistenza scolastica agli studenti iscritti a corsi di studi universitari nonché le borse di studio corrisposte per la frequenza di corsi e per attività di ricerca post laurea (articolo 6, comma 6, della legge 30 novembre 1989, n. 398);
   accanto alle specifiche ipotesi di esenzione, sussistono tuttavia fattispecie di dubbia tassabilità; è il caso delle borse di studio finanziate, in tutto in parte, attraverso risorse a carico del fondo sociale europeo;
   la questione della tassabilità ai fini IRPEF della quota di borsa di studio finanziata dal fondo FSE, è stata per la prima volta affrontata dalla direzione regionale entrate della regione Puglia che, con nota prot. n. 917 del 9 luglio 2010, in risposta all'interpello proposto dalla regione Puglia in merito alla questione delle borse di studio «ritorno al futuro» (istituite con D.D. n. 376 del 9 aprile 2008), ha stabilito la completa esenzione da qualsiasi forma di tassazione della quota di borsa studio rappresentativa dei fondi comunitari e quindi da quest'ultimi direttamente proveniente;
   richiamando la sentenza della Corte di giustizia della CE n. 427/05 del 25 ottobre 2007, recepita dalla Corte di Cassazione con sentenza n. 2082 del 30 gennaio 2008, con la quale è stato sancito il divieto di detrazione o trattenuta relativamente a somme erogate dalla Unione europea a titolo di contributo (salvo i casi di stretta connessioni del contributo con la produzione di redditi d'impresa o da lavoro), la direzione regionale, ha non solo, stabilito l'inapplicabilità ai contributi FSE della ritenuta prevista ai sensi dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 (condividendo l'interpretazione dell'ente), ma ha anche riconosciuto l'integrale esenzione ai fini IRPEF: come chiarito dall'Agenzia, «l'eventuale assoggettamento ad imposizione fiscale del contributo comunitario ricevuto dai soggetti che frequentano i master, corrisponderebbe ad un prelievo specificatamente connesso al contributo stesso e come tale risulterebbe in contrasto con la previsione del principio dell'integrità dei 917-216/2010 pagamenti di cui all'articolo 80 del Regolamento (CE) n. 1083 del 2006»;
   l'articolo 80 del regolamento (CE) 1083/2006 introduce, infatti, il principio dell’«integrità del contributo», prevedendo che «gli Stati membri si accertano che gli organismi responsabili dei pagamenti assicurino che i beneficiari ricevano l'importo totale del contributo pubblico entro il più breve termine e nella sua integrità. Non si applica nessuna detrazione o trattenuta né alcun onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che porti alla riduzione di detti importi per i beneficiari.». Con tale disposizione (applicabile nell'ordinamento interno), dunque, si riconosce l'esenzione da ogni forma di prelievo o onere dei contributi erogati dall'Unione europea;
   sennonché, il condivisibile orientamento espresso dall'Amministrazione finanziaria è stato successivamente superato da un diverso e contrario orientamento; in particolare, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, interpellato dalla regione Sardegna in merito al trattamento fiscale da riservare alle borse di studio finanziate nell'ambito del POR F.S.E. 2007-2013, ha espresso un parere sulla questione e, con nota n. 4397 del 17 ottobre 2011, ha ritenuto che soggetto «beneficiario dei finanziamenti» (ex articolo 80 del regolamento (CE) n. 1083 dell'11 luglio 2006) deve ritenersi la regione e non i soggetti percettori finali delle singole somme e, pertanto, l'amministrazione regionale in qualità di sostituto d'imposta, deve applicare la ritenuta a titolo d'acconto IRPEF prevista dall'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973 sull'intero importo della borsa di studio, compresa la parte finanziata dal fondo sociale europeo;
   adeguandosi al parere espresso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, l'Agenzia delle entrate ha pertanto proposto una soluzione interpretativa del tutto contrapposta a quella assunta con la nota n. 917 del 2010 e, con nota n. 8285 del 14 marzo 2012, ha comunicato alla regione che «lo scrivente ritiene che la Regione Puglia, in qualità di sostituto d'imposta, debba applicare la ritenuta a titolo d'acconto dell'IRPEF ai sensi dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973»;
   a parere degli interroganti, la soluzione prospettata dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, peraltro non supportata da alcuna argomentazione giuridica, non trova sostegno nel chiaro tenore letterale dell'articolo 80 del regolamento (CE) n. 1083/2006, ove per soggetti beneficiari si intende chiaramente i destinatari finali dei contributi e non anche le regioni; lo stesso regolamento definisce il beneficiario: «un operatore, organismo o impresa, pubblico o privato, responsabile dell'avvio o dell'avvio e dell'attuazione delle operazioni; nel quadro del regime di aiuti di cui all'articolo 87 del trattato, i beneficiari sono imprese pubbliche o private che realizzano un singolo progetto e ricevono l'aiuto pubblico»; così definito, è evidente a tutti che per beneficiario debba intendersi il soggetto ultimo destinatario delle somme ovvero colui che, sempre secondo le definizioni del regolamento, attua l'operazione», (ovverosia «il progetto o un gruppo di progetti selezionato dall'autorità di gestione del programma operativo in questione o sotto la sua responsabilità, secondo criteri stabiliti dal comitato di sorveglianza ed attuato da uno o più beneficiari, che consente il conseguimento degli scopi dell'asse prioritario a cui si riferisce»); inoltre, a conferma che il beneficiario sia proprio il soggetto ultimo destinatario delle somme, sempre l'articolo 80 precisa che sulle somme corrisposte «Non si applica nessuna detrazione o trattenuta né alcun onere specifico o di altro genere con effetto equivalente che porti alla riduzione di detti importi per i beneficiari»; è manifesta, a giudizio degli interroganti, l'erroneità della tesi del Ministero: non si vede come si possa riferire tale norma alle regioni, che ovviamente non scontano alcuna imposizione fiscale o altro onere sulle somme comunitarie che gestiscono. Con la sua interpretazione il Ministero ha dunque svuotato di contenuto il principio applicativo di cui all'articolo 80. Di contro, non può negarsi sul piano logico-giuridico che la quota comunitaria delle borse di studio è esente da imposizione quando non diretta alla specifica produzione di un reddito;
   fatto sta, però, che da segnalazioni pervenute si apprende dell'emissione, da parte dell'Agenzia delle entrate, di avvisi di accertamento con i quali si sta procedendo al recupero delle maggiori imposte sui contributi FSE percepiti e non dichiarati per l'annualità 2011. Al riguardo, è opportuno precisare che l'omessa indicazione in dichiarazione dei contributi FSE consegue a sua volta all'omessa indicazione dei detti contributi nei CUD/CU rilasciati dalla regione (l'interpretazione contraria dell'Ade è infatti intervenuta solo nell'anno 2012 e per di più in risposta ad un interpello di parte, quindi senza alcuna diffusione pubblicitaria); l'errore sarebbe al più imputabile alla regione e non tanto agli ignari contribuenti;
   inoltre, si evidenzia che oltre al recupero delle maggiori imposte, l'Agenzia delle entrate ha anche provveduto all'applicazione e irrogazione di sanzioni amministrative per omessa e infedele dichiarazione; si rammenta però che l'articolo 10 dello statuto dei diritti del contribuente dispone che non possono essere irrogate sanzioni né richiesti interessi moratori al contribuente, «qualora egli si sia conformato a indicazioni contenute in atti dell'amministrazione finanziaria, ancorché successivamente modificate dall'amministrazione medesima, o qualora il suo comportamento risulti posto in essere a seguito di fatti direttamente conseguenti a ritardi, omissioni od errori dell'amministrazione stessa». Inoltre, prevede altresì che le sanzioni «non sono comunque irrogate quando la violazione dipende da obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull'ambito di applicazione della norma tributaria»; nel caso in esame, sussistono tutti i presupposti per l'applicazione della norma: la circolare dell'Agenzia delle entrate del 2011 aveva espressamente esentato da imposizione i contributi FSE; mentre l'omessa indicazione in dichiarazione deriva dall'errata compilazione dei CUD da parte della regione;
   è dovere dello Stato, come sancito dall'articolo 80 del regolamento (CE), assicurarsi che i soggetti a cui è destinata la borsa di studio ricevano l'importo totale del contributo pubblico entro il più breve termine possibile e nella sua totale integrità –:
   se condivida l'orientamento espresso dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali con nota n. 4397 del 17 ottobre 2011 in merito alla definizione di soggetto «beneficiano dei finanziamenti» e se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per prevedere l'esenzione ai fini fiscali dei contributi comunitari FSE o comunque chiarire il regime fiscale applicabile, nonché promuovere l'adozione di un atto di indirizzo operativo per gli uffici periferici dell'Agenzia delle entrate volto ad escludere, a fronte della indubbia incertezza applicativa (generata peraltro da contrastanti orientamenti dell'Amministrazione), l'applicazione di sanzioni amministrative pecuniarie nei casi di omessa dichiarazione dei contributi FSE.
(5-08981)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015 è stato indetto il bando di concorso per il reclutamento di n. 15 sottotenenti in servizio permanente effettivo del «ruolo speciale» del Corpo della Guardia di finanza, terminato in data 24 dicembre 2015 con la determina del comando generale, che assegnava, per l'appunto, i predetti posti ai vincitori;
   al concorso parteciparono oltre 100 candidati, risultandone idonei 36; la graduatoria finale pertanto era composta da 30 «altri ispettori» e 5 «laureati», rimanendo pertanto capiente di 21 militari risultati idonei, al netto dei quindici assegnatari dei posti;
   in data 10 giugno 2016, il comando generale della Guardia di finanza, nonostante la predetta graduatoria aperta e capiente per n. 21 posti complessivi, invece che attingervi ha bandito un nuovo concorso per 15 posti, in contrasto con la ratio di spending review e di contenimento della spesa pubblica;
   i recenti interventi del legislatore, infatti, sono orientati a far sì che in tutti i comparti del pubblico impiego, inclusi quelli speciali, le amministrazioni procedano prima all'esaurimento delle graduatorie vigenti ed ancora valide e solo successivamente procedano ad indire nuovi bandi concorsuali;
   la stessa legge di stabilità per il 2016 ha previsto lo scorrimento delle graduatorie per altri comparti del pubblico impiego connotati da specialità (diplomatici, prefetti e avvocati dello Stato), in coerenza con l'obiettivo di contenimento dei costi;
   peraltro, anche altre Forze di polizia ad ordinamento civile (Polizia di Stato e penitenziaria) effettuano lo scorrimento delle graduatorie prima di bandire un nuovo concorso, per cui solo la Guardia di finanza e il Comando dei carabinieri si avvalgono ancora oggi del principio della discrezionalità amministrativa per motivare le scelte di reclutamento;
   tale nuovo concorso, inoltre, appare ancora più insensato all'interrogante alla luce della prossima approvazione dei decreti legislativi sul riordino delle carriere nelle forze di polizia anche ad ordinamento militare come la Guardia di finanza, che dovrebbe contemplare la soppressione del «ruolo speciale» e l'entrata in vigore del periodo transitorio –:
   come i Ministri interrogati ritengano che il nuovo bando di concorso indetto il 10 giugno 2016 richiamato in premessa si concilii con le esigenze di spending review considerato che per l'interrogante esso rappresenta un inutile e superfluo aggravio dei costi della spesa pubblica, alla luce sia della vigenza di una graduatoria di ben 21 idonei su 15 posti da ricoprire e sia della probabile prossima soppressione del ruolo speciale per cui il bando medesimo è bandito, e di conseguenza se e quali iniziative di propria competenza intendano adottare in coerenza con gli obiettivi di spending review. (5-08974)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FANTINATI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il comando della polizia municipale di Verona dispone di 280 fra agenti ed ufficiali;
   considerato il personale part-time e gli inidonei ai servizi esterni, sono 210 gli agenti operativi;
   tra cantieri, manifestazioni, concerti e la presenza massiccia dei turisti nel centro storico, il lavoro per la polizia municipale non diminuisce neppure in estate, a scuole chiuse;
   a settembre 2016, scadranno i dieci contratti a tempo determinato che il comune finanzia con i proventi delle sanzioni;
   inoltre, per contratto, ogni agente ha diritto a due settimane di ferie, da metà giugno a metà settembre;
   stando alle dichiarazioni dei vertici del comando, pubblicate nei giorni scorsi sui quotidiani locali, all'appello mancherebbero, quindi, circa 50 agenti, tenendo presente che il parametro è di un vigile ogni mille abitanti;
   il 30 aprile 2016 il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, Marianna Madia, in visita a Verona, aveva sottolineato come i comuni del Veneto – una delle sei regioni che non ha personale sovradimensionato – potessero indire concorsi per l'assunzione di agenti di polizia municipale;
   il comune di Verona sembra si stia attivando per procedere all'assunzione, tramite concorso, di una trentina di agenti a tempo indeterminato, anche se, scrivono i giornali, il numero dipenderà dalle disponibilità del bilancio comunale, sottoposto, come si sa, alla disciplina di molte norme in vigore che limitano, nell'ambito del cosiddetto patto di stabilità per gli enti locali, le risorse destinate ai territori da parte del Governo anche per il capitolo della sicurezza –:
   quali eventuali iniziative di competenza si ritenga di assumere nell'ambito dei rapporti tra enti locali e Governo al fine di contemperare il rispetto del patto di stabilità con le esigenze dei territori legate al tema centrale della sicurezza. (4-13554)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   CDP immobiliare spa, società controllata al 100 per cento da Cassa depositi e prestiti, partecipa a Quadrifoglio Modena spa al 50 per cento, con le azioni restanti detenute da La Ciminiera spa, le cui azioni sono a sua volta possedute da imprese di costruzioni, private e cooperative locali;
   la società è stata costituita nel 2005 allo scopo di ristrutturare a fini residenziali e commerciali l'ex Manifattura Tabacchi di Modena, edificio storico di grande rilevanza architettonica, risalente per la parte più antica al 1500 e per la restante parte esempio di architettura industriale del 1800, posto per questo sotto la tutela della Soprintendenza dei beni architettonici e paesaggistici;
   i lavori del primo lotto si sono sostanzialmente conclusi nel 2014 e hanno condotto alla realizzazione di 77 appartamenti e loft con box e cantine, 16 uffici, 13 negozi, 2 laboratori, con un investimento complessivo che si aggira sui 60 milioni di euro;
   ad oggi risultano venduti solo 10 appartamenti e due locali per attività commerciali;
   nei giorni scorsi la stampa ha parlato dell'intenzione di CDP immobiliare spa di liberarsi delle proprie quote, ammettendo di fatto il fallimento dell'operazione;
   tale volontà sarebbe tuttavia frustrata dall'opposizione degli istituti di credito, evidentemente poco disposti a veder uscire il socio detentore del 50 per cento delle azioni senza un piano di rientro delle linee di finanziamento accordate e di rilancio dell'attività, e in presenza di un partner privato in difficoltà per la persistente stagnazione del mercato delle costruzioni;
   si parla anche di difficoltà dovute a controversi 2 in essere con alcune delle ditte realizzatrici dei lavori, che avrebbero comportato la mancata finitura di alcuni appartamenti, accentuando la difficoltà di vendita. Al momento, a quanto risulta all'interrogante, sono bloccati anche i lavori di completamento di alcuni appartamenti per cui promettenti acquirenti hanno già versato consistenti anticipazioni, casi per i quali si profilano inevitabili iniziative giudiziali;
   inoltre, la società Quadrifoglio ha chiuso l'ufficio vendite e, a quanto consta all'interrogante, risulterebbe non pagare con regolarità le sue quote di spese condominiali;
   CDP spa è diventata in questi anni la destinataria dei progetti di dismissione del demanio pubblico, senza che, a giudizio dell'interrogante, sia mai stato chiaro dove finisse il bisogno di liquidità dei Governi in carica e dove iniziasse l'effettivo interesse della società all'acquisizione degli immobili;
   si ricorda che i bilanci di CDP immobiliare sono stati in perdita per oltre 46 milioni di euro nel 2013 e per poco meno di 164 milioni di euro nel 2014;
   operazioni come questa dovrebbero indurre a grande prudenza nell'attivazione di nuove iniziative immobiliari in spazi già acquisiti, come alcune ex caserme, e ancor più nell'acquisizione di ulteriori volumi, come quelli ipotizzati sulle carceri di Roma, Napoli e Milano;
   se infatti è comprensibile la necessità di non far apparire tali operazioni come funzionali esclusivamente al soddisfacimento di volontà governative, si deve sempre ricordare che in definitiva si opera con la raccolta del risparmio postale –:
   se risultino al Governo le descritte difficoltà in merito all'operazione su Manifattura Tabacchi Modena e come si intenda operare, per affrontare volontà di risolvere nell'interesse dei pochi residenti, di coloro che hanno già versato le anticipazioni in attesa del rogito, e della città, trattandosi di uno dei più qualificati interventi di recupero storco e urbanistico, teso a riqualificare l'intera area nord del centro storico;
   se non si ritenga di sospendere eventuali iniziative simili in altre città un momento non brillante per il mercato immobiliare. (4-13562)


   LAVAGNO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il servizio di pubblicità immobiliare costituisce elemento essenziale del sistema economico italiano ed ha l'importante ruolo di controllore e garante delle risultanze dei registri pubblici immobiliari. Tale attività, però, non è demandata dal codice civile genericamente ad un ufficio, bensì ad una specifica funzione giuridica, ovvero quella del Conservatore dei registri immobiliari;
   infatti, gli articoli da 2673 a 2681 del codice civile indicano espressamente lui per i doveri e gli obblighi fondamentali atti a garantire una corretta ed affidabile pubblicità immobiliare, una pubblicità che dia certezza dei suoi contenuti e che possa essere opponibile a chiunque;
   questa personalizzazione è certamente anomala nel diritto italiano quando si fa riferimento ad un'attività statale, ma così fu disegnata dal legislatore, sin dall'unità d'Italia, proprio per la sua specificità e per garantire che ogni delicata decisione riguardo alla pubblicazione o meno di una formalità fosse riferibile esattamente ad un soggetto nella sua totale autonomia, e non ad una generica struttura organizzativa;
   per raggiungere tale obiettivo il legislatore è giunto addirittura a porre il conservatore in una anomala posizione che non ha eguali nelle strutture statali: per le attività che svolge è posto sotto la vigilanza del Ministero della giustizia, mentre dal punto di vista amministrativo è sottoposto al Ministero dell'economia e delle finanze;
   dopo alterne vicende, la funzione del conservatore dei registri immobiliari e oggi demandata, nell'ambito dell'Agenzia delle entrate, al capo reparto del servizio di pubblicità immobiliare;
   con provvedimento dell'allora direttore generale dell'Agenzia del territorio del 10 maggio 2011, pubblicato sul sito istituzionale dell'Agenzia del territorio, ai sensi dell'articolo 1, comma 361, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, e conseguente disposizione organizzativa n. 90 del 28 luglio 2011, è stata regolamentata la funzione del conservatore e le modalità di preposizione dell'incarico. Infatti, il conservatore ritornava alla titolarità della funzione ed alla sua autonomia nello svolgimento della stessa, mentre l'incardinamento gerarchico rimaneva solo per le funzioni amministrative che anche il conservatore, nella sua contestuale veste di capo reparto pubblicità immobiliare, ha l'onere di svolgere;
   anche le modalità di nomina dei nuovi conservatori era caratterizzato da una particolare procedura di interpello più garantista della qualità ed imparzialità della scelta, che vedeva l'intervento del direttore regionale. Da quel momento in poi si ripristinarono quei principi di legalità che devono permeare tutto il sistema di pubblicità immobiliare;
   con l'accorpamento delle attività dell'Agenzia del territorio in quelle delle entrate, compresa la funzione giuridica della pubblicità immobiliare, i nuovi vertici stanno intervenendo sulla figura senza tenere conto della specificità della funzione giuridica del conservatore, vi è quindi il rischio che si perdano nuovamente gli elementi di garanzia  posti dalle decisioni del 2011;
   inoltre, la nota direttoriale prot. n. 74638 del 17 maggio 2016, a firma della dottoressa Orlandi che, riportando un verbale di intesa sottoscritto da alcune sigle sindacali il 28 aprile 2016, che concedeva a detta figura un beneficio economico rispetto alla alta professionalità necessaria per lo svolgimento della funzione ed alla responsabilità civile e penale che ne sovviene, ha sostanzialmente revocato le nomine dei conservatori esistenti con decorrenza dal 1° luglio 2016, e demandato ai direttori provinciali di confermare o meno i titolari esistenti, o nominarne di nuovi, secondo criteri discrezionali. A rendere problematica tale impostazione è la limitazione di sei mesi di tali nomine ed il rinvio ad ulteriori successive decisioni;
   si assiste quindi ad una diversa considerazione delle funzione del conservatore che, dal codice civile è riconosciuto come soggetto dotato di piena titolarità ed autonomia verso l'esterno (fino alla difesa diretta e personale dei principi giuridici della pubblicità immobiliare dinanzi agli organi giudiziari, come previsto dalle procedure di reclamo ex articoli 113-bis e 113-ter delle disposizioni per l'attivazione del codice civile e disposizioni transitorie), mentre, all'interno degli uffici i conservatori vengono considerati come semplici impiegati sottoposti, negando di fatto l'autonomia che il codice ha sempre riconosciuto loro;
   quanto sopra esposto potrebbe portare ad un'incertezza della legalità del sistema di pubblicità immobiliare, con conseguenze rilevanti per cittadini ed imprese e riflessi sul sistema del credito –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro dell'economia e delle finanze al fine di eliminare le distorsioni e le contraddizioni prodottesi nei servizi di pubblicità immobiliare a seguito della nota direttoriale prot. n. 74638 del 17 maggio 2016, e degli atti conseguenti, fino alla richiesta di annullamento della stessa;
   se i Ministri interrogati, ognuno per quanto di competenza, ritengano di assumere iniziative, anche normative, volte a tutelare il sistema di pubblicità immobiliare e conseguentemente le funzioni attribuite dall'articolo 2673 del codice civile alla figura del conservatore, stabilendo in modo univoco i limiti e le prerogative spettanti ai conservatori nell'ambito dell'Agenzia delle entrate presso cui sono incardinati. (4-13566)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 giugno 2016, intorno alle ore 4 del mattino all'interno di una cella presso l'istituto penitenziario di Matera è stato appiccato un incendio;
   secondo quanto riportato dagli organi di informazione solo grazie all'intervento di due agenti di polizia penitenziaria è stato possibile scongiurare che tale circostanza si trasformasse in tragedia;
   i due agenti hanno messo in sicurezza non soltanto gli occupanti della cella coinvolta nell'incendio, ma l'intero reparto denominato «SIRIO» dell'istituto penitenziario dove vi sono numerosi detenuti;
   i due agenti hanno subito un'intossicazione a causa del fumo sviluppatosi per via dell'incendio e per questo accompagnati all'Ospedale «Madonna delle Grazie», con una prognosi di tre giorni ciascuno;
   le cause dell'incendio sono oggetto di indagine, ma questo non toglie che occorra un'attenta riflessione sulle carenze di organico che interessano l'istituto penitenziario materano;
   le organizzazioni sindacali del corpo di polizia penitenziaria chiedono da tempo un adeguamento delle piante organiche ed un rafforzamento del personale in servizio per poter svolgere in piena sicurezza il proprio lavoro;
   anche in considerazione di quanto recentemente accaduto presso l'istituto penitenziario di Potenza e il carcere minorile della città capoluogo con agenti feriti da parte di detenuti, su cui l'interrogante ha presentato atti di sindacato ispettivo ancora in attesa di risposta, sarebbe opportuno analizzare con la massima attenzione la situazione degli istituti penitenziari lucani –:
   alla luce di quanto esposto in premessa, quali iniziative il Governo intenda porre in essere, con la massima urgenza, per potenziare gli organici di polizia penitenziaria presso gli istituti presenti in Basilicata, al fine di prevenire situazioni di estremo pericolo. (5-08956)


   FEDRIGA e MOLTENI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   appare necessario, a parere degli interroganti, prevedere delle norme in materia di impignorabilità della prima casa, soprattutto al fine di una perequazione sociale che salvaguardi un bene, la prima casa appunto, che costituisce tra l'altro un elemento fondamentale di aggregazione familiare e di coesione sociale e che consente dunque di tutelare le famiglie e il diritto, di tutti, ad avere un alloggio anche al fine di scongiurare il rischio di indigenza e disagio sociale abitativo che ne deriverebbe, anche in relazione alle difficoltà degli enti locali di mettere a disposizione alloggi di edilizia sociale;
   tale previsione andrebbe nella direzione già oggi esistente a norma del decreto-legge 21 gennaio 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, cosiddetto «decreto del fare», in tema di non pignorabilità della prima casa per debiti fiscali, estendendola anche ai debiti sorti in ambito privatistico, in tema della cosiddetta garanzia generica, ovvero ex articolo 2740 del codice civile «Responsabilità patrimoniale» in forza della quale il creditore in caso di inadempimento contrattuale può ottenere soddisfazione agendo sulla totalità dei beni del debitore, beni mobili ed immobili, crediti e diritti di ogni genere in forza di un titolo esecutivo ex articolo 474 del codice di procedura civile  –:
   se il Governo intenda adottare le opportune iniziative al fine di estendere l'attuale previsione normativa di cui al decreto-legge 21 gennaio 2013, n. 69, convertito, con modificazioni, dalla legge 9 agosto 2013, n. 98, cosiddetto «decreto del fare», in tema di non pignorabilità della prima casa per debiti fiscali, anche ai debiti sorti in ambito privatistico, in tema di cosiddetta garanzia generica, ovvero ex articolo 2740 del codice civile «responsabilità patrimoniale», in forza della quale il creditore in caso di inadempimento contrattuale possa ottenere soddisfazione agendo sulla totalità dei beni del debitore, beni mobili ed immobili, crediti e diritti di ogni genere in forza di un titolo esecutivo ex articolo 474 del codice di procedura civile. (5-08959)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, DELL'ORCO, PESCO, CARINELLI, LIUZZI, SPESSOTTO e TRIPIEDI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 13 aprile 2016 l'organizzazione sindacale, Fata Cisal aveva indetto per il 17 giugno 2016 uno sciopero nazionale del personale non dirigente della Società Enav, Alitalia SAI e Aeroporti di Roma della durata di 24 ore. A tale sciopero hanno successivamente aderito, anche se con modalità e motivazioni diverse, altre sigle sindacali quali Licta, Filt Cgil, Fit Cisl, Ultratrasporti, Cub Trasporti, Unica, Confael Assovolo Trasporto Aereo, Ugl Techno Sky e USB del Gruppo Meridiana Fly;
   tale suddetto sciopero è stato proclamato in primis per criticare la decisione del Governo di alienare, per una ipotetica e opinabile riduzione del debito pubblico, il 49 per cento del capitale sociale di Enav spa e in secundis, in particolare le organizzazioni sindacali non firmatarie degli accordi sottoscritti il 2 agosto 2013, per ridiscutere il contratto collettivo nazionale di lavoro del settore del trasporto aereo il cui attuale regime, in particolare per i servizi ATM diretti e complementari, non garantisce più i livelli di tutela normativa e retributiva dei controllori di volo, creando di fatto forti disparità tra vecchi e nuovi lavoratori in servizio dando origine a vere e proprie forme di dumping sociale all'interno delle società del gruppo Enav;
   contro tale sciopero si sono subito attivate le società direttamente interessate all'erogazione dei servizi del trasporto aereo. In particolare, la stessa Enav che, con nota del 31 maggio 2016, ha comunicato al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti le gravi ripercussioni per il traffico aereo di tale sciopero, considerando che nella fascia oraria di 24 ore attraversano lo spazio aereo nazionale all'incirca 5300 voli tra nazionali, internazionali e sorvoli. Anche Meridiana Fly e Alitalia Sai, con distinte comunicazioni del 7 e 8 giugno 2016, hanno rappresentato al Ministero le implicazioni negative di tale sciopero per le loro società. In particolare, Alitalia avrebbe dovuto cancellare ben 330 voli con un impatto sulla mobilità di all'incirca 37 mila passeggeri ai quali, considerando l'elevato coefficiente di riempimento tipico delle giornate di inizio estate, non era possibile garantire una riprotezione in giornata;
   in virtù di tali pressioni lo stesso 8 giugno 2016 il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, con nota prot. 22660, rivolgerà l'invito alle organizzazioni sindacali di valutare l'opportunità di sospendere le azioni di sciopero onde consentire il superamento delle sopracitate criticità. Invito che verrà reiterato in occasione del tentativo di conciliazione tra le parti, promosso presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 10 giugno 2016, che però avrà esito negativo;
   la mancata positiva conciliazione tra le parti ha spinto il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ad emanare il 13 giugno 2016 l'ordinanza ministeriale n. 185T per imporre il differimento dello sciopero indetto dalle organizzazioni sindacali per il 17 giugno 2016 al fine di evitare un grave e irreparabile pregiudizio al diritto alla libera circolazione delle persone costituzionalmente garantito;
   contro la sopracitata ordinanza ministeriale le sigle sindacali Unica e Licta, relativamente al solo differimento dello sciopero nazionale dei controllori di volo dell'Enav, programmato per soli 4 ore (dalle ore 13:00 alle ore 17:00) del 17 giugno, hanno proposto ricorso al Tar del Lazio che con decreto n. 3302 del 2016 ha accolto l'istanza cautelare sospendendo l'ordinanza in quanto non sono «... ravvisabili nella situazione in esame i presupposti applicativi dell'articolo 8 della citata legge n. 146 del 1990, per quanto riguarda l'iniziativa autonoma del Presidente del Consiglio dei ministri o di un Ministro dallo stesso delegato (nella fattispecie: Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti) sotto il profilo della necessità ed urgenza di provvedere – per “fondato pericolo di pregiudizio grave e imminente ai diritti della persona costituzionalmente garantiti” – e della necessaria previa informativa alla Commissione di Garanzia»;
   oltre alle argomentazioni della sentenza del Tar Lazio va anche evidenziato che in questa vicenda il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti ha agito, secondo gli interroganti, in palese conflitto di interessi, considerando che la rappresentante del Governo nel tentativo di conciliazione tra le parti datoriali e sindacali era la vice capo di gabinetto del Ministro, Dottoressa Maria Teresa di Matteo, attuale membro del consiglio di amministrazione di Enav Spa oltre ad esserne stata presidente nel recente passato. Praticamente è venuto meno, ad avviso degli interroganti, il ruolo super partes del Ministero in una delicata vicenda che vede contrapposti personale non dirigente e management non solo direttivo ma anche azionario della stessa Enav che per legge è sottoposta alla vigilanza dello stesso Ministero delle infrastrutture e dei Trasporti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere per evitare in futuro il ripetersi di episodi lesivi del diritto costituzionale (articolo 40 della Costituzione) dei lavoratori di esercitare lo strumento dello sciopero nell'ambito delle leggi che lo regolano e per evitare che il Governo possa perdere il suo ruolo di imparzialità e neutralità nelle circostanze in cui tale diritto costituzionalmente garantito riguardi società direttamente controllate. (3-02340)

Interrogazione a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il territorio comunale di Paderno Dugnano è interessato dal cantiere relativo al progetto di ammodernamento della strada provinciale 46 «Rho Monza» del concessionario società Milano Serravalle;
   il comune di Paderno Dugnano ha presentato ricorso contro tale progetto e, nelle more dell'udienza di merito fissata il 12 marzo 2015, ha partecipato ai tavoli tecnici attivati con decreto ministeriale n. 2 del 7 gennaio 2014 finalizzati a migliorare il progetto medesimo;
   con decreto ministeriale n. 274 del 17 novembre 2014 sono state date prescrizioni alla società Milano Serravalle per migliorare ulteriormente il progetto nel territorio di Paderno Dugnano;
   le valutazioni espresse dall'amministrazione comunale confermano la necessità di migliorare il progetto dell'ammodernamento della strada provinciale n. 46 Rho Monza, non prestando acquiescenza rispetto ai rilievi svolti e al contenzioso promosso, nella consapevolezza che è di rilevante interesse per la comunità locale rappresentata proseguire nell'azione per il contenimento degli impatti dell'infrastruttura, conseguendo il miglioramento dei lavori avviati con il cantiere;
   il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare n. 2 del 7 gennaio 2014 inerente alla procedura di valutazione di impatto ambientale relativa al progetto di riqualificazione con caratteristiche autostradali della strada provinciale 46 Rho Monza, ha decretato la compatibilità ambientale del progetto stesso, presentato dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti – provveditorato interregionale alle opere pubbliche per la Lombardia e la Liguria ed appaltato dal concessionario società Milano Serravalle, facendo salvo l'esito del tavolo tecnico di consultazione, allargato alle istituzioni interessate, per l'individuazione di ipotesi progettuali migliorative dal punto di vista ambientale nel tratto compreso nel comune di Paderno Dugnano;
   il tavolo tecnico, istituito dal provveditorato in esecuzione del decreto ministeriale suddetto, ha approfondito l'entità e la qualità delle opere di mitigazione, esaminando in data 3 luglio 2014 le problematiche evidenziate dal comune di Paderno Dugnano con proprio documento prot. n. 34299 del 30 giugno 2014, individuando, pertanto, nuove specifiche opere ambientali da eseguire durante le singole fasi di cantiere, oltre alla necessità di realizzare specifici interventi di contenimento degli impatti, di mitigazione acustica e visiva dell'opera, e indicando nuove compensazioni ambientali aggiuntive, da eseguire su aree di proprietà o messe a disposizione dal comune, rispetto al progetto esaminato con decreto ministeriale n. 2 del 2014;
   la conclusione del tavolo tecnico formulata dal provveditorato interregionale alle opere pubbliche con decreto n. 8598 in data 3 ottobre 2014, individua il fabbisogno di nuove mitigazioni e compensazioni emerse dal documento proposto dal comune di Paderno Dugnano, che si sostanziano in ulteriori misure integrative di mitigazione ambientale, di interventi paesaggistici e di estensione del verde, nonché di compensazioni ambientali e sociali aggiuntive da introdurre nel territorio del comune di Paderno Dugnano, con particolare riguardo agli edifici residenziali di via Colzani/San Michele e l'edificio scolastico Curiel di via Trieste, maggiormente esposti all'opera infrastrutturale di ammodernamento della strada provinciale 46 Rho Monza, richiedendo al concessionario società Milano Serravalle di elaborare la progettazione delle opere compensative entro 40 giorni dall'emissione del decreto interministeriale di attuazione del decreto n. 8598;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha preso atto delle risultanze del tavolo tecnico e del decreto del provveditorato n. 8598 in data 3 ottobre 2014, facendo proprie le considerazioni svolte, recepite nel decreto n. 274 del 17 novembre 2014 che ratifica le prescrizioni del decreto del provveditorato di Milano sopra richiamato;
   per dare adempimento al decreto ministeriale n. 274 del 2014, la società Milano Serravalle ha chiesto al comune di Paderno Dugnano di condividere la sintesi dei primi interventi da avviare per la mitigazione e compensazione ambientale aggiuntiva di quella prevista nel progetto sottoposto al citato decreto ministeriale n. 2 del 7 gennaio 2014, che indica le priorità degli interventi eseguibili su aree di proprietà comunale già disponibili;
   l'amministrazione comunale ha svolto un confronto tecnico con la società Milano Serravalle per esaminare le puntuali specifiche opere di mitigazione e di compensazione integrative, di cui è stata chiesta la progettazione e l'attuazione con il documento comunale del 30 giugno 2014 ed il decreto ministeriale n. 274 del 2014 in base ai contenuti della relazione tecnica;
   la commissione giudicatrice presso il provveditorato interregionale alle opere pubbliche ha aggiudicato provvisoriamente la vittoria all'A.T.I., guidata da Fincosit, con un punteggio derivante dalla somma dei risultati: offerta tecnica, offerta tempo e offerta economica. Per quest'ultima Fincosit ha offerto un ribasso pari al 26,1 per cento e con un prezzo corrispondente quindi a euro 113.338.805;
   a pagina 45 dell'appalto concorso «Progetto esecutivo di offerta», con cui Fincosit si è aggiudicata la gara, al numero d'ordine progressivo 306, si trova il capitolo riguardante la previsione di costruzione di un ponte ad arco per una spesa prevista pari a euro 12.205.404,31;
   successivamente, la redazione del progetto esecutivo di Serravalle accoglie le prescrizioni e le indicazioni ricevute ai vari livelli, tra cui l'eliminazione del ponte ad arco sulla strada statale 35, che viene riprogettato come risulta dagli elaborati classificati 9 gennaio 2002 PO 01 – ponte su strada stradale 35, inseriti nel progetto avente cod. 5017 (aggiornamento ottobre 2013);
   al momento non è dato conoscere il costo di questa variante, presumibilmente inferiore al progetto originario, e la destinazione che questo risparmio ha avuto;
   una istanza di accesso civico, presentata il 25 gennaio 2016 dal CCIRM che, tra altri vari capitoli, riguardava anche questo aspetto, è stata respinta dalla presidenza della regione Lombardia, sistema dei controlli, prevenzione della corruzione, trasparenza –:
   se il Governo possa indicare l'ammontare del costo della variante che modifica il progetto originario del ponte ad arco e come si intendano utilizzare eventuali risparmi generati dalla variante succitata. (5-08972)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, LIUZZI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da fonti sindacali e da segnalazioni ricevute da alcune strutture territoriali che Trenitalia starebbe procedendo alla soppressione di diversi treni nonché alla riduzione di carrozze e alla chiusura delle vetture dei treni della DPLH (divisione passeggeri long haul) servizio universale, per mancanza di personale equipaggi;
   come denunciato dalle principali sigle sindacali, in questi giorni i treni notte 774 e 764 stanno viaggiando con un solo agente di scorta, così come gli intercity diurni 596 e 597 che svolgono i collegamenti con solo 4 carrozze in servizio;
   per mancanza di personale è stato soppresso ad esempio il 22 maggio 2016 l'IC 687, Milano-La Spezia, cancellazione che ha avuto l'onore delle cronache nazionali, così come risultano parimenti soppressi i treni 660-681 sulla tratta Genova-Ventimiglia;
   si sottolinea altresì come i suddetti treni, rientrando nell'ambito del contratto di servizio universale, sostenuto da contributi dello Stato, non dovrebbero essere soggetti a soppressione o a riduzioni di composizione;
   la mancanza di personale, oltre che gravare pesantemente sui servizi svolti e sull'immagine dell'azienda Trenitalia, si sta ripercuotendo sui lavoratori costretti a affrontare utenti indignati a causa dei disservizi, ed esponendoli a rischi di aggressioni verbali e fisiche;
   l'utilizzazione di personale di macchina per svolgere funzioni di CST alla scorta treni non appare agli interroganti giustificabile, così come l'utilizzazione di capi deposito negli equipaggi MEC 2 e i tentativi aziendali di abilitare il PdM al modulo di accompagnamento treno –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle criticità esposte in premessa relativamente alle cessioni di treni e alle chiusure di vetture del servizio universale e quali iniziative urgenti di competenza intenda adottare, anche nei confronti della DPLH/SU, al fine di ristabilire il corretto svolgimento dei collegamenti ferroviari e garantire, altresì, la sicurezza del materiale rotabile nonché la salvaguardia della professionalità dei lavoratore livello nazionale. (5-08949)


   TERZONI, DAGA, AGOSTINELLI, CECCONI, MANNINO, BUSTO, DE ROSA, ZOLEZZI, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella giornata del 14 giugno 2016 si è appreso, tramite un comunicato diffuso dal Comitato «Riprendiamoci la Strada», che nella zona della Gola della Rossa nel territorio del comune di Fabriano in provincia di Ancona sono stati affissi dei cartelli ANAS-Quadrilatero che impediscono l'accesso ai sentieri del locale parco regionale della Gola della Rossa e di Frasassi;
   da un successivo comunicato diffuso dalla sezione locale di Italia Nostra si deduce che i cantieri riguarderebbero la realizzazione lungo la strada Clementina, ex strada statale, di un viadotto di servizio per la nuova galleria, Serra San Quirico-Valtreara, compresa nel tracciato della Quadrilatero in fase di realizzazione alle pendici del Monte Revellone;
   tale viadotto, in base alla posizione della segnaletica del cantiere, dovrebbe oltrepassare il fiume Esino e il tracciato della linea ferroviaria Falconara-Orte per consentire l'accesso ai mezzi di soccorso nella futura galleria oltre a rappresentare la via di fuga della stessa;
   l'area in questione è compresa, oltre che all'interno dei confini del parco naturale regionale della Gola della Rossa e di Frasassi, nei siti della Rete Natura 2000, ZPS IT5320017 Gola della Rossa e di Frasassi, e SIC IT5320004 Gola della Rossa;
   nei pressi dell'area di cantiere, con vista sullo stesso, sono presenti i resti del Monastero di Grotta Fucile edificato nel 1227 per mano di San Silvestro Guzzolini;
   per raggiungere l'area di cantiere è necessario attraversare i centri abitati delle frazioni Falcioni e Pontechiaradovo del comune di Genga, dove vige un'ordinanza sindacale che, per ragioni di sicurezza e staticità, proibisce il transito ai mezzi pesanti –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa;
   se trovi conferma quanto riportato nei comunicati diffusi rispettivamente dal Comitato «Riprendiamoci la Strada» e da Italia Nostra;
   se non ritengano di dover intervenire per verificare la correttezza delle procedure autorizzative che hanno consentito l'avvio del cantiere per la realizzazione del viadotto in un'area particolare pregio storico e naturalistico. (5-08950)


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 30 maggio 2016 un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri puntualizzava che, ai fini della privatizzazione delle Ferrovie dello stato italiano, gli azionisti, tranne le istituzioni pubbliche, non potevano sottoscrivere e possedere azioni oltre il 5 per cento, ribadiva il tetto del 40 per cento da mettere sul mercato, ma affermava che la rete ferroviaria italiana (RFI) doveva rimanere fuori dal processo di privatizzazione per rimanere di proprietà dello Stato;
   in numerosi confronti e dibattiti che hanno coinvolto il mondo della cultura trasportistica e le Commissioni parlamentari questa posizione ha trovato unanime consenso;
   dalle dichiarazioni del Ministro interrogato e da conseguente apprezzamento dell'Amministratore delegato di Ferrovie dello stato italiano Mazzoncini, inoltre, si evince sempre di più la volontà di intervenire sulla rete ferroviaria nazionale non solo sulle nuove direttrici sia passeggeri che merci, ma anche integrando nella rete nazionale le ferrovie concesse sia quelle connesse che quelle regionali. Con risorse relativamente di basso impatto finanziario si possono, infatti, ottenere risultati di rilevanza strategica soprattutto per il trasporto pubblico locale. La gestione delle regioni nel settore ferroviario, infatti, quasi sempre è stata molto carente e inadeguata sia nella gestione dell'infrastruttura che del servizio di trasporto per assicurare ai pendolari un servizio efficiente;
   le Ferrovie del Sud-est la cui gestione fallimentare ha costretto alla nomina di un commissario da parte del Governo che ne è proprietario, sono oggetto di grande attenzione sia da parte delle Ferrovie dello Stato italiano che di numerose aziende di trasporto interessate a subentrare nella gestione del trasporto pubblico locale;
   aziende non italiane hanno mostrato interesse anche in associazione temporanee di impresa con aziende italiane di prendere parte alla eventuale gara per il servizio ferro gomma del trasporto pubblico locale attualmente gestito da Ferrovie del sud-est anche se acquisendo l'infrastruttura ferroviaria;
   le Ferrovie del sud-est e Servizi automobilistici gestiscono 474 chilometri di linee ferroviarie nelle quattro province meridionali della Puglia, collegando fra loro le città di Bari, Taranto e Lecce. Dopo quella statale risulta essere la più estesa. Se si considera poi che agisce come vettore automobilistico in funzione di adduzione o di sostituzione del vettore ferroviario, le Ferrovie del sud-est di fatto servono 130 comuni;
   l'infrastruttura ferroviaria di Ferrovie del sud-est necessita un consistente ammodernamento ed efficentamento che solo una integrazione in rete ferroviaria italiana può garantire, razionalizzandolo in un'ottica di servizio all'utenza da verificare con la definizione da parte della regione Puglia dei servizi di Trasporto pubblico locali individuati secondo le esigenze degli utenti –:
   se il Governo non intenda fare chiarezza sull'intendimento di integrare la rete delle Ferrovie del sud-est in Rete ferroviaria italiana essendone lo Stato proprietario, fugando ogni dubbio sulla possibilità che altre aziende, anche non italiane, le quali hanno già mostrato interesse, possano acquisire la proprietà della rete;
   se, per quanto riguarda il servizio di trasporto gestito attualmente da Ferrovie del sud-est che risulta integrato ferro-gomma con la scadenza obbligatoria al 2019 per l'effettuazione delle gare per il trasporto su gomma fissata dalle nuove normative europee, non intenda, d'accordo con la regione Puglia, favorire l'espletamento nei tempi più brevi possibili di tale adempimento, aprendo al mercato, come peraltro auspicato dal Governo in più riprese e in ambiti diversi e ribadito dalla Autorità di regolazione dei trasporti e dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato. (5-08951)


   SPESSOTTO, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI, CARINELLI e LIUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel corso dell'XI Congresso WCRR (trasporto mondiale su rotaia), tenutosi a Milano tra il 29 maggio e il 2 giugno 2016, l'amministratore delegato di Trenitalia Spa, Barbara Morgante, ha comunicato la volontà della società di trasporto di procedere, a partire dal 1o gennaio 2017, con la sospensione della formula abbonamento sui treni Freccia Rossa;
   tale decisione fa seguito all'emanazione da parte dell'Autorità di regolazione dei trasporti della delibera n. 54 dell'11 maggio 2016, relativa al contenuto minimo degli specifici diritti che i passeggeri in possesso di abbonamenti possono esigere nei confronti dei gestori dei servizi ferroviari ad alta velocità;
   Trenitalia ha giustificato la scelta di sospendere l'erogazione degli abbonamenti con la necessità, di carattere economico, di mantenere i tassi di riempimento dei Freccia Rossa avuti su Milano con Expo 2015 e di offrire un servizio commerciale in linea con la competizione patita con altri operatori ferroviari sulle tratte più remunerative;
   Trenitalia ha inoltre sostenuto la scarsa rimuneratività degli abbonamenti per l'alta velocità e l'impegno di spesa eccessivo da affrontarsi per adeguare la società alla citata delibera dell'Autorità dei trasporti;
   è evidente agli interroganti come tale scelta arrecherebbe un grave pregiudizio per i pendolari, in particolare per quelli veneti che ogni giorno percorrono la tratta da Venezia verso Milano e da Torino nella direzione opposta, tragitti molto frequentati da coloro che lavorano, studiano o risiedono a Milano;
   se venisse meno l'agevolazione tariffaria prevista fino ad oggi per gli abbonati, i biglietti ferroviari delle tratte Frecciarossa e Frecciargento assumerebbero per molte tratte costi troppo elevati e spesso insostenibili per i pendolari, tanto da incentivare perfino l'utilizzo di un mezzo privato;
   nei giorni scorsi, il presidente dell'ART Andrea Camanzi ha ribadito in una nota scritta come il riconoscimento dei diritti degli abbonati alta velocità deciso dall'Autorità rappresenti un grande passo avanti per i cittadini e non imponga oneri insopportabili a carico delle imprese ferroviarie;
   in conclusione, sembra agli interroganti che le scelte di Trenitalia Spa in materia di sospensione degli abbonamenti sui treni ad alta velocità sembrano mirate ai soli conti della società, senza che venga tenuto in debita considerazione l'impatto che questa decisione avrebbe sulla vita e sulle tasche dei pendolari –:
   se, a fronte della volontà espressa da Trenitalia Spa di sospendere la possibilità di abbonamento sui treni Frecciarossa, il Ministro interrogato non ritenga urgente, per quanto di competenza, intavolare una trattativa con la società al fine di trovare un'adeguata soluzione garantire a pieno i diritti dei pendolari sulle tratte ad alta velocità. (5-08952)


   GIACOBBE e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, il 2 marzo 2016 ha risposto ad una interrogazione a risposta immediata in commissione VIII – atto n. 5-07647 presentata dall'on. Borghi ed altri, nel quale erano state sollevate problematiche concernenti gli impianti per il trasporto delle rinfuse sbarcate presso il terminal alti fondali del porto di Savona, sino ai parchi deposito di San Giuseppe di Cairo, oltre l'Appennino ligure, tramite un sistema integrato di trasporto costituito da nastri trasportatori e da due linee funiviarie, effettuato da Funivie s.p.a, a cui il Ministero nel 2007, ha assegnato gli impianti di trasporto in concessione venticinquennale;
   le Funivie sono una infrastruttura che, in regime di «ferrovia concessa», assicura una modalità di sbarco e trasporto oltre Appennino delle rinfuse, alternativa alla «gomma», e quindi importante e con un impatto ambientale positivo;
   la copertura dei parchi carbone di Bragno, prevista nella Convenzione tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e Società «Funivie S.p.A.» del 2007, è essenziale per completare il quadro di equilibrio tra attività economiche e protezione dell'ambiente e della salute, che è appunto connaturato con l'infrastruttura;
   la documentazione che testimoniava come risultasse sospesa la realizzazione del progetto di copertura dei parchi carbone, è stata inviata dal comune di Cairo Montenotte al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti il 15 luglio 2015; era stato ulteriormente sollecitato, nei giorni successivi, un incontro di approfondimento con carattere d'urgenza, al fine di verificare lo stato dell'arte e attuare le iniziative necessarie allo sblocco della situazione;
   le preoccupazioni circa il ritardo con cui si dà attuazione al progetto di copertura dei parchi (pur motivato a suo tempo dal contenzioso con l'impresa aggiudicataria dell'appalto) sono determinate, oltre che dall'urgenza di dare risposte sul piano ambientale, dalla situazione di difficoltà finanziaria che complessivamente riguarda il gruppo dal quale è partecipata la società «Funivie SpA»;
   alla richiesta fatta nell'interrogazione citata, se il Ministro intendesse riscontare la richiesta del comune di Cairo Montenotte relativa alla segnalazione della sospensione dei lavori di copertura dei parchi carbone e quali iniziative, per quanto di competenza, intendesse assumere per assicurare la ripresa e il compimento dei lavori, secondo gli accordi stipulati a suo tempo, il Governo ha risposto in quella occasione ripercorrendo la vicenda del contenzioso tra Funivie e impresa aggiudicataria dell'appalto per i lavori ed ha affermato che il tentativo di conciliazione pendente (termine degli accertamenti peritali fissato al 26 aprile 2016, con relativa successiva udienza fissata al 31 maggio 2016) «vede Funivie S.p.A. impegnata a una definizione compatibile con il mantenimento dell'obiettivo di ambientalizzazione del sito — come richiesto dalla collettività locale, in particolare dalla Comunità di Cairo Montenotte, e proposto da funivie S.p.A. ai fini del rilascio della concessione di servizio pubblico da parte del MIT — nel minor tempo possibile rispetto all'originario termine previsto»;
   nelle stessa risposta, il Governo ricordava anche che l'azienda è consapevole del fatto che la copertura dei parchi è connessa strettamente alla efficacia della concezione di servizio pubblico;
   decorso il termine del 31 maggio 2016, il comune di Caro Montenotte ha inviato una ulteriore nota, in data 7 giugno 2016, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, alla direzione generale per il trasporto pubblico locale, e per conoscenza al presidente della regione Liguria e al prefetto di Savona, per segnalare «il perdurare della situazione di inaccettabile stallo che da troppi anni compromette la realizzazione del progetto di copertura dei parchi carbone nel sito di Bragno in Cairo Montenotte» e richiedere azioni urgenti che mettano fine all'inerzia, segnalando come, ad avviso della amministrazione comunale il disimpegno che ha caratterizzato la conduzione dell’iter procedurale riguardi un intervento prioritario per economia, territorio, ambiente, di tutta un'area –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere, con la necessaria tempestività ed a garanzia degli accordi a suo tempo stipulati, per dare attuazione al progetto di copertura dei parchi carbone di Funivie s.p.a.;
   se intenda assicurare l'azione di vigilanza e di monitoraggio cui si era reso disponibile nel mese di marzo 2016, anche affinché sia assicurata a quella importante infrastruttura ed a coloro che vi sono impiegati la necessaria continuità.
(5-08962)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO, DA VILLA e SPESSOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Nuova Venezia del 15 giugno 2016 pubblica un articolo che riporta i risultati del recente studio del Cnr sulla subsidenza dell'Alto Adriatico che dimostrerebbe come, sotto il peso di mezzo milione di tonnellate di cemento destinato a sostenere le 78 paratoie del Mose, sia aumentata la velocità del fenomeno di subsidenza nelle tre bocche di porto;
   come riportato dall'articolo «secondo gli ultimi rilevamenti affidati a sofisticati sistemi di Gps da satellite, la velocità di sprofondamento è aumentata: mentre in quasi tutta la laguna e nelle isole di Burano e Sant'Erasmo il terreno si è abbassato di pochi millimetri, confermando il trend degli ultimi due decenni, nelle tre bocche di porto interessate dai lavori del Mose l'abbassamento registrato è nell'ordine di molti centimetri, addirittura 7-8 secondo altri rilievi geologici in possesso del Consorzio Venezia Nuova. Un dato che preoccupa, perché nel progetto originario del Mose, il sistema di dighe mobili contro le acque alte, l'eventualità di uno sprofondamento era prevista, ma limitata a 8 centimetri nel prossimo secolo»;
   il rapporto indica con certezza che l'enorme peso delle strutture in calcestruzzo destinate a sostenere le 78 paratoie ha già prodotto gli effetti sull'equilibrio dei fondali lagunari. Fenomeno previsto, come assicurano gli ingegneri, che proprio per sostenere il peso del cemento avevano conficcato centinaia di pali lunghi 35 metri sui fondali sabbiosi delle bocche di Lido, Malamocco e Chioggia. Un assestamento è senz'altro previsto, ma per adesso gli 8 centimetri che si dovevano perdere in un secolo sono già stati persi in poco più di due anni. Ciò aggiunto alla subsidenza naturale (circa 2 millimetri, nell'area regionale) e all'eustatismo, cioè l'aumento del livello dei mari già evidente, potrebbe rappresentare un problema. Ma soprattutto, fanno notare i critici dei progetto Mose, si impone un controllo serrato sull'efficacia del progetto –:
   quali siano le ripercussioni di tale sprofondamento del fondo del bacino marino sull'ambiente, e come tale subsidenza incida negativamente sui benefici previsti inizialmente dall'opera;
   quali siano le eventuali soluzioni tecniche applicabili;
   se vi siano degli studi ed un piano di monitoraggio sullo stato dell'opera e sull'impatto che avrà sul fondale marino e, in caso affermativo, se si intenda renderli pubblici;
   in caso di mancanza di studi approfonditi, se non ritengano necessario incaricare una struttura pubblica di condurre tali indagini e il relativo monitoraggio;
   alla luce del recente studio, se non ritengano urgente e necessaria la realizzazione di un computo dettagliato sui costi e reali benefici futuri dell'opera. (4-13556)


   SOTTANELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 36 del decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, è oggetto di contrasto fra due correnti ermeneutiche in materia di sanatoria edilizia;
   tale articolo disciplina l'accertamento di conformità, ossia quello strumento attraverso cui si consente la sanatoria di manufatti od opere realizzati in assenza di titolo edilizio o in difformità da esso;
   al fine del rilascio del permesso in sanatoria è necessario che gli interventi abusivi siano conformi alla disciplina urbanistica ed edilizia vigente sia al tempo della realizzazione dell'opera, sia al momento della presentazione della istanza di cui al citato articolo 36;
   qualora si volesse attivare la procedura ex articolo 36, si dovrà presentare un'istanza all'ufficio comunale competente: i soggetti legittimati a farlo sono il responsabile dell'abuso e l'attuale proprietario dell'immobile, nonché il conduttore o chiunque possa vantare sul manufatto un diritto reale; trascorsi sessanta giorni dalla presentazione dell'istanza, senza che l'ufficio si sia pronunciato, si formerà il cosiddetto silenzio rigetto;
   nulla vieta, tuttavia, che successivamente alla formazione del silenzio rigetto e quindi trascorsi i sessanta giorni previsti, l'ufficio comunale possa pronunciarsi con un provvedimento espresso; tale provvedimento potrà essere di diniego o di accoglimento: nel primo caso il provvedimento dovrà specificare le ragioni su cui si fonda il diniego, nell'ipotesi invece di un provvedimento di accoglimento, una volta annullato il silenzio rigetto già formatosi, si rilascerà concessione in sanatoria evidenziando la conformità al piano urbanistico attuale, nonché a quello in vigore al momento in cui è stata realizzata l'opera o eseguito l'intervento abusivo;
   a livello privatistico, l'eventuale rilascio della concessione in sanatoria, avendo efficacia ex nunc, non travolge i diritti che si sono già formati in capo ai terzi che faranno salvo un eventuale risarcimento del danno;
   da ciò emerge che, ai fini dell'ottenimento del titolo abilitativo, è necessario dimostrare la doppia conformità, ossia la conformità dell'opera o dell'intervento abusivo sia al piano urbanistico vigente al momento della presentazione dell'istanza ex articolo 36, sia al piano urbanistico che vigeva all'epoca in cui è stato realizzato il manufatto;
   parte della giurisprudenza e della dottrina hanno ritenuto che la conformità andrebbe valutata esclusivamente al momento della presentazione dell'istanza, evitando così la scure della «doppia conformità»;
   secondo tale tesi, conosciuta col nome di «sanatoria giurisprudenziale», sostenuta per anni anche da alcune sentenze del Consiglio di Stato, sarebbe assolutamente illogico ed irragionevole demolire un immobile, che seppur conforme al piano urbanistico attuale, risulti difforme dal piano urbanistico vigente al momento della sua realizzazione;
   infatti, ciò significherebbe che se l'immobile, una volta demolito perché non conforme al piano urbanistico vigente all'epoca della realizzazione manufatto, venisse ricostruito tale e quale a quello demolito sarebbe da considerarsi non abusivo in quanto conforme al piano urbanistico attuale;
   significativa è in tal senso la pronuncia n. 2835 del Consiglio di Stato, sezione VI, secondo cui è da ritenersi «palesemente irragionevole negare una sanatoria di interventi che sarebbero legittimamente concedibili al momento della istanza, perdendo oltretutto automaticamente efficacia, a seguito della presentazione di questa, il pregresso ordine di demolizione e ripristino»;
   tuttavia, di recente il Consiglio di Stato è ritornato sulla questione, mutando nuovamente indirizzo e rigettando in pratica la soluzione della «sanatoria giurisprudenziale», sull'assunto che, a detta dei giudici amministrativi, si deve dare una maggiore tutela al principio della legalità rispetto a quelli richiamati dalla sanatoria giurisprudenziale che devono considerarsi al suo cospetto recessivi, riconfermando quindi il principio della «doppia conformità»;
   inoltre, secondo tale tesi, ammettere la «sanatoria giurisprudenziale» significherebbe introdurre surrettiziamente nell'ordinamento una atipica forma di condono che consentirebbe al responsabile di un abuso edilizio di poter beneficiare degli effetti indirettamente sananti di un più favorevole ius superveniens, piuttosto che di un'apposita disciplina legislativa condonistica;
   data l'esistenza di due correnti ermeneutiche in materia di sanatoria edilizia, se non ritenga opportuno assumere iniziative affinché si proceda al più presto ad un'interpretazione autentica delle disposizioni vigenti relative all'accertamento di conformità, al fine di evitare che gli uffici comunali applichino in maniera difforme la normativa in questione. (4-13563)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   VICO, PELILLO, GINEFRA, GRASSI, MARIANO, MASSA, MONGIELLO, VENTRICELLI, MICHELE BORDO, LOSACCO, CAPONE, CASSANO e BOCCIA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 7 giugno 2016, il questore di Taranto, dottor Stanislao Schimera ha incontrato una folta rappresentanza di produttori di uva da tavola di Grottaglie (cittadina di 32 mila abitanti ad est di Taranto), guidati dai vertici di Confagricoltura Taranto;
   dall'incontro, tenutosi presso gli uffici del commissariato di polizia di Grottaglie, è emerso un quadro molto serio e preoccupante in riferimento ai trentotto casi segnalati in meno di due mesi con tendoni danneggiati, tralci e tiranti tagliati di netto;
   anche sulla base di quanto riportato dalla stampa locale vi è un forte allarme su questo, vasto, fenomeno criminale che sta destabilizzando numerose aziende nel territorio compreso tra le province di Taranto e Brindisi;
   agricoltori e associazioni di categoria lamentano, inoltre, il prodursi di un effetto domino sul mercato e proprio agli inizi della stagione, poiché i commercianti sono preoccupati e non vogliono chiudere contratti e acquistare prodotto in queste aree considerate a rischio;
   si tratta di un settore che produce una parte considerevole dell'uva da tavola di Puglia e d'Italia, con un valore pari a 80 milioni di euro;
   il questore ha ribadito la indispensabile necessità di una piena collaborazione degli operatori agricoli per fronteggiare questa emergenza anche in considerazione dello spread esistente tra episodi e denunce, con 8 denunce a fronte di 38 episodi segnalati dagli agricoltori nel corso dell'incontro;
   in data 9 giugno 2016, il prefetto di Taranto Umberto Guidato, ha riunito il comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica per analizzare il caso del racket dei tendoni a Grottaglie ascoltando la testimonianza dei vertici delle organizzazioni di categoria;
   a seguito della riunione si è stabilito di schierare uomini e mezzi adeguati per debellare il fenomeno del racket che sta seminando paura tra i tantissimi produttori di uva da tavola;
   Grottaglie, con Castellaneta e Ginosa, costituisce il cuore della produzione di uva da tavola della provincia di Taranto che, da sola, produce oltre 230 mila tonnellate l'anno, quasi il 25 per cento del prodotto italiano –:
   quali ulteriori iniziative il Governo intenda porre in essere, con potenziamento di uomini e mezzi e sistemi di videosorveglianza, d'intesa con gli enti locali, per contrastare il fenomeno criminale esposto in premessa e per tutelare un settore chiave dell'agroalimentare pugliese ed italiano. (3-02339)

Interrogazione a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   le elezioni del presidente e del consiglio della provincia di Barletta-Andria-Trani sono state indette con decreto presidenziale n. 23 del 27 maggio 2016 e si svolgeranno domenica 9 ottobre 2016 dalle ore 8:00 alle ore 20:00;
   nel richiamato decreto viene scritto, per motivare la scelta della data, che ai sensi della legge n. 56 del 2014 il consiglio provinciale dura in carica due anni. Essendo stata effettuata la proclamazione degli eletti ormai uscenti il 14 ottobre 2014, viene sostenuto nel citato decreto, la data prescelta del 9 ottobre 2016 appare come la scelta più logica;
   tale argomentazione – che fa riferimento all'articolo 1, comma 69, della legge n. 56 del 2014 – viene ripresa in una lettera del Presidente facente funzioni della provincia di Barletta-Andria-Trani indirizzata al locale prefetto;
   a parere dell'interrogante questa interpretazione non è corretta in quanto successivamente, all'articolo 1, comma 79, la stessa Legge n. 56 del 2014, stabilisce espressamente che «in sede di prima applicazione della presente legge, l'elezione ai sensi dei commi da 67 a 78 del consiglio provinciale, presieduto dal presidente della provincia o dal commissario, è indetta:
    entro il 30 ottobre 2014 per le province i cui organi scadono per fine mandato nel 2014;
    successivamente a quanto previsto alla lettera a), entro novanta giorni dalla scadenza per fine del mandato ovvero dalla decadenza o scioglimento anticipato degli organi provinciali.»;
   il presidente della provincia di Barletta-Andria-Trani ha rassegnato le dimissioni il 29 febbraio 2016 (dimissioni che sono diventate efficaci venti giorni dopo, cioè il 20 marzo successivo). Le elezioni avrebbero quindi dovuto essere indette per una data non successiva al 20 giugno 2016;
   il presidente facente funzione della provincia Barletta-Andria-Trani, inoltre, sostiene sempre nel citato decreto di indizione delle elezioni che – qualora il rinnovo del consiglio provinciale avesse avuto luogo prima delle elezioni per il rinnovo delle citate amministrazioni comunali non si sarebbe potuto sapere, come elettorato attivo, quali pubblici amministratori in rappresentanza delle tre città sarebbero stati coinvolti nell'elezione del consiglio provinciale, cioè se quelli in scadenza oppure quelli legittimati dal voto popolare;
   anche tale argomentazione appare, agli occhi dell'interrogante, poco plausibile in quanto dopo la definitiva efficacia delle dimissioni del presidente della provincia ci sarebbe stata la piena possibilità di organizzare già in un arco di massimo di 40 giorni, le elezioni per il consiglio provinciale, visto che i sindaci e gli amministratori comunali restano pienamente in carica fino all'elezione del nuovo sindaco e del nuovo consiglio comunale, e quindi fino ad allora sono pienamente legittimati a prendere parte all'elezione del consiglio provinciale;
   a parere dell'interrogante, alla luce di quanto esposto, è urgente e opportuno un chiarimento sull'interpretazione corretta da dare alle norme richiamate della legge n. 56 del 2014, al fine di evitare la possibilità di eventuali decisioni non pienamente fondate sul piano giuridico che vadano nella direzione di una non giustificata « prorogatio» di fatto nella carica di presidente – effettivo o facente funzione, a seconda dei casi – per un periodo inspiegabilmente lungo –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se quanto verificatosi nella provincia di Barletta-Andria-Trani si basi o meno su una corretta interpretazione della legge n. 56 del 2014;
   quali eventuali iniziative di competenza i Ministri interrogati ritengano opportuno assumere per chiarire gli aspetti che ad oggi, a livello normativo, possono consentire il verificarsi di quanto descritto in premessa, così da dare un quadro normativo chiaro e inequivoco, con il possibile effetto di consentire una « prorogatio» di fatto – anche al di là dei legittimi termini – a chi ricopre cariche elettive. (4-13560)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NESCI, CHIMIENTI e PARENTELA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione a risposta scritta n. 4-13110, gli interroganti deputati del Movimento 5 stelle, in relazione alla vicenda di un minore punito dalla propria scuola in seguito al ritrovamento di un preservativo sigillato durante un viaggio d'istruzione, hanno chiesto – tra l'altro – al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca «quali iniziative urgenti di competenza, anche di carattere ispettivo, intenda assumere per accertare i gravi fatti riassunti, con particolare riguardo al comportamento tenuto dal dirigente scolastico»;
   con nota del 12 maggio 2016 la deputata Dalila Nesci ha investito della specifica questione l'Ufficio del garante regionale per l'infanzia e l'adolescenza, unitamente ad altre istituzioni, tra cui il Presidente del Consiglio e lo stesso Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, chiedendo interventi istituzionali educativi e di tutela del minore;
   in tempi rapidi il suddetto Garante ha ritenuto opportuno, nell'ambito delle prerogative riconosciute dalla legge, avviare un confronto tra le parti al fine di esaminare il caso sottoposto alla sua attenzione nel perseguimento del migliore interesse per il minore, secondo quanto previsto dalla normativa internazionale e nazionale;
   il 10 giugno 2016, il Garante in parola convocava la deputata Nesci, il dirigente dell'ufficio scolastico regionale (Ufficio II), per l'ambito territoriale di Catanzaro, il dirigente scolastico dell'Istituto Comprensivo «Ugo Foscolo» di Soverato (Cosenza) e i genitori del minore;
   all'audizione intervenivano le parti invitate, ad eccezione del dirigente dell'Ufficio scolastico regionale (Ufficio II), ambito territoriale di Catanzaro, il quale delegava, in sua vede, il dirigente scolastico dell'I. C. «Ugo Foscolo» di Soverato (Catanzaro), benché nella fattispecie si trattasse di affrontare un problema delicato e di mettere in luce i singoli comportamenti delle distinte istituzioni chiamate in causa e della famiglia del minore;
   a parere degli interroganti l'assenza del predetto dirigente dell'USC e la delega conferita al dirigente dell'istituto scolastico è da ritenersi molto grave dimostrativa della sufficienza accordata alla vicenda in trattazione da parte dell'Ufficio scolastico regionale, riguardante la formazione di un minore;
   nella relazione del 16 giugno 2016, protocollo numero 71, il Garante ha precisato d'aver ascoltato le parti, dando «la parola al Dirigente scolastico dell'I.C. “Ugo Foscolo” di Soverato, il quale depositava una relazione con i relativi allegati per descrivere fatti, circostanze e motivazioni che erano state poste alla base della decisione assunta dal Consiglio di Classe della 1o C della Scuola Secondaria di I grado “Ugo Foscolo” di Soverato nella riunione del 25 maggio 2015 e ratificata con successivo decreto del 26 maggio 2015 dal Dirigente stesso provvedendo ad infliggere al minore la sanzione disciplinare «di restrizione delle uscite didattiche ed esclusione dal viaggio di istruzione nel corso dell'anno scolastico 2015-2016» per avere, in data 17 aprile 2015, presso l'Hotel Universo di Montecatini, nel corso del viaggio di istruzione compiuto nella città di Firenze, assunto un comportamento gravemente lesivo ed offensivo nei confronti di una alunna dell'Istituto partecipante al viaggio»;
   come ha ricordato il Garante nella summenzionata relazione, al minore è stato contestato «il fatto di essere stato trovato in possesso di un preservativo sigillato e di avere inviato un messaggio ai compagni sul gruppo Whatsapp, contenente una frase lesiva e offensiva, nei confronti di un'alunna di undici anni»;
   nella rammentata relazione, Il Garante ha ricordato che «il Dirigente scolastico rappresentava, altresì, che, nel Consiglio di Classe del 20 maggio 2015, era emerso che lo stesso studente aveva compiuto un atto di autoerotismo durante l'orario scolastico» e «confermava che il provvedimento disciplinare non era stato notificato ai genitori del minore, in quanto era stato preannunciato verbalmente durante i colloqui intervenuti con gli stessi»;
   «iniziato – ha scritto il Garante – il nuovo anno scolastico, nel mese di febbraio 2016, la scuola provvedeva a distribuire a tutti gli alunni l'informativa sui viaggi d'istruzione da effettuarsi durante l'anno scolastico. Tale informativa veniva consegnata anche al minore destinatario della sanzione disciplinare, ingenerando nello stesso l'aspettativa di poter prendere parte alla gita, tanto che quest'ultimo provvedeva, tramite la propria famiglia, ad effettuare l'anticipo e il saldo della quota»;
   come riportato dal Garante nella propria relazione, il «Dirigente scolastico, dopo aver avvisato oralmente i genitori, inviava loro, in data 23 marzo 2016, una «mera comunicazione» tramite raccomandata a/r, con la quale li informava che il loro figlio non poteva partecipare al viaggio di istruzione previsto dal 7 all'11 aprile 2016 a causa della sanzione disciplinare adottata dal Consiglio di Classe in data 20 maggio 2015»;
   anche nella riferita circostanza, ha scritto il Garante, «il provvedimento implicante la sanzione punitiva non veniva notificato ai familiari, con grave lesione del diritto alla difesa del minore»;
   come riportato da Garante, i genitori raccontavano la loro versione riferendo d'essere stati concordi «sulla proposta di adottare una sanzione disciplinare per il comportamento del proprio figlio, provvedendo immediatamente a privarlo, per un certo periodo di tempo, del cellulare», tuttavia lamentando di non essere «stati avvisati con atto scritto e con tempestività dell'adozione del provvedimento disciplinare e che il minore era venuto a conoscenza della sanzione di esclusione dalla partecipazione alla gita scolastica, da parte di un'insegnante, che lo aveva riferito in classe davanti a tutti, esponendolo così, ai commenti dei compagni»;
   durante una visita alla scuola di cui si tratta, i deputati del MoVimento 5 Stelle Dalila Nesci e Paola Parentela, accompagnati da loro collaboratori, hanno chiesto al dirigente dell'istituto quali interventi educativi la scuola abbia posto in essere in relazione all'asserito comportamento sessuale del minore di cui si tratta, a detta del preside tradottosi, nel concreto, anche in un atto di autoerotismo in classe;
   dalle risposte date dallo stesso preside non è emerso a parere degli interroganti un atteggiamento pronto e responsabile della scuola in merito ai disordini sessuali ascritti allo studente minore;
   codesto argomento relativo alla problematica sul comportamento sessuale del minore è stato affrontato anche nella rammentata audizione tenuta dal Garante, che alla domanda sull'impiego, nella fattispecie, delle figure socio-sanitarie previste a supporto dello studente ha ricevuto risposta negativa dal dirigente scolastico;
   nella sua relazione il Garante ha osservato, in ciò concordando con quanto evidenziato in audizione dalla deputata Nesci, che, «considerata la delicatezza e l'importanza dell'argomento trattato, è stato inopportuno da parte dell'Ufficio Scolastico Regionale quale organo di controllo, regolarmente convocato, delegare, in sua vece, il Dirigente scolastico dell'I.C. “Ugo Foscolo”»;
   nelle osservazioni conclusive della citata relazione, anche ricordando la normativa di specie, il Garante ha osservato l'assoluta centralità del minore in tutti gli interventi correttivi ed educativi, rammentando il ruolo della scuola e della famiglia per la crescita personale del medesimo;
   con un'articolata sintesi sulla disciplina vigente in materia di sanzioni scolastiche, nella sua relazione il Garante ha rilevato come, nel caso di specie, «non siano stati adeguatamente e sufficientemente salvaguardati i diritti del minore secondo il dettato normativo vigente»;
   in particolare, il Garante ha puntualizzato che «non sono state rispettate le regole generali sull'azione amministrativa derivanti dalla legge n. 241/1990 e s.m.i. i cui princìpi, garanzie e aspetti procedurali devono essere applicati anche nel procedimento disciplinare trattandosi di uno specifico procedimento amministrativo. In particolare: 1) manca la formale comunicazione di avvio del procedimento disciplinare contenente la previa contestazione del fatto ai fini dell'esercizio del diritto di difesa e del rispetto del principio del contraddittorio con l'indicazione del termine di conclusione del procedimento; 2) manca la formalizzazione dell'istruttoria (acquisizione degli atti, delle testimonianze, delle memorie, ecc.); 3) è del tutto carente/insufficiente la motivazione che in questi casi dovrebbe essere abbastanza rigorosa anche al fine di dar conto del rispetto dei principi di proporzionalità e gradualità nell'applicazione della sanzione»;
   inoltre, il Garante ha precisato che «è evidente che l'irrorazione al minore della sanzione a distanza di un anno da quando è stata deliberata da parte del Consiglio di Classe ha assunto una funzione meramente punitiva e non educativa, in quanto non è stato preso in considerazione la condotta dello studente nel successivo anno scolastico nel corso del quale ha dimostrato un netto miglioramento evidenziato anche dal voto riportato in pagella e l'assenza di episodi analoghi a quelli constatati l'anno precedente»;
   altro aspetto rilevato dal Garante è «l'irregolare composizione del Consiglio di Classe nella seduta del 25 maggio 2015, per aver deliberato l'adozione del provvedimento disciplinare con la presenza del solo corpo docente»;
   il Garante ha scritto che «risulta, inoltre, la violazione del principio secondo cui «Ogni provvedimento disciplinare deve tutelare il diritto alla riservatezza dello studente minore» per le modalità con cui lo stesso ne è venuto a conoscenza»;
   il Garante, anche alla luce della documentazione fornita dal dirigente scolastico e richiamata nella relazione qui più volte citata, «risulta la mancata applicazione del decreto del Presidente della Repubblica 24 giugno 1998, n. 249 (Statuto delle studentesse e degli studenti) e s.m.i. intervenute con il decreto del Presidente della Repubblica n. 235 del 21 novembre 2007 e del relativo Regolamento di Disciplina attuativo adottato dall'I.C. Statale «Ugo Foscolo» in data 20 dicembre 2014 nella parte in cui non è stata offerta la possibilità al minore di convertire la sanzione in attività a favore della comunità scolastica (es. riordino del materiale didattico e delle aule, sistemazione delle aule speciali e dei laboratori, attività di supporto alla biblioteca, attività di ricerca e di approfondimento didattico, attività di volontariato interne alla scuola)»;
   «tale alternativa – ha evidenziato il Garante, che sull'esito dell'audizione ha informato gli organismi competenti in materia d'infanzia – non è stata presa in considerazione neanche nel corso del Consiglio di Classe convocato in via straordinaria in data 1o aprile 2016. Si richiama l'articolo 4 comma 2 del citato decreto del Presidente della Repubblica il quale dispone che “i provvedimenti disciplinari hanno finalità educativa e tendono al rafforzamento del senso di responsabilità e al ripristino di rapporti corretti all'interno della comunità scolastica, nonché al recupero dello studente attraverso attività di natura sociale, culturale ed in generale a vantaggio della comunità scolastica”»;
   alla luce dei fatti esposti in premessa, rispetto all'intera vicenda appare urgente verificare attraverso ispettori ministeriali, il comportamento della scuola e dell'Ufficio scolastico regionale, in particolare verificare l'adeguatezza al ruolo dei rispettivi dirigenti apicali –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per accertare le responsabilità specifiche, nella fattispecie, condotte dei dirigenti apicali dell'istituto scolastico e dell'Ufficio scolastico regionale della Calabria, sia per verificarne l'adeguatezza rispetto al ruolo pubblico svolto, sia per consentire alla scuola in questione, scuola dell'obbligo, di assolvere alla sua funzione educativa senza discriminazioni e penalizzazioni a danno degli studenti. (5-08961)

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di informazione hanno recentemente dato risalto al caso di un'insegnante, la dottoressa Maria Erminia Maglio, affetta da ptosi palpebrale e da semiparesi ai muscoli facciali, che sarebbe stata estromessa dall'insegnamento dall'istituto agrario Pastori di Brescia in ragione del suo aspetto fisico;
   l'insegnante in questione ha conseguito la laurea magistrale in produzione animale con 110 e lode con dottorato triennale e l'abilitazione all'esercizio della professione di agronomo;
   la docente ha successivamente conseguito l'abilitazione all'insegnamento per la classe A074 presso l'università degli studi di rari, così come regolarmente certificato in data 24 luglio 2015 con un attestato del dipartimento di scienze agroambientali e territoriali;
   nel mese di settembre del 2015, la docente è stata chiamata per una supplenza di esercitazione agraria presso l'istituto agrario «Pastori» di Brescia;
   il dirigente scolastico di detto istituto, appena incontrata la docente ne avrebbe valutato l'idoneità all'insegnamento non in base ai titoli e alla certificazioni in suo possesso, ma solo in base al suo aspetto fisico. Le avrebbe chiesto, infatti, di rinunciare all'incarico, avvertendola che, in mancanza, sarebbe stata sottoposta ad una nuova visita medica per verificare l'idoneità all'insegnamento;
   l'insegnante avrebbe accettato di essere sottoposta a visita medica, nonostante l'azienda sanitaria locale di Avellino e l'ufficio del lavoro dell'università di Napoli si fossero già espresse per la sua piena idoneità all'insegnamento;
   il dirigente scolastico dell'istituto Pastori di Brescia avrebbe comunicato solo verbalmente l'esito della visita medica alla docente, informandola che, secondo il parere del medico, avrebbe potuto insegnare ma non recarsi nei laboratori e nelle aziende agricole. In ragione di tale «parere medico», il dirigente scolastico avrebbe ribadito alla docente l'invito a rinunciare alla supplenza, paventando, in mancanza, una nuova visita collegiale;
   a giudizio dell'interrogante, occorre fare chiarezza sulle «determinazioni» del dirigente scolastico fondate su presunte valutazioni mediche difformi dalle certificazioni dell'asl di Avellino e dell'ufficio del Lavoro dell'università di Napoli;
   l'aspetto fisico non può essere un parametro di valutazione per stabilire chi possa o meno insegnare –:
   se il dirigente scolastico dell'istituto agrario «Pastori» di Brescia abbia chiesto alla docente di rinunciare all'incarico di supplenza e quali siano le motivazioni che lo hanno indotto, nonostante la evidenza delle certificazioni presentate e dei titoli posseduti, a chiedere una nuova visita per valutarne l'idoneità all'insegnamento.
(4-13561)


   SAMMARCO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 22 ottobre 2014 si sono svolte le elezioni per la nomina del direttore dell'Accademia per il triennio 2014-2017 nelle quali è risultato eletto il commissario straordinario pro tempore il Maestro Bruno Carioti;
   il 28 novembre 2014 il tribunale amministrativo regionale per il Lazio, Sezione III, con ordinanza n. 13309 ha sospeso, in via cautelare la nomina a direttore dell'accademia, dovendo valutare se la partecipazione del maestro Bruno Carioti alla procedura selettiva da direttore, fosse contraria alle norme (articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 1236 del 1948, articolo 1 e numero 51 dell'allegato 1 della legge n. 179 del 2009, nonché articolo 6, comma 2, del decreto del Presidente della Repubblica n. 132 del 2003) e al principio di autonomia dell'Accademia di danza e dell'alta istituzione coreutica;
   il suddetto procedimento è giunto sino al Consiglio di Stato, il quale, con ordinanza della VI sezione N. 05459/2015 REG.RIC del 31 luglio 2015, ha accolto la validità delle obiezioni sollevate, disponendo la sospensione della procedura di nomina del Maestro Bruno Carioti, sino al pronunciamento di merito, fissato al 21 gennaio 2016;
   il 21 gennaio 2016 si è svolta l'udienza dinanzi alla VI sezione del Consiglio di Stato e nonostante la questione da dirimere fosse relativamente semplice (si trattava di stabilire se la norma del decreto legislativo n. 1236 del 1948, espressamente mantenuta in vigore dal cosiddetto decreto «taglia leggi» – decreto legislativo 13 dicembre 2010. N. 212 – fosse da applicare in via prevalente rispetto alle norme successive), ad oggi la sentenza non è ancora stata resa nota;
   nel ricordare che sussiste un termine non perentorio di 60 giorni per la pubblicazione delle sentenze del Consiglio di Stato, giova osservare che questa situazione di incertezza si riflette sul buon andamento dell'attività ordinaria e sull'opera di risanamento dell'Accademia nazionale di danza, peraltro da poco uscita da un lungo periodo di commissariamento, in quanto l'incertezza sulla carica di direttore, non consente una programmazione a lungo termine;
   ulteriore elemento di incertezza deriva dal fatto che a quanto consta all'interrogante, risulterebbe la sconcertante mancata nomina dei nuovi organi dirigenti della Fondazione dell'Accademia di danza, anch'essa uscita nell'aprile 2016 da un lungo periodo di commissariamento. La fondazione opera in stretto concorso con l'accademia per la diffusione, mediante spettacoli, saggi, concorsi e borse di studio, della danza italiana in Italia e nel mondo –:
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sulla vicenda esposta in premessa e se non ritenga di assumere iniziative per rafforzare il percorso di risanamento dell'Accademia nazionale di danza, dando ad essa le necessarie certezze operative. (4-13568)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è in atto la raccolta del grano e ad oggi il prezzo è fissato a 22 euro e 50 centesimi al quintale;
   i produttori sono preoccupati da alcuni elementi che inducono a pensare ad ulteriori possibili ribassi del prezzo;
   secondo le organizzazioni di categoria con prezzi al di sotto dei 30 euro al quintale i produttori non riescono a sostenere i costi di produzione;
   dall'inizio dell'anno si è registrato un deprezzamento del 30 per cento;
   diventa indispensabile per la filiera e per la qualità stessa del prodotto in circolazione che venga adottato in tempi brevi il piano cerealicolo nazionale –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo per monitorare attentamente la situazione rispetto a possibili azioni speculative che penalizzerebbero il comparto nonché per accelerare il varo definitivo del piano nazionale cerealicolo e assicurare una migliore organizzazione della filiera e una maggiore qualità del prodotto nell'interesse dei produttori e dei cittadini. (5-08958)

SALUTE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

XII Commissione:


   NIZZI e RUSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il primo firmatario del presente atto, in diverse circostanze, ha già sollevato il tema della tracciabilità dei farmaci ed il problema della cancellazione del numero progressivo in chiaro sulle confezioni, presente sullo strato intermedio del bollino farmaceutico; in data 7 aprile 2016 il sottosegretario Vito De Filippo ha risposto all'interrogazione del sottoscritto interrogante, n. 5-08324;
   in data 13 aprile 2016 il Ministro Lorenzin, in risposta al question time in assemblea dell'interrogante dichiarava di aver chiesto elementi informativi all'Istituto Poligrafico Zecca dello Stato affermando, testualmente, che: «L'Istituto Poligrafico dello Stato ha comunicato già dal novembre 2015 di aver avviato l'adeguamento tecnologico delle macchine per la produzione del bollino e, proprio in data di ieri che l'implementazione del nuovo sistema di stampa sulle 23 macchine di produzione è ormai prossima al completamento e che di conseguenza, la risoluzione definitiva del problema è prevista entro la fine della settimana prossima e non oltre»;
   è ben noto che l'adeguamento tecnologico delle macchine e l'implementazione del nuovo sistema preannunciato come risolutivo dal Ministro, altro non è che una semplice verniciatura del numero targa, effettuata con dei gruppi di vernice, forniti, oppure realizzati ed installati dai fornitori delle 23 macchine; tali gruppi sono stati installati, a fine linea, su gran parte delle macchine a partire dal mese di novembre 2015;
   di fatto però gli interventi effettuati e l'applicazione della vernice non garantiscono per nulla il fatto che il numero di targa sia indelebile; i bollini dei farmaci sono annoverati nell'elenco delle carte valori e risultano requisito indispensabile per consentire la completa tracciabilità e quindi evitare che si perpetuino ancora danni al Sistema sanitario nazionale;
   a conferma dell'inadeguatezza del sistema scelto ed implementato, si rileva che anche in questi giorni continuano ad essere immessi sul mercato farmaci con il numero targa coperto dalla vernice come da nuova implementazione e di recentissime produzioni che presentano il consueto problema della cancellazione del numero targa tutt'altro che indelebile;
   nonostante le rassicurazioni fornite dal Ministro interrogato, che più di due mesi fa si dichiarava certo del fatto che entro pochi giorni il problema rappresentato dei bollini dei farmaci sarebbe stato risolto, ancora oggi, l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato non è in grado di risolvere tecnicamente il problema del numero stampato sul bollino che continua a non essere indelebile, mentre si destinano risorse pubbliche, a costosi quanto inutili aggiornamenti di macchinari adibiti alla stampa dei bollini stessi;
   a titolo di esempio si cita il farmaco DOC Generici srl Aripiprazolo 15 mg. Lotto 1501546b. Le confezioni di questo farmaco, a quanto risulta agli interroganti, contengono un bollino stampato con implementazione del nuovo sistema, ma con il numero targa che si cancella facilmente –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato intenda assumere per evitare che si continuino ancora ad immettere sul mercato bollini difettosi, adoperandosi affinché attraverso l'ausilio delle aziende farmaceutiche, si effettuino controlli per verificare che il numero targa sia indelebile prima di essere applicato sull'astuccio e promuovendo verifiche da parte del comando carabinieri per la tutela della salute affinché si accertino presso le farmacie i difetti delle confezioni dei farmaci. (5-08969)


   GRILLO, LOREFICE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, COLONNESE, NESCI e DALL'OSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sulla base della determina 12 novembre 2014 n. 1.353 dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), ad oggetto «Regime di rimborsabilità e prezzo del medicinale per uso umano “Sovaldi” (sofosbuvir), autorizzata con procedura centralizzata europea dalla Commissione europea», la validità del contratto con l'azienda Gilead dovrebbe essere attualmente scaduta;
   la risoluzione conclusiva n. 8/00177 presentata in Commissione affari sociali della Camera dei deputati in data 27 aprile 2016, a prima firma della deputata Anna Miotto, impegnava il Governo: «ad avviare ogni utile iniziativa finalizzata a dare attuazione alla predetta direttiva 89/105/CEE del Consiglio del 21 dicembre 1988, con particolare riferimento alle attività di controllo relative all'immissione sul mercato di specialità medicinali;
   ad adottare iniziative volte a garantire che, nel futuro, non si ricorra ad accordi con clausole di riservatezza per l'acquisto di medicinali, ad eccezione di casi straordinari – sia per la rilevanza terapeutica innovativa che per le dimensioni dell'impatto finanziario – valutando comunque, in tali specifiche circostanze, di conformarsi ai consolidati orientamenti comunitari e, ove esistenti, alle indicazioni fornite dall'EMA, nonché a sottoporre gli accordi con clausole di riservatezza alla vigilanza dell'Autorità nazionale anticorruzione, per quanto di competenza, e, anche in attuazione dell'articolo 162 del decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50 (cosiddetto “Codice appalti”), al controllo della Corte dei conti»;
   l'Agenzia europea del farmaco (EMA) ha recentemente avviato una revisione sui farmaci antivirali ad azione diretta, per valutare il rischio di cancro al fegato e di riattivazione dell'epatite B in quanto per alcuni pazienti trattati ed affetti da entrambi i virus, si è infatti verificata la ricomparsa dell'infezione;
   il libro «L'innovazione sostenibile» di Luca Pani direttore generale dell'AIFA, dedica un intero paragrafo al «caso sofosbuvir» (pagg. da 32 a 40). Il punto 2.2a approfondisce il tema dell'insostenibilità del costo del farmaco sofosbuvir riportando come, affinché il mercato funzioni correttamente quest'ultimo debba essere: «competitivo, equo e trasparente»;
   inoltre viene riportato come:
    diversi Paesi da tutto il mondo hanno guardato e ancora guardano all'AIFA con grande attenzione per il nostro approccio negoziale rigoroso e basato su avanzate procedure di accordo progressivo;
    non è chiaro come la Gilead abbia determinato il prezzo del sofosbuvir che sembra comunque molto più elevato del previsto;
    i costi di Ricerca e Sviluppo sostenuti da Pharmasset – sviluppatrice del Sovaldi acquisita nel 2012 dalla Gilead per 11,2 miliardi di euro – negli anni 2009, 2010 e 2011, il periodo in cui sofosbuvir è stato sviluppato, ammontavano a 176,7 milioni di dollari, di cui 62,4 milioni attribuiti direttamente allo sviluppo del Sovaldi;
   il ricavo di sofosbuvir – potrebbe essere pari – a 11,3 miliardi di dollari nel primo anno di lancio;
    nel condurre la trattativa con l'Azienda – Gilead –, l'AIFA non si è mai focalizzata esclusivamente sul sofosbuvir, che al momento dell'avvio della negoziazione, era, come detto, l'unico sul mercato, ma ha tenuto conto dei nuovi farmaci in via di registrazione, che avrebbero rappresentato alternative terapeutiche più che valide e i cui costi sarebbero largamente dipesi dal prezzo di riferimento negoziato per il sofosbuvir;
    la strategia dell'AIFA – osservata con attenzione anche all'estero – è stata quindi indirizzata fin dall'inizio a porre le basi per un piano farmaceutico ambizioso per l'eradicazione dell'epatite C nei prossimi anni. Ciò ha permesso all'Agenzia di chiudere l'accordo per la rimborsabilità del Sovaldi nel rispetto dei tempi auspicati dal Ministro della Salute e in modo da consentire il trattamento del più grande numero di pazienti a un prezzo medio più basso rispetto al resto d'Europa;
    ai decisori spetta il compito di stabilire quanto si è disposti a pagare e per cosa, ai produttori di fissare l'asticella del profitto...;
   in data 25 maggio 2016 nel corso del programma Report il direttore generale Luca Pani ha indicato che:
    in Germania il prezzo del trattamento con il farmaco Sovaldi è di tre volte quello che si paga – in Italia – circa 45.000 euro; in Francia intorno ai 30.000 euro; in Spagna e Portogallo circa 27.000 euro;
    l'Italia ha speso 750 milioni di euro per 50.000 pazienti entro giugno 2016;
    alla scadenza del contratto si rinegozierà drasticamente il prezzo anche perché nel frattempo sono arrivate altre molecole;
    nella cartella stampa di presentazione del rapporto OsMed 2015 è presente la nota sui farmaci anti Epatite C, trattamenti avviati nel 2015, consumo e spesa dalla quale si apprende che:
    nel 2015 sono stati avviati 31.069 trattamenti;
    la spesa a carico del SSN per i farmaci anti-HCV per l'anno 2015 è stata pari a 1,7 miliardi di euro. La sottocategoria degli altri antivirali, ricomprendenti i nuovi DAA (Direct Antiviral Antigens), ha registrato una spesa pari a 1,6 miliardi di euro;
    al 20 giugno 2016 i trattamenti risultano 49.715;
   secondo i dati a disposizione il prezzo medio dei trattamenti nel 2015 sarebbe pari a 51.498 euro (1,6 miliardi spesa 2015/31.069 trattamenti 2015) più di tre volte superiore al prezzo (15.000 euro) stimato nel corso del programma Report –:
   quale sia l'importo totale della spesa pubblica relativa ai trattamenti sia con il farmaco Sovaldi che con il Savaldi-Harvoni, e il numero dei trattamenti effettuati con i medesimi: per l'anno 2015, per l'anno 2016 fino alla scadenza della determina 12 novembre 2014, n. 1.353, dell'Agenzia italiana del farmaco (AIFA), avente ad oggetto «Regime di rimborsabilità e prezzo del medicinale per uso umano “Sovaldi” (sofosbuvir) e sempre con riferimento all'anno 2016 per i mesi successivi alla scadenza della succitata determina 12 novembre 2014, n. 1.353.
(5-08970)


   AMATO e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 novembre 2015 sono state pubblicate in Gazzetta Ufficiale (Serie generale n. 261), sezione «Estratti, sunti e comunicati», le «Linee guida per le procedure inerenti alle pratiche radiologiche clinicamente sperimentate» in ossequio alla previsione dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 187 del 2000 (legge sulla radioprotezione);
   le linee guida sono un insieme di raccomandazioni sviluppate sistematicamente, sulla base di conoscenze continuamente aggiornate e valide, redatto allo scopo di rendere appropriato, e con un elevato standard di qualità, un comportamento desiderato;
   le linee guida in oggetto sono indicazioni di percorsi assistenziali che prescindono dai diversi modelli organizzativi adottati dalle singole regioni in cui in aree geografiche ad orografia complessa lo strumento tecnologico della tele-refertazione è già una realtà e le risorse per il personale non consentono la presenza continuativa del medico radiologo anche per procedure senza utilizzo di mezzo di contrasto;
   esse sono fortemente penalizzanti la professionalità e la dignità di medici prescrittori e tecnici sanitari di radiologia medica, rischiano di porre difficoltà organizzative proprio per la indebita penalizzazione, a molti servizi radiologici che potrebbero continuare a erogare servizi solo non osservando le indicazioni contenute nelle stesse linee guida;
   la Federazione dei collegi dei tecnici sanitari di radiologia medica, come più volte espresso attraverso comunicati su quotidiani di settore, non ritiene di condividere le linee guida in oggetto per una serie di motivi tra cui: inadeguatezza circa l'appropriatezza delle prestazioni; inadeguatezza in tema di radioprotezione della popolazione; sostanziale sotto utilizzo dei sistemi di telemedicina (nello specifico, di tele-radiologia) già presenti sul territorio nazionale; se applicate, danno erariale allo Stato e alle regioni; incostituzionalità circa la competenza concorrente Stato - regioni in tema di organizzazione dei sistemi sanitari regionali; contrasto con le leggi ordinarie e gli atti aventi forza di legge dello Stato in tema di esercizio professionale;
   alcune regioni hanno fatto investimenti in sistemi di tele-gestione per modelli organizzativi differenti da quelli indicati dalle linee guida emanate, per cui la prestazione diagnostica risulta essere sicura, di elevata qualità con un costo d'insieme più sostenibile;
   i tecnici sanitari di radiologia medica senza la presenza fisica del medico radiologo ottemperano alle procedure nei programmi di screening mammografico, nella esecuzione degli esami in sala operatoria e al letto del paziente, e nelle procedure senza mdc richieste in urgenza in reperibilità;
   nessuna procedura di diagnostica radiologica è eseguibile senza la specifica prescrizione medica e il decreto appropriatezza rafforza il ruolo e la responsabilità del prescrittore;
   la stessa federazione, in data 2 ottobre 2014, 29 maggio e 7 luglio 2015, unitamente alla Conferenza delle regioni ha chiesto il ritiro delle linee guida e la riapertura di un tavolo di confronto con gli attori interessati ed ha, inoltre, impugnato il documento ministeriale davanti al TAR Lazio al fine di ottenere la sospensiva dell'applicazione delle linee guida e di poi l'annullamento. Il Tribunale amministrativo, valutata la documentazione presentata, con particolare riferimento alla richiesta della Conferenza delle regioni, ha disposto la «cancellazione della causa dal ruolo» per concedere un congruo lasso di tempo alle parti per riaprire un tavolo di confronto volto al perseguimento di soluzioni stragiudiziali –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda adottare al fine di pervenire alla riapertura del tavolo per la riscrittura delle linee guida per le procedure inerenti alle pratiche radiologiche clinicamente sperimentate che rispondano ad obiettivi di sicurezza e qualità delle procedure, utilizzo integrato di risorse umane e tecnologie secondo principi di evidenza scientifica e sostenibilità economica e rispetto della pari dignità di tutti gli esercenti le professioni sanitarie coinvolti nel percorso radiologico. (5-08971)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   AGOSTINELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   L'Arpam, Agenzia regionale per la protezione ambientale delle Marche – dipartimento di Ancona – servizio di epidemiologia ambientale – ha pubblicato uno studio del maggio 2016 intitolato «aborto spontaneo ed inquinamento atmosferico: i dati nella Regione Marche»;
   lo scopo dello studio epidemiologico, pubblicato sul sito dell'Arpam, è quello di «descrivere la distribuzione e l'andamento temporale dell'evento sanitario “aborto spontaneo” nei comuni della Regione Marche e, più in particolare, di effettuare valutazioni analitiche sul rapporto della sua incidenza con la qualità stimata dell'aria outdoor attraverso la concentrazione del particolato sottile (PM2,5)»;
    è noto infatti che, se la madre è esposta ad inquinanti ambientali, il prodotto del concepimento, sia nella fase embrionale che in quella fetale, può subire dei danni in ragione della sua particolare vulnerabilità;
   recentemente si assiste ad un crescente interesse della ricerca per lo studio dei possibili effetti nocivi sulla salute riproduttiva da parte dei cosiddetti contaminanti diffusi in aria. Nella letteratura scientifica non mancano studi in cui è stata identificata un'associazione significativa tra l'aborto spontaneo ed i contaminanti atmosferici; tra questi «una recente indagine ha valutato l'associazione tra l'abortività spontanea e l'inquinamento atmosferico rilevando una correlazione positiva tra le concentrazioni in aria di PM10 e Ozono (non di biossido di azoto (NO2) ai valori misurati) e l'occorrenza degli aborti spontanei, anche a livelli di concentrazione al di sotto dei limiti indicati dalle norme sulla qualità dell'aria» (cfr. studio Arpam 2016);
    è in questo filone di ricerca che si colloca lo studio dell'Arpam 2016 che, appunto, si propone di descrivere la distribuzione spaziale e temporale dell'evento «aborto spontaneo» nei comuni della regione Marche nel periodo preso in considerazione. Lo scopo del predetto studio è, quindi, «quello di individuare l'influenza di alcuni fattori di rischio sull'occorrenza dell'evento sanitario e, più nello specifico, di effettuare valutazioni analitiche sull'incidenza della qualità dell'aria e, in particolare, dell'impatto del particolato sottile (PM2,5)»;
    esso si articola in una prima fase descrittiva del fenomeno dei ricoveri ospedalieri per abortività spontanea a livello comunale ed in una seconda fase, di tipo analitico, che tenta di indagare gli eventuali fattori di rischio associati (studio Arpam 2016). I dati dell'indagine epidemiologica de quo sono stati ricavati dalle schede di dimissione ospedaliera (SDO) fornite dall'Agenzia regionale sanitaria della regione Marche per il periodo che va dal 2006 al 2012; sono stati analizzati i ricoveri, ordinari e day hospital, delle donne in età fertile (15-49 anni) residenti nelle Marche, selezionate sulla base della diagnosi principale e delle diagnosi secondarie della SDO, codificata secondo la IX revisione della classificazione internazionale delle malattie (cfr. studio Arpam 2016);
    il campione oggetto di analisi riguarda i ricoveri ospedalieri per aborto spontaneo delle donne fertili (15-49 anni) residenti nei 236 comuni delle Marche nel periodo 2006-2012; gli aborti spontanei per l'intero periodo considerato in tutta la regione sono risultati 15.319, con un rapporto di abortività percentuale pari a 12,2;
   conclusivamente dall'indagine emergono «alcune anomalie del fenomeno abortivo che si manifestano in determinate aree geografiche della Regione, portando altresì all'individuazione di associazioni causali tra l'abortività spontanea e i fattori di rischio indagati, tra i quali trova un ruolo determinante soprattutto il particolato atmosferico. I risultati dell'analisi multivariata mostrano un'associazione statisticamente significativa con la classe di età 35-49 anni, la cittadinanza, i precedenti aborti e l'esposizione al particolato sottile. In particolare un'esposizione a PM2,5 compresa tra 10 e 14 μg/m3 incrementa il rischio di aborto spontaneo del 9 per cento rispetto a esposizioni inferiori a 10 μg/m3, mentre un'esposizione a PM2,5 superiore a 14 μg/m3 lo incrementa del 13 per cento»; nello studio sono quindi elencati i comuni della regione Marche per i quali emerge una situazione di criticità rispetto al riferimento regionale e che, pertanto, necessitano di particolare attenzione;
   Jesi è il comune dove è stata registrata la significatività statistica di quasi tutti gli indicatori epidemiologici utilizzati. Lo studio evidenzia criticità importanti anche con riguardo ad altri comuni delle Marche quali, in particolare, Castel di Lama, Falconara Marittima, Osimo, Macerata e Spinetoli — «che hanno fatto rilevare eccessi significativi di abortività spontanea e l'appartenenza del comune ad aggregati spaziali dell'evento in questione (cluster)»;
    anche il comune di Monteprandone è tra i comuni elencati, «tuttavia esso si differenzia per il fatto di non far rilevare una significatività statistica dell'eccesso del rapporto di abortività standardizzato (SIR), mostrando, di contro, un trend dell'esito sanitario in ascesa e, quindi, opposto rispetto al trend regionale –:
   il Ministro interrogato non ritenga necessario, per quanto di competenza:
    a) adottare iniziative con riferimento alle criticità riscontrate nei comuni delle Marche indicati in premessa ed eventualmente quali;
    b) avviare indagini ulteriori con riguardo a quelle realtà territoriali segnalate nello studio Arpam per le quali l'evento sanitario considerato (aborto spontaneo) è risultato, sulla base di un approccio descrittivo, più frequente della media regionale o in incremento, in modo da approfondire l'eziologia del fenomeno riscontrato. (5-08955)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   al fine di verificare la qualità e la sicurezza dei pasti serviti nelle mense scolastiche, il Ministro della salute disponeva nell'anno scolastico 2015-2016 alcune verifiche a campione avvalendosi del Nucleo antisofisticazioni dei Carabinieri;
   dai 2.678 controlli eseguiti dai Nas, emerge che sono 670 le strutture risultate non conformi per le quali sono state anche disposte 37 chiusure. Sono state altresì emesse 164 sanzioni penali e 764 sanzioni amministrative per un totale di euro 491.498;
   nell'ambito dei controlli venivano inoltre sequestrati 4,264 chilogrammi di derrate alimentari risultate in cattivo stato di conservazione o alterati, con evidenti complicazioni per la tracciabilità ed etichettatura degli stessi;
   tra i controlli effettuati, va segnalata la denuncia fatta dai Nas al responsabile di una società fornitrice del confezionamento dei pasti destinati a una scuola materna della provincia di Brescia la quale forniva alimenti da agricoltura tradizionale anziché quelli biologici previsti dal capitolato;
   il Nas di Ancona poi, scopriva che in una scuola agli studenti venivano serviti alimenti dichiarati freschi e invece, le derrate venivano acquistate vicine alla scadenza per essere congelate e rietichettate per poi essere fornite alla mensa come freschi;
   preoccupanti infine anche la scoperta del Nas di Perugia che ha messo in luce la somministrazione ai bambini di alimenti pericolosi per la salute pubblica, fra cui prosciutto cotto e frittata contaminati da listeria e stafilococchi, yogurt scaduto e pane con muffa;
   tuttavia,  l'articolo 144, del decreto legislativo n. 50 del 2016 riferito ai servizi di ristorazione, enuncia che gli appalti sono aggiudicati secondo quanto disposto dall'articolo 95, comma 3. «La valutazione dell'offerta tecnica tiene conto, in particolare, degli aspetti relativi a fattori quali la qualità dei generi alimentari con particolare riferimento a quella di prodotti biologici, tipici e tradizionali, di quelli a denominazione protetta, nonché di quelli provenienti da sistemi di filiera corta e da operatori dell'agricoltura sociale, il rispetto delle disposizioni ambientali in materia di green economy, dei criteri ambientali minimi pertinenti di cui all'articolo 34 del presente codice e della qualità della formazione degli operatori» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   alla luce del preoccupante rapporto elaborato dai Nas per conto del Ministero, come intenda procedere al fine di evitare pericolose somministrazioni di cibi agli studenti nelle mense scolastiche;
   in considerazione del fatto che dal rapporto elaborato dai Nas emerge che una mensa su quattro di quelle ispezionate è risultata fuori norma, quali siano le ulteriori iniziative che vorrà mettere in campo per l'applicazione del decreto legislativo n. 50 del 2016 e più precisamente dalla disposizione del codice sugli appalti pubblici «Categorie mense»;
   se non ritenga necessario, al fine di evitare contraffazioni di derrate alimentari in ambito pubblico destinate alle persone, di dover assumere iniziative per modificare la normativa vigente in materia di procedure e criteri degli  appalti pubblici;
   se non ritenga fondamentale per la tutela della salute pubblica di dover assumere iniziative normative affinché siano modificati i requisiti necessari per la partecipazione alle gare d'appalto dei «servizi di somministrazione pasti» in modo tale da escludere aziende che da controlli effettuati siano risultate non idonee, a causa di contraffazione degli alimenti destinati alla somministrazione umana o frode.
(5-08960)

Interrogazione a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   notizie di cronaca riportano l'apertura un fascicolo dalla procura di Ragusa relativo al decesso di una partoriente di Pachino;
   si apprende che la giovane donna è deceduta dopo essere stata portata all'ospedale Maggiore di Modica per partorire. La donna aveva dato alla luce un bambino già morto. A seguito del parto ne sono scaturite complicazioni che ne avevano obbligato il trasferimento in coma farmacologico nel reparto di rianimazione. Le sue condizioni erano apparse gravi sin da subito;
   dal susseguirsi degli eventi appare evidente come qualcosa non sia andata per il meglio durante le operazioni di stimolazione per l'espulsione del corpicino senza vita. Secondo le prime informazioni, la donna avrebbe presentato una copiosa emorragia, uno o, addirittura, più arresti cardiaci. Neanche l'immediato intervento chirurgico a cui viene sottoposta ha posto rimedio alle criticità sorte;
   le condizioni della mamma di Pachino si sono aggravate e dopo quattro giorni di agonia il suo cuore ha cessato di battere –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda assumere ogni iniziativa di competenza, al fine di verificare che tutti i protocolli siano stati seguiti, per scongiurare che altre tragedie possano di nuovo colpire le partorienti e dare risposte ai familiari circa una vicenda che appare incomprensibile. (4-13558)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE LORENZIS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il dottor Nicola Nicoletti è partner di PricewaterhouseCoopers (PwC) dall'anno 2007. Pricewaterhousecoopers è una società italiana appartenente al network internazionale Pwc, una organizzazione internazionale di servizi professionali alle imprese;
   in data 15 settembre 2013 il «Comitato di esperti» per l'Ilva (Genon, Busceglia, Lupo), nominati con decreto ministeriale n. 211 del 15 luglio 2013, ha presentato la proposta di «Piano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria», ai sensi del decreto-legge n. 61 del 2013. All'interno della stessa proposta di piano, il Comitato di esperti, come descritto nel verbale n. 7 del 5 settembre 2013, incontra il dottor Nicoletti della PricewaterhouseCoopers Advisory spa che ha ricevuto l'incarico di revisionare l'organizzazione e il sistema delle deleghe in materia di salute e sicurezza e il modello organizzativo e gestionale;
   da fonte stampa si apprende che nel mese di novembre 2013 Enrico Bondi, allora commissario dell'Ilva, ha chiesto al gruppo Riva Fire e a membri della famiglia Riva un risarcimento danni di 484 milioni di euro per le attività di Riva Fire sulla fabbrica. La stima del danno di cui Bondi chiede il risarcimento nel processo in corso a Milano, è supportata dalla relazione tecnica redatta dalla società di consulenza PricewaterhouseCoopers Advisory;
   nel mese di dicembre 2013 viene presentata la relazione dell'allora commissario Ilva, Enrico Bondi. All'interno della stessa relazione, nel capitolo «Processi di supporto compilance» si apprende che «in relazione alle attività aziendali afferenti i temi di salute, sicurezza, ambiente, la struttura del Commissario straordinario ha avviato l'integrale revisione della relativa organizzazione aziendale e del modello di gestione, anche con il supporto della società PricewaterhouseCoopers Advisory Spa»;
   in data 19 giugno 2014 viene presentata la relazione dell'allora sub Commissario Andrea Ronchi sul risanamento ambientale dell'Ilva di Taranto dopo un anno di commissariamento. Nei ringraziamenti, è lo stesso ex sub commissario Ronchi che ringrazia, tra gli altri, Nicola Nicoletti tra coloro con i quali ha più collaborato all'ILVA;
   in data 15 ottobre 2014 Nicola Nicoletti come consulente di PwC, accompagna il nuovo commissario Ilva Piero Gnudi (nominato Commissario in data 6 giugno 2014) in audizione al Senato presso la 10a Commissione permanente «Industria, Commercio, Turismo» –:
   se il Ministro possa indicare quali siano gli atti con cui sono stati affidati a Pricewaterhousecoopers i compiti espressi in premessa e se vi siano altri compiti affidati dalla struttura commissariale alla suddetta società di servizi professionali alle imprese PwC;
   se il Ministro possa chiarire quale sia il ruolo di Nicola Nicoletti nei confronti di Ilva e se sia inquadrato come manager ovvero consulente e in virtù di quali accordi abbia prestato servizi ovvero presta ancora servizi ad Ilva;
   se il Ministro possa fornire elementi sugli sviluppi della richiesta di risarcimento danni espressa in premessa, da parte dell'allora commissario Enrico Bondi nei confronti di Riva Fire e ai membri della famiglia Riva. (5-08963)


   BECATTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   un articolo di Francesca Milano del 3 giugno 2016 pubblicato sul sito www.ilsole24ore.com denuncia come il popolare social network Instagram rischierebbe di trasformarsi in contenitore di marchi contraffatti nel settore della moda;
   queste preoccupazioni sarebbero confermate da una ricerca, il «Social Media and Luxury Goods Counterfeit», condotta da alcuni data analyst italiani, secondo cui vi sarebbero oltre 20 mila account Instagram utilizzati da organizzazioni criminali cinesi e russe per commercializzare prodotti falsi;
   secondo la ricerca, infatti, questi account pubblicherebbero foto di prodotti della moda in vendita (tra cui molti italiani come Gucci, Prada, Fendi, Bulgari) a prezzi leggermente inferiori rispetto a quelli di mercato per poi invitare gli utenti interessati a chattare in privato su altre piattaforme in cui avviene la contrattazione ed il pagamento attraverso canali come PayPal o Western Union;
   questo meccanismo, definito «catena spezzata» in quanto si basa su un continuo cambio di piattaforme, renderebbe difficile la tracciabilità del fenomeno;
   secondo il summenzionato studio, inoltre, chi acquista prodotti contraffatti su Instagram non sarebbe consapevole di essere di fronte ad un falso: ciò accadrebbe soprattutto perché il prezzo proposto non sarebbe così basso, illudendo l'acquirente di fare un affare;
   la Camera il 30 marzo 2016 ha approvato la proposta di legge denominata «Agevolazioni per l'introduzione di sistemi anticontraffazione per consentire al consumatore l'identificazione dei prodotti di origine italiana o interamente prodotti in Italia mediante l'apposizione di segni unici e non riproducibili associati a codici a barre bidimensionali». Questo testo, ora all'esame del Senato, prevede, all'articolo 2, l'introduzione di un sistema volontario di autenticazione e di tracciabilità dei prodotti che possa consentire al consumatore, tramite il collegamento delle informazioni ad un codice operativo non replicabile, di conoscere l'effettiva origine dei medesimi attraverso adeguate informazioni sulla qualità e sulla provenienza dei componenti, delle materie prime, sul processo di lavorazione delle merci e dei prodotti intermedi e finiti. Sotto il profilo tecnico il citato codice identificativo consisterà in un segno unico e non riproducibile, ottimizzato per il sistema mobile (e le sue future evoluzioni) e per le applicazioni per smartphone e tablet e i loro futuri sviluppi tecnologici. Sono rimesse ad un regolamento del Ministro dello sviluppo economico la definizione delle specifiche tecniche delle applicazioni volte ad assicurare la tracciabilità attraverso i codici identificativi citati, le modalità operative per le certificazioni e le modalità di accreditamento dei produttori delle medesime applicazioni, nonché le tecnologie utilizzabili;
   l'articolo 4 della succitata proposta di legge prevede inoltre che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, sia punito ai sensi dell'articolo 517 del codice penale (vendita di prodotti industriali con segni mendaci) chi apponga su prodotti destinati al commercio i codici di cui alla proposta di legge che contengano riferimenti non corrispondenti al vero, o ponga in vendita o mette in circolazione i medesimi prodotti;
   a parere dell'interrogante quanto riportato, se accertato, cagionerebbe un vulnus al made in Italy nel settore della moda, con danni di proporzioni indefinibili per l'immagine della produzione nazionale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga doveroso ed urgente accertare i fatti suesposti e assumere iniziative normative per la tutela del made in Italy, affinché sia garantita la tracciabilità dei prodotti del settore moda messi in vendita attraverso i social network. (5-08973)

Interrogazione a risposta scritta:


   NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, LIUZZI, DELL'ORCO, CARINELLI e TRIPIEDI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Nuova Karel Soluzioni srl, società con sede a Cagliari di proprietà della Xerox spa, si occupa da anni del servizio di assistenza telefonica e di gestione telematica delle polizze della compagnia assicurativa Zurich Assicurazioni per tutto il territorio nazionale attraverso il marchio Zurich Connect. Nel mese di gennaio del 2016, secondo fonti di stampa e comunicazioni delle rappresentanze sindacali, la società Xerox spa ha annunciato che Nuova Karel Soluzioni srl non ha vinto la nuova gara d'appalto per il rinnovo della commessa con Zurich Assicurazioni;
   la commessa, unica attualmente in corso, scadrà il 31 luglio 2016 e di conseguenza i 142 dipendenti, di cui oltre il 90 per cento donne e numerosissime giovani madri, in mancanza di iniziative volte alla salvaguardia dei lavoratori suddetti, saranno licenziati;
   la società subentrante, Comdata srl, presente sul territorio nazionale con quindici sedi operative tra cui quella di Sestu (Cagliari), avrebbe manifestato l'intenzione di trasferire la commessa telefonica dalla Sardegna a Padova, nonostante la situazione di esuberi nel sito veneto e la recente apertura della cassa integrazione, non applicando le disposizioni dell'articolo 1, comma 10, della legge 28 gennaio 2016, n. 11, secondo cui «in caso di successione di imprese nel contratto di appalto con il medesimo committente e per la medesima attività di call center, il rapporto di lavoro continua con l'appaltatore subentrante, secondo le modalità e le condizioni previste dai contratti collettivi nazionali di lavoro applicati e vigenti alla data del trasferimento, stipulati dalle organizzazioni sindacali e datoriali maggiormente rappresentative sul piano nazionale»;
   Comdata srl, allo stesso tempo, avrebbe mostrato ai sindacati la volontà di assorbire circa 80 dipendenti di Cagliari in altre commesse dell'azienda, ad esempio Telecom Italia ed Enel ma a differenti condizioni economiche e contrattuali rispetto alle attuali, vale a dire con contratti part-time e stipendi pari a circa la metà di quelli oggi percepiti –:
   se Ministri interrogati siano a conoscenza delle informazioni esposte in premessa;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno avviare l'apertura di un tavolo tecnico interministeriale con il coinvolgimento delle aziende interessate e delle rappresentanze sindacali per addivenire a una soluzione condivisa della vertenza di cui in premessa, affinché, nel rispetto delle citate previsioni di legge, al subentro di Comdata srl, le attività della citata commessa rimangano in Sardegna, siano assorbiti nell'organico della nuova società titolare dell'appalto tutti i lavoratori di Nuova Karel Soluzioni srl e siano mantenute le attuali condizioni contrattuali e salariali per i dipendenti. (4-13559)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Rubinato e altri n. 5-08842, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'8 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ginoble.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Marchi e altri n. 3-02337, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 21 giugno 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della interpellanza Massimiliano Bernini n. 2-01395, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 635 del 10 giugno 2016.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   a seguito del servizio televisivo di Sky Tg24 dell'8 aprile 2016, è ritornata alla ribalta della cronaca nazionale e locale, la questione inerente lo smaltimento ed il traffico illegale di rifiuti tossici nel comune di Graffignano, in provincia di Viterbo, nei terreni in località Pascolaro e Bivio del Pellegrino;
   l'area finì al centro delle indagini del Corpo Forestale dello Stato già tra il 2006 e il 2007 e, come spiegò l'allora comandante dei nuclei investigativi provinciali di polizia ambientale e forestali (Nipaf) di Viterbo Marco Avanzo, durante il processo contro gli imprenditori imputati, i fratelli Nocchi, essa sarebbe stata interessata dallo sversamento di 20 mila tonnellate di rifiuti sversati, spalmati con le macchine operatrici e ricoperti dalla terra;
   all'epoca dei fatti (2007) il Corpo Forestale dello Stato, metteva sotto sequestro una cava delle società ICI Srl e MCI SrA. situata nel comune di Graffignano (località Bivio del Pellegrino e Località Pascolaro) a causa degli esiti di indagini avviate mesi prima che facevano supporre a carico della società un comportamento fraudolento teso a sversare illecitamente rifiuti pericolosi in terreni agricoli anziché conferirli per il trattamento secondo le norme europee e nazionali, a ditte specializzate;
   Nocchi Paolo è il legale rappresentante della ICI srl della Nocchi Luciano socio accomandante della Fratelli Nocchi sas, Vice presidente del Consiglio di Amministrazione della ICI srl e gestore di fatto dei siti nella disponibilità dei Nocchi in Graffignano – Località Bivio del Pellegrino e località Pascolaro e Nocchi Roberto è il legale rappresentante della fratelli Nocchi sas ed amministratore unico della Petrol Trans srl;
   in base ai risultati delle relazioni effettuate sia da ARPALAZIO, ARPA Toscana, che dalla consulenza tecnica ex articolo 359 codice di procedura penale svolta dal Dipartimento di Chimica dell'Università degli Studi di Bari su richiesta del Corpo Forestale dello Stato e poi della Procura della Repubblica tribunale di Viterbo, si evince un forte tasso di inquinamento tale da necessitare un'urgente opera di bonifica;
   la vicenda giudiziaria di cui il procedimento penale n. 4250-06 del pubblico ministero dottor Stefano D'Arma, della Procura della Repubblica, tribunale di Viterbo, come spesso accade in analoghi processi per traffico illecito di rifiuti, è caduta in prescrizione, visto che i tempi delle indagini, delle analisi e del processo raramente restano contenuti nel termine massimo dei sette anni e mezzo, quindi pur essendo abbondantemente documentati gli scempi ed i rischi per la salute pubblica e per l'ambiente, non sono state individuate le responsabilità tantomeno i colpevoli della devastazione;
   in provincia di Viterbo risultano altre vicende inerenti il traffico illecito di rifiuti speciali e pericolosi nonché la gestione dei fanghi illecitamente smaltiti come quella riguardante la cava in località Cinelli nel comune di Vetralla (VT);
   che si concludono troppo spesso con un nulla di fatto per lo scadere dei termini previsti dalla prescrizione;
   a dieci anni dalle indagini, non solo nulla è stato fatto per caratterizzare e bonificare i terreni in località Bivio del Pellegrino e Località Pascolaro, ma addirittura, a pochi metri da questi sono in atto delle coltivazioni benché il presidente di Agriconsulting Spa Federico Grazioli, amministratore dei terreni confinanti col Pascolaro, abbia dichiarato alla stampa che «è tutto fermo»;
   l'ex comandante del Nipaf di Viterbo dottor Marco Avanzo, ora responsabile della 1a divisione del Cfs, dichiarava che fino a poco tempo fa nei terreni limitrofi alle aree inquinate si coltivavano anche i pomodori;
   nella relazione pratica AS/07-29 dell'intervento della sezione provinciale di Viterbo dell'Arpa Lazio con il Cfs-Nipaf del 7-8 novembre 2007, tra i «considerando che» si legge: «la zona interessata dal materiale contenente presumibilmente idrocarburi e/o oli pesanti, ricade nelle vicinanze dell'autostrada A1 e della linea ferroviaria; la stessa è attraversata da strade di scorrimento locale; la stessa viene utilizzata come zona di caccia e di pesca; durante gli scavi si è riscontrata una falda acquifera superficiale a circa 2.5 m; nelle vicinanze scorre il fiume Tevere; il terreno viene utilizzato per le coltivazioni agricole; si ritiene necessaria un'opera tempestiva di ripristino ambientale con bonifica atta a non estendere la contaminazione all'ambiente circostante e a non provocare danni all'uomo. In via precauzionale i verbalizzanti ritengono necessaria un'indagine anche alle acque citate»;
   da un punto di vista della sicurezza alimentare preoccupa quanto riportato alle pagine 7 ed 8 della suddetta relazione: «sono stati inoltre eseguiti alcuni carotaggi in località Pascolaro su terreni di proprietà dell'Azienda Agricola “Il Casettone” limitrofi a quelli dell'ICI srl nell'area ex laghetto. Tali terreni, per quanto appreso dal CFS, erano gestiti dalla ICI Srl. Tramite carotatrice (cubaggio circa 0.3 m3) è stato eseguito nell'area dell'ex laghetto un campionamento di materiale solido palabile alla profondità di circa due metri che risultava visivamente diverso da quello di superficie. Nel terreno di proprietà dell'azienda su cui erano in svolgimento attività di aratura, è stata riscontrata in superficie la presenza di materiale di colore scuro che emanava un odore pungente. In questo punto sono stati eseguiti degli scavi e, già ad una profondità di 80 cm, si è riscontrata la presenza di materiale nero che emanava un odore riconducibile ad idrocarburi. Tale materiale si presentava almeno fino alla profondità di tre metri. Durante le operazioni di scavo si avvertiva nell'aria un odore pungente ed un principio di irritazione agli occhi. Per questo motivo le operazioni di scavo non sono state protratte ulteriormente e si è provveduto al repentino interramento del materiale con uno strato di circa 20 cm di materiale visivamente terroso. Dopo questa operazione si percepiva ugualmente l'odore pungente nella zona circostante. Per quanto sopra, a scopo precauzionale, l'area veniva sottoposta a sequestro da CFS;
   al capitolo 6 della «Relazione di Consulenza Tecnica» ex articolo 359 codice di procedura penale della Procura della Repubblica, Tribunale di Viterbo, nell'ambito del P.P. n. 4205-06 RGNR Mod21, redatta dal professor Francesco Fracassi, dipartimento di Chimica dell'Università degli Studi di Bari, sono descritte le risultanze delle analisi chimiche dei campioni che l'ARPA Lazio ed Umbria hanno prelevato dai siti ICI di Bivio del Pellegrino e contrada Paspolaro, e dalla MCI di Alviano; i campionamenti sono stati effettuati il 6 giugno 2007 dal professor Fracassi, per l'ottenimento di indicazioni preliminari, l'8 novembre 2007 dall'ARPA La, il 9 ed il 16 novembre 2007 dall'ARPA Umbria; le analisi di quest'ultimi prelievi sono state condotte dall'ARPA Toscana e dall'ARPA Puglia;
   le analisi dei campioni del sito ICI di Bivio del Pellegrino hanno evidenziato che i rifiuti fangosi sono contaminati da oli minerali (idrocarburi totali), idrocarburi policiclici aromatici (IPA) e PCB (policlorobifenili che presentano caratteristiche chimico-fisiche e tossicologiche paragonabili alle diossine) con una elevata concentrazione, superiore a 1.000mg/l di idrocarburi totali; infatti si rilevano 4.603mg/l nel campione 1 e 1.365mg/l nel campione 2;
   le analisi dei campioni del sito ICI di Contrada Pascolare dall'ARPA Puglia e dell'ARPA Puglia e a confermano che nel sito sono stati interrati rifiuti fangosi; I-6 dimostrano i tenori di pH e la percentuale di SO, non compatibile col semplice terreno, e in modo particolare nel campione 6A si riscontrano alte concentrazioni di idrocarburi (175mg/kg), di cromo (846 mg/kg), di nichel (2.337mg/kg), di rame (1.204mg/kg) e di zinco (2.674mg/kg), mentre nel 9B si supera la CSC per gli idrocarburi, 158mg/kg contro il limite previsto di 60mg/kg;
   le analisi dei campioni del sito MCI srl di Alviano eseguiti da ARPA Toscana su disposizione del NIPAFCFS di Viterbo rilevano la probabile presenza di fanghi la cui attività di recupero è autorizzata ai sensi del punto 12.16 del decreto ministeriale 5 febbraio 1998 purché la somma di arsenico, cadmio e mercurio sia inferiore ad Ippm, mentre sia nel verbale n. 8/07 che nel n. 10/07 è di 8,4 ppm, il che non consentirebbe più il recupero da parte della MCI;
   la Ici non ha alcuna possibilità tecnica al recupero dei rifiuti fangosi/conferendoli perciò a terzi, tra questi la MCI srl; dalla differenza dei fanghi in ingresso e in uscita al 31 dicembre 2006 e di quelli del 2007, risulta un deposito, 11.084 tonnellate che però a seguito del verbale di sopralluogo per i campionamenti del 6 giugno 2007, presso il sito di Bivio del Pellegrino, è pari a soli 1.430 metri cubi ovvero 1.800 tonnellate, mancando perciò all'appello 9.284 tonnellate di fanghi ovvero di una quanto ingente di rifiuti a volte contaminati con sostanze pericolose;
   con il parere dell'Istituto superiore di sanità n. 20606 del 23 giugno 2009 – che integra il parere dell'ISS n. 0036565 del 5 luglio 2006 e che chiarisce alcuni passaggi in riferimento ai valori soglia degli idrocarburi presenti nei rifiuti, viene confermato che, per la pericolosità/non pericolosità del rifiuto, si deve far riferimento al tenore nello specifico idrocarburo; in caso di presenza di idrocarburi minerali con concentrazioni superiori a 1.000 mg/kg s.s. si deve procedere alla ricerca di IPA marker. Il valore limite degli stessi è individuato in 1.000 mg/kg per singolo marker acr eccezione del Dibenzo[a] pirene e Dibenzo[ah] antracene la cui concentrazione limite è misurata in 100 mg/kg;
   i forestali, tornati sul posto con la troupe di SkyTg24, hanno ripetuto le analisi e nei campi accanto a quelli sequestrati nel 2006 rilevando concentrazioni di stagno, antimonio e cadmio superiori al limite consentito, commissario Capo Forestale Renato Sciunnach Responsabile della Oilisione 1a NICAF che dichiarava «Coltivare vicino a un'area come questa è potenzialmente molto rischioso»;
   mercoledì 18 maggio 2016 è stato approvato in conferenza dei servizi presso la prefettura di Viterbo il piano di caratterizzazione proposto, dal professor Vincenzo Piscopo della Tuscia e integrato dalle richieste dell'Arpa, Lazio, finalizzato alla bonifica dei 140 ettari interessati dagli sversamenti illeciti nel comprensorio graffignanese, il cui costo nei 10 anni di «latitanza» delle istituzioni, è lievitato a 250 mila euro;
   località Pascolaro, i rifiuti sono stati sepolti a notevole profondità, perciò per la caratterizzazione di cui al punto precedente sono previsti degli scavi e sondaggi anche profondi al fine di valutare quali tipologie di sostanze siano state interrate e il livello di contaminazione delle acque, previo censimento dei pozzi fornito dalla provincia di Viterbo –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare ai sensi dell'articolo 301 del decreto legislativo 152 del 2006 e successive modifiche e integrazioni, al fine di attuare il principio di precauzione, accertare l'esistenza, nonché l'eventuale reale entità del danno ambientale ai sensi dell'articolo 300 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modifiche e integrazioni dovuto alla contaminazione delle falde acquifere profonde e superficiali in modo particolare di quelle che alimentano l'adiacente fiume Tevere nonché dei terreni interessati dall'attività, presumibilmente illecità, svolta nel sedime di cava, interessando altresì le aree limitrofe;
   se il Governo intenda determinare con urgenza ai sensi dell'articolo 306 decreto legislativo 152 del 2006 e successive modifiche e integrazioni le misure per il ripristino ambientale considerando prioritari i rischi per la salute umana;
   se, alla luce di quanto sopraesposto, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga doveroso, in caso di inadempimento e/o impossibilità nelle individuazione dell'operatore responsabile, esercitare la facoltà di cui all'articolo 305, comma 2 lettera d) del decreto legislativo n. 152 del 2006 adottando il Ministro stesso le misure di ripristino necessarie, approvando la nota spese, con diritto di rivalsa esercitabile nei termini di legge verso chi abbia causato o comunque concorso a causare le spese stesse;
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano adottare al fine di scongiurare ogni tipo di contaminazione della filiera agro-alimentare da parte delle sostanze inquinanti presenti nei terreni di cui in premessa ovvero quali iniziative normative intendano predisporre al fine di vietare ogni attività agro-silvopastorale e venatoria, nelle zone inquinate e nelle eventuali fasce di rispetto, miranti alla salvaguardia della salute umana;
   se i Ministri interrogati intendano valutare se sussistano i presupposti per rivalersi in sede civile per il risarcimento del danno nei confronti del responsabile o dei responsabili dell'inquinamento che per legge è sempre tenuto alla bonifica dell'intero sito.
(2-01395) «Massimiliano Bernini, Benedetti».

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Parentela  n. 4-13451, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 635 del 10 giugno 2016.

   PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella tendopoli di San Ferdinando (RC) che, nel periodo invernale, ospita migliaia di lavoratori stagionali impegnati nella raccolta delle arance nella piana di Gioia Tauro, Sekine Traore cittadino originario del Mali è stato ucciso in circostanze che la Magistratura dovrà accertare. Il centro temporaneo avrebbe dovuto essere smantellato o risanato secondo quanto disposto dal prefetto di Reggio Calabria;
   il cittadino è morto in circostanze che si sarebbero potute evitare. La rivolta del 2010 e l'episodio recente evidenziano che esistono territori con un elevato tasso di tensione sociale, una tensione pronta ad esplodere da un momento all'altro, generata da un sistema di produzione che poggia proprio sullo sfruttamento selvaggio di intere fasce di lavoratori agricoli. Da mesi il M5S, sostenendo le iniziative portate avanti da organizzazioni sindacali come l'USB e altre associazioni, denuncia la situazione dei ghetti, sia in Parlamento con risoluzioni e altri atti parlamentari sia sul territorio con missioni in diverse regioni italiane, di cui una proprio a Rosarno;
   attualmente, la tendopoli ospita almeno 500 persone, ma alcuni parlano di mille, la gran parte impegnate nella raccolta di agrumi e ortaggi. La tendopoli, realizzata a suo tempo dalla protezione civile regionale, non è al momento gestita da nessuna organizzazione, a causa della mancanza di fondi. E una drammatica richiesta d'aiuto è arrivata dal sindaco della cittadina: «Chiederò un incontro ad Alfano. Per quanto la nostra sia una comunità abituata e solidale, anche in una condizione di forte crisi dell'agricoltura, non siamo in grado di garantire un lavoro e una accoglienza dignitosa a una mole così grande di persone. Chiederò dunque di smantellare la tendopoli, non è possibile che delle persone vivano in quelle condizioni»;
   abbandonare a se stessi centinaia di persone nei campi lede la dignità di chi viene in Italia in cerca di un futuro migliore, ma, cosa che molto spesso viene dimenticata, tende a ripercuotersi sulla comunità che li ospita;
   il segretario generale del Coisp Calabria ha affermato: «la verità è che siamo costretti a operare in condizioni disastrose, senza i protocolli operativi necessari per affrontare queste emergenze e senza strumenti e normative adatte. Da tempo chiediamo di dotare le forze di polizia di attrezzature adeguate che permettano di non usare la pistola, aggiungendo appositi corsi di formazione» –:
   se non ritenga urgente, oggi più che mai, sedare le tensioni sociali andando a rimuoverne le cause riscontrabili nella disorganizzazione dei campi di accoglienza temporanei e nello sfruttamento selvaggio dei lavoratori agricoli e delle loro famiglie le quali vivono molto al di sotto degli standard di sicurezza riconosciuti e garantiti a livello comunitario;
   se non intenda dotare le forze di polizia di attrezzature adeguate a fronteggiare situazioni analoghe a quanto avvenuto nella tendopoli di San Ferdinando. (4-13451)

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Pisicchio n. 1-01192 del 9 marzo 2016;
   mozione Ghizzoni n. 1-01294 del 7 giugno 2016;
   mozione Buttiglione n. 1-01299 del 10 giugno 2016.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Lenzi n. 5-08611 del 9 maggio 2016;
   interrogazione a risposta orale Causin n. 3-02322 del 15 giugno 2016;

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Agostinelli n. 4-13521 del 21 giugno 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08955.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ATTAGUILE, GIANLUCA PINI, FEDRIGA, MOLTENI e BUSIN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel porto di Augusta è presente una struttura d'accoglienza temporanea costituita da due grandi tende e alcune più piccole capaci di ospitare centinaia di persone. Le cronache riportano come in alcuni momenti la presenza di migranti abbia raggiunto le mille unità;
   la baia di Augusta è inserita nelle reti TEN-T come porto strategico dell'Unione europea per la sua posizione baricentrica lungo le rotte del traffico internazionale. È il più grande porto naturale del basso Mediterraneo all'interno del quale si trovano un'importante porto commerciale, un polo industriale, una base militare ed un porto/città con due darsene in pieno centro storico;
   benché fosse destinata a durare solo pochi mesi il Ministero dell'interno ha deciso di convertire l'esistente struttura temporanea in struttura permanente piegandosi di fatto a quella che gli interroganti ritengono una imposizione dell'Unione europea che prescrive la realizzazione di centri di identificazione;
   il bando di gara per la realizzazione del centro di accoglienza si è chiuso il 9 dicembre 2015 e se ne attendono gli esiti;
   sia il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti sia l'autorità portuale, che ha espresso parere negativo, sono contrari alla realizzazione dell’hot spot che andrebbe a danneggiare pesantemente gli investimenti fatti per la rinascita e lo sviluppo del porto di Augusta, a fortissima vocazione commerciale, i cui benefici ricadrebbero su tutto il territorio;
   la permanente presenza di migranti non solo non si concilierebbe con le ambizioni di sviluppo commerciale dell'area portuale ma costituirebbe un ulteriore e grave problema per la sicurezza del porto e della vicina area militare –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative per una sospensione immediata delle procedure di gara al fine di approfondire le criticità sollevate dal territorio, dall'autorità portuale e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. (4-11934)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta che l'individuazione di Augusta come sito per l'insediamento di un hot spot, in applicazione della Road Map definita in conformità alle indicazioni dell'agenda Juncker, ha tenuto conto dei flussi migratori che vedono il centro siracusano tra quelli maggiormente interessati dagli sbarchi.
  In effetti, anche gli ultimi arrivi in Sicilia confermano questa tendenza, venutasi a consolidare anche perché il porto di Augusta è considerato, sul piano tecnico, un attracco preferenziale, sussistendovi tutte le necessarie condizioni di sicurezza.
  È questo il preciso motivo per il quale presso quella struttura potranno ancora registrarsi gli arrivi di imbarcazioni che trasportano migranti, indipendentemente dalla decisione di costituirvi o meno un hot spot.
  Ciò premesso, si informa che l'originaria scelta del porto di Augusta come sede di uno dei 6 hot spot programmati dal Governo, è stata superata da una successiva rivalutazione che ha visto il coinvolgimento sia del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, sia dell'amministrazione comunale.
  Si è preso atto, infatti, che la realizzazione di una tensostruttura attrezzata, da ubicare nell'area di sedime portuale, avrebbe potuto interferire con il terminal-container in corso di realizzazione e con le infrastrutture di servizio alla nuova linea marittima di collegamento con Malta.
  Per completezza d'informazione si aggiunge che la locale procura della Repubblica ha avviato un'inchiesta riguardante l'asserita mancanza dell'ottenimento della disponibilità dell'area di sedime della nuova struttura di accoglienza prima che fosse indetta la relativa gara comunitaria, in relazione alla quale le funzioni di stazione appaltante sono peraltro state svolte dalla società INVITALIA.
  Si aggiunge che il 17 marzo 2016, conclusasi l'attività di indagine, è stata presentata al giudice per le indagini preliminari la richiesta di archiviazione per insussistenza del fatto.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO e PARENTELA. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le attività di valutazione specialistiche previste dalle norme europee in materia di prodotti fitosanitari fino al 2014 erano di competenza della commissione consultiva dei prodotti fitosanitari (CCPF), organo interministeriale istituito nell'ambito della DGISAN (direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione) ai sensi dell'articolo 20, comma 1, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, composta da rappresentanti del Ministero della salute, Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e Ministero dello sviluppo economico nonché da esperti scientifici dagli stessi designati;
   la commissione consultiva dei prodotti fitosanitari attualmente opera in «prorogatio» unicamente come organismo consultivo che fornisce pareri al Ministero della salute;
   con decreto direttoriale del 20 ottobre 2014 la direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione ha istituito un elenco – soggetto ad aggiornamento annuale – di laboratori ufficiali, istituti scientifici, università o centri di ricerca, non solo pubblici ma anche privati – contrariamente a quanto indicato dal decreto del Presidente della Repubblica 290 del 2001 in cui si parla esclusivamente di enti di diritto pubblico – a cui affidare lo studio di valutazione di impatto ambientale, di impatto sulla salute e di efficacia dei prodotti fitosanitari, precedentemente competenza della suddetta commissione, mediante convenzioni o contratti –:
   a quanto ammonti l'onere economico aggiuntivo che tale procedura comporta rispetto alla precedente e quali siano le motivazioni che hanno indotto le amministrazioni citate in premessa ad esternalizzare tutti gli studi di valutazione dei prodotti fitosanitari. (4-11246)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame, sono richiesti chiarimenti sulla procedura di esternalizzazione della totalità degli studi di valutazione dei prodotti fitosanitari agli enti inseriti in un apposito elenco predisposto dal Ministero della salute ed aggiornato con cadenza annuale.
  Come ricordato nell'atto ispettivo, la commissione consultiva per i prodotti fitosanitari è stata istituita ai sensi dell'articolo 20, comma 1, del decreto legislativo 17 marzo 1995, n. 194, ed opera attualmente in regime di «prorogatio» unicamente come comitato consultivo che fornisce pareri al Ministero della salute.
  Con decreto direttoriale del 20 ottobre 2014, la direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione ha dettato i criteri ed i requisiti tecnici, con cui affidare ad un elenco di istituti scientifici, università e centri di ricerca, pubblici e privati, laboratori ufficiali preposti allo svolgimento di attività a rilevanza comunitaria in materia di prodotti fitosanitari, lo svolgimento delle attività disciplinate dai provvedimenti comunitari.
  Il decreto del Presidente della Repubblica n. 290 del 2001 ha indicato la possibilità di utilizzare, nella valutazione di cui sopra, solo enti di diritto pubblico.
  In primo luogo, occorre precisare il diverso ruolo attualmente attribuito dalla normativa alla commissione consultiva per i prodotti fitosanitari ed agli altri enti inseriti nell'apposito elenco predisposto dal Ministero della salute.
  Secondo quanto disposto dagli articoli 6, comma 2, lettera b), e 17 del decreto del Presidente della Repubblica n. 44 del 2013, la Commissione fornisce pareri tecnico-scientifici sugli aspetti relativi all'efficacia agronomica, alle proprietà chimico-fisiche, alla tossicologia (mutagenesi, cancerogenesi e teratogenesi), ai residui, all'esposizione dell'operatore, all'ecotossicologia ed al destino ambientale in materia di autorizzazione di prodotti fitosanitari.
  L'attività della commissione riguarda profili di competenza di quattro Ministeri, ossia il Ministero della salute, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, il Ministero dello sviluppo economico ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare.
  D'altro canto, gli enti inseriti nell'apposito elenco predisposto dal Ministero della salute, svolgono un ruolo di prim'ordine nella valutazione delle questioni analitiche e sulla valutazione tecnico-scientifica di sostanze attive, di prodotti fitosanitari, o per altri eventuali supporti tecnici.
  Si fa presente, altresì, che ogni punto dei documenti forniti per le disamine viene compilato analiticamente, rendendo ancor più complessa la valutazione dei modelli, che raggiungono, nella migliore delle ipotesi, almeno un migliaio di pagine.
  Si comprende, pertanto, la necessità di avvalersi di soggetti esterni, sia pubblici che privati, di comprovata esperienza, competenza ed indipendenza, che rimangano deputati alla valutazione dei «dossier» di cui sopra.
  Per di più, il versamento della tariffa ai sensi dell'articolo 74 del regolamento (CE) n. 1107/2009, implica che gli oneri economici ricollegabili all'attività di valutazione siano a carico del richiedente, escludendo con ciò un aggravio di spesa sulle casse del Ministero della salute.
  Infatti, gli introiti derivanti dalla riscossione delle suddette tariffe vengono riassegnati dal Ministero dell'economia e delle finanze per le attività valutative di cui si è detto.
  A questo proposito, le imprese che richiedono la valutazione hanno diritto a ricevere una risposta in virtù del pagamento della tariffa e, qualora non abbiano tale riscontro, potrebbero legittimamente avviare un contenzioso legato al pagamento del servizio richiesto e mai effettuato.
  Occorre prendere atto che le richieste delle aziende sono funzionali ad attività di tipo industriale, consentendo alle imprese, in caso di positiva valutazione del «dossier», di operare sul mercato.
  Qualora si negasse tale possibilità di analisi dei fascicoli fitosanitari da parte di appositi enti convenzionati con il Ministero della salute, si arrecherebbe un danno non indifferente alle aziende coinvolte e alla libera circolazione sul mercato.
  Inoltre, ai sensi dell'articolo 75 del Reg. (CE) n. 1107/2009, sussiste un obbligo per gli Stati membri dell'Unione europea di dotarsi di personale sufficiente al fine di svolgere le procedure di analisi ed approvazione dei prodotti fitosanitari. In mancanza, si potrebbe incorrere nelle procedure di infrazione per mancato rispetto degli obblighi previsti dall'Unione.
  È opportuno precisare, in proposito, che il Ministero della salute, nell'ambito delle misure previste dalla revisione della spesa pubblica di cui all'articolo 2 del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha previsto modifiche ai propri assetti organizzativi e ai posti in organico del proprio personale.
  Di conseguenza, questo Ministero ha necessità di esternalizzare le procedure valutative in argomento.
  Ciò premesso, appaiono evidenti le ragioni della scelta effettuata da questo Dicastero, che intende continuare a mettere in atto la procedura tuttora vigente.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la XXI Conferenza delle parti (COP21) della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC) che si sta tenendo in questi giorni a Parigi, dal 30 novembre fino all'11 dicembre 2015, sta mettendo in evidenza, con la presentazione della relazione di sintesi del Rapporto dell'Ipcc (Intergovernmental panel on climate change) sul clima del pianeta, l'urgenza di adottare misure che contengano le emissioni di gas serra a livello globale;
   questo appuntamento sul clima, sotto la presidenza del Ministro degli esteri francese Laurent Fabius, stanno prendendo parte i rappresentanti di 195 nazioni, e sono coinvolte circa 40 mila persone, di cui 25 mila delegati ufficiali, i quali lavorano tutti per il salvataggio del clima del pianeta;
   gli scienziati dell'Ipcc sono convinti che l'unico mezzo per limitare a 2° C l'aumento medio delle temperature è di ridurre a zero l'utilizzo delle risorse fossili entro il 2100, dimezzandolo entro il 2050;
   il rapporto stima la presenza di gas serra in atmosfera come la più alta degli ultimi 800.000 anni, con incremento della produzione e della velocità di produzione degli stessi negli ultimi 30 anni a livelli non più compatibili con la mitigazione e l'adattamento ai nuovi effetti;
   i comportamenti umani sono considerati la causa principale dei cambiamenti climatici, con un margine di certezza altissimo stimato al 95 per cento secondo i calcoli dell'IPCC; infatti se non vi saranno adeguati interventi con i livelli di produzione inquinante non modificati, si stima che la temperatura media globale si innalzerà ancora di almeno altri 5° C;
   l'informazione e la politica italiana hanno parlato in modo insufficiente del rapporto in questione, così che la questione, risulta non abbastanza visibile nell'opinione pubblica infatti, da sondaggi giornalistici effettuati in questi giorni pare che solo il 29 per cento, degli italiani dichiara di conoscere cosa sia la COP21;
   quali siano le iniziative che l'Italia intende adottare per abbandonare gradualmente ma in modo determinato e programmato, le fonti di energia fossili e promuovere investimenti per sostenere politiche innovative in favore dello sviluppo dei trasporti puliti a basse emissioni e a bassi consumi, incentivando l'uso di tecnologie innovative all'idrogeno e di biocarburanti di seconda e terza generazione e la diffusione di veicoli elettrici e ibridi.
(4-11349)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa agli esiti del negoziato per la definizione di un accordo internazionale sui cambiamenti climatici avvenuto nel corso della conferenza di Parigi sul clima e sulle iniziative conseguenti che l'Italia intende adottare, si rappresenta quanto segue.
  Dal 30 novembre al 12 dicembre 2015 si è svolta a Parigi la 21o Conferenza delle Parti (COP21) della convenzione quadro per la lotta contro i cambiamenti climatici (UNFCCC), che ha visto anche l'ultima sessione dell'ADP (ad hoc working group on the durban platform for enhanced action) ovvero il gruppo negoziale a cui è stato affidato in questi anni il compito di preparare l'accordo di Parigi.
  In linea con gli obiettivi italiani, la conferenza di Parigi ha segnato un momento storico che è culminato con l'adozione di un accordo internazionale, sottoscritto da tutti i Paesi, finalizzato a regolare le emissioni di gas ad effetto serra, individuate ormai con certezza dalla scienza come maggiori responsabili dell'aumento della temperatura del pianeta. Per la prima volta nella storia infatti quasi duecento Paesi si sono impegnati ad agire e, fatto ancora più importante, a rispondere delle loro azioni per affrontare i cambiamenti climatici. Tali azioni, che hanno preso forma di contributi nazionali volontari (INDC) presentati dai governi nell'arco del 2015, consentiranno nei prossimi anni una deviazione sostanziale del trend delle emissioni rispetto alla situazione attuale (business as usual), contribuendo concretamente a trasformare Parigi in una tappa chiave nella lotta ai cambiamenti del clima.
  Naturalmente l'evoluzione del clima, così come gli assetti socio-economici dei vari Paesi, il loro sviluppo, le loro politiche energetiche e l'incidenza degli impegni nazionali di riduzione delle emissioni, non sono elementi fissati al dicembre 2015 e immutabili.
  Per tale motivo l'Accordo svolge un ruolo determinante, in quanto fornisce un'architettura duratura e solida per rivedere periodicamente e accrescere gli sforzi di tutti i Paesi verso i comuni obiettivi di lungo periodo. A Parigi infatti i Governi si sono impegnati a riconsiderare periodicamente i piani e programmi in ambito climatico per limitare l'incremento della temperatura al di sotto dei 2 gradi centigradi. A riprova della ferma determinazione collettiva di raccogliere la sfida e avviare un processo di reale decarbonizzazione dell'economia, l'accordo racchiude un obiettivo di lungo termine che stabilisce la necessità di effettuare rapide riduzioni onde pervenire ad un equilibrio tra emissioni e assorbimenti nella seconda parte del secolo.
  In questo contesto, l'Unione europea e l'Italia, forti dei risultati ottenuti a livello domestico e degli impegni ambiziosi assunti per il 2030 (il taglio di almeno il 40 per cento delle emissioni rispetto al 1990, la crescita fino al 27 per cento della produzione di energia da fonti rinnovabili e l'incremento del 27 per cento dell'efficienza energetica) hanno svolto un ruolo di primo piano, esprimendosi con un'unica voce e lavorando costantemente con tutti i partner negoziali per la realizzazione di questo successo.
  Non è un caso che tale successo sia pienamente in linea non solo con il mandato negoziale dell'Unione europea per la conferenza di Parigi, costruito con il contributo degli esperti del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in tutti i gruppi tecnici negoziali europei, ma sia in linea anche con gli obiettivi dell'Italia, che ha spinto l'Unione europea a costruire le proprie posizioni negoziali per un accordo che consenta la più ampia partecipazione possibile, superando le limitazioni del protocollo di Kyoto.
  L'accordo comprende diversi elementi e affronta la questione dei cambiamenti climatici a più livelli.
  Uno di questi è l'obiettivo di lungo termine – già concordato a Cancùn nel 2010 – di limitare l'incremento della temperatura entro i 2 gradi centigradi al 2100 rispetto ai livelli preindustriali. L'Italia è riuscita a confermare l'obiettivo comune di mantenere la temperatura media globale entro i 2 gradi centigradi, sostenendo con forza e con successo anche l'esigenza di mettere in campo tutti gli sforzi necessari per giungere a meno 1,5 gradi centigradi. L'Italia e l'Unione europea si sono impegnati con successo a far emergere il senso di urgenza che la natura del problema impone e a includere coerentemente nel testo dell'accordo una visione collettiva di lungo periodo, che miri ad avviare un percorso verso la neutralità carbonica entro la seconda metà del secolo.
  Vi sono poi gli aspetti della mitigazione, per cui l'Unione europea si è molto spesa nel tempo. Si è deciso infatti di realizzare politiche, misure e strategie nazionali e di presentarne di nuove e più ambiziose ogni 5 anni, a partire dal 2020. È stato costruito un sistema duraturo e dinamico che consentirà di adeguare progressivamente gli sforzi agli obiettivi di lungo termine, evitando di rinegoziare e concordare ogni 5 o 10 anni azioni specifiche.
  È inoltre prevista la differenziazione degli obblighi contratti, intesa come la possibilità che gli obblighi dei Paesi che aderiranno al nuovo regime siano formulati tenendo conto delle diverse realtà ambientali ed economiche e dell'evolversi delle circostanze nazionali. Il compromesso raggiunto a Parigi, pur confermando il ruolo guida dei Paesi industrializzati, amplia a tutti i Paesi che ratificheranno l'accordo l'obbligo delle azioni di mitigazione e l'opportunità di usufruire di un sistema di finanza per il clima. Questo cambio di passo, che rappresenta uno dei principali risultati raggiunti durante la conferenza, pone le basi per un approccio equo, dinamico ed efficace, in grado di tracciare un percorso impegnativo ma realizzabile per raggiungere l'obiettivo di lungo termine di rimanere al di sotto dei 2 gradi centigradi.
  I Paesi industrializzati hanno rinnovato i propri impegni a favore dei Paesi in via di sviluppo fino al 2025, quando tali impegni saranno nuovamente rivisti e aggiornati alla luce dei cambiamenti nel frattempo intercorsi.
  Vi è poi il tema delle regole e della governance per un sistema di rendicontazione degli sforzi intrapresi e dei risultati raggiunti dai singoli Paesi. Si è concordato di stabilire un unico sistema che assicuri la trasparenza del nuovo regime e richieda a ciascun Paese di riportare i propri progressi nella realizzazione dei piani di mitigazione, valutandone con cadenza quinquennale la portata collettiva alla luce dell'obiettivo di rimanere al di sotto dei 2 gradi centigradi e di adattare rapidamente tali obiettivi alle mutate situazioni socio-economiche.
  L'Unione europea ha fornito la maggior parte delle risorse finanziarie per aiutare i Paesi in via di sviluppo nella lotta ai cambiamenti climatici. È stato portato avanti un continuo e paziente lavoro di tessitura di alleanze e relazioni con i più importanti attori del processo negoziale – come gli Stati Uniti, il Brasile e il Sud Africa – quale passo essenziale per costruire il consenso indispensabile alla chiusura dell'accordo. È stato sostenuto con continuità e con pieno successo il tentativo della presidenza francese di coinvolgere attivamente tutti coloro che, al di fuori dei governi (le città, le regioni e gli altri enti subnazionali, le organizzazioni internazionali, le imprese, i popoli indigeni, le donne, i giovani, le istituzioni accademiche) realizzano iniziative efficaci nella lotta ai cambiamenti climatici.
  È inoltre giusto ricordare che l'Italia è stata tra coloro che hanno sostenuto la necessità di un chiaro sistema di governance per dare certezza agli impegni assunti e creare le premesse per uno sforzo collettivo. A tal fine, l'Italia si era fatta promotrice di una proposta specifica sulla costruzione, nei Paesi in via di sviluppo, di un robusto sistema di rendicontazione e verifica, che è parte integrante dell'accordo di Parigi.
  Il Governo italiano, rappresentato al tavolo negoziale dal Ministero dell'ambiente, ha svolto un ruolo attivo, sostenendo l'azione europea e facendo valere la sua influenza e le sue relazioni.
  Se l'accordo definisce l'architettura e il mandato per un'azione collettiva e concertata, la sfida vera è quella di attuare la transizione verso un futuro a basse emissioni e resiliente al clima, a tutti i livelli.
  In primo luogo, i contributi nazionali comunicati dalle parti devono essere attuati. Per molti Paesi in via di sviluppo questo richiede un sostegno costante per migliorare le limitate capacità nazionali. L'Italia ha dimostrato chiaramente di aver compreso prima di altri il ruolo chiave di questo aspetto per il futuro dell'accordo. L'Italia ha nei Paesi in via di sviluppo ed in particolare negli Stati delle piccole isole caraibiche e del Pacifico partner commerciali importanti con i quali sviluppare il settore dell'economia verde e la mozione approvata il 2 dicembre 2015 in Senato ha costituito un utile strumento di indirizzo nell'ambito dei negoziati per la delegazione italiana nel contesto dei negoziati di Parigi.
  I Governi nazionali dovranno rivedere periodicamente le loro azioni e, laddove possibile, dimostrare maggiore coraggio e ambizione negli sforzi da intraprendere. In questo contesto, un primo passo sarà determinato dalla rapidità con cui l'accordo entrerà in vigore e dal grado di partecipazione. Il segnale politico che scaturirà da questo processo contribuirà ad aumentare la probabilità che gli attori nazionali, soprattutto in settori chiave, siano disposti a perseguire riduzioni più ambiziose di gas serra. È necessario costruire nel tempo una politica industriale che tragga ispirazione dagli obiettivi ambientali di Parigi. L'accordo di Parigi rappresenta l'avvio di un percorso irreversibile che trova nella grande sfida dell'economia circolare un ulteriore elemento di forza.
  Innalzare l'ambizione dell'accordo, per i Paesi in via di sviluppo, sarà legato, in buona misura, anche alla messa a disposizione per questi Paesi dei cosiddetti «mezzi di implementazioni», ovvero risorse finanziarie, capacity building, tecnologie. È altresì importante il sistema di monitoraggio, rendicontazione e verifica, che rappresenta un elemento essenziale per assicurare la dinamicità dell'Accordo e si applica non solo agli obiettivi di riduzione delle emissioni, ma anche a quelli finanziari.
  L'Italia ha già raggiunto l'obiettivo previsto dal Protocollo di Kyoto – impegno nazionale di riduzione del 6,5 per cento nel periodo 2008-2012 – e le misure già adottate consentono di cogliere l'obiettivo europeo di riduzione delle emissioni del 20 per cento.
  Oggi ci si trova in una nuova fase di definizione delle politiche e delle misure a livello europeo, come risultato dell'adozione dei nuovi obiettivi al 2030 da parte del Consiglio europeo di ottobre 2014.
  II 15 luglio del 2015, la Commissione ha presentato una proposta per la modifica del sistema di scambio di emissioni (emission trading fase IV) che è attualmente in una fase preliminare di discussione. Si attende invece per la seconda metà del primo semestre 2016 la proposta di decisione che riguarderà tutti i settori cosiddetti non ETS (agricoltura, trasporti, civile, residenziale, rifiuti eccetera) e che determinerà la distribuzione dello sforzo del 30 per cento di riduzione a livello di Stato membro.
  Le conclusioni del Consiglio europeo di ottobre 2014 e la comunicazione dell'Unione per l'energia hanno chiarito che ulteriori azioni sono necessarie per ridurre le emissioni dei gas serra nel settore dei trasporti. A questo proposito, la Commissione intende pubblicare nella prima metà del 2016 una comunicazione sulla decarbonizzazione dei trasporti.
  In questo ambito si fa presente l'importanza del Protocollo d'intesa sottoscritto il 30 dicembre 2015 tra il Ministero dell'ambiente, la conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane. In tale documento è stata indicata una serie di iniziative virtuose da porre in essere in caso di superamento persistente delle soglie di inquinamento dell'aria. Naturalmente il contenuto del protocollo non è prescrittivo ma mira a fornire ai diversi livelli di Governo indicazioni operative che non potrebbero essere dettate dalla legge poiché tale materia è di competenza delle regioni.
  A tale riguardo si sottolinea infine che le problematiche ambientali non attengono soltanto al reperimento delle risorse necessarie, poiché richiedono anche progetti validi da attuare. In tal senso il Ministero dell'ambiente, supportato dall'indirizzo del Parlamento grazie all'approvazione della legge n. 221 del 28 dicembre 2015, ha in cantiere progetti per circa 1,5 miliardi di euro. Vi sono poi 900 milioni di euro per le iniziative connesse al cosiddetto conto termico, 50 milioni del cosiddetto fondo Kyoto per la realizzazione delle colonnine elettriche, 252 milioni di euro per il miglioramento dell'efficienza energetica nelle scuole, 250 milioni di euro per il rinnovo dei mezzi di trasporto pubblico locale e 12 milioni di euro per il rimborso ai comuni dello sconto sull'acquisto di mezzi pubblici.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRUNO BOSSIO, AIELLO, BATTAGLIA, CENSORE, COVELLO, D'ATTORRE, MAGORNO, OLIVERIO, STUMPO, BINDI e BRUNO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre del 2010 è stato sottoscritto tra la regione Calabria ed il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un accordo di programma quadro (APQ) finalizzato a fronteggiare il rischio idrogeologico presente sul territorio calabrese, mediante la realizzazione di interventi urgenti, per un importo complessivo pari a 220 milioni di euro;
   l'accordo di programma quadro è cofinanziato al 50 per cento dalla regione Calabria attraverso l'utilizzo dei fondi FAS (programma 2007-2013) e dal ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare attraverso le risorse previste dall'articolo 2, comma 240 della legge 23 dicembre 2009, n. 191;
   nello stesso accordo di programma quadro, considerata l'urgenza degli interventi, è stata prevista l'istituzione di una struttura commissariale autonoma;
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 2171 del 2011 è stato nominato commissario straordinario delegato il dottor Domenico Percolla;
   a distanza di oltre due anni dalla sottoscrizione dell'accordo di programma quadro in Calabria pare siano state espletate le procedure di gara di soli tre interventi su un totale di 185 previsti;
   a seguito delle recenti precipitazioni atmosferiche si sono nuovamente registrati sul territorio calabrese smottamenti ed esondazioni di decine di corsi d'acqua, aggravando una situazione idrogeologica già di per sé fragile ed estremamente compromessa;
   l'area archeologica di Sibari è stata fortemente danneggiata dalla esondazione del fiume Crati;
   nella zona del fiume Crati erano stati previsti interventi di sistemazione e consolidamento delle arginature prospicienti l'area archeologica per un impegno economico complessivo di 4 milioni di euro;
   la realizzazione dell'intervento previsto nell'accordo di programma quadro sugli argini del fiume avrebbe certamente evitato l'esondazione;
   tutti gli interventi previsti nell'accordo di programma quadro sono stati programmati per rimuovere e/o ridurre le condizioni di rischio presenti sul territorio;
   di fatto gli stessi interventi rappresentano un ulteriore aiuto al ripristino delle condizioni di sicurezza di quelle aree interessate dagli eventi meteorici del novembre 2009 nonché oggetto di specifica ordinanza della protezione civile;
   si rende necessario ed improcrastinabile provvedere alla messa in sicurezza di tutte le aree individuate in accordo di programma quadro –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione relativa alla gestione commissariale e dei ritardi accumulati nell'attuazione degli interventi previsti dell'accordo di programma quadro;
   quale sia l'effettiva spesa finora erogata e per quali interventi;
   quali iniziative il Governo intenda adottare per rimuovere le evidenti criticità emerse nella gestione commissariale del suddetto accordo di programma quadro, al fine di garantire il carattere di urgenza e l'efficacia degli interventi previsti.
(4-00144)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa allo stato di attuazione degli interventi di cui all'accordo di programma quadro tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Calabria, sottoscritto il 25 novembre 2010, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale di questo Ministero, nonché dagli enti territoriali e dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Da uno studio di omogeneizzazione dei piani stralcio per l'assetto idrogeologico (PAI) e delle mappe di pericolosità e del rischio alluvioni, in corso di elaborazione dagli uffici della direzione e non ancora pubblicati, emerge che la superficie del territorio del Mezzogiorno d'Italia ad «alta criticità idrogeologica» è pari a 10.579 km2, di cui 6.383 km2 per frane e 4.196 km2 per alluvioni. Si tratta del 9,4 per cento della superficie complessiva delle regioni.
  Sono 2.141 i comuni interessati, pari al 95 per cento dei comuni del Mezzogiorno.
  Nell'ambito della nuova classificazione, per «aree ad alta criticità idrogeologica» si intendono quelle derivanti dalla fusione delle aree ad alta pericolosità con quelle ad alto rischio, sia per frana che per alluvione, individuate e perimetrate nei piani stralcio per l'assetto idrogeologico e loro aggiornamenti e varianti, redatti dalle autorità di bacino, e nelle mappe di pericolosità e del rischio predisposte nell'ambito delle attività di redazione dei piani di gestione delle alluvioni di cui alla direttiva europea 2007/60.
  Viceversa, la superficie del territorio del Mezzogiorno d'Italia ad «alto rischio idrogeologico» è pari a 3.460 km2, di cui 1.224 km2 per frane e 2.236 km2 per alluvioni. Si tratta del 3,1 per cento della superficie complessiva delle Regioni. Sono 2.100 i comuni interessati, pari al 93 per cento dei comuni del Mezzogiorno.
  I territori con aree ad alto rischio più estese risultano la Campania (1.222 chilometri quadrati), la Calabria (623 chilometri quadrati), la Sardegna (541 chilometri quadrati), la Puglia (435 chilometri quadrati) e la Basilicata (432 chilometri quadrati).
  In Basilicata, Molise e Calabria il 100 per cento dei comuni della regione sono interessati da aree ad alta criticità idrogeologica.
  Come è noto, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e la regione Calabria hanno stipulato, in data 25 novembre 2010, un accordo di programma finalizzato alla programmazione e al finanziamento di interventi urgenti e prioritari per la mitigazione del rischio idrogeologico da effettuare nel territorio della regione Calabria nell'ambito del piano straordinario previsto dal comma 240 dell'articolo 2 della legge n. 191 del 2009.
  Gli interventi, da realizzare nell'ambito del suddetto accordo di programma, rientrano nella proposta di programmazione regionale per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico che tiene conto delle numerose richieste pervenute agli uffici della regione Calabria oltre che di quelle trasmesse, dagli enti territoriali interessati, direttamente al Ministero dell'ambiente o alla protezione civile nazionale o regionale.
  L'accordo prevedeva la realizzazione di n. 185 interventi per un importo complessivo pari ad euro 220.000.000,00 dei quali oltre 39.000.000,00 euro, di competenza di questo Ministero, sono stati già trasferiti sulla contabilità speciale.
  Con la legge 11 agosto 2014, n. 116 i presidenti delle regioni sono subentrati ai Commissari straordinari delegati e nella titolarità delle relative contabilità speciali con la funzione di assicurare la celere attuazione degli interventi in qualità di commissari di Governo contro il dissesto idrogeologico.
  Lo stato di attuazione degli interventi, in seguito a tale provvedimento, ha subito una accelerazione ancorché ciò derivi dalla proficua attività di progettazione eseguita dal commissario straordinario dottor Domenico Percolla.
  A gennaio 2015 sulla contabilità speciale risultavano impegnati euro 72.300.000,00, incrementati rispetto a euro 5.700.000,00 impegnati a luglio 2014, come riportato nella relazione del Commissario ad acta che per un periodo di alcuni mesi, da luglio 2014 a febbraio 2015, ha proseguito la gestione commissariale in assenza del presidente della regione che è subentrato nella titolarità della contabilità speciale a fine febbraio 2015.
  Relativamente, alla nuova programmazione si rappresenta altresì che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il piano è stato definito, nel corso del 2014-2015, dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente in collaborazione con Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). L'insieme degli interventi localizzati sull'intero territorio nazionale raggiungono un importo pari a circa 20,3 miliardi di euro che rappresenta, pertanto, il fabbisogno complessivo del periodo 2014-2020. Si evidenzia che, rispetto a tale importo, quello relativo alle richieste validate dalle regioni nel sistema Rendis, ammonta a circa a 17,5 miliardi di euro.
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico, con decreto del Presudente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio idrogeologico, con un costo di circa 1.389 milioni di euro.
  Al fine di assicurare il rapido avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico e tempestivamente cantierabili per livello di progettazione, ricompresi nel suddetto piano stralcio, la delibera Cipe n. 32/2015 ha assegnato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'importo di 450 milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione afferenti alla programmazione 2014-2020.
  Per la medesima finalità sono inoltre state individuate risorse disponibili a legislazione vigente pari a 150 milioni di euro, di cui 40 milioni di euro costituite da risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a valere sulle disponibilità recate dall'articolo 1, comma 111, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) e la restante quota di 110 milioni di euro a carico delle risorse del fondo di sviluppo e coesione 2007-2013 di cui all'articolo 7, comma 8, del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 (c.d. sblocca Italia).
  A questi si devono aggiungere, nel biennio 2015-1016, ulteriori 56 milioni di euro circa che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha disposto di destinare al fine di incrementare la copertura del piano stralcio citato, in considerazione della rilevanza e dell'urgenza degli interventi in esso previsti.
  Il piano stralcio risulta composto di una sezione attuativa di complessivi 33 interventi, nella quale sono riportati gli interventi da realizzare nell'immediato per un importo finanziato dallo Stato di oltre 656 milioni di euro, e di una sezione programmatica di complessivi 99 interventi, che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno disponibili a tal fine.
  Nella suddetta sezione programmatica sono inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio idrogeologico.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che individua i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, in modo da garantire, ai sensi della normativa vigente in materia, la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  Non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, saranno individuati gli interventi che potranno essere ammessi a finanziamento secondo le modalità e in base ai criteri previsti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, tenendo conto in particolare delle priorità espresse dalle regioni.
  La regione Calabria, relativamente al piano stralcio per le aree metropolitane citato, ha avanzato richiesta di finanziamento per sette interventi, localizzati nel comune di Reggio Calabria, per un importo complessivo di euro 9,8 milioni di risorse statali.
  In relazione al piano nazionale 2014-2020, invece, si segnala che le richieste avanzate dalla regione Calabria ammontano a euro 829.899.924,21 per un totale di 533 interventi.
  Si evidenzia, infine, che dalle informazioni comunicate dal commissario straordinario, risultano in corso di collaudo i lavori relativi agli «interventi di sistemazione idraulica del fiume Cratì in territorio comunale di Corigliano e Cassano».
  Si segnalano, infine, alcune novità previste dalla legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 707 della legge n. 208 del 2015).
  In particolare, si ricorda che a decorrere dall'anno 2016 cessano di avere applicazione le disposizioni concernenti la disciplina del patto di stabilità interno degli enti locali. Viene tuttavia imposto agli enti il pareggio di bilancio nel solo saldo finale di competenza: pertanto, dal 2016, gli enti locali devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali. Inoltre, per l'anno 2016, ai fini del pareggio del bilancio, non sono considerate le spese sostenute dagli enti locali per interventi di edilizia scolastica (comma 713) e per interventi di bonifica ambientale (comma 716), conseguenti ad attività minerarie, effettuati mediante utilizzo di avanzo di amministrazione e con assunzione di mutui. Riguardo agli interventi di bonifica ambientale, secondo quanto previsto dal citato comma 716, l'esclusione opera nel limite massimo di 20 milioni di euro.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero continuerà a tenersi informato attraverso gli enti territoriali e i soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CANCELLERI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera del Consiglio dei ministri 18 maggio 2015, è stato dichiarato lo stato di emergenza relativo agli eventi meteorologici verificatisi nel periodo dal 16 febbraio al 10 aprile 2015 nel territorio delle province di Palermo, Agrigento, Caltanissetta, Enna, Messina e Trapani. (15A04048) (Gazzetta Ufficiale serie generale n. 122 del 28 maggio 2015);
   è stato approvato il piano per la viabilità secondaria da 27 milioni di euro che prevede cinquantasei interventi, piano che era stato presentato dal commissario straordinario Calogero Foti nei primi di agosto 2015;
   ai comuni del Palermitano andranno quasi 17 milioni per 12 interventi, circa 5 milioni nel Messinese per 22 cantieri, più di due milioni nell'Agrigentino per 10 lavori e un milione e mezzo nel Nisseno per 4 cantieri;
   tramite posta certificata (con identificativo messaggio A9F10ED2.0005CEE5.C02E75A3.BE8590D9) l'interrogante ha provveduto ad inviare al Ministro interrogato uno schema contenente segnalazioni puntuali di possibili interventi da effettuare sulle strade provinciali e statali della Sicilia –:
   se il Ministro intenda mappare, per quanto di competenza, le reali condizioni della viabilità siciliana;
   se il Ministro intenda intervenire in maniera adeguata, per quanto di competenza, monitorando l'utilizzo delle risorse messe a disposizione e, soprattutto, se intenda vigilare affinché non vi siano sprechi, ritardi, distrazioni o lentezze burocratiche, rendendo pubblici i dati sulle infrastrutture, che saranno messe in manutenzione. (4-11428)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta relativi agli eventi calamitosi che hanno interessato alcune infrastrutture e opere d'arte situate in Sicilia.
  Per le strade di competenza statale, la società ANAS fa presente che risultano in fase di esecuzione i lavori di ricostruzione e di ripristino del ponte Verdura, lungo la strada statale 115/sud occidentale sicula, e in fase di consegna quelli del viadotto Petrulla, lungo la strada statale 626 Valle del Salso. Invece, per la risoluzione delle problematiche connesse al rilevato di innesto del viadotto Scorciavacche, sulla strada statale 121 catanese (parte di un più ampio appalto in regime di contraente generale tuttora in corso di esecuzione) sarà necessario attendere l'esito dei procedimenti in corso innanzi all'autorità giudiziaria.
  Per quanto attiene al viadotto autostradale Himera I, come è noto, è stata completata e aperta al traffico la viabilità alternativa in sede provvisoria ripristinando la transitabilità dell'itinerario dell'A19 Palermo-Catania. Al riguardo, ANAS informa che sono in corso le operazioni di movimentazione dei materiali risultanti dalla demolizione della carreggiata in direzione Catania e le attività progettuali per la sua ricostruzione.
  Quanto alle attività per garantire una reale conoscenza sulle condizioni della viabilità siciliana, ANAS fa presente che oltre alle usuali attività di sorveglianza e presidio delle infrastrutture stradali di propria competenza, il 23 ottobre 2015 è stato siglato un accordo tra ANAS stessa e ISPRA, della durata di tre anni, finalizzato alla realizzazione di una banca dati indirizzata a una migliore conoscenza dei fenomeni di dissesto idrogeologico del territorio che possono interessare la rete statale di competenza, e a un aggiornamento dei dati informatici dei fenomeni stessi.
  Allo stato risulta che sono stati avviati i processi per le attività di mappatura delle opere d'arte.
  In particolare, è in corso di definizione un accordo tra ANAS e il dipartimento di ingegneria civile, edile ed ambientale dell'università La Sapienza di Roma, per l'esecuzione dell'attività di monitoraggio dell'autostrada A19, mediante la tecnica dell'inferometria da sensori satellitari DInSAR.
  Per l'analisi dei dati satellitari l'ANAS potrà avvalersi anche dell'assistenza scientifica dell'Istituto per il rilevamento elettromagnetico ed ambientale (Irea) del Cnr, al fine della predisposizione di un database che consentirà alla medesima società l'ottimizzazione degli interventi di manutenzione da programmare.
  Nella fase iniziale, ANAS prevede di acquisire tutti i dati reperibili dall'archivio del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare (piano straordinario di telerilevamento) relativi all'area in esame, per ottenere una prima valutazione sul tratto autostradale.
  L'interpretazione dei risultati porterà alla definizione di criteri per la classificazione dei dati del radar ad apertura sintetica (Sar) con le caratteristiche della tratta stradale e della tipologia costruttiva, ai fini di potenziare la banca dati di Anas.
  Da ultimo, circa gli interventi da realizzare sulle strade statali nella regione Sicilia, le informazioni fornite da ANAS al riguardo sono le seguenti:
   lavori di riparazione del viadotto Milena della strada statale 189 della Valle del Platani, per un importo di circa 859 mila euro. Il bando di gara risulta sospeso in quanto è in corso la riprogettazione dell'intervento;
   lavori per la rettifica plano-altimetrica con eliminazione di curve pericolose tra il km 12+300 e il km 14+800 della strada statale 287 di Noto, per un importo di circa 1,4 milioni di euro. Il bando di gara è in fase di pubblicazione. È in corso anche la procedura di approvazione degli espropri da parte del comune di Villa Vela (frazione di Noto);
   lavori di risanamento strutturale del viadotto Cannatello, tra il km 84+700 e il km 88+920 della A19 Palermo-Catania, per un importo di circa 8,5 milioni di euro. Sono in corso le procedure di gara (verifica delle offerte anomale);
   lavori di manutenzione straordinaria per il ponte Termini e briglia a protezione dell'opera d'arte, al km 49+300 della strada statale 113 Settentrionale Sicula. Su richiesta del genio civile, l'ANAS ha in corso la progettazione dell'intera opera, necessaria al rilascio del nulla osta.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   CARFAGNA e CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con la legge «antistalking» nel 2009, il Parlamento ha colmato un vuoto normativo che, fino ad allora, aveva impedito alle donne, 80 per cento delle vittime di stalking, di essere tutelate da atti persecutori che spesso sfociano in una serie di comportamenti intrusivi, assillanti, ossessivi che non consentono a chi li riceve di vivere normalmente;
   come ogni legge, anche questa è perfettibile ed il Parlamento ha il dovere di vigilare, di monitorare e di capire quali aspetti funzionano e quali risultano meno efficaci. Il legislatore deve fare la sua parte nel contrasto, nella prevenzione e nella protezione delle vittime;
   su un tema così delicato gli attori istituzionali chiamati a collaborare sono diversi: le forze dell'ordine che già fanno un lavoro straordinario e che devono essere messe nelle condizioni di continuare a farlo, individuando i casi più a rischio e magari dando loro la precedenza; la magistratura che dovrebbe applicare le misure cautelari di cui dispone: carcerazione preventiva, divieto di avvicinamento e allontanamento coatto, con il massimo rigore e la massima severità. Queste sono tutte misure che hanno lo scopo di proteggere e tutelare la vittima e di prevenire reati più gravi, come violenze fisiche, stupri e omicidi; i centri antiviolenza che devono disporre delle risorse necessarie per accogliere e proteggere le donne che fuggono da situazioni insostenibili;
   il caso di Giordana Di Stefano, la giovane donna di Nicolosi uccisa dal padre di sua figlia, già denunciato per stalking, ha particolarmente toccato gli interroganti e l'opinione pubblica tutta inducendo una particolare riflessione proprio sull'applicazione delle misure cautelari;
   Giordana aveva sporto varie denunce per stalking da parte del suo convivente e il giorno del suo assassinio si sarebbe dovuta tenere, anche se poi era stata rinviata, l'udienza preliminare per una delle sue denunce;
   è stato dimostrato dagli investigatori che la morte della donna e le denunce sono collegate. E ci si è ritrovati di fronte ad una nuova tragedia che, forse, poteva essere evitata;
   per fare in modo che tragedie come quella di Giordana non si ripetano è fondamentale una collaborazione a tutti i livelli, partendo dal legislatore, passando per forze dell'ordine e magistratura, arrivando anche ai mass media che possono svolgere un'azione preziosa nella sensibilizzazione dell'opinione pubblica –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo, anche di natura normativa, per risolvere le problematiche esposte in premessa. (4-11010)

  Risposta. — La richiesta dell'interrogante, volta a conoscere le iniziative di natura normativa per contrastare il fenomeno della violenza di genere e dello stalking, muove da un ennesimo, tragico, fatto di cronaca che ha riportato l'attenzione al delicato problema della tutela delle vittime dei reati, con particolare riferimento a quelle che – come non di frequente accade – hanno già trovato il coraggio di denunziare il loro persecutore e si trovano, per ciò solo, doppiamente esposte al pericolo per la propria incolumità.
  Si tratta dell'omicidio di Giordana Di Stefano, avvenuto il 7 ottobre 2015, prima che fosse celebrata l'udienza fissata davanti al giudice per l'udienza preliminare nel processo per stalking contro il suo carnefice, che ella aveva denunziato il 14 agosto 2013.
  Dalle notizie acquisite dal procuratore della Repubblica di Catania, si apprende che, dopo tale prima querela, dalla quale era originato il processo per stalking, non avevano più fatto seguito altre denunce, querele, memorie o solleciti che evidenziassero la prosecuzione di condotte persecutorie o moleste nei confronti della donna.
  Si apprende anche che, all'epoca dei fatti, Luca Priolo, padre della figlia delle vittima, risultava incensurato e non gravato da procedimenti penali pendenti o da iscrizioni al registro degli indagati e che, prima dell'omicidio, erano state già celebrate due udienze in occasione delle quali la persona offesa non era stata presente, non aveva fatto pervenire alcuna nomina di difensore di fiducia e non si era costituita parte civile.
  Il procuratore di Catania ha inoltre aggiunto che, dalla relativa attività d'indagine, era emerso che, dal mese di agosto 2015, la giovane donna aveva ripreso la frequentazione del Priolo e che i comportamenti di quest'ultimo non avevano destato nessuna preoccupazione.
  Il Priolo risulta allo stato, sottoposto alla misura della custodia cautelare in carcere, ex articolo 575.
  Ciò premesso, quanto al caso specifico, in relazione al quale non sussiste alcun profilo di competenza del Ministero, non possiamo che esprimere l'amarezza per l'accadimento e la preoccupazione sul difetto di garanzie di incolumità che le vittime denunzianti meritano, comunque, di ricevere.
  Quanto alle iniziative governative sul tema, come è noto la legge 23 aprile 2009, n. 38, ha introdotto il reato di stalking, per sanzionare minacce e molestie reiterate passibili di degenerare in violenza sessuale.
  Con legge 27 giugno 2013, n. 77, il nostro Paese ha, inoltre, ratificato e dato esecuzione alla Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica (così detta convenzione di Istanbul). L'accresciuta sensibilità sociale al fenomeno ha dato luogo, infine, all'emanazione della cosiddetta legge sul femminicidio, che ha costituito l'ultimo intervento emergenziale della materia.
  In attuazione di tale normativa questo Governo ha adottato nel 2015 il piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere.
  Esso impegna un budget di 30 milioni per progetti territoriali e formazione. Le risorse sono destinate a dare attuazione agli interventi per la valorizzazione dei progetti territoriali, per la formazione degli operatori impegnati negli interventi, per il sostegno all'emancipazione delle donne maltrattate e alle iniziative di prevenzione culturale della violenza sessuale e di genere, soprattutto sul fronte dell'educazione e del recupero.
  Si fa presente inoltre che, da ultimo nella seduta del 1o dicembre 2015, il Consiglio dei ministri ha emesso lo schema di decreto legislativo che intende dare attuazione alla direttiva 2012/29/UE, istitutiva di norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime dei reati.
  Tra le principali preoccupazioni del legislatore europeo vi è quella di diminuire il rischio di vittimizzazione secondaria, che risulta particolarmente grave soprattutto in relazione a particolari categorie di vittime per cui sono dettate apposite disposizioni di protezione: i minori, i disabili, le vittime del terrorismo, le vittime di violenza di genere e coloro che abbiano relazioni strette con l'autore.
  Tale schema di decreto integra il quadro di garanzie delle vittime del reato, ampliando il diritto della persona offesa di ricevere informazioni a sua tutela, anche in ordine allo status libertatis del suo aggressore, e il suo diritto di partecipazione al processo.
  È poi in fase di studio l'articolato che dia attuazione alla direttiva 2004/80/CE, relativa all'indennizzo delle vittime di reato. La direttiva stabilisce, in particolare, un sistema di cooperazione tra Stati membri volto a facilitare alle vittime di reato l'accesso all'indennizzo nelle situazioni transfrontaliere.
  L'attenzione al fenomeno da parte del Governo è quindi costante ed elevata e gli interventi in campo restituiscono assoluta centralità alla tutela della vittima.
  Auspichiamo che in conseguenza di tali, ulteriori, misure normative, si rafforzi la rete di sostegno contro la violenza di genere e, per conseguenza, aumenti la fiducia nel sistema di tutele consentendo, anche fuori del circuito strettamente penale, il costante monitoraggio della situazione familiare e di contesto nella quale, le donne, come nel caso di Giordana Di Stefano, restano spesso doppiamente vittime.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   COCCIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il parco Collina della pace sorge, oggi, nel cuore della borgata Finocchio, situata in via Casilina, all'altezza del chilometro 18.00, dove circa 100 anni fa vi era un'antica azienda agricola: sono rimasti i due casali (la casa patronale con la stalla, la rimessa degli attrezzi) e circa 13.000 metri quadri di terra. Alla fine degli anni ’60 il costruttore Francisci, dopo aver lottizzato quasi tutti gli appezzamenti, decide di costruire un mega palazzo a diversi piani nella parte confinante con la via Casilina, agendo, a giudizio dell'interrogante senza rispettare la normativa vigente;
   negli anni ’90, la Collina, con i casali e lo scheletro, vengono acquistati da esponenti della cosiddetta Banda della Magliana;
   nel febbraio 2001, l'area viene confiscata al cassiere della banda, Enrico Nicoletti, che lì aveva costruito abusivamente un palazzo di sei piani per destinarlo ad albergo e trasferita in custodia al Ministero delle Finanze;
   nell'aprile del 2002, sulla base delle richieste degli abitanti e delle associazioni di quartiere, il comune di Roma chiede il trasferimento della proprietà dell'area per realizzare un progetto di riqualificazione e si stabilisce di programmare sul territorio degli incontri tra istituzioni e cittadini per dare vita ad un percorso partecipato in merito al progetto relativo alla riqualificazione della suddetta area;
   nel settembre 2002, il comune di Roma entra in possesso dell'area, in base alla legge n. 109 del 7 marzo 1996, che disciplina la gestione e la destinazione dei beni confiscati e la loro destinazione per scopi sociali;
   nel novembre 2002, il comitato di quartiere Casilina 18 chiede ai cittadini di proporre alle istituzioni una bozza di progetto, con un sondaggio che viene distribuito in tre scuole del territorio: primaria Carlo Urbani di 750 alunni, materna e primaria P.M.Kolbe di 855 alunni, media D.Savio di 655 alunni;
   un mese dopo sono resi noti i risultati del sondaggio in cui si evidenzia l'esigenza della cittadinanza di veder realizzata una biblioteca, con relativa sala convegni, come segno di cambiamento etico, sociale e civile del territorio. Inoltre, vengono lasciati al dipartimento circa 200 disegni dei ragazzi delle medie relativi alla progettazione del parco. Si crea un vero e proprio laboratorio e l'intervento viene finanziato, con voce nel bilancio del dipartimento politiche per lo sviluppo ed il recupero delle periferie;
   il nuovo PRG stabilisce che il progetto di riqualificazione della Collina della pace si inserisca concretamente nel sistema di spazi e servizi pubblici previsti per la centralità locale;
   su tali aree pubbliche, dunque, sulla base del processo partecipativo sviluppato è stato redatto il progetto preliminare generale, approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 73 del 13 aprile 2005 per la riqualificazione della collina della Pace;
   il progetto preliminare prevedeva l'articolazione dell'intervento per lotti funzionali successivi, di cui il primo relativo alla bonifica, il secondo alla sistemazione della collina e il terzo e ultimo intervento al recupero dei due casali esistenti a fini culturali e di servizio: biblioteca, centro culturale e centro associativo;
   i progetti del primo e del secondo lotto sono stati realizzati; occorre, dunque, procedere alla realizzazione del III e ultimo lotto funzionale del progetto;
   il progetto definitivo del III lotto si inserisce all'interno di un programma di riqualificazione urbana paesaggistica e ambientale di ampio respiro e ne costituisce uno dei momenti qualificanti poiché si propone di trasformare e recuperare il casale agricolo ed il relativo manufatto di servizio, i quali si trovano oggi in situazioni di assoluto degrado, per realizzare una biblioteca multimediale e una struttura di uso pubblico;
   nel frattempo, il 17 dicembre 2007, viene inaugurato, insieme al presidente di Libera Don Luigi Ciotti, il parco Collina della pace, dedicato alla memoria di Peppino Impastato;
   il 19 dicembre 2007, con deliberazione n. 583, la giunta comunale approva il progetto definitivo del III lotto relativo all'intervento «collina Pace», con il recupero di due casali a fini culturali e di servizio e per la realizzazione di una biblioteca, un centro culturale e associativo;
   tuttavia, da quel momento cominciano una serie di problemi: il primo, nel 2009, quando il VI municipio tenta di disattendere il progetto costruito dalle associazioni del territorio per realizzare un centro d'aggregazione giovanile;
   tale modifica del progetto originario non va in porto, infatti, il 12 ottobre 2009, il consiglio straordinario del VI municipio ha approvato all'unanimità la mozione che stabilisce il ripristino del progetto condiviso con i cittadini e il recupero del finanziamento (pari a euro 1.400.000);
   nel 2011, cominciano i lavori dei casali circondati dai 13.000 metri quadrati di verde pubblico;
   con estreme difficoltà si procede ai lavori previsti dal piano per il progetto di riqualificazione del III lotto e finalmente, nel marzo 2015, si arriva alla dichiarazione ufficiale di Paola Gaglianone, presidente di istituzioni biblioteche di Roma, che stabilisce l'assegnazione del casale (ex stalla) e dell'edificio padronale (villa rossa) adibiti a biblioteca;
   tuttavia, il 18 febbraio 2016, il consiglio municipale vota un ordine del giorno per trasferire il centro anziani Pierino Emili di Finocchio, già esistente e ristrutturato per un'area di 150 metri quadri, all'interno dei casali della Collina della pace nonostante la delibera comunale n. 583 del 19 dicembre 2007 sancisse che, all'interno dei casali, sarebbe nato un centro polifunzionale aperto a tutti e che uno degli elementi qualificanti del progetto sarebbe stato costituito dalla partecipazione e dal coinvolgimento dei cittadini nella scelta per il recupero di tale ambito del territorio –:
   quali iniziative urgenti intenda mettere in campo, per il tramite del commissario straordinario per la gestione di Roma capitale, per fare in modo che l'impegno per la destinazione d'uso, ai sensi della legge n. 109 del 1996, di un bene confiscato alle criminalità quale è il terzo lotto della collina della Pace, deliberato in data 19 dicembre 2007 dalla giunta comunale del comune di Roma, non venga disatteso. (4-12324)

  Risposta. — Con l'interrogazione indicata in esame l'interrogante richiama l'attenzione sulla specifica condizione che caratterizza il parco «Collina della Pace», un complesso ubicato a Roma, nella borgata «Finocchio», composto da più edifici non ancora completati e destinati a scopi socio-culturali.
  Si premette che il parco è dedicato alla memoria del giornalista Peppino Impastato e sorge in una zona completamente recintata, che comprende un'area verde e tre edifici. L'area verde è gestita dall'associazione di quartiere «Collina della Pace», operante nel settore del volontariato, che vi organizza eventi di natura socioculturale, anche in collaborazione con gli istituti scolastici e le altre associazioni culturali.
  Dei tre edifici, uno è di proprietà privata, mentre gli altri sono gestiti da articolazioni di Roma Capitale, più precisamente da «biblioteche di Roma» e dal IX dipartimento.
  Come evidenziato nell'interrogazione, il progetto di riqualificazione approvato nel 2007 da Roma Capitale prevede che i due stabili gestiti dal Comune siano utilizzati come biblioteca e centro culturale e associativo.
  Purtroppo i tempi di completamento del progetto si sono protratti nel tempo. L'amministrazione capitolina, interpellata al riguardo dalla Prefettura di Roma, ha assicurato di essersi attivata per il superamento di tale ritardo.
  In particolare, i competenti uffici capitolini hanno già predisposto i capitolati di gara necessari agli acquisti degli arredi e del materiale documentale; medio tempore, stanno cercando di risolvere i problemi tecnico-manutentivi, per i quali si è evidenziata l'esigenza di procedere sollecitamente, ai fini di una piena funzionalità delle strutture.
  Sempre in relazione ai due stabili comunali, è stato previsto dal lunedì al venerdì, nella fascia pomeridiana, un servizio di vigilanza gratuito e volontario a cura dell'associazione dei vigili urbani in congedo A.R.V.U.C., che, tuttavia, non riesce a bloccare del tutto gli episodi di vandalismo, purtroppo ricorrenti in un contesto urbano evidentemente difficile.
  Nelle more di una definizione dello stanziamento necessario all'attivazione delle strutture, i cittadini residenti nel municipio VI possono, comunque, avvalersi delle biblioteche già operative nel territorio, quali la «Rugantino» al quartiere Torre Spaccata e la «Borghesiana» sita nell'omonimo quartiere.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   COSTANTINO, ZARATTI, RICCIATTI, DURANTI, FRANCO BORDO, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, ZACCAGNINI, NICCHI e MARCON. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il parco Collina della Pace è un'area di 13.000 mq che sorge tra Finocchio e Pantano Borghese, ultima borgata della città di Roma al confine con Montecompatri, nel VI Municipio, ex VIII;
   si tratta di un territorio di 40 mila abitanti che si sviluppa attorno alla Via Casilina, estremamente carente, per non dire privo, di servizi: scuole, centri di aggregazione, strade asfaltate, trasporti, mercato, poste. Solo ultimamente è stato raggiunto dalla linea metropolitana Metro C, aperta con ampio ritardo rispetto ai tempi previsti;
   alla fine degli anni ’60 il costruttore Francisci dopo aver lottizzato quasi tutti gli appezzamenti di Finocchio decide di costruire un enorme palazzo a diversi piani nella parte del parco confinante con la Via Casilina contro ogni normativa vigente. Lo scheletro rimarrà così per diversi anni fino a quando negli anni ’90 la Collina con i casali e lo scheletro vengono acquistati dalla Banda della Magliana. Nonostante ciò la cittadinanza mantiene pulito il parchetto e lo utilizza;
   il parco Collina della Pace, dedicato a Peppino Impastato, nasce nel 2001, è un progetto partecipato istituzioni-cittadinanza ideato in seguito alla confisca del parco che prevedeva la ristrutturazione di un casale per destinarlo a biblioteca multimediale di livello universitario gestita da Biblioteca di Roma, e un altro casale per ospitare una sala convegni e vari sportelli di associazioni locali; in base alla legge 109/96 sulla sottrazione dei beni alla mafia, veniva assegnata al comune di Roma nel settembre del 2002 per usi sociali dal Ministero delle finanze;
   nell'ottobre del 2004 viene terminata la demolizione dell'ecomostro e nel marzo del 2005 i lavori di riqualificazione;
   il 19 dicembre del 2007, con delibera n° 583 la giunta comunale capitolina approva il progetto definitivo del III lotto relativo all'intervento «Collina Pace – Recupero di due casali a fini culturali e di servizio: biblioteca, centro culturale ed associativo», ma nel dicembre del 2008 sparisce la voce di finanziamento dei casali sul bilancio preventivo del comune di Roma. Solo nel maggio del 2014 l'Assessorato ai Lavori Pubblici e alle Periferie di Roma comunica il reperimento delle risorse economiche per il completamento del restauro dei casali da adibire a biblioteca e centro convegni che nel frattempo erano rimasti incompiuti a causa di inadempienza economica del comune nei confronti della ditta che aveva vinto l'appalto nel novembre 2011, la La Torre Costruzioni s.r.l.;
   durante tutti gli anni di incertezze e di blocchi sull'esito dei lavori di restauro e recupero della zona, che non essendo per lunghi momenti vigilata è fatta attacco di numerosi atti vandalici e sfregi, l'associazione Collina della Pace ha garantito la sorveglianza e la pulizia in maniera del tutto volontaria fino al settembre del 2014, quando il comune riconosce il ruolo all'associazione, che aveva garantito anche la restituzione del bene per uso pubblico coinvolgendo scuole e cittadini nelle attività all'aperto del parco, non ultima la creazione di un murales antimafia, rilasciando a questa la convenzione – dal Dipartimento IX del comune di Roma – per la manutenzione ordinaria del parco;
   nella mattinata del 29 agosto 2015 uno dei referenti dell'associazione Collina della Pace, incontrando casualmente una squadra della Polizia di Roma Capitale del Municipio VI scopre che i casali sono stati oggetto di atti vandalici violentissimi, l'allarme suona ancora — ecco perché ivi si era recata la volante — ma nessuno ha sul momento potuto accedervi, in quanto fino alle 18 dello stesso giorno è stato impossibile reperire qualcuno che negli uffici dell'associazione ARGU fosse in possesso delle chiavi del cancello per l'accesso ai casali. L'associazione ARGU collabora con Biblioteche di Roma e vigila attualmente il parco solo dalle 14 alle 19. Quando finalmente si è avuto accesso si è riscontrata la grave entità dei danni e sporta regolare denuncia contro anonimi;
   la situazione in cui versano le periferie capitoline è molto grave: il disagio, l'abbandono e i disservizi in cui versano interi pezzi della città hanno dimostrato che il vuoto lasciato dalle istituzioni viene colmato dalla criminalità organizzata che gestisce welfare e ampi pezzi dell'economia di questi territori. Esperienze come quella della Collina della Pace andrebbero perciò tutelate e incentivate –:
   se i Ministeri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quali iniziative di competenza si intendano assumere per garantire la sicurezza e il contrasto alla criminalità nelle grandi periferie urbane, anche valorizzando, in raccordo con gli enti territoriali competenti, esperienze come quella del Parco Collina della Pace, che rappresentano per le periferie un modello di convivenza e attività civiche. (4-10334)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto si richiama l'attenzione sugli atti di vandalismo perpetrati nei mese di agosto del 2015 anno in danno del parco/complesso «Collina della Pace», situato nella borgata «Finocchio» di Roma e composto da diversi edifici non ancora completati, destinati a scopi socio-culturali.
  Traendo spunto da tali episodi e dalla situazione di disagio esistente nei sobborghi della capitale, l'interrogante chiede di conoscere quali iniziative si intendano adottare per garantire condizioni di maggiore sicurezza nelle periferie dei grandi centri urbani.
  Si premette che il parco è dedicato alla memoria del giornalista Peppino Impastato e sorge in una zona completamente recintata, che comprende un'area verde e tre edifici. L'area verde è gestita dall'associazione di quartiere «Collina della Pace», operante nel settore del volontariato, che vi organizza eventi di natura socioculturale, anche in collaborazione con gli istituti scolastici e le altre associazioni culturali.
  Dei tre edifici, uno è di proprietà privata, mentre gli altri sono gestiti da articolazioni di Roma Capitale, più precisamente da «biblioteche di Roma» e dal IX dipartimento. Dal lunedì al venerdì, nella fascia pomeridiana, questi ultimi due immobili sono vigilati gratuitamente e volontariamente dall'associazione dei vigili urbani in congedo A.R.V.U.C, che collabora con «Biblioteche di Roma».
  Negli ultimi tempi, il «Parco» è stato effettivamente oggetto di episodi di vandalismo perpetrati da ignoti. Uno di questi si è verificato nella notte tra il 28 e il 29 dello scorso agosto ed è stato denunciato alla polizia locale capitolina da un componente dell'associazione «Collina della Pace». In quell'occasione, sono stati danneggiati gli infissi e le suppellettili dell'immobile destinato ad ospitare la biblioteca.
  Naturalmente, sulla frequenza di questi danneggiamenti incide anche il protrarsi dei tempi di completamento del progetto di riqualificazione – approvato nel 2007 da Roma Capitale – dei due stabili gestiti dal comune.
  Si riferisce, al riguardo, che il 26 gennaio l'amministrazione capitolina ha comunicato alla prefettura di Roma di essersi attivata per il superamento del ritardo del progetto. Nell'occasione, l'ente ha anche fornito un quadro dettagliato dei progetti in cantiere (anche in collaborazione con altri soggetti) per il miglioramento dei servizi e delle infrastrutture cittadine, soprattutto nelle zone più periferiche.
  Per quanto riguarda, più in generale, la questione della sicurezza nelle periferie romane, si informa che la prefettura di Roma sta sviluppando, ormai dall'aprile dello scorso anno, una serie di articolate iniziative volte ad incidere sui fenomeni di degrado e illegalità diffusa che affliggono in particolare le zone della cintura urbana esterna.
  La strategia messa in campo fa perno – oltreché sul funzionamento di tavoli tematici dedicati all'esame di specifiche problematiche che condizionano il livello complessivo dell'ordine e della sicurezza urbana di Roma – anche sull'attivazione presso i singoli municipi di appositi «tavoli di osservazione» delle realtà locali.
  A questi ultimi è affidato, in particolare, il compito di coordinare gli interventi su scala locale e di assolvere al ruolo di trait d'union tra le realtà municipali e le sedi decisionali di più alto livello, per lo sviluppo di iniziative di dimensioni «sovra-municipali».
  Con questo modello di azione vengono affrontate, ad esempio, le criticità connesse allo smaltimento illecito di rifiuti (in particolare dei residui della raccolta dei materiali ferrosi), nonché all'indebita combustione dei materiali di risulta, i cosiddetti «roghi tossici» –, che rappresentano una delle ricadute più nocive per la salute pubblica e la vivibilità di quelle aree urbane.
  Nella consapevolezza che l'humus su cui proliferano i roghi tossici e il traffico illecito di rifiuti è costituito dalle irregolarità nella filiera del recupero dei metalli ferrosi, il tavolo istituito presso la prefettura di Roma si è fatto promotore di un'intensa attività di verifica degli esercizi di rottamazione e autodemolizione presenti nelle periferie urbane.
  Le iniziative intraprese, in collaborazione con Roma Capitale e la regione Lazio, hanno avuto il merito di focalizzare l'attenzione sui contenuti e sulla formulazione dei provvedimenti autorizzativi di queste attività economiche, permettendo di fare chiarezza sul regime giuridico delle singole tipologie di impianto e di eliminare le applicazioni improprie della normativa in deroga che – durante la fase di gestione straordinaria di questo settore economico curata da Roma Capitale nel periodo 2009/2013 – hanno ingenerato promiscuità nello stoccaggio e nel trattamento dei rifiuti ferrosi.
  Su un altro versante, grazie anche alla partecipazione di magistrati ed esperti di diritto dell'ambiente, la prefettura di Roma ha organizzato specifiche attività formative destinate, tra l'altro, al personale delle Forze di polizia a competenza generale. Tali iniziative si sono incentrate sulle strategie procedurali da attuare «sul campo» da parte della polizia giudiziaria per una adeguata azione di contrasto dei fenomeni di illecita combustione dei rifiuti.
  Il predetto tavolo tematico ha poi avviato un piano di controlli sugli esercizi di demolizione e rottamazione, oltre che su tutti i siti di stoccaggio di materiali ferrosi indicati in una black list prodotta dalla polizia locale di Roma Capitale (con il concorso primario del Corpo forestale dello Stato e della polizia locale della città metropolitana).
  Successivamente, allo scopo di imprimere maggiore efficacia al sistema degli accertamenti, è stata istituita una task force composta, oltre che dai rappresentanti delle Forze di polizia, anche dai referenti della Direzione territoriale del lavoro, del servizio dell'Asl competente in materia di sicurezza sui luoghi di lavoro e dei vigili del fuoco. In questo modo è possibile verificare, assieme al profilo ambientale, anche gli aspetti afferenti alla sicurezza del lavoro, alla regolarità dei contratti di lavoro e alla sicurezza degli impianti.
  Sono state, infine, avviate iniziative con le associazioni maggiormente rappresentative delle imprese di categoria per sollecitare e sensibilizzare gli operatori economici interessati (autodemolitori e rottamatori) a una più puntuale applicazione della normativa sul conferimento e lo smaltimento dei rifiuti ferrosi.
  Dai dati forniti dalla questura emerge che l'insieme delle azioni ha determinato una flessione del numero dei roghi.
  I problemi evocati dall'interrogante richiedono tuttavia di essere affrontati non solo con interventi destinati a contrastare le manifestazioni di degrado e illegalità più evidenti, ma anche attraverso misure di carattere «strutturale», capaci di rafforzare la presenza delle forze di polizia sul territorio. La questione si riallaccia a quella dello sviluppo urbanistico e demografico conosciuto da Roma negli ultimi decenni, che si è estesa ben oltre il grande raccordo anulare.
  Nel contesto prodotto da questo processo di espansione, non è, dunque, secondario il tema della riorganizzazione della distribuzione territoriale della rete dei 147 presidi delle Forze di polizia presenti nella capitale (103 tra comandi e stazioni dell'arma dei carabinieri, 37 commissariati di pubblica sicurezza, 7 reparti della guardia di finanza), la gran parte dei quali gravita nelle zone centrali della città.
  Su questo versante si colloca un'importante iniziativa, sviluppata anche in partenariato con Roma Capitale, che ha consentito di individuare sette nuovi immobili (cinque di proprietà capitolina, una caserma in via di dismissione, un immobile confiscato alla criminalità organizzata) da adibire a sedi per gli Uffici e Comandi delle Forze di polizia.
  Il progetto, che sarà perfezionato nei prossimi mesi con un risparmio pari a 2,2 milioni di euro sulle spese per i canoni di locazione passiva, permetterà tra l'altro, di ridislocare quattro presidi dell'arma dei carabinieri in quei Municipi che gestiscono alcune delle più importanti periferie romane. Verrà inoltre aperta una nuova Stazione nel quartiere periferico del Trullo.
  Questa iniziativa rappresenta il primo step di una revisione di più ampio respiro per la quale la prefettura di Roma ha già mosso i primi significativi passi, attraverso la costituzione di un gruppo di lavoro ad hoc sulla base del concorde parere espresso il 16 febbraio scorso dal comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
  Il gruppo, composto da rappresentanti della questura e dei comandi provinciali dei carabinieri e della guardia di finanza, avrà il compito di elaborare uno studio recante le proposte per un aggiornamento della distribuzione territoriale dei presidi di polizia nell'area di Roma, offrendo ai competenti organi di questa amministrazione una ragionata base valutativa per le scelte che saranno ritenute praticabili.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   D'AMBROSIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Edipower-A2A, avendo già ottenuto i decreti autorizzativi AIA (nel 2012) e VIA (nel 2009) a settembre 2013 ha semplicemente presentato al Ministero dell'ambiente il «piano di adeguamento» per l'esercizio della centrale termoelettrica di Brindisi. Il piano prevede che il nuovo combustibile possa essere prodotto in un impianto situato in un raggio di circa 20 chilometri dalla centrale;
   A2A Ambiente, società del gruppo A2A, multiutility dei comuni di Brescia e Milano, ha depositato, nel marzo 2014, presso provincia e comune di Brindisi, in Puglia, il progetto definitivo e lo studio di impatto ambientale del nuovo impianto per la produzione di Ecoergite;
   la tecnologia sviluppata e brevettata da A2A Ambiente per la produzione di Ecoergite prevede una prima fase di trattamento di asciugatura dei materiali, una di raffinazione ed una terza di triturazione della pezzatura ridotta;
   il nuovo piano energetico della regione Puglia prevede che tutti gli impianti di trattamento dei rifiuti solidi urbani e delle raccolte differenziate, siano dotati di trattamento a freddo, in grado di prevedere il quasi totale recupero della varie componenti, non contemplando la possibilità di realizzare nuovi impianti pubblici dedicati al trattamento termico/combustione;
   per la città di Brindisi, con questa e con altre situazioni già in essere, si prospetta sempre più uno scenario da terminal di scarti di depuratori civili e di combustibile da rifiuti solidi urbani e speciali, accendendo, così, emergenze ambientali e sanitarie sul territorio –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, si intendano intraprendere affinché sia fatta una approfondita valutazione sulla precaria situazione ambientale già in essere nella zona di Brindisi. (4-05572)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli clementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In data 27 settembre 2013 la società Edipower S.p.A. ha presentato presso questo Ministero istanza di valutazione di impatto ambientale e contestuale istanza di autorizzazione integrata ambientale (procedimento congiunto Via Aia ai sensi dell'articolo 10 del decreto legislativo 152 del 2006 e s.m.i.) per il progetto di co-combustione carbone/CSS combustibile presso la centrale termoelettrica di Brindisi Nord.
  Il progetto proposto, della potenza complessiva di 300 MWe, prevede l'utilizzo del combustibile solido secondario (Css), prodotto in prossimità del sito della centrale Brindisi Nord, fino al 10 per cento di input termico. È altresì previsto l'utilizzo, in co-combustione con il combustibile, di carbone a basso tenore di zolfo.
  Attualmente l'istruttoria risulta in corso presso la commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale Via e Vas e, pertanto, in tale sede saranno adeguatamente valutati sia il quadro di riferimento ambientale dell'aerea in cui insiste il progetto, sia gli impatti cumulativi del medesimo progetto con gli impianti in corso di realizzazione o già realizzati nel territorio circostante,
  In particolare si evidenzia che la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dai progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  La documentazione pervenuta e maggiori dettagli sul progetto sono disponibili sul portale delle valutazioni ambientali del Ministero all'indirizzo www.va.minambiente.ir.
  Relativamente a A2A Ambiente S.p.A., società del gruppo A2A, multiutility dei comuni di Brescia e Milano, che ha depositato, nel marzo 2014, presso provincia e comune di Brindisi il progetto definitivo e lo studio di impatto ambientale del nuovo impianto per la produzione di Ecoergite, si evidenzia che tale categoria progettuale ricade tra quelle di competenza regionale, quindi, l'autorizzazione alla realizzazione di detto impianto sarà rilasciata dalla regione o dagli enti da essa delegati che, pertanto, sono i soggetti deputati a valutare la conformità c la coerenza dei progetti con il piano energetico della regione Puglia e gli strumenti di pianificazione regionale.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DE LORENZIS e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma, della legge 9 dicembre 1998, n. 426 recante «Nuovi interventi in campo ambientale» che individua, tra gli altri, l'intervento relativo al sito di Brindisi come intervento di bonifica di interesse nazionale;
   il decreto ministeriale del 10 gennaio 2000 definisce il perimetro del sito di interesse nazionale di Brindisi con la possibilità di estensione dell'area da bonificare qualora a seguito di future caratterizzazioni risultasse che le aree inquinate si estendessero oltre il confine stabilito;
   con successivo Accordo di programma, sottoscritto in data 18 dicembre 2007 tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il commissario di Governo per l'emergenza ambientale in Puglia, la regione Puglia, la provincia di Brindisi, il comune di Brindisi e l'autorità portuale di Brindisi, si sono definiti gli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel sito di interesse nazionale di Brindisi;
   nel periodo dicembre 2009 – luglio 2010, le indagini di caratterizzazione dell'area hanno evidenziato elevatissimi livelli di superamento dei limiti di inquinamento, per tutti i parametri l'Accordo di programma del 18 dicembre 2007 tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e amministrazioni interessate e in seguito, le indagini di cui sopra, sono state approvate nella conferenza di servizi del 21 luglio 2011;
   le indagini di caratterizzazione relative all'area Micorosa nel Sito di interesse nazionale di Brindisi sono state validate con nota trasmessa dall'ARPA Puglia – dipartimento provinciale di Brindisi il 19 luglio 2011 con protocollo n. 36418, acquisita dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare al protocollo n. 24520/TRI/DI del 1° agosto 2011;
   la proprietà dell'area in oggetto e cambiata nel corso del tempo temporale per cui il sito nel complesso industriale del Petrolchimico di Brindisi realizzato dalla Montecatini vede:
    la fusione tra Montecatini ed Edison (1966), che ha condotto alla creazione di Montedison;
    lo scorporo delle attività in favore di una società del gruppo, Montedipe spa (1980);
    la cessione alla Montedipe srl (1989), mediante conferimento d'azienda;
    il successivo conferimento del ramo d'azienda da quest'ultima (divenuta poi Enichem Polimeri srl nel 1991) a Enichem Anic srl (1990);
    la fusione per incorporazione di Enichem Anic srl ed Enichem Polimeri srl in Enichem spa (1993), poi divenuta Syndial spa (controllata di ENI);
    il conferimento d'azienda da Enichem spa a Brindisi Etilene srl (1995), poi divenuta Polimeri Europa srl e, in seguito, Versalis spa (controllata di ENI);
   la discarica è stata realizzata nel periodo in cui il petrolchimico era di Montedison, e in seguito ai diversi cambi di proprietà è poi giunta al Micorosa srl, in seguito fallita;
   la perizia depositata dalla Syndial, ha rilevato che «l'area Micorosa è stata adibita – a partire dal 1962 e fino a metà degli anni ’70 – a luogo di recapito di rifiuti di origine industriale» da parte di società del gruppo Montedison (oggi Edison);
   nella nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. 34829/TRI/II del 18 novembre 2011, si invita la provincia di Brindisi ad attivare le procedure di cui all'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006 per il sito in oggetto;
   alla competenza della Provincia, delineata dall'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006, attiene l'adozione delle misure di emergenza che, in presenza del superamento dei livelli di contaminazione, su segnalazione di ogni altra pubblica amministrazione, consentono un'immediata risposta all'evento, e si estende anche ai siti di interesse nazionale, purché confinata all'adozione di misure interinali;
   su invito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 18 novembre 2011 soprarichiamato ed in base ai risultati della caratterizzazione dell'area adiacente lo stabilimento petrolchimico di Brindisi (denominata anche ex «Micorosa»), la provincia di Brindisi ha redatto il documento del servizio ambiente e ecologia prot. 20219 del 25 marzo 2013 avente ad oggetto «Discarica incontrollata utilizzata per lo smaltimento di rifiuti pericolosi, adiacente lo stabilimento Petrolchimico di Brindisi. Ordinanza di bonifica ex articolo 244 decreto legislativo n. 152 del 2006» con il quale ordina alle società Edison, Versalis, Syndial ed Eni, nonché alla curatela fallimentare della Micorosa Srl di attuare le misure di prevenzione necessarie a contenere la diffusione delle sostanze inquinanti con particolare riferimento a quelle riscontrate nel suolo, sottosuolo e nelle acque di falda sottostanti l'area comprendente il sito interessato dallo stoccaggio dei rifiuti e di procedere alla elaborazione e presentazione per la relativa approvazione del progetto di bonifica delle acque di falda, del suolo e sottosuolo ed alla realizzazione dei necessari interventi di bonifica come disciplinato dalle disposizioni normative richiamate;
   la nota protocollo 5551 dell'8 ottobre 2012 del comune di Brindisi, acquisita dalla provincia di Brindisi con protocollo n. 75821 del 16 ottobre 2012 con cui si esprime il parere favorevole del comune di Brindisi all'adozione dell'ordinanza di bonifica;
   l'ENI spa, ha impugnato tramite il ricorso «numero di registro generale 988 del 2013», il provvedimento della provincia di Brindisi – servizio ambiente e ecologia prot. 20219 del 25 marzo 2013 e il TAR nella sentenza n. 00320/2014 REG. PROV.COLL. del 6 febbraio 2014, accoglie il ricorso specificando che il provvedimento della provincia di Brindisi costituisce un ordine di adozione delle misure permanenti di contenimento dell'inquinamento di bonifica dell'area in un sito di interesse nazionale per il quale è stato stipulato l'Accordo di programma del 18 dicembre 2007 tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e amministrazioni interessate e sono state effettuate, nel periodo dicembre 2009 – luglio 2010, indagini di caratterizzazione dell'area (da cui sono emersi elevatissimi livelli di superamento dei limiti di inquinamento, per tutti i parametri), approvate nella conferenza di servizi del 21 luglio 2011 e quindi che non spetta alla provincia il potere esercitato, essendo la competenza attribuita al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in virtù dell'articolo 252, quarto comma, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152. Inoltre esonera l'ENI spa da responsabilità in quanto non è succeduta ad alcuna delle società e la sua qualità di capogruppo – delle controllate Syndial spa e Versalis spa – e non può costituire valida base per affermare la sua responsabilità, in assenza di ogni elemento da cui desumere l'esistenza di poteri di controllo, non concretamente esercitati allo specifico fine di prevenire la situazione dannosa o di porvi rimedio;
   la curatela fallimentare Micorosa Srl, ha impugnato tramite il ricorso «numero di registro generale 961 del 2013», l'ordinanza sopraccitata ed inoltre impugna:
    la nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare prot. n. 34829/TRI/II del 18 novembre 2011 con cui si invita la provincia di Brindisi ad attivare le procedure di cui all'articolo 244 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
    le risultanze della caratterizzazione esaminate nella conferenza di servizi istruttoria del 10 marzo 2011 e successivamente approvate nella conferenza di servizi decisoria del 21 luglio 2011;
    il parere favorevole espresso dal comune di Brindisi, nota prot. n. 5551 del 16 ottobre 2012, all'adozione dell'ordinanza di bonifica;
    la nota della provincia di Brindisi – servizio ambiente prot. n. 55627 del 17 luglio 2012 e della successiva nota integrativa prot. n. 9310 dell'8 febbraio 2013;
    le risultanze e delle indagini effettuate dalla provincia, servizio ambiente ed ecologia, in ordine all'individuazione del responsabile della contaminazione;
   con la sentenza n. 00504/2014 REG. PROV.COLL. del 19 febbraio 2014, il TAR accogliendo il ricorso, alla stregua di quanto sentenziato con la sentenza N. 00320/2014 REG.PROV.COLL. emanata in seguito al provvedimento impugnato dall'ENI, conferma che non è della provincia la competenza in merito, trattandosi di un ordine di intervento che non costituisce una provvisoria risposta all'emergenza, bensì ha carattere definitivo, riguardando le misure permanenti di prevenzione della diffusione dell'inquinamento e la bonifica dell'area rientrante nel Sito d'interesse nazionale di Brindisi, oggetto dell'accordo di programma risalente al 2007, la cui esecuzione è affidata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ai soggetti attuatori, individuati e individuabili dallo stesso Ministero (cfr. l'articolo 7 dell'Accordo);
   inoltre il TAR nella sentenza afferma che la giurisprudenza ha chiarito che «in tema di inquinamento, il potere del curatore di disporre dei beni fallimentari (secondo le particolari regole della procedura concorsuale e sotto il controllo del giudice delegato) non comporta necessariamente il dovere di adottare particolari comportamenti attivi finalizzati alla tutela sanitaria degli immobili destinati alla bonifica da fattori inquinanti e perciò la curatela fallimentare non subentra negli obblighi più strettamente correlati alla responsabilità dell'imprenditore fallito a meno che non vi sia una prosecuzione dell'attività, con conseguente esclusione del curatore fallimentare dalla legittimazione passiva dell'ordine di bonifica (Consiglio di Stato, V, 16 giugno 2009, n. 3885);
   anche la società Edison ha impugnato il provvedimento della Provincia di Brindisi – Servizio Ambiente e Ecologia prot. 20219 del 25 marzo 2013;
   la sentenza N. 00500/2014 REG.PROV.COLL. del 19 febbraio 2014 con cui il TAR respinge il ricorso di Edison affermando che: «la giurisprudenza ha rilevato che il decreto legislativo n. 22 del 1997 “che peraltro presenta profili di continuità sostanziale con le disposizioni pregresse, trova applicazione a qualunque situazione di inquinamento in atto al momento dell'entrata in vigore del decreto legislativo. Infatti, posto che l'inquinamento da luogo ad una situazione di carattere permanente che perdura fino a che non ne vengano rimosse le cause ed i parametri ambientali alterati siano riportati entro i limiti normativamente accettabili, si deve convenire, in armonia con i puntuali rilievi svolti sul punto dal primo giudice, che le previsioni del decreto Ronchi si applicano a qualunque sito che risulti attualmente inquinato, indipendentemente dal momento in cui possa essere avvenuto il fatto o i fatti generatori dell'attuale situazione patologica. La formulazione della norma collega infatti la pena non al momento in cui viene cagionato l'inquinamento o il relativo pericolo ma alla mancata realizzazione, da parte del responsabile, della bonifica, ai sensi dell'articolo 17. Non si tratta quindi di portata retroattiva della norma ma dell'applicazione ratione temporis della legge onde fare cessare gli effetti di una condotta omissiva a carattere permanente, che possono essere elisi solo con la bonifica; detto altrimenti, non viene sanzionato l'inquinamento in epoca precedente prodotto ma la mancata eliminazione degli effetti che permangono nonostante il fluire del tempo” (Cons. St., sez. VI, 9 ottobre 2007, n. 5283). In sostanza, la giurisprudenza citata ha aderito alla impostazione propria della Cassazione che ha ritenuto “la contravvenzione di cui all'articolo 51-bis del decreto legislativo n. 22 del 1997 si configura come reato omissivo di pericolo presunto che si consuma ove il soggetto non proceda all'adempimento dell'obbligo di bonifica secondo le cadenze procedimentalizzate dall'articolo 17”»;
   la procedura di bonifica di cui all'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006 dei siti di interesse nazionale è attribuita alla competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentito il Ministero delle attività produttive –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti espressi in premessa e abbia intenzione di emanare, in virtù del principio europeo recepito dall'ordinamento italiano, un provvedimento analogo a quello della provincia di Brindisi privo dei vizi censurati nelle sentenze N. 00320/2014 REG.PROV.COLL. del 6 febbraio 2014 e N. 00504/2014 REG.PROV.COLL. del 19 febbraio 2014 e in linea con la sentenza N. 00500/2014 REG.PROV.COLL del 19 febbraio 2014 ovvero ad adempiere a quanto espresso in premessa e quindi ad emanare un apposito provvedimento per decretare che i soggetti privati coinvolti e responsabili, anche a seguito delle sentenza TAR citate in premessa, attuino le misure di prevenzione necessarie a contenere la diffusione delle sostanze inquinanti con particolare riferimento a quelle riscontrate nel suolo, sottosuolo e nelle acque di falda sottostanti l'area comprendente il sito interessato dallo stoccaggio dei rifiuti e quindi che gli stessi soggetti privati procedano alla elaborazione e presentazione per la relativa approvazione del progetto di bonifica delle acque di falda, del suolo e sottosuolo ed alla realizzazione dei necessari interventi di bonifica come disciplinato dalle disposizioni normative richiamate;
   se il Ministro intenda rendere pubbliche sul sito internet del Ministero tutte le informazioni inerenti il sito in questione. (4-07080)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa al sito di interesse nazionale (Sin) di Brindisi, ed in particolare all'area cosiddetta Micorosa, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Dapprima occorre premettere che la suddetta area — attualmente di proprietà della società Micorosa S.r.l. – è stata utilizzata, dal 1962 al 1980, come luogo di recapito dei rifiuti di origine industriale da parte di società dell’ex gruppo Montedison, provenienti dagli impianti di produzione dell'acetilene (fanghi di idrossido di calcio), da quelli di produzione del pvc(composti organici clorurati e miscele di solventi aromatici policiclici) e da code residue dell'impianto di produzione dell'anidride ftalica (acidi maleico e ftalico).
  Nel 1987 l'area è stata ceduta dal gruppo Montedison alla Micorosa S.r.l, che, solo tra il 1994 e il 1995, si è attivata per il recupero dei fanghi precedentemente scaricati, allo scopo di produrre calce idrata: dopo un anno, però, l'attività degli impianti è stata fermata.
  Successivamente, con legge regionale n. 28 del 23 dicembre 2002 (Bollettino ufficiale della regione Puglia n.164/2002)l'area Micorosa è stata inserita nella perimetrazione del parco regionale «Salina di Punta della Contessa». Dal momento che tale area è sotto curatela fallimentare, le attività di caratterizzazione ambientale previste dal decreto legislativo n. 152 del 2006 sona state svolte dal Servizio Ecologia del Comune di Brindisi, che ha redatto il «Piano della Caratterizzazione Ambientale del sito area Micorosa», approvato con prescrizioni da questo Ministero nella Conferenza dei servizi decisoria del 1o agosto 2007.
  La caratterizzazione ambientale ha evidenziato:
   la presenza di rifiuti costituiti in prevalenza da idrossido di calcio proveniente dagli impianti di produzione dell'acetilene, da code clorurate provenienti dalla lavorazione del PVC e rifiuti provenienti dall'impianto cloro-soda;
   i terreni sottostanti il corpo rifiuti risultano contaminati a causa della presenza di composti alifatici clorurati cancerogeni e non, idrocarburi aromatici, (esaclorobenzene e pentaclorobenzene), idrocarburi leggeri e pesanti, metalli pesanti (As, Sn, Hg, Be, Se) e ammine aromatiche (anisidina);
   la contaminazione delle acque di falda da metalli pesanti (Al, As, Fe, Ni, Mn), idrocarburi aromatici (benzene, etilbenzene, stirene) e composti alifatici clorurati cancerogeni e non (cloruro di vinile, cloroformio, 1,2-dicloroetano, 1,2-dicloroetilene, 1,1-dicloroetano, 1,1,2-tricloroetano).

  Relativamente alla procedura amministrativa instaurata per i progetti di bonifica, si rappresenta che con l'accordo di programma stipulato il 18 dicembre 2007, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il commissario di Governo per l'emergenza ambientale, la regione Puglia, la provincia di Brindisi, il comune di Brindisi e l'autorità portuale di Brindisi si sono impegnati a definire gli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nel sin di Brindisi.
  Circa gli stanziamenti previsti e disposti in favore della tutela dei luoghi indicati, si segnala che la delibera Cipe n. 87 del 3 agosto 2012, recante «Fondo per lo Sviluppo e la Coesione (FSC). Programmazione regionale delle risorse residue del FSC a favore del settore ambientale per la manutenzione straordinaria del territorio», ha assegnato 40.000.000,00 euro a valere sullo risorse FSC 2007-2013 di competenza della regione Puglia per la copertura dell'intervento «Attuazione interventi programmatici previsti nell'AdP Brindisi per la bonifica e messa in sicurezza di emergenza della falda nei SIN Brindisi».
  In data 16 luglio 2013 è stato sottoscritto l'accordo di programma quadro «Ambiente» tra il Ministero dello sviluppo economico, il Ministero dell'ambiente e la regione Puglia, che ha conformato – all'articolo 3, comma 1 – la destinazione dei 40.000.000,00 euro al citato intervento, coerentemente con quanto previsto dalla menzionata delibera Cipe.
  Quest'ultimo fa riferimento alla nota con la quale la regione Puglia ha manifestato la volontà di avviare alcuni interventi prioritari di messa in sicurezza c bonifica della falda, con particolare riferimento all'area Micorosa, in considerazione dell'elevata compromissione delle matrici ambientali del sito nonché alla successiva condivisione della proposta regionale da parte del Ministero dell'ambiente.
  Successivamente è stato convenuto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dalla regione Puglia e dal comune di Brindisi di affidare alla società Sogesid S.p.A. la «Progettazione definitiva di messa in sicurezza e bonifica» dell'area.
  In tale contesto sono stati presentati i seguenti documenti:
   interventi di messa in sicurezza e bonifica della falda dei SIN di Brindisi. Progetto Definitivo — 1o Stralcio funzionale – Area Micorosa», trasmesso dalla Società Sogesid;
   progetto operativo di messa in sicurezza permanente di parte delle Aree esterne Syndial», trasmesso dalla società Syndial.

  La conferenza di servizi decisoria del 29 ottobre 2013 ha ritenuto approvabili con prescrizioni i suddetti elaborati e ha chiesto alla regione Puglia di procedere alla verifica di assoggettabilità a valutazione di impatto ambientale dell'intervento.
  Il costo del progetto per la parte pubblica, approvato in via provvisoria per motivazioni d'urgenza con decreto ministeriale n. 178 del 1o luglio 2014 e con successivo decreto direttoriale del 14 novembre 2014, è pari a 36.573.498,31 euro.
  Al fine di disciplinare le attività di progettazione definitiva degli interventi di messa in sicurezza e bonifica dell'area Micorosa, in data 4 dicembre 2013 è stata sottoscritta un'apposita convenzione tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Puglia, il comune di Brindisi e la Sogesid S.p.A. per un importo complessivo di 2.559.944,52 euro.
  La gestione amministrativa dell'intervento è in capo al comune di Brindisi, individuato quale soggetto attuatore per la realizzazione degli interventi di messa in sicurezza di emergenza e bonifica della falda nel SIN di Brindisi nell'allegato 2 al citato accordo di programma quadro «Ambiente» del 16 luglio 2013.
  Giova, inoltre, sottolineare che durante le attività di progettazione dell'intervento era stata valutata una soluzione alternativa, poi scartata, che prevedeva la bonifica e la rinaturalizzazione dell'intera area per restituirla alle condizioni precedenti lo sversamento, con la rimozione dell'intero corpo rifiuti.
  Tali rifiuti, però, appartengono alla classe di pericolo H8 e, pertanto, smaltibili solamente in discarica adibita allo smaltimento di rifiuti speciali pericolosi.
  L'intervento di messa in sicurezza approvato appare, dunque, quello maggiormente sostenibile, con impatti che complessivamente risultano limitati, reversibili e circoscritti alla durata della fase di realizzazione delle opere.
  La messa in sicurezza permanente, al contrario del «tombamento», risulta realizzabile ed efficace in tempi decisamente inferiori (due anni, mentre per l'intervento di bonifica si parla di almeno dieci anni), consentendo anche l'isolamento delle sostanze cancerogene già prima della fine dei lavori.
  Il progetto si dovrà raccordare con l'intervento di Syndial, che si occuperà della parte di confinamento relativa alle aree private. La gestione e il coordinamento dei due interventi durante l'esecuzione degli stessi, come indicato dal protocollo Syndial – comune di Brindisi – regione Puglia, sarà effettuato da una apposita «cabina di regia» che dovrà tenere conto anche delle osservazioni avanzate dal consiglio superiore dei lavori pubblici.
  La regione Puglia, con nota prot. n. 10507 del 2 dicembre 2014, ha comunicato che alcune opere comprese nel progetto Syndial (come, ad esempio, la canalizzazione e la regolazione dei corsi d'acqua) sono soggette a procedura di verifica di assoggettabilità a VIA.
  Con provvedimento dirigenziale di autorizzazione n. 21 del 27 febbraio 2015, la provincia di Brindisi ha espresso giudizio positivo di compatibilità ambientale per il «Progetto definitivo di spostamento del tratto terminale del sedime del canale Pandi» nell'ambito del più ampio «Progetto operativo di messa in sicurezza permanente di parte delle Aree esterne Syndial».
  In data 8 dicembre 2015 il comune di Brindisi ha trasmesso copia del certificato di destinazione urbanistica delle aree interessate dal progetto Syndial mentre l'11 gennaio 2016 il Ministero dello sviluppo economico ha rilasciato il parere positivo sul progetto.
  Con decreto direttoriale del 1o febbraio 2016, il Ministero dell'ambiente ha approvato il progetto (che prevede l'inizio dei lavori entro e non oltre quattro mesi dalla notifica del decreto), nonché la stipula di una fidejussione bancaria per la somma del 50 per cento dell'importo dell'intervento a garanzia della corretta esecuzione e del completamento dell'intervento, per un costo totale di 19.700.000 euro.
  Per quanto concerne la partecipazione di tutti i dati relativi al SIN si informa che sul sito internet del Ministero dell'ambiente, nella sezione appositamente dedicata alle attività della divisione Bonifiche e Risanamento (www.bonifiche.minambiente.it) sono disponibili, per il sito in questione: i verbali delle conferenze di servizi istruttorie e decisorie, i verbali delle riunioni tecniche, i decreti di bonifica, nonché gli accordi di programma quadro e le convenzioni stipulate.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, fermo restando quanto già fatto a supporto e in collaborazione con gli enti territoriali competenti, ivi inclusa l'amministrazione provinciale, il Ministero continuerà a svolgere attività di monitoraggio e di sollecito, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   DI LELLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per la pubblica amministrazione e la semplificazione, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli ambiti territoriali, ad esempio quello idrico o quello dei rifiuti, sono individuati dalle regioni con apposita proposta di legge regionale (nel caso del servizio idrico integrato con riferimento ai bacini idrografici), e su di essi agiscono le autorità di ambito, strutture con personalità giuridica che organizzano, affidano e controllano la gestione del servizio integrato;
   gli ambiti territoriali ottimali (ATO), le cui definizioni e le modalità operative sono contenute nella legge del 5 gennaio 1994, n. 36, modificata dal decreto legislativo n. 152 del 2006, sono stati aboliti con la legge n. 42 del 26 marzo 2010 nell'ambito della razionalizzazione della spesa pubblica, attribuendone la competenza alle regioni per una attribuzione delle funzioni, il termine di scadenza per questa riattribuzione era stato fissato al 27 marzo 2011 poi prorogato al 31 dicembre 2012;
   con il decreto «Cresci-Italia» (1/2012) viene ribadita la riorganizzazione degli ATO, nel quale le regioni devono riorganizzare i servizi pubblici locali in ambiti territoriali ottimali, non inferiori alla dimensione provinciale e, se le regioni risultano inadempienti, subentrano i poteri sostitutivi del Governo; la scadenza per questo adempimento era il 30 giugno 2012;
   un esempio riepilogativo delle problematiche derivanti dalla mancata attuazione della dismissione/riorganizzazione degli Ato è l'ambito territoriale ottimale laziale, n. 2 (detto anche ATO2), le cui modalità operative sono stabilite nella legge della regione Lazio del 22 gennaio 1996, n. 6, che ha approvato in base ad una procedura del tutto avulsa, rispetto a quella di una gara ad evidenza pubblica, una convenzione di gestione per l'affidamento diretto del servizio idrico integrato, all'ACEA ATO2 spa;
   nell'ATO2 di Roma la conferenza dei sindaci e dei presidenti delle province ha confermato ACEA spa soggetto affidatario del servizio idrico integrato per il tramite di ACEA ATO2 spa, una società di capitali individuata attraverso un affidamento diretto (società mista direttamente partecipata da società già quotata in borsa alla data del 1° ottobre 2003 – articolo 113, comma 15-bis, decreto legislativo 267/00 – TUEL), al cui capitale sociale partecipano tutti gli enti locali appartenenti all'ATO2, che ammonta a euro 362.834 mila rappresentato da n. 36.283.432 azioni ordinarie da euro 10 cadauna e possedute da:
    Acea spa: n. 35.000.000 azioni ordinarie per v.n. complessivo pari ad euro 350.000 mila;
    comune di Roma n. 1.283.321 azioni ordinarie per v.n. complessivo pari a euro 12.833 mila;
    110 comuni dell'ATO2 Lazio centrale Roma n. 110 azioni ordinarie per v.n. complessivo di euro 1 mila;
    provincia di Roma: n. 1 azione ordinaria per v.n. complessivo di euro 10;
   il modello di governance è quello tradizionale delle società di capitali;
   la Commissione europea ha richiamato più volte il Governo in tema di affidamento diretto dei servizi pubblici locali e sue proroghe, evidenziando il contrasto di tale procedura, non rientrante tra quelle con gara ad evidenza pubblica, in conformità con le norme e i principi generali di parità di trattamento, pubblicità e concorrenza posti dal Trattato comunitario;
   in particolare sono intervenute anche delle circolari governative che hanno evidenziato la violazione delle disposizioni comunitarie in merito alle procedure d'affidamento diretto, come quella riguardante l'ATO2 LAZIO;
   analogamente e con diversi rilievi, si è espressa più volte, anche l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ribadendo l'ambiguità della procedura di affidamento suesposta;
   attualmente non tutti i comuni dell'ambito territoriale in esame hanno formalmente deliberato l'affidamento del servizio idrico integrato all'ACEA ATO2 SPA, tra questi i comuni di Anguillara Sabazia, Bracciano, e altri, i quali sono intenzionati a non dare seguito al completamento del passaggio del servizio al gestore unico;
   più volte è stato richiesto ai comuni su menzionati di completare il passaggio del servizio idrico al gestore unico sia da parte del CAL (Consiglio autonomie locali), sia da parte degli uffici della regione Lazio ma anche dalla STO di ATO2;
   più volte i sindaci dei comuni suddetti hanno provveduto a negare il consenso del passaggio dei servizio idrico al gestore unico;
   molteplici sono i disagi cui sarebbero sottoposti gli utenti del servizio idrico dei comuni suddetti in caso di passaggio dello stesso al gestore unico ACEA ATO2, non per responsabilità diretta di quest'ultimo, ma per l'inequivocabile ed oggettiva difficoltà ad erogare un servizio con i medesimi livelli qualitativi oggi assicurati dalla gestione locale attuata dai comuni o loro controllate locali;
   il 12 e 13 giugno 2011 il referendum plebiscitario sull'acqua pubblica ha di fatto sancito la volontà, come mai prima, da parte dei cittadini a voler «mantenere pubblico il servizio idrico» con il 95,80 per cento di SI;
   evidente è la manifestazione e la volontà della democrazia diretta che nega con veemenza – si veda il risultato referendario – il proseguimento del processo di trasferimento del servizio idrico ad un soggetto di fatto privato;
   è noto il procedimento di approvazione della legge di iniziativa popolare n. 31 «Tutela, governo e gestione pubblica delle acque» in corso alla regione Lazio;
   elevati sarebbero gli aumenti di prezzo cui sarebbero soggetti i cittadini residenti nei comuni suddetti in caso di passaggio del servizio al gestore unico;
   elevati sarebbero quindi i disagi economici cui dovrebbero far fronte i cittadini in un momento storico-economico particolarmente difficile che richiede decisioni giuste –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative normative, con il coinvolgimento delle regioni e degli enti locali, per dare attuazione alla volontà espressa con la consultazione referendaria, facendo altresì in modo che si pervenga alla sospensione delle procedure previste dalla riforma della gestione dei servizi idrici locali.
(4-03061)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa alle possibili criticità dell'affidamento diretto del servizio idrico integrato nell'ambito territoriale ottimale 2 – Lazio centrale – Roma ad ACEA ATO 2 s.p.a., sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Attualmente è in corso un processo di riorganizzazione del servizio idrico integrato (di seguito anche SII) avviato con l'emanazione del decreto-legge 11 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto decreto «Sblocca Italia»), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 che mira ad assicurare una governance del servizio idrico in grado di attuare efficacemente il controllo e la vigilanza sulle gestioni e garantirne la trasparenza.
  Al fine di accelerare e portare a compimento la riorganizzazione del SII, è previsto il rafforzamento del dovere di provvedere tempestivamente, con l'introduzione della responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile per l'autore del comportamento omissivo e con l'attribuzione del potere sostitutivo al Governo o alle regioni di fronte all'inerzia dell'amministrazione competente.
  Lo «Sblocca Italia», infatti, prevede la gestione unica del servizio e l'esercizio dei poteri sostitutivi, nel rispetto del principio di sussidiarietà:
   dello Stato nei confronti delle regioni che non avessero provveduto alla data del 31 dicembre 2014 ad identificare i nuovi enti di governo d'ambito (articolo 7, comma 1, lettera b)) che ha modificato l'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006). L'istruttoria per l'esercizio dei poteri sostitutivi è in corso ed è stata avviata con determine della Presidenza del Consiglio dei ministri in data 14 maggio 2015 nei confronti delle regioni Calabria, Sicilia, Campania e Molise. Le regioni stanno provvedendo ad adeguarsi alle nuove disposizioni normative;
   delle regioni nei confronti degli enti locali che non aderiscano all'Ente di Governo d'ambito o non provvedano al trasferimento delle infrastrutture al gestore unico. Laddove la regione non provveda, dovrà essere l'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (Aeegsi), a segnalare l'inadempienza al Governo affinché questi possa esercitare i poteri sostitutivi.

  Per quanto riguarda la materia degli affidamenti, anche a seguito degli esiti referendari, per meglio comprendere il nuovo assetto regolatorio definito dal legislatore nazionale con il decreto "Sblocca Italia», si ritiene necessario formulare alcune brevi precisazioni.
  In premessa, è opportuno ricordare come, secondo la sentenza n. 325 del 2010, della Corte costituzionale, un servizio va considerato di rilevanza economica a condizione «che l'immissione del servigio possa avvenire in un mercato anche solo potenziale, nel senso che, per l'applicazione dell'articolo 23-bis, è condizione sufficiente che il gestore possa immettersi in un mercato ancora non esistente, ma che abbia effettive possibilità di aprirsi e di accogliere, perciò, operatori che agiscano secondo criteri di economicità» e che «l'esercizio dell'attività avvenga con metodo economico, nel senso che essa, considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della copertura, in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti pubblici)».
  Nelle sentenze n. 246 del 2009 e n. 325 del 2010 la Corte costituzionale precisa, in particolare, che la competenza legislativa dello Stato sul servizio idrico, nella misura in cui è riconducibile alla tutela della concorrenza, prevale su quella regionale, e in particolare, su quella relativa ai servizi pubblici locali. Per quel che qui interessa, con la sentenza 325 del 2010 relativamente al servizio idrico integrato, la Corte afferma che «il legislatore statale, in coerenza con la menzionata (...) comunitaria e sull'incontestabile presupposto che il servigio idrico integrato si inserisce in uno specifico e peculiare mercato (come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 246 del 2009), ha correttamente qualificato tale servigio come di rilevanza economica, conseguentemente escludendo ogni potere degli enti infrastatuali di pervenire ad una diversa qualificazione». La rilevanza economica del servizio ne implica l'assoggettabilità alle regole della concorrenza nel rispetto degli articoli 14 e 106 del trattato di funzionamento dell'Unione europea, nonché ai precetti individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
  Al riguardo occorre altresì considerare gli esiti della consultazione referendaria del 12 e 13 giugno 2011.
  Il referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 riguardava 2 quesiti.
  Il primo quesito aveva ad oggetto l'abrogazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica di cui all'articolo 23-bis del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, che nell'eliminare l'alternatività tra le diverse forme di gestione, di cui all'ex articolo 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (che lo stesso articolo 23-bis aveva sostituito), prevedeva che l'affidamento diretto (ovvero in house providing) costituisse una deroga possibile solo quando le particolari caratteristiche economiche, sociali, ambientali, e geomorfologiche del contesto territoriale non consentivano un efficace ricorso alle procedure ordinarie ad evidenza pubblica.
  Il secondo quesito referendario, invece, chiedeva l'abrogazione del comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, limitatamente alla parte che prevedeva che la tariffa idrica garantisse un'adeguata remunerazione del capitale investito da parte del gestore.
  All'esito di tali consultazioni referendarie si è giunti innanzi tutto all'abrogazione dell'intero articolo 23-bis. Il legislatore ha tuttavia introdotto successivamente l'articolo 4 del decreto-legge n. 138 del 2011, che ha ripreso in larga parte la disciplina abrogata per via referendaria, sollevando dubbi di legittimità costituzionale confermati dalla successiva declaratoria di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale nella sentenza n. 199 del 2012.
  L'esito positivo della seconda consultazione referendaria ha invece prodotto l'abrogazione del comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, limitatamente alla parte che prevedeva che la tariffa idrica garantisse un'adeguata remunerazione del capitale investito da parte del gestore. Tale abrogazione non ha fatto comunque venire meno il principio europeo del full recovery cost, in base al quale la tariffa del servizio idrico deve tendere alla copertura dei costi. Gli stessi giudici costituzionali, nella sentenza in cui hanno dichiarato ammissibile il quesito referendario (sentenza n. 24 del 2010) hanno riconosciuto il carattere coessenziale della copertura dei costi, d'altronde enunciato chiaramente dalla stessa lettera del comma 1 dell'articolo 154, così come risultante dagli esiti referendari, ove si parla di «copertura integrale dei costi di investimento e di esercito secondo il principio del recupero dei costi».
  In tema è poi intervenuto il decreto-legge. n. 133 del 2014 (cosiddetto Sblocca Italia). Con l'articolo 7, comma 1, lettera d), di tale atto normativo si è provveduto ad introdurre l'articolo 149-bis nel decreto legislativo 152/2006 che, nel disciplinare l'affidamento del servizio nel rispetto del piano d'ambito di cui all'articolo 149 del decreto legislativo» 152 del 2006 e del principio di unicità della gestione, rimanda all'ordinamento europeo relativamente alla forma di gestione, ovvero all'affidamento in houseproviding al ricorrere dei rigorosi presupposti imposti dalla disciplina comunitaria e consolidati dalla nutrita giurisprudenza europea sul punto («controllo analogo», «prevalenza dell'attività» e «partecipazione pubblica»).
  Inoltre, il legislatore nazionale ha ritenuto necessario che il SII sia organizzato per ambiti territoriali ottimali (ATO). L'aggregazione degli enti locali negli ATO, sancita con la legge n. 36 del 1994 prima e con il decreto legislativo n. 152 del 2006 dopo, aveva ed ha lo scopo fondamentale di consentire il superamento delle frammentazioni gestionali e conseguire livelli efficienti, efficaci ed economici del servizio idrico integrato, degli assetti produttivi e infrastrutturali a vantaggio dell'utenza e della qualità del servizio; in tale settore sussistono infatti le condizioni che favoriscono situazioni di monopolio naturale che solo il ricorso ad un unico soggetto gestore può permettere di sfruttare.
  Non è pertanto consentita la gestione diretta del servizio idrico integrato da parte dei singoli comuni. Il ruolo degli enti locali rimane tuttavia centrale nell'organizzazione del SII e nelle scelte strategiche di pianificazione e programmazione degli interventi. Gli enti locali aggregati nell'ente di governo d'ambito hanno il compito di approntare ed approvare il piano d'ambito di cui all'articolo 149 del decreto legislativo 152 del 2006. Il piano d'ambito è il presupposto necessario per la procedura di affidamento e rappresenta l'oggetto dell'affidamento stesso. Infatti, nel piano d'ambito si sostanziano le scelte strategiche, di pianificazione e programmazione degli interventi, la forma gestionale ed il piano economico e finanziario. Per una migliore regolazione, controllo e vigilanza da parte dell'ente finalizzata in maniera particolare al controllo degli appalti e alla conseguente realizzazione degli investimenti, nello «Sblocca Italia» il legislatore ha stabilito che «al fine di ottenere un'offerta più conveniente e completa e di evitare contenziosi tra i soggetti interessati, le procedure di gara per l'affidamento del servizio includono appositi capitolati con la puntuale indicazione delle opere che il gestore incaricato deve realizzare durante la gestione del servizio» (articolo 149-bis, comma 2-bis, del decreto legislativo n. 152 del 2006, così come introdotto dal decreto-legge n. 133 del 2014).
  Inoltre, a tutela della concorrenza e dei consumatori, la regolazione ed il controllo del settore è in capo all'autorità per l'energia elettrica il gas ed il sistema idrico (di seguito Aeegsi) a cui spetta, ai sensi dell'articolo 1 della legge istitutiva n. 481 del 1995, la funzione di «garantire la promozione della concorrenza e dell'efficienza nel settore dei servizi di pubblica utilità, assicurandone la fruibilità e la diffusione in modo omogeneo sull'intero territorio nazionale, definendo un sistema tariffario certo, trasparente e basato su criteri predefiniti, promuovendo la tutela degli interessi di utenti e consumatori».
  In particolare, Aeegsi ha il compito di disciplinare una metodologia tariffaria omogenea a livello nazionale e di verificare la corretta redazione del Piano d'ambito; di approvare le tariffe proposte dal soggetto competente sulla base del Piano d'ambito; di adottare direttive per la trasparenza della contabilità e per la separazione contabile e amministrativa dei gestori del S.I.I., nonché la rendicontazione periodica dei dati gestionali, al fine di individuare i più efficaci strumenti regolatori che possano consentire di allineare il sistema infrastrutturale nazionale agli standard definiti in ambito europeo e agli obiettivi di qualità ambientale e della risorsa previsti sul territorio.
  L'innovativo approccio alla regolazione consentirà di esplicitare la relazione tra gli obiettivi identificati, la selezione degli interventi necessari al loro raggiungimento e che saranno coperti dalla tariffa e i risultati attesi del miglioramento di efficienza degli operatori. Contestualmente, l'Aeegsi prefigura la possibilità di prevedere schemi regolatori adottabili, anche a livello territoriale, da parte degli enti d'ambito, o dagli altri soggetti competenti alla predisposizione tariffaria, in funzione degli obiettivi specifici dai medesimi prefissati.
  Ad ogni modo, questo Ministero monitora costantemente l'impatto regolatorio delle normative di settore, anche al fine di superare le criticità operative che dovessero emergere e valutare possibili revisioni della disciplina.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il 20 marzo 2015 il Ministro interrogato annunciava mediante un comunicato stampa la nascita del gruppo di lavoro sul contrasto al finanziamento dell'ISIL (GCFI);
   il comunicato citava testualmente «... 19 e 20 marzo, Italia, Stati Uniti e Arabia Saudita hanno co-presieduto presso il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale la prima riunione del Gruppo di Lavoro sul Contrasto al Finanziamento dell'ISIL (GCFI). I rappresentati di 26 Paesi e organizzazioni internazionali si sono riuniti alla Farnesina per analizzare i flussi di finanziamento dell'ISIL, condividere le fonti di intelligence e coordinare i loro sforzi per contrastare le attività finanziarie ed economiche dell'organizzazione terroristica. Al termine dei lavori, è stato adottato un Piano d'Azione»;
   tra gli obiettivi del gruppo di lavoro si sottolineano: prevenire l'utilizzo da parte dell'Isis del sistema finanziario internazionale, contrastare l'attività estorsiva dell'Isis e lo sfruttamento di asset economici e risorse come il petrolio, prodotti agricoli, beni archeologici, depositi bancari che si trovano o transitano nel territorio del Daesh, interrompere il flusso di fondi provenienti dall'estero, inclusi quelli delle donazioni esterne, combattenti stranieri o derivanti da rapimenti a scopo estorsivo;
   oltre alle co-presidenze affidate all'Italia e all'Arabia Saudita, rientrano nel gruppo di lavoro anche gli Stati Uniti (anch'essi co-presidenti), l'Australia, il Bahrain, la Bulgaria, il Canada, la Danimarca, la Francia, la Georgia, la Germania, l'Iraq, il Giappone, la Giordania, il Kuwait, la Lettonia, il Libano, i Paesi Bassi, la Nuova Zelanda, il Panama, il Qatar, la Spagna, la Turchia, gli Emirati Arabi Uniti, il Regno Unito, l'Unione europea e il Financial Action Task Force (FATF);
   il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha anche specificato che il gruppo di lavoro si sarebbe riunito regolarmente a partire dalla riunione annunciata in Arabia Saudita nella prima metà di maggio 2015; peraltro, in riferimento a quest'ultima riunione, non si è riscontrato nessun comunicato ufficiale da parte del Ministero;
   il 26 novembre 2015, il Ministro Paolo Gentiloni, intervenendo al question time alla Camera dei deputati, in risposta alle critiche sulla presenza degli stessi i finanziatori dell'Isis tra i Paesi del gruppo di lavoro come l'Arabia Saudita, ha confermato la necessità che l'alleanza contro l'Isis sia la più ampia possibile: «Quello che non possiamo immaginare è che la coalizione sia solo un gruppo di Paesi iper-omogenei... Ciò non vuol dire non avere una posizione» su determinate questioni, ad esempio non significa «non difendere il diritto dei curdi, che sono in prima linea e che noi armiamo, addestriamo e difendiamo»;
   a distanza di un anno dalla prima riunione, quindi, non sono stati resi noti i lavori portati avanti dal GCFI –:
   quali risultati abbia ottenuto il gruppo di lavoro (GCFI), quali aggiornamenti si siano nel frattempo verificati e secondo quale modalità il Governo intenda comunicarli. (4-12500)

  Risposta. — La riunione del gruppo di lavoro sul contrasto al finanziamento dell'ISIL, o Counter-iSIL finance group (Cifg), tenutasi alla Farnesina il 19 e 20 marzo 2015 ha segnato il primo passo del percorso intrapreso da 37 dei 66 Stati membri della coalizione internazionale contro Daesh per approfondire la conoscenza delle fonti e dei metodi di finanziamento utilizzati dal sedicente stato islamico. In tale occasione l'Italia, in qualità di co-presidente del Cifg insieme a Stati Uniti e Arabia Saudita, ha elaborato e proposto l'adozione di un Piano d'Azione, approvato da tutti i partecipanti, che ha definito le linee strategiche che il Gruppo sta perseguendo in maniera coordinata al fine di compromettere la capacità di Daesh di generare risorse finanziarie e di ricevere e trasferire fondi e, in definitiva, di sostenersi finanziariamente.
  Dopo Roma, il CIFG è tornato a riunirsi prima a Gedda, il 7 maggio 2015, e poi a Washington, il 6 e 7 ottobre successivi. Il contributo analitico fornito dagli Stati membri nel corso dell'ultimo anno ha consentito di approfondire la comune conoscenza delle fonti e dei metodi di finanziamento di Daesh, favorendo in tal modo l'elaborazione e l'adozione di appropriate contromisure.
  Oggi sappiamo che nel 2015 ISIL ha accumulato un bilancio di circa 1.2/1.3 miliardi di dollari attraverso quattro principali fonti di finanziamento: il saccheggio delle riserve degli istituti di credito situati nei territori sotto il suo controllo (attualmente in via di esaurimento); il contrabbando di greggio e di altre risorse naturali; l'imposizione di tasse e l'estorsione a danno delle popolazioni soggette al suo regime; il traffico di reperti archeologici.
  Il Cifg è pertanto intervenuto al fine di bloccare tali canali, isolando in particolare il sistema finanziario internazionale di tutte le filiali ancora presenti nei territori occupati e indirizzando l'azione militare sul campo della coalizione verso obiettivi economici e finanziari strategici, quali siti di estrazione e raffinazione di petrolio e gas naturale e centri di raccolta della liquidità. Inoltre, sono state imposte nuove e mirate sanzioni economiche e finanziarie ed è stata rafforzata la cooperazione internazionale in materia di contrasto al finanziamento del terrorismo e antiriciclaggio.
  Con riferimento al traffico illecito di reperti archeologici, su iniziativa italiana è stata avviata un'azione congiunta con le Nazioni Unite e con l'Unesco volta a prevenire e contrastare il trafugamento di tali beni, la quale prevede, da un lato, la necessaria assistenza tecnica alle autorità locali e, dall'altro, un'efficace azione di contrasto sul lato della domanda nei mercati di sbocco dei beni. L'Italia ha inoltre promosso la Risoluzione, adottata all'unanimità dalla 38o Conferenza Generale dell'Unesco a Parigi il 18 novembre 2015, che prevede l'istituzione dei cosiddetti «Caschi blu della cultura», ovvero una forza internazionale da mobilitare per interventi di urgenza a tutela del patrimonio culturale a rischio nelle aree di crisi. Al fine di dare seguito concreto alla Risoluzione, il 16 febbraio scorso è stato firmato un «Memorandum of Understanding» con l'Unesco per l'istituzione della Task-Force italiana, che fungerà da modello di riferimento anche per gli altri Stati membri.
  Le azioni intraprese rispetto ai vari canali di approvvigionamento stanno avendo gli effetti desiderati e nel corso degli ultimi mesi si è osservata una sensibile riduzione della capacità finanziaria di Daesh, in particolare per quanto concerne i fondi derivanti dal contrabbando di petrolio e di altre risorse naturali (che hanno registrato una diminuzione di circa il 30 per cento da novembre 2015 a gennaio 2016). La crescente difficoltà di ISIL di reperire i finanziamenti di cui necessita è stata di recente confermata dalla decisione del Bayt-al-Mal – il «ministero del tesoro» di Daesh – di aumentare il livello di imposizione locale e dimezzare i salari dei propri combattenti. Quest'ultimo dato non deve essere sottovalutato, in particolare ove si consideri che le paghe assicurate ai propri adepti costituiscono uno dei più rilevanti incentivi sui quali ha fatto leva ISIL per rimpinguare le proprie fila.
  Al di là dei singoli provvedimenti adattati e dei risultati finora ottenuti, è importante sottolineare che il Cifg è innanzitutto un efficace strumento per favorire la convergenza delle legislazioni nazionali dei Paesi membri verso i più progrediti standard internazionali in materia di contrasto al finanziamento del terrorismo – come quelli elaborati in seno al Financial action task force (FATF) – e per incentivare un più attivo coinvolgimento dei partner regionali. Quest'ultimo aspetto è cruciale. La membership del CIFG include infatti 13 paesi dell'area del Mediterraneo e Medio Oriente: Arabia Saudita, Bahrain, Cipro, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Giordania, Iraq, Kuwait, Libano, Marocco, Qatar, Tunisia, Turchia.
  Si è sin qui soddisfatti del contributo offerto da ciascuno di questi Paesi. Basti citare, a titolo di esempio, il recente provvedimento della Banca centrale irachena con il quale è stata congelata l'operatività di 142 entità finanziarie sfruttate da ISIL come salvacondotto per alimentare i propri traffici, o il ruolo di primo piano svolto dal Libano nel contrasto ai flussi finanziari transfrontalieri illegali verso l'intera regione. Allo stesso tempo, c’è consapevolezza del fatto che ci siano ancora ampi margini di miglioramento nello sforzo teso a contrastare il finanziamento di Daesh.
  L'Italia continuerà pertanto a lavorare insieme con tutti i componenti del Cifg e della coalizione, sul presupposto che, per portare a termine con successo la lotta contro il finanziamento di ISIL e dei gruppi ad esso affiliati, sia necessario proseguire secondo un approccio inclusivo e integrato che coinvolga tutti gli attori più rilevanti, in primis i Paesi dell'area più direttamente colpita da Daesh.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   GALLINELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il soggetto gestore dell'Area naturale protetta regionale Parco fluviale del Nera (ex consorzio del Parco fluviale del Nera, attualmente, comunità montana Valnerina), ha realizzato, in località Casteldilago di Arrone (TERNI), un impianto di «Fertirrigazione Confinata e Controllata (FCC)» per il trattamento delle acque di vegetazione (AV) provenienti dalla molitura delle olive, grazie al finanziamento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   l'impianto sta operando, dall'anno 2007, in regime di sperimentazione con autorizzazione ad hoc rilasciata, di anno in anno, dalla Regione dell'Umbria;
   il processo di Fertirrigazione Confinata e Controllata si configura come una utilizzazione agronomica delle AV non come un trattamento rifiuti, in quanto mira all'uso delle sostanze nutritive in esse presenti ed al loro utilizzo fertirriguo per l'accrescimento della piantagione di pioppi ed in definitiva per la produzione di biomassa lignocellulosica;
   il refluo oleario è considerato, dalla vigente normativa, un rifiuto se non utilizzato a fini agronomici e la tecnologia alla base dell'impianto, brevettata in sede europea da Isrim, consente un utilizzo agronomico del refluo oleario, ma con un metodo innovativo rispetto alla normativa vigente: il refluo oleario immesso nell'impianto non viene trattato o depurato e poi «reimmesso» nell'ambiente o in fognatura ma viene utilizzato, all'interno dell'impianto stesso, per irrigare al livello sub superficiale gli apparati radicali dei pioppi sovrastanti, con conseguente assorbimento del refluo e produzione di biomassa che, a sua volta, potrà essere avviata alla cippatura e quindi utilizzata come combustibile da fonte rinnovabile;
   per massimizzare i conferimenti del refluo da parte dei piccoli frantoi artigianali operanti nell'area del Parco fluviale del Nera, con indubbi vantaggi ambientali in termini di riduzione degli spargimenti, è necessario facilitare le procedure amministrative inerenti la gestione dell'impianto, sottraendolo alla normativa sulla gestione dei rifiuti ed ai costi di gestione relativi;
   una regolamentazione di regime dell'impianto basata su quanto già stabilito in sede di sperimentazione, (D.G. della regione Umbria n. 1656 del 15 ottobre del 2007), andrebbe esattamente nella direzione della valorizzazione dell'investimento pubblico e dei vantaggi ambientali sopra esposti;
   il corretto riconoscimento normativo di tale tecnologia potrebbe avere ricadute positive non solo per la tutela dell'ambiente ma anche per lo sviluppo economico;
   il Parco fluviale del Nara ha richiesto al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di pronunciarsi su tale problematica sin dall'anno 2011, senza aver ricevuto ancora risposta –:
   come, in base a quanto chiaramente esposto in premessa, il Ministro interrogato, definisca l'impianto di fertirrigazione del Parco del Nera, ossia se esso sia inquadrato come un impianto di smaltimento di rifiuti oppure, come tutta la sperimentazione attuata dimostra, un impianto con fine agronomico delle acque di vegetazione;
   se ritenga che le acque di vegetazione immesse in tale impianto di Fertirrigazione Confinata e Controllata siano da considerarsi rifiuti o, come dimostra il caso in oggetto, degli ammendanti;
   se intenda provvedere, rapidamente, a predisporre gli strumenti, anche normativi, necessari a riconoscere la tecnologia innovativa sopra descritta, consentendo alla Regione dell'Umbria di poter terminare la fase di sperimentazione e di regolamentare correttamente la fase di gestione di regime dell'impianto in oggetto, sottraendolo, nel caso, alla normativa degli impianti di gestione dei rifiuti. (4-07709)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa all'impianto sperimentale di «fertirrigazione confinata e controllata» per il trattamento delle acque di vegetazione provenienti dalla molitura delle olive, in funzione dal 2007 in località Casteldilago di Arrone, provincia di Terni, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Occorre premettere che la pratica dell'utilizzazione agronomica attraverso il conferimento in impianti confinati di fertirrigazione è stata valutata dal Ministero dell'ambiente nell'ambito del «Programma stralcio di tutela ambientale» di cui al decreto ministeriale n. 1183 del 14 marzo 2005. Nella riunione del 14 luglio 2006 questo Ministero ha esaminato il progetto di «piattaforma di fertirrigazione confinata a mezzo di refluo oleario» presentato dalla comunità montana della Valnerina ed ha concluso che: «L'analisi della documentazione porta a concludere che l'impianto ipotizzato soddisfi l'obiettivo di trattamento dei reflui oleari e fornisca garanzie sulla degradazione delle sostanze inquinanti; non si rilevano, inoltre, impatti significativi sulle matrici ambientali interessate».
  In secondo luogo bisogna evidenziare che rimpianto in questione è un impianto innovativo, coperto da brevetto internazionale, che non ha eguali sul territorio nazionale. Esso non può essere considerato come un impianto di trattamento rifiuti né tantomeno come un impianto di trattamento di acque reflue né come semplice spandimento di reflui oleari in agricoltura.
  È proprio la specificità dell'impianto in questione a determinare la difficoltà di ricondurlo ad ognuna delle fattispecie sopra indicate.
  L'impianto in questione, infatti, non può essere considerato come un impianto di trattamento dei rifiuti in quanto lo stesso non produce rifiuti in uscita. Per lo stesso motivo, oltre che per la mancanza di un refluo collegato stabilmente alla rete fognaria, esso non può essere considerato un impianto di trattamento delle acque. Quanto alla possibilità di considerarlo come un impianto di smaltimento di rifiuti non si può ignorare il ruolo utile che le acque di vegetazione assolvono nel funzionamento dell'impianto. Inoltre non può neanche trattarsi di uno spandimento di reflui oleari in agricoltura al fine del loro utilizzo irriguo o fertirriguo, fattispecie regolata dalla legge 574 del 96 e dal decreto ministeriale 6 luglio 2005, in quanto i reflui non vengono applicati al terreno ma immessi in apposite vasche impermeabilizzate in quantità eccedenti il limite stabilito per lo spandimento.
  L'impianto in questione nasce proprio per risolvere i rischi di inquinamento ambientale legati allo spandimento agricolo dei reflui oleari che, se non effettuato correttamente, rispettando una giusta distanza dai corsi d'acqua e verificando la profondità della falda acquifera, può determinare fenomeni di inquinamento delle acque superficiali e sotterranee.
  Sebbene l'impianto in questione risolva i rischi di inquinamento, mediante immissione in impianti controllati di fertirrigazione, non trattandosi di una mera operazione di spandimento in agricoltura non può beneficiare delle agevolazioni stabilite nei predetti atti normativi.
  Lo stesso refluo oleario, le acque di vegetazione, che vengono applicate al terreno non devono sottostare alla normativa del trasporto dei rifiuti mentre non possono essere esentate nel caso del trasporto all'impianto in questione.
  Al fine di risolvere le predette incongruenze la competente direzione del Ministero dell'ambiente ha incontrato la regione Umbria in una riunione nel corso del quale si è ritenuto tecnicamente opportuno prevedere una specifica disciplina sull'utilizzo agronomico delle acque di vegetazione negli impianti di fertirrigazione. Si ritiene, infatti, che l'utilizzo agronomico dei reflui oleari in impianti di fertirrigazione controllata possa essere equiparato, tramite la modifica alla legge 574 del 1996, alla utilizzazione agronomica mediante spandimento su terreni agricoli, essendo i rischi ambientali connessi minori nel caso della fertirrigazione rispetto allo spandimento su terreno agricolo.
  Ad ogni modo, allo stato, si ritiene che il trasporto delle acque di vegetazione all'impianto di fertirrigazione controllata può essere effettuato ricorrendo alle disposizioni dell'articolo 184-bis del decreto legislativo 152 del 2006,
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato svolgendo un'attività di monitoraggio ed impulso volto alla definizione degli aspetti richiamati.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GINATO, SBROLLINI e CRIMÌ. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 maggio 2013 la regione Veneto e nello specifico numerosi comuni della provincia di Vicenza, tra i quali il comune capoluogo stesso, i comuni di Altavilla, Arcugnano, Brogliano, Cornedo, Montorso, Nanto, Trissino sono stati interessati da una nuova alluvione che ha colpito con precipitazioni eccezionali territori già piegati nel 2010 da una catastrofe di dimensioni certamente maggiori quanto a estensione ma altrettanto grave dal punto di vista della avversità atmosferica;
   sono numerose le strade chiuse per frana, tra le quali la strada provinciale Fimon in comune di Arcugnano, la strada provinciale Ulivi in comune di Nanto, la strada provinciale Montorsina in comune di Montorso, la strada comunale per la contrada Gobbi Bassi dove quattro famiglie sono rimaste isolate. Ci sono state frane anche nei comuni di Trissino, Recoaro Terme e Brogliano. Si tratta di una situazione grave nel quadro della quale la provincia, i vigili del fuoco e venti squadre di protezione civile hanno affiancato i volontari dei comuni maggiormente colpiti per scongiurare un'esondazione piena ma che ha comunque registrato allagamenti in alcune aree del territorio e ingenti danni ad edifici, infrastrutture, attività produttive e all'agricoltura;
   alla luce di questo ulteriore evento critico, la messa in sicurezza dell'area vicentina, che poggia sulla realizzazione dei bacini di laminazione a Caldogno e Trissino, deve avere una quantomai opportuna accelerazione (come definito dal piano straordinario di mitigazione della regione) –:
   se siano al corrente di quanto sopra esposto; se intendano assumere ogni iniziativa di competenza, anche per il tramite della competente autorità di bacino, per garantire con urgenza la messa in sicurezza dei territori vicentini e veneti colpiti nuovamente da tali emergenze, in risposta alle numerose richieste di aiuto da parte dei sindaci stretti tra i vincoli del patto di stabilità, e per agevolare la realizzazione di opere necessarie, quali i bacini di laminazione. (4-00759)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'evento alluvionale che in data 16 maggio 2013 ha interessato la regione Veneto e nello specifico numerosi comuni della provincia di Vicenza, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali e dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il Piano è stato definito, nel corso del 2014-2015, dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente in collaborazione con Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). L'insieme degli interventi localizzati sull'intero territorio nazionale raggiungono un importo pari a circa 20,3 miliardi di euro che rappresenta, pertanto, il fabbisogno complessivo del periodo 2014-2020. Si evidenzia che, rispetto a tale importo, quello relativo alle richieste validate dalle regioni nei sistema ReNDiS ammonta a circa a 17,5 miliardi di euro.
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del Piano Operativo Nazionale, un Piano Stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio idrogeologico, con un costo di circa 1.389 milioni di euro.
  Al fine di assicurare il rapido avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico e tempestivamente cantierabili per livello di progettazione, ricompresi nel suddetto piano stralcio, la delibera Cipe n. 32/2015 ha assegnato al Ministero dell'ambiente l'importo di 450 milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione afferenti alla programmazione 2014-2020.
  Per la medesima finalità sono inoltre state individuate risorse disponibili a legislazione vigente pari a 150 milioni di euro, di cui 40 milioni di euro costituite da risorse del Ministero dell'ambiente a valere sulle disponibilità recate dall'articolo 1, comma 111, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) e la restante quota di 110 milioni di euro a carico delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione 2007-2013 di cui all'articolo 7, comma 8, del decreto-legge n.133 del 12 settembre 2014 cosiddetto «sblocca italia».
  A questi si devono aggiungere, nel biennio 2015-1016, ulteriori 56 milioni di euro circa che il Ministero dell'ambiente ha disposto di destinare al fine di incrementare la copertura del piano stralcio citato, in considerazione della rilevanza e dell'urgenza degli interventi in esso previsti.
  Il piano stralcio risulta composto di una sezione attuativa di complessivi 33 interventi, nella quale sono riportati gli interventi da realizzare nell'immediato per un importo finanziato dallo Stato di oltre 656 milioni di euro, e di una sezione programmatica di complessivi 99 interventi, che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno disponibili a tal fine.
  Nella suddetta sezione programmatica sono inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio idrogeologico.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente, che individua i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, in modo da garantire, ai sensi della normativa vigente in materia, la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  Non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, saranno individuati gli interventi che potranno essere ammessi a finanziamento secondo le modalità e in base ai criteri previsti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, tenendo conto in particolare delle priorità espresse dalle Regioni.
  La regione Veneto, relativamente al piano stralcio per le aree metropolitane, ha avanzato richiesta di finanziamento per quattro interventi caratterizzati da progettazione definitiva o esecutiva, localizzati nei comuni di Venezia e Padova, per un importo complessivo di euro 155.133.573,19.
  In relazione al piano nazionale 2014-2020, invece, si segnala che le richieste avanzate dalla regione Veneto ammontano, per la provincia di Vicenza, a euro 200.354.000,00 per un totale di ventitré interventi, e che la richiesta di finanziamento attinente al comune di Montorso Vicentino, già avanzata dalla stessa regione; sarà valutata secondo la procedura prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015 qualora risulteranno disponibili le necessarie risorse finanziarie.
  Inoltre, risultano già finanziate da questo Ministero opere di mitigazione del rischio idrogeologico nei comuni di:
   Arcugnano, con l'accordo di programma del 23 dicembre 2010 per un importo di euro 500.000,00;
   Comedo, con decreto ministeriale 11 luglio 2005 per un importo di euro 160.000,00;
   Nanto, con decreto ministeriale 10 novembre 2008 per un importo di euro 400.000,00;
   Trissino, con decreto ministeriale 10 novembre 2008 per un importo di euro 4.254.380,00.

  Con riferimento ai vincoli imposti dal patto di stabilità, si segnalano, infine, alcune novità previste dalla legge di stabilità 2016 articolo 1, comma 707, della legge n. 208 del 2015).
  In particolare, si ricorda che a decorrete dall'anno 2016 cessano di avere applicazione le disposizioni concernenti la disciplina del patto di stabilità interno degli enti locali. Viene tuttavia imposto agli enti il pareggio di bilancio nel solo saldo finale di competenza. Pertanto, dal 2016, gli enti locali devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali Inoltre, per l'anno 2016, ai fini del pareggio del bilancio, non sono considerate le spese sostenute dagli enti locali per interventi di edilizia scolastica (comma 713) e per interventi di bonifica ambientale (comma 716), conseguenti ad attività minerarie, effettuati mediante utilizzo di avanzo di amministrazione e con assunzione di mutui. Riguardo agli interventi di bonifica ambientale, secondo quanto previsto dal citato comma 716, l'esclusione opera nel limite massimo di 20 milioni di euro.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero continuerà a tenersi informato attraverso gli Enti territoriali e i soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GRANDE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nel rapporto pubblicato dall'osservatorio ambientale di Civitavecchia per l'anno 2013 si riscontrano forti criticità rispetto ad alcuni fattori monitorati;
   il testo specifica che «le principali variazioni rilevate dal confronto del quadriennio riguardano l'arsenico, per tutti e tre gli organismi (sentinella), helix aspersa, aphanius fasciatus e paracentrotus lividus, ed il cromo principalmente per aphanius fasciatus. Nella campagna 2013 inoltre, è stato registrato un notevole incremento dei livelli di piombo per tutti gli organismi sentinella e sono state rilevate, per la prima volta, tracce di mercurio»;
   lo stesso documento afferma che «per l'arsenico si registra un sensibile incremento focalizzato in modo particolare negli ultimi due anni di indagine (2012 e 2013) generalizzato su tutti gli organismi sentinella»;
   nelle conclusioni si legge che «le maggiori alterazioni hanno riguardato i livelli di cromo, di arsenico e per l'anno 2013 di piombo» e si «suggerisce di prestare attenzione anche ai materiali particellari (PM 10 e PM 2,5)»;
   il materiale particellare «(...) è anche direttamente emesso da impianti industriali, traffico automobilistico, riscaldamento domestico, ecc. ne consegue che l'attivazione d'interventi di riduzione dell'inquinamento richieda la conoscenza delle condizioni meteorologiche, della concentrazione in aria dei precursori e, per il materiale particellare, delle sorgenti che lo immettono direttamente in aria»;
   l'osservatorio ambientale ammette che «In mancanza di una rilevazione dei microinquinanti da parte dell'osservatorio, il rapporto fa indicativamente riferimento ad una rilevazione che l'ENEL produce annualmente in ottemperanza di una prescrizione del decreto di autorizzazione della riconversione a carbone della centrale termoelettrica di Torrevaldaliga nord» e che «le rilevazioni 2013 evidenziano il contributo dell'attività portuale e del riscaldamento domestico (...) ma non riescono a quantificare o ad escludere quelli della centrale Torrevaldaliga nord, dell'area portuale e del traffico sulle concentrazioni di PM 10 e PM 2.5 rilevate a San gordiano ed a Faro» –:
   se ritenga sussistenti i presupposti per assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a sviluppare un monitoraggio più ampio ed esaustivo degli agenti inquinanti sul territorio di Civitavecchia, monitoraggio che faccia riferimento a dati raccolti da soggetti terzi e indipendenti, posto che Enel, in qualità di soggetto monitorato, risulta essere in patente conflitto di interessi rispetto alla produzione dei rapporti all'osservatorio. (4-06389)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla centrale termoelettrica dell'Enel di Torrevaldaliga Nord, sulla base degli elementi acquisiti dalla direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente si rappresenta che spetta ai soggetti proponenti delle opere l'adozione delle misure indicate nel quadro prescrittivo dei decreti di compatibilità ambientale. Tali soggetti si assumono quindi la responsabilità sulla correttezza ed adeguatezza degli adempimenti posti in essere al fine di ottemperare detto quadro prescrittivo. Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare provvede comunque ad una verifica dell'ottemperanza delle prescrizioni. A tal fine, la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via e Vas conduce un'accurata istruttoria tecnica per verificare il rispetto delle disposizioni previste nei provvedimenti di compatibilità ambientale e la congruenza dei dati e delle informazioni prodotte. Se del caso o quando previsto dalle prescrizioni medesime, le verifiche degli adempimenti prescrittivi sono effettuate anche tramite l'Ispra o le Arpa competenti per territorio. Ad ogni modo, si sottolinea che la normativa prevede un sistema sanzionatorio nel caso di inadempienza delle disposizioni di cui al decreto Via.
  Si riporta in breve di seguito l'attività di controllo e verifica svolta dal Ministero dell'ambiente e della Tutela del Territorio e del mare in merito alle campagne di biomonitoraggio svolte dalla società Enel.
  Il progetto di conversione a carbone della centrale termoelettrica alimentata a olio combustibile ubicata nel comune di Civitavecchia, località Torrevaldaliga Nord, è stato sottoposto alla procedura di valutazione di impatto ambientale conclusasi con l'emanazione del decreto di compatibilità ambientale DEC/VIA/680 del 6 novembre 2003 dall'esito positivo subordinato al rispetto di specifiche prescrizioni; alcune di queste riguardavano la predisposizione da parte della Società di specifici progetti, tra cui un «piano relativo alle campagne di monitoraggio e biomonitoraggio della qualità dell'aria» da sottoporre all'approvazione di un comitato di controllo a tal fine istituito dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con decreto GAB/DEC/521 del 30 aprile 2004.
  Il comitato di controllo, come da verbale conclusivo delle attività istruttorie del 26 luglio 2007, ha valutato positivamente il piano relativo alle campagne annuali di monitoraggio e biomonitoraggio della qualità dell'aria articolato in due fasi temporali, una ante operam (prima dell'entrata in esercizio della centrale) e l'altra post operam (dopo l'entrata in esercizio della centrale).
  In sintesi il piano prevedeva:
   a) la costruzione di una rete di biomonitoraggio con (1) i licheni come bioindicatori, (2) i licheni come bioaccumulatori, (3) una specie arborea spontanea come bioaccumulatore fogliare, (4) una specie erbacea coltivata in vaso come bioaccumulatore, sostituita poi da moss bags (muschi acquatici bioaccumulatori), (5) una specie erbacea coltivata in vaso come bioindicatore di organo; (muschi acquatici bioaccumulatori), (5) una specie erbacea coltivata in vaso come bioindicatore di ozono;}
   b) una fase di monitoraggio ante operam previe campagne (1) con licheni come bioindicatori e bioaccumulatori un anno prima dell'entrata in esercizio della centrale, (2) con specie arborea come bioaccumulatore fogliare nei due anni precedenti all'entrata in esercizio della centrale, (3) con specie erbacea come bioaccumulatore, sostituita poi da moss bags e come bioindicatore di ozono nei due anni precedenti all'entrata in esercizio della centrale;
   c) una fase di monitoraggio post operam previe campagne (1) con i licheni (prima campagna) come bioindicatori e bioaccumulatori nel secondo anno dall'entrata in esercizio della centrale, (2) con i licheni (seconda campagna) come bioindicatori e bioaccumulatori nel quinto anno dall'entrata in esercizio della centrale, (3) con specie arborea spontanea come bioaccumulatore fogliare nei due anni successivi all'entrata in esercizio della centrale, (4) con specie erbacea come bioaccumulatore, sostituita poi da moss bags e come bioindicatore di ozono nei due anni successivi all'entrata in esercizio della centrale.

  In aggiunta alle attività previste dal piano approvato, la società ha provveduto a realizzare anche le seguenti campagne integrative di monitoraggio: nella fase ante operam (1) con specie arborea come bioaccumulatore fogliare nei tre anni prima dell'entrata in esercizio della centrale, (2) con specie erbacea come bioindicatore di ozono nei tre anni prima dell'entrata in esercizio della centrale; nella fase post operam (1) con i licheni, come bioindicatori e bioaccumulatori nel primo anno dall'entrata in esercizio della centrale.
  La centrale è entrata in esercizio nel 2010 e a seguito della trasmissione da parte della società dei rapporti annuali delle campagne di biomonitoraggio effettuate, la direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della Tutela del Territorio e del mare ha trasmesso quanto pervenuto alla Commissione Tecnica di Verifica dell'impatto Ambientale VIA/VAS per le valutazioni di competenza. Con i provvedimenti prot DVA-0007723 del 31 marzo 2011, prot. DVA-0017349 del 24 luglio 2013 e prot DVA-0010276 del 10 aprile 2014, sulla base dei pareri espressi dalla commissione tecnica VIA/VAS, sono state valutate positivamente le modalità ed i risultati complessivi del biomonitoraggio svolto dalla Società.
  Con il citato provvedimento prot. DVA-0010276 del 10 aprile 2014 è stato altresì disposto che «la seconda campagna di biomonitoraggio con i licheni come bioaccumulatori dovrà essere effettuata dopo cinque anni dall'entrata in esercizio [...]» e che «non sono previste ulteriori campagne per quanto attiene il biomonitoraggio della qualità dell'aria con le specie arboree».
  Ad oggi, la direzione generale competente del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è in attesa di ricevere da parte della società i risultati del monitoraggio con licheni come bioindicatori e bioaccumulatori relativi alla seconda campagna (al quinto anno dall'entrata in esercizio della centrale) ai fini del completamento della verifica di ottemperanza della prescrizione impartita con il citato decreto di compatibilità ambientale DEC/VIA/680 del 6 novembre 2003.
  Per completezza di informazione, si evidenzia, comunque, che le campagne di monitoraggio in questione non sono svolte direttamente da Enel ma sono da questa affidate a laboratori specializzati, quali il Cesi (Centro elettrotecnico sperimentale italiano «Giacinto Motta»), in qualità di organismi tecnici indipendenti che si occupano di prove e certificazioni di apparati elettromeccanici e di consulenze specializzate nel settore elettro-energetico e ambientale.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato, anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   L'ABBATE, LUPO, GAGNARLI, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA e GALLINELLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015, il sito internet Il Fatto Alimentare ha pubblicato 70 segnalazioni di allerta alimentari e prodotti richiamati e ritirati dal mercato per difetti di produzione, contaminazioni batteriche, presenza di corpi estranei, eccessiva concentrazione di pesticidi, errori in etichetta, mancanza di avvertenze sulla presenza di allergeni, errori nella data di scadenza e altro, nonché riferito di lotti di pesce spada contaminato da metalli pesanti e di decine di lotti di spezie e pistacchi con troppe micotossine. Si tratta di segnalazioni ricavate dalle lettere inviate in redazione dai lettori, dai dossier pubblicati dal sistema di allerta europeo di Bruxelles (Rasff) e da comunicazioni in parte diffuse volontariamente dalle aziende sui loro siti o sulle pagine Facebook o attraverso cartelli esposti nei punti vendita;
   il Ministero della salute, pur avendo sul sito una pagina specifica che si occupa di diffondere informazione su allerte alimentari e sui prodotti pericolosi in commercio ritirati dal mercato, cosiddetti «avvisi di sicurezza», nel corso dello scorso anno ha pubblicato appena 6 segnalazioni (di cui una peraltro segnalata dallo stesso Fatto Alimentare);
   da anni viene denunciata l'incapacità del servizio di allerta alimentare del Ministero della salute che si distingue per un livello di comunicazione ritenuto «disastroso» come nel caso, di tre anni fa, relativo al sospetto botulino (poi rientrato) per un lotto di pesto venduto dalle catene Coop, Conad ed Esselunga e altri. Nonostante il livello altissimo di rischio e la concreta possibilità di incidenti mortali a causa delle tossine, il Ministero della salute intervenne con quattro giorni di ritardo senza pubblicare le foto dei prodotti. Ulteriore esempio è quello delle 1.800 persone colpite da epatite A tra il 2013 e il 2014 per avere assunto frutti di bosco surgelati contaminati con il dicastero che lancia l'allerta con qualche mese di ritardo e in modo alquanto poco incisivo. Vicenda al centro dell'interrogazione a risposta in Commissione 5/02661;
   a metà 2015, la direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e della nutrizione del Ministero della salute pubblicava la bozza di un dossier sul richiamo dei prodotti e sulle allerta alimentari. Il testo invita le aziende (in virtù del regolamento 178/2002/CE) ad informare i consumatori ogni qual volta ritirano e richiamano dal mercato un alimento indicando: nome del prodotto, marchio, lotto data di scadenza, sede dello stabilimento e altri particolari utili per la corretta identificazione, oltre alla fotografia, al motivo del richiamo, alle modalità per sostituirlo o per riavere il denaro e al numero verde per chiedere informazioni. In ogni caso le aziende devono informare entro 48 ore l'assessorato alla salute della regione cui spetta il compito di controllare che tutte le procedure di richiamo e ritiro previste siano rispettate. Anche i supermercati e i negozianti hanno l'obbligo di esporre nei punti vendita cartelloni per avvisare i clienti. Il documento spiega che anche il Ministero della salute riporterà le informazioni su una sua pagina del sito denominata «avvisi di sicurezza» affiancandole a quelle del sistema di allerta europeo Rasff e da altre fonti come: Asl, regioni, Aifa, arpa e nas e che, contrariamente a quanto fatto sino ad ora, dovrebbe informare la popolazione in caso di epidemia o di crisi alimentare attraverso comunicati;
   mentre le catene di supermercati come Esselunga, che non hanno mai pubblicato in rete le campagne di richiamo, hanno iniziato a dare notizia dei richiami e ritiri ed altre hanno aperto uno spazio sul sito destinato ad ospitare le campagne di richiamo, il Ministero della salute, ad avviso degli interroganti, continua a ignorare le allerte e i ritiri che si susseguono settimanalmente nei punti vendita;
   nel variegato mondo di internet, non mancano siti poco affidabili che incutono timore nei consumatori parlando, ad esempio, di lotti di pomodori cinesi contaminati oppure di partite di grano duro importato dall'Ucraina con micotossine –:
   se il Ministro interrogato, sia nell'interesse collettivo sia di quello delle imprese agroalimentari, intenda finalmente adoperarsi affinché venga data ai consumatori una informazione chiara, trasparente, verificata e completa sui pericoli alimentari, e quali siano gli ostacoli e le resistenze che abbiano impedito sinora il raggiungimento di questo obiettivo.
(4-11948)

  Risposta. — Il sistema di allerta rapido europeo Rasff (Rapid alert system for food and feed) consente di notificare tra le autorità sanitarie, in tempo reale, i rischi diretti e indiretti per la salute pubblica connessi ad alimenti, mangimi e materiali a contatto e, quindi, di adottare tempestivamente le opportune misure di salvaguardia e comunicarle a tutti i membri del «network».
  Istituito sotto forma di rete (regolamento CE 178/2002), i cui punti di contatto sono la Commissione europea, gli Stati membri dell'Unione e l'Autorità Europea per la sicurezza alimentare – Efsa, tale sistema si attiva, attraverso procedure standardizzate, quando un prodotto che presenta o può presentare un pericolo per la salute, viene notificato dagli organi di controllo del territorio, per l'Italia le Asl e i Carabinieri per la tutela della salute – NAS, ovvero dai punti di contatto Rasff di altri Paesi dell'Unione europea.
  Pertanto, le notifiche di allerta non vengono acquisite attraverso «blog» in «internet», ma ricevute attraverso la rete di contatto tra autorità sanitarie.
  La direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione di questo Ministero ha redatto, anche quest'anno, un rapporto riguardante le principali problematiche sanitarie emerse nel corso dell'anno 2015, mettendo in evidenza i principali rischi notificati dai Paesi membri.
  Da anni, queste relazioni sono lette dalle associazioni dei consumatori, dagli operatori del settore alimentare e dalle autorità sanitarie, per avere un quadro dei rischi attuali o emergenti notificati attraverso il sistema di allerta europeo.
  Questi dati permettono anche la programmazione dei successivi controlli ufficiali.
  Il rapporto è pubblicato sul portale del Ministero: le relazioni sulle notifiche del sistema di allerta sono peraltro pubblicate dal 2003.
  Relativamente ai richiami dei prodotti alimentari non conformi, si rappresenta quanto segue.
  La normativa europea in materia di sicurezza alimentare individua l'operatore del settore alimentare (Osa) quale responsabile della sicurezza dei prodotti immessi sul mercato (articolo 17 Reg. 178/2002) e precisa che ciascuno Stato membro deve comunicare alla Commissione, attraverso il sistema rapido di allerta, ogni misura che è stata adottata per limitare i rischi per il consumatore, comprese le eventuali azioni di ritiro o di richiamo del prodotto non conforme, messe in atto dall'OSA.
  Il richiamo prevede l'informazione al consumatore, attraverso appositi cartelloni ai punti vendita, e/o attraverso i media.
  Queste misure adottate dall'Osa, sono sempre oggetto di verifica da parte delle autorità competenti a livello locale, come disposto dalle linee guida nazionali sulla gestione operativa del sistema di allerta rapido, di cui all'Intesa Stato-regioni del 13 novembre 2008.
  È altresì responsabilità delle autorità competenti locali imporre all'operatore inadempiente le procedure relative al ritiro/richiamo, con provvedimento sanzionatorio.
  D'altra parte, in merito a quest'ultimo aspetto, si rappresenta che il ritiro puntuale dal mercato dei prodotti non conformi da parte degli operatori, unitamente alla verifica da parte dell'autorità competente sulla loro efficacia, è una misura idonea a garantire la sicurezza del consumatore.
  Va tenuto presente l'elevato numero di notifiche trasmesse dal Rasff che, nel corso dell'ultimo anno, sono risultate 2967, spesso accompagnate da ampie liste di distribuzioni primarie e secondarie, sia in ambito nazionale che extra nazionale, che impongono le opportune e necessarie verifiche da parte delle Asl.
  A seguito delle numerose richieste pervenute negli ultimi anni sia da parte di amministrazioni che di associazioni di consumatori, mass media, eccetera in merito alle modalità da seguire per una corretta informazione dei cittadini sulla natura dei rischi connessi a prodotti alimentari oggetto d'allerta, il Ministero della salute ha effettuato uno studio di fattibilità riguardante la possibilità di pubblicare sul portale del Ministero, in una pagina web dedicata, tutti i provvedimenti di richiamo.
  Sono state anche individuate delle indicazioni operative per uniformare i comportamenti sul territorio nazionale degli OSA e delle Asl territorialmente competenti, in quanto vengono definiti i criteri per adottare il richiamo o solamente il ritiro. Il Ministero attualmente ha sul suo portale solo la pagina relativa agli avvisi di sicurezza, che non si sostituisce al richiamo il quale, secondo la normativa vigente, spetta all'OSA.
  Il documento, che è stato condiviso con gli assessorati alla sanità delle regioni e province autonome, è stato successivamente oggetto di consultazione con gli «stakeholders» interessati (associazioni di categoria e associazioni dei consumatori).
  A conclusione dello studio di fattibilità, ho approvato il documento che mi è stato sottoposto e ho assegnato, per l'anno 2016, un nuovo obiettivo operativo, che permetterà la realizzazione del sistema informatico per la pubblicazione dei richiami da parte dell'Osa e la successiva pubblicazione della circolare applicativa.
  Attraverso l'istituzione di una apposita pagina «web» e la pubblicazione della relativa circolare, si eviteranno, come accaduto nel passato, comunicazioni dai toni allarmistici, che potrebbero creare preoccupazioni e agitazione nei consumatori, come nel caso delle notizie apparse sul «blog» «Il Fatto Alimentare», relativo a presunti provvedimenti di richiamo, erroneamente definiti allerta dal «blogger», che non sono correlati ad allerte gestite dal sistema RASFF.
  Al contrario, si ravvisa la necessità di fornire le informazioni sui richiami nel modo più equilibrato ed uniforme possibile, direttamente sul sito «web» del Ministero della salute, per il suo carattere istituzionale.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   MARROCU, MURA, CANI, MARCO MELONI, PES, FRANCESCO SANNA, GIOVANNA SANNA e SCANU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   ENAC ha dato avviso al pubblico dell'avvio della procedura di conformità urbanistica ai sensi dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica 18 aprile 1994, n. 383, relativamente al piano di sviluppo aeroportuale (PSA e/o masterplan) dell'aeroporto di Cagliari Elmas, precisando che presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è conclusa positivamente la procedura di valutazione di impatto ambientale per la quale si è in attesa di ricevere il relativo decreto;
   non risulta in alcun modo che il masterplan sia stato assoggettato alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS);
   ai sensi dell'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 la VAS «riguarda i piani e i programmi che possono avere impatti significativi sull'ambiente e sul patrimonio culturale» come il piano di sviluppo aeroportuale in questione;
   in particolare, l'articolo 6, comma 2, impone che devono essere sottoposti a detta procedura i piani e i programmi per il settore dei trasporti lettera a) o «per i quali, in considerazione dei possibili impatti sulle finalità di conservazione dei siti designati come zone di protezione speciale per la conservazione degli uccelli selvatici e quelli classificati come siti di importanza comunitaria per la protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, si ritiene necessaria una valutazione d'incidenza ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica 8 settembre 1997, n. 357, e successive modificazioni»;
   nel caso di specie non solo si tratta di un piano incidente sul settore dei trasporti, ma lo stesso interessa un'area di protezione speciale che riveste le caratteristiche sopra descritte per l'esigenza di protezione degli habitat naturali e della flora e della fauna selvatica, con la conseguenza che è innegabile che lo stesso dovesse essere sottoposto a valutazione ambientale strategica ai sensi della normativa richiamata che non può essere derogata da mere circolari ministeriali che, in ipotesi, escludano l'assoggettabili a valutazione ambientale strategica;
   peraltro, nell'ambito del piano di sviluppo aeroportuale è prevista la realizzazione di piazzali in cemento per una estensione di oltre 6 ettari nell'ambito di una zona (Santa Caterina) oggetto di tutela sia archeologica sia paesaggistica;
   emerge come il piano di sviluppo aeroportuale non abbia attentamente considerato che lo sviluppo aeroportuale verso il centro abitato e l'inevitabile aumento degli aeromobili implicherà un sensibile aggravamento delle condizioni di salubrità ambientale riscontrabili nella zona, con particolare riferimento all'inquinamento acustico ed atmosferico;
   i dati riportati nel piano di sviluppo aeroportuale sotto il predetto profilo appaiono carenti;
   il piano di sviluppo aeroportuale e i progetti in esso indicati risultano agli interroganti in palese contrasto con gli strumenti urbanistici comunali anche di rilevanza paesaggistica-ambientale –:
   se e come il Ministro possa procedere all'emanazione del decreto di valutazione di impatto ambientale in assenza di una più complessa ed articolata ponderazione degli effetti sull'ambiente nell'ambito di un procedimento di valutazione ambientale strategica;
   se abbia tenuto conto dei negativi impatti sul territorio di Elmas e sugli abitanti del masterplan dell'aeroporto di Cagliari Elmas;
   se e come intenda sopperire a tali gravi carenze;
   se non intenda per le questioni di cui sopra sospendere il procedimento di approvazione della valutazione di impatto ambientale. (4-01253)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Nell'agosto del 2010 l'Ente nazionale per L'aviazione civile (Enac) ha avanzato richiesta di pronuncia di compatibilità ambientale per il progetto del master plan dell'aeroporto di Cagliari Elmas.
  A tale riguardo la regione Sardegna chiedeva a questo Ministero se non si ritenesse necessaria l'attivazione della procedura di Valutazione ambientale strategica (Vas) prima di procedere all'attivazione della Valutazione di impatto ambientale (Via).
  Al fine di chiarire i dubbi sollevati dalla regione Sardegna, questo Ministero ha quindi convocato una riunione con l'Enac all'esito della quale si è chiarito che non ricorrevano le condizioni per l'assoggettamento a Vas del master plan aeroportuale e che quindi il progetto doveva essere sottoposto solamente a Via.
  Si è ritenuto infatti che il piano di sviluppo di un aeroporto possa essere considerato al pari del progetto preliminare/definitivo per le altre infrastrutture di trasporto, ravvisandone la natura di «progetto di opera pubblica», a differenza del piano nazionale degli aeroporti che andrebbe, invece, per sua natura (pianificatoria), sottoposto a Vas.
  Tale impostazione è stata condivisa anche dalla Commissione europea – direzione generale ambiente che in una nota del 16 luglio 2012 dichiarava esplicitamente di non contestare la posizione delle autorità italiane circa il non assoggettamento del master plan piano di sviluppo aeroportuale alla procedura di Vas in quanto strumento di natura progettuale e non pianificatoria.
  A seguito del suddetto tavolo tecnico e della richiesta di perfezionamento atti inoltrata da questo dicastero, l'Enac ha ripresentato istanza di Via in data 10 agosto 2011.
  La documentazione tecnico-progettuale presentata includeva sia lo studio relativo alla valutazione di incidenza su Siti di importanza comunitaria (Sic) e Zone a protezione speciale (Zps) sia, con riferimento all'interferenza con aree soggette a vincolo paesaggistico, la relazione paesaggistica, nonché, con riferimento alla prevenzione del rischio archeologico, la «Relazione di verifica archeologica preliminare»;
  La commissione tecnica Via/Vas di questo dicastero, esaminata e valutata tale documentazione ha ritenuto, per quanto riguarda la Valutazione di incidenza ambientale, non significativi gli effetti sugli habitat e sulle specie tutelate; in merito agli aspetti paesaggistici ed archeologici il Ministero per i beni e le attività culturali si è espresso con parere positivo con prescrizioni.
  Tali pareri costituiscono parte integrante del decreto di compatibilità ambientale n. 162 emanato in data 13 giugno 2014, con esito positivo con prescrizioni.
  Il testo del provvedimento, corredato dagli allegati che ne costituiscono parte integrante, è disponibile sul portale delle valutazioni ambientali Via/Vas del Ministero dell'ambiente (www.va.minambiente.it).
  Relativamente agli aspetti tecnici e ambientali del progetto c ai suoi impatti sul’ territorio di Elmas, indicati come possibili criticità, si ricorda che, secondo quanto previsto dalla normativa vigente, la procedura di Valutazione di impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto. Più specificatamente il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 dicembre 1988, «Norme tecniche per la redazione degli studi di impatto ambientale e la formulazione del giudizio di compatibilità» stabilisce che «La valutazione dell'impatto ambientale individua, descrive e valuta, in modo appropriato, per ciascun caso particolare e a norma degli articoli da 4 a 11 gli effetti diretti e indiretti di un progetto sui seguenti fattori:
   l'uomo, la fauna e la flora;
  il suolo, l'acqua, l'aria, il clima e il paesaggio;
   i beni materiali ed il patrimonio culturale;
   l'interazione fra i fattori di cui al primo, secondo e terzo trattino.

  La valutazione deve altresì comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto preposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori».
  Alla luce di quanto sopra riportato, risulta evidente che la procedura di valutazione dell'impatto ambientale svolta ha prodotto un giudizio complessivo di compatibilità delle opere e degli interventi previsti nel Master Pian, con le modificazioni dell'ambiente, i processi di trasformazione di questo e l'uso delle risorse, che potrebbero derivare dalla loro realizzazione.

  Con riferimento all'aspetto specifico della vicinanza al centro abitato, si segnala che la commissione tecnica del Ministero, nel prendere atto che lo studio stesso, pur correlando l'attività dell'aeroporto con alcune situazioni di disturbo degli abitanti, non ha evidenziato situazioni particolarmente problematiche per la salute degli abitanti, ha ritenuto necessario prescrivere al proponente un nuovo studio approfondito sulla salute della popolazione, che identifichi i fattori di pressione più importanti sulla popolazione stessa, riconducibili alla presenza e all'attività dell'aeroporto nella configurazione attuale (al momento dello studio) e al 2024, in base agli esiti del quale si valuterà la necessità o meno di interventi migliorativi.
  In merito all'osservazione mossa sulla non coerenza del master plan con gli strumenti urbanistici si segnala che la Commissione ha ritenuto che il progetto è coerente con i principali atti di programmazione e pianificazione territoriale ed ambientale vigenti fra cui i Piani urbanistici comunali di Elmas c di Cagliari, Inoltre, dall'analisi comparativa degli strumenti di pianificazione e programmazione considerati, non sono state evidenziate rilevanti disarmonie previsionali ed incompatibilità tra gli strumenti e le previsioni del piano di sviluppo aeroportuale.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il sottosegretario alle attività produttive pro tempore Stefano Saglia, a nome dell'ultimo Governo Berlusconi, si era espresso favorevolmente sulla possibilità di sondare la presenza di gas scisto nella pianura padana, in quanto a suo giudizio si sarebbero «aperte nuove strade per l'approvvigionamento energetico in un momento particolarmente delicato a livello globale»;
   la tecnica della fratturazione idraulica consiste nella frantumazione della roccia usando fluidi saturi di sostanze chimiche iniettati nel sottosuolo ad alta pressione;
   attraverso la fratturazione idraulica (cosiddetta «fracking») si estrae in modo non convenzionale idrocarburi da roccia porosa di origine argillosa chiamata scisti;
   ma questa tecnica presenta molti e gravi problemi: rischi sismici, inquinamenti dell'acqua, del suolo e dell'aria;
   molti Paesi (Canada, Australia, Francia, Bulgaria, Lussemburgo, eccetera) hanno vietato il ricorso alla tecnica della frantumazione idraulica, l'Inghilterra ha una moratoria dopo il terremoto del 2011 a Blackpool; recentemente sulla stampa sono apparsi articoli che collegano il terremoto recente in Emilia al ricorso alle trivellazioni derivanti dalla ricerca mineraria di idrocarburi nella pianura padana –:
   se non intenda vietare anche in Italia il ricorso alla tecnica della frantumazione idraulica per la ricerca degli idrocarburi e quale relazione ci può essere stata con il terremoto nella pianura padana. (4-00737)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al ricorso alla tecnica della frantumazione idraulica per la ricerca di idrocarburi (fracking) in Italia, si rappresenta quanto segue.
  Si evidenzia, preliminarmente, che l'argomento trattato dall'interrogante risulta superato dalla introduzione della norma di cui all'articolo 38 del decreto-legge «Sblocca Italia» che, tra l'altro, ha introdotto il divieto di «fracking».
  In particolare, si fa presente che il citato decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014, «Misure urgenti per l'apertura dei cantieri, la realizzazione delle opere pubbliche, la digitalizzazione del Paese, la semplificazione burocratica, l'emergenza del dissesto idrogeologico e per la ripresa delle attività produttive» all'articolo 38, comma 11-quater ha introdotto una specifica modifica al Testo Unico Ambientale, inserendo all'articolo 144, il comma 4-bis il quale dispone che: «Ai fini della tutela delle acque sotterranee dall'inquinamento e per promuovere un ragionale utilizzo del patrimonio idrico nazionale, tenuto anche conto del principio di precauzione per quanto attiene al rischio sismico e alla prevenzione di incidenti rilevanti, nelle attività di ricerca o coltivazione di idrocarburi rilasciate dallo Stato sono vietati la ricerca e l'estrazione di shale gas e di shale oil e il rilascio dei relativi titoli minerari. A tal fine è vietata qualunque tecnica di iniezione in pressione nel sottosuolo di fluidi liquidi o gassosi, compresi eventuali additivi, finalizzata a produrre o favorire la fratturazione delle formazioni rocciose in cui sono intrappolati lo shale gas e lo shale oil. I titolari dei permessi di ricerca o di concessioni di coltivazione comunicano, entro il 31 dicembre 2014, al Ministero dello sviluppo economico, al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, all'istituto nazionale di geofisica e vulcanologia e all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, i dati e le informazioni relativi all'utilizzo pregresso di tali tecniche per lo shale gas e lo shale oil, anche in via sperimentale, compresi quelli sugli additivi utilizzati precisandone la composizione chimica. Le violazioni accertate delle prescrizioni previste dal presente articolo determinano l'automatica decadenza dal relativo titolo concessorio o dal permesso».
  Tanto premesso, con specifico riferimento alla eventuale correlazione tra attività di esplorazione per idrocarburi e l'attività sismica che ha colpito la regione Emilia Romagna nel maggio 2012, si fa presente che, successivamente al verificarsi dell'evento, è stata appositamente costituita una commissione di esperti internazionali, denominata
«Commissione ICHESE» con ordinanza del Presidente della Regione Emilia Romagna, in qualità di commissario delegato per l'attuazione di «Interventi urgenti in favore delle popolazioni colpite dagli eventi sismici che hanno interessato il territorio delle province di Bologna, Modena, Ferrara, Mantova, Reggio Emilia e Rovigo, il 20 e il 29 maggio 2012» ai sensi dell'articolo 1, comma 2 del decreto-legge n. 74 del 2012, convertita con modificazioni dalla legge n. 122 del 2012.
  La suddetta commissione, composta da figure di alto profilo professionale nei settori della tettonica, sismologia, tecnologia delle perforazioni, sismicità indotta e attività di esplorazione e stoccaggio degli idrocarburi, ha iniziato i suoi lavori il 2 maggio 2013 e il rapporto finale, con le relative conclusioni, è stato consegnato al dipartimento della protezione civile nel febbraio del 2014.
  La Commissione ICHESE, al termine della sua attività, ha concluso che lo studio effettuato non ha trovato evidenze che possano associare la sequenza sismica del maggio 2012 in Emilia alle attività operative svolte nei campi di Spilanberto, Recovato, Minerbio e Casaglia, mentre non può essere escluso che le attività effettuate nella concessione di Mirandola e Gavone abbiano potuto contribuire ad innescare la sequenza.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   NARDUOLO, NACCARATO e MIOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per i beni e le attività culturali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane i Colli Euganei, sede di un importante parco regionale, hanno subito numerose frane interessando molti comuni di Torreglia, Teolo, Cinto Euganeo e Monselice;
   a Monselice è situato un maestoso complesso architettonico, denominato Rocca, edificato a partire dal XI secolo che si compone di una dimora signorile, una torre difensiva, una imponente cinta muraria e un mastio sulla sommità del colle;
   in particolare questo colle è stato colpito da ripetuti fenomeni di dissesto idro-geologico, con diversi episodi franosi tra domenica 24 marzo e martedì 2 aprile tanto da sollecitare l'intervento della protezione civile che in queste ore sta sorvegliando le pendici in elicottero;
   la sera del 24 marzo, massi di considerevoli dimensioni staccatisi dalla parete del rilievo sono precipitati sul cortile terrazzato di un'abitazione, rompendo le reti di protezione ivi posizionate in occasione di precedenti crolli;
   giunti in sopralluogo, i locali vigili del fuoco hanno dichiarato l'area dell'abitazione e la zona limitrofa non sicure, per cui il sindaco ha ordinato l'evacuazione delle 6 famiglie che vi risiedono. Si tratta di 17 persone (tra cui bambini ed anziani), 11 delle quali alloggiano ora presso un locale hotel, a spese dell'amministrazione comunale;
   nel primo pomeriggio di lunedì 25 marzo 2013, si sono verificate altre 3 frane lungo diversi versanti della collina;
   gli episodi sono continuati nei giorni successivi investendo spesso le strade provinciali che attraversano il territorio del parco e congiungono le frazioni dei comuni citati;
   nella notte tra sabato e domenica di Pasqua a Torreglia la Protezione civile è intervenuta per chiudere via Rina interessata in più punti da uno smottamento. Nella giornata di Pasqua sulla via che collega le abitazioni sui colli Pirio e Rina sono intervenute le ruspe e nel pomeriggio la strada è stata riaperta a senso unico alternato;
   tra sabato e lunedì il Comune di Teolo è intervenuto per chiudere alcune strade e per mettere in sicurezza diversi tratti delle vie comunali sulle quali si erano aperte grandi crepe che mettevano in pericolo la circolazione;
   il colle che si erge su Monselice è soggetto da anni ad episodi franosi di varia entità; fortunatamente non vi sono mai state vittime ma si sono sfiorate tragedie; i cittadini vivono in un persistente stato di allerta, mentre impotenti assistono a frane, smottamenti, e anche crolli delle mura di cinta, che oltre a metterne a repentaglio l'incolumità, stanno inesorabilmente distruggendo il patrimonio storico-artistico della città;
   dalla scorsa settimana i tecnici regionali del genio civile hanno effettuato dei sopralluoghi nei siti in cui si sono verificati gli ultimi episodi franosi; il comune di Monselice ha proclamato lo stato di emergenza ed ha chiesto alla regione di riconoscere lo stato di crisi; il sindaco ha dichiarato alla stampa di aver «raggiunto un accordo con il dirigente della protezione civile regionale; fino a che non verrà redatto un nuovo studio idrogeologico rimane lo stato di emergenza. Spero che Zaia riconosca lo stato di crisi. Vogliamo una risposta che assicuri che su tutto il colle non si corrono rischi e che è garantita la sicurezza dei residenti. Abbiamo ragione di credere che lo studio sarà predisposto nei prossimi giorni: serve capire quali lavori è necessario eseguire» –:
   quali azioni intenda intraprendere per garantire la sicurezza alle popolazioni di fronte alla situazione di grave dissesto idrogeologico;
   se il Governo intenda assumere iniziative urgenti che, tengano conto del pericolo per le persone e per le cose in particolare nel territorio di Monselice, considerato l'enorme valore storico e artistico dei beni messi a repentaglio dal grave dissesto idrogeologico dell'area.
(4-00215)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa a fenomeni franosi che hanno interessato diversi comuni dei Colli Euganei, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli enti territoriali e dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014- 2020.
  Il piano è stato definito, nel corso del 2014-2015, dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente in collaborazione con ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale). L'insieme degli interventi localizzati sull'intero territorio nazionale raggiungono un importo pari a circa 20,3 miliardi di euro che rappresenta, pertanto, il fabbisogno complessivo del periodo 2014-2020. Si evidenzia che, rispetto a tale importo, quello relativo alle richieste validate dalle regioni nel sistema ReNDiS, ammonta a circa a 17,5 miliardi di euro.
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio idrogeologico, con un costo di circa 1.389 milioni di euro.
  Al fine di assicurare il rapido avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico e tempestivamente cantierabili per livello di progettazione, ricompresi nel suddetto piano stralcio, la delibera Cipe n. 32/2015 ha assegnato al Ministero dell'ambiente l'importo di 450 milioni di euro a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione afferenti alla programmazione 2014-2020.
  Per la medesima finalità sono inoltre state individuate risorse disponibili a legislazione vigente pari a 150 milioni di euro, di cui 40 milioni di euro costituite da risorse del Ministero dell'ambiente a valere sulle disponibilità recate dall'articolo 1, comma 111, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) c la restante quota di 110 milioni di euro a carico delle risorse del fondo di sviluppo e coesione 2007-2013 di cui all'articolo 7, comma 8, del decreto legge n.133 del 12 settembre 2014 così detto «sblocca Italia».
  A questi si devono aggiungere, nel biennio 2015-2016, ulteriori 56 milioni di euro circa che il Ministero dell'ambiente ha disposto di destinare al fine di incrementare la copertura del piano stralcio citato, in considerazione della rilevanza e dell'urgenza degli interventi in esso previsti.
  Il piano stralcio risulta composto di una sezione attuativa di complessivi 33 interventi, nella quale sono riportati gli interventi da realizzare nell'immediato per un importo finanziato dallo Stato di oltre 656 milioni di euro, e di una sezione programmatica di complessivi 99 interventi, che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno disponibili a tal fine.
  Nella suddetta sezione programmatica sono inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio idrogeologico.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio del 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente, che individua i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, in modo da garantire, ai sensi della normativa vigente in materia, la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischia idrogeologico.
  Non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, saranno individuati gli interventi che potranno essere ammessi a finanziamento secondo le modalità c in base ai criteri previsti dal citato 28 maggio 2015, tenendo conto in particolare delle priorità espresse dalle Regioni.
  La regione Veneto, relativamente al piano stralcio per le aree metropolitane, ha avanzato richiesta di finanziamento per quattro interventi caratterizzati da progettazione definitiva o esecutiva, localizzati nei Comuni di Venezia e Padova, per un importo complessivo di euro 55.133.573,19.
  Inoltre, in relazione al piano nazionale 2014-2020, si segnala che le richieste avanzate dalla regione Veneto ammontano, per la provincia di Padova, a euro 70.689.000,01 per un totale di ventisei interventi, e che la richiesta di finanziamento attinente al comune di Monselice, già avanzata dalla stessa regione, sarà valutata secondo la procedura prevista dal decreto del Presidente del Consiglio del 28 maggio 2015 qualora risulteranno disponibili le necessarie risorse finanziarie.
  Con riferimento alla sicurezza del patrimonio paesaggistico e culturale a fronte della grave situazione di dissesto idrogeologico dei Colli Euganei, si evidenzia che un primo crollo, avvenuto nella zona a nord del colle in prossimità della cava abbandonata, ha interessato un tratto di muro recente fatto in mattoni di cemento, posto in continuità alla recinzione storica di un convento che non risulta, però, danneggiata.
  I sopralluoghi effettuati dalla protezione civile, dai tecnici comunali e dai vigili del fuoco, non hanno riscontrato danni evidenti ai beni culturali che insistono sul Colle di Monselice, in particolare a Villa Duodo, alle Chiesette processionali, al Mastio ed ai resti della Cinta Muraria medievale.
  Per gli altri smottamenti nei comuni di Torreglia, Teolo e Cinto Euganeo, non sono stati segnalati danni ai beni culturali.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero continuerà a tenersi informato attraverso gli Enti territoriali e i soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   NASTRI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la presentazione del quinto piano per la riduzione del rischio idrogeologico, redatto dall'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni – ANBI, reso noto nel mese di febbraio 2014, evidenzia come anche nell'anno in corso, la sequenza dei disastri territoriali in aree regionali, quali Veneto, Emilia-Romagna, Liguria, Toscana e Lazio, già gravemente colpite da precedenti alluvioni, rileva un quadro complessivo per ridurre gli impatti derivanti dagli effetti calamitosi, sul sistema idrogeologico nazionale, tuttora particolarmente grave e preoccupante;
   il rapporto indica, infatti, come, nonostante non manchino gli indispensabili provvedimenti di emergenza, che le tragiche situazioni richiedono, affiorino una serie di lacune manifeste, con riferimento ad una pianificazione di azioni di prevenzione, volte a ridurre la pericolosità dei ricorrenti eventi alluvionali, in quanto né il Governo, né il Parlamento a giudizio dell'interrogante hanno provveduto alle iniziative necessarie;
   a giudizio dell'interrogante, appare condivisibile la critica rivolta al Governo, in relazione alla evidente mancanza di adeguate risorse finanziarie, per la riduzione del rischio idrogeologico e la messa in sicurezza del territorio;
   va rilevato altresì che vi sono numerose proposte legislative d'iniziativa parlamentare, finalizzate a migliorare il sistema della sicurezza del territorio dal punto di vista idrogeologico, ancora all'esame del Parlamento;
   dal 2002, al 2014 prosegue il documento suindicato, si sono registrati circa 2 mila eventi alluvionali, che hanno determinato 293 vittime, oltre ad ingenti danni per le infrastrutture, in particolare quelle di collegamento non solo stradale, a cui si aggiungono lesioni negli edifici sia pubblici che privati, soprattutto quelli produttivi a cui si uniscono anche i danni derivanti anche per il patrimonio artistico;
   nel nostro Paese, continua il suindicato piano dell'ANBI, emergono dati numerici particolarmente critici in considerazione del fatto che 6 milioni di individui abitano in un territorio ad elevato rischio idrogeologico e, 22 milioni in zone a medio rischio e, dal punto di vista delle infrastrutture, 1.260.000 edifici sono quelli minacciati dalle frane, fra i quali 6.121 sono edifici scolastici e 531 gli ospedali;
   a determinare tale situazione, hanno certamente contribuito due fattori: da un lato, il mutato regime delle piogge, particolarmente accentuato nell'ultimo decennio per la vulnerabilità, dall'altro l'impetuosa urbanizzazione, il consumo del suolo, l'omessa manutenzione del sistema idraulico del Paese, lo spopolamento delle montagne e la riduzione del terreno agricolo;
   secondo quanto rileva l'ANBI, risulta certamente possibile ridurre l'impatto degli eventi eccezionali attraverso azioni volte a rinforzare i territori fragili, a provvedere alle manutenzioni ed agli adeguamenti necessari a garantire la regolazione idraulica, ad assicurare il funzionamento degli impianti idrovori ed il consolidamento degli argini, a condizione che sia introdotta in tempi rapidi una serie di misure adeguate all'interno di piano di programma e di messa in sicurezza del territorio, indispensabile per la tutela della comunità civile nazionale e delle attività produttive anche attraverso nuove regole d'uso;
   la legge 27 dicembre 2013, n. 147 (legge di stabilità per il 2014), ed il successivo decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6, si sono limitati a dettare norme che dovrebbero determinare l'utilizzo delle somme già previste nei predetti accordi di programma, mentre estremamente modesti risultano essere gli stanziamenti previsti, per il triennio 2014, 2015 e 2016 rispettivamente: 30 milioni di euro, 50 milioni di euro e 100 milioni di euro;
   a giudizio dell'interrogante il contenuto del piano proposto dall'ANBI, risulta essere nel complesso condivisibile, in considerazione del fatto che il documento conferma nuovamente, sia i livelli di criticità e di difficoltà finanziaria che permangono sul sistema della sicurezza del territorio e i rischi idrogeologici ancora persistenti, che la scarsa attenzione da parte del Governo nell'individuazione di soluzioni idonee per il reperimento delle risorse, anche attraverso una proiezione quindicennale dell'impegno di spesa che potrebbe realizzarsi mediante mutui –:
   quali orientamenti intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative urgenti e necessarie intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, per garantire maggiore sicurezza idrogeologica al Paese, posto che i dati indicati dall'Associazione nazionale bonifiche e irrigazioni – ANBI e descritti in premessa, appaiono a giudizio dell'interrogante sconcertanti sia dal punto di vista degli interventi di programmazione e di prevenzione, che sotto il profilo finanziario. (4-04263)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa agli impatti derivanti dagli effetti calamitosi sul sistema idrogeologico nazionale, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Con riferimento alle iniziative urgenti e necessarie che questo dicastero intende intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, per garantire maggiore sicurezza idrogeologica al Paese e assicurare la priorità degli investimenti tesi alla riduzione del rischio idrogeologico di tutto il territorio nazionale, si evidenzia che il Ministero dell'ambiente, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il Piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il piano è stato definito, nel corso del 2014-2015, dalle proposte presentate dalle regioni attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (Repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente in collaborazione con Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), L'insieme degli interventi localizzati sull'intero territorio nazionale raggiungono un importo pari a circa 20,3 miliardi di euro che rappresenta, pertanto, il fabbisogno complessivo del periodo 2014-2020. Si evidenzia che, rispetto a tale importo, quello relativo alle richieste validate dalle regioni nel sistema ReNDiS, ammonta a circa a 17,5 miliardi di euro.
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 15 settembre 2015 è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione, con un costo di circa 1.389 milioni di euro.
  Al fine di assicurare il rapido avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico e tempestivamente cantierabili per livello di progettazione, ricompresi nel suddetto piano stralcio, la delibera Cipe n. 32/2015 ha assegnato al Ministero dell'ambiente l'importo di 450 milioni di euro a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione afferenti alla programmazione 2014-2020.
  Per la medesima finalità sono inoltre state individuate risorse disponibili a legislazione vigente pari a 150 milioni di euro, di cui 40 milioni di euro costituite da risorse del Ministero dell'ambiente a valere sulle disponibilità recate dall'articolo 1, comma 111, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) e la restante quota di 110 milioni di euro a carico delle risorse del Fondo di sviluppo e coesione 2007-2013 di cui all'articolo 7, comma 8, del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 (cosiddetto «sblocca Italia»).
  A questi si devono aggiungere, nel biennio 2015-2016 ulteriori 56 milioni di euro circa che il Ministero dell'ambiente ha disposto di destinare al fine di incrementare la copertura del piano stralcio citato, in considerazione della rilevanza e dell'urgenza degli interventi in esso previsti.
  Il Piano Stralcio risulta composto di una sezione attuativa di complessivi 33 interventi, nella quale sono riportati gli interventi da realizzare nell'immediato per un importo finanziato dallo Stato di oltre 656 milioni di euro, e di una sezione programmatica di complessivi 99 interventi, che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno disponibili a tal fine.
  Nella suddetta sezione programmatica sono inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio di alluvione.
  Tutti gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo il decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 maggio 2015 proposto dal Ministero dell'ambiente, che individua i criteri e le modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, in modo da garantire, ai sensi della normativa vigente in materia, la necessaria trasparenza nella programmazione delle risorse finanziarie rese disponibili e la migliore efficacia del loro utilizzo rispetto agli obiettivi di protezione dell'incolumità di persone e beni esposti a rischio idrogeologico.
  Non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, saranno individuati gli interventi che potranno essere ammessi a finanziamento secondo le modalità e in base ai criteri previsti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, tenendo conto in particolare delle priorità espresse dalle Regioni.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo Ministero continuerà a tenersi informato attraverso gli enti territoriali e i soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   NICCHI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è in corso il procedimento di valutazione di impatto ambientale denominato «Aeroporto “A. Vespucci” di Firenze – master plan aeroportuale 2014-2029», avente come proponente l'Ente nazionale per l'aviazione civile (ENAC), in merito al progetto della società Toscana Aeroporti s.p.a. relativo alla riqualificazione dell'aeroporto di Firenze «Amerigo Vespucci» mediante la realizzazione della nuova pista di volo, dei piazzali aeromobili, del nuovo terminal passeggeri, della viabilità di accesso e dei parcheggi, dell'area cargo e del terminal di aviazione generale e sul relativo studio ambientale;
   a seguito di un primo esame della documentazione presentata dal proponente ENAC in data 24 marzo 2015 la commissione tecnica di verifica di impatto ambientale VIA/VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha richiesto successivamente al proponente chiarimenti ed integrazioni;
   la procedura si trova quindi attualmente nella fase della valutazione da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare delle osservazioni dei soggetti interessati e dei pareri delle istituzioni territoriali sulle integrazioni alla documentazione presentata in un primo tempo dal proponente;
   tra i molti soggetti che hanno depositato osservazioni in merito alla procedura di valutazione suddetta risultano oltre i comuni interessati, la città metropolitana di Firenze, il Consorzio di bonifica, i Comitati per la salute della piana di Prato e Pistoia anche l'università di Firenze, il personale (rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza e rappresentanze sindacali unitarie) del polo scientifico di Sesto Fiorentino del Consiglio nazionale delle ricerche (CNR), del Consorzio laboratorio di monitoraggio e modellistica ambientale (LAMMA) e dell'università degli studi di Firenze, l'Associazione Italia nostra Onlus, la Rete per sinistra unitaria fiorentina, i rappresentanti degli studenti dell'università degli studi di Firenze, ed altri;
   il nucleo di valutazione dell'impatto ambientale per l'espressione del parere tecnico alla giunta regionale relativo al « master plan» aeroportuale 2014-2029 dell'Aeroporto di Firenze si è riunito in data 6 novembre 2015 ed ha prodotto il parere n. 110 ai sensi dell'articolo 25 del decreto legislativo 152 del 2006 e dell'articolo 63 della legge regionale 10 del 2010;
   l'università di Firenze, dopo un'attenta analisi riguardante la coerenza e la compatibilità con la pianificazione urbanistica di ogni livello comprese le previsioni e le prescrizioni del PIT della regione Toscana, la viabilità connessa all'intervento previsto, il rischio idraulico e l'equilibrio del sistema idrogeologico ed idrografico, il rischio di incidentalità aerea, le emissioni in atmosfera, l'equilibrio dei fattori naturalistici, paesaggistici, antropici, architettonici, culturali ed economici, il rapporto con l'aeroporto di Pisa, il rischio per la popolazione del polo scientifico, i rischi in merito alla monodirezionalità della pista, l'impatto acustico, ha ritenuto opportuno sottolineare nelle conclusioni del proprio parere che «nella procedura di valutazione di impatto ambientale relativa al progetto di qualificazione dell'Aeroporto “A. Vespucci” di Firenze – master plan aeroportuale 2014-2029, siano rilevabili evidenti profili di illegittimità tali da giustificare un parere negativo da parte dell'autorità competente»;
   nel parere dell'università di Firenze è dimostrato come la nuova pista sarebbe l'unica al mondo ad essere perpendicolare rispetto ai venti prevalenti e che l'unico elemento portato a giustificazione della nuova pista dal punto di vista tecnico, il coefficiente di utilizzazione (CU), sarebbe stato calcolato in modo non conforme alle principali procedure internazionali da ENAC, ed inoltre non è stato calcolato e valutato l'inquinamento atmosferico ed acustico su Firenze, riferito al numero dei sorvoli previsti sulla città che è tra l'altro patrimonio mondiale dell'umanità (UNESCO);
   nel parere n. 110 del 6 novembre 2015 il nucleo tecnico di valutazione regionale (NURV) della regione Toscana, a seguito di un dettagliato approfondimento che ha riguardato gli aspetti di conformità urbanistica, sia in riferimento alla pianificazione regionale che comunale, le emissioni di inquinanti in atmosfera e le emissioni sonore (anche in fase di cantierizzazione), gli elementi collegati al rischio idrogeologico (come ad esempio la deviazione Fosso Reale, il quale costituisce l'elemento conclusivo del più complesso sistema della bonifica idraulica del comprensorio della piana di natura alluvionale fra Sesto F.no e Prato), il sistema della viabilità, l'impatto sul parco agricolo della piana e le criticità per i siti UNESCO e le aree lacustri, ha invitato la giunta regionale a comunicare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare le numerose criticità ed incompatibilità del progetto e di segnalarne le incoerenze;
   come ricordato nelle conclusioni del parere del nucleo tecnico di valutazione regionale di fatto la previsione della pista aeroportuale con orientamento 12-30 di lunghezza pari a ml 2.400 contrasta anche con l'impianto dell'integrazione al PIT in merito a tale previsione non sarebbe stata mai affrontata una procedura di valutazione ambientale strategica neanche nello strumento di pianificazione regionale;
   il nucleo tecnico di valutazione regionale ha sottolineato l'interferenza tra la realizzazione della pista aeroportuale e la tutela del lago di Peretola (bene paesaggistico tutelato per legge) e le incidenze negative del progetto sulla rete Natura 2000;
   il responsabile del settore tutela, riqualificazione e valorizzazione del paesaggio della regione Toscana, architetto Fabio Zita, ha dichiarato nel suddetto parere del NURV che permarrebbero evidenti profili di illegittimità del procedimento (ad esempio assenza del piano di utilizzo del materiale da scavo), carenze documentali ed incompatibilità ambientali e visto che le questioni evidenziate per la loro rilevanza non potranno essere colmate attraverso iniziative da svolgersi nelle fasi successive all'emanazione del provvedimento di VIA ritiene che il procedimento debba concludersi con l'espressione di parere negativo sulle opere in oggetto;
   una posizione particolarmente critica è stata assunta dai comuni di Calenzano, Carmignano, Poggio a Caiano, Signa, Prato;
   la mancata attuazione del processo partecipativo previsto nel PIT, piano territoriale della stessa regione Toscana, e nella legge regionale 2 agosto 2013, n. 46 (dibattito pubblico regionale e promozione della partecipazione alla elaborazione delle politiche regionali e locali), costantemente sollecitato e sempre disatteso;
   la peculiare situazione di conflitto d'interessi che vede l'ENAC allo stesso tempo controllore e proponente del progetto;
   il master plan 2014-2029 prevede un progetto definito impropriamente di riqualificazione dell'attuale scalo aeroportuali mentre, di fatto, contempla un nuovo aeroporto con una nuova pista diversamente orientata e di dimensioni tali da occupare interamente la porzione di territorio compresa fra il polo scientifico di Sesto F.no ed il tratto iniziale dell'autostrada A11, porzione di territorio identificabile come la componente fiorentina del parco della piana prevista e definita nel PIT della regione Toscana;
   da inizio 2015 risulta pendente un ricorso straordinario dell'università di Firenze contro l'approvazione della variante al PIT della piana fiorentina, documento del consiglio regionale che prevede la nuova pista del Vespucci, in nome della necessità di tutelare i frequentatori e le strumentazioni del polo scientifico di Sesto Fiorentino –:
   se il Governo non ritenga assolutamente necessaria e indispensabile una valutazione analitica, rigorosa e trasparente dell'impatto di rischio per la popolazione che frequenta il territorio circostante la pista di progetto dell'aeroporto di Firenze, ed in particolare per la popolazione del polo scientifico dell'università di Firenze, secondo quanto previsto dall'articolo 715 del codice della navigazione;
   se il Governo non ritenga che l'intendimento di realizzare comunque il progetto a fronte delle criticità e dei limiti espressi da molteplici organismi tecnici debba essere urgentemente rivisto nell'interesse dei cittadini e per la salvaguardia del territorio;
   se, alla luce delle criticità e dei rischi per la salute, per l'ambiente e per l'economia evidenziati nei pareri riportati ed in quelli che hanno partecipato alle osservazioni sul master plan in questione, il Governo non ritenga opportuno interrompere l’iter in corso e assumere iniziative affinché si pervenga al ritiro del progetto;
   se il Governo non ritenga necessario, per quanto di competenza, avviare finalmente un percorso di coinvolgimento dei cittadini attivando il percorso partecipativo, già previsto dalla normativa regionale toscana e fino ad oggi mai attuato.
(4-11368)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al procedimento di valutazione di impatto ambientale sulla riqualificazione dell'aeroporto di Firenze «Amerigo Vespucci», si rappresenta quanto segue.
  L'Enac in data 24 marzo 2015, ha presentato la domanda di pronuncia di compatibilità ambientale relativa al progetto «Master Plan aeroportuale 2014-2029» dell'aeroporto di Firenze, che prevede la riqualificazione dell'aeroporto esistente.
  La competente direzione generale per le valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 1o aprile 2015, ha dato avvio all'istruttoria tecnica presso la commissione VIA/VAS e, ai sensi dell'articolo 24 del decreto legislativo n. 152 del 2006, è stato dato avviso al pubblico dell'avvio del procedimento di VIA e del deposito della documentazione progettuale sui quotidiani. Si fa presente, inoltre, che il procedimento comprende anche la valutazione di incidenza, in quanto il progetto ricade all'interno dell'area naturale protetta SIC-ZPS «Stagni della piana fiorentina e pratese».
  Facendo seguito alle riunioni tecniche con gli enti coinvolti, il 21 luglio 2015, è stata formalizzata anche la richiesta di integrazioni su proposta della commissione Ctva.
  Il proponente ha consegnato le integrazioni richieste in data 8 settembre 2015 e per dette integrazioni ha provveduto a dare avviso al pubblico sui quotidiani in data 5 settembre 2015.
  Successivamente, dopo aver avviato l'istruttoria tecnica sulla documentazione integrativa, in data 22 ottobre 2015, il gruppo istruttore ha ritenuto opportuno convocare una riunione con il proponente e tutti i soggetti che partecipano all'istruttoria tecnica, regione, Mibact ed ISPRA, chiedendo un supporto tecnico alla Ctva sulle componenti ambientali (ambiente idrico, atmosfera, rumore e valutazione di incidenza). Ciò al fine di assicurare un efficace coordinamento delle istruttorie tecniche avviate, nonché al fine di specificare la sede in cui dovessero essere definite le criticità riscontrate sul progetto, cioè se in fase di progettazione ovvero nell'ambito della procedura di VIA, perché determinanti ai fini della compatibilità ambientale dell'infrastruttura stessa. Proprio in questa sede il Mibact ha rilevato un'incongruenza tra il progetto e le previsioni del piano di indirizzo territoriale della Toscana (PIT), con funzione di piano paesaggistico, che tutela il Lago di Peretola che si prevede di tombare.
  La regione Toscana, con delibera della Giunta regionale del 30 novembre 2015, ha espresso parere positivo con prescrizioni.
  L'Enac in data 11 marzo 2016, ha risposto trasmettendo puntuali controdeduzioni.
  Inoltre, con specifico riferimento alla valutazione dell'impatto di rischio sulle comunità presenti sul territorio limitrofo all'aeroporto in questione, si fa presente che, nell'ambito della relativa procedura di valutazione di impatto ambientale, l'ENAC ha presentato il documento «Verifica su modello numerico dell'inquinamento atmosferico e valutazione del rischio», il quale, sulla base delle informazioni ottenute e delle risultanze dell'analisi modellistica, ha concluso che l'impatto dell'esercizio dell'aeroporto «Amerigo Vespucci» di Peretola non risulta significativo rispetto al rischio per la salute umana per l'area studiata. Tale documento è disponibile al seguente link: http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Documentazione/1530/2452.
  Per completezza di informazioni, si fa presente che sono stati conclusi i saggi archeologici richiesti dalla Soprintendenza archeologica di Firenze che ha espresso, al riguardo, il proprio parere endoprocedimentale. Le questioni paesaggistiche, afferenti la delocalizzazione del Lago di Peretola, sono invece in via di definizione; esse devono essere oggetto di condivisione da parte della regione Toscana in quanto incidenti sul Piano Paesaggistico copianificato.
  L'istruttoria risulta attualmente in corso presso la Commissione tecnica per la verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS e le osservazioni presentate da Enti pubblici e da soggetti privati sono disponibili sul sito web di questo Ministero.
  Si fa presente, comunque, che la normativa vigente in materia prevede la possibilità sia da parte del proponente di presentare integrazioni volontarie, sia da parte dell'autorità procedente di chiedere in merito al progetto oggetto della procedura specifiche integrazioni e chiarimenti.
  Ad ogni modo, a questo Ministero preme sottolineare l'importanza del coinvolgimento delle comunità locali nella procedura autorizzativa di un intervento strategico e di notevole impatto come un aeroporto, nonché del confronto tra i diversi attori coinvolti a vario titolo nel percorso progettuale. Tale partecipazione arricchisce il quadro conoscitivo generale, permettendo di confrontare le istanze delle comunità locali e apportare elementi utili nelle diverse fasi progettuali, individuando, se necessarie, le azioni da intraprendere per stabilire l'equa compensazione degli interessi eventualmente lesi ed i relativi costi, nonché idee e soluzioni progettuali migliori.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OCCHIUTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 9 luglio 2014 si è svolta a Roma, presso la «Struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche» della Presidenza del Consiglio dei ministri una riunione tecnica dei rappresentati ministeriali, della protezione civile nazionale e delle diverse strutture locali;
   nella citata riunione è stata riconosciuta la necessità di avviare, solo a partire dal mese di settembre 2014, la programmazione di interventi in materia di depurazione e trattamento delle acque reflue;
   la decisione di avviare gli interventi nel mese di settembre e, quindi, quando la stagione turistica volgerebbe al termine, non servirebbe a ridurre i disagi per i bagnanti e il danno economico per gli operatori turistici derivanti dal malfunzionamento dei depuratori;
   sul prodotto interno lordo calabrese incide fortemente il settore del turismo, in particolare quello balneare;
   sono in atto controlli sulla condizione degli impianti di depurazione delle acque reflue da parte delle forze di polizia giudiziaria, su delega di numerose procure della Repubblica calabresi, per ultima quella di Paola, coordinata dal procuratore capo dottor Bruno Giordano –:
   in cosa consistano gli interventi decisi in sede di riunione tecnica;
   se non si ritenga opportuno anticipare, nell'immediato, provvedimenti urgenti sul ciclo della depurazione delle acque, invece di posticiparli a stagione turistica sostanzialmente conclusa.
(4-05532)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle criticità di programmazione di interventi in materia di depurazione e trattamento delle acque reflue nell'area costiera calabrese, ed alla necessità di anticipare provvedimenti urgenti sul ciclo della depurazione delle acque, si rappresenta quanto segue.
  Premesso che la normativa di settore attribuisce agli enti territorialmente competenti (regioni, province, comuni ed enti di governo d'ambito) l'individuazione e/o la realizzazione degli interventi ritenuti dagli stessi necessari alla risoluzione delle problematiche ambientali, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, consapevole delle diffuse situazioni di inadeguatezza ed inefficienza del sistema di fognatura e depurazione delle acque reflue ancora presenti nel Paese, ed in particolare nelle zone del Mezzogiorno, già dal maggio del 2006 si è attivato con la stipula dell'Accordo di programma quadro (APQ), denominato «nuovo ciclo integrato delle acque».
  Con il citato accordo, siglato dal Ministero dell'ambiente, dal Ministero dello sviluppo economico, dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e dalla regione Calabria, è stato finanziato, tra l'altro, l'intervento per il disinquinamento costiero relativo al tratto compreso tra Belmonte, Amantea e Nocera Terinese.
  Il costo complessivo dell'intervento è stato pari ad euro 6.235.000 ed attualmente, lo stesso intervento risulta concluso.
  Ulteriori risorse economiche sono state stanziate con la deliberazione n. 60 del 30 aprile 2012 del comitato interministeriale per la programmazione economica (Cipe), nell'ambito degli «Interventi di rilevanza strategica regionale nel Mezzogiorno nel settore ambientale della depurazione delle acque».
  Per l'assegnazione di tali risorse, questo Ministero, unitamente al dipartimento per le politiche di sviluppo e la coesione economica del Ministero dello sviluppo economico, ha condotto, nel primo trimestre del 2012, un'istruttoria con le regioni del Mezzogiorno.

  Con specifico riferimento alla regione Calabria, quest'ultima ha individuato 18 interventi di rilevanza strategica per il settore idrico. Tra questi rientra anche l'intervento ID 33736 «disinquinamento fascia costiera vibonese» che interessa l'area in questione.
  Il suddetto intervento è stato inserito nell’«accordo di programma quadro depurazione delle acque» sottoscritto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministero dello sviluppo economico e la regione Calabria già il 5 marzo 2013, per un costo complessivo di euro 30.000.000.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti, anche al fine di valutare eventuali coinvolgimenti di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OLIVERIO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   risulta da notizie riportate dalla Gazzetta del Sud che a Catanzaro continua, dopo ormai mesi dal forte maltempo che ha causato frane e smottamenti sul territorio della presila, l’«emergenza acqua» che vede ormai tubi che si rompono o si guastano e interi quartieri che restano, a turno, senza acqua;
   l'emergenza idrica, causata essenzialmente ad una rete di conduttura obsoleta e che perde circa il 40 per cento dell'acqua erogata, porta i cittadini ad affrontare disagi intollerabili, colpendoli non solo da un punto di vista pratico ma anche nella dignità individuale;
   l'acqua per la popolazione della città di Catanzaro è diventata un bene particolarmente prezioso e di estrema difficoltà nell'approvvigionamento;
   i fatti esposti sono ad avviso dell'interrogante preoccupanti e richiedono una immediata verifica ed un tempestivo intervento al fine di venire incontro alla popolazione di quel territorio –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se sia stato effettuato o intenda promuovere un apposito monitoraggio sulla situazione delle rete idrica di tutto il territorio nazionale, con particolare riguardo alle criticità della Calabria e della città di Catanzaro. (4-03360)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle criticità della rete idrica nella regione Calabria, con particolare riferimento alla città di Catanzaro, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, in merito all'ipotesi di condurre un'indagine ricognitiva su tutto il territorio nazionale per accertare lo stato delle reti idriche, si evidenzia che l'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (Aeegsi), in qualità di regolatore nazionale del servizio idrico integrato, a maggio 2015 ha fornito la presentazione annuale della relazione sullo stato dei servizi e sull'attività svolta prevista dalla legge 14 novembre 1995, n. 481.
  In merito alle criticità del servizio idrico, la ricognizione ha evidenziato, con riferimento alle aree del Sud e delle Isole, una significativa incidenza della discontinuità del servizio idropotabile, delle perdite di rete, nonché della carenza di sistemi fognari e depurativi. L'Aeegsi ha tuttavia evidenziato che i soggetti competenti – nell'ambito delle predisposizioni tariffarie per gli anni 2014 e 2015 – hanno conseguentemente individuato i propri obiettivi specifici, riconducibili soprattutto alla riduzione del grado di vetustà degli impianti e delle reti, all'adeguamento degli impianti di fognatura e depurazione alle disposizioni comunitarie in materia di acque reflue, alla riduzione del tasso di interruzione e potenziamento dei sistemi di adduzione, al contenimento del livello di perdite di rete e dei fenomeni di fuoriuscite e allagamenti e alla copertura efficiente del servizio di misura.
  Inoltre, si fa presente che, per quanto riguarda il Sistema idrico integrato (Sii), la ricognizione delle infrastrutture idriche e, quindi, l'accertamento dello stato di consistenza degli impianti e dello stato di funzionamento degli stessi è un'azione propedeutica alla redazione del piano d'ambito (articolo 149 del decreto legislativo n. 152 del 2006,), che deve essere svolta dagli enti di governo d'ambito, a cui partecipano obbligatoriamente tutti gli enti locali (articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006), per approntare il SII sul territorio dell'ambito ottimale di riferimento, come disciplinato dalla sezione III del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Proprio a tal fine e nell'ambito del riordino del Sii disciplinato dall'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011 e dall'articolo 7 dello «Sblocca Italia», nel quadro delle disposizioni dettate al riguardo dal decreto legislativo n. 152 del 2006, il legislatore ha introdotto nuove previsioni normative, contenenti anche l'introduzione di casi di responsabilità amministrativo-contabile per danno erariale in ragione del comportamento omissivo nonché l'attribuzione di poteri sostitutivi, sia straordinari che ordinari, agli organi politici, statali e regionali, a fronte dell'inerzia delle amministrazioni competenti. Tutto ciò al fine di assicurare una governance del Sii in grado di provvedere prontamente ed efficacemente alla pianificazione, alla programmazione, alla scelta del modello gestionale ed all'affidamento del servizio, nonché ad esercitare adeguatamente il controllo e la vigilanza sulle gestioni e garantirne la trasparenza.
  Tanto premesso, con specifico riferimento alla regione Calabria e alla città di Catanzaro, si precisa che la suddetta regione è tra quelle che ad oggi non hanno ancora provveduto a dare piena attuazione al servizio idrico integrato. Tale mancata attuazione comporta l'esistenza di criticità organizzative, gestionali ed infrastrutturali, che incidono sia sul territorio di riferimento sia sulla cittadinanza. Infatti, la corretta gestione del Servizio idrico integrato, secondo le norme vigenti, prevede appunto una struttura decisionale locale che fa capo agli enti di governo d'ambito a cui spetta la scelta del modello organizzativo del Sii, la pianificazione degli interventi necessari a fornire un servizio di qualità, la redazione del piano economico e finanziario della gestione e l'affidamento del servizio ad un gestore unico, oltre che il controllo e la vigilanza sulla gestione.
  Pertanto, per la regione Calabria è fondamentale attuare l'organizzazione del Sii per superare un'ormai insostenibile frammentazione gestionale che equivale a carenze infrastrutturali, dispendio eccessivo di risorse, pianificazione non aggiornata e tariffazione non coerente con la regolazione nazionale.
  Di conseguenza, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 14 maggio 2015 la regione Calabria è stata diffidata in quanto alla data del 31 dicembre 2014, come stabilito dall'articolo 147, comma 1 del decreto legislativo 152 del 2006, non aveva ancora provveduto ad individuare l'ente di governo d'ambito. Al momento, la regione, sottoposta a monitoraggio continuo da parte degli uffici del Ministero dell'ambiente e dell'Aeegsi, sta provvedendo a dare attuazione agli obblighi di cui alla diffida del 14 maggio.
  In particolare, la regione:
   con delibera di giunta n. 183 del 12 giugno 2015 ha identificato l'Autorità idrica della Calabria (Aic) e, contestualmente, proposto al consiglio regionale il disegno di legge regionale recante «Istituzione dell'ente di governo d'ambito per il servizio idrico integrato Autorità Idrica della Calabria (AIC)»;
   con delibera di giunta n. 256 del 27 luglio 2015 ha disciplinato il funzionamento dell'ente d'ambito;
   fino all'effettivo insediamento degli organi dell'autorità, la gestione ordinaria è affidata al dirigente generale del dipartimento regionale infrastrutture, il quale, con provvedimenti n. 11097 e n. 1198 del 15 ottobre 2015, ha avviato le azioni propedeutiche all'affidamento del Sii;
   con delibera di giunta n. 413 del 21 ottobre 2015 la giunta regionale ha approvato lo schema di deliberazione di giunta comunale di adesione dei comuni della Calabria all'Autorità idrica della Calabria, da adottarsi entro 15 giorni dalla notifica della medesima delibera n. 413/2015;
   con deliberazione del 12 novembre 2015, n. 461, la giunta regionale ha approvato l'integrazione al disciplinare di funzionamento dell'Aic;
   con decreto dirigenziale giunta regionale – dipartimento infrastrutture, lavori pubblici, mobilità del 14 ottobre 2015, n. 1063, sono state avviate le azioni propedeutiche all'affidamento del Servizio idrico integrato e la struttura tecnico operativa dell'Aic è stata demandata alla predisposizione degli atti ed all'espletamento degli adempimenti necessari all'affidamento.

  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgere un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PARENTELA e NESCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in un tratto dell'alveo del fiume Oliva, nel tratto che attraversa i comuni di Aiello Calabro, Amantea, San Pietro in Amantea e Serra d'Aiello, è stato portato alla luce un illecito interramento di rifiuti;
   la procura della Repubblica di Paola, durante le diverse attività di indagine, ha disposto accertamenti tecnici di svariata natura (analisi chimico-fisiche nelle diverse matrici ambientali, prospezioni geologiche, determinazioni radiometriche, valutazioni di riskassessment, ecc.) rivolgendosi sia agli organismi tecnici territorialmente competenti, che ad enti o professionisti presenti e operanti nel territorio calabrese e in altre parti della nazione (Arpacal – Agenzia di protezione ambientale della Regione Calabria, Consiglio nazionale delle ricerche, università di Cosenza regione Calabria, Arpa Emilia Romagna, vigili del fuoco, e altri). Molte delle determinazioni chimico-analitiche sono state ripetute e confrontate dallo stesso soggetto e da soggetti diversi e nel corso degli anni in cui si è svolta questa tenace attività di indagine, fornendo alla fine un insieme di informazioni ed un quadro di presenza di elementi inquinanti univoco che, allo stato delle conoscenze sull'area dell'Oliva, non può essere contraddetto e sottaciuto da alcuno. In ultimo sono state compiuti dall'ISPRA accertamenti sistematici tesi a meglio precisare il quadro già delineato dalle indagini della Procura, anche ai fini della caratterizzazione e che hanno dato sostanziale conferma delle sostanze presenti;
   analisi chimiche svolte in zona hanno messo in evidenza disparate sostanze, sia di natura organica che inorganica, alcune non presenti abitualmente in natura, ovvero non abitualmente presenti in natura alle concentrazioni riscontrate;
   in una relazione dell'ISPRA, viene riportato che in tale zona è avvenuto smaltimento illecito mediante interramento previo asporto del terreno originario nel corso di un periodo che ha avuto inizio almeno venti anni addietro. I rifiuti rinvenuti sono costituiti, in massima parte, da materiali dalla lavorazione della pietra (fanghi, inerti, e altro) e da materiali derivanti dall'attività edile (tra cui tondini di ferro, cavi elettrici, e altro);
   a tale attività di illecito smaltimento hanno concorso, in qualità di promotore e di organizzazione dei trasporti e degli interramenti, il gestore di un'impresa dedita alle attività estrattive ed in qualità di titolari consenzienti delle aree di interramento, alcuni privati della zona;
   per tali fatti sono stati contestati i reati di disastro (articolo 434 codice penale) e di avvelenamento di acque destinate al consumo (articolo 439 codice penale), nonché i reati di gestione di rifiuti senza autorizzazione e di discarica abusiva (articolo 256, commi 1, 2 e 3, del decreto legislativo n. 152/2006);
   in generale, il territorio in questione si presenta come un'area a destinazione naturale ed agricola, ricca di vegetazione. Nelle vicinanze sono presenti, anche terreni destinati a coltivazioni di pregio. Il territorio che include le spiagge prossime alla foce del fiume, ha anche un particolare valore turistico. I siti di smaltimento ricadono inoltre in aree soggette al vincolo paesaggistico, idrogeologico e sismico;
   i rifiuti sono stati rinvenuti in otto aree per un totale massimo stimabile di circa 140.000 metri cubi e per quanto riguarda la contaminazione dei suoli è stato accertato nella relazione dell'ISPRA che vi è una presenza di elevate concentrazioni di idrocarburi pesanti e di metalli pesanti nell'area Carbonara, in un'area prossima e nell'area Foresta. La contaminazione si è estesa alla falda della zona tale da escludere la possibilità di utilizzare l'acqua per il consumo umano, fini irrigui e zootecnici;
   attualmente, citando solamente i dati sicuramente anomali secondo le normative italiane ed europee vigenti, in località Foresta (nei sedimenti fluviali e nelle acque superficiali del fiume Oliva, nel terreno e nei piezometri), le determinazioni tecniche effettuate hanno dimostrato la presenza di concentrazioni di cadmio, mercurio, tallio e manganese al di sopra dei limiti previsti per i siti d'uso pubblico e privato;
   in svariati campioni, sono stati misurati valori anomali di alcuni composti alifatici clorurati quali clorometano, diclorometano, triclorometano (cloroformio) e tetracloruro di carbonio nonché composti aromatici quali il toluene;
   l'ARPACAL nella propria attività analitica ha verificato in svariati campioni prelevati in profondità nel corso del 2010 concentrazioni al di sopra dei limiti di riferimento di antimonio, arsenico, cadmio, cobalto, cromo totale, rame, stagno, zinco e idrocarburi totali;
   un altro rilievo importante è quello relativo alla presenza di radionuclidi artificiali con elevata radio-tossicità e cioè l'antimonio 124 (124Sb) il cadmio 109 (109Cd) ed il cesio 137 (137Cs);
   tutte le sostanze appena riportate hanno effetti biologici importanti tra i quali spicca, per la maggior parte di esse, la capacità di indurre patologie tumorali;
   l'entità del danno ambientale è consistente sia in ragione della tipologia delle sostanze presenti che in rapporto al luogo in cui sono dismesse (con un rapporto stretto con il letto del fiume Oliva);
   è stata rilevata la presenza di radionuclidi artificiali ed in particolare dell'isotopo del cesio 137 (137Cs), la cui presenza e diffusione impone azioni tese ad una caratterizzazione ulteriore e rende la fattispecie del danno ambientale assai più grave;
   nei territori più prossimi ai siti di contaminazione è stata rilevata la successiva evidenza di un eccesso di tumori maligni della tiroide che, ancorché al di sotto del limite di significatività statistica concorda con la presenza anomala di 137Cs;
   i fatti sopra citati rafforzano la sensazione che siano effettivamente presenti una quantità e tipologia di inquinanti ambientali nel suolo e nelle acque e in atmosfera in ambito del bacino fluviale del fiume Oliva tali da potere condizionare un danno per la salute dei residenti oltre che per l'ambiente circostante –:
   se, alla luce della gravissima situazione igienico-sanitaria e ambientale riscontrata nella valle del fiume Oliva, confermata dal consulente tecnico d'ufficio della procura della Repubblica di Paola, dalle risultanze delle indagini condotte dalla magistratura e dalla relazione dell'ISPRA, i Ministri interrogati non ritengano opportuno, nell'ambito delle rispettive competenze, intervenire con urgenza per garantire la sicurezza igienico-sanitaria e ambientale dell'area e promuovere la bonifica della Valle dell'Oliva;
   se il commissario per il rientro dal debito sanitario non ritenga opportuna la predisposizione del registro tumori della Calabria, unitamente a un registro epidemiologico e a tutte le misure necessarie affinché sia tutelata la salute dei cittadini.
(4-03105)

  Risposta. – In riferimento all'interrogazione in esame relativa ad un illecito interramento di rifiuti individuato nel tratto del fiume Oliva che attraversa i comuni di Aiello Calabro, Amantea, San Pietro in Amantea, sulla base degli elementi acquisiti presso gli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  L'attività investigativa afferente alla Valle del Fiume Oliva è iniziata a seguito del rinvenimento di fanghi industriali, classificati come rifiuti speciali non pericolosi, nelle discariche dismesse in località Foresta nel comune di Aiello Calabro e in località Carbonara nel comune di Serra d'Aiello.
  Successivamente si è inteso estendere l'indagine ad un'area più vasta comprendente sette siti ubicati lungo l'asta fluviale. Tale indagine è stata curata dall'Ispra coadiuvata dall'Arpacal.
  Sono state condotte, al riguardo, indagini di tipo geofisico, con particolare attenzione alla ricerca di radionuclidi artificiali quali il cesio 137. I valori di radioattività misurati sono risultati in linea con la concentrazione media per il sud Italia che è pari a 6 Bq/Kg. Tale valore è stato determinato dagli studi effettuati dall'Enea ed è attribuibile a valori di fondo, riconducibili alle formazioni geologiche presenti.
  Nella relazione Ispra concernente la caratterizzazione ambientale emerge, invece, una forte criticità a carico delle acque di falda per la presenza di manganese, solfati e ferro.
  Nella stessa relazione, viene inoltre fornita una stima dei quantitativi di rifiuti speciali non pericolosi presenti, risultata compresa fra i 23.000 metri cubi e i 140.000 metri cubi.
  Il dipartimento politiche dell'ambiente della regione Calabria ha quindi affidato ad Arpacal la predisposizione ed attuazione di un piano di lavoro per lo svolgimento di un'attività integrativa a quella relativa alla caratterizzazione eseguita dall'Ispra e finalizzata all'elaborazione del documento finale «Analisi del rischio sito specifica» con i requisiti di cui all'allegato 1 parte IV Titolo V del decreto legislativo 152 del 2006.
  Ciò, al fine di consentire, ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo 152 del 2006, l'eventuale messa in sicurezza e/o bonifica del sito, qualora il sito risultasse inquinato. Tale piano risulta comprensivo di indagini indirette (prospezioni geofisiche) e dirette (carotaggi), campionamenti in situ ed analisi di laboratorio.
  Ad oggi Arpacal ha redatto il documento «Analisi di rischio sito specifica» e determinato il modello concettuale definitivo mentre risulta ancora, in fase di predisposizione, il progetto di bonifica, che è di competenza regionale.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso il coinvolgimento di tutti i soggetti competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PELLEGRINO, ZARATTI, RICCIATTI, FERRARA e PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 22 e 23 marzo 2016, alcune agenzie e siti web hanno riportato la notizia di un incidente, con conseguente fuoriuscita di petrolio, vicino alle coste dell'isola di Kerkennah in Tunisia;
   la perdita sembrerebbe avere origine dalle condotte sottomarine appartenenti alle Thyna Petroleum Services (TPS), una società comune della tunisina National Oil Company, e della ETAP-Entreprise Tunisienne d'activités Pétrolières. Ma sotto accusa è soprattutto la Petrofac, una compagnia britannica specializzata nella fornitura di servizi all'industria petrolifera;
   la società ha rilevato, domenica 13 marzo 2016, una perdita alla testa del pozzo «Cercina 7». Il pozzo di estrazione si trova a soli 7 chilometri dalla costa dell'isola;
   secondo le autorità tunisine, la situazione sarebbe sotto controllo e il danno contenuto, ma per la società civile che risiede sull'isola, di cui sono stati ricoperti di greggio tre chilometri di spiaggia, è invece una vera e propria catastrofe ecologica e sociale. Le conseguenze dell'incidente sono, infatti, pesantissime per la popolazione delle isole;
   come riportato dal sito Greenreport del 22 marzo 2016, la pesca è l'attività principale dell'arcipelago, e da quando hanno iniziato a trivellare nel Golfo di Gabes sono iniziati i problemi perché l'inquinamento collegato alle attività estrattive ha fatto diminuire drasticamente il numero delle spugne e anche il pescato ha subito un calo;
   l'incidente in Tunisia dimostra come anche a fronte di un incidente seppur contenuto legato ad attività di estrazione di idrocarburi in mare, le conseguenze negative sull'ecosistema e sulle popolazioni rivierasche possono essere estremamente pesanti;
   come sottolineato dalla presidente di Legambiente Rossella Muroni, episodi drammatici come quello suesposto, fanno purtroppo da ulteriore monito sulle possibili conseguenze delle attività delle piattaforme. Anche le attività di routine possono, peraltro, rilasciare sostanze chimiche inquinanti e pericolose nell'ambiente marino, come olii, greggio, metalli pesanti o altre sostanze contaminanti, con gravi conseguenze sull'ambiente circostante;
   questi rischi sono maggiormente acuiti dal fatto che il Mediterraneo, e ancora di più il mare Adriatico, dove purtroppo si concentrano la gran parte delle attività di ricerca ed estrazione offshore, sono mari «chiusi», con un bassissimo o praticamente nullo — per quanto riguarda in particolare l'Adriatico — ricambio delle acque –:
   quali iniziative siano state avviate al fine di verificare e monitorare l'impatto sull'ambiente marino e la reale portata dell'incidente petrolifero nel mare tunisino, e se quanto accaduto non confermi che un eventuale incidente nelle piattaforme offshore operanti in un mare chiuso quale il Mediterraneo e, ancor di più l'Adriatico, sarebbe fonte di danni incalcolabili e duraturi sull'ecosistema e sull'economia locale. (4-12680)

  Risposta. — Con riferimento alla interrogazione in esame, relativa all'incidente, con conseguente fuoriuscita di petrolio, vicino le coste delle isole Kerkennah, in Tunisia, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, si evidenzia che, ad oggi, al Ministero dell'ambiente non sono pervenute notizie dettagliate sul suddetto incidente, né tantomeno richieste ufficiali di cooperazione da parte delle autorità tunisine.
  Inoltre, sulla base degli elementi forniti dal Ministero dello sviluppo economico, si riferisce quanto segue.
  Sulla stampa italiana sono apparse notizie, anche contrastanti tra loro, di una chiazza di petrolio allargata, presente a 120 chilometri da Lampedusa. La chiazza sembrerebbe riconducibile ad un incidente avvenuto il 13 marzo 2016 in una piattaforma offshore situata a 7 chilometri al largo delle isole Kerkennah, nella regione tunisina di Sfax. In particolare, tra le notizie si riporta che una squadra dell'agenzia nazionale tunisina per la protezione dell'ambiente, è stata inviata sul posto e la Thyna petroleum services ha confermato una leggera perdita di petrolio alla testa del pozzo Cercina – 7, perdita che si suppone sia derivante da una rottura della provetta di controllo, un tubo dal diametro di 10 millimetri.
  Sempre il Ministero dello sviluppo economico segnala di aver ottenuto attraverso gli accordi per la sicurezza, alcuni riscontri dei risultati dell'analisi effettuata dal centro nazionale di ricerca dipartimento istituto per il rilevamento elettromagnetico dell'ambiente, a seguito di una sollecitazione da parte del servizio previsione dispersione idrocarburi dell'istituto per l'ambiente marino costiero (IAMC) del Cnr, a proposito dei possibili eventi di dispersione di idrocarburi dalla piattaforma 07- Cercina (Tunisia). I risultati mettono in evidenza che dall'avvenimento del presunto incidente ad oggi, la possibile traccia di oil slick non si è mai spostata. Questo dato, a più giorni dall'evento, conferma in modo evidente che il presunto oil slick sia imputabile alla traccia della conformazione morfologica e fisiografica dell'isola. In sintesi, l'effetto prodotto dalle immagini SAR «è conseguente al fondale basso della zona che, probabilmente in presenta di effetti di marea (bassa), rende la zona una specie di laguna con acque che retro-diffondono in modo sostanzialmente speculare il segnale radar, da cui l'effetto simile a quello di un oil slick».
  Inoltre, per quanto concerne gli aspetti relativi all'attività di monitoraggio, si rappresenta che il Ministero dell'ambiente ha attivato a livello nazionale, da oltre un ventennio, in conformità alle normative vigenti in materia, un sistema finalizzato alla prevenzione e lotta agli inquinamenti marini lungo tutti i circa 7.500 chilometri di costa italiana, mediante l'impiego di unità navali specializzate.

  Attualmente, a seguito del contratto stipulato il 23 giugno 2015 ed operativo dal 1o agosto 2015 con la Castalia consorzio stabile S.c.p.a. in esito a una gara comunitaria, la struttura antinquinamento si compone di 36 unità navali, di cui 9 di altura e 27 costiere, dislocate lungo il perimetro costiero nazionale con pronto impiego h/24, quindi pronte a intervenire nel caso in cui fenomeni inquinanti dovessero minacciare le nostre coste.
  Inoltre, le coste adriatiche e quelle a sud della Sicilia, dove sono ubicate le piattaforme petrolifere in acque italiane, sono giornalmente monitorate da un sistema di controllo integrato satellitare, aereo e navale di avvistamento di eventuali macchie inquinanti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato, nonché a svolgere un'attività di monitoraggio.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PRODANI, RIZZETTO, PELLEGRINO e ROSATO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica di Slovenia e la Repubblica di Croazia sono comproprietarie della centrale nucleare di KrsAhko che dista solamente 201 chilometri dal territorio italiano e si trova anche in situazione cosiddetta «sottovento», visto che in quelle zone prende avvio il vento di bora che spira dal mare verso la pianura ricca di allevamenti, coltivazioni e famosi vigneti DOC e DOCG;
   da anni l'Associazionismo ambientalista del Friuli Venezia Giulia segnala come l'inquietante presenza della centrale nucleare di KrsAhko possa costituire un grave pericolo per la cittadinanza e l'ambiente vista la sua ubicazione in una zona sismica certificata e la sua costruzione oramai vetusta, in più occasioni anche al centro di sospette fuoriuscite di materiale radioattivo, non ultima nel 2008;
   da tempo esiste il progetto, inserito nel 2011 anche nel piano energetico della Repubblica di Slovenia, di costruire accanto all'esistente centrale da 690 megawatt una nuova da 1.600 megawatt;
   quest'ultimo aveva sollevato l'entusiasmo dell'ex presidente del Friuli Venezia Giulia, Renzo Tondo, il quale si era spinto a proporre addirittura l'intervento economico della Regione a sostegno di tale impresa;
   la situazione economica, oltre al risultato del referendum popolare abrogativo del 2011, non consente affatto alcuna apertura nei confronti dell'atomo;
   l'Istituto francese sulla sicurezza nucleare IRSN ha svolto per conto della società di gestione della centrale nucleare – Gen Energija uno studio relativo al rischio sismico ed alla eventuale fattibilità di realizzazione della KrsAhko 2;
   lo stesso approfondimento non è stato mai né divulgato né pubblicato lasciando l'opinione pubblica all'oscuro e nel patema del dubbio –:
   se il Governo darà seguito e risposta concreta alle istanze presentate dal WWF e da Legambiente del Friuli Venezia Giulia in data 24 aprile 2013;
   se il Governo intenda adoperarsi per ottenere risposte certe ed immediate da parte dei Governi sloveno e croato in merito allo status della centrale esistente ed allo stato dell'opera di eventuali progettualità;
   se, nell'ottica della tutela del cittadino e dell'ambiente, nonché della qualità della vita, il Governo si impegnerà a promuovere ogni campagna di sensibilizzazione volta alla prevenzione degli effetti della presenza di materiale radioattivo, oltreché di educazione all'energia nucleare. (4-00417)


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   la Repubblica di Slovenia e la Repubblica di Croazia sono comproprietarie della centrale nucleare di Krs Ahko distante circa 130 chilometri dal territorio italiano;
   l'ubicazione di questo impianto pone il nostro territorio «sottovento» perché in quelle zone nasce la bora che dal mare raggiunge la pianura del Friuli Venezia Giulia, ricca di allevamenti, coltivazioni e pregiati vigneti DOC e DOCG;
   da anni gli ambientalisti locali denunciano il pericolo costituito da questo vecchio impianto da 690 megawatt, costruito in una zona sismica certificata, che in più occasioni è stato al centro di sospette fuoriuscite di materiale radioattivo come quella registrata nel 2008;
   la Repubblica di Slovenia intende, come previsto dal piano energetico del 2011, costruire nella stessa zona una nuova centrale da 1.600 megawatt (Krs Ahko 2);
   la società Gen Energija incaricata dei lavori e della gestione del nuovo impianto, ha commissionato uno studio all'Istituto francese sulla sicurezza nucleare (IRSN) sul rischio sismico e sull'eventuale fattibilità dell'impianto, finora mai pubblicato;
   secondo alcune fonti, l'indagine dell'IRSN era giunta a conclusioni negative per l'elevata sismicità dell'area, bocciando la costruzione del reattore Krs Ahko 2;
   il 22 maggio 2013 il Ministero sloveno delle infrastrutture, dopo numerose sollecitazioni delle associazioni ambientaliste WWF e Legambiente, oltre alla pressione internazionale rappresentata dalla presentazione alla Camera dell'interrogazione n. 4-00417 dell'interrogante, ha pubblicato online i risultati dello studio;
   WWF e Legambiente hanno segnalato la documentazione all'Istituto nazionale di oceanografia e geofisica, al servizio geologico e alla protezione civile della Regione Friuli Venezia Giulia, chiedendone un'analisi da divulgare poi al pubblico –:
   se il Governo intenda verificare, insieme agli enti competenti, lo studio francese sul rischio sismico e sulla fattibilità dell'impianto di Krs Ahko 2, al fine di attivarsi per ottenere risposte certe ed immediate da parte dei Governi sloveno e croato in merito allo status della centrale esistente e all'eventuale realizzazione del nuovo impianto. (4-01177)

  Risposta. — Con riferimento alle interrogazioni in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  La centrale di Krško è uno degli impianti nucleari, tra quelli in esercizio nei Paesi oltre confine, presi a riferimento dal piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche che ha lo scopo di proteggere la popolazione, in particolare delle regioni del centro-nord dell'Italia, maggiormente esposta al rischio di un eventuale incidente.
  Il Ministero degli affari esteri, appositamente interpellato, ha evidenziato che per quanto concerne il livello di sicurezza della centrale di Krško valgono le attività di monitoraggio e consultazione condotte con la Slovenia, sia in ambito Euratom che nel corso delle principali iniziative multilaterali di cui fanno parte sia l'Italia che la stessa Slovenia.
  Il riferimento, in particolare, è alla convenzione internazionale del 1991 sulla valutazione di impatto ambientale in un contesto transfrontaliere (ESPOO), che prevede in capo agli Stati membri l'obbligo di notifica e consultazione con le altre Parti aderenti all'accordo stesso, nonché alle convenzioni in materia di sicurezza nucleare concluse nell'ambito dell'agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA).
  Ed è proprio quest'ultima che, su espressa richiesta di Lubiana, ha provveduto ad inoltrare ai governi d'Italia, Austria, Croazia e Ungheria le informazioni ricevute da parte slovena in merito agli incidenti avvenuti alla centrale di Krško negli ultimi anni.
  Ad ulteriore chiarimento della situazione, lo stesso Ministero degli affari esteri ha evidenziato che il 4 ottobre 2012 sono stati condotti alcuni stress test dalla Commissione europea su 145 centrali nucleari in 15 Stati membri dell'Unione Europea. In particolare per la centrale nucleare di Krško sono state formulate tre raccomandazioni: la prima fa riferimento alla necessità di prendere in considerazione gli esiti dell'ultima valutazione del rischio sismico – che evidenzia minori margini di sicurezza – in vista dei futuri interventi già programmati, volti ad elevare gli standard di sicurezza.
  Secondo l'Agenzia slovena per la sicurezza nucleare, gli stress test confermano che la centrale di Krško è tra le più sicure d'Europa e che le misure adottate sono già adeguate per fronteggiare la maggior parte dei possibili disastri naturali, ivi inclusi quelli più improbabili.
  Infatti, al fine di rafforzare il livello di sicurezza, la centrale di Krško sta sviluppando il «Post fukushima national action plan», approvato nel dicembre 2012. Tale Piano ha previsto la realizzazione di interventi per 200 milioni di euro per incrementare il livello di sicurezza in caso di terremoti, alluvioni e altri eventi straordinari, quali, ad esempio, incidenti aerei. La centrale nucleare è stata inoltre dotata di un nuovo generatore elettrico diesel capace di alimentare il reattore per una settimana in caso di assenza di alimentazione elettrica di rete.
  Più in particolare, si evidenzia che la proposta del programma energetico nazionale della Repubblica di Slovenia (2010 – 2030) della fine del 2011 prevedeva il prolungamento della vita utile dell'attuale centrale nucleare di Krško fino al 2043 e la costruzione nello stesso sito, entro il 2022, di un secondo reattore di «terza generazione» il cosiddetto Krško 2, con una potenza di 1.000/1.600 MW.
  In esito alla attivazione della procedura di consultazione transfrontaliera sulla Valutazione ambientale strategica (VAS) del predetto programma energetico nazionale della Slovenia, la competente struttura di questo dicastero già il 14 marzo 2012 aveva trasmesso alla autorità slovena, ai sensi dell'articolo 7 della direttiva 2001/42/ Comunità Europea, le proprie osservazioni sul rapporto ambientale, sui sottoprogrammi del programma, nonché sulle valutazioni dei relativi impatti.
  Per quanto attiene la problematica relativa alla centrale nucleare di Krško, descritta nel sottoprogramma 7 – produzione di energia elettrica e sottoprogramma 8 – trasmissione dell'energia elettrica (concernenti: prolungamento fino al 2043 dell'attività della centrale nucleare di Krsko, costruzione di una nuova centrale nucleare di terza generazione nella stessa località di 1.000/1.6000 MW, realizzazione di uno stoccaggio permanente delle scorie a bassa e media radioattività a Vrbina nel comune di Krško) questo Ministero esprimeva determinate considerazioni e osservazioni.
  In particolare, si riferiva che il piano e il rapporto ambientale sottoposti a valutazione non fornivano informazioni su caratteristiche tecniche delle centrali e dei depositi e sul rischio sismico, argomento questo, oggi, quanto mai delicato anche alla luce delle risultanze dello studio sull'argomento svolto dall'istituto francese sulla sicurezza nucleare (Irsn).
  Per poter completare l'analisi degli impatti ambientali transfrontalieri e formulare osservazioni più puntuali, era stato chiesto alla autorità slovena di completare l'analisi degli impatti ambientali come sopra indicato e in conformità a quanto richiesto dall'allegato 1 e alla già richiamata direttiva 2001 /42/ Comunità Europea.
  A seguito di ripetute richieste volte a conoscere gli esiti delle osservazioni formulate da questo dicastero, il ministero dell'ambiente della Repubblica di Slovenia in data 19 giugno 2013 ha fatto conoscere che, sino ad allora, nessuna decisione era stata adottata in merito al programma energetico nazionale e che le considerazioni e le osservazioni formulate dallo Stato Italiano sarebbero state debitamente valutate nell'ambito di adozione di qualsiasi provvedimento concernente la questione in esame.
  Per quanto attiene alla realizzazione del secondo reattore (cosiddetto Krško 2), per un conto stimato di 5 miliardi di euro, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale sottolinea che la decisione in tal senso non è stata ancora presa dal pertinente Governo sloveno.
  L'autorità slovena ha infatti informato che il piano di costruzione della seconda unità di Krško è allo stato sospeso, in attesa di decisioni politiche in merito. Al momento non è possibile stabilire la tempistica delle decisioni che risentono, fra l'altro, dell'attuale grave crisi economica.
  Come sopra descritto, la proposta del programma energetico nazionale della Repubblica di Slovenia (2010-2030) della fine del 2011 prevedeva il prolungamento della vita utile dell'attuale centrale nucleare di Krško fino al 2043 e la costruzione nello stesso sito, entro il 2022, di un secondo reattore di «terza generazione», il cosiddetto, Krško 2, con una potenza di 1.000/1.600 MW. Pertanto, Fattuale Governo sloveno dovrà valutare se confermare la proposta di programma di cui sopra o se, in alternativa, presentarne uno nuovo, determinando, con riferimento al settore nucleare, il numero di anni residui per la gestione dell'attuale centrale di Krško e la decisione in merito all'eventuale costruzione di un nuovo reattore.
  Proprio al fine di monitorare al meglio l'evoluzione della vicenda, è stata intensificata l'attività di cooperazione sui temi della sicurezza nucleare previste dall'accordo bilaterale in atto tra l'istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), autorità nazionale di regolamentazione competente in materia, e la slovenian nuclear safety administration, (Snsa), analoga organizzazione slovena.
  Nell'ambito dell'attività di cooperazione, nei giorni 26 e 27 novembre 2014 l'Ispra ha partecipato all'esercitazione di emergenza nucleare che la Slovenia ha condotto simulando un incidente alla centrale di Krško.
  In tale ambito, l'esercitazione ha rappresentato una importante opportunità di verifica dei sistemi e delle procedure previste dall'accordo per il pronto allarme in caso di un evento incidentale a carico della centrale slovena.
  Alla esercitazione, che ha visto la partecipazione anche di una rappresentanza della Croazia, del incident and emergency centre dell'Iaea (Agenzia internazionale per l'energia atomica) di Vienna, nonché la presenza di osservatori della nuclear regulatory commission (NRC) degli Stati Uniti, l'Ispra ha partecipato attivando il proprio centro emergenze nucleari.
  Nel corso dell'evento sismico verificatosi il 1o novembre 2015 in Slovenia, che ha interessato la centrale di Krško, l'Ispra, in qualità di autorità di regolamentazione competente in materia di sicurezza nucleare e radioprotezione, ha monitorato sin dalle prime ore la situazione, in collaborazione con l'Arpa FVG. In particolare, l'istituto ha contattato la Slovenian nuclear safety administration, (Snsa), Autorità di sicurezza nucleare slovena. La stessa autorità slovena ha confermato un evento sismico verificatosi alle ore 8:22 nelle vicinanze della centrale, con una magnitudo 4.2 della scala richter. La scossa non ha determinato l'arresto automatico dell'impianto. Sono state comunque avviate dall'esercente le procedure di allerta previste in tali casi, le quali sono tuttavia rimaste in atto soltanto per 30 minuti. Non essendo stata rilevata alcuna anomalia, la centrale ha continuato ad operare regolarmente.
  L'Ispra, come previsto dalle procedure nel caso di particolari situazioni che possano interessare impianti nucleari oltre confine, ha mantenuto informato della situazione il dipartimento della protezione civile. Analogamente, è stato tenuto informato il Ministero dell'ambiente e della Tutela del Territorio e del mare.
  Si segnala, da ultimo, che la direzione generale per le valutazioni e autorizzazioni ambientali ha provveduto nuovamente a richiedere alla Repubblica di Slovenia aggiornamenti in merito all'adozione ed attuazione del programma energetico nazionale che prevede, al sottoprogramma 7, l'estensione da 40 a 60 anni dell'attività delle centrale nucleare di KršKo, lo stoccaggio permanente delle scorie a bassa e media radioattività a Vrbinia nel comune di Krško e una nuova centrale da 1000 a 1600 Mw. Sul punto non appena acquisiti altri elementi verranno fornite ulteriori informazioni.
  Quanto riferito, testimonia che la problematica rappresentata dagli interroganti è tenuta in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle valutazioni di competenza previste dai vigenti accordi internazionali e comunitari con il massimo grado di attenzione, tenuto conto dei possibili rischi nei confronti delle popolazioni e del territorio derivanti dalla complessa gestione di una centrale nucleare.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PRODANI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 2 settembre 2014, Livio Sirovich e Franco Pettenati, membri dell'Istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale, insieme al professor Peter Suhadolc e al ricercatore Giovanni Costa dell'università di Trieste (dipartimento di scienze della terra), hanno pubblicato sul sito informativo Konrad l'articolo «Centrale nucleare di Krško, rischio sismico troppo alto ?»;
   gli esperti hanno esposto le numerose criticità relative alla centrale nucleare Krško – di cui la Repubblica di Slovenia e la Repubblica di Croazia sono comproprietarie –, struttura che dista solo 125 chilometri da Trieste e della quale l'interrogante si è più volte interessato con numerosi atti di sindacato ispettivo (4-04652, 4/02329, 4/01177, 4/00417) che non hanno ancora ricevuto risposta;
   la centrale Krško-1, si legge nell'articolo, sarebbe esposta a gravi rischi sismici per la presenza accertata di alcune faglie in grado di generare terremoti di grande intensità, mentre gli attuali «stress test» sismici si basano sul solo parametro di accelerazione massima orizzontale del suolo (PGA), in questo caso pari a 0,3 g, tre decimi dell'accelerazione di gravità;
   l'impianto costruito alla fine degli anni ’70 avrebbe quindi adottato une PGA troppo bassa, a detta degli esperti, essendo più appropriato un valore di 0,6 g;
   secondo i tecnici sloveni incaricati della verifica dell'impianto, il valore di PGA raggiungerebbe 0,6 g grazie a una serie di accorgimenti, alcuni dei quali non sarebbero verificabili;
   la Repubblica di Slovenia intende, come previsto dal piano energetico dei 2011, costruire nella stessa zona una nuova centrale da 1.600 megawatt (Krško-2);
   la società Gen Energija, incaricata dei lavori e della gestione dei nuovo impianto, ha commissionato uno studio all'istituto francese sulla sicurezza nucleare (IRSN) sul rischio sismico e sull'eventuale fattibilità dell'impianto;
   IRSN era entrato a far parte di un consorzio composto dal servizio geologico francese, dal servizio sloveno e da una società privata slovena;
   le conclusioni dell'IRSN, che aveva giudicato il sito di Krško inadatto alla costruzione di una nuova centrale a causa dei movimenti tellurici prodotti da faglie, sono state in un primo momento secretate;
   il 22 maggio 2013 il Ministero sloveno delle infrastrutture, dopo numerose sollecitazioni delle associazioni ambientaliste WWF e Legambiente, oltre alla pressione internazionale determinata dalla presentazione alla Camera dell'interrogazione n. 4-00417 dell'interrogante, ha pubblicato online i risultati dello studio;
   a seguito delle gravi divergenze di opinione, le autorità slovene hanno chiuso il Consorzio, sostituendolo con il famoso consulente americano Rizzo Associates Inc.;
   i contrasti con i francesi avrebbero riguardato l'attività pregressa della cosiddetta faglia di Libna che avrebbe interessato il terreno e poche centinaia di metri dal sito di Krško-2. Sembrerebbe, inoltre, che il problema della eventuale presenza di faglie più lontane, ma capaci di provocare forti terremoti, non sia stato approfondito;
   secondo quanto riportato nell'articolo, il direttore dell'IRSN avrebbe scritto a GEN: «questa nuova e grave scoperta [di una faglia attiva vicina all'Impianto; ndr] non permette di concludere in modo favorevole sull'adeguatezza dei due siti per la costruzione di una nuova centrale nucleare»; «andrebbe ricordato che la valutazione dei fenomeni di spostamento permanente dei terreno di fondazione è un tema altamente impegnativo, dato l'insufficiente esperienza internazionale attualmente disponibile nonché la mancanza di metodi e strumenti consolidati [di analisi]» «Questo Istituto francese di radioprotezione e sicurezza nucleare considera che è di estrema [utmost] importanza che le possibili implicazioni di questa capacità di faglia [rotture della faglia Libna] sulla sicurezza dell'impianto esistente, così come la suo potenziale relazione strutturale con altre faglie vicine, sia affrontata senza ritardo. Io [scrive il direttore francese Repussard] ho capito che GEN si è sentita preoccupata su questo argomento ed era sicuramente intenzionata ad informare su questa scoperta l'esercente dell'impianto Krško-1 (Nuklearna Elektrarna Krško – NEK) così come l'Agenzia Slovena per la Sicurezza Nucleare (NSA). Io sarei molto grato se voi poteste confermare che ciò è stato effettivamente fatto, dal momento che io ravviso importante richiamare l'attenzione della NSA su questo argomento, in considerazione delle potenziali implicazioni di sicurezza che esso può avere a livello nazionale ed internazionale»;
   la pericolosità sismica della zona in cui insiste la centrale di Krško è evidenziata anche da alcune pubblicazioni a titolo personale degli autori dell'articolo, come la relazione su Krško del Politecnico di Milano (2012) e il Volume 55, n. 1, marzo 2014 del Bollettino di geofisica teorica e applicata dell'istituto nazionale di oceanografia e di geofisica sperimentale di Trieste;
   a riprova delle criticità summenzionate si ricorda che il 22 aprile 2014 alle ore 10:58 a Trieste è stata avvertita una forte scossa di terremoto (magnitudo 4,6 Richter) il cui epicentro è stato localizzato in Slovenia, nell'area del Monte Nevoso a tre chilometri a Nord di Knezak a una profondità di circa 16 chilometri, a una distanza di 150 chilometri dalla centrale nucleare di Krško. Le autorità slovene non hanno reso disponibili informazioni sugli eventuali danni che l'impianto avrebbe potuto subire a seguito dei sisma;
   lo stato dell'impianto desta preoccupazione anche per l'incidente riportato il 25 ottobre 2013 da un articolo del quotidiano Il Piccolo di Trieste intitolato «Barra nucleare trovata spezzata a Krško», che ha rilevato come, durante gli ordinari lavori di manutenzione nella centrale, siano stati rilevati danni di natura meccanica alla struttura;
   in particolare, alcune barre di carburante nucleare contenute nei tre elementi di combustibile del reattore si sarebbero incrinate e addirittura spezzate;
   l'Italia con due referendum abrogativi, svolti nel 1987 e nel 2011, ha deciso di non costruire reattori nucleari sul proprio territorio;
   le centrali di altri Paesi presenti a ridosso o lungo il territorio di confine possono costituire un serio pericolo per la cittadinanza, soprattutto come nel caso della centrale di Krško, costruita in un'area sismica riconosciuta –:
   se il Governo intenda adoperarsi per ottenere risposte certe ed immediate da parte dei Governi sloveno e croato in merito allo status della centrale esistente ed allo stato dell'opera di eventuali progettualità;
   se  il Governo intenda promuovere una fattiva collaborazione con i Governi interessati – ricorrendo al necessario coinvolgimento degli enti locali, di esperti e delle istituzioni scientifiche presenti sul territorio triestino – per le opportune verifiche del caso. (4-06140)

  Risposta. — Con riferimento alla interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  La centrale di Krško è uno degli impianti nucleari, tra quelli in esercizio nei Paesi oltre confine, presi a riferimento dal piano nazionale delle misure protettive contro le emergenze radiologiche che ha lo scopo di proteggere la popolazione, in particolare delle regioni del centro-nord dell'Italia, maggiormente esposta al rischio di un eventuale incidente.
  Il Ministero degli affari esteri, appositamente interpellato, ha evidenziato che per quanto concerne il livello di sicurezza della centrale di Krško valgono le attività di monitoraggio e consultazione condotte con la Slovenia, sia in ambito Euratom che nel corso delle principali iniziative multilaterali di cui fanno parte sia l'Italia che la stessa Slovenia.
  Il riferimento, in particolare, è alla Convenzione internazionale del 1991 sulla valutazione di impatto ambientale in un contesto transfrontaliero (ESPOO), che prevede in capo agli Stati membri l'obbligo di notifica e consultazione con le altre parti aderenti all'accordo stesso, nonché alle convenzioni in materia di sicurezza nucleare concluse nell'ambito dell'Agenzia internazionale per l'energia atomica (AIEA).
  Ed è proprio quest'ultima che, su espressa richiesta di Lubiana, ha provveduto ad inoltrare ai governi d'Italia, Austria, Croazia e Ungheria le informazioni ricevute da parte slovena in merito agli incidenti avvenuti alla centrale di Krško negli ultimi anni.
  Ad ulteriore chiarimento della situazione, lo stesso Ministero degli affari esteri ha evidenziato che il 4 ottobre 2012 sono stati condotti alcuni
stress test dalla Commissione europea su 145 centrali nucleari in 15 Stati membri dell'Unione europea. In particolare per la centrale nucleare di Krško sono state formulate tre raccomandazioni: la prima fa riferimento alla necessità di prendere in considerazione gli esiti dell'ultima valutazione del rischio sismico – che evidenzia minori margini di sicurezza – in vista dei futuri interventi già programmati, volti ad elevare gli standard di sicurezza.
  Secondo l'agenzia slovena per la sicurezza nucleare, gli
stress test confermano che la centrale di Krško è tra le più sicure d'Europa e che le misure adottate sono già adeguate per fronteggiare la maggior parte dei possibili disastri naturali, ivi inclusi quelli più improbabili.
  Infatti, al fine di rafforzare il livello di sicurezza, la centrale di Krško sta sviluppando il «
Post Fukushima National Action Plan», approvato nel dicembre 2012. Tale piano ha previsto la realizzazione di interventi per 200 milioni di euro per incrementare il livello di sicurezza in caso di terremoti, alluvioni e altri eventi straordinari, quali, ad esempio, incidenti aerei. La centrale nucleare è stata inoltre dotata di un nuovo generatore elettrico diesel capace di alimentare il reattore per una settimana in caso di assenza di alimentazione elettrica di rete.
  Più in particolare, si evidenzia che la proposta del programma energetico nazionale della Repubblica di Slovenia (2010-2030) della fine del 2011 prevedeva il prolungamento della vita utile dell'attuale centrale nucleare di Krško fino al 2043 e la costruzione nello stesso sito, entro il 2022, di un secondo reattore di «terza generazione», il cosiddetto Krško 2, con una potenza di 1.000/1.600 Megawatt.
  In esito alla attivazione della procedura di consultazione transfrontaliera sulla valutazione ambientale strategica (VAS) del predetto programma energetico nazionale della Slovenia, la competente struttura di questo dicastero già il 14 marzo 2012 aveva trasmesso alla autorità slovena, ai sensi dell'articolo 7 della direttiva 2001/42/CE, le proprie osservazioni sul rapporto ambientale, sui sottoprogrammi del programma, nonché sulle valutazioni dei relativi impatti.
  Per quanto attiene la problematica relativa alla centrale nucleare di Krško, descritta nel sottoprogramma 7 – produzione di energia elettrica e sottoprogramma 8 – trasmissione dell'energia elettrica (concernenti: prolungamento fino al 2043 dell'attività della centrale nucleare di Krško, costruzione di una nuova centrale nucleare di terza generazione nella stessa località di 1.000/1.6000 Megawatt, realizzazione di uno stoccaggio permanente delle scorie a bassa e media radioattività a Vrbina nel comune di Krško) questo Ministero esprimeva determinate considerazioni e osservazioni.
  In particolare, si riferiva che il piano e il rapporto ambientale sottoposti a valutazione non fornivano informazioni su caratteristiche tecniche delle centrali e dei depositi e sul rischio sismico, argomento questo, oggi, quanto mai delicato anche alla luce delle risultanze dello studio sull'argomento svolto dall'istituto francese sulla sicurezza nucleare (Irsn).
  Per poter completare l'analisi degli impatti ambientali transfrontalieri e formulare osservazioni più puntuali, era stato chiesto alla autorità slovena di completare l'analisi degli impatti ambientali come sopra indicato e in conformità a quanto richiesto dall'allegato 1 e alla già richiamata direttiva 2001/42/CE.
  A seguito di ripetute richieste volte a conoscere gli esiti delle osservazioni formulate da questo Dicastero, il Ministero dell'ambiente della Repubblica di Slovenia in data 19 giugno 2013 ha fatto conoscere che sino ad allora nessuna decisione era stata adottata in merito al programma energetico nazionale e che le considerazioni e le osservazioni formulate dallo Stato italiano sarebbero state debitamente valutate nell'ambito di adozione di qualsiasi provvedimento concernente la questione in esame.
  Per quanto attiene alla realizzazione del secondo reattore (cosiddetto Krško 2), per un conto stimato di 5 miliardi di euro, il Dicastero degli affari esteri sottolinea che la decisione in tal senso non è stata ancora presa dal pertinente Governo sloveno.
  L'Autorità slovena ha infatti informato che il piano di costruzione della seconda unità di Krško è allo stato sospeso, in attesa di decisioni politiche in merito. Al momento non è possibile stabilire la tempistica delle decisioni che risentono, fra l'altro, dell'attuale grave crisi economica.
  Come sopra descritto, la proposta del programma energetico nazionale della Repubblica di Slovenia (2010-2030) della fine del 2011 prevedeva il prolungamento della vita utile dell'attuale centrale nucleare di Krško fino al 2043 e la costruzione nello stesso sito, entro il 2022, di un secondo reattore di «terza generazione», il cosiddetto Krško 2, con una potenza di 1.000/1.600 Megawatt. Pertanto, l'attuale Governo sloveno dovrà valutare se confermare la proposta di programma di cui sopra o se, in alternativa, presentarne uno nuovo, determinando, con riferimento al settore nucleare, il numero di anni residui per la gestione dell'attuale centrale di Krško e la decisione in merito all'eventuale costruzione di un nuovo reattore.
  Proprio al fine di monitorare al meglio l'evoluzione della vicenda, è stata intensificata l'attività di cooperazione sui temi della sicurezza nucleare previste dall'accordo bilaterale in atto tra l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra), autorità nazionale di regolamentazione competente in materia, e la
Slovenian nuclear safety administration, (Snsa), analoga organizzazione slovena.
  Nell'ambito dei citati accordi l'Autorità slovena ha informato l'Ispra che durante una fermata programmata dell'impianto, per manutenzione ed operazioni di ricambio del combustibile nucleare, sono state identificate alcune barrette di combustibile fessurate. La loro presenza, entro certi limiti, è ritenuta possibile durante l'esercizio dell'impianto, ed in tal senso viene condotto uno specifico programma di monitoraggio della radioattività presente nel refrigerante.
  Nel caso in questione sono state individuate anche tre barrette danneggiate meccanicamente ed una porzione di una di esse è stata rinvenuta nel canale di trasferimento verso la piscina di stoccaggio. Le valutazioni condotte hanno portato ad individuare, quale causa di tale danneggiamento, il fenomeno del «
baffle jetting», già noto e analizzato sia dal progettista (Westinghouse) che dagli enti di controllo (in particolare dalla nuclear regulatory commission statunitense). Trattasi di un fenomeno di natura idraulica per cui le barrette degli elementi periferici del reattore possono trovarsi sottoposte a getti d'acqua concentrati che inducono vibrazioni, le quali possono portare nel tempo a danneggiamenti delle barrette stesse.
  In base al rapporto pubblicato dall'autorità slovena sul sito
web il numero complessivo delle barrette danneggiate gravemente è pari ad otto, relativamente a tre elementi di combustibile. Altri tre elementi, per i quali sono state evidenziate perdite, includono ognuno una barretta leggermente danneggiata.
  In ogni caso le barrette danneggiate ammontano a poche unità a fronte di parecchie migliaia presenti nel reattore, e l'incremento di radioattività nell'acqua di refrigerazione è stato gestito, come previsto, dal sistema di purificazione del refrigerante progettato per far fronte alla concentrazione di attività conseguente alla fessurazione di una certa percentuale di barrette (dell'ordine dell'1 per cento).
  L'autorità slovena ha confermato che l'anomalia non ha comportato problematiche di tipo radiologico per i lavoratori e la popolazione. L'approntamento della soluzione all'anomalia rilevata ha determinato uno slittamento dei programmi di ricambio del combustibile di circa 15 giorni.
  L'evento è stato classificato al livello 0 della scala INES (evento non significativo per la sicurezza). Si rammenta che la scala INES (
International nuclear and radiological event scale – Scala internazionale degli eventi nucleari e radiologici) fornisce uno strumento per comunicare al pubblico, in maniera appropriata, il livello di gravità di eventi incidentali. Gli eventi sono classificati su 7 livelli. I livelli più bassi (1-3) sono assegnati agli eventi meno gravi, denominati «Guasti» (incidents); i livelli più alti (4-7) sono assegnati a eventi di gravità maggiore, definiti incidenti (accidents).
  Sempre nell'ambito dell'attività di cooperazione, nei giorni 26 e 27 novembre 2014 l'ISPRA ha partecipato all'esercitazione di emergenza nucleare che la Slovenia ha condotto simulando un incidente alla centrale di Krško.
  In tale ambito, l'esercitazione ha rappresentato una importante opportunità di verifica dei sistemi e delle procedure previste dall'accordo per il pronto allarme in caso di un evento incidentale a carico della centrale slovena.
  Alla esercitazione, che ha visto la partecipazione anche di una rappresentanza della Croazia, del
incident and emergency centre dell'Iaea, (Agenzia internazionale per l'energia atomica) di Vienna, nonché la presenza di osservatori della nuclear regulatory commission (NRC) degli Stati Uniti, l'ISPRA ha partecipato attivando il proprio centro emergenze nucleari.
  Nel corso dell'evento sismico verificatosi il 1o novembre 2015 in Slovenia, che ha interessato la centrale di Krško, l'Ispra, in qualità di autorità di regolamentazione competente in materia di sicurezza nucleare e radioprotezione, ha monitorato sin dalle prime ore la situazione, in collaborazione con l'Arpa del Friuli Venezia Giulia. In particolare, l'istituto ha contattato la
Slovenian nuclear safety administration, (Snsa), Autorità di sicurezza nucleare slovena. La stessa autorità slovena ha confermato un evento sismico verificatosi alle ore 8:22 nelle vicinanze della centrale, con una magnitudo 4.2 della scala Richter. La scossa non ha determinato l'arresto automatico dell'impianto. Sono state comunque avviate dall'esercente le procedure di allerta previste in tali casi, le quali sono tuttavia rimaste in atto soltanto per 30 minuti. Non essendo stata rilevata alcuna anomalia, la centrale ha continuato ad operare regolarmente.
  L'Ispra, come previsto dalle procedure nel caso di particolari situazioni che possano interessare impianti nucleari oltre confine, ha mantenuto informato della situazione il dipartimento della protezione civile. Analogamente, è stato tenuto informato il Ministero dell'ambiente.
  Si segnala, da ultimo, che la direzione generale per le valutazioni e autorizzazioni ambientali ha provveduto nuovamente a richiedere alla Repubblica di Slovenia aggiornamenti in merito all'adozione ed attuazione del programma energetico nazionale che prevede, al sottoprogramma 7, l'estensione da 40 a 60 anni dell'attività delle centrale nucleare di Krško, lo stoccaggio permanente delle scorie a bassa e media radioattività a Vrbinia nel comune di Krško e una nuova centrale da 1000 a 1600 Megawatt. Sul punto non appena acquisiti altri elementi verranno fornite ulteriori informazioni.
  Quanto riferito, testimonia che la problematica rappresentata dagli interroganti è tenuta in debita considerazione da parte di questo Ministero, il quale ha provveduto, e provvederà per il futuro, alle valutazioni di competenza previste dai vigenti accordi internazionali e comunitari con il massimo grado di attenzione, tenuto conto dei sempre possibili rischi nei confronti delle popolazioni e del territorio dipendenti dalla complessa gestione di una centrale nucleare.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RAMPELLI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Naso, in provincia di Messina, è oggetto di un grave dissesto idrogeologico già denunciato a più riprese nel corso degli anni da parte dell'amministrazione comunale;
   la protezione civile regionale ha effettuato, negli ultimi anni, degli approfondimenti di studio geologico del dissesto, ma non ha potuto realizzare alcuna procedura d'intervento al fine di prevenire gravi ed irrimediabili disastri a causa della mancanza di fondi;
   a seguito della repentina degenerazione del degrado del fronte di frana che interessa il centro storico della città, il sindaco, con propria ordinanza, ha dovuto dichiarare l'inagibilità dei locali municipali e disporre lo sgombero con delocalizzazione in altri stabili, abbastanza precari, per cercare di continuare l'attività amministrativa e garantire la presenza istituzionale;
   il consiglio comunale, all'unanimità, ha richiesto l'intervento delle autorità istituzionali per prevedere un intervento che tenda a tamponare l'emergenza venutasi a creare e, successivamente, il consolidamento del versante su cui poggia il versante sud della città;
   il mancato immediato intervento delle autorità preposte potrebbe comportare la perdita dell'unica strada d'accesso al centro ove sono collocati tutti gli uffici istituzionali, giudiziari, finanziari e le attività commerciali;
   sono già stati sfollati 15 nuclei familiari;
   diverse sono state le richieste di intervento sia agli organi regionali che a quelli nazionali, ma alla data odierna nessuna risposta operativa è intervenuta;
   la complessità del dissesto presuppone una progettazione altamente tecnica –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere al fine di contrastare la grave situazione esposta in premessa, anche attraverso la dichiarazione dello stato di emergenza al fine di salvaguardare le infrastrutture comunali e gli edifici storici ed istituzionali collocati sul versante di frana, nonché per la ricollocazione dei locali municipali in locali idonei allo svolgimento delle funzioni istituzionali. (4-04790)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa alla condizione di dissesto idrogeologico denunciata dal comune di Naso, in provincia di Messina, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  In relazione al fronte di frana riguardante il centro storico del comune in questione, che ha già comportato la dichiarazione di inagibilità dei locali municipali oltreché lo sfollamento di 15 nuclei familiari, e alle esigenze di dare avvio ai lavori di consolidamento del suddetto versante di frana, si evidenzia che nell'ambito del 3o atto integrativo all'accordo di programma tra il Ministero dell'ambiente e la regione Sicilia del 30 marzo 2010, sottoscritto in data 20 gennaio 2015, è stato disposto il finanziamento del seguente intervento:
   consolidamento del centro abitato versante sud (1o stralcio – zona Municipio), nell'area del comune di Naso (ME), codice PAI 014-5NA-023/029, per un importo totale di euro 3.841.010,50.

  Si evidenzia, altresì, che l'importo inerente il finanziamento del citato intervento risulta già nella disponibilità della contabilità speciale intestata al commissario straordinario.
  A tale ultimo riguardo, infine, si segnala che con la legge 11 agosto 2014, n. 116, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91 (cosiddetto decreto «competitività»), i presidenti della regioni sono subentrati, relativamente al territorio di competenza, nelle funzioni dei commissari straordinari delegati e nella titolarità delle relative contabilità speciali, per il sollecito espletamento delle procedure relative alla realizzazione degli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico, individuati negli accordi di programma, in qualità di commissari di governo contro il dissesto idrogeologico.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a tenersi informato anche attraverso gli altri Enti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il quartiere Vallerano, nato a seguito della Convenzione urbanistica tra il Comune di Roma e il Consorzio Vallerano stipulata il 18 aprile 1996, è interessato da un forte impatto ambientale dovuto al processo di trasformazione urbana che sta interessando l'assetto del territorio circostante, con notevoli ricadute sul piano ambientale, della mobilità e dei pesi insediativi, che avranno effetti sulla funzionalità e sulla qualità della vita dei cittadini di Valleranno;
   nell'ambito di tali misure di trasformazione urbana è previsto l'interramento dell'elettrodotto aereo «Magliana Sud» della società Terna, proveniente dalla Magliana e che attraversa i quartieri Torrino nord e Vallerano, lungo il cui tracciato si trovano abitazioni private e addirittura una scuola media, la «Paola Sarro», il cui bacino di utenza comprende, oltre a Vallerano, altri quartieri del Municipio XII, quali Trigoria, Fonte Laurentina e Casal Fattoria;
   già nel 1992 l'ENEL aveva comunicato che l'elettrodotto sarebbe stato dismesso, affermando nel 1996 che questo sarebbe avvenuto nel 1998, e successivamente, nel 1999 che «causa impreviste problematiche di carattere tecnico sono stati modificati i programmi di attività che hanno fatto slittare la demolizione dell'elettrodotto in argomento all'anno 2002»;
   nel 2000, con il subentro della società TERNA spa nella gestione dell'elettrodotto si assisteva ad un nuovo cambio di programmi posto che la stessa società dichiarava che l'elettrodotto era regolarmente autorizzato dal Ministero dei lavori pubblici e rifiutava di procedere alla sua demolizione;
   in seguito ad una lunga controversia tra TERNA e il Consorzio si arrivava a quel punto a ritenere che l'obbligo dell'eliminazione dei tralicci dell'elettrodotto e le relative spese gravassero sul Consorzio, pur non essendo detta spesa inserita nella Convenzione del 1996, a tutto danno dei consorziati cui si stava tentando di imporre il pagamento di oneri non dovuti;
   nel giugno del 2006 ai consorziati viene comunicato che «il Comune di Roma, come risulta dal Verbale redatto il 04/04/06, si è impegnato a finanziare l'importo pari ai 2/3 della somma occorrente per l'interramento dell'elettrodotto. Resta a carico del Consorzio l'obbligo di corrispondere la restante quota (1/3)»;
   il 17 marzo 2010 viene firmato l'aggiornamento del (protocollo di intesa per il riassetto della rete elettrica tra il comune di Roma e TERNA che sancisce definitivamente l'obbligo, da parte di Terna, di eseguire a proprie spese l'interramento dell'elettrodotto;
   in base al successivo accordo tra il comune di Roma e la società Terna spa i lavori per l'interramento dell'elettrodotto avrebbero dovuto avere inizio entro l'anno 2012;
   il 15 febbraio 2011 TERNA presenta il progetto di interramento alla valutazione impatto ambientale (VIA) regionale, ma nel frattempo le competenze sulla valutazione d'impatto ambientale sono passate al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per cui si dovrà aspettare ancora fino all'ottobre del 2013 che Terna ripresenti il progetto al Ministero competente per ottenere l'autorizzazione;
   l'elettrodotto non solo rappresenta un possibile danno alla salute per esposizione ai campi elettrici e magnetici negli ambienti residenziali, pubblici (scuola media di Vallerano appartenente all'Istituto comprensivo Marta Russo) e nell'ambito esterno (parco giochi), ma rappresenta per tutti i consorziati anche un continuo danno economico per la mancata chiusura del Consorzio Vallerano;
   quest'ultimo, infatti, non si può chiudere per l'omessa consegna al comune del tratto di strada pubblica, via John Lennon, ove insistono due tralicci dell'elettrodotto, che riducono la carreggiata rispetto agli obblighi della Convenzione;
   ad oggi, il progetto d'interramento risulta ancora in attesa, dopo oltre un anno, di ricevere il necessario nulla osta da parte della Commissione per la valutazione di impatto ambientale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, posto che è stato inserito nel più ampio progetto di «Riassetto della rete elettrica AT/AAT nell'area metropolitana di Roma-Quadrante Sud-Ovest» –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere affinché si possa giungere quanto prima alla realizzazione dell'opera di cui in premessa, in primissimo luogo al fine di tutelare la salute dei residenti della zona, e affinché si possa finalmente giungere alla chiusura della Convenzione, che a norma della stessa sarebbe dovuta avvenire nel 2006. (4-07729)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al procedimento di valutazione di impatto ambientale (Via) inerente l'interramento dell'elettrodotto aereo inserito nel progetto di «Riassetto della rete elettrica AT nell'area metropolitana di Roma – Quartiere Sud-Ovest», sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale, si rappresenta quanto segue.
  Al riguardo, preliminarmente, si evidenzia che la verifica dell'impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto: la valutazione deve comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Si segnala altresì che, nell'ambito delle procedure di valutazione di impatto ambientale, la normativa, nazionale e comunitaria, prevede una fase di consultazione del pubblico che assicura la possibilità ad enti locali, associazioni e privati cittadini di esprimere le proprie osservazioni in merito al progetto.
  Ad ogni modo, in merito alta procedura di valutazione di impatto ambientale all'interno dell'iter autorizzativo, si ricorda che il Ministero dell'ambiente è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale, mentre l'autorizzazione finale alla costruzione e all'esercizio di determinati impianti spetta al Ministero dello sviluppo economico, preposto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici coinvolti dalla realizzazione di determinati progetti, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Tanto premesso, si fa osservare che la fase istruttoria della Via cui fa riferimento l'interrogazione in oggetto, è stata avviata in data 17 ottobre 2013 ed è tuttora in fase di istruttoria tecnica presso la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via/Vas di questo Ministero.
  Inoltre, si fa presente che per tale progetto è pervenuta una sola osservazione del pubblico da parte dell'Associazione cittadini comprensorio vallerano, in data 16 dicembre 2013, pubblicata sul portale delle valutazioni ambientali del Ministero dell'ambiente al seguente link: http://www.va.minambiente.it/it-IT/Oggetti/Documentazione/1366/1841?Testo=&RaggruppamentoID=9.
  La suddetta osservazione è stata poi trasmessa alla commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via/Vas, che ne terrà conto nell'ambito dell'istruttoria tecnica e nella definizione del quadro prescrittivo.
  Tanto premesso, si evidenzia che tutte le informazioni sul procedimento in questione sono disponibili sul portale delle valutazioni ambientali, al seguente link: http://www.va.miniambiente.it/it-IT/Oggetti/Info/1366.
  Peraltro, si rende noto che con nota del 21 gennaio 2016 la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale Via/Vas ha chiesto alla direzione generale per le valutazioni e autorizzazioni ambientali di acquisire dalla società Terna Rete Italia spa un aggiornamento sintetico del quadro di riferimento-programmatico e della caratterizzazione delle componenti ambientali, nonché una descrizione sintetica dell'evoluzione dell'istruttoria regionale dei tracciati degli elettrodotti, in progetto. Tali informazioni sono, infatti, necessarie alla Commissione tecnica Via/Vas al fine del proseguimento delle attività istruttorie ed in particolare per l'effettuazione del sopralluogo e la predisposizione della richiesta di integrazioni.
  Ad oggi si è in attesa di ricevere da parte di Terna Rete Italia spa l'aggiornamento richiesto.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso il coinvolgimento di tutti gli altri soggetti competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RAMPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la «Saremar» (Sardegna Regionale Marittima) è una società di navigazione che effettua i collegamenti con le isole minori della Sardegna come La Maddalena e l'isola di San Pietro in regime di continuità territoriale, e quelli tra la Sardegna e la Corsica;
   nel novembre 2009 il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e il presidente della regione Sardegna hanno firmato l'accordo per il passaggio della Saremar dal controllo dello Stato, tramite Tirrenia, direttamente alla regione Sardegna che ora detiene il cento per cento dell'azionariato;
   in base alle norme contenute nel decreto-legge n. 135 del 2009, che ha anche recepito l'accordo di programma per il trasferimento gratuito della Saremar alla regione Sardegna, la medesima società avrebbe dovuto essere privatizzata «in conformità alle disposizioni nazionali e comunitarie vigenti in materia, attraverso procedure di gara aperte, non discriminatorie, atte a determinare un prezzo di mercato, le quali, relativamente alle privatizzazioni realizzate dalle regioni Campania, Lazio, Sardegna e Toscana, possono riguardare sia l'affidamento dei servizi marittimi sia l'apertura del capitale ad un socio privato»;
   nel frattempo, il medesimo decreto-legge destinava alla Saremar 13,6 milioni di euro l'anno per finanziare i collegamenti operati dalla società in regime di continuità territoriale, fondi poi sospesi nel 2010 a causa della mancata privatizzazione della compagnia;
   nel frattempo la costituzione della flotta sarda, con le navi «Dimonios» e «Scintu», date in carico alla Saremar e acquisite con finanziamenti agevolati ottenuti tramite la sponsorizzazione della «Sardegna promozione», ha provocato una sanzione da parte della Unione europea che ha ritenuto tali finanziamenti indebiti aiuti di Stato e condannato la Saremar alla restituzione di circa undici milioni di euro;
   a seguito della sanzione europea, non potendo far fronte alla restituzione di circa 11 milioni di euro, la Saremar in questi giorni sta avviando la procedura di fallimento concordato con continuità di servizio, che consentirà quindi di avviare il processo di privatizzazione, mantenendo inalterati i collegamenti per le isole minori sarde;
   stando a quanto riportato dalla stampa, nella procedura di gara per l'affidamento dei servizi marittimi con le isole minori si starebbe inserendo una clausola sociale di salvaguardia dei livelli occupativi che potrà riguardare «sia i dipendenti della Saremar in continuità di rapporto di lavoro, attualmente 117, sia gli attuali 32 in turno particolare (...) ma l'assorbimento non potrà riguardare gli amministrativi, né gli attuali lavoratori che avranno maturato i requisiti per il pensionamento alla data di cessazione del rapporto con la società marittima»;
   in ogni caso né la procedura di concordato né quella di privatizzazione potranno non tenere conto dell'esistenza di una assegnazione pluriennale di fondi pubblici alla società –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere al fine di garantire il mantenimento dei livelli occupazionali nella Saremar;
   in che modo intenda assicurare la continuità del servizio di collegamento con le isole minori. (4-10831)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Preliminarmente, in merito al quesito circa il mantenimento dei livelli occupazionali della Saremar spa, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha comunicato di non avere elementi utili al riguardo.
  In ordine poi alla continuità del servizio di collegamento con le isole minori della Sardegna si fa presente quanto segue.
  La mancata attuazione delle norme di cui alle leggi n. 166 del 2009 e n. 163 del 2010, nonché di quanto sancito dall'accordo di programma Stato-Regioni del 3 novembre 2009, le quali prevedevano l'iter per il riassetto della disciplina dei collegamenti marittimi pubblici a carattere regionale fra la Sardegna e le proprie isole minori, è dipesa esclusivamente dalla circostanza che la regione Sardegna non ha avviato nei tempi previsti le procedure per la privatizzazione, non consentendo, pertanto, il trasferimento delle risorse economiche messe a disposizione dalla citata legge n. 166 del 2009 per lo svolgimento dei servizi in argomento.
  Inoltre, la stessa regione impose nel 2011 alla Saremar l'esercizio di rotte di collegamento con il continente che successivamente furono oggetto di procedura di infrazione da parte della Unione europea e che determinarono l'emanazione della decisione – C(2013) 9101 final – del gennaio 2014. Come è noto all'interrogante, per effetto di tale decisione Saremar ha dovuto restituire oltre 10 milioni di euro, il che ha determinato il dissesto economico della società.
  A seguito dell'apertura della procedura di concordato preventivo, si è resa impossibile l'applicabilità delle norme sopracitate, che prevedevano, nell'ambito della privatizzazione, la cessione del compendio aziendale (divenuto indisponibile) e la stipula del contratto di servizio per la gestione delle rotte, quali presupposti per fruire del finanziamento statale. Peraltro non è stato possibile formulare altre ipotesi di salvataggio per la società Saremar conformi con la normativa europea in materia di compatibilità di aiuto di Stato.
  È quindi intervenuto il legislatore nazionale che, al fine di garantire la continuità territoriale tra la Sardegna e le proprie isole minori, ha approvato la legge n. 125 del 6 agosto 2015, di conversione, con modificazioni, del decreto-legge n. 78 del 2015, che ha aggiunto il comma 13-septies all'articolo 8. In particolare, detto articolo 8, comma 13-septies, ha previsto che le risorse di cui al comma 16, lettera c), dell'articolo 19-ter del decreto legge 25 settembre 2009, n. 135, possono essere utilizzate a copertura degli oneri annuali di servizio pubblico relativi al contratto di servizio stipulato all'esito dell'affidamento del predetto servizio sulla base di una procedura di gara aperta e non discriminatoria, nel rispetto delle norme nazionali ed europee di settore e nei limiti di quanto necessario per coprire i costi netti determinati dall'adempimento degli obblighi di servizio pubblico individuati dallo stesso contratto; tale gara dovrà essere gestita dalla regione Sardegna.
  Si aggiunge che, l'articolo 1, comma 485, della legge di stabilità 2016 ha integrato il citato articolo 8, comma 13-septies, prevedendo la possibilità di utilizzare, entro il 30 giugno 2016, le risorse stanziate nel limite di 6,5 milioni di euro per assicurare i servizi di collegamento marittimo attualmente convenzionato con la regione, anche tramite la prosecuzione del contratto con la marittima Saremar.
  Tutto ciò premesso, nel ricordare che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti è competente in questa materia esclusivamente ai fini dell'erogazione contabile per la regione Sardegna dei fondi statali inderogabilmente fissati dalla sopracitata normativa per il compimento dei servizi in argomento, si fa presente che rispetto alla questione dell'evoluzione della vicenda Saremar si è a conoscenza che la regione Sardegna, con proprie delibere approvate nel corso del 2015, ha stabilito il termine del 31 dicembre 2015 per la cessione di tutti i beni aziendali della Saremar, con conseguente estinzione della società e quindi conseguente impossibilità di procedere alla sua privatizzazione.
  Da ultimo, risulta che lo scorso gennaio la medesima regione ha provveduto a bandire la procedura di gara per l'affidamento dei servizi con le isole minori sarde e che la stessa procedura risulta ad oggi ancora in corso di svolgimento.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nei principali Stati membri dell'Unione europea con l’«uno contro zero» il conferimento dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche di piccolissime dimensioni avviene senza inutili oneri burocratici per il consumatore, tipo compilazione di modulistica;
   secondo le informazioni acquisite dal Consorzio Remedia, il Consiglio di Stato avrebbe ricevuto una bozza di decreto ministeriale «uno contro zero», che dovrebbe consentire il conferimento gratuito da parte dei consumatori presso i negozi (senza obbligo di acquisto) dei «RAEE di piccolissime dimensioni» che prevede le stesse modalità utilizzate per «l'uno contro uno», compilazione, firma e conservazione di moduli;
   la direttiva europea 2012/19 raccomanda che l’«uno contro zero» preveda modalità di conferimento più semplici dell’«uno contro uno» proprio per favorire la raccolta dei piccoli apparecchi elettronici;
   la tracciabilità è assicurata dal trasportatore che si reca all'impianto o presso il centro di raccolta come già avviene per il conferimento delle pile presso i distributori con il decreto legislativo 188 del 2008, per le quali non è prevista alcuna modulistica a carico del consumatore;
   l'introduzione di oneri burocratici a carico del consumatore, per altro non presenti negli altri Stati membri, rappresenta un forte disincentivo alla raccolta, con il rischio che i rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche di piccolissime dimensioni continuino ad essere abbandonati, producendo danni all'ambiente;
   i tassi di raccolta dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche di piccolissime dimensioni in Italia sono appena del 16 per cento, inferiori alla media europea, e l’«uno contro zero» rappresenta l'unica opportunità concreta per tentare di raggiungere gli ambiziosi obiettivi comunitari (65 per cento entro il 2019) –:
   se la notizia corrisponda al vero e se non si intendano assumere iniziative per dare piena effettività alla direttiva in questione considerando la raccomandazione del ritiro «uno contro zero» senza particolare formalità, seguendo l'esempio virtuoso dei principali Paesi europei.
(4-10642)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle iniziative del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare tese a dare piena effettività alle modalità di conferimento gratuito da parte dei consumatori presso i negozi senza obbligo di acquisto (cosiddetto «uno contro zero») dei rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche (Raee) di piccolissime dimensioni, come previsto dalla direttiva 2012/19/UE, si rappresenta quanto segue.
  In data 22 marzo 2016 è stato firmato il decreto di adozione del regolamento previsto dall'articolo 11 del decreto legislativo n. 49 del 14 marzo 2014 nel quale, come richiesto dall'interrogante, tra l'altro non siano previsti particolari adempimenti burocratici per il conferimento gratuito dei Raee di piccolissime dimensioni da parte dei consumatori presso i negozi. Il citato decreto ed è stato trasmesso al Ministero della giustizia per il seguito di competenza.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RICCIATTI, GIANCARLO GIORDANO, PALAZZOTTO, PANNARALE, FERRARA, SCOTTO, FRATOIANNI, MELILLA, DURANTI, PIRAS, QUARANTA e SANNICANDRO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il liceo linguistico «Italo Svevo» di Colonia (Germania) è una scuola superiore paritaria, riconosciuta dallo Stato italiano e abilitata a rilasciare diplomi equivalenti a quelli delle scuole statali;
   fondata nel 1997, è l'unica scuola italiana in Germania (http://www.esteri.it). Segue i piani di studio ministeriali, utilizzando l'italiano e il tedesco come lingue veicolari;
   il liceo è gestito dal «DIE Stiftung Private Schulen GmbH» (Fondazione delle scuole private), fondazione che fa parte del gruppo Stiftung Bildung & Handwerk (Fondazione per la formazione e l'artigianato), organizzazione che opera nel settore della formazione e dell'educazione a livello internazionale e riunisce diversi istituti, dai centri di formazione professionale, le scuole di primo e secondo grado, alle scuole professionali e istituzioni universitarie private riconosciute dallo Stato;
   il liceo Italo Svevo svolge un ruolo fondamentale per la comunità italiana residente in Germania, permettendo di mantenere un forte legame con la cultura del nostro Paese, soprattutto per molti connazionali trasferitisi o nati in Germania;
   è riconosciuto in Germania come «Ergänzungsschule», ossia scuola che permette anche a studenti in possesso di una cittadinanza diversa da quella italiana di iscriversi e portare a compimento l'obbligo scolastico, pertanto contribuisce alla diffusione del patrimonio culturale italiano all'estero;
   la scuola è molto attiva anche dal punto di vista dei progetti didattici. Nell'anno 2014/2015 è entrata a far parte della rete delle scuole UNESCO, rete internazionale nata a Parigi nel 1953 con lo scopo di rafforzare l'impegno delle nuove generazioni nella promozione della comprensione internazionale e della pace, con il progetto: «L'alimentazione biologica nell'etica del consumatore, tedesco e in comparazione con quella del consumatore italiano»;
   il liceo rientra tra le scuole finanziate dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale con il capitolo di spesa 2619/1 («Contributi alle scuole italiane non statali, paritarie all'estero»);
   nel corso degli ultimi anni, anche a causa delle politiche di cosiddetta spending review, la scuola ha subito tagli progressivi ai finanziamenti da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, sino a ridurre il contributo a soglie che mettono in discussione la stessa sopravvivenza del liceo;
   fonti interne all'istituto scolastico riferiscono all'interrogante che il liceo Italo Svevo rischia di chiudere nei prossimi anni se non saranno ripristinati da parte dello Stato italiano finanziamenti adeguati;
   purtroppo la politica dei tagli alla spesa non ha riguardato solo il capitolo delle scuole paritarie all'estero, ma più in generale l'intero sistema di insegnamento italiano in Paesi esteri, con una contrazione stimata in 3,7 milioni nel 2015 e 5,1 milioni per il 2016 e il 2017, sugli stanziamenti per le indennità di servizio (La Stampa.it, 15 novembre 2014) –:
   se i Ministri interrogati siano in grado di confermare le informazioni illustrate in premessa, relativamente ai tagli dei finanziamenti al liceo linguistico Italo Svevo di Colonia, indicando l'ammontare complessivo della riduzione di risorse all'istituto;
   se non ritengano opportuno intervenire per permettere che l'unico liceo italiano in Germania, partner strategico per il nostro Paese, possa continuare ad operare;
   considerato l'attuale quadro economico e le opportunità che la diffusione della cultura del nostro Paese può generare in termini di valore, anche economico, quali iniziative intendano intraprendere al fine di salvaguardare e valorizzare la preziosa funzione delle scuole italiane all'estero. (4-09649)

  Risposta. — L'Istituto privato «Italo Svevo», amministrato dall'Ente gestore «Die Stiftung Private Schulen GmbH», è l'unica scuola paritaria in Germania, avendo ottenuto la parità a decorrere dall'anno scolastico 2005/2006. È pertanto abilitata a rilasciare titoli di studio riconosciuti dal nostro ordinamento, con un numero di alunni pari a 45 nell'anno scolastico 2011/2012, 52 nel 2012/2013, 54 nel 2013/2014, 53 nel 2014/2015.
  Al pari di quanto avviene per le altre istituzioni scolastiche non statali all'estero, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale svolge nei confronti della scuola un'opera di vigilanza, ai sensi di quanto previsto dalla pertinente normativa di settore. In particolare, assicura che siano garantiti i requisiti stabiliti dalla legge per il riconoscimento e il mantenimento della parità ed organizza ogni anno gli esami di Stato, inviando un presidente di commissione e dei commissari esterni.
  Come noto, la Farnesina può concedere dei contributi alle scuole paritarie, la cui entità è tuttavia condizionata dalle concrete disponibilità di bilancio sul relativo capitolo di spesa. Fatta eccezione per il 2012 (anno in cui i provvedimenti adottati sul piano della revisione della spesa hanno imposto interventi di sostegno a strutture direttamente colpite dalla riduzione degli organici), la scuola di Colonia ha sempre beneficiato di un sostegno finanziario da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, nonostante la consistente riduzione di disponibilità sul relativo capitolo. Per limitarsi agli ultimi anni, sono stati erogati 5.000 euro nel 2013 (pari allo 0,85 per cento del totale del capitolo), 20.000 euro nel 2014 (pari al 2,7 per cento) e 15.000 nel 2015 (pari a 2,93 per cento), mentre non è stata ancora determinata l'entità del contributo 2016.
  Purtroppo, la situazione della scuola si è aggravata nel corrente anno scolastico, con soli 33 iscritti e la mancata attivazione della classe I. Ciò ha indotto l'ente gestore a valutare l'ipotesi di procedere alla chiusura della scuola al termine dell'anno scolastico, non portando a compimento il percorso delle attuali classi II e III. Solo da ultimo, anche grazie all'interessamento e all'impegno del consolato generale, i nuovi responsabili dell'ente gestore hanno manifestato l'intenzione di permettere a tutte le classi residue dell'Italo Svevo di conseguire il diploma di maturità, rinviando la chiusura alla fine dell'anno scolastico 2017/18. Il consolato generale, in raccordo con la competente direzione generale della Farnesina e l'ambasciata a Berlino, sta inoltre valutando attentamente ogni possibile soluzione che possa consentire all'istituto di Colonia di proseguire la propria attività.

  Per quanto riguarda, più in generale, la rete delle istituzioni scolastiche italiane all'estero, l'applicazione della «spending review» e la riduzione progressiva del contingente del personale della scuola da destinare all'estero (da 1.024 unità a 624 negli ultimi tre anni) hanno reso necessario rivedere la normativa di riferimento, anche al fine di diversificare gli strumenti di offerta scolastica e poter meglio rispondere alle esigenze dell'utenza, in particolare nei Paesi emergenti. A tal proposito, si segnala che la legge n. 107 del 2015) (cosiddetta «Buona Scuola») prevede una delega al Governo – su cui stanno lavorando congiuntamente il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca – per la revisione delle norme, a cominciare dalla disciplina delle sezioni italiane o bilingue all'interno di scuole straniere e alle modalità di selezione del personale da inviare all'estero.
  Vorrei cogliere l'occasione per precisare che il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale è impegnato in una forte azione di promozione della lingua e cultura italiana di concerto con tutte le altre amministrazioni e gli enti competenti, in linea con le indicazioni emerse a Firenze nel corso degli «Stati Generali della Lingua italiana» del 2014, la cui prossima edizione si terrà nell'ottobre del corrente anno, nonché dell'evento «Riparliamone: la lingua ha valore» del 2015.
  L'innovazione che si intende apportare al settore consiste nella definizione e applicazione, in raccordo con tutti i soggetti istituzionali e con gli operatori economici, di un approccio integrato che coniughi le dimensioni economica, culturale e scientifica della lingua italiana, con l'obiettivo di promuovere il Paese nel mondo ed esprimere al meglio il valore del «Marchio Italia».
  Questo nuovo approccio, in concreto, sarà realizzato attraverso: una serie di iniziative destinate alla circuitazione sulla rete (ambasciate, consolati, istituti italiani di cultura, scuole italiane all'estero); azioni trasversali che riguardano la componente economica, quella culturale e quella scientifico-tecnologica; un maggiore coinvolgimento delle aziende italiane che, attraverso le proprie campagne di comunicazione in italiano, contribuiscono a promuovere la diffusione della lingua e cultura italiana nel mondo; iniziative tematiche ed azioni integrate specifiche per aree geografiche prioritarie.
  Per quanto riguarda la promozione linguistica, il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale ha anche avviato alcuni progetti innovativi, quale l'iniziativa «Laureati per l'italiano», volta a migliorare l'offerta della qualità dell'insegnamento dell'italiano all'estero attraverso l'invio di laureati specializzati in didattica dell'italiano come lingua straniera nelle cattedre di italiano all'estero. Dopo una fase sperimentale, il progetto sta entrando a regime con la recente pubblicazione di un nuovo bando di selezione.
  È stato inoltre attivato un corso di formazione e aggiornamento a distanza per docenti con un'attenzione particolare all'insegnamento della lingua attraverso la promozione delle industrie creative e culturali italiane (design e architettura, moda, enogastronomia, musica).
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   SBROLLINI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'osservatorio dei minori denuncia un'emergenza rispetto ai casi di maltrattamento negli asili e nelle scuole materne. Quasi quotidianamente sui giornali e sui media di tutta Italia si assiste a denunce di gravi episodi che minacciano la serenità di migliaia di cittadini e delle loro famiglie affidati a realtà sociali, sanitarie ed educative;
   all'ordine del giorno sui media locali si leggono episodi di violenza con parolacce, insulti, bestemmie e umiliazioni, racconti ed immagini di bambini ed anziani strattonati e picchiati, presi per i capelli e per le orecchie;
   il presidente dell'Osservatorio sui diritti dei minori chiede a gran voce da molti anni che venga istituita per legge una visita periodica di «tenuta emotiva» di chi si occupa dell'educazione dei bambini;
   recentemente, l'8 febbraio 2016, i carabinieri del nas di Roma hanno arrestato 10 persone per maltrattamenti nei confronti dei pazienti disabili del centro di riabilitazione neuropsichiatrico di Grottaferrata;
   pochi giorni fa a Parma in una struttura residenziale privata per anziani altre 3 persone sono state arrestate con le accuse di furto aggravato e maltrattamenti nei confronti degli anziani che avevano in custodia e cura;
   sempre recentemente, a Cagliari, 14 operatori impiegati presso l'Aias di Decimomannu (Cagliari), sono stati sospesi per sei mesi dal pubblico servizio con l'accusa di maltrattamenti, percosse, lesioni personali e omissione di referto nei confronti di soggetti portatori di gravi disabilità psicofisiche e perciò incapaci non solo di reagire, ma anche di denunciare;
   sul sito web www.change.org diverse petizioni con migliaia di adesioni richiedono che nelle strutture pubbliche adibite alla cura, al sostegno e all'educazione di minori ed anziani vengano installate delle telecamere per monitorare la qualità dei livelli di assistenza;
   reati di percosse, omissione di referto, maltrattamenti e lesioni personali sembrano essere situazioni non rare in tutta la penisola, e si può ragionevolmente immaginare che molti altri episodi analoghi a quelli emersi non vengano individuati –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se e quali iniziative di competenza, anche normative, il Governo intenda assumere per evitare che, all'interno di strutture pubbliche o private, destinate a servizi sociali o all'educazione, abbiano luogo altri episodi di violenza;
   se si stia valutando la sussistenza dei presupposti per assumere iniziative volte all'introduzione all'interno delle strutture con finalità sociali ed educative, come per le strutture residenziali, di telecamere a circuito chiuso che riprendano gli ambienti di lavoro al fine di tutelare gli utenti, specialmente quelli più deboli.
(4-12433)

  Risposta. — In merito alla problematica delineata nell'interrogazione parlamentare in esame, in via preliminare, il Comando carabinieri per la tutela della salute, nel sottolineare di effettuare costantemente le attività di vigilanza nel settore delle strutture socio-assistenziali, riguardo ai casi indicati nell'atto ispettivo, ha inteso precisare quanto segue.
  Per quanto riguarda gli accadimenti occorsi presso un centro di riabilitazione neuropsichiatrica di Grottaferrata, i carabinieri del nucleo antisofisticazioni e sanità di Roma, nel febbraio 2016, a conclusione delle attività di indagine avviate nel 2015, hanno eseguito 10 ordinanze di custodia cautelare, di cui una in carcere e 9 agli arresti domiciliari, nei confronti di operatori socio-assistenziali per percosse, ingiurie e segregazione dei pazienti, mentre altri 6 operatori sono stati denunciati a piede libero.
  Poiché detta struttura risulta accreditata con il servizio sanitario regionale, in data 11 marzo 2016, il Ministero della salute ha inviato alla regione Lazio una richiesta di informazioni, per sapere se la stessa sia dotata «di uno specifico sistema di monitoraggio e verifica dell'attività che si svolge nelle molteplici strutture private accreditate che operano nel settore, al fine di scongiurare il possibile ripetersi di casi analoghi».
  In merito a quanto accaduto a Decimomannu, i carabinieri del nucleo antisofisticazioni e sanità di Cagliari, nel febbraio 2016, hanno eseguito 14 misure cautelari di sospensione dal servizio nei confronti dei legali responsabili di un centro di riabilitazione psico-motoria, nonché di operatori socio-assistenziali, per aver assunto, quotidianamente, nei riguardi dei pazienti affetti da patologie psichiatriche, comportamenti offensivi, omissivi e lesivi, tanto da rendere necessario, in taluni casi, il loro ricovero presso strutture ospedaliere, tenendo i familiari degli ospiti all'oscuro degli eventi.
  Quanto al caso avvenuto in una casa famiglia di Parma, la locale prefettura ha precisato che il giorno 10 febbraio 2016 la polizia di Stato, in esecuzione dell'ordinanza di applicazione di misure cautelari emessa dal giudice per le indagini preliminari presso il tribunale di Parma, ha sottoposto agli arresti domiciliari tre persone indagate per il reato di maltrattamenti nei confronti degli anziani degenti.
  Attualmente la casa famiglia ha cessato le proprie attività.
  Una adeguata ed efficace azione di contrasto agli accadimenti in esame richiede una forte attività di vigilanza e controllo da parte delle strutture assistenziali stesse e delle Asl, nonché da parte delle regioni che, nell'esercizio delle proprie competenze istituzionali, devono intervenire nella definitiva risoluzione delle problematiche evidenziate.
  Infatti, l'accreditamento istituzionale rappresenta il riconoscimento che l'ente regione, ossia l'organismo accreditante, concede alle aziende/strutture sanitarie, già autorizzate a svolgere attività sanitarie, quali potenziali erogatori di prestazioni nell'ambito e per conto del servizio sanitario nazionale.
  La normativa regionale, in accordo con quella nazionale, detta indicazioni precise sui requisiti che tutte le strutture sanitarie, socio-sanitarie e sociali devono possedere per poter operare nel territorio regionale.
  Con le verifiche, ordinariamente condotte dagli organismi regionali preposti, si assicura che l'assistenza sia di elevato livello tecnico-professionale e scientifico, nonché di equità e pari accessibilità a tutti i cittadini, e che sia appropriata rispetto ai reali bisogni di salute, psicologici e relazionali della persona.
  Le attività di programmazione nazionale richiamano, con forza, il dovere di porre particolare riguardo agli aspetti di umanizzazione e, in linea con l'intesa tra il Governo, le regioni e le province autonome, nel documento recante «Disciplinare per la revisione della normativa dell'accreditamento», del 20 dicembre 2012, tra i requisiti per l'autorizzazione e l'accreditamento sono compresi quelli che riguardano l'umanizzazione e personalizzazione dell'assistenza: tali requisiti sono volti a orientare le attività assistenziali ed organizzative all'accoglienza dei pazienti, considerando le diverse esigenze relative all'età, al genere e a particolari condizioni di salute e di fragilità fisica e psicologica.
  Inoltre, nell'ambito delle attività volte alla gestione del rischio clinico e alla promozione della qualità e sicurezza delle cure, il Ministero della salute monitora un pannello di eventi sentinella, tra i quali «violenza su paziente»; ciò nell'intento di richiamare l'attenzione di regioni, aziende e singoli operatori sanitari sulla necessità di vigilare sul verificarsi di tali eventi, nonché sulle condizioni che li determinano e sulle azioni da mettere in atto per prevenire il loro accadimento.
  In relazione alla violenza di genere, le regioni sono state, inoltre, incoraggiate ad attivare percorsi di sensibilizzazione degli operatori di pronto soccorso, di medicina generale, di pediatria di libera scelta e di continuità assistenziale, e ad elaborare specifici progetti inerenti alla prevenzione della violenza secondo le buone pratiche già adottate da alcune regioni, all'individuazione di segni e sintomi ascrivibili alla violenza sessuale, fisica e psicologica, anche mediante schede di rilevazione per valutare l'entità e l'impatto della violenza subita.
  Gli altri indirizzi ai quali le regioni fanno riferimento, nell'elaborazione dei progetti, sono: l'utilizzo nella pratica clinica di protocolli condivisi ed uniformi, in particolare per la definizione di maltrattamento domestico e/o intrafamiliare, l'attivazione di percorsi per l'accoglienza e l'assistenza all'interno delle strutture sanitarie delle vittime di violenza, l'attivazione o l'implementazione di percorsi sanitari e socio sanitari per la presa in carico e la continuità assistenziale alle vittime di violenza, e l'attivazione di programmi per il trattamento degli uomini autori di violenze di genere domestiche e/o intrafamiliari.
  I progetti presentati dalle regioni nel 2012 sono stati 23, e 11 di essi promuovono azioni volte a tutelare le vittime della violenza di genere.
  Si aggiunga che il Ministero della salute per il tramite dei carabinieri dei nuclei antisofisticazioni e sanità, svolge una attività di alta vigilanza per rilevare e deferire, agli organi competenti, inadempienze, comportamenti impropri ed abusi.
  Da ultimo, ricordo che nel disegno di legge di iniziativa del Ministro della salute, AS 1324, recante disposizioni in materia sanitaria, il cui iter è in fase di conclusione in 12a Commissione Senato, all'articolo 6 è prevista una specifica disposizione, volta ad inasprire le sanzioni per i reati contro la persona, commessi in danno di persone ricoverate presso strutture sanitarie o presso strutture socio-sanitarie residenziali o semi residenziali.
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   SCOTTO e GIANCARLO GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   il servizio di distribuzione dell'acqua potabile della città di Caserta è, sin dal 1990, effettuato in concessione Compagnia napoletana di illuminazione e scaldamento col gas (Napoletanagas), società quasi interamente controllata dall'Italgas s.p.a., a sua volta interamente controllata dalla SNAM s.p.a.; tale società gestisce il servizio di distribuzione dell'acqua potabile anche in altri comuni della provincia di Caserta, ovvero Casaluce, Galluccio e Roccaromana, con circa 94.600 abitanti serviti;
   la Napoletanagas ha espresso l'intenzione di uscire dal settore idrico, invitando ad avanzare manifestazioni di interesse alla cessione di ramo di azienda;
   tale intenzione, insieme all'attività del comune di Caserta stesso, di cui si farà cenno successivamente, ha generato nella cittadinanza fondati motivi di preoccupazione: è a tutti noto infatti che in provincia di Caserta lo Stato si trova a fronteggiare forme particolarmente insidiose ed aggressive di penetrazione nel tessuto economico di capitali di difficile «tracciabilità»;
   la volontà politica espressa dall'amministrazione comunale della città di Caserta è quella di procedere all'affidamento del servizio idrico con una «gara trentennale»;
   la stessa amministrazione ha preliminarmente presentato ricorso di fronte al TAR della Campania contro la delibera della giunta regionale n. 813 del 27 dicembre 2012, pubblicata sul BURC Campania n. 3 del 14 gennaio 2013 avente ad oggetto determinazioni in merito alle autorità d'ambito, dei provvedimenti di nomina dei commissari straordinari degli ATO, nonché degli atti connessi;
   tale ricorso è stato respinto in data 8 maggio 2013;
   la regione Campania è tra le poche regioni che non ha legiferato in merito alla nuova organizzazione dei servizi idrici conseguente all’«abrogazione» degli ATO (prevista dall'articolo 2, comma 186-bis, della legge 23 dicembre 2009 n. 191, introdotto dall'articolo 1, comma 1-quinquies della legge 26 marzo 2010, n. 42, che ha soppresso le autorità d'ambito territoriale di cui agli articoli 148 e 201 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 e successive modificazioni e integrazioni con decorrenza 31 marzo 2011, termine prorogato al 31 dicembre 2012 con decreto-legge dicembre 2011, n. 216, convertito dalla legge n. 24 febbraio 2012, n. 14), e pertanto, a decorrere dal 1° gennaio 2013, essendo definitivamente soppresse le autorità d'ambito, le funzioni alle stesse assegnate non possono più essere assolte in carenza di una disciplina regionale che le riassegni, con gravi ripercussioni per i servizi pubblici essenziali inerenti al ciclo integrato delle acque, essendo, tra l'altro, i commissari nominati con la richiamata delibera della giunta regionale n. 813 del 27 dicembre 2012 tenuti alla sola ordinaria amministrazione;
   intanto la giunta regionale campana con decreto dirigenziale n. 229 del 29 marzo 2013 ha aumentato le tariffe della fornitura dell’«acqua all'ingrosso» del 30 per cento, traslando, con una singolare interpretazione dello stesso insufficiente metodo tariffario transitorio, i costi sui cittadini senza alcuna valutazione sull'efficienza del sistema regionale;
   l'amministrazione di Caserta ha di fatto tentato, con scarso successo, di realizzare una vacatio della funzione di indirizzo e controllo esercitata dall'autorità d'abito competente, ben sapendo che tentativi analoghi sono stati frustrati dalle sentenze della giustizia amministrativa;
   ad opinione dell'interrogante, alla luce del caso esposto in premessa, l'azione di Governo deve essere caratterizzata da un intervento diretto nel settore della gestione del ciclo idrico perché, al di là di posizioni di principio, in aree ad alta presenza di capitali illegali, privatizzare rischia di significare, in concreto, la consegna ad ambigui speculatori (e per molti anni) della gestione di risorse essenziali;
   questa visione è rafforzata dall'esito del referendum del 12 e 13 giugno del 2011 che ha sancito l'emersione a livello costituzionale, normativo, giurisprudenziale e di politica del diritto della categoria dei beni comuni, in primis l'acqua, che vanno collocati fuori commercio perché appartengono a tutti e non possono in nessun caso essere privatizzati;
   il caso della gestione dei servizi idrici nella città di Caserta dimostra come, nonostante gli esiti del referendum del 12 e 13 giugno 2011, possa sussistere il rischio di una gestione privata di un bene che i cittadini hanno sancito debba essere pubblica –:
   se alla luce di vicende come quelle descritte in premessa, il Governo, per quanto di competenza non intenda monitorare come le indicazioni date dal popolo italiano con il referendum del 12 e 13 giugno 2011 siano state rispettate.
(4-00893)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Attualmente è in corso un processo di riorganizzazione del servizio idrico integrato (di seguito anche SII) avviato con l'emanazione del decreto-legge 11 settembre 2014, n. 133 (cosiddetto decreto «Sblocca Italia»), convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 che mira ad assicurare una governance del servizio idrico in grado di attuare efficacemente il controllo e la vigilanza sulle gestioni e garantirne la trasparenza.
  Al fine di accelerare e portare a compimento la riorganizzazione del SII, è previsto il rafforzamento del dovere di provvedere tempestivamente, con l'introduzione della responsabilità disciplinare e amministrativo-contabile per l'autore del comportamento omissivo e con l'attribuzione del potere sostitutivo al Governo o alle regioni di fronte all'inerzia dell'amministrazione competente.
  Lo «Sblocca Italia», infatti, prevede la gestione unica del servizio e l'esercizio dei poteri sostitutivi, nel rispetto del principio di sussidiarietà:
   dello Stato nei confronti delle regioni che non avessero provveduto alla data del 31 dicembre 2014 ad identificare i nuovi enti di governo d'ambito (articolo 7, comma 1, lettera b)) che ha modificato l'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006). L'istruttoria per l'esercizio dei poteri sostitutivi è in corso ed è stata avviata con determine della Presidenza del Consiglio dei ministri in data 14 maggio 2015 nei confronti delle regioni Calabria, Sicilia, Campania e Molise. Le regioni stanno provvedendo ad adeguarsi alle nuove disposizioni normative. In particolare, la giunta regionale della Campania con deliberazione della giunta regionale n. 411 del 9 settembre 2015 ha presentato al Consiglio regionale il disegno di legge recante «Riordino del servigio idrico integrato e istituzione dell'ente idrico campano»;
   delle regioni nei confronti degli enti locali che non aderiscano all'ente di Governo d'ambito o non provvedano al trasferimento delle infrastrutture al gestore unico. Laddove la regione non provveda, dovrà essere l'autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (Aeegsi), a segnalare l'inadempienza al Governo affinché questi possa esercitare i poteri sostitutivi.

  In relazione agli aspetti tariffari occorre far riferimento all'articolo 154, comma 1 del decreto legislativo n. 152 del 2006, come modificato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 116 del 2011, in seguito al referendum abrogativo 12-13 giugno 2011. Esso stabilisce che «La tariffa costituisce il corrispettivo del servizio idrico integrato ed è determinata tenendo conto della qualità della risorsa idrica e del servizio fornito, delle opere e degli adeguamenti necessari, dell'entità dei costi di gestione delle opere, dell'adeguatezza della remunerazione del capitale investito e dei costi di gestione delle aree di salvaguardia, nonché di una quota parte dei costi di funzionamento dell'ente di governo dell'ambito, in modo che sia assicurata la copertura integrale dei costi di investimento e di esercizio secondo il principio del recupero dei costi e secondo il principio «chi inquina paga». Tutte le quote della tariffa del servizio idrico integrato hanno natura di corrispettivo.».
  Al riguardo si evidenzia, altresì, che l'articolo 3, comma 1, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 20 luglio 2012 prevede che l'Aeegsi «approva le tariffe del servizio idrico integrato, ovvero di ciascuno dei singoli servizi che lo compongono compresi i servizi di captazione e adduzione a usi multipli e i servizi di depurazione ad usi misti civili e industriali, proposte del soggetto competente sulla base del piano di ambito di cui all'articolo 149 del decreto legislativo 6 aprile 2006, n. 152, impartendo, a pena d'inefficacia, prescrizioni. In caso di inadempienza, o su istanza delle amministrazioni e delle parti interessate, l'autorità per l'energia elettrica e il gas intima l'osservanza degli obblighi entro trenta giorni decorsi i quali, fatto salvo l'eventuale esercizio del potere sanzionatorio, provvede in ogni caso alla determinazione in via provvisoria delle tariffe sulla base delle informazioni disponibili, comunque in un'ottica di tutela degli utenti».
  Per quanto riguarda la materia degli affidamenti, anche a seguito degli esiti referendari, per meglio comprendere il nuovo assetto regolatorio definito dal legislatore nazionale con il decreto «Sblocca Italia», si ritiene necessario formulare alcune brevi precisazioni.
  In premessa, è opportuno ricordare come, secondo la sentenza n. 325 del 2010, della Corte costituzionale, un servizio va considerato di rilevanza economica a condizione «che l'immissione del servigio possa avvenire in un mercato anche solo potenziale, nel senso che, per l'applicazione dell'articolo 23-bis, è condizione sufficiente che il gestore possa immettersi in un mercato ancora non esistente, ma che abbia effettive possibilità di aprirsi e di accogliere, perciò, operatori che agiscano secondo criteri di economicità», e che «l'esercito dell'attività avvenga con metodo economico, nel senso che essa, considerata nella sua globalità, deve essere svolta in vista quantomeno della copertura, in un determinato periodo di tempo, dei costi mediante i ricavi (di qualsiasi natura questi siano, ivi compresi gli eventuali finanziamenti pubblici).
  Nelle sentenze n. 246 del 2009 e n. 325 del 2010 la Corte costituzionale precisa, in particolare, che la competenza legislativa dello Stato sul servizio idrico, nella misura in cui è riconducibile alla tutela della concorrenza, prevale su quella regionale, e in particolare, su quella relativa ai servizi pubblici locali. Per quel che qui interessa, con la sentenza 325 del 2010 relativamente al servizio idrico integrato, la Corte afferma che «il legislatore statale, in coerenza con la menzionata (...) comunitaria e sull'incontestabile presupposto che il servizio idrico integrato si inserisce in uno specifico e peculiare mercato (come riconosciuto da questa Corte con la sentenza n. 246 del 2009), ha correttamente qualificato tale servizio come di rilevanza economica, conseguentemente escludendo ogni potere degli enti infrastatuali di pervenire ad una diversa qualificazione». La rilevanza economica del servizio ne implica l'assoggettabilità alle regole della concorrenza nel rispetto degli articoli 14 e 106 del trattato di funzionamento dell'Unione europea, nonché ai precetti individuati dalla giurisprudenza della Corte di giustizia.
  Al riguardo occorre altresì considerare gli esiti della consultazione referendaria del 12 e 13 giugno 2011.
  Il referendum abrogativo del 12 e 13 giugno 2011 riguardava 2 quesiti.
  Il primo quesito aveva ad oggetto l'abrogazione della disciplina dei servizi pubblici locali di rilevanza economica di cui all'articolo 23-bis del disegno di legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, che nell'eliminare l'alternatività tra le diverse forme di gestione, di cui all’ex articolo 113 del decreto legislativo n. 267 del 2000 (che lo stesso 23-bis aveva sostituito), prevedeva che l'affidamento diretto (ovvero in house providing) costituisse una deroga possibile solo quando le particolari caratteristiche economiche, sociali, ambientali, e geomorfologiche del contesto territoriale non consentivano un efficace ricorso alle procedure ordinarie ad evidenza pubblica.
  Il secondo quesito referendario, invece, chiedeva l'abrogazione del comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 52 del 2006, limitatamente alla parte che prevedeva che la tariffa idrica garantisse un'adeguata remunerazione del capitale investito da parte del gestore.
  All'esito di tali consultazioni referendarie si è giunti innanzi tutto all'abrogazione dell'intero articolo 23-bis. Il legislatore ha tuttavia introdotto successivamente l'articolo 4 del decreto-legge 138 del 2011, che ha ripreso in larga parte la disciplina abrogata per via referendaria, sollevando dubbi di legittimità costituzionale confermati dalla successiva declaratoria di incostituzionalità da parte della Corte costituzionale nella sentenza n. 199 del 2012.
  L'esito positivo della seconda consultazione referendaria ha invece prodotto l'abrogazione del comma 1 dell'articolo 154 del decreto legislativo n. 152 del 2006, limitatamente alla parte che prevedeva che la tariffa idrica garantisse un'adeguata remunerazione del capitale investito da parte del gestore. Tale abrogazione non ha fatto comunque venire meno il principio europeo del full recovery cost, in base al quale la tariffa del servizio idrico deve tendere alla copertura dei costi. Gli stessi giudici costituzionali, nella sentenza in cui hanno dichiarato ammissibile il quesito referendario (sentenza n. 24 del 2010) hanno riconosciuto il carattere coessenziale della copertura dei costi, d'altronde enunciato chiaramente dalla stessa lettera del comma 1 dell'articolo 154, così come risultante dagli esiti referendari, ove si parla di «copertura integrale dei costi di investimento e di esercito secondo il principio del recupero dei costi».
  In tema è poi intervenuto il decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto Sblocca Italia). Con l'articolo 7, comma 1, lettera d), di tale atto normativo si è provveduto ad introdurre l'articolo 149-bis nel decreto legislativo 152 del 2006 che, nel disciplinare l'affidamento del servizio nel rispetto del piano d'ambito di cui all'articolo 149 del decreto legislativo 152 del 2006 e del principio di unicità della gestione, rimanda all'ordinamento europeo relativamente alla forma di gestione, ovvero all'affidamento in house providing al ricorrere dei rigorosi presupposti imposti dalla disciplina comunitaria e consolidati dalla nutrita giurisprudenza europea sul punto («controllo analogo», «prevalenza dell'attività» e «partecipazione pubblica»).
  La disposizione conferma (codificandola in una norma di diritto positivo) l'impostazione della giurisprudenza costituzionale, identificando le forme di gestione del SII in quelle stabilite dall'Unione europea. Il riferimento all’ «ordinamento europeo» implica che le forme di gestione del SII siano da individuare: a) nell'affidamento del servizio con procedura di evidenza pubblica, nel rispetto dei principi del Trattato di funzionamento dell'Unione europea; b) nell'affidamento del servizio a società mista il cui socio privato sia scelto mediante procedura ad evidenza pubblica; c) nell'affidamento del servizio a soggetto interamente pubblico in house, purché l'affidatario disponga dei requisiti individuati dalla giurisprudenza dall'Unione europea.
  Con particolare riferimento alla regione Campania, si evidenzia che, nell'ambito dell'esercizio dei poteri sostitutivi previsti dallo «Sblocca Italia», con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 maggio 2015 la regione Campania è stata diffidata entro il termine di 90 giorni ad adempiere a quanto previsto dall'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dall'articolo 3-bis del decreto-legge 13 agosto 2011, n. 138, convertito dalla legge 14 settembre 2011, n. 148, in quanto, alla data del 31 dicembre 2014, non aveva provveduto a delimitare gli ATO e a istituire i relativi enti di governo.
  La regione ha provveduto con la legge 2 dicembre 2015, n. 15, pubblicata sul BUR n. 74 del 7 dicembre 2015. Con la citata legge, la regione ha disciplinato la riorganizzazione del SII ed ha istituito l'Ente idrico campano (EIC), quale ente di governo d'ambito, a cui partecipano obbligatoriamente tutti i comuni del territorio campano.
  Pertanto, alla luce di quanto evidenziato, sarà l'ente di governo d'ambito, a cui partecipano obbligatoriamente tutti i comuni ricadenti nell'ambito territoriale ottimale ai sensi dell'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 3-bis, commi 1 e 1-bis, del decreto-legge n. 138 del 2011, a scegliere quale sia la forma di gestione più idonea ed economicamente vantaggiosa ad erogare un servizio di qualità, efficiente, efficace ed economico.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio e sollecito, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SIBILIA, COLONNESE, SCAGLIUSI e TOFALO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   come risulta dalla documentazione presentata per la procedura della valutazione di impatto ambientale presso il settore ecosostenibilità della provincia di Avellino e per conoscenza alla direzione regionale per l'ambiente e l'ecosistema della regione Campania, all'autorità di bacino Campania Sud e interregionale del fiume Sele, all'ATO Alto Calore e al comune di Caposele, l'Acquedotto Pugliese spa con nota n. 223005 del 23 febbraio 2011 consegnava agli uffici competenti della regione Campania istanza di rinnovo della concessione per la derivazione e utilizzazione di acqua pubblica dalle sorgenti della Sanità nel comune di Caposele (Avellino) – decreto reale 11 maggio 1942 – medi moduli 3,63 di acqua;
   in seguito alla presentazione di tale istanza, il Ministero dell'ambiente, su richiesta dell'autorità di bacino interregionale del Sele, istituiva un tavolo tecnico interistituzionale con l'obiettivo di effettuare le valutazioni tecniche necessarie alla definizione delle modalità più adeguate per detto rinnovo;
   nel contempo, il settore «Ciclo integrato delle acque della regione Campania, con nota n. 2011 0470879 del 15 giugno 2011, invitava l'autorità di bacino interregionale del Sele a proseguire il procedimento di valutazione di compatibilità del prelievo di 363 l/s;
   dopo aver effettuato l'istruttoria tecnica, avendo tenuto conto di quanto stabilito circa il minimo deflusso vitale dal comitato istituzionale dell'autorità di Bacino, delle valutazioni del Comitato tecnico della stessa Autorità, delle risultanze del progetto MO.RI.CA., il settore «Ciclo integrato delle Acque» della regione Campania rilasciava parere favorevole alla grande derivazione d'acqua ad uso potabile della sorgente sanità del comune di Caposele (Avellino), per una portata massima di 363l/s, con decreto n. 19 dell'11 marzo 2014;
   intanto, l'Acquedotto Pugliese spa inoltrava, con nota n. 152862 del 14 dicembre 2012, alla regione Campania istanza di scoping per la procedura di valutazione di impatto ambientale in risposta a tale istanza, in data 31 gennaio 2013, con nota protocollo 77207, la regione Campania, settore tutela ambiente, indicava i soggetti competenti in materia ambientale e rappresentava la necessità di proseguire con la valutazione di impatto ambientale integrata con la valutazione di incidenza;
   di conseguenza l'Acquedotto Pugliese, con nota acquisita al protocollo regionale n. 282722 del 23 marzo 2014, rappresentava la volontà di chiudere la procedura di scoping e di procedere direttamente con la valutazione di impatto ambientale integrata con la valutazione d'incidenza;
   come risulta dall'albo pretorio on line della Provincia di Avellino, con avviso pubblico registrato in data 30 ottobre 2014, l'Acquedotto Pugliese spa provvedeva a depositare gli elaborati relativi alla «Procedura di valutazione di impatto ambientale» ai sensi dell'articolo 223 del decreto legislativo n. 15 del 2006, e successive modificazioni e integrazioni, per il progetto «Rinnovo della concessione per la derivazione e utilizzazione di acqua pubblica dalle sorgenti della Sanità in Comune di Caposele (Avellino) – Decreto Reale 11 maggio 1942 – medi moduli 3,63 di acqua»;
   il Piano d'ambito, dell'Autorità ambito territoriale ottimale 1 Campania, il cui aggiornamento è stato approvato il 21 dicembre 2012 con deliberazione n. 20, definisce lo stato del servizio a livello di ambito e stabilisce gli obiettivi di servizio su cui tendere, gli standard tecnici ed organizzativi, gli investimenti da realizzare e le risorse disponibili per realizzare quanto pianificato;
   il territorio irpino sta vivendo una fase di estrema difficoltà in ragione di emergenze inerenti alla salubrità delle acque potabili, come a Montoro e Solofra dove, in alcuni pozzi, sono state rilevate tracce di cloroetilene che ne hanno determinato il divieto di approvvigionamento;
   un eventuale rinnovo della concessione a favore dell'Acquedotto Pugliese andrebbe ad influire in modo irreversibile sui dati e sugli obiettivi contenuti nel piano di ambito adottato dall'ATO;
   la costruzione della Pavoncelli-bis, ossia il raddoppio della condotta idrica esistente che trasferisce l'acqua dall'Irpinia alla Puglia, va nella direzione di sottrarre ulteriori risorse idriche;
   lo stato attuale dei corsi d'acqua irpini è di un estremo quanto intollerabile degrado visto che non è garantito nella sostanza il «minimo deflusso vitale» –:
   quali siano le risultanze del tavolo tecnico interistituzionale di cui in premessa. (4-07188)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche connesse alla richiesta di rinnovo, ad opera di Acquedotto pugliese s.p.a, della concessione a derivare le acque della sorgente Sanità di Caposele, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente, nonché dagli enti territoriali e dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Nel febbraio 2011, Acquedotto pugliese s.p.a. ha presentato istanza di rinnovo della concessione a derivare le acque della sorgente Sanità di Caposele, per una portata pari a 363 1/s. La scadenza di tale titolo a derivare era prevista, come da disciplinare, nel maggio 2012.
  A valle di tale istanza, l'Autorità di bacino interregionale del Sele, competente per il territorio del comune di Caposele, ha rappresentato a questo Ministero alcune problematiche connesse al mantenimento del deflusso minimo vitale del fiume Sele, derivanti essenzialmente dall'ammontare dei prelievo complessivo effettuato presso le sorgenti in questione, pari a circa 4m3/s.
  Al fine di regolamentare il prelievo nel suo complesso ed inserirlo nel percorso definito dal piano di gestione delle acque del distretto idrografico dell'Appennino Meridionale, questo dicastero ha prontamente attivato un processo di coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti, onde giungere ad una risoluzione condivisa della problematica in parola.
  Pertanto, sulla base dei contenuti e finalità del piano di gestione delle acque che prevede tra l'altro la sottoscrizione di un «accordo unico» per i trasferimenti idrici interregionali, e considerata la complessità del sistema di trasferimento idrico Campania-Puglia, è stato istituito un «tavolo tecnico inter-istituzionale», con l'obiettivo di effettuare le valutazioni tecniche necessarie alla sottoscrizione di una intesa tra le regioni Campania e Puglia per la regolamentazione del trasferimento in questione, nelle more dell’«accordo unico» interregionale, previsto dal piano di gestione delle acque del distretto idrografico dell'Appennino Meridionale. Quale ente coordinatore delle attività del citato tavolo tecnico è stata individuata Autorità di bacino dei Fiumi Liri-Garigliano e Volturno.
  L'obiettivo fondamentale del tavolo è stato quello di definire un primo quadro tecnico di utilizzo sostenibile della risorsa idrica, nel rispetto delle esigenze idropotabili pugliesi, delle esigenze ambientali dei bacini superficiali del Sele e dell'Ofanto e dei bacini sotterranei del monte Cervialto e dei monti Terminio-Tuoro, e dei principi di efficienza ed economicità di gestione che tutti i concessionari di servizi pubblici sono tenuti a rispettare.
  L'articolazione delle attività del tavolo è stata definita in base ad un programma tecnico-operativo condiviso, secondo una scansione temporale che tenesse conto non solo della scadenza del titolo di concessione a derivare i 363 1/s, attualmente concesso ad Acquedotto pugliese, ma anche del prelievo nel suo complesso. In particolare, sono state previste:
   attività di integrazione per la definizione di una intesa di programma tra le regioni Campania e Puglia, definite a breve e medio termine, con completamento previsto entro aprile 2012 (attività a breve e medio termine);
   attività per il raggiungimento degli obiettivi di qualità ambientale, definite a lungo termine e con conclusione prevista entro dicembre 2015, in coerenza con la necessità di conseguire gli obiettivi di qualità ambientale previsti dalla direttiva europea «quadro» in materia di acque 2000/60 e dal decreto legislativo 152 del 2006 e s.m.i. (attività a lungo termine).

  In sintesi, i risultati delle attività a breve e medio termine, realizzate nel rispetto degli obiettivi prefissati, possono essere così riassunti:
   è stata definita una proposta di regolamentazione dei trasferimenti idrici in questione, con la valutazione di una portata da rilasciare, ai fini del sostentamento del DMV, modulata su base mensile, tale da garantire anche la possibilità di prelievo, rivisto rispetto all'attuale, alle sorgenti di Cassano e di Caposale (sorgente Sanità). Si sottolinea che la proposta di regolamentazione dei trasferimenti e, conseguentemente, di rilascio, è stata formulata considerando le analisi condotte rispetto all'anno medio ed a quanto comunicato dall'Acquedotto pugliese s.p.a., anche in considerazione della prossima attivazione dell'impianto di potabilizzazione presso l'invaso di Conza della Campania. Vi è inoltre da considerare che la proposta tiene conto del fatto che dalle sorgenti di Cassano e dalla diga di Conza si dovrebbero avere delle portate residue mediamente su tutto l'anno, le quali potrebbero essere utilizzate in sostituzione di prelievi diretti in falda (pozzi) attualmente in essere sulle strutture idriche in esame;
   è stata proposta una integrazione dell'attuale rete di monitoraggio con l'attivazione di nuove stazioni (idrometriche, pluviometriche, di misura di portate sorgive naturali e derivate) e punti di campionamento della qualità clic permetteranno di integrare il quadro conoscitivo di base già realizzato, consentendo nel contempo di affinare le analisi condotte, in particolare per quanto concerne la definizione del DMV a scala stagionale; una valutazione più dettagliata del DMV è chiaramente propedeutica alla revisione dei rilasci in corrispondenza delle sorgenti di Capasele e di Cassano Irpino.

  Le risultanze delle attività condotte sono state rappresentate al tavolo tecnico inter-istituzionale nella seduta del 14 febbraio 2013; a seguito delle osservazioni che Acquedotto pugliese s.p.a. ha formalizzato nel corso della riunione, le risultanze sono state integrate e trasmesse, nella loro versione aggiornata, a tutti i componenti del tavolo tecnico inter-istituzionale; condivise formalmente, nella loro versione aggiornata, dai componenti del tavolo tecnico sono state infine approvate dal comitato tecnico dell'autorità di bacino nazionale dei fiumi Liri e Garigliano, in data 29 novembre 2013.
  I componenti del tavolo tecnico hanno altresì evidenziato:
   la necessità di attuate il programma di monitoraggio così come definito dal rapporto finale, prevedendo tra l'altro, come richiesto da questo Ministero, in sede di revisione dei provvedimenti di concessione di derivazione da parte dell'autorità concedente, l'adozione di un adeguato sistema di monitoraggio per il controllo dell'equilibrio del bilancio idrico e, in particolare, del rispetto del deflusso minimo vitale stabiliti per il fiume Sele, nelle more della installazione di un sistema di monitoraggio in tempo reale dei deflussi in alveo, dei prelievi e dei rilasci;
   la necessità di approfondire ulteriormente gli aspetti connessi alla quantificazione del DMV, come peraltro già evidenziato dal comitato tecnico dell'autorità di bacino dei fiumi Liri e Garigliano e Volturno, nella seduta del 25 ottobre 2012 e previsto dal programma operativo delle attività a lungo termine;
   la necessità di integrare le attività a lungo termine, prevedendo specifiche azioni da assumere nei riguardi della tutela dei diversi usi in caso di crisi idrica;
   la necessità di perfezionare il quadro conoscitivo dell'assetto dei trasferimenti idrici interregionali presenti nel distretto. In particolare, nel quadro delle attività tecniche a supporto della stipula dell'accordo di programma unico di cui alla delibera di adozione del piano di gestione acque dello stesso distretto, è stata segnalata l'opportunità che, nell'ambito dell'accordo istituzionale per il «trasferimento interregionale delle risorse idriche dalla Campania alla Puglia», in relazione al quale sono state sviluppate le attività del tavolo tecnico, venga previsto un piano di interventi per il controllo e la riduzione delle perdite nelle reti acquedottistiche da parte di acquedotto Pugliese, in modo da alleggerire gradualmente, secondo tempistiche predefinite, i prelievi a scopo idropotabile attualmente in essere sul fiume Sele e consentire un progressivo incremento dei deflussi fluviali e il miglioramento delle condizioni ambientali dei fiume Sele stesso, anche in relazione al conseguimento entro il 2015 degli obiettivi di qualità ambientale prescritti dalla direttiva comunitaria 2000/60/CE.

  Il rapporto finale sulle attività del tavolo tecnico inter-istituzionale è stato presentato formalmente al comitato istituzionale dell'autorità di bacino dei fiumi Liti Garigliano e Volturno, nella seduta del 3 luglio 2014, il quale ha preso atto del lavoro svolto.
  Attualmente l'autorità di Bacino Liri-Garigliano e Volturno, quale soggetto coordinatore delle attività distrettuali, ha sollecitato più volte le regioni Campania e Puglia all'avvio delle attività a lungo termine. Tali attività, non ancora avviate, permetteranno:
   l'acquisizione di nuovi dati di monitoraggio quali-quantitativi anche attraverso l'installazione di nuove stazioni o l'individuazione di punti di monitoraggio quali-quantitativi delle acque superficiali e sotterranee, secondo quanto previsto dal decreto ministeriale 260 del 2010;
   l'effettuazione di eventuali indagini ambientali integrative finalizzate ad un approfondimento della valutazione del DMV, anche con una sua articolazione su base mensile qualora possibile in base ai dati disponibili;
   l'aggiornamento del sistema delle pressioni antropiche in relazione alle fonti di pressione e alla loro tipologia (scarichi di impianti di depurazione civili, attività artigianali e industriali, e altro);
   la predisposizione di un sistema informativo territoriale per la gestione di dati idrologici, e il riordino delle concessioni al fine di una gestione ottimale della risorsa idrica, utile anche ai fini di ulteriori intese con le altre regioni;
   l'aggiornamento del bilancio idrologico-idrico e della classificazione dello stato quali quantitativo, anche in relazione a quanto previsto, in particolare per il monitoraggio biologico, dal decreto ministeriale 260 del 2010;
   l'eventuale riqualificazione ambientale nelle aree di ricarica degli acquiferi e regolamentazione dell'uso del suolo nelle fasce di pertinenza fluviale;
   l'individuazione di aree di salvaguardia e relative misure d'intesa tra gli enti coinvolti.

  Per quanto concerne l'aggiornamento del piano d'ambito dell'ATO 1 Calore Irpino, si evidenzia che al riguardo, l'autorità di bacino Liri-Garigliano e Volturno, in forza, del coordinamento delle attività di pianificazione distrettuali affidatole dalla legge 13 del 2009, si è espressa nel proprio parere in maniera critica, sottolineando come l'aggiornamento del piano d'ambito incidesse in maniera unilaterale su competenze specifiche distrettuali e regionali.
  Alla luce delle informazioni esposte, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a tenersi informato anche attraverso gli altri enti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SIBILIA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   sulla morte di Marcello Cucciniello, il ventitreenne di Atripalda (Avellino) travolto e ucciso il 9 settembre 2015 da un pick-up in Thailandia, il 21 settembre 2015 l'interrogante ha presentato un'interrogazione a risposta scritta (4-10418) chiedendo al Ministro interrogato di chiarire la posizione dell'ambasciata italiana rispetto all'arrivo e alla permanenza in loco dei parenti del giovane alla luce delle dichiarazioni del signor Urciuoli, zio della vittima;
   in data 19 gennaio 2016 il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionale, Mario Giro, ha risposto all'interrogazione ricostruendo la vicenda in maniera diversa da quella raccontata dal signor Urciuoli tant’è che, il 24 marzo 2016, il sito di informazione ilciriaco.it ha pubblicato un articolo dal titolo «Morte di Marcello, il Governo risponde ma non convince la famiglia del giovane morto in Thailandia»;
   in particolare, nel suddetto articolo si evidenzia che «Urciuoli fin dal suo rientro in Italia ha puntato il dito contro i funzionari del presidio italiano a Bangkok colpevoli di “non aver dato alcun supporto logistico e morale in una circostanza così tragica vissuta per di più in terra straniera. Si limitarono a darmi dei nomi e dei numeri di telefono che a loro volta mi fornivano altri numeri, tra cui quello del Console onorario di Phuket, mai incontrato. Non furono nemmeno in grado di dirmi in quale ospedale si trovasse il corpo di mio nipote«»;
   Urciuoli, nello stesso articolo, dichiara inoltre: «Mi sarei aspettato quanto meno delle scuse dal Ministero degli Esteri e un impegno affinché tutto ciò non si ripetesse più, ma dopo i fatti dell'Egitto e della Libia, capisco che questo è proprio il modus operandi delle nostre ambasciate mentre lo Stato italiano non interviene» e che «solo la Polizia locale e l'agenzia privata che contattai mi aiutarono per le pratiche burocratiche del rientro, dai diplomatici nessun sostegno fattivo, eppure aprivano gli uffici a mezzogiorno quindi di tempo ne avevano»;
   in un altro articolo, pubblicato in data 11 marzo 2016 sul sito di informazione irpinianews.it con il titolo «Tragedia in Thailandia, il pick-up che uccise Marcello Cucciniello non era assicurato» si sottolinea che anche per lo Studio 3A, la società specializzata nella valutazione delle responsabilità civili e penali a cui la famiglia Cucciniello si è rivolta per ottenere giustizia, «non è accettabile che la famiglia di Marcello sia da ormai sei mesi in attesa del processo, che non è stato ancora nemmeno istruito. E qui un intervento della nostra diplomazia in Thailandia non guasterebbe» –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno approfondire la vicenda per chiarire quale sia stato il comportamento tenuto dall'ambasciata italiana in Thailandia nei confronti della famiglia di Marcello Cucciniello e in che modo il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale stia continuando a seguire il caso al fine di far luce sulle responsabilità della morte del giovane e contribuire, per quanto di competenza, ad assicurare il colpevole alla giustizia.
(4-12684)

  Risposta. — Si conferma che la vicenda del connazionale Marcello Cucciniello, deceduto il 9 settembre 2015 a seguito di un incidente stradale nell'isola di Koh Samui, nel sud della Thailandia, è stata attentamente seguita dalla Farnesina sin dalle prime fasi attraverso l'ambasciata a Bangkok, che ha prestato tutta l'assistenza del caso ai familiari della vittima.
  Una volta terminate da parte dell'ambasciata le necessarie procedure amministrative, la salma del signor Cucciniello è stata trasportata a Bangkok il 15 settembre 2015, dove nel frattempo erano giunti i genitori del connazionale, che sono stati costantemente assistiti dal personale dell'ambasciata. Grazie all'intervento della nostra sede diplomatica, in meno di 24 ore si è provveduto ad organizzare il riconoscimento della salma, la chiusura del feretro, nonché ad espletare tutte le pratiche necessarie per il rimpatrio. Il 16 settembre 2015, al termine di una breve cerimonia funebre officiata da un prete cattolico italiano, i genitori del connazionale hanno pertanto potuto lasciare Bangkok e fare rientro in Italia, esprimendo vivo ringraziamento per l'assistenza ricevuta.
  L'ambasciata ha inoltre mantenuto sin dall'inizio contatti costanti con le autorità locali, continuando a seguire da vicino gli sviluppi dell'inchiesta in corso volta ad individuare il responsabile dell'incidente mortale che ha coinvolto il nostro connazionale. A tale riguardo, la polizia di Samui ha recentemente comunicato di aver concluso le indagini e ha reso noto che l'ufficiale investigatore sta terminando la stesura del rapporto da inviare al pubblico ministero, che procederà all'azione giudiziaria nei confronti del cittadino tailandese ritenuto responsabile.
  In relazione alle dichiarazioni rese alla stampa dallo zio del connazionale deceduto, Giulio Urciuoli, si evidenzia che il personale dell'ambasciata ha costantemente agito in strettissimo raccordo con i genitori del connazionale, ai quali sono stati trasmessi i rapporti della polizia e consigliati avvocati locali che potessero seguire il caso dal punto di vista giudiziario. Nel corso dei contatti avuti dalla nostra ambasciata con il signor Urciuoli prima della sua partenza per la Thailandia, gli era stato peraltro già fatto presente che la procedura per il rimpatrio della salma sarebbe stata seguita dalla sede d'intesa con i genitori del signor Cucciniello, che sarebbero giunti a breve nel Paese e a cui spettava ogni decisione in merito.
  Si precisa altresì che il signor Urciuoli è giunto all'aeroporto di Bangkok l'11 settembre 2015 ed ha immediatamente contattato l'ambasciata, declinando tuttavia l'invito a recarsi presso la sede per ottenere informazioni ed assistenza in quanto doveva imbarcarsi a breve sul volo diretto a Koh Samui. L'ufficio consolare dell'ambasciata ha quindi provveduto a metterlo in contatto con il console onorario a Phuket, competente anche per Kho Samui, il quale gli ha a sua volta fornito i recapiti di un interprete italo-tailandese e di due italiani presenti sul posto che avrebbero potuto assisterlo durante la sua permanenza sull'isola. Il signor Urciuoli non risulta abbia mai contattato nessuna delle persone che si erano messe a sua disposizione in loco. Grazie ai buoni uffici del console onorario, il signor Urciuoli ha comunque potuto recarsi nel luogo in cui si trovava il corpo del nipote e rendergli omaggio.
  Al riguardo, si precisa che a Samui non c’è un ufficio consolare, bensì un mero presidio dove il console onorario, che risiede a Phuket (a circa un'ora di aereo), si reca periodicamente per evitare gli spostamenti ai connazionali residenti.
  Si ribadisce, infine, che l'ambasciata d'Italia a Bangkok e il Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale continuano a prestare la massima attenzione agli aspetti giudiziari della vicenda e seguiranno attentamente gli sviluppi del caso, tenendone costantemente informati i genitori.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   SORIAL. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la A35, detta BreBeMi, autostrada che collega Brescia a Milano, era stata presentata come l'autostrada «dei privati», da realizzarsi in project financing senza nessun costo per le casse dello Stato, ma la giunta regionale lombarda avrebbe dato in questi giorni l’«ok» a 60 milioni di euro di finanziamento, in tre anni, in particolare 20 milioni nel 2015, 2016 e 2017, sostegno economico approvato in agosto dal Cipe, e sarebbe stato stabilito anche un altro stanziamento di 260 milioni di euro da parte dello Stato per un totale di ben 320 milioni di euro di fondi pubblici;
   il premier Renzi aveva promesso che la BreBeMi doveva essere «tutta finanziata dai privati, senza oneri per lo Stato», invece si è rivelata estremamente costosa per i contribuenti poiché lo Stato dovrà pagare almeno 1,7 dei 2,4 miliardi di euro di costo: 1,2 miliardi di penale di subentro, 320 milioni appena deliberati dal Cipe, più il valore dell'allungamento della concessione di sei anni, di altri 200 milioni, e così nella migliore delle ipotesi i privati ripagheranno un terzo dell'opera, ovvero 800 milioni, e i fondi dei contribuenti, 1,7 miliardi, saranno equamente divisi tra le banche (800 milioni di interessi) e gli azionisti BreBeMi (800 milioni di giusto profitto);
   più di diciotto anni fa quando partì il progetto e il suo principale azionista era proprio Autostrade per l'Italia, la A35, costruita attraverso il project financing con soci pubblici diretti e indiretti come regione, province e comuni interessati insieme a privati come banche e imprese costruttrici, doveva costare 920 milioni di euro, ma il conto finale si è triplicato fino a raggiungere 2,439 miliardi di euro, compresi gli interessi, per un totale di 38 milioni di euro a chilometro;
   l'aumento del prezzo dell'A35 sarebbe dipeso, secondo fonti di stampa, dal fatto che «nelle varie procedure autorizzative il ceto politico pretende le famigerate opere compensative e altri adeguamenti. Il privato dice «si» a tutto per poter poi dire «è la politica che ha fatto saltare i conti», visto che poi, se l'opera fosse risultata un fallimento, era previsto dalla convenzione il pagamento da parte dello Stato, come di fatto sta succedendo;
   nel frattempo Autostrade per l'Italia ha passato l'affare a Intesa Sanpaolo, e la convenzione tra lo Stato e BreBeMi è stata riscritta completamente, introducendo nuove clausole che garantissero la famosa «bancabilità», come quella che se i conti non tornano deve pagare lo Stato, di cui sopra, oppure quella che ha innalzato la remunerazione del capitale privato dal 3,59 per cento all'anno del bando di gara all'8,90 per cento, e infine quella che stabilisce che a fine concessione il privato avrà diritto a 1,2 miliardi per il cosiddetto subentro: il privato avrà dunque indietro dallo Stato la metà del costo;
   se lo Stato non pagasse per questo fallimento gli accordi stabiliscono che la società autostradale possa restituire la concessione a Concessioni autostradali lombarde (la società costituita da regione Lombardia, attraverso Infrastrutture Lombarde, e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con ANAS) che dovrebbe risarcire BreBeMi con 2,44 miliardi di euro;
   sempre secondo fonti di stampa «Intesa Sanpaolo, prima azionista della BreBeMi, ha finanziato la BreBeMi. Con Unicredit, Montepaschi, Centrobanca e Credito Bergamasco ha preso 600 milioni dalla Bei (banca europea pubblica) al 2 per cento per girarli alla BreBeMi al 7 per cento. Uno spread di 30 milioni all'anno per vent'anni su un'opera senza rischi, visto che pagherà tutto lo Stato»;
   i gestori avevano previsto di recuperare l'investimento con i pedaggi, ma finora la BreBeMi è tra le autostrade meno frequentate d'Italia e questo non a caso: prima di tutto comincia a 20 chilometri da Milano e finisce a 18 chilometri da Brescia, poi il pedaggio è salato, visto che i 56 chilometri a pagamento da Brescia a Milano costano ben 10,70 euro, ovvero 19 centesimi a chilometro mentre per fare lo stesso tratto sulla A4 se ne spendono 6,80; infine, mancano le aree di servizio: negli spazi in cui dovrebbero sorgere, la concessionaria ha temporaneamente installato bagni chimici e distributori automatici di merendine, bevande e caffè;
   per stare nei conti la A35-BreBemi doveva totalizzare 40.000 transiti nei primi sei mesi dall'apertura e 60.000 da gennaio di quest'anno, invece la società nel mese di luglio 2015 in una nota piuttosto ottimistica informava che «i volumi di traffico sono aumentati di circa il 107 per cento, passando dagli iniziali 13.000 transiti giornalieri alle attuali punte di 38.000»;
   l'interrogante aveva già presentato l'atto n. 4-07502 a gennaio 2015 per domandare la ragione e la natura di tali finanziamenti statali ad un'opera presentata come a costo zero per le casse pubbliche e diventata poi una spesa di tale portata per lo Stato, ma non è stata ancora ricevuta alcuna risposta in merito;
   ad avviso dell'interrogante contratti del genere, lungi dal realizzare una utile e proficua interazione dei privati con lo Stato, addossando allo Stato ogni rischio economico di un eventuale fallimento, possono portare di fatto a trasformare il fallimento stesso nell'affare da perseguire e concludere, arrecando un doppio danno alla collettività che si ritrova senza le opere in questione e con perdite economiche ingenti per le casse dello Stato –:
   se sia al corrente dei fatti esposti e se non ritenga necessario chiarire i motivi di quanto accaduto, sia per quanto riguarda l'innalzamento del prezzo dell'opera, sia per quanto attiene al danno per le casse dello Stato;
   se non intenda chiarire le eventuali responsabilità nella stesura del contratto, soprattutto delle nuove clausole di «bancabilità» nella seconda versione, di cui in premessa, che hanno reso tale accordo decisamente in perdita per lo Stato e a favore dei privati coinvolti nel caso in cui l'opera non si fosse rivelata un successo, come si preannunciava dal principio e come di fatto è stato;
   come si concili questo genere di collaborazioni con i privati con il bene del Paese e se non intenda dunque approfondire la natura e l'utilizzo dello strumento del project financing, che troppo spesso invece di ridurre la spesa pubblica attraverso l'apporto di capitale privato, arreca danni economici allo Stato;
   se non si ritenga necessario monitorare accuratamente la natura dei contratti delle altre opere similari per capire se esistano altri esempi di questo tipo, e in che modo eventualmente intenda intervenire per limitare i danni economici che ne potrebbero scaturire, nonché quali iniziative anche di ordine normativo intenda attuare per impedire ai concessionari e ai contraenti generali di assumere commesse che pongano a carico della parte pubblica i relativi rischi in questa maniera ed evitare così che vengano stipulati ancora accordi dannosi per lo Stato e a favore dei privati coinvolti che di fatto guadagnano sia se l'affare va bene, sia se fallisce. (4-11079)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame concernente il collegamento autostradale tra le città di Brescia e Milano – A35 (di seguito collegamento autostradale), sulla base delle informazioni pervenute dal concedente concessioni autostradali lombarde s.p.a. (di seguito CAL), cui sono stati chiesti chiarimenti circa le specifiche questioni sollevate dall'Interrogante, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Per quanto attiene alla convenzione e al piano economico finanziario dell'opera in parola, si fa presente che a seguito di apposita procedura di gara, con disposizione del 10 giugno 2003 n. 100, la società Anas ha dichiarato l’«A.T.I. Brebemi S.p.A. ed Altri mandataria Brebemi S.p.A.» aggiudicataria della concessione relativa alla progettazione definitiva, esecutiva della costruzione e della gestione (inclusa la manutenzione) del collegamento autostradale in argomento. La concessione relativa a detto collegamento risulta essere una delle poche in Italia affidata a seguito di una procedura ad evidenza pubblica.
  In data 19 febbraio 2007, ai sensi di quanto disposto dall'articolo 1, comma 979 della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria 2007) è stata costituita tra Anas s.p.a. e Infrastrutture lombarde s.p.a., la società CAL, alla quale sono state trasferite le funzioni e i poteri di soggetto concedente e aggiudicatore attribuiti ad Anas per la realizzazione, tra l'altro, del collegamento autostradale. In particolare CAL esercita poteri di vigilanza e controllo sulla progettazione, costruzione e gestione del collegamento autostradale, ivi compresa la vigilanza sul rispetto delle leggi e dei regolamenti operanti nel settore delle concessioni autostradali.
  Ai sensi del decreto-legge 3 ottobre 2006, n. 262 (convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 24 novembre 2006, n. 286), in data 1o agosto 2007 è stata sottoscritta da CAL e dalla società di progetto Brebemi s.p.a. (di seguito Brebemi), la convenzione unica di concessione per la progettazione, costruzione e gestione del collegamento autostradale (di seguito Convenzione unica), successivamente approvata con decreto del Ministro delle infrastrutture, emanato di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, in data 23 gennaio 2008.
  Pertanto la convenzione unica consegue a una previsione normativa ed è stata elaborata in linea con le ulteriori convenzioni uniche stipulate dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con i vari concessionari autostradali.
  Risulta inoltre che nella convenzione unica non sono previste specifiche norme sulla «bancabilità» a vantaggio di Brebemi. Sono invece inserite previsioni, che riguardano l'equilibrio economico-finanziario degli investimenti o la decadenza/revoca della concessione, in linea con quanto previsto su tali temi dal decreto legislativo n. 163 del 2006 (Codice dei contratti pubblici). In particolare, l'articolo 143, comma 8, prevede tra l'altro che i presupposti e le condizioni di base che determinano l'equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione, da richiamare nelle premesse del contratto, ne costituiscono parte integrante. Le variazioni apportate dalla stazione appaltante a detti presupposti o condizioni di base, nonché le norme legislative e regolamentari che stabiliscano nuovi meccanismi tariffari o che comunque incidono sull'equilibrio del piano economico finanziario, previa verifica del CIPE sentito il Nucleo di consulenza per l'attuazione delle linee guida per la regolazione dei servizi di pubblica utilità (NARS), comportano la sua necessaria revisione, da attuare mediante rideterminazione delle nuove condizioni di equilibrio, anche tramite la proroga del termine di scadenza delle concessioni. In mancanza della predetta revisione il concessionario può recedere dal contratto.
  Come è noto all'interrogante in data 6 agosto 2015 il Cipe ha espresso parere favorevole sulla revisione del Piano economico-finanziario (di seguito PEF) relativo al collegamento autostradale in parola. Si evidenzia che tale revisione è stata richiesta da Brebemi, in linea con quanto previsto dal citato articolo 143, comma 8, del Codice dei contratti pubblici, al seguito del verificarsi di eventi straordinari, che ne hanno modificato alcuni presupposti e condizioni di base per l'equilibrio del PEF, i cui principali sono di seguito riportati:

   maggiori costi di esproprio;
   differenti costi di strutturazione del finanziamento, a causa della crisi finanziaria nazionale e internazionale che ha ritardato il cosiddetto closing finanziario;
   riduzione delle stime di traffico aggiornate per tenere conto del diverso contesto infrastrutturale dell'opera (mancata realizzazione del raccordo Ospitaletto – Montichiari, di competenza di altra concessionaria), oltre che della negativa congiuntura macroeconomica nazionale e internazionale.

  Al fine del riequilibrio, la revisione del PEF approvata prevede la realizzazione in capo a Brebemi dell'interconnessione del collegamento autostradale con la A4, quale variante al progetto definitivo approvato dal CIPE, per garantire il collegamento a est con la rete autostradale in esercizio, a garanzia della piena funzionalità del collegamento autostradale, presupposto contemplato già in fase di progettazione preliminare, poi confermato con delibera Cipe di approvazione del progetto definitivo.
  La revisione del PEF prevede altresì il riconoscimento di una contribuzione pubblica per un importo complessivo pari a euro 320 milioni, di cui:
   euro 260 milioni da parte dello Stato, a valere sul fondo di cui all'articolo 1, comma 299, della legge n. 190 del 23 dicembre 2014;
   euro 60 milioni da parte della regione Lombardia, a valere sui fondi stanziati con decreto del 30 dicembre 2014, n. 12781.

  Prevede inoltre un'estensione del periodo concessorio pari a 6 anni, per un totale complessivo del periodo di gestione di 25 anni e sei mesi.
  Si precisa che la revisione del PEF comporta, tra l'altro, per Brebemi l'introduzione di una condizione meno favorevole, costituita dalla riduzione del proprio rendimento sul capitale proprio. Si passa infatti dal 8,90 per cento del PEF vigente al 6,34 per cento del PEF revisionato. Si precisa altresì che tale rendimento è da intendersi sull'intera durata della concessione (tasso interno di rendimento) e non costituisce un rendimento annuo. Inoltre, il rendimento iniziale riportato nell'interrogazione e pari al 3,59 per cento è relativo ad un piano economico-finanziario elaborato a moneta costante, senza quindi tenere in considerazione l'effetto inflativo, pertanto è impropria la comparazione con l'attuale 6,34 per cento.
  Si fa presente, poi, che il fabbisogno finanziario complessivo (importo dell'investimento, IVA e oneri collegati alla strutturazione del finanziamento) è coperto, oltre che dai finanziamenti pubblici sopra riportati, dal capitale fornito dai soci di Brebemi e da un finanziamento bancario, sottoscritto da Brebemi e dalle banche finanziatrici nel primo semestre del 2013.
  Al finanziamento bancario partecipa anche la banca europea degli investimenti, sia attraverso una linea di credito diretta, sia attraverso le banche commerciali facenti parte del pool di banche finanziatrici. L'interesse medio applicato a tale finanziamento risulta essere pari a 3,46 per cento, secondo quanto previsto nel PEF.
  Riguardo la problematica circa il subentro evidenziata dall'interrogante, si informa che il valore di subentro, confermato dalla citata delibera CIPE del 6 agosto 2015 nell'importo di euro 1.205 milioni, non costituisce penale e non grava sulle casse dello Stato. Tale indennizzo di subentro, previsto ai sensi dell'articolo 143, comma 7 del Codice dei contratti pubblici, dovrà essere infatti corrisposto a Brebemi dal successivo concessionario del collegamento autostradale, che verrà individuato con gara alla scadenza dell'attuale concessione. Solo nel caso in cui tale nuovo concessionario non dovesse essere individuato entro 24 mesi dalla scadenza della concessione, a detto subentro dovrà provvedere CAL. È in ogni caso prevista contrattualmente la verifica, alla fine di ogni periodo regolatorio, degli eventuali extraprofitti di Brebemi, da destinarsi all'abbattimento del valore di subentro.
  In relazione alle tariffe di pedaggio, si precisa che le stesse sono le medesime previste sin dalla stipula della convenzione unica, aggiornate all'inflazione come previsto dalla stessa convenzione unica. Si rammenta inoltre che le tariffe applicate sono volte a remunerare il concessionario non solo per la manutenzione di opere già realizzate (come avviene nella maggioranza dei casi) ma anche per la realizzazione dell'intero collegamento autostradale e delle opere connesse, quali ad esempio la riqualificazione delle strade provinciali Cassanese e Rivoltana, come più avanti meglio precisato.
  In relazione alle aree di servizio, Brebemi ha esperito due gare, entrambe andate deserte, per la realizzazione delle aree di servizio previste dal progetto. Il mancato interesse per le stesse da parte del mercato risulta essere ascrivibile principalmente alla riduzione dei volumi di traffico rispetto alle stime originarie, causata dalle motivazioni già esposte, nonché alle prescrizioni contenute nella delibera Cipe di approvazione del progetto definitivo e alle normative regionali, che impongono, contestualmente ai carburanti tradizionali, anche l'installazione di stazioni di rifornimento per il metano, con conseguenti rilevanti oneri aggiuntivi per i sub-concessionari. Nelle more dell'individuazione degli operatori che realizzeranno tali aree di servizio, Brebemi ha provveduto ad approntare i servizi di cortesia per i propri utenti, citati nell'interrogazione.
  Per quanto concerne poi il costo dell'opera CAL evidenzia quanto segue.
  In relazione all'importo del progetto citato nell'interrogazione la concessione è stata affidata da Anas alla società di progetto Brebemi nel 2003 sulla base di un progetto preliminare non ancora sottoposto all'approvazione degli enti territoriali e della VIA, per un importo complessivo netto stimato di circa 680 milioni di euro.
  Successivamente, il progetto preliminare dell'opera, come modificato a seguito delle prescrizioni richieste in sede di Conferenza dei servizi e confermate dal Cipe, è stato approvato dal Cipe medesimo con delibera n. 93 in data 29 luglio 2005 e prevedeva un importo dell'investimento per il collegamento autostradale (esclusi Iva e oneri relativi alla strutturazione del finanziamento bancario) pari a euro 1.205 milioni.
  Oltre alla realizzazione di 62,1 chilometri di tracciato autostradale, l'importo dell'investimento include la realizzazione di ulteriori opere riguardanti complessivamente circa 37,2 chilometri di viabilità ordinaria, dei quali circa 17 chilometri di adeguamenti in sede e altri 20,2 km di nuove varianti. Tra queste si richiamano due delle principali viabilità di accesso a Milano nel settore est, le strade provinciali 103 Cassanese e 14 Rivoltana.
  In data 26 giugno 2009, con delibera n. 42, il Cipe ha approvato il progetto definitivo del collegamento autostradale. L'importo totale dell'opera approvato dal Cipe è divenuto pari a euro 1.611,3 milioni (esclusi Iva e oneri relativi alla strutturazione del finanziamento bancario), a seguito delle prescrizioni richieste in sede di conferenza dei servizi e confermate dal Cipe medesimo, che ammontavano nel complesso a euro 37,22 milioni.
  L'incremento di costo avvenuto durante il complesso iter istruttorio del progetto è derivato principalmente da:
   incremento dei prezzi dal 2000 al 2008 (incidenza del 42 per cento sull'importo dei lavori);
   modifiche per affiancamento tra l'autostrada e la linea AV/AC Milano-Verona;
   prescrizioni/richieste della Commissione speciale VIA;
   prescrizioni/richieste della regione Lombardia;
   adeguamenti progettuali agli aggiornamenti normativi intervenuti (norme di progettazione/sicurezza/antisismica);
   maggior costo degli spostamenti delle linee interferite e dei valori delle aree tra il 2000 e il 2008.

  A opere finite, il costo dei lavori (euro 1.380 milioni) è comunque rimasto invariato dal 2009, anno di approvazione del progetto definitivo.
  Con la già citata delibera Cipe del 6 agosto 2015, l'importo complessivo dell'investimento è stato fissato in euro 1.737,18 milioni (esclusi Iva e oneri relativi alla strutturazione del finanziamento bancario). L'incremento è dovuto principalmente all'aumento degli oneri di esproprio, pari a euro 117,4 milioni.
  Per quanto riguarda l'importo riportato nell'interrogazione, pari a euro 2,4 miliardi, si precisa che lo stesso è riferito al complessivo fabbisogno finanziario dell'opera, inclusi gli oneri relativi alla strutturazione del finanziamento bancario.
  In merito, infine, agli asseriti esigui volumi di traffico e al relativo effetto sulla sostenibilità dell'investimento da parte di Brebemi, la società CAL fa presente che nella sopracitata revisione del PEF le stime di traffico sono state aggiornate rispetto a quelle utilizzate nel PEF vigente (elaborato nel 2010 a seguito dell'approvazione del progetto definitivo), principalmente poiché a est l'opera non è ancora interconnessa con la rete autostradale esistente.
  Infatti, mentre a ovest il tracciato del collegamento autostradale è collegato all'area di Milano attraverso il cosiddetto ArcoTeem e le strade Provinciali Cassanese e Rivoltana, allo scopo riqualificate da Brebemi, a est l'interconnessione non è stata possibile a causa del ritardo nel completamento del Raccordo Ospitaletto-Montichiari, ricompreso nella concessione A21 (non di competenza CAL), i cui lavori sono stati sospesi nel 2012, a seguito della scadenza della concessione, e non ancora riavviati.
  Pertanto, al fine di ripristinare le condizioni convenzionali di interconnessione con la viabilità autostradale, come già sopra evidenziato, è stata prevista la realizzazione in capo a Brebemi dell'interconnessione del collegamento autostradale con la A4, variante per la quale si è oggi in fase di approvazione.
  La variante deriva dalla necessità, sopravvenuta successivamente all'approvazione del progetto definitivo ed esecutivo del collegamento autostradale, di sopperire a tale mancata realizzazione, essenziale per garantire la corretta funzionalità trasportistica del collegamento, originariamente prevista nei documenti contrattuali di gara.
  In tale contesto, CAL, in veste di soggetto aggiudicatore, ha proposto l'attivazione della procedura di approvazione della variante, senza aumento dell'importo della Concessione, al fine di trovare una soluzione concreta ad una circostanza esterna che compromette l'originaria funzionalità trasportistica del collegamento autostradale, volta anche a ridurre il traffico sull'autostrada A4 nel tratto tra Milano e Brescia (che presenta transiti/km giornalieri medi pari al 302 per cento della media nazionale) e ridurre di conseguenza i tassi di incidentalità e mortalità (329 incidenti, 573 feriti e 8 morti registrati nel 2014, con un tasso di mortalità pari al 232 per cento della media nazionale – Fonte AISCAT). La stessa società CAL ritiene quanto mai urgente l'approvazione della suddetta variante.
  Infine, in merito al monitoraggio dei contratti delle altre opere similari e alle iniziative normative volte ad impedire ai concessionari e ai contraenti generali di assumere commesse che pongano a carico della parte pubblica i relativi rischi, si fa presente che il 5 marzo 2016 con atto del Governo n. 283 è stato trasmesso all'esame del Parlamento il nuovo codice attuativo della legge delega al Governo 28 gennaio 2016, n. 11, per il recepimento delle direttive europee sui contratti pubblici.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   SPADONI, BRESCIA, MANLIO DI STEFANO, GRANDE, DEL GROSSO, SIBILIA, DI BATTISTA, SCAGLIUSI, DADONE, LOREFICE e COLONNESE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Rob Wainwright, capo dell'Europol, nei giorni scorsi ha lanciato un allarme relativo al fatto che in Europa sono scomparsi circa 10 mila minori migranti, di cui la metà in Italia;
   egli ha, tra l'altro, affermato che «non è irragionevole dire che si tratti di più di 10.000 bambini. Non tutti saranno sfruttati dalle organizzazioni criminali; alcuni magari sono passati di famiglia in famiglia. Non sappiamo dove siano, cosa facciano o con chi siano»;
   si tratta soprattutto di adolescenti maschi provenienti da Eritrea, Somalia e Siria in cerca di un futuro diverso dalla guerra e che spesso hanno come obiettivo il nord Europa dove già hanno un contatto familiare;
   il capo dell'Europol ha confermato di aver trovato prove del fatto che alcuni minori rifugiati non accompagnati sono stati sfruttati sessualmente;
   ogni anno, secondo le statistiche ufficiali, arrivano in Italia circa 7.000 minori stranieri soli, lontani dalla famiglia e senza adulti di riferimento;
   nell'ambito delle migrazioni, i minori non accompagnati rappresentano un gruppo particolarmente vulnerabile e possono essere una facile preda dei circuiti di illegalità, soprattutto se non si attiva, fin dal momento del loro arrivo, una rete coordinata di protezione e di sostegno;
   da molti anni l'Italia affronta l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati in termini di emergenza, senza una chiara definizione di competenze e di responsabilità degli attori coinvolti;
   ancora oggi i diritti essenziali dei minori stranieri non accompagnati non sono sempre rispettati: dal diritto al riconoscimento della minore età a quello a un'accoglienza decorosa, al diritto alla nomina di un tutore alla possibilità di essere ascoltati nelle scelte che li riguardano;
   il regolamento (UE) n. 604/2013, cosiddetto Dublino III, del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 giugno 2013 stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide (rifusione) conformemente alla Convenzione della Nazioni Unite sui diritti del fanciullo del 1989 e alla Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea;
   ai sensi delle disposizioni in esso contenute, l'interesse superiore del minore dovrebbe costituire un criterio fondamentale per gli Stati membri nell'applicazione del regolamento stesso; nel valutare l'interesse superiore del minore gli Stati membri dovrebbero tenere debito conto in particolare il benessere e lo sviluppo sociale del minore, le considerazioni attinenti alla sua incolumità e sicurezza, nonché il parere del minore in funzione dell'età o della maturità del medesimo, compreso il suo contesto di origine. È opportuno inoltre che siano fissate specifiche garanzie procedurali per i minori non accompagnati, in considerazione della loro particolare vulnerabilità;
   ai sensi dell'articolo 6 dello stesso regolamento «L'interesse superiore del minore deve costituire un criterio fondamentale nell'attuazione, da parte degli Stati membri, di tutte le procedure previste dal presente regolamento. Gli Stati membri provvedono affinché un rappresentante rappresenti e/o assista un minore non accompagnato in tutte le procedure previste dal presente regolamento. Il rappresentante possiede le qualifiche e le competenze necessarie ad assicurare che durante le procedure svolte ai sensi del presente regolamento sia tenuto in considerazione l'interesse superiore del minore. Tale rappresentante ha accesso al contenuto dei documenti pertinenti della pratica del richiedente, compreso l'apposito opuscolo per i minori non accompagnati. (...) Nel valutare l'interesse superiore del minore, gli Stati membri cooperano strettamente tra loro e tengono debito conto, in particolare, dei seguenti fattori: a) le possibilità di ricongiungimento familiare; b) il benessere e lo sviluppo sociale del minore; c) le considerazioni di sicurezza, in particolare se sussiste un rischio che il minore sia vittima della tratta di esseri umani; d) l'opinione del minore, secondo la sua età e maturità» –:
   quali iniziative intenda porre in essere in favore dei minori stranieri non accompagnati presenti sul territorio nazionale, al fine di rafforzare un sistema di accoglienza a loro riservato e coordinato con gli altri Paesi dell'Unione europea per la tutela del loro benessere;
   quali iniziative intenda mettere in atto per uniformare le procedure di identificazione e di accertamento dell'età;
   se non intenda promuovere l'attivazione di una banca dati nazionale per disciplinare l'invio dei minori che giungono in Italia nelle strutture di accoglienza in tutte le regioni, sulla base delle disponibilità di posti e di eventuali necessità e bisogni specifici degli stessi minori;
   come intenda affrontare finanziariamente l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati affinché non gravi sui bilanci dei singoli comuni al fine di incrementare l'efficacia del suddetto sistema;
   se non intenda assumere iniziative per apportare interventi correttivi al testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n. 286 (Disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero), in ordine a quanto evidenziato in premessa. (4-11999)

  Risposta. — L'interrogazione in esame verte sul fenomeno dei minori stranieri non accompagnati e, in tale ambito, pone alcuni quesiti che appaiono riconducibili sostanzialmente a tre aree tematiche:
   il sistema di accoglienza;
   la scomparsa dei minori dalle strutture di accoglienza e la conseguente necessità di attivare strategie di intervento volte ad evitare che essi diventino vittime della tratta e dello sfruttamento;
   le procedure di identificazione e di determinazione dell'età effettiva dei minori.

  La problematiche legate all'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati sono da tempo all'attenzione del Ministero dell'interno, anche in ragione del fatto che, nell'ambito degli imponenti flussi migratori che stanno interessando il territorio nazionale, si registra un numero crescente di arrivi di tale categoria di soggetti particolarmente vulnerabili.
  I dati relativi ai minori in questione sono acquisiti, tenuti e aggiornati dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Da essi si evince che negli ultimi quattro anni l'afflusso dei minori non accompagnati è sostanzialmente raddoppiato, essendosi passati dalle 5.821 unità presenti in Italia nel 2012 alle 11.921 dell'anno 2015.
  È diventata pressante, quindi, l'esigenza di assicurare un adeguato supporto dello Stato ai comuni, ai quali spettano – come noto – l'assistenza e la rappresentanza legale dei minori fuori famiglia.
  In tale direzione, vi è stato un radicale ripensamento della governance del sistema nazionale di accoglienza, con una contestuale, forte assunzione di responsabilità del Ministero dell'interno.
  Il nuovo sistema ha avuto origine con il Piano operativo nazionale per la gestione dei flussi migratori approvato dalla Conferenza unificata nella seduta del 10 luglio 2014, la cui portata innovativa risiede nel fatto che, ferma restando la prioritaria competenza dei comuni, l'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati è stata ricondotta ad una logica di partnership tra Stato e il mondo delle autonomie locali.
  Le previsioni del piano nazionale hanno poi trovato suggello e copertura normativa in due successivi interventi legislativi.
  Si fa riferimento, innanzitutto, alla legge di stabilità 2015 che ha concentrato in un unico dicastero, quello dell'interno, gli interventi di competenza statale nel settore dell'accoglienza dei minori stranieri non accompagnati.
  Nello specifico, tale legge, da un lato, ha trasferito dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali al Ministero dell'interno il fondo destinato a sostenere finanziariamente i comuni che erogano i servizi di accoglienza ai minori stranieri non accompagnati.
  Dall'altro, ha previsto la possibilità di ospitare nelle strutture del Sistema di protezione per richiedenti asilo e rifugiati (SPRAR) gestite come noto dagli enti locali con la regia unitaria e il preponderante sostegno finanziario del Ministero dell'interno, i minori stranieri non accompagnati non richiedenti protezione internazionale. Si è trattato di un'innovazione di non poco conto, atteso che il sistema Sprar è destinato all'accoglienza dei soli richiedenti asilo e rifugiati.
  Più di recente, è intervenuto il decreto legislativo n. 142 del 2015 che, attraverso varie disposizioni di chiarificazione e chiusura del sistema, ne ha disegnato i contorni con esattezza.
  Il dispositivo normativo prevede una fase di prima accoglienza del minore in strutture ad alta specializzazione gestite dal Ministero dell'interno. La permanenza in tali centri è limitata al tempo strettamente necessario e comunque non è superiore a 90 giorni.
  Il minore è successivamente ospitato nelle strutture di seconda accoglienza del sistema Sprar gestite – come noto – dai comuni secondo un modello condiviso con il Ministero dell'interno, che valorizza l'ospitalità diffusa e mira all'integrazione.
  Qualora tali strutture siano temporaneamente indisponibili, gli enti locali provvedono comunque ad ospitare il minore attraverso i propri servizi di assistenza. In tal caso, essi possono fare richiesta di accedere, nei limiti delle risorse disponibili, al già citato Fondo per i minori stranieri non accompagnati, gestito dal Ministero dell'interno.
  Si segnala, al riguardo, che il fondo ha ricevuto per l'anno in corso una dotazione finanziaria importante: si tratta di 170 milioni di euro, cioè quasi il doppio dei 90 milioni di euro assegnati per il 2015, che contribuiranno ad elevare in maniera significativa gli standard qualitativi e quantitativi dell'accoglienza.
  Il modello concepito dal legislatore è in fase di graduale costruzione.
  Per quanto riguarda la prima accoglienza, sono in avanzato corso di predisposizione sia il decreto interministeriale sia il bando pubblico necessari all'allestimento dei previsti centri ad alta specializzazione.
  Nelle more, per fronteggiare le esigenze più pressanti, nel 2015 il Ministero dell'interno ha attivato strutture temporanee di accoglienza per oltre 700 minori al giorno, utilizzando allo scopo risorse del Fondo europeo per l'asilo, la migrazione e l'integrazione, integrate con cofinanziamenti nazionali.
  Per quanto riguarda la seconda accoglienza, si informa che la rete Sprar è stata recentemente potenziata di ulteriori 1010 posti dedicati ai minori non accompagnati, in aggiunta ai 951 già esistenti.
  Quanto alla scomparsa dei minori stranieri non accompagnati dalle strutture di accoglienza, si rappresenta che effettivamente il fenomeno – secondo i dati forniti dal Ministero del lavoro – registra un trend in crescita, di pari passo – d'altra parte – con l'aumento degli arrivi in Italia di tale categoria di stranieri.
  I minori resisi irreperibili sono stati 1.754 nel 2012, 2.142 nel 2013, 3.707 nel 2014 e 6.135 alla fine dello scorso anno.
  A fronte di questi numeri, si assicura che, da parte delle pubbliche autorità, non vi è alcuna sottovalutazione del problema.
  Va sottolineato preliminarmente che l'irreperibilità dei minori rappresenta un aspetto strutturale e costante del fenomeno migratorio, dovuto ad una molteplicità di fattori, tra i quali rivestono notevole rilevanza il progetto migratorio, l'aspettativa familiare e individuale, le informazioni in possesso dei minori, le reti parentali e di riferimento nei Paesi di destinazione.
  A monte, vi è poi l'ulteriore considerazione che le strutture di accoglienza dei minori non hanno natura detentiva, ragion per cui la permanenza e le uscite da esse sono ispirate al rispetto delle regole di convivenza e delle indicazioni dei singoli gestori.
  In virtù dei doveri che la legge pone in tema di affidamento, i responsabili dei centri sono tenuti a denunciare tempestivamente gli allontanamenti dei minori alle Forze di polizia che, ai fini dell'immediato avvio delle ricerche attivano un circuito informativo interno e di tipo interforze, in modo che la segnalazione, indipendentemente dal fatto che sia o meno riferibile ad un'azione delittuosa, raggiunga gli uffici di polizia su tutto il territorio nazionale e quelli dei Paesi dell'area Schengen ed extra Schengen. La procedura prevede anche il coinvolgimento delle autorità diplomatiche.
  In aggiunta a ciò, l'ufficio di polizia, che ha ricevuto la denuncia, ne da immediata comunicazione al Prefetto che, oltreché interessare tempestivamente il Commissario straordinario per le persone scomparse, può, all'occorrenza, attivare il piano provinciale di ricerca delle persone scomparse e decidere se coinvolgere o meno gli organi di informazione.
  Secondo i dati forniti dal Commissario straordinario per le persone scomparse, l'articolato meccanismo di ricerca che ho appena descritto ha consentito, il rintraccio nel quadriennio 2012-2015 del 30 per cento circa dei minori stranieri resisi irreperibili.
  Si soggiunge che il medesimo Commissario ha avviato da tempo una serie di interventi, tra cui un censimento mensile con tutte le Prefetture per disporre di un quadro del fenomeno tale da agevolarne la comprensione e l'individuazione di misure di prevenzione.
  Nel medesimo senso, nell'autunno scorso il commissario ha siglato anche un protocollo operativo con la prefettura di Roma, le forze dell'ordine, il tribunale dei minori, il comune di Roma, l'Anci e l'università La Sapienza per la messa a punto di un sistema di monitoraggio e approfondimento delle cause di allontanamento da parte dei minori stranieri non accompagnati.
  Va anche ricordato che, a seguito di un recente incontro tenuto dal commissario con il circuito di cooperazione di polizia denominato Sirene, sono stati individuati procedimenti finalizzati al miglioramento della collaborazione delle Forze di polizia, atti a garantire una identità certa ed univoca ai minori stranieri non accompagnati in arrivo. A tale riguardo, è stata condivisa la decisione di presentare una formale proposta di risoluzione o conclusione del Consiglio dell'Unione europea, che preveda la riconoscibilità dei minori stranieri in tutto il percorso migratorio dall'atto di ingresso nel territorio dell'Unione europea fino alla loro destinazione finale, mediante l'introduzione di nuove regole di identificazione applicabili in tutta l'area Schengen.
  Si segnala infine che dal 2009 è attivo il servizio inter-istituzionale denominato «116000 – Linea telefonica diretta per i minori scomparsi», gestito dall'associazione Telefono azzurro sulla base di un protocollo d'intesa da essa siglata con il Ministero dell'interno e che, presso la sala operativa del dipartimento della pubblica sicurezza, opera dall'agosto 2013, un sistema che consente la massima diffusione a livello nazionale di elementi informativi utili alla ricerca dei minori scomparsi.
  Si è detto prima che la scomparsa del minore straniero è spesso connessa alla volontà del medesimo di proseguire il proprio percorso migratorio verso altri paesi per la realizzazione di un diverso progetto di vita.
  Vi è tuttavia il rischio, evidenziato anche dall'interrogante, che i minori scomparsi finiscano per incrementare le file delle vittime di tratta, di sfruttamento nelle varie forme o di altre tipologie di abusi.
  Invero, le indagini di polizia non hanno evidenziato, al momento, collegamenti significativi tra il fenomeno della scomparsa dei minori e le fattispecie delittuose richiamate.
  Non di meno, il livello di attenzione su questo specifico ambito di attività criminale è elevato, come è testimoniato, per quanto riguarda le Forze di polizia, dal fatto che, per la prevenzione e la repressione dei reati in danno dei minori, sono stati istituiti uffici ad hoc – faccio riferimento, ad esempio, agli uffici minori delle questure – i cui operatori ricevono una peculiare formazione multidisciplinare, che pone al centro dell'attenzione le vittime e le modalità più efficaci per prevenire i fenomeni di abuso in questione.
  A parte le Forze di polizia, la grossa novità in questo campo è l'approvazione nella seduta del Consiglio dei ministri del 26 febbraio 2016 del primo Piano nazionale d'azione contro la tratta e il grave sfruttamento degli esseri umani, che definisce le strategie di intervento per la prevenzione e il contrasto di tali fenomeni per il triennio 2016-2018.
  Per quel che interessa in questa sede, il piano individua e sviluppa gli strumenti e le procedure operative standard per l'identificazione e il supporto dei minori che siano vittime o a rischio di tratta.
  Il piano è propedeutico all'emanazione del nuovo programma unico di emersione, assistenza e integrazione sociale delle vittime di tratta, che conterrà le misure e le azioni concrete che il Governo intende promuovere in questo campo.
  Per quanto riguarda il tema dell'uniformità delle procedure di identificazione e di determinazione della minore età, si premette che se ne condivide l'importanza, anche perché i migranti minorenni rientrano tra le categorie protette previste dal Testo unico dell'immigrazione, per le quali è sancito il divieto di espulsione, tranne che per motivi di ordine pubblico e sicurezza dello Stato.
  Al riguardo, si rappresenta le procedure di identificazione in caso di dubbio sulla minore età si basano su un attento e approfondito controllo dei documenti del presunto minore (qualora disponibili) e delle persone che eventualmente lo accompagnano. Se possibile, vengono effettuati riscontri presso le rappresentanze diplomatiche, come per gli adulti. Le verifiche sono svolte con la massima accuratezza, in modo tale da non traumatizzare il minore e considerando ogni caso singolarmente. Qualora non fosse possibile determinare l'età esatta, ma piuttosto la probabile fascia d'età, si presume l'età minore. L'Autorità giudiziaria minorile viene informata immediatamente della situazione del minore.
  Ad ogni modo, per l'accertamento in concreto dell'età si fa riferimento alle raccomandazioni contenute nel «Protocollo per l'accertamento dell'età del minori secondo il modello dell'approccio multidimensionale (cosiddetto «Protocollo Ascone»)», firmato il 21 maggio 2009 dal Ministero dell'interno, dal Ministero del lavoro e dal Ministero della giustizia.
  Più di recente, tuttavia, uno specifico provvedimento normativo ha focalizzato il tema della determinazione dell'età dei minori non accompagnati, sebbene con preciso riguardo a quelli vittime di tratta. Ci si riferisce al decreto legislativo n. 24 del 2014 che, all'articolo 4, prevede un decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri, di concerto con il ministro degli affari esteri, il Ministro dell'interno, il Ministro della giustizia, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali e il Ministro della salute, per la definizione dei meccanismi attraverso i quali, in caso di fondato dubbio sulla minore età dei minori non accompagnati non accertabile documentalmente, si procede alla determinazione dell'età dei minori medesimi attraverso una procedura multidisciplinare condotta da personale specializzato.
  Attualmente, lo schema del decreto in questione è all'esame della Presidenza del Consiglio dei ministri, a cui è stato trasmesso dal Ministero della giustizia.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   TONINELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento della Raffineria Tamoil spa della città di Cremona, situato a meno di due chilometri dal centro della città e a pochissima distanza dal fiume Po ha provocato negli anni passati uno dei più gravi disastri ambientali accertati in Italia, per il quale la società stessa si era «autodenunciata» fin dal 2001, secondo le previsioni dell'allora vigente decreto ministeriale 25 ottobre 1971, n. 471;
   nel luglio 2007 le piscine delle società Canottieri vennero chiuse, quando nella falda fu rinvenuta la presenza di idrocarburi, episodio da cui scaturì il processo penale per disastro ambientale recentemente conclusosi in primo grado con una sentenza di condanna a carico di alcuni manager della società;
   nell'ambito della dismissione attualmente in corso, è stata decisa la trasformazione degli impianti della raffineria in deposito di carburanti; questa trasformazione avviene tuttavia in assenza di bonifica delle aree della raffineria;
   l'articolo 36 comma 1 del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni in legge 7 agosto 2012, n. 134, cosiddetto «decreto Sviluppo», prevede infatti che «nel caso di attività di re-industrializzazione dei siti contaminati anche di interesse nazionale, nonché nel caso di chiusura di impianti di raffinazione e loro trasformazione in depositi, i sistemi di sicurezza operativa già in atto possono continuare ad essere eserciti senza necessità di procedere contestualmente alla bonifica, previa autorizzazione del progetto di riutilizzo delle aree interessate attestante la non compromissione di eventuali successivi interventi di bonifica», ciò che consente alle raffinerie che si sono trasformate in deposito, come la raffineria Tamoil in questione, di non essere più obbligate ad effettuare la contestuale bonifica;
   sebbene l'autorizzazione ministeriale non escluda un eventuale successivo intervento di bonifica, la scelta di non procedere immediatamente ad un'analisi accurata della situazione ambientale onde valutare più correttamente la necessità di interventi immediati di bonifica appare all'interrogante del tutto incomprensibile;
   infatti, al di là della previsione normativa, nel caso di specie l'inquinamento risulta così grave che il rilascio di metano in particolari condizioni della falda fa registrare il raggiungimento di condizioni di esplosività nei fabbricati limitrofi alla raffineria, quindi ben al di sopra di qualsiasi limite di tollerabilità secondo i parametri tecnico-scientifici TLV-stel, IDLH e LD50;
   non risulta, inoltre, essere stata effettuata alcuna approfondita indagine sulla popolazione residente nell'area, finalizzata a valutare il danno biologico derivante dall'assorbimento del benzene e degli altri aromatici prodotti dall'attività della raffineria, essendosi invece le analisi limitate al controllo della barriera idraulica posta a salvaguardia del fiume, laddove soltanto un'analisi approfondita e affrontata con sistemi di analisi statistica sulle ricadute dell'inquinamento sulla popolazione potrebbe condurre ad una più corretta valutazione circa il danno prodotto e ad una più corretta valutazione della necessità della bonifica delle aree interessate –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano intraprendere ai fini dell'analisi dell'incidenza del danno ambientale provocato dalle attività della raffineria Tamoil di Cremona e da quelle ad esse correlate sulla popolazione residente;
   se alla luce di indagini approfondite e statistiche sull'incidenza effettiva del danno ambientale sulla popolazione residente i Ministri interrogati intendano valutare la sussistenza dei presupposti per l'autorizzazione ai sensi dell'articolo 36, comma 1, del decreto-legge n. 83 del 2012 nelle aree della ex raffineria Tamoil destinate alla trasformazione in deposito di carburanti anche in considerazione di quanto esposto in premessa. (4-08748)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'attività di bonifica delle aree interne ed esterne all'ex sito di raffineria Tamoil di Cremona, in base agli elementi acquisiti dalla competente direzione generale e dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Con decreto n. 61046 del 2014 del comune di Cremona è stato definitivamente approvato il progetto di MISO presentato dalla società Tamoil Raffinazione s.p.a. di Cremona, visti gli esiti della conferenza dei servizi del 17 aprile 2014 che ha prescritto di procedere con la messa in sicurezza mediante l'istallazione presso l'ex raffineria di un sistema di sbarramento idraulico costituito da 15 pozzi di emungimento. Le attività per l'avviamento e la gestione di suddetta barriera – completata attraverso tre fasi costruttive – hanno avuto inizio a partire dall'agosto 2007, ai sensi dell'articolo 242 del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Le prove ed i controlli condotti hanno dimostrato la regolare funzionalità dei pozzi alle portate di progetto previste, tua a causa del deterioramento delle caratteristiche idrauliche dell'acquifero intorno ad uno di essi, la stessa Tamoil Raffinazione s.p.a. intende realizzare un nuovo pozzo, da posizionare ad una distanza di circa 35 metri dal piede dell'argine maestro, a servizio di suddetta barriera.
  Le attività di gestione e monitoraggio del sistema di sbarramento, compresi i relativi risaltati, sono comunicate agli enti di controllo attraverso la trasmissione di rapporti a cadenza semestrale, contenenti:
   livelli piezometrici rilevati all'interno dei pozzi;
   rilievi freatimetrici eseguiti sui piezometrici della rete di monitoraggio;
   risultati dei monitoraggi idrochimici condotti sul sistema di estrazione e trattamento delle acque estratte;
   quantitativi del prodotto surnatante recuperato;
   risultati delle modellazioni idrogeologiche per la verifica dell'efficienza idraulica della barriera.

  Nel periodo compreso tra il gennaio e il giugno 2015 (ultimo rapporto disponibile), la gestione e il monitoraggio dei sistemi si sono articolati nelle seguenti attività:
   rilievo dei parametri operativi della barriera idraulica;
   rilievo freatimetrico della falda e dei livelli del fiume Po;
   rilievo dello spessore e dei volumi di prodotto surnatante recuperato;
   monitoraggio idrochimico di qualità delle acque di falda estratte e trattate;
   verifica di efficienza idraulica e interventi di manutenzione dei sistemi.

  Sulla base del documento «Gestione e monitoraggio della barriera idraulica – gennaio-giugno 2015» redatto dalla Società URS Italia per Tamoil Raffinazione s.p.a., le suddette attività hanno permesso di estrarre circa 2,45 milioni di metri cubi di acque di falda (22,32 milioni di metri cubi complessivi dall'avvio) ed il recupero e riutilizzo in sito di circa 17 metri cubi di miscele liquide oleose costituite da emulsioni acqua/prodotto non altrimenti separabili, come da autorizzazione della provincia di Cremona del 25 settembre 2007.
  I volumi rimossi di tali miscele risultano essere progressivamente minori rispetto agli anni precedenti, ad evidenza di un andamento migliorativo della condizione dell'acquifero con la scomparsa del prodotto in fase separata (2,218,3 metri cubi complessivi dall'avvio),
  Questi risultati, pertanto, confermano l'efficacia di sbarramento della barriera idraulica e l'operatività dei sistemi di recupero del prodotto surnatante, e permettono la valutazione della coalescenza delle aree di cattura della barriera in tutte le condizioni, mantenendo in efficienza il sistema.
  Restano aperti, tuttavia, alcuni procedimenti puntuali che sono stati oggetto di conferenze di servizi nell'anno 2015.
  In particolare:
   esame della nota tecnica di valutazione dei rischi sanitari ed ambientali – Area 1 «Deposito temporaneo di rifiuti» presentato in data 18 luglio 2014 ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   «Piano di caratterizzazione ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 dell'area – bacino di contenimento serbatoio B10», presentato in data 10 dicembre 2014;
   «Risultati indagine di caratterizzazione ai semi del decreto legislativo n. 152 dei 2006 dell'area bacino di contenimento serbatoio E27» presentato in data 14 gennaio 2014.

   L'istruttoria per l'approvazione del progetto di Miso era stata sospesa nel novembre 2011 in attesa della conclusione dell’iter necessario alla trasformazione della raffineria in deposito.
  La conferenza di servizi del 7 novembre 2013 presso il Ministero dello sviluppo economico approvava il progetto di dismissione della raffineria e di recupero delle aree liberate dagli impianti di raffinazione e concludeva affermando che per gli impianti di raffinazione che subiscono una conversione in deposito, gli interventi di bonifica si sarebbero dovuti realizzare solo a conclusione dell'attività degli impianti stessi, al fine di poter procedere con una nuova caratterizzazione e analisi di rischio al termine dell'attività di dismissione.
  Per quanto concerne le aree esterne, è stato approvato dal comune di Cremona, con decreto del gennaio 2012, il «Progetto operativo degli interventi di ripristino ambientale nel terreno insaturo e nelle acque di falda – aree canottieri e residenziale, esterne alla raffineria di Cremona».
  Gli interventi di ripristino ambientale in esso riportati sono stati avviati nel marzo del 2013, portando alla luce alcune criticità legate alla presenza di gas nel sottosuolo, presenza che ha indotto i tecnici a definire nuovi sistemi di trattamento. In particolare, e stato installato un ossidatore termico, in esercizio dal mese di aprile 2015 e tuttora attivo.

  Dalle analisi chimiche e dai rilievi speditivi di campo e risultato un trend di decremento della presenza di gas, che evidenzia un netto miglioramento per quanto riguarda metano e composti organici volatili, a garanzia dei corretto funzionamento del sistema.
  Inoltre, si segnala una marcata diminuzione dei contaminanti rilevati in ingresso ai filtri a carbone attivo operanti sull'area privata, ad oggi non più rilevabili nell'ordine dei mg/Nmc.
  Infine, in occasione di un incontro tecnico tenutosi presso il comune di Cremona nel luglio scorso, sono stai esaminati i risultati del monitoraggio relativi al periodo marzo-aprile 2015, sia per quanto riguarda le aree esterne, sia per quelle interne al deposito. I risultati di tale indagine non risultano ancora pervenuti a questo Ministero.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato e continuerà a svolgete un'attività di sollecito nei confronti dei soggetti territorialmente competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   TONINELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in base ad apposita convenzione sottoscritta tra il comune di Crema e il Ministero dell'interno è stata prevista la realizzazione di una nuova caserma dei pompieri in via Macallè, nell'area posta tra il comune di Crema e la frazione di San Michele del comune di Ripalta Cremasca; detta convenzione prevede che il Ministero dell'interno sostenga il costo dell'intervento, corrispondendo un canone per 15 anni di 79 mila euro ogni 12 mesi, con un riscatto finale di 15 mila euro, con l'amministrazione comunale, che fungerà da stazione appaltante. Fonti di stampa (articolo intitolato «Vigili del Fuoco, entro metà 2016 Crema avrà la nuova caserma», sul quotidiano online Crema Oggi del 2 agosto 2015) hanno riferito che la nuova caserma sarebbe sorta entro la metà del 2016 –:
   quali siano i motivi per i quali non è stato autorizzato il pagamento del canone concordato in base alla convenzione di cui alla premessa e, conseguentemente, non siano stati avviati i lavori per la realizzazione della caserma in questione e quali iniziative intendano assumere al riguardo. (4-12241)

  Risposta. — Con delibera del consiglio comunale in data 8 giugno 2015, il comune di Crema ha approvato la bozza di convenzione con il Ministero dell'interno – dipartimento dei vigili del fuoco per la realizzazione della nuova sede del distaccamento dei vigili del fuoco di Crema.
  In virtù di tale accordo, il medesimo comune, tramite il soggetto attuatore, la società SCRP costituita da cinquanta comuni del territorio cremasco, si è impegnato a costruire l'immobile in parola dietro un corrispettivo di un canone di locazione annuo di 79 mila euro e con patto di riscatto, a favore del Ministero dell'interno, previo pagamento di 15 mila euro.
  La convenzione in argomento è stata sottoscritta, in data 31 luglio 2015, dal sindaco di Crema e dal comandante provinciale pro-tempore dei vigili del fuoco, su delega del direttore centrale per le risorse logistiche e strumentali del dipartimento dei vigili del fuoco.
  Successivamente, la convenzione è stata inviata al competente organismo di controllo di Roma, ufficio centrale del bilancio presso il Ministero dell'interno, per l'apposizione del prescritto visto di legittimità preventivo.
  L'ufficio centrale del bilancio, a tutt'oggi, non ha apposto il suddetto visto, avendo sollevato una serie di osservazioni sotto il profilo contabile relativamente alla imputazione dei pagamenti dei canoni dovuti per la costruzione dell'immobile e avendo ritenuto opportuno chiedere il parere al Ministero dell'economia e delle finanze – ispettorato generale per la finanza, che ancora non si è espresso al riguardo.
  Si sottolinea che l'operazione rappresenta un innovativo strumento di riduzione dei costi per la costruzione di nuove caserme dei vigili del fuoco e, pertanto, si auspica una celere definizione della problematica in argomento.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   VERINI, SERENI, ASCANI e GIULIETTI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel periodo tra il 2010 e 2014 per i lavori di manutenzione della E45 nel tratto stradale tra Collestrada e Cesena sarebbero stati usati materiali giudicati inadatti per sopportare il transito consistente di auto e mezzi pesanti, ma anche tecniche di costruzioni inadatte;
   si apprende dalla stampa che l'ipotesi investigativa che ha portato all'iscrizione sul registro degli indagati di 22 persone, tra legali rappresentanti, dirigenti e direttori dei lavori di diverse società che, nei 5 anni presi in esame, hanno eseguito lavori di manutenzione lungo la superstrada che attraversa il territorio umbro, toscano e romagnolo, ha trovato conferma in una perizia, ora nella disponibilità della procura di Forlì;
   l'ipotesi aveva portato a iscrivere sul registro degli indagati 22 persone, tra cui si leggono nomi di dirigenti, direttori dei lavori, legali rappresentanti: l'indagine è stata aperta per truffa per «non aver adempiuto agli obblighi indicati nei contratti di fornitura stipulati con Anas»;
   l'E45 rappresenta un'arteria fondamentale per la comunicazione Nord-Sud dell'Umbria e dell'Italia centrale, ma purtroppo vanta una storia interminabile di disagi, interruzioni, lentezze nei lavori, gravi deterioramenti del manto stradale e in certi casi perfino strutturali, come nel tratto appenninico di Verghereto: si tratta di una strada percorsa non solo da traffico leggero, ma anche da quello legato al trasporto pesante, camion, autoarticolati che percorrono una strada che da troppi anni (in pratica da sempre) non garantisce condizioni di sicurezza;
   appare dunque fondamentale, dopo il forse inevitabile abbandono del progetto di trasformazione della E45 in autostrada, l'impegno concreto di Governo e regioni perché si proceda rapidamente, con i necessari finanziamenti, ad un piano serio di messa in sicurezza, manutenzione straordinaria, nell'ambito del positivo cambiamento messo in atto dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, per privilegiare le opere cantierabili, combattere drasticamente gli affidamenti opachi e poco trasparenti che nel tempo hanno causato gravi episodi di cattiva gestione e perfino di corruzione –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Ministro intenda adottare al fine di fare al più presto chiarezza su ogni aspetto legato a questa vicenda, e se non intenda fornire notizie certe in merito alle date in cui si prevede di chiudere i cantieri allestiti sul Verghereto (quelli precedenti durarono decenni) eliminando ogni ombra su ipotesi di malaffare;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda mettere in campo, sul piano tecnico e amministrativo, per verificare se davvero le opere di manutenzione e di ripristino e i lavori effettuati sulla superstrada siano stati condotti con materiale scadente, non conforme alle condizioni dei contratti e dei capitolati, cosa che configurerebbe, nel caso fosse confermata, gravi violazioni. (4-10554)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  La strada statale 3bis Tiberina, costituente parte dell'itinerario europeo E45 nell'ambito della rete stradale internazionale, è stata realizzata tra la fine degli anni sessanta e gli anni ottanta, in attuazione di un progetto approvato nel 1962.
  La strada, a doppia carreggiata, è separata da uno spartitraffico centrale costituito da barriera metallica o new jersey con due corsie per ogni senso di marcia, senza banchine laterali di larghezza significativa.
  Per quanto riguarda i lavori di manutenzione ordinaria e straordinaria effettuati dalla società Anas tra il 2010 e il 2014 nel tratto compreso tra Cesena e Collestrada, l'Autorità giudiziaria di Forlì sta svolgendo le indagini riguardanti le eventuali irregolarità commesse nella realizzazione degli interventi. L'Anas sta attivamente collaborando con la procura fornendo le informazioni e la documentazione inerente alle verifiche dei materiali utilizzati, nonché le relazioni di calcolo e gli atti progettuali originali relativi alla fase di costruzione della strada statale in questione. Gli esiti dell'indagine potranno essere resi noti solo a conclusione della stessa.
  Per quanto concerne il piano di messa in sicurezza e manutenzione straordinaria della E45, si conferma la programmazione degli interventi di riqualificazione e manutenzione straordinaria con la previsione nel piano pluriennale Anas 2015-2020 di finanziamenti per 1 miliardo e 671 milioni di euro.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   VIGNAROLI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, alla legge 11 novembre 2014, n. 164, all'articolo 35 (Misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale), comma 1 stabilisce: «Entro novanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentita la Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, con proprio decreto, individua a livello nazionale la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale, con l'indicazione espressa della capacità di ciascun impianto, e gli impianti di incenerimento con recupero energetico di rifiuti urbani e assimilati da realizzare per coprire il fabbisogno residuo, determinato con finalità di progressivo riequilibrio socio-economico fra le aree del territorio nazionale e nel rispetto degli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio, tenendo conto della pianificazione regionale. Gli impianti così individuati costituiscono infrastrutture e insediamenti strategici di preminente interesse nazionale, attuano un sistema integrato e moderno di gestione di rifiuti urbani e assimilati, garantiscono la sicurezza nazionale nell'autosufficienza, consentono di superare e prevenire ulteriori procedure di infrazione per mancata attuazione delle norme europee di settore e limitano il conferimento di rifiuti in discarica»;
   il decreto-legge del 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 all'articolo 35 (Misure urgenti per l'individuazione e la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali, costituenti infrastrutture strategiche di preminente interesse nazionale), comma 6, dispone: «Ai sensi del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, non sussistendo vincoli di bacino al trattamento dei rifiuti urbani in impianti di recupero energetico, nei suddetti impianti deve comunque essere assicurata priorità di accesso ai rifiuti urbani prodotti nel territorio regionale fino al soddisfacimento del relativo fabbisogno e, solo per la disponibilità residua autorizzata, al trattamento di rifiuti urbani prodotti in altre regioni. Sono altresì ammessi, in via complementare, rifiuti speciali pericolosi a solo rischio infettivo nel pieno rispetto del principio di prossimità sancito dall'articolo 182-bis, comma 1, lettera b), del citato decreto legislativo n. 152 del 2006 e delle norme generali che disciplinano la materia, a condizione che l'impianto sia dotato di sistema di caricamento dedicato a bocca di forno che escluda anche ogni contatto tra il personale addetto e il rifiuto; a tale fine le autorizzazioni integrate ambientali sono adeguate ai sensi del presente comma»;
   l'Ama Roma spa, ha emesso il bando di gara n. 2/2015 relativo ad una procedura aperta per la conclusione di un accordo quadro con più operatori economici afferente l'affidamento del servizio di carico, trasporto e trattamento in impianti di recupero energetico del rifiuto urbano residuo. Per un importo del bando pari a euro 366.912.000,00 oltre IVA di cui euro 800.000,00 per oneri della sicurezza non soggetti a ribasso;
   nella descrizione del bando si legge: «procedura Aperta per la conclusione di un accordo quadro con più operatori economici, ai sensi dell'articolo 59, comma 8, del decreto legislativo n. 163 del 2006, afferente l'affidamento del servizio di carico, trasporto e trattamento in impianti di recupero energetico del rifiuto urbano residuo (Codice CER 20 03 01) prodotto nel territorio di Roma Capitale per un periodo di 48 mesi, nel pieno rispetto dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, così come sostituito dalla legge di conversione n. 164 del 2014»;
   il bando prevede, in particolare, che l'aggiudicazione della procedura è condizionata alla effettiva attuazione dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014 –:
   se ed entro quali tempi il Governo intenda adottare il decreto previsto dall'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2014, e se non intenda chiarire come si debba procedere, in casi quali quello segnalato in premessa, nelle more dell'adozione di tale decreto. (4-09936)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla realizzazione di impianti di incenerimento ex articolo 35 decreto-legge n. 133 del 2014, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, si fa presente che la finalità del decreto in questione, è quella di ridurre il conferimento dei rifiuti in discarica (calcolato ad una percentuale massima del 10 per cento), e di sfruttare al meglio la rete impiantistica nazionale già esistente, delineando una potenziale linea strategia nazionale di medio lungo termine sulla gestione dei rifiuti per gli anni a venire, in ottemperanza all'obiettivo di ottimizzazione della rete infrastrutturale dedicata al recupero energetico su scala nazionale previsto nell'ambito del «pacchetto economia circolare», presentato il 2 dicembre 2015, e in fase di consultazione.
  Inoltre, anche al fine di tenere conto delle azioni volte alla riconversione di tali impianti preliminari, sono state previste specifiche disposizioni (articolo 6 dello schema di decreto del Presidente del Consiglio dei ministri), che consentono di definire e aggiornare con cadenza annuale, anche su richiesta delle regioni interessate, il fabbisogno residuo di incenerimento dei rifiuti urbani e assimilati, individuato sulla base degli obiettivi di riduzione della produzione di rifiuti urbani e assimilati, di raccolta differenziata, di riciclaggio e di pianificazione regionale.
  Con particolare riferimento alla strategia nazionale delineata dalle disposizioni dei decreti attuativi dello «sblocca Italia», si rappresenta in ogni caso che il Ministro dell'ambiente ha accolto la richiesta della conferenza stato-regioni di istituire un comitato, presso la conferenza stessa, per la gestione integrata ed efficiente del ciclo dei rifiuti.
  Tale comitato avrà funzioni istruttorie, di raccordo e di coordinamento e concorrerà ad ottimizzare l'efficacia del sistema integrato di gestione dei rifiuti ed assicurerà il monitoraggio e il coordinamento a livello nazionale per l'attuazione delle politiche di gestione dei rifiuti.
  Si ritiene, pertanto, che le disposizioni introdotte dall'emanando decreto del Presidente del Consiglio ministri, finalizzate a garantire la sicurezza nazionale nell'autosufficienza della gestione dei rifiuti, oltre a dare piena attuazione a quanto previsto dal legislatore nazionale, rappresentino altresì una concreta attuazione della normativa comunitaria in tema di gestione degli stessi, perfettamente coerente con i criteri stabiliti nell'articolo 4 della direttiva quadro.
  Si fa presente, altresì, che lo schema di decreto ai sensi dell'articolo 35, comma 1, del decreto-legge n. 133 del 2014, anche in ottemperanza alle richieste formulate dalle regioni, è attualmente oggetto della procedura di verifica di assoggettabilità a Vas, secondo la disciplina di cui all'articolo 12 del testo unico ambientale.
  Tale normativa prevede la conclusione del relativo procedimento entro 90 giorni dall'acquisizione dell'istanza di assoggettabilità da parte dell'autorità competente avvenuta in data 17 marzo 2016.
  Ad ogni modo, ferma restando l'attuazione dell'articolo 35 nei termini sopra indicati, tenuto conto delle competenze spettanti agli enti territoriali, compatibilmente con le esigenze di finanza pubblica, il Governo valuterà il potenziamento di tutti gli strumenti necessari finalizzati a rafforzare, in termini di efficacia, efficienza ed economicità, il sistema di gestione dei rifiuti.
  Inoltre, con specifico riferimento a come si debba procedere nelle more dell'adozione del citato decreto, in relazione alle vicende che hanno recentemente interessato la società AMA s.p.a., si rappresenta quanto segue.
  Innanzitutto, si fa presente che il Tar del Lazio, con la sentenza n. 11 del 4 gennaio 2016, si è espresso in materia di recupero dei rifiuti solidi urbani, ed in particolare sul rapporto tra la disposizione di cui all'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2005 (cosiddetto decreto «Sblocca Italia»), che disciplina la realizzazione di impianti di recupero di energia, dai rifiuti urbani e speciali e i principi comunitari di autosufficienza e prossimità in materia di recupero dei rifiuti solidi urbani non differenziati (non pericolosi), accolti e ribaditi negli articoli 182 e 182-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Il collegio ha osservato, al riguardo, che la giurisprudenza ha ritenuto i suddetti principi di autosufficienza e prossimità non alternativi alla disposizione di cui al suddetto articolo 35, bensì integrativi, e che gli stessi principi obbligano alla programmazione e realizzazione di un sistema e di una rete di trattamento dei rifiuti che assicuri la massima vicinanza possibile tra luogo di ricezione del rifiuto e luogo di produzione, ed al conferimento e trattamento dei rifiuti con priorità negli impianti locali. Nelle more dell'attuazione della rete e del suo funzionamento ottimale, il principio di efficienza comporta che «gli aspetti territoriali e l'opportunità tecnico economica di raggiungere livelli ottimali di utenza servita» potranno giustificare il conferimento in ambito extraregionale alle condizioni ed ai limiti che sono specificati dall'attuazione dell'articolo 35 del decreto-legge n. 133 del 2015.
  Peraltro, dalla citata sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio, è emerso altresì che il bando di gara emesso da AMA Roma s.p.a. rappresenta principalmente un'indagine atta a promuovere l'eventuale successiva conclusione di un accordo quadro con più operatori economici del settore dei servizi di carico, trasporto e trattamento in impianti di recupero energetico e che per questa ragione la stessa non risulta impegnativa e vincolante per l'AMA s.p.a. ed il suo eventuale perfezionamento non può comunque prescindere sia dall'acquisizione delle necessarie autorizzazioni al trasporto transfrontaliero dei rifiuti che rimangono in capo alla regione, sia dall'eventuale possibile interferenza con la procedura di infrazione 2011/4021 ex articolo 258 Tfue — causa C — 323/13, che ha interessato la regione Lazio con riferimento alla gestione dei rifiuti in conformità alla direttiva 1999/31/CE sulle discariche dei rifiuti.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZACCAGNINI, COSTANTINO, DANIELE FARINA, DURANTI e RICCIATTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 24 febbraio 2015, la DIGOS, l'Interpol e la polizia spagnola hanno arrestato a Roma Carlos Garcia Preciado, cittadino spagnolo che è stato accusato, in Spagna, di aver lanciato una bomba molotov contro la sede di una banca, nella notte del 6 agosto 1997 e di appartenere alla organizzazione terroristica ETA;
   l'ordigno lanciato nel 1997 ha colpito tubature di gas che, esplodendo, hanno provocato un incendio all'interno del palazzo; fortunatamente vi sono stati solo danni materiali e nessuno è stato ferito;
   nel 2000 Carlos Garda Preciado è stato riconosciuto colpevole e condannato a 16 anni di reclusione dalla terza sezione penale del tribunale di Madrid;
   il signor Preciado ha sempre professato la sua innocenza;
   numerosi aspetti del processo sollevano dubbi, come la dichiarazione della testimone-chiave del processo, la quale, successivamente, ha rinnegato la sua testimonianza e addirittura ha smesso di essere presente nella fase conclusiva del giudizio di primo grado;
   pur ammettendo la correttezza del giudizio di colpevolezza, peraltro, l'entità della pena per il fatto descritto appare all'interrogante decisamente sproporzionata;
   al momento del suo arresto in Italia, il signor Preciado è stato detenuto nel carcere romano di Rebibbia e, sebbene si trovasse in condizione di isolamento, durante i colloqui settimanali ha avuto modo di incontrare la moglie e il figlio di sette anni, suoi conviventi prima dell'arresto a Roma;
   il 20 ottobre 2015, il signor Preciado è stato trasferito, senza alcun preavviso, nel carcere di Rossano in Calabria e, questo, nonostante il 25 novembre 2015 sia fissata l'udienza in Cassazione per l'estradizione –:
   quali siano le ragioni che hanno indotto ad adottare il provvedimento di trasferimento nei confronti del signor Preciado;
   anche in considerazione del fatto che l'udienza in Cassazione è imminente, come si concili il trasferimento del signor Preciado con il diritto del figlio minore a poter avere colloqui con lui;
   se, in generale, nel caso del signor Preciado, i diritti ad un trattamento equo e rispettoso delle norme del diritto internazionale siano stati effettivamente e pienamente tutelati. (4-11146)

  Risposta. — Con l'atto ispettivo in esame interrogante, dopo aver ripercorso le vicende giudiziarie di Carlo Garcia Preciado – il cittadino spagnolo condannato a 16 anni di reclusione perché riconosciuto colpevole dal tribunale di Madrid di aver preso parte all'associazione terroristica ETA e di aver lanciato una bomba molotov presso la sede di una banca il 6 agosto 1997 – ed aver espresso perplessità sull'entità della pena irrogata ed anche sulla intrinseca coerenza del materiale probatorio posto a fondamento della condanna, pone alcuni quesiti in ordine al procedimento di estradizione avviato a seguito della sua cattura in Italia. L'interrogante, più in particolare, chiede di ricevere rassicurazioni sul rispetto delle norme di diritto internazionale, nonché di conoscere la ragione del trasferimento del signor Preciado dal carcere di Roma-Rebibbia a quello di Rossano in Calabria, per le difficoltà che la stessa determina nel mantenimento dei contatti del detenuto con il figlio minore.
  Appare opportuno preliminarmente rilevare che il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha riferito di aver provveduto al trasferimento dell'estradando dal carcere di Roma – Rebibbia a quello di Rossano per ragioni riconducibili al titolo di reato di cui il signor Preciado era chiamato a rispondere. I reati in materia di terrorismo internazionale, comportano, infatti, l'inserimento dei detenuti nel circuito penitenziario «Alta Sicurezza», nel quale i detenuti sono tenuti separati dai ristretti per reati comuni, ed anche dagli appartenenti ad altre forme di criminalità organizzata.
  Il Preciado è stato, per tale ragione, assegnato, dal 20 ottobre 2015 alla casa di reclusione di Rossano (Catanzaro), l'istituto nel quale è attivata una sezione detentiva destinata ai soggetti responsabili di terrorismo internazionale e/o islamico.
  L'assegnazione è stata disposta in via provvisoria, in attesa della definizione del procedimento di estradizione. Si evidenzia, in ogni caso, che anche presso il carcere di Rossano, al signor Preciado è stato garantito il diritto ad intrattenere colloqui con la moglie e con il figlio minore (nelle date del 13 novembre, del 29 dicembre 2015, e con la sola moglie il 15 gennaio 2016), con una frequenza mensile analoga a quella avvenuta durante la sua precedente permanenza presso la casa circondariale di Roma Rebibbia.
  Deve però sottolinearsi che la vicenda riguardante Carlo Garcia Preciado ha visto la sua conclusione il 27 gennaio 2016, quando il Ministero della giustizia e la Corte d'appello di Roma, competente a pronunciarsi sulla richiesta di estradizione, hanno ricevuto il provvedimento di revoca delle ricerche emesso dall'Audiencia Nacional del Regno di Spagna, in conseguenza della sentenza di assoluzione pronunciata nei suoi dal tribunale supremo di Madrid.
  Il 28 gennaio 2016, conseguentemente, la Procura generale presso la Corte di Cassazione ha disposto l'immediata scarcerazione del signor Preciado e, il successivo 3 marzo, il Ministero, nel constatare il venir meno delle condizioni previste per l'estradizione, ha dichiarato di non doversi procedere alla stessa.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   «Terrevive» è il decreto con cui il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali – di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze – ha dato il via alla vendita e all'affitto di circa 5.500 ettari di terreni, destinandoli innanzitutto agli agricoltori under 40;
   con questa iniziativa, si intende far «rivivere» i terreni statali adatti alla coltivazione, trasformandoli in un'occasione di lavoro per le nuove generazioni. Con Terrevive, infatti, i giovani imprenditori agricoli hanno diritto di prelazione nell'acquisto o nell'affitto di terreni pubblici, che possono così essere riportati alla produzione agricola;
   il decreto riguarda: 2.480 ettari di terreni appartenenti al demanio dello Stato 2.148 ettari di terre in uso al Corpo forestale dello Stato 882 ettari di terreni di proprietà del Centro per la ricerca e la sperimentazione in agricoltura (C.R.A.). Una quota minima del 20 per cento di questi terreni è riservata all'affitto, anche in questo caso con preferenza all'imprenditoria giovanile agricola e con una durata della locazione non inferiore ai 15 anni. Ai terreni venduti o affittati non può essere attribuita una destinazione urbanistica diversa da quella agricola, prima di 20 anni dalla trascrizione dei relativi contratti nei pubblici registri immobiliari. Nel caso di terreni occupati, invece, il diritto di prelazione è riconosciuto prioritariamente ai conduttori;
   nell'ambito di Terrevive, l'Agenzia del demanio effettua una stima dei terreni agricoli inclusi nel decreto, individua i lotti che andranno all'asta e li propone sul mercato, mediante le procedure di vendita e locazione;
   nel caso di terreni di valore pari o superiore ai 100.000 euro, la vendita si svolge tramite il tradizionale avviso d'asta pubblica. Le vendite sono consultabili sul sito del demanio nella sezione dedicata alla vendita beni immobili. I lotti verranno aggiudicati all'offerta più alta rispetto al prezzo di base d'asta. Per i terreni liberi, sarà riconosciuto il diritto di prelazione ai giovani imprenditori agricoli; per i terreni occupati, il diritto di prelazione verrà riconosciuto prioritariamente agli occupanti che già li lavorano;
   per i terreni di valore inferiore ai 100.000 euro, la vendita si svolge attraverso una procedura negoziata, tramite la pubblicazione dell'elenco dei terreni per 90 giorni nella vetrina immobiliare che sarà disponibile su questo sito. Trascorso questo primo termine, entro i successivi 45 giorni si svolge la fase di asta telematica a rialzo. I lotti vengono aggiudicati al miglior offerente. Anche in questo caso, per i terreni liberi varrà il diritto di prelazione per gli agricoltori under 40; per i terreni occupati è invece data priorità ai conduttori –:
   se s'intendano fornire dati e aggiornamenti completi ed esaustivi in merito ai terreni demaniali messi in vendita (ettari, tipologia di terreni, introiti economici ricavati), anche con particolare riferimento al rispetto della quota del 20 per cento dei terreni posti in locazione per i giovani e al numero di imprese giovanili agricole che hanno aderito al progetto di cui in premessa. (4-12952)

  Risposta. — Con riguardo all'interrogazione in esame faccio presente che, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali lavora ogni giorno con l'obiettivo prioritario di favorire il ricambio generazionale, garantendo ai giovani più credito e più accesso alla terra. Come noto, con il decreto interministeriale del 20 maggio 2014 di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze abbiamo definito dopo anni di attesa la disciplina relativa ai terreni demaniali messi in vendita nell'ambito del progetto denominato «Terrevive» ai sensi dell'articolo 66, del decreto-legge n. 1 del 24 gennaio 2012, convertito, con modificazioni, in legge 24 marzo 2012, n. 27.
  Con la citata norma sono stati individuati i terreni agricoli o a vocazione agricola di proprietà dello Stato nonché di proprietà di enti pubblici nazionali, da locare o alienare a cura dell'agenzia del demanio.
  Sulla base degli elenchi dei terreni agricoli inseriti nel citato decreto, detta agenzia ha quindi proceduto ad avviare, a decorrere dal mese di ottobre 2014, le procedure di vendita/locazione.
  Relativamente ai dati richiesti e resi pubblici anche sul sito dell'agenzia del demanio nella sezione «Terrevive» preciso che, al 31 dicembre 2015, su circa 1500 beni individuati nel predetto decreto (alcuni dei quali sono stati aggregati in più lotti) la situazione è la seguente:
   70 sono stati aggregati in 19 lotti di valore superiore a 100.000 euro ciascuno e messi a bando. Sono stati aggiudicati 7 lotti (corrispondenti a 58 beni) per un valore complessivo di circa 1.130.000 euro;
   285 di valore inferiore a 100.000 euro sono stati messi in vendita con procedure in modalità telematica e ne sono stati aggiudicati 68 per un valore pari a circa 270.000 euro;
   37 sono stati oggetto di avviso di locazione in modalità telematica e ne sono stati aggiudicati 15;
   22 prima inclusi in aste di vendita andate deserte sono stati proposti in locazione, e ne sono stati aggiudicati 15.

  Preciso infine che il diritto di prelazione dei giovani imprenditori è stato sempre rispettato nell'ambito delle procedure e ha portato all'aggiudicazione di molti lotti da parte di under 40.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   ZARATTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno crescente e quanto mai preoccupante dell'interruzione del servizio pubblico dell'acqua nelle nostre città e comunità ai danni delle famiglie e delle fasce sociali più deboli che risultano morose, oltre a rappresentare una grave violazione del diritto umanitario, costituisce non solo una semplice privazione di un bene essenziale, ma anche una vera e propria umiliazione;
   l'interruzione della fornitura di acqua potabile, così come anche dichiarato dall'Istituto superiore di sanità, mette a repentaglio la salute individuale e collettiva, colpendo in particolare nuclei familiari senza reddito, lavoratori in mobilità, malati, bambini, anziani soli, emarginati;
   le sospensioni del flusso idrico agli utenti morosi, senza un pronunciamento da parte della competente autorità giudiziaria appare di dubbia legittimità, stante il pronunciamento da parte del tribunale di Latina, I Sez. Civ. in ordine a fattispecie analoghe, sentenza del 31 ottobre 2006, che stabilisce come la clausola che prevede in favore del gestore del SII la possibilità di sospendere la fornitura, quando non siano pagate le fatture, considerata peraltro l'essenzialità del bene oggetto del contratto, appare vessatoria anche in considerazione di bisogni primari che la somministrazione è destinata a soddisfare;
   l'interruzione dell'erogazione del servizio idrico è pratica ormai diffusa anche nei comuni ricadenti negli ambiti territoriali ottimali della regione Lazio colpiti dal cosiddetto «problema arsenico»;
   con l'entrata in vigore del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, che recepisce la direttiva 98/83/CE del Consiglio del 3 novembre 1998 sulla potabilità delle acque, dal primo gennaio 2013 ottantasei comuni della regione Lazio, in particolare cinquantaquattro della provincia di Viterbo, ventitré della provincia di Roma e nove della provincia di Latina, sono precipitati nell'emergenza idrica, determinata dalla presenza nelle acque destinate al consumo umano di concentrazioni di arsenico e fluoruri superiori ai parametri fissati dalla legge;
   il decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, all'articolo 10 stabilisce che nel caso in cui le acque destinate al consumo umano non corrispondano ai valori di parametro, l'azienda sanitaria locale interessata comunica al gestore del servizio idrico l'avvenuto superamento, proponendo al sindaco, effettuate le valutazioni del caso, l'adozione di eventuali provvedimenti cautelativi a tutela della salute pubblica, tenuto conto dell'entità del superamento dei parametri e dei potenziali rischi per la salute umana, soprattutto di quelli che potrebbero derivare da una interruzione dell'approvvigionamento o da una limitazione di uso delle acque erogate;
   l'Istituto superiore di sanità ha diffuso un'informativa sui provvedimenti di limitazioni dell'uso di acque destinate al consumo umano con contenuti di arsenico e fluoro non conformi ai requisiti del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, nei territori interessati da deroghe successive alla scadenza dei provvedimenti di deroga (31 dicembre 2012) [nota elaborata sulla base del documento del Ministero della salute DGPRE 0027954-P-20/12/2012, che recepisce il parere del Consiglio superiore di sanità, emesso nella seduta del 19 dicembre 2012, dove viene condiviso con alcune modifiche e integrazioni il parere dell'Istituto superiore di sanità del 18 dicembre 2012 in risposta al quesito posto dalla Regione Lazio – Direzione regionale ambiente con note prot. 496461 del 15 novembre 2012 e prot. 538341 del 10 dicembre 2012];
   i sindaci dei comuni della regione Lazio interessati dall'emergenza idrica sono stati peraltro oggetto di verbali di accertamento emessi dallo stesso ente regionale che li condannano ad una sanzione amministrativa per violazione dell'articolo 19, comma 1, del decreto legislativo 2 febbraio 2001, n. 31, che recita: «Chiunque fornisce acqua destinata al consumo umano, in violazione delle disposizioni di cui all'articolo 4, comma 2, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire venti milioni a lire centoventi milioni», quando l'Istituto superiore di sanità, fornendo indicazioni e raccomandazioni stringenti in merito alle limitazioni d'uso, non fa riferimento alcuno alla chiusura degli acquedotti, in quanto una interruzione del servizio idrico causerebbe maggiori danni, come, ad esempio, la diffusione di epidemie;
   a fronte dell'erogazione di acqua non potabile per la presenza di arsenico e fluoruri, i gestori pretendono il pagamento di un disservizio e, nei casi di morosità, procedono con il distacco dell'utenza spesso senza un pronunciamento da parte della competente autorità giudiziaria –:
   nel pieno rispetto degli articoli 2 e 32 della Costituzione e alla luce delle problematiche sopra esposte di carattere sanitario, ambientale e sociale, quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati nell'ambito delle proprie competenze, per garantire ai cittadini la fornitura del flusso minimo vitale garantito su base universale, per la fruizione di un servizio giudicato essenziale per la sussistenza come quello idrico e quali iniziative, se del caso normative, vogliano adottare per evitare l'interruzione della erogazione dell'acqua potabile nei casi di morosità, perlopiù incolpevole, dovuta alla grave crisi economica e, di conseguenza, alla riduzione del reddito o alla mancanza di lavoro, condizione, quest'ultima, che nel nostro Paese stanno vivendo numerosi cittadini e nuclei familiari. (4-06526)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Relativamente alla tutela delle fasce di popolazione in situazione di disagio economico, si segnala che esistono già alcune forme di tutela per le utenze deboli sebbene non siano generalmente uniformi sul territorio nazionale. Allo scopo di armonizzarne la disciplina, nella legge 28 dicembre 2015 n. 221 (cosiddetto «collegato ambientale») questo Ministero ha provveduto ad inserire una disposizione (articolo 60) che «assicuri agli utenti domestici del servizio idrico integrato in condizioni economico-sociali disagiate accesso, a condizioni agevolate, alla fornitura della quantità di acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni fondamentali».
  L'attuazione della norma è rimessa all'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il sistema idrico (Aeegsi), sentiti gli enti di governo d'ambito nelle loro forme rappresentative, sulla base dei principi e dei criteri individuati con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e con il Ministro dell'economia e delle finanze.

  Pur nelle more dell'attuazione della citata norma, l'Aeegsi, nell'ambito delle funzioni ad essa attribuite dalla legge, ha adottato una serie di iniziative regolamentari che garantiscono la fruibilità del servizio proprio alle utenze con documentato disagio economico e alle utenze cosiddette non disalimentabili.
  In particolare, l'Aeegsi con la deliberazione 87/2013/R/IDR del 28 febbraio 2013 ha dato «avvio al procedimento per la definizione delle condizioni contrattuali obbligatorie inerenti la regolazione della morosità degli utenti finali del servizio idrico integrato e disposizioni urgenti in materia di utente non disalimentabili». Quest'ultime sono definite, nella medesima delibera 87/2013/R/IDR citata, come quelle utenze che svolgono attività di servizio pubblico, tra cui ospedali, case di cura e di riposo, carceri e scuole, centri operativi in cui sono presenti degenti, alle quali deve essere garantito un minimo vitale di risorsa.
  Inoltre, l'Aeegsi con la deliberazione 8/2015/R/IDR del 15 gennaio 2015 di «avvio di procedimento per la definizione dei criteri di articolazione tariffaria applicata agli utenti dei servizi idrici» ha dato avvio al procedimento per la messa a punto della disciplina di tutela delle fasce economiche disagiate.
  Oltre a ciò, come riscontrabile nel documento per la consultazione «Sistemi di perequazione nel servizio idrico integrato — Inquadramento generate e linee di intervento» n. 230/2015/R/IDR del 14 maggio 2015, «l'Autorità è orientata a prevedere che tramite le misure programmate di perequazione e previa motivata istanza dei soggetti interessati nelle more della definizione di idonee frontiere di efficienza operativa per la determinazione dei costi riconosciuti prospettata nel procedimento avviato con deliberazione 374/2014/R/IDR, possano essere perseguite le seguenti finalità:
   tutelare gli utenti, con particolare attenzione alle fasce più deboli. A tale scopo, potrebbe, a titolo esemplificativo, essere richiesto un sostegno per:
    introdurre una fascia di consumi (la cui soglia massima sia almeno pari a quella che l'Autorità stabilirà a livello nazionale nell'ambito del procedimento 8/2015/R/IDR, avviato per la definizione dei criteri di articolazione tariffaria) alla quale applicare un corrispettivo agevolato;
    assicurare la fornitura alle utenze non disalimentabili – definite, ai sensi della deliberazione 87/2013/R/IDR, come quelle che svolgono attività di servizio pubblico, tra cui ospedali, case di cura e di riposo, carceri e scuole, centri operativi in cui sono presenti degenti – alle quali deve essere garantito un minimo vitale di risorsa».

  In merito ai sistemi di perequazione, come desumibile dal citato documento n. 230/2015/R/IDR dell'Aeegsi, la Presidenza del Consiglio dei ministri, nell'esercizio della propria funzione di coordinamento e indirizzo, ha trasmesso un proprio atto di indirizzo, nel quale ha in primo luogo evidenziato l'opportunità, «ferma restando la piena autonomia di giudizio e valutazione» dell'autorità, di «realizzare sistemi solidaristici di perequazione e anticipazione di importi a valere sulle tariffe del servizio idrico integrato anche su scala nazionale», ritenendo che la misura in discorso «sia da destinare all'introduzione di una perequazione solidaristica tra i diversi ambiti territoriali ottimali presenti nelle diverse regioni, al fine ultimo di tutelare gli utenti, con particolare attenzione alle fasce più deboli, consentire la realizzazione degli investimenti di cui il comparto ha assoluto bisogno e far fronte alle urgenti criticità finanziarie e di garanzia dell'equilibrio economico finanziario di gestioni in forte difficoltà, specialmente se esposte al rischio del fallimento, evenienza quest'ultima che finirebbe per generare ulteriori e maggiori costi a carico delle finanze pubbliche», formulando, altresì, all'autorità l'indirizzo di «individuare le soluzioni tecniche più idonee».
  In merito al problema arsenico e alla deroga ai parametri di potabilità, questo Ministero, in sede di Consiglio superiore di sanità, verifica che le regioni o le province autonome diano garanzia che l'esercizio della deroga e gli interventi eventualmente necessari al ripristino della qualità della risorsa non abbiano ripercussioni di tipo ambientale, nonché le misure adottate dai medesimi enti, nel caso in cui le non conformità siano riconducibili ad inquinamento antropico. Ad ogni modo, si segnala che, come deducibile dall'istruttoria conoscitiva in merito all'erogazione del servizio acquedotto nei comuni interessati da limitazioni d'uso di acque destinate al consumo umano condotta dall'Aeegsi, e conclusasi con il documento n. 199/2014/E/IDR del 30 aprile 2014, laddove la gestione del servizio idrico è affidata ad un gestore unico sono state messe in atto, nella fase emergenziale, tutte le misure alternative di fornitura e, in molti comuni, conclusi interventi anche di tipo infrastrutturale (impianti di dearsenificazione o, ove possibile, approvvigionamento da altre fonti) per il superamento delle criticità riscontrate.
  Alla luce delle in formazioni esposte, per quanto di competenza, questo dicastero continuerà a svolgere un'attività di monitoraggio, nonché a tenersi informato anche attraverso gli altri enti, istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   ZOLEZZI, DAGA, MANNINO, TERZONI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 238 comma 2, del decreto legislativo 152 del 2006 stabilisce che la tariffa per la gestione dei rifiuti è commisurata alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie, in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte, sulla base di parametri, determinati con il regolamento di cui al comma 6, che tengano anche conto di indici reddituali articolati per fasce di utenza e territoriali;
   non risulta agli interroganti l'emanazione del regolamento di cui al comma 6 del predetto articolo;
   il decreto del Presidente della Repubblica 158 del 1999 ha dettato le norme per la elaborazione del metodo normalizzato per definire la tariffa del servizio di gestione del ciclo dei rifiuti urbani. Esso rappresenta l'insieme dei criteri e delle condizioni che devono essere rispettati per la determinazione della tariffa da parte degli enti locali. La tariffa di riferimento a regime deve coprire tutti i costi afferenti al servizio di gestione dei rifiuti urbani e deve rispettare la formula di cui al punto 1 dell'allegato 1 al decreto, che – semplificando – prevede la copertura della somma dei costi di gestione del ciclo dei servizi attinenti i rifiuti solidi urbani dell'anno precedente e dei costi comuni imputabili alle attività relative ai rifiuti urbani dell'anno precedente (opportunamente corretta con un fattore che tiene conto dell'inflazione programmata per l'anno di riferimento e del recupero di produttività nel medesimo anno) nonché dei costi d'uso del capitale relativi all'anno di riferimento. L'articolo 3 del citato decreto del Presidente della Repubblica dispone che, sulla base della tariffa di riferimento, gli enti locali individuano il costo complessivo e determinano la tariffa, anche in relazione al piano finanziario degli interventi relativi al servizio e tenuto conto degli obiettivi di miglioramento della produttività e della qualità del servizio fornito e del tasso di inflazione programmato. Il decreto del Presidente della Repubblica 158 del 1999 non fissa, quindi, solo un metodo per la determinazione della qualità e quantità di rifiuti solidi urbani prodotti per categorie di utenza, ma persegue anche lo scopo di stabilire il metodo sulle base del quale gli enti locali devono calcolare la tariffa stessa per classi di utenza. Riprendendo le disposizioni del comma 4 dell'articolo 49 del decreto legislativo 22 del 1997 (ora abrogato), il decreto del Presidente della Repubblica ribadisce che la tariffa è composta da una quota determinata in relazione alle componenti essenziali del costo del servizio, riferite in particolare agli investimenti per le opere e dai relativi ammortamenti (parte fissa), e da una quota rapportata alle quantità di rifiuti conferiti, al servizio fornito, e all'entità dei costi di gestione (parte variabile);
   il predetto decreto, nell'allegato I, istituisce il coefficiente di adattamento del nucleo familiare per superficie e numero di componenti del nucleo familiare (Ka), attraverso il quale viene presunta la quantità di rifiuti in relazione alla superficie dell'immobile e al numero di abitanti e il coefficiente proporzionale di produttività per le utenze domestiche e non domestiche (Kb), mediante il quale si calcolano le quantità di rifiuti teoricamente producibili da ogni utenza domestica e non domestica;
   i coefficienti Ka e Kb non tengono conto delle abitudini di consumo individuali, né della quantità di rifiuti effettivamente prodotta da ogni singola utenza, di conseguenza non è possibile utilizzarli per determinare una tariffa equa, ovvero commisurata alla quantità di rifiuti prodotti in base al principio «chi inquina, paga»;
   in alternativa ai criteri previsti dal metodo normalizzato, il comune, nel rispetto del principio «chi inquina paga», può commisurare la tariffa alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie in relazione agli usi e alla tipologia di attività svolte. Le tariffe per ogni categoria o sottocategoria omogenea sono determinate dal comune moltiplicando il costo del servizio per unità di superficie imponibile accertata, previsto per l'anno successivo, per uno o più coefficienti di produttività quantitativa e qualitativa di rifiuti. Tale disciplina conferma la facoltà già prevista dall'articolo 5, comma 1, del decreto-legge n. 102 del 2013 di commisurare le tariffe della Tares, alternativamente al metodo normalizzato di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 158 del 1999, alle quantità e qualità medie ordinarie di rifiuti prodotti per unità di superficie. In base a quest'ultima norma, quindi, viene confermati la modalità di commisurazione della TARI basata su un criterio medio-ordinario e non sull'effettiva quantità di rifiuti prodotti;
   nella delibera d'ambito dell'ATERSIR (Agenzia territoriale dell'Emilia Romagna per il servizio idrico e i rifiuti) n. 2013/31 del 26 novembre 2013 si afferma la necessità di inserire il criterio quantitativo per l'assimilazione ai rifiuti urbani dei rifiuti prodotti dalle utenze non domestiche per le quali sono attivati servizi dedicati di igiene ambientale nel regolamento di gestione dei rifiuti urbani vigente e di competenza di ATERSIR al fine di evitare che tali utenze conferiscano rifiuti al pubblico servizio quantitativi di rifiuti eccedenti i coefficienti di produttività specifica in base ai quali sono calcolati i piani economico finanziari del servizio di gestione dei rifiuti urbani, e si promuovono campagne di monitoraggio sulla produzione effettiva dei rifiuti, con pesature a livello zonale e/o puntuali per tipologia di materiale, al fine di verificare se la reale produzione annua di rifiuti è correttamente stimata dai coefficienti di produzione potenziale definiti nel decreto del Presidente della Repubblica 158 del 1999 per le varie categorie di produttori non domestici;
   l'Italia è rimasto l'unico paese della Comunità Europea a calcolare la produzione di rifiuti in base ai metri quadri dell'abitazione –:
   a quale punto sia l’iter di approvazione del regolamento di cui al comma 6 dell'articolo 238 del decreto legislativo 152 del 2006;
   se non ritenga opportuno promuovere interventi normativi volti alla revisione del decreto del Presidente della Repubblica 158 del 1999 al fine di ricondurre la tariffazione dei rifiuti solidi urbani alla quantità effettivamente prodotta da ciascuna utenza, eliminando la necessità di coefficienti di conversione e calcoli presuntivi; (4-10104)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla tariffazione dei rifiuti urbani e alle pertinenti attività del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, si rappresenta quanto segue.
  Questo dicastero ha tra le sue priorità l'emanazione del regolamento attuativo previsto dall'articolo 1, comma 667, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014), nel quale «sono stabiliti criteri per la realizzazione da parte dei comuni di sistemi di misurazione puntuale della quantità di rifiuti conferiti al servizio pubblico o di sistemi di gestione caratterizzati dall'utilizzo di correttivi ai criteri di ripartizione del costo del servizio, finalizzati ad attuare un effettivo modello di tariffa commisurata al servizio reso a copertura integrale dei costi relativi al servizio di gestione dei rifiuti urbani e dei rifiuti assimilati, svolto nelle forme ammesse dal diritto dell'Unione europea» e, successivamente, del regolamento previsto dall'articolo 238, comma 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, che deve contenere «i criteri generali sulla base dei quali vengono definite le componenti dei costi e viene determinata la tariffa, anche con riferimento alle agevolazioni di cui al comma 7, garantendo comunque l'assenza di oneri per le autorità interessate».
  L'articolo 42 della legge n. 221 del 28 dicembre 2015 ha modificato il citato comma 667 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2014, prevedendo un anno dall'entrata in vigore della legge n. 221 del 2015 quale termine di adozione del primo regolamento sopra citato.

  L'emanazione dei due regolamenti in parola potrà garantire l'attuazione del principio «chi inquina paga» e l'adozione di una metodologia più equa di determinazione della tariffa legata alle quantità di rifiuti effettivamente prodotte da ciascuna utenza.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.