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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 21 aprile 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    in Italia la maternità surrogata è vietata dalla legge 19 febbraio 2004, n. 40 (Norme in materia di procreazione medicalmente assistita), legge, ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo, fra le più oscurantiste dei Paesi che hanno la nostra stessa tradizione giuridica. La Corte costituzionale più volte ha dichiarato l'incostituzionalità di alcune sue parti, a riprova che la scelta legislativa è stata fatta non per regolamentare l'ambito della fecondazione assistita, come si dovrebbe, ma allo scopo di introdurre divieti che contrastano con i principi della Costituzione italiana;
    la Corte europea dei diritti Umani è intervenuta più volte in materia di maternità surrogata precisando che allo stato attuale delle legislazioni dei Paesi del Consiglio d'Europa, tra le quali non esiste una armonizzazione, gli Stati membri hanno la discrezionalità di mantenere una legislazione che vieti la maternità surrogata (2014, sentenze Mennesson e Labassee contro Francia);
    al contempo, la Corte ha stabilito che il figlio nato mediante surrogazione di maternità in un Paese dove ciò è lecito non può essere sottratto alla coppia dei genitori la cui filiazione è stata legalmente stabilita all'estero. In questo caso, deve essere tutelato il preminente interesse del minore che è innanzitutto quello al rispetto della propria vita familiare e all'identità personale;
    condannando l'Italia (2015, sentenza Paradiso e Campanelli), la Corte ha stabilito che al minore deve essere garantito il diritto fondamentale alla vita famigliare con i propri genitori, anche quando questi lo sono solo di fatto, se con loro ha stabilito e consolidato un rapporto genitore-figlio/a. Laddove è accertata l'esistenza di un legame famigliare, lo Stato deve adottare misure che permettono a tale legame di svilupparsi, favorendo innanzitutto il ricongiungimento tra i genitori e il figlio/a interessati/e. Non può al contrario, sottrarre il figlio ai genitori;
    secondo la Corte, nei predetti casi di maternità surrogata, il riferimento all'ordine pubblico non può essere preso come una carta bianca che giustifichi qualsiasi misura, in quanto lo Stato ha l'obbligo di tenere in considerazione l'interesse superiore del minore indipendentemente dalla natura del legame genitoriale, genetico o di altro tipo (par. 80);
    condannando la Francia (2014, sentenze Mennesson e Labassee), invece, la Corte ha stabilito che non può essere negata la trascrizione dell'atto di nascita di un minore, nato da maternità surrogata all'estero, nonostante tale pratica sia vietata e penalmente perseguita in Francia. La mancata trascrizione, infatti, provoca incertezza giuridica nella vita del minore e determina una violazione del suo diritto all'identità personale. Secondo la Corte, la legge dello Stato non può far ricadere, nella sfera giuridica di figli/e, il cui interesse è sempre preminente, gli effetti della scelta dei genitori di ricorrere a una tecnica di fecondazione vietata nel loro Paese;
    in Italia si è sviluppato un dibattito ideologico sulla gestazione per altri/e, che invoca interventi normativi che vadano oltre il divieto già esistente, facendo ricorso anche ad argomenti già utilizzati in occasione della legge 40/2004. Si invoca l'introduzione di un «reato universale» e il non riconoscimento giuridico dei figli/e alle coppie italiane che fanno ricorso all'estero a tale pratica;
    questo dibattito ignora del tutto la giurisprudenza innanzi citata, che evidenzia l'obbligo di tutelare il preminente interesse del minore, che non può essere sottratto alla sua famiglia; così come ignora il tema della permeabilità degli ordinamenti giuridici e della necessità di regolare fenomeni altrove leciti, non di punirli;
    la libertà di scelta delle donne che vogliono portare avanti una gravidanza consentendo a una vita di venire al mondo e di essere amorevolmente accolta da altre coppie di genitori, comporta che la loro scelta non sia costretta dal ricatto economico o dallo sfruttamento, e che abbiano la possibilità di ripensamento, nel corso della gravidanza e dopo il parto;
    c’è un mutamento sociale e umano dei rapporti di filiazione, della genitorialità e più in generale della vita familiare non più basati sulla coincidenza tra dato biologico, genetico, sociale e su un presunto unico modello «naturale» di famiglia, ma fondati sulla qualità delle relazioni. Tale cambiamento sociale è già stato riconosciuto giuridicamente, ma deve esserlo pienamente, perché vi è la priorità di assicurare gli stessi diritti ai figli e alle figlie a prescindere da come sono venuti al mondo;
    a tal proposito è utile ricordare che la recente sentenza della Corte Costituzionale n. 162 del 2014 ha ribadito, sotto il profilo sostanziale dei valori e dei principi, l'estensione del confine della «vita familiare» che sinora riguardava la coppia eterosessuale, ai figli generati naturalmente e con la procreazione assistita anche eterologa;
    con la legge n. 154 del 2013 il legislatore ha individuato come caratterizzante il rapporto di filiazione, il concetto di responsabilità genitoriale non sempre rispondente alla coincidenza della figura genetica e/o biologica;
    la Corte di Cassazione, con la decisione sul divieto di disconoscimento di paternità da parte del marito della coppia che ha dato il consenso all'inseminazione eterologa della moglie (sentenza n. 2315 del 1999), ha sovvertito il principio secondo il quale la verità biologica fonda il rapporto di filiazione;
    anche con riferimento alla genitorialità delle persone omosessuali, la giurisprudenza riconosce che costituisce pregiudizio il ritenere che un minore cresciuto da una coppia omosessuale possa non crescere bene (Corte di Cassazione civile, Sez. I, n. 601 del 2013), e la giurisprudenza più recente del Tribunale dei minori, nel consentire l'adozione del figlio del partner, lo ha constatato con approfondite indagini (tra le altre: Tribunale per i minorenni di Roma, sentenza 30 giugno 2014, confermata da Corte d'appello di Roma con sentenza del 23 dicembre 2015; stesso Tribunale, sentenze 22 settembre 2015 e 26 gennaio 2016);
    stigmatizzare le scelte non conformi al cosiddetto modello «naturale» di famiglia, ha ispirato l'esclusione nella proposta di legge in materia di unioni civili dell'adozione perfino dei «propri» bambini delle coppie omosessuali già nati. Esclusione che colpisce anche le persone singole che vogliano assumersi responsabilità genitoriali, come ha dimostrato la discussione nel corso dell'iter di approvazione della legge n. 173 del 2015, sulla continuità affettiva dei bambini e delle bambine in affido familiare di lungo periodo, che le ha escluse dall'adozione in tale specifica situazione;
    non va sottovalutata la correlazione tra il ricorso alla maternità surrogata e l'attuale disciplina italiana in materia di adozione. Occorre approvare una legge che renda più rapido l'iter per l'adozione, per garantire a tutti i minori in stato di abbandono il diritto ad avere una famiglia in tempi più brevi, estendendo la possibilità di adottare anche alle coppie dello stesso sesso, alle coppie non sposate e ai single. Ciò consentirebbe anche una riduzione del ricorso alla maternità surrogata;
    la proibizione universale è vana, sbagliata, pericolosa. Vana nella sua ambizione fuori misura di valere globalmente anche per altri Paesi; sbagliata perché ha l'irresponsabile effetto di alimentare un mercato clandestino; pericolosa per la portata simbolica di un divieto usato per i reati contro l'umanità, tipo i genocidi che stigmatizza la donna e segna pesantemente chi nasce;
    a questo proposito la legge 40 del 2004, come ricordato incostituzionale in molte parti, mostra gli effetti perversi della linea proibizionista. Il costoso turismo procreativo che i tanti assurdi e disumani divieti hanno incentivato, ha in sé una evidente impronta di classe a conferma che libertà civili e diritti sociali sono strettamente connessi;
    il ricorso alla proibizione, come dimostra la legge 40 del 2004, mette in questione il principio di laicità perché un personale convincimento morale non può prevaricare quelli di altri/e;
    il principio di libertà di scelta e responsabilità delle donne nella procreazione è intangibile: a una donna non si può imporre né di essere o non essere madre, né di usare o non usare il suo corpo a fini riproduttivi;
    la gestazione per altri/e è pratica antica quanto il mondo, molto diffusa anche in Italia fino a pochissimi anni fa;
    la novità sta nelle forme attraverso le quali si realizza, a seguito dello sviluppo delle tecniche di procreazione assistita, ma anche della possibilità di regolamentare il rapporto tra le persone coinvolte;
    la libertà di scelta della gestante e la regolamentazione del rapporto tra le parti sono concreti capisaldi della possibilità di gestazione per altri/e, nei paesi — come ad esempio Stati Uniti o Canada —, dove la pratica è lecita e non vi è sfruttamento delle donne;
    è riprovevole e da contrastare con forza, quando dietro questa pratica ci siano rischi di ricatto e di costrizione alla mercificazione delle donne e del loro corpo, o quando si sia in assenza di ogni forme di tutela di ciò che ogni donna possa decidere di e per se stessa. Rischio moltiplicato dalle diseguaglianze prodotte dalla globalizzazione del mercato del biolavoro, dell'uso del materiale genetico e delle capacità riproduttive dei corpi;
    la gestazione per altri/e, come la fecondazione assistita, è una realtà delicata e complessa talvolta troppo spesso semplificata anche attraverso un linguaggio che rispecchia stereotipi che colpiscono le persone coinvolte: donne, uomini, bambini/e nati attraverso questa pratica. Ad esempio, anche l'espressione «utero in affitto» veicola un pregiudizio verso le gestanti, uomini omosessuali e bambini/e nati attraverso questa pratica;
    le donne subiscono violenza anche in famiglia, sono private di diritti umani fondamentali a causa di valori, credenze religiose e tribali. Ma non per questo ci sogniamo di mettere al bando universale famiglia e religione che sono, invece, diritti fondamentali della persona;
    contrastare ogni possibile sfruttamento non significa normare, in nome del bene delle donne, il corpo femminile: nessuna donna può essere obbligata a procreare o ad abortire;
    è la soggettività di una donna con la sua libera scelta di portare avanti una gravidanza che dà la misura e il limite ai desideri di genitorialità, visto che il corpo femminile continua ad essere il tramite indispensabile per la nascita,

impegna il Governo:

   ad affermare in ogni atto e in ogni sede nazionale ed internazionale il riconoscimento del principio di responsabilità e libertà di scelta delle donne nella procreazione, anche attraverso:
    a) una regolamentazione mite della gestazione per altri/e, che riconosca il rispetto la soggettività della donna in tutto il percorso della gestazione, la possibilità di un suo ripensamento e quella di mantenere il legame con il nascituro e gli altri soggetti coinvolti;
    b) il contrasto di ogni eventuale forma di pratica sommersa e clandestina a causa dell'impossibilità di accedere alla gestazione per altri/e;
   a colmare il deficit informativo attraverso un osservatorio di analisi del fenomeno, in modo da programmare politiche pubbliche adeguate per le tutele giuridiche, sanitarie, sociali di tutti i soggetti coinvolti in una realtà che di fatto esiste;
   a stabilire accordi bilaterali sul fronte internazionale con i Paesi che hanno introdotto e normato la gestazione per altri/e, e programmi di cooperazione allo sviluppo per i Paesi a rischio di sfruttamento delle donne a fini riproduttivi;
   a prevedere il riconoscimento anagrafico nel nostro Paese, relativamente ai soli nati in quegli Stati dove esiste una legislazione che regolamenta la gestazione per altri/e;
   a rilanciare, attraverso l'investimento di risorse economiche pubbliche, l'offerta di protezione pubblica a partire dalla rete dei consultori familiari per l'accompagnamento di tutti i soggetti coinvolti, prima e durante la gestazione ed il parto, aggiornando le prestazioni e la qualità dei servizi a sostegno della soggettività delle donne e le nuove domande di genitorialità;
   a tutelare i diritti della/del minore, in particolare con la trascrizione dei loro atti di nascita formali all'estero;
   ad assumere ogni forma di costrizione alla procreazione, anche in attuazione dei principi della Convenzione di Istanbul.
(1-01230) «Nicchi, Costantino, Duranti, Gregori, Martelli, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Scotto, Franco Bordo, Daniele Farina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Melilla, Marcon, Palazzotto, Piras, Placido, Quaranta, Sannicandro, Zaratti».


   La Camera,
   premesso che:
    in data 12 aprile 2016, il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione ha emanato una circolare diretta, tra gli altri, a tutte le prefetture della Repubblica, ai commissari di Governo per le province autonome di Trento e Bolzano, nonché al presidente della regione autonoma della Val d'Aosta, protocollata con il numero 3148;
    nella predetta circolare 3148 del 2016 si osserva come il fenomeno immigratorio si preannunci quest'anno «particolarmente intenso anche rispetto agli anni passati, come peraltro già tratteggiato» in una precedente circolare, la n. 2365 del 18 marzo 2016;
    stando al testo della circolare 3148 del 2016, l'incremento degli afflussi registrato dall'inizio di quest'anno fino al 12 aprile 2016 sarebbe infatti pari all'80 per cento rispetto allo stesso periodo del 2015, anno nel quale sono sbarcati nei porti del nostro Paese circa 154 mila immigrati irregolari;
    tali dati hanno indotto forte preoccupazione per quanto potrà accadere soprattutto nel corso della stagione estiva ormai alle porte;
    secondo il dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione del Ministero dell'interno sarebbe quindi necessario predisporre una «diffusa organizzazione che riesca a far fronte all'accoglienza»;
    nella circolare 3148 del 2016 si richiama a questo proposito espressamente la nota circolare 5189 del 25 marzo 2016, laddove questa aveva rappresentato l'urgenza di verificare la situazione di coloro che non hanno più diritto ad essere presenti nelle strutture di accoglienza ed altresì la necessità di irrobustire l'infrastruttura complessiva dedicata alla gestione dei migranti irregolari, peraltro con un raccordo «più stretto» ed «instancabile» con i sindaci, attualmente in effetti assai carente se non addirittura inesistente;
    la circolare 3148 del 2016 raccomanda all'attenzione delle Prefetture e delle autorità locali gli immobili segnalati dal dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione e resi disponibili dal Ministero della difesa;
    secondo la circolare 3148 del 2016, nell'immediato occorreva soddisfare un'esigenza aggiuntiva di accoglienza per 8.893 posti, cifra evidentemente assai inferiore al fabbisogno ipotizzato per il 2016 nel suo complesso, giacché un incremento degli arrivi dell'80 per cento proiettato sui dodici mesi significherebbe immaginare che giungano nel nostro Paese quest'anno non meno di 300 mila persone;
    sussiste, quindi, il timore che in costanza d'emergenza il Governo possa far ricorso alla requisizione degli immobili privati sfitti o alla realizzazione di vere e proprie tendopoli;
    corroborano le preoccupazioni del dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione anche l'emersione di una nuova rotta di afflussi, questa volta con la sorgente in Egitto, e le dichiarazioni di alcune autorità libiche, secondo le quali nella ex colonia italiana vi sarebbe almeno mezzo milione di persone pronte a partire;
    la stessa stima di 300 mila persone in arrivo in Italia è stata accettata dal Ministro dell'interno austriaco, Johanna Mikl-Leitner, che ne teme l'arrivo nel proprio Paese;
    a sua volta, sulla questione è intervenuto anche il Ministro degli esteri austriaco, Sebastian Kurz, che, parlando a Bolzano, ha osservato come, dopo la chiusura della rotta balcanica «anche l'Italia deve mettere fine al lasciar passare i migranti», perché ciò non fa altro che aumentare i problemi;
    tutto questo determina una situazione assai rischiosa per il nostro Paese, che in assenza di respingimenti verso i Paesi di origine dei migranti non riconosciuti meritevoli di tutela internazionale, potrebbe veramente accumulare un numero straordinario di disperati, come già accade in Grecia,

impegna il Governo:

   ad intensificare gli sforzi tesi a prevenire l'arrivo nel nostro Paese di un elevato numero di migranti irregolari richiedenti asilo o altra forma di tutela internazionale;
   a stipulare in tempi rapidi accordi efficaci di riammissione, di cui valersi per espellere i migranti risultati non in possesso dei requisiti necessari per la concessione dello status di rifugiato o altra forma di tutela internazionale;
   a comunicare ufficialmente anche al Parlamento, con cadenza periodica almeno trimestrale, i dati concernenti gli afflussi e le rotte seguite dai migranti irregolari per giungere alle coste del nostro Paese;
   a non impiantare tendopoli per aspiranti rifugiati sul suolo del nostro Paese;
   ad assumere iniziative perché non si ricorra per alcun motivo alla requisizione degli immobili privati sfitti.
(1-01231) «Fedriga, Simonetti, Molteni, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini».

Risoluzioni in Commissione:


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    Alitalia Maintenance Systems (AMS con sede a Fiumicino) è una azienda nata nel 2003 e rappresenta un'eccellenza nazionale nel settore delle complesse attività di manutenzione, revisione e riparazione di motori, componenti aeronautici e areoderivati; compravendita e leasing di APU (auxiliary power unit);
    il 24 settembre 2015 è stata respinta la richiesta di concordato preventivo presentato dalla società;
    in data 30 settembre 2015, con sentenza n. 839, il tribunale civile di Roma ha dichiarato il fallimento della società (fallimento n. 828 del 2015) con relativa nomina del curatore fallimentare;
    alla medesima data 240 lavoratori impiegati venivano sospesi dal lavoro e posti in cassa integrazione straordinaria (ex articolo 3 della legge n. 223 del 1991) con scadenza il 14 aprile 2016;
    al fine di individuare ogni strumento utile e necessario alla salvaguardia dei livelli occupazionali in costanza di rapporto, i curatori fallimentari e le organizzazioni sindacali si sono incontrati presso la regione Lazio sia il 13 che il 15 gennaio 2016. In quest'ultima occasione si è giunti ad un accordo per la concessione di tre mesi di cassa integrazione in deroga per un numero massimo di 177 lavoratori fino al 14 aprile 2016;
    in attesa di manifestazioni d'interesse da parte di eventuali acquirenti, il curatore fallimentare ha dato seguito alla procedura di licenziamento collettivo per tutta la forza lavoro;
    in data 14 marzo 2016 AMS ha avviato tale procedura con conseguente collocazione in mobilità di n. 177 dipendenti, «strutturalmente esuberanti rispetto alle esigenze aziendali dell'unità produttiva di Fiumicino (Roma)»;
    il 25 marzo 2016, la curatela ha pubblicato un bando per una procedura competitiva ad evidenza pubblica per la vendita del ramo d'azienda AMS con termine dell'offerta il 5 maggio 2016;
   la prima fase della procedura prevista dalla legge n. 223 del 1991, si è esaurita il 13 aprile 2016 con un verbale di mancato accordo tra le parti e le organizzazioni sindacali in causa hanno chiesto la prosecuzione del confronto in sede istituzionale;
    nell'incontro svoltosi in data 14 aprile, ai sensi della legge n. 223 del 1991, articolo 4, comma 7, le organizzazioni sindacali hanno chiesto: a) «ulteriori forme di sostegno al reddito al fine di arrivare alla chiusura del bando pubblicato»; b) «la sospensione su base volontaria del rapporto di lavoro fino alla data di chiusura del bando»;
    in merito al punto «b» la curatela ha comunicato l'impossibilità di procedere alla sospensione per carenza di continuità aziendale;
    la regione Lazio, pur essendo impossibilitata dal quadro normativo vigente a «concedere o prorogare» altro ammortizzatore «conservativo», ha ribadito la disponibilità, anche in accordo con il Ministero dello sviluppo economico, di monitorare gli eventuali sviluppi connessi alla vendita «anche al fine di favorire il riassorbimento dei lavoratori» e «a valutare l'attivazione di interventi volti a sostenere i lavoratori e le imprese che operano nel settore dell'aeromobile attraverso la nuova programmazione comunitaria 2014-2020 e attraverso il rifinanziamento dell'articolo 16 della legge regionale 24 dicembre 2008, n. 31.». Con il verbale di mancato accordo presso la regione Lazio si ritiene conclusa e regolarmente esperita la procedura prevista dalla legge n. 223 del 1991;
    va tenuto conto degli obiettivi della curatela fallimentare e quindi dell'interesse di tutte le parti in causa, nonché del ruolo e dei propositi della regione Lazio,

impegna il Governo:

   in attesa del risultato della gara ad evidenza pubblica, ad adottare urgentemente tutte le iniziative necessarie al fine di prorogare l'utilizzo degli ammortizzatori sociali per tutti i dipendenti;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per garantire il passaggio diretto di tutti i lavoratori nella società acquirente.
(7-00979) «Miccoli, Damiano, Gnecchi, Casellato, Albanella, Gribaudo».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    il servizio di soccorso e allarme sanitario esercitato in sede extra ospedaliero è il «servizio sanitario di urgenza ed emergenza medica» (SSUEM), attivo in Italia che risponde al numero telefonico 118. Tale servizio è attualmente composto da una centrale operativa, ove lavora il personale, medici, infermieri e tecnici, e dai mezzi di soccorso, ambulanze ed auto mediche, che rispondono alle richieste di soccorso ed emergenze sanitarie di ogni tipo. Inoltre, il servizio è gestito ed organizzato da diversi enti, regioni, province e aziende sanitarie locali;
    tale servizio è stato istituito con decreto del Presidente della Repubblica del 27 Marzo 1992 allo scopo di uniformare le prestazioni di emergenza sanitaria su tutto il territorio nazionale prevedendo all'articolo 3 l'attivazione delle centrali operativa organizzate su base provinciale e prevedendo per le aree metropolitane più centrali operative con il compito di assicurare i radiocollegamenti con tutti i mezzi di soccorso coordinati con i servizi del sistema di emergenza sanitaria del territorio di riferimento;
    nel corso degli anni il ricorso al servizio di emergenza territoriale si è andato incrementando e l'attenzione all'organizzazione sanitaria territoriale è divenuta sempre più forte;
    infatti, il decreto-legge n. 158 del 2012 (cosiddetto decreto Balduzzi) ha dedicato ampio spazio al riordino dei servizi territoriali e, al loro interno, alle forme di assistenza in alternativa all'ospedalizzazione e al ricorso improprio ai servizi di urgenza ed emergenza (118 e pronto soccorso). Successivamente, l'accordo del 7 febbraio 2013 recante «Linee guida di indirizzo per la riorganizzazione del sistema di emergenza urgenza in rapporto alla continuità assistenziale» ha indicato le finalità da perseguire per favorire una piena integrazione dei servizi territoriali e ospedalieri nell'ambito dell'emergenza urgenza e delle cure primarie;
    da ultimo, il decreto n. 70 del 2015 dedica ampio spazio alla ridefinizione della rete dell'emergenza-urgenza e la definisce attraverso strutture di diversa complessità assistenziale che si relazionano secondo il modello hub and spoke integrato da strutture in grado di rispondere alle necessità d'intervento secondo livelli di capacità crescenti in base alla loro complessità, alle competenze del personale nonché alle risorse disponibili. In prima istanza viene ribadito che il sistema opera attraverso le centrali operative (CO) 118, la rete territoriale di soccorso e la rete ospedaliera;
    la centrale operativa effettua la valutazione e la complessità dell'intervento necessario, definendone la criticità e, conseguentemente, attivando l'intervento più idoneo, utilizzando i codici colore gravità. Le centrali operative gestiscono, con procedure condivise, i mezzi di elisoccorso, le ambulanze medicalizzate con medico e infermiere a bordo, le automediche e tutti gli eventuali altri mezzi medicalizzati;
    la centrale operativa — servizio di emergenza territoriale 118 (SC-CO-SET 118) si distingue, rispetto a tutte le altre strutture complesse (SC), quale caratterizzata da parametri di complessità gestionale intrinseca di evidente valenza dipartimentale, dovendo, in modo unitario articolare con efficacia ed efficienza su base provinciale la centrale operativa 118, il sistema territoriale di soccorso (la rete delle postazioni territoriali e degli equipaggi di soccorso), il rapporto con enti ed istituzioni del territorio (si vedano le unità di crisi in prefettura), gli ambiti complessivi specifici di operatività tempo-dipendente e di impegno assistenziale in contesti ad elevato rischio clinico, mediante gestione di personale contrattualmente assegnato di centinaia di unità a diversa connotazione professionale (medici, infermieri, autisti-soccorritori, amministrativi, tecnici informatici);
    pertanto, si ritiene che il SET 118, per l'elevata complessità gestionale intrinseca in ambito territoriale, debba essere inquadrato quale dipartimento del territorio,

impegna il Governo

a valutare, per quanto di competenza e per garantire i livelli essenziali di assistenza, di concerto con le regioni, le province e le unità sartorie locali, di assumere iniziative per prevedere l'istituzione di un dipartimento strutturale denominato dipartimento del SET 118 (sistema di emergenza sanitaria territoriale 118).
(7-00978) «Borghese, Labriola».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanza:


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, per sapere – premesso che:
   da oltre trent'anni gli abitanti di Scampia (quartiere dell'area nord di Napoli) hanno posto al centro delle loro rivendicazioni la fuoriuscita dai «falansteri lager» in cui erano stati «deportati» e la trasformazione del quartiere da periferia simbolo di devianze a polo con riconosciute funzioni urbane atte, tra l'altro, a superare la sola monofunzionalità abitativa e a favorire intreccio e integrazione sociale;
   questo percorso non è mai stato passivamente rivendicativo, ma si è sviluppato costantemente attraverso la critica ai modelli urbanistici e insediativi degli anni ’70 perseguendo l'obiettivo di diversi caratteri insediativi dopo l'abbattimento dei «mostri» (al momento tre «Vele» su quattro sono state abbattute), avendo tra l'altro il necessario supporto tecnico;
   questo primo obiettivo è stato raggiunto dopo una lunga, travagliata esperienza attraverso lontani ma significativi passaggi perseguiti sempre con determinazione dagli abitanti;
   si pensi, ad esempio, allo stanziamento dei fondi specifici per gli interventi nelle «Vele» nella legge finanziaria dello Stato del 1992 per 175 miliardi di vecchie lire;
   oggi, anche e soprattutto in conseguenza della fermezza del Comitato «Vele» di Scampia, costantemente attivo a sollecitare e confrontare soluzioni con le istituzioni, quei fondi della legge finanziaria hanno consentito la ricollocazione di nuove case per 1200 nuclei familiari;
   l'azione del Comitato, assieme alle molteplici associazioni sorte nel tempo, ha raggiunto anche l'obiettivo di portare all'interno del quartiere alcune strutture fondamentali al fine di favorire intreccio e integrazione sociale: il dipartimento universitario di scienze della nutrizione, la sede dell'INPS, la Piazza tematica, il teatro in area nord, due chiese, attività sportive come un campo per il gioco del calcio omologato per attività competitive e la palestra per arti marziali affidata all'olimpionico Maddaloni, attività artigianali (l'uomo e il legno), aree di parcheggio e verde attrezzato;
   oggi, sebbene l'emergenza abitativa per nuovi nuclei familiari di occupanti insediatisi nelle Vele perduri ancora, il percorso di questa esperienza si è focalizzato anche sul rapporto con il quartiere, Scampia, ormai simbolo mediatico del problema del degrado non solo di Napoli ma delle periferie urbane delle grandi città;
   a seguito delle sollecitazioni e con il contributo del Comitato, l'assessorato all'urbanistica del comune di Napoli e il dipartimento di architettura dell'università Federico II hanno prodotto nel novembre 2014 uno studio di fattibilità strategica per il quartiere che è stato definito di «reimpianto urbano», che ha focalizzato sei «azioni» relative al Nodo intermodale, Piazza della socialità e Piazza dei giovani, Parco pubblico, Lotto M, accessibilità;
   il documento in questione, inviato al Presidente del Consiglio dei ministri dal comune di Napoli, persegue, quindi, con una concreta proposta preliminare di innesti urbani, quella finalità di integrazione e «contaminazione» di contesti sociali la cui assenza è responsabile in buona parte dell'isolamento e delle aberrazioni presenti a Scampia;
   nonostante il Governo si sia ripetutamente impegnato a far rientrare Scampia tra i progetti strategici per il Mezzogiorno e per Napoli in particolare, non vi sono stati ad oggi sostanziali sviluppi;
    eppure è evidente come il «reimpianto urbano» di Scampia, proposto con comune e università, sia una tappa fondamentale del percorso di maturazione civile degli abitanti del quartiere che va posto alla base dell'intervento progettuale –:
   se e quali procedure siano in corso per l'attivazione del progetto strategico su Scampia, anche con riferimento agli studi preliminari su indicati e acquisiti dalla Presidenza del Consiglio dei ministri.
(2-01352) «Scotto».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'assemblea plenaria del Parlamento di Strasburgo ha approvato a larga maggioranza, con 461 sì, 179 no e 9 astenuti, una nuova direttiva che regola l'utilizzo dei dati del codice di prenotazione, il controverso registro dei passeggeri aerei (pnr), ai fini di prevenzione, accertamento, indagine e azione penale in relazione ai reati di terrorismo e ai reati gravi;
   le compagnie aeree saranno obbligate a comunicare alle autorità i dati dei passeggeri per tutti i voli provenienti da Paesi terzi verso l'Unione europea e viceversa;
   il voto del Parlamento arriva dopo oltre quattro anni di lavoro sulla revisione delle norme comunitarie sulla protezione dei dati;
   la direttiva andrà a sostituire l'attuale normativa che risale al 1995, quando Internet era ancora agli albori, con un regolamento generale pensato per dare ai cittadini maggiore controllo sulle proprie informazioni private in un mondo digitalizzato fatto di smartphone, social media, internet banking e trasferimenti globali;
   il regolamento generale sulla protezione dei dati sensibili fa sì che un livello elevato e uniforme di protezione dei dati in tutta la Unione europea diventi realtà;
   la regolamentazione farà anche chiarezza per le imprese, stabilendo un solo regolamento valido in tutta Europa;
   le nuove norme danno maggiore fiducia, certezza legale e competizione leale e rafforzano la protezione dei diritti dei consumatori e rappresentano un sì dell'Europa alla concorrenza nell'era digitale;
   i cittadini potranno decidere autonomamente quali informazioni personali vogliono condividere;
   le nuove norme includono disposizioni, in particolare, su: diritto all'oblio, condizioni per un «consenso chiaro» per il trattamento dei dati privati dell'interessato, il diritto di trasmettere i propri dati a un altro titolare del trattamento, il diritto di venire a conoscenza della violazione (hackering) dei propri dati personali, la garanzia affinché le informazioni relative alle politiche di privacy siano indicate con un linguaggio chiaro e semplice, l'applicazione più severa di tali disposizioni e sanzioni amministrative pecuniarie fino al 4 per cento del fatturato mondiale totale annuo per le imprese che violano tali disposizioni –:
   se il Governo abbia già individuato modalità e tempi per stabilire una propria «unità di informazione sui passeggeri» (Uip) per raccogliere i dati pnr dalle compagnie aeree, visto che questi dati dovranno essere conservati per un periodo di cinque anni, ma dopo sei mesi dal trasferimento, saranno resi anonimi mediante la mascheratura di alcuni elementi;
   se non ritenga opportuno, visto che la direttiva si applica ai soli voli extra-Unione europea, di assumere iniziative, in sede europea, per estendere la normativa anche ai voli intra-Unione europea; 
   quale sia l'orientamento del Governo circa la raccolta e il trattenimento dei dati pnr provenienti da operatori economici diversi dalle compagnie aree, come le agenzie di viaggio e gli operatori turistici, che forniscono allo stesso modo servizi di prenotazione di voli. (5-08475)


   ZANIN. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale ha bandito il 15 dicembre 2015 il concorso per l'avvio al servizio di 200 volontari da impegnare nella sperimentazione dei Corpi civili di pace (articolo 1, comma 253, legge 27 dicembre 2013, n. 147);
   al concorso potevano partecipare gli enti e le organizzazioni iscritte agli albi di cui all'articolo 5 del decreto legislativo 5 aprile 2002, n. 77, che avessero svolto o svolgevano da almeno tre armi attività di servizio civile nazionale nelle aree e nei settori d'intervento (articolo 2, decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, 7 maggio 2015), potendo presentare progetti da realizzarsi in Italia e all'estero volti ad impegnare 200 volontari in azioni di pace non governative nelle aree: a rischio di conflitto o post-conflitto (125 volontari); di emergenza ambientale in Paesi esteri (50 volontari); di emergenza ambientale in Italia (25 volontari);
   il concorso si è concluso a metà febbraio, con circa quindici progetti presentati, per un massimo di 100 posti, quindi la metà dei 200 posti disponibili. È previsto che i primi volontari saranno selezionati prima dell'estate;
   lo scarso successo del concorso è probabilmente da ricondurre alle spese che ciascuna associazione dovrebbe sostenere nel corso dell'attuazione del progetto proposto;
   il bando, tra l'altro, prevedeva: «il dettaglio dell'attività formativa generale (minino 100 ore) e specifica prevista per i volontari (minimo 70 ore), in modo che la durata complessiva della formazione (generale e specifica) non possa essere inferiore alle 170 ore»;
   le notizie presenti sui siti di rete indicano che per adempiere a questa necessità gli enti partecipanti sono tenuti all'obbligo di formazione del personale di ciascuna delle realtà associative. Questa formazione, che prevede 100 ore a Roma, organizzata dal dipartimento della gioventù e del servizio civile nazionale e dall'università, è da ritenersi certamente molto onerosa per associazioni che hanno spesso profili di mero volontariato;
   le Forze armate realizzano attività di cooperazione civile-militare (Cimic – Civil-Military Cooperation o in italiano Cocim – CooperazioneCivile-Militare), sviluppando con essa il coordinamento e la cooperazione tra la componente militare e le organizzazioni civili presenti nel territorio interessato da un'operazione militare, con particolare attenzione alla popolazione locale, alle autorità, alle organizzazioni nazionali (Og) alle organizzazioni internazionali (Oi) e non governative (Ong);
   attualmente la Nato per l'esecuzione di queste attività dispone del Multinational CIMIC group dislocato a Motta di Livenza, un reparto multiforza e multinazionale a guida italiana di assoluta qualità e portanza strategica, in particolare nell'ambito delle missioni internazionali, in grado di ricercare, addestrare e proiettare unità di specialisti nella mediazione militare-civile in vista dell'esecuzione di progetti operativi, nel soccorso e nella ricostruzione di aree di conflitti –:
   se il Governo ritenga utile prevedere un pegno delle unità Cimic nella attività di formazione che si renderanno di volta in volta necessarie in relazione all'attività di sperimentazione e sviluppo dei Corpi civili di pace, e di assumere iniziative per altre forme di collaborazione, da individuare d'intesa con le associazioni interessate e con l'università. (5-08479)


   CANCELLERI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il turismo italiano è l'unico settore in grado di fronteggiare la crisi economica, continuando a generare crescita, occupazione e sviluppo;
   i gravissimi episodi di terrorismo verificatisi negli ultimi periodi hanno posto il settore economico turismo – con particolare riferimento al comparto agenzie di viaggi e tour operator – al centro di una pesante crisi economica senza precedenti;
   la situazione venutasi a determinare rischia di portare inevitabili ripercussioni negative sull'occupazione del personale addetto al comparto delle agenzie di viaggi e turismo e tour operator;
   gli attuali problemi economici hanno per lo più delle cause di altro genere, che gli eventi di terrorismo verificatisi negli ultimi periodi hanno all'improvviso portato alla ribalta ed esacerbato;
   le prospettive economiche nell'attuale situazione politica ed economica racchiudono un fattore di insicurezza relativamente elevato –:
   quali iniziative il Governo intenda portare avanti, affiancando alle misure urgenti coerentemente e rapidamente riforme strutturali, in modo da accrescere la fiducia delle imprese e dei consumatori;
   se il Governo intenda avviare una campagna sul tema del turismo, di concerto con l'Enit, finalizzata a garantire la sicurezza e l'attrattività delle destinazioni italiane ed europee. (5-08480)


   LACQUANITI, DI SALVO, LAVAGNO e NARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   lo studente italiano Giulio Regeni è scomparso il 25 gennaio 2016 al Cairo in circostanze che la Farnesina ha definito subito «misteriose» e dal ritrovamento del suo cadavere, il 3 febbraio, ad oggi si sono susseguite varie ipotesi sulla sua morte, ma finora non è emersa nessuna verità;
   il Parlamento europeo in seduta plenaria l'11 marzo 2016 ha approvato a larghissima maggioranza con 588 sì, 10 no, e 59 astenuti una risoluzione bipartisan presentata da tutti i gruppi (tranne lo Efn di Le Pen e Salvini) che «condanna con forza la tortura e l'assassinio del cittadino europeo Giulio Regeni» in Egitto e «chiede» al Cairo di «fornire alle autorità italiane tutti i documenti e le informazioni necessarie» per l'inchiesta sottolineando con «grave preoccupazione» che il caso Regeni «non è un incidente isolato»;
   il 5 aprile 2016 il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha dichiarato: «Noi ci fermeremo solo davanti alla verità vera, lo dobbiamo a Giulio, alla sua famiglia e anche a tutti noi. La nostra è una presa di posizione chiara, secca e forte. Noi pensiamo e speriamo che l'Egitto possa collaborare con i nostri magistrati, abbiamo la disponibilità a vedere le carte insieme e che la verità sia trovata»;
   il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni riferendo in Senato lo stesso giorno sul caso Regeni ha ribadito per conto del Governo: «Se non ci sarà un cambio di marcia, il Governo è pronto a reagire adottando misure immediate e proporzionate», e «Per ragioni di Stato non permetteremo che sarà calpestata la dignità dell'Italia»;
   l'8 aprile 2016 dopo l'esito nullo degli incontri con la delegazione di magistrati egiziani a Roma, Italia ha deciso formalmente di richiamare per consultazioni l'ambasciatore al Cairo Maurizio Massari;
   ad oggi l'Italia si appresta a intraprendere nuove iniziative di pressione nei confronti dell'Egitto per far luce sul caso Regeni a seguito delle consultazioni tra il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale Paolo Gentiloni e l'ambasciatore al Cairo Maurizio Massari che si sono già incontrati per una «prima valutazione» delle nuove misure da adottare;
   in data 13 aprile 2016, nelle mail di diversi cittadini italiani, di tutti gli utenti iscritti al programma CartaFreccia di Trenitalia, e di tutti coloro che a vario titolo hanno accettato di ricevere comunicazioni commerciali di Trenitalia è giunta una mail massiva inviata da Trenitalia in cui la società ferroviaria controllata dallo Stato pubblicizza uno sconto del 10 per cento riservato ai possessori di CartaFreccia per viaggi su tutte le destinazioni coperte della compagnia area di bandiera Egyptair invitando gli italiani a scoprire l'Africa e l'Estremo Oriente con Egyptair e CartaFreccia;
   vista la situazione attuale dei rapporti istituzionali tra Italia ed Egitto per la vicenda della tortura e dell'assassinio del giovane Giulio Regeni appare un grave errore pubblicizzare sconti da parte della Egyptair sulla base di una convenzione con Trenitalia, società controllata dallo Stato Italiano, nel momento in cui lo stesso è impegnato ad adottare tutte le misure «immediate e proporzionate» di pressione sull'Egitto affinché collabori pienamente nel raggiungimento della verità sull'omicidio Regeni –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti e se non ritenga che sussistono i presupposti per far sì che Trenitalia blocchi immediatamente la campagna pubblicitaria prima citata e sospenda la convenzione promossa, ad avviso degli interroganti inopportuna, nei tempi proposti e offensiva verso la memoria di Giulio Regeni e la dignità dell'Italia stessa.
(5-08486)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'associazione nazionale persone con malattie reumatiche si occupa da anni della tutela del diritto alla salute delle persone affette da malattie reumatologiche e rare;
   in una nota del 18 aprile 2016, indirizzata al dottor Gianluigi Scaffidi, segretario dell'Anaao-Assomed per l'azienda ospedaliera di Reggio Calabria, la suddetta associazione ha obiettato che, con il decreto commissariale n. 30 del 2016, a firma del commissario ad acta ingegnere M. Scura e sub-commissario dottor A. Urbani e relativo alla organizzazione delle reti assistenziali in Calabria, sono stati attribuiti «40 posti di degenza ordinaria per la Reumatologia, distribuiti a Cosenza e Cotronei (in provincia d Crotone), lasciando sguarniti gli altri presìdi ospedalieri»;
   nella medesima nota si ricorda che «sono stati confermati 30 posti letto ordinari più 3 di DH (tot 33) alla clinica privata “Madonna dello Scoglio” di Cotronei»;
   l'Associazione nazionale persone con malattie reumatiche ha riassunto, nella nota summenzionata, che «la Reumatologia, nel pubblico, ha solo una struttura con posti letto (10 – Cosenza Ospedale Annunziata) ed è tenuta ampiamente sotto gli standard minimi che prevedono un minimo di 1 struttura complessa per 1.200.000 abitanti ed un massimo di 1 struttura complessa per 600.000 abitanti»;
   «considerando che la popolazione della Calabria è di 1.980.533 abitanti – prosegue la nota in parola – le strutture complesse previste dovrebbero essere da un minimo di 2 ad un massimo di 3, come peraltro evidenziato anche nell'allegato 2»;
   «a Reggio Calabria (Azienda Ospedaliera Bianchi-Melacrino-Morelli) e a Castrovillari (Ospedale Civile Ferrari) sono state previste – evidenzia la nota più volte menzionata – esclusivamente Strutture Semplici Dipartimentali di Reumatologia senza posti letto di degenza ordinaria e di DH»;
   «in tali strutture – riferisce l'associazione rammentata – operano da decenni specialisti in Reumatologia che si fanno carico di una attività professionalmente ineccepibile e svolta da sempre al servizio dei pazienti»;
   per l'associazione in argomento, dal decreto commissariale di cui si tratta, «gli operatori in questione risultano mortificati e penalizzati oltre ogni misura»;
   di più, nella stessa nota l'associazione in parola rappresenta che «tenuto conto delle difficoltà orografiche e viarie della nostra Regione si può facilmente intuire a quali difficoltà i nostri lungimiranti decisori costringerebbero le Persone affette da malattie reumatiche spesso gravi e invalidanti»;
   inoltre, nella nota l'Associazione nazionale persone con malattie reumatiche si chiede «a quale logica obbediscano le scelte dei nostri decisori», aggiungendo che «certamente non si tratta di opzioni che possano privilegiare l'utenza e offrire centralità al paziente, nonostante i proclami di tutti i politici che a turno si assumono le responsabilità di governare un mondo così complesso e delicato quale è la Sanità»;
   la stessa associazione in questione rammenta, nella nota in questione, che «la provincia di Reggio Calabria ha, da sola, un'utenza pari a quella dell'intera Basilicata e che anche le strutture pubbliche delle altre province (Cosenza e Catanzaro) sono sottoposte ad una pressione continua e defatigante da parte dei pazienti», deducendone che «i nostri amministratori pubblici intendano privilegiare incredibilmente il privato rispetto a ciò che invece dovrebbero implementare per mandato»;
   «il commissario ad Acta – riferisce la nota – nel decreto del commissario ad acta n. 30 non ha ottemperato alle precedenti disposizioni previste nel decreto del commissario ad acta n. 9 del 2 aprile 2015 (Oggetto: Approvazione documento di riorganizzazione della rete ospedaliera, della rete dell'emergenza-urgenza e delle reti tempo dipendenti)»;
   con deliberazione del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, è stato nominato il dottor Andrea Urbani sub-commissario unico nell'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale della regione Calabria, con il compito di affiancare il commissario ad acta nella predisposizione dei provvedimenti da assumere in esecuzione dell'incarico commissariale;
   con la medesima deliberazione è stato assegnato al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro l'incarico prioritario di adottare ed attuare i programmi operativi e gli interventi necessari a garantire, in maniera uniforme sul territorio regionale, l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza, appropriatezza, sicurezza e qualità, nei termini indicati dai tavoli tecnici di verifica, nell'ambito della cornice normativa vigente –:
   se non ritengano urgente assumere ogni iniziativa di competenza affinché sia revocato il suddetto decreto del commissario ad acta n. 30 del 2016, e, per il tramite della struttura commissariale per il rientro dal disavanzo sanitario della Calabria, sia garantita una distribuzione razionale e secondo un criterio di giustizia effettiva dei posti letto di pertinenza reumatologica. (4-12929)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PASTORINO e MATARRELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi, con un volo di linea della compagnia Ethiopian Airlines, alle 5,39 sono sbarcati all'aeroporto di Fiumicino 51 bambini provenienti dal Congo per congiungersi alle loro famiglie adottive;
   i bambini, coadiuvati da 13 accompagnatori sono stati assistiti dalla Polaria e da personale della Presidenza del Consiglio;
   i piccoli congolesi non hanno trovato nessuno dei genitori ad accoglierli allo scalo, poiché loro stessi non erano stati informati dell'arrivo dei figli adottati;
   tali fatti, non sono stati ufficialmente diramati dalla Cai (la Commissione adozioni internazionali) ma da personale dell'aeroporto e da alcune fonti interne alla Farnesina, inducendo le agenzie di stampa e alcuni quotidiani a informare più volte del fatto grave accaduto;
   parrebbe che nemmeno gli enti coinvolti per le adozioni fossero informati dello sbarco a Fiumicino dei 51 bambini provenienti dal Congo;
   le famiglie sono state informate a distanza di ore dell'arrivo dei bambini dal Congo con una telefonata proveniente dalla Cai, e convocate immediatamente Roma con la scusante di firmare delle deleghe urgenti;
   nonostante il fatto che l'autorizzazione da parte dell'ambasciata a Kinshasa (Congo) alla consegna dei bambini all'Italia fosse stata data nella settimana precedente, nessuna tra le famiglie adottanti era stata informata dell'arrivo dei minori;
   non è dato sapere dalla Cai perché ancora restino 82 bimbi in Congo destinati a famiglie italiane, nonostante i loro passaporti siano nella maggior parte rinnovati, i dossier sbloccati, e l'ambasciata di Kinshasa pronta a rilasciare i visti per il via libera –:
   se i gravi fatti narrati in premessa corrispondano al vero e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti intenda mettere in atto per evitare che simili situazioni accadano nuovamente;
   se non ritenga doveroso e necessario fornire spiegazioni alle famiglie convocate dalla Cai, formalmente al solo fine di firmare della documentazione, e non avvisate per tempo del fatto che i bambini da loro adottati stavano per arrivare dal Congo e dar così loro il modo di predisporre quanto necessario per l'accoglienza;
   se non ritenga utile e necessario fornire spiegazioni urgenti circa i fatti narrati in premessa, con particolare riguardo a quelle che gli interroganti giudicano la mala gestione e la scarsa attenzione posta della Cai nei confronti delle famiglie e dei bambini provenienti dal Congo;
   se non si ritenga doveroso adottare modalità diverse da quelle utilizzate fino ad oggi per far sì che le famiglie e gli enti autorizzati siano messi a conoscenza in tempo dell'arrivo dei piccoli, in modo che questi possano trovare le aspiranti famiglie ad accoglierli, tanto più che si tratta di bambini già provati dalle vicissitudini delle loro giovani vite. (4-12930)


   PALESE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa che, a valere sui fondi Fesr 2007-2013 rendicontati al 31 dicembre 2015, la asl di Lecce a fronte di 43 milioni e 440 mila euro assegnati, non ne avrebbe utilizzati, e quindi ne avrebbe persi, 11 milioni e 908 mila, pari all'11 percento;
   tali fondi erano destinati tra l'altro a migliorare la qualità dell'offerta sanitaria salentina, anche tramite l'acquisto di nuove apparecchiature e l'ampliamento di strutture;
   tramite accordi di programma sottoscritti tra Stato e regione Puglia, sono stati disciplinati gli interventi di edilizia sanitaria da finanziare nel territorio pugliese tramite l’ex articolo 20 della legge n. 67 del 1988 nella quale si autorizzava un programma pluriennale di interventi in materia di ristrutturazione edilizia e di ammodernamento tecnologico del patrimonio sanitario pubblico;
   in principio la Puglia fu destinataria di circa un miliardo di euro dei quali risulta all'interrogante che circa 600 milioni di euro sarebbero ancora inutilizzati –:
   in base ai dati di rendicontazione dei fondi Fesr al 31 dicembre 2015, se, dai dati in possesso del Governo, corrisponda al vero la situazione illustrata in premessa relativa alla asl di Lecce e quale sia la situazione delle altre asl della Puglia, ovvero quale sia la quota di fondi inizialmente assegnata, quale la quota spesa e quale la quota non utilizzata e quindi «persa»;
   nell'ambito delle risorse di edilizia sanitaria a valere sull’ex articolo 20, a quanto ammonti la somma di risorse già assegnata alla regione Puglia, quale sia ad oggi il tasso di utilizzo, a quanto ammonti la parte restante non ancora assegnata, quali siano i motivi della mancata assegnazione e se la regione abbia dato comunicazione di voler utilizzare o meno queste somme. (4-12932)


   SCOTTO e DURANTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   domenica 12 aprile 2016 circa 400 migranti sono morti quando la loro imbarcazione si è rovesciata nel canale di Sicilia. La stima non è ancora ufficiale, ma alcuni dei 144 sopravvissuti soccorsi dalla Guardia Costiera italiana hanno raccontato che sull'imbarcazione erano presenti tra le 500 e le 550 persone (una cifra che sembra corrispondere alle dimensioni dell'imbarcazione). Se il numero comunicato dai testimoni venisse confermato si tratterebbe di uno dei peggiori disastri avvenuti nel tratto di mare che divide l'Italia dal Nordafrica, più grave anche di quello di Lampedusa dell'ottobre 2013, quando più di 300 migranti affogarono a pochi chilometri dalle coste italiane. Il disastro di domenica ha confermato come il numero di migranti morti in mare è in considerevole aumento negli ultimi mesi: secondo gli esperti, la principale causa è la fine dell'operazione Mare Nostrum, che dal novembre 2015 è stata sostituita dall'operazione Triton;
   Mare nostrum è stata un'operazione militare e umanitaria decisa dal Governo guidato da Enrico Letta il 14 ottobre 2013 e iniziata ufficialmente il 18 ottobre dello stesso anno. Mare Nostrum è terminata il primo novembre del 2014 ed è stata sostituita da Triton, un'operazione promossa e finanziata da Frontex, l'agenzia europea per la tutela dei confini. Le differenze tra le due missioni sono sostanziali: Mare Nostrum era una missione che aveva lo scopo di salvare i migranti in pericolo, mentre «Triton» ufficialmente dovrebbe occuparsi soltanto della sorveglianza delle frontiere;
   Triton è un'operazione meno estesa e più economica rispetto a Mare Nostrum. Triton costa circa 2,9 milioni di euro al mese contro i 9 milioni di euro al mese di Mare Nostrum. Le navi impegnate sono state dimezzate e sono passate da un tonnellaggio totale di 22 mila tonnellate a 13 mila. L'area pattugliata dalle imbarcazioni è diminuita di due terzi, passando dalle 22.350 miglia quadrate sorvegliate da Mare Nostrum alle 6.900 di Triton. Non significa che Triton non permetta di compiere operazioni di soccorso: tutte le leggi internazionali obbligano la nave più vicina a intervenire per aiutare un'imbarcazione in difficoltà. Il fatto che Triton si occupi di un'area più ridotta fa sì che molto spesso i soccorsi ai migranti siano compiuti da imbarcazioni mercantili di passaggio;
   la conseguenza diretta del minore impegno nei soccorsi è che ora cercare di attraversare il Mediterraneo è divenuto più pericoloso. Secondo i dati dell'Organizzazione internazionale per le migrazioni (Iom), nei primi quattro mesi del 2015, novecento persone sono morte cercando di attraversare il canale di Sicilia. Nello stesso periodo del 2014 i morti furono 96 (anche togliendo dal conto i 400 migranti morti domenica scorsa, che non sono stati ancora confermati, nel 2015 il numero crei morti è aumentato di cinque volte);
   il Guardian ha realizzato una grafica in cui ha elaborato il rapporto tra persone morte nei naufragi e migranti sbarcati. I primi tre mesi del 2015 sono stati il periodo con più morti degli ultimi anni: per ogni mille migranti sbarcati 46,2 sono morti in mare. La cifra per lo stesso periodo del 2014 era dieci volte inferiore: 4,2 morti morti ogni mille persone sbarcate. Oltre al numeri di morti nella traversata, sono aumentate anche le persone che hanno raggiunto l'Italia attraversando lo stretto di Sicilia. Nei primi tre mesi del 2015 sono sbarcati 22.979 migranti, contro i 20.899 del 2014: si tratta di una cifra che smentisce un luogo comune molto diffuso, ossia che l'immigrazione è aumentata nel 2015 perché Mare Nostrum garantiva un passaggio sicuro ai migranti dal Nordafrica all'Italia. La fine di Mare Nostrum per gli interroganti ha reso il Mediterraneo un posto molto più pericoloso. Nel primo mese dell'operazione Triton, gli arrivi sono aumentati del 485 per cento rispetto al novembre 2013, quando invece era in atto l'operazione Mare Nostrum –:
   se non si intenda assumere iniziative per ripristinare l'operazione Mare nostrum al fine di ridurre drasticamente le morti in mare che con l'arrivo della stagione estiva rischiano di diventare sempre più numerose;
   quali iniziative urgenti intenda intraprendere il Governo per affrontare quella che appare agli interroganti l'evidente inadeguatezza dell'operazione Triton rispetto alla necessità di salvare più vite possibili in mare;
   se non ritenga il Governo di assumere iniziative di competenza per disporre corridoi umanitari che garantiscano il tragitto in mare ad ora affidato ai trafficanti di uomini e al pericolo di morte. (4-12940)


   PASTORINO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e MATARRELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dopo lo sversamento di petrolio da una condotta del deposito della raffineria Iplorn, che ha sede a Busalla e che ha rovesciato una grande quantità di petrolio nel rio Pianego, nel rio Fegino e, da questo, nel Polcevera, avvenuto il 17 aprile 2016, si lavora senza sosta a Fegino e lungo il corso del torrente Polcevera, fino alla foce;
   il lavoro posto in essere da cinque squadre di vigili del fuoco, che hanno immediatamente collocato le panne anti-inquinamento e coperto il petrolio con speciali schiumogeni, finora ha impedito che gli idrocarburi arrivassero in mare, ma non c’è ancora la totale sicurezza che le sostanze oleose non arrivino alla costa: chiazze di idrocarburi si notano lungo tutta l'asta terminale del torrente, tra i quartieri di Sampierdarena e Cornigliano nel ponente cittadino;
   il presidente della regione, Giovanni Toti, che ha fatto un sopralluogo con l'assessore all'ambiente, Giacomo Giampedrone, ha dichiarato che «Questa non è solo un'emergenza regionale ma è anche nazionale, visto il danno ambientale. Serviranno fondi straordinari perché questo corso d'acqua ha subito un danno molto serio» e ha evidenziato che «La falla è stata chiusa, si tratta di un petrolio nigeriano molto pesante, e quindi le esalazioni non rappresentano un problema per la popolazione. Al momento tutto quello che si poteva fare si sta facendo»;
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti ha concesso la massima disponibilità a collaborare con le autorità locali inviando sul posto i tecnici dell'Ispra, a supporto di quelli dell'Arpal e il sindaco di Genova Marco Doria ha manifestato l'intenzione di valutare se dal punto di vista legale ci sono le condizioni per chiedere un risarcimento dei danni per questo incidente, oltre a vagliare tutti i provvedimenti necessari per disciplinare in maniera più stringente le attività che rischiano di creare danno, manifestando inoltre la sua preoccupazione per come si possa evolvere la situazione, soprattutto per il concreto rischio di sversamento in mare del petrolio, ora arginato, che non sarà scongiurato fino alla completa bonifica del sito;
   l'Iplom ha spiegato che «l'incidente si è prodotto mentre era in corso il trasferimento di grezzo da una nave nel Porto Petroli di Multedo, che si è verificato un calo di pressione il pompaggio immediatamente interrotto» e che sarà sua cura continuare ad impegnarsi nelle azioni di bonifica fino alla completa rimozione e pulitura dell'alveo;
   tuttavia, mentre la magistratura indaga e l'azienda e le istituzioni cercano di accelerare al massimo i tempi di messa definitiva in sicurezza con l'ansia per le piogge e lo sversamento in mare, è venuto alla luce che l'intervento per arginare i danni causati dalla rottura della tubatura di Fegino, è stato condotto sulla base di un piano di emergenza esterno che risulta non essere aggiornato dal 2012 e, quindi, secondo quanto previsto dalla legge, «scaduto» nel 2015;
   la situazione è ancora più grave se si guarda all'altro impianto petrolifero presente sul territorio metropolitano genovese, cioè la raffineria Iplom di Busalla, dove l'ultimo piano risale al 2006 e la responsabilità di questo documento è della prefettura di Genova che, come tutte le prefetture, ha il compito previsto dal legislatore di redigere questo documento, verificarlo e tenerlo aggiornato secondo criteri e scadenze precise;
   per ogni impianto industriale considerato a rischio rilevante, la prefettura di competenza ha l'obbligo di redigere il piano di emergenza esterno (PEE), renderlo di evidenza pubblica e aggiornarlo al massimo ogni tre anni, come stabilito dal decreto legislativo n. 105, del 26 giugno 2015, che recepisce (sforando di un mese sulla scadenza ultima) l'aggiornamento apportato dalla direttiva comunitaria del 4 luglio 2012 alla precedente «direttiva Seveso» del 1982 (recepita dal legislatore italiano nel 1988), già aggiornata in precedenza durante lo stesso 1982 (in Italia solo nel 1999) e poi nel 2003 (nel nostro ordinamento dal 2005), allo scopo di prevenire gravi incidenti industriali, con le relative conseguenze su persone e ambiente, come appunto accadde il 10 luglio del 1976 a Seveso, quando un'enorme nube tossica fuoriuscì dagli impianti chimici della ICMESA, investendo terreni e abitazioni, incidente che fece nascere l'esigenza a livello europeo di avere regole precise e rigorose per evitare nuove sciagure;
   uno degli elementi chiave della direttiva sopracitata è l'obbligo di studiare e rendere operativi piani di emergenza esterni: organizzare, cioè, strategie di azione in tutte quelle ipotetiche situazioni di crisi che coinvolgono l'ambiente esterno all'impianto in questione;
   con il PEE, in caso di incidente, si sa cosa c’è, si sa dove è, si sa cosa può succedere, e soprattutto si sa subito come intervenire il più efficacemente possibile e per tali motivi, il suo aggiornamento è fondamentale e ogni modifica sostanziale degli impianti, infatti, deve essere catalogata e verificata anche se si tratta di semplici cambiamenti viari e delle infrastrutture limitrofe a un determinato impianto che possono costituire un fattore di novità importante, che è meglio non appurare ad emergenza in corso;
   per quanto riguarda gli impianti di Fegino, sul sito web della prefettura è pubblicato integralmente un PEE, datato 2012 e sullo stesso documento viene predisposto un aggiornamento su base triennale, la cui prima scadenza, quindi risulta essere il 2015 e quindi l'intervento che ha seguito lo sversamento di petrolio nel rio Fegino, e poi nel Polcevera potrebbe essere stato inficiato da questo dato;
   il PEE relativo alla raffineria Iplom non si trova sul sito della prefettura e, in base alle ricerche degli interroganti, non ne esiste copia pubblica e il sindaco di Busalla, Loris Maieron, ha confermato che l'ultima versione disponibile risale al 2006, quindi scaduta dal 2009, dichiarando di aver sollecitato nel mese di agosto 2015 anche il prefetto in merito;
   l'Iplom, da parte sua ha confermato questo dato, mettendo la propria copia a disposizione per una consultazione in quanto «documento pubblico», come ha specificato l'ufficio stampa dell'azienda e, chiedendo chiarimenti ai funzionari degli uffici prefettizi di Genova che, dopo una serie di ricerche interne, hanno confermato la situazione senza tuttavia motivare il ritardo;
   infine, anche Roberto Oreficini, ispettore della protezione civile, durante il sopralluogo con l'ammiraglio Pettorino, diretto a visionare la situazione per valutare le eventuali misure di competenza nazionale nel punto in cui c’è stata la rottura del tubo della Iplom ha evidenziato, che sono state fatte delle barriere per intercettare il prodotto in tutta una serie di punti per evitare dispersioni assicurando che verranno installate delle barriere oceaniche molto più alte sul fronte mare e i battelli saliranno da quattro a sei e gli autospurgo da quattordici a venti; il rischio più grande è ora l'arrivo della pioggia che farebbe fluire il petrolio in mare –:
   quali iniziative urgenti il Governo intenda intraprendere, anche promuovendo uno specifico piano di emergenza, per le zone afflitte dallo sversamento di petrolio di cui in premessa, essendo oltretutto scaduto il piano che avrebbe dovuto regolamentare un'emergenza ambientale di tale portata;
   quali procedure di monitoraggio della bonifica il Governo intenda utilizzare, oltre all'eventuale assunzione di iniziative per la nomina di un commissario, e se, essendo il sito di cui in premessa uno dei dieci siti nel comune di Genova «a rischio di incidente rilevante (RIR)», non intenda compiere una verifica sugli altri nove, assicurando ove necessario, l'aggiornamento del relativo piano di sicurezza.
(4-12943)


   VACCA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa del 19 aprile 2016, 10 manifestanti sono accusati di resistenza a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata a causa delle contestazioni verificatesi in occasione della visita di Matteo Renzi a L'Aquila il 25 agosto 2015;
   secondo le notizie riportate, gli agenti della digos avrebbero segnalato all'autorità giudiziaria una decina di manifestanti tra quelli del Comitato 3e32 e quelli di Ombrina Mare 2, giunti in città per protestare contro la realizzazione di un nuovo insediamento petrolifero sulla costa teatina. Su alcuni di loro si sarebbero concentrate le indagini per resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, visto che sembrerebbe che un'agente donna della polizia, nei momenti più concitati in prossimità di Palazzo Fibbioni, nuova sede comunale, sia stata scaraventata contro i puntelli della scuola elementare Edmondo De Amicis riportando una contusione ad una spalla;
   secondo le notizie di stampa, per tutti gli altri manifestanti gli investigatori contestano la manifestazione non autorizzata;
   una nota del «Coordinamento No Ombrina» del 19 aprile 2016 precisa che «Il coordinamento apprende dalla stampa che vi sarebbero dei denunciati per la manifestazione a L'Aquila in occasione della visita di Renzi. Riteniamo le accuse del tutto prive di fondamento, per le più gravi basta guardare i video girati da testate locali e nazionali. Abbiamo già espresso rincrescimento per la poliziotta ferita ma fu a causa di un contatto tra lei e un collega. In generale non si può certo scaricare sui manifestanti l'approssimativa, caotica ed inadeguata gestione dell'ordine pubblico di quella giornata, addirittura con cariche a freddo tra i giornalisti. In questi anni abbiamo organizzato decine di eventi e diverse manifestazioni con migliaia o decine di migliaia di partecipanti senza che rimanesse a terra neanche una carta. Ci siamo presentati a L'Aquila con poche centinaia di persone, a volto scoperto e solo la bandiera No Ombrina tra le mani. Diversi manifestanti superavano la sessantina. Infine ricordiamo che le nostre istanze nel frattempo sono diventate leggi dello Stato votate dal Parlamento. Evidentemente avevamo ragione a contestare chi, come Renzi, non voleva ascoltare il popolo e le istituzioni abruzzesi»;
   effettivamente qualche giorno dopo le contestazioni del 25 agosto 2015 i comitati aquilani, in una conferenza stampa, mostrarono foto e video nei quali si mostrava come l'agente fosse stata spintonata involontariamente da un proprio collega;
   a giudizio dell'interrogante è alquanto singolare che si apprenda a mezzo stampa di indagini contro cittadini che manifestavano pacificamente il proprio dissenso contro le politiche di «petrolizzazione» del Governo solo all'indomani delle votazioni sul referendum contro le trivellazioni in mare;
   secondo l'interrogante, le eclatanti e riuscite manifestazioni di contrarietà alle politiche di «petrolizzazione» del Governo Renzi da parte di comitati di cittadini, ed in particolare del coordinamento No Ombrina, hanno indotto lo stesso Governo a promuovere la modifica di alcune norme proprio per bloccare il progetto Ombrina –:
   se il Governo intenda, per quanto di competenza, chiarire e verificare l'accaduto e alla luce di quanto espresso in premessa, quali siano i motivi che hanno indotto le forze dell'ordine alla inaccettabile gestione della manifestazione sopra richiamata. (4-12945)


   PESCO, CASO, CARINELLI, MANLIO DI STEFANO, CANCELLERI, DELLA VALLE, BRUGNEROTTO, D'INCÀ, COMINARDI, CASTELLI, ALBERTI, CARIELLO, NUTI, DIENI, CECCONI, COZZOLINO, SILVIA GIORDANO, DEL GROSSO, GRILLO, LOREFICE, MANTERO, BARONI, DI VITA, COLONNESE, LIUZZI, DE LORENZIS, SPESSOTTO, LUIGI GALLO, DE ROSA, GAGNARLI, CIPRINI, LOMBARDI, DALL'OSSO, TRIPIEDI, DI BATTISTA, NICOLA BIANCHI e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 14, al comma 1, lettera f), del decreto legislativo n. 33 del 2013 («Obblighi di pubblicazione concernenti i componenti degli organi di indirizzo politico), prevede che, con riferimento ai titolari di incarichi politici, di carattere elettivo o comunque di esercizio di poteri di indirizzo politico, di livello statale regionale e locale, le pubbliche amministrazioni pubblicano le dichiarazioni di cui all'articolo 2, della legge 5 luglio 1982, n. 441, nonché le attestazioni e dichiarazioni di cui agli articoli 3 e 4 della medesima legge. In particolare, pubblicano le seguenti dichiarazioni: 1) una dichiarazione concernente i diritti reali su beni immobili e su beni mobili iscritti in pubblici registri; le azioni di società; le quote di partecipazione a società; l'esercizio di funzioni di amministratore o di sindaco di società, con l'apposizione della formula «sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero»; 2) copia dell'ultima dichiarazione dei redditi soggetti all'imposta sui redditi delle persone fisiche; 3) una dichiarazione concernente le spese sostenute e le obbligazioni assunte per la propaganda elettorale ovvero l'attestazione di essersi avvalsi esclusivamente di materiali e di mezzi propagandistici predisposti e messi a disposizione dal partito o dalla formazione politica della cui lista hanno fatto parte, con l'apposizione della formula «sul mio onore affermo che la dichiarazione corrisponde al vero»;
   l'articolo 47 del medesimo decreto, al comma 1, prevede che la mancata o incompleta comunicazione delle informazioni e dei dati di cui all'articolo 14, concernenti la situazione patrimoniale complessiva del titolare dell'incarico al momento dell'assunzione della carica, la titolarità di imprese, le partecipazioni azionarie proprie, del coniuge e dei parenti entro il secondo grado, nonché tutti i compensi cui dà diritto l'assunzione della carica, dà luogo a una sanzione amministrativa pecuniaria da 500 a 10.000 euro a carico del responsabile della mancata comunicazione e il relativo provvedimento è pubblicato sul sito internet dell'amministrazione o organismo interessato;
   il 2 aprile 2016 Gianni Barbacetto scrive per il Fatto Quotidiano e sul suo blog l'articolo dal titolo «Le sviste di Sala. Non dichiara la casa in Svizzera», ove si apprende testualmente: «Giuseppe Sala, candidato sindaco a Milano per il centrosinistra, nella sua risposta alle tre domande poste dal Fatto Quotidiano (rapporti con CI, possesso di conti all'estero, appartenenza alla massoneria) ha ammesso di avere un conto corrente all'estero: “Ho un appartamento di vacanze a Pontresina in Svizzera e ho un conto bancario per le spese strettamente connesse all'abitazione e per nessun altro utilizzo”. È una casa a La Senda, nell'incantevole paese di Pontresina, in Engadina, a un passo da St. Moritz. ... Sala ha messo online una “Indicazione reddituale e patrimoniale” aggiornata al 31 dicembre 2014 in cui dichiara un reddito imponibile di 410 mila euro e, come beni immobili, il possesso del 12,5 per cento di un fabbricato con due box (è la quota della casa di famiglia a Varedo) e del 100 per cento di un terreno: non ci sono indicazioni ulteriori, ma è il terreno di Zoagli, che però non è un semplice terreno, bensì una villa, quella per cui Sala ha chiesto l'intervento, a pagamento, dell'architetto Michele De Lucchi che, mentre lavorava per il commissario di Expo, riceveva da Expo (anche attraverso Fiera Milano spa) incarichi per un valore di oltre 600 mila euro per il Padiglione Zero e l'Expo Center. In questa dichiarazione non c’è alcun accenno all'appartamento in Svizzera»;
   dall'articolo on line de Il Giornale dell'8 aprile 2016 a firma Chiara Campo dal titolo «“Sala: La casa a St. Moritz ? L'ho dimenticata... si apprende altresì che: “È una dimenticanza in una delle tante dichiarazioni che ognuno di noi fa. Punto. Credo che chiunque possa avere un reato pecuniario per una questione del genere”. Il candidato sindaco del Pd a Milano, Beppe Sala, ammette ma prova a sminuire il caso della casa a Pontresina in Engadina, non dichiarata tra le proprietà nell'autocertificazione che come ex commissario Expo ha dovuto presentare alla società secondo il “decreto Trasparenza”. ... “È una dimenticanza – ha ribadito ieri – però quello che fa testo è la dichiarazione dei redditi, è un atto pubblico e si può richiedere. Io le mie tasse le ho sempre pagate”. ... Il candidato del Pd ha ribattuto ieri che “costituisce semmai reato pecuniario, se ci sarà da pagare una sanzione pagherò”. Non è così semplice, per la falsa attestazione si rischia l'interdizione dai pubblici uffici. Cresce l'irritazione a sinistra per l'ennesima scivolata di Sala, dalla casa in Liguria fatta ristrutturata da Italo Rota, architetto di Expo, allo staff elettorale composto dagli stessi che lavoravano per la società del 2015. E la mezza ammissione di Sala lascia comunque dubbi: non ha dichiarato la casa in Svizzera, ma anche la villa in Liguria viene registrata come semplice terreno. Un'altra svista ? E sarà l'ultima ?»;
   in pratica, come si desume dalle fonti di stampa, lo stesso Sala ha ammesso di non aver dichiarato correttamente il patrimonio immobiliare in suo possesso, violando pertanto le disposizioni sopra citate;
   il Ministero dell'economia e delle finanze è socio della società Expo 2015 s.p.a. –:
   se siano al corrente dei fatti di cui in premessa e se ritengano necessario approfondire trasmettendo le informazioni e la documentazione in possesso alle autorità competenti, ai fini delle opportune indagini e verifiche;
   se risulti siano state applicate le sanzioni di cui all'articolo 47 del decreto legislativo n. 33 del 2013, per incompleta comunicazione delle informazioni e dei dati di cui all'articolo 14 del medesimo decreto. (4-12949)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con l'interpellanza urgente n. 2-01277, svolta nella seduta della Camera n. 573 del 19 febbraio 2016, è stato chiesto al Ministro della salute di conoscere, con riguardo a una situazione di perdurante incertezza circa il possesso dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi del reparto di cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro, le iniziative di competenza, anzitutto a garanzia del diritto alla salute dei pazienti della predetta unità operativa, rispetto all'adozione del decreto n. 21 del 2016 del Commissario ad acta per il rientro del disavanzo sanitario della Calabria e, alla luce della gravità assoluta dei fatti esposti, l'eventuale promozione della revoca del riferito incarico commissariale, anche per il subcommissario affiancante;
   in particolare, nella citata interpellanza urgente è stata ricostruita partitamente la vicenda della verifica del possesso dei requisiti obbligatori in capo alla citata struttura sanitaria, attivata dal dipartimento della regione Calabria preposto alla tutela della salute in seguito a una verifica sul posto dell'interrogante e del collega Paolo Parentela, deputati del Movimento 5 stelle, correlata a denunce dell'ex primario, professor Attilio Renzulli, su decessi provocati da infezioni batteriche in pazienti operati, cui non seguirono indagini mirate di organi pubblici esterni alla struttura ospedaliera in parola;
   nell'interpellanza summenzionata si richiamava l'attenzione sulla riscontrata – da parte della commissione regionale dell'Asp di Crotone per l'autorizzazione e l'accreditamento – mancanza, nel reparto cardiochirurgico in esame, della terapia intensiva dedicata ai soli pazienti cardiochirurgici, della seconda sala operatoria, del programma di controllo della legionellosi e dei relativi risultati, dell'indicazione del professionista per la riabilitazione e di diversi altri requisiti obbligatori previsti dalla normativa regionale di riferimento;
   nella rammentata interpellanza si contestava, dunque, la revoca della procedura di verifica del possesso dei requisiti ad opera del commissario e sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Calabria, repentinamente avvenuta ex post, a esito noto, per dichiarato difetto di competenza della succitata commissione, malgrado – come anche provato nello svolgimento dell'interpellanza medesima – la struttura commissariale fosse stata edotta a più riprese della verifica in corso, benché la proroga del commissariamento per il rientro sanitario sia fondatamente dubbia – come evidenziato nella interpellanza urgente n. 2-01172, svolta nella seduta della Camera n. 531 del 27 novembre 2015 – e nonostante le diverse limitazioni giuridiche sull'esercizio dei poteri sostitutivi previsti dall'articolo 120 della Costituzione;
   il Sottosegretario per la salute, dottor Vito De Filippo, nel rispondere all'interpellanza urgente n. 2-01277, dichiarava che in esito alla relazione della commissione regionale di controllo dei requisiti del reparto in argomento, «con nota n. 9371 del 1o febbraio 2016, l'Asp di Catanzaro rappresentava al coordinatore della citata Commissione dell'Asp di Crotone che, in assenza di un esplicito, definitivo e dirimente parere, la stessa azienda provinciale non era nelle condizioni di valutare eventuali elementi di compromissione del mantenimento dei requisiti previsti dalla legge»;
   lo stesso Sottosegretario aggiungeva che «in riscontro alla citata nota dell'ASP di Catanzaro, il coordinatore dell'ASP di Crotone, con nota n. 10620 del 4 febbraio 2016, sosteneva che «l'unità operativa di cardiochirurgia dell'azienda ospedaliera Mater Domini non possiede, al momento dei sopralluoghi e della stesura della relazione finale, i requisiti strutturali e tecnologici previsti dalla legge regionale n. 24 del 2008 e dal regolamento n. 13 del 2009, al fine della verifica del mantenimento del possesso dei requisiti stessi»;
   il Sottosegretario per la salute continuava con la cronistoria della vicenda, arrivando sino al decreto di revoca dell'adottata procedura di verifica circa il possesso dei requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi del reparto di cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro;
   con riferimento all'attivazione di una seconda procedura di verifica dei requisiti, data in carico alla commissione dell'asp di Catanzaro per l'autorizzazione e l'accreditamento, il Sottosegretario riferiva in quella sede, in data 19 febbraio 2016: «Gli esiti della verifica, certificati dal verbale di sopralluogo del 17 febbraio 2016, quindi due giorni fa, della CAAA dell'ASP di Catanzaro competente, dopo questo articolato e complesso procedimento, a svolgere questa attività, hanno evidenziato – ci riferisce il Commissario – la completa sussistenza dei primi tre punti (presenza di pacemaker, sala operatoria, disponibilità di posti letto), mentre ieri, 18 febbraio, è stata consegnata la documentazione relativa alle attività della commissione di autorizzazione e accreditamento sempre dell'Asp di Catanzaro, che si riunirà proprio oggi, onorevole Nesci, per formalizzare, con documentazione probante, quanto già rilevato in sede di visita ispettiva»;
   a distanza di oltre due mesi e malgrado le opportune sollecitazioni formali dell'interrogante per accelerare la definizione della nuova verifica in corso, gli esiti definitivi della procedura non sono ancora noti, a dispetto delle rassicurazioni fornite dal Sottosegretario per la salute e più sopra testualmente riprese;
   in particolare, il dipartimento della regione Calabria per la tutela della salute ha scritto, con nota prot. n. 77244 dell'8 marzo 2016 scorso, all'Asp di Catanzaro, sollecitando gli esiti definitivi della verifica di cui si tratta e ricevendo quale risposta una nota, prot. n. 0029257 del 7 aprile 2016, della Direzione sanitaria aziendale, con l'allegata comunicazione della commissione interna per l'autorizzazione e l'accreditamento, prot. n. 0028209 del 5 aprile 2016, in cui figura una carenza di documentazione integrativa, non ancora trasmessa dal Commissario straordinario dell'azienda ospedaliero-universitaria «Mater Domini» di Catanzaro, destinataria della verifica nel suddetto reparto cardiochirurgico –:
   se non si ritenga di accertare, anche tramite l'invio di ispettori ministeriali, ove ne sussistano i presupposti, lo stato reale delle cose, in ordine alla verifica in argomento e alla luce delle profonde contraddizioni rilevate, e quali iniziative urgenti, per quanto di competenza, intenda assumere per garantire il diritto alla salute, la sicurezza dei pazienti del reparto di cardiochirurgia del policlinico universitario di Catanzaro e il pieno rispetto delle norme sui requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi minimi. (4-12951)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, BASILIO, LOMBARDI, FRUSONE, DI BATTISTA e BUSTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   Viterbo, comune italiano di 67.273 abitanti, capoluogo dell'omonima provincia nel Lazio settentrionale, è attraversato dal fiume Urcionio che, nel corso dei secoli, è stato quasi completamente «intubato» nel sottosuolo cittadino;
   in data 12 aprile 2016, secondo quanto si può apprendere da fonti di stampa locale, l'associazione «Viterbo Civica» ha denunciato possibili sversamenti avvenuti nel Fosso Urcionio;
   gli effetti di questi flussi inquinanti sono evidenti in prossimità di una briglia alla confluenza col torrente Freddano, presso il rinomato sito archeologico di Castel D'Asso, ricco di vestigia della civiltà etrusca;
   in particolare, riguardo l'accaduto, la testimonianza dei membri dell'associazione di cui al punto precedente e riportata sulla stampa locale, cita: «Abbiamo chiamato i carabinieri che a loro volta hanno interessato i tecnici della provincia. Verso mezzanotte è arrivata anche l'Arpa da Civitavecchia ed Acquapendente. Abbiamo girato anche un filmato in cui si vede come l'acqua dell'Urcionio sia diventata nera ed in ebollizione. È chiaro che si tratta di uno scarico a monte di fanghi, che si stanno ora convogliando verso il fiume Morta e da lì in mare, a Tarquinia. Dopo il depuratore, qualcuno ha sversato dei fanghi. L'odore non è acre, quindi, non si tratta, infatti, di sostanze chimiche, ma organiche, appunto fanghi. Non possiamo dire altro finché non arriveranno i risultati delle analisi. Sarà di sicuro informata la Procura della Repubblica»;
   l'interrogante, in data venerdì 15 aprile 2016, accompagnato da un attivista dell'Associazione «Viterbo Civica», dal consigliere del comune di Viterbo Gianluca De Dominicis e ad un reporter, ha effettuato un sopralluogo presso il sito dello sversamento;
   l'area oggetto dell'inquinamento è visionabile da una posizione elevata ed in prossimità di ponticello pedonale che consente di attraversare la forra nella quale scorre il fiume Urcionio e in cui confluisce il torrente Freddano, formando una piccola cascata; la briglia che trattiene gli effluvi è posizionata pochi metri a monte rispetto il salto del torrente Freddano;
   la passerella pedonale, con un piano di calpestio in assi di legno che si presentano in evidente stato di abbandono o completamente fatiscenti, è l'unico attraversamento fruibile della «via Francigena» sul fiume Urcionio;
   durante il sopralluogo è stato possibile riscontrare uno strato di melma nera, simile a petrolio misto a schiuma, stagnante superficialmente in prossimità della gaveta, quest'ultima completamente ostruita da detriti vegetali e rifiuti;
   a valle della briglia, nel punto in cui il torrente Freddano salta nel fiume Urcionio, è possibile osservare la formazione di un denso strato di schiuma biancastra di evidente origine chimica, che si origina a seguito del gorgoglio delle acque;
   a monte della briglia, le acque appaiono torbide e nerastre al punto che è impossibile individuare il fondo, e sono evidenti estesi fenomeni di ribollimento: la vita acquatica risulta essere nulla;
   il fiume Urcionio sfocia a sua volta nel fiume Marta che lungo il suo corso attraversa zone agricole ed aree d'interesse naturalistico, sfociando poi nel Mar Tirreno in cui i fondali tra le foci del Torrente Arrone e quelle dello stesso Fiume Marta, rientrano tra i siti d'interesse comunitario «SIC» (IT6000003);
   a monte del sito inquinato, in prossimità della città di Viterbo, a ridosso del fiume Urcionio, è ubicato l'impianto di depurazione dei reflui cittadini di proprietà e gestito dalla Talete S.p.a., società che si occupa anche della fornitura idrica in gran parte dei comuni della provincia di Viterbo;
   nel corso degli anni si sono verificati vari episodi nei quali sono stati denunciati, anche a mezzo stampa, possibili malfunzionamenti del depuratore di cui alla precedente premessa, con testimonianze anche fotografiche di sversamenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda avviare, anche per il tramite del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, per individuare le cause dello sversamento;
   quali iniziative di competenza intenda avviare nell'immediato per scongiurare il rischio ambientale causato dallo sversamento e per tutelare il sito d'interesse comunitario. (5-08482)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SEGONI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in comune di Castelfiorentino (FI), i località San Matteo, dal 1999, l'azienda Plp Industria Laterizi produttrice di laterizi da costruzione (che utilizzava come materia prima l'argilla estratta dalla cava attigua allo stabilimento) ha cessato la propria attività, lasciando una pesante eredità ambientale: un cumulo di oltre 100 mila metri cubi di rifiuti in parte pericolosi, costituiti da argilla, fanghi di cartiere e scarti ceramici contenenti fanghi pesanti quali piombo, zinco, stagno, rame, nichel, mercurio, selenio, idrocarburi pesanti;
   il procedimento di bonifica è stato avviato nel 2003 ai sensi del decreto ministeriale n. 471 del 1999 con la presentazione del piano di caratterizzazione approvato dal comune di Castelfiorentino nel 2007. L'area oggetto di bonifica è stata suddivisa in lotti (A-B) entrambi urbanisticamente classificati con destinazione d'uso commerciale e industriale. Sul lotto A, previa autorizzazione comunale è stato realizzato un nuovissimo stabilimento per la macinatura del grano e la produzione di farina e un grande forno per la produzione di pane e pizza per le coop toscane. Il 2 ottobre 2014 l'Unione dei comuni del circondario Empolese Valdelsa ha rilasciato un certificato di avvenuta bonifica emessa in sicurezza permanente su tale area;
   da fonti stampa si apprende che, in base a delle indagini della procura di Firenze, la bonifica non sia stata eseguita a regola d'arte e la messa in sicurezza ancora meno, come dimostrato dalla frana di un cumulo di rifiuti con un fronte di circa 40 metri e una profondità di 10, scivolato a valle il 16 febbraio sulla via Bersellini. In base a dei rilevamenti pare abbia ceduto la porzione di terre armate che costituiva il rivestimento laterale del cumulo, forse per omesso controllo o per l'inadeguata realizzazione della rete di smaltimento delle acque piovane. Il 22 marzo 2016, su mandato del pubblico ministero Luigi Bocciolini, gli investigatori della Forestale hanno eseguito diverse perquisizioni e il sequestro dell'area. I reati ipotizzati sono frana colposa, omessa bonifica e falsa attestazione di avvenuta bonifica. Sui terreni sequestrati saranno eseguiti accertamenti di carattere tecnico e geologico per stabilire quali e quanti rifiuti stiano ancora inquinando l'area. Gli indagati sono cinque, ex titolari e titolari dei terreni, e un geologo. L'area è di proprietà in parte della Cooperativa Castelnuovese, fino a poco fa guidata da Lorenzo Rosi, ultimo presidente di Banca Etruria ora indagato per bancarotta;
   in base ad un bilancio realizzato da Legambiente dei primi otto mesi di applicazione della nuova legge sui delitti ambientali, la regione Toscana risulta essere la terza regione italiana per numero di denunce di ecoreati, dopo il Lazio e la Campania. Secondo le dichiarazioni di Fausto Ferruzza, Presidente di Legambiente Toscana «La Toscana si dimostra al centro di tanti appetiti criminosi ma anche terra di grande contrasto alle mafie». Legambiente cita in particolare una serie di interventi del nucleo operativo ecologico dei carabinieri di Firenze e di quello di Grosseto, che hanno denunciato titolari di aziende o di discariche per abbandono incontrollato di rifiuti; infatti nella sola regione Toscana sono state presentate ben 108 denunce e sono state accertate 73 infrazioni e sono stati eseguiti 22 sequestri;
   il caso specifico di Castelfiorentino (FI) appare agli interroganti un esempio emblematico, di come nonostante la procedura e l'iter normativo siano stati formalmente rispettati, si sia verificato un evidente irregolarità e non corretta messa in sicurezza permanente del sito inquinato e pertanto sarebbe necessario avviare procedure che individuino le possibili falle del sistema normativo di riferimento, soprattutto nella fase attuativa –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di questi dati preoccupanti e quali azioni intenda intraprendere, per quanto di competenza, affinché la sicurezza ambientale dell'area venga ripristinata;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative normative affinché, anche successivamente alla dichiarazione e all'attestazione di messa in Sicurezza e bonifica di un sito, siano previsti a distanza di qualche tempo, sopralluoghi ripetuti e verifiche sull'effettivo stato dei luoghi e la tenuta degli interventi. (4-12939)


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   accrescere e curare meglio il verde urbano è un'indiscutibile e primario interesse generale. Gli alberi sono un argine alla fragilità idrogeologica del territorio, trattengono polveri sottili, assorbono anidride carbonica, contribuiscono a combattere sia l'inquinamento urbano che i mutamenti del clima, che dipendono secondo Legambiente, per circa il 20 per cento dalla deforestazione;
   in Italia, la situazione del verde urbano è contraddittoria: ci sono città che hanno standard di verde per abitante di assoluta eccellenza, ma circa un terzo dei comuni capoluogo ha una dotazione di verde molto bassa, sotto i 5 metri quadrati per abitante;
   la legge 14 gennaio 2013, n. 10 prevede l'obbligo per gli Enti locali di incrementare gli spazi verdi urbani e le cinture verdi, e di adottare misure volte a favorire l'assorbimento delle polveri sottili e ridurre l'effetto «isola di calore». Da ultimo, viene ribadito anche l'obbligo significativo di piantare «un albero per ogni neonato», già introdotto in Italia con la cosiddetta legge Cossiga-Andreotti, legge n. 113 del 29 gennaio 1992;
   più in dettaglio si prevedono poi anche misure per favorire la pareti verticali verdi, la tutele delle aree verdi esistenti di pertinenza degli edifici, le coperture verdi a fine di risparmio energetico, la tutela rafforzata delle piante monumentali, nonché la costituzione di un «Comitato per lo sviluppo del verde pubblico» presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con il compito di promuovere l'attività degli enti locali in conformità a quanto previsto dalle legge stessa e di redigere un piano nazionale per la realizzazione di aree verdi permanenti intorno alle maggiori città. È inoltre stabilito che il 21 novembre di ogni anno si celebri la «Giornata nazionale degli alberi»;
   si tratta quindi di una legge di buon senso e civiltà che deve dare un contributo importante al miglioramento della qualità dell'aria e al naturale assorbimento delle acque piovane nei nostri insediamenti urbani. Uno strumento al servizio del verde architettonico, alla bio-architettura che contribuisce a uno sviluppo urbano sostenibile, alla bellezza e alla qualità della vita delle nostre città e dei nostri paesaggi;
   a quanto risulta all'interrogante quanto previsto dalla legge 14 gennaio 2013, n. 10 sul verde urbano non risulta sufficientemente implementato dagli enti locali –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della questione e se essa corrisponda al vero;
   se, per quanto di competenza e anche avvalendosi dei dati in possesso del già costituito «Comitato per lo sviluppo del verde pubblico», e della Conferenza Stato Regioni, non vogliano fornire dati concernenti lo sviluppo del verde urbano, dell'impianto di alberi per ogni nato, delle coperture verdi, della tutela degli alberi monumentali, del bilancio arboreo, anche con l'ausilio della Conferenza Stato-regioni;
   se i Ministri interrogati non intendano, per quanto di competenza, promuovere politiche di cura del patrimonio arboreo nazionale, considerato che tale attività è infatti di interesse, nazionale e raccoglie lo spirito della Giornata mondiale della Terra 2016 che promuove il progetto di piantare un albero per abitante del pianeta da qui al 2020 e concorre a rispettare gli obiettivi di riduzione della CO2 stabiliti alla COP21 di Parigi.
(4-12941)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CAPODICASA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   vengono segnalati dei casi di contribuenti a cui l'Agenzia delle entrate, nell'esercitare i previsti poteri di controllo sulle dichiarazioni dei redditi, avrebbe sottoposto a verifica le dichiarazioni per alcuni anni consecutivamente;
   tali controlli sarebbero stati ripetuti anche per parecchi anni nonostante dai controlli medesimi non sia mai emerso alcunché di irregolare;
   i contribuenti da sottoporre a verifica, normalmente, dovrebbero essere scelti utilizzando il metodo «a campione»;
   appare perlomeno strano che la scelta «a campione» dia, per parecchi anni consecutivi, lo stesso esito individuando sempre gli stessi contribuenti da sottoporre a verifica –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato in relazione alla circostanza di cui in premessa e se questo esito del sorteggio debba essere attribuito ad una mera casualità per quanto a giudizio dell'interrogante assai curiosa. (5-08477)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle nuove misure legate agli incentivi fiscali per il risparmio energetico delle attività produttive, l'interrogante segnala come, nell'area industriale del Piemonte, il settore di serramenti in pvc, che ha beneficiato delle detrazioni fiscali del 55 per cento successivamente elevate al 65 per cento, sebbene abbia goduto effetti favorevoli da tali misure, tuttavia sia penalizzato dalla concorrenza sleale delle aziende polacche e rumene, che operano nel medesimo settore e che usufruiscono degli stessi interventi fiscali, attraverso il processo di delocalizzazione degli impianti produttivi;
   gli effetti negativi e penalizzanti di tale fenomeno determinano che, in termini di fatturato e volume di affari per tali imprese straniere (che mediamente si aggirano intorno a 50—60 milioni di euro e in alcuni casi addirittura si arriva a 100 milioni di euro), la maggior parte dei ricavi viene trasferito all'estero da parte delle stesse aziende che hanno gli stabilimenti nel territorio italiano mentre lo Stato italiano, non riceve alcun beneficio in termini di gettito, in quanto il prodotto non è trasformato in Italia;
   a giudizio dell'interrogante occorrerebbe modificare la normativa vigente apponendo nell'ambito della lavorazione l'indicazione di «prodotto trasformato in Italia»; nel caso in cui le imprese di nazionalità estera, ritenessero interessante il mercato italiano, potrebbero insediarsi nel territorio nazionale a tutti gli effetti ed essere, soggette a tassazione identica a quella delle imprese italiane –:
   quali orientamenti i Ministri interrogati intendano esprimere, nell'ambito delle rispettive competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa, in considerazione dell'evidente concorrenza sleale che il sistema produttivo italiano subisce dal processo di delocalizzazione che sta portando ad un lento e profondo depauperamento delle risorse economiche ed occupazionali presenti sul territorio;
   se, al riguardo, non ritengano urgente ed opportuno assumere una iniziativa normativa ad hoc volta ad indicare, in termini espliciti, che il prodotto destinato, alla vendita e generato da imprese straniere aventi le fasi di produzione originaria fuori dal territorio italiano, risulti trasformato in Italia e pertanto assoggettato ai livelli di tassazione previsti dal sistema fiscale italiano. (4-12934)


   CIRACÌ, MARTI, CHIARELLI, LATRONICO, ALTIERI e FUCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 104 del 6 maggio 2015 reca il regolamento per la disciplina delle attività del Ministero della difesa in materia di cooperazione con altri Stati per i materiali di armamento prodotti dall'industria nazionale (a norma dell'articolo 537-ter del decreto legislativo 15 marzo 2010, n. 66), e autorizza il Ministero della difesa a svolgere, nei confronti di Stati esteri con i quali sussistono accordi di cooperazione o di reciproca assistenza tecnico-militare, attività di supporto tecnico-amministrativo per l'acquisizione di materiali al fine di recuperare competitività per l'industria nazionale di settore;
   Finmeccanica è il primo gruppo industriale italiano nel settore dell'alta tecnologia e tra i principali attori mondiali in difesa, aerospazio e sicurezza. Il suo maggiore azionista è il Ministero dell'economia e delle finanze. Come indicato sul sito della stessa Finmeccanica, inoltre, l'11 per cento dei ricavi sono investiti in ricerca e sviluppo e nel 2014 la spesa era pari a circa 1,5 miliardi di euro, pur essendo previsto un sostegno delle autorità pubbliche alla spesa in ricerca e sviluppo tra finanziamenti nazionali ed europei;
   alla presentazione dei risultati del resoconto intermedio di gestione, avvenuta il 30 settembre 2015, il consiglio di amministrazione ha inoltre approvato per il gruppo Finmeccanica una riorganizzazione sulla base del modello divisionale « one company»;
   con il piano-industriale 2015-2019, sotto la guida dell'amministratore delegato e direttore generale Mauro Moretti, sono confluite nella società capogruppo le controllate AgustaWestland, Alenia Aermacchi, Oto Melara, Selex ES e WASS. Il piano industriale della nuova Finmeccanica, operativa come azienda unica dal 1o gennaio 2016 e strutturata in 4 settori e 7 divisioni, non risulta chiaro nella definizione degli obiettivi, soprattutto dal punto di vista delle prospettive occupazionali, delle competenze e specializzazioni nei diversi insediamenti del gruppo dislocati sul territorio nazionale;
   a tal proposito, ad oggi, in Campania, oltre alla cessione dello stabilimento Alenia di Capodichino, permane un elevato rischio occupazionale per il sito di Noia, e si è consumata la chiusura di due siti produttivi dell'Alenia Aermacchi, mentre in Puglia, a causa di una forte crisi del mercato legata ad un calo della produzione, la decisione è stata quella di ritirare alcune lavorazioni e commesse affidate ad aziende esterne presenti sul territorio;
   nella zona della provincia di Brindisi, un'area già fortemente provata dalla crisi economica, il ritiro di numerose commesse ad importanti aziende dell'indotto nell'ordine delle 34 unità Tecnomessapia, 14 CMC, 17 Aerostrutture non farà altro che aggravare una situazione già particolarmente difficile dal punto di vista occupazionale;
   la Uilm di Brindisi si è dichiarata contrariata da quelle che sono le politiche che Finmeccanica sta mettendo in atto, politiche che stanno mietendo numerosi posti di lavoro, basti pensare ai dipendenti della Dema prima, e a quelli di Aerostrutture e di CMC poi che operavano all'interno di AgustaWestland, oltre ad una quarantina di dipendenti di Tecnomessapia che, entro il mese di aprile perderanno il proprio posto di lavoro; si aggiunga a ciò la diminuzione del numero dei dipendenti di HB Technology e Tecnomessapia che operano all'interno di Alenia Grottaglie che fino a poco tempo fa, insieme, contavano più di 500 dipendenti, ad oggi per la gran parte a rischio;
   il caso delle aziende Tecnomessapia e Tecnomessapia 2 dell'area di Brindisi è emblematico. La prima conta oggi 263 dipendenti di cui ben più della metà assunti a tempo indeterminato e la seconda 18, anch'essi regolarmente assunti a tempo indeterminato, ed entrambe operano esclusivamente in Finmeccanica. Pur essendo aziende floride, al 30 marzo 2016 sono state costrette a non rinnovare ben 66 contratti a termine, prevedendo ulteriori tagli a causa della rivisitazione dei piani industriali di Moretti. Si conta che gli esuberi si attesteranno sin da subito su circa 45 ulteriori unità, ma il futuro per tutto il 2016 non fa ben sperare;
   il piano industriale e le commesse programmate fino al 2019 non rappresentano garanzie di tutela per lo stabilimento di Brindisi e i lavoratori dell'area, ma, anzi, li penalizzano in maniera nota ed evidente –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti in premessa e se intenda assumere iniziative, quali la convocazione in sede ministeriale di uno specifico tavolo istituzionale per la situazione aziendale dei lavoratori degli stabilimenti di Brindisi e Grottaglie del settore aero-industriale, al fine di garantire chiarezza sulla redazione e sulla pubblicità dei piani industriali di Finmeccanica;
   se e come si intendano tutelare i posti di lavoro in Puglia così come in altre regioni, con azioni finalizzate a salvaguardare i livelli occupazionali del personale. (4-12938)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 21 marzo 2016, i vertici di Anas spa hanno illustrato alla presenza del Ministro interrogato un piano per il potenziamento e la riqualificazione dell'itinerario stradale E45-E55 Orte-Mestre;
   in particolare, per l'affidamento dei lavori di manutenzione straordinaria della E45-E55 Orte Mestre, Anas ha pubblicato un primo bando di gara (Gazzette Ufficiale n. 28 del 9 marzo 2016), secondo il criterio di aggiudicazione del prezzo più basso, del valore complessivo di 55 milioni di euro per il triennio 2016-2018, diviso in tre lotti, i cui fondi risultano così ripartiti: 21 milioni di euro per il lotto umbro (Strada Statale 675 Umbro Laziale e Strada Statale 3-bis Tiberina dal confine con il Lazio al confine con la Toscana); 21 milioni di euro per il lotto tosco-emiliano (Strada Statale 3bis Tiberina e Strada statale 309 Romea dal confine con l'Umbria al confine con il Veneto); 13 milioni di euro per il lotto veneto (Strada Statale 309 Romea dal confine con l'Emilia Romagna fino a Mestre);
   per quanto di conoscenza, gli interventi previsti nella suddetta gara d'appalto ricomprendono lavori leggeri per asfaltatura stradale, barriere di sicurezza, ripristino della banchine laterali, segnaletica orizzontale e verticale;
   per la messa in sicurezza degli incroci pericolosi, è stato altre sì previsto un programma pluriennale con scadenza al 2020 – attualmente in formazione – che ricomprenderebbe sul tratto di 156 chilometri della Cesena-Mestre della E55 (tratto per 71 chilometri nel Veneto e per 85 chilometri in Emilia Romagna) un investimento complessivo di 540 di euro, di cui alla regione Veneto dovrebbero spettare almeno 200 milioni di euro;
   nel 2016 Anas ha altresì annunciato nuovi bandi per il piano di riqualificazione e potenziamento dell'intero itinerario pari a 245 milioni di euro, di cui 105 milioni per la E55, per interventi relativi a pavimentazioni, segnaletica, barriere, pannelli, piani di cui attualmente non sono stati però ancora resi noti i dettagli progettuali, così come quelli relativi alla volontà annunciata da Anas di approfondire e completare ulteriori interventi, come ad esempio la risoluzione delle intersezioni pericolose;
   Anas ha inoltre annunciato la volontà di presentare un analogo piano da oltre 1 miliardo di euro per la tratta E45 da Orte a Cesena, al fine di dare unitarietà agli interventi di riqualificazione sull'intero itinerario E45-E55 «Orte-Mestre» ed ha comunicato che è in corso lo studio di fattibilità del completamento della tangenziale di Ravenna, attraverso il raddoppio del primo tratto della Strada Statale 309 «Romea», di circa 6 km, per un costo stimato di circa 36 milioni di euro;
   priorità assoluta per la regione Veneto rimangono, a detta degli interroganti, la messa in sicurezza e la risoluzione degli incroci pericolosi della E55, una delle strade più pericolose d'Italia, dove sono presenti attraversamenti a raso e intersezioni rischiosissimi, peraltro già individuati nei mesi scorsi dalle amministrazioni comunali del territorio veneto –:
   se il Ministro interrogato possa fornire maggiori informazioni – per quanto di competenza – in merito agli interventi puntuali e ai relativi stanziamenti previsti per il tratto veneto della E55 Strada Statale 309 Romea, chiarendo nel dettaglio quale sia l'ammontare degli investimenti e il crono programma relativo agli interventi in corso che l'Anas intende realizzare per la riqualificazione della tratta veneta, affinché sia assicurata una suddivisione equa delle risorse disponibili tra le due regioni Emilia-Romagna e Veneto.
(5-08470)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   APV Investimenti s.p.a., costituita nel 2001 con l'iniziale denominazione di APV Holding, è una società di gestione e sviluppo di investimenti immobiliari e proprietà mobiliari legati alla realizzazione di infrastrutture portuali, logistiche ed intermodali per il porto di Venezia, interamente detenuta dall'autorità portuale di Venezia;
   tramite APV Investimenti, l'autorità portuale di Venezia detiene il 66,68 per cento di APVS Srl, società che a sua volta possiede il 53 per cento di Venezia Terminal Passeggeri; il restante 33 per cento circa di APVS è di proprietà di Veneto Sviluppo, finanziaria della regione Veneto;
   APVS Srl, è a sua volta la società che controlla il 53 per cento del capitale di Venezia Terminal Passeggeri Spa (VTP), la società che gestisce o dà in appalto tutti i servizi del porto. La restante quota del capitale di VTP è partecipata da Finpax Srl (22,18 per cento), SAVE Spa (22,18 per cento) e dalla camera di commercio di Venezia (2,64 per cento);
   la stessa Autorità ha affidato a VTP s.p.a. in concessione, senza gara e fino al 2024, i servizi crocieristici per l'area della marittima. In particolare, VTP gestisce: 10 terminal multifunzionali, 1 deposito per provviste di bordo, 6 parcheggi e 7 banchine nelle aree di Marittima, San Basilio e Riva dei Sette Martiri, fornendo servizi a tutte le navi (crociere, aliscafi, catamarani), che approdano presso lo scalo lagunare;
   l'assetto societario relativo all'autorità portuale di Venezia ricorda, ad avviso degli interroganti, quello cosiddetto a «scatole cinesi» e sta facendo emergere, a giudizio degli interroganti, una serie di irregolarità in materia di legislazione portuale;
   come noto infatti, l'articolo 6, comma 6, della legge 28 gennaio 1994, n. 84, fa esplicito divieto alle Autorità portuali di esercitare, sia direttamente che indirettamente tramite la partecipazione di società, operazioni portuali ed attività ad esse strettamente connesse, compresi i servizi collegati al terminal crociere –:
   come si concili la gestione delle attività e dei servizi portuali svolti da parte dell'autorità portuale di Venezia, tramite la sua controllata che partecipa al capitale di VTP s.p.a. ovvero «Venezia Terminal Passeggeri», con le previsioni di cui all'articolo 6, comma 6, della legge n. 84 del 1991 e con la legislazione in materia portuale che proibisce all'Autorità di svolgere i servizi generali del porto. (5-08483)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo alcune recenti indiscrezioni giornalistiche, il gruppo Ferrovie dello Stato italiane (Fs) avrebbe pronto un progetto, illustrato nei giorni scorsi al consiglio di amministrazione dall'amministratore delegato di Fs Renato Mazzoncini e che avrebbe già ricevuto un primo via libera da parte del Governo, il quale prevede, oltre a un'offerta per rilevare l'azienda di trasporti autoferrotranviari del comune di Roma, Atac, anche l'acquisizione da parte del gruppo di Anas spa, il gestore della rete stradale ed autostradale italiana;
   in particolare, secondo le ultime notizie, il maxi-piano di acquisizione partirebbe dalla volontà dei Governo di privatizzare l'Anas tramite la vendita diretta o la quotazione in borsa della società, senza più trasferimenti diretti da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, ma attraverso il ricorso ad una forma di finanziamento che prevederebbe il prelievo percentuale sulle accise che già gravano su benzina e gasolio;
   secondo la teoria economica dominante, le imprese non esposte alla concorrenza, pubbliche o private che siano, dovrebbero avere «le minime dimensioni efficienti», affinché non finiscano per acquisire troppo potere rispetto al regolatore pubblico, e dovrebbe essere altresì sconsigliabile consentire ad una impresa che già dispone di un forte potere di mercato di diventare ancora più potente;
   il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Delrio, interpellato sulla vicenda, ha affermato che ci sono dei ragionamenti complessivi da parte del Governo per potenziali investimenti, senza però entrare nel merito delle ipotesi progettuali al vaglio dell'Esecutivo –:
   se i Ministri interrogati possano o meno confermare l'ipotesi di prossima acquisizione da parte del gruppo Ferrovie dello Stato italiane di Anas spa e – in caso di risposta affermativa – se possano altresì fornire ulteriori dettagli in merito alle conseguenti future modalità di finanziamento delle strade statali;
   se i Ministri interrogati non ritengano che far confluire Anas nel gruppo Ferrovie dello Stato italiane, con l'appoggio del Governo potrebbe portare ad un eccesso di potere e all'acquisizione di una posizione dominante da parte di Ferrovie dello Stato italiane nei confronti degli organi di governo in materia di trasporti. (5-08484)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   sono passati sei anni dalla riforma del codice della strada che doveva aprire la possibilità per i comuni di installare semafori intelligenti, al momento tenuti spenti in numerose realtà in attesa di un decreto attuativo;
   i semafori intelligenti sono dispositivi a basso costo che permettono di migliorare la sicurezza stradale, in grado di passare dal giallo lampeggiante al verde o rosso nel caso si superino i limiti previsti, risultando più efficaci rispetto ai dossi e meno onerosi rispetto alle zone 30;
   tali dispositivi sono già installati in diversi comuni, in alcuni sono già operativi, in altri, come Bergamo, si è preferito attendere una normativa specifica per evitare eventuali contenziosi;
   dal punto di vista normativo si attende anche una soluzione chiara e definitiva per quanto riguarda i semafori pedonali con il conta secondi, già sperimentati in numerose città –:
   se e in quali tempi il Governo provvederà all'emanazione dei decreti attuativi relativi ai semafori intelligenti e ai semafori pedonali conta secondi, al fine di consentire, nei comuni dove tali dispositivi sono già stati installati, un utile e conforme utilizzo di questi nuovi strumenti per garantire una maggiore efficienza e risparmio. (4-12928)


   PASTORELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il sistema idroviario padano—veneto è stato inserito tra i grandi progetti di interesse comunitario per lo sviluppo della rete transeuropea dei trasporti;
   nel settore della navigazione interna, il sistema idroviario padano-veneto la cui rete infrastrutturale, ben radicata all'interno del contesto economico-produttivo del territorio lombardo, rappresenta più del 60 per cento dell’export italiano con quasi 200 milioni di euro di valore e consentirebbe di prefigurare una domanda potenziale annua di trasporto che potrebbe raggiungere 20 milioni di tonnellate;
   la legge n. 380 del 1990 riconosceva al sistema idroviario padano-veneto un preminente interesse nazionale tanto da inserirlo all'interno del piano generale dei trasporti. Tale rilevanza è giustificata anche dalla reale possibilità di integrazione dell'idrovia con l'Adriatico, per la realizzazione di una rete non limitata al fiume e ai canali dell'entroterra, ma estesa alle linee marittime adriatiche e mediterranee. La stessa legge assegna al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti la sua realizzazione, tramite la definizione di procedure particolari per la formazione del suo piano di attuazione al quale parteciparono le Regioni interessate;
   il tracciato del sistema idroviario padano-veneto è stato poi approvato, assieme al piano poliennale della sua attuazione, con decreto del Ministro dei trasporti del 25 giugno 1992, e comprende le seguenti tratte: Po da Casal Monferrato a foce del Ticino (chilometri 65); Po da foce del Ticino al mare (389); fiume Ticino da Pavia alla confluenza con il Po (7); fiume Mincio da Mantova alla confluenza con il Po (chilometri 21); canale Po-Brondolo (Chioggia) (19); idrovia Fissero-Tartaro-Bianco-Po di levante (chilometri 135); idrovia Litoranea veneta: da Portegrandi a foce dell'Isonzo (chilometri 130); canale Milano-Cremona (66,5); idrovia Ferrara-Ravenna («Ferrarese estesa», 87 chilometri); canale Padova-Venezia (28);
   il sistema è parte integrante del sistema nazionale integrato dei trasporti (SINT) e, con il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, la sua gestione viene conferita alle regioni Emilia-Romagna, Lombardia, Piemonte e Veneto;
   le principali fonti di finanziamento a cui attingono le regioni per la realizzazione e per il potenziamento di opere infrastrutturali relative all'adeguamento dei canali navigabili, delle relative sponde, delle conche di navigazione e degli approdi e dei piazzali destinati alla movimentazione delle merci e, in generale, del sistema idroviario esistente, che consente la navigazione di chiatte di quinta classe europea come previsto dalla CEMT (Commissione europea tra i Ministeri dei trasporti), fanno riferimento alle leggi n. 194 e n. 413 del 1998 e alla legge n. 350 del 2003 (legge finanziaria per il 2004);
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti aveva inoltre nominato un comitato tecnico-economico per il coordinamento degli studi di fattibilità per la realizzazione del succitato sistema idroviario e per la progettazione di tratte funzionali che avrebbero garantito una prima funzionalità di tale sistema;
   nel protocollo d'intesa firmato tra le regioni interessate ed il Ministero dei trasporti, nel 1999, si rileva, inoltre, vista l'importanza sul piano della forte coesione interregionale del progetto innovativo di tale sistema idroviario integrato con il sistema del corridoio Adriatico, che il Ministero avrebbe provveduto non solo alla definizione e localizzazione degli interventi ma anche alla ripartizione delle risorse;
   a distanza di quasi vent'anni dal primo stanziamento di risorse si è svolto il 15 marzo 2016, presso la sede del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti un incontro tra le regioni interessate ed i funzionari preposti alla realizzazione di tale sistema per discutere delle criticità emerse in questo periodo;
   innanzitutto, si è riflettuto sulla necessità di una verifica, e di una ricognizione/aggiornamento delle mappe riguardanti il tracciato e sulla necessità di una rivisitazione, da parte delle regioni coinvolte, al fine di meglio identificare i tracciati e i porti;
   a tal proposito, sono state evidenziate le criticità che interessano il tratto della laguna veneta, dei suoi canali e di quelli ad uso promiscuo con particolare riguardo alle infrastrutture da realizzare e ai requisiti tecnici delle navi;
   si è dunque convenuto di procedere, d'intesa con le regioni, ad un aggiornamento e ad una verifica del tracciato e dei porti di importanza internazionale rispetto alle norme statali e comunitarie di riferimento;
   neanche dal punto di vista delle risorse ancora a disposizione si ha, a distanza di tempo, un quadro aggiornato sia per quanto riguarda le opere ancora da realizzare sia per quanto concerne la suddivisione tra le regioni –:
   quali iniziative il Ministro interrogato abbia intenzione di assumere al fine di verificare la disponibilità residua degli stanziamenti complessivi previsti per la realizzazione del sistema in questione e quale sia la disponibilità suddivisa per regione, anche alla luce della ricostruzione dello stato dell'arte dell'opera come esposto in premessa. (4-12931)


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il territorio italiano presenta una situazione di pericolosità sismica medio/alta — testimoniata dal ricorrente verificarsi di terremoti, spesso anche di notevole intensità — una vulnerabilità molto elevata, non ancora conosciuta in maniera dettagliata, ed un'esposizione altissima, in considerazione della densità abitativa e della presenza di un patrimonio storico, artistico e monumentale di enorme pregio e valore;
   come è noto, le conseguenze di un terremoto sono strettamente correlate al concetto di vulnerabilità sismica degli edifici, cioè la predisposizione di una costruzione ad essere danneggiata: in tal senso, tanto più un immobile è vulnerabile — a causa, per esempio, di un'inadeguata progettazione, una scadente qualità dei materiali e delle modalità di costruzione ed una scarsa manutenzione — tanto maggiori saranno le conseguenze legate all'azione di un fenomeno sismico;
   il tema della sicurezza del patrimonio edilizio, infrastrutturale, industriale, produttivo e dei servizi è, pertanto, connesso all'adeguamento antisismico degli edifici, quale fulcro di ogni strategia di prevenzione diretta a ridurre il peso delle conseguenze di un terremoto in termini di perdite di vite umane, di danni alle cose, di negativi impatti sociali, economici e finanziari;
   il decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112 — all'articolo 93, comma 1, lettera g) — Stabilisce che sono attribuite allo Stato le funzioni relative ai criteri generali per l'individuazione delle zone sismiche e alle norme tecniche per le costruzioni nelle medesime zone, prevedendo, altresì — all'articolo 94, comma 2, lettera a) — che siano conferite alle regioni e agli enti locali le funzioni inerenti all'individuazione delle zone sismiche, la formazione e l'aggiornamento degli elenchi delle medesime zone;
   il decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380 — all'articolo 52 ed agli articoli 83 e seguenti di cui al Capo IV – individua e definisce il quadro normativo inerente alla realizzazione delle costruzioni in zone sismiche — dettando una disciplina di dettaglio per ciò che concerne il contenuto delle norme tecniche ed il loro ambito di applicazione e prevedendo, altresì, specifiche disposizioni in ordine all'attività di vigilanza sui lavori ed al relativo regime sanzionatorio per la repressione delle violazioni;
   l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20 marzo 2003, recante «Primi elementi in materia di criteri generali per la classificazione sismica del territorio nazionale e di normative tecniche per le costruzioni in zona sismica», dispone, all'articolo 1, che nelle more dell'espletamento degli adempimenti di cui all'articolo 93 del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e, ferme restando le competenze delle regioni e degli enti locali di cui all'articolo 94 del medesimo decreto legislativo, sono approvati i «Criteri per l'individuazione delle zone sismiche – individuazione, formazione e aggiornamento degli elenchi nelle medesime zone» di cui all'allegato 1, nonché le connesse «Norme tecniche per il progetto, la valutazione e l'adeguamento sismico degli edifici», «Norme tecniche per progetto sismico dei ponti», «Norme tecniche per il progetto sismico delle opere di fondazione e sostegno dei terreni» di cui, rispettivamente, agli allegati 2, 3 e 4 (studio di pericolosità, poi aggiornato con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3519 del 28 aprile 2006);
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti — tenuto conto della rilevanza del tema del progressivo adeguamento degli edifici e rilevata l'urgenza di predisporre strumenti normativi e fiscali idonei ad incentivare l'iniziativa dei privati nella realizzazione degli interventi di riduzione del rischio sismico — ha provveduto ad istituire, con l'articolo 1 del decreto prot. n. 378 del 17 ottobre 2013, un gruppo di studio per la proposizione di una o più ipotesi normative per la classificazione del rischio sismico delle costruzioni, finalizzata all'incentivazione fiscale di interventi per la riduzione dello stesso rischio, anche individuando le modalità di applicazione di incentivi fiscali per interventi di riduzione del rischio sismico del patrimonio esistente, graduati sulla base della tipologia di interventi, della valutazione quantitativa del rischio effettivo e della riduzione di rischio ottenuta con l'intervento, valutate anche mediante l'adozione di una idonea metodologia di classificazione (e stabilendo, altresì, all'articolo 3 del suddetto decreto, il termine del 31 dicembre 2013 per la conclusione delle attività svolte dalla citata commissione di esperti);
   questa raggiunta e ormai matura consapevolezza è, evidentemente, alla base dell'estensione in via specifica agli interventi di adeguamento antisismico di edifici ricadenti nelle zone sismiche ad alta pericolosità del regime fiscale di favore riguardante gli interventi di ristrutturazione edilizia in genere — le cui procedure di autorizzazione sono state attivate a partire dal 4 agosto 2013, data di entrata in vigore della legge 3 agosto 2013, n. 90 — ancora una volta prorogato per un ulteriore anno con l'articolo 1, comma 74, della legge 28 dicembre 2015 (legge di stabilità 2016); in tal senso, l'azione intrapresa sul piano legislativo non può sottrarsi all'obbligo di una verifica puntuale in termini di risultati effettivamente conseguiti e di efficacia delle misure adottate –:
   quale sia il numero e l'entità finanziaria complessiva degli interventi di adeguamento antisismico che abbiano beneficiato, per ciascuno degli anni di applicazione, delle suddette agevolazioni fiscali, con distinta indicazione delle agevolazioni relative ad interventi su edifici destinati ad abitazione e di quelle relative a costruzioni adibite ad attività produttive, nonché delle agevolazioni relative ad immobili ricadenti in zona sismica 1 e in zona sismica 2, di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3274 del 20 marzo 2003 ed alla successiva ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3519 del 28 aprile 2006;
   quali risultati siano stati ottenuti dal 4 agosto 2013 — data di entrata in vigore del provvedimento a favore degli interventi di adeguamento antisismico — in termini di detrazione del 65 per cento riconosciuta al contribuente che ha proceduto alla realizzazione degli interventi;
   se non si ritenga opportuno — in ossequio a quanto stabilito dalle disposizioni contenute nel sopra citato decreto e, più in generale, nell'ottica di promuovere una concreta e più efficace politica di riduzione del rischio sismico — assumere iniziative per procedere ad una revisione dei vigenti strumenti normativi e fiscali per la realizzazione degli interventi di adeguamento antisismico delle costruzioni;
   quali siano i risultati del lavoro che è stato effettuato dal gruppo di studio richiamato nelle premesse e se, in che tempi ed attraverso quali modalità il Governo intenda avvalersene, anche ai fini della elaborazione di una più adeguata metodologia di classificazione del rischio sismico. (4-12936)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   gli organi di informazione, nelle scorse settimane, hanno riportato la notizia della possibile apertura di un cosiddetto hotspot per l'accoglienza e quindi lo smistamento dei migranti nella città di Messina, e precisamente presso l'ex caserma militare «Gasparro», sita in corrispondenza dello svincolo autostradale Messina-Centro;
   l'informazione propalata anche da autorevoli organi d'informazione ha generato allarme fra i residenti della zona, le locali istituzioni, e gli imprenditori commerciali che operano nel settore del turismo, considerato che s’è diffusa la notizia della possibile creazione di un nuovo «Cara di Mineo», con la possibilità di accoglienza di diverse migliaia di migranti;
   la città di Messina negli ultimi anni s’è distinta per la solidarietà in tema di accoglienza, laddove si sono registrati continui sbarchi di migranti tratti in salvo nel Canale di Sicilia, ed assistiti non solo da rappresentanti istituzionali e associazioni di volontariato, ma anche da semplici cittadini;
   si apprende dal sito istituzionale di invitalia.it, nella sezione stampa, che Messina ed Augusta ospiteranno due nuovi centri di accoglienza per migranti che saranno realizzati attraverso degli interventi inseriti nell'ambito della convenzione tra Invitalia e il Ministero dell'interno – dipartimento per le libertà civili e l'immigrazione;
   Invitalia a fine febbraio ha bandito una gara per le attività di rilievo e progettazione esecutiva relative all'adeguamento strutturale e funzionale del sistema di immobili all'interno della «caserma Gasparro» a Messina;
   l'apertura di un nuovo imponente centro di accoglienza avrà come effetto quello di incrementare il numero degli sbarchi che avvengono nell'unico porto attrezzato, laddove ormeggiano anche le navi da crociera, con comprensibili disagi per gli operatori economici i quali temono che le compagnie possano optare per altri porti del Mediterraneo –:
   se risponda al vero la notizia dell'apertura a Messina di un nuovo centro di accoglienza (hotspot); quali iniziative intenda adottare al fine di trovare soluzioni alternative per evitare che il possibile incremento degli sbarchi possa causare danni agli operatori commerciali.
(4-12935)


   NESCI, PARENTELA, NUTI e D'UVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 19 e il 20 aprile 2016 sono state arrestate ventitré, persone fra capi e affiliati dei clan di ‘ndrangheta Mancuso, Accorinti, La Rosa Il Grande, finiti in manette nel corso di un'operazione congiunta delle squadre mobili di Vibo Valentia e Catanzaro e dello Sco (Servizio Centrale Operativo), insieme ai Carabinieri di Vibo Valentia e della Compagnia di Tropea e ai militari del Gico della Guardia di Finanza di Catanzaro;
   l'operazione, coordinata dai pubblici ministeri Camillo Falvo e Pierpaolo Bruni, insieme al procuratore di Catanzaro facente funzioni Giovanni Bombardieri, ha fatto emergere pesanti connivenze tra criminalità e politica locale, grazie alle quali le ’ndrine coinvolte avevano monopolizzato il settore turistico di Parghelia e Briatico (provincia di Vibo Valentia), acquisendo hotel e villaggi vacanze, compagnie di navigazione e imbarcazioni, ma anche la gestione delle attività del porto, dai concerti alle feste patronali;
   non a caso gli inquirenti hanno iscritto nel registro degli indagati anche il presidente della provincia di Vibo Valentia e sindaco di Briatico, Andrea Niglia, oltre all'ex vicesindaco di Parghelia, Francesco Crigna. La mattina del 20 aprile 2016 entrambi hanno ricevuto un avviso di garanzia per concorso esterno in associazione mafiosa, mentre le loro case e i loro uffici venivano sottoposti ad attenta perquisizione;
   per quanto riguarda nello specifico Niglia, l'accusa è di aver favorito e tutelato la cosca Accorinti, con «condotte riservate e fraudolente tese a salvaguardare l'attività del villaggio Green Garden costituente una delle principali fonti di guadagno della cosca»;
   agli interroganti preme, al riguardo sottolineare che Niglia, eletto presidente della provincia di Vibo il 28 settembre 2014, con l'appoggio dei renziani del Pd, esponenti di Ncd, Forza Italia e Fratelli d'Italia, il 20 marzo 2016 è stato dichiarato incandidabile dalla Corte di Cassazione;
   ma dall'inchiesta emergono pesanti minacce anche nei confronti di un giornalista, Pietro Comito, che ora lavora presso l'emittente televisiva LaC;
   secondo quanto riporta il Corriere della Calabria, quando scriveva per Calabria Ora, «a Pietro Comito il clan Accorinti non ha perdonato quei due articoli con cui ha denunciato gli affari e le cointeressenze del clan con settori della pubblica amministrazione. In particolare — si legge nel provvedimento di fermo — a far imbestialire il boss è stato l'articolo pubblicato il 6 aprile 2011, in cui il cronista raccontava, pur senza farne esplicitamente il nome, come l'allora assessore di Briatico, Domenico Marzano, facesse da autista al boss del paese, Antonino Accorinti». Una prova, si leggeva nel pezzo dell'epoca, dei legami fra l'amministrazione e i clan, i cui capi — scriveva all'epoca Comito — «quando in quel piccolo ma importante centro del territorio si sono chiusi gli scrutini, non hanno esitato a stappare lo champagne per festeggiare il sindaco eletto»;
   tali affermazioni non sarebbero piaciute per nulla al clan, tanto che in una conversazione intercettata si ascolta uno dei gregari del clan dire al figlio del boss Accorinti: «Ha detto tuo padre che lo deve spaccare a quello come lo troviamo». Poco più di dieci giorni dopo la pubblicazione di quel pezzo, Comito ricevette una lettera dal chiaro contenuto minatorio, con cui qualcuno lo invitava a non occuparsi di Briatico –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere per garantire l'incolumità personale del giornalista Pietro Comito. (4-12948)


   ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sulla Gazzetta Ufficiale del 30 dicembre 2015 è stato pubblicato il decreto 23 dicembre 2015 del Ministro dell'interno, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione relativo alle «modalità tecniche di emissione della Carta di identità elettronica (CIE)»;
   tale decreto sta destando perplessità e preoccupazione di ordine tecnologico e di sicurezza nazionale» oltre a problemi che riguardano il rispetto delle norme della libera concorrenza e del mercato come evidenziato in altri casi di sindacato ispettivo;
   le vicende degli ultimi giorni dell'arresto a Bellizzi, in provincia di Salerno, su mandato di cattura europeo, di Djamal Eddine Ouali, accusato di avere fornito carte di identità belghe false a Salah Abdeslam, ricercato per le stragi di Parigi e catturato a Bruxelles nelle scorse settimane, a Mohamed Belkaid ucciso nel blitz a Forest il 15 marzo 2016, e all'attentatore suicida dell'aeroporto di Zaventem Najim Laachroui, rendono ancora più consistenti le preoccupazioni per la sicurezza nazionale;
   la vicenda costituisce, infatti, la dimostrazione palese che la tecnologia utilizzata per le carte di identità elettroniche in Belgio risulta facilmente falsificabile, in quanto utilizza una tecnologia «laser engraving» disponibile in commercio, al contrario di altre tecnologie quali, per esempio, quelle a banda ottica;
   il decreto 23 dicembre 2015 per l'emissione in Italia della Carta di identità elettronica vede l'eliminazione della tecnologia a banda ottica fino ad ora in uso (trattasi della tecnologia utilizzata tra gli altri, per la carta di identità irlandese e dal dipartimento della sicurezza nazionale USA da oltre 15 anni per la Green Card, che non ha mai subito contraffazioni di sorta). Il decreto prevede invece l'utilizzo della stessa tecnologia «laser engraving» utilizzata in Belgio. Questo, tra l'altro comporta la dismissione degli impianti tecnologici in essere, costati circa 6 milioni di euro al Poligrafico dello Stato, per sostituirli con altri impianti per un investimento stimato in almeno 10 milioni di euro;
   lo stesso decreto, inoltre, non prevedendo più il «rilascio» della carta di identità al cittadino richiedente, bensì la «consegna» via posta, contraddice quanto proposto dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza (regio decreto 18 giugno 1931, n. 737) il quale dispone ai sensi dell'articolo 3 che «il Sindaco è tenuto a rilasciare a coloro che ne facciano richiesta una carta di identità conforme al modello stabilito dal Ministero dell'Interno... (la carta di identità) deve essere rilasciata dopo rigorosi (e quindi diretti) accertamenti sull'identità della persona richiedente –:
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno:
    a) elaborare un nuovo decreto che tenga conto in misura maggiore dell'aspetto della sicurezza e della maggiore protezione dalle troppo facili contraffazioni;
    b) operare, tramite il nuovo decreto, per diminuire i tempi di realizzazione e di diffusione della Cie, contenere i costi e gli investimenti ed evitare inutili duplicazioni con le funzioni che verranno svolte dallo «SPID», il sistema pubblico per la gestione dell'identità digitale, recentemente approvato nel quadro delle attività dell'Agenzia per l'Italia digitale;
    c) ripristinare, tramite lo stesso decreto sopra citato, le più sicure tecnologie sin qui utilizzate e concentrare sulla Cie la sola funzione di documento di identificazione. (4-12950)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LUIGI GALLO, TONINELLI, COZZOLINO, MASSIMILIANO BERNINI, RIZZO e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con la legge del 23 dicembre 2014, n. 190, cosiddetta legge di stabilità 2015, sono state introdotte nuove disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato;
   la norma succitata, ai sensi dell'articolo 1, comma 334, ha previsto, in considerazione di un generale processo di digitalizzazione ed incremento dell'efficienza dei processi e delle lavorazioni, a decorrere dall'anno scolastico 2015-2016 e fermi restando gli obiettivi di cui all'articolo 64 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, una riduzione del numero dei posti di personale ATA (amministrativo tecnico ausiliario) pari a 2.020 unità con l'obiettivo di conseguire un risparmio nella spesa di personale pari a 50,7 milioni di euro annui;
   in particolare, per il profilo di assistente amministrativo, è stato previsto un taglio di 1.165 posti e per il profilo di collaboratore scolastico di 855 posti;
   i compiti e le mansioni del personale ATA sono disciplinate dall'attuale vigente contratto collettivo nazionale di lavoro relativo al personale del comparto scuola (CCNL Scuola 2006-2009) all'articolo 47 e dettagliate nella tabella «A» allegata al contratto;
   nello specifico, i compiti del personale ATA sono costituiti dalle attività e mansioni espressamente previste dall'area di appartenenza e da incarichi specifici che, nei limiti delle disponibilità e nell'ambito dei profili professionali, comportano l'assunzione di responsabilità ulteriori, e dallo svolgimento di compiti di particolare responsabilità, rischio o disagio, necessari per la realizzazione del piano dell'offerta formativa, come descritto dal piano delle attività, la cui attribuzione è effettuata dal dirigente scolastico sulla base dei criteri definiti dalla contrattazione d'istituto nell'ambito del piano delle attività;
   per l'area A della tabella «A» allegata al contratto, tali attività e mansioni saranno finalizzate all'assolvimento dei compiti legati ai servizi generali della scuola con mansioni di «accoglienza e di sorveglianza nei confronti degli alunni, nei periodi immediatamente antecedenti e successivi all'orario delle attività didattiche e durante la ricreazione, di pulizia dei locali, degli spazi scolastici e degli arredi, di vigilanza sugli alunni e di custodia e sorveglianza generica sui locali scolastici, nonché di collaborazione con i docenti»;
   oltracciò, tra tali mansioni è previsto anche l'aiuto materiale agli alunni portatori di handicap nell'accesso alle strutture scolastiche e nell'uscita dalle medesime, nonché nell'uso dei servizi igienici e nella cura dell'igiene personale;
   il personale tecnico-amministrativo, nei diversi profili, può essere addetto alla custodia, alla verifica e alla registrazione delle entrate e delle uscite del materiale e delle derrate in giacenza e ha competenza diretta della tenuta dell'archivio e del protocollo, oltre a poter avere mansioni di conduzione tecnica dei laboratori, e supporto tecnico allo svolgimento delle attività didattiche;
   con riferimento a tutte le mansioni riportate, l'incremento dell'efficienza dei processi e delle lavorazioni considerato dalla legge del 23 dicembre 2014, n. 190, non pare affatto essere percorribile se si pensa che molte delle funzioni riportate non possono essere incluse, per ovvie ragioni, in un piano di digitalizzazione;
   in base a quanto riportato sul sito www.cisl.it, i rappresentanti di categoria hanno dichiarato che da anni i lavoratori del personale ATA lavorano in condizioni di organico sottodimensionato, nonostante per gli alunni, le famiglie e i docenti siano una presenza fondamentale e insostituibile, «in possesso di specifiche competenze professionali, che portano un contributo insostituibile all'attività didattica e il cui ruolo risulta infungibile»;
   icto oculi, appare logicamente contraddittorio e controproducente tagliare posti del personale ATA quando nella scuola italiana tali organici risultano già diffusamente sottodimensionati, contribuendo, così, non a migliorare e ottimizzare bensì a ledere e danneggiare la scuola italiana già caratterizzata da difficoltà che ne rendono arduo lo sviluppo e il miglioramento;
   al riguardo, il gruppo politico dell'interrogante ha presentato da tempo diversi emendamenti che erano finalizzati a eliminare i tagli che sono stati fatti nella legge di stabilità di 2.020 posti di lavoro ATA e che prevedevano altresì un piano assunzionale che includesse anche il personale ATA con 36 mesi di servizio, che è anch'esso interessato dalla sentenza della Corte di giustizia europea del 26 novembre 2014;
   tale sentenza ha dichiarato contraria al diritto dell'Unione europea la normativa italiana sui contratti di lavoro a tempo determinato, dato che l'articolo 10, comma 4-bis, del decreto legislativo 6 settembre 2001, n. 368, esclude l'applicazione ai contratti a termine stipulati per il conferimento delle supplenze del personale docente ed ATA di cui all'articolo 5, comma 4-bis, dello stesso decreto, che prevede che i contratti di lavoro a tempo determinato di durata superiore a 36 mesi siano trasformati in contratti di lavoro a tempo indeterminato –:
   alla luce delle argomentazioni di cui in premessa, se non ritenga opportuna e doverosa un'iniziativa volta a eliminare i tagli previsti di 2.020 posti del personale ATA negli istituti scolastici, nonché ad attuare un piano assunzionale che includa anche il personale ATA con 36 mesi di servizio affinché sia, de facto, raggiunto un miglioramento del servizio offerto dalla scuola italiana, sulla base dei bisogni e delle necessità di chi ne dovrebbe usufruire;
   quali orientamenti intenda esprimere il Ministro interrogato in merito alle argomentazioni tracciate in premessa.
(5-08478)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, CHIMIENTI, BRESCIA, COLONNESE, LOREFICE e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in questi anni è cresciuto notevolmente lo sfruttamento dei braccianti indiani nel Pontino, territorio a tradizionale vocazione agricola; in alcuni casi, i lavoratori, vittime di un sistema di vincoli e obblighi che si sommano allo sfruttamento quotidiano e al caporalato, hanno ceduto, arrivando anche al suicidio. È accaduto a Sabaudia e a Fondi, due comuni del pontino dove la comunità indiana (punjabi) risulta particolarmente presente e forte il suo ruolo nell'agricoltura locale; nel complesso si stimano 20 mila persone interessate dal fenomeno, di cui 7 mila indiani;
   di recente si è tolto la vita il giovane Singh, di appena 24 anni, che faceva il bracciante nelle campagne della piana di Fondi, nel Sud Pontino, territorio anche a tradizionale presenza mafiosa, che proprio nelle campagne affonda le sue radici e trae parte dei suoi profitti;
   un destino tragico che accomuna migliaia di persone in diverse zone del Paese, tutte legate ad un modello neoschiavistico di sfruttamento totale della vita umana, spesso correlato alla presenza «mafiosa», come accade in zone della Puglia, della Campania, Calabria, Sicilia e Basilicata;
   nel quarto rapporto sui crimini nel settore agroalimentare a cura di Coldiretti, Eurispes e Osservatorio sulla criminalità in agricoltura si stima che il business delle agromafie abbia superato i 16 miliardi di euro nel 2015;
   dalla stampa si apprende che nel Sud Pontino in decine di aziende agricole i braccianti indiani uniti stanno cercando di cambiare il proprio destino, trovando il coraggio di chiedere al proprio datore di lavoro i salari arretrati, il riconoscimento dei giorni realmente lavorati in busta paga, il bonus del Governo che sinora risulta in busta paga ma non risulta mai realmente riconosciuto, nel complesso rivendicazioni sacrosante dei propri diritti;
   sono iniziati i primi presidi fuori dalle aziende, le prime pacifiche manifestazioni. In alcuni casi, lì dove la risposta del datore di lavoro è stata più dura, comprendendo anche azioni violente come documentato da alcuni referti medici, si è tentata la strada dell'occupazione pacifica delle serre;
   sebbene alcune imprese abbiano aumentato la retribuzione da 3,5 euro l'ora a 5 (il contratto provinciale prevede circa 9 euro lorde l'ora per 6 ore e trenta di lavoro al giorno), i braccianti hanno deciso di continuare a reclamare per pretende diritti e legalità;
   il 18 aprile 2016 i braccianti dell'agricoltura appartenenti alla comunità indiana (circa duemila braccianti Sikh) sono scesi piazza a Latina, affiancati dalla Flai Cgil e da In Migrazione e dal Forum Immigrazione, per chiedere il rispetto dei contratti e delle tabelle salariali;
   si tratta di un evento da considerarsi storico o comunque di rilevanza straordinaria, per la situazione che vige in quei contesti, e che potrebbe cambiare radicalmente i rapporti di forza tra i soggetti coinvolti, tenendo conto che risulta essere forte e sempre più avvertibile la tensione nelle campagne, dove non sono mancate minacce nei confronti dei sindacati e di alcuni attivisti –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare, anche di natura normativa, al fine di garantire legalità e rispetto dei diritti dei lavoratori nelle aree agricole italiane interessate dai fenomeni esposti in premessa, con particolare riguardo alla situazione del sud Pontino e della comunità indiana e di altre comunità straniere della provincia;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per dar corso agli impegni assunti a seguito della approvazione della risoluzione unitaria votata in Commissione agricoltura e lavoro (dicembre 2015), con particolare riguardo al punto nel quale si impegna il Governo «a valutare l'opportunità di un ulteriore potenziamento della tutela già approntata per i lavoratori che denunciano i caporali o i datori di lavoro, anche nei casi in cui i lavoratori siano immigrati, alla luce del fatto che alcuni di essi sono stati minacciati fisicamente e a molti è stato minacciato il licenziamento solo per aver aderito allo sciopero citato;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per intensificare i controlli, soprattutto in quella zona, dove la denuncia di quei lavoratori ha squarciato un velo che copriva sotto-salario, caporalato e sfruttamento, dando l'impressione che ci si trovi in presenza di un «sistema» diffuso in molte aziende di quel comprensorio;
   quali iniziative il Governo intenda adottare visto anche che in prefettura vi sono insediati da tempo diversi «tavoli tecnici» sulla situazione nel settore agricolo, o del lavoro in generale, coordinati dalla stessa prefettura ma che ad oggi non hanno prodotto nessuna azione concreta per il ripristino e la tutela della legalità del lavoro nel settore agricolo di quel territorio. (5-08476)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VACCA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Cinaglia Emidio è un pensionato delle Ferrovie dello Stato che, nell'anno 1991, ha presentato ricorso dinanzi il pretore di Sulmona per vedersi riconosciuta la «rendita per infermità dipendenti da causa di servizio» e condannare le Ferrovie dello Stato al pagamento in suo favore delle «indennità relative con interessi dalle rispettive scadenze»;
   il vice pretore onorario di Sulmona, avvocato Anna Maria De Sanctis, pronunciava sentenza n. 385 del 1997 con la quale accoglieva il ricorso riconoscendo «il diritto del ricorrente alla rendita per infermità dipendenti da causa di servizio 7a categoria della tabella A allegata decreto del Presidente della Repubblica n. 834 del 1981 con una invalidità nella misura del 34 per cento e condannando le Ferrovie dello Stato al pagamento delle relative indennità «con interessi dalle rispettive scadenze e fino all'effettivo soddisfo»;
   le Ferrovie dello Stato, contro tale sentenza, presentava ricorso in appello e su di esso si pronunciava il tribunale di Sulmona con la sentenza n. 88 del 2001: le Ferrovie dello Stato venivano condannate «al pagamento delle relative indennità, con decorrenza dalla domanda amministrativa, oltre interessi e rivalutazione monetaria fino all'effettivo pagamento» ed al Cinaglia veniva riconosciuta la «V categoria della Tabella A annessa alla legge n. 834 del 1981 con una percentualizzazione del danno alla capacità lavorativa generica nella misura del 55 per cento»;
   nelle more del primo giudizio dinanzi il Pretore di Sulmona, era intervenuto il decreto-legge n. 510 del 1996 (articolo 2 – commi 13, 14, 15 convertito dalla legge n. 608 del 1996, che trasferiva all'Inail la titolarità dei rapporti aventi ad oggetto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei lavoratori dipendenti delle Ferrovie dello Stato;
   alla luce di tale disposto legislativo, fin dalla pubblicazione della sentenza di appello n. 88 del 2001 del Tribunale di Sulmona, Cinaglia Emidio si era rivolto all'Inail inviando copia della detta sentenza, munita di formula esecutiva, chiedendo che fosse questo istituto ad erogare la rendita per malattia professionale. A seguito di ciò, la risposta che l'Inail ha fornito all'interessato e alle stesse Ferrovie dello Stato è stata di assoluto diniego;
   il Cinaglia si vedeva quindi costretto ad agire esecutivamente contro Ferrovie dello Stato. In data 12 maggio 2006, Cinaglia Emidio inviava il precetto per il pagamento di 1.316,80 euro alle Ferrovie dello Stato, le quali proponevano opposizione dinanzi al Tribunale di Roma, e nello stesso tempo inviava all'Inail di Sulmona nuova richiesta di pagamento della rendita in sostituzione delle Ferrovie dello Stato ma l'Inail opponeva l'ennesimo netto rifiuto di versare la rendita per malattia professionale;
   il tribunale di Roma rigettava l'opposizione a precetto presentata da Rfi (già Ferrovie dello Stato) e questa proponeva ricorso in Cassazione. La Suprema Corte emetteva pronuncia n. 23527/13 con la quale accoglieva il ricorso delle Ferrovie dello Stato affermando che «non vi è dubbio che il disposto dell'articolo 2, commi tredicesimo, quattordicesimo e quindicesimo, decreto-legge n. 510 del 1996, convertito nella legge n. 608 del 1996, ha realizzato una successione “ex lege”, trasferendo all'INAIL (o all'IPSEMA per il personale navigante) la titolarità dei rapporti aventi ad oggetto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei lavoratori dipendenti delle Ferrovie dello Stato spa». La Suprema Corte ribadisce il concetto subito dopo, nel momento in cui scrive: «non v’è parimenti dubbio che il giudicato formatosi circa la debenza, da parte delle Ferrovie, poi (per quanto qui interessa) R.F.I., di quanto periodicamente dovuto per malattia professionale, può ritenersi insensibile alla disciplina sopravvenuta solo per il periodo coperto da tale giudicato e non per il periodo successivo. In altri termini, nelle obbligazioni di durata (quale nella specie la rendita per malattia professionale), l'effetto del giudicato non può dispiegare, per le prestazioni successivamente dovute, i suoi effetti nei confronti del soggetto (nella specie R.F.I.) non più tenuto per legge ad erogarle, essendo ad esso succeduto “ex lege” altro soggetto (l'INAIL). Nella specie trattasi di ratei relativi al periodo luglio 2005-marzo 2006, mentre la sentenza passata in cosa giudicata è del 2001»;
   una nuova sentenza della Suprema Corte, la n. 16590 del 21 luglio 2014 decidendo nel merito, accoglie l'opposizione al precetto presentato dalle Ferrovie dello Stato e dichiara la nullità dello stesso precetto, ribadendo, da un lato, che in forza dell'articolo 2 – commi 13-14-15 – del decreto-legge n. 510 del 1996 (convertito in legge n. 608 del 1996) si è realizzata una successione ex lege, con trasferimento all'INAIL della titolarità dei rapporti aventi ad oggetto gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali dei lavoratori dipendenti delle Ferrovie dello Stato. Dall'altro lato, va rimarcato che il giudicato formatosi circa la debenza, da parte delle Ferrovie dello Stato, e poi, della Rete Ferroviaria Italiana, di quanto periodicamente riconosciuto per malattia professionale, può ritenersi insensibile alla disciplina sopravvenuta solo per il periodo coperto da giudicato e non per il periodo successivo. In sostanza nelle obbligazioni di durata – come nel caso rendita per malattia professionale – l'effetto del giudicato non può dispiegarsi nei confronti del soggetto (nel caso di specie RFI), non più tenuto per legge ad erogarle, essendo succeduto per legge altro soggetto (l'INAIL) (in questo senso Cass. n. 23527 del 16 ottobre 2013). Ed invero nel caso di specie si trattava, come in precedenza evidenziato, di sentenze, passate in giudicato, rispettivamente del 1997 e del 2001, riguardanti malattia professionale verificatasi prima del 31 dicembre 1995, ma definite successivamente, sicché il soggetto, tenuto come assicuratore, a corrispondere al Cinaglia ratei maturati e non riscossi è l'INAIL e non la RFI»;
   il signor Emidio Cinaglia, alla luce della chiara pronuncia della Suprema Corte (che peraltro l'aveva condannato al pagamento delle spese di giustizia), inviava all'Inail di Sulmona copia della detta sentenza e tornava quindi a chiedere che fosse l'Inail a pagare la rendita in suo favore. L'Inail tuttavia rispondeva di non esser tenuta «ad erogare prestazioni a favore del sig. Emidio Cinaglia»;
   il Cinaglia notificava allora due atti di precetto nei confronti dell'Inail, il primo per 3.544,58 euro per rendite relative ai mesi di gennaio, febbraio e marzo 2015, ed 6.934,20 euro per rendite relative ai mesi di aprile, maggio, giugno, luglio, agosto e settembre 2015, e l'Inail proponeva opposizione dinanzi il Tribunale di Sulmona contro entrambi;
   in data 10 febbraio 2016 venivano pubblicate le sentenze n. 30 e n. 31 con le quali il Tribunale di Sulmona accoglieva le opposizioni proposte dall'Inail e vanificava definitivamente gli atti di precetto notificati dal sottoscritto, di cui peraltro era già stata sospesa l'esecutività;
   contro dette sentenze il Cinaglia ha proposto ricorso appello dinanzi la Corte de L'Aquila;
   in sostanza però, il Cinaglia si trova nella seguente situazione: non può più notificare precetti ad Rfi poiché questa si fa forte di ben due sentenze della Suprema Corte e se li notifica ad Inail si trova all'opposizione di quest'ultima e ad un orientamento del giudice di primo grado sulmonese favorevole ad Inail; si trova quindi nella prospettiva di dover notificare precetti ad Inail in attesa che sulle opposizioni di Inail si abbia una pronuncia definitiva che, non è difficile immaginare, non giungerà prima dei prossimi cinque o sei anni;
   dunque, da gennaio 2015, Emidio Cinaglia non percepisce più la rendita riconosciutagli da sentenza passata in giudicato, rendita mensile che, fino a quattordici mesi fa, era versata da Ferrovie dello Stato (seppur con riserva di ripetizione) e costituiva grossissima parte del reddito con cui sostenta e cura se stesso, oltre che la propria famiglia;
   il 15 maggio 2015 il Cinaglia, già portatore di pacemaker, è stato colto da infarto ed operato d'urgenza presso l'ospedale di Teramo per «rivascolarizzazione miocardica mediante anastomosi di LITA su articolo IVA e BPAC venoso sequenziale su articolo MO2 e MO1 in CEC normotermica ed arresto cardioplegico ematico»; dimesso il 22 maggio 2015 con la seguente diagnosi: «cardiopatia ischemica. Angina da sforzo in stenosi sub-occlusiva del TC della Csx e stenosi moderata del Cdx. BPCO. Ipertensione arteriosa sistemica. Portatore di PMK DDD». L'interruzione dei versamenti da parte di Ferrovie dello Stato/RFI e il diniego opposto dall'Inail lo ha costretto e lo sta costringendo a gravi privazioni e gravissime difficoltà economiche e dunque si è visto costretto ad appellarsi alle più alte cariche dello Stato poiché dichiara, in tutta coscienza, di essere ormai stremato fisicamente e psicologicamente a causa di una odissea giudiziaria che dura ormai da venti anni e di cui non vede la fine –:
   alla luce delle citate sentenze n. 23527/13 e n. 16590/14 della Suprema Corte di Cassazione, quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato circa il diniego opposto da Inail Sulmona al pagamento della rendita professionale in favore del signor Cinaglia Emidio;
   se non ritenga  che l'Inail di Sulmona stia esponendo le casse pubbliche al rischio di un grave esborso di denaro nell'ipotesi di sua condanna alle spese legali nei vari giudizi che si stanno aprendo ed al risarcimento dei danni che il Cinaglia intenzionato a chiedere;
   se non ritenga il Ministro interrogato di assumere iniziative di competenza al fine di ottenere che, nell'attesa che si definiscano i procedimenti esecutivi in corso, l'Inail di Sulmona versi al Cinaglia, con riserva di ripetizione, tutti i ratei arretrati e quelli a venire, definendo la rendita mensile in funzione della malattia professionale e nella misura riconosciuta dalla sentenza n. 88 del 2001 del tribunale di Sulmona («V categoria della Tabella A annessa alla legge n. 834 del 1981 con una percentualizzazione del danno alla capacità lavorativa generica nella misura del 55 per cento»);
   se risultino altri casi analoghi di ingiustizia nei confronti di un cittadino e se il Ministro interrogato intenda avviare tutte le iniziative di propria competenza per sbloccare la situazione di inerzia descritta in premessa. (4-12937)


   NESCI e PARENTELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la regione Calabria ha un tasso di disoccupazione giovanile tra i più alti in Europa e rimane nel cosiddetto «obiettivo 1» nell'ambito della politica di coesione;
   in un articolo del giornalista Pietro Bellantoni, pubblicato il 20 aprile 2016 sul portale della testata giornalistica Il Corriere della Calabria, si legge della possibilità che salti il «Programma stages 2008», che nell'ambito del piano «Garanzia giovani» interessa 145 ragazzi calabresi che per 18 mesi lavorerebbero, al termine del previsto iter burocratico, nell'Azienda Calabria lavoro;
   nell'articolo si legge che l'altro rischio potrebbe essere un forte rallentamento dell'attuazione del riferito programma;
   il giornalista, poi, spiega in dettaglio le ragioni dei rischi testé rappresentati, precisando che il dipartimento Lavoro della regione Calabria, «retto da De Marco, come confermano fonti sindacali, avrebbe fatto un bel po’ di confusione, omettendo di inviare al ministero del lavoro alcuni documenti fondamentali per la trasmissione delle risorse, pari a circa 6,2 milioni di euro»;
   «a Roma — scrive il giornalista Bellantoni — hanno subito chiesto chiarimenti e la contestuale integrazione dei documenti mancanti. Significa che l'avvio del progetto slitterà ancora, non si sa per quanto tempo. L'impasse ha già scatenato le reazioni dei partecipanti che, assieme ai sindacati, hanno già indetto un sit in di protesta per il 27 aprile davanti alla Cittadella regionale di Germaneto»;
   il bando del programma di cui si tratta ebbe una storia molto travagliata, ricostruita con perizia nell'articolo summenzionato e dimostrativa, a parere dell'interrogante, della diffusa, grave e perdurante incapacità dell'amministrazione regionale calabrese di gestire programmi legati a risorse dell'Unione europea, di ridurre in modo significativo, con gli strumenti a disposizione, la disoccupazione e la difficoltà sociale, nonché di alimentare economie e sviluppo nel territorio, come ha più volte ricordato anche Laura Ferrara, parlamentare europea del MoVimento 5 stelle, con riferimento alla lentezza burocratica della regione Calabria in tema di utilizzo di risorse europee –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, il Ministro interrogato possa confermare, per i giovani interessati, esiste la possibilità di iniziare in ogni caso il programma;
   quali urgenti iniziative per quanto di competenza intenda assumere per accelerare il completamento degli adempimenti burocratici, affinché i giovani individuati comincino al più presto a lavorare.
(4-12947)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   FIORIO e CARRA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la carne equina possiede notevoli qualità nutrizionali e viene utilizzata per integrare o sostituire, nell'alimentazione, le altre tipologie di carni rosse;
   l'Italia, assieme a Francia e Belgio, è tra i principali consumatori in Europa di carne equina. Secondo le associazioni di categoria nel nostro Paese il quantitativo medio pro capite utilizzato in un anno è di circa un chilogrammo, per un totale di oltre 42 milioni di chili ogni 12 mesi;
   la produzione equina nazionale non è comunque sufficiente a soddisfare la domanda interna e si ricorre all'importazione di animali e carni provenienti da pesi esteri;
   secondo i dati forniti dall'Anagrafe nazionale zootecnica sui capi equidi macellati, ad esempio, nel mese di marzo 2016 (3.672 totali), 2.073 sono di provenienza nazionale, mentre ben 1.599 sono importati dall'estero;
   la carne equina, a differenza di altre tipologie, quali la carne di bovino, avicola, di suino, di ovino, di capra e dei volatili, non prevede però l'indicazione della tracciabilità in etichetta (dove sono riportati generalmente il luogo nascita, di allevamento e di macellazione del capo alimentare);
   conseguentemente, i consumatori non possono avere informazioni sulla filiera produttiva che interessa circa 30 milioni di chili di carne di cavallo importata dall'estero ogni anno;
   per la carne equina non è prevista, inoltre, alcuna indicazione anche come ingrediente nei prodotti trasformati; una mancanza di tracciabilità che ha creato, negli ultimi anni, numerosi episodi (rinvenuti dalle analisi dei Nas – nuclei antisofisticazioni e sanità dell'Arma dei carabinieri) di presenza di carne equina in prodotti confezionati senza che questo alimento venisse inserito nell'etichetta;
   il rischio della carne di cavallo è legato a quello che può contenere in caso provenga da animali non controllati. I cavalli non allevati per la macellazione, presenti soprattutto nei Paesi esteri dove non la carne equina non viene comunemente utilizzata come cibo ma successivamente inviata nel nostro, Paese per il consumo alimentare umano, sono infatti nutriti con farmaci, ormoni e steroidi e con sostanze quindi dannose per la salute e la cui presenza è totalmente ignota ai consumatori –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario promuovere, in relazione a quanto espresso in premessa, iniziative urgenti di natura normativa per rendere obbligatoria la tracciabilità in etichetta della carne equina, anche come ingrediente nei prodotti trasformati, al fine di tutelare i consumatori e salvaguardare l'intera filiera produttiva. (5-08471)


   MONGIELLO, GINEFRA e VICO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Capo del Corpo forestale dello Stato 23 novembre 2011, pubblicato in Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana — serie concorsi del 29 novembre 2011, è stato reso pubblico il bando di concorso pubblico per la nomina di 400 allievi vice ispettori del Corpo forestale dello Stato;
   tale decreto ha previsto, tra l'altro, con l'articolo 1, comma 9, che qualora, per qualsiasi motivo, risultasse ampliato il numero dei posti da coprire con assunzioni di idonei del concorso bandito con il presente decreto, la distribuzione territoriale degli ulteriori posti sarà effettuata, nel rispetto della pianta organica, tenendo conto degli ambiti regionali con maggior carenza di personale non direttivo e non dirigente con qualifica di ufficiale di polizia giudiziaria;
   la previsione di cui sopra quindi lascerebbe aperta l'eventualità di potere assumere anche ulteriori idonei non vincitori oltre gli effettivi vincitori del concorso, qualora vi fossero in futuro nuovi posti da ricoprire nell'ambito delle figure del Corpo forestale oggetto del concorso;
   con il decreto del capo del Corpo forestale dello Stato 24 luglio 2014, sono state approvate le graduatorie e disposte le dichiarazione dei vincitori, nell'ambito del concorso pubblico di cui sopra;
   giova in tale contesto fare presente che il Corpo forestale dello Stato, nel periodo di svolgimento del concorso di cui trattasi, è stato oggetto di una previsione normativa di riorganizzazione, in particolare a norma della legge 7 agosto 2015 n. 124, secondo cui si dovrebbe procedere alla riorganizzazione del Corpo stesso con eventuale assorbimento del medesimo in altra forza di polizia;
   inoltre, come meglio affermato dal Governo in sede di risposta ad un atto di sindacato ispettivo, ossia l'interpellanza urgente n. 2-01322 svolta nella seduta n. 604 di venerdì 8 aprile 2016, in attuazione di quanto statuito dall'articolo 8 della legge 7 agosto 2015 n. 124, lo scorso gennaio il Consiglio dei ministri ha approvato lo schema di decreto legislativo recante disposizioni in materia di razionalizzazione delle funzioni di polizia e assorbimento del Corpo forestale dello Stato. Il citato provvedimento, all'articolo 18, comma 1, dispone che: «l'Arma dei carabinieri succede nei rapporti giuridici attivi e passivi del Corpo forestale dello Stato, ivi compresi quelli derivanti dalla sottoscrizione delle convenzioni relative alla sorveglianza sui territori delle aree naturali protette di rilievo internazionale e nazionale e dei contratti individuali di lavoro stipulati con il personale assunto ai sensi della legge 5 aprile 1985 n. 124»;
   sarebbe rassicurante poter ad ogni modo conoscere se, a conclusione del predetto processo di riordino del Corpo forestale dello Stato, potranno rimanere valide anche le previsioni di eventualità di ulteriore reclutamento degli idonei non vincitori del concorso per la nomina di 400 allievi vice ispettori del Corpo forestale dello Stato del novembre 2011 –:
   se, a seguito dell'avvenuta riorganizzazione del Corpo forestale dello Stato da attuarsi a norma della legge n. 124 del 2015, intendano intraprendere iniziative volte a mantenere applicabili le previsioni di cui al decreto del capo del Corpo forestale dello Stato 23 novembre 2011 secondo cui potrebbero essere disposte ulteriori assegnazioni di posti disponibili in favore degli idonei non vincitori del concorso per la nomina di 400 allievi vice ispettori del Corpo forestale dello Stato;
   quali iniziative intendano assumere per promuovere l'accesso dei predetti idonei non vincitori, al ruolo degli ispettori del nuovo Corpo forestale o ad altra funzione dell'organismo cui esso sarà destinato. (5-08485)

Interrogazione a risposta scritta:


   CIRACÌ, LATRONICO, DISTASO, MARTI, CHIARELLI e FUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'U.N.I.R.E. – Unione nazionale incremento razze equine (ente di diritto pubblico di I livello sotto controllo e vigilanza del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali), prima di essere soppresso con legge n.111 del 15 luglio 2011, con determinazione del segretario generale n. 4084 del 16 marzo 2006, bandì un concorso pubblico per la copertura di 10 posti nell'area C, posizione C3, profilo professionale di funzionario d'amministrazione, tra cui n. 2 posti di «specialista in scienze equine» rivolto a coloro che fossero laureati in medicina veterinaria o scienze agrarie e comunque con particolare bagaglio culturale e professionale relativo alla zoognostica, miglioramento genetico, al benessere animale e quindi cognizioni specifiche in materia di antidoping e regolamentazione delle corse. Successivamente all'espletamento dei concorsi, l'U.N.I.R.E. con propria determinazione dell'11 ottobre 2006 rendeva noto l'approvazione della graduatoria e nello specifico, quella relativa ai 2 posti di funzionario «specialista in scienze equine» vincitori e dei relativi idonei;
   dopo quasi 4 anni, l'U.N.I.R.E. in data 28 giugno 2010 (Det. n. 2203), procedeva alla convocazione dei vincitori dei concorsi banditi nel 2006 e che avrebbero dovuto insediarsi entro il 1o luglio 2010 — cioè giorni dopo — così da non incappare nella «tagliola» del blocco delle assunzioni sancita dall'articolo 2, comma 8-septies, della legge n. 25 del 26 febbraio 2010. Purtroppo, i tempi così ristretti ed il termine perentorio del 1o luglio 2010, non poterono garantire l'assunzione autorizzata di tutti i vincitori e tra questi anche i 2 medici veterinari specialisti in scienze equine, tant’è che benché convocati, manifestarono l'impossibilità di presentarsi nella data fissata e sottoscrivere nell'immediato il contratto: per tali ragioni, l'ente «benevolmente» decise di non adottare alcun provvedimento di decadenza nei confronti dei vincitori, in sostanziale contrasto con quanto previsto dall'articolo 9 – assunzione in servizio – del bando di concorso. Da osservare che successivamente, in data 22 dicembre 2010, uno dei 2 vincitori, a quanto risulta agli interroganti, ufficializzò formalmente la propria indisponibilità all'assunzione per il posto di specialista in scienze equine e ciò avrebbe consentito l'avvio automatico della procedura di scorrimento della graduatoria al primo degli idonei permettendone il ripristino dello status quo del numero di posti messi a concorso e previsti dal bando (da quanto descritto sino ad ora, appare agli interroganti evidente che l'ente – oramai soppresso – ed anche il dicastero vigilante, abbiano gestito il tutto con approssimazione e superficialità non sollevandoli comunque da specifiche responsabilità esecutive e di controllo);
   più di recente, dopo che l'U.N.I.R.E. fu soppresso e trasformato in A.S.S.I – Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (articolo 14 del decreto-legge n. 98 del 2011, convertito successivamente dalla legge n. 111 del 2011), il 31 gennaio 2013 il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, con proprio decreto e di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, provvide alla soppressione anche dell'A.S.S.I. così che le funzioni, risorse materiali, strumentali e finanziarie, furono trasferite alla direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare e dell'ippica costituita in seno al dipartimento delle politiche competitive, della qualità agroalimentare, ippiche e della pesca del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, come da decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 febbraio 2013, n. 105, di riorganizzazione ministeriale;
   dalla lettura del sopra citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, si evince che ai sensi dell'articolo 2 «il personale di ruolo a tempo indeterminato, in servizio presso l’ex ASSI è trasferito al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, le cui dotazioni organiche sono provvisoriamente incrementate di un numero pari alle unità di personale a ruolo trasferito» e pertanto, «ai sensi e per gli effetti della legge 7 agosto 2012 n. 135, i dipendenti trasferiti mantengono l'inquadramento previdenziale di provenienza ed il trattamento fondamentale ed accessorio, limitatamente alle voci fisse e continuative, corrisposte al momento dell'inquadramento»; inoltre, ai sensi dell'articolo 4 dello stesso decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali» subentra nella situazione creditoria e debitoria dell’ex A.S.S.I. desunta dal bilancio di chiusura al 14 agosto 2012, per come risultante dalla delibera n. 71 del 24 gennaio 2013» e, tra l'altro, l'articolo 23-quater del decreto-legge n. 95 del 2012 ha previsto, al comma 9, che «sia fatta salva, nei limiti temporali previsti dalla vigente normativa, la validità delle graduatorie dei concorsi pubblici espletati dall'A.S.S.I. e dall’ex U.N.I.R.E.»;
   dopo che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, attraverso la direzione generale degli affari generali, delle risorse umane e per i rapporti con le regioni e con gli enti locali – AGRET V – si era attivato nel febbraio del 2015 per richiedere, al dipartimento della ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, la sussistenza delle coperture economiche accordate all’ex U.N.I.R.E. per i suddetti concorsi e di conseguenza la possibilità di assumere il personale che ancora non era riuscito a prendere servizio, la ragioneria dello Stato confermava prontamente la disponibilità economica ed il relativo capitolo di bilancio necessari per poter dare seguito alle assunzioni del personale, stante anche il favorevole consenso del dipartimento della funzione pubblica presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, a seguito della presentazione di adeguato piano di programmazione del fabbisogno del personale per il triennio 2015-2017 redatta proprio dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   è doloroso segnalare purtroppo che, ad oggi, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, nonostante le autorizzazioni ricevute dai Ministeri competenti e soprattutto nonostante la pressante necessità che i propri uffici preposti al controllo delle manifestazioni ippiche, dell'anagrafe equina, del benessere del cavallo sportivo del controllo prevenzione e repressione dell'aberrante fenomeno del doping, abbiano estrema necessità di rafforzare il proprio organico con le figure altamente professionali dei 2 «specialisti in scienze equine», ancora oggi, si ripete e si sottolinea, i 2 funzionari specialisti non si sono ancora insediati;
   è superfluo ricordare, che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali assumendo l'onerosa gestione del complesso sistema ippico nazionale e del relativo mondo delle corse e delle manifestazioni ippiche agonistiche, si è accollato l'importane responsabilità di vigilare, controllare ed amministrare tutto il comparto e per farlo al meglio e mostrare al mondo ippico internazionale di avere capacità e professionalità specifiche e dedicate, deve necessariamente provvedere a sanare la vacatio assumendo definitivamente i 2 specialisti in scienze equine, anche perché, alla luce dell'ultimo «collegato agricolo — AC 3119» approvato di recente alla Camera ed ora in ultima lettura al Senato, il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali sarà impegnato nell'attività di controllo e vigilanza sull'operato della nuova realtà che gestirà l'ippica italiana identificata per l'appunto come «Lega ippica», mantenendo parimenti l'onere di sovraintendere all'operato del laboratorio UNIRELab di cui il Ministero è proprietario;
   il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali, deve gestire il sistema ippico nazionale e vigilare e controllare l'operato della propria società UNIRELab, i cui compiti sono proprio di eseguire analisi chimiche nell'ambito della lotta e della prevenzione del doping ippico, eseguire altresì la determinazione del Dna sull'intera produzione equina nazionale iscritta al libro genealogico, gestire e controllare l'operato dei medici veterinari preposti a presidio delle manifestazioni ippiche agonistiche espletate sotto l'egida del dicastero sia in ippodromi che sui diversi campi gara dislocati sul territorio nazionale, garantire l'adeguata esecuzione dell'attività fondamentale del «controllo produzione equina», ovvero il censimento dei puledri nati in Italia mediante inserimento di microchip e prelievo di materiale biologico atto alla determinazione del Dna (operazioni sempre eseguite da medici veterinari convenzionati col Ministero);
   a detta degli interroganti, stante il complesso insieme di specifiche competenze tecniche che il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali deve fronteggiare relativamente al comparto ippico, competenze che possono essere assolte solo da figure professionali come i medici veterinari vincitori del concorso bandito dall’ex U.N.I.R.E. nel lontano 2006, concorso che già allora prevedeva la necessità di dotarsi nel proprio organico di funzionari specialisti in scienze equine capaci non solo di vigilare, gestire e controllare le normali operazioni sanitarie di prevenzione e repressione del fenomeno del doping ippico, ma anche e soprattutto di assecondare i compiti previsti dalla legge n. 200 del 1o agosto 2003 che affidava all’ex U.N.I.R.E. ex A.S.S.I., la sua organizzazione e gestione, tant’è che già dal 25 marzo 2015 è attiva la BDE proprio presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali;
   a detta degli interroganti, risulta così evidente che per assolvere a tali e gravosi compiti, il singolo funzionario laureato in medicina veterinaria attualmente in servizio presso il dicastero (già in organico nell’ex U.N.I.R.E.), non può assolutamente affrontare da solo cotanto carico di lavoro e quindi è ovvio che corre l'obbligo al Ministro interrogato, di porre rimedio e soluzione definitiva alla questione dell'adeguamento della forza lavoro nel settore ippico (ricadente nella direzione generale per la promozione della qualità agroalimentare e dell'ippica – PQAI), mediante l'assunzione dei 2 specialisti in scienze equine, le cui graduatorie sono già nella completa disponibilità del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali corredate anche dalle autorizzazioni di rito dei Ministeri ed organi di controllo contabile competenti –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa e quali iniziative intenda adottare, nell'immediato, per risolvere questo problema, la cui soluzione garantirebbe una maggiore efficienza nei servizi e compiti istituzionali che gravano sul Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali relativamente al comparto ippico e, nel contempo, conoscere le motivazioni ostative per le quali i 2 funzionari specialisti in scienze equine, regolarmente in graduatoria presso il Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, ancora oggi non siano stati assunti, nonostante la presenza di autorizzazioni e coperture finanziarie documentate. (4-12933)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il distretto socio-sanitario di Gagliano del Capo è uno dei 10 distretti socio-sanitari della asl di Lecce e ricomprende 15 comuni per un totale di oltre 95 mila abitanti;
   tutto il distretto dispone di un unico ecografo che, da gennaio 2016, è rotto e non viene riparato con inevitabili ripercussioni sui pazienti che non possono sottoporsi ad ecografie, sulle liste d'attesa che si allungano sempre più, sul personale addetto che resta inevitabilmente fermo e, di conseguenza, sul livello dei servizi sanitari forniti;
   considerato che appare inaccettabile che 15 comuni e 95 mila persone siano da tre mesi senza un ecografo, se il Ministro non ritenga di dover avviare ogni iniziativa di competenza per verificare quanto denunciato in premessa e accertare quali siano le cause di tale situazione;
   se il Ministro non ritenga di dover promuovere ogni iniziativa di competenza per una verifica dei livelli essenziali di assistenza in Puglia e in particolare nella zona di Lecce. (4-12942)


   MIOTTO, BRUNO BOSSIO e LENZI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dalla stampa si apprende che sarebbero state compiute importanti indagini su presunte gravissime condotte nei reparti di ostetricia e ginecologia, neonatologia e anestesia degli ospedali riuniti di Reggio Calabria;
   le cronache riferiscono che «secondo le indagini del Nucleo polizia tributaria del Comando provinciale della GdF, nei reparti di Ostetricia e Ginecologia, di Neonatologia e di Anestesia degli “Ospedali riuniti” di Reggio vi sarebbe stato un sistema di copertura illecito, messo in atto in occasione di errori commessi in interventi su singole gestanti o pazienti, per evitare di incorrere nelle responsabilità soprattutto giudiziarie;
   i presunti episodi di malasanità al centro dell'indagine della Guardia di finanza di Reggio Calabria che ha portato all'arresto e alla sospensione di medici dell'ospedale riguardano la morte di due neonati e le lesioni irreversibili riportate da un altro bimbo, dichiarato invalido al 100 per cento. Inoltre, l'inchiesta ha riguardato anche traumi e crisi epilettiche di una partoriente, il presunto procurato aborto di una donna non consenziente e le lacerazioni di parti intime e connotative di altre. Alcuni degli indagati non sono più in servizio al Presidio ospedaliero “Bianchi-MelacrinoMorelli” (gli “Ospedali Riuniti”). Gli arresti domiciliari e la sospensione dalla professione per 12 mesi sono stati disposti dal Gip su richiesta della Procura. Le accuse sono, a vario titolo, di falso ideologico e materiale, soppressione, distruzione e occultamento di atti veri e interruzione della gravidanza senza consenso della donna. Il presunto sistema di copertura degli errori, secondo l'accusa, sarebbe stato condiviso dall'intero apparato sanitario» –:
   se sia a conoscenza dei fatti risultanti dalle cronache riferite;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari per garantire alle cittadine e ai cittadini che si rivolgono alla struttura ospedaliera citata, le prestazioni sanitarie di cui necessitano, in condizioni di efficacia e sicurezza. (4-12944)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il necessario processo di rinnovamento del settore pubblico non può prescindere anche da un ricambio generazionale che apporti nuove competenze. Sul punto, si consideri che in meno di quindici anni in Italia, il personale della pubblica amministrazione si è drasticamente trasformato: è aumentata a dismisura l'età media che supera i 50 anni, il numero dei giovani si è considerevolmente ridotto, mentre, anche in conseguenza dell'incremento dell'età per accedere al pensionamento, c’è stata una netta espansione della presenza di dipendenti anziani;
   al riguardo, ricorrendo allo scorrimento delle graduatorie, in attuazione del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, si farebbe fronte alla predetta esigenza di cambiamento generazionale nel settore pubblico, soddisfacendo anche l'esigenza di queste persone, con comprovate competenze, di essere collocate;
   si ricorda che il decreto legge 31 agosto 2013, n. 101, sospende la validità delle graduatorie fino al 31 dicembre 2016 e, ad oggi, non sono ancora note le intenzioni del Governo sulla proroga di tale termine, per dare definitiva collocazione agli idonei da anni in a tesa di accedere al pubblico impiego;
   nell'ottica di attuare una ragionevole spending review va esclusa l'indizione di nuovi concorsi pubblici, con gli ingenti costi che ne conseguirebbero, prima di aver proceduto alla collocazione degli idonei attraverso una proroga delle graduatorie;
   a tal fine, è necessario conoscere le modalità con cui sta procedendo il Governo per pianificare il futuro assetto della pubblica amministrazione, che prevede altresì la ricollocazione del personale delle province, rispetto all'esigenza di collocare gli idonei di concorso –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative siano state adottate per individuare e pianificare il nuovo assetto della pubblica amministrazione, anche in vista della ricollocazione del personale delle province e se, in prospettiva di tale piano, si intendano assumere iniziative per la proroga delle graduatorie di idonei. (5-08472)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLI, RICCIATTI, AIRAUDO e PLACIDO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'azienda Nokia ha acquisito Alcatel Lucente e, contestualmente, ha avviato e comunicato ai sindacati dei lavoratori il piano di ristrutturazione. Questi prevede per l'Italia 219 esuberi e lo smantellamento definitivo della sede di Cassina de Pecchi, con lo spostamento di tutti i lavoratori, quelli che rimarranno dopo i licenziamenti, a Vimercate;
   il gruppo Nokia prevede la riduzione di circa 15.000 posti nel mondo, nel quadro di un piano di riorganizzazione preparato dopo la fusione con Alcatel dal quale ottenere risparmi annuali per 900 milioni di euro entro il 2018. A livello europeo gli esuberi annunciati sono quasi 4.000 su circa 34.000 dipendenti;
   la sede Nokia di Cassina De Pecchi conta 409 addetti e la previsione per tale sede è di 100 esuberi, che si aggiungono ai 110 lavoratori lasciati a casa nel 2014;
   si tratta di una notizia inaspettata e sconcertante, che preoccupa i lavoratori, già provati da tutti questi mesi di incertezza, una ulteriore tegola che si abbatte in particolar modo sul tessuto lavorativo locale nei comuni di Cassina de Pecchi e di Vimercate;
   è un piano che se attuato rappresenta l'ennesimo grave attacco occupazionale in uno dei settori cosiddetti «tecnologicamente avanzati», un ulteriore passo nella dismissione di quel poco che resta dell'industria delle telecomunicazioni;
   in questi giorni, intanto, sono partite le assemblee e le mobilitazioni dei lavoratori nelle sedi italiane di Nokia e di Alcatel Lucent, di Vimercate e da Cassina de Pecchi a difesa del posto di lavoro;
   il 27 aprile 2016 presso il Ministero dello sviluppo economico è stato convocato un incontro al quale sono stati invitati a partecipare Nokia ALU e le organizzazioni sindacali;
   è necessario che il Governo partecipi attivamente all'incontro non come semplice luogo terzo di confronto tra Nokia e organizzazioni sindacali ma partecipando al confronto che interessa la vita e il posto di lavoro di centinaia di lavoratori, con proposte e iniziative, per quanto di propria competenza, che consentano di evitare i licenziamenti per centinaia di lavoratori –:
   con quali proposte e iniziative il Governo intenda partecipare all'incontro fissato per il 27 aprile 2016 presso il Ministero dello sviluppo economico per evitare che centinaia di lavoratori, della Nokia — Alcatel Lucente, rischino di perdere il posto di lavoro nonché competenze di alto valore professionale. (5-08473)


   GAROFALO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il sindacato SLP-CISL Poste ha deciso di organizzare un sit-in di protesta per il 22 aprile 2016, dalle ore 8 alle ore 10, per denunciare i numerosi disagi e disservizi degli utenti e dei lavoratori dell'ufficio postale di Pistunina, sito nel comune di Messina;
   il sindacato denuncia, ormai da due mesi, come la riorganizzazione del settore postale decisa il 22 febbraio 2016 abbia creato carichi di lavoro eccessivi in zone troppo estese per poter essere servite in maniera efficiente;
   già all'inizio dell'estate del 2014 era stato segnalato il disagio creato dal mancato recapito di lettere e raccomandate, ma nessun provvedimento è stato assunto in merito;
   nel gennaio del 2015 era stata ancora una volta ribadita la gravità della situazione, con i cittadini costretti spesso a pagare le more per non aver ricevuto in tempo le varie notifiche dei titoli di pagamento;
   nel febbraio dello stesso anno la situazione si era ulteriormente aggravata a causa della drastica riduzione degli uffici postali sul territorio;
   la carenza e la scarsa formazione del personale, la disorganizzazione, il mancato adeguamento di mezzi e strutture, l'aumento di adempimenti da svolgere, sono probabilmente alla base dell'elevato livello di stress nei lavoratori direttamente interessati;
   anche tra l'utenza comincia ad affiorare la sensazione di non poter contare sull'efficiente e pronta consegna della corrispondenza a causa dei disservizi che la riorganizzazione del settore ha finito per generare;
   per questi motivi, anche associazioni rappresentative dei consumatori hanno denunciato la gravità della situazione che si è venuta a creare e che è divenuta ormai insostenibile, chiedendo espressamente agli enti territoriali e alla autorità di intervenire;
   proprio per evitare disagi agli utenti l'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni con delibera (n. 342/14/CONS) ha sottolineato che la società Poste Italiane avrebbe dovuto confrontarsi con gli enti locali prima di decidere le chiusure di sportelli e avrebbe dovuto programmare servizi alternativi ed altrettanto efficienti –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di verificare che il progetto di riorganizzazione del settore non abbia arrecato disagi e un calo di efficienza nelle prestazioni oggetto della convenzione con Poste italiane, illustrando quindi le modifiche da adottare per porre fine ai disagi (peraltro ammessi e riconosciuti dalla stessa azienda postale) creati ai lavoratori di Pistunina (Messina) e all'utenza messinese. (5-08474)


   DE MARIA e BENAMATI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Alstom Ferroviaria spa, con 2.600 persone occupate in Italia e un fatturato pari a un 1 miliardo di euro, rappresenta sia per il numero e l'importanza dei progetti realizzati, che per il contenuto tecnologico, una delle principali realtà industriali italiane nel settore ferroviario;
   la sede Alstom Ferroviaria spa di Bologna costituisce oggi un centro di eccellenza mondiale della multinazionale Alstom Transport per i sistemi di segnalamento ferroviario, garantendo occupazione a migliaia di famiglie e sviluppo all'intera regione, come tale meritevole di attenzione e valorizzazione da parte del Governo;
   la Alstom Ferroviaria spa la dichiarato 22 esuberi a Bologna e 11 trasferimenti dallo stabilimento di Bologna a quello di Sesto S. Giovanni, trasferimenti che possono già essere considerati esuberi, visto che l'attività svolta da queste persone verrà esternalizzata a breve;
   desta particolare preoccupazione che non sia al momento noto né comunicato alle rappresentanze sindacali unitarie il piano industriale e la riorganizzazione aziendale, così come desta preoccupazione il calo degli ordini che si potrebbero verificare dalla diminuzione delle commesse;
   altre fonti confermano, inoltre, l'intenzione della multinazionale Alstom di delocalizzare migliaia di ore di progettazione – oggi in carico a Bologna – in India;
   l'integrazione del sito di Firenze (ex-GE) con quello di Bologna presenta elementi poco chiari per ciò che concerne la riorganizzazione ed eventuali disposizioni riguardanti gli stabilimenti coinvolti, a partire da quello di Firenze; tali disposizioni o vincoli potrebbero pertanto avere ricadute, anche pesanti, sugli organici del sito bolognese;
   l'assenza di pronunciamenti ufficiali da parte della Alstom fa crescere incertezza e preoccupazione, già espressa pubblicamente dalla rappresentanza sindacale unitaria aziendale;
   la Alstom Ferroviaria spa ha confermato il rischio di un «buco produttivo e lavorativo», che porterebbe a dichiarare circa 1.500 esuberi su 2.600 lavoratori in forza a livello nazionale, qualora Alstom non dovesse aggiudicarsi commesse nell'ambito della gara dei 500 treni;
   la regione Emilia Romagna ha già provveduto ad emanare le delibere relative alla gara e ha stanziato il budget per 75 treni;
   la competenza nell'indire la gara spetta a Trenitalia che è però in attesa che anche le altre regioni si dotino degli strumenti amministrativi e contabili per accedervi;
   avere tempi certi e celeri per l'indizione della gara d'appalto per i treni è di fondamentale importanza per il destino dello stabilimento di Savigliano (addetto alla produzione di treni, 1400 dipendenti) e per tutti gli altri stabilimenti italiani, Bologna (580 dipendenti, 1000 con l'indotto) in primis, che rischiano pesanti ripercussioni dovute a un prevedibile effetto domino –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto esposto e quali iniziative di competenza intendano intraprendere per chiarire la situazione della Alstom ferroviaria spa in relazione ai piani ed ai progetti di riorganizzazione aziendale e, ove necessario, per salvaguardare il futuro di una realtà produttiva di grande interesse e di altissima specializzazione, così come per garantire tempi congrui e certi per l'indizione delle gare d'appalto per i treni e per mettere in priorità piani di investimento per l'ammodernamento delle infrastrutture di segnalamento ferroviario. (5-08481)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI, MUCCI e RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del Governo Monti, Corrado Clini, nel mese di aprile 2013 ha firmato il decreto che sospendeva per sei mesi l'efficacia della valutazione di impatto ambientale (VIA) rilasciata il 17 luglio 2009 sul progetto presentato dalla Gas Natural per un impianto di rigassificazione di metano liquido (GNL) a Zaule, nel porto di Trieste; il provvedimento ha accolto il parere contrario della Commissione via del Ministero che ha recepito i pareri negativi del comitato portuale di Trieste e dalla regione Friuli-Venezia Giulia, prendendo atto delle mutate situazioni del traffico marittimo triestino e delle prospettive di potenziamento previste dal piano regolatore portuale;
   successivamente alla scadenza della sospensione di sei mesi della valutazione di impianto ambientale per Zaule senza che si sia verificata nessuna, delle due condizioni indicate dal decreto per un esito positivo della valutazione, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato l’iter di revoca, come confermato dalla risposta ad un'interrogazione del primo firmatario del presente atto, pubblicata il 3 giugno 2014 nell'allegato B della seduta n. 238 dell'Assemblea della Camera secondo la quale «il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per quanto di sua competenza, ha precisato che lo schema di decreto di revoca in questione, già firmato dal Ministro pro tempore, Andrea Orlando, era stato inoltrato per la firma del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, in data 13 febbraio 2014, ma, essendo nel frattempo mutata la compagine governativa, lo stesso decreto è stato restituito dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ai fini dell'acquisizione della firma dei ministri ora in carica»;
   dalla risposta del sottosegretario per l'ambiente e la tutela del territorio e del mare, Silvia Velo, all'interrogazione n. 5-03600 presentata dal primo firmatario del presente atto, risulta che il 6 febbraio 2015 la commissione VIA/VAS dello stesso dicastero abbia concluso il supplemento istruttorio in materia, affermando, con proprio parere n. 1706, che non vi siano aspetti di incompatibilità ambientali tra le previsioni del nuovo piano regolatore portuale di Trieste ed il progetto del rigassificatore Gnl di Zaule, ribaltando completamente la precedente posizione; sempre nella risposta si legge che «la finale autorizzazione all'insediamento viene poi rilasciata dal Ministero dello sviluppo economico»;
   come si apprende dal sito Staffetta Quotidiana del 28 aprile 2015, «la regione Friuli Venezia Giulia ha impugnato davanti al Tar del Lazio il parere positivo di compatibilità ambientale per il rigassificatore di Zaule, espresso dalla Commissione tecnica del Ministero dell'ambiente. Il parere n. 1706 del 6 febbraio 2015 ha infatti restituito efficacia alla Via dell'impianto di Gas Natural, sospesa dal 2013»;
   nella risposta del 5 giugno 2015 del sottosegretario per lo sviluppo economico, Simona Vicari, ad un'altra interrogazione del primo firmatario del presente atto, la n. 5-04934, presso la Commissione attività produttive della Camera dei deputati in cui si chiedeva la posizione del Governo in merito all'impianto GNL di Zaule, viene affermato «il Ministero dello sviluppo economico non potrà, comunque, rilasciare alcuna autorizzazione dell'infrastruttura senza un'intesa con la regione Friuli Venezia Giulia»;
   secondo articoli di stampa locale, la conferenza di servizi in merito al procedimento di autorizzazione alla costruzione del terminale di rigassificazione di GNL di Zaule, convocata per il 19 maggio 2015, è stata rinviata all'11 giugno. In particolare la presidente della provincia di Trieste, Maria Teresa Bassa Poropat, ha inviato una lettera al Ministero dello sviluppo economico per chiedere la sospensione della conferenza di servizi convocata per l'11 giugno vista l'assenza del decreto relativo alla dichiarazione di compatibilità ambientale sulle opere di allaccio del rigassificatore alla rete, atto indispensabile ai sensi del decreto interministeriale n. 808 del 17 luglio 2009;
   un articolo de il Piccolo dello scorso 11 giugno 2015 riporta un resoconto della conferenza di servizi tenutasi a Roma, presso la sede del Ministero dello sviluppo economico. L'assessore regionale dell'ambiente avrebbe sottolineato che «la regione non è in grado di esprimere formalmente il parere conclusivo unico regionale sull'impianto senza prima conoscere l'esito delle procedure aperte al Ministero dell'ambiente». L'articolo riporta che «due procedimenti sono sospesi al Ministero dell'ambiente (i pareri tecnici sulla valutazione d'incidenza dell'Area marina di Miramare e sull'elettrodotto interrato di collegamento del terminal Gnl alla rete elettrica) e manca ancora la conclusione della procedura Via (Valutazione impatto ambientale) per il progetto del metanodotto Sealine» e che «manca, infine, la formalizzazione dell'accordo tra Italia e Slovenia in merito all'ubicazione esatta del terminale Gnl nell'Adriatico settentrionale, così come previsto da uno specifico regolamento dell'Unione europea, 1.391 del 2013. La Regione concluderà la sua Conferenza dei servizi interna, per esprimere il parere conclusivo, dopo aver ottenuto le risposte dal Ministero dell'ambiente, che si dovrà pronunciare entro 90 giorni»;
   il 22 dicembre 2015, le associazioni ambientaliste di Trieste e del Friuli Venezia Giulia (Legambiente, Italia Nostra, WWF, Comitato Salvaguardia Golfo di Trieste) nel sottolineare, attraverso un comunicato stampa, che dalla conferenza di servizi del giugno 2015, fossero ormai trascorsi più di 180 giorni rispetto ai 90 previsti senza che nulla accadesse, hanno sollecitato «gli Enti Locali, e in particolare alla Regione FVG, ad attivarsi presso i ministeri competenti per porre termine definitivamente all'autorizzazione di un progetto deleterio ed economicamente controproducente per lo sviluppo del territorio»;
   il sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – valutazioni ambientali VAS-VIA – riporta come in relazione al «Metanodotto Trieste-Grado-Villesse: Sealine Trieste-Grado DN 800 (32") + Tratto Grado-Villesse DN 1050 (42") – 75 bar» il parere CTVIA sia stato emesso e che il provvedimento sia «in predisposizione». Il progetto, finalizzato al collegamento del terminale GNL con il nodo della rete nazionale dei gasdotti Snam Rete Gas di Villesse, è considerata opera, indispensabile e funzionale alla realizzazione del rigassificatore di Zaule proposto dalla società Gas Natural –:
   se intendano chiarire lo stato dell’iter dei procedimenti relativi alle valutazioni d'incidenza sull'area marina di Miramare e sull'elettrodotto interrato di collegamento del terminal Gnl alla rete elettrica, e alla formalizzazione dell'accordo tra Italia e Slovenia in merito all'ubicazione esatta del terminale Gnl nell'Adriatico settentrionale;
   se non intendano negare definitivamente l'autorizzazione alla costruzione del rigassificatore di Zaule e delle relative opere ancillari, alla luce della risposta fornita all'interrogazione n. 5-04934 e delle dichiarazioni di contrarietà espresse in più occasioni dalla regione Friuli Venezia Giulia e dagli enti locali interessati. (4-12946)

Apposizione di una firma ad una risoluzione.

  La risoluzione in Commissione Pelillo e altri n. 7-00976, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sottanelli.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale D'Incecco e altri n. 3-01772, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Paola Boldrini.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Fabbri n. 5-08415, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Lenzi, Patrizia Maestri, Lattuca, Pagani, Paola Boldrini, Bolognesi, Gnecchi, Incerti, Baruffi, Montroni.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Nesci n. 4-12898, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 610 del 20 aprile 2016.

   NESCI. – Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. – Per sapere, premesso che:
   l'amministrazione comunale di Vibo Valentia, con la supervisione della sovrintendenza archeologica della Calabria, sta procedendo alla riqualificazione di via Paolo Orsi che, oltre ad essere una strada di collegamento con il cimitero del luogo, è via di grande valenza archeologica;
   stesso coinvolgimento della soprintendenza è stato determinante nella fase di progettazione dell'intervento, sia per il grande interesse storico del parco, sia perché a monte della strada vi è la zona del rinvenimento del tempio al Cofino, ovvero una delle aree del parco archeologico urbano, già finanziato con tre milioni di euro di cui lavori di allestimento attendono a breve di essere completati. È infatti proprio la via Paolo Orsi che, nell'ideale percorso del parco, mette in comunicazione la sommità della collina con il Belvedere, altra grande area di rilevanza storico-culturale della città compresa nel succitato istituendo Parco Archeologico;
   occorre sottolineare, dunque, che si tratta della riqualificazione del tracciato viario di una delle zone archeologiche più importanti della città di Vibo Valentia;
   secondo quanto si legge su Il Quotidiano del Sud del 15 aprile 2016, tali lavori stradali hanno fatto emergere di recente un ulteriore tratto delle monumentali mura greche dell'antica Hipponion, ma questi – si legge nel succitato articolo – «col placet della Sovrintendenza Archeologica della Calabria (complice verosimilmente la mancanza di fondi), anziché essere resi fruibili a studiosi e visitatori, finiranno di nuovo sotto terra»;
   se così fosse, sarebbe uno scempio;
   sul costone della stessa strada, infatti, si intravedono i resti di altre porzioni delle mura greche sopraffatti dalle macerie di risulta dei lavori in corso. Pietrame e resti di arenaria misti a terra impediscono addirittura di accedere alle mura greche indagate da Paolo Orsi;
   secondo quanto documentato ancora dalle cronache locali, i lavori sono eseguiti da una ditta per conto del comune sotto la supervisione diretta del personale della soprintendenza, vista l'enorme valenza storica del ritrovamento. Ma nonostante ciò, come detto, i resti verrebbero nuovamente sotterrati per far posto a una condotta idrica perché, a quanto pare, comune e soprintendenza archeologica della Calabria, per rispettare tempi e modi progettuali, non vogliono interrompere i lavori di posa dei tubi per lo scorrimento delle acque bianche su quei tratti nuovi, imponenti ed inediti delle mura di Hipponion;
   inoltre, come si legge ancora nell'articolo, «proprio ieri il Comune ha dato il via libera alla realizzazione del primo lotto dei lavori per il parco archeologico ”Hipponion – Vibo Valentia” che riguarda anche quest'area»;
   da un lato, dunque, si cerca di preservare un sito archeologico di elevato pregio, mentre dall'altro, lo si affonderebbe a colpi di cemento;
   secondo quanto stabilito dall'articolo 85, comma 2, del decreto legislativo n. 490 del 29 ottobre 1999 («Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali»), «il Ministero (dei beni e delle attività culturali; nda) può con suo decreto ordinare l'occupazione temporanea degli immobili ove devono eseguirsi i lavori» –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere affinché i resti archeologici rinvenuti di cui in premessa vengano portati alla luce e pienamente tutelati;
   quali iniziative intenda assumere per il tramite della soprintendenza archeologica della Calabria e con ogni altro strumento a disposizione, per garantire la tutela del parco archeologico urbano di Hipponion – Vibo Valentia. (4-12898)

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Cancelleri n. 4-11658 del 14 gennaio 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08480;
   interrogazione a risposta orale De Maria e Benamati n. 3-02151 del 31 marzo 2016 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08481.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta in Commissione Brignone e altri n. 5-08457 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 610 del 20 aprile 2016. Alla pagina 36763, prima colonna, dalla riga trentottesima alla riga trentanovesima deve leggersi: «del 23 aprile 2015, il dottor Sergio Arena, comunicava al dirigente del dipartimento» e non come stampato.