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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 25 maggio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione all'articolo 3, secondo comma, sancisce che: «la Repubblica ha il compito di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese»; questo è il principio cardine da cui nasce il diritto allo studio; mentre all'articolo 34, la Carta prevede che: «i capaci e meritevoli, anche se privi di mezzi, hanno diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi. La Repubblica rende effettivo questo diritto con borse di studio, assegni alle famiglie ed altre provvidenze, che devono essere attribuite per concorso»;
    per quanto attiene all'organizzazione necessaria a rendere effettivi i diritti suddetti, la Costituzione statuisce, all'articolo 117, secondo comma, lettera m), che è competenza dello Stato stabilire i livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Alle regioni spetta in via esclusiva la potestà legislativa in materia;
    il finanziamento per il diritto allo studio universitario, a livello nazionale, copre poco più dei 70 per cento delle richieste effettive, con una continua tendenza al ribasso, con forti disparità tra le regioni del Paese;
    in Italia solo il 34 per cento dei giovani, contro una media Ocse del 50 per cento, consegue la laurea; secondo quanto emerge dai dati raccolti dal Censis, le università italiane stanno perdendo sempre più immatricolati, 78.000 in meno negli ultimi dieci anni, trend che continua ad allontanare l'Italia dalla possibilità di raggiungere il 40 per cento di laureati entro il 2020 come stabilito a livello europeo;
    le cause di tale calo di immatricolazione sono molteplici: il restringimento dei canali di accesso all'università, il numero programmato dei corsi di laurea, programmi di studio troppo antiquati e carenza di adeguati finanziamenti regionali;
    allarmante è non soltanto l'emorragia dei giovani studenti universitari, ma anche la fuga di coloro che hanno già conseguito una laurea a riprova che, sempre più spesso, chi possiede qualità e titoli sceglie di massimizzarli puntando dove maggiori sono le opportunità economiche e d'impiego. Il trasferimento degli studenti italiani post-laureati, peraltro, rappresenta una perdita non soltanto in termini di risorse umane ma anche in termini economici, il cui costo è stato stimato in 23 miliardi di euro,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per prevedere un impegno sempre maggiore di risorse, attraverso il costante aumento dell'investimento di quote di prodotto interno lordo nel comparto universitario, per portarlo al livello degli altri Paesi dell'Ocse, al fine di migliorare la situazione attuale che accresce il divario tra i ceti sociali ed economici, in netto contrasto con il dettato costituzionale.
(1-01289) «Borghesi, Allasia, Attaguile, Bossi, Busin, Caparini, Castiello, Fedriga, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    le sindromi dementigene e in particolare la malattia di Alzheimer, la più frequente e diffusa tra tutte le forme di demenza, sono caratterizzate da un progressivo deterioramento cognitivo che conduce in pochi anni al complessivo declino delle funzioni fondamentali dell'individuo: memoria, pensiero, ragionamento, linguaggio, orientamento spazio/tempo, personalità, controllo comportamentale ed emozionale;
    la ricerca scientifica non ha sino ad oggi individuato l'eziopatogenesi della maggior parte delle demenze degenerative, né trattamenti che ne consentano la guarigione; le moderne terapie farmacologiche si limitano infatti a benefici sintomatici e ad un rallentamento della velocità di progressione;
    numerosi sono i fattori di rischio (età, sesso, alimentazione, stili di vita, co-morbilità, genetica, traumi cranici, sindrome di Down) e i percorsi fisiologici (infiammazione, insulino-resistenza, cascata amiloide, proteina tau) che concorrono alla comparsa del quadro sintomatologico e neuropatologico della demenza di Alzheimer ed è probabile che un intervento farmacologico precocissimo abbinato al contemporaneo intervento su multipli fattori di rischio possa dimostrarsi efficace per posticipare l'età di insorgenza della patologia o – quanto meno – per rallentarne significativamente l'evolutività, aprendo nuove prospettive sulla sua gestione;
    poiché la malattia di Alzheimer e le altre sindromi dementigene sono «patologie età correlate», la rapida trasformazione demografica in corso in Europa e, in particolare, nel nostro Paese, caratterizzata dal progressivo aumento delle fasce di età più avanzate, è alla base della drammatica esplosione dei numeri correlati alla incidenza e alla prevalenza della malattia;
    su una popolazione globale di oltre 7,5 miliardi, attualmente vivono 900 milioni di persone over 60 che, entro il 2050, cresceranno del 56 per cento nei Paesi ad alto reddito, con un ritmo di circa 3-4 mesi l'anno. L'Organizzazione mondiale della sanità (OMS) e l’Alzheimer's Disease International (ADI) hanno esortato i Governi nazionali a considerare la malattia di Alzheimer come «priorità mondiale di salute pubblica», invitandoli ad affrontarne l'impatto come una «minaccia crescente per la salute globale» (rapporto dell'Organizzazione mondiale della sanità, ADI, Ginevra 11 aprile 2012; OCSE, Health at a Glance 2015);
    con 82,4 anni di media, l'aspettativa di vita in Italia risulta al quarto posto tra i 34 paesi più avanzati e al secondo nell'Unione europea; sebbene, per la prima volta negli ultimi 10 anni, essa sia arretrata di 0,2 punti (dal 2014 al 2015 è passata da 80,3 a 80,1 per gli uomini e da 85 a 84,7 anni per le donne). Presentano una maggiore longevità rispetto all'Italia solo la popolazione del Giappone con 83,4 anni, della Spagna con 83,2 anni e della Svizzera con 82,9 anni (Istat, Report Indicatori Demografici del 19 febbraio 2016);
    l'incidenza della demenza cresce esponenzialmente con l'avanzare dell'età e raddoppia progressivamente ogni 6,3 anni, passando da 3,9 casi all'anno ogni 1000 persone con età tra i 60 e i 64 anni, a 104,8 casi all'anno ogni 1000 persone dai 90 anni in su (ADI, World Alzheimer Report 2015 – The Global Impact of Dementia);
    gli individui che nel mondo convivono con una forma di demenza sono 46,8 milioni, cifra destinata quasi a raddoppiare ogni 20 anni, raggiungendo 74,7 milioni di persone nel 2013 e 131,5 milioni nel 2050. Su scala mondiale, si registrano oltre 9,9 milioni di nuovi casi all'anno (un nuovo caso ogni 3,2 secondi), di cui il 25 per cento del totale (pari a 2,5 milioni) solo in Europa, area dove la prevalenza della demenza nella popolazione over 60 è del 4,6 per cento (ADI 2015, World Alzheimer Report 2015);
    tra il 1o gennaio 2015 e il 1o gennaio 2016 gli over 65 residenti in Italia sono passati da 13,2 a 13,4 milioni in termini assoluti (dal 21,7 per cento al 22 per cento in termini relativi). Scende invece a 39 milioni la popolazione in età attiva (15-64 anni) che oggi rappresenta il 64,3 per cento del totale, contro il 64,5 per cento. Decresce anche dello 0,1 (dal 13,8 al 13,7) anche la quota di giovani fino a 14 anni di età rispetto al totale della popolazione, in parte frutto della comparsa sulla scena della «piramide per età» della più piccola generazione di neonati che si sia mai rilevata nella storia nazionale (OCSE, Health at a Glance 2015);
    al 1o gennaio 2016 l'età media nazionale è di 44,6 anni; l'indice di dipendenza medio degli anziani – dato dal rapporto percentuale tra la popolazione over 65 anni e la popolazione in età attiva (15-64 anni) – è del 34,2; l'indice di vecchiaia – dato dal rapporto percentuale tra la popolazione over 65 anni e la popolazione under 14 anni – è di 161,1;
    molto variegata è la distribuzione geografica dell'invecchiamento. La Liguria si conferma la regione con l'età media più alta (48,5 anni) e con la più alta presenza di individui over 65 anni (28,2 per cento contro il 22 per cento della media nazionale). A forte invecchiamento sono anche il Friuli-Venezia Giulia (46,9 anni di età media con un 25,4 per cento di ultra 65enni) e la Toscana (46,5 e 24,9 per cento). In Campania si registra l'età media più bassa (41,7 anni) e la quota di over 65enni è pari al 17,9 per cento. Un caso a parte è rappresentato dalle Isole che fotografano una situazione significativamente diversa tra le realtà della Sardegna e della Sicilia con il 22,1 per cento di ultrasessantacinquenni sardi (contro il 20,2 per cento siciliani), una media di 45,7 anni dei sardi (contro i 43,1); un indice di dipendenza degli anziani del 33,4 per cento (contro il 30,8 per cento); un indice di vecchiaia del 187,7 per cento (contro il 141 per cento) (Report Istat, Indicatori demografici 2016);
    alla luce dell'attuale andamento demografico e del conseguente invecchiamento della popolazione italiana, si comprende come l'insieme delle sindromi dementigene rappresenti un fenomeno destinato ad esplodere, tanto da essere considerato una sorta di «incombente epidemia». Secondo le stime Istat, infatti, in Italia le persone affette da malattia di Alzheimer o da altre forme di demenza sono circa 600 mila: il 9,3 per mille della popolazione totale, quasi il doppio rispetto al 4,8 per mille del 2005 con un'incidenza maggiore tra le donne (13 per mille a fronte di un 5 per mille, degli uomini). Applicando il trend del +43 per cento previsto per i paesi G7 (Canada, Francia, Germania, Regno Unito, Italia, Giappone e USA), nel 2030 le persone con demenza nel nostro Paese supereranno le 800 mila unità, con un ritmo di crescita di 39 nuovi casi al giorno. (ISTAT, 2015: Le dimensioni della salute in Italia);
    nell'arco di otto anni (2005-2013), l'analisi dei tassi standardizzati evidenzia che nel nostro Paese l'incidenza della malattia di Alzheimer e delle altre forme di demenza rispetto ad altre patologie è cresciuta del 50 per cento: il terzo maggiore incremento dietro a tumore maligno (+60 per cento) e malattie della tiroide (+51,5 per cento). (ISTAT, 2015: Le dimensioni della salute in Italia);
    l'incidenza totale delle sindromi dementigene rispetto al totale della popolazione italiana è cresciuta quindi in otto anni di 4,5 punti. La media di 9,3 casi su 1000 osservata nel 2013 presenta tuttavia, come per la distribuzione geografica dell'invecchiamento, significative variazioni a livello locale. Le incidenze massime sono quelle di Marche (14,2 casi su mille), Umbria (12,6 casi su mille), Emilia Romagna (12,1 casi su mille), Toscana e Abruzzo (entrambe con 11,5 casi su mille). Le incidenze minime sono quelle delle province di Bolzano e Trento (4,4 e 5,5 casi su mille) e del Piemonte e Veneto (entrambe con 8,0 casi su mille). La restanti regioni si attestano su valori intermedi. A compendio delle considerazioni epidemiologiche suesposte, va rilevato come sia del tutto probabile che le attuali discrepanze, tra le regioni siano legate anche alla diversa sensibilità di rilevazione della patologia;
    su circa 600 mila persone affette da demenza, ben 583 mila sono ultrasessantacinquenni (il 971 per mille del totale dei malati). In particolare, l'incidenza delle persone over 65 affette da patologie dementigene è in media nazionale di 42,8 unità su mille persone della stessa classe di età. Anche in questo caso, si registrano valori significativamente diversi nelle varie aree del paese: si supera infatti la media nazionale nelle Isole (51,0), nel Sud (50,2) e al Centro (46,0), mentre al Nord-est e Nord Ovest i valori sono al di sotto della media (41,5 e 33,0). (Istat 2014, Condizioni di salute, fattori di rischio e prevenzione);
    negli ultimi 16 anni risulta evidente l'innalzamento progressivo sia dell'età media delle persone affette da demenza senile (73,6 anni nel 1999, 77,8 nel 2006 e 78,8 nel 2015) che quella dei caregiver (53,3 anni nel 1999, 54,8 nel 2006 e 59,2 nel 2015). I figli rimangono ancora i caregiver prevalenti, ma aumentano molto i partner (25,2 per cento nel 2006 contro il 37,0 per cento nel 2015), ciò soprattutto se il malato è di genere maschile;
    quest'ultimo dato consente di spiegare anche l'aumento della quota di malati che vive a casa propria: insieme con il coniuge (22,9 per cento nel 2006 e 34,3 per cento nel 2015) e con la badante (dal 12,7 per cento al 17,7 per cento) (CENSIS, «L'impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer: rifare il punto dopo 16 anni. Anno 2016);
    nonostante la copiosità dei dati, delle cifre, delle percentuali e delle tendenze esposti, la prevalenza di qualsiasi malattia dipende sia dal suo tasso di incidenza che dalla durata della malattia stessa. I cambiamenti riguardanti uno o entrambi questi fattori possono alterare il tasso di prevalenza relativamente alle fasce di età. La notevole variabilità dell'andamento secolare dell'Alzheimer e delle altre forme di demenza senile riflette in modo incisivo anche i progressi fatti nell'ambito della sanità pubblica, in termini di accesso alte cure sanitarie e di rafforzamento dei sistemi e servizi sanitari finalizzati a identificare, curare e controllare questo tipo di sindromi;
    sebbene in Italia risulti migliorata la percezione e la consapevolezza della malattia e sia diminuito il tempo medio per avviare un percorso diagnostico (da 2,5 anni nel 1999 a 1,8 anni nel 2015) esso rimane ancora elevato. I motivi di tale ritardo dipendono in primo luogo dal fatto che i caregiver sono costretti a rivolgersi a diversi specialisti prima di ottenere la diagnosi ed in secondo luogo dalla sottovalutazione dei sintomi della malattia, spesso ricondotti all'invecchiamento ovvero alla depressione. Il primo interlocutore dei caregiver rimane ancora il medico di medicina generale (47,2 per cento), seguito dallo specialista pubblico (33,1 per cento) e dallo specialista privato (13,6 per cento); solo il 6,1 per cento si rivolge immediatamente alle unità valutative Alzheimer – UVA. (CENSIS, «L'impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer: rifare il punto dopo 16 anni». Anno 2016);
    l'assistenza alle persone affette dal morbo di Alzheimer e da altre forme di demenza senile è inclusa nei livelli essenziali di assistenza (LEA) sia attraverso l'erogazione delle prestazioni di assistenza domiciliare integrata, sia attraverso i trattamenti in regime residenziale e semiresidenziale. Con riguardo alle tutele sanitarie a favore dei pazienti, il morbo di Alzheimer è una malattia inclusa nell'elenco delle malattie croniche e invalidanti che danno diritto all'esenzione dal ticket per le prestazioni sanitarie correlate, di tipo sia riabilitativo sia strumentale;
    il panorama dei trattamenti farmacologici disponibili per i malati di Alzheimer ha conosciuto negli ultimi 15 anni progressi significativi, innanzi tutto con il passaggio dalla non disponibilità gratuita degli inibitori dell'acetilcolinesterasi (rivastigmina, donepezil e galantamina) alla loro rimborsabilità, secondo quanto previsto in prima istanza dal Progetto Cronos. La gratuità della somministrazione di tali farmaci, sulla base della Nota 85 dell'AIFA, nel 2009 è stata estesa anche alla memantina, farmaco indicato per gli stadi più gravi della patologia. Tuttavia, nonostante la loro gratuità, negli ultimi anni si è registrata una riduzione della percentuale di malati che fanno ricorso a questi medicinali specifici, passata dal 59,9 per cento del 2006 al 56,1 per cento del 2015; viceversa, si presenta in aumento la quota di malati di Alzheimer che utilizza farmaci per disturbi del comportamento (agitazione psico-motoria e nervosismo, allucinazioni, deliri, stati depressione, ansia, agitazione, disturbi del sonno, e altro), passata dal 62,8 per cento del 2006 al 69,8 per cento del 2015;
    il Piano nazionale demenze – PND approvato il 30 ottobre 2014 dalla Conferenza Unificata tra il Governo, le regioni e le province autonome, individua nel modello della gestione integrata l'approccio più indicato per assistere le persone con patologie dementigene ed indica quale obiettivo strategico per gli anni a venire una maggiore razionalizzazione dell'offerta e il ricorso a metodologie di lavoro basate sull'appropriatezza delle prestazioni per elevare la capacità del Servizio sanitario nazionale;
    nell'ambito degli obiettivi del PND e del sistema regolatorio ECN emerge, anche alla luce dell'importanza della prevenzione, della diagnosi tempestiva, del trattamento e assistenza di forme ad esordio precoce della malattia di Alzheimer, la necessità di intensificare nei prossimi tre anni gli eventi formativi e di e-learning accreditati degli operatori sanitari, nonché di sollecitare la Commissione nazionale per la formazione continua in medicina insediatasi il 9 dicembre 2015 a riservare a questo particolare aspetto una maggiore attenzione;
    la circostanza che non siano disponibili dati ufficiali ed aggiornati sull'epidemiologia del morbo di Alzheimer ha ingenerato una potenziale carenza di informazioni, soprattutto riferite alla differente incidenza territoriale della patologia, che non ha giovato e non giova ad una qualità e un'efficacia uniforme dell'offerta di prestazioni erogate da ciascuna regione (conclusioni del 9o convegno ISS: «Il contributo dei centri per i disturbi cognitivi e le demenze nella gestione integrata dei pazienti» – 13 novembre 2015);
    il PND dovrà tenere conto che le evidenze dimostrano il permanere di significative disomogeneità regionali nell'erogazione e nel monitoraggio dei servizi socio-sanitari e dell'esistenza di rilevanti argini per una migliore strutturazione sul territorio della rete di servizi e iniziative post-diagnostiche. Alcune aree, concentrate soprattutto nel Sud e nelle Isole, non dispongono infatti di un adeguato numero di unità specialistiche di diagnosi e cura e di centri di neuropsicologia e psicoterapia – CNP in grado di assicurare una piena ed omogenea presa in carico dei pazienti e un'adeguata attività di supporto ai caregiver;
    il caregiver gioca un ruolo centrale nella vita del malato perché rappresenta sia il soggetto responsabile della sua assistenza, che la figura costantemente impegnata nel fornire, giorno dopo giorno, il sostegno emotivo al proprio congiunto. Il caregiver dedica al malato di Alzheimer mediamente 4,4 ore di assistenza diretta e 10,8 ore di sorveglianza, anche a distanza. Il totale coinvolgimento dei caregiver investe anche il percorso sanitario e le scelte terapeutiche della persona affetta da demenza; da ciò deriva l'importanza di un punto di riferimento unico per il trattamento della malattia;
    appare accertato che negli ultimi 16 anni si sia ridotto il ricorso a tutti i servizi per l'assistenza e la cura dei malati di Alzheimer. Questo vale per l'assistenza domiciliare integrata e socio-assistenziale, per i centri diurni, per i ricoveri in ospedale e in strutture riabilitative e assistenziali. Tale ridimensionamento coinvolge anche gli accessi all'UVA (passati dal 66,8 per cento del 2006 al 56,6 per cento del 2015), pur confermando una evidente diversità tra il Nord e il Centro rispetto al Sud e alle Isole (il 60,0 per cento contro il 50,7 per cento) (CENSIS, «L'impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer: rifare il punto dopo 16 anni». Anno 2016);
    decisamente più ampio è il ricorso all'assistenza privata fondata sul sostegno dei caregiver, costituito in prevalenza dai familiari e secondariamente dal personale pagato, sebbene la percentuale dei malati che possono contare sull'aiuto delle badanti si presenti lievemente più contenuto del passato (40,9 per cento del 2006 e 38,0 per cento del 2015) probabilmente per effetto del perdurare della recessione;
    circa il 16 per cento dei caregiver non riceve però alcun aiuto nelle attività di assistenza e cura del malato e solo in percentuali molto residuali può far riferimento ad altre tipologie di aiuti. Tale segmento è in assoluto il più critico, non solo perché rappresenta un punto di caduta del welfare, ma perché, sommato alla fragilità economica che contraddistingue questa fascia sociale, ingenera un senso di solitudine e di abbandono che spesso sfocia in drammatici gesti di disperazione;
    se il caregiver rappresenta il principale riferimento del malato affetto da demenza, la badante costituisce attualmente una figura chiave nell'assistenza al caregiver. La badante ha generalmente un'età media di 48 anni, nel 95,7 per cento dei casi è di genere femminile e nel 77,3 per cento è straniera. Al prezioso supporto della badante si fa ricorso principalmente utilizzando denaro del malato (anche se con un peso molto inferiore rispetto al passato: 82,3 per cento del 2006 contro il 58,1 per cento del 2015), controbilanciato da un più ampio ricorso all'indennità di accompagnamento e al denaro dei figli o del coniuge. Nei prossimi anni, il verosimile miglioramento delle condizioni economiche e sociali dei Paesi di attuale provenienza delle badanti potrebbe introdurre nuovi elementi di debolezza nella strutturazione di questa tipologia assistenziale (CENSIS, «L'impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer: rifare il punto dopo 16 anni.» Anno 2016);
    attualmente, il costo medio annuo per paziente affetto da Alzheimer è stimato in circa 70.587 euro (comprensivo sia dei costi familiari che di quelli a carico del Servizio sanitario nazionale e della collettività), di cui circa 19 mila euro (27 per cento) afferisce ai costi diretti e circa 51.600 (73 per cento) ai costi indiretti (CENSIS 2016, «L'impatto economico e sociale della malattia di Alzheimer: rifare il punto dopo 16 anni»);
    tra i costi diretti, emerge che la quota più significativa (60,1 per cento) è rappresentata da quelli legati all'assistenza informale che è totalmente a carico delle famiglie. Le spese sanitarie legate agli accessi all'UVA e ai ricoveri in strutture ospedaliere (totalmente a carico del Servizio sanitario nazionale) rappresentano il 5,1 per cento del totale, mentre le spese per l'accesso ai servizi socio-sanitari costituiscono il 19,1 per cento e sono articolate con quote più consistenti (70 per cento e oltre) a carico del Servizio sanitario nazionale per l'assistenza formale e i centri diurni e un carico equamente ripartito tra Servizio sanitario nazionale e famiglie per i ricoveri in strutture socio-sanitarie e assistenziali come le residenze sanitarie assistenziali (RSA). Le spese per le attività ambulatoriali, come visite, analisi e attrezzature e ausili sanitari rappresentano il 7,7 per cento del totale dei costi diretti e risultano principalmente a carico del Servizio sanitario nazionale (78,3 per cento); le spese per i farmaci (3,9 per cento del totale dei costi diretti) vanno distinte tra quelle relative a farmaci specifici per l'Alzheimer, che ricadono principalmente sul Servizio sanitario nazionale, e quelle per farmaci non specifici la cui spesa appare quasi ripartita tra famiglie e Servizio sanitario nazionale. Infine, ci sono gli esborsi per le modifiche dell'abitazione, costi sostanzialmente a carico delle famiglie e che rappresentano il 3,1 per cento dei costi diretti;
    i costi indiretti sono per definizione a carico della collettività e, come detto, rappresentano la quota più consistente, si tratta di costi stimati monetizzando gli oneri di assistenza che pesano sul caregiver a cui si aggiunge anche la piccola quota rappresentata dai mancati redditi di lavoro dei pazienti;
    la pressione dell'invecchiamento della popolazione, l'estrema diversificazione dei costi diretti e indiretti collegati alla malattia di Alzheimer e al suo lungo ed eterogeneo decorso confermano quanto oneroso risulti il costo globale delle patologie neurologiche degenerative sul Servizio sanitario nazionale, specie durante una fase recessiva che perdura da oltre otto anni e che ha visto il nostro Paese perdere circa 10 punti percentuali di prodotto interno lordo. Come è emerso dall'indagine conoscitiva sulle nuove esigenze del sistema sanitario e gli obiettivi di finanza pubblica, l'offerta di servizi di cura e assistenza dovrà pertanto essere continuamente adeguata per riuscire a soddisfare a pieno i «nuovi diritti alla salute» legati alle sindromi dementigene e per rivedere anche le forme di sostegno finanziario ai caregiver, integrando gli istituti regionali e locali – assegni di cura e contributi – con quelli nazionali – assegno di accompagnamento («La sfida della tutela della salute tra nuove esigenze del sistema sanitario e obiettivi di finanza pubblica», giugno 2014);
    in relazione agli andamenti demografici nazionali e alla necessità di sollevare il sistema Paese dal carico prevenibile di tali eventi morbosi e mortali, la prevenzione delle demenze è stata individuata tra le priorità di intervento ed i macro obiettivi del piano nazionale della prevenzione 2016-2018, approvato dalla Conferenza permanente Stato Regioni il 13 novembre 2014;
    le nuove linee guida europee in materia di sviluppo delle terapie per la malattia di Alzheimer e per le altre forme di demenza indicano quali elementi fondamentali del delicato terreno della prevenzione: la certezza della diagnosi, un modello che renda conto del tempo di progressione della malattia e la possibilità di misurare in modo affidabile i risultati di uno studio clinico (European Medicines Agency – EMA, 28 gennaio 2016);
    si rende pertanto necessario a livello nazionale potenziare la ricerca scientifica sia in riferimento alla ricerca corrente praticata dagli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico – IRCCS, che alla ricerca finalizzata affidata alle università, al Consiglio nazionale delle ricerche e ad altri enti di ricerca pubblica e privata;
    l'innovazione tecnologica sta configurando un'offerta di medical device sempre più ampia ed eterogenea in grado di fornire un'utilissima gamma di prodotti e servizi per la diagnosi, il trattamento, la stimolazione fisico-mentale dei pazienti con demenza ed il caregiving. Esiste un mercato emergente nel settore del safety e medical device di strumenti altamente specializzati mirati al profilo clinico della persona affetta da disabilità cognitiva, come ad esempio sensori non invasivi (scarpe ed orologi dotati di localizzatori GPS, Pocketfinder GPS Senior, Emergency/Medical Alert System e così via) oltre ad App da scaricare su smartphone e tablet. Questa tecnologia è volta a ritardare il più possibile la perdita dell'autosufficienza del malato, a mantenerlo in discrete condizioni di salute per il maggior tempo possibile e a facilitare il ruolo dei caregiver, contrastando ad esempio il tipico fenomeno di wandering (comportamento motorio aberrante o vagabondaggio) dei pazienti con demenza. In generale, educare i caregiver alla conoscenza e al ricorso sempre più frequente al safety e medical device dovrebbe essere considerato un successo etico, economico e sociale;
    a seguito dell'incremento esponenziale dei casi di Alzheimer e della conseguente necessità da parte dei caregiver di provvedere alla gestione economica quotidiana della persona affetta da demenza, la legge gennaio 2004, n. 6, ha introdotto e disciplinato la figura dell'amministratore di sostegno nominato dal giudice tutelare. Nonostante questa importante evoluzione normativa, permangono delle difficoltà burocratiche in ordine allo svolgimento del mandato degli amministratori di sostegno, soprattutto nel rapporto con gli istituti di credito che, nell'aprire un conto corrente specifico per l'amministratore di sostegno di un soggetto beneficiario, rifiutano ad esempio la concessione della carta bancomat, negano l'accesso al banking on line e consentono prelievi solo direttamente allo sportello e previo sblocco del conto con una nota giustificativa scritta sull'uso del denaro. Tale rigidità, di cui peraltro non si trova ragione nel dettato normativo, crea non pochi problemi nella gestione quotidiana di una relazione che già presenta le sue ovvie criticità, specie se si considera che le relazioni beneficiario-amministratore di sostegno sono generalmente basate su vincoli parentali e talvolta sulla totale assenza di patrimoni, laddove i movimenti economici sono relativi alla mera fruizione di sussidi e indennità utilizzate esclusivamente per il sostentamento del beneficiario;
    le complesse implicazioni sanitarie, sociali, economiche e giuridiche connesse con il morbo di Alzheimer, hanno indotto l'Organizzazione mondiale della sanità ad istituire nel 1994 la giornata mondiale dell'Alzheimer, la cui XXII edizione si è tenuta il 21 settembre 2015; questa giornata rappresenta in tutto il mondo un appuntamento annuale che mobilita tutti gli stakeholder (comunità scientifica, OCSE, OMS, pazienti, caregiver, istituzioni sanitarie, aziende farmaceutiche, agenzie regolatorie di tutto il mondo, payers, e altri) a concorrere all'informazione, al coinvolgimento e alla condivisione di progetti comuni,

impegna il Governo:

   a definire un percorso metodologico che porti al superamento delle attuali difficoltà di attuazione delle indicazioni contenute nel piano nazionale demenze e più in generale – del complesso delle attività finalizzate alla cura e all'assistenza della persona affetta da Alzheimer e da altre forme di demenza, attraverso iniziative per:
    a) l'accelerazione e il consolidamento del superamento della gestione del problema demenze, con il passaggio da un approccio oggi ancora parzialmente disorganico dal punto di vista diagnostico, assistenziale e riabilitativo al nuovo approccio di tipo integrato, che garantisca continuità assistenziale e una risposta adeguata ai diversi bisogni nelle diverse fasi della malattia e nei diversi setting sanitari, con particolare riferimento alle esigenze della persona affetta da demenza al pronto soccorso e in ospedale, ai PDTA specifici, alta gestione del delirium in ospedale, alle necessità di dialogo tra il medico di famiglia e il centro diagnostico, alla gestione dei disturbi del comportamento (prevedendo per i casi gravi le unità di cure specifiche ospedaliere sull'esempio dell'organizzazione modenese), agli interventi di riabilitazione cognitivo comportamentale (da realizzarsi non soltanto nei centri diurni integrati – comunque da potenziare – o nei moduli Alzheimer delle residenze sanitarie assistenziali, ma anche al domicilio del paziente, a carico del Servizio sanitario nazionale);
    b) il superamento delle significative disomogeneità regionali nell'accesso all'erogazione di tutti i servizi sanitari pubblici, con riferimento alle unità di valutazione dell'Alzheimer, ai centri di neuropsicologia e psicoterapia, ai servizi ambulatoriali medico-ospedalieri e alle Asl, al fine di offrire analoghi Lea sull'intero territorio nazionale;
    c) la tempestiva previsione di un sistema stabile ed aggiornato di monitoraggio epidemiologico del morbo di Alzheimer con una particolare attenzione alla differente incidenza territoriale della patologia che consenta di adottare iniziative omogenee nel Paese e di fornire diagnosi tempestive e terapie farmacologiche appropriate, fondamentali per il controllo della malattia stessa, come indicato anche dalle linee guida dell'EMA (Agenzia europea per i medicinali 2016);
    d) l'affiancamento attivo di tutte le regioni e province autonome perché si dotino di uno specifico piano regionale demenze, ancora assente in alcune regioni (come in Sardegna), coerente con i principi contenuti nel PND;
    e) il supporto attivo a tutte le Asl affinché redigano uno specifico piano aziendale dedicato alle sindromi dementigene, che declini con puntualità i servizi e le prestazioni garantiti per ogni fase della malattia;
    f) la diffusione di supporti dedicati ai caregiver formali e informali, basati sugli interventi psico-educazionali, sostegno psicologico, gruppi di mutuo aiuto, Caffè Alzheimer;
    g) la diffusione di un approccio al paziente basato sulla valutazione multidimensionale dei bisogni, con la scelta di percorsi terapeutici e riabilitativi personalizzati, ambiente proteico, e terapia riabilitativa cognitiva e comportamentale, anche nell'ottica di modificare t'attuale tendenza all'abuso della terapia farmacologica antipsicotica;
   ad assumere iniziative per inserire, nell'ambito del programma ECM (educazione continua in medicina), specifici obblighi formativi riferiti alla malattia di Alzheimer e alle altre forme di demenza per gli operatori della sanità che svolgono attività assistenziale riferita a tale patologia;
   ad adottare iniziative normative per favorire la semplificazione e la velocizzazione della gestione delle procedure burocratiche tra gli amministratori di sostegno (generalmente legati da rapporti parentali con il soggetto beneficiario) e gli istituti bancari, soprattutto per le situazioni di grave disagio economico e di assenza di patrimoni significativi;
   ad intervenire con specifiche iniziative volte ad implementare l'informatizzazione del procedimento amministrativo di riconoscimento dell'invalidità civile e dell'handicap sia nella fase relativa all'accertamento sanitario, che in quella relativa all'erogazione delle provvidenze economiche e al riconoscimento delle varie agevolazioni previste dalla normativa connesse all'invalidità;
   ad assumere iniziative per prevedere degli sgravi fiscali per l'acquisto ed il noleggio di medical device utili al caregiving e al miglioramento della qualità della vita della persona affetta da patologie dementigene, aumentandone e prolungandone l'autosufficienza e contenendone l'emarginazione sociale e lo stigma, cause della progressiva fine di ogni forma di vita relazionale nelle persone che ne sono affette ed elemento aggravante che precede e talvolta accelera la morte fisica;
   a promuovere idonee iniziative per intensificare gli studi e le analisi relativi alla malattia di Alzheimer e alle altre forme di demenza senile in termini di prevalenza, incidenza e mortalità e per incrementare lo sviluppo della ricerca scientifica (finalizzata e corrente) sempre in questo specifico settore attraverso la fissazione di una quota superiore al 25 per cento in relazione alle risorse finanziarie mobilitate per i bandi di progetti delle università, del CNR e di altri enti di ricerca pubblici e privati e di una quota superiore al 35 per cento in relazione ai progetti di ricerca corrente a cura degli istituti di ricovero e cura a carattere scientifico;
   a moltiplicare gli sforzi istituzionali per promuovere campagne di informazione e sensibilizzazione nella popolazione volte alla divulgazione della conoscenza dell'Alzheimer e delle altre forme di demenza senile, alla luce della circostanza che oggi oltre 9,3 italiani su 1000 ne sono colpiti e che tale cifra è destinata a raddoppiare nei prossimi vent'anni, configurandosi come una vera e propria incombente epidemia.
(1-01290) «Vargiu, Luciano Agostini, Arlotti, Baradello, Bechis, Capelli, Capezzone, Carloni, Carrescia, Causin, D'Ottavio, Distaso, Fauttilli, Fitzgerald Nissoli, Gadda, Gasparini, Iacono, Latronico, Librandi, Locatelli, Matarrese, Pastorelli, Porta, Quintarelli, Paolo Rossi, Vecchio, Venittelli, Calabrò».


   La Camera,
   premesso che:
    nel 2014, quando Daesh prese il sopravvento nella regione al confine tra Siria ed Iraq, circa 600.000 yazidi vivevano per lo più concentrati nel distretto di Sinjar, all'interno del governatorato di Ninive, nel nord dell'Iraq. Si tratta di un'etnia antichissima, linguisticamente di ceppo curdo e la cui identità è definita dalla professione di una fede preislamica, non contemplata dal Corano tra le religioni del Libro;
    proprio in quanto non appartenente ad una delle grandi religioni monoteiste, la storia di questo popolo pacifico è una storia di violenze e massacri, perpetrati durante l'impero ottomano e fino alle guerre irachene del 2003, quando una campagna di bombardamenti da parte di militanti sunniti uccise centinaia di yazidi;
    il rapporto del 2015 dell'Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani ha dichiarato la responsabilità di Daesh per il genocidio del popolo yazida davanti alla Corte penale internazionale; e ciò fin dal momento in cui, con l'invasione della piana di Ninive nell'agosto del 2014, la comunità Yazida residente è stata posta di fronte alla scelta se convertirsi o essere sterminata;
    in quella fase drammatica il rapporto documenta come il genocidio ebbe inizio con il massacro di almeno 700 uomini uccisi nel villaggio di Kocho a Sinjar e con la cacciata di 200.000 yazidi dalle loro case. Almeno 40.000 yazidi in fuga rimasero intrappolati sul monte Sinjar con davanti l'unica scelta possibile: la morte per disidratazione e il consegnarsi ai boia di Daesh;
    le Nazioni Unite hanno stimato che nel 2015 5.000 yazidi sono stati massacrati e 7.000 donne e ragazze sono state ridotti in schiavitù. Secondo le informazioni riportate, sarebbero diverse migliaia le vittime delle violenze e oltre 3.500 le donne yazide tuttora prigioniere dell'IS;
    le accuse delle Nazioni Unite, oltre al genocidio, includono crimini di guerra verso i civili, bambini inclusi, e crimini contro l'umanità per cui si invoca il Consiglio di sicurezza e si chiede di ricorrere alla corte penale internazionale perché persegua i responsabili;
    l'intento genocidiario si è reso evidente, oltre che con i massacri documentati dalle fosse comuni di sole vittime yazide, dalla politica di stupro sistematico e riduzione in schiavitù delle donne e ragazze yazide, deportate in massa nei luoghi controllati da Daesh e consegnate a veri e propri mercati di schiavi, dove le ragazze yazide sono state vendute sulla piazza pubblica come schiave per 150 dollari;
    migliaia di donne sono state in questo modo costrette con la forza a contrarre matrimonio con i guerriglieri dell'Isis, vendute o offerte ai combattenti o simpatizzanti. Molte di queste schiave sessuali sono poco più che bambine, ragazze di età compresa tra i 12 e i 15 anni o anche più giovani, divenute oggetti di attenzione sessuale degli islamisti e di violenze di gruppo; alcune non hanno retto all'umiliazione e hanno preferito suicidarsi;
    i bambini yazidi, anche piccolissimi, sono stati rapiti e rivenduti, in un crescendo di violenze sistematiche testimoniato anche in un rapporto di Amnesty International;
    tutto ciò è stato testimoniato dalla ventunenne yazida irachena Nadia Murad Basea Taha, audita di recente dal Comitato permanente per i diritti umani, istituito presso la Commissione esteri, che è stata sottratta alla sua famiglia e violentata ripetutamente dai miliziani di IS; fuggita dopo 3 mesi grazie all'aiuto di una famiglia musulmana ha potuto raccontare anche nella sede delle Nazioni Unite e del Parlamento europeo gli scenari di brutali violenze e richiamare l'intera comunità internazionale su quanto sta accadendo;
    il genocidio è definito in conformità alla risoluzione n. 260 del 1948, con la quale l'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato la «Convenzione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio», da intendersi come ciascuno degli atti commessi con «l'intenzione di distruggere in tutto o in parte, un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso»;
    le violenze efferate compiute dall'IS in modo mirato nei confronti della minoranza yazida si configurano come atti riconducibili a tale definizione anche in quanto:
     a) a differenza delle «genti del Libro», ebrei e cristiani, che ha o potuto evitare la morte convertendosi all'Islam o pagando la tassa islamica, «jizya», o andando in esilio, gli Yazidi non ha o avuto nessuna possibilità di scelta, diversa dalla conversione, per sfuggire al massacro sistematico;
     b) i bambini maschi yazidi, rapiti e sottratti alle loro famiglie, sono stati avviati a programmi di educazione militare e di riconversione ideologica al fine di sradicare per sempre l'identità yazida dalla regione;
     c) le donne e le bambine yazide hanno subìto deportazioni di massa finalizzate alla loro riduzione in schiavitù sessuale, a stupri sistematici, alla perdita di identità fino alla induzione al suicidio;
     d) anche i recenti ritrovamenti di oltre cinquanta fosse comuni in alcune zone dell'Iraq fino a poco tempo fa controllate dall'Isis hanno confermato la sistematica eliminazione di tribù della minoranza yazidi,

impegna il Governo

a promuovere, nelle competenti sedi internazionali, ogni iniziativa volta al formale riconoscimento del genocidio del popolo yazida e ad assicurare i responsabili alla giurisdizione della Corte penale internazionale.
(1-01291) «Locatelli, Malisani, Tidei, Nicchi, Cimbro, Chaouki, Fitzgerald Nissoli, Furnari, Cristian Iannuzzi, Civati, Lo Monte, Matteo Bragantini, Pastorelli, Quintarelli, Marzano, Labriola, Franco Bordo, Kronbichler, Pellegrino, Di Lello, Zampa, Palese, Binetti, Buttiglione, Piccone, Causin, Nicoletti».

Risoluzioni in Commissione:


   Le Commissioni VII e XI,
   premesso che:
    nel gennaio 2000, la Commissione europea ha ritenuto necessario istituire lo spazio europeo della Ricerca come perno centrale della futura azione comunitaria in questo settore, al fine di consolidare e strutturare la politica europea di ricerca;
    in data 11 marzo 2005, la Commissione ha pubblicato, sotto forma di raccomandazione, uno strumento per intraprendere azioni volte al miglioramento e al consolidamento delle prospettive professionali dei ricercatori nell'Unione europea e per la creazione per loro di un mercato del lavoro aperto;
    la cosiddetta Carta europea dei ricercatori e codice di condotta per l'assunzione dei ricercatori, richiamando l'importanza di riconoscere il lavoro dei ricercatori nel loro ruolo poliedrico, invita gli Stati membri, da un lato, a migliorare le condizioni di lavoro e le opportunità di crescita per i ricercatori, soprattutto nella prima fase della loro carriera, e, dall'altro lato, a perfezionare i metodi di assunzione e i sistemi di valutazione delle carriere, al fine di istituire sistemi di sviluppo professionale più trasparenti, aperti, equi e accettati a livello internazionale, come presupposto per un vero mercato europeo del lavoro di ricerca;
    la Carta prevede che non esistano discriminazioni nei diritti associati ai vari tipi di contratti. Tale Carta è citata negli articoli 18 e 24 delle legge 30 dicembre 2010, n. 240, a proposito del reclutamento dei professori universitari e dei ricercatori a tempo determinato ed è stata sottoscritta in Italia dalla Conferenza dei rettori e dai presidenti degli enti pubblici di ricerca, senza però che all'atto pratico questo abbia costituito un vero fattore di modifica della situazione;
    nell'ordinamento italiano – si veda a questo proposito l'articolo 18, comma 5, della legge n. 240 del 2010 – l'attività di ricerca presso le università e gli enti pubblici di ricerca è svolta, oltre che dal personale docente e ricercatore di ruolo nelle singole istituzioni, anche da una congerie di altre figure tra cui in particolare: i ricercatori universitari a tempo determinato ex articolo 24 della legge n. 240 del 2010; gli assegnisti di ricerca ex articolo 22 della legge n. 240 del 2010 (e leggi precedenti); gli iscritti ai corsi di dottorato di ricerca e, talvolta, anche ai corsi di laurea magistrale in occasione del lavoro svolto per la tesi di laurea, sotto la guida di un relatore; il personale tecnico-amministrativo in possesso di specifiche competenze nel campo della ricerca nonché, per attività di supporto tecnico, i tecnologi a tempo determinato ex articolo 24-bis della legge n. 240 del 2010; i professori a contratto ex articolo 23 della legge n. 240 del 2010; i titolari di borse di studio e di ricerca; senza contare che, in alcuni casi, l'attività di ricerca è svolta da personale assunto con contratto di collaborazione coordinata e continuativa, ovvero a progetto, o ancora da personale assunto con contratto di prestazione professionale;
    è ancora da notare che, su posti di ricercatore a tempo determinato della tipologia di cui al comma 3, lettera a, dell'articolo 24 della legge n. 240 del 2010, è possibile chiamare direttamente – sulla base dell'articolo 1, comma 9, della legge 4 novembre 2005, n. 230, come da ultimo modificato dall'articolo 29, comma 7, della legge n. 240 del 2010 – anche studiosi che siano risultati vincitori di finanziamenti europei o ministeriali nell'ambito di specifici programmi di ricerca di alta qualificazione, identificati con decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, sui quali finanziamenti viene spesso a gravare lo stesso trattamento economico del ricercatore;
    nello svolgimento dei compiti di ricerca presso le università si crea sovente un nesso con le attività di formazione tipicamente universitarie (si veda, ad esempio, il comma 1 dell'articolo 24 della legge n. 240 del 2010) e con le attività amministrative connesse con la ricerca;
    la situazione sopra descritta delle diverse figure e tipologie di personale di ricerca presso le università e gli enti pubblici di ricerca presenta non pochi problemi quanto al profilo dei diritti e delle tutele riconosciute agli interessati che, non rientrando nella categoria dei lavoratori subordinati classicamente intesi, costituiscono una vasta area di difficile definizione e inquadramento che comprende tra gli altri circa 19.000 assegnisti di ricerca e 33.500 dottorandi di ricerca;
    le forme contrattuali degli assegnisti di ricerca e dei ricercatori e tecnologi a tempo determinato sono perfettamente sovrapponibili ai contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, in quanto il rapporto è caratterizzato dalla mancanza di un vincolo di subordinazione ed è quasi sempre esclusivo con un unico committente, mentre i titolari dei contratti svolgono un lavoro coordinato dai rispettivi committenti pur mantenendo forme di autonomia professionale e sono retribuiti con cadenza periodica, molto spesso mensile, sulla base di un importo fisso prestabilito;
    inoltre gli assegnisti di ricerca sono tenuti al versamento contributivo presso la gestione separata Inps con la medesima aliquota previdenziale di quella prevista per i collaboratori coordinati e continuativi;
    anche i dottorandi di ricerca versano i contributi Inps a carico della loro borsa di studio, senza che però siano loro riconosciute le tutele previste per i lavoratori subordinati;
    vi è dunque un'ampia categoria di soggetti, con alta formazione scientifica e di ricerca, di età compresa normalmente tra i 30 e i 40 anni, che vive e lavora in situazione di precarietà spesso non dissimile da quella degli studenti universitari;
    il riordino degli ammortizzatori sociali disposto con il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 22, ha introdotto in via sperimentale per il 2015 la Dis-Coll, l'indennità di disoccupazione rivolta a collaboratori coordinati e continuativi e a progetto, volta ad allargare il sostegno al reddito a categorie di soggetti finora esclusi;
    l'Inps, con circolare 83 del 27 aprile 2015, ha fornito istruzioni operative illustrando i criteri di erogazione della indennità Dis-Coll chiarendo che l'indennità «è riconosciuta ai collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, con esclusione degli amministratori e dei sindaci, iscritti in via esclusiva alla Gestione Separata, non pensionati e privi di partita IVA, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione»;
    la norma quindi individua un'ampia platea di destinatari, includendo tutti i lavoratori il cui rapporto di lavoro sia riconducibile, per le proprie caratteristiche, alla collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto, contraddistinta da: assenza di vincolo di subordinazione; prestazione resa a favore di un committente; rapporto unitario e continuativo; nessun impiego di mezzi organizzati dal collaboratore; retribuzione periodica prestabilita;
    con la legge 28 dicembre 2015, n. 208, la Dis-Coll è stata prorogata anche per l'anno 2016 e, nella fase di approvazione della legge, è stato richiesto, sia con emendamenti che con atti di indirizzo (ordine del giorno 9/03444-A/259 accolto il 19 dicembre 2015), un allargamento delle tutele per la disoccupazione involontaria anche ai titolari di assegno di ricerca di cui all'articolo 22 della legge 30 dicembre 2010, n. 240, e all'articolo 51 della legge 27 dicembre 1997, n. 449, che versano in una condizione di precarietà analoga a quella dei lavoratori con contratto di collaborazione coordinata e continuativa,

impegna il Governo

ad adottare ogni iniziativa utile a riconoscere e valorizzare, secondo quanto stabilito dalla normativa europea, il lavoro dei ricercatori in Italia, a qualunque titolo esso sia svolto, e, in particolare, a porre in essere iniziative normative volte a prevedere tutele adeguate anche per quei ricercatori che versano in situazioni di precarietà, in analogia con quanto previsto dal decreto legislativo n. 22 del 2015, a favore dei lavoratori con contratti di collaborazione coordinata e continuativa, anche a progetto.
(7-01011) «Gribaudo, Ghizzoni, Dallai, Rampi, Blazina, Sgambato, D'Ottavio, Ascani, Patrizia Maestri, Arlotti, Malisani, Damiano, Gnecchi, Giacobbe, Carocci, Manzi, Cinzia Maria Fontana, Di Salvo, Albanella, Baruffi, Boccuzzi, Casellato, Incerti, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rotta, Simoni, Zappulla».


   La III Commissione,
   premesso che:
    una trentina di minori rifugiati siriani, di età compresa tra 8 e 12 anni, hanno subito abusi sessuali da un addetto alle pulizie nel campo profughi di Nizip, nella provincia sudorientale turca di Gaziantep;
    tali abusi sono avvenuti intorno al settembre del 2015 e durati circa 3 mesi;
    la struttura gestita dall'autorità governativa turca per le emergenze, Afad, avrebbe ignorato le segnalazioni dei parenti di otto dei bambini vittima degli abusi;
    un ufficiale ha dichiarato al giornale turco BirGun, che ha portato alla luce lo scandalo, che l'autorità turca per la gestione delle emergenze che gestisce il campo dovrà essere chiamata in causa;
    l'accordo Unione europea – Turchia prevede che i migranti che entrano illegalmente in Grecia vengano respinti in Turchia e che per ogni respingimento, la Turchia debba ricollocare un siriano in Europa, fino ad un massimo di 72 mila persone;
    il costo di questo accordo è pari 6 miliardi di euro, erogati dall'Unione europea destinati al Governo turco per la creazione di campi profughi e centri di identificazione adeguati;
    è stata stabilita la riapertura dei negoziati per l'ingresso di Ankara nell'Unione europea;
    per l'ingresso nell'Unione europea sono essenziali specifici requisiti, secondo il Trattato sull'Unione europea (TUE), ovvero rispettare e impegnarsi rispetto ai valori di cui all'articolo 2 del trattato, in particolare: il rispetto della dignità umana, la libertà, la democrazia, l'uguaglianza e lo stato di diritto; il rispetto dei diritti umani, compresi i diritti delle persone appartenenti a minoranze; il rispetto di una società caratterizzata dal pluralismo e dalla non discriminazione, dalla tolleranza, dalla giustizia, dalla solidarietà e dalla parità tra donne e uomini;
    il Paese candidato deve inoltre soddisfare i criteri di ammissibilità dell'Unione europea che sono comunemente noti come criteri di Copenaghen: la presenza di istituzioni stabili che garantiscano la democrazia, lo Stato di diritto, i diritti dell'uomo, il rispetto delle minoranze e la loro tutela; l'esistenza di un'economia di mercato affidabile e la capacità di far fronte alle forze del mercato e alla pressione concorrenziale all'interno dell'Unione; la capacità di assumere e attuare efficacemente gli obblighi inerenti all'adesione, compresi gli obiettivi dell'unione politica, economica e monetaria;
    nel 2015 il numero di migranti giunti in Europa è stato quasi 14 volte superiore a quei 72 mila di cui sopra;
   l'accordo, al netto di qualsiasi considerazione morale ed etica, ha un impatto marginale sul fenomeno;
    il meccanismo dato dall'accordo implica che la redistribuzione in Europa dei migranti (dalla Turchia) non avverrà fino a che non si raggiungerà un numero corrispondente di respingimenti (verso la Turchia);
    una delle ragioni del fallimento dell'intesa ha a che fare con il trattamento dei suddetti migranti da parte delle autorità turche;
    sono numerose le denunce fatte da organizzazioni per la tutela dei diritti umani circa le condizioni di detenzione e – più in generale – il trattamento dei migranti da parte di Ankara;
    secondo Human Rights Watch tra marzo ed aprile agenti della frontiera turca hanno picchiato ed ucciso 5 persone – tra cui un bambino – ferendone altre 14;
    da agosto 2015 sembra che la polizia di frontiera abbia arbitrariamente – ed illegalmente — respinto centinaia di richiedenti asilo in Siria;
    non è ancora dato sapere il livello di trasparenza e di accountability garantiti dai partner che gestiranno i fondi in loco;
    suscitano perplessità i criteri di assegnazione dei predetti fondi, e di selezione dei partner che parteciperanno all'implementazione dei progetti finanziati e alle azioni sul territorio ed, infine, il livello di indirizzo e controllo che manterrà l'Italia sulle risorse da essa erogate;
    da un recente servizio televisivo è emerso che nella città turca di Gaziantep, al confine con la Siria, bambini profughi siriani verrebbero impiegati in industrie dell'abbigliamento e del settore calzaturiero;
    lo sfruttamento del lavoro dei minori è vietato dal diritto internazionale, nel dettaglio dalla Convenzione (n. 138) sull'età minima del 1973 e dalla Convenzione (n. 182) sulle peggiori forme di lavoro minorile del 1999;
    tale situazione è ancora più deplorevole in quanto viene sfruttata la condizione di ricatto e di precarietà di bambini rifugiati scappati dalla guerra;
    è iniziata una lunga processione di operazioni di sgombero a Idomeni, in Grecia al confine con la Macedonia, dove sono presenti 8.400 persone da febbraio di quest'anno;
    le forze dell'ordine schierate per le operazioni sono circa 1400 e il ricollocamento dei migranti durerà, secondo le previsioni, dieci giorni;
    l'obiettivo dichiarato è quello di trasferirli in centri di accoglienza;
    come conseguenza della chiusura della rotta balcanica e dell'implementazione del trattato Unione europea-Turchia, il campo di Idomeni costituiva il più grande campo rifugiati d'Europa, dove migliaia di persone erano bloccate in condizioni miserabili, senza un'adeguata assistenza umanitaria, senza accesso a informazioni sul proprio futuro, esposte alla violenza della polizia alla frontiera o dei trafficanti all'interno del campo;
    la criminalità organizzata aveva preso il sopravvento nel suddetto campo e un esempio è stato riportato da alcuni testimoni che raccontano che un vagone di un treno era stato trasformato in bordello e in un luogo per il traffico di droga: «Siamo andati alla ricerca di quel vagone – ha detto un reporter della stazione televisiva greca Skai – da qualche tempo sentivamo voci circa la presenza di un bordello nel campo. Quando abbiamo trovato il convoglio e stavamo per registrare, i migranti, alcuni armati di coltelli, ci hanno minacciato e cacciato,

impegna il Governo:

   a proporre nelle sedi opportune, efficaci modalità di monitoraggio della situazione dei rifugiati all'interno del territorio turco e del territorio greco;
   a proporre, in sede europea, di destinare alla Grecia parte dei finanziamenti dati al Governo turco, affinché possa migliorare il pietoso stato nel quale versano i centri d'accoglienza e possa far fronte in maniera efficace agli sbarchi;
   a ribadire nel Consiglio europeo del 28-29 giugno 2016 l'essenzialità dei «criteri di Copenaghen» per l'ammissibilità di un qualsiasi Paese all'interno dell'Unione europea, in particolare il rispetto dei diritti umani;
   a chiedere all'Unione europea di assumere iniziative per verificare le denunce sullo sfruttamento del lavoro minorile nelle zone di accoglienza dei profughi siriani in Turchia, stabilendo sul tema un monitoraggio continuo anche per assicurare ai bambini e alle bambine siriane in Turchia il pieno accesso al diritto allo studio e al gioco, impedendone lo sfruttamento lavorativo da parte di aziende senza scrupoli e da sanzionare in sede comunitaria.
(7-01010) «Spadoni, Manlio Di Stefano, Di Battista, Grande, Scagliusi, Sibilia, Del Grosso».


   La IX Commissione,
   premesso che:
    nel nostro Paese, alla luce del quarto pacchetto ferroviario che definisce il nuovo contesto regolatorio dell'Unione europea, che implica una riorganizzazione del mercato ferroviario e degli obblighi di servizio pubblico, diventa non più rinviabile una seria riflessione sull'assetto, l'efficienza e la competitività della rete e dei servizi ferroviari regionali includendo fra questi anche quelli delle ferrovie ex-concesse;
    queste ultime, che assommano a circa 3.500 chilometri di rete, pari quasi a un quarto dell'intera rete ferroviaria nazionale, non sono state sottoposte alle regole della riforma ferroviaria comunitaria;
    la maggior parte delle ferrovie in concessione alle regioni o non funzionano o funzionano male, in alcuni casi risultano essere dismesse;
    la politica del Governo, che afferma la volontà di procedere con la cura del ferro, non può prescindere dalla ottimale utilizzazione delle infrastrutture esistenti, cui l'implementazione tecnologica può far svolgere, aumentandone la capacità e la funzionalità, in termini di velocità, frequenza e sicurezza; si tratta di una importante funzione di trasporto di persone e merci a costi contenuti;
    la realizzazione di nuove linee del ferro nel Paese possono trovare, integrando le ferrovie concesse, con il conseguente ampliamento della rete, una importante diversificazione che ne aumentino il valore e il raggiungimento pieno degli obiettivi che il Governo si è dato;
    l'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato, Renato Mazzoncini, nella audizione del 22 marzo 2016 alla IX commissione della Camera dei deputati, ha condiviso le critiche alla gestione delle ferrovie concesse e osservato come la loro integrazione con la rete ferroviaria nazionale consentirebbe non solo di risolvere molti problemi in ambito locale, ma anche di velocizzare i collegamenti su alcune direttrici. A tale riguardo ha portato come esempio le linee ferroviarie che collegano Perugia e la città di Roma, dove lo sfruttamento dei binari della rete delle ferrovie ex concesse consentirebbe un risparmio di circa mezz'ora,

impegna il Governo:

   ad individuare, d'intesa con le regioni interessate, le linee ferroviarie concesse da integrare nella Rete ferroviaria italiana, al fine di ammodernare le infrastrutture per assicurare alle stesse, con l'implementazione delle nuove tecnologie, maggiore capacità e funzionalità, in termini di velocità, frequenza e sicurezza, un importante ruolo nel trasporto di persone e merci;
   ad assumere iniziative per integrare nella competenza dell'Agenzia nazionale della sicurezza ferroviaria tutte la rete ferroviaria del Paese e il relativo materiale rotabile per assicurare standard ottimali di sicurezza, in linea con le norme della Unione europea.
(7-01008) «Marco Di Stefano».


   La X Commissione,
   premesso che:
    l'arte vetraia di Murano costituisce da secoli una produzione d'eccellenza, di richiamo mondiale, del made in Italy;
    sin dal XII secolo l'arte vetraia a Murano ha assunto il profilo di attività manifatturiera;
    esiste un distretto del «vetro artistico» costituito dalle imprese vetrarie, dalle associazioni di categoria degli imprenditori industriali e artigiani, dagli enti pubblici e dai maggiori enti privati direttamente interessati allo sviluppo della realtà territoriale;
    in data 17 maggio 2016, presso la Commissione attività produttive della Camera si è svolto un ciclo di audizioni concernenti la crisi del distretto dei vetro artistico di Murano;
    la Commissione ha avuto modo di ascoltare i rappresentanti del mondo delle imprese, della camera di commercio, delle organizzazioni sindacali e di categoria nonché del comune di Venezia e della regione Veneto;
    sulla base delle informazioni acquisite, attualmente, risultano essere attive nell'ambito del distretto circa 263 imprese manifatturiere del vetro e dell'illuminazione, quasi il 10 per cento in meno rispetto al 2009; 9 imprese su 10 hanno dimensioni artigianali con un massimo di 9 dipendenti, e solo 25 imprese superano questa soglia; ben 125 imprese hanno cessato la loro attività negli ultimi 7 anni, delle quali 7 nel 2016, mentre altre 17 risultano essere tuttora in procedura concorsuale, anche a seguito dell'annosa questione relativa agli sgravi contributivi concessi alle imprese veneziane dal 1995 al 1997 e oggetto di procedura di infrazione da parte della Commissione europea;
    dall'analisi condotta dalla camera di commercio di Venezia Rovigo Delta Lagunare sui bilanci di 66 imprese, emerge che il risultato netto medio dal 2008 al 2014, è passato da un dato positivo (+ 5.915 euro) ad uno estremamente negativo (-45.344 euro);
    sulla crisi ha anche inciso un complesso rapporto con il fisco sul tema degli sgravi, in particolare con il recupero della quota capitale, tant’è che per le imprese che non sono coperte dal cosiddetto «de minimis» tale onere rischia di determinare ulteriori difficoltà con un incremento delle procedure fallimentari;
    a testimoniare l'andamento della crisi del settore vi è anche la curva degli ammortizzatori sociali che ha continuato a crescere dal 2008 al 2015 con un picco nel 2013 e che oggi dopo la fine dello strumento della mobilità in deroga vede ulteriori difficoltà per i lavoratori fuoriusciti;
    dal 2015 si registra, tuttavia, un confortante segnale di inversione di tendenza che riguarda la ripresa dell’export fattore sicuramente importante per un segmento produttivo come quello in oggetto;
    gli operatori nel corso delle audizioni hanno evidenziato una serie di criticità di sistema a partire dalle problematiche di natura contestuale ambientale con la presenza di vincoli che risultano essere onerosi e in conflitto con le lavorazioni di profilo tradizionale che hanno reso famoso il brand nel mondo;
    sono altresì emerse le problematiche concernenti la faticosa convivenza tra tessuto urbano e fabbriche nella loro trasformazione in strutture ricettive dopo la cessazione dell'attività industriale in senso stretto;
    questo profilo evidenzia ancor di più la necessità di una rivisitazione della normativa della specialità di Venezia ai sensi della legge n. 117 del 1973, relativamente alla quale sono state presentate alcune proposte di legge nella legislatura in corso;
    particolare rilevanza assume il problema della contraffazione, tant’è che il vetro di Murano è una delle produzioni maggiormente contraffatte a livello mondiale; ciò comporta una contrazione dei fatturati delle aziende oltre ad un danno di immagine considerevole per l'intero distretto;
    da una recente ricerca promossa dal Consorzio Promovetro Murano e dalla Confartigianato di Venezia con il contributo della camera di commercio di Venezia Rovigo Delta Lagunare, si evince che l'80 per cento dei prodotti in vendita nei negozi del centro storico non provengono dall'isola di Murano;
    l'indagine, effettuata su un campione di 12 negozi e 120 oggetti specifici, ha evidenziato anche la presenza sui prodotti di ben 41 «diciture suggestive diverse» con fantasiosi riferimenti a Murano, 9 delle quali fanno inequivocabilmente riferimento a una lavorazione effettuata all'interno dell'isola di Murano; tra i 52 fornitori individuati, solo 15 risultavano essere operanti nell'isola di Murano;
    i luoghi di produzione di oggetti in «Vetro di Murano» spesso risultano essere in Romania, in Repubblica Ceca e in Marocco; si tratta di un dato preoccupante considerato che a Venezia ogni anno giungono oltre 20 milioni di turisti;
    un contributo importante al contrasto alla contraffazione può venire dall'approvazione in via definitiva della proposta di legge C. 1454 Senaldi, approvata, in prima lettura, dalla Camera il 29 marzo e attualmente all'esame della Commissione industria del Senato (S. 2308);
    le problematiche evidenziate dimostrano una imprescindibile necessità di intervenire al fine di salvaguardare una delle produzioni simbolo del made in Italy di qualità,

impegna il Governo:

   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per riconoscere l'isola di Murano come area di crisi non complessa ai sensi della legge n. 181 del 1989 che, con la modifica normativa introdotta dalla legge n. 134 del 2012, ha visto un'integrale riorganizzazione della disciplina degli interventi di sviluppo e reindustrializzazione con l'obiettivo di utilizzare finanziamenti sia in conto capitale sia in conto interessi per sviluppo ed innovazione, incrementando l'occupazione e la modernizzazione degli impianti e degli strumenti, anche organizzativi;
   a promuovere misure di sostegno e sgravi fiscali con agevolazioni per le piccole imprese, su base pluriennale, valutando anche la fattibilità di realizzare per Murano una zona franca urbana;
   ad assumere iniziative per rafforzare le misure di contrasto alla contraffazione attribuendo la dimensione di certificazione nazionale, anche utilizzando tecnologie innovative e non solo sulla base della legislazione regionale, al marchio Vetro Artistico® Murano quale requisito obbligatorio, per l'attività concernente la lavorazione del vetro di Murano;
   ad istituire presso il Ministero dello sviluppo economico un tavolo tecnico permanente finalizzato a potenziare la collaborazione tra istituzioni e associazioni di categoria al fine di attivare azioni mirate e coordinate per garantire tracciabilità e sicurezza dei prodotti sulla base della esperienza del protocollo siglato agli inizi del 2014 da prefettura di Venezia, regione Veneto, comune di Venezia, provincia di Venezia, Unioncamere Veneto, camera di commercio Venezia, associazioni dei consumatori, associazioni di categoria e dal Consorzio Promovetro di Murano;
   ad istituire un tavolo interministeriale a cui partecipino il Ministero dello sviluppo economico e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare per affrontare le problematiche connesse alla tipologia delle produzioni, coniugando tradizione ed innovazione e prevedendo misure di sostegno alla ricerca applicata anche per il tramite della stazione sperimentale per il vetro;
   a sostenere la candidatura della lavorazione del vetro di Murano quale bene intangibile dell'Unesco, in quanto lavorazione legata all'artigianato tradizionale e locale, come stabilito dalla Convenzione per il patrimonio immateriale del 2003, e che rientra a pieno titolo nei requisiti richiesti dalla convenzione stessa.
(7-01009) «Martella, Mognato, Zoggia, Murer, Moretto, Benamati, Arlotti, Becattini, Bini, Camani, Donati, Ginefra, Iacono, Impegno, Peluffo, Scuvera, Senaldi, Taranto, Tentori, Vico».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    la sentenza della Corte costituzionale n. 70 del 10 marzo-30 aprile 2015 ha dichiarato l'illegittimità dell'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 dicembre 2011, n. 214, che ha escluso, per gli anni 2012 e 2013, l'applicazione della perequazione automatica per i trattamenti pensionistici di importo complessivo superiore a tre volte il trattamento minimo Inps;
    la perequazione automatica (o indicizzazione) fa riferimento all'importo complessivo di tutti i trattamenti pensionistici del soggetto e viene attribuita sulla base della variazione del costo della vita, con cadenza annuale e con effetto dal 1o gennaio dell'amo successivo a quello di riferimento. Più in particolare, la rivalutazione si commisura al rapporto percentuale tra il valore medio dell'indice Istat dei prezzi al consumo per le famiglie di operai e impiegati relativo all'anno di riferimento e il valore medio del medesimo indice relative all'anno precedente;
    le norme sulla perequazione sono state oggetto, nel corso degli anni, di numerose modifiche, spesso di natura transitoria;
    riguardo agli anni 2012 e 2013, oggetto in via diretta della norma dichiarata illegittima dalla sentenza n. 70 del 2015, per effetto di quest'ultima (e fatte salve le norme che sono state adottate successivamente in materia) il quadro giuridico di riferimento (sulle misure della perequazione) è costituito dalla disciplina a regime già posta dall'articolo 69, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388. Essa prevede: l'applicazione della perequazione nella misura del 100 per cento per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici fino a 3 volte il trattamento minimo Inps (quest'ultimo era pari, nel 2011, a 6.088.55 euro e, nel 2012, a 6.253 euro); nella misura del 90 per cento per la fascia di importo dei trattamenti pensionistici compresa tra 3 e 5 volte il predetto trattamento; nella misura del 75 per cento per la fascia di importo dei trattamenti superiore a 5 volte il medesimo trattamento minimo;
    in base alla norma oggetto della sentenza che ha sancito l'illegittimità, la perequazione è stata esclusa del tutto, per gli anni 2012 e 2013, per i trattamenti pensionistici di importo superiore a 3 volte il trattamento minimo Inps, con la conseguente mancata liquidazione sia per i 2 anni suddetti sia per gli anni successivi delle quote di incremento che sarebbero spettate (a titolo di perequazione automatica) con riferimento al 2012 ed al 2013. Un altro effetto permanente che deriva dalla norma in questione (dichiarata illegittima), effetto di rilevanza quantitativa secondaria (sia per la misura dei trattamenti sia per la finanza pubblica) rispetto all'effetto diretto sopra menzionato, è costituito dal mancato incremento (in seguito alla suddetta mancata liquidazione) della base di calcolo (cioè, dell'importo stesso della pensione) su cui applicare (a decorrere dal 2014) le successive percentuali di perequazione automatica;
    la decisione della Corte costituzionale – che censura una delle norme promosse dal Governo Monti – costituisce, in ordine di tempo, solo l'ultima delle gravi questioni che riguardano il sistema pensionistico italiano. Già la cosiddetta riforma Fornero (di cui alla legge n. 92 del 2012) ha creato l'emergenza sociale dei lavoratori «esodati» (sono già stati approvati 7 provvedimenti di salvaguardia) ha creato iniquità e disparità di trattamento, non prevedendo alcuna gradualità nella sua applicazione innalzando notevolmente l'età pensionabile in un sol colpo;
    prima ancora degli effetti sulla finanza pubblica, la Corte costituzionale ha accertato la lesione di un diritto costituzionalmente rilevante stabilendo che: «L'interesse dei pensionati, in particolar modo di quelli titolari di trattamenti previdenziali modesti, è teso alla conservazione del potere di acquisto delle somme percepite, da cui deriva in modo consequenziale il diritto a una prestazione previdenziale adeguata. Tale diritto, costituzionalmente fondato, risulta irragionevolmente sacrificato nel nome di esigenze finanziarie non illustrate in dettaglio. Risultano, dunque, intaccati i diritti fondamentali connessi al rapporto previdenziale, fondati su inequivocabili parametri costituzionali: la proporzionalità del trattamento di quiescenza, inteso quale retribuzione differita (articolo 36, primo comma, della Costituzione) e l'adeguatezza (articolo 38, secondo comma, della Costituzione). Quest'ultimo è da intendersi quale espressione certa, anche se non esplicita, del principio di solidarietà di cui all'articolo 2 della Costituzione e al contempo attuazione del principio di eguaglianza sostanziale di cui all'articolo 3, secondo comma, della Costituzione»;
    la sentenza della Corte costituzionale dimostra che provvedimenti finanziari emergenziali adottati, a giudizio dei firmatari del presente atto, in maniera irrazionale al solo fine di «far quadrare i conti» finiscono per produrre l'effetto di un aggravio della finanza pubblica ed insostenibili costi sociali per i cittadini;
    è evidente che in uno Stato di diritto in base al principio della separazione dei poteri vi è l'obbligo di rispettare i pronunciamenti della Corte costituzionale e di ripristinare l'ordine violato, posto che il legislatore – anche nei momenti di «emergenza finanziaria» – non può comprimere i principi e diritti di rilevanza costituzionale in maniera irragionevole e sproporzionata;
    invero, l'articolo 1 del decreto legge n. 65 del 2015, convertito con modificazioni dalla legge n. 109 del 2015, nel tentativo di dare attuazione alla sentenza della Corte, ha previsto solamente una parziale e forfettaria restituzione di quanto spetta al pensionato in base ad una determinata percentuale (variabile) dell'importo della pensione, a giudizio dei firmatari del presente atto violando così ancora una volta la norma costituzionale di cui all'articolo 38 della Costituzione esponendosi a nuovi ricorsi e a questioni di legittimità costituzionale;
    occorre invece un intervento che restituisca equità al sistema e assicuri la restituzione del dovuto agli aventi diritto, senza creare un inutile conflitto generazionale, scongiurando il timore di un aumento della pressione tributaria e/o contributiva ovvero l'applicazione delle clausole di salvaguardia previste dalla normativa vigente,

impegna il Governo:

   mediante opportune iniziative normative ed attraverso il reperimento delle necessarie risorse:
    a) dare completa attuazione a quanto disposto dalla sentenza n. 70 del 2015 della Corte costituzionale, provvedendo alla restituzione a favore dei cittadini interessati dell'intera quota di pensione non versata, in conseguenza della disposizione di cui all'articolo 24, comma 25, del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 dichiarato costituzionalmente illegittimo, superando quanto disposto dall'articolo 1 del decreto-legge n. 65 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 109 del 2015;
   a sanare l'effetto secondario costituito dal mancato incremento della base di calcolo su cui applicare, a decorrere dal 2014, le successive percentuali di perequazione automatica.
(7-01007) «Ciprini, Cominardi, Dall'Osso, Chimienti, Lombardi, Tripiedi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   ARGENTIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il tribunale ordinario di Roma – sezione per l'applicazione delle misure di prevenzione per la sicurezza e pubblica moralità – con decreto del 27 febbraio 2014, nell'ambito del procedimento n. 29/2014 R.G.M.P., ha disposto il sequestro di due immobili ubicati nel comune di Roma in via Kenya;
   lo stesso tribunale con decreto del 17 settembre 2014 ha invitato l'amministrazione capitolina ad esprimere parere circa la destinazione a fini istituzionali o sociale degli immobili sequestrati affinché gli stessi possano essere assegnati a Roma Capitale in comodato d'uso, a titolo gratuito;
   la giunta capitolina con delibera n. 145 dell'8 maggio 2015 a manifestato l'interesse per l'assegnazione e, in particolare l'assessore alle politiche sociali, salute, casa ed emergenza abitativa con nota 20 aprile 2015 ha espresso la volontà di realizzare presso tali immobili una casa famiglia per madri in difficoltà con figli e di una casa famiglia per minori provenienti dal circuito penale minorile;
   a seguito di tale delibera è stato stipulato il protocollo di intesa per l'avvio del progetto «la casa di Leda» tra il Ministero della giustizia – dipartimento dell'amministrazione penitenziaria – il comune di Roma e la Fondazione Poste Insieme Onlus volto all'attivazione di un progetto sperimentale di convivenza protetta per genitori con figli, agli arresti domiciliari o in detenzione domiciliare, ai sensi dell'articolo 4 della legge 21 aprile 2011, n. 62, e di promozione di azioni concordi di sensibilizzazione nei confronti della comunità locale rispetto al sostegno e al reinserimento di persone in esecuzione penale;
   il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha preso l'impegno, tra gli altri, di collaborare con il comune per sensibilizzare l'ambiente in cui i soggetti beneficiari della misura, mentre il comune di Roma ha preso, tra gli altri, l'obbligo di rendere operativa la struttura di accoglienza e la fondazione si è fatta carico della copertura degli oneri necessari alla gestione con un finanziamento di 150.000,00 a valere sull'esercizio 2015;
   secondo il decreto del Ministero della giustizia dell'8 marzo 2013 «Requisiti delle case famiglia protette», queste devono essere collocate in località dove sia possibile l'accesso ai servizi territoriali, socio-sinitari ed ospedalieri, e che possano fruire di una rete integrata a sostegno sia del minore sia dei genitori; devono, tra l'altro, prevedere spazi da destinare al gioco per i bambini, agli incontri e ai contatti con i figli e i familiari al fine di favorire il ripristino dei legami affettivi;
   a tutt'oggi gli spazi adibiti alla casa famiglia non sembrano idonei a rispettare i requisiti imposti dal decreto ministeriale ed, in particolare, all'interno degli edifici vi sono spazi pericolosi e non in sicurezza per poter far giocare liberamente i bambini; mancano, in prossimità della casa famiglia, i servizi di prima necessità, quali farmacie, scuole e negozi –:
   se il Governo, sia a conoscenza della situazione sopraesposta e, nei limiti delle sue competenze e nel rispetto di quelle degli altri enti coinvolti, quali iniziative urgenti intenda adottare affinché non solo la casa famiglia rientri nei requisiti di cui al decreto ministeriale 8 marzo 2013 ma sia integrata nel contesto a sociale ed urbano. (3-02284)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi, non è stato ancora riconosciuto il diritto alla pensione a migliaia di esodati, mobilitati dal 6 dicembre 2011. Al riguardo, molteplici sono stati gli appelli della «Rete dei Comitati degli esodati» per ottenere un incontro con la Presidenza del Consiglio, al fine di individuare una soluzione definitiva all'ingiusto dramma che stanno vivendo queste persone, notoriamente vittime di una riforma pensionistica che, soprattutto in considerazione della «non gradualità» nelle norme transitorie e della valenza retroattiva, ha dato luogo a palesi discriminazioni e alla violazione dell'articolo 38 della Costituzione;
   l'attuazione di una ottava e definitiva salvaguardia è necessaria ed urgente e dovrebbe essere tra le priorità di questo Governo, proprio perché si tratta di riparare, una volta per tutte, ad un'annosa ingiustizia;
   sono ancora da salvaguardare circa 24.000 esodati, a cui vanno aggiunti 10.000 mobilitati; la copertura finanziaria della manovra verrà pienamente soddisfatta con il ripristino delle risorse del fondo stanziato con la legge n. 228 del 2012, che inizialmente è stato costituito con importo di 11,6 miliardi di euro; inoltre, è stato previsto che sia ulteriormente alimentato dai risparmi ricavati dai consuntivi delle salvaguardie che si sono susseguite. Questo fondo va reintegrato, poiché è stato, nel tempo, depauperato attraverso discrezionali sottrazioni di risorse, per più di 1 miliardo di euro, impiegate per interventi del Governo che nulla hanno a che fare con quella che doveva essere la sua specifica destinazione;
   i soggetti esclusi dalle precedenti salvaguardie, oltre ad aver già subito gli effetti di una manovra pensionistica iniqua, sono stati pregiudicati anche dalle leggi che hanno regolato le manovre di salvaguardia. Sul punto, si pensi al caso dei mobilitati rispetto ai quali si fa riferimento ai requisiti maturati entro l'anno 2021, mentre, per tutte le altre categorie si fa riferimento alle decorrenze al 6 gennaio 2017; da ciò ne deriva una evidente discriminazione nei confronti di questi secondi soggetti che va sanata o, ad ogni modo, ricondotta entro termini equi, prendendo in considerazione, per il rientro nella salvaguardia, solo la maturazione del requisito;
   si è appreso che l'adozione dell'ottava salvaguardia dovrebbe avvenire nell'ambito del prossimo disegno di legge di Stabilità, tuttavia, si ritiene che non sia possibile attendere ancora tanto tempo e che tale manovra sia prioritaria e vada adottata immediatamente, proprio per eliminare le ingiustizie subite da queste persone. Sicché l'ottava e risolutiva salvaguardia dovrà comprendere una platea di circa 34.000 soggetti esclusi dalle precedenti manovre, con il contestuale ripristino del fondo predetto a copertura dell'intervento;
   considerando poi che è preliminare all'attuazione dell'ottava salvaguardia l'approvazione della Conferenza di servizi, si ritiene necessario che quest'ultima sia convocata entro e non oltre il mese di luglio 2016, appena dopo che si sia proceduto al reintegro del fondo;
   per un'adeguata individuazione delle misure più idonee per predispone la prossima salvaguardia si ritiene essenziale il coinvolgimento concreto della «Rete dei comitati degli esodati» ai relativi lavori –:
   quali siano gli orientamenti del Governo sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intendano adottare affinché, urgentemente e comunque prima della presentazione del prossimo disegno di legge di stabilità, venga posta in essere un'ottava salvaguardia che non comporti alcuna difformità di trattamento tra «esodati», come invece si è verificato nelle precedenti salvaguardie, e che, per rientrarvi, preveda di non considerare la decorrenza ma esclusivamente la maturazione del requisito;
   contestualmente, se e quali iniziative intendano assumere per ripristinare il fondo di cui all'articolo 1, comma 235, della legge n. 228 del 2012, che, come esposto in premessa, a giudizio dell'interrogante è stato ingiustamente depauperato per manovre diverse da quelle per le quali è stato istituito. (5-08781)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCON, BOSSA, CIVATI, PANNARALE, COSTANTINO, RICCIATTI, DURANTI, NICCHI, FRATOIANNI, MELILLA e KRONBICHLER. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la sfilata militare del 2 giugno a Roma, in occasione della festa della Repubblica, è costata dal 2010 al 2015 complessivamente oltre 15 milioni di euro;
   con la stessa somma 2mila giovani in più avrebbero potuto svolgere un'attività di servizio civile garantendo importanti servizi sociali a favore di anziani, disabili, minori;
   le forze armate italiane hanno già una loro feste ricorrenza, che si celebra ogni anno il 4 novembre;
   in un periodo di crisi economica sarebbe utile destinare le risorse per una parata militare ad interventi per la lotta alla povertà;
   la festa della Repubblica può essere celebrata con eventi e iniziative a carattere civile, che coinvolgano tutta la popolazione, mettendo in evidenza l'importanza del lavoro, sul quale si fonda nell'articolo 1 della Costituzione la Repubblica Italiana;
   già in altre diverse occasioni, a partire dal 1976, la sfilata militare del 2 giugno è stata sospesa e non è stata effettuata per motivi di sobrietà e responsabilità di fronte alle condizioni del Paese –:
   se non si ritenga a opportuno, per motivi di sobrietà e spending review, sospendere per il 2016, l'organizzazione di una parata militare ad avviso degli interroganti sfarzosa e poco coerente con gli sforzi che sta facendo il Paese di fronte di una grave crisi economica;
   quali saranno i costi da sostenere, nel caso venisse effettuata, per la parata militare del 2 giugno;
   se, qualora la parata sia effettuata, sfileranno anche mezzi militari, quali carri armati e blindo;
   se sia stato valutato l'impatto ambientale e acustico, sulla base della normativa vigente, di una manifestazione così imponente su un'area di così particolare pregio archeologico e architettonico.
(4-13311)


   DANIELE FARINA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   Giovanni Serpelloni è stato messo agli arresti domiciliari per tentata concussione e turbativa d'asta. Egli è stato a capo del dipartimento politiche antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri dal 2008 al 2014. Noto per le sue posizioni proibizioniste e intransigenti in fatto di stupefacenti. I fatti a lui contestati riguardano il suo incarico di direttore del Sert, il servizio tossicodipendenze, di Verona, per episodi accaduti tra il 2012 e il 2014. La Guardia di Finanza ha notificato il provvedimento a lui e ad altri due dirigenti dell'Ulss 20: Maurizio Gomma e Oliviero Bosco. Altre tre persone sono indagate per gli stessi reati. Le indagini, coordinate dalla Procura della Repubblica e condotte dai finanzieri del nucleo di pulizia tributaria di Verona, riguardano l'appalto del software gestionale utilizzato in Sert (i servizi pubblici per le dipendenze) di tutta Italia;
   da fonti di stampa si apprende che secondo l'accusa, gli indagati avrebbero preteso illegittimamente dalla società assegnataria dell'assistenza e manutenzione del software, prima una percentuale sulle somme incassate e successivamente, a nome dell'Ulss 20, ma all'insaputa della direzione generale, 100 mila euro a titolo risarcitorio, minacciando la revoca dell'incarico. Nel corso delle indagini è emerso che la successiva gara sarebbe risultata essere stata turbata, e assegnata, con collusione e mezzi fraudolenti, a una società compiacente; i soci-amministratori risultano a loro volta indagati nel procedimento;
   al di là dei contenuti dell'indagine, spicca tra gli arrestati il nome, di Serpelloni: laureato in medicina con specializzazione in medicina interna che, oltre al dipartimento antidroga della Presidenza del Consiglio dei ministri, ha diretto il centro di medicina preventiva dell'Azienda Ulss 20 di Verona e il dipartimento delle dipendenze della stessa Azienda. Dal 2003 al 2007 è state direttore dell'Osservatorio regionale sulle dipendenze della regione Veneto, per poi approdare a Roma alla guida del Dipartimento delle politiche antidroga, chiamato dall'allora responsabile governativo della lotta alle dipendenze, Carlo Giovanardi;
   nel corso della sua permanenza alla guida del dipartimento, il medico veneto è stato duramente contestato da molte associazioni che si occupano di dipendenze, che lo accusavano di un approccio ideologico e fortemente proibizionista alla questione droghe. Serpelloni ha realizzato progetti in ambito Aids, dipendenze da sostanze e sistemi informatici avanzati per il flusso dati in ambito sanitario per conto del Ministero della salute, del Ministero del welfare, del Dipartimento delle politiche antidroga, della Commissione europea e della regione Veneto;
   le associazioni antiproibizioniste lo conoscevano come «lo zar antidroga o il padrino proibizionista», appellativi che si è voluto far cucire addosso per via della sua espressa posizione proibizionista sulle droghe, prediligendo la cannabis come pericolo principale per la sicurezza e la salute pubblica, e da capo del Dipartimento delle politiche antidroga quindi il fautore sostenitore della persecuzione e stigmatizzazione dei semplici consumatori d cannabis ai quali applicare la sua teoria dell'emarginazione e discriminazione sociale come strumento «per aiutare i poveri drogati»;
   la relazione sui dati del 2012 offre al Parlamento altri due elementi cruciali che dovrebbero dimostrare l'efficacia dell'approccio proibizionista nel calo dei consumi di droghe. Il primo: il numero assoluto di consumatori nel nostro paese è di 1 milione 830 mila. Il secondo: «tra il 2010 ed il 2012 si osserva una generale contrazione di consumatori di tutte le sostanze indagate con differenze statisticamente significative della cannabis». Per questa prima relazione, del 2012 basata ovviamente su dati dell'anno precedente, l'allora ministro con delega al contrasto alle tossicodipendenze, Andrea Riccardi (Governo Monti), visto il basso tasso di risposta ai questionari usati dal Dipartimento delle politiche antidroga per censire i consumi (pari al 33,4 per cento) rendeva tale dato «difficilmente rappresentativo» e avrebbe imposto di aggiungere per la prima volta un inciso sulla «non validità statistica del dato trasmesso»;
   Serpelloni gestiva e amministrava un Dipartimento delle politiche antidroga da quasi 50 milioni di euro: prima grossa fetta delle risorse gestite dal dipartimento di Serpelloni è quella dei fondi gestiti col Piano progetti 2010 attraverso 49 progetti e budget di 26 milioni di euro circa. Poi nel 2011, altri 30 progetti con un budget di 9 milioni di euro. Nel 2012, il Dipartimento delle politiche antidroga dispone di 11 milioni di euro da assegnare a 48 progetti ed infine altri 6 milioni per 29 progetti finanziati nel 2013, oltre 150 progetti finanziati, di cui circa una novantina riportati sul sito di Palazzo Chigi; su circa un terzo dei progetti (33 su oltre 90), sul sito di Palazzo Chigi; riporta il coinvolgimento a vario titolo dell'azienda Ulss 20 di Verona, spesso come soggetto per il coordinamento operativo, ma a volte anche per una collaborazione;
   il nome della Ulss di Verona, infine, ritorna quasi nella metà dei 22 siti internet voluti da Serpelloni con largo impiego di società sviluppatrici veronesi, come si può vedere sia sui canali Droganews, Consorzio Etico Valore e Salute, Droga No Grazie, Diagnosi Precoce, Gambling sviluppati da Awb Informatica di Verona, sul sistema di Allerta precoce, sviluppato dalla Ciditech di Vigasio, provincia di Verona;
   la gran parte dei siti internet rimanenti, infine, è stato curato dal sistema Dronet.org, fondato anni fa da Serpelloni e realizzato dall'Azienda Ulss 20 Verona e dalla sua « web division». Il tutto pare venisse autogestito –:
   se risulti agli atti quale sia l'elenco completo dei progetti gestiti dal Dipartimento per le politiche antidroga nel periodo indicato in premessa e quanti siano i progetti nei quali ha avuto parte e a che titolo l'azienda Ulss 20 Verona. (4-13316)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   NICOLETTI e QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo articoli di stampa, il diciottenne nordcoreano Song-Hyok Choe, dopo aver partecipato ad un campus organizzato a Perugia dall’Italian Soccer Management – ove lo ha notato il capo dello scouting viola – ed appena compiuti 18 anni, è stato tesserato dalla società calcistica Fiorentina ACF s.p.a. Choe milita ora nel campionato Primavera ed avrebbe firmato con il club toscano un contratto che lo qualifica quale «giovane di serie», ai sensi dell'articolo 33 delle norme organizzative interne della FIGC. Il contratto è stato depositato nei primi giorni di marzo 2016;
   insieme a Choe hanno partecipato al Campus a Perugia, organizzato dalla sopracitata società sportiva dilettantistica Italian Soccer Management – specializzata nella ricerca e formazione di giovani talenti – anche altri due atleti, Han Kwang-Song Pak Yong-Gwan;
   altri due giovani calciatori nordcoreani – entrambi 18enni – l'attaccante Jong Chang Bom e il portiere Ri Chol Song sono in prova per un eventuale tesseramento con la squadra Primavera della società sportiva calcio Napoli s.p.a.;
   sempre secondo indiscrezioni di stampa, sulla base delle regole del mercato calcistico, i suddetti calciatori potrebbero stipulare contratti del valore di 50-100 mila euro;
   l'organo di governo del calcio nella Corea del nord è la DPR Korea Football Association, la Federazione nordcoreana di calcio. Essa, come tutte le istituzioni di Pyongyang, dipende dal Governo di Kim Jong-un. In virtù degli stretti rapporti tra Italian Soccer Management e Pyongyang, il segretario generale della Federazione nordcoreana di calcio si è recato in Italia nel mese di gennaio 2016 per discutere dei contratti e delle condizioni di permanenza dei giocatori nordcoreani nel nostro Paese;
   la Chobyong, la squadra di provenienza dei primi tre calciatori citati, sembra essere di proprietà dell'Esercito nordcoreano;
   normalmente, per aggirare l'embargo economico, molte società e/o autorità nordcoreane, soprattutto quelle di Stato, tendono a realizzare triangolazioni con versamenti di denaro in Cina o a Hong Kong;
   secondo lo studio di « Human Rights and North Korea's Overseas Labor: Dilemmas and Policy Challenges», pubblicato nel maggio del 2015 dal Database center for North Korean Human Rights, nessun nordcoreano che lavori fuori dai confini nazionali può tenere per sé lo stipendio. Il rapporto sostiene in particolare che le politiche di indottrinamento e le misure di sorveglianza valgono a maggior ragione per i nordcoreani che si trovano all'estero. Ai nordcoreani vengono normalmente negati contatti con la stampa, mentre le relazioni con i colleghi stranieri sono limitate a quanto strettamente necessario per l'effettiva esecuzione del lavoro;
   sempre secondo il sopracitato studio, sono inoltre fortemente limitate le comunicazioni con la Corea del Nord, che possono avvenire solo parzialmente e per corrispondenza. Sono infine vietati l'utilizzo dei social network e l'accesso ad internet;
   appena arrivano in territorio straniero, ai nordcoreani vengono confiscati i documenti. In questo modo, se si allontanano dal luogo di lavoro, non possono provare la propria identità;
   per quanto riguarda il contratto di lavoro, solitamente l'azienda o la società che li assume contatta le autorità nordcoreane (nel caso del calcio, la Federazione nordcoreana di calcio). Pare che, in media, il 70 per cento dello stipendio debba essere devoluto all'autorità, mentre solo il 30 per cento resta al dipendente. Una parte di quest'ultima percentuale, tra l'altro, è utilizzata per sostenere il Partito al governo. Tale sostegno è obbligatorio per ogni cittadino nordcoreano;
   lo sport è indiscutibilmente un fenomeno di sensibilità sociale, che ha importanti riflessi anche in campo economico e politico, ed è nello stesso tempo un fattore di civiltà e di relazione pacifica tra le persone e tra i popoli;
   lo sport può rappresentare un veicolo di formazione e di sviluppo sociale e civile particolarmente riconosciuto dai giovani, che dalle attività sportive ricavano un impulso per guardare al di là delle barriere nazionali, culturali e sociali, mentre le sopraddette limitazioni ai danni dei calciatori nordcoreani contribuirebbero ad isolarli, compromettendone significativamente la loro libertà –:
   se siano a conoscenza che i giovani calciatori nordcoreani attualmente nel nostro Paese sarebbero sottoposti alle limitazioni sopradescritte, in particolare la confisca dei documenti, l'impossibilità di comunicare con la Corea del Nord e il divieto di accesso ad internet, che costituirebbero una forte restrizione delle libertà individuali;
   se siano a conoscenza che essi percepirebbero solamente il 30 per cento dello stipendio, in quanto il restante 70 per cento è destinato all'autorità statale nordcoreana;
   se intendano verificare le modalità di pagamento dei calciatori da parte delle sopraddette società calcistiche italiane al fine di controllare che le operazioni effettuate a favore delle autorità statali nordcoreane non abbiano aggirato l'embargo con transazioni attraverso Paesi terzi;
   se intendano verificare gli importi contrattuali e che i compensi annui vengano effettivamente versati ai singoli calciatori e non nelle casse delle autorità statali nordcoreane;
   come intendano assicurare il pieno rispetto delle libertà individuali e dei diritti fondamentali dei calciatori nordcoreani ingaggiati dalle società italiane e ospitati nel nostro Paese. (5-08784)

Interrogazione a risposta scritta:


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nell'Ontario, dove si è insediata la maggior parte degli emigrati italiani in Canada nel secondo dopoguerra, ha avuto nei decenni passati una notevole espansione l'insegnamento della lingua e della cultura italiana, in virtù dell'impegno di un ente gestore come il Centro scuola e delle politiche di apertura, ispirate dal multiculturalismo, delle autorità locali;
   l'aspetto più positivo di tale esperienza, che si distingue a livello globale, è che molte centinaia di corsi di italiano sono stati integrati negli ordinamenti scolastici locali ed offerti in tal modo non solo ai discendenti delle famiglie di origine italiana, ma all'intera utenza scolastica, con evidenti benefici di ordine quantitativo per quanto riguarda il numero delle frequenze e di ordine qualitativo per quanto riguarda il carattere interculturale della didattica;
   tale espansione dell'insegnamento dell'italiano è avvenuta anche grazie al sostegno finanziario sia del Governo italiano, tramite il Centro scuola, che di quello dell'Ontario, un sostegno che sul versante italiano è gradualmente diminuito a causa delle note restrizioni finanziarie degli ultimi anni;
   di recente, lo York Catholic District School Board, che organizza corsi di italiano nelle zone di più densa presenza di persone di origine italiana, ha convocato una riunione per il 31 maggio 2016 nella quale l'organismo gestionale di tale ente deciderà se approvare la proposta di ridimensionamento del suo International Languages Program;
   l'eventuale adozione di tale provvedimento restrittivo avrà pesanti conseguenze sull'insegnamento dell'italiano in particolare nell'area di Woodbridge e Maple, dove è molto alta la presenza degli italiani, poiché comporterà la scomparsa di circa 400 corsi integrati in 23 scuole, attualmente frequentati da circa 8.500 studenti di scuola primaria;
   lo York Catholic District School Board motiva questa decisione con l'esigenza di fronteggiare perdite di gestione che annualmente si aggirerebbero tra i 150.000 e i 200.000 dollari;
   il Provveditorato cattolico aveva portato in discussione tale decisione già nell'ottobre dello scorso anno e in tale occasione per un solo ed inaspettato voto non si è raggiunta la maggioranza necessaria ad approvare i tagli prefigurati;
   per la comunità italiana dell'Ontario sarebbe un colpo durissimo sia sotto l'aspetto del suo profilo storico che sotto quello della qualità del servizio linguistico-culturale, dal momento che il programma di insegnamento della lingua italiana risale agli anni Ottanta e con l'andare del tempo i corsi di cui si parla hanno perduto il loro carattere strettamente «etnico» e sono stati integrati nelle lezioni mattutine svolte nelle scuole locali di diverso ordine e grado –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere per interloquire con le autorità scolastiche dell'Ontario e con gli stessi responsabili del Provveditorato cattolico sull'opportunità di cercare, in piena autonomia, misure di risanamento alternative rispetto a quelle ipotizzate e per coinvolgere più direttamente, sotto la guida delle autorità diplomatiche e consolari, la comunità italiana al fine di stabilizzare le prospettive dell'insegnamento dell'italiano nell'Ontario; 
   se si intenda valutare l'opportunità dell'intervento diretto del Ministero, tramite il Centro scuola, allo scopo di superare, non solo temporaneamente, la situazione di crisi che si è venuta a creare in un'area così importante per gli interessi italiani in Canada. (4-13312)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'Alta valle del Tronto occupa una posizione geopolitica molto importante per la sua centralità nella dorsale appenninica. È luogo d'incontro di quattro regioni e di cinque province, area protetta da due parchi nazionali «Monti Sibillini e Monti della Laga», attraversati dal fiume Tronto, ed è territorio a prevalente economia zootecnica e a vocazione turistica;
   il bacino idrografico del fiume Tronto infatti, ricomprende territori della provincia di Teramo (regione Abruzzo) e della provincia di Rieti (regione Lazio);
   l'attenzione sullo stato del fiume è ritornata alle cronache in questi giorni, dopo le dichiarazioni del sindaco di Amatrice, paese a ridosso delle Sponde del fiume che denuncia lo stato di abbandono, sia da parte delle istituzioni che degli enti preposti nel quale versa il corso d'acqua;
   il primo cittadino facendo riferimento all'ultima frana dei giorni scorsi sulla Picente, strada di accesso alla città di Amatrice, sottolinea che questo: «(...) è solo l'ennesimo sintomo del degrado ambientale in cui versa. Un fiume non più tenuto in equilibrio dal lavoro agricolo attraverso il controllo delle rive dei fiumi, la manutenzione del sottobosco, il taglio selettivo della vegetazione, la rimozione del legno morto sulle sponde o nel letto del fiume. Insomma tutta la cura e la manutenzione assicurata in passato dalle popolazioni, oggi non può più essere assicurata dalle istituzioni»;
   è, allora, evidente ed indispensabile che l'alveo e le aree di pertinenza del fiume Tronto vengano rese sicure attraverso interventi vari atti a non ostacolare, in caso di piena, il normale deflusso delle acque;
   infatti, il permanere dello stato di degrado aumenta la pericolosità del fiume che, allo stato attuale, potrebbe in caso di piene eccezionali, riprodurre la drammatica situazione dell'esondazione dell'aprile del 1992 –:
   quali iniziative il Ministro interrogato, per quanto di competenza, abbia intenzione di porre in essere, anche attraverso l'istituzione di un tavolo di confronto con gli enti locali e gli organi preposti alla cura e alla manutenzione del suddetto fiume, al fine di monitorare il dissesto idro-geologico, di garantire l'incolumità della cittadinanza e di prevenire eventuali pericoli per le popolazioni residenti. (5-08785)


   BORGHI e SCUVERA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il progetto di opera autostradale proposto dalla società Infrastrutture Lombarde spa, cosiddetto Broni-Mortara, è partito nel 2007 con l'approvazione di una conferenza di servizi in regione Lombardia;
   la conferenza di servizi regionale succitata ha approvato il progetto preliminare del tratto Broni-Mortara senza aver ottenuto preliminarmente la valutazione d'impatto ambientale da produrre durante le procedure autorizzative ex articolo 24 del decreto legislativo n. 152 del 2006;
   l'autorizzazione da parte della conferenza di servizi lombarda è stata accordata nonostante il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare avesse chiesto la sospensione della procedura in quanto ritenuta illegittima;
   in data 21 ottobre 2013 la S.A. BRO.R spa, in qualità di concessionaria di Infrastrutture Lombarde spa, ha provveduto a pubblicare una nuova nota al pubblico per consentire la partecipazione alla procedura di valutazione d'impatto ambientale;
   la suddetta pubblicazione è stata annullata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che, in data 14 novembre, ha chiesto una nuova pubblicazione degli atti per difformità degli stessi con quelli depositati;
   il tratto Broni-Mortara andrebbe a congiungersi a Stroppiana, in Piemonte, come completamento del progetto;
   il suddetto tratto autostradale non è da considerarsi regionale lombardo bensì interregionale e quindi sottoposto a legislazione che prevede la produzione di valutazione d'impatto ambientale/valutazione ambientale strategica in fase preliminare e prima dell'approvazione del progetto;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, a fine aprile 2016, ha confermato il parere negativo alla valutazione di impatto ambientale –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda promuovere affinché l'esito della valutazione di impatto ambientale relativo al tratto autostradale Broni-Mortara venga rispettato e, finalmente, si accantoni un progetto non solo inutile, ma anche dannoso per l'economia locale.
(5-08786)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3887/2010 del 9 luglio 2010 è stato dichiarato lo stato di emergenza nel territorio della regione siciliana in materia di gestione dei rifiuti urbani, speciali e speciali pericolosi. Contestualmente alla dichiarazione dello stato di emergenza, il presidente della regione siciliana è stato nominato commissario delegato con il compito di predispone l'adeguamento del piano regionale di gestione dei rifiuti del 2002;
   a far data del 31 dicembre 2012 doc. 554/2), dopo due proroghe dello stato di emergenza (2011 e 2012) ed a seguito degli effetti per la variazione legislativa in materia di protezione civile nazionale, non è stato più prorogato tale stato di emergenza di cui alla ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3887/2010;
   tuttavia, la grave condizione di criticità nel settore rifiuti della discarica di Bellolampo – sia per gli aspetti di gestione del percolato sia per l'incendio del luglio del 2012, che ha portato al sequestro dell'intera area nell'aprile del 2013 – ha indotto il Governo a dichiarare nuovamente Io stato di emergenza in materia di rifiuti con l'approvazione del decreto-legge n. 43 del 2013 che interessava esclusivamente la città di Palermo e la discarica di Bellolampo (al fine di completare le attività di cui alla ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3875/2010 nonché quelle previste dall'articolo 1, comma 2 della ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3887/2010) per poi comprendere, in sede di conversione in legge (legge n. 71 del 2013), finanche l'implementazione del sistema impiantistico regionale;
   il piano regionale per la gestione dei rifiuti è stato redatto facendo seguito alla nomina del presidente della regione siciliana quale commissario delegato pro tempore per l'emergenza rifiuti in Sicilia;
   il piano è stato approvato ai sensi dell'articolo 1, secondo comma, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3887/2010: «Immediati interventi per fronteggiare la situazione di emergenza determinatasi nel settore dello smaltimento dei rifiuti urbani nella Regione Siciliana», con decreto del Ministero ambiente e della tutela del territorio e del mare dell'11 luglio 2012 (Gazzetta Ufficiale n. 179/2012); prot. GAB-DEC-2012-0000125, previo parere vincolante della Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della protezione civile specificando la prescrizione che dispone che «Il Piano Regionale per la gestione dei rifiuti in Sicilia dovrà essere sottoposto alle previste procedure di Valutazione Ambientale Strategica (VAS)»;
   ai sensi dell'articolo 7, commi 1 e 5, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, essendo il piano 2012 stato approvato da un'autorità nazionale, la procedura di valutazione ambientale strategica deve essere svolta in sede statale. Quindi è stato individuando come autorità competente il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ha adottato il parere motivato di concerto con il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che ha collaborato alla relativa attività istruttoria. Significando del pari che ai fini dell'espletamento della suddetta procedura di VAS, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è avvalso del supporto tecnico-scientifico della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS, istituita con decreto del Presidente della Repubblica 14 maggio 2007, n. 90;
   in ragione di quanto sopra la regione siciliana, dipartimento regionale dell'acqua e dei rifiuti con nota prot. 4109 del 31 gennaio 2014 ha richiesto l'attivazione della fase preliminare ai sensi dell'articolo 13, comma 1, del decreto legislativo n. 152 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni, allo scopo di definire la portata e il livello di dettaglio delle informazioni che dovevano essere fornite nel rapporto ambientale, oltreché dal rapporto preliminare che è stato trasmesso dalla regione a tutti i soggetti coinvolti nella procedura, fissando a 45 giorni la scadenza per l'invio delle osservazioni;
   il suddetto piano 2012 così redatto, veniva al fine esaminato della commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA e VAS, che con parere n. 1625 del 17 ottobre 2014 – trasmesso con la nota prot. CTVA-2014-0003612 del 22 ottobre 2014 e acquisita con prot. DVA-2014-0034787 del 27 ottobre 2014 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – si esprimeva favorevolmente in ragione però di precise e accurate prescrizioni in ordine alla riformulazione sia del rapporto preliminare sia in merito al rapporto ambientale, oltreché circa la sintesi non tecnica, cui ottemperare in tempi presumibilmente abbastanza contenuti;
   del pari con riferimenti ai contenuti del piano regionale dei rifiuti, così come sinteticamente sopra declinato, la suddetta commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale, parimenti si esprimeva con prescrizioni ed osservazioni, di cui a punto 6.1 del citato parere n. 1625 del 17 ottobre 2014;
   facendo seguito a quanto sopra, pertanto, lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare emanava congiuntamente al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo il decreto n. 100 del 28 maggio 2015, esprimendo parere positivo sulla proposta di piano regionale per la gestione dei rifiuti della regione siciliana, del quale fa parte integrante il relativo rapporto ambientale, a condizione che: «nella stesura dell'Aggiornamento, del Piano di gestione dei rifiuti in Sicilia, già avviata e nel relativo Rapporto Ambientale, siano tenute in considerazione le condizioni, osservazioni e prescrizioni del summenzionato parere n. 1625 del 17 ottobre 2014»;
   nel decreto n. 100 del 28 maggio 2015 viene riportata la nota prot. 18985 del 28 aprile 2015 a cura della regione siciliana la quale comunica che è in corso la procedura di aggiornamento del piano regionale di gestione dei rifiuti e che tale aggiornamento verrà sottoposto alla verifica di assoggettabilità a valutazione ambientale strategica regionale;
   nel decreto n. 100 del 28 maggio 2015 viene specificato come il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo dovranno essere inseriti nell'elenco dei soggetti con competenze ambientali consultati nella procedura di verifica di assoggettabilità a Vas regionale dell'aggiornamento del piano, per l'espressione del parere di competenza –:
   se, per quanto attiene all'aggiornamento del piano dei rifiuti della regione siciliana risulti al Ministro interrogato se sia stata eseguita la verifica di assoggettabilità a Vas regionale così come comunicato nella nota prot. 18985 del 28 aprile 2015 e riportato dallo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel decreto n. 100 del 28 maggio 2015. (5-08787)


   MATARRESE, PIEPOLI e VARGIU. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da quanto si evince dall'ultimo «Rapporto nazionale pesticidi nelle acque – dati 2013-2014» – edizione 2016 elaborato da ISPRA e da relativi articoli pubblicati dagli organi di informazione, il 63,9 per cento dei laghi e dei fiumi italiani e un terzo delle acque sotterranee, anche profonde, è contaminato da pesticidi che, secondo quanto rilevato dall'Organizzazione mondiale della sanità, possono essere causa di importanti ripercussioni non solo sull'ambiente ma anche sulla salute umana;
   in particolare: «...Le acque superficiali “ospitano” pesticidi nel 63,9 per cento dei 1.284 punti di monitoraggio controllati (nel 2012 la percentuale era 56,9); nelle acque sotterranee, sono risultati contaminati il 31,7 per cento dei 2.463 punti (31 per cento nel 2012). Il risultato complessivo indica un'ampia diffusione della contaminazione, maggiore nelle acque di superficie, ma elevata anche in quelle sotterranee, con pesticidi presenti anche nelle falde profonde...»;
   secondo il rapporto «...nel biennio 2013-2014 sono stati analizzati 29.220 campioni per un totale di 1.351.718 misure analitiche, con un sensibile aumento rispetto al biennio precedente. Nel 2014, in particolare, le indagini hanno riguardato 3.747 punti di campionamento e 14.718 campioni e sono state cercate complessivamente 365 sostanze (nel 2012 erano 335). Sono state trovate 224 sostanze diverse, un numero sensibilmente più elevato degli anni precedenti (erano 175 nel 2012)...»;
   in quanto alla tipologia di pesticidi più rilevati dai monitoraggi, il rapporto evidenzia che «...gli erbicidi sono ancora le sostanze più rinvenute, soprattutto a causa dell'utilizzo diretto sul suolo, spesso concomitante con i periodi di maggiore piovosità di inizio primavera, che ne determinano un trasporto più rapido nei corpi idrici superficiali e sotterranei. Rispetto al passato, è aumentata notevolmente la presenza di fungicidi e insetticidi...»;
   nelle acque superficiali, 274 punti di monitoraggio (21,3 per cento, del totale) hanno concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientali. «Le sostanze che più spesso hanno determinato il superamento sono: glifosato e il suo metabolita AMPA (acido aminometilfosforico), metolaclor, triciclazolo, oxadiazon, terbutilazina e il suo principale metabolita, desetilterbutilazina... Nelle acque sotterranee, 170 punti (6,9 per cento del totale) hanno concentrazioni superiori ai limiti di qualità ambientale...»;
   nel complesso la contaminazione è più ampia nella pianura padano-veneta. In alcun regioni la contaminazione è molto più diffusa del dato nazionale, arrivando a interessare oltre il 70 per cento dei punti delle acque superficiali in Veneto, Lombardia, Emilia Romagna, con punte del 90 per cento in Toscana e del 95 per cento in Umbria. Nelle acque sotterranee la diffusione della contaminazione è particolarmente elevata in Lombardia nel 50 per cento dei punti, in Friuli nel 68,6 per cento in Sicilia nel 76 per cento;
   uno dei dati più allarmanti è riferito alla presenza di miscele di sostanze tossiche e non già di singoli componenti. In particolari: «...più che in passato, sono state trovate miscele di sostanze nelle acque, contenenti anche decine di componenti diversi. Ne sono state trovate fino a 48 sostanze in un singolo campione. La tossicità di una miscela è sempre più alta di quella dei singoli componenti. Si deve, pertanto, tenere conto che l'uomo e gli altri organismi sono spesso esposti a miscele di sostanze chimiche, di cui a priori non si conosce la composizione...»;
   secondo ISPRA è, dunque, fondamentale prendere atto della presenza così alta di miscele di sostanze tossiche nonché del fatto che le metodologie utilizzate in fase di autorizzazione, che valutano le singole sostanze e non tengono conto degli effetti cumulativi, debbono essere analizzate criticamente al fine di migliorare la stima del rischio;
   l'analisi dei dati del monitoraggio non evidenzia una diminuzione della contaminazione nonostante sia più cauto l'impiego delle sostanze chimiche in agricoltura, così come indicato dalla normativa vigente in materia che prevede l'adozione di tecniche di difesa fitosanitaria a minore impatto, e nonostante la quantità di prodotti più pericolosi (molto tossici e tossici) si sia ridotta del 30,9 per cento relazione alla diminuzione delle vendite di prodotti fitosanitari che, nel 2014, sono scese a 130.000 tonnellate, con un calo del 12 per cento rispetto al 2001;
   nel periodo 2003 – 2014 la percentuale di punti contaminati nelle acque superficiali è aumentata di circa il 20 per cento in quelle sotterranee di circa il 10 per cento. Il fenomeno si spiega in parte fatto che in vaste aree del centro – sud, solo con ritardo, emerge una contaminazione prima non rilevata;
   il rapporto viene costruito, infatti, sulla base dei dati forniti dalle regioni e dalle Agenzie regionali per la protezione dell'ambiente, ma, anche secondo quanto riferito dalla stampa, la copertura del territorio non risulterebbe ancora né completa né omogenea soprattutto per quanto riguarda le regioni centro – meridionali ed in particolare non sarebbero disponibili informazioni relative a Molise, Puglia, Campania, Basilicata e Calabria che sono in ritardo o non avrebbero provveduto ancora ad effettuare le operazioni di monitoraggio;
   oltre ad un evidente e costante pericolo per la salute umana è rilevante il danno all'ambiente che risente della persistenza delle sostanze e delle dinamiche idrologiche spesso molto lente, specialmente nelle acque sotterranee, che possono determinare un accumulo di inquinanti, e un difficile ripristino delle condizioni naturali –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di regolamentare e disincentivare ulteriormente rispetto a quanto previsto dalla normativa vigente l'uso di sostanze chimiche in agricoltura, di promuovere progetti di ricerca volti all'individuazione di soluzioni sostenibili dal punto di vista ambientale e alternative ai pesticidi per la gestione degli infestanti nonché al fine di promuovere una campagna di informazione per gli operatori del settore agricolo, affinché possano aumentare le rispettive capacità di utilizzo corretto e consapevole di agrofarmaci. (5-08788)

DIFESA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BASILIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   già con interrogazione a risposta scritta 4-06368 l'interrogante interessava il Ministro interrogato sulle problematiche concernenti la vigente normativa che vieta gli atti diretti a condizionare o limitare l'esercizio del mandato dei componenti degli organi della rappresentanza militare (ad ogni livello) e, sulle procedure in vigore nell'ambito della difesa, con particolare riferimento alle attività svolte in forma collegiale, che pongono, in capo al comandante affiancato, la verifica della regolarità formale dei procedimenti deliberativi;
   a quanto consta all'interrogante con diverse delibere il Coir – Comando interregionale carabinieri «Pastrengo» – è intervenuto presso i comandi preposti in merito ad alcune presunte irregolarità nei procedimenti deliberativi, ed in particolare della condizione di alcuni delegati CoBaR carabinieri Lombardia, che troverebbero da oltre tre anni difficoltà a svolgere compiutamente il proprio mandato elettorale;
   i riscontri relativi ai comportamenti finalizzati a rendere difficoltoso il regolare esercizio del mandato elettorale, sarebbero stati più volte valutati dal CoCeR Carabinieri (si veda per esempio la delibera n. 468 verbale n. 0/XI del 23 settembre 2014) senza ottenere alcuna risposta nel merito, ma anche da altri COIR e CoBaR che si sarebbero occupati della materia, deliberando di interessare i comandanti affiancati con particolare riferimento a quanto accade in Lombardia;
   da ultimo una recente delibera (N. 277 Verbale n. 132/XI del 6 maggio 2016) del CoIR Pastrengo avente per oggetto: «ripristino della legalità – Generale C.A. Leonardo Gallitelli e Ministro della Difesa Roberta Pinotti Qualcuno non ha detto la verità». Dal contenuto della quale emergerebbe che tali limitazioni sarebbero riconducibili ad «una risposta ad un quesito sulla corretta interpretazione dell'articolo 905 del TUROM, proposto dal signor Comandante Interregionale Carabinieri Pastrengo (pro tempore) Gen. C.A. Vincenzo Giuliani. Risposta pervenuta dal Comando Generale e firmata dal Capo di Stato Maggiore Gen. C.A. Ilio Ciceri, d'ordine del Comandante Generale (pro tempore) Gen.C.A. Leonardo Gallitelli (f.n. 37/2-2) il quale avrebbe, di fatto, rappresentato "inserendola nella Legge" un propria valutazione ovvero “la votazione” come “variante” che tende a “limitare e condizionare” l'attività dei delegati (cosa che sarebbe peraltro vietata dalla legge) e “senza che questa valutazione suggerita come variante sia stata subordinata alle valutazioni del CoCeR Carabinieri; alle valutazioni del CoCeR Interforze; alle valutazioni del Capo di Stato Maggiore della Difesa; all'accertamento in merito al contenuto da parte del Ministro della Difesa ottenendo il relativo assenso nel rispetto della disciplina interna all'organizzazione e del funzionamento dell'Organo di rappresentanza”»;
   emergerebbe, inoltre, sempre dalla lettura della delibera del CoIr Pastrengo che «il Presidente del Cobar Lombardia T.Col. Davide Giannì, è ancora l'unico che continua ad utilizzare impropriamente “la risposta ad un quesito“, interpretando, laddove è scritto che “i membri saranno espressi dalle singole categorie”, il risultato della “votazione ad escludendum” e giustificando in questo modo il “suo agire”, cercando ancora di condizionare ed impedendo, ora ad un solo delegato, lo svolgimento del mandato elettorale a danno del pieno esercizio della Rappresentanza Militare»;
   l'ordinamento militare improntato ai principi democratici della Repubblica vieta qualsiasi discriminazione diretta o indiretta a causa delle convinzioni personali ed, al contempo, non consente che si possa impedire ai delegati di svolgere il proprio mandato elettorale –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa atteso che, diversamente da quanto riferito dal Comando generale dell'Arma dei carabinieri, dagli atti della rappresentanza militare, a giudizio dell'interrogante, sembrerebbero emergere i segnalati profili di condizionamento e di limitazione nei confronti dei delegati degli organismi di rappresentanza;
   se corrisponda al vero che, nell'ottica di una più ampia condivisione delle scelte della rappresentanza militare, il comandante della Legione carabinieri Lombardia, pur senza interferire sulle deliberazioni del Cobar, abbia più volte svolto opera di persuasione e di verifica a garanzia della regolarità nei predetti procedimenti deliberativi, rimarcando, sia nel corso delle assemblee, sia in occasione dei contatti con i singoli delegati, la necessità di operare affinché tutti svolgano il mandato loro affidato con equilibrio e spirito costruttivo;
   quali disposizioni il Ministro interrogante abbia impartito ai comandi militari affinché ciascun delegato della rappresentanza militare possa esercitare il proprio mandato liberamente e senza indebite interferenze sia in Lombardia che nelle altre parti del Paese. (4-13315)


   VILLAROSA. — Al Ministro della difesa, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 marzo 1998 D. G. (30o Gr.Sqd. Aviazione dell'Esercito «PEGASO» Catania, matricola 018780145297) ingerisce, presumibilmente in maniera non volontaria, una dose abbastanza elevata di soda caustica. Tale gravissimo «incidente» dalle conseguenze disastrose e quasi letali, provoca dei danni permanenti al soggetto protagonista di questa triste vicenda;
   dopo diversi ricoveri effettuati nel tempo, visite mediche specialistiche con lunghe e costose trasferte al nord Italia, al soggetto è stata diagnosticata «severa stenosi esofagea da caustici» e «ulcera anastomosi colo-gastrica»;
   in data 2 marzo 1999 è stato avviato un procedimento per il riconoscimento di invalidità civile, ed al soggetto il 22 ottobre 1999 è stata riconosciuta una percentuale invalidante del 40 per cento;
   il 24 maggio 1999 la procura militare di Palermo archivia il caso, dal punto di vista penale;
   il soggetto ha anche presentato istanza di pensione privilegiata, respinta e comunicata il 4 febbraio 2013 –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se intendano valutare iniziative di competenza, anche di natura eccezionale, per provare a dare una risposta concreta ad un cittadino che ha seriamente rischiato la vita prestando servizio militare (per fortuna non più obbligatorio dati i numerosi incidenti spesso sottovalutati o addirittura semi ignorati in ambiente militare) e che oggi, a parecchi anni di distanza si trova in condizioni fisiche disastrose e con pochissime, se non nulle, prospettive di poter condurre una vita lavorativa normale. (4-13323)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FASSINA, FRANCO BORDO e FOLINO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto governativo che concerne la privatizzazione di ENAV Spa, attraverso la cessione a soggetti privati del 49 per cento della quota azionaria della società detenuta dal Ministero dell'economia e delle finanze, nelle intenzioni del Governo dovrebbe contribuire al risanamento del debito pubblico, a fronte di una valutazione di mercato dell'operazione stimata in circa un miliardo di euro;
   la suddetta operazione, che di fatto, potrà incidere sulla riduzione del debito pubblico italiano per una quota del tutto irrisoria (0,023 per cento), appare molto più preoccupante in assenza di uno specifico ed esaustivo piano strategico connesso all'evoluzione e allo sviluppo del gruppo, costituito, come noto, da ENAV, TecnoSky, SICTA, ENAV Asia Pacific (Malesia) ed ENAV North Atlantic LCC (Delaware), il quale rischia una totale destabilizzazione, con gravi ripercussioni sulla capacità operativa delle aziende e sulla sicurezza dell'intero trasporto aereo civile nazionale;
   a giudizio degli interroganti, la fornitura di un servizio così strategico per lo sviluppo e per la sicurezza del trasporto aereo, come quello demandato ad ENAV, deve continuare ad essere assicurata completamente dallo Stato, come avviene nella quasi totalità delle nazioni europee ed extra-europee. Il paradigma «Società pubblica uguale inefficienza», non è riscontrabile nel caso di ENAV, la quale svolge invece con efficienza e profitto il mandato assegnatole. Per di più l'esperienza italiana in tema di privatizzazioni non evidenzia successi di rilievo, come dimostrato dai casi Telecom e Alitalia;
   il non trascurabile rendimento annuo delle quote ENAV, ipotizzato intorno al 7-8 per cento, per i prossimi cinque anni, anziché essere destinato alle remunerazioni di privati, dovrebbe invece costituire il mezzo attraverso il quale realizzare i continui e necessari investimenti in tecnologie e sicurezza, tipici del settore del trasporto aereo: è grazie a tali investimenti che si rende possibile la diminuzione dei costi dei servizi aeronautici che concorrono a formare le tariffe delle compagnie aeree, e l'aumento di competitività dell'azienda a livello internazionale;
   è ben noto che gli investimenti privati puntano a massimizzare i profitti attesi. Nel caso in questione passerebbero pertanto in secondo piano, per evidenti ragioni di costi, gli obiettivi di eccellenza del servizio in termini di qualità, sicurezza e soddisfazione economica dell'utente finale. I servizi pubblici, in particolare quelli strategici e critici come la gestione del traffico aereo, devono invece essere forniti con il massimo di sicurezza ed efficienza e al minor costo possibile, senza alcun vincolo di profitto; solo in questo modo può essere garantita la prevalenza dell'interesse generale, anziché di quello privato;
   in ambiti strategici in cui prevale la sicurezza, come quello presidiato da ENAV, la partecipazione privata dovrebbe essere fortemente sconsigliata e comunque attentamente valutata, anche in termini di potenziali conflitti d'interesse e sovrapposizioni con altri enti istituzionali del settore, come l'Aeronautica militare italiana, cui è demandata la difesa dello spazio aereo nazionale e dalla quale, non a caso, ENAV è nata all'inizio degli anni ’80 –:
   se il Governo intenda chiarire se esiste un piano strategico con la valutazione dei vantaggi e degli svantaggi dell'operazione, ivi inclusi i rischi connessi alla medesima; in particolare se siano stati attentamente valutati i rischi che potrebbero esserci in ordine alla sicurezza del trasporto aereo e quelli che potrebbero derivare da aspetti di integrazione in ambito nazionale ed internazionale, nonché se siano state previste iniziative di mitigazione in caso di insorgenza di eventi connessi ai rischi sopra indicati;
   quali soggetti abbiano redatto il piano in questione e quali lo abbiano approvato. (5-08775)


   COLLETTI, BONAFEDE, SARTI, FERRARESI e AGOSTINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   l'assistenza gratuita dell'avvocato (cosiddetto gratuito patrocinio), prevista per i processi civili, penali, tributari e amministrativi, è uno strumento preposto a garantire il rispetto dei principi costituzionali del diritto alla difesa e dell'uguaglianza dei cittadini di fronte alla legge, in quanto consente a chi non gode di un determinato reddito di accedere alla giustizia senza doverne sostenere i costi;
   in questi ultimi tempi l'importanza dell'istituto è cresciuta notevolmente a causa della crisi economica che ha costretto un numero maggiore di persone non abbienti a farvi ricorso;
   il funzionamento dell'istituto del gratuito patrocinio è da sempre stato inficiato dalla eccessiva lentezza del pagamento agli avvocati delle competenze liquidate dallo Stato a seguito dell'ammissione al patrocinio gratuito, con accumuli di ritardo nei pagamenti anche oltre i 24 mesi;
   tale eccessivo ritardo rischia di depotenziare l'istituto del gratuito patrocinio ai danni degli utenti per cui, al fine di rafforzare l'effettività e l'efficacia dello strumento, la legge 28 dicembre 2015, n. 208, «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» ( cosiddetta legge di stabilità 2016, pubblicata in Gazzetta Ufficiale n. 302 del 30 dicembre 2015 e vigente al 1o gennaio 2016), ha introdotto a favore degli avvocati la misura della compensazione crediti/tasse-imposte, volta a superare le criticità che connotano la riscossione di quanto loro spettante per le prestazioni svolte in regime di gratuito patrocinio a spese dello Stato e, al tempo stesso, a semplificare ed agevolare gli adempimenti e i rapporti reciproci tra Stato e contribuente;
   l'articolo 1, comma 778, della legge n. 208 del 2015 in particolare, prevede che «a decorrere dall'anno 2016, entro il limite di spesa massimo di 10 milioni di euro annui, i soggetti che vantano crediti per spese, diritti e onorari di avvocato, sorti ai sensi degli articoli 82 e seguenti del testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, e successive modificazioni, in qualsiasi data maturati e non ancora saldati, sono ammessi alla compensazione con quanto da essi dovuto per ogni imposta e tassa, compresa l'imposta sul valore aggiunto (IVA), nonché al pagamento dei contributi previdenziali per i dipendenti mediante cessione, anche parziale, dei predetti crediti entro il limite massimo pari all'ammontare dei crediti stessi, aumentato dell'IVA e del contributo previdenziale per gli avvocati (CPA). Tali cessioni sono esenti da ogni imposta di bollo e di registro»;
   per espressa previsione di legge di cui al successivo comma 780, l'operatività della misura della compensazione è stata, però, subordinata all'adozione di un «decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della giustizia, da emanare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge», volto a stabilire «criteri, priorità e modalità per l'attuazione delle misure di cui al comma 778»;
   in base a tale prescrizione, dunque, il decreto di cui al comma 780, legge n. 208 del 2015, che costituisce condizione necessaria per rendere operativa la misura della compensazione, avrebbe dovuto essere emanato entro il 1o marzo 2016;
   a quella data, e a tutt'oggi, nessun decreto volto a stabilire «criteri, priorità e modalità per l'attuazione delle misure di cui al comma 778» risulta essere stato emanato dal Ministero competente, con la conseguenza che dopo oltre quattro mesi dall'entrata in vigore della legge lo strumento della compensazione dei crediti relativi al gratuito patrocinio con spese dello Stato: imposte e tasse previsto a beneficio degli avvocati ma anche dei soggetti non abbienti utenti del servizio non è ancora operativo;
   l'inerzia del Governo rischia i vanificare la ratio sottesa alla previsione della misura –:
   se i Ministri interrogati, siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, in particolare, delle ragioni della mancata adozione del decreto di cui all'articolo 1, comma 780, della legge n. 208 del 2015;
   quale sia il tempo stimato ritenuto necessario per provvedervi. (5-08780)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, MANTERO, CASTELLI, PESCO, CASO e SORIAL. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Corte dei Conti, sezione di controllo per la regione siciliana il 18 maggio 2016 è intervenuta con una sua ordinanza nel merito del piano di riequilibrio finanziario pluriennale del comune di Catania – verifica ai sensi dell'articolo 243-quater, commi 3 e 5 del TUEL relativamente al primo e secondo semestre 2015;
   nell'ordinanza sopra citata sono emersi allo stato degli atti le seguenti criticità:
    1) «Il notevole incremento del disavanzo di amministrazione da euro 140.106.096,00 al 31- 12 –2011 risulta aumentato al 31 12 2014, ad euro 169.706.813,80. Detto disavanzo (...) risulta, allo stato, rideterminato all'ammontare complessivo di euro 580.987.451,22 (...)»;
    2) «Un'esposizione debitoria, al 31-12- 2015, in notevole aumento rispetto a quella rappresentata al momento dell'approvazione del piano di riequilibrio finanziario come di seguito riassunta:
     a) i debiti fuori bilancio da ripianare al momento dell'approvazione del piano di riequilibrio pluriennale ammontavano ad euro 86.504.865,00, di cui euro 25.496.053,00 provenienti dalle società partecipate(...);
     (...)
     d) i debiti fuori bilancio relativi alle società partecipate, denunciati al momento dell'approvazione del piano di riequilibrio finanziario, risulterebbero riconosciuti e pagati tramite l'anticipazione di liquidità ottenuta dalla CC.DD.PP. Ciò nonostante risultano, alla data 31-12-2014 posizioni debitorie nei confronti degli organismi partecipati non ancora definite, con particolare riferimento a Sidra spa, nei confronti della quale risulta un'esposizione debitoria di circa 41 milioni di euro, e posizioni debitorie/creditorie non conciliate con le altre società partecipate (...), quali ad esempio il disallineamento con Catania Multiservizi per circa 4 milioni di euro ed il disallineamento contabile con ASEC TRADE per euro 198.827,40. Risultano confermati, inoltre, i profili di criticità, già evidenziati con il deferimento per l'adunanza del 15 marzo 2016, in merito al pagamento, con l'anticipazione di liquidità, dei debiti certi, liquidi ed esigibili di parte corrente per un importo di circa 104 milioni di euro maturati nei confronti degli organismi partecipati e principalmente verso AMT in liquidazione, AMT Spa, Catania Multiservizi spa e Sidra spa, (...)»;
    3) «una situazione finanziaria, in termini di cassa, che sembra evidenziare rilevanti aspetti di criticità in merito alla capacità dell'ente di garantire gli equilibri di cassa negli esercizi futuri, atteso che:
     a) l'ente ricorre costantemente (365 giorni all'anno) e per importi considerevoli all'anticipazione di tesoreria la quale, pur avendo subìto una leggera flessione negli esercizi 2012 e 2013, in termini di importo non restituito al 31-12, risulta aumentata nell'esercizio 2014, con uno scoperto di tesoreria pari a euro 95.028.869,10, con notevole aggravio della spesa per interessi passivi. (...).»;
     b) «da un'analisi comparata nel tempo sull'andamento delle riscossioni, emerge che, dall'esercizio 2012, la capacità dell'ente di riscuotere le entrate tributarie ed extratributarie risulta peggiorata, con particolare riferimento alle entrate provenienti dall'attività di recupero dell'evasione tributaria e di quelle relative alle sanzioni per la violazione del Codice della strada. (...)»;
    4) «il persistere delle criticità inerenti la gestione dei residui che, contrariamente a quanto programmato al momento dell'approvazione del piano, registrano nel corso dell'ultimo quadriennio, un aumento dei residui totali al termine dell'ultimo quadriennio (...)»; «(...) emerge che nonostante le consistenti operazioni di cancellazione dei residui vetusti, che si sono susseguite dall'esercizio 2012 ad oggi, la mole complessiva dei residui totali presenta un andamento crescente nel tempo, attestandosi, al 31 12 2015, ad euro 905.570.288,55 per quanto riguarda i residui attivi, e ad euro 907.913.394,08 relativamente ai residui passivi. Nel dettaglio, è possibile rilevare come la percentuale di pagamento dei residui passivi sia di gran lunga superiore rispetto a quella di riscossione dei residui attivi, confermando le difficoltà dell'ente a garantire gli equilibri di cassa con le risorse proprie, e da ciò il costante ricorso alle anticipazioni di liquidità (tesoreria e anticipazioni erariali (...) ); «per quanto riguarda il perseguimento degli obiettivi intermedi fissati nel piano di riequilibrio pluriennale, dall'aggregazione dei dati forniti dati forniti dal Collegio dei revisori per i due semestri dell'esercizio finanziario 2015, emergerebbe il sostanziale mancato perseguimento degli equilibri finanziari(...); «(...) si rileva che a fronte di un aumento degli impieghi pari a circa il 51 per cento, l'Ente consegue, nell'esercizio 2015 un aumento di risorse pari a circa il 27 per cento, che non garantirebbe la copertura finanziaria delle passività scaturenti:
     1) dal maggior stanziamento delle risorse a titolo di fondo accantonamento residui (...);
     2) dal maggior taglio dei trasferimenti erariali e regionali rispetto a quanto preventivato in sede di approvazione del piano di riequilibrio finanziario;
     3) dall'aumento dei debiti fuori bilancio;
     4) dalla minore lotta all'evasione tributaria»;
   il decreto 18 febbraio 2013 «Individuazione degli enti locali strutturalmente deficitari sulla base di appositi parametri obiettivi per il triennio 2013-2015 (Gazzetta Ufficiale n. 55 del 6 marzo 2013 e comunicato di cui alla Gazzetta Ufficiale n. 102 del 3 maggio 2013) del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze» si prevede nell'allegato B:
    «Parametri obiettivi per i comuni:
     1) valore negativo del risultato contabile di gestione superiore in termini di valore assoluto al 5 per cento rispetto alle entrate correnti (a tali fini al risultato contabile si aggiunge l'avanzo di amministrazione utilizzato per le spese d'investimento);
     2) volume dei residui attivi di nuova formazione provenienti dalla gestione di competenza e relativi ai titoli I e III, con l'esclusione delle risorse a titolo di fondo sperimentale di riequilibrio di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 23 del 2011 o di fondo di solidarietà di cui all'articolo 1, comma 380 della legge 24 dicembre 2012 n. 228, superiori al 42 per cento rispetto ai valori di accertamento delle entrate dei medesimi titoli I e III esclusi gli accertamenti delle predette risorse a titolo di fondo sperimentale di riequilibrio o di fondo di solidarietà;
     3) ammontare dei residui attivi provenienti dalla gestione dei residui attivi e di cui al titolo I e al titolo III superiore al 65 per cento, ad esclusione eventuali residui da risorse a titolo di fondo sperimentale di riequilibrio di cui all'articolo 2 del decreto legislativo n. 23 o di fondo di solidarietà di cui all'articolo 1 comma 380 della legge 24 dicembre 2012 n. 228, rapportata agli accertamenti della gestione di competenza delle entrate dei medesimi titoli I e III ad esclusione degli accertamenti delle predette risorse a titolo di fondo sperimentale di riequilibrio o di fondo di solidarietà;
     4) volume dei residui passivi complessivi provenienti dal titolo I superiore al 40 per cento degli impegni della medesima spesa corrente;
     5) esistenza di procedimenti di esecuzione forzata superiore allo 0,5 per cento delle spese correnti anche se non hanno prodotto vincoli a seguito delle disposizioni di cui all'articolo 159 del tuel;
     6) volume complessivo delle spese di personale a vario titolo rapportato al volume complessivo delle entrate correnti desumibili dai titoli I, II e III superiore al 40 per cento per i comuni inferiori a 5.000 abitanti, superiore al 39 per cento per i comuni da 5.000 a 29.999 abitanti e superiore al 38 per cento per i comuni oltre i 29.999 abitanti; tale valore è calcolato al netto dei contributi regionali nonché di altri enti pubblici finalizzati a finanziare spese di personale per cui il valore di tali contributi va detratto sia al numeratore che al denominatore del parametro;
     7) consistenza dei debiti di finanziamento non assistiti da contribuzioni superiore al 150 per cento rispetto alle entrate correnti per gli enti che presentano un risultato contabile di gestione positivo e superiore al 120 per cento per gli enti che presentano un risultato contabile di gestione negativo, fermo restando il rispetto del limite di indebitamento di cui all'articolo 204 del Tuel con le modifiche di cui di cui all'articolo 8, comma 1 della legge 12 novembre 2011, n. 183, a decorrere dall'1 gennaio 2012;
     8) consistenza dei debiti fuori bilancio riconosciuti nel corso dell'esercizio superiore all'1 per cento rispetto ai valori di accertamento delle entrate correnti, fermo restando che l'indice si considera negativo ove tale soglia venga superata in tutti gli ultimi tre esercizi finanziari;
     9) eventuale esistenza al 31 dicembre di anticipazioni di tesoreria non rimborsate superiori al 5 per cento rispetto alle entrate correnti;
     10) ripiano squilibri in sede di provvedimento di salvaguardia di cui all'articolo 193 del Tuel con misure di alienazione di beni patrimoniali e/o avanzo di amministrazione superiore al 5% dei valori della spesa corrente, fermo restando quanto previsto dall'articolo 1, commi 443 e 444 della legge 24 dicembre 2012 n. 228 a decorrere dal 1o gennaio 2013; ove sussistano i presupposti di legge per finanziare il riequilibrio in più esercizi finanziari, viene considerato al numeratore del parametro l'intero importo finanziato con misure di alienazione di beni patrimoniali, oltre che di avanzo di amministrazione, anche se destinato a finanziare lo squilibrio nei successivi esercizi finanziari»;
   il giornale online Iene Sicule il 22 maggio 2016 pubblica un articolo dal titolo: «Romanzo Comunale, l'ultima allarmante nota della Corte dei Conti, Carlo Cittadino (ex revisore dei conti): ecco cosa consiglio al sindaco...»;
   nell'articolo, riferito all'ultima nota della Corte dei Conti, sezione di controllo per la regione siciliana, in merito piano di riequilibrio finanziario pluriennale del comune di Catania è scritto: «L'origine e la causa della confusione contabile risiede nella mancata applicazione del regolamento comunale di contabilità che in materia di "debiti fuori bilancio" fra l'altro obbliga l'ufficio ragioneria dell'Ente di tenere un libro dei debiti fuori bilancio con la relativa annotazione di ogni singolo debito, della data con la sottoscrizione del ragioniere generale. Purtroppo, a Catania non è mai esistito questo libro dei debiti fuori bilancio e se a tutto questo aggiungete che l'ufficio ragioneria non si è uniformato al protocollo online unico per tutto l'ente, ma ancora continua ad avere un proprio protocollo proprio della direzione, il caos regna sovrano. Ognuno degli addetti (assessori, ragionieri, direzioni partecipate etc...), non avendo contezza e certezza dei valori contabili predispone nella premura sempre elenchi aggiornati di debiti, di riconciliazioni che puntualmente trasmette alla Corte dei Conti, ma come avete potuto constatare, negli ultimi anni puntualmente la Corte dei Conti con numerose pagine, richiede chiarezza e certezza»;
   con riferimento ai coefficienti di deficitarietà del comune di Catania si evidenzia quanto segue:
    1) occorrerebbe chiarire come negli ultimi anni siano stati calcolati i coefficienti di deficitarietà;
    2) si sottolinea che la deficitarietà dell'ente scatta appena si raggiungono cinque su dieci punti;
    3) che al comune di Catania, sebbene obbligatoria dal 2012, non è stata mai fatta la riconciliazione dei debiti con le società partecipate;
    4) che la conciliazione dei debiti e crediti delle partecipate è stata effettuata solamente nell'ultimo bilancio consuntivo approvato il 30 dicembre 2015 dal consiglio comunale in quanto richiesto dal commissario ad acta nominato dalla regione siciliana;
    5) che la sola e ultima conciliazione dei debiti e crediti delle partecipate asseverati dai rispettivi collegi dei revisori è parziale in quanto non sono stati indicati i dati della maggiore partecipata Sidra Spa e di altre due minori partecipate;
    6) che la situazione dei debiti fuori bilancio, sebbene ripetutamente la Corte dei Conti intervenuta per chiedere chiarezza e relativa quantificazione esatta sull'ammontare con la sottoscrizione del dirigente ragioneria sui debiti, ancora oggi non quantificabile e fungibile;
    7) che il protocollo informatico online e progressivo al comune di Catania non è stato attivato da tutte le direzioni;
   in risposta ad una interrogazione della prima firmatari a del presente atto la n. 5-06038, discussa il 25 novembre 2015, sulle criticità finanziarie del bilancio del comune di Catania, la Sottosegretaria Paola De Micheli afferma che: «i servizi ispettivi di finanza pubblica hanno effettuato una verifica amministrativo-contabile presso il Comune di Catania nel 2007. Osserva tuttavia che, considerate le criticità segnalate, anche alla luce delle decisioni della magistratura contabile, l'Ispettorato generale di finanza pubblica del Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato valuterà, nell'ambito delle proprie competenze, l'eventuale inserimento dell'ispezione richiesta nelle future programmazioni»;
   il decreto-legge 18 agosto 2000, n. 267 Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali all'articolo 148 (controlli esterni), comma 2 prevede: «2. Il Ministero dell'economia e delle finanze – Dipartimento della Ragioneria generale dello Stato può attivare verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile, ai sensi dell'articolo 14, comma 1, lettera d), della legge 31 dicembre 2009, n.196, oltre che negli altri casi previsti dalla legge, qualora un ente evidenzi, anche attraverso le rilevazioni SIOPE, situazioni di squilibrio finanziario riferibili ai seguenti indicatori: a) ripetuto utilizzo dell'anticipazione di tesoreria; b) disequilibrio consolidato della parte corrente del bilancio; (...)» –:
   se siano a conoscenza degli importi riguardanti i debiti fuori bilancio del comune di Catania alla data odierna;
   se risulti quale sia l'entità dei debiti fuori bilancio relativi alle società partecipate del comune di Catania e se sia stata effettuata la riconciliazione dei debiti con le società partecipate;
   se l'attuale situazione finanziaria del comune di Catania non possa eventualmente pregiudicare gli equilibri di cassa negli esercizi futuri dell'ente comunale etneo;
   se lo squilibrio finanziario del comune di Catania accertato dalla Corte dei Conti, sezione di controllo per la regione siciliana al 31 dicembre 2014, con uno scoperto di tesoreria pari a euro 95.028.869,10, non possa determinare un ulteriore aggravio della spesa per interessi passivi, i cui costi ricadrebbero, inevitabilmente, sulla comunità catanese;
   se siano a conoscenza della capacità dell'ente comunale di Catania di riscuotere le entrate tributarie ed extratributarie, con particolare riferimento alle entrate provenienti dall'attività di recupero dell'evasione tributaria e quale sia l'entità complessiva dell'entrate in proporzione alle uscite;
   se siano a conoscenza dell'entità di pagamento dei residui passivi che risulterebbe superiore rispetto a quella di riscossione dei residui attivi, confermando le difficoltà del comune di Catania a garantire gli, equilibri di cassa con le risorse proprie e quali iniziative di competenza intendano intraprendere;
   se il piano di riequilibrio finanziario pluriennale del comune di Catania relativamente al primo e secondo semestre 2015, rispetti quanto previsto dal decreto 18 febbraio 201 «Individuazione degli enti locali strutturalmente deficitari» e in particolare, se sia conforme agli standard previsti nell'allegato B riferito ai parametri obiettivi per i comuni;
   se siano a conoscenza della procedura contabile adottata dal comune di Catania per censire i propri debiti fuori bilancio;
   se il comune di Catania, negli ultimi cinque anni, abbia calcolato i coefficienti di deficitarietà del proprio bilancio, osservando quanto previsto dalle norme vigenti;
   se non si ritenga di attivare attraverso il dipartimento della ragioneria generale dello Stato verifiche sulla regolarità della gestione amministrativo-contabile del comune di Catania in base all'articolo 148 (controlli esterni) comma 2, del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 – Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali. (5-08783)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante segnala come, da diversi decenni, l'Agenzia territoriale per la casa della provincia di Novara e di Verbano – Cusio – Ossola, sia stata caratterizzata da una quantomeno discutibile gestione, i cui negativi effetti continuano a manifestarsi anche attualmente, attraverso una serie di contenziosi giudiziari, conclusi con le sentenze di annullamento da parte del tribunale di Novara, di alcune delibere da parte della medesima Agenzia, condannata nel frattempo (in base ad un regio decreto del 1938) a gestire un intero quartiere, nonostante nel corso degli anni, un comitato, con l'ausilio di diversi amministratori esterni, pare abbia compiuto atti di malversazione, con un presumibile danno di diverse centinaia di migliaia di euro per le casse dell'Agenzia medesima;
   le difficoltà insorte a causa di tale gestione, nel corso degli anni 2012, 2013 e 2014, hanno determinato una serie di conseguenze, di particolari gravità finanziaria, per i proprietari degli immobili, causate dalla fatturazione in ritardo da parte dell'Eni, del consumo del gas di una serie di bollette d'importi rilevanti, in quanto le assemblee condominiali, non sono state nel frattempo convocate (per mancanza dei locali capienti) anche per responsabilità oggettive conseguenti alla gestione poco chiara degli amministratori di turno;
   i problemi gestionali causati dai medesimi amministratori dell'Atac sono ulteriormente aumentati nei confronti dei condomini, in quanto, nonostante avessero concordato con l'Eni, una serie di rateizzazioni per le fatture scadute, le condizioni di morosità da parte dei medesimi sono complessivamente aumentate, a causa dell'impossibilità di far fronte alle spese fisse amministrative;
   ulteriori profili di criticità si rinvengono anche nell'incongruità delle tavole catastali, in quanto da una verifica eseguita presso il catasto si è rilevato che alcuni stabili risultano con pratiche incomplete o inesistenti, e inoltre non è stato operato il frazionamento dei terreni adibiti a giardino, le cui conseguenze a parere dell'interrogante, un danno erariale di portata consistente;
   risulta necessaria, a giudizio dell'interrogante, in conseguenza di quanto in precedenza esposto, una serie di verifiche da parte del Ministro interrogato, al fine di accertare se la gestione dell'Agenzia territoriale per la casa suesposta sia stata corrispondente ai criteri di efficienza, efficacia, nonché dai principi di legalità e corretta amministrazione propri del settore pubblico, o invece tale condotta non abbia comportato, come parrebbe all'interrogante, una serie di gravissimi danni economici e morali per i condomini del quartiere interessato, i quali sono stati costretti a far fronte a pagamenti condominiali, accumulati nel corso degli anni, di importi superiori alle loro possibilità;
   inoltre, la sentenza della Corte di cassazione che ha «stravolto» i 2 gradi di giudizio solo nel punto di responsabilità dell'ATC, che non obbliga più ATC all'amministrazione del complesso ma addirittura glielo vieta, ha causato nel tempo, evidenti effetti negativi e penalizzanti per i condomini e le casse pubbliche –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e delle criticità in precedenza richiamate sia con riferimento alla gestione dell'Agenzia territoriale per la casa della provincia di Novara e di Verbano – Cusio – Ossola, che alla situazione catastale all'interno del quartiere interessato per alcuni immobili che potrebbe aver determinato nel corso degli anni un danno economico di rilevante entità;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere, anche promuovendo una verifica da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica della ragioneria generale dello Stato, al fine di fare chiarezza su una gestione dell'Agenzia predetta, che da diversi anni, a giudizio dell'interrogante, determinerebbe sprechi e inefficienze evidenti. (4-13305)


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come si legge dai giornali, tra novembre e dicembre 2013, sono intercorse due telefonate al direttore regionale del Lazio di Equitalia da parte di Gabriella Alemanno, vicedirettrice dell'Agenzia delle entrate e azionista di maggioranza di Equitalia. La vicedirettrice sarebbe intervenuta per fare sospendere cartelle esattoriali ad un'amica ex manager dell'Atac;
   secondo la ricostruzione del nucleo valutario della Guardia di finanza, la telefonata della Alemanno sarebbe stata utile per bloccare due cartelle esattoriali, una da circa 20 mila e l'altra da 47 mila euro, ed evitare il pignoramento degli stipendi, per poi rateizzare e regolamentare la sua posizione con Equitalia il 24 aprile 2014 con la richiesta di rateizzazione dei pagamenti;
   un altro caso, sempre come si legge dai media, è quello di Giovanbattista Sabia direttore regionale Calabria di Equitalia, già direttore di Equitalia Roma che, in cambio della disponibilità di una Jaguar, avrebbe permesso a un concessionario auto di ottenere una rateizzazione più favorevole; inoltre, per cure di fisioterapia, aveva ridotto la cartella di un imprenditore di 10 mila euro –:
   se, a fronte della deriva giudiziaria ormai evidente, non sia il caso di assumere le iniziative di competenza per l'azzeramento dei vertici del sistema Agenzia delle entrate/Equitalia ovvero per il licenziamento dei funzionari e dei dirigenti implicati in indagini penali per violazione dei doveri d'ufficio, come per esempio è avvenuto recentemente in ANAS per opera del presidente dottor Armani che ha annunciato tali misure in sede parlamentare in occasione di un'audizione presso la Commissione parlamentare di inchiesta sul fenomeno delle mafie e sulle altre associazioni criminali, anche straniere.
(4-13310)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PETRINI, LODOLINI e PATRIARCA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso delle ultime settimane, in meno di 90 giorni, nella città di Fermo si sono registrati alcuni atti intimidatori nei confronti di chiese del territorio che hanno raggiunto livelli a dir poco allarmanti;
   l'ultimo episodio in ordine di tempo si è registrato domenica 22 maggio 2016 in prossimità della chiesa di Campiglione, facendo seguito a quelli precedentemente verificatisi presso le Chiese del Duomo (27/28 febbraio), di S. Tommaso di Canterbury (7/8 marzo) e dell'Abbazia di San Marco alle Paludi (notte 12/13 aprile) di cui è parroco don Vinicio Albanesi, presidente della comunità di Capodarco, da sempre particolarmente impegnato nell'assistenza ai poveri e ai migranti;
   in queste tre ultime circostanze le bombe sono deflagrate;
   i sacerdoti delle Chiese coinvolte risultano particolarmente attivi sul fronte dell'assistenza ai poveri e agli emarginati e dell'accoglienza ai profughi;
   le indagini sono in capo al reparto operativo dei carabinieri di Ascoli;
   al momento gli investigatori non avrebbero escluso alcuna ipotesi, in attesa di capire se effettivamente l'episodio sia da considerarsi come un «avvertimento», da parte di chi è abituato ad operare con simili modalità intimidatorie, o se tale gesto non tendesse ad altri esiti rispetto alla finalità intimidatoria;
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sui fatti riportati e se e quali ulteriori iniziative di competenza intenda adottare al fine di garantire l'incolumità delle persone;
   se non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza per attivare una presenza più capillare degli organi deputati alla sicurezza pubblica e alla lotta all'illegalità. (5-08773)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo nazionale dei vigili del fuoco si contraddistingue per il suo impegno straordinario al servizio dei cittadini, in tutti gli ambiti e le funzioni attribuitigli per legge, per i quali si trova quotidianamente ad operare su richiesta di soggetti pubblici e privati;
   i corpi di polizia ed in particolare i vigili del fuoco sono i responsabili tecnici materiali della sicurezza e del soccorso pubblico, condizioni irrinunciabili per la crescita del Paese e per il miglioramento della vita dei cittadini;
   gli appartenenti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco soffrono da oltre trent'anni di una notevole sperequazione, sul piano retributivo e pensionistico, rispetto agli altri corpi dello Stato e segnatamente rispetto alle forze di polizia ad ordinamento civile, tra cui anche il Corpo forestale dello Stato e la polizia di Stato, nonostante la condivisione delle funzioni istituzionali di pubblica sicurezza, polizia giudiziaria e soccorso pubblico;
   come specificato dall'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 138 «ai fini della definizione degli ordinamenti, delle carriere e dei contenuti del rapporto di impiego e della tutela economica, pensionistica e previdenziale, è riconosciuta la specificità del ruolo delle Forze armate, delle Forze di polizia e del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, nonché dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti.»;
   alla luce di tale normativa, nonché per evidenti ragioni di equità, ad avviso dell'interrogante, è necessario riequilibrare l'anomala situazione sopra citata e porre su un piano di parità i corpi dello Stato, anche a fronte delle previste riforme che interessano le forze di polizia, conseguenti all'approvazione della legge 7 agosto 2015, n. 124 (cosiddetta legge Madia);
   in data 5 maggio 2016, il Conapo (Sindacato autonomo dei vigili del fuoco) ha proclamato lo stato di agitazione nazionale del personale appartenente al Corpo nazionale dei vigili del fuoco, preannunciando l'intenzione di indire uno sciopero nazionale della categoria, oltreché promuovere mobilitazioni di piazza;
   lo stato di agitazione è finalizzato ad ottenere l'equiparazione, sia sul piano retributivo, che pensionistico, degli operatori appartenenti alla categoria dei vigili del fuoco alle categorie degli altri corpi dello Stato, ponendo rimedio alle evidenti sperequazioni tuttora in essere;
   come specificato dai vigili del fuoco del Conapo è altresì importante istituire, per il personale in uniforme, lo scatto dell'assegno funzionale ai 17, 27 e 32 anni di servizio, in godimento dal 1987 dagli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile; perequare tutti gli importi della indennità di rischio; istituire per il personale in uniforme i sei scatti aggiuntivi (15 per cento) utili sull'importo della pensione nella misura già corrisposta agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile ai sensi dell'articolo 6-bis del decreto-legge 21 settembre 1987, n. 387; introdurre l'aumento di servizio ai fini pensionistici, nella misura pari ad un anno ogni cinque, così come già corrisposto, sin da 1977, agli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile, ai sensi dell'articolo 3, comma 5, della legge 27 maggio 1977, n. 284; introdurre per il personale direttivo e dirigente dei vigili del fuoco aumenti retributivi rispettivamente al 13o e al 23o anno di servizio ed al 15o e 25o anno di servizio, come corrisposti, dal 1981, alle medesime qualifiche direttive e dirigenziali degli appartenenti alle forze di polizia ad ordinamento civile, ai sensi dell'articolo 43, commi 22 e 23 e articolo 43-ter della legge 1o aprile 1981, n. 121 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di provvedere alla equiparazione di trattamento tra il personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco e delle forze dell'ordine sancita formalmente dalla legge e attualmente disattesa. (4-13306)


   D'ARIENZO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Verona risulta essere la seconda provincia del Veneto sia per numero di abitanti sia per estensione del territorio, oltre che importante sede di rilevanti e numerosi insediamenti industriali e commerciali e strategiche reti stradali, autostradali e ferroviarie;
   oltre ai propri residenti, Verona è visitata da oltre 20 milioni di turisti ogni anno;
   Verona rappresenta il 19 per cento della popolazione e il 17 per cento del territorio Veneto;
   la presenza dei vigili del fuoco professionisti e la copertura del territorio risultano essere la seguente:
    a) tre sedi di servizio operative a fronte di una media di 6 sedi di servizio per ogni altra provincia della regione;
    b) una sede di servizio ogni 1.032 chilometri quadrati mentre la media regionale è di una sede ogni 472 chilometri quadrati, in pratica, una sede di servizio ogni 307.888 abitanti, contro una media regionale di una sede ogni 126.348 abitanti;
    c) sulla base dei vigili del fuoco operativi sul territorio, la copertura risulta essere pari ad una unità ogni 4.016 abitanti, contro una media regionale di una unità ogni 2.548 abitanti;
   risulta evidente che intere aree della provincia, peraltro, densamente abitate, non possono godere della pronta reazione dei vigili del fuoco in caso di emergenza;
   sul lago di Garda presso il presidio nautico di Bardolino, il natante a disposizione è completamente inadeguato;
   pare che anche alcuni mezzi in uso/dotazione sino inefficienti e non disponibili;
   i dati esposti dimostrano l'inadeguatezza del sistema di sicurezza che i vigili del fuoco devono garantire per legge –:
   se il Ministro sia a conoscenza dello stato e delle condizioni dei vigili del fuoco di Verona e se ritenga adeguato il dispositivo in essere;
   se non ritenga urgente un riesame del contesto al fine di adeguare efficacemente la pronta reazione del Corpo nazionale attraverso l'incremento dei presidi permanenti con personale di professione, in particolare con l'istituzione di distaccamenti nelle aree oggi totalmente scoperte;
   se non sussista l'urgenza di incrementare il personale in forza presso il comando provinciale di Verona. (4-13314)


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 142 del 2015 contiene norme relative al domicilio dei richiedenti asilo, in recepimento della direttiva 2013/33/UE in materia di accoglienza di richiedenti protezione internazionale nonché della 2013/32/UE in materia di riconoscimento e revoca della protezione internazionale;
   in particolare l'articolo 5 del suddetto decreto-legge stabilisce che «l'obbligo del richiedente di comunicare alla Questura il proprio domicilio o residenza è assolto tramite dichiarazione da riportare nella domanda di protezione internazionale»;
   appare quindi evidente che la ratio del legislatore nazionale e comunitario è quella di non richiedere alcuna documentazione allegata comprovante l'autoattestazione della propria condizione;
   lo stesso dicasi naturalmente in caso di rinnovo dei permessi di soggiorno per protezione internazionale e umanitaria;
   d'altra parte, il combinato disposto dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 251 del 2007 e dell'articolo 6, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 21 del 2015 pone, quale unico requisito per il rilascio del permesso di soggiorno per i beneficiari di protezione internazionale, la decisione della competente commissione territoriale;
   per quanto riguarda il rinnovo dei permessi di soggiorno, il secondo comma del menzionato articolo 23 richiede, limitatamente a quello per protezione sussidiaria, la verifica della permanenza dei presupposti del riconoscimento da parte della commissione territoriale, considerando, invece, i permessi di soggiorno per asilo rinnovabili automaticamente fino al sopraggiungere di una causa di cessazione o di revoca;
   tali principi sono stati peraltro ribaditi da alcune circolari della stessa Commissione nazionale per il diritto d'asilo, in particolare la circolare n. 3744 del 18 aprile 2012 e la circolare n. 1871 del 4 giugno 2014;
   in caso di presentazione della domanda di asilo, disciplinata dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo n. 25 del 2008, la questura competente per il rilascio del permesso di soggiorno si individua d'altronde esclusivamente sulla base del luogo di dimora, non qualificato come abituale, e non sul presupposto dell'iscrizione anagrafica;
   in analogia, anche per il rinnovo del permesso di soggiorno, nessun altro requisito, che non sia la semplice indicazione di un luogo di dimora, dovrebbe quindi essere richiesto o per lo meno considerato per l'interrogante come precondizione necessaria per la definizione del procedimento di rinnovo;
   il 18 maggio 2015 il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno interveniva con una importante circolare in materia, dopo che alcune associazioni avevano denunciato la prassi della questura di Roma di richiedere come condizione per il rinnovo del permesso di soggiorno per protezione internazionale la dimostrazione documentale di disponibilità di un alloggio;
   in essa si richiamava il diritto alla residenza per tutti i cittadini stranieri in possesso di permesso di soggiorno, sulla base del decreto legislativo n. 286 del 1998 e della Convenzione di Ginevra, con ciò sottolineando come sia impossibile sul piano logico, prima che giuridico, ottenere il permesso di soggiorno senza essersi prima riconosciuto un diritto alla residenza;
   si sottolineava come la residenza fosse quindi ottenibile anche se in condizione di senza fissa dimora, attraverso l'iscrizione nel relativo Registro nazionale, dato che trattasi di un diritto soggettivo e non condizionato alla disponibilità di un alloggio stabile;
   si esplicitava che comunque l'assenza di iscrizione anagrafica non può comunque rilevare ai fini del rinnovo del permesso di soggiorno, in quanto esso è il presupposto per l'iscrizione anagrafica e non il contrario;
   si sottolineava come dalle normative vigenti emergesse inequivocabilmente l'assenza di disposizioni che impongano la dimostrazione da parte del richiedente titolare di status di rifugiato di una sistemazione alloggiativa;
   a quanto risulta all'interrogante, sulla base della denuncia da parte di alcune associazioni, nell'ultimo anno la questura di Bologna avrebbe progressivamente irrigidito le modalità di accoglimento delle richieste e dei rinnovi di permesso di soggiorno per protezione internazionale, chiedendo in particolare la documentazione relativa alla disponibilità di un alloggio e in taluni casi rigettando la richiesta sulla sola base della sua mancanza;
   questa modalità di intervento, se confermata, sarebbe in evidente e palese contrasto con tutta la normativa primaria e secondaria vigente e violerebbe i diritti fondamentali dei richiedenti asilo;
   si renderebbe quindi necessario un immediato intervento per ripristinare una prassi adeguata ai dispositivi di legge e ministeriali –:
   se sia a conoscenza che alcune questure in Italia, a partire da quella di Bologna, richiedano documentazione relativa all'alloggio eccedente rispetto alla semplice autodichiarazione in sede di richiesta o rinnovo del permesso di soggiorno per protezione internazionale;
   se non ritenga di dover disporre un'ispezione ministeriale per verificare l'eventuale sussistenza di prassi che vadano in questa direzione non corretta;
   se non ritenga di dover comunque emanare una circolare rivolta a tutte le prefetture e questure italiane, sul modello di quella inviata al prefetto e al questore di Roma il 18 maggio 2015, per ricordare come non si possa e non si debba pretendere documentazione eccedente rispetto a quella prevista dal diritto nazionale e internazionale, con particolare riferimento alla disponibilità di un alloggio. (4-13318)


   PILI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in queste ultime settimane in Sardegna si registra l'ennesimo caso di cooperative coinvolte in «mafia capitale», nella presunta accoglienza di migranti;
   le prefetture appaiono sempre meno trasparenti;
   per quanto consta all'interrogante nei siti delle prefetture risultano sempre omessi i riferimenti agli hotel e alle residenze occasionali per i migranti;
   nei giorni scorsi, a quanto risulta all'interrogante, sarebbe stato affidato a un raggruppamento di imprese coinvolte in «mafia capitale» un hotel a Quartu da 20 posti che sarebbe occupato da 70 migranti;
   si tratta di una chiara operazione tesa a giudizio dell'interrogante solo a «fare cassa»;
   ad Aglientu si registra una situazione analoga;
   tutta la partita dell'accoglienza praticamente non emerge dai siti pubblici;
   in Sardegna è di fatto scattata su larga scala un'operazione del tipo di «mafia capitale», che vedrebbe coinvolta la solita compagine di «amici» di Buzzi;
   con una spregiudicatezza senza precedenti e con un'organizzazione capillare le Cooperative coinvolte in «mafia capitale» legate al circuito di Buzzi e compagni, in questi ultimi giorni, a giudizio dell'interrogante stanno prendendo letteralmente il sopravvento nelle gare per l'affidamento dei servizi di accoglienza di migranti delle prefetture;
   in ballo ci sono oltre 30 milioni di euro di affidamenti;
   nei giorni scorsi si è definito il procedimento a Sassari per l'affidamento del servizio temporaneo di accoglienza di 1.650 cittadini stranieri richiedenti protezione internazionale e dei servizi connessi;
   nella prefettura di Cagliari la partita si è chiusa qualche giorno fa, ma il raggruppamento coinvolto nelle vicende di «mafia capitale» sta già operando da qualche giorno utilizzando la procedura dell'affidamento provvisorio con urgenza;
   i nomi delle società sarebbero emersi stamane a Cagliari e sono stati messi nero su bianco nel sito della prefettura di Sassari: con 44,50 punti al secondo posto per la spartizione dei 1.650 posti si classifica il costituendo raggruppamento temporaneo d'impresa tra TRE FONTANE e SENIS-HOSPES;
   le stesse società cooperative in questione sono tra quelle coinvolte a piene mani nell'organizzazione romana di gestione dell'affare immigrazione nella capitale;
   si tratta di uno «sbarco» da nord a sud dell'isola, a giudizio dell'interrogante, con troppe omissioni e molti silenzi;
   non appare casuale, in tale contesto, il fatto che, a quanto consta all'interrogante, da qualche giorno a Quartu, un punto ristoro, trasformato in albergo a tre stelle, dichiarato e certificato con atto del comune per 20 posti, sarebbe stato occupato da una settantina di migranti, trasferiti di tutta fretta dopo la chiusura di un altro hotel con gravi problematiche;
   nell'hotel di Quartu, a ridosso di Flumini, i certificati di abitabilità parlano di 10 stanze; in realtà, gli immigrati sarebbero, a quanto consta all'interrogante, stati letteralmente accatastati, con 6 e anche più letti al posto di 2;
   le stesse disposizioni antincendio risulterebbero non rispettate e ciò sarebbe stato rilevato nella prima fase dell'affidamento, ma allo stato non risulterebbero novità in proposito;
   a questo punto l'utilizzo di un albergo produrrebbe quello che appare all'interrogante un effetto moltiplicatore: più migranti si ospitano più si guadagna;
   la logica dello stivare è funzionale, dunque, non all'accoglienza, ma secondo l'interrogante al guadagno facile;
   con la sola operazione di Quartu le cooperative raggruppate si potrebbero portare a casa oltre 800.000 euro all'anno, anziché 250.000, cifra prevista per i 20 posti letto;
   si tratta di un'operazione che determina pesanti danni economici per lo Stato, portata avanti con la complicità di molti, che, per l'interrogante, non solo non impediscono questi imbrogli, ma di fatto finiscono per avallarli attuando procedure che ignorano qualsiasi tipo di trasparenza;
   come già osservato, neanche da siti ufficiali si traggono elementi utili a rendere trasparente tale partita di denaro; se qualche sindaco gestisse un'operazione con tale spregiudicatezza sarebbe finito certamente sotto processo;
   resta ancora da chiarire a che titolo il citato albergo di Quartu sarebbe stato utilizzato nonostante fossero in corso le procedure di apertura di buste per il completamento della fase di affidamento alla stessa compagine romana che si era nei giorni scorsi aggiudicata imponenti spazi nella provincia del Nord Sardegna;
   il Governo deve immediatamente rispondere di questa gestione secondo l'interrogante scandalosa e priva di qualsiasi controllo;
   prefetture e Governo devono soprattutto spiegare per quale motivo tale circuito non solo non è stato fermato dopo la gestione romana, ma, a giudizio dell'interrogante, si è, invece, ramificato a tal punto sino a «conquistare» la Sardegna;
   è semplicemente vergognoso quello che sta avvenendo con il silenzio di tutti;
   non si tratta di accoglienza, qui si è per l'interrogante dinanzi ad un vero e proprio sfruttamento dell'immigrazione al solo fine di trarre profitto. Tutto questo secondo l'interrogante non solo è immorale, ma sarebbe da valutare sotto il profilo giudiziario viste le condizioni di presunta accoglienza;
   i migranti sbarcano in Sardegna foraggiando di fatto le società continentali alla conquista di appalti e denari;
   a danno dell'accoglienza anche nell'isola scatta il grande affare delle società legate al giro romano e non solo;
   è inaccettabile per l'interrogante che i garanti della trasparenza non solo non pubblichino gli esiti chiari delle procedure ma omettano il numero di migranti gestito da ognuna delle cooperative;
   è gravissimo per l'interrogante che il Ministro dell'interno non intervenga in questa situazione finendo, a giudizio dell'interrogante, quasi per favorirla con silenzi e omissioni rilevanti come in relazione al rispetto delle norme di sicurezza;
   è incredibile che da Cagliari a Sassari a farla da padrona sia un raggruppamento temporaneo d'impresa che appare legato a filo doppio con la grande rete di Buzzi e compagni;
   a vincere l'affidamento sassarese è infatti la Senis Hospes e Tre Fontane (Roma);
   è quest'ultima, la Tre Fontane società cooperativa, ad essere finita nell'elenco sotto osservazione del decreto dell’ex prefetto di Roma Gabrielli diramato nei giorni scorsi e che sarà al centro dei provvedimenti da adottare a brevissimo sulla gestione di Roma Capitale;
   la Tre Fontane è una società cooperativa incaricata di gestire il sito di Valledoria, affidato agli «amici di Buzzi» per stipare migranti e guadagnare a piene mani;
   società come quella sopra indicata ricercano immobili autorizzati per alloggiare massimo 20 persone e poi di fatto a quanto risulta all'interrogante ne stivano 5 volte tanto;
   tutto con modalità di dubbia legittimità e fuori da qualsiasi parametro di sicurezza;
   sarebbero state avviate, a quanto consta all'interrogante, gare «volanti» con il massimo ribasso, poi risulterebbe arrivata la disposizione ministeriale di procedere con l'offerta economicamente vantaggiosa;
   ciò, a quanto consta all'interrogante, avrebbe inciso significativamente sugli esiti finali, anche a dispetto delle «esperienze» poi finite sotto inchiesta;
   tutto questo è semplicemente immorale;
   si tratta di un giro di «pseudo-solidarietà» e affari che va setacciato per separare la vera accoglienza dal malaffare –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sta accadendo in Sardegna nel campo della millantata accoglienza;
   se non si ritenga di dover porre fine a questa vergognosa speculazione e individuare tutti i casi di palese speculazione come quelli denunciati nel presente atto;
   se non si ritenga di dover assumere iniziative per disporre che le prefetture siano obbligate ad indicare con precisione il numero dei migranti affidati e la capienza autorizzata per ogni singolo immobile;
   se non si ritenga di dover verificare il caso relativo all'Hotel di Quartu, che risulterebbe utilizzato da 70 migranti pur avendo una capienza massima di 20;
   se non si ritenga di dover interrompere qualsiasi ulteriore invio di migranti in Sardegna, considerata la gravissima situazione legata ad una accoglienza totalmente inadeguata e priva dei necessari requisiti minimi. (4-13322)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa di maggio 2016, tre docenti dell'istituto tecnico agrario «Brau» di Nuoro sono stati sospesi per non aver voluto addestrare gli studenti al test Invalsi;
   in particolare, la vicenda può essere compresa facilmente attraverso quanto dichiarato da uno dei docenti sospesi: «Nel piano di miglioramento della scuola, approvato dal collegio docenti, è stato inserito l'addestramento alle prove Invalsi. Avremmo dovuto fare almeno due esercitazioni durante l'anno usando i materiali delle prove Invalsi dell'anno precedente. Una volta fatte e corrette le avremmo dovute discutere con la classe. In sede di dipartimento di matematica e lettere abbiamo scelto di non fare alcuna simulazione preferendo svolgere la nostra attività didattica ordinaria»;
   secondo quanto riportato da « Il Fatto Quotidiano» la scelta è sostenuta da più ragioni in primis la libertà d'insegnamento e il fatto stesso che il direttore generale dell'Invalsi, Paolo Mazzoli, in un convegno nel giugno 2015, pubblicato sulla rivista scientifica on line « Galileo» il 4 gennaio 2016, abbia sostenuto che «l'istituto nazionale di valutazione rileva e misura gli apprendimenti con riferimento ai traguardi e agli obiettivi previsti dalle indicazioni, promuovendo altresì una cultura della valutazione che scoraggi qualunque forma di addestramento finalizzata all'esclusivo superamento delle prove»;
   la contestazione di addebito è stata ricevuta il 29 marzo 2016, mentre il 6 maggio 2016 è stata comminato il provvedimento disciplinare che prevede la sospensione di 6 giorni dal lavoro a partire dal 15 giugno 2016;
   secondo il dirigente scolastico dell'istituto tecnico agrario «Brau» di Nuoro, il provvedimento disciplinare è stato comminato, in quanto il comportamento intenzionale della professoressa in questione, costituisce atto non conforme alla responsabilità, ai doveri e alla correttezza inerenti alla funzione docente;
   secondo quanto riportato dal Corriere.it, il dirigente scolastico è Innocenza Giannasi dell'istituto tecnico agrario «Brau» di Nuoro. Secondo lo stesso quotidiano la dirigente scolastica «sarebbe “recidiva” perché qualche anno fa era stata condannata dal TAR della Sardegna per aver violato le prerogative del collegio dei docenti (Circolo Didattico “Furreddu” di Nuoro), rifiutandosi di inserire all'ordine del giorno per la discussione in collegio l'argomento prove Invalsi. Dopo la sentenza del TAR il collegio deliberò a stragrande maggioranza la propria contrarietà ai quiz ed alcune docenti decisero di non somministrarli ai loro alunni»;
   il tribunale del lavoro di Nuoro ha censurato già in passato il comportamento dello stesso dirigente scolastico dichiarandolo antisindacale (http://wwvv.gilda-umams.it) –:
   se il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca sia a conoscenza dei fatti illustrati in premessa e se abbia effettuato un approfondimento attraverso il competente ufficio scolastico regionale per verificare quanto descritto;
   se nel caso risulti irrogata una sanzione disciplinare illegittima, considerando il reiterato atteggiamento di dubbia legittimità nei confronti del corpo docente, si ritenga di attivare, attraverso gli Uffici competenti, iniziative disciplinari nei confronti del dirigente. (5-08779)


   VACCA, COLLETTI, DI BENEDETTO e BRESCIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le circolari 7 marzo 2013, n. 593 e del 20 marzo 2013, n. 312 del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, a seguito di numerose polemiche riguardanti il tema del contributo volontario delle famiglie, chiariscono in maniera netta che il contributo da parte delle famiglie a favore delle istituzioni scolastiche è volontario e non può essere in alcun modo imposto; le stesse circolari ribadiscono che il contributo non può riguardare lo svolgimento di attività curricolari e che «qualunque discriminazione ingiustificata a danno degli studenti, derivante dal rifiuto di versamento del contributo in questione, sia in termini di valutazione che disciplinari, risulterebbe del tutto illegittima e gravemente lesiva del diritto allo studio dei singoli»; il dipartimento dell'istruzione ritiene auspicabile che le scuole acquisiscano il contributo volontario non attraverso comportamenti vessatori e poco trasparenti, bensì facendo leva sullo spirito di collaborazione e di partecipazione delle famiglie;
   l'avviso n. 115 del 26 gennaio 2016 del liceo ginnasio statale «G. D'Annunzio» di Pescara rivolto ai genitori degli studenti e avente come oggetto la modalità di iscrizione all'anno scolastico 2016-2017, riporta che «ai fini della regolare iscrizione è necessario effettuare il pagamento delle tasse e contributi come di seguito indicato e consegnare le ricevute in segreteria: euro 80,00 sul C.C. postale N. 10665651 intestato a: Liceo classico Pescara oppure bonifico con Cod. IBAN postale: IT12U0760115400000010665651 a titolo di contributo volontario per assicurazione, libretto giustificazioni, materiali/strumenti didattici di laboratorio, Sportello didattico, attività per l'ampliamento dell'Offerta Formativa - per gli studenti di tutte le classi»;
   da quanto esposto risulta evidente che il dirigente scolastico lega, secondo gli interroganti erroneamente e in maniera poco chiara, il versamento del contributo a fini assicurativi (si presume si tratti di assicurazione responsabilità civile (RC) e infortuni alunni) a quello del contributo volontario per l'ampliamento dell'offerta formativa;
   il «Regolamento per visite guidate, uscite didattiche, viaggi di istruzione, stage» del Liceo ginnasio statale «G. D'Annunzio» di Pescara Prot. n. 4180/C37 del 18 settembre 2014, all'articolo 8 stabilisce che, per partecipare alle visite guidate o ai viaggi di istruzione, «Gli alunni partecipanti devono consegnare... l'importo richiesto dalla scuola, in mancanza dei quali non possono partecipare al viaggio. Ulteriore condizione per la partecipazione a viaggi è il versamento del contributo volontario annuale alla scuola, in quanto ciò include la copertura assicurativa obbligatoria RC ed infortuni»;
   da tale regolamento si evince chiaramente che la quota dovuta dalle famiglie per la copertura assicurativa obbligatoria RC ed infortuni è consapevolmente legata alla possibilità di versare il contributo volontario. Questo tipo di meccanismo, quindi, non permette alle famiglie di esercitare la propria volontarietà per il versamento di un contributo non obbligatorio;
   legare il contributo volontario alla assicurazione RC ed infortuni provoca, inevitabilmente, una restrizione alla partecipazione alle uscite didattiche agli alunni che non hanno versato il contributo volontario;
   dall'esercizio finanziario 2015 del Liceo ginnasio statale «G. D'Annunzio» di Pescara si può leggere che le entrate derivanti dai contributi monetari provenienti dalle famiglie a qualsiasi titolo ammonta a circa 230.000 euro, a fronte di un totale di entrate di 552.000 euro che includono anche un avanzo di amministrazione pari a circa 262.000 euro. In pratica la scuola viene quasi totalmente finanziata dalle famiglie –:
   se il Ministro interrogato intenda chiarire, una volta per tutte, che gli istituti scolastici non possono utilizzare i contributi volontari chiesti alle famiglie per le opere relative all'assicurazione RC ed infortuni;
   se ritenga che la scelta di impedire per regolamento la partecipazione alle gite scolastiche a quegli studenti che non hanno versato il contributo volontario annuale alla scuola, in quanto include anche la copertura assicurativa obbligatoria RC ed infortuni sia conforme a quanto disposto dalle circolari sopra richiamate e alla normativa vigente;
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere una volta per tutte nei confronti di quegli istituti scolastici che, nonostante le circolari ministeriali, continuano ad avere un atteggiamento ambiguo e non conforme alle stesse. (5-08789)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BARGERO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   sin dall'avvio dell'anno scolastico, a settembre 2015, a supporto della valorizzazione della partecipazione e della rappresentanza è stata emanata una nota dal capo dipartimento (nota prot. AOODPIT 2008 del 18 settembre 2015) con invito agli uffici scolastici regionali di costituire dei «gruppi di coordinamento regionale per la partecipazione», e di favorire tutte le azioni possibili per la creazione di un sistema partecipativo attivo e propositivo che veda le componenti studentesche e genitoriali quali soggetti interlocutori indispensabili per la migliore attuazione della riforma;
   a novembre 2015 il Ministero ha pubblicato in 5 bandi, di cui il primo relativo alla partecipazione studentesca a scuola, per un importo totale di 2 milioni di euro ripartiti dalla direzione generale studente in base al numero degli studenti delle scuole secondarie di 2o grado statali delle singole regioni; il secondo alla promozione della cultura musicale nella scuola, con risorse pari a 1 milione di euro, con commissione di valutazione nazionale; il terzo relativo all'implementazione del piano nazionale per la prevenzione dei fenomeni di bullismo e cyber-bullismo con risorse pari a 400 milioni di euro, con commissione di valutazione nazionale; il quarto relativo al piano nazionale per il potenziamento dell'orientamento e contrasto alla dispersione scolastica, con a disposizione 2 milioni di euro e con commissione di valutazione nazionale; l'ultimo alla realizzazione del curriculum dello studente e al potenziamento della carta dello studente, con risorse per 1 milione di euro e con commissione di valutazione nazionale;
   ad oggi non risulterebbero pubblicati i criteri di valutazione con cui sono state aggiudicate le risorse e l'elenco delle scuole aggiudicatarie –:
   se i bandi siano stati aggiudicati e se siano stati definiti l'elenco delle scuole beneficiarie e i criteri di valutazione per l'aggiudicazione. (4-13307)


   VACCA, COLLETTI, BRESCIA e DI BENEDETTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa si apprende che la laurea di almeno 411 laureati in Scienze Sociali nell'Università G. D'Annunzio di Chieti – Pescara potrebbero essere annullate a causa del titolo di accesso al corso di laurea non valido;
   dalle cronache di stampa si apprende, infatti, che il titolo di studio necessario per l'iscrizione all'università, un presunto diploma in servizio sociale, era stato rilasciato da una struttura che non ha mai ricevuto l'autorizzazione del Ministero competente a rilasciare titoli di studio aventi valore legale;
   la struttura educativa in questione è il Social college di Fermo e il titolo di studio presentato, secondo quanto si apprende dalla stampa, in basso a destra presentava la seguente dicitura: «Disposizione di autorizzanda istituzione del ministero della Pubblica istruzione»;
   all'inizio del 2000, con l'introduzione del famoso percorso universitario «3+2», con il decreto ministeriale n. 509 del 1999 che soppiantava il vecchio ordinamento universitario, gli atenei italiani hanno avuto la possibilità di istituire lauree triennali che permettevano la riconversione in crediti formativi (in luogo di molti esami) delle esperienze lavorative, dei tirocini o dei corsi privati avute nel corso degli anni;
   secondo la ricostruzione del quotidiano « La Repubblica», dei 1.783 laureati tra il 2002 e il 2007, 411 venivano dal Social college di Fermo « Ab antiqua universitate picena» inserito nel Centro studi Lattanzi. Nel caso in questione, due terzi dei crediti necessari per laurearsi in scienza sociali venivano garantiti dagli studi di scuola media superiore fatti (in questo caso 130 su 180), i pochi crediti mancanti si potevano integrare con un'unica prova: otto esami in una sola mattina;
   secondo notizie apparse sul web già nel 2007 e da notizie apparse sul Messaggero, risulta che fossero stati denunciati percorsi anomali nei tempi di acquisizione dei titoli di studio nell'Università di Chieti; tant’è che a proposito si leggeva «Ma quali sono gli altri corsi di laurea che dispensano crediti ? Scienze del Servizio sociale e Scienze manageriali, 82,9% e 60%. Offerte ghiotte per esperti dei servizi, finanzieri, poliziotti e ministeriali»;
   a giudizio degli interroganti, il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca avrebbe dovuto mettere in campo tutte le iniziative per verificare la validità dei percorsi formativi e dei titoli di studio acquisiti in tempi record e la validità dei titoli di accesso già dalle prime notizie del 2007;
   secondo « La Repubblica», il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, «con lettera del 7 marzo 2016 ha confermato: Il citato istituto "Social college" non è mai stato riconosciuto da questa amministrazione come ente abilitato al rilascio di titoli aventi valore legale o professionale», ma, nel contempo, non avrebbe prospettato alcuna soluzione;
   secondo quanto si apprende da « La Repubblica», e confermato dal rettore dell'università G. D'Annunzio di Chieti – Pescara una laurea ottenuta attraverso un titolo non valido dovrebbe essere revocata ma potrebbe esporre la stessa università a numerosi contenziosi, mentre la non azione di revoca potrebbe comportare la responsabilità di omissione di atti d'ufficio» –:
   se il Ministro interrogato abbia già avviato le opportune iniziative nel limite delle proprie competenze, in riferimento alla situazione esposta in premessa, anche per verificare l'esistenza in altri atenei italiani di situazioni analoghe a quella verificatasi nell'università di G. D'Annunzio di Chieti – Pescara;
   se in passato il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca abbia già affrontato questioni relative a titoli di studio concessi con molta velocità attraverso il meccanismo del riconoscimento dei molti crediti formativi e del superamento di numerosi esami di profitto sostenuti nella stessa giornata, nonché relative all'accesso a corsi universitari attraverso titoli di studio non aventi valore legale;
   nel caso si siano già verificate situazioni analoghe, quali soluzioni siano state adottate per tutelare il sistema universitario nazionale. (4-13319)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da un articolo del quotidiano Libero del 19 maggio 2016 dal titolo «Visite fiscali addio: vincono i fannulloni. I fondi per pagare i controlli dei medici erano 70 milioni all'anno e permettevano di recuperare 100 milioni di danni erariali. Il governo li ha ridotti a 20 milioni di euro e le ispezioni sono diminuite del 50 per cento», in origine un decreto ancora in vigore aveva stanziato 70 milioni di euro per i controlli e le visite fiscali che venivano poi divisi per pagare i costi dei controlli dei medici fiscali dell'Inps su base regionale;
   secondo il quotidiano, a seguito di politiche di spending review, il fondo del capitolo di spesa destinato a tali controlli è pari a 18 — 20 milioni di euro, e «con questa cifra si fa davvero poco. Perché secondo le stime degli anni precedenti il recupero di danno erariale effettuato attraverso quei controlli era superiore ai 100 milioni di euro (...) Anche la Corte dei Conti ha segnalato nella sua relazione sul bilancio dell'Inps 2013-2015 come la mancanza di fondi abbia inciso fortemente sui controlli effettuati per scoprire gli assenteisti ingiustificati. Le visite fiscali sono diminuite del 49 per cento in media, e quelle disposte di ufficio addirittura del 62,2 per cento»;
   la finalità specifica del servizio «visite mediche» di controllo sullo stato di salute dei lavoratori assenti dal lavoro per malattia» è fondamentalmente mirato all'abbattimento del «fenomeno assenteismo», accertando la sussistenza della condizione di malattia certificata dal medico curante, tenuto conto dell'onere gravante sugli istituti previdenziali, compreso l'INPS, di corrispondere il trattamento economico di malattia;
   dunque, lo scopo dell'Inps nel servizio di visite mediche di controllo domiciliari (vmcd) non può tradursi ed essere circoscritto nella valutazione e nella quantificazione dell'immediato ritorno economico, che pure esiste;
   il fine istituzionale dell'ente Inps nel settore della «malattia» si concretizza, da una parte, nella repressione degli abusi e, dall'altra, nella presenza dello Stato accanto a cittadini in condizioni di bisogno, considerando gli interessi della società e delle imprese e le esigenze di bilancio degli istituti previdenziali;
   tra l'altro, la riforma della pubblica amministrazione prevede di porre in capo all'Inps anche il controllo dello stato di malattia dei dipendenti pubblici, con conseguente uniformità degli accertamenti al fine di controllare al meglio l'assenteismo nel settore pubblico ed ottenere risultati più in linea rispetto a quelli raggiunti nel settore privato;
   gravi sono, a parere degli interroganti, i tagli alle risorse destinate ai controlli per le visite fiscali –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e come intenda garantire standard efficienti per l'attività di controllo relativa alle assenze e alle visite fiscali in assenza di idonei stanziamenti;
   se il Governo non ritenga, alla luce di quanto esposto in premessa, indispensabile assumere iniziative per valorizzare il lavoro dei medici dell'Inps destinati a tali attività e per rifinanziare il capitolo di spesa destinato alle visite fiscali dell'Inps. (5-08774)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il quotidiano Libero del 21 maggio 2016 ha scritto che il presidente dell'Inps Boeri si è dotato di un prestigioso ufficio di rappresentanza al centro di Roma, in Piazza Colonna nei pressi di Palazzo Chigi;
   la sede nazionale dell'Inps è a Roma all'Eur dove il presidente ha naturalmente il suo ufficio con relativa struttura;
   tale ufficio di rappresentanza in un prestigioso palazzo di proprietà dell'Inps attualmente in affitto al quotidiano Il Tempo;
   si valuta in 550 mila euro il canone di affitto annuale di quell'ufficio; mentre per il Palazzo il quotidiano pagava 1 milione e mezzo di euro all'anno;
   l'Inps, come è noto, ha gravi problemi di bilancio e lo Stato è impegnato da anni in un'azione di revisione della spesa pubblica nel senso del contenimento –:
   se tale notizia corrisponda al vero;
   in caso affermativo, se non ritenga utile assumere ogni iniziativa di competenza per evitare quello che all'interrogante appare un cattivo impiego di risorse, facendo sì che il presidente dell'Inps si attenda ad un comportamento più sobrio in linea con i necessari risparmi di spesa pubblica soprattutto quando si tratta di spese non necessarie e francamente evitabili. (4-13313)


   ANDREA MAESTRI, CIVATI, BRIGNONE, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comparto della formazione professionale in Sicilia vive da diversi anni una situazione drammatica e iniqua, ben nota e condivisa da tutti, che non riesce però a destare sufficiente interesse per essere risolta;
   sono 70 le istruttorie avviate sulla formazione professionale;
   la funzione di controllo non è stata efficace, causando gravi disagi per i lavoratori ai quali da anni non viene garantita la retribuzione, né tantomeno vengono salvaguardati i livelli occupazionali attraverso i processi di mobilità e la relativa ricollocazione;
   è bene ricordare che anche l'attività del comparto formazione professionale, esternalizzata a enti privati, è indicata dalla legge come servizio pubblico, specificando i modi di programmazione, direzione e controllo, perseguendo finalità di interesse generale. La legge indica altresì i dettami operativi, compreso il trattamento dei dipendenti di questi enti, e le garanzie occupazionali e retributive dei dipendenti del settore;
   il settore è stato gestito in maniera disastrosa: sono oltre 8000 i lavoratori, senza tutele e senza incarico; numerosi i casi di «corsi fantasma» a cui si sono aggiunti casi di fatture gonfiate del 400 per cento, e allievi che ad oggi devono ancora percepire l'indennità; lavoratori a cui non viene corrisposto da anni lo stipendio. Ai problemi lavorativi si sono sommati drammi personali e familiari: persone che si sono vendute un rene per pagare i debiti contratti a causa della mancata corresponsione degli emolumenti; persone che per mesi hanno fatto lo sciopero della fame; persone che si sono incatenate e per questo arrestate; persone che hanno minacciato il suicidio o che si sono dovute rivolgere alla Caritas per sfamare i propri figli. Sono tanti i lavoratori che hanno fatto ricorso al giudice del lavoro sia per il recupero dei crediti che per denunciare le reiterate violazioni di legge;
   la chiusura degli enti di formazione per mancanza di provviste economiche e le conseguenti procedure di licenziamento collettivo applicate, sono lesive di un diritto garantito: il diritto alla mobilità o al riassorbimento lavorativo da parte di altro ente di formazione o pubblico, così come contemplato normativamente dall'allegato 12 del CCNL per la formazione professionale biennio 2012-2013, il quale espressamente richiama l'articolo 26 del CCNL per la formazione professionale triennio 1994-1997. La norma è chiara e non lascia alcun margine interpretativo: la contrattazione collettiva non prevede in alcun punto la procedura dei licenziamenti collettivi ex legge 223 del 1991;
   il comma 4 dell'articolo 1 della legge 10 dicembre 2014, n. 183 (Deleghe al Governo in materia di riforma degli ammortizzatori sociali, dei servizi per il lavoro e delle politiche attive, nonché in materia di riordino della disciplina dei rapporti di lavoro e dell'attività ispettiva e di tutela e conciliazione delle esigenze di cura, di vita e di lavoro), allo scopo di garantire la fruizione dei servizi essenziali in materia di politica attiva del lavoro su tutto il territorio nazionale (contenuti nel comma 3) contiene i principi e i criteri direttivi ai quali il Governo deve attenersi e, alla lettera t), attribuisce al Ministero del lavoro e delle politiche sociali «competenze in materia di verifica e controllo del rispetto dei livelli essenziali delle prestazioni che devono essere garantite su tutto il territorio nazionale»;
   enormi e non quantificabili sono i fondi sprecati negli anni sulla formazione professionale siciliana. Dal rapporto ISFOL 2012 si apprende che Stato, regione e fondo sociale europeo, in Sicilia, hanno stanziato per la formazione professionale 2,1 miliardi di euro per il periodo 2007-2013. La regione siciliana presenta il maggior numero di strutture formative anche in rapporto alla densità della popolazione residente sul territorio regionale: offre 36 strutture ogni 100.000 abitanti contro le 5,8 strutture ogni 100.00 abitanti della Lombardia, il Lazio 5,3 e l'Emilia-Romagna 3,7. Mentre nel 2011 la Sicilia offriva 1.816 strutture di formazione professionale ai suoi 5.051.075 abitanti (popolazione residente al primo gennaio secondo Istat), sul territorio lombardo erano presenti 580 strutture per 9.917.714 residenti. Numerose indagini hanno così svelato, all'interno di questo settore, truffe, intrecci di parentele e interessi politici;
   secondo un'analisi del Quotidiano di Sicilia il costo della formazione professionale nella regione è molto più alto rispetto al costo che si osserva in Lombardia. Nel 2010 la Lombardia ha organizzato 38.000 corsi di formazione professionale, rispetto a 5.000 in Sicilia ad un costo però nettamente diverso. In media un corso di formazione professionale in Lombardia è costato 9.340 euro contro 108.000 euro in Sicilia;
   ad oggi non solo non è stata data soluzione ai problemi sopra descritti, ma essi sono stati aggravati dalla ricollocazione di 1700 lavoratori, i cosiddetti «sportellisti», che senza alcun concorso pubblico saranno assunti presso i centri per l'impiego. Un provvedimento che potrebbe essere dichiarato illegittimo per i forti elementi di discriminazione tra i lavoratori dello stesso settore, come gli amministrativi che di fatto resteranno fuori da una possibile ricollocazione nonostante risultino essere iscritti, allo stesso modo degli «sportellisti», nel medesimo albo dei lavoratori della formazione professionale. E questo accade alla vigilia delle prossime elezioni;
   si tratta di una situazione, ad avviso dell'interrogante, non monitorata dal Governo nazionale, nonostante la situazione sia nota da quasi 40 anni;
   si attende intanto anche in Sicilia, l'applicazione di quanto disposto dal decreto legislativo del 14 settembre 2015, n. 150, attuativo della legge delega del Jobs Act, recante «Disposizioni per il riordino della normativa in materia di servizi per il lavoro e di politiche attive» pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 221 del 23 settembre 2015. Un decreto che anzitutto prevede l'istituzione di una rete dei servizi per le politiche del lavoro costituita dai seguenti soggetti, pubblici o privati: l'Agenzia nazionale per le politiche attive del lavoro, denominata «Anpal»; le strutture regionali per le politiche attive del lavoro; l'Inps, in relazione alle competenze in materia di incentivi e strumenti a sostegno del reddito; l'Inail, in relazione alle competenze in materia di reinserimento e di integrazione lavorativa delle persone con disabilità da lavoro; le Agenzie per il lavoro e gli altri soggetti autorizzati all'attività di intermediazione; i fondi interprofessionali per la formazione continua; i fondi bilaterali; l'Isfol e Italia Lavoro spa; il sistema delle camere di commercio, le università e gli istituti di scuola secondaria di 2o grado. È inoltre prevista l'istituzione di un albo nazionale degli enti accreditati a svolgere attività di formazione professionale e interprofessionali e bilaterali faranno parte della rete e saranno sottoposti a vigilanza dell'ANPAL –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto premessa e, quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di verificare l'utilizzo dei finanziamenti statali ed europei destinati nel tempo ad affrontare le criticità della formazione professionale, in particolare in Sicilia, e come si intenda garantire il mantenimento dei livelli occupazionali in tale settore;
   considerato il fatto che la legge ha previsto l'urgente necessità di dotarsi di un ulteriore organismo nazionale in materia di politiche attive del lavoro, se intenda comunicare i tempi previsti per l'attuazione di quanto stabilito dal decreto legislativo del 14 settembre 2015, n. 150, in materia di sviluppo e vigilanza nel settore delle formazioni professionali dei lavoratori. (4-13321)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GAGNARLI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo la Commissione europea, le specie esotiche invasive sono una causa della crescente perdita di biodiversità e dell'estinzione delle specie. Le specie esotiche invasive possono anche essere vettori di malattie o causare direttamente problemi di salute (ad esempio asma, dermatiti e allergie). Tali specie possono danneggiare infrastrutture e impianti, ostacolare, a silvicoltura o causare perdite agricole. I costi dei danni provocati dalle specie esotiche invasive nell'Unione europea ammontano a circa 12 miliardi di euro l'anno, secondo la valutazione d'impatto della Commissione;
   nel settembre del 2005 alcuni ricercatori dell'università di Milano segnalarono in aree della provincia di Pistoia un coleottero curculionide, chiamato Aclees cribratus Gyllenhal, presumibilmente di origine asiatica, in grado di arrecare danni alle talee e ai giovani frutti in vaso di Ficus carica (Fico comune). Praticamente ogni varietà risultava danneggiata e tra queste ricordiamo il dottato, brogiotto nero, verdino, portogallo, gentile bianco, fiorone, verghese e altro;
   dopo anni senza ulteriori segnalazioni e approfondimenti da parte della ricerca scientifica, ma con la popolazione in rapida diffusione in altri territori toscani, si arriva ad oggi con un quadro abbastanza mutato, che interessa ulteriori province tra cui ricordiamo Lucca (molti comuni della Garfagnana, Pescia e altro), Livorno (Isola d'Elba) e Prato (comune di Carmignano);
   la presenza di questa specie esotica invasiva in Toscana rappresenta una grave emergenza per la coltura del fico, in particolare sul territorio di Carmignano e Garfagnana, note soprattutto per la loro produzione di fichi secchi che sono anche presidio slow food;
   ancora oggi, se si esclude quanto pubblicato da Ciampolini nel 2007, non si hanno informazioni esaustive e complete sulla biologia e sulla difesa dall'insetto. Il Servizio fitosanitario regionale starebbe promuovendo l'acquisizione di un quadro completo sulla sua reale diffusione in Toscana, ed attivando le istituzioni scientifiche toscane per predisporre le più opportune tecniche di difesa;
   per evitare l'introduzione deliberata di specie esotiche invasive nel territorio dell'Unione europea, l'importazione di vegetali è soggetta ai controlli ufficiali. In Italia, tali controlli sono effettuati attraverso i servizi fitosanitari regionali (strutture territorialmente preposte alle funzioni ed alle responsabilità dello Stato italiano nei confronti degli Stati europei in tema di controllo fitosanitario);
   il disegno di legge di delegazione europea, già approvato dalla Camera e attualmente all'esame del Senato, dispone l'adeguamento della normativa nazionale alle regole europee su prevenzione e gestione delle specie esotiche invasive. In particolare all'articolo 3, qualora fosse approvato senza modifiche al Senato si stabilisce che l'autorità nazionale competente sarà il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che si avvarrà dell'Ispra come ente tecnico-scientifico di supporto. Nell'adottare i propri atti legislativi nazionali, l'Italia dovrà prevedere l'introduzione di sanzioni penali e amministrative per le violazioni del regolamento 1143/2014 e destinare una quota delle sanzioni pecuniarie, fino al limite del 50 per cento di quelle incassate all'attuazione delle misure di quelle incassate all'attuazione delle misure di eradicazione e di gestione delle specie esotiche invasive;
   l'Italia ha già fallito nel contrastare un altro coleottero curculionide, il Rynchophorus ferrugineus 8 punteruolo rosso), che ha praticamente decimato la popolazione di palme (sopratutto Phoenix canariensis, Phoenix dactilifera e Phoenix robeleinii) non solo in Toscana, ma in tutta Italia, azzerando quasi del tutto il valore commerciale ed il mercato di queste specie arboree –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda adottare il Ministro interrogato per promuovere un miglior coordinamento tra i servizi fitosanitari regionali ed una maggiore cooperazione regionale tra gli Stati membri, come previsto dalla legislazione europea in materia, al fine di predisporre una strategia di difesa efficace e tempestiva in grado di controllare e debellare le specie invasive aliene, come il Aclees cribratus Gyllenhal citato in premessa. (5-08776)


   GINEFRA, MONGIELLO, MICHELE BORDO, BOCCIA, VENTRICELLI, GRASSI, LOSACCO, CAPONE, MARIANO, PELILLO, VICO e DI GIOIA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nel corso della seconda decade del mese di maggio 2016 si sono avuti in Puglia ed in maniera particolare sul territorio della provincia di Bari, eventi meteorici particolarmente intensi con presenza di avversità atmosferiche eccezionali;
   gli effetti della pioggia insistente degli ultimi giorni, dei continui sbalzi termici e delle violente raffiche di vento, che la Puglia ha subito nel predetto periodo di tempo hanno avuto impatti nefasti soprattutto sul settore cerasicolo regionale;
   tali problematiche si vanno ad aggiungere ad un inverno particolarmente mite e quindi con il mancato freddo si è avuta anche una scarsa produzione di frutti;
   l'organizzazione professionale agricola della Coldiretti pugliese ha stimato che a causa delle piogge torrenziali e delle ulteriori calamità ambientali si sono avuti danni su circa il 60 per cento della produzione di ciliegia Bigarreaux (varietà più precoce e già quantitativamente scarsa nel 2016 a causa degli sbalzi termici che hanno preceduto la raccolta) e sul 40 per cento della produzione di ciliegie Georgia;
   la stessa Coldiretti ha stimato un danno per il mancato raccolto di ciliegie per circa 90 milioni di euro;
   in provincia di Bari trovano occupazione nel settore cerasicolo migliaia di nuclei familiari, cui la produzione di ciliegie offre una consistente fonte di reddito. Il fabbisogno di lavoro per ettaro di ciliegeto specializzato è pari a circa 600 ore, l'85 per cento delle quali assorbite nelle operazioni di raccolta;
   la crisi che si sta aprendo per il mancato raccolto di ciliegie negherà agli imprenditori agricoli baresi la possibilità di recuperare gli investimenti effettuati per questa coltura e di garantirsi gran parte del reddito agricolo della presente annata agraria;
   è anche da fare presente che la scomparsa dal mercato pugliese delle polizze assicurative multirischio, divenute troppo care, ma che coprono simultaneamente dal danno di pioggia, gelo e grandine, ha indotto la stragrande maggioranza dei frutticoltori pugliesi a non assicurarsi, determinandosi così una perdita certa di reddito senza ristoro;
   resta ad ogni modo il fatto che i premi assicurativi per le piccole e le piccolissime aziende sono eccessivamente onerosi;
   vale la pena ricordare che con oltre 47 mila tonnellate di prodotto cerasicolo la provincia di Bari è la prima provincia italiana per produzione di ciliegie raccogliendo il 34 per cento della produzione nazionale, mentre la produzione di ciliegie in Puglia è pari a quasi il 40 per cento del totale nazionale;
   in Puglia sono investiti a cerasicoltura quasi ventimila ettari di superficie agricola (prima regione italiana), di cui oltre diciassettemila ettari fanno capo alla sola provincia di Bari, che in tal senso copre più dell'85 per cento della superficie investita;
   i danni al comparto cerasicolo barese, grande risorsa economica e occupazionale, incideranno pesantemente sulla economia delle comunità interessate e, in particolare, sui settori della commercializzazione e della trasformazione del prodotto –:
   quali iniziative intenda adottare, in raccordo con la regione Puglia, in favore del comparto cerasicolo barese colpito dalle avversità climatiche di cui in premessa ed, in particolare, se non intenda attivare le procedure per il riconoscimento della calamità naturale per il predetto settore e far superare al comparto l'attuale grave emergenza;
   se non ritenga necessario valutare l'opportunità di adottare iniziative straordinarie con la consequenziale concessione di benefici di cui al decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, anche per rendere convenienti e fattibili le polizze assicurative, concedendo specifici contributi sui premi assicurativi atti a coprire i danni da calamità naturali sulle colture cerasicole;
   se, in accordo con la regione Puglia, non intenda definire un percorso comune e unitario di interventi urgenti e strutturali accompagnati da misure a sostegno degli agricoltori cerasicoli danneggiati ed in grado di evitare che si arrechino pregiudizi al proseguimento della coltivazione locale delle ciliegie, coltura fondamentale per l'economia e l'occupazione dei territori interessati della provincia di Bari.
(5-08778)

Interrogazione a risposta scritta:


   D'AGOSTINO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con proprio decreto del mese di marzo del 2015, il Ministro interrogato ha dato attuazione al provvedimento denominato «Campolibero» (decreto-legge n. 91 del 2014), relativo alla dematerializzazione dei registri di carico e scarico delle aziende operanti nel settore vitivinicolo;
   tale provvedimento ha avviato una fase di sperimentazione per la digitalizzazione dei registri vitivinicoli con scadenza 30 giugno 2016;
   la digitalizzazione dei registri cartacei in uso nelle cantine ha introdotto elementi di semplificazione che contribuiranno a rendere più competitive le aziende del settore;
   si tratta di un ulteriore passo in avanti lungo il cammino della sburocratizzazione del Paese portato avanti dal Governo;
   tale provvedimento, atteso da tempo dagli operatori del settore, porterà gradualmente all'eliminazione di oltre 65 mila registri cartacei, determinando una netta semplificazione per la vita delle tantissime aziende operanti nel settore vitivinicolo;
   viene meno, infatti, l'obbligo per le aziende di produrre stampe continue e si potrà evitare la vidimazione preventiva, che invece è richiesta oggi per i registri cartacei;
   al contempo, gli organi di controllo preposti avranno la possibilità di effettuare le verifiche previste dalla legge senza doversi recare necessariamente in azienda;
   il provvedimento comporterà una graduale riduzione dei costi per la pubblica amministrazione e, al contempo, eviterà che le aziende interrompano l'ordinaria operatività per via dei controlli sul posto o per l'esigenza di recarsi altrove per la vidimazione dei registri cartacei;
   il decreto ministeriale n. 293 del 20 marzo del 2015 indica la scadenza del 30 giugno 2016 come data entro la quale si dovranno convertire i sistemi di conservazione dei dati e concludere la sperimentazione;
   tale scadenza pone in difficoltà larga parte delle aziende chiamate ad adeguare i propri sistemi informatici o, quando sprovviste, a dotarsi delle nuove tecnologie necessarie all'archiviazione digitale dei dati;
   la fase di sperimentazione del nuovo sistema di archiviazione dei dati ha presentato delle criticità a causa della mancata definizione di alcune funzionalità;
   tale circostanza ha rallentato significativamente la fase di sperimentazione;
   si ravvisa la esigenza di estendere la fase di sperimentazione al periodo della vendemmia durante la quale si effettua il maggior numero di registrazioni;
   le registrazioni operate durante la vendemmia, consentirebbero, data la mole, di testare al meglio i nuovi software di archiviazione dei dati, e, al contempo, favorirebbe l'acquisizione di una maggiore dimestichezza nell'utilizzo dei nuovi programmi;
   è un dato di fatto che la maggior parte delle aziende del settore è a conduzione familiare, di piccole dimensioni, e non sempre pronte all'utilizzo delle nuove tecnologie;
   a giudizio dell'interrogante si ravvisa l'esigenza di concedere più tempo affinché gli addetti del settore possano maturare più dimestichezza con i nuovi programmi e con i metodi di registrazione dei dati;
   pertanto, occorre valutare l'opportunità di accogliere la richiesta avanzata dalla Coldiretti di posticipare la scadenza del 30 giugno 2016, estendendo la sperimentazione almeno fino alla fine del 2016 –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover accogliere la richiesta proveniente dagli operatori del settore vitivinicolo di prorogare la scadenza entro la quale le aziende dovranno provvedere alla conversione dei sistemi di registrazione dei dati di carico e scarico, estendendo la sperimentazione in atto al 30 giugno 2016.
(4-13309)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE GIROLAMO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'atto di indirizzo per il rinnovo dell'accordo collettivo nazionale dei medici convenzionati prevede una diversa articolazione della continuità dell'assistenza medica territoriale sulle sedici ore (cosiddetto «H16»), dalle ore 8 alle ore 24.00 e non più nell'arco delle 24 ore;
   oltre alla limitazione della continuità dell'assistenza si determinerebbe un ulteriore carico sul servizio del 118 nella fascia oraria 00.00 – 08.00, distogliendo tale attività dai compiti istituzionali: i medici del 118 dovrebbero infatti svolgere, in contemporanea, due tipologie di servizio completamente diverse: i «codici rossi» di emergenza e le visite e prescrizioni per patologie minori;
   la situazione così determinata provocherebbe disfunzioni nell'assistenza medica ed il pericolo di omissione di soccorso, se i medici del 118 dovessero essere costretti ad interventi molto differiti nel tempo, sia nelle zone a notevole estensione territoriale, sia nei centri urbani ad alta intensità abitativa;
   nel sistema attuale, la presenza simultanea di medici del 118 e delle guardie mediche offre un servizio efficace ai cittadini e una razionale limitazione degli accessi ai pronti soccorso, da sempre congestionati;
   il modello ipotizzato è ancora indefinito avrebbe alcune evidenti conseguenze, tra le quali, il collasso dei pronto soccorso prese d'assalto dai pazienti, un utilizzo improprio dei medici del 118, oltretutto attualmente insufficienti per le esigenze del sistema di emergenza territoriale, la perdita di posti di lavoro nella continuità assistenziale;
   quali iniziative di competenza intenda adottare il ministro interrogato per scongiurare la soppressione del servizio di assistenza di guardia medica 24 ore su 24;
   se sia stato valutato anche per il tramite del rappresentante del Governo nel comitato di settore regioni-sanità, in sede di approvazione dell'atto di indirizzo di cui in premessa, il rischio dello sviluppo di un nuovo mercato speculativo dell'assistenza medica notturna, in particolare nelle aree territoriali più isolate e svantaggiate con l'introduzione delle misure sopra richiamate e se sia stata valutata la correttezza della procedura, atteso che si giungerebbe ad una modifica epocale del sistema sanitario nazionale senza che di ciò sia stato investito il Parlamento;
   se, qualora la riforma venisse attuata, non si intendano assumere iniziative di competenza per apportare modifiche, integrazioni e correttivi per i centri e le isole minori e le comunità site in posti svantaggiati, interni e difficilmente collegati con i centri maggiori. (4-13317)


   GAROFALO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il centro di chirurgia pediatrica «Bambin Gesù» di Taormina è stato istituito nel 2010 presso l'ospedale San Vincenzo grazie ad una convenzione (decreto n. 1188 del 3 maggio 2010) siglata con l'omonimo reparto del Bambin Gesù di Roma;
   a favore di questo presidio sono stati investiti in questi anni 11 milioni e mezzo di euro;
   il centro è diventato un punto di riferimento all'avanguardia in termini di tecnologia impiegata ma anche di competenza ed esperienza maturate nel settore, sia per l'utenza siciliana, sia per l'utenza calabrese;
   il 10 giugno 2016 la convenzione scadrà e la regione sembra intenzionata a trasferire il Centro all'ISMEP di Palermo;
   più voci si sono registrate contro il trasferimento e, al fine di giungere ad un accordo che possa scongiurarlo, nei giorni scorsi il sindaco di Taormina, Eligio Giardina, ha chiesto di organizzare un incontro con i vertici della regione siciliana, al quale prenderanno parte anche i sindaci dell'intero comprensorio;
   non si può trascurare che la regione siciliana ha attualmente nei confronti del «Bambin Gesù» di Roma un debito di 9 milioni e 600 mila euro e lo stesso istituto del «Bambin Gesù» si è impegnato ad abbassare tale debito a 6 milioni di euro in caso di permanenza del centro di chirurgia pediatrica a Taormina;
   trasferire il presidio a Palermo significherebbe perdere, dunque, tre milioni di euro che si giungerebbero agli 11 milioni e mezzo già investiti con un notevole conseguente danno erariale che non si può tollerare;
   il trasferimento del centro di cardiochirurgia pediatrica da Taormina a Palermo significherebbe, tra l'altro, perdere gran parte dell'attuale utenza, specialmente quella calabrese che, inevitabilmente troverebbe più conveniente raggiungere Roma anziché restare in Sicilia, con conseguente pregiudizio per il diritto alla continuità delle cure che, invece, si dovrebbe garantire;
   a tutto quanto sopra premesso si aggiunge anche che il reparto non potrebbe essere trasferito tempestivamente ma, nelle more del tempo necessario all'adeguamento delle strutture di Palermo, si crederebbe un vuoto di assistenza inaccettabile;
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e se, nell'ambito dell'attività di monitoraggio sull'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, sia stata esaminata la situazione della rete ospedaliera volta alla cura delle patologie cardiache, con particolare riguardo al trasferimento del Centro di cardiochirurgia pediatrica da Taormina all'ISMEP di Palermo, che, se venisse realmente effettuato, finirebbe per menomare i livelli essenziali di assistenza e per creare enormi disagi non solo alla popolazione della regione siciliana, ma anche a quella della regione Calabria, oltre che costituire l'ennesimo caso di spreco di risorse nella sanità pubblica. (4-13320)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è notizia pubblicata sul quotidiano Il Giorno del 21 maggio 2016 quella relativa ai 351 esuberi della Abb;
   senza ancora la presentazione di un piano industriale, l'azienda ha comunicato ai sindacati che, a seguito delle scelte di riorganizzazione a livello globale del gruppo, si avranno ricadute occupazionali negative, appunto, per 351 addetti;
   il riassetto colpisce gli stabilimenti di Sesto San Giovanni (173 esuberi), di Vittuone (150, di cui 95 operati e 55 impiegati) e di Lodi (28);
   in segno di protesta è stato proclamato lo stato di agitazione in tutto il gruppo per svolgere assemblee in tutti i siti ed un incontro presso il Ministero dello sviluppo economico è previsto il 27 maggio 2016;
   il timore è che tali esuberi siano l'anticamera dello smantellamento dei siti italiani e della relativa delocalizzazione, il che rappresenterebbe l'ennesimo duro colpo al settore manifatturiero –:
   se e quali iniziative di competenza, anche in termini di moral suasion, il Governo intenda assumere a sostegno dei lavoratori coinvolti ed a supporto dell'attività produttiva;
   se, in occasione dell'incontro del 27 maggio 2016, il Governo non ritenga opportuno aprire con urgenza un tavolo di concertazione, con la partecipazione della società, dei rappresentanti dei lavoratori e delle istituzioni locali, per addivenire ad un'intesa che salvaguardi i posti di lavoro e, al contempo, garantisca la permanenza sul territorio, di un importante patrimonio produttivo. (5-08777)


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 luglio 1990, n. 221, reca nuove norme per l'attuazione della politica mineraria;
   con l'articolo 2 si prevedono programmi quinquennali e attività sostitutive;
   la disposizione normativa prevede al fine di favorire la ripresa economica ed occupazionale nelle aree interessate da processi di ristrutturazione del comparto minerario che il CIPI, su proposta del Ministro dell'industria, del commercio, dell'artigianato, di concerto per quanto di competenza, con i Ministri delle partecipazioni statali e per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, sentite le regioni interessate, fissa gli indirizzi di coordinamento delle iniziative da intraprendersi da parte delle amministrazioni e degli enti pubblici e delibera il programma speciale di promozione di nuove attività produttive nel quale sono indicate le iniziative imprenditoriali da attuare ed impartisce direttive all'Ente nazionale idrocarburi (ENI) per un'azione di promozione, di consulenza e di assistenza da svolgere nelle predette aree in favore dei soggetti che intraprendono attività sostitutive ai sensi dell'articolo 1 della legge 3 febbraio 1989, n. 41, come modificato dall'articolo 3 della presente legge;
   nel dispositivo di legge sono previste norme per la tutela dell'ambiente in cui si dispone che nei bacini di cui all'articolo 1 della legge 3 febbraio 1989, n. 41, come modificato dall'articolo 3 della legge n. 221 del 1990, i programmi di recupero ambientale di compendi immobiliari, direttamente o indirettamente legati alle attività minerarie, già dismesse o interessate da processi di ristrutturazione o di riconversione, destinati al soddisfacimento di esigenze sociali, culturali e di insediamenti produttivi attraverso progetti di utilizzazione e di valorizzazione del territorio e delle sue risorse, sono ammessi agli interventi agevolati previsti in materia dalle leggi nazionali;
   per promuovere l'attuazione di tali programmi, il Ministro dell'industria, del commercio e dell'artigianato può concedere contributi agli enti locali interessati per studi o progettazioni di piani di fattibilità, a carico dell'autorizzazione di spesa di cui al comma 4. Gli stessi programmi possono essere ammessi ai benefici di cui all'articolo 1 della legge 3 febbraio 1989, n. 41, come modificato dall'articolo 3 della presente legge, limitatamente alle opere strettamente finalizzate a creare nuova occupazione stabile;
   il comune di Iglesias nel 1995 otteneva il finanziamento di tali piani che avevano definito valori immobiliari, valutazioni ambientali, costi di ristrutturazione, piani strategici di utilizzo organico del patrimonio immobiliare, senza prevedere in alcun modo la vendita ma eventualmente la concessione del bene al fine di una gestione pianificata;
   tali piani furono approvati dal Ministero dell'industria nel 1997;
   il 17 maggio la società Igea spa, sulla base della legge n. 221 del 1990 ha predisposto in modo che appare all'interrogante artificioso e criptato un bando per dismettere con la vendita una parte immensa di quel patrimonio alla base dei piani finanziati al comune di Iglesias;
   nel bando di vendita si parla di migliaia di ettari in vendita, molti dei quali vista mare, di coste mozzafiato davanti ai faraglioni del Pan di zucchero di Nebida, di intere vallate panoramiche con volumetrie già in essere, di ville con dieci stanze e terreni edificabili in piena città;
   tutto in vendita per un ammontare complessivo di 8 milioni di euro diviso in 55 lotti;
   un'operazione che appare segreta e nascosta ai più;
   il bando lo si può rintracciare solo nel sito del comune di Carloforte l'unico che lo ha pubblicato dopo che Igea lo ha diramato, senza pubblicarlo in nessun sito regionale, ai comuni dove si svolgeranno le vendite. Immobili dislocati nei comuni di Arbus, Buggerru, Carloforte, Gonnesa, Guspini, Iglesias e San Gavino;
   una decisione firmata dall'amministratore unico il 3 maggio 2016 e pubblicata due giorni fa nel sito del comune di Carloforte con tanto di elenco di beni da dismettere;
   immobili da vendere a corpo nello stato di fatto e di diritto nel quale si trovano al momento dell'approvazione del bando;
   una vendita predisposta con estrema riservatezza per un patrimonio che non solo non ha avuto quella gestione unitaria disposta dai piani della legge n. 221 approvati dal comune di Iglesias e dal Ministero dell'industria, ora sviluppo economico, ma che ora sta subendo una vendita frazionata, a giudizio dell'interrogante con il solo intento di fare cassa, senza alcun piano serio di gestione dell'intero patrimonio così come previsto nella legge di riconversione del settore minerario;
   alla mancata trasparenza di questa operazione si aggiunge un aspetto rilevante, quello relativo alle destinazioni urbanistiche per alcuni fronti costieri che lasciano alquanto perplessi su valori apparentemente alti, ma bassissimi se si considera la possibilità edificatoria che potrebbe essere riconosciuta in un secondo momento a determinate aree, vedasi quelle di Nebida-Masua prima di tutto;
   ad avviso dell'interrogante l'ombra della possibile speculazione si allunga su questa operazione proprio per la segretezza con la quale è stata gestita sinora e soprattutto perché il tutto si sarebbe dovuto consumare nel silenzio assoluto nel mese di agosto; periodo notoriamente utilizzato per eventuali «svendite sotto traccia»;
   si tratta di un piano di dismissione che finirà solo per raccogliere qualche denaro per la gestione ordinaria quando tutte le buone regole della buona amministrazione e il rispetto della norma richiamata impongono che il patrimonio non si ceda per foraggiare spese correnti ma semmai per quelle di investimento;
   è secondo l'interrogante l'ennesimo atto scellerato che dilapida un immenso patrimonio senza alcun progetto di sviluppo un patrimonio immenso da sempre legato alla civiltà mineraria;
   la costante di questa cessione sono le aree panoramiche e costiere, da Arbus a Gonnesa, da Guspini sino alla costa straordinaria di Masua nel comune di Iglesias, per arrivare a Carloforte dove ogni angolo è un paradiso;
   in alcuni casi si tratta di aree confinanti proprio con l'arenile o direttamente costiere proprio a smentire la logica della conservazione delle coste che tanto era stata sbandierata per la protezione di questi ambiti;
   un patrimonio che vista la posizione di molti terreni induce a più di un sospetto, se è vero, secondo quanto risulta all'interrogante, che da qualche tempo negli uffici tecnici di diversi comuni minerari si aggirano esponenti politici con tecnici mandati da gruppi arabi ben individuati;
   nell'ambito di tale piano di vendita si registrano immobili ben individuati nel piano elaborato dal comune di Iglesias in base alla legge n. 221 del 1990 e approvato dal Ministero dello sviluppo economico;
   a questo si aggiunge la violazione della norma ambientale di cui alla legge n. 221 del 1990 in cui si prevedeva un intervento di messa in sicurezza, bonifica, riabilitazione e recupero del patrimonio;
   in tale senso, si enunciano alcuni esempi del patrimonio in vendita:
    villa vista mare nel villaggio esclusivo di Norman: tra tutti gli immobili emerge, per esempio, la villa Pintus nel villaggio esclusivo di Norman, nel comune di Gonnesa. Immobile con vista mare, immerso nel verde, 10 stanze ad uso residenziale, risalente agli anni ’50. Secondo le descrizioni di vendita la villa sorge su un lotto estremamente panoramico sul mare, a valle della strada di accesso, è disposta su un unico livello fuori terra ma su quote differenti al fine di assecondare la pendenza del terreno. La villa è dotata di garage. Il lotto è recintato e confina con la strada da cui ha accesso. Il tutto per 139.000 euro;
    terreno da un milione di euro con vista mare: terreno di 269 ettari in località Genna Gureu, a circa 7 chilometri dal centro di Arbus. Terreno, recintato con rete fissata su paletti metallici, si estende fino alla quota di oltre 500 metri sul livello del mare. Il terreno acclive con andamento collinare e forti dislivelli di quota, arriva fino ai famosi bacini Donegani. Valore 1 milione 78 mila euro;
    Arbus, 126 ettari di terreno euro 1.009.184,00: terreno ubicato in località Lorenzeddu, a circa 10 chilometri dal centro di Arbus. Il terreno, non recintato, si estende a Monte del villaggio Righi e raggiunge la quota di circa 600 metri sul livello del mare. Il terreno acclive con andamento collinare, panoramico, è caratterizzato da macchia mediterranea;
    a Buggerru terreno sull'arenile: terreno ubicato in località San Nicolò, a circa 2,5 chilometri dal centro di Buggerru, comune che dista circa 92 chilometri da Cagliari. Il terreno ricade in zona costiera, a ridosso dell'arenile. Attualmente è in parte asfaltato e impiegato probabilmente come parcheggio. Valutato 69.000 euro;
    Carloforte: 8.000 metri quadri per 43 mila euro: terreno ubicato in località Macchione, a circa 2,5 chilometri dal centro di Carloforte. Il terreno ha un andamento collinare. È ubicato in un avvallamento, a circa 15 metri sul livello del mare. Non recintato, attualmente incolto, è facilmente accessibile dalla strada asfaltata;
    Iglesias – Fontanamare, terreno a 100 metri dal mare: 400 mila euro per 20 ettari di terreno ubicato in località Fontanamare, a circa 4,5 chilometri da Gonnesa. Il terreno, non recintato, si estende interamente a monte della strada provinciale 83 con cui confina e da cui ha accesso. Dista 100 metri dal mare ed è raggiungibile da Gonnesa percorrendo la stessa strada provinciale 83. Raggiunge la quota di circa 140 metri sul livello del mare, è fortemente acclive ed è caratterizzato da macchia mediterranea e dalla presenza di rocce affioranti;
    Iglesias – terreni a vocazione residenziale: terreno ubicato in via Olanda, in località Palmari a quasi 2 chilometri dal centro di Iglesias. Il terreno ricade in area urbana parzialmente edificata a vocazione residenziale, a circa 190 metri sul livello del mare. Comprende l'ultima parte della strada d'accesso al mappale 2226, e un'area attigua non recintata;
    Nebida, 25 ettari vista Pan di zucchero per 645.000 euro: terreno ubicato in località Nebida, frazione San Giacomo, a circa 15 chilometri dal centro di Iglesias. Il terreno, non recintato, si estende dalla quota di oltre 100 metri fino al mare. Il terreno, fortemente acclive, è molto panoramico in quanto costituisce il versante verso il mare. La vegetazione è costituita da macchia mediterranea. Si trova a nord della via San Giacomo, traversa della strada provinciale 83, da cui ha accesso e con cui confina;
    altro terreno costiero vista mozzafiato su Nebida euro 721.320: Nebida, frazione San Giacomo, a circa 15 chilometri dal centro di Iglesias. Il terreno, non recintato, si estende dalla quota di oltre 100 metri fino al mare. Il terreno, fortemente acclive, è molto panoramico, in quanto costituisce il versante verso il mare. Sono presenti rocce affioranti in sommità e a mezza costa. La vegetazione è costituita da macchia mediterranea. Si trova a sud della via San Giacomo, traversa della strada statale 83, da cui ha accesso e con cui confina –:
   se non ritenga, in relazione a quello che l'interrogante ritiene un mancato rispetto delle norme della legge n. 221 del 1990, di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, per scongiurare tale vendita che si pone in contrasto con i piani unitari approvati dall'allora Ministero dell'industria per i quali sono state stanziate risorse statali;
   se non ritenga, per quanto di competenza, di dover attivare un monitoraggio sull'attuazione della legge n. 221 del 1990 che risultava essere una conquista, seppur limitata, della lotta dei minatori dell'Iglesiente che avevano rivendicato quel patrimonio per la creazione di sviluppo e di occupazione e non per favorire quelle che all'interrogante appaiono speculazioni immobiliari;
   se non ritenga di verificare, per quanto di competenza, se siano garantite le attività di bonifica previste nelle norme vigenti che di fatto precluderebbero qualsiasi tipo di vendita di patrimonio minerario;
   se non si ritenga, proprio sul piano della valorizzazione ambientale, culturale e storica di dover assumere ogni iniziativa di competenza per tutelare il patrimonio pubblico, attivandosi per evitare qualsiasi tipo di vendita immobiliare legata alla grande civiltà mineraria del Sulcis Iglesiente Arburense e Guspinese. (5-08782)

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLAROSA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa, società affidataria in Italia del servizio postale universale, ha presentato all'Autorità nazionale di regolamentazione e garanzia nelle comunicazioni (Agcom) «la proposta» che prevede il recapito della corrispondenza a giorni alterni, in 5.296 comuni italiani;
   con la delibera n. 163/15/CONS del 27 marzo 2015 l'Agcom ha avviato una consultazione pubblica sulla proposta di Poste Italiane relativa all'attuazione di un modello di recapito a giorni alterni degli invii postali rientranti nel servizio universale. La proposta di Poste Italiane in sintesi, riguardava l'implementazione del recapito a giorni alterni in 5.296 comuni, individuati sulla base dell'ultimo elenco di comuni italiani pubblicato dall'ISTAT il 30 gennaio 2015;
   nella proposta di Poste Italiane spa, viene prevista la consegna a giorni alterni nei comuni la cui popolazione risulta inferiore a 30.000 abitanti, rimanendo inalterata la modalità di consegna nei comuni con popolazione superiore;
   in data 25 giugno 2015 l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni, con delibera n. 395/15/CONS, ha adottato decisioni che sono improntate alla riduzione o alla copertura dei costi del servizio universale, sulla scorta della indagine conoscitiva sui bisogni del servizio che ha coinvolto cittadini e consumatori;
   Poste Italiane e le organizzazioni sindacali di categoria, in data 25 settembre 1015, hanno sottoscritto un accordo dove è previsto il recapito a giorni alterni anche nei comuni con popolazione superiore a 30.000 abitanti determinando notevoli disagi al servizio, ai lavoratori e all'utenza nei comuni coinvolti da tale provvedimento;
   questa serie di eventi costituisce, a parere degli interroganti, una palese violazione del progetto di Poste Italiane spa nonché della delibera dell'AGCOM n. 395 del 2015 e rende precario e probabilmente anche insufficiente il servizio di recapito a domicilio della corrispondenza creando non pochi disagi all'utenza privata ma anche ai liberi professionisti di fatto travolti dagli effetti di tali provvedimenti;
   ad inizio maggio 2016 si apprende la notizia (repubblica.it 1o maggio 2016) che «Sarà la Corte di giustizia dell'Unione europea a doversi pronunciare sul ricorso presentato al Tar del Lazio da 41 comuni piemontesi che contestano il piano di Poste Italiane. I giudici amministrativi romani hanno infatti deciso di sospendere il giudizio e di trasmettere gli atti all'organismo europeo. Secondo il Tar il dimezzamento del servizio — autorizzato dall'Agcom, l’authority per le comunicazioni applicando la legge di stabilità — è legittimo tuttavia ha ravvisato un contrasto tra la legge nazionale e le direttive europee che puntano a un servizio universale e una “consegna della posta garantita come minimo cinque giorni alla settimana”. La speranza dei comuni piemontesi è che la Corte Europea ravvisi nella legge di stabilità “disposizioni non conformi al diritto comunitario” spingendo dunque il Tar del Lazio a annullare la delibera». In attesa della sentenza, però, Poste Italiane può attuare il piano di riduzione e un eventuale giudizio favorevole sarà applicato solo nei comuni che hanno presentato ricorso, creando, eventualmente, negli effetti dei fatti, una bizzarra situazione di disparità di trattamento tra quei pochi comuni che hanno presentato ricorso ed il resto del territorio nazionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, al fine di ripristinare la regolarità del servizio almeno nei comuni al di sopra della soglia stabilita di 30.000 abitanti;
   se intenda prendere in considerazione l'eventualità di assumere preventivamente le iniziative di competenza in merito alla sospetta non totale conformità della legge nazionale alle direttive europee che puntano a un servizio universale e ad una consegna della posta garantita come minimo cinque giorni la settimana.
(4-13308)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in commissione Guidesi n. 5-07764, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta dell'11 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Borghesi.

  L'interrogazione a risposta in commissione Guidesi n. 5-08166, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Borghesi.

  L'interrogazione a risposta immediata in assemblea Baldelli n. 3-02276, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Polidori, Squeri, De Girolamo.

  L'interrogazione a risposta scritta Scotto e altri n. 4-13290, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 maggio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Pellegrino, Melilla.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Sandra Savino n. 4-12739 del 5 aprile 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Scuvera n. 5-08625 del 10 maggio 2016.

Ritiro di una firma da una risoluzione.

  Risoluzione in Commissione Zampa e altri n. 7-00988, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 maggio 2016: è stata ritirata la firma del deputato: Patriarca.