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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 20 aprile 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    l'endometriosi è una delle malattie ginecologiche a più alta prevalenza ed una condizione clinica tra le più studiate negli anni recenti. Si tratta di una patologia infiammatoria estrogeno dipendente che interessa nei Paesi occidentali il 5-10 per cento della popolazione femminile in età riproduttiva;
    il picco di incidenza si colloca in età fertile, soprattutto tra i 25 e i 35 anni, mentre è rara in epoca pre-puberale e post-menopausale, anche se la necessità di riporre un'attenzione crescente all'endometriosi anche durante l'età adolescenziale è un tema ampiamente emergente dalla letteratura internazionale;
    secondo i primi dati dell’American Endometriosis Association nei 2/3 dei soggetti l'esordio della sintomatologia avviene prima dei 20 anni, mentre, nella sua revisione più recente (1998), il registro dell’American Endometriosis Association riporta che quasi il 40 per cento delle donne con endometriosi riferiva una comparsa dei primi sintomi ad un'età inferiore a 15 anni e oltre il 25 per cento ad un'età compresa tra 15 e 19 anni;
    la caratteristica patologica specifica dell'endometriosi consiste nella presenza di tessuto endometrio-simile (cioè del tessuto che riveste l'interno dell'utero) al di fuori della cavità uterina e principalmente sulle ovaie, sul peritoneo pelvico, vescica o anche intestino;
    le problematiche cliniche più frequenti sono rappresentate da dolore pelvico cronico, dolore durante i rapporti sessuali ed infertilità;
    l'endometriosi non è una malattia mortale ma la capacità di metastatizzare, la possibilità di recidiva a livello locale e a distanza, l'insorgenza di dolore neuropatico resistente alla terapia medica sono alcune delle tante caratteristiche che l'endometriosi condivide con le neoplasie, come i carcinomi ovarici e, anche se nella maggior parte dei casi l'endometriosi presenta un decorso benigno, ci sono dati crescenti a favore di una correlazione tra endometriosi e cancro ovario;
    l'endometriosi costituisce attualmente un problema di salute pubblica dal momento che colpisce dal 5 per cento al 10 per cento delle donne in età riproduttiva, una proporzione che aumenta addirittura al 30 per cento nell'ambito di donne subfertili e in Italia sono almeno 3 milioni le donne che soffrono di endometriosi;
    questi dati rappresentano peraltro una sottostima della reale prevalenza della malattia nella popolazione generale dal momento che i sintomi non sono sempre presenti: molte donne scoprono di avere l'endometriosi quando hanno difficoltà ad avere figli, e, quando la malattia può essere sospettata in donne con dolore pelvico cronico, il «gold standard» per la diagnosi di endometriosi è ancora la valutazione laparoscopica, confermata dall'esame istologico;
    la scarsa conoscenza della malattia fa sì che prima della diagnosi passino in media nove anni. Tutto questo costringe le donne ad un vero e proprio calvario fatto di ecografie, visite specialistiche e accertamenti, a volte invasivi e costosi, per scoprire l'origine di quei forti dolori pelvici soprattutto durante il ciclo mestruale. Una volta diagnosticata la malattia, occorre assumere farmaci per lunghi periodi o sottoporsi a più interventi chirurgici;
    il fenomeno, i cui numeri, sono significativi sia a livello nazionale che internazionale, ha indotto già nel 2005 ben 266 membri del Parlamento europeo a firmare la «Written Declaration on Endometriosis», stimando in 39 miliardi di euro l'onere annuale dei congedi di malattia causati da questa patologia all'interno dell'Unione europea;
    nonostante la diffusione di questa malattia, la sua conoscenza risultava essere ancora scarsa sia da parte della popolazione dell'Unione europea che da parte dei medici;
    il documento invitava pertanto i Governi degli Stati membri e la Commissione europea a lavorare per favorire la ricerca sulle cause, sulla prevenzione e sul trattamento dell'endometriosi, dando anche indicazione per l'istituzione di una giornata nazionale dedicata alla sensibilizzazione su questo tema;
    anche la Commissione igiene e sanità del Senato della Repubblica ha svolto un'indagine conoscitiva sul fenomeno dell'endometriosi come malattia sociale;
    l'endometriosi è spesso invalidante, creando una condizione cronica che destabilizza profondamente la qualità di vita della paziente, con un impatto negativo sulla vita sociale/personale, con alti costi di assistenza sanitaria e causando, tra l'altro, frequenti assenze del lavoro o assenteismo scolastico in caso di adolescenti, impedendo lo svolgimento di attività ordinarie;
    l'impatto dell'endometriosi non riguarda solo la sfera fisica, emotiva e relazionale delle donne, ma ha anche significative ripercussioni nella sfera lavorativa provocando l'arresto delle progressioni di carriera, la perdita o l'abbandono del lavoro;
    in occasione della giornata mondiale dell'endometriosi, il Ministro della salute Beatrice Lorenzin ha annunciato che l'endometriosi sarà nei nuovi livelli essenziali di assistenza e rientrerà quindi nell'elenco delle malattie croniche invalidanti che danno diritto all'esenzione;
    alcune regioni italiane (Friuli Venezia Giulia, Puglia, Sardegna e Molise) hanno approvato una legge regionale a tutela delle donne affette da endometriosi che, oltre a prevedere numerosi interventi sul fronte delle terapie, della diagnosi, della formazione e della prevenzione, istituisce il registro e l'osservatorio regionale dell'endometriosi,

impegna il Governo:

   a mettere in campo tutte le iniziative a tutela delle donne affette da endometriosi, a partire dall'inserimento di tale patologia nell'elenco di quelle soggette all'esenzione dalla partecipazione al costo per le prestazioni di assistenza sanitaria a mezzo dell'attribuzione dello specifico codice identificativo, ai sensi del regolamento di cui al decreto del Ministro della sanità 28 maggio 1999, n. 329;
   ad adottare iniziative finalizzate all'esenzione dalla partecipazione al costo per prestazioni di diagnostica, ambulatoriali e specialistiche correlate all'endometriosi, e per l'acquisto di farmaci, promuovendo altresì iniziative utili alla riduzione dei tempi d'attesa per le prestazioni effettuate dal servizio sanitario nazionale;
   a favorire lo sviluppo di reti di servizi e centri di eccellenza che assicurino la presenza di team multidisciplinari in grado di lavorare per preservare la fertilità della donna, migliorare la qualità della sua vita e ridurre i costi socio-economici;
   a promuovere la conoscenza della malattia fra i medici e nella popolazione per agevolare la prevenzione, per ridurre l'intervallo di tempo significativo tra l'insorgenza dei sintomi e la diagnosi e per migliorare la qualità delle cure, sostenendo la ricerca scientifica e le attività delle associazioni e del volontariato dedicate ad aiutare le donne affette da tale malattia;
   a mettere in campo forme di tutela delle lavoratrici affette da endometriosi per garantire il diritto alla salute e salvaguardare il posto di lavoro;
   a sostenere l'istituzione del registro nazionale dell'endometriosi per la raccolta e l'analisi dei dati clinici e sociali riferiti all'endometriosi, al fine di favorire lo scambio dei dati e di stabilire strategie condivise di intervento sulla malattia, derivanti dall'analisi dei dati specifici per ambito geografico, di monitorare l'andamento del fenomeno e di rilevare le problematiche ad esso connesse, nonché le eventuali complicanze;
   a creare presso il Ministero della salute una commissione di esperti sull'endometriosi, composta da un numero massimo di dieci membri, alla quale sia attribuito il compito di predisporre le linee guida per la programmazione della ricerca scientifica relativa alla diagnosi e alla cura dell'endometriosi e per l'individuazione di adeguati strumenti di informazione dei pazienti;
   ad assumere iniziative per istituire la Giornata nazionale per la lotta contro l'endometriosi da celebrare il 9 marzo di ogni anno.
(1-01229) «D'Incecco, Lenzi, Amato, Burtone, Carnevali, Miotto, Patriarca, Sbrollini, Murer, Mariano, Giuditta Pini, Piazzoni».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    la situazione debitoria di molti contribuenti, persone fisiche, ditte individuali, imprese e società è stata da tutti avvertita come una vera e propria emergenza sociale e ha indotto il legislatore ad introdurre la possibilità di rateizzare le somme iscritte a ruolo fino a un massimo di dieci anni (la rateizzazione ordinaria prevede un massimo di 72 rate mensili, mentre la rateizzazione straordinaria estende il numero delle rate fino ad un massimo di 120 mensili);
    secondo i dati forniti dalla stessa Equitalia, le dilazioni di pagamento hanno rappresentato, negli ultimi anni, un fenomeno in costante crescita: dal 2008 ad oggi sarebbero state gestite circa 5,6 milioni di istanze di rateizzazione, per un valore di oltre 107 miliardi di euro e quasi la metà delle riscossioni avverrebbe mediante il pagamento dilazionato;
    si tratta, quindi, di un valido strumento adatto a sostenere la ripresa: il legislatore, non a caso, invero, è già più volte intervenuto sull'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, con la finalità di snellire il procedimento di accesso alla rateizzazione del debito e di rendere maggiormente fruibile la ripartizione del pagamento in rate;
    in particolare, per ben due volte, nel corso dell'anno 2014, il legislatore ha emanato, peraltro, disposizioni di carattere eccezionale per consentire ai soggetti decaduti da un piano di dilazione di riprendere nuovamente a pagare a rate (l'articolo 11-bis del decreto-legge n. 66 del 2014 e l'articolo 10 del decreto-legge n. 192 del 2014): in base a tali disposizioni, i debitori decaduti dal beneficio della rateazione entro e non oltre il 31 dicembre 2014 sono stati riammessi, a richiesta, al pagamento rateale;
    con l'articolo 15, comma 7, del decreto legislativo n. 159 del 2015, il legislatore ha nuovamente concesso ai debitori decaduti nei 24 mesi antecedenti alla data di entrata in vigore dello stesso decreto, la possibilità di rimettersi in regola, presentando apposita richiesta entro 30 giorni dalla suddetta data e di ottenere fino a un massimo di ulteriori 72 rate mensili, senza la necessità di pagare le rate scadute;
    sempre con il decreto legislativo n. 159 del 2015 è stato, inoltre, previsto che, in caso di decadenza dai piani di ammortamento concessi a decorrere dal 22 ottobre 2015, i debitori in difficoltà possano ottenere, a differenza del passato, un nuovo piano di rateizzazione, a condizione che, al momento della presentazione della relativa istanza, le rate del precedente piano – già scadute a tale data – vengano integralmente saldate;
    i debitori che hanno ottenuto un piano di rateizzazione prima del 22 ottobre 2015, per i quali la decadenza continuerà a verificarsi solo in caso di mancato pagamento di 8 rate, anche non consecutive, anziché 5 (previste per i piani accordati dal 22 ottobre 2015), una volta decaduti, non potranno, invece, essere più riammessi al beneficio;
    coloro che, in caso di peggioramento della propria situazione economica, non abbiano chiesto tempestivamente una proroga del piano in essere, ovvero la relativa conversione in un piano straordinario, saranno, quindi, esposti alle azioni cautelari ed esecutive di Equitalia;
    le imprese che dovranno fronteggiare tale situazione, non potendo ottemperare ai propri debiti, saranno esposte al rischio del fallimento;
    il rischio di fallimento rappresenta una realtà concreta per molte imprese italiane, aggravato, in molti casi, dal mancato pagamento, da parte delle pubbliche amministrazioni, dei crediti maturati per somministrazioni, forniture ed appalti;
    mediamente, infatti, secondo i dati disponibili, un'impresa che fornisce merci o servizi alla pubblica amministrazione è arrivata, negli ultimi anni, ad attendere un tempo eccessivamente lungo prima di ricevere il dovuto pagamento;
    da più parti è stato evidenziato come una percentuale rilevante dei fallimenti delle aziende sarebbe dovuta proprio al ritardo nei pagamenti di interesse;
    a sostegno del tessuto imprenditoriale, il legislatore è, tuttavia, anche in questo caso, intervenuto a più riprese, prevedendo la possibilità di compensare le cartelle di pagamento con i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti della pubblica amministrazione debitamente certificati, inizialmente introdotta dall'articolo 28-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, inserito dall'articolo 31, comma 1-bis, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78;
    per dare concreta attuazione al meccanismo della compensazione, sono stati, nel tempo, emanati appositi decreti del Ministero dell'economia e delle finanze, ossia, rispettivamente:
    il decreto ministeriale 22 maggio 2012 (come modificato dal decreto ministeriale 24 settembre 2012), che ha disciplinato le modalità di certificazione del credito, anche in forma telematica, dovute per somministrazioni, forniture e appalti da parte delle amministrazioni dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
    il decreto ministeriale 25 giugno 2012 (come modificato dal decreto ministeriale 19 ottobre 2012), che ha disciplinato le modalità di certificazione del credito, anche in forma telematica, dovute per somministrazioni, forniture e appalti da parte delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale;
    l'ulteriore decreto ministeriale 25 giugno 2012, che ha disciplinato le modalità con le quali i crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti delle regioni, degli enti locali e degli enti del Servizio sanitario nazionale per somministrazione, forniture e appalti, possono essere compensati con le somme dovute a seguito di iscrizione a ruolo;
    il decreto ministeriale 19 ottobre 2012, che ha disciplinato le modalità di compensazione con le somme iscritte a ruolo anche dei crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, maturati nei confronti dello Stato e degli enti pubblici nazionali;
    il decreto ministeriale 24 settembre 2014 (di concerto con il Ministero dello sviluppo economico), che ha fissato le modalità di compensazione, nell'anno 2014, delle cartelle esattoriali in favore di imprese e professionisti titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili nei confronti della pubblica amministrazione, notificate entro il 31 marzo 2014, qualora la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato (cosiddetta disciplina speciale anno 2014): specificamente, il decreto ministeriale in questione è stato emanato in attuazione dell'articolo 12, comma 7-bis, del decreto-legge n. 145 del 2013, che aveva demandato ad apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, di concerto con il Ministro dello sviluppo economico, la definizione delle «modalità per la compensazione, nell'anno 2014, delle cartelle esattoriali in favore delle imprese titolari di crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili, per somministrazione, forniture, appalti e servizi, anche professionali, maturati nei confronti della pubblica amministrazione» e certificati secondo le modalità previste dai rispettivi decreti ministeriali in materia;
    il decreto ministeriale 13 luglio 2015, con il quale è stato stabilito che le disposizioni previste dal decreto ministeriale del 24 settembre 2014 si applicano, con le medesime modalità, anche per l'anno 2015, con riferimento alle cartelle esattoriali notificate entro il 31 dicembre 2014, sempre qualora la somma iscritta a ruolo sia inferiore o pari al credito vantato (cosiddetta disciplina speciale anno 2015): il decreto del 2015 costituisce attuazione dell'articolo 1, comma 19, della legge n. 190 del 2014 (legge di stabilità 2015) il quale ha previsto che le disposizioni di cui all'articolo 12, comma 7-bis, sopra richiamato, «si applicano anche nell'anno 2015 con le modalità previste nel medesimo comma»;
    con l'articolo 1, comma 129, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, (legge di stabilità 2016) il legislatore ha stabilito, da ultimo, la compensazione, anche per l'anno 2016, dei medesimi crediti e debiti, prevedendo l'adozione di un decreto del Ministro dell'economia e delle finanze, del quale si è in attesa;
    la procedura di compensazione ha ridato, in qualche modo, ossigeno alle imprese, permettendo loro di fruire dei crediti accumulati ma mai utilizzati;
    la legge di stabilità 2016 (articolo 1, commi da 134 a 138, della legge n. 208 del 2015) consente anche ai contribuenti decaduti dal beneficio della rateazione di somme dovute a seguito di accertamenti con adesione di essere riammessi, a specifiche condizioni, al piano originario di dilazione; in particolare, il predetto beneficio spetta ai contribuenti decaduti nei trentasei mesi antecedenti al 15 ottobre 2015, per i quali la riammissione è effettuata al piano di rateazione inizialmente concesso, riguarda il solo versamento delle imposte dirette ed è condizionata alla ripresa, entro il 31 maggio 2016, del versamento della prima rata scaduta;
    la tutela del contribuente deve essere piena e tutte le iniziative necessarie per mitigare gli effetti della congiuntura economica attraversata dal Paese negli anni scorsi devono essere adottate, ma una volta soddisfatta tale primaria esigenza, se permane l'inadempienza, anche l'interesse fiscale deve ricevere adeguata tutela e la riscossione coattiva deve trovare la massima accelerazione in presenza di crediti iscritti a ruolo;
    un corretto rapporto con i cittadini iscritti a ruolo richiede, infatti, di fornire agli stessi tutti i chiarimenti possibili anche sulla notifica degli atti che precedono la fase di iscrizione a ruolo del credito da parte dei vari enti impositori;
    è inoltre necessario assicurare la conoscibilità da parte degli agenti della riscossione dell'esistenza di provvedimenti di autotutela totale o parziale, nonché di provvedimenti giurisdizionali di sospensione o annullamento della pretesa iscritta a ruolo emessi in procedimenti nei quali lo stesso agente non sia parte, al fine di consentire l'immediato blocco delle azioni di riscossione;
    ai fini della notifica degli atti della riscossione di fondamentale importanza risulta il progetto «Anagrafe nazionale della popolazione residente» (Anpr) finalizzato all'integrazione di tutte le basi dati anagrafiche esistenti  alla relativa centralizzazione;
    non tutte le banche dati di interesse per l'attività di recupero coattivo (che viene avviata dopo la notifica dei suddetti atti, qualora il debitore non paghi neppure in forma rateale le somme dovute) sono disponibili per accessi mirati e massivi da parte degli agenti della riscossione;
   in particolare, allo scopo di consentire che, nel superiore interesse della riscossione, siano intraprese azioni di recupero puntuali ed efficaci, sarebbe importante accordare alle società del Gruppo Equitalia la piena fruibilità di informazioni aggiornate sui rapporti di lavoro dipendente e pensionistici;

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per apportare alla disciplina in materia di riscossione, anche attraverso i decreti integrativi e correttivi previsti dall'articolo 1, comma 8, della legge n. 23 del 2014, recante delega per la riforma del sistema fiscale, modifiche volte:
    a) a prevedere che i contribuenti decaduti, alla data di entrata in vigore della nuova norma, dai piani di rateizzazione concessi, ai sensi dell'articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, in data precedente o successiva a quella di entrata in vigore del decreto legislativo n. 159 del 2015, possano ottenere, a semplice richiesta, da presentare entro 60 giorni dalla stessa data, la concessione di un nuovo piano di rateizzazione ai sensi dello stesso articolo 19, senza necessità di pagare le rate scadute;
    b) a prevedere che le disposizioni di cui all'articolo 19, comma 3, lettera c), del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973 si applichino anche ai piani di dilazione concessi ai sensi dello stesso articolo 19 del decreto del Presidente della Repubblica n. 602, in data antecedente all'entrata in vigore del decreto legislativo n. 159 del 2015, per i quali, alla data di entrata in vigore della nuova norma, non si sia già verificata la decadenza, saldando, contestualmente alla presentazione di una richiesta apposita, tutte le rate precedentemente scadute;
    c) a prevedere che i contribuenti decaduti dai piani di rateazione in data successiva al 15 ottobre 2015, nelle ipotesi di definizione degli accertamenti di cui al decreto legislativo 19 giugno 1997, n. 218, o di omessa impugnazione degli stessi, alla data di entrata in vigore della nuova norma possano ottenere, a semplice richiesta, da presentare entro 60 giorni dalla stessa data, la concessione di un nuovo piano di rateizzazione, senza necessità di pagare le rate scadute;
    d) a sostituire il primo periodo del comma 1 dell'articolo 28-quater del decreto del Presidente della Repubblica n. 602 del 1973, con il seguente: «I crediti non prescritti, certi, liquidi ed esigibili per somministrazione, forniture, appalti e servizi, anche professionali, maturati nei confronti delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, per somministrazione, forniture e appalti, possono essere compensati con le somme, di qualunque importo, dovute a seguito di iscrizione a ruolo, indipendentemente dalla data in cui è avvenuta la notifica della cartella di pagamento».;
    e) a prevedere l'obbligo per gli enti impositori di fornire, in fase di affidamento del carico agli agenti della riscossione, dati che permettano agli stessi di verificare che il credito iscritto a ruolo non sia prescritto e quindi pienamente esigibile, prima di porre la pretesa in riscossione, nonché elementi idonei a fornire al debitore un'adeguata motivazione della richiesta di pagamento;
    f) a individuare meccanismi idonei ad assicurare la conoscibilità, da parte degli agenti della riscossione, dell'esistenza di provvedimenti di autotutela totale o parziale, nonché di provvedimenti giurisdizionali di sospensione o annullamento della pretesa iscritta a ruolo emessi in procedimenti nei quali lo stesso agente non sia parte, al fine di consentire l'immediato blocco delle azioni di riscossione;
    g) ad agevolare le modalità di accesso da parte di Equitalia alle banche dati dell'Istituto nazionale della previdenza sociale riguardanti i rapporti di lavoro dipendente e pensionistici;
   a verificare lo stato di attuazione del progetto «Anagrafe nazionale della popolazione residente» (ANPR), assumendo le necessarie iniziative di impulso affinché lo stesso venga portato a termine nel minor tempo possibile, al fine di semplificare l'attività di notifica degli atti della riscossione.
(7-00976) «Pelillo, Bernardo, Barbanti».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    le disposizioni del cosiddetto, «collegato ambientale» (legge n. 221 del 2015), recante «Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell'uso eccessivo di risorse naturali», entrate in vigore il 2 febbraio 2016, prevedono, tra l'altro, in particolare all'articolo 40, il divieto di abbandono dei rifiuti di prodotti da fumo e di altri rifiuti di piccolissime dimensioni (scontrini, fazzoletti di carta, gomme da masticare) nel suolo, nelle acque e negli scarichi, oltre ad apposite sanzioni pecuniarie in caso di inosservanza, che vanno da 30 a 150 euro per l'abbandono di piccoli rifiuti e, se lo stesso riguarda i prodotti da fumo, un aumento della sanzione fino al doppio;
    più specificatamente l'articolo 40 prevede l'introduzione di due norme nel codice ambientale (di cui al decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 256), ovvero l'articolo 232-bis e l'articolo 232-ter, che dispongono l'obbligo per i comuni di installare per le strade, nei parchi e nei luoghi di alta aggregazione sociale, appositi raccoglitori per la raccolta dei mozziconi di prodotti da fumo, mentre i produttori dovranno attuare, in collaborazione con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, apposite campagne di informazione dirette a sensibilizzare i consumatori sulle conseguenze dannose per l'ambiente derivanti dall'abbandono dei mozziconi dei prodotti da fumo;
    viene altresì prevista l'istituzione di un apposito fondo presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al quale viene assegnato il 50 per cento delle risorse provenienti dall'applicazione delle sanzioni amministrative, mentre il restante 50 per cento delle risorse è destinato ai comuni in cui sono accertate le violazioni;
    i dati relativi allo smaltimento dei rifiuti di piccole dimensioni sono sconcertanti: secondo l'Aduc (Associazione per i diritti degli utenti e consumatori) in Italia rimuovere una gomma da masticare dall'asfalto costa 1 euro e il tempo dell'operazione è pari a 2 minuti, mentre uno studio condotto da Enea e Ausl di Bologna ha messo in evidenza il potenziale inquinante delle cicche sul territorio italiano. In particolare, la valutazione si basa sul numero di fumatori (13 milioni), il numero medio di sigarette fumate da ciascuno (15 al giorno), i quantitativi di alcuni agenti chimici presenti in ogni cicca e il numero di cicche immesse in ambiente ogni anno (672 miliardi di cicche all'anno). Tenuto contro del potere filtrante dell'acetato di cellulosa (di cui è composto il filtro) la ricerca ha stimato che il carico nocivo immesso nell'ambiente è pari a 324 tonnellate di nicotina, 1.872 milioni di becquerel (l'unità di misura delle sostanze radioattive) di polonio -210, 1800 tonnellate di composti organici volatili, 21.6 tonnellate di gas tossici, 1.440 tonnellate di catrame e 12.240 tonnellate di acetato di cellulosa. Secondo uno studio americano, inoltre, condotto dal Ncbi (National Center for Biotechnology Information) la fibra sintetica di cui il filtro è composto non è biodegradabile, ma solo in grado di disfarsi in polvere fine in tempi molto lunghi, di circa 10-15 anni, al termine dei quali, comunque, permane sempre un residuo sintetico che si diffonde nel suolo e nelle acque semplicemente «diluendosi» nell'ambiente senza però mai svanire;
    alla luce di quanto sopra esposto, seppur risulti condivisibile l'intenzione del legislatore che, attraverso l'articolo 40, sulla scorta anche di quanto avviene già in altre realtà europee (come a Parigi dove, dal 1o ottobre 2015, è prevista una sanzione di 69 euro, rispetto ai precedenti 35 euro, per l'abbandono di rifiuti di piccolissime dimensioni), intende arginare e contrastare comportamenti ed atteggiamenti incivili, che recano danno non soltanto all'ambiente ma anche alla salute dei cittadini, emergono però alcune criticità: i proventi delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al nuovo articolo 263, comma 2-bis, appaiono infatti insufficienti per l'adozione di un sistema comunque ben articolato in ciascun comune, per cui il compito affidato ai comuni di procedere a tale raccolta separata e alla realizzazione delle campagne di sensibilizzazione risulta pressoché inattuabile;

impegna il Governo:

   a valutare la possibilità di monitorare gli effetti applicativi delle disposizioni sopra citate, anche ai fini dell'adozione di ulteriori iniziative normative dirette a:
    a) dotare il fondo di cui al nuovo comma 2-bis dell'articolo 263 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, di ulteriori risorse rispetto a quelle provenienti dagli introiti delle sanzioni amministrative pecuniarie, eventualmente anche mediante un aumento delle aliquote di base dell'accisa sul consumo dei tabacchi lavorati previste dall'allegato I annesso al testo unico delle disposizioni legislative concernenti le imposte sulla produzione e sui consumi e relative sanzioni penali e amministrative, di cui al decreto legislativo 26 ottobre 1995, n. 504, e successive modificazioni;
    b) predisporre una relazione annuale da inviare alle commissioni parlamentari competenti per materia sull'efficacia delle norme per la prevenzione dei mozziconi dei prodotti di fumo, con particolare riferimento all'attività di accertamento svolta sull'intero territorio nazionale e ai relativi introiti;
    c) predisporre linee guida, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, per l'adozione di best practices a livello nazionale per la raccolta dei mozziconi di prodotti da fumo con l'indicazione dei criteri e delle modalità di adozione, secondo principi di unitarietà, compiutezza e coordinamento, delle norme tecniche per tali specifiche tipologie di rifiuti ai sensi dell'articolo 195, comma 2, lettera a), del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
    d) prevedere l'istituzione, senza nuovi oneri per la finanza pubblica, di un sistema consortile, che comprenda in primis i produttori e gli importatori di prodotti da fumo, che partecipino pro quota, attraverso il pagamento di un «contributo ambientale», nel rispetto del principio comunitario della responsabilità estesa del produttore;
    e) in via subordinata agli impegni di cui sopra, ad assicurare la progressiva riduzione della commercializzazione e della distribuzione di sigarette, sigari e prodotti affini dotati di filtri non biodegradabili, utilizzando in sostituzione di essi fibre naturali e biodegradabili.
(7-00975) «Terzoni, Businarolo, Spessotto, Crippa, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Zolezzi, Vignaroli».


   La VIII Commissione,
   premesso che:
    nella provincia di Brescia persiste da anni un'emergenza sanitaria ed ambientale dovuta ad un'elevata concentrazione di inquinanti;
    secondo l'Osservatorio epidemiologico dell'Asl di Brescia, nella provincia i tumori sono la prima causa di mortalità, pari al 34 per cento dei decessi complessivi;
    su tutti i 12 distretti sanitari (esclusa la Valcamonica), lo studio mostra come, a livello provinciale, il distretto sanitario di Monte Orfano, che comprende una buona fetta di Franciacorta (da Adro ad Erbusco e da Palazzolo a Pontoglio) registra un più 4,7 per cento, per tutti i tumori, un eccesso del 4,5 per cento anche per i distretti di Brescia Ovest (da Castegnato a Castelmella, da Rodengo Saiano ad Ospitaletto) e per quello di Brescia città;
    in provincia di Brescia si susseguono iniziative informative promosse dal tavolo di lavoro «Basta veleni» che vede l'adesione di innumerevoli associazioni, gruppi e comitati di tutta la provincia bresciana impegnati nella tutela dell'ambiente e della salute pubblica;
    come anche riportato in diversi atti depositati dai parlamentari del M5S, la provincia di Brescia risulta essere la più inquinata d'Europa, tanto da essere passata alla cronaca come la terra dei fuochi del nord;
    si rileva come questi inquinanti si collocano nei confini di una provincia in cui si trovano numerosi fattori di pregio ambientale tutelati anche dalla normativa nazionale come laghi, monti, ghiacciai e diverse zone di pregio, una tra tutte la Franciacorta;
    a solo titolo esemplificativo si riportano alcuni dati relativi al territorio in questione, tratti da un documento inviato alle istituzioni dal sopracitato tavolo basta veleni;
    in provincia di Brescia fino al 2005 si contavano tra discariche cessate (109) e discariche ancora attive (30); sono stati interrati complessivamente circa 35 milioni di metri cubi di rifiuti speciali, pericolosi e non, e «inerti» (censimento provincia di Brescia aggiornato a fine 2005);
    a questi vanno aggiunte le discariche «fantasma», quelle non censite perché gestite precedentemente alla normativa sui rifiuti speciali del 10 settembre 1982 che sulle base delle produzioni storiche del settore metallurgico e chimico, si possono stimare in almeno circa 5 milioni di metri cubi. Sono le discariche «abusive» che riemergono quando si costruisce ad esempio la BreBeMi o la Tav;
    poi vi è l'enorme quantità di terreno inquinato da PCB e diossine del sito Caffaro, di fatto rifiuto speciale ad oggi da collocare in discarica, pari a circa 7 milioni e 900 mila metri cubi. Del caso Caffaro parleremo più precisamente in seguito;
    infine, i rifiuti speciali collocati in discarica dal 2006 ad oggi, che, secondo dati dell'Ispra (aggiornati al 2013, da cui si può ricavare il trend anche per gli ultimi due anni) ammontano a circa 10 milioni e 900 mila metri cubi. Tirate le somme, ecco il cumulo immenso di rifiuti speciali che sono stati sversati sul territorio bresciano: 58.705.500 milioni di metri cubi;
    nel biennio 2012-2013 (dati Ispra), la maggior parte dei rifiuti speciali della regione Lombardia sono stati interrati nella provincia di Brescia, 1.638.298 t/a su 2.251.413 t/a lombardi nel 2012 e 1.809.068 t/a su 2.500.226 t/a lombardi nel 2013, mediamente il 72,5 per cento;
    l'indice di pressione sempre per questi ultimi due anni, in termini di rifiuti speciali mediamente interrati per km quadrati, per la provincia di Brescia è stato pari a 363 tonnellate/anno per chilometro quadrato, circa 10 volte quello del resto della regione Lombardia (34 t/a) e quello dell'intero Paese (38 t/a). Ovviamente, ciò accade perché in provincia di Brescia si importano rifiuti speciali nell'ordine di milioni di tonnellate all'anno;
    la provincia bresciana ospita i più importanti impianti e discariche;
    tutto l'amianto della Lombardia, e non solo, sta arrivando a Brescia nell'unica grande discarica lombarda attiva;
    Brescia, inoltre, è gravata da ben 4 discariche di rifiuti radioattivi, di cui una sola messa in sicurezza;
    praticamente il bresciano è il capolinea di quasi tutti i rifiuti speciali lombardi e dunque di gran parte di quelli nazionali. Possiamo dire che Brescia è la grande discarica nazionale;
    gravemente compromessa risulta in particolare la fascia dell'alta pianura che va dalla Franciacorta, passa per Brescia e giunge a Montichiari;
    va anche detto che il resto del territorio bresciano non è certamente un paradiso ed è attraversato da diverse emergenze ambientali, sia a nord (abbandono della montagna, dissesto idrogeologico, criticità dei laghi prealpini, ex Selca di Forno d'Allione, centrali a biomasse), che a sud (agricoltura intensiva e dipendente dalla chimica, stoccaggi e trivellazioni per gli idrocarburi in un sottosuolo a rischio sismico). Ciò che preme evidenziare è che in questo quadrilatero pedemontano l'indice di pressione ambientale ha superato la capacità di carico, anche perché si dovrebbe considerare il cumularsi di tanti altri fattori;
    oltre ai rifiuti di cui si è già detto, innanzitutto il groviglio di infrastrutture: autostrade A4 Milano-Venezia e A35 BreBeMi; tangenziali Brescia sud-ovest e «corda molle»; superstrade Concesio-Iseo, Brescia-Desenzano, Brescia-Salò; ferrovia Milano-Venezia, cui si sta affiancando un'inutile Tav, che determinerà consumo di suoli agricoli pregiati, l'apertura di nuove cave e di nuove discariche; aeroporto militare di Ghedi e aeroporto civile di Montichiari praticamente inutilizzato per i passeggeri;
    devastante il consumo di suolo a causa di una cementificazione che, su quest'asse ovest-est, rappresenta un importante segmento della megalopoli padana, con edificazioni senza soluzione di continuità sviluppatesi soprattutto negli ultimi decenni, prima della crisi edilizia;
    il sito inquinato di interesse nazionale «Brescia-Caffaro», con livelli di diossine e PCB nei terreni per milioni di metri quadrati senza riscontri in altre parti d'Italia, che coinvolge circa 25.000 abitanti di Brescia e che attende da 14 anni un piano generale di bonifica;
    infine, la concentrazione di numerosissime cave che rende quest'area una delle più «generose» a livello nazionale (Ispra 2015), per cui, il piano, scaduto ma prorogato, per il decennio dal 25 gennaio 2005 al 25 gennaio 2015, prevede l'escavazione di ben 70 milioni di metri cubi di ghiaia, di cui utilizzati «soli» circa 30 milioni, a causa delle crisi edilizia;
    al centro, l'area è attraversata da nord a sud da uno dei fiumi più inquinati d'Europa, il Mella, che in questo tratto di norma presenta una qualità dell'acqua classificata da Arpa «pessima» e che attende da decenni di essere risanato, dismettendo l'attuale sua funzione di grande collettore fognario degli scarichi civili e industriali della ricca Val Trompia, tutt'ora priva di un depuratore;
    sempre in zona centrale, l'Arpa ha recentemente pubblicato i dati sul pesantissimo inquinamento della falda, da cromo esavalente, solventi clorurati (tetracloruro di carbonio, tricolorometano, di-tri-tetracloroetilene...), e persino mercurio e PCB, tutte sostanze altamente tossiche e cancerogene, presenti in concentrazione anche di migliaia di volte oltre i limiti;
    l'Ispra ha certificato anche un inquinamento delle acque superficiali e di falda da pesticidi;
    infine, periodicamente si ripropone in alcune aree agricole intensive il problema di un eccesso di nitrati in falda, per cui l'acqua, per essere potabile, deve essere trattata;
    è ormai acclarato da studi internazionali, nazionali e locali che Brescia soffre di «mal d'aria», ma lo è ancora di più dalla nostra percezione, poiché l'aria è quell'elemento con cui siamo a contatto in modo costante e continuativo, respirando ogni pochi secondi. L'aria è quell'elemento che ci dà la vita oppure ce la toglie, ed il respiro rappresenta simbolicamente la vita stessa;
    Brescia è immersa in quel catino di aria sporca che è la Lombardia, dove l'aria non circola e tutto vi ristagna dentro. Il nostro territorio è armato di bocche di fuoco potentissime che sparano in aria milioni di metri cubi all'ora di sostanze nocive. Considerando solo i tre più grandi siti nel perimetro della città, le due acciaierie ed il più grande inceneritore d'Europa, si registra che dai loro camini possono uscire fino 3,5 milioni di metri cubi di fumi in un'ora;
    a questo si devono aggiungere i camini della storica fabbrica metalmeccanica e di tante altre fonderie di medie e piccole dimensioni;
    basti pensare che in tutta la provincia vi sono circa 200 autorizzazioni integrate ambientali per forni fusori, e che le 10 acciaierie attive con una media di circa 1 milione di metri cubi/h, possono immettere in aria circa 240 milioni di metri cubi al giorno, che generano continui accumuli nei terreni e risollevamenti di polveri;
    a ridosso della città (nei comuni di Rezzato e Mazzano) insiste un cementificio di grande portata ultimamente potenziato;
    nel panorama della provincia si contano grandi aziende metallurgiche da rottami a Chiari, Ospitaletto, Rodengo, Castel Mella, Maclodio, Brescia, Montirone, Lonato, Calvisano, Travagliato, Torbole Casaglia;
    il traffico veicolare con le grandi arterie autostradali e le tangenziali incrementa di molto le emissioni (51 per cento di NOx – Inemar 2012) e, nonostante ciò, ancora si vuol costruirne un'altra in Val Trompia, anziché puntare sulla ferrovia;
    com’è evidente in quest'area del Bresciano è stato già abbondantemente superato il limite di carico ambientale (come dichiarato dall'Asl bresciana in una relazione relativa alla mancata autorizzazione della discarica «Bosco Stella» di Categnato e altre), e la vera opera di cui necessiterebbe questo territorio è una profonda azione di bonifica e di recupero ambientale, non certo nuove discariche e nuove emissioni inquinanti;
    l'Asl di Brescia (ora Ats) ha relazionato quanto segue:
    in riferimento alla discarica Castella: «L'impatto complessivo determinato dalle attività in essere impone di evitare effetti negativi aggiuntivi sulla salute della popolazione residente. Quindi [...] si ritiene che l'impatto cumulativo degli impianti esistenti non consenta ulteriori aggravi, anche se modesti, di inquinamento ambientale con pregiudizio sulla salute» (Bosco Stella);
    «al contrario rappresenta una criticità che, per la diffusione che la caratterizza, abbisogna dell'assunzione di provvedimenti e di scelte di programmazione territoriale che concorrano alla riduzione degli impatti ambientali aventi ricadute immediate sulla salute umana [...]»;
    l'impatto complessivo determinato dalle attività in essere impone di evitare effetti negativi aggiuntivi sulla salute della popolazione residente. I dati di morbilità per malattie respiratorie non tumorali, non consentono un ulteriore aggravio dell'inquinamento ambientale, che deriverebbe dall'aggiunta di un ulteriore impianto a quelli esistenti, con un peggioramento dell'impatto cumulativo e pregiudizio sulla salute»;
    in riferimento alla discarica, Padana Greeen è stato affermato: «la pressione ambientale esercitata da diversi fattori che coesistono nell'area rappresenta motivo di pregiudizio per la qualità della vita degli abitanti, interferendo sul legittimo diritto di uso degli spazi aperti e condizionando lo stato di benessere psicofisico. La realizzazione del progetto comporterebbe un aggravio ulteriore della pressione ambientale, non sostenibile per la salute pubblica»;
    dunque siamo in una situazione di gravissima emergenza che richiede misure straordinarie, come e più di quanto si sta facendo nella Terra dei fuochi, dove il presidio anche militare del territorio sembra sia riuscito a bloccare ogni ulteriore sversamento di rifiuti e dove le istituzioni, sollecitate dalla rivolta popolare del novembre 2013, stanno operando, finalmente, con adeguate risorse economiche per monitorare il territorio e predisporre le necessarie opere di messa in sicurezza e di bonifica;
    il «Tavolo basta veleni» avanza pertanto le seguenti proposte: le istituzioni siano chiamate a mettere in campo strumenti adeguati ad affrontare una simile situazione che non tollera ulteriori compromissioni del territorio. Questi provvedimenti straordinari di emergenza si traducano in una generale moratoria di ogni nuova autorizzazione per l'avvio di attività di discariche e smaltimento di rifiuti e non si rilasci alcuna ulteriore autorizzazione per impianti che generino nuove emissioni (gassificatori, centraline a «biogas» o «biomasse, inceneritori...), mirando al ridimensionamento finalizzato alla chiusura delle fonti emissive troppo impattanti per il territorio in cui sono collocate;
    è necessaria una seria politica di diminuzione delle emissioni complessive a partire dal censimento di quanto autorizzato ora e dal blocco di nuove autorizzazioni e introducendo norme (indice di pressione aria) in grado di programmarne una sempre maggiore riduzione;
   si ritiene indispensabile, infatti, introdurre, oltre ai limiti delle concentrazioni di inquinanti per metri cubi, una soglia massima ai flussi di massa in uscita dai camini per un dato territorio. Tali limiti dovranno essere nel tempo soggetti a costanti riduzioni, attraverso norme stringenti e monitorati dal piano di risanamento della qualità dell'aria (Pria);
    con la deliberazione della giunta regionale della Lombardia n. X/1990 del 20 giugno 2014, è stato approvato il programma regionale di gestione dei rifiuti, che ha introdotto e regolamentato il «fattore di pressione per le discariche» e ne ha disciplinato il relativo regime transitorio articolo 14-bis delle Norme tecniche di attuazione, con relativi richiami); il fattore di pressione delle discariche è finalizzato ad impedire la realizzazione di impianti di rifiuti nelle aree in cui questi risultano già presenti, con elevata concentrazione e che quindi determinano un rilevante impatto negativo sull'ambiente circostante; pertanto, al ricorrere di un determinato indice-stabilito transitoriamente in 160.000 mc/Kmq, ovvero non più di 160.000 metri cubi di rifiuti già collocati in discarica per ogni chilometro quadrato (paragrafo 14.6.3 dell'appendice 1 alle Norme tecniche di attuazione) – non è possibile autorizzare la realizzazione di nuovi impianti, l'aumento di quelli già esistenti e la modifica ad una tipologia di discarica di categoria superiore (paragrafo 14.6.3 dell'appendice 1 alle, Norme tecniche di attuazione);
    nella sentenza sopra richiamata n. 00108/2016 del tribunale amministrativo regionale della Lombardia, depositata in data 15 gennaio 2016, che accoglie il ricorso per motivi aggiunti con cui veniva impugnato l'atto del dirigente del settore ambiente – ufficio rifiuti della provincia di Brescia n. 6848 del 12 novembre 2014, si legge:
     «L'articolo 195, comma 1, lettera p), del citato decreto legislativo n. 152 stabilisce che «spetta allo Stato (...) l'indicazione dei criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti». (...) La normativa in precedenza richiamata attribuisce esplicitamente allo Stato la potestà, esclusiva, di individuare i criteri generali relativi alle caratteristiche delle aree non idonee alla localizzazione degli impianti di smaltimento dei rifiuti; soltanto all'esito di una tale fase preliminare, le regioni possono definire a loro volta i criteri per l'individuazione, da parte delle province, delle aree non idonee alla localizzazione dei predetti impianti; Siffatta conclusione, avallata dal chiaro tenore letterale della normativa statale già citata, trova il suo fondamento nella competenza statale, esclusiva, in materia di tutela dall'ambiente e, concorrente, in materia di governo del territorio, come stabilito dall'articolo 117, secondo e terzo comma, della Costituzione. Ciò trova conferma nella giurisprudenza costituzionale, secondo la quale: « a) i rifiuti rientrano nella competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell'ambiente (da ultimo sentenza n. 10 del 2009; vedi, anche, sentenze nn. 277 e 62 del 2008) e, conseguentemente, non può riconoscersi una competenza regionale in materia di tutela dell'ambiente (vedi sentenze nn. 10 del 2009, 149 del 2008 e 378 del 2007)»;
    ed inoltre è affermato che da ciò discende che soltanto lo Stato può e deve individuare gli standard di tutela in maniera omogenea su tutto il territorio nazionale e nemmeno in attesa dell'intervento statale può ammettersi un potere regionale sostitutivo – seppure di tipo cedevole e finalizzato a garantire una maggiore tutela per l'ambiente – che stabilisca dei criteri che vanno a modificare quanto disposto fino a quel momento dalla normativa statale vigente. (...) Attualmente, non si rinviene nella normativa statale la presenza di un criterio che consenta alle regioni di introdurre un limite di localizzazione delle discariche, legato alla saturazione del territorio, come il Fattore di Pressione; difatti anche le previsioni contenute nel decreto legislativo n. 36 del 2003, e in particolare nell'Allegato 1, punti 1.1 e 2.1 (...) non individuano nessun criterio assimilabile, anzi, nelle stesse, si chiarisce che «nell'individuazione dei siti di ubicazione [delle discariche] sono da privilegiare le aree degradate da risanare e/o da ripristinare sotto il profilo paesaggistico»;
    secondo il rapporto «Sentieri» dell'Istituto superiore di sanità e dell'Airtum (Associazione italiana registro tumori), vi sarebbe una correlazione diretta tra PCB, diossine, i veleni dell'industria chimica «Caffaro» che hanno devastato il territorio e l'aumento delle neoplasie nella città di Brescia;
    sempre, nello stesso articolo l'epidemiologo Paolo Ricci, responsabile dell'osservatorio, dopo aver firmato insieme ad altri ricercatori il terzo rapporto dello studio Sentieri ha chiesto le dimissioni dei vertici Asl di Brescia per aver negato le conseguenze sanitarie dell'inquinamento da diossine;
    l'Istituto superiore di sanità precisa che lo stabilimento «Caffaro» di Brescia, nel quale sono stati prodotti policlorobifenili (PCB) dalla fine degli anni trenta al 1984, ha riversato per decenni i rifiuti della lavorazione in un corso d'acqua comunicante con la rete delle rogge, che ha a sua volta contaminato suoli agricoli e catena alimentare: i gruppi di popolazione caratterizzati dai più elevati livelli ematici di PCB sono stati riscontrati fra gli ex lavoratori della «Caffaro» e fra i consumatori di alimenti contaminati;
    l'esposizione professionale a PCB nelle aziende metallurgiche di Brescia e della provincia contribuisce all'innalzamento dei livelli ematici di PCB, in particolare dei fonditori, degli addetti alle colate e dei manutentori;
    è recente la pubblicazione, da parte di un gruppo di lavoro della IARC-International Agency for Research on Cancer, sulla valutazione della cancerogenicità dei PCB, in base alla quale questi agenti sono allocati alla categoria «cancerogeni per l'uomo», e si individua un nesso causale con i melanomi cutanei (evidenza sufficiente), i linfomi non Hodgkin e il tumore della mammella (evidenza limitata);
    nel contesto di Brescia, come mostrato dai risultati dello studio Sentieri, sviluppato dall'Istituto superiore di sanità, si rileva che:
     a) per il melanoma, si osservano eccessi nella popolazione maschile (incidenza e ricoveri ospedalieri) e femminile (incidenza e ricoveri ospedalieri); la mortalità è compatibile con l'attesa;
     b) per il tumore della mammella, si osservano eccessi di incidenza e ricoveri ospedalieri e mortalità compatibile con l'attesa;
     c) per i linfomi non Hodgkin, si osservano eccessi di incidenza (in particolare nelle donne) e di ricoveri ospedalieri; mortalità compatibile con l'attesa;
    la coerenza di fondo tra le indicazioni fornite dai dati di incidenza e di ospedalizzazione e, in misura minore, dai dati di mortalità, corrobora l'ipotesi di un contributo dell'esposizione a PCB all'eziologia di queste patologie nella popolazione di Brescia;
    a questo proposito, una recente rassegna della letteratura scientifica ha mostrato come i livelli ematici di tossicità equivalente, relativi a diossine e altri composti diossino-simili, tra cui i PCB, riscontrati nella popolazione generale residente a Brescia, siano fra i più elevati osservati a livello internazionale;
    questi elementi giustificano sia il perseguimento di un insieme di obiettivi attinenti al risanamento ambientale, in corso di attuazione, sia il potenziamento dei programmi di sorveglianza epidemiologica e di monitoraggio, anche biologico, che vedono già impegnate le aziende sanitarie locali territorialmente competenti e il registro tumori, in collaborazione con l'Istituto superiore di sanità;
    questo insieme di studi appare appropriato anche in relazione alla messa a punto di un piano di comunicazione a beneficio della popolazione interessata;
    verso la fine del 2013, l'Asl pubblica una guida al cittadino sul «caso Caffaro», riportante macroscopiche lacune, denunciate dai comitati ambientalisti locali e da Medicina Democratica nazionale. La più grave è, per i firmatari del presente atto di indirizzo, la totale ignoranza dell'inquinamento dei suoli e della contaminazione umana da diossine, che si registra nel «caso Caffaro» a livelli senza riscontri nella letteratura scientifica internazionale, e che appare chiaramente più grave dell'inquinamento da PCB;
    la guida del 2015 si occupa, come la precedente, solo di PCB, anche se non può occultare ciò che risulta evidente dalle mappe dell'inquinamento pubblicate a pagina 24 per i PCB e a pagina 26 per le diossine: il superamento dei limiti per queste ultime risulta di gran lunga più importante che per i PCB. Ciononostante, non si dice nulla sulla tossicità e cancerogenicità delle diossine e non vengono riportati i dati sulla contaminazione da diossine del sangue dei bresciani;
    a Brescia, nella vasta zona della città inquinata dalla Caffaro, circa 7-9 milioni di metri quadrati, vigeva dal 2002 un'ordinanza emergenziale, rinnovata ogni sei mesi, che interdiva qualsivoglia uso di detti terreni (agricolo, ricreativo e altro). Una ordinanza del 2013, modificando sostanzialmente la precedente, introduceva una nuova classe di parchi «con livelli di inquinamento medio», inventando una classe di inquinamento non prevista da alcuna normativa per siti ad uso verde pubblico, mantenendo l'interdizione a qualsiasi uso solo per i parchi in cui gli inquinanti superassero le concentrazioni di soglia di contaminazione per i siti ad uso industriale. Questo livello di inquinamento medio (da 10 a 80 volte superiore alla concentrazioni di soglia di contaminazione) era ritenuto accettabile se i parchi «ad uso verde pubblico e privato» fossero «inerbiti»;
    il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con lettera pervenuta al protocollo del comune di Brescia in data 27 novembre 2013, evidenziava quanto già sottolineato dal gruppo m5s in consiglio comunale e da numerosi comitati ambientalisti, in merito all'improprio utilizzo della Tabella B), allegato 5, al Titolo V del decreto legislativo n. 156 del 2006 che fa riferimento ai limiti di concentrazione di soglia di contaminazione (CSC) delle zone industriali, invece che la tabella A) del citato decreto legislativo che concerne i siti ad uso verde pubblico, privato e residenziale;
    la lettera citata, dopo avere evidenziato che «le limitazioni d'uso individuate nella predetta ordinanza riguardano giardini pubblici e privati» e non zone industriali, «invita» il comune «a rivalutarne i contenuti ai sensi della normativa vigente»;
    nonostante queste raccomandazioni il comune di Brescia non ha provveduto alla revisione dell'ordinanza;
    con decreto del 24 febbraio 2003, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha provveduto alla perimetrazione del sito di interesse nazionale di Brescia Caffaro, individuando le aree da sottoporre ad interventi di caratterizzazione, di messa in sicurezza d'emergenza, bonifica, ripristino ambientale e attività di monitoraggio, precisando che tale perimetrazione non esclude l'obbligo di bonifica rispetto ad eventuali, ulteriori aree che dovessero risultare inquinate o che attualmente, sulla base delle indicazioni degli enti locali, non sono state individuate con lo stesso decreto;
    il decreto ministeriale precisa inoltre che la perimetrazione potrà essere modificata con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nel caso in cui dovessero emergere altre aree con una possibile situazione di inquinamento, tale da rendete necessari ulteriori accertamenti analitici e/o interventi di bonifica;
    è notizia delle scorse settimane che, dopo un tentativo del 2014 non andato a buon fine, il comune di Brescia avrebbe chiesto alla regione Lombardia, la promozione di iniziative finalizzate a riperimetrare il SIN Caffaro, limitandolo ad un'area pari a 20 ha declassificandolo a sito di interesse regionale (SIR), nonostante gli approfondimenti scientifici condotti in questi anni abbiano a più riprese evidenziato la necessità di estendere le aree da sottoporre a bonifica in quanto le aree ormai coinvolte si estendono per almeno 700 ha;
    la legge di stabilità 2014 (legge 27 dicembre 2013 n. 147), rispetto al processo di programmazione dei fondi 2014-2020, ha determinato la dotazione aggiuntiva del fondo per lo sviluppo e la coesione (FSC) che sarà destinato, in quota parte, al «finanziamento degli interventi di messa in sicurezza del territorio, di bonifica di siti di interesse nazionale e di altri interventi in materia di politiche ambientali». In attuazione di detta previsione normativa, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha provveduto ad elaborare, in raccordo con le regioni interessate, un quadro programmatico puntuale degli interventi e dei relativi fabbisogni finanziari per i settori di propria competenza, tra i quali la tematica delle bonifiche in area Sin;
    per quanto attiene al Sin di «Brescia Caffaro», la regione Lombardia, nel corso dell'anno 2014, ha segnalato un fabbisogno di 50 milioni di euro, poi rideterminato nel 2015 dalla medesima in 40 milioni di euro, da destinare alla prosecuzione degli interventi, di messa in sicurezza delle rogge, peraltro in corso di realizzazione e già disciplinato nell'accordo di programma del 29 settembre 2009. Limitatamente a questo intervento, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto ai competenti uffici della Presidenza del Consiglio dei ministri l'assegnazione delle risorse occorrenti per l'ultimazione della bonifica e attualmente è in corso l'istruttoria;
    come è noto, al fine di coordinare, accelerare e promuovere la progettazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica nel sito contaminato di interesse nazionale «Brescia-Caffaro», è stata prevista la nomina di apposito Commissario straordinario delegato ai sensi dell'articolo 4-ter, comma 2, del decreto-legge n. 145 del 2013 (convertito dalla legge n. 9 del 2014), e dell'articolo 20 del decreto-legge n. 185 del 2008 (convertito dalla legge n. 2 del 2009);
    per il Sin di Brescia è stato nominato il 17 giugno 2016 il dottor Roberto Moreni e allo stesso sono stati attributi i poteri necessari per la cura delle fasi progettuali, la predisposizione dei bandi di gara, l'aggiudicazione dei servizi e dei lavori, le procedure per la realizzazione degli interventi, la direzione dei lavori, la relativa contabilità e il collaudo, nonché la promozione delle opportune intese tra i soggetti pubblici e privati interessati;
    per il Sin Taranto e la Terra dei fuochi sono recentemente stati stanziati rispettivamente 800 e 300 milioni di euro di finanziamenti dallo Stato per la bonifica, a differenza del SIN Caffaro che ha ricevuto solo 13 milioni di euro a fronte di un disastro ambientale decisamente superiore come sopra descritto;
    ad oggi, i fondi previsti risultano secondo i firmatari del presente atto pertanto insufficienti e la figura individuata per svolgere il ruolo commissariale, inadeguata e inefficace;
    il decreto legislativo n. 152 del 2006 ha modificato un unico parametro delle CSC degli inquinanti dei siti da bonificare, i PCB totali, alzandolo di ben 60 volte. Originariamente pari a 0,001 mg/kg, le CSC dei PCB sono attualmente fissate a mg/kg 0,060;
    è utile ribadire che la Iarc dell'Oms nel 2013 ha rivalutato la cancerogenicità dei PCB dalla classe 2A, «probabilmente cancerogeni per l'uomo», alla classe 1, «cancerogeni certi per l'uomo» e pertanto è necessario elevare le CSC per i PCB, riportandole al limite ante decreto legislativo n. 152 del 2006,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per istituire una moratoria per quanto riguarda l'autorizzazione di discariche e fonti emissive in acqua, suolo ed aria in particolare, in territori con un elevato fattore di pressione ambientale come quello della provincia di Brescia;
   a promuovere ogni iniziativa di competenza utile, anche d'intesa con la regione Lombardia, al fine di individuare apposite risorse finanziare da destinare alla bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale per sensibilizzare la collettività rispetto ai problemi ambientali e sanitari e, in particolare, rispetto alle problematiche connesse all'inquinamento e al consumo del suolo;
   ad assumere, nel breve termine, ogni iniziativa normativa necessaria al fine di individuare un criterio che consenta di introdurre un limite di localizzazione delle discariche e fonti emissive in acqua, suolo ed aria in particolare, legato alla saturazione del territorio, come il fattore di pressione ambientale, oltre a una soglia massima dei flussi di massa in uscita dai camini per un dato territorio, in modo da limitare gli impatti ambientali dei progetti e dei rischi cumulativi, sulle risorse agricole, ambientali, sugli ecosistemi e sulla salute dei cittadini residenti, garantendo le esigenze di protezione di tali valori;
   ad assumere iniziative per modificare ed estendere la perimetrazione del Sin Brescia Caffaro, comprendendo le altre aree per le quali sia stata riscontrata una possibile situazione di inquinamento tale da rendere necessari ulteriori accertamenti analitici e/o interventi di bonifica;
   a completare il piano generale delle bonifiche e ad assumere iniziative per stanziare il prima possibile i fondi necessari per la bonifica di tutto il Sin Brescia Caffaro;
   assumere iniziative per promuovere, in tempi brevi, la progettazione degli interventi di caratterizzazione, messa in sicurezza e bonifica, a tal fine riconsiderando l'opportunità della nomina di un nuovo commissario, prevedendo criteri di nomina di quest'ultimo che comportino una procedura di scelta il più possibile partecipata con la popolazione dell'area interessata dal SIN, segnatamente con associazioni, comitati o altri enti portatori di interessi alla qualità e tutela delle risorse naturali;
   ad assumere iniziative per rivedere i limiti delle concentrazioni soglia di contaminazione (Csc) fissate dal decreto legislativo n. 152 del 2006 recante norme in materia ambientale relativamente al parametro PCB, considerando le più recenti evidenze di cancerogeneità degli stessi.
(7-00977) «Zolezzi, Alberti, Sorial, Cominardi, Basilio, De Rosa, Vignaroli».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015) all'articolo 1, comma 985, ha disposto per l'anno finanziario 2016, con riferimento al periodo d'imposta 2015, che ciascun contribuente possa destinare il due per mille della propria imposta sul reddito delle persone fisiche a favore di un'associazione culturale iscritta in un apposito elenco istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri;
   la norma stabilisce, inoltre, che con decreto di natura non regolamentare del Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, devono essere stabiliti i requisiti e i criteri per l'iscrizione delle associazioni nell'elenco, nonché le cause e le modalità di revoca o di decadenza. Il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri avrebbe dovuto essere adottato entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità 2016, quindi entro il 30 gennaio 2016. Ad oggi tale decreto ancora non è stato adottato;
   la nuova disposizione rappresenta, ad avviso degli interpellanti, un'ottima iniziativa, soprattutto perché l'attribuzione del 2 per mille è direttamente decisa dal contribuente con l'apposizione del codice fiscale dell'associazione prescelta. Si paventa però il rischio che anche questa procedura di attuazione non sia costruita con chiarezza e trasparenza, così come finora è stato per la destinazione del 5 per mille alla cultura, come denunciato dal quotidiano «Il Fatto» in data 26 giugno 2015, secondo il quale «gli enti ammessi al beneficio sono stati 13 nel 2012, 17 nel 2013, 26 (su 29 candidati) nel 2014. Un numero a dir poco limitato nel Paese con il patrimonio culturale più ricco al mondo, nonostante la presenza di nomi famosi come Italia Nostra, il Fai, ecc.». Secondo il quotidiano, un insuccesso da attribuire anche a una procedura complicata nel quale per la cultura il contribuente non può scegliere la singola organizzazione con il codice fiscale, ma soltanto la categoria, «finanziamento delle attività di tutela, promozione e valorizzazione dei beni culturali e paesaggistici», lasciando quindi allo Stato il compito di scegliere per suo conto, con criteri surreali e ritardi incredibili: a giugno 2015, nella lista dei beneficiari del 5 per mille 2013, mancavano ancora quelli di tutela dei beni culturali e le somme non erano ancora state pagate;
   a partire dal 15 aprile, dal sito internet dell'Agenzia delle entrate, è scaricabile per i lavoratori dipendenti e per i pensionati il modello 730 precompilato. Il modello contiene anche le aree per le scelte per la destinazione dell'otto per mille, del cinque per mille e del due per mille dell'Irpef, sia a favore dei partiti politici, che delle associazioni culturali. Le scelte non sono in alcun modo alternative fra loro e possono essere espresse tutte e quattro;
   quindi, nonostante la mancanza di un apposito decreto che stabilisca i requisiti e i criteri per l'iscrizione delle associazioni culturali potenzialmente beneficiarie, e la conseguente assenza di certezza per le associazioni che si sono registrate per rientrare tra i beneficiari stessi, il modello contiene anche l'area dedicata per indicare la destinazione del due per mille dell'Irpef, con lo spazio per l'apposizione dei corrispettivi codici fiscali;
   l'intervento si colloca all'interno della strategia scelta dal Presidente del Consiglio a pochi giorni dagli attentati di Parigi e lanciata con lo slogan «Per ogni euro in più investito in sicurezza, ci deve essere un euro in più investito in cultura». Ma i 150 milioni annunciati sono ora diminuiti e divenuti solo 100;
   con un ritardo di quasi due mesi e senza darne diffusione in alcun altro modo, sul portale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, dalle ore 18 del 23 marzo 2016, è stata aperta la presentazione telematica delle domande di iscrizione nell'elenco delle associazioni culturali di cui all'articolo 1, comma 985, della legge n. 208 del 2015, usando il link, https://procedimento.beniculturali.gov.it/. Attualmente il termine di presentazione delle domande è scaduto, poiché era fissato alle ore 14 dell'11 aprile 2016. Sono stati concessi soltanto 20 giorni di tempo per effettuare le iscrizioni, senza consentire alcuna altra modalità di presentazione diversa da quella telematica. Sul sito del Ministero si precisa che «il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo a questo procedimento è in corso di registrazione alla Corte dei conti e sarà pubblicato dopo la registrazione». Sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo era disponibile (e lo è tuttora) anche un tutorial con le istruzioni per procedere all'iscrizione che, in assenza del decreto, sono state le uniche fonti, in aggiunta alla disposizione istitutiva, dalle quali trarre indicazioni sui requisiti soggettivi ed oggettivi richiesti per l'accesso al beneficio;
   le istruzioni indicate nel tutorial non contengono limiti o condizioni concernenti eventuali incompatibilità derivanti, ad esempio, dall'essere già ricompresi negli elenchi del 5 per mille o il perseguimento esclusivo di finalità culturali. Secondo gli interroganti, è auspicabile che almeno il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri sia più restrittivo e che preveda regole più precise in tale senso per evitare che il comma 985, articolo 1 della legge n. 208 del 2015, che indica genericamente le «associazioni culturali», possa consentire l'accesso al beneficio anche ad associazioni «fittizie» o che già usufruiscono di altri benefici;
   è prevedibile che, per il periodo d'imposta 2015, poche saranno le associazioni culturali beneficiarie del 2 per mille, considerato il poco tempo a disposizione per iscriversi sul sito del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e la conseguente, inevitabile esclusione di molte di queste che avverrà per l'assenza del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri che individui precisamente i requisiti e i criteri per consentire l'iscrizione delle associazioni nell'elenco, nonché le cause e le modalità di revoca o di decadenza;
   si corre quindi il rischio che la gran parte del 2 per mille dedicato alle associazioni culturali resti nelle casse dello Stato, così come è stato nei precedenti anni per il 5 per mille e per il 2 per mille a favore dei partiti politici che, complici in parte la disaffezione verso la politica, in parte le difficoltà dovute alla carenza di uomini e mezzi dei partiti più piccoli, ha fatto sì che nel 2015, solo il 2,7 per cento dei contribuenti abbia scelto di destinare il 2 per mille del proprio Irpef ai partiti politici;
   poiché la causa dei ritardi è imputabile al Governo, a detta degli interroganti si dovrebbe considerare la possibilità dell'apertura di una nuova «finestra» per dare la possibilità di iscrizione ad un numero maggiore di associazioni culturali candidate al beneficio del 2 per mille. Del resto, una simile opportunità è già prevista per il riparto delle quote del cinque per mille, dove possano partecipare anche gli enti che, per loro responsabilità, hanno presentato le domande di iscrizione in ritardo (articolo 2, comma 2, del decreto-legge 2 marzo 2012, n. 16) a condizione che provvedano alle successive integrazioni documentali entro il 30 settembre 2016, versando contestualmente una sanzione di importo pari a 250 euro utilizzando il modello F24 con il codice tributo 8115. I requisiti sostanziali richiesti per l'accesso al beneficio devono essere comunque posseduti alla data originaria di scadenza della presentazione della domanda di iscrizione –:
   se il Governo intenda indicare un termine certo per l'adozioni del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri relativo ai requisiti e ai criteri per l'iscrizione delle associazioni culturali per l'accesso al 2 per mille e se ritenga opportuno considerare la possibilità di assumere iniziative per prorogare i termini delle iscrizioni, affinché questa nuova forma di finanziamento alle associazioni culturali possa essere pienamente utilizzata da tutti gli aventi diritto.
(2-01350) «Andrea Maestri, Civati, Artini, Baldassarre, Bechis, Brignone, Matarrelli, Pastorino, Segoni, Turco».


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   in data 11 aprile 2016 il quotidiano Avvenire, riportando quanto riferito da un'agenzia di stampa e altre fonti non ufficiali, ha diffuso la notizia dell'arrivo in Italia, nella stessa data, di 51 bambini adottati dal Congo da parte di coppie italiane;
   la notizia dell'arrivo dei bambini dal Congo non risulta ancora oggi riportata ufficialmente dalla Commissione per le adozioni internazionali né dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, essendo stata pubblicata sul sito della stessa Commissione la sola notizia, del 16 marzo 2016, di 47 bambini cui le autorità del Congo avevano dato il via libera e che avrebbero potuto «abbracciare presto i loro genitori in Italia»;
   laddove ufficialmente confermato, si tratterebbe di un ricongiungimento atteso da numerose famiglie per oltre due anni, considerato che le autorità della Repubblica Democratica del Congo avevano bloccato le procedure di rilascio dei visti di uscita dal Paese nel settembre 2013, impedendo che genitori e figli già tali in base a provvedimenti stranieri potessero abbracciarsi e iniziare la vita insieme;
   in assenza di comunicazioni ufficiali delle competenti autorità, rimangono degli interrogativi sul numero dei bambini che hanno fatto ingresso in Italia e sulle modalità del viaggio e del ricongiungimento genitori-figli, essendo infatti riportato nelle citate fonti che né i genitori né gli enti accompagnatori fossero stati preavvisati dell'arrivo dei bambini e che quindi essi non fossero presenti in aeroporto, allorché alle ore 5,39 del mattino atterrava il volo della linea da Addis Abeba della compagnia Ethiopian Airlines con a bordo i bambini e gli accompagnatori;
   risultano imprecisati anche il numero e l'identità degli accompagnatori, mentre emerge che in realtà solo alcuni tra enti e famiglie fossero stati avvisati;
   risulterebbe inoltre che alcune coppie, pur residenti a numerosi chilometri dalla capitale, abbiano ricevuto solo nel corso della stessa giornata le telefonate della Commissione per le adozioni internazionali per una convocazione immediata a Roma per «firmare delle deleghe urgenti», senza alcun preavviso circa l'arrivo dei loro figli;
   è inoltre riportato dalle stesse persone interessate, sempre su internet, che la Commissione per le adozioni internazionali avrebbe modificato la destinazione del loro viaggio e, in particolare, il luogo concordato per l'incontro, per lungo tempo rimasto ignoto, e che le coppie sarebbero state accolte da agenti della Polizia che hanno condotto i genitori in un luogo non conosciuto, perché fossero evitati contatti con la stampa;
   risulterebbe anche che alcuni bambini si siano ricongiunti con i genitori nella tarda serata dell'11 aprile 2016 nonostante l'atterraggio sia avvenuto nelle prime ore del mattino;
   i bambini sarebbero stati trattenuti per ore in un luogo ignoto in attesa dei genitori senza la presenza di personale medico e sembra che un bambino i cui genitori erano assenti, assistito con modalità improvvisata da una mamma medico, sia stato ricoverato alle 2 di notte in ospedale a Roma per disidratazione, e successivamente dimesso alle ore 5 del mattino;
   in un servizio televisivo, trasmesso il 15 aprile 2015 dall'emittente Sky TG 24, una famiglia ha testimoniato di non avere ricevuto da parte della Commissione per le adozioni internazionali nessuna notizia del proprio figlio durante gli ultimi 18 mesi di attesa, al punto da non essere certa neanche del luogo in Repubblica Democratica del Congo ove ora si trovi; nella stessa intervista è emerso il sentimento delle famiglie di essere state punite per aver protestato contro la Commissione per le adozioni internazionali;
   dai fatti richiamati, laddove confermati, deriva una immagine dannosa per la pubblica amministrazione come emerge dall'eco delle riferite notizie sui forum delle associazioni di genitori (http://genitoriadottivirdc.altervista.org);
   resta ancora ignota la sorte dei restanti bambini che ancora si trovano in Congo e che sono attesi dalle loro famiglie;
   è stato sottoscritto di recente un protocollo tra la Commissione per le adozioni internazionali e la Polizia di Stato, che fa seguito a quello precedentemente sottoscritto con i carabinieri –:
   se siano o meno veri i fatti sopra riportati e, in caso affermativo, quanto personale delle forze dell'ordine sia stato coinvolto e quali siano stati i costi economici di tale operazione;
   per quali motivi la Commissione per le adozioni internazionali non abbia dato ufficialità alla notizia dell'arrivo dei bambini e per quali ragioni l'intera operazione non sia stata svolta in trasparenza, con il coinvolgimento di tutti gli enti autorizzati anche con la preparazione delle famiglie all'accoglienza;
   se corrisponda o meno a verità che un bambino sia stato ricoverato alle 2 di notte all'Ospedale Bambin Gesù di Roma perché in stato di disidratazione;
   quali siano stati i rapporti della Commissione per le adozioni internazionali con le autorità della Repubblica Democratica del Congo con riferimento a questa vicenda e di quale personale qualificato si sia avvalsa la Commissione per lo svolgimento delle necessarie operazioni all'estero, chiarendo in particolare se siano stati o meno coinvolti i competenti uffici della rappresentanza italiana all'estero e di frontiera.
(2-01351) «Pagano».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PASTORINO e MATARRELLI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il 12 marzo 2015, con delibera del Consiglio dei ministri concernente la nomina di Commissario ad acta e a sub commissario unico per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale calabrese, secondo i programmi operativi di cui all'articolo 2, comma 88, della legge 30 dicembre 2009, n. 191, è stato nominato il commissario ad acta, Ingegner Massimo Scura e il Sub Commissario, Dott. Andrea Urbani;
   nella suddetta deliberazione è stato assegnato al commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro, l'incarico prioritario di adottare e attuare i programmi operativi degli interventi necessari a garantire, in maniera uniforme sul territorio regionale, l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza in condizioni di efficienza, appropriatezza, sicurezza e qualità, nei termini indicati dai tavoli tecnici di verifica, nell'ambito della cornice normativa vigente, con particolare riferimento alle seguenti azioni e interventi prioritari tra i quali: adozione del provvedimento di riassetto della rete ospedaliera, coerentemente con il regolamento sugli standard ospedalieri di cui all'Intesa Stato-regioni del 5 agosto 2014 e con i pareri resi dai Ministeri affiancanti, e con le indicazioni formulate dai tavoli tecnici di verifica; monitoraggio delle procedure per la realizzazione dei nuovi ospedali, secondo quanto previsto dalla normativa vigente e dalla programmazione sanitaria regionale; adozione del provvedimento di riassetto della rete dell'emergenza urgenza secondo quanto previsto dalla normativa vigente; completamento del riassetto della rete laboratoristica e di assistenza specialistica ambulatoriale;
   poiché le priorità dell'ASP di Crotone sono il nuovo laboratorio di analisi e, il nuovo pronto soccorso, con nota n. 22364 del 23 aprile 2015, il dottor Urbani, comunicava al dirigente del dipartimento tutela della salute la volontà di utilizzare i residui dei fondi, ASP Crotone – interventi di edilizia sanitaria, ex. Articolo 20 legge n. 67 del 1988 – I fase (2.700.000,00 euro) per i lavori di ristrutturazione del laboratorio analisi (messa in sicurezza e adeguamento strutturale);
   nella nota si specificava inoltre che parte dei suddetti fondi sarebbero stati investiti per la realizzazione di un nuovo pronto soccorso, poiché l'attuale – costruito circa diciassette anni fa –, doveva essere soltanto una struttura temporanea limitata nel tempo e a un massino di mesi sei;
   inoltre, nella nota, s'ipotizzava l'utilizzo dei fondi residui I Fase, al netto dei fondi già impegnati per i lavori di ristrutturazione del laboratorio analisi, da destinarsi a idonee operazioni di adeguamento delle guardie mediche territoriali e per la relativa dotazione strumentale;
   la Regione Calabria ha concluso una ricognizione dei fondi residui relativa alla I Fase e la programmazione degli investimenti stabiliti dalla II Fase per un importo di circa 300 milioni di euro da destinarsi a tutta la Regione Calabria –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se, alla luce di quanto sopra esposto, non ritenga necessario assumere tempestive iniziative affinché il Commissario ad Acta, Dottor Massimo Scura, si attenga in base alla delibera del Consiglio dei ministri del 12 marzo 2015, all'esercizio del suo mandato e delle competenze a lui assegnate, poiché è la Regione Calabria l'organo deputato alla programmazione e distribuzione delle risorse non ancora assegnate (residuo della I fase e II fase) riguardo alla programmazione stabilita con nota n. 22364 del 23 aprile 2015, concernente gli interventi di edilizia sanitaria ex articolo 20 legge n. 67 del 1988.
(5-08457)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   9 delle 44 concessioni, oggetto del referendum del 17 aprile 2016 erano già scadute a fine 2015, alcune anche da vari mesi, altre da anni (una addirittura dal 2009). Ciononostante le compagnie petrolifere continuavano ad operare come se niente fosse. Queste piattaforme sono nel mare di 4 regioni adriatiche: Abruzzo, Marche, Veneto ed Emilia Romagna. La legge di stabilità del 2016 ha sanato queste irregolarità come si evince dal Bollettino degli idrocarburi del MISE in data 31 dicembre 2015. Si è cioè sanato a posteriori la situazione di non conformità alla legge, attraverso la modifica della disciplina della normativa sulla durata delle concessioni legandola alla vite utile del giacimento con effetto retroattivo con un grosso beneficio per le compagnie petrolifere;
   le concessioni produttive scadute e beneficiarie della modifica apportata dalla legge di stabilità sono in Italia 9, per le acque abruzzesi è stata rilasciata la B.C 5-AS scaduta il 12 novembre 2014: 5 piattaforme e 4 pozzi in un'area vicina alla costa nord di Pescara. La società concessionaria è la ADRIATICA IDROCARBURI (100 per cento ENI);
   il fondato dubbio, a giudizio dell'interrogante, è che si sia voluta scongiurare l'ipotesi di un imminente smantellamento delle piattaforme, a costi elevati per le compagnie, come ben evidenzia l'inchiesta giornalistica del Fatto quotidiano;
   inoltre, vi è il capitolo oscuro delle concessioni non più produttive con scadenze lontane nel tempo e le piattaforme mai smantellate. In Abruzzo la B.C 1 LF della Edison è scaduta il 27 agosto 2015;
   di fronte a istanze di proroga delle concessioni presentate con largo anticipo sulle scadenze originarie il Mise secondo l'interrogante non ha effettuato le verifiche necessarie ed è stato inadempiente non bloccando la produzione di idrocarburi oltre la scadenza prevista;
   il fatto che sia arrivata la sanatoria dal 1o gennaio 2016, con la legge di stabilità, rende secondo l'interrogante ancora più evidente la opacità del comportamento del Mise e dei suoi uffici preposti all'esame tempestivo delle autorizzazioni alle concessioni e proroghe alle compagnie petrolifere –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere in relazione ai gravi fatti sopra denunciati e se intenda adottare le iniziative di competenza per rimuovere dagli incarichi i responsabili di questa situazione al fine di fare chiarezza e affermare l'interesse generale al risanamento ambientale e alla libera concorrenza del mercato. (4-12906)


   MURA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo le proiezioni dell'Eurostat, elaborate dall'osservatorio socio-economico «Seo», nel 2080 la Sardegna avrà il 34 per cento di abitanti in meno rispetto a oggi. In quella data lo spopolamento toccherà il suo picco, sospinto da uno dei tassi di natalità più bassi d'Italia;
   lo scenario che si prefigura è quello di una regione che perderà oltre mezzo milione di abitanti, con paesi abbandonati e un entroterra deserto;
   il raffronto con le altre regioni del Mediterraneo è impietoso, se è vero che nel 2080 Cipro e Baleari avranno più abitanti della Sardegna, mentre la Corsica avrà una popolazione di poco inferiore;
   le altre regioni insulari nei prossimi sessant'anni andranno dunque in una direzione opposta, destinate a un incremento della popolazione del 44 per cento;
   le Baleari, che ora navigano attorno al milione e centomila abitanti, avranno invece raggiunto quota un milione e seicentomila, distribuiti su un territorio che è grande circa un quinto della Sardegna;
   anche Cipro sorpasserà la Sardegna: ora l'isola vicina alla Turchia fa infatti registrare 800 mila abitanti, di cui la metà concentrati nella capitale Nicosia: tra poco più di sessant'anni ne avrà un milione e duecentomila;
   secondo i dati Eurostat farà ancora meglio la Corsica: nel 2080 potrebbe arrivare a un più 50 per cento. Il dato può essere spiegato da un tasso di natalità più alto rispetto alla Sardegna (9,4 contro 7,1 per cento) e delle politiche dello Stato centrale, che negli ultimi anni hanno portato la Francia a un aumento demografico;
   il confronto con le altre isole del Mediterraneo, evidenziano i ricercatori dell'osservatorio socio-economico «Seo», rivela che l'insularità non equivale per forza allo spopolamento;
   mentre l'isola francese è inserita in uno studio sull'invecchiamento attivo dell'Unione europea nel gruppo 3, tra le regioni «caratterizzate da una popolazione crescente e da una crescita economica e livelli di innovazione deboli o moderati», la Sardegna, invece, è nel gruppo 6: popolazione in calo e sviluppo economico debole;
   in Sardegna, le piccole comunità sono destinate a scomparire e almeno un centinaio sono già ad altissimo rischio;
   le ragioni di questo spopolamento sono complesse e richiedono politiche nazionali e regionali urgenti e di largo respiro per creare condizioni di sviluppo locale durature e per arginare un fenomeno che ha assunto connotazioni drammatiche, soprattutto nelle zone interne della Sardegna;
   l'abbandono di queste realtà territoriali e il loro definitivo degrado significano la perdita di presidi vitali dal punto di vista del mantenimento dei paesaggi, dell'ambiente e della coesione sociale;
   in Parlamento è stata depositata una proposta di legge che introduce il reddito di insediamento e altre disposizioni per favorire la residenza nelle comunità con popolazione non superiore a 3.000 abitanti situati nelle aree svantaggiate e nelle zone interne –:
   se non si ritenga urgente affrontare il caso demografico della «Sardegna» come una vera e propria emergenza nazionale, anche per i gravi scompensi che questo può creare in prospettiva nelle dinamiche socio-economiche dell'area mediterranea;
   se non si ritenga urgente intervenire con soluzioni immediate e strutturali, in particolare attraverso interventi di carattere sistemico sulle infrastrutture e sul mercato del lavoro e mediante iniziative di incentivazione alla residenzialità nelle aree interne del Paese;
   se non si ritenga opportuno promuovere l'istituzione del reddito di insediamento e l'adozione di altre misure agevolative, favorendo la residenza dei cittadini nei territori caratterizzati da forte malessere demografico, situati, per lo più, nelle aree svantaggiate, nelle zone interne e nelle aree rurali. (4-12907)


   MELILLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende a mezzo stampa che «resistenza, lesioni a pubblico ufficiale e manifestazione non autorizzata» sarebbero le accuse rivolte a dieci manifestanti, a nove mesi dalla protesta in occasione della prima visita del Presidente del Consiglio Matteo Renzi all'Aquila dell'agosto 2016 segnalati dalla Digos del capoluogo abruzzese all'autorità giudiziaria;
   sempre secondo fonti giornalistiche, i denunciati sarebbero tra gli attivisti e le attiviste del comitato 3e32 dell'Aquila e di quelli che si oppongono alle piattaforme petrolifere sulla costa adriatica abruzzese;
   il reato di resistenza e lesioni a pubblico ufficiale, contestato solo ad alcuni dei manifestanti sarebbe riconducibile alla presunta aggressione ad un'agente di iella sede comunale di Palazzo Fibbioni, anche se gli stessi comitati aquilani, in una conferenza stampa, mostrarono foto e video nei quali si evidenzia come l'agente fosse stata spintonata involontariamente da un proprio collega. Per tutti gli altri manifestanti, invece, il reato contestato è non autorizzata, essendo stato permesso inizialmente solo un presidio nella zona della Fontana Luminosa, nella parte opposta del centro a visita del Presidente del Consiglio;
   in una nota il Coordinamento « No Ombrina» sottolinea come le accuse siano del tutto prive di fondamento e numerosi video ne testimoniamo la veridicità;
   è evidente la limitazione contraria ai principi costituzionali del diritto di manifestare liberamente e pacificamente il proprio pensiero –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per chiarire una situazione gravissima che rischia di colpire senza motivi attivisti che esercitavano la libertà di manifestare le proprie opinioni. (4-12914)


   NESCI e PARENTELA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 24 febbraio 2016 il commissario ad acta per l'attuazione del vigente piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale calabrese, Massimo Scura, adottava, con il sub-commissario Andrea Urbani, due decreti, il numero 26 e il numero 27, aventi per oggetto la «Definizione del livello massimo di finanziamento per l'anno 2016 alle strutture erogatrici di prestazioni di assistenza ospedaliera con oneri a carico del SSR»;
   è bene ricordare che i due decreti, oltre a fissare i criteri di assegnazione dei fondi per le strutture erogatrici di prestazioni di assistenza ospedaliera relativamente all'anno 2016, hanno integrato e modificato il precedente decreto n. 80 del 6 luglio 2015, riguardante la «Determinazione tetti di spesa per l'acquisto da soggetti privati accreditati di prestazioni di assistenza ospedaliera anno 2015»;
   preme ricordare che il succitato decreto n. 80 del 2015 è stato oggetto di numerosi ricorsi al Tar, che si è pronunciato a favore delle cliniche private ricorrenti, sospendendo il suddetto e, dunque, lo schema di erogazione dei fondi;
   anche l'interrogante si è occupata del decreto n. 80 del 2015, rivolgendo ai Ministeri vigilanti e alla Presidenza del Consiglio due interrogazioni parlamentari (interrogazioni a risposta scritta n. 4-09846 e n. 4-10786), tuttora senza risposta;
   nei suddetti atti si rilevava, tra le altre cose, la mancanza di trasparenza e la scelta di dubbia legittimità della struttura commissariale nell'assegnazione dei fondi, che aveva premiato soprattutto due strutture private dell'Asp di Cosenza appartenenti allo stesso proprietario, la famiglia Greco, che si è visto assegnare da solo il 20 per cento del fondo complessivo da redistribuire nella provincia d Cosenza, per un valore pari a circa tredici milioni e quattrocentomila euro;
   secondo quanto si legge su « Il Quotidiano del Sud» del 2 marzo 2016, l'Aiop (Associazione italiana ospedalità privata) e l'Anisap (Federazione nazionale delle associazioni regionali o interregionali delle Istituzioni Sanitarie Ambulatoriali Private) sarebbero intenzionate a presentare nuovo ricorso al Tar Calabria in merito ai criteri dei tetti dei budget assegnati con i ricordati decreti n. 26 e 27 del 24 febbraio 2016;
   stando a quanto riportato nell'articolo a firma Adriano Mollo, «Aiop e Anisap si preparano a una grande mobilitazione generale per metà mese a Catanzaro alla quale aderiranno anche le Rsa, penalizzate dal Dca n. 26 e in stato di agitazione da tempo perché rivendicano circa 50 milioni di crediti dalla Regione e per il 2016 costretti a ridurre le attività di almeno il 10 per cento con conseguente taglio del personale»;
   sempre nel succitato articolo si legge ancora: «ciò che si registra nella sanità è paese: da due anni la struttura commissariale non funge più da organo istituzionale di governo dei processi, ma da organo politico clientelare per favorire, a turno, alcune strutture vicine ad apparati del Pd ed Ncd [...] Vicende che sarebbero gravi se sfuggissero alla magistratura», tanto che alcune strutture private starebbero pensando di presentare un esposto anche in procura;
   tali ultime ricostruzioni giornalistiche rappresentano un quadro di estrema gravità e, a parere dell'interrogante, ne andrebbe approfondito il contenuto anche per individuare eventuali responsabilità penali e contabili e per impedire che il rientro dal disavanzo sanitario della Calabria, come detto altre volte, sia un'occasione per clientelismo politico volto a produrre consensi elettorali e vantaggi economici illegittimi;
   l’«attività di demolizione» si starebbe concentrando soprattutto su Crotone, con il gruppo Marrelli messo alle strette con tagli a CalabroDental per il 2016 e il diniego al rilascio dell'autorizzazione sanitaria alla Marrelli Hospital con tesi a parere dell'interrogante pretestuose, nonostante il decreto n. 9 del 2015 certifichi che ci sono ben 99 posti letto non assegnati;
   ancora nell'articolo di Adriano Mollo si legge che l'operazione della struttura commissariale «è stata di cristallizzare i favori e procedere nei favoritismi»;
   il decreto n. 27 stabilisce che il 5 per cento del fondo debba essere destinato alle strutture più performanti secondo le seguenti modalità: il 60 per cento di questa fetta è erogato a quelle strutture che riducono la mobilità passiva, il 20 per cento secondo il canone della «appropriatezza organizzativa» e l'altro 20 per cento per sussidiarietà del privato verso il pubblico;
   a conti fatti, tuttavia, quanto sopra non avviene, secondo la fonte giornalistica succitata;
   difatti, la clinica, «Santa Rita» di Cirò Marina, ad esempio, da due anni produce un extra-budget pari al 50 per cento dello stesso fondo assegnatole «ma per il 2015 si è visto rettificare il tetto per soli 50 mila euro»;
   appare ancora più clamoroso quanto accaduto per la clinica «Sant'Anna» di Crotone, «centro di eccellenza nel Sud Italia per la neuroriabilitazione spinale, con una mobilità attiva del 10 per cento (1,5 milioni) e addirittura anche estera», che ha subito un taglio di 500 mila euro sul 2015 perché non è stato riconosciuto il codice 56 («recupero e riabilitazione funzionale»), codice invece riconosciuto nel 2015 alla clinica «Madonna della Catena» di Cosenza (struttura di cui è proprietaria la già citata famiglia Greco) e che le ha permesso «un aumento di budget di 2 milioni e un aumento di 23 posti letto [...] e altri Scura ha dichiarato in una riunione di volerne assegnare»;
   altro paradosso a Cosenza, ha scritto il giornalista Mollo, con la «Villa del Sole» che effettua il 55 per cento di interventi chirurgici di urologia (anche tumorali) «pari allo stesso numero di tutte le strutture pubbliche della provincia» e con il numero più alto di interventi per la tiroide, che subisce un taglio di 150 mila euro;
   di contro la clinica «Tricarico» di Belvedere riuscirà a recuperare 200 mila euro «solo perché è stata riconosciuta la funzione di pronto soccorso con 680 mila euro in più» –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti;
   se non ritengano opportuno, per quanto riassunto in premessa, disporre con urgenza una compiuta disamina, in sede di verifica, in ordine ai decreti commissariali n. 26 del 2016 e n. 27 del 2016, volta a una ripartizione razionale delle risorse a garanzia del diritto fondamentale alla salute e del buon funzionamento del servizio sanitario. (4-12917)


   NESCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   dal 2010 la regione Calabria è commissariata per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale;
   per legge, detto commissariamento doveva cessare il 31 dicembre 2012;
   secondo l'interrogante, come evidenziato nell'interpellanza urgente n. 2-01172, la proroga del commissariamento è avvenuta senza alcun atto giustificativo e non conformandosi alle norme urgenti;
   il 12 marzo 2015 ii Consiglio dei ministri ha nominato l'ingegner Massimo Scura e il dottor Andrea Urbani, rispettivamente, commissario e sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della Calabria;
   secondo quanto si legge su Il Quotidiano del Sud del 7 aprile 2016, il servizio di elisoccorso di Crotone (di stanza a Cirò Marina) verrà soppresso, come previsto dal decreto della struttura commissariale della regione Calabria per il piano di rientro dal debito sanitario, n. 30 del 3 marzo 2016, riguardante la «riorganizzazione delle reti assistenziali»;
   il succitato decreto prevede, infatti, la riduzione delle postazioni di elisoccorso in Calabria, che passerebbero dalle attuali quattro a tre, con la soppressione, appunto, della postazione di Crotone e il mantenimento di quelle esistenti a Locri, Lamezia Terme e Cosenza;
   a parere dell'interrogante tale misura desta legittimo stupore perché, se si dovesse giungere alla soppressione della riferita postazione, la provincia di Crotone rimarrebbe di fatto pericolosamente sguarnita, in un territorio peraltro caratterizzato da risapute difficoltà di spostamento per via dalla natura del territorio;
   non bisogna dimenticare, poi, come si legge su Il Crotonese di martedì 12 aprile 2016, che il territorio provinciale «è quello che oggettivamente risente di una perifericità, rispetto alle grandi direttrici di traffico, che non ha uguali nel resto della regione. Caratteristica quindi che lo connota come il più distante dai grandi ospedali sia calabresi che del resto del Sud, che proprio grazie al prezioso servizio di elisoccorso sono ora diventati di velocissima accessibilità. Con quello che ciò significa per la salvezza di vite. Questo non può improvvisamente essere spazzato»;
   non è un caso che tutte le forze politiche, indistintamente, hanno chiesto che la postazione di elisoccorso di Crotone non venga soppressa, come invece vorrebbe la struttura commissariale, con un atto che non ha eguali e che non trova, almeno apparentemente, per l'interrogante, alcuna ragione, per quanto su specificato;
   tale situazione che per l'interrogante è di oggettivo arbitrio nella gestione commissariale della sanità calabrese – confermato dalle ricostruzioni dell'interrogante, articolate nei propri numerosissimi atti di sindacato ispettivo sulla gestione della sanità calabra spesso associati «d'ufficio» a esposti alla procura della Repubblica e alla Corte dei conti – va compendiata con la vicenda narrata nell'interrogazione a risposta scritta n. 4-12409, che l'interrogante ha presentato l'8 marzo 2016, da cui emergerebbe che il commissario Scura non conosce affatto la differenza tra autorizzazione e accreditamento in materia sanitaria, il che sarebbe una carenza incompatibile con l'incarico assegnato ai sensi dell'articolo 1, comma 569, della legge n. 190 del 2014, che prevede che il commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale debba «possedere un curriculum che evidenzi qualificate e comprovate professionalità ed esperienza di gestione sanitaria»;
   la società italiana di medicina generale ha un sistema in rete di ampio monitoraggio delle patologie nelle regioni italiane, con da, anche sulla spesa sanitaria, utilizzati dall'Istituto superiore di sanità, dall'Aifa, dall'Agenas, dall'Istat, dall'Osmed, dalla Banca d'Italia;
   l'associazione di medici «Mediass», operante nel territorio di Catanzaro e collegata con la suddetta società anche per l'inserimento dei dati funzionali al predetto monitoraggio, ha diffuso un compiuto elaborato statistico, in relazione al quale risulterebbe che la farmaceutica lorda pro capite è, in Italia, depurata dei farmaci Pht (Prontuario della distribuzione diretta per la continuità assistenziale) e comporta una spesa di 197,94 euro, mentre in Calabria essa è di 232,1 euro, con una differenza del 17,3 per cento;
   la regione Calabria spende in farmaci più del resto d'Italia perché ha molti più malati cronici, rispetto alla media italiana;
   a fronte di questo ultimo elemento sui malati cronici, la Calabria riceve meno finanziamenti per la sanità, che comunque sono inadeguati, poiché i fondi sanitari regionali vengono ripartiti con il calcolo della popolazione pesata;
   il riferito sistema di ripartizione, in vigore dal 1999, penalizza le regioni che hanno qualche giovane in più, come la Calabria, che avendo più malati cronici e meno risorse sfora naturaliter il tetto di spesa, con conseguente e ingiusto piano di rientro dal disavanzo;
   contenuto nel predetto elaborato statistico, il rapporto dei ricercatori – Healt Search – della società italiana di medicina generale conferma, per diverse patologie, che i malati cronici sono, in Calabria, superiori alla media nazionale, con una maggiorazione di 1,26 su cento abitanti per l'ulcera gastrica, di 1,3 per il diabete mellito, di 0,64 per l'ipertensione arteriosa, di 0,1 per l'infarto del miocardio, di 2,55 per l'artrosi, di 0,24 per malattie del cuore, di 0,24 per ictus cerebrale, di 0,18 per cirrosi epatica, di 0,57 per osteoporosi, di 1,54 per broncopneumopatia cronica ostruttiva e di 1,22 per la funzionalità della tiroide;
   dal 30 settembre 2015, il quadro fornito dai ricercatori della Società italiana di medicina generale trova conferma in uno di pari entità e significanza cui si fa riferimento nel decreto n. 103 del 2015 del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria, che recepisce «il documento dell'intesa Stato-Regioni del marzo 2015»;
   nel suindicato decreto del commissario ad acta, in Calabria, si evidenziano, per diverse patologie, valori di prevalenza più elevati – almeno del 10 per cento –, rispetto al resto del Paese, ad esempio per ipertensione, artrosi, cefalea/emicrania, osteoporosi, diabete, bronchite cronica/enfisema, ulcera gastrica o duodenale e cataratta;
   nel menzionato decreto si certifica, come anche riportato nell'elaborato statistico più volte qui citato, che la Calabria ha almeno il dieci per cento di malati cronici in più del resto d'Italia;
   quanto testé riassunto è corroborato dalle informazioni contenute alla pagina 33 dell'allegato n. 1 al decreto del commissario ad acta n. 103 del 2015, per cui un confronto delle prevalenze di cui al riferito decreto con i dati del rapporto dei ricercatori «Heath Search» e con i dati Istat conferma, inesorabilmente, una maggiore presenza di malati cronici in Calabria rispetto al resto d'Italia;
   nel Dca n. 103 del 2015 sono riferiti dati in cui si attesta una maggiore prevalenza di tali malati in Calabria rispetto ai predetti dati del rapporto dell'Health Search per cui, a parere dell'interrogante, chi ha firmato e validato quel decreto dovrebbe dedurre che in una regione come la Calabria, in cui il numero dei malati cronici è maggiore, è necessario aumentare la spesa per le relative cure e dunque cessare l'attuazione del piano di rientro;
   inoltre, in Calabria l'indice di comorbilità, come anche rilevato nell'elaborato statistico dell'associazione «Mediass» è maggiore rispetto alla media nazionale;
   la maggiore spesa annua per la cura dell'ipertensione arteriosa, del diabete mellito, della broncopneumopatia cronica ostruttiva e dello scompenso cardiaco è stimata in 108 milioni 826 mila e 600 euro, in rapporto ai 16 anni di vigore dell'attuale criterio di ripartizione del fondo sanitario regionale;
   i dati messi in evidenza nel rapporto di «Mediass» evidenziano che la condizione della Calabria di maggiore prevalenza è piuttosto comune a tutto il Sud dell'Italia;
   il «X Rapporto Sanità», presentato nell'ottobre 2014 alle competenti commissioni parlamentari, mostra, per esempio, che la Valle d'Aosta spende di spesa sanitaria – sia pubblica che privata – pro capite ben 3179 euro, mentre la Calabria ne spende 2200;
   il «X Rapporto Sanità» riporta, inoltre, già per gli anni passati, una situazione di sostanziale raggiungimento dell'equilibrio di bilancio delle regioni sottoposte a piano di rientro dal disavanzo sanitario regionale;
   nonostante quanto appena sopraevidenziato, la Valle d'Aosta e le regioni del Nord, che spendono sempre più della Calabria, sono ritenute virtuose, mentre la Calabria è in piano di rientro e commissariata;
   dal «X Rapporto Sanità» emerge che il piano di rientro del disavanzo sanitario della Regione Calabria realizza, a giudizi dell'interrogante, una grande diseguaglianza, in primo luogo sul piano costituzionale, a danno dei cittadini della Calabria, costretti ad affrontare in proprio aggravi molto maggiori rispetto a quelli di aree settentrionali del Paese, benché la regione in parola abbia meno finanziamenti sanitari, più patologie croniche e comorbilità;
   a parere dell'interrogante, il riferito piano di rientro ha come oggetto quello di perpetrare una remota logica di marginalizzazione dell'estrema punta del Sud italiano, coperta dalla vulgata degli sprechi locali e delle ridondanti necessità di correttivi;
   a parere dell'interrogante il commissariamento per l'attuazione del piano di rientro presenta profili di dubbia legittimità e lo stesso piano di rientro risulterebbe infondato in ragione della spesa effettiva per la cura dei pazienti cronici della regione Calabria;
   a parere dell'interrogante il commissariamento per l'attuazione del piano di rientro si traduce, nei fatti, in un mezzo per cancellare servizi sanitari essenziali, comprimere il diritto alla salute e attivare delle consulenze (per esempio per i pagamenti senza tracce dell'Asp di Reggio Calabria, per la valutazione dell'offerta sanitaria regionale e per la revisione dei conti della sanità calabrese, con affidamento di servizi aggiuntivi in violazione della normativa sugli appalti pubblici);
   a parere dell'interrogante, lo stesso mezzo del piano di rientro con relativo commissariamento in sostanza, ha favorito strutture sanitarie, come il policlinico dell'università di Catanzaro, che hanno già utilizzato ingenti risorse pubbliche – pure elargite con modalità, secondo l'interrogante, di dubbia conformità alle norme vigenti e in mancanza dello strumento giuridico del protocollo d'intesa –, con conseguenti disavanzi e vicende ancora da chiarire come ad esempio quella del declino della Fondazione Tommaso Campanella –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative affinché sia revocato il decreto di cui in premessa o affinché si proceda al ripristino immediato della postazione per l'elisoccorso;
   se il Governo non ritenga di revocare gli incarichi del commissario e sub-commissario per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario della regione Calabria. (4-12920)


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, PASTORINO e MATARRELLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 152, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, prevede da parte dello Stato un rimborso parziale delle spese sostenute per l’iter necessario all'adozione internazionale, istituendo presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il «Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali»;
   in base alla normativa, l'anno successivo a quello nel quale si è concluso il percorso di adozione internazionale, le famiglie certificano presso la Commissione per le adozioni internazionali (CAI), le spese sostenute per l'adozione;
   tale certificazione è presentata ai fini del calcolo del rimborso che è stabilito in base all'entità dei costi dimostrabili (con scontrini e ricevute) ed anche al reddito dichiarato;
   nel 2013, le famiglie che hanno adottato minori nell'anno 2011 – che hanno regolarmente depositato nei tempi previsti dalla legge la documentazione necessaria al fine di vedersi corrisposta la quota parziale di rimborso – chiedevano alla Commissione per le adozioni internazionali informazioni circa i tempi e modalità previsti per il rimborso delle spese per le adozioni internazionali sostenute;
   a suddette richieste la CAI, a quanto risulta agli interroganti, rispondeva: «Gentili (...) in merito alla richiesta di informazioni, da voi inoltrata, tramite posta elettronica il 26 settembre, inerente l'istanza di rimborso per spese sostenute per adozione internazionale conclusa nel 2011, si rappresenta che con l'articolo 1, comma 152, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, è stato istituito presso la Presidenza del Consiglio dei ministri il “Fondo per il sostegno delle adozioni internazionali”, finalizzato al rimborso delle spese sostenute dai genitori adottivi per l'espletamento della procedura di adozione disciplinata dalle disposizioni contenute nel Capo I del titolo III della legge 4 maggio 1983, n. 184, grazie alla quale sono state rimborsate tutte le coppie che dal 2004 hanno presentato istanza di rimborso per spese adottive. Per le coppie che hanno adottato nel 2011 si sta procedendo alle istruttorie delle domande pervenute, in attesa dei fondi necessari, a tutt'oggi non ancora disponibili, che ci consentiranno di liquidare tali richieste. Non appena riceveremo l'accredito di tali fondi procederemo rapidamente ai pagamenti degli aventi diritto al rimborso. Restando a disposizione per ulteriori chiarimenti al riguardo, si inviano cordiali saluti.»;
   molto spesso le famiglie intenzionate a procedere con le adozioni internazionali, mosse dal grande desiderio di diventare genitori e dare opportunità a bambini orfani, si avvalgono di forme di finanziamento bancario, poiché i costi delle procedure sono molto elevati;
   ad avviso degli interroganti, tale negligenza e la conseguente scarsa informazione da parte della Commissione per le adozioni internazionali non incentivano sicuramente il percorso di adozioni, bensì lo ostacolano –:
   se il Presidente del Consiglio dei ministri sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se i fondi stabiliti dall'articolo 1, comma 152, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, siano effettivamente disponibili e, in caso positivo, quale sia il loro ammontare complessivo;
   se sia attualmente disponibile un elenco delle famiglie che dal 2004 abbiano effettivamente ricevuto l'erogazione dei rimborsi parziali;
   se esista presso la Commissione per le adozioni internazionali, una graduatoria pubblica, al fine di informare le famiglie adottive sullo stato dei rimborsi a loro dovuti;
   se intenda rassicurare le famiglie adottive circa i tempi e i modi con i quali saranno rimborsate. (4-12925)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   LA MARCA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la promozione della lingua e della cultura italiane nel mondo è comunemente considerata uno degli strumenti più efficaci per corrispondere alla sempre elevata domanda di cultura italiana in ambito internazionale e per favorire la proiezione del nostro Sistema Paese in ambito globale;
   di recente, lo stesso Presidente del Consiglio Renzi, in occasione di visite compiute in diversi Paesi, ha avuto modo di ribadire che la promozione della lingua e della cultura italiane all'estero è una «priorità del Paese»;
   per le comunità italiane di origine, l'offerta di lingua e cultura italiane rappresenta un essenziale sostegno alla formazione di un loro consapevole profilo identitario e al percorso di integrazione interculturale nei contesti di insediamento;
   in un precedente atto parlamentare, l'interrogante ricordava come la comunità d'origine italiana in Canada abbia una dimensione di circa un milione e mezzo di persone, di cui 137.000 iscritti all'AIRE, e conserva profondi legami culturali con i luoghi di origine, essendosi formata in prevalenza nei decenni successivi alla seconda guerra mondiale;
   tra gli enti che hanno assicurato la continuità dello studio dell'italiano e la trasmissione di esso alle nuove generazioni nell'area culturale del Quebec si è distinto il PICAI (Patronato italo canadese di assistenza agli italiani), che per oltre quarant'anni, con il sostegno delle autorità canadesi e del Governo italiano, è stato per migliaia di famiglie e per decine di migliaia di studenti un riferimento imprescindibile sul piano linguistico e culturale, radicandosi profondamente nella nostra comunità di origine;
   a tale ente gestore, nonostante l'ampio riconoscimento di cui gode presso la comunità italiana e presso le autorità canadesi, è stato prima progressivamente ridotto il contributo da parte del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e poi, negli anni 2014 e 2015, sospeso del tutto;
   la motivazione del parere negativo che sarebbe stata addotta dalle autorità diplomatiche e consolari riguarderebbe il fatto che l'ente, nel corso degli anni, è riuscito a realizzare con il contributo richiesto alle famiglie per la frequenza dei corsi di lingua una riserva di fondi, dichiarata dallo stesso PICAI nella documentazione inoltrata al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, che, a chiusura dell'anno finanziario 2015, ammontava a 336.800 dollari canadesi;
   nonostante l'assenza del contributo del Governo italiano, l'ente ha continuato il suo servizio a beneficio della comunità, organizzando in 12 scuole corsi per 1500 studenti, utilizzando a tal fine per un 35 per cento il contributo delle famiglie e per un 65 per cento anticipazioni di cassa dal proprio patrimonio;
   a seguito di tale scelta, sulla riserva residua di 336.800 dollari canadesi, nei primi mesi del 2016, ha inciso un ulteriore anticipazione di cassa di 268.350 dollari canadesi, resasi necessaria per concludere le attività didattiche dell'anno scolastico 2015-2016;
   la somma residua, pari a 68.450 non consente al PICAI, senza il ripristino del contributo pubblico, di assumere alcun impegno per l'avvio, a settembre, del nuovo anno scolastico 2016-2017, semmai sarà appena sufficiente per lo smobilizzo delle strutture impiegate per lo svolgimento dei corsi di italiano;
   tale stato di cose porterà alla fine dell'ultraquarantennale attività del PICAI e alla chiusura dell'ente intorno al quale ha ruotato l'apprendimento dell'italiano a Montreal e nell'area del Quebec, con un obiettivo arretramento dell'offerta linguistica in una realtà di forte tradizione italiana e di notevole peso demografico nel contesto canadese;
   una volta esaurita la riserva finanziaria dell'ente e, dunque, superata la situazione che avrebbe impedito il parere positivo delle autorità diplomatiche e consolari, sembra evidente l'esigenza di riammettere l'ente in tempi utili al finanziamento ministeriale, al fine di assicurare la continuità dell'attività di insegnamento del PICAI e l'apertura del nuovo anno scolastico, che avverrà, come è noto, nel mese di settembre –:
   se non intenda assumere iniziative anche alla luce della prevedibile reintegrazione dei fondi sul capitolo 3153, per la quale a quanto risulta all'interrogante c’è un impegno dello stesso Ministro, per prevedere un contributo ministeriale a favore del PICAI capace di integrare i proventi provenienti dalle famiglie e di scongiurare il blocco delle attività per il prossimo anno scolastico, con preoccupanti conseguenze sui livelli di offerta della lingua e cultura italiane a Montreal e in altre realtà del Quebec. (4-12897)


   FITZGERALD NISSOLI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la rete diplomatico-consolare per espletare al meglio le proprie funzioni si avvale, oltre che del personale di ruolo del Maeci, anche di personale a contratto, che risulta essenziale per il buon funzionamento degli uffici;
   anche presso le sedi diplomatico-consolari italiane negli USA opera personale a contratto che svolge con professionalità ed alto spirito di servizio il proprio lavoro venendo incontro, nel miglior modo possibile, alle esigenze dei connazionali residenti in USA;
   detto personale a contratto non ha avuto alcun aumento retributivo da circa 15 anni, mentre il costo della vita negli USA risulta essere aumentato ed i costi della sanità e della scuola sono decisamente più rilevanti che in altri Paesi;
   quanto avvenuto ha comportato disagio per questi impiegati a contratto che registrano limitazioni alla copertura sanitaria da parte dell'amministrazione ed, in particolare, l'eliminazione della copertura assicurativa dentistica;
   risulta, ad oggi, che l'amministrazione del Maeci abbia dato comunicazione circa le percentuali di adeguamento retributivo per i lavoratori operanti nei Paesi oggetto di vistosi ritardi su questo fronte, e tra questi emerge un aumento del 5 per cento in capo agli impiegati negli USA, un aumento che risulta, a giudizio dell'interrogante, nettamente insufficiente per colmare il ritardo in corso;
   inoltre, sul piano previdenziale, si registra una insufficienza della percentuale della contribuzione ammessa sulla retribuzione complessiva, cosa che non permette di garantire un trattamento pensionistico giusto e sufficiente;
   negli USA, coloro che lavorano per un Governo straniero e non sono cittadini americani non possono effettuare versamenti alla social security per cui rischiano di non avere la necessaria copertura sanitaria –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interrogato per venire incontro alle necessità di tale categoria di lavoratori sia sul piano dell'adeguamento salariale sia sul piano dell'impegno a modificare la convenzione di sicurezza sociale Italia-USA, contemplando la possibilità, per detti lavoratori, di effettuare versamenti alla social security americana. (4-12900)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati forniti dall'Ispra, nell'ultimo rapporto di sintesi sul dissesto idrogeologico in Italia, ogni anno oltre un migliaio di frane colpiscono il territorio nazionale mentre il numero delle persone esposte a possibili fenomeni alluvionali di grave entità è di circa 2 milioni. Tra le 7 regioni maggiormente a rischio di dissesto idrogeologico figura anche la Basilicata;
   in Basilicata il rischio idrogeologico è piuttosto preoccupante e coinvolge almeno un centinaio di comuni. Si tratta di aree, che per particolari caratteristiche orografiche, sono prevalentemente collinari, montuose e quindi potenzialmente più esposte al rischio idrogeologico. Dai dati dell'Ispra emerge che il 17,8 per cento dei lucani, equivalente a 103.000 persone, vive nelle aree a rischio frana, mentre il 5,9 per cento , pari a 34.000 mila persone, vive in luoghi a rischio frana elevato;
   il 23 marzo 2016, il territorio del comune di Stigliano, in provincia di Matera, è stato interessato, a causa delle incessanti piogge e nubifragi, da una pericolosa frana verificatasi in località Serra Rotonda, che ha inghiottito il centro sociale anziani dell'ampiezza, di 2 mila metri quadri. Sono spaventose le immagini che hanno ripreso in diretta la frana, che era attesa da tempo;
   sui social network circola il video che riprende le fasi del crollo della sede del centro sociale anziani, che era stata sgomberata dal 2014. L'area interessata era fortunatamente disabitata e messa in sicurezza, ma le piogge abbondanti hanno rimesso in moto la frana con conseguenze fatali per il fabbricato risalente ai primi anni Ottanta;
   il fronte franoso non interessa solo l'area del centro sociale ma si estende per 1 chilometro e mezzo di ampiezza e 700 metri di profondità nel cuore del Paese; anche la zona del centro storico sarebbe stata interessata da un movimento franoso nella notte di Pasqua che ha portato allo sgombero in via Magenta di otto unità immobiliari. I sopralluoghi effettuati hanno evidenziato un'accelerazione della situazione di dissesto del fronte della frana esteso per circa cento metri;
   le criticità idrogeologiche e idrauliche del territorio lucano diventano emergenza e dissesto ogni qualvolta si abbattono piogge e nubifragi violenti e gli abitanti di Stigliano sono rimasti anche isolati a seguito del crollo del viadotto che collega la ex strada provinciale 2 Saurina al centro abitato e per pochi secondi le auto in transito non sono state ingoiate della voragine;
   è quanto mai necessario affrontare, tempestivamente e con il coinvolgimento di tutti i livelli di Governo, il tema del dissesto idrogeologico e, in particolare, degli ingenti danni provocati alle infrastrutture dagli eventi meteorologici, come è accaduto a Stigliano –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative per quanto di competenza, intenda assumere per fronteggiare i fenomeni di dissesto idrogeologico ed evitare il ripetersi di situazioni di rilevante criticità come quelle verificatesi nel territorio del comune di Stigliano, assicurando le risorse e il supporto necessario agli enti locali per la messa in sicurezza dei luoghi e l'incolumità dei cittadini. (4-12909)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   all'ombra degli oliveti cassanesi (Cosenza) si è consumata una storia di sofferenza e rifiuti con arsenico, metalli pesanti e amianto (ferriti di zinco) interrati fra gli agrumi e decine di famiglie corrose e logorate dal cancro;
   l'ingegnere Francesco Gallo, uno dei tanti cittadini toccati dalla malattia, racconta che: «Nel 1997 l'azienda Pertusola di Crotone, in odore di fallimento, necessitava di avviare un'urgente dismissione di circa 300 mila tonnellate di scorie e di materiali metallurgici che hanno letteralmente invaso i territori di Cassano (località Chidichimo e Tre Ponti) e di Cerchiara di Calabria (località Capraro). Non essendo mai stato accertato il motivo per cui questi materiali siano stati scaricati nel territorio della Sibaritide, è presumibile – alla luce di un fattore temporale – che il tutto sia nato da legami con il Crotonese. Nel 2008 – continua – viene quindi accertata l'origine dell'abuso da parte della Sindyal (ex Pertusola) nel sotterrare migliaia di tonnellate di ferriti nell'area. Ed è la stessa Sindyal, creatrice del danno, ad essere incaricata della bonifica della zona a fronte di 270 mila euro di spesa da affrontare con contributi statali. Il problema, tuttavia, non si risolve con la bonifica – ultimata nel 2011 – poiché, rispetto ai quantitativi indicati originariamente, mancherebbero all'appello circa 80 mila tonnellate di scarti di ferriti, insabbiate chissà dove. Nel 2013, intanto, si raggiunge un accordo risarcitorio per cui il comune di Cassano riceve circa 4 milioni e 700 mila euro a fronte di un presumibile danno d'immagine. Ma credo che si converrà con me nella consapevolezza che l'immagine è probabilmente la parte del danno dalla minor rilevanza di fronte a quello che poi è un disastro ambientale vero e proprio, con malattie tumorali che portano il nome di quelle scorie e intere famiglie, residenti nelle zone contaminate, morte di cancro. Nel frattempo, a novembre dello stesso anno, viene notificato un decreto di sequestro preventivo di un'area di circa 30mila metri quadrati in località Lattughelle, dove sono stati ritrovati rifiuti speciali e pericolosi. Tra di essi, è stata riscontrata una evidente somiglianza visiva con i contenuti di ferriti di zinco rinvenuti precedentemente nel territorio di Cassano. Ma nonostante il sindaco abbia subito emesso un provvedimento d'urgenza per eliminare il pericolo, sottoponendo l'area a sequestro – il che era un atto dovuto – ancora oggi nonostante il ritrovamento delle scorie non è stata attivata nessuna proceduta di sgombero, rimozione e attribuzione alla Sindyal dei rifiuti ritrovati. Inoltre, nonostante la verificata contaminazione dei terreni e delle risorse idriche, non è stato fatto alcuno studio o piano di caratterizzazione che potesse accertare l'effettivo danno. Si ritiene, peraltro, che la perimetrazione delle aree contaminate sia anche sottostimata rispetto alle reali dimensioni. Ed è qui che emerge tutta la negligenza degli enti istituzionali coinvolti, in particolare dall'Amministrazione comunale che, del risarcimento percepito, non ha speso un euro a sostegno delle famiglie affette, né per uno studio epidemiologico appropriato. I cittadini affetti dalle patologie si sono così ritrovati abbandonati, isolati, impotenti nell'affrontare i calvari delle migrazioni sanitarie, con tutte le ingenti spese che ne conseguono. Che alcuni, compreso il sottoscritto, possono permettersi. Altri, purtroppo, sono costretti ad arrendersi, con effetti ben immaginabili. Ci auguriamo, però, che con la stesura del Registro dei tumori – avviato dalla Regione solo nel 2015 – e con i risultati forniti dal dossier Sentieri realizzato dal Ministero della Salute (che aveva accertato nel 2013 il forte rischio tumorale concentrato nella zona di Cassano), si possa presto rilevare una riduzione delle patologie legate alla presenza delle ferriti. La mia – chiosa l'ingegnere – è una testimonianza che non deve solo fare informazione, ma che deve farsi portatrice di un messaggio: stimolare la sensibilità delle istituzioni perché mettano in moto tutti i meccanismi necessari alla risoluzione del problema»;
   in Calabria, il piano bonifiche è fermo dal 2002. Di recente, l'assessorato all'ambiente ha comunicato la stipula della convenzione tra il comune, di Crotone e la regione per l'attuazione del programma esecutivo per gli interventi di bonifica del sito su cui sono ubicate le acque di falda nell'area dell'azienda «Kroton Gres 2000» (ex Sasol). Un accordo di programma, già sottoscritto tra la regione e Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che ha portato ad ottenere dal Ministero la somma di un milione e 200 mila euro. È importante che iniziative analoghe siano poste in essere sull'intero territorio regionale, procedendo alla bonifica ed alla riqualificazione delle aree degradate che devono essere restituite alla collettività –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, i Ministri interrogati non ritengano urgente, per quanto di competenza, avviare un'indagine epidemiologica e uno studio più approfondito del fenomeno, anche per il tramite dell'Istituto superiore di sanità e con la collaborazione del comando carabinieri per la tutela dell'ambiente, che passi attraverso campionamenti di terra in località Lattughella nel comune di Cassano, da confrontare in seguito con i reperti bioptici e autoptici dei pazienti delle aree coinvolte, al fine di acquisire elementi per la tutela della salute dei cittadini;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per procedere alla bonifica del sito citato nelle premesse così come avvenuto per le acque di falda nell'area dell'azienda Agricola «Kryton Gres 2000».
(4-12927)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   IORI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in applicazione del decreto ministeriale 1o luglio 2014 «Nuovi criteri per l'erogazione e modalità per la liquidazione e l'anticipazione di contributi allo spettacolo vivo, a valere sul fondo unico dello spettacolo di cui alla legge 30 aprile 1985 n. 163» ed a seguito del parere consultivo espresso dell'apposita Commissione teatro/prosa del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, il direttore generale dello spettacolo dal vivo del Ministero dell'ambiente e delle attività culturali stesso con decreto del 22 luglio 2015 ha ripartito parte dei contributi del FUS – fondo unico dello spettacolo — destinati alle imprese di produzione teatrali, a valere per il triennio 2015-2017;
   nella ripartizione effettuata è stata operata una esclusione, caratterizzata dal fatto di colpire per l'intero triennio di erogabilità del fondo unico per lo spettacolo, il «genere operetta», settore peraltro sempre riconosciuto negli anni precedenti e portatore di una lunga e collaudata tradizione artistica, non solo in Italia ma anche in altri Paesi europei, specie in Francia, Germania, Austria, ove ha registrato la presenza di grandi autori artistico-musicali;
   tale esclusione contrasta con quanto stabilito dall'articolo 5 del decreto ministeriale 1o gennaio 2014 che fissa il sistema di valutazione delle domande per la determinazione e attribuzione del contributo, e con quanto esplicitato nello stesso modello emesso e validato dal Ministero con decreto 1o luglio 2014, laddove nella «domanda di programma annuale» si cita espressamente all'articolo 14, comma 1, che i beneficiari sono specificatamente definiti «imprese di produzione teatrale – commedia musicale e operetta» –:
   se, alla luce di più approfondite valutazioni, non si intendano riconsiderare i criteri di ripartizione del fondo unico per lo spettacolo per il triennio 2015-2017 proposti dalla commissione consuntiva che, per quanto riguarda l'operetta, ha espresso, ad avviso dell'interrogante, un orientamento estraneo al contenuto del decreto ministeriale 1o luglio 2014, articolo 14, comma 1. (5-08436)


   SGAMBATO, TARTAGLIONE, MALPEZZI, MANFREDI, FAMIGLIETTI, CAPOZZOLO e MANZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'archivio di Stato di Caserta ha sede dal 1972 nel capoluogo di provincia in un condominio per civili abitazioni, di cui occupa circa 3.000 metri quadrati tra seminterrato e pianoterra per depositi e primo piano per uffici con un costo di circa 200.000 euro annui;
   dal 3 luglio 1995 l'edificio storico della cosiddetta ex caserma Pollio, ubicato nell'emiciclo antistante alla reggia di Caserta, è stato destinato ad ospitare l'archivio di Stato di Caserta;
   i lavori di adeguamento dell'emiciclo vanvitelliano, non sono ancora iniziati; tra l'altro, oggi la caserma versa in una condizione di estremo degrado;
   è prevista una gara d'appalto per l'affidamento dei lavori di restauro e adeguamento funzionale, e il 24 marzo 2016 c’è stata la quarta seduta di gara;
   gli archivi di Stato sono articolazioni delle direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici (DRBCP), organi territoriali dipendenti dal punto di vista tecnico scientifico dalla direzione generale per gli archivi del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   ancora oggi l'archivio di Stato di Caserta continua a stare in una sede non idonea; più volte è stato annunciato, anche recentemente, da parte del Ministro Franceschini, l'impegno a verificare competenze e responsabilità di ogni istituzione coinvolta per evitare che trascorra invano altro tempo;
   il Ministro ha assicurato che dopo lo spostamento della scuola dell'Aeronautica militare e la razionalizzazione degli spazi della scuola superiore della pubblica amministrazione si è pronti ad investire milioni di euro per allestire questi spazi e altre risorse arriveranno dal piano strategico attrattori culturali –:
   se e in quali tempi si ritenga opportuno intervenire per il trasferimento dell'archivio presso i locali della reggia di Caserta attualmente disponibili, anche a seguito della riassegnazione degli spazi lasciati dall'Aeronautica militare, al fine di salvaguardare il patrimonio culturale del territorio. (5-08437)


   RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   entro il 10 aprile 2016 l'Italia avrebbe dovuto recepire la direttiva 2014/26/UE del Parlamento europeo e del Consiglio sulla gestione collettiva dei diritti d'autore e dei diritti connessi e sulla concessione di licenze multiterritoriali per i diritti su opere musicali, per l'uso online nel mercato interno;
   di fatto, tale direttiva invita gli Stati membri ad aprire le porte alla liberalizzazione della gestione dei diritti d'autore e delle licenze ad esse connesse, monopolizzata da oltre 130 anni dalla SIAE nel nostro Paese. In particolare, l'articolo 5, paragrafo 2, recita: «I titolari dei diritti hanno il diritto di autorizzare un organismo di gestione collettiva di loro scelta a gestire i diritti, le categorie di diritti o i tipi di opere e altri materiali protetti di loro scelta, per i territori di loro scelta, indipendentemente dallo Stato membro di nazionalità, di residenza o di stabilimento dell'organismo di gestione collettiva o del titolare dei diritti. A meno che non abbia ragioni oggettivamente giustificate per rifiutare la gestione, l'organismo di gestione collettiva è obbligato a gestire tali diritti, categorie di diritti o tipi di opere e altri materiali protetti, purché la gestione degli stessi rientri nel suo ambito di attività»;
   il Ministro interrogato, nel corso di un'audizione presso le commissioni riunite VII e XIV della Camera, il 30 marzo 2016, ha dichiarato che il recepimento della direttiva lascia uno spazio ai singoli Stati membri nel senso che non c’è nella direttiva un'indicazione su come i singoli Stati devono organizzarsi ma semplicemente alcuni principi che devono essere rispettati. [...] Il tema è se riformare l'attuale sistema e quindi scegliere una strada che sia una riforma profonda della SIAE o se invece andare verso una strada diversa che è una liberalizzazione e quindi più società che competono sullo stesso terreno dei diritti d'autore con modalità organizzative che decideranno, invece, di scegliere i singoli autori;
   il Ministro interrogato, in tale sede ha anche ricordato che, già dalla precedente legislatura, era stato affrontato il tema e che emersero proposte di completa liberalizzazione del sistema, sull'onda delle notizie non edificanti che venivano dalla SIAE;
   sebbene all'inizio del suo mandato il Ministro interrogato abbia dichiarato che il mercato doveva essere effettivamente liberalizzato, dalle recenti dichiarazioni, sembra all'interrogante che lo stesso sia adesso giunto alla diversa conclusione che il monopolio della SIAE debba essere difeso; inoltre, da fonti stampa risulta che il Ministro, nel corso di tale audizione, ha rilevato anche che la direttiva non dice agli Stati come debbano organizzarsi al loro interno, ma si limita a far riferimento all'esigenza di garantire ai titolari dei diritti di potersi rivolgere a collecting di altri Paesi europei e, d'altra parte, la stessa Corte di Giustizia, nel 2014, ha già stabilito la legittimità di un monopolio nazionale;
   di contro, la congettura espressa in difesa del monopolio SIAE stride fortemente con la realtà, risultando impossibile ad avviso dell'interrogante garantire libertà di scegliere società di tutela alternative alla SIAE senza incorrere comunque in essa. Un caso eclatante e significativo viene rappresentato, per esempio, dalla lettera di manleva SIAE: l'autore non iscritto alla SIAE è obbligato a presentare l'autocertificazione presso l'ufficio territoriale di riferimento in cui attesta che il repertorio musicale non è depositato negli archivi SIAE, pagando alla società un corrispettivo per ogni esibizione dal vivo;
   non è condivisibile la posizione del presidente della SIAE, Filippo Sugar, dichiarata in sede di audizione alla Camera dei deputati, il 3 febbraio 2016; al riguardo, lo stesso, che risulta essere anche editore dell'omonima major discografica, nonostante le disposizioni della direttiva 2014/26/UE, ha difeso la posizione monopolista della società nel settore dei diritti di autore, anche attraverso argomentazioni non veritiere, come emerge da un articolo de Il Fatto Quotidiano pubblicato l'8 febbraio 2016;
   come ha messo in evidenza un artista iscritto alla SIAE, il rapper Kento, decidere di intraprendere un percorso che possa essere una via di mezzo tra il mantenere il monopolio SIAE e riconoscere piattaforme di gestione diverse dalla SIAE non è una soluzione e gli autori legati alle netlabel, produzioni indipendenti o autoprodotte, non ne trarrebbero alcun riconoscimento professionale e vantaggi; in questo modo, andrebbero in perdita le produzioni creative, artistiche e culturali cosiddette «dal basso», che al contrario andrebbero supportate e incentivate. Inoltre, l'artista mette in evidenza le criticità del sistema dominato dalla SIAE, che, tra l'altro, sembra abbia un bilancio negativo per oltre 900 milioni di euro. Ciò è quanto risulta da un articolo del predetto giornale quotidiano del 7 aprile 2016;
   il mancato recepimento della direttiva in questione determina, oltre al rischio di sottoporre l'Italia all'ennesima procedura di infrazione, una situazione di evidente incertezza che potrebbe comportare uno stallo del mercato dei diritti d'autore, con conseguenti danni soprattutto per i titolari dei diritti; pertanto, sono necessarie ed urgenti delle iniziative da parte del Governo per dare idoneamente attuazione alla direttiva –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti esposti in premessa e se trovino conferma le dichiarazioni a lui attribuite;
   quali siano i motivi per i quali non abbia ancora assunto le iniziative di competenza per il recepimento della direttiva 2014/26/UE e se e quali iniziative intenda adottare per escludere una procedura di infrazione;
   se non ritenga opportuno istituire un tavolo tecnico per dare attuazione in modo opportuno e adeguato alle disposizioni della direttiva 2014/26/UE, in particolare, privando la SIAE del monopolio affinché nel settore si operi concretamente in regime di concorrenza;
   se non intenda istituire una commissione ministeriale volta a monitorare lo stato della SIAE al fine di verificarne la gestione, le attività, nonché il funzionamento degli organi sociali, accertando, per quanto di competenza, eventuali responsabilità nel settore. (5-08462)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NESCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'amministrazione comunale di Vibo Valentia, con la supervisione della Sovrintendenza archeologica della Calabria, sta procedendo alla riqualificazione di via Paolo Orsi che, oltre ad essere una strada di collegamento con il cimitero del luogo, è via di grande valenza archeologica;
   lo stesso coinvolgimento della soprintendenza è stato determinante nella fase di progettazione dell'intervento, sia per il grande interesse storico del parco, sia perché a monte della strada vi è la zona del rinvenimento del tempio al Cofino, ovvero una delle aree del parco archeologico urbano, già finanziato con tre milioni di euro di cui lavori di allestimento attendono a breve di essere completati. È infatti proprio la via Paolo Orsi che nell'ideale percorso del parco mette in comunicazione la sommità della collina con il Belvedere, altra grande area di rilevanza storico-culturale della città compresa nel succitato istituendo Parco Archeologico;
   occorre sottolineare, dunque, che si tratta della riqualificazione del tracciato viario di una delle zone archeologiche più importanti della città di Vibo Valentia;
   secondo quanto si legge su « Il Quotidiano del Sud» del 15 aprile 2016, tali lavori stradali hanno fatto emergere di recente un ulteriore tratto delle monumentali mura greche dell'antica Hipponion, ma questi – si legge nel succitato articolo – «col placet della Sovrintendenza Archeologica della Calabria (complice verosimilmente la mancanza di fondi), anziché essere resi fruibili a studiosi e visitatori, finiranno di nuovo sotto terra»;
   se così fosse, sarebbe uno scempio;
   sul costone della stessa strada, infatti, si intravedono i resti di altre porzioni delle mura greche sopraffatti dalle macerie di risulta dei lavori in corso. Pietrame e resti di arenaria misti a terra impediscono addirittura di accedere alle mura greche indagate da Paolo Orsi;
   secondo quanto documentato ancora dalle cronache locali, i lavori sono eseguiti da una ditta per conto del Comune sotto la supervisione diretta del personale della Soprintendenza, vista l'enorme valenza storica del ritrovamento. Ma nonostante ciò, come detto, i resti verrebbero nuovamente sotterrati per far posto a una condotta idrica perché, a quanto pare, comune e soprintendenza archeologica della Calabria, per rispettare tempi e modi progettuali, non vogliono interrompere i lavori di posa dei tubi per lo scorrimento delle acque bianche su quei tratti nuovi, imponenti ed inediti delle mura di Hipponion;
   inoltre, come si legge ancora nell'articolo, «proprio ieri il Comune ha dato il via libera alla realizzazione del primo lotto dei lavori per il parco archeologico "Hipponion – Vibo Valentia" che riguarda anche quest'area»;
   da un lato, dunque, si cerca di preservare un sito archeologico di elevato pregio, mentre dall'altro lo si affonderebbe a colpi di cemento;
   secondo quanto stabilito dall'articolo 85, comma 2, del decreto legislativo n. 490 del 29 ottobre 1999 («Testo unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali»), «il Ministero (dei beni e delle attività culturali; nda) può con suo decreto ordinare l'occupazione temporanea degli immobili ove devono eseguirsi i lavori» –:
   se sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   quali iniziative urgenti intenda assumere affinché i resti rinvenuti vengano portati alla luce e pienamente tutelati.
(4-12898)


   L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si richiama l'interrogazione parlamentare n. 4-08836 e la relativa risposta del sottosegretario per i beni e le attività culturali e il turismo Ilaria Carla Anna Borletti dell'Acqua;
   nella stessa risposta si rileva che la Commissione Cultura della Camera dei deputati, con l'attiva partecipazione del Ministero sta esaminando una «organica proposta normativa volta ad avviare una vera e propria politica di promozione della lettura, attraverso una varietà di strumenti, e in particolare l'istituzione del Piano d'azione nazionale per la promozione della lettura, da adottarsi entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge». Una proposta che, come dichiarato dallo stesso sottosegretario, «si confida possa diventare legge in tempi ragionevoli» e «dovrà comunque essere corredata di una significativa dotazione finanziaria per poter produrre i risultati sperati»;
   oltre il consueto appuntamento letterario di luglio a Polignano a Mare con il festival, nell'ambito del «Libro Possibile» si contano diverse iniziative in ben 11 comuni baresi: il Libro Possibile Winter – Adelfia, Bari, Capurso, Cellamare, Gioia del Colle, Triggiano, Turi, Valenzano (da novembre ad aprile); il Vino Possibile – Polignano a Mare (Luglio); Episodi – Grotte di Castellana (da marzo a giugno); Il Carnevale Possibile – Putignano (gennaio-febbraio);
   il festival letterario «Il Libro Possibile» (che come già illustrato nella richiamata interrogazione deve scontare il drastico taglio dei contributi pubblici dei diversi enti) attende il riconoscimento da parte della regione Puglia dei seguenti contributi: euro 4.750 come saldo dell'anno 2013, euro 5.750 come saldo dell'anno 2014 ed euro 41.000 come intero contributo dell'anno 2015 –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa e con quali modalità ritenga possibile intervenire, per quanto di competenza, per garantire il futuro della manifestazione letteraria «Il Libro Possibile», punto fermo dell'offerta turistica e culturale dell'intera Puglia, alla luce degli ingenti e continui tagli sul versante «cultura» perpetrati negli anni e alla luce dell'inefficienza e della lentezza burocratica della regione Puglia nell'erogare i previsti contribuiti. (4-12921)


   FUSILLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di settembre del 2015 il comune di Penne in provincia di Pescara ha avviato il procedimento per la verifica dell'interesse culturale ai sensi dell'articolo 12 del decreto legislativo n. 42 del 2004 su un edificio di proprietà codesto ente, ai fini della sua successiva alienazione;
   la deliberata alienazione si rendeva necessaria ai fini del mantenimento degli equilibri di bilancio del comune in questione e, pertanto, era necessario completarla entro il 31 dicembre 2015;
   detta urgenza, con l'esplicitazione del relativo interesse pubblico, era ampiamente segnalata nella corrispondenza intervenuta nel corso dell’iter procedimentale e nelle interlocuzioni sostanziali tra i soggetti interessati;
   in data 29 dicembre 2015, approssimandosi il termine sopra indicato, la presidenza della regione e Abruzzo, sollecitata all'uopo da segnalazione istituzionale del comune interessato, con propria comunicazione, sottoponeva la questione di che trattasi all'attenzione della direzione generale belle arti e paesaggio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   in data 30 dicembre 2015, con nota protocollo 326772/SQ, il segretariato regionale per l'Abruzzo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, comunicava al comune di Penne «... che l'immobile cui all'oggetto non presenta interesse culturale», pur esplicitando come il definitivo parere dovesse essere espresso dalla Commissione regionale per il patrimonio culturale;
   in data 31 dicembre 2015, la direzione generale belle arti e paesaggio del suddetto Ministero, probabilmente a causa della ormai presumibile scadenza del termine di urgenza sopra indicato e ampiamente segnalato in precedenza, con nota protocollo 32306 pari data a firma del direttore generale architetto Scoppola, indirizzata in primis alla soprintendenza per i beni architettonici dell'Abruzzo con esclusione della città dell'Aquila e dei Comuni del Cratere, trasmetteva la comunicazione del Comune di Penne e richiedeva agli uffici territoriali «... di voler concludere la procedura con la massima sollecitudine ...»;
   in pari data la medesima direzione inviava ulteriore nota protocollo 32309 ai medesimi indirizzari, sempre a firma del direttore generale, con la quale, stante l'urgenza, si comunicava che «questa Direzione Generale ritiene di poter anticipare informalmente il nulla osta alla vendita della porzione immobiliare del bene in questione»;
   in data 4 aprile 2016 la soprintendenza per i beni architettonici dell'Abruzzo con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del Cratere riteneva rispondere alla sola nota protocollo 32306, a firma del direttore generale architetto Scoppola, con propria rata protocollo 50, peraltro a firma dell'architetto Orsatti, d'ordine del soprintendente, con la quale comunicava alla direzione generale, al segretariato generale e al comune di Penne che «(omissis) ... sottolinea che la Commissione Regionale nell'ultima seduta del 26 novembre 2015 non è stata investita dell'urgenza del provvedimento»;
   nella nota si legge ancora: «Pertanto ai sensi [... omissis ...] l'immobile deve ancora intendersi sottoposto a tutela e che l'alienazione dello stesso deve essere conseguente alla procedura di sdemanializzazione. Si vuole inoltre rappresentare che la verifica dalla sussistenza dell'interesse culturale effettuata dalla commissione non può essere sostituita da eventuali note o pareri di altri organi seppur informali [... omissis. ..] probabilmente riferendosi, l'architetto Orsatti, secondo l'interrogante, alla nota protocollo 32309 sopra richiamata della direzione generale;
   peraltro, successivamente a questa nota, la commissione regionale sopra richiamata tornava a riunirsi in data 21 gennaio 2016 ed anche in questa seduta, su richiesta della soprintendenza per i beni architettonici dell'Abruzzo con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del Cratere (che peraltro aveva già dichiarato il non interesse culturale all'edificio con nota n. 11285 dell'11 novembre 2015), deliberava di soprassedere sulla decisione per un di istruttoria;
   l’iter procedimentale sopra esposto si concludeva solo nella seduta della commissione regionale 15 marzo 2016 con la conferma, peraltro scontata, del parere di non interesse culturale all'edificio;
   le circostanze sopra esposte esprimono una situazione di difficoltà oggettiva nei rapporti tra le Istituzioni territoriali dell'Abruzzo e le articolazioni del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo competenti sul territorio, che trova conferma anche in altri procedimenti che, solo per brevità, non si illustrano in questa interrogazione;
   detta situazione può determinare effetti distorsivi nell'applicazione del principio del buon andamento della pubblica amministrazione e conseguenza negative per la realizzazione dell'interesse pubblico che tutti i soggetti interessati ai procedimenti sopra indicati certamente perseguono –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato per verificare le cause delle situazioni esposte in premessa al fine di accertare se le anomalie siano dovute a carenze strutturali degli uffici della Soprintendenza per i beni architettonici dell'Abruzzo con esclusione della città dell'Aquila e dei comuni del Cratere o ad altre motivazioni connesse con l'articolazione funziona le e/o gerarchica della medesima struttura. (4-12926)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FRUSONE, BASILIO, CORDA, RIZZO, TOFALO e PAOLO BERNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Marina militare ha in via di acquisizione complessivamente dieci unità navali classe FREMM, un progetto bilaterale con la Marine Nationale francese;
   a partire dalla metà del 2013, su disposizione del Capo di Stato maggiore della Marina, ammiraglio Giuseppe De Giorgi, dette fregate, comprese quelle già costruite, vennero sottoposte ad un programma di, modifiche interne alquanto impegnativo che prevedeva, secondo quanto precisato dall'appunto SP/170 in data 25 luglio 2013 del direttore della direzione degli armamenti navali ammiraglio ispettore capo Ernesto Nencioni: la revisione e il cambio di configurazione di quadrati e mense, l'unificazione degli alloggi ammiraglio e comandante, la realizzazione di una sea cabin del comandante in plancia;
   dallo stesso appunto risulta che il preventivo di spesa proposto da Fincantieri per la realizzazione di suddette modifiche variava da 10,97 a 12,986 milioni di euro per la riconfigurazione del quadrato e mense e circa 30 milioni per l'unificazione degli alloggi ammiraglio e comandante e la creazione di una sea cabin in plancia;
   dallo stesso appunto dell'ammiraglio Nencioni risulta che le residuali disponibilità economiche del programma FREMM non erano tali da garantire la copertura di tale spesa;
   in risposta, con lettera protocollo 1132 del 12 agosto 2013, l'ammiraglio De Giorgi sollecita l'effettuazione dei lavori, definiti «irrinunciabile obiettivo», anche per garantire i «desiderati livelli di rappresentanza in particolare con comando complesso imbarcato»;
   in una successiva lettera del 3 settembre 2013 protocollo 0708729, l'ammiraglio Nencioni informava De Giorgi che Fincantieri sarebbe stata disposta ad accordare uno sconto del 15 per cento sui lavori al quadrato ma nessuna riduzione invece per l'unificazione degli alloggi ammiraglio e comandante;
   un comunicato stampa dello Stato maggiore della Marina in data 12 aprile 2016 con riferimento alle notizie apparse su vari organi di stampa relativamente a detti lavori aggiuntivi alle navi classe FREMM sostiene: «Per quanto riguarda le modifiche alle unità navali FREMM, non hanno richiesto fondi aggiuntivi, rispetto a quelli previsti dal programma. Le modifiche erano necessarie per migliorare la polivalenza dei locali bordo, al fine del loro utilizzo quali infermerie, aule briefing e aggiuntivi spazi di comando e controllo»;
   il comunicato in parola, mentre opportunamente non accenna affatto alla questione della adeguata rappresentanza di cui parla la lettera del Capo di Stato maggiore, conferma tuttavia che le modifiche di cui parlano le note dell'ammiraglio Nencioni, sono state effettivamente realizzate, anche se sostiene che non sarebbero stati necessari fondi aggiuntivi;
   l'affermazione appare alquanto fuorviante in quanto, se anche non fosse stato necessario rifinanziare il programma per pagare le modifiche, certamente sono stati utilizzati a tal fine i fondi accantonati per un importo complessivo di circa 40 milioni di euro che, diversamente, avrebbero potuto essere restituiti all'erario –:
   se trovi conferma l'effettuazione dei lavori alle fregate classe FREMM nei termini indicati negli appunti citati;
   quale sia stato l'effettivo impegno economico e con quali fondi vi sia stato fatto fronte;
   se risponda a verità che l'ammiraglio ispettore capo Ernesto Nencioni rassegnò successivamente le dimissioni prima del raggiungimento dell'età pensionabile.
(5-08460)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VI Commissione:


   VILLAROSA, PESCO e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, in attuazione della direttiva 2014/59/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 15 maggio 2014, istituisce un quadro di risanamento e risoluzione degli enti creditizi e delle imprese di investimento: le disposizioni contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III del medesimo decreto legislativo sono dedicate all'istituto del bail-in ovverosia alla procedura di compensazione tra le perdite della banca ed azioni e altri strumenti finanziari posseduti da investitori e risparmiatori della stessa banca: la disciplina sul bail-in — ai sensi dell'articolo 106, comma 2, del medesimo decreto legislativo — è entrata in vigore «solo» a decorrere dal 1o gennaio 2016;
   il decreto legge 22 novembre 2015, n. 183, le cui disposizioni sono state successivamente inserite nella legge di stabilità 2016, ha disposto la risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio — Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A., già oggetto di commissariamento da parte della Banca d'Italia. La procedura di risoluzione, che ha determinato la riduzione del valore di azioni ed «obbligazioni subordinate», è stata avviata nel 2015 applicando le disposizioni contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III del decreto legislativo 16 novembre 2015, n. 180, che ai sensi del richiamato articolo 106 del medesimo decreto legislativo sono entrate in vigore solo a decorrere dal 1o gennaio 2016, per tal motivo — a giudizio degli interroganti – sembrerebbe che la procedura di risoluzione delle menzionate banche sia stata adottata in carenza di legittimazione normativa e se così fosse tutti gli atti adottati dal Governo, dal Ministero dell'economia e delle finanze e da Banca d'Italia sarebbero nulli;
   la Commissione europea ha assunto, in data 23 dicembre 2015, la propria decisione sull'intervento di sostegno effettuato, nel 2014, dal Fondo interbancario di tutela dei depositi (FITD) in favore della Banca Tercas, in relazione all'acquisizione della stessa da parte della Banca Popolare di Bari;
   la Commissione sostiene che tale intervento costituisca un aiuto di Stato non compatibile con la disciplina europea. La Commissione europea, modificando il proprio orientamento, ha parificato l'intervento del FITD a una misura di supporto pubblico, perché, nonostante il FITD sia costituito da risorse private, i suoi interventi sono imputabili allo Stato italiano in ragione dell'approvazione ex post da parte della Banca d'Italia delle decisioni che li dispongono e dell'obbligatorietà dell'adesione al Fondo; per evitare che l'intervento del FITD sia qualificato come aiuto di Stato è necessaria la previsione di misure di contenimento della distorsione della concorrenza, tra cui in particolar modo, la condivisione degli oneri, da parte dei detentori di obbligazioni subordinate (cosiddetto burden-sharing); così come dichiarato dal Ministero dell'economia e delle finanze in data 23 dicembre 2015, il FITD, su suggerimento ed impulso del medesimo Ministero, ha provveduto ad istituire un meccanismo complementare volontario con una gestione separata e finanziato con risorse diverse dalle contribuzioni obbligatorie; altresì, dal comunicato stampa del Ministero si apprende: «Il meccanismo volontario, per definizione non assoggettabile ai vincoli previsti per gli aiuti di Stato, provvederà a replicare il precedente interventi, restituendo alla Banca Tercas l'intero ammontare delle risorse che questa dovrà retrocedere al FITD in esecuzione della decisione della Commissione. L'intervento del meccanismo garantirà la piena continuità finanziaria e operativa di Banca Tercas, neutralizzando le conseguenze negative della decisione della Commissione europea.»: si desume — quindi — che un intervento del FITD con finanziamenti volontari risulta pienamente compatibile con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato;
   nel mese di dicembre 2015 si è assistito a due tipologie di risoluzione di crisi bancarie, la prima relativa a Banca Tercas, conclusasi con esito favorevole nei confronti dei risparmiatori che hanno sottoscritto obbligazioni subordinate e la seconda relativa a Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., di Banca delle Marche S.p.A., di Banca popolare dell'Etruria e del Lazio — Società cooperativa e di Cassa di risparmio di Chieti S.p.A, conclusasi con la riduzione totale del valore delle azioni e delle obbligazione subordinate detenute da investitori e risparmiatori; il diverso modus operandi assunto dal Governo, dal Ministro dell'economia e delle finanze, dalla Banca d'Italia e le relative conseguenze giuridiche sono agli antipodi ed in considerazione del fatto che nella seconda ipotesi i risparmiatori hanno perso i propri risparmi si palesa ad avviso degli interroganti una chiara ed irragionevole disparità di trattamento sindacabile ai sensi del principio di eguaglianza e ragionevolezza di cui all'articolo 3 della Costituzione; altresì si aggiunge che la disciplina sul bail-in risulta essere, secondo gli interroganti, costituzionalmente illegittima, in quanto in contrasto con le disposizioni di cui all'articolo 47 della Costituzione (La Repubblica incoraggia e tutela il risparmio in tutte le sue forme; disciplina, coordina e controlla l'esercizio del credito);
   nella comunicazione di avvio della risoluzione emanata da Banca d'Italia si evince: «la riduzione integrale delle riserve e del capitale rappresentato da azioni, anche non computate nel capitale regolamentare, e del valore nominale degli elementi di classe 2, computabili nei fondi propri, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 27, comma 1, lett. b), e dell'articolo 52, comma 1, lett. a), punti i) e iii) decreto legislativo 180 del 2015: infatti le deliberazioni n. 553, 554, 555 e 556 del 21 novembre 2016 della Banca d'Italia con le quali si avvia ufficialmente la procedura di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., Banca delle Marche S.p.A., Banca popolare dell'Etruria e del Lazio — Società cooperativa e Cassa di risparmio di Chieti S.p.A, rinviano all'articolo 52 del decreto legislativo n. 180 del 2015 per stabilire l'ordine e le modalità di applicazione del « bail in». In realtà, così come indicato dall'articolo 106 del medesimo decreto legislativo, le disposizioni contenute nel Titolo IV, Capo IV, Sezione III, ivi comprese le disposizioni di cui all'articolo 52 sarebbero entrate in vigore solo a decorrere dal 1o gennaio 2016;
   ai sensi dell'articolo 23 della Costituzione: «Nessuna prestazione personale o patrimoniale può essere imposta se non in base alla legge»: in base alla gerarchia delle fonti dell'ordinamento giuridico italiano in relazione agli investitori ed ai risparmiatori di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., Banca delle Marche S.p.A., Banca popolare dell'Etruria e del Lazio — Società cooperativa e Cassa di risparmio di Chieti S.p.A, è stata avviata una procedura di riduzione del valore degli strumenti finanziari di investimento e risparmio in proprio possesso – rectius è stata richiesta una prestazione patrimoniale – in assenza di una disposizione legislativa che sarebbe entrata in vigore solo a decorrere dal 1o gennaio 2016. La disposizione costituzionale afferma il principio secondo il quale l'amministrazione pubblica e la giurisdizione non hanno altri poteri se non quelli conferiti dalla legge, quindi, ai cittadini non può essere richiesta una prestazione patrimoniale se non per legge;
   altresì, secondo il dispositivo dell'articolo 4 del Capo I «Fonti del diritto» del codice civile: «I regolamenti non possono contenere norme contrarie alle disposizioni delle leggi. I regolamenti emanati a norma del secondo comma dell'articolo 3 non possono nemmeno dettare norme contrarie a quelle dei regolamenti emanati dal Governo.»; il comma 1 è esplicazione del principio di legalità ed in particolare del principio di prevalenza della legge rispetto al regolamento, che quindi non può prevedere disposizioni in contrasto con la legge;
   il suddetto principio evita che, ad esempio, l'introduzione di un nuovo obbligo a carico dei cittadini che preveda un'applicabilità solo decorso un certo periodo di tempo diventi invece per prassi un obbligo immediatamente applicabile; questo principio è stato ulteriormente avvalorato dalla recente sentenza della Corte Costituzionale che ha dichiarato «l'illegittimità costituzionale» della riduzione dell'arco temporale lasciato a disposizione dei cittadini italiani possessori di monete o banconote in valuta «lira» sancita dall'articolo 26 del decreto-legge n. 201 del 2011 predisposto dal Governo Monti –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere ogni iniziativa di competenza volta ad annullare immediatamente gli effetti della procedura di risoluzione di Cassa di risparmio di Ferrara S.p.A., Banca delle Marche S.p.A., Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa e Cassa di risparmio di Chieti S.p.A, e gli effetti delle disposizioni di cui al decreto-legge n. 183 del 2015, inserite successivamente nella legge di stabilità 2016, al fine di evitare che una eventuale dichiarazione di illegittimità costituzionale possa arrecare maggiori oneri per la finanza pubblica. (5-08450)


   PELILLO e FRAGOMELI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale sistema di tassazione dei redditi di natura finanziari applicabile alle persone fisiche e agli enti equiparati si basa su tre differenti regime: il cosiddetto regime dichiarativo; il cosiddetto regime amministrato e il cosiddetto regime gestito;
   il contribuente che determina l'imposta ai sensi dell'articolo 5 del decreto legislativo 21 novembre 1997, n. 461, nell'ambito del regime dichiarativo, può utilizzare le eventuali minusvalenze realizzate su investimenti di natura finanziaria in compensazione con le plusvalenze di analoga natura realizzate nel medesimo periodo d'imposta (e, quindi, anche antecedentemente al realizzo delle minusvalenze) e nei quattro periodi d'imposta successivi;
   i contribuenti in regime di risparmio amministrato, di cui all'articolo 6 del citato decreto legislativo n. 461 del 1997, possono compensare le minusvalenze realizzate solo con le plusvalenze realizzate nella medesima giornata e successivamente, sia nel medesimo periodo d'imposta che nei quattro successivi;
   il contribuente in regime di risparmio cosiddetto gestito in cui vi è la delega a un intermediario per l'esecuzione degli adempimenti fiscali riguardanti i propri risparmi ai sensi dell'articolo 7 del citato decreto legislativo n. 461 del 1997, risulta sottoposto a tassazione del risultato netto di gestione maturato alle fine di ciascun periodo d'imposta, con automatica compensazione non solo delle minusvalenze realizzate nel corso del periodo, ma anche di quelle solamente iscritte, cioè da valutazione e l'eventuale risultato netto negativo di gestione è riportabile nei quattro periodi d'imposta successivi;
   in caso di investimento in azioni o titoli assimilati l'attuale normativa non consente di quaiificare come minusvalenza, da utilizzare in compensazione delle plusvalenze di analoga natura cosiddetto regime dichiarativo e amministrato, la perdita sofferta dall'investitore allorquando l'emittente va in default, viene cioè posto in liquidazione, fallimento o sottoposto ad altra procedura concorsuale o procedura estera equivalente;
   l'articolo 67, comma 1, lettere c) e c-bis), del testo unico delle imposte sui redditi — TUIR di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, fa esclusivo riferimento alle plusvalenze — e, di conseguenza — anche alle minusvalenze — realizzate mediante cessione a titolo oneroso di partecipazioni;
   in caso di investimento in titoli obbligazionari, l'attuale formulazione della norma consentirebbe di qualificare come minusvalenza la perdita sofferta dall'investitore in caso di default  dell'emittente, in quanto il predetto articolo 67 fa riferimento sia alle plusvalenze e alle minusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso sia a quelle realizzate in sede di rimborso del titolo; ne consegue che si dovrebbe configurare come minusvalenza non solo la perdita derivante dal rimborso non integrale di un titolo obbligazionario a causa del default dell'emittente, ma anche quella derivante dal mancato rimborso dello stesso;
   la perdita su partecipazioni non qualificate rientra nell'ambito di applicazione dei redditi di capitale, senza assumere però rilevanza, in quanto tali redditi non possono avere segno negativo; diversamente, nel caso di azioni detenute nell'ambito di un regime gestito, la minusvalenza derivante dal default dell'emittente assume rilevanza in virtù delle modalità di calcolo della base imponibile che si basa sul risultato netto di gestione;
   l'attuale sistema di tassazione dei redditi di natura finanziaria non solo non consente di «recuperare» la perdita sofferta in caso di default dell'emittente, pari al costo di acquisto delle azioni, ma comporta anche una disparità di trattamento fra chi detiene azioni di emittenti in default nell'ambito del regime dichiarativo o amministrato e chi, invece, le detiene nell'ambito di un regime gestito –:
   quali iniziative intenda intraprendere per ripristinare l'equivalenza di trattamento fra risparmiatori azionisti che si trovano a dover sopportare una perdita in caso di default dell'emittente nell'ambito del regime dichiarativo o amministrato, ovvero nell'ambito del regime gestito, a tal fine anche prevedendo la possibilità di imputare tali perdite quali minusvalenze da utilizzare in compensazione con le plusvalenze della medesima natura.
(5-08451)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 14 febbraio 2016, n. 18, oltre a recare misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo e un regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio, ha previsto anche una garanzia per cartolarizzazione dei crediti in sofferenza (cosiddetta GACS);
   il Capo II (articoli da 3 a 13) del provvedimento, infatti, reca misure volte a definire un meccanismo per smaltire i crediti in sofferenza presenti nei bilanci di banche e intermediari, da attuare mediante la concessione di garanzie dello Stato nell'ambito di operazioni di cartolarizzazione che abbiano come sottostante crediti in sofferenza (garanzia cartolarizzazione crediti in sofferenza – GACS);
   in estrema sintesi, oggetto della garanzia dello Stato sono solo le cartolarizzazioni cosiddette senior, ossia quelle considerate più sicure in quanto sopportano per ultime le perdite derivanti da recuperi sui crediti inferiori alle attese;
   le garanzie possono essere chieste dalle società che cartolarizzano e cedono i crediti in sofferenza, a fronte del pagamento di una commissione periodica al Ministero dell'economia e delle finanze, calcolata come percentuale annua sull'ammontare garantito;
   il prezzo della garanzia è di mercato, come anche ribadito dalla Commissione europea al fine di non dar vita ad aiuti di Stato;
   al fine del rilascio della garanzia, i titoli devono avere preventivamente ottenuto un rating uguale o superiore all’investment grade da un'agenzia di rating indipendente e inclusa nella lista delle agenzie accettate dalla BCE, secondo i criteri che le agenzie stesse sono tenute ad osservare;
   in questo contesto, particolare attenzione richiede il mondo dei Consorzi Fidi, costituito da società cooperative o consortili che hanno lo scopo di concedere una garanzie mutualistica su affidamenti concessi dalla banche alle imprese socie;
   secondo i dati ufficiali di Banca d'Italia, i Confidi garantiscono un totale di finanziamenti pari a 43 miliardi di euro, con garanzie rilasciate a favore delle banche per 21 miliardi di euro –:
   se, alla luce della normativa in essere, le garanzie rilasciate dallo Stato sulle operazioni di cartolarizzazione dei crediti in sofferenza (cosiddetta GACS), per i quali è stata rilasciata una garanzia di un Consorzio Fidi, si debbano intendere sostitutive e non integrative delle garanzie in essere dei Confidi. (5-08452)


   BUSIN, GUIDESI e BORGHESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 107 del 2015 ha riformulato il testo dell'articolo 15 del TUIR riguardante le detrazioni delle spese per l'istruzione, aggiungendo, al comma del suddetto articolo, la lettera e-bis in cui si prevede che si possa detrarre sull'imposta lorda un importo pari al 19 per cento degli oneri sostenuti per «le spese per la frequenza di scuole dell'infanzia del primo ciclo di istruzione e della scuola secondaria di secondo grado del sistema nazionale di istruzione» per un importo annuo non superiore a 400 euro per alunno o studente;
   dunque, rientrando nelle spese detraibili per la frequentazione scolastica, le spese sostenute per la mensa sono detraibili dalla dichiarazione dei redditi 2016 tramite modello 730 Unico;
   come risultato anche al Miur per l'individuazione dell'ambito interpretativo della nuova normativa, la stessa Agenzia delle entrate, nella circolare 3/E del 2 marzo 2016, ha specificato che «alla luce del combinato disposto delle lettere e-bis) e i-octies) dell'articolo 15, “i contributi volontari consistenti in erogazioni liberali finalizzate all'innovazione tecnologica (es. acquisto di cartucce stampanti), all'edilizia scolastica (es. pagamento piccoli e urgenti lavori di manutenzione o di riparazione), all'ampliamento dell'offerta formativa (es. acquisto di fotocopie per verifiche o approfondimenti) rientrano nell'ambito di applicazione della lettera i-octies). Invece, le tasse, i contributi obbligatori, nonché i contributi volontari e le altre erogazioni liberali, deliberati dagli istituti scolastici o dai loro organi e sostenuti per la frequenza scolastica ma non per le finalità di cui alla lettera i-octies) rientrerebbero nella revisione della lettera e-bis). Si citano, a mero titolo di esempio, la tassa di iscrizione, la tassa di frequenza e la spesa per la mensa scolastica”»;
   in realtà, agli interrogante sono pervenute segnalazioni in cui si denuncia la resistenza di alcuni CAF ad inserire le spese per la mensa scolastica tra le spese detraibili, in quanto non si riconoscono validi documenti di certificazione le ricevute di pagamento per la mensa e, al contempo, neanche la certificazione del comune che gestisce la mensa scolastica;
   sul sito istituzionale del CAF-ACLI, inoltre, è chiaramente riportato come non sia pacifico che le spese per la mensa scolastica siano detraibili in quanto la suddetta circolare dell'amministrazione finanziaria riporta sic et simpliciter la risposta del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca che, mantenendo «la distinzione tra i contributi volontari deducibili e le spese d'istruzione effettivamente detraibili», ipotizza, ma non dà per certo, che le tasse, i contributi obbligatori, i contributi volontari e le altre erogazioni liberali che non rientrano nelle previsioni della lettera i-octies) «rientrerebbero» nella fattispecie della lettera e-bis);
   di conseguenza, il CAF-ACLI ne deduce che, così facendo, «l'Agenzia non sembra aver fornito una risposta definitiva sulla specifica detraibilità della mensa», creando in questo modo una forte disomogeneità nell'applicazione della norma in base agli indirizzi assunti dalla diverse sedi territoriali, con grave pregiudizio dei contribuenti –:
   se sia a conoscenza della situazione esposta in premessa e se non ritenga opportuno provvedere al più presto, attraverso una circolare dell'amministrazione finanziaria o attraverso qualsiasi altro strumento che si ritenga appropriato, affinché si chiarisca che le spese per la mensa scolastica rientrano in maniera certa ed incontestabile nelle spese detraibili per la frequentazione scolastica e che, ai fini certificativi per la compilazione del modello 730 Unico, sia sufficiente la sola ricevuta in possesso del contribuente.
(5-08453)


   LAFFRANCO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Panama Papers è il nome di uno sterminato archivio di milioni di documenti che hanno svelato una rete di "conti segreti" nei paradisi fiscali di tutto il mondo (primo tra tutti Panama City, da cui il nome) attraverso la creazione di compagnie ad hoc (le cosiddette « Shell companies»);
   gente comune, celebrità varie, politici, imprenditori, professionisti, funzionari, ma anche personaggi dello spettacolo e dello sport di tutto il mondo si sono scoperti uniti, stando a queste esplosive rivelazioni, da una gigantesca rete di banche e consulenti in grado di dirottare di nascosto da ogni controllo di legalità, verso discreti isolotti offshore, masse di denaro per un valore di miliardi e miliardi di dollari;
   i Papers sono stati resi noti grazie ad un'inchiesta giornalistica internazionale senza precedenti, supportata dal The International Consortium of Investigative Journalists; i documenti sono stati fatti filtrare dallo studio legale Mossack Fonseca (con sede a Panama: non molto noto, ma con uffici sparsi nei 5 continenti da Miami, a Hong Kong, a Zurigo, a 42 altre località), una delle maggiori «fabbriche» di società offshore nel mondo;
   nei Panama Papers sono citati diversi nomi di nazionalità italiana, che operano e lavorano nel nostro Paese –:
   di quali documenti siano in possesso il Governo e l'Agenzia dell'entrate in merito ai dati relativi all'inchiesta riportata in premessa, e se e quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda intraprendere in proposito. (5-08454)


   PAGLIA e FASSINA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nelle scorse settimane ha tenuto banco su tutti i media internazionali lo scandalo finanziario denominato « Panama Papers», che sta investendo centinaia di nomi più o meno noti e più o meno importanti dell'imprenditoria, della finanza, della politica e dello sport di tutto il mondo e che stante la dimensione dei file svelati viene considerata la più grande fuga di notizie di tutti i tempi;
   secondo la ricostruzione di Wikileaks e dell'agenzia giornalistica internazionale Icji, che hanno diffuso in rete la miriade di documenti e file segreti comprovanti la loro inchiesta, tutti i soggetti coinvolti nel suddetto scandalo si sarebbero rivolti negli ultimi quarant'anni ad un influente studio legale, il Mossack Fonseca, con sede a Panama, per aprire all'estero società «di comodo», allo scopo di evadere le tasse e riciclare denaro facendolo confluire nei paradisi fiscali;
   sarebbero circa 800 i concittadini sedotti dal meccanismo ideato dallo studio Mossak Fonseca per evadere il Fisco attraverso la movimentazione dei loro capitali verso paradisi fiscali;
   lo scandalo dimostra che, nonostante siano stati firmati accordi di disclosure con alcuni dei principali paradisi fiscali europei (primo fra tutti quello con la confederazione elvetica sullo scambio di informazioni), le vie dell'evasione fiscale non si sono chiuse e che i flussi di capitale sottratti al fisco italiano, grazie anche al ruolo centrale di smistamento svolto dalla stessa Svizzera, hanno virato verso i Paesi esotici;
   in principio fu la lista Falciani a far vacillare la sicurezza dell'evasione fiscale internazionale, con la consegna da parte di un dipendente del colosso HSBC, Hervé Falciani, ai magistrati d'oltralpe di un corposo dossier contenente i nomi dei clienti della banca che avevano illegalmente esportato i loro fondi in Svizzera, con finalità di evasione fiscale; incrociando i dati che emersero a quei tempi con quelli dello scandalo Panama Papers emergono, infatti, molti legami tra la banca Hsbc e lo studio legale Mossack Fonseca;
   nella giurisprudenza della Corte di cassazione-sezione tributaria si rinvengono decisioni che evidenziano come la violazione delle regole dell'accertamento tributario non comporti necessariamente l'inutilizzabilità degli elementi acquisiti «in mancanza di una specifica previsione in tal senso» (Cassazione sezione tributaria n. 14058 del 2006 che richiama Cassazione n. 8344 del 2001): è evidente, dunque, che indipendentemente dalla valutazione dell'utilizzabilità delle prove in sede penale, la documentazione acquisita in qualsiasi modo da cui emerga, ad esempio, che molti cittadini dei diversi Paesi dell'Unione europea (e quindi anche dell'Italia) dispongono presso la banca di cospicui fondi, non denunciati al fisco, come nel caso relativo alla cosiddetta lista Falciani, possa legittimante essere utilizzata dall'Agenzia delle entrate per disporre accertamenti fiscali, la cui contestazione in sede di giudizio tributario è possibile in forza dei normali criteri di illegittimità degli atti e degli accertamenti dell'Agenzia, senza tuttavia poter dedurre l'illegittima acquisizione degli atti da cui è originata l'indagine fiscale, anche se fossero ritenuti inutilizzabili dall'autorità penale; pur trattandosi, pertanto, di documenti di origine illecita, il loro contenuto può essere utilizzato nel processo tributario anche alla luce della giurisprudenza della Suprema Corte che consente che dati bancari «irritualmente» acquisiti nell'indagine penale a carico del contribuente o di terzi siano sempre utilizzabili ai fini dell'accertamento fiscale;
   nel corso di un'intervista rilasciata il 13 aprile 2016 al Sole 24 Ore, il Ministro interrogato ha testualmente annunciato: «Stiamo facendo un tagliando ai meccanismi di rientro dei capitali, se una macchina funziona e ci sono ancora chilometri da fare si può usare ancora», alludendo alla eventualità di avviare una nuova procedura di « voluntary disclosure», nonostante solo una settimana prima il Viceministro dell'economia e delle finanze Enrico Zanetti avesse promesso, testualmente, «giusta e profonda tribolazione» e «sanzioni salatissime» per i circa ottocento italiani coinvolti nel caso Panama papers che «non hanno sfruttato la finestra per l'emersione dei capitali all'estero, appena chiusa», e il consigliere economico del Ministro dell'economia e delle finanze Vieri Ceriani avesse dichiarato che la voluntary disclosure chiusasi a fine 2015 sia stata l'ultima «occasione per fare pace con il Fisco italiano» –:
   se il Governo intenda, realmente adottare nuove iniziative normative relative al rientro dei capitali dall'estero, ed in caso contrario come intenda l'amministrazione finanziaria gestire i dati acquisiti grazie all'inchiesta denominata « Panama papers». (5-08455)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CASTELLI e SIBILIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il 15, 16 e 17 aprile 2016, si è svolto a Roma, presso l'Hotel Cavalieri di Roma, il Meeting plenario della commissione trilaterale;
   tra gli italiani che hanno importanti ruoli istituzionali o pubblici hanno partecipato, Monica Maggioni (presidente Rai), Maria Elena Boschi (Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento), Paolo Gentiloni (Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale), Mario Monti (rettore Bocconi ex Presidente del Consiglio, ora senatore), Andrea Guerra (consigliere strategico del Presidente del Consiglio Renzi per le politiche industriali), Yoram Gutgeld (deputato, consigliere particolare del Presidente del Consiglio e commissario alla revisione della spesa); Giuseppe Bono (ad di Fincantieri), l'ammiraglio Giampaolo Di Paola (già Ministro della difesa del Governo Monti), la direttrice di Aspenia Marta Dassù (già sottosegretario per gli affari esteri, membro del consiglio di amministrazioni di Finmeccanica), Lapo Pistelli (ex viceministro degli affari esteri, oggi vicepresidente di Eni);
   la Commissione trilaterale è, a parere degli interroganti, un sodalizio paramassonico, dove personaggi con ruoli chiave si riuniscono per discutere e analizzare argomenti che dovrebbero essere piuttosto essere materia di dibattito parlamentare;
   tra gli argomenti del meeting in questioni, oltre alle questioni politiche internazionali, il 15 aprile si è parlato di «Plasmare il futuro dell'Italia in Europa»;
   a questo importante dibattito era presente Carlo Secchi, presidente del gruppo italiano della Commissione Trilaterale. Secchi nel 2014 a seguito di un incontro analogo diceva «Dopo Prodi, Monti e Letta, ora al Governo abbiamo la Guidi»;
   in questi ultimi mesi gli scandali che coinvolgono il Governo Renzi, mostrano, a parere degli interroganti, una Italia eterodiretta da poteri esterni al Parlamento. Imprenditori e funzionari pubblici spesso organizzati sembrano esercitare pressioni su esponenti dello Stato, della politica e del Governo, ottenendo, per quanto consta agli interroganti e sulla base di notizie di stampa, favori da vari ministri;
   il «caso Trivellopoli» ha portato alla luce diverse intercettazioni nelle quali sembrano essere coinvolti molti personaggi appartenenti a questo tipo di organizzazioni, delineando chiaramente, a giudizio degli interroganti, un cordone di comando esterno alla politica e alle cariche scelte dai cittadini come propri rappresentanti –:
   se il Governo sia a conoscenza di cosa la Commissione trilaterale abbia deciso in merito al tema «Plasmare il futuro dell'Italia in Europa» e se le scelte prese in questo meeting influenzeranno i documenti di programmazione economica dei prossimi mesi. (5-08459)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRIPPA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la determina n.1143 del 6 novembre 2015, il comune di Domodossola (Verbano-Cusio-Ossola) ha affidato alla società ISIMPLY Srl di Ivrea il servizio di rilevazione e censimento degli immobili ed aree adibite a centrali per la produzione di energia elettrica e la verifica dell'esattezza degli accatastamenti e il gettito delle varie imposte delle centraline elettriche, considerando che la normativa nazionale ha ormai stabilito che anche che Enel o società similari devono pagare queste imposte (IMU/ICI);
   nella determina si evince come, «[...] per mancanza di personale si decide di affidare questo compito ad una società esterna (la ISIMPLY Srl) che si è resa disponibile ad effettuare questi conteggi ad un costo pari al 33% più iva delle corrispettive delle somme recuperate effettivamente»;
   il comune ha quindi optato per l'affidamento diretto in economia sulla base di un calcolo presuntivo dell'importo di cinque mila euro;
   a quanto pare dalla documentazione in possesso dell'interrogante si evidenzia l'inutilità del servizio affidato alla società SIMPLY, in quanto essa svolge una funzione di mera verifica dei dati di accatastamento già forniti da Enel green power. Infatti con deliberazione 9 febbraio 2016 il comune di Domodossola ha approvato un accordo con Enel green Power relativo alle controversie pendenti e potenziali in materia di ICI/IMU per gli anni 2010/2014 per un importo complessivo 692 mila euro;
   Enel green power aveva già provveduto ad accatastare altre centrali come Azuno, Calice e Vagna e dalla delibera non si comprende chiaramente la funzione della società Simply;
   si evidenzia che, a giudizio dell'interrogante, la verifica dei dati richiamati da Enel avrebbe potuto essere svolta, dall'ufficio centrale del comune di Domodossola;
   peraltro la legge, n. 311 del 2004 prevede un aggiornamento dei dati catastali che per l'interrogante non avrebbe richiesto alcuna ulteriore verifica da parte di soggetti esterni;
   inoltre l'importo stimato di cinquemila euro a favore della Società Simply sembra all'interrogante irrisorio non veritiero e sottostimato;
   in base alla transazione con l'Enel ed il contratto siglato, il 33 per cento più Iva (circa 253 mila euro) della cifra sopra citata andrebbe proprio ad ISIMPLY Srl, cioè alla società che si è occupata dell'accertamento;
   sorgono diversi dubbi all'interrogante riguardo all'effettiva indisponibilità di risorse interne al comune di Domodossola al fine di eseguire tale compito;
   una situazione simile si è vista presso il comune di Strambinello (Torino) il quale, con la determinazione 113 del 30 dicembre 2014, dall'oggetto «Impegno di spesa a favore ditta ISIMPLY per incarico revisione rendita centrale le idroelettrica ENEL», si è impegnato ad affidare a ISIMPLY tale compito per un totale finale pari a euro 39.650,00;
   anche il comune di Pogno (Novara), con delibera n. 61 del 2107/2014 dall'oggetto «estensione incarico alla ISIMPLY LEARNING srl di Ivrea (p. iva n. 009519800016) per l'accertamento Imu anno 2013 e per la quantificazione del credito Imu dovuto sino alla data del 29.05.2014 in riferimento alle aree fabbricabili in zona p.i.p. di proprietà della S.A.I.A. – Società aree industriali ed artigianali spa – di Verbania (p. iva n. 00871010039), cig. N. ZBF104B30B» a impegnato 10.000 euro delle risorse del bilancio a favore di ISIMPLY;
   non si vede, a giudizio dell'interrogante, quali siano le ragioni tecniche sottese all'affidamento de quo che possono giustificare l'individuazione di una ditta. Né tantomeno tali ragioni sono state esplicitate nella determinazione;
   l'attività di accertamento dell'Imu e esclusiva competenza municipale, trattandosi di un tributo che non perde la sua natura di tributo «locale» anche con riferimento alla quota dell'imposta riservata allo Stato all'epoca (prima dell'entrata in vigore della legge di stabilità per il 2013);
   poiché le somme rinvenienti dall'esazione delle sopracitate imposte sono versate, almeno in parte, all'erario statale, dalla dinamica dei fatti sembra derivare una riduzione di gettito per il bilancio dello Stato –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa;
   se il Governo possa quantificare la riduzione di gettito per le casse dello Stato derivante dalle operazioni condotte dai comuni di cui in premessa con ISIMPLY e quali iniziative di competenza intenda assumere eventualmente per compensarla;
   se il Governo sia a conoscenza di situazioni simili verificatesi in altri comuni italiani oltre a quelli già citati;
   se il Governo non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere verifiche da parte dei servizi ispettivi di finanza pubblica presso i comuni di cui in premessa, anche alla luce del fatto che modalità di affidamento come quelle sopra descritte producono di fatto un mancato introito di risorse. (4-12903)


   MINARDO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   moltissime imprese italiane soffrono di problemi relativi al pagamento anticipato dell'imposta sul valore aggiunto su beni e prodotti senza avere usufruito dei pagamenti da parte dei soggetti che sono obbligati a corrispondere le risorse economiche;
   quello del pagamento anticipato dell'Iva senza avere incassato il pagamento da parte dei soggetti obbligati a farlo coinvolge, nel nostro Paese, circa 3 milioni di imprese pari al 76 per cento del totale nazionale;
   le aziende, pertanto, sulla base della normativa prevista in tema di IVA non possono effettuare investimenti ed assunzioni proprio perché in virtù della normativa vigente non è consentito il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto al momento dell'incasso della prestazione. Le stesse aziende (quasi un milione) hanno valutato la possibilità di licenziare i dipendenti proprio in virtù del mancato pagamento delle prestazioni da parte delle pubbliche amministrazioni;
   a tutela dei creditori delle pubbliche amministrazioni è dovuta intervenire la Commissione europea avviando d'urgenza una procedura di infrazione contro l'Italia per la mancata applicazione della normativa sui tempi di pagamento della pubblica amministrazione recepita nel citato decreto legislativo n. 231 del 2002: molteplici denunce ricevute da Bruxelles hanno messo in luce, secondo la Commissione, «il fatto che in Italia le autorità pubbliche impiegano in media 170 giorni per effettuare pagamenti per servizi o merci fornite e 210 giorni per i lavori pubblici»;
   il legislatore nazionale, fortemente sospinto dalle norme comunitarie inderogabili sui tempi di pagamento e da richiami formali della Commissione europea al loro rispetto, dalle decisioni delle corti pro creditore, dagli appelli di un settore imprenditoriale stremato dai ritardi negli incassi, ha cambiato le proprie politiche per tentare di invertire il trend negativo;
   gli ultimi tre Governi (Monti, Letta e Renzi), ricorrendo allo strumento dei decreti-legge, hanno introdotto norme di portata strutturale tese a perseguire il generale obiettivo di miglioramento dei tempi di pagamento e frenare l'inesorabile aggravarsi della crisi finanziaria delle pubbliche amministrazioni e, a catena, delle loro imprese fornitrici adottando misure volte a sanare alla radice le problematiche di sistema e rendere più equo il rapporto creditore privato – debitore pubblico;
   il legislatore, infatti, ha inteso perseguire tali obiettivi attraverso diversi strumenti:
    a) introduzione della possibilità per le imprese creditrici di compensare i propri debiti fiscali con i crediti commerciali vantati verso le pubbliche amministrazioni;
    b) obbligo per le pubbliche amministrazioni di certificare i crediti su istanza del creditore;
    c) obbligo per le pubbliche amministrazioni di accertare e monitorare lo stock di debito pregresso e corrente;
    d) garanzia dello stato per i crediti certificati oggetto di cessione;
    e) semplificazione delle modalità di smobilizzo dei crediti certificati;
   oltre alle modifiche normative, sono state effettuate anche massicce iniezioni di liquidità nel sistema in particolare attraverso il decreto-legge n. 35 del 2013 e da ultimo con il decreto-legge n. 66 del 2014 per le amministrazioni centrali e periferiche e sono state consentite deroghe ai vincoli del patto di stabilità interno per consentire alle pubbliche amministrazioni di effettuare maggiori esborsi per onorare i debiti accumulati;
   anche la normativa sull'obbligo di fatturazione elettronica già entrata in vigore nel giugno 2014 per talune categorie di amministrazioni pubbliche e che sarà obbligatoria per tutte le pubbliche amministrazioni a partire dal 31 marzo 2015, indubbiamente contribuisce al perseguimento dei citati obiettivi in quanto volta a rendere maggiormente efficienti e certi i processi di fatturazione, verifica e pagamento delle pubbliche amministrazioni (si sono registrati in passato casi gravi di pubbliche amministrazioni, soprattutto nel settore sanitario, che non sono state in grado di pagare i crediti a causa di smarrimento o distruzione dei documenti contabili) –:
   se non sia necessario assumere iniziative per introdurre nell'ordinamento nazionale una normativa che permetta alle aziende di effettuare il pagamento dell'imposta sul valore aggiunto al momento dell'incasso del denaro corrispondente alla prestazione erogata;
   se non sia necessario assumere iniziative normative per introdurre, oltre alle misure già adottate, ulteriori misure che consentano ai fornitori delle pubbliche amministrazioni di avere tempi certi per il pagamento delle loro prestazioni.
(4-12908)


   GUIDESI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 10, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, individua le operazioni esenti. In particolare, il n. 18 di tale norma individua le prestazioni in materia sanitaria, per le quali sussiste l'esenzione dal tributo così disponendo: «le prestazioni sanitarie di diagnosi, cura e riabilitazione rese alla persona nell'esercizio delle professioni e arti sanitarie soggette a vigilanza, ai sensi dell'articolo 99 del testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, ovvero individuate con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro delle finanze;
   fino al 2002 le prestazioni rese dai massofisioterapisti diplomati erano esenti dall'imposta sul valore aggiunto, a condizione che fossero rese in base ad una prescrizione medica, in forza di quanto statuito dal decreto ministeriale 21 gennaio 1994;
   tale decreto è stato, tuttavia, abrogato, dal decreto ministeriale 17 maggio 2002, il quale, in attuazione sempre del disposto di cui all'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ha, sostanzialmente, ristretto l'ambito di operatività dell'esenzione alle prestazioni rese dai fisioterapisti;
   in questo scenario, però, occorre rammentare che – in seguito alle riforme del sistema di formazione universitaria e professionale – la professione del massofisioterapista è stata equiparata a quella del fisioterapista;
   secondo il decreto ministeriale 27 luglio 2000, pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 191 del 16 agosto 2000, al diploma universitario di fisioterapista equivale, tra gli altri, anche il diploma di massofisioterapista, conseguito entro il 17 marzo 1999, in seguito ad un corso triennale di formazione specifica effettuato ai sensi della legge 19 maggio 1971, n. 403;
   il decreto 17 maggio 2002 «conferma l'esenzione per gli operatori sanitari, indicati nel richiamato decreto interministeriale del 21 gennaio 1994, che sono in possesso di titoli non ancora riconosciuti equivalenti ai sensi del comma 2 dell'articolo 4 della legge n. 42 del 1999»;
   successivamente, in attuazione della legge 26 febbraio 1999, n. 42, articolo 4, comma 2, pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 50 del 2 marzo 1999, in base all'accordo Stato-regioni 10 febbraio 2011 e al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 26 luglio 2011, i titoli massofisioterapista conseguiti entro il 17 marzo 1999, da corsi attivati entro il 31 dicembre 1995, in seguito ad un corso biennale di formazione specifica effettuato ai sensi della legge 19 maggio 1971, n. 403, sono resi equivalenti al diploma universitario di fisioterapia;
   ai fini dell'imposta sul valore aggiunto, dunque, è agevole costruire il seguente sillogismo: 1) tutte le prestazioni sanitarie rese dai fisioterapisti sono esenti dall'applicazione dell'iva; 2) i massofisioterapisti in possesso di un diploma conseguito in seguito a corso biennale e triennale di formazione anteriormente al 17 marzo 1999 sono equiparati ai fisioterapisti; 3) le prestazioni rese dai citati massofisioterapisti sono esenti dall'imposta sul valore aggiunto. Restano escluse dall'operatività di questa esenzione tutte le prestazioni rese da massofisioterapisti in possesso di titoli di formazione diversi da quello menzionato;
   applicando i principi di diritto espressi dalla Corte di giustizia europea nel caso di specie, emerge che la scelta di tenere distinta la condizione giuridica e fiscale dei massofisioterapisti ante riforma da quella propria dei massofisioterapisti post riforma viola due importanti limiti che la Corte di giustizia europea ha posto al potere discrezionale degli Stati di definire le nozioni di prestazioni mediche e paramediche ai sensi dell'articolo 13, parte A, n. 1, lettera C), della sesta direttiva;
   riguardo al primo limite (in base al quale, in virtù dell'obiettivo perseguito dalla suddetta disposizione comunitaria, l'esenzione IVA è ammessa a favore delle prestazioni mediche che presentino un livello di qualità sufficiente tenuto conto della formazione professionale dei prestatori), viene evidenziato che sotto questo profilo non è ammissibile una distinzione fra le prestazioni poste in essere da un massofisioterapisti ante riforma da quelle realizzate da un massofisioterapisti post riforma. Invero, la formazione professionale della seconda categoria non differisce per nulla dalla prima, con la conseguenza che il livello della qualità delle prestazioni garantito dai massofisioterapisti post riforma è equivalente a quelle delle prestazioni realizzate dai massofisioterapisti ante riforma;
   la Corte di giustizia europea parla espressamente della necessità di applicare criteri oggettivi (appunto la formazione professionale e il livello di qualità delle prestazioni) e ciò corrisponde alla considerazione espressa sopra, per cui il titolo di massofisioterapista conseguito prima di una certa data (l'entrata in vigore della riforma sanitaria) non può essere considerato del tutto diversamente da quello conseguito in un momento (anche immediatamente) successivo;
   riguardo al secondo limite (secondo cui, in base al principio di neutralità fiscale, se le prestazioni mediche sono dello stesso tipo, non possono essere soggette ad un regime IVA diverso), è evidente che la prestazione concretamente posta in essere dal massofisioterapisti post riforma è identica in tutto e per tutto, a quella realizzata dal massofisioterapisti ante riforma;
   i massofisioterapisti ante riforma e i massofisioterapisti post riforma possiedono il medesimo titolo, con la differenza che solo per i primi la legislazione sanitaria ne prevede la formale equipollenza al diploma di laurea di fisioterapia. Considerazioni analoghe, con riferimento al secondo limite individuato dalla Corte di giustizia dell'Unione europea, si possono svolgere in merito al raffronto fra massofisioterapisti e fisioterapisti. Anche in questo caso, si ritengono applicabili i principi di diritto affermati nella sentenza del 27 aprile 2006 della Corte di giustizia europea, alla luce della considerazione che alcune mansioni svolte dal fisioterapista sono legittimamente poste in essere anche dal masso fisioterapista;
   l'interpretazione in senso restrittivo da parte dell'Agenzia delle entrate, oltre che in contrasto con i principi di diritto espressi dalla Corte europea, è fortemente penalizzante nei confronti della categoria in quanto dà origine ad una disparità con pesanti ripercussioni professionali ed economiche –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire assumendo tutte le iniziative normative necessarie al fine di porre rimedio ad una situazione dove si profila una evidente disparità di trattamento, sia sotto il profilo costituzionale sia sotto il profilo delle norme comunitarie, tra massofisioterapisti in possesso di un diploma di formazione triennale conseguito prima del 19 marzo 1999 per i quali si applica l'esenzione di cui all'articolo 10, comma 1, n. 18), del decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e massofisioterapisti che hanno conseguito un diploma di formazione biennale o un diploma di formazione triennale successivamente al 19 marzo 1999. (4-12913)


   CAPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'INSAR – Iniziative Sardegna spa è una società partecipata al 55,39 per cento dalla regione autonoma della Sardegna (RAS) e al 44,61 da Italia Lavoro spa, (società a sua volta interamente controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze), costituita in data 15 dicembre 1981 a norma dell'articolo 5 del decreto-legge 9 dicembre 1981 n. 721, convertito dalla legge 5 febbraio 1982 n. 25;
   la società è soggetta a controllo analogo sui propri atti, secondo il regime delle società «in-house», da parte della regione autonoma della Sardegna e di Italia Lavoro spa e svolge, anche ai sensi della legge regionale Sardegna n. 20 del 2005, e su affidamento dei soci, servizi attinenti alle politiche del lavoro sul presupposto del riconoscimento del diritto al lavoro;
   sono organi della società il consiglio di amministrazione composto dal presidente (che percepisce oltre 30 mila euro all'anno), dall'amministratore delegato (che percepisce 96 mila euro) e dal consigliere (cui spettano 12 mila euro) e il collegio sindacale composto da un presidente (che percepisce 14 mila euro) e due componenti (che percepiscono 10 mila euro);
   tramite deliberazioni della giunta regionale (ad esempio, la deliberazione n. 30/10 del 30 luglio 2013) sono in fase di attivazione e gestione diversi progetti, alcuni dei quali anche pluriennali, su fondi regionali, assegnazioni statali e finanziamenti europei particolarmente ingenti;
   i progetti sopra ricordati sono diretti, in particolare, al rilancio della occupabilità e dell'inclusione attiva al lavoro, favorendo l'inserimento lavorativo delle persone alla ricerca di un impiego e delle persone inattive, attraverso interventi integrati che prevedevano l'adozione di azioni e politiche specifiche per le diverse aree del territorio regionale sardo, con l'obiettivo di favorire la dinamicità del sistema lavoro e di creare opportunità di reddito, attraverso il coinvolgimento del tessuto imprenditoriale isolano, con specifico riferimento alle piccole e medie imprese (PMI);
   per lo svolgimento di tali progetti sono stati stipulati, come si evince dalla consultazione della sezione «Trasparenza» del sito della società aggiornata al 31 gennaio 2016, 129 contratti – definiti «Incarichi di collaborazione, consulenza, servizi» – di varia durata e assegnati con diverse modalità, indicate nella citata sezione del sito;
   i succitati contratti, secondo calcoli sviluppati dall'interrogante su dati riportati nella ricordata sezione del sito della stessa società, hanno un costo pari oltre 1 milione di euro;
   dall'analisi dei percettori, sempre basata sul citato sito dell'INSAR, risulta che alcuni hanno ricevuto un incarico per più attività, mentre in altri casi si sono registrati più contratti distinti –:
   quali siano stati i trasferimenti finanziari di provenienza nazionale e comunitaria, diretti o indiretti, assegnati all'INSAR spa, anche tramite la controllata Italia Lavoro spa, sotto qualunque forma finalizzati o destinati alla realizzazione di progetti di servizio per l'impiego, politiche per il lavoro e/o formazione professionale;
   se tali somme siano state attribuite, anche in parte, alle spese di funzionamento dell'INSAR spa, ovvero in quale misura siano state assegnate all'attuazione di programmi e/o progetti di servizio e di politiche del lavoro;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza, anche tramite la società controllata Italia lavoro Spa di quello che appare all'interrogante un abnorme ricorso da parte dell'INSAR spa a collaborazioni e consulenze;
   se negli ultimi cinque anni siano stati modificati in aumento gli emolumenti degli amministratori e se questo sia coerente con la normativa di riferimento. (4-12915)


   D'UVA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 ottobre 2015 il quotidiano consultabile online Tempostretto pubblicava un articolo relativo alla possibile e imminente condizione di dissesto economico del comune di Tortorici (Messina), a causa della mancata presentazione del documento di bilancio necessario al rispetto delle norme relative al patto di stabilità, e i cui termini risultavano già scaduti in data 30 settembre 2015;
   in data 2 luglio 2015 lo stesso quotidiano pubblicava la notizia dell'avvenuta bocciatura del piano di riequilibrio presentato dall'amministrazione comunale presso la sezione di controllo della Corte dei Conti, i cui revisori avrebbero definito il documento al termine della relativa analisi come «inaccettabile»;
   con deliberazione n. 201/2015/PRSP del 14 maggio 2015 la Corte dei Conti-sezione di controllo per la Sicilia, infatti, ha bocciato il piano di riequilibrio approvato dal comune di Tortorici dopo una attenta e approfondita analisi della condizione finanziaria dell'Ente, ritenuta dai revisori della Corte ormai gravemente compromessa;
   secondo quanto emerso dalla lettura dell'articolo «nelle 22 pagine del suo report, la Corte dei Conti analizza la storia finanziaria dell'ente, dagli anni precedenti al piano – quelli delle spese folli dell'amministrazione Rizzo Nervo – a quelli più recenti. Il quadro che ne esce non è esaltante: debiti nascosti, ricavi gonfiati di parecchie volte il loro effettivo valore, totale assenza di lotta all'evasione fiscale, persistenza di spese ingiustificate e ingiustificabili»;
   secondo quanto emerso i revisori avrebbero inoltre lamentato «anche la scarsa trasparenza mostrata dall'amministrazione oricense, che spesso risponde in maniera incompleta e inadeguata alle richieste degli stessi», non risultando indicate nel documento, inoltre, specifiche misure correttive in relazione a comportamenti difformi dalla sana gestione finanziaria, così come accertati dalla sezione, con particolare riferimento al mancato rispetto degli obiettivi posti dal patto di stabilità interno e al perdurante disavanzo di gestione;
   gli stessi revisori hanno rilevato sia «la non corretta imputazione delle voci di entrata e di spesa ai fini della determinazione del saldo, con riferimento alle spese imputate nei servizi conto terzi e ai debiti formatisi durante l'esercizio e non riconosciuti», riscontrando, inoltre, anche la «non corrispondenza tra i ricavi previsti e iscritti a bilancio e la loro effettiva consistenza, oltre alla errata imputazione di alcune spese in determinati capitoli», sia la presenza di «spese compiute per enti privati, di ingente importo, senza nessuna indicazione sulla tipologia di spesa e degli enti per quali viene svolta»;
   la Corte conclude la sua analisi evidenziando la presenza di «numerose carenze in ordine alle misure di risanamento individuate, alla dimostrazione della loro efficacia, alla concreta realizzabilità delle maggiori entrate previste, alla stima e valutazione degli andamenti di bilancio, sia relativi alla parte di entrata, per quanto riguarda le aspettative di acquisizione, scarsamente supportate da dati certi ed affidabili, che di quelli della spesa», sottolineando, infine, la presenza di «molte incognite rilevanti in ordine alle reale incidenza degli oneri di personale, stante l'avvenuta trasformazione di rapporti di lavoro da temporanei a stabili»;
   l'ente amministrativo decideva, tuttavia, di presentare ricorso al provvedimento assunto dall'ente revisore, il quale con sentenza del n. 62/2015/E.L. del 16 settembre 2015 delle sezioni riunite della Corte dei Conti in speciale composizione, respingeva l'opposizione proposta dal comune di Tortorici (Messina);
   nonostante tali evidenze, ed in presenza di uno sforamento del patto di stabilità, nel 2012 l'amministrazione del comune di Tortorici (Messina) ha disposto, nonostante la critica condizione economico-amministrativa, l'assunzione di 20 lavoratori ASU/LSU, con un onere complessivo per il comune di euro 1.044.564,30 per cinque anni, così come emerso dalla lettura dell'articolo, pur in assenza di condizioni finanziarie adeguate così come certificate dai revisori della Corte dei Conti;
   la sezione di controllo della Corte dei Conti, e le sezioni riunite della Corte dei Conti hanno inteso sottolineare negativamente anche tale decisione, così come assunta dall'amministrazione comunale, nonostante i pareri tecnico e contabile contrari, anche in considerazione del mancato rispetto del patto di stabilità e del limite della spesa del personale (articolo 1, comma 557, della legge n. 296 del 2006), vista la mancata approvazione preventiva del piano del fabbisogno del personale;
   con nota protocollo 10656 del 7 settembre 2015, avente per oggetto la predisposizione del bilancio di previsione esercizio finanziario 2015 e bilancio pluriennale 2015-2017, sono state comunicate da parte del responsabile del servizio finanziario le risultanze dello squilibrio di bilancio tra entrate e uscite, comportando così l'impossibilità di raggiungimento degli obiettivi di bilancio entro il termine a oggi decorso del 30 settembre 2015;
   la relazione protocollo 13605 del 10 novembre 2015 del responsabile del servizio finanziario, redatta ai sensi dell'articolo 153 del TUEL per l'emersione di squilibri finanziari significativi al bilancio di previsione di esercizio 2015, faceva emergere con chiarezza l'impossibilità di raggiungimento del pareggio di bilancio di previsione esercizio per l'anno 2015, ovvero la sussistenza di tutti i requisiti necessari alla dichiarazione dello stato di dissesto di cui all'articolo 244 dello stesso testo unico, al fine di ottenere un piano di risanamento dell'ente comunale;
   il revisore unico dei conti invitava, con nota protocollo 13776 del 18 novembre 2015 l'amministrazione del comune di Tortorici (Messina) ad assumere ogni adempimento utile all'avvio della procedura di dissesto finanziario;
   in data 19 gennaio 2016 l'assessorato delle autonomie locali e della funzione pubblica rendeva noto che «la Sezione di Controllo per la Regione Siciliana della Corte dei Conti, con nota n. 10127 del 25 novembre 2015, ha trasmesso a questo Assessorato, per gli adempimenti consequenziali, la deliberazione n. 201/2015/PRSP del 14 maggio 2015, relativa alla mancata approvazione del piano di riequilibrio finanziario pluriennale del Comune di Tortorici «avendo valutato lo stesso non congruo ai fini del risanamento dell'ente»;
   «poiché, a norma dell'articolo 243-quater, comma 7, del decreto legislativo n. 267 del 2000, il diniego all'approvazione del piano suddetto, da parte della competente Sezione di Controllo della Corte dei Conti comporta l'obbligo per l'ente alla deliberazione del dissesto finanziario», l'assessorato regionale invitava l'amministrazione a porre in essere la deliberazione di dichiarazione del dissesto finanziario per avviare le procedure necessarie al risanamento economico-amministrativo del comune di Tortorici (Messina);
   nonostante tali evidenze, e in presenza dei riportati solleciti da parte degli enti e delle autorità amministrative competenti, il comune di Tortorici (Messina), a quanto risulta agli interroganti, non dichiarava lo stato di dissesto finanziario, reiterando e proseguendo nella condotta amministrativa contabile ordinaria, ponendo, ad avviso degli interroganti, in condizioni di grave pericolo finanziario sia l'ente che il relativo personale, aumentando altresì l'eventuale futuro carico erariale ai danni dei cittadini del comune –:
   se si intendano assumere urgenti iniziative, affinché venga verificata, anche per il tramite dei servizi ispettivi di finanza pubblica, la situazione amministrativa e finanziaria del comune di Tortorici (Messina), e se non si ritenga di valutare se sussistono i presupposti per assumere le iniziative di competenza ai sensi dell'articolo 6, comma 2, del decreto legislativo n. 149 del 2011. (4-12924)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   da fonti di stampa si apprende che tre uomini detenuti presso il carcere di Gorizia, dal mese di gennaio 2016 vivono una condizione di estrema discriminazione a causa del loro orientamento sessuale;
   la denuncia arriva anche dal Garante dei detenuti del Friuli Venezia Giulia, Pino Roveredo, che si è recato a fargli visita in carcere;
   i tre uomini vivono in estrema costrizione poiché sono detenuti in isolamento forzato non potendo quindi partecipare alle attività con gli altri detenuti né socializzare;
   i detenuti sono stati collocati in un'ala del carcere, in una sezione «speciale» per omosessuali, istituita ufficiosamente dal provveditore dell'amministrazione penitenziaria per il Triveneto, Enrico Sbriglia:
   la decisione del provveditore Sbriglia di «isolare» i tre detenuti, era probabilmente volta alla loro tutela e incolumità, poiché in carcere gli omosessuali potrebbero subire atti di violenza. Tuttavia, questa decisione è da ritenersi discriminante perché non può essere considerato positivo isolare persone che già di per se vivono condizioni discriminanti a causa dell'omofobia;
   infatti, nei mesi scorsi, uno dei tre detenuti ha tentato il suicidio proprio a causa delle condizioni d'isolamento in cui versa, ma il programma di «protezione speciale» è allo stato vigente;
   nessun provvedimento è stato fino ad oggi preso per trovare soluzioni alternative alle condizioni di vita carceraria dei tre detenuti, pertanto gli stessi si trovano ad affrontare il carcere dentro una sorta di altro carcere;
   sempre la stampa riporta che in Italia, a Napoli e Ivrea, esistono altre due carceri che avrebbero istituito «sezioni» dedicate agli omosessuali;
   tali soluzioni, se pur nell'apparente buone intenzioni dei provveditori, sono, di fatto vere e proprie discriminazioni ai danni delle persone –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se l'istituzione di «sezioni speciali» per omosessuali sia avvenuta in seguito all'adozione di atti ufficiali da parte del Ministro interrogato;
   se tali «sezioni» rientrino nelle previsioni contenute nell'ordinamento penitenziario, oppure siano frutto di decisioni assunte dal singolo provveditore;
   se ritenga necessario assumere iniziative per definire soluzioni immediate volte a porre fine a tali discriminazioni perpetrate ai danni dei detenuti uomini omosessuali;
   se intenda individuare soluzioni per risolvere il problema di tutte le persone che, a causa del loro diverso orientamento sessuale, sono soggette ad aggressioni da parte di altri detenuti e quindi richiedono particolare attenzione da parte degli agenti penitenziari per evitare il verificarsi di episodi di violenza nei loro confronti.
(4-12922)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
VIII Commissione:


   MATARRESE, DAMBRUOSO e VARGIU. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, in data 12 febbraio 2016 è stato interrotto il transito di uomini e mezzi sul tratto della strada statale 172 tra Martina Franca (Taranto) e Locorotondo (Bari);
   la viabilità è interrotta in quanto in data 5 febbraio 2016 la procura di Taranto ha prima sequestrato il depuratore di Martina Franca, a causa di malfunzionamenti e, successivamente, ha sottoposto a sequestro il predetto tratto di strada in quanto i liquami fuoriusciti dal depuratore, secondo la valutazione del perito dell'autorità giudiziaria, avrebbero raggiunto anche la statale ponendola a rischio di dissesto idrogeologico e crollo, con conseguente pericolo per l'incolumità degli automobilisti;
   secondo quanto si evince dagli atti dei tribunale di Taranto, infatti, in data 5 febbraio 2016, l'impianto di depurazione delle acque reflue civili, gestito da Acquedotto Pugliese spa, posto a servizio dell'agglomerato di Martina Franca, in località «Cupa», nonché lo scarico attualmente asservito al predetto impianto, situato in località «Pastore», nel fondo di proprietà Pinto-Minardi, sono stati sottoposti a sequestro;
   successivamente, in data 12 febbraio 2016, si eseguiva il sequestro anche della strada statale n. 172 nel tratto Martina Franca-Locorotondo tra il chilometro 45+300 e il chilometro 45+500;
   l'Anas, fine di ottenere l'autorizzazione per effettuare i lavori nel tratto di strada sequestrato, ha presentato in data 6 marzo 2016 un'istanza di progetto che però è stata respinta dal pubblico ministero e dal giudice per le indagini preliminari che non hanno ritenuto il piano di lavoro sufficiente a scongiurare i rischi per la pubblica incolumità e per gli operai stessi determinati dalla grave situazione di dissesto idrogeologico in cui versa l'area interessata dal sequestro;
   per quanto il tratto di strada inagibile sia relativamente breve, risulta di fondamentale importanza per i collegamenti nell'area della Valle d'Itria, tra le più importanti della Puglia dal punto di vista turistico. La sua interruzione, dunque, sarà certamente causa di rilevanti danni per il turismo della zona;
   la strada è, infatti, funzionale ai collegamenti tra Taranto, il Mar Ionio, il Sud-Est barese e il tratto dell'Adriatico che riguarda località come Savelletri di Fasano (Brindisi), Monopoli e Polignano a Mare (entrambi in provincia di Bari). Turisti e residenti che da Taranto volessero raggiungere questi centri e viceversa non possono usare la strada statale 172, ma devono percorrere strade secondarie e di campagna con evidenti e relativi disagi –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di porre in sicurezza il tratto di strada statale 172 indicato in premessa e al fine di ripristinare la completa viabilità in vista della imminente stagione estiva. (5-08463)


   TERZONI, GALLINELLA, CIPRINI, AGOSTINELLI, CECCONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 4 marzo 2016 da fonti stampa si è appreso che una vasca di accumulo di acque provenienti dalle attività di scavo del cantiere dell'asse viario Quadrilatero Umbria-Marche, in località Cancelli di Fabriano è stata sequestrata da agenti del Corpo forestale dello Stato, perché avrebbe inquinato il corso del torrente Giano per circa sei chilometri, fino alla città, in un'area sottoposta a vincolo paesaggistico;
   il Giano peraltro è ricco di fauna rara, come i gamberi di fiume e i salmonidi;
   le acque di lavorazione del cantiere della Quadrilatero confluivano in un bacino di decantazione artificiale dal quale, invece di essere convogliate nell'impianto di depurazione, traboccavano fino nel torrente, tanto da colorarlo completamente di bianco. Per verificare le caratteristiche delle acque sversate è stata chiesta la collaborazione dell'Agenzia regionale per la protezione ambientale, che si è attivata per eseguire le analisi;
   sono cinque le persone denunciate alla procura di Ancona per danneggiamento aggravato di acque pubbliche, deturpamento di bellezze naturali, immissione di rifiuti liquidi in acque pubbliche, getto pericoloso di cose e alterazione dello stato dei luoghi in zone tutelate;
   questo rappresenta l'ennesimo episodio salito all'attenzione della cronaca e della magistratura che coinvolge i cantieri della Quadrilatero –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover assumere iniziative, per quanto di competenza, al fine di attivare una campagna di controlli per verificare il rispetto delle prescrizioni e delle procedure all'interno di tutti i cantieri della Quadrilatero e di approfondire, ciò che è successo e che è stato riportato in premessa per escludere responsabilità amministrative ad ogni livello. (5-08464)


   SEGONI, PASTORELLI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la rete italiana è di costruzione relativamente antica: il piano di ammortamento degli investimenti originari, realizzati in prevalenza tra gli anni Sessanta e Settanta dello scorso secolo, era stato, per la gran parte, completato prima della privatizzazione del 1999. Ad oggi, l'87 per cento circa della rete in esercizio in Italia è sottoposta a pedaggio;
   le vigenti concessioni, tutte rinnovate senza passaggio per una gara pubblica (quindi senza quelle garanzie di identificazione del miglior offerente sia in termini tanto di canone concessorio, quanto di qualità del servizio), si caratterizzano per durate residue estremamente lunghe, i cui casi più significativi sono l'Autostrade per l'Italia, che vanta una concessione fino al 2038, la Sitaf s.p.a., Società Italiana Traforo Monte Bianco che vanta invece concessioni fino al 2050 o la Sat s.p.a., che ha una concessione prorogata fino al 2046;
   tutte le autorità indipendenti come Banca d'Italia, l'Autorità di regolazione dei trasporti, l'Autorità nazionale anticorruzione, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato hanno espresso grosse perplessità in merito all'articolo 5 del decreto-legge n. 133 del 2014 (legge n. 164 del 2014) che di fatto concede agli attuali concessionari di poter ottenere lunghe proroghe delle concessioni senza alcuna gara pubblica, in cambio solo di investimenti sulle tratte. Tale decreto-legge, inoltre, è stato approvato dopo che l'Unione europea aveva adottato la direttiva n. 23 del 2014, secondo la quale «(...) per le concessioni di durata superiore a cinque anni la durata dovrebbe essere limitata al periodo in cui si può ragionevolmente prevedere che il concessionario recuperi gli investimenti effettuati per eseguire i lavori e i servizi e ottenga un ritorno sul capitale investito in condizioni operative normali (...)», direttiva doveva essere recepita dall'Italia entro il 18 aprile 2016;
   nonostante il calo del traffico autostradale indotto dalla crisi negli ultimi venti anni i ricavi delle concessionarie sono più che raddoppiati, passando da 2,5 miliardi di euro nel 1993 a oltre 6,5 miliardi nel 2012. Mentre gli investimenti effettivi dei concessionari si sono mantenuti grossomodo costanti tra il 2008 e il 2013 (compresi tra 1,5 e 2,0 miliardi di euro annui), a fronte del profilo marcatamente crescente. Ogni chilometro di autostrada a pedaggio genera annualmente in Italia ricavi medi per oltre 1,1 milioni di euro: 300 mila euro destinati allo Stato e 850 mila alle concessionarie. A fronte di questi dati, si palesa come nella gran parte delle privatizzazioni fatte in Italia si sono privatizzati i profitti, mantenendo pubbliche le perdite e che la privatizzazione delle ex società pubbliche di concessionari autostradali non è stata fatta nell'ottica di aprire il mercato alla libera concorrenza e di offrire un servizio più efficiente, ma per semplici ragioni di cassa, passando da monopoli pubblici a privati;
   da fonti a stampa si apprende che il Governo italiano e Autostrade per l'Italia (Aspi), di proprietà della famiglia Benetton, si stiano adoperando per una ulteriore proroga della concessione di altri 7 sette anni: ossia fino al 2045. In base all'articolo «Autostrade, il regalo ai signori del casello: mezzo secolo di concessione» del Fatto Quotidiano del 18 aprile 2016, nei piani del Governo e dell'amministratore delegato dell'Aspi (Autostrade per l'Italia), Giovanni Castellucci, dovrebbe esserci la possibilità di consentire ai Benetton di vendere Autostrade per l'Italia arricchite di una concessione prolungata. Aspi gestisce 2.800 chilometri di autostrade, circa metà della rete nazionale, e la proroga della concessione vale, potenzialmente, una trentina di miliardi: esattamente il ricavo annuale dei caselli (circa 4 miliardi e mezzo di euro per l'anno 2015) moltiplicato per i 7 anni di concessione in più. Anche altre due concessionarie stanno cercando di percorrere la stessa via di Aspi: il gruppo Toto, che gestisce l'Autostrada dei Parchi (280 chilometri tra Roma e l'Abruzzo), e il gruppo Gavio, che controlla alcune autostrade del Nordovest;
   la società Sat S.p.A. ha ottenuto una proroga della concessione addirittura fino al 2046, grazie all'accordo con il Governo di realizzare un progetto meno costoso rispetto alle varie proposte precedenti perché oltre ad essere più corto (l'autostrada verrebbe costruita solo a sud di Grosseto), per gran parte del suo tracciato si sfrutta la già esistente strada statale Aurelia. Da fonti stampa si apprende che il presidente della regione Toscana nei giorni scorsi ha pubblicamente dichiarato «Mi è stato detto che ci sarebbe una lettera dell'Ue contraria all'allungamento della concessione. Però sia Delrio che il vice Ministro Riccardo Nencini mi hanno assicurato che stanno lavorando per risolvere il contenzioso con l'Unione europea». Il presidente Rossi riferisce di aver incontrato nei giorni scorsi il nuovo ambasciatore italiano a Bruxelles Carlo Calenda e di aver ricevuto anche da lui rassicurazioni sulla Tirrenica –:
   se il Ministro interrogato alla luce dei fatti riportati, non reputi doveroso, dopo oltre 40 anni di concessioni già accordate, assumere iniziative di competenza per aprire il mercato alla libera concorrenza per la gestione delle autostrade (garantendo concretamente un servizio più efficiente e funzionale con costi minori), bandendo gare pubbliche, invece di continuare a prorogare tali concessioni ai medesimi concessionari. (5-08465)


   GRIMOLDI e BUSIN. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con un comunicato stampa del 14 gennaio 2016, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti ha dato notizia in merito alla firma del protocollo d'intesa che definisce i termini per il passaggio della concessione della tratta autostradale Modena-Brennero, attualmente affidata ad Autobrennero spa, ad una società interamente pubblica, ai fini della gestione della concessione in house, prorogando in questo modo di ulteriori 30 anni la concessione agli stessi soci di maggioranza della Autobrennero;
   da quanto riportato dai giornali, per i 314 chilometri della tratta dell'A22, hanno firmato le 16 amministrazioni pubbliche socie dell'attuale gestione e in particolare i presidenti delle province autonome del Trentino, Ugo Rossi e dell'Alto Adige, Arno Kompatscher;
   secondo il comunicato del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la linea ferroviaria del Brennero rappresenta uno dei corridoi principali e un investimento strategico per il Paese e, inoltre, gli investimenti previsti dal nuovo protocollo, sono coerenti con i progetti sul territorio; la concessione in house con soggetti pubblici dovrebbe garantire, secondo il Governo, il rispetto agli obiettivi strategici, un migliore assetto viabilistico e più lavoro;
   il comunicato evidenzia che verranno sbloccati anche i finanziamenti per le tratte ferroviarie del Brennero, con 400 treni al giorno e nel 2016 verrà appaltato anche il quarto lotto, dando continuità ai cantieri;
   la Modena-Brennero incassa circa 350 milioni all'anno e, quindi, la nuova società in house gestirà circa 11-12 miliardi di euro in 30 anni, con un guadagno netto di circa 4-5 miliardi di euro per i gestori locali che, tra l'altro, trattengono i 9/10 delle imposte, Iva, Ires e Irpef, nelle loro casse;
   il protocollo firmato, secondo i mass media, non prevede, a difesa dell'interesse pubblico nazionale e come avvenuto con Cal e Cav, l'ingresso di Anas nella nuova società di gestione della Modena-Brennero; in questo modo viene impedito che questa possa sviluppare progetti e ottenere risorse da utilizzare, come prevede la sua ragione sociale, nell'interesse della intera rete stradale nazionale. Si tratta infatti della tutela dell'interesse territoriale, piuttosto che del «pubblico interesse» alla base della concessione in house. La Modena-Brennero è una delle autostrade a più alta redditività d'Italia e gli utili andranno a beneficio delle province autonome di Trento e Bolzano che avranno il controllo dei 4/5 del capitale sociale e alle quali spetteranno anche i 9/10 delle imposte sugli utili, Iva e Irpef, pagate da Modena-Brennero spa, in virtù della autonomia speciale, visto che la sede della società è a Trento;
   da quanto si apprende dai giornali, il protocollo d'intesa prevede la realizzazione di una serie di opere autostradali a pagamento di adduzione alla autostrada Modena-Brennero, quali la Cispadana, la Ferrara-Mare, la Campogalliano-Sassuolo, nonché la realizzazione della nuova terza corsia solo nella tratta Verona-Modena, opere promosse in project financing o realizzate direttamente dalla stessa Modena-Brennero spa;
   pertanto, la provincia autonoma di Trento, quale socia di assoluta maggioranza di A22, da un lato, promuove tali opere di adduzione di nuovo traffico su gomma e nuovi pedaggi verso l'A22 e, dall'altro, con scelte ad avviso degli interroganti contraddittorie e andando anche contro un ampio schieramento di cittadini trentini, a partire dalle categorie economiche, che si oppone, da decenni, in virtù delle ricche prerogative riconosciute all'autonomia amministrativa speciale, al completamento della A31 della Valdastico Nord sino all'innesto sull'A22;
   con alcune dichiarazioni alla stampa, i presidenti delle province autonome di Trento e Bolzano e dei vertici della Modena-Brennero spa hanno sostenuto che la proroga di 30 anni, senza gara europea, della concessione dell'A22, si sarebbe fatta principalmente per finanziare il potenziamento ferroviario del Brennero, garantendo il conferimento del cosiddetto Fondo Ferrovia di A22, pari a 550 milioni di euro e il versamento di 34,2 milioni di euro all'anno per 30 anni, per un valore complessivo di 1,026 miliardi di euro, quando, invece, tali risorse, a giudizio degli interroganti, avrebbero dovuto comunque essere garantite per lo stesso scopo dal concessionario dell'autostrada Modena-Brennero, anche se questo fosse stato scelto con gara, in base all'articolo 55 della legge n. 449 del 1997 (Fondo Ferrovia) e all'articolo 47 della legge n. 122 del 2010 (contributo per la nuova ferrovia del Brennero);
   gli interroganti, con apposita lettera, hanno esposto i fatti e le anomalie rilevate all'Autorità nazionale anticorruzione chiedendo di verificare se la procedura seguita dal Governo per l'assegnazione della concessione della A22 – Modena-Brennero sia rispettosa dei principi comunitari e del codice degli appalti;
   l'Autorità ha comunicato agli interroganti di aver preso contatti con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti che, in attesa di trasmettere la specifica documentazione, ha già comunicato per le vie brevi che ad oggi non risulta l'attivazione di alcun affidamento in house per la gestione dell'autostrada A22 Modena-Brennero –:
   se quanto hanno scritto i giornali sul protocollo di intesa con il Governo per l'assegnazione in house dell'autostrada A22 risponda a verità, e quali siano gli orientamenti del Governo in merito alle scelte circa la realizzazione del completamento dell'autostrada della Valdastico Nord sino all'innesto sull'A22, in considerazione del fatto che il Governo è chiamato a rappresentare gli interessi nazionali al tavolo istituzionale per il completamento della A31 Valdastico, costituito tra la regione Veneto, la provincia autonoma di Trento e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti. (5-08466)


   CARRESCIA e BORGHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il collegamento viario ad elevata capacità tra il porto di Ancona e l'autostrada A14, con bretella di collegamento alla variante alla strada statale 16 (la cosiddetta uscita ad ovest) è opera di fondamentale importanza per il porto di Ancona, per le Marche e per lo sviluppo, in particolare, delle regioni dell'Italia centrale;
   l'opera è stata inserita nel 1o programma delle infrastrutture strategiche e di preminente interesse nazionale di cui alla delibera Cipe 121/2001 e fa parte dell'intesa generale quadro tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la regione Marche, sottoscritta dalla Presidenza del Consiglio dei ministri in data 24 ottobre 2002;
   l'Anas, in qualità di soggetto concedente, ha stabilito di realizzare l'infrastruttura in project financing e, nel mese di novembre 2010, a seguito delle procedure di selezione del soggetto promotore ha ricevuto 10 proposte;
   il 23 aprile 2008 il consiglio di amministrazione dell'Anas ha dichiarato di pubblico interesse la proposta presentata dall'ATI «Passante Dorico» (Impreglio – Astaldi – Pizzarotti – Itinera) e ha trasmesso il progetto preliminare presentato dal promotore alla struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per la conseguente istruttoria per la sottomissione del progetto preliminare all'approvazione del CIPE;
   il 16 gennaio 2009 il progetto è stato pubblica e trasmesso al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministero per i beni e le attività culturali e alla regione Marche, per il rilascio delle integrazioni ai pareri, a suo tempo rilasciati, necessari per la successiva approvazione del progetto preliminare e della proposta presentata dal promotore, da parte del Cipe;
   il 29 luglio 2009 la commissione tecnica di verifica dell'impatto ambientale VIA-VAS del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha espresso parere positivo con prescrizioni, rilevando che il progetto del promotore sostanzialmente non varia rispetto a quello già presentato da Anas nel 2005, se non per aspetti di dettaglio;
   dal 21 settembre 2009 al 22 ottobre 2009 si è tenuto il collegio tecnico, istituito ai sensi dell'articolo 165 comma 6, lettera b) del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni e integrazioni e composto dai rappresentanti della struttura tecnica di missione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Marche, comune di Ancona, autorità portuale di Ancona, R.F.I., Multiservizi s.p.a., ed ANAS s.p.a., che al termine dei lavori ha definito un quadro prescrittivo di varianti progettuali; il progetto preliminare e la proposta del promotore sono stati approvati dal Cipe con delibera n. 34 del 13 maggio 2010;
   l'11 agosto 2010 è stato pubblicato il bando di gara ai sensi dell'articolo 155, comma 1, del decreto legislativo n. 163 del 2006 per l'individuazione del concessionario. Alla scadenza del 30 settembre 2010 sono state presentate sei domande di prequalifica, tutte ammesse alla fase successiva della procedura;
   successivamente il Cipe ha approvato con prescrizioni, lo schema di convenzione che il 26 novembre 2011 è stato pubblicato con la delibera Cipe n. 9 del 5 maggio 2011. Lo schema di convenzione disciplina il rapporto tra il concedente (ANAS s.p.a.) ed il concessionario per la progettazione, realizzazione e gestione del collegamento viario;
   a seguito della disciplina introdotta con l'articolo 36 del decreto legge n. 98 del 2011 è stata istituita l'Agenzia per le infrastrutture stradali ed autostradali presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con funzioni di vigilanza e di controllo sulle infrastrutture in oggetto. Tale Agenzia ha sostituito l'ANAS in qualità di stazione appaltante;
   nel 2012, non risultando pervenute ulteriori offerte oltre a quella del promotore, è stata avviata la procedura negoziata per l'aggiudicazione definitiva dell'opera;
   il 1o ottobre 2012 le attività di vigilanza sull'esecuzione dei lavori di costruzione delle opere date in concessione e il relativo personale dell'Ispettorato di vigilanza in capo ad Anas, sono stati trasferiti al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, (rif. articolo 11, comma 5, del decreto-legge n. 216 del 2011, convertito dalla legge n. 14 del 2012);
   con decreto ministeriale n. 341 del 1o ottobre 2012 tutte le concessioni in capo all'Anas sono passate al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, nella istituenda struttura di vigilanza sulle concessioni autostradali nell'ambito del dipartimento per le infrastrutture, gli affari generali e il personale;
   il 18 dicembre 2013 è stata sottoscritta la Convenzione fra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la Società Passante Dorico, poi integrata il 2 settembre 2014 e dopo il successivo decreto interministeriale del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze relativo all'approvazione della concessione, la concessionaria ha presentato il progetto definitivo per la realizzazione dell'Uscita ad Ovest dal porto di Ancona;
   risulta ancora non conclusa l'istruttoria del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze e da notizie apparse sulla stampa locale sembrerebbe che il motivo sia da ricercarsi nella verifica della sostenibilità economica del progetto alla luce dei dati di traffico stimati, di quelli reali e della determinazione dei conseguenti costi di pedaggio; con il decreto-legge n. 179 del 2012 (il cosiddetto «decreto sviluppo»), è stata data la possibilità di favorire la realizzazione di nuove infrastrutture previste in contratti di partenariato pubblico-privato per le quali venga accertata la non sostenibilità economico-finanziaria, con agevolazioni e cofinanziamenti utili a ripristinare l'equilibrio del piano economico-finanziario –:
   quale sia lo stato dell'istruttoria in relazione all'opera infrastrutturale che dovrà collegare il porto di Ancona con l'autostrada A14 e se sussistano, per il Ministero interrogato, i presupposti per l'eventuale ricorso, ove necessario, a quanto previsto dall'articolo 33 del decreto-legge n. 179 del 2012. (5-08467)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARRESCIA e TULLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'accordo multilaterale M222 che consente il trasporto dei rifiuti pericolosi con alcune deroghe alle disposizioni dell'Accordo concernente il trasporto internazionale di merci pericolose su strada (ADR), al fine di semplificare il trasporto dei rifiuti stessi, è scaduto il 1o agosto 2015;
   dal 2 agosto 2015, non è più possibile fare riferimento a tale accordo e sui formulari d'identificazione dei rifiuti non può più figurare la scritta «trasporto in accordo ai termini del 1.5.1 dell'ADR (M222)»;
   le esenzioni, previste dall'accordo multilaterale M222, riguardavano rifiuti non contenenti materie ed oggetti esplosivi, materie infettanti o materiale radioattivo;
   poiché l'accordo non è stato ancora rinnovato, non sono più applicabili, fra diverse altre, anche le seguenti deroghe:
    a) utilizzo di imballi non idonei, non testati all'utilizzo, che presentano deformazioni od ammaccature;
    b) modalità di trasporto alla rinfusa di alcune merci;
    c) possibilità di omettere l'apposizione del marchio «materia pericolosa per l'ambiente» sui colli di determinate merci;
    d) possibilità di omettere alcune informazioni sul documento di trasporto con possibilità di indicare la quantità stimata e non quella effettiva;
   un accordo multilaterale è valido solo sul territorio del Paese che lo sottoscrive;
   alcuni Paesi si sono già attivati: l'Austria e la Repubblica Ceca hanno già provveduto a rinnovare l'accordo M222 sottoscrivendo il nuovo accordo multilaterale M287 con validità in questi Paesi a partire dal 2 agosto 2015 e fino al 1o agosto del 2020;
   in tale nuovo accordo sono riprese le indicazioni dell'accordo M222 e sono aggiunte altre deroghe riguardanti la nuova rubrica UN 3509 (imballaggi di scarto, vuoti, non ripuliti) introdotta con l'ADR 2015;
   l'Italia, non avendo ancora sottoscritto l'accordo M287, non ha più potuto usufruire delle deroghe a partire dal 1o agosto 2015 e ciò sta comportando una penalizzazione per le imprese italiane rispetto ad altre europee che operano sul mercato; nello specifico, i trasportatori sul territorio italiano devono seguire, per alcuni rifiuti, procedure più esigenti di quanto sia richiesto in altri Paesi dell'Unione europea e quindi sono penalizzati in quanto meno competitivi sul mercato –:
   quali siano i motivi del ritardo e se il Ministro interrogato intenda procedere con urgenza alla firma dell'accordo multilaterale per ripristinare la preesistente situazione che era più favorevole alle attività economiche coinvolte, al fine di consentire alle imprese italiane, soprattutto a quelle più piccole, di operare nelle stesse condizioni di competitività di quelle dei Paesi che hanno sottoscritto l'accordo multilaterale 287. (5-08438)


   CRIVELLARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   in data 10 aprile 2016 dalla regione del Veneto si apprende del ritiro dei tre convogli « Swing» in servizio da un mese sulla tratta Conegliano-Belluno, per le necessarie verifiche;
   vi è stata una segnalazione di Trenitalia su possibili difetti presenti nei telai dei carrelli dei nuovi treni Atr220tr-Swing, realizzati dalla società polacca Pesa e circolanti in alcune regioni italiane, tra cui il Veneto;
   i treni sarebbero stati progettati e realizzati secondo le più avanzate concezioni di ingegneria, con accessori e dotazioni tecnologiche all'avanguardia e si ipotizzava con un investimento ingente di risorse la messa in servizio di altri quattro nuovi treni sulle diverse tratte venete;
   tali risorse derivano dagli investimenti previsti nella proroga del contratto di servizio tra Trenitalia e la regione del Veneto per un importo complessivo di 28 milioni di euro;
   lo « Swing» doveva essere utilizzato per coadiuvare e garantire nuovi servizi di trasporto per assicurare maggiori collegamenti con il servizio Frecce per Roma e Milano;
   un mese fa si erano inaugurati i suddetti mezzi rotabili, con grande risalto mediatico, e oggi si è alle prese con il loro ritiro per possibili criticità tecniche tali da mettere a rischio l'incolumità dei viaggiatori, penalizzando ulteriormente il servizio di trasporto ferroviario in Veneto;
   i pendolari del Veneto già subiscono pesanti disservizi e quest'ultima situazione ne accentua i loro disagi –:
   se si intenda assumere ogni iniziativa di competenza per verificare qualità e affidabilità dei treni « Swing» che la regione Veneto ha chiesto ed ottenuto da Trenitalia prima che questi entrino in funzione e quali siano i tempi, auspicabilmente certi, per l'avvio dei nuovi servizi, al fine di garantire un trasporto ferroviario efficiente e accettabile anche in Veneto. (5-08439)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 «Destinazione Italia», come modificato dalla legge di conversione 21 febbraio 2014, n.9, è intervenuto sulla questione degli accordi stipulati dalle società concessionarie della gestione degli aeroporti con i vettori aerei, prevedendo l'obbligo di espletamento di procedure concorrenziali per la scelta, da parte dei gestori aeroportuali, dei vettori aerei ai quali erogare contributi, sussidi o altre forme di emolumento per lo sviluppo delle rotte;
   in particolare, il suddetto decreto ha stabilito all'articolo 13, comma 14, che per l'erogazione di contributi, sussidi o qualsiasi altra forma di emolumento ai vettori aerei per lo sviluppo di rotte destinate a soddisfare e promuovere la domanda nei rispettivi bacini di utenza, le società di gestione aeroportuali debbano esperire procedure di scelta del beneficiario concorrenziali e trasparenti, in modo da consentire la più ampia partecipazione dei vettori potenzialmente interessati;
   a tal fine la norma prevede l'emanazione di apposite linee guida da parte del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore del decreto e stabilisce altresì che i gestori aeroportuali comunichino all'ENAC e all'autorità di regolamentazione dei trasporti l'esito delle procedure previste dal comma 14 dell'articolo 13 del «Destinazione Italia», ai fini della verifica del rispetto delle condizioni di trasparenza e competitività;
   ai sensi dell'articolo 13, commi 14 e 15, del decreto-legge n. 145 del 2013, in data 2 ottobre 2014 sono state quindi emanate le linee guida inerenti alle incentivazioni per l'avviamento e lo sviluppo di rotte aeree da parte dei vettori;
   negli ultimi anni, nonostante gli indirizzi comunitari e nazionali in relazione ai principi di trasparenza e competitività per lo sviluppo delle rotte aeree, grazie alla conclusione di contratti di co-marketing tra gestori aeroportuali e vettori, con la compartecipazione di regioni, province e comuni, le compagnie low cost hanno goduto di contributi pubblici – stimati intorno ai 100 milioni di euro annui circa – contributi che sono giunti attraverso «fondi di sviluppo rotte e marketing» stanziati dagli aeroporti italiani;
   il 7 aprile si è tenuto, alla presenza del Ministro interrogato, un incontro tra i vertici del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e delle regioni con Ryanair, in particolare con l'amministratore delegato Michael ÒLeary, per discutere della connettività aerea con gli aeroporti minori e insulari, con specifico riferimento all'esercizio dei voli low cost;
   in quella sede, il Ministro interrogato ha confermato il suo impegno per la riduzione dell'incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco – addizionale che ha subito un aumento di 2,50 euro il 29 ottobre 2015 – e ha annunciato nell'ambito delle politiche di incentivazione per gli aeroporti e le compagnie aeree – la volontà del Governo di rivedere le linee guida a suo tempo emanate per fronteggiare le problematiche inerenti sostenibilità di esercizio degli aeroporti minori e insulari –:
   se il Ministro interrogato possa fornire elementi in merito all'effettiva attuazione, anche in conformità ai nuovi orientamenti comunitari sugli aiuti di Stato agli aeroporti e alle compagnie aeree, delle procedure di scelta dei vettori beneficiari degli aiuti, volte a garantire la più ampia trasparenza e accessibilità, nonché all'avvenuta comunicazione all'Autorità di regolazione dei trasporti e all'ENAC degli esiti delle suddette procedure e alla verifica del rispetto dei predetti principi di trasparenza e competitività, così come stabilito dalle linee guida ministeriali;
   se il Ministro interrogato possa fornire un elenco aggiornato degli scali aeroportuali italiani che hanno attualmente in corso accordi di co-marketing con compagnie di volo low cost;
   se il Ministro possa fornire maggiori informazioni di dettaglio in merito all'annunciata volontà politica, da parte del Governo, di ridurre al minimo l'addizionale comunale sui diritti d'imbarco e di procedere con la revisione delle linee guida ministeriali emanate ad ottobre del 2014 per i piccoli aeroporti. (5-08443)


   SPESSOTTO, DE LORENZIS, PAOLO NICOLÒ ROMANO, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 28 gennaio 2016 l'amministratore delegato Mazzoncini ha presentato un piano di impresa per la riorganizzazione del settore merci del gruppo Ferrovie dello Stato italiane in cui, tra le altre cose, sono illustrate le proposte per la creazione di un grande «polo della logistica» attraverso l'accorpamento di tutte le società del gruppo che si occupano del trasporto merci;
   l'area cargo di Ferrovie dello Stato italiane è attualmente articolata in 10 società, destinate ad essere riunite sotto un'unica holding controllata direttamente dalla capogruppo, e dovrebbe chiudere il 2015 con una perdita di 120 milioni di euro su un fatturato di 990 milioni;
   in particolare, il piano riorganizzativo di Ferrovie dello Stato italiane prevede la creazione di un polo dedicato al settore delle merci ferroviarie di livello europeo, articolato su 7 corridoi transalpini da e per l'Italia e 2 corridoi nazionali, e che si divide in due fasi, una di risanamento dal 2016 al 2018, e una di sviluppo dal 2019 al 2020;
   nel corso della prima fase, il polo dovrà perseguire «il raggiungimento del break-even operativo e subito dopo dell'equilibrio economico e finanziario», mentre nella seconda l'obiettivo sarà il «raggiungimento di una condizione di strutturale creazione di valore (ROI al 6 per cento)». In termini numerici ciò si traduce in un target di ricavi fissato a 1,2 miliardi di euro nel 2020 (Ebitda all'11 per cento ed Ebit al 3,8 per cento) e in un piano da 500 milioni di euro di investimenti (150 per nuove locomotive, 180 per manutenzione straordinaria del parco esistente e 170 per dotazioni terminalistiche);
   il piano prevede altresì la chiusura di diversi impianti, compresi quelli manutentivi, da cui scaturiranno circa un migliaio di lavoratori in esubero, che dovranno essere ricollocati in altre società all'interno del gruppo. Ciò si tradurrà inoltre in un disimpegno territoriale sia di 20 «presidi equipaggi» (-48 per cento) sia di 45 presidi di terra (-42 per cento). Oltre ai tagli e alla modifica della tipologia contrattuale (le ore di condotta per addetto, ad esempio, passeranno dalle attuali 275 a 517 nel 2020);
   stando inoltre alle informazioni disponibili, i porti di riferimento ferroviario delle merci individuati dal piano sono solo Genova, Livorno e Trieste, mentre Venezia verrebbe declassata a zona di transito, con pesanti ricadute negative per il Veneto orientale e per le aziende presenti su questo territorio, in termini di indotto e di occupazione;
   a rischio sarebbe, a titolo di esempio, oltre al piano di sviluppo ferroviario di Portogruaro, anche la piattaforma logistica di San Stino (VE), dove hanno sede magazzini di proprietà di una società mista austriaca-bresciana che ospitano materiali di vario genere, che arrivano in treno e ripartono su gomma per spedizioni in tutta Italia;
   per quanto di conoscenza, del suddetto piano sono attualmente disponibili solo informazioni sommarie contenute nelle slide presentate dall'amministratore delegato di Ferrovie dello Stato italiane ma non un provvedimento organico –:
   se il Ministro possa fornire – per quanto di competenza – informazioni dettagliate e aggiornate con riferimento alla riorganizzazione del settore merci in atto da parte del gruppo Ferrovie dello Stato italiane – con particolare riferimento alle intenzioni del gruppo di declassare a zona di transito il porto di Venezia – e se non ritenga che una simile politica aziendale, andando ad incentivare il trasporto su gomma, sia in contrasto con gli indirizzi in materia di trasporto ferroviario delle merci e di inquinamento che imporrebbero di trasferire, quanto più possibile, il trasporto merci su rotaie e di implementare questo tipo di infrastruttura.
(5-08445)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   alla luce dell'indagine aperta dall'Autorità garante della concorrenza del mercato sulla Cin – Tirrenia ad avviso dell'interrogante si rende indispensabile la revoca immediata della convenzione tra il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la compagnia di navigazione;
   tenendo conto dell'abbattimento dei costi del carburante e il mancato adeguamento sia delle compensazioni che delle stesse tariffe si configura, secondo l'interrogante, un danno senza precedenti, con possibili gravi responsabilità per coloro che stanno liquidando le risorse alla società suddetta;
   in data 21 ottobre 2015 l'interrogante indirizzava al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti l'atto di sindacato ispettivo n. 5-06727 con il quale si denunciava in modo reiterato che la società Tirrenia aveva posto in essere una condotta discrezionale e a giudizio dell'interrogante in contrasto con le disposizioni contrattuali, per una mancata trasparente procedura di pubblico servizio, in quanto non consentiva a soggetti privati l'accesso all'imbarco e l'imbarco stesso di mezzi gommati, rimorchi e semi rimorchi, carichi anche di merci deperibili;
   tale comportamento era stato rilevato anche dalle forze dell'ordine intervenute nell'area portuale di Porto Torres per verificare il mancato carico dei mezzi e la contestuale nave vuota, pienamente in grado di caricare tali mezzi prenotati;
   tale comportamento lasciava, secondo l'interrogante, intravedere profili di dubbia legittimità, verso privati e verso il settore pubblico, afferenti al mancato imbarco di mezzi di trasporto merci a mezzo navi della compagnia Tirrenia da e per la Sardegna;
   le società che operano nel settore del trasporto di prodotti alimentari, tra queste le prime tra i vettori per numero di mezzi movimentati nella tratta Porto Torres-Genova, servita dalla Compagnia Tirrenia, in regime di continuità territoriale passeggeri e merci, registravano e denunciavano un reiterato comportamento grave e discrezionale della Tirrenia che ha già comportato danni per milioni di euro;
   la Tirrenia ha rifiutato reiteratamente l'imbarco di semirimorchi – peraltro tempestivamente prenotati e, dunque, preparati per la partenza e allestiti per effettuare le consegne di carichi di prodotti di prima necessità, principalmente carni fresche, ortaggi, frutta, ma anche paste e altri generi alimentari con breve scadenza;
   dal 28 settembre 2015 a oggi decine di mezzi non sono stati imbarcati e ciò nonostante le navi della Tirrenia disponessero di spazio per il relativo trasporto;
   ciò ha determinato una serie di danni, non ancora interamente quantificati, consistenti non solo nel deterioramento dei prodotti con scadenza immediata, costretti al fermo in banchina (carni fresche, frutta e ortaggi), nel mancato guadagno per l'omessa o ritardata consegna, nella gravosità dei percorsi alternativi, dovuta alla condizione di insularità della Sardegna e nella richiesta di penali da parte delle società destinatarie del trasporto, ma anche nelle prevedibili azioni risarcitorie di queste ultime, le cui doglianze continuano a pervenire alle società di trasporti risultate danneggiate;
   secondo le prime stime formalizzate dai legali delle ditte coinvolte, i danni ammontano, allo stato attuale, a non meno di euro 1.000.000;
   la rotta Genova-Porto Torres risulta iscritta tra quelle in regime di continuità territoriale come si evince dal seguente articolo della convenzione per l'esercizio di servizi di collegamento marittimo in regime di pubblico servizio con le isole maggiori e minori: «Articolo 3. – (Servizi da eseguire). – 1. La Società si impegna ad esercitare per tutta la durata della presente Convenzione i seguenti servizi di collegamento marittimo: a prevalente trasporto passeggeri: Napoli-Palermo (stagionale invernale); Genova-Porto Torres (stagionale invernale); Genova-Olbia-Arbatax; Napoli-Cagliari; Cagliari-Palermo; Cagliari-Trapani; Civitavecchia-Cagliari-Arbatax; Civitavecchia-Olbia (stagionale invernale); Termoli-Tremiti»;
   alla luce del perdurare di questa palese distorsione del mercato appare indispensabile, a giudizio dell'interrogante, valutare se la Tirrenia non stia perseguendo una condotta che si avvale della sua posizione dominante ai danni dell'economia della Sardegna;
   la mancata predisposizione e gestione di corrette e trasparenti procedure di prenotazione dei rimorchi e semirimorchi solleva il legittimo sospetto di una possibile grave alterazione del mercato dei trasporti marittimi da e per la Sardegna;
   la grave situazione perpetrata ai danni della Sardegna risulta del tutto intollerabile in considerazione del fatto che un'intera regione risulta essere in una situazione di vero e proprio monopolio dal punto di vista dei trasporti marittimi, con particolare riferimento alle merci, rendendo discrezionale e per nulla trasparente la mobilità tra regioni e minando alla radice il diritto costituzionale alla mobilità, alla coesione e ad un equo trattamento tra regioni e imprese;
   il danno che stavano e stanno subendo la Sardegna e i sardi rischia di essere irrimediabile sia per le ripercussioni sul sistema integrato del trasporto, che per le gravi ricadute sul piano occupazionale;
   il profilo che s'intende sollevare relativamente all'ipotizzata lesione della concorrenza si configura in maniera ancora più evidente considerato che tale denunciata discrezionalità, che ha sconfinato ad avviso dell'interrogante in un comportamento arbitrario, ha di fatto favorito secondo l'interrogante fenomeni e pratiche speculative;
   la Tirrenia, infatti, non attuando il contratto di servizio e non rendendo trasparente l'obbligo alla continuità territoriale da e per la Sardegna per le merci, non ha svolto l'obbligatoria funzione di servizio pubblico, generando di fatto una vera e propria azione speculativa ai danni della Sardegna;
   le norme in materia di concorrenza vietano la discrezionalità nel favorire determinate imprese a scapito di altre;
   tale comportamento finisce per impedire, restringere o falsare in maniera consistente il gioco della concorrenza all'interno del mercato nazionale e regionale dei trasporti, come, ad avviso dell'interrogante, sta accadendo sui trasporti da e per la Sardegna;
   in base alla normativa vigente, Tirrenia dovrebbe essere obbligata ad adottare procedure trasparenti relative al carico delle proprie navi, con procedure di prenotazione e conferma, senza lasciare all'apparente discrezionalità l'imbarco o meno dei mezzi gommati;
   è vietato favorire determinate aziende a scapito di altre, ovvero adottare condizioni contrattuali e di favore nella prenotazione e nell'eventuale carico sulla nave dei mezzi;
   in base alla convenzione con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti deve essere vietato imporre direttamente o indirettamente procedure e condizioni di vendita dei biglietti o altre condizioni contrattuali che favoriscano determinati soggetti;
   è vietato impedire o limitare la mobilità a danno dei trasportatori, come è capitato ripetutamente a Porto Torres quando, nonostante la nave fosse vuota, si è impedito a mezzi regolarmente prenotati di essere imbarcati, senza alcun ragionevole e plausibile motivo;
   il diritto alla mobilità è diritto fondamentale ed inalienabile e la sua limitazione costituisce un'esplicita limitazione di un servizio pubblico fondamentale;
   uno dei temi centrali è chiaramente quello della posizione dominante. In particolare, nel caso in questione, si può configurare secondo interrogante come «una posizione dominante, nel senso previsto dalla consolidata giurisprudenza della Corte di giustizia»;
   secondo l'interrogazione richiamata occorreva valutare se fossero stati compiuti atti non conformi alla normativa vigente e lesivi dei diritti dei consumatori e degli operatori economici del settore dei trasporti e adottare, in via urgente, i provvedimenti ritenuti idonei all'eliminazione delle conseguenze dannose, dall'immediata revoca, in prima istanza alla ridefinizione delle convenzioni della società Tirrenia in via subordinata;
   il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti non solo non ha mai risposto, ma, ad avviso dell'interrogante, ha omesso ogni adeguato tipo di controllo e verifica;
   si tratta di un atteggiamento, secondo l'interrogante, grave e «complice» che contrasta con la decisione dell'autorità garante della concorrenza e del mercato che ha, invece, aperto un'istruttoria nei confronti di Compagnia Italiana di Navigazione, Moby e Onorato Armatori per accertare eventuali condotte abusive delle società del gruppo Onorato Armatori nel settore del trasporto marittimo di merci da e per la Sardegna;
   il procedimento riguarda l'ipotesi di un abuso di posizione dominante da parte di Compagnia Italiana di Navigazione e Moby che sarebbe stato attuato, in violazione dell'articolo 102 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE), ostacolando con varie modalità l'operatività di una società concorrente in questo settore e minacciando il pieno sviluppo concorrenziale di tali servizi di trasporto marittimo;
   per accertare queste circostanze, nei giorni scorsi i funzionari dell'autorità garante della Concorrenza e del Mercato hanno eseguito una serie di ispezioni nelle sedi delle società interessate, parti del procedimento, nonché presso una società di spedizioni marittime, ritenute in possesso di elementi utili ai fini dell'accertamento, con l'ausilio del nucleo speciale antitrust e del nucleo speciale frodi tecnologiche della Guardia di finanza;
   tali condotte, operate non solo da Moby ma, anche da CIN – quest'ultima secondo l'interrogante in palese violazione degli OSP sottoscritti con lo Stato italiano, consisterebbero in numerosi casi di ingiustificato rifiuto di imbarco dei mezzi delle società di trasporto, nonché in una serie di iniziative dirette a fare pressione sui clienti, minacciando e attuando il recesso da accordi commerciali in corso e la revoca delle condizioni e dei termini di pagamento, pur precedentemente concesse agli autotrasportatori;
   i comportamenti descritti sarebbero ingiustificati alla luce dell'ampia e solo parzialmente utilizzata capacità di stiva delle società del gruppo Onorato Armatori e avrebbero l'obiettivo di danneggiare Grimaldi, costringendo gli autotrasportatori con i quali la stessa ha stipulato accordi commerciali a rescinderli;
   il vero obiettivo delle iniziative poste in essere dalle due compagnie di navigazione del gruppo Onorato sarebbe quello di escludere dal mercato Grimaldi, o – quanto meno penalizzare fortemente l'offerta di servizi da parte della società, inducendo i clienti (potenziali o attuali) ad avvalersi unicamente dei servizi offerti da CIN e Moby;
   l'importo dei contributi pubblici erogati a CIN ai sensi della Convenzione (pari circa a 72 milioni di euro annui), comporta una significativa sovracompensazione dei costi necessari per l'espletamento degli OSP, che non solo non viene utilizzata per abbattere il costo del trasporto ma costituisce un limite grave alla legittima concorrenza nei collegamenti da e per la Sardegna;
   in base ai fatti segnalati, Onorato Armatori, in posizione dominante, attraverso le controllate CIN e Moby, sui fasci di rotte che collegano il nord e il sud della Sardegna con i porti tirrenici del Centro e del Nord Italia, avrebbe posto in essere attraverso le predette società controllate CIN e Moby una strategia abusiva volta ad escludere dal mercato la compagnia Grimaldi la quale, avendo recentemente ripristinato il collegamento Civitavecchia Porto Torres ed essendo entrata a gennaio 2016 anche sulla Livorno-Olbia, si presenta come un concorrente temibile;
   tale strategia si sarebbe concretizzata in pratiche discriminatorie attuate nei confronti degli operatori di logistica e trasporto che hanno deciso di spostare una parte del loro traffico di merci sulle navi del concorrente;
   CIN e Moby, in particolare, avrebbero negato a TI e NLL, senza alcuna valida ragione, l'imbarco di rimorchi e semirimorchi che trasportavano merci deperibili, a fronte di capacità di stiva inutilizzata, adducendo motivazioni contraddittorie o non veritiere. Inoltre, CIN e Moby avrebbero modificato le condizioni commerciali praticate ai suddetti operatori su tutte le rotte da esse servite, passando da condizioni di pagamento a 90 giorni più 15 di dilazione (ritenute standard nel settore) al pagamento anticipato (in alcune circostanze addirittura in contanti);
   la portata abusiva di tale comportamento sarebbe evidenziata dalla circostanza che i trasportatori che non hanno scelto di operare anche (o solo) con Grimaldi avrebbero continuato a godere di condizioni di pagamento e modalità di imbarco analoghe a quelle riservate a NLL e a TI prima degli accordi con Grimaldi, con il doppio effetto: i) di segnalare agli operatori di logistica le possibili conseguenze derivanti dalla scelta di trasportare merci con il concorrente Grimaldi, ii) di danno reputazionale (per i mancati imbarchi) derivante a TI e NLL nei confronti della propria committenza;
   le condotte sopra descritte sono potenzialmente idonee a pregiudicare il commercio intracomunitario e, pertanto, appaiono integrare gli estremi di un'infrazione all'articolo 102 del TFUE;
   l'abuso in questione riguarda i servizi di trasporto marittimo di merci da e per la Sardegna, che rappresenta una delle principali destinazioni commerciali e turistiche nel Mediterraneo, operata da armatori appartenenti a gruppi di dimensione sia nazionale che internazionale;
   la fattispecie oggetto del presente procedimento aperto dall'autorità garante della concorrenza e del mercato, apparendo idonea ad arrecare pregiudizio al commercio tra Stati membri, deve essere valutata ai sensi dell'articolo 102 del TFUE;
   i comportamenti posti in essere da Onorato Armatori spa e dalle sue controllate Moby S.p.A. e Compagnia Italiana di Navigazione spa, nei mercati rilevanti come sopra individuati, per le ragioni sopra esposte, potrebbero configurare, secondo l'interrogante, una violazione dell'articolo 102 del TFUE;
   l'autorità garante ha disposto l'avvio dell'istruttoria, ai sensi dell'articolo 14 della legge n. 287 del 1990, nei confronti della società Onorato Armatori S.p.A. e delle sue controllate Moby S.p.A. e Compagnia Italiana di Navigazione S.p.A., per accertare l'esistenza di una violazione della concorrenza ai sensi dell'articolo 102 del TFUE;
   finalmente si persegue quello che l'interrogante giudica un vergognoso abuso di posizione dominante sulle rotte per la Sardegna;
   la reiterata denuncia dell'interrogante, come attesta l'atto di sindacato ispettivo del 21 ottobre 2015, culminata con circostanziati esposti all'autorità garante della concorrenza e del mercato, segue ora un vero e proprio atto formale del garante;
   la decisione di aprire una rilevante procedura d'infrazione è giunta dopo numerosi esposti e denunce che hanno fatto accendere i riflettori sulla scandalosa gestione del monopolio del trasporto marittimo sia merci che passeggeri;
   la situazione è insostenibile e dalla delibera dell'Antitrust si evince quanto da sempre denunciato: il gruppo Onorato dopo aver comprato il 100 per cento di Tirrenia è arrivato a controllare l'87 per cento di tutte le tratte merci da e per la Sardegna danneggiando ogni concorrenza;
   in tutte e due i casi, il monopolio e la discriminazione verso compagnie di trasporti, erano stati oggetto di azioni parlamentari e segnalazioni all'autorità garante della concorrenza e del mercato;
   la decisione di aprire formalmente l'istruttoria nei confronti di Compagnia Italiana di Navigazione (Cin), Moby e Onorato Armatori riguarda l'ipotesi di abuso di posizione dominante che le compagnie avrebbero attuato in violazione delle norme europee, ostacolando, quindi, l'operatività delle società concorrenti e costringendo la Sardegna ad un gravissimo monopolio con ripercussioni economiche senza precedenti –:
   se non ritenga il Governo di dover assumere iniziative per revocare con urgenza la convenzione con la società Cin per palese violazione delle regole elementari del mercato e per aver attuato in modo grave e reiterato quello che appare un monopolio ai danni della Sardegna e dei sardi;
   se non ritenga di dover bloccare ogni tipo di contributo statale alla società Cin Tirrenia perché ingiustificato sotto ogni punto di vista, considerato l'abbattimento dei costi di servizio e il mantenimento inalterato degli esorbitanti costi di trasporto;
   se non intenda, per quanto di competenza, di dover intervenire con urgenza nel settore del trasporto marittimo delle merci al fine di evitare quelle che all'interrogante appaiono, da parte di Tirrenia, condotte non trasparenti, fortemente discrezionali e gravemente lesive del servizio pubblico;
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative, anche alla luce delle azioni legali promosse da aziende private, per ridefinire, con somma urgenza, le convenzioni relative agli oneri di servizio pubblico, con la determinazione di procedure puntuali e codificate che diano garanzia di trasparenza e corretta attuazione delle prenotazioni e delle contestuali conferme;
   se non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza per varare apposite disposizioni in tal senso al fine di evitare il ripetersi dei gravi danni alla Sardegna derivanti dal comportamento, secondo l'interrogante non responsabile, della compagnia Tirrenia;
   se non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza per ridefinire un modello di compensazione funzionale all'abbattimento dei costi di trasporti non esclusivo e pluralista. (5-08456)


   TERROSI, MAZZOLI, BENI, ANDREA ROMANO, ALBINI, CAMPANA e COVA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Via Francigena è un antico itinerario definito intorno al 990 dall'arcivescovo Sigerico, il quale individuò sullo stesso ottanta tappe. Il percorso, che si inserisce nel novero di quelli definiti «romei», è conservato in un documento storico alla British Library di Londra: la partenza è a Canterbury e l'arrivo a Roma;
   come noto la Via Francigena percorre la Contea del Kent, arriva alla Manica, prosegue lungo le regioni francesi Nord-Pas de Calais, Picardie, Champagne-Ardenne, Franche-Comtè, varca la frontiera Svizzera nel cantone di Vaud e in Italia, si snoda attraverso le regioni Valle d'Aosta, Piemonte, Lombardia, Liguria, Emilia-Romagna, Toscana e Lazio;
   il 21 aprile 1994, la direzione educazione, cultura e sport del Consiglio d'Europa ha ufficializzato il riconoscimento di itinerario culturale della Via Francigena (protocollo n. 459 del 4 maggio 1994) e il 9 dicembre 2004 il Consiglio d'Europa ha dichiarato la Via Francigena «grande itinerario culturale del Consiglio d'Europa» ai sensi della risoluzione (98) 4, adottata dal Comitato dei Ministri il 17 marzo 1998;
   nel corso degli anni, molti sono stati gli interventi promossi dagli enti locali territoriali così come diversi sono gli accordi di programma sottoscritti, sia nazionali sia internazionali. Tra questi ultimi si ricordano il protocollo di collaborazione firmato nel mese di ottobre del 2014 dai rappresentanti delle regioni europee coinvolte; l'istituzione di un tavolo tecnico istituzionale permanente finalizzato alla definizione di una governance unica del progetto «sulla via Francigena», promosso dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e che coinvolge anche le regioni; la sottoscrizione nel mese di marzo 2015, di un protocollo di intesa a sostegno dello sviluppo e della promozione della Via Francigena, da parte dei sindaci di 17 Comuni del Lazio a Nord di Roma;
   nelle regioni Toscana e Lazio in particolare, il percorso della via Francigena si approssima in molti tratti a quello della strada regionale 2 Cassia, già strada statale 2 Cassia, in alcuni casi correndo parallelo ad essa, in molti casi attraversandola. In tutti i casi comunque è evidente l'importanza che questa strada riveste costituendo in molti tratti l'ossatura viaria delle due regioni per chi vuole affrontare un viaggio slow, paesaggisticamente interessante, ricco di storia e di cultura;
   in particolare relativamente al tratto di strada regionale 2 Cassia che attraversa la regione Lazio, per il tratto compreso tra i comuni di Monterosi e Viterbo la stessa regione ha predisposto il progetto denominato «Piattaforma stradale di tipo B» di cui sono stati approvati con deliberazione del Cipe n. 11 del 18 marzo 2005, il progetto preliminare e uno stanziamento destinato alla progettazione definitiva dell'opera. L’iter amministrativo del progetto è andato avanti ma non è stato ancora ultimato;
   anche per il tratto compreso tra il comune di Viterbo e l'abitato di Centeno al confine con la regione Toscana, è necessario attivare tutte le iniziative utili alla riqualificazione del tracciato, fortemente degradato negli ultimi anni, anche mediante la progettazione di interventi che aumentino le prestazioni del tronco stradale in oggetto in termini di sicurezza, comfort e informazioni all'utenza. Sebbene il tratto Centeno – Viterbo non sia stato in questi ultimi anni interessato dai lavori di messa in sicurezza, il flusso di pellegrini che percorre questo tratto che coincide con la Via Francigena, è considerevolmente aumentato e destinato a crescere ulteriormente; a questo si aggiunge il consueto transito veicolare –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti in premessa;
   se i Ministri interrogati non ritengano di promuovere iniziative al fine di realizzare una governance unica del progetto relativo alla via Francigena di concerto con le regioni Lazio e Toscana, per il tratto di competenza delle due regioni;
   quale sia io stato dell'arte del progetto denominato «piattaforma stradale di tipo B»;
   quali siano i progetti finanziati e finanziabili con la legge n. 208 del 2015 (articolo 1, comma 640 della legge di stabilità 2016) per la progettazione e realizzazione di itinerari turistici a piedi denominati «cammini» e a quali degli stessi si intenda dare priorità considerando che è necessario in molti tratti, soprattutto laddove il tracciato della via Francigena coincide o interseca quello di Strade statali o regionali a medio/alto flusso del traffico veicolare ordinario, garantire la messa a punto di un piano concordato con le regioni, con risorse economiche adeguate per la costante manutenzione e accorta gestione di lungo periodo del tracciato stesso. (5-08468)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LODOLINI e GIULIETTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il corpo nazionale dei vigili del fuoco ha potuto negli anni far fronte alle carenze di organico grazie al massivo utilizzo del personale cosiddetto «discontinuo», figura il cui reclutamento e addestramento è disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 76 del 2004, destinato ad essere richiamato in servizio per eccezionali necessità, è stato negli anni impiegato alla stregua di personale precario con gli stessi doveri della componente professionista ma con diritti e tutele praticamente inesistenti;
   con le recenti disposizioni in materia di assunzione, il Ministero ha finalmente avviato un processo mirato all'utilizzo dei fondi destinati al richiamo dei discontinui, dirottandoli in spesa strutturale al fine di riconoscere un contratto a tempo indeterminato a 2.000 di questi giovani. Questo ha inevitabilmente ridotto ai minimi termini la possibilità di richiamare in servizio i restanti vigili discontinui che, seppur formati, si ritrovano praticamente disoccupati;
   il dipartimento dei vigili del fuoco, del soccorso pubblico e della difesa civile si appresta a varare un concorso pubblico per titoli ed esami che prevede percentuali di posti riservati a diverse categorie di partecipanti tra le quali quella appunto dei vigili discontinui;
   la percentuale riservata ai militari in ferma prefissata prevista dal decreto-legge n. 215 del 2001 risulta essere di gran lunga sproporzionata rispetto a quella prevista invece per il personale discontinuo (45 per cento a fronte di un 25 per cento) –:
   quali siano le ragioni che indurrebbero il Governo a preferire l'assunzione nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco di personale proveniente dalle forze armate a discapito del personale proveniente dall'interno del Corpo stesso, addestrato, motivato e sicuramente più meritevole di vedersi riconosciuto il servizio prestato, negli anni, al fianco della componente permanente;
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative per la revisione delle percentuali dei posti riservati alle forze armate (decreto-legge n. 215 del 2001), al fine di aumentare le riserve destinate ai vigili del fuoco discontinui/volontari.
(5-08441)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LOREFICE, COLONNESE, BRESCIA, SILVIA GIORDANO, MANTERO, GRILLO, BARONI, DI VITA, D'AMBROSIO, RIZZO, MANLIO DI STEFANO, FRUSONE, CANCELLERI e COZZOLINO. —Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il centro di accoglienza di Mineo non può essere più definito Centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) secondo quanto previsto dalla normativa vigente;
   il centro è stato protagonista dei ben noti scandali legati a «mafia capitale» ed oltre a questo non sono affatto trascurabili le questioni, più volte evidenziate da visite ed ispezioni, legate all'inadeguatezza di tale centro per garantire un'accoglienza dignitosa della persona;
   gli hotspot previsti dalla road map italiana in applicazione dell'Agenda europea delle migrazioni non hanno, secondo gli interroganti, alcun fondamento giuridico nell'ordinamento italiano, né trovano una chiara definizione ai sensi della normativa vigente;
   gli hotspot risulterebbero comunque essere propedeutici alle operazioni di ricollocamento che, stando ai dati forniti dal Ministero dell'interno, risultano al momento evidentemente fallimentari;
   in assenza di ricollocamenti, gli hotspot si configurerebbero come centri di lunga permanenza specialmente in assenza di altri posti disponibili alla luce di maggiori sbarchi;
   la Costituzione italiana non prevede in alcun modo il trattenimento dei migranti per fini identificativi, ma un centro quale quello di Mineo, per via delle sue caratteristiche logistiche e per giunta lontano da centri abitati, sembrerebbe agli interroganti invece idoneo proprio a questo —:
   se non si ritenga necessario interrompere ogni iniziativa che preveda l'istituzione di centri di accoglienza definiti hotspot, senza che questi abbiano una chiara definizione giuridica nell'ordinamento italiano, in un sito quale quello di Mineo che ha già manifestato tutte le sue criticità e non presenta, ad avviso degli interroganti, in alcun modo le caratteristiche necessarie a garantire un'accoglienza dignitosa ma che potrebbe dar luogo a violazioni di principi di diritto fondamentali. (4-12901)


   ZOLEZZI, COZZOLINO, TONINELLI, DE ROSA, BUSINAROLO, SARTI, SPADONI, DELL'ORCO e DAGA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'ARCI (Associazione ricreativa e culturale italiana) è un'associazione di promozione sociale italiana fondata a Firenze il 26 maggio 1957;
   essa si riconosce nei valori democratici nati dalla lotta di liberazione contro il nazifascismo, valori che trovano piena affermazione nella Costituzione repubblicana. Arci si richiama, inoltre, alla Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo ed alla Convenzione internazionale sui diritti dell'infanzia dell'ONU ed opera in contesti locali, nazionali e internazionali per l'affermazione degli stessi;
   attualmente ha la sua sede nazionale a Roma in via dei Monti di Pietralata, 16, ed è una associazione di promozione sociale, ai sensi della legge 7 dicembre 2000, n. 383;
   nell'ambito della ricostruzione democratica nell'Italia liberata dal fascismo maturò l'idea di fondare una federazione di circoli, case del popolo, società mutualistiche che si riconoscevano nei valori della sinistra e segnatamente in quelli dei due principali partiti allora all'opposizione, il PCI e il PSI. Nel 1957 nasceva così l'ARCI;
   dopo aver assunto nel 1994 la denominazione «Arci Nuova associazione», al Congresso nazionale di Cervia del 23/26 febbraio 2006 l'associazione assume la denominazione «Associazione ARCI», conferendo maggiore evidenza all'acronimo storico A.R.C.I., adottato nel 1957;
   contro la guerra nella ex-Jugoslavia, a sostegno delle sue vittime (dalla Carovana per la Pace, alla candidatura per il premio Nobel per la Pace), antirazzismo e iniziative rivolte all'integrazione degli immigrati (dai campi di accoglienza all'incontro pubblico con Nelson Mandela dopo la sua liberazione), promozione dei valori della solidarietà contro l'egoismo sociale e le tendenze alla secessione, promozione della cultura (mille concerti in più parti d'Italia, il 21 giugno, Festa della Musica), la partecipazione attiva della Banca etica e del Forum del terzo settore;
   Arci partecipa al forum sociale mondiale. La presidente è Francesca Chiavacci, eletta il 14 giugno 2014;
   vi aderiscono 1.115.002 persone, suddivise in 4867 circoli o associazioni locali che si occupano di tematiche varie: cultura (arte, cinema/video, letteratura/poesia, musica, teatro/danza), turismo, diritti, impegno sociale, servizio civile e solidarietà internazionale;
   considerata tradizionalmente vicina alla sinistra la sua bandiera è formata di sei bande orizzontali di identiche dimensioni in cui ciascuno dei colori rappresenta uno o più elementi dell'ambiente e i colori delle varie popolazioni umane (nero, giallo, rosso e bianco);
   presidenti nazionali sono stati:
    Alberto Jacometti (1957-1971);
    Arrigo Morandi (1971-1979);
    Enrico Menduni (1979-1983);
    Rino Serri (1983-1989);
    Giampiero Rasimelli (1989-1997);
    Tom Benetollo (1997-2004);
    Paolo Beni (2004-2014);
    Francesca Chiavacci (2014-in carica);
   Arci Mantova si riconosce nei principi, nei valori e nello statuto nazionale dell’«Associazione ARCI» fondata a Firenze il 26 maggio 1957 e riconosciuta dal Ministero dell'interno, di cui è parte costitutiva;
   nello statuto nazionale, al «TITOLO VII – patrimonio, risorse, amministrazione si legge «Art. 30 – il patrimonio dell'associazione è indivisibile e destinato unicamente, stabilmente e integralmente a supportare il perseguimento delle finalità sociali;
   esso è costituito da:
    beni mobili ed immobili di proprietà della stessa;
    eccedenze degli esercizi annuali;
    erogazioni liberali, donazioni, lasciti;
    partecipazioni societarie e investimenti in strumenti finanziari diversi.
   Art. 31 – le fonti di finanziamento dell'associazione sono:
    le quote annuali di adesione e tesseramento dei soci e delle associazioni aderenti;
    i proventi derivanti dalla gestione economica del patrimonio;
    i proventi derivanti dalla gestione diretta di attività, servizi, iniziative e progetti;
    i contributi pubblici e privati;
    ogni altra entrata diversa non sopra specificata.
   Art. 32 – l'esercizio sociale si svolge dal 1o gennaio al 31 dicembre di ogni anno;
   la Presidenza Nazionale predispone:
    il documento economico di previsione, che deve essere discusso ed approvato dal Consiglio Nazionale entro l'inizio dell'esercizio a cui si riferisce. Può essere prevista deroga in caso di comprovata necessità o impedimento, adottando criteri di esercizio provvisorio;
    il rendiconto economico e finanziario o bilancio consuntivo con una relazione illustrativa, che deve essere approvato dal Consiglio Nazionale entro 4 mesi dal termine dell'esercizio a cui fa riferimento. Può essere prevista deroga in caso di comprovata necessità o impedimento;
    il rendiconto dell'esercizio dovrà evidenziare in modo analitico i costi ed i proventi di competenza, nonché la consistenza finanziaria e le poste rettificative che consentano di determinare la competenza dell'esercizio. Il Consiglio Nazionale approva i piani pluriennali di investimento»;
   l'ARCI provinciale di Mantova è un articolata associazione che comprende circa 50 circoli, al 2011 erano presenti 60 dirigenti e 763 volontari, 14 circoli svolgono attività di ristorazione e 38 di sola somministrazione bevande e alimenti, la principale fonte di finanziamento insieme agli eventi culturali, su cui risulta una tassazione del 9 per cento;
   lo statuto ARCI Mantova riporta all'articolo 18 che il presidente territoriale: rappresenta ed esprime l'unità politica dell'associazione, garantisce la corretta ripartizione dei compiti e delle funzioni degli organismi territoriali; esercita compiti di rappresentanza interna ed esterna; esercita il coordinamento politico ed organizzativo e la direzione politica dell'Associazione. Il presidente è membro di diritto del consiglio direttivo territoriale che convoca e presiede stabilendone l'ordine del giorno. Propone i componenti della Presidenza, che convoca e dirige. Convoca ogni volta che lo ritenga necessario i responsabili dei singoli settori di attività. Il presidente rappresenta l'Associazione in giudizio verso terzi;
   sul sito di ARCI Mantova si leggeva fino al 30 marzo 2016:
    «Nella seduta di presidenza provinciale del 26 febbraio 2015 e con delibera del consiglio provinciale del 24 marzo 2015 Mattia Palazzi ha comunicato e rassegnato le dimissioni da Rappresentante legale di ARCI Mantova, nonché da presidente (le cariche statutariamente coincidono). Mattia Palazzi ha ritenuto di farlo nonostante non vi fosse obbligo di legge, al fine di poter compiere la campagna elettorale che lo vede candidato sindaco di Mantova per il centro sinistra, tutelando l'associazione da polemiche strumentali... La Presidenza e il Consiglio all'unanimità hanno deciso di accogliere le dimissioni da rappresentante legale, nominando il responsabile Organizzatore di ARCI Mantova, Mirco Dei Cas nuovo rappresentante legale nonché coordinatore di ARCI Mantova. La presidenza e il Consiglio all'unanimità, hanno deciso di non nominare in questa fase un nuovo Presidente»;
   il 13 aprile 2016, con riferimento alla stessa seduta di presidenza provinciale ARCI del 26 febbraio 2015 e alla stessa delibera, sul sito di ARCI Mantova si legge che Mirco Dei Cas è stato nominato presidente di ARCI Mantova;
   le elezioni comunali videro l'elezione di Mattia Palazzi a sindaco di Mantova, al turno di ballottaggio il 14 giugno 2015;
   da visura camerale personale di Mattia Palazzi e di ARCI Mantova, risulterebbe che Mattia Palazzi sia ancora presidente di ARCI Mantova;
   risulta che ARCI Mantova, nel 2011 fatturò oltre 4 milioni e 486 mila euro da documento disponibile online, di cui 115 mila da contribuzione di enti pubblici; ad oggi però la normativa non permette di dare effettiva espressione di trasparenza alle attività delle Arci che, comunque godono dei fondi pubblici;
   il testo unico degli enti locali (TUEL), decreto-legge 18 agosto 2000 n. 267, e successive modifiche, all'articolo 63, riporta le cause di incompatibilità per quanto concerne la carica di sindaco;
   «Art. 63 – Incompatibilità – 1. Non può ricoprire la carica di sindaco, presidente della provincia, consigliere comunale, consigliere metropolitano, provinciale o circoscrizionale:
    (alinea così modificato dall'articolo 1, comma 23, lettera b), legge n. 56 del 2014);
     1) l'amministratore o il dipendente con poteri di rappresentanza o di coordinamento di ente, istituto o azienda soggetti a vigilanza in cui vi sia almeno il 20 per cento di partecipazione rispettivamente da parte del comune o della provincia o che dagli stessi riceva, in via continuativa, una sovvenzione in tutto o in parte facoltativa, quando la parte facoltativa superi nell'anno il dieci per cento del totale delle entrate dell'ente» (numero così modificato dall'articolo 14-decies, legge n. 168 del 2005)»;
   risulta dalla determinazione n. 1867 del 13 ottobre 2015 che siano stati assegnati ad ARCI Mantova, con sede a Mantova in via Ariosto n. 47, contributo pari a euro 22.000,00 a sostegno dell'organizzazione del «Mantova Jazz Festival»;
   dalla determina n. 2357 del 2 dicembre 2015 risulta che siano stati assegnati al Circolo ARCI TOM, avente sede in piazza Tom Benetollo a Mantova, iscritto ad ARCI associazione provinciale di Mantova, 8.000,00 euro per iniziative di intrattenimento in centro storico a Mantova, di cui l'80 per cento liquidati prima dell'iniziativa, la determinazione numero 403 del 25 febbraio 2016 ha assegnato la liquidazione di 1.600 euro;
   la normativa non chiarisce sufficientemente come possano essere compatibili ruoli che sembrerebbero agli interroganti in palese conflitto di interesse proprio come nel caso del sindaco Mattia Palazzi della città di Mantova –:
   se risulti al Ministro dell'interno l'eventuale permanenza nella carica di presidente di ARCI Mantova di Mattia Palazzi e se ritenga esistano i presupposti per assumere iniziative ai sensi dell'articolo 70 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali in relazione a possibili profili di incompatibilità riferiti alla carica di sindaco di Mantova nella situazione descritta, ovvero se non intenda assumere iniziative normative volte ad evitare sovrapposizioni di incarichi pubblici e privati, a giudizio degli interroganti, quanto meno inopportuni, come nel caso sopra descritto;
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative normative volte a garantire che enti e associazioni che beneficiano di contributi pubblici a qualunque titolo, come nel caso di ARCI, siano tenuti a rendere trasparente l'utilizzo di tali risorse, pubblicando anche sul sito internet, i dati relativi alla governance e all'impiego dei fondi percepiti (4-12902)
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   COZZOLINO, DA VILLA e SPESSOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la legge 7 aprile 2014, n. 56, ha disciplinato, tra l'altro, la nascita e il funzionamento della città metropolitana. Tale istituzione, come disposto dall'articolo 1, comma 6 della legge n.56 del 2014 vede il proprio territorio coincidere con quello della provincia nella quale è istituita; la legge 7 aprile 2014, n. 56 ha inoltre modificato gli organi di cui si compone la provincia e le modalità di elezione del presidente della provincia e del consiglio provinciale;
   nelle disposizioni dettate dalla legge n. 56 del 2014 in merito alla composizione e alle modalità di elezione degli organi della città metropolitana e delle provincia emerge una sostanziale equivalenza, quanto meno di natura politica, tra sindaco metropolitano e consiglieri metropolitani e presidente della provincia e consiglieri provinciali;
   l'articolo 14 della legge 21 marzo 1990, n. 53, assegna ai consiglieri provinciali la competenza ad autenticare le firme a corredo di liste e candidature elettorali per diversi tipi di elezioni, tra i quali le elezioni per il rinnovo dei consigli comunali;
   in data 16 marzo 2016 la prefettura di Venezia in risposta ad un quesito posto dal commissario straordinario del comune di Caorle ha inviato una nota scritta nella quale si afferma che consiglieri metropolitani possono svolgere funzioni autenticatrici solo in quanto consiglieri comunali, e quindi solo nell'ambito del territorio del proprio comune e per consultazioni che si svolgono in tale comune;
   da tale interpretazione consegue che un consigliere metropolitano della città metropolitana di Venezia non possa autenticare firme a corredo di liste elettorali presentate nel comune di Caorle per l'elezione del consiglio comunale di Caorle se questi non sia consigliere comunale dello stesso comune;
   se tale interpretazione data dalla prefettura di Venezia fosse considerata valida, a giudizio dell'interrogante, si porrebbe un caso evidente di disparità di trattamento nei confronti dei cittadini che intendono presentare liste elettorali per partecipare alle elezioni amministrative in comuni che si trovano all'interno del territorio di una città metropolitana, come i comuni della provincia di Venezia, rispetto a quei cittadini che presentano liste elettorali in comuni che si trovano all'interno del territorio di una provincia. Nel primo caso, infatti, per l'autentica delle firme non si può fare riferimento ad un soggetto autenticatore sovra-comunale, quale il consigliere provinciale, mentre nel secondo caso è possibile –:
   se l'interpretazione data dalla prefettura di Venezia sia da ritenersi corretta e quali iniziative intenda porre in essere il Ministro interrogato, per risolvere la questione riportata in premessa che potrebbe produrre maggiori e ingiustificate difficoltà nel procedimento di presentazione delle liste elettorali per le elezioni che riguardano comuni ricompresi all'interno di una città metropolitana. (4-12911)


   PICCIONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ciò che si chiama «emergenza immigrazione» contiene in sé una vera e propria «emergenza nell'emergenza» e cioè quella che riguarda i minori non accompagnati;
   sono, infatti, quasi 2.500 i minori stranieri non accompagnati arrivati nel nostro Paese fino ad ora nel 2016, ma si tratta di numeri destinati ad aumentare;
   con l'arrivo della bella stagione come sempre, infatti, aumenta il flusso di migranti che, nelle ultime settimane, continuano a sbarcare a ritmo serrato sulle coste italiane;
   solo in Sicilia, prima frontiera del flusso migratorio, se ne contano approssimativamente 4.500, dislocati in 40 centri di prima e seconda accoglienza dedicati agli extracomunitari;
   questi centri possono ospitare al massimo 1.600 minori, dunque la capienza è insufficiente, tanto che i minori vengono fatti ospitare nelle comunità alloggio per italiani, anche questi però risultano pochi rispetto ai numeri dei nuovi minori che arrivano ogni giorno sulle nostre coste;
   la situazione è tale da spingere la regione siciliana a chiedere che anche le altre regioni italiane si impegnino di più a farsi carico del problema, dato che, da sola, ospita il 38 per cento di tutti i minori non accompagnati, la Lombardia, che si colloca al secondo posto per ospitalità, ne accoglie appena l'8,7 per cento;
   tra i minori che sbarcano nell'isola è ampia la fascia che va dai 16 ai 18 anni, ma fra gli ultimi sbarcati c'erano anche tre dodicenni e, ad Augusta, un bambino eritreo di soli di dieci anni;
   la Commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, dopo una approfondita indagine conoscitiva, aveva approvato il 21 aprile 2009, una risoluzione con l'invito al Governo a procedere sia con un piano d'azione dotato dei fondi necessari sia con un adeguamento legislativo utile a attualizzare le norme e omogeneizzare gli interventi su scala nazionale;
   inoltre, la Convenzione su diritti dell'infanzia e dell'adolescenza approvata dall'Onu il 20 novembre 1989 e ratificata 176 del 27 maggio 1991 costituisce, un dovere in più ad intervenire con legge;
   è attualmente all'esame della Camera un progetto di legge organico che, attualizzando le normative vigenti, ha l'obiettivo di adottare una disciplina organica, diritti, doveri, sicurezza, e unitaria per l'intero territorio –:
   nelle more dell'approvazione, che si auspica imminente, di una normativa organica in materia di minori stranieri non accompagnati, quali iniziative immediate il Governo intenda adottare al fine di sostenere i territori interessati, e regioni e i comuni, di fornire loro strumenti efficaci per fronteggiare al meglio l'emergenza dei minori non accompagnati e garantire l'accoglienza nel rispetto della legalità e delle convenzioni internazionali sui diritti del minore. (4-12912)


   RICCIATTI, COSTANTINO, FAVA, MELILLA, PIRAS, DURANTI, QUARANTA, SANNICANDRO, KRONBICHLER, SCOTTO e FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la testata Il Corriere Adriatico (ed. Pesaro) del 15 aprile 2016 riporta un articolo, intitolato «Pistola sospetta in odore di mafia», nel quale vengono ricostruite le indagini dei carabinieri intorno al ritrovamento di un'arma, un revolver con matricola abrasa munito di cartucce dopo una segnalazione di un pacco sospetto in una canalina di un impianto elettrico a Tavernette di Serrungarina (Pesaro e Urbino);
   le indagini si sono orientate, a quando si apprende, nei circuiti della criminalità organizzata, anche alla luce della recente operazione «Damasco» (si veda l'interrogazione a risposta scritta n. 4-12615, presentata dalla prima firmataria del presente atto il 23 marzo 2016, seduta n. 596), che ha portato allo smantellamento di una organizzazione di stampo mafioso operante nelle Marche, dedita ad attività criminali quali lo spaccio di sostanze stupefacenti. L'accostamento delle due vicende è stato avanzato in considerazione del fatto che in quelle indagini sarebbe emersa una significativa disponibilità di armi in capo alla organizzazione criminale, non ancora rinvenute;
   dopo le prime indagini si è appreso che l'arma era stata prelevata da un operaio edile quarantaduenne di Torre del Greco, attualmente residente nella provincia di Pesaro Urbino. L'uomo è stato riconosciuto nelle immagini catturate da apposite telecamere installate dai carabinieri. A seguito dell'identificazione sono stati rinvenuti, inoltre, tredici mila euro in contanti, nell'appartamento del soggetto citato, attualmente indagato per possesso di arma clandestina;
   la notizia richiamata si inserisce in un contesto che segnala come negli ultimi anni la regione Marche sia stata progressivamente interessata dall'espansione di attività legate a forme di criminalità organizzata, come hanno avuto modo di ribadire sia il procuratore generale della Repubblica presso la corte d'appello di Ancona, nella relazione per l'inaugurazione dell'anno giudiziario corrente, sia la direzione nazionale antimafia, più volte in diversi atti di sindacato ispettivo, sullo stesso tema, presentati dall'interrogante, ai quali ci si richiama integralmente –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno illustrare le misure predisposte per contrastare la ramificazione ed il consolidamento di realtà criminali di stampo mafioso nelle Marche. (4-12916)


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportarono anche i quotidiani locali, nel mese di luglio 2016 giunsero a Cantù, in provincia di Como, sei stranieri, forse richiedenti asilo, per essere alloggiati temporaneamente in un appartamento gestito dalla Croce Rossa Italiana;
   successivamente, poiché secondo i dati disponibili al 20 gennaio 2016 dell'ufficio del monitoraggio delle presenze e della movimentazione presso la direzione centrale dei servizi civili per l'immigrazione e l'asilo del Ministero dell'interno, risultavano invece ospitati a Cantù nelle strutture temporanee di accoglienza in totale trentatré stranieri, dunque ventisette in più rispetto ai sei noti, era stata presentata prontamente al medesimo Ministro una apposita interrogazione per avere chiarimenti in merito;
   ad oggi, secondo gli ultimi dati disponibili e aggiornati al 21 marzo 2016 del medesimo ufficio, si apprende che a Cantù nelle strutture temporanee di accoglienza sarebbero ospitati in totale ben quaranta stranieri;
   alla interrogazione di cui in premessa non è stata data risposta e nel frattempo, nell'arco di pochi mesi, sono stati trasferiti a Cantù, dai sei originari, ben quaranta stranieri in totale, di cui non è nota la nazionalità, l’iter della eventuale domanda di protezione internazionale nonché l'esatta ubicazione delle strutture di accoglienza in cui sarebbero ospitati;
   sebbene i dati di cui sopra siano ufficiali e vengano comunicati dalle prefetture alla direzione centrale dei servizi civili, neanche per gli ultimi arrivi nel territorio canturino si è avuta preventiva ed opportuna notizia, come invece accaduto nel mese di luglio 2015;
   tali stranieri, esclusi i sei di cui è nota da luglio 2015 l'accoglienza diretta dalla Croce Rossa, a quanto risulta all'interrogante sarebbero ospitati in cinque appartamenti, gestiti tutti dalla medesima Cooperativa Intesa Sociale, come in numerosi altri comuni della zona;
   va tenuto conto dell'aumento e dell'intensificarsi di trasferimenti di stranieri a Cantù, della mancanza di idonea e opportuna informazione, conoscenza e coinvolgimento della popolazione locale –:
   di quale nazionalità siano le quaranta persone ospitate nei sei appartamenti a Cantù, sia in quello gestito dalla Croce Rossa che nei cinque gestiti dalla Cooperativa Intesa Sociale, se abbiano presentato domanda di asilo, a quale punto sia la procedura per l'esame della domanda ed eventualmente se vi siano stati rigetti o riconoscimenti di protezione internazionale; se da luglio 2015 i sei stranieri ospitati dalla Croce Rossa Italiana siano gli stessi, da quando i trentaquattro stranieri siano ospitati a Cantù e dove siano ubicati gli alloggi in cui dimorano e se qualcuno delle persone ospitate abbia precedenti penali o denunce a carico;
   quali procedure siano state adottate per l'assegnazione del servizio di accoglienza alla Cooperativa Intesa Sociale e quali controlli siano stati effettuati da parte della prefettura competente, in particolare relativamente alla verifica in capo alla stessa Cooperativa dei requisiti previsti e dell'idoneità della stessa;
   quante e quali convenzioni tra la suddetta cooperativa e la prefettura di Como siano state stipulate e quali siano le somme finora complessivamente erogate alla medesima cooperativa. (4-12918)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   ATTAGUILE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di febbraio 2016 il sottosegretario Faraone con entusiasmo annunciava la partenza di un nuovo concorso della scuola dove in Sicilia sarebbero stati assegnati «soltanto» 4.109 posti dei quasi 64 mila previsti dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per il prossimo triennio, il 2016/2018: un 6,4 per cento del totale, ad avviso dell'interrogante striminzito;
   a partire dal 23 febbraio – dopo la pubblicazione dei bandi sulla Gazzetta Ufficiale – si prevedeva che l'ufficio scolastico regionale avrebbe organizzato le commissioni per selezionare 3.841 docenti di posto comune e 268 di sostegno. Il dettaglio con i posti per ordine di scuola e classi di concorso è stato reso noto successivamente;
   per stilare la graduatoria di merito dei vincitori del concorso, varranno anche i titoli – servizio, dottorato, certificazioni linguistiche e eventuali altri titoli abilitanti – e il punteggio sarà in centesimi. I vincitori verranno inseriti negli ambiti territoriali scelti al momento della domanda e dovranno attendere la «chiamata» dei presidi. Ma la paura delle migliaia di precari siciliani che attendono questo concorso da anni è che alla fine della maratona estiva per terminare le prove non si trovino i posti previsti dal bando;
   in Sicilia è già accaduto nel 2012 con il concorso, predisposto dopo oltre un decennio dal precedente, dall'allora Ministro Francesco Profumo. Infatti, alla luce del calo degli alunni, dei pensionamenti e della mobilità straordinaria attesa da migliaia di siciliani che negli anni scorsi si sono recati al Nord per entrare di ruolo e adesso aspirano a un meritato rientro a casa il nuovo concorso potrebbe fare saltare le legittime aspirazioni. E parecchi potrebbero tentare il concorso in Lombardia – con 11.176 posti, il triplo della Sicilia – e dintorni;
   l'entusiasmo del Sottosegretario ed i numeri previsti sono una beffa per gli insegnati che, vittime della «riforma Gelmini» prima e della legge n. 107 dopo, sono stati costretti a lasciare la Sicilia, le famiglie per potere svolgere il proprio lavoro, ottenuto dopo avere vinto un concorso;
   la legge n. 107 del 2015, tanto osannata, ad avviso dell'interrogante risulta essere, allo stato dei fatti, una legge ingiusta, scorretta e che ha prodotto ineguaglianze;
   è una legge che toglie ogni dignità, allontana dagli affetti e costringe gli insegnanti a vivere una vita di ristrettezze, poiché con lo stipendio erogato i lavoratori fuori sede sono costretti a pagare gli affitti, le utenze doppie ma anche i viaggi per ricongiungersi alle famiglie almeno durante le festività –:
   se il Ministro, sia a conoscenza della situazione e se non intenda intervenire per tutelare i diritti dei lavoratori che, essendo vincitrici di concorso, avrebbero il diritto di svolgere il lavoro nella loro terra, ma che, a seguito delle nuove prove concorsuali, rischiano di essere scavalcati dai nuovi vincitori. (4-12904)


   GIULIETTI e LODOLINI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   i docenti dei licei musicali e coreutici (sezione coreutica), in seguito alla pubblicazione del bando di concorso di cui al ddg 106/2016, risultano dallo stesso concorso esclusi, come previsto all'articolo 2 comma 3: «la procedura sarà attivata all'esito del percorso specifico di abilitazione»;
   tale percorso di abilitazione non è stato mai indicato e/o previsto nei corsi biennali di diploma accademico di II livello necessario per l'insegnamento nei licei coreutici per le specifiche materie di indirizzo, come da sbocchi occupazionali dei relativi piani di studi;
   con il decreto ministeriale 22 ottobre 2004, n. 93, che istituisce il corso biennale di diploma accademico di II livello (indirizzo danza classica e danza contemporanea), tale titolo era abilitante all'insegnamento della danza negli stessi licei coreutici, in base al decreto legislativo n. 227 del 17 ottobre 2005, articolo 4, comma 1 e alla legge n. 53 del 28 marzo 2003, articolo 5 (entrambi abrogati dalla legge del 24 dicembre 2007, n. 244 – finanziaria 2008);
   ad avviso degli interroganti, tale diritto non può essere alienato, l'abrogazione non può essere retroattiva e lo stesso diritto allo studio accademico deve essere preservato per tutti coloro che sono già iscritti al biennio specialistico di II livello;
   ci si trova in una fase transitoria riguardo ai titoli di studio rilasciati dall'Accademia Nazionale di Danza, in possesso dei docenti attualmente in servizio nei licei musicali e coreutici (sezione coreutica);
   risulta urgente assicurare la continuità didattica e il diritto allo studio in relazione alla vicenda dei docenti dei licei coreutici italiani –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative normative per un riconoscimento immediato delle mansioni professionali e della didattica svolta durante questi primi sei anni di attività dei licei musicali e coreutici, sezione coreutica, in modo da sanare una situazione anomala, stabilizzando i docenti dei licei coreutici, già valutati idonei all'insegnamento tramite diverse procedure selettive pubbliche per titoli nelle discipline corrispondenti;
   se non sia il caso di assumere iniziative per attivare percorsi formativi abilitanti specifici e riservati con accesso diretto per i docenti che abbiano maturato servizio nelle discipline di indirizzo dei licei coreutici di almeno 180 giorni dall'anno scolastico 2010/11 al 2015/16 compreso. (4-12905)


   SORIAL. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   secondo una recente indagine condotta da Sos Il Telefono Azzurro e DoxaKids, nel nostro Paese un ragazzo su cinque subisce ancora episodi di bullismo da parte dei suoi coetanei e uno degli strumenti più utilizzati per fare i bulli sarebbe Internet, dove trova luogo il cosiddetto cyberbullismo, fenomeno in preoccupante crescita: chat, social network, siti di domande e risposte e forum online possono divenire l'ambiente ideale per intimidazioni, emarginazione e molestie vere e proprie;
   l'ultimo rapporto dell'Istat «Il bullismo in Italia: comportamenti offensivi e violenti tra i giovanissimi» evidenzia che tra i ragazzi di età tra i 14 e i 17 anni che usano cellulare e Internet, il 5,9 per cento ha denunciato di avere subìto ripetutamente azioni vessatorie tramite sms, mail, chat o social network, le vittime sono principalmente le ragazze: il 7,1 per cento contro il 4,6 dei ragazzi;
   il bullismo è un fenomeno socio-culturale annoso ormai stratificato e sedimentato all'interno della nostra società da secoli, ma negli ultimi anni si sta diffondendo in maniera preoccupante;
   il Telefono Azzurro lo definisce come l'insieme di «tutte quelle azioni di sistematica prevaricazione e sopruso messe in atto da parte di un bambino/adolescente, nei confronti di un altro bambino/adolescente percepito come più debole»;
   il bullismo produce effetti patologici sulla psiche di bambini e adolescenti, che variano a seconda del soggetto coinvolto, e incidono negativamente sull'area relazionale delle vittime, con gravi effetti sull'autostima e sulle capacità di socializzare, fino a generare episodi di depressione, ansia e indurre, in casi estremi, anche idee suicidarie;
   si considera «bullo» colui che danneggia con prepotenza altri ragazzi quasi sempre prendendo di mira vigliaccamente i più deboli e più esposti quindi alle prevaricazioni, come i disabili, oppure quelli considerati in qualche modo diversi, o comunque i più isolati, e che trova appagamento nel perseguitarli con azioni di violenza fisica (che arrivano fino a vere e proprie aggressioni) e/o psicologica (prese in giro, minacce, insulti, eccetera) che si basano comunque sempre su di una volontà di svalutazione e di umiliazione dell'altro;
   gli autori del bullismo non hanno un'età precisa, così come le loro vittime; possono essere alunni della scuola primaria, della scuola secondaria di primo e di secondo grado;
   l'80 per cento degli episodi di bullismo, definito in America «l'epidemia silenziosa», si verificano in Italia tra i banchi di scuola, mentre un bambino su dieci li subisce online e sui social network; inoltre dall'indagine di Sos Il Telefono Azzurro e DoxaKids di cui sopra, emerge che il 12 per cento è stata vittima di cyberbullismo, il 32 per cento ha paura di subirlo mentre il 30 per cento teme il contrario, ovvero di offendere l'altro senza accorgersene;
   dall'indagine delle due associazioni emergerebbero anche altri dati riguardanti l'utilizzo che i giovanissimi (dai 12 ai 18 anni) fanno di internet: il 17 per cento degli intervistati dichiara di non riuscire a staccarsi da smartphone e social network, il 25 per cento è sempre online e il 78 per cento di essi chatta continuamente su whatsapp, mentre quasi uno su due si connette più volte al giorno;
   anche il rapporto dell'Istat sottolinea che più di nove adolescenti su dieci usano un telefono cellulare, la metà usa un personal computer, sette su dieci usano Internet, e due ragazzi su tre, poi, ritengono che il cyberbullismo sia un fenomeno in crescita;
   un simile utilizzo di internet rischia facilmente di scivolare in dipendenza, anche perché non viene percepito il pericolo nemmeno dai genitori che tendono ad utilizzare anche loro la rete per comunicare con i loro figli e in questo modo non li disincentivano da questo utilizzo esagerato: la quasi totalità dei genitori analizzati dall'indagine Sos Il Telefono Azzurro e DoxaKids dichiara di comunicare con i propri figli tramite whatsapp o altre chat;
   questa ossessione per la rete sta sfociando in diversi problemi come il cosiddetto vamping, che consiste nell'abitudine a restare svegli gran parte o tutta la notte per chattare o comunque essere on-line, diffuso soprattutto oltreoceano, ma che inizierebbe ad emergere anche in Italia e che può avere diversi effetti nefasti sulla crescita e sulla salute dei giovani, con un 22 per cento di giovani che dichiarerebbe di soffrirne;
   l'interrogante aveva già sottolineato il problema del bullismo e del cyberbullismo con due atti parlamentari: l'interrogazione a risposta scritta n. 4-03611 presentata il 14 febbraio 2014 e l'interrogazione a risposta scritta n. 4-04234 presentata il 27 marzo 2014, entrambe a tutt'oggi senza risposta e delle quali si è anche provveduto a inoltrare un sollecito il 25 novembre 2015;
   in relazione al fenomeno del cyberbullismo, con l'atto n. 4-03611 dedicato al terribile caso di una ragazza di soli quattordici anni di Fontaniva suicidatasi l'11 febbraio 2014 gettandosi dalla terrazza sul tetto dell'ex hotel Palace di Borgo Vicenza a Cittadella spinta dai ripetuti attacchi di cyberbullismo dei quali era divenuta il bersaglio sul social network Ask.fm, l'interrogante aveva sottolineato che, come evidenziato da Vincenzo Spadafora, ex-presidente dell'Autorità per l'infanzia e l'adolescenza, c’è l'impressione di una scollatura tra il digitale e il reale, tra l'illusione di anonimato e la reale tracciabilità di ogni atto compiuto on-line, perché «Prima quando si aggrediva qualcuno, si vedevano le conseguenze di quello che si faceva, si vedeva il sangue. In rete tutto questo sfuma, il sangue non si vede», ma i fatti e le loro conseguenze sono reali e infatti tutto quello che passa per la rete resta, è rintracciabile e può anche rimanere come una macchia a vita che può essere valutata anche dalle aziende che devono assumere in futuro, che vanno a cercare notizie su internet;
   nell'atto n. 4-04234 invece, l'interrogante aveva posto all'attenzione del Governo i risultati di uno studio dell'ospedale pediatrico di Boston, pubblicato sulla rivista Pediatric, secondo il quale il bullismo fa male alla salute sia mentale che fisica di chi lo subisce, e, più a lungo si è vittime di tali azioni persecutorie, maggiori saranno i danni alla salute anche in futuro: i circa 4.300 minori monitorati per diversi anni, hanno mostrato che le conseguenze del bullismo perdurano anche per anni e sono tanto più gravi quanto più a lungo il bambino è stato oggetto delle prepotenze e violenze dei compagni «bulli»;
   nello stesso atto si riportavano le evidenze di un altro studio, questa volta della Duke University a Durham, in Carolina del Nord, secondo il quale le vittime del bullismo vivono un trauma che non scompare con la crescita, ma che, invece, sembra accompagnare i ragazzi e contribuire a farli diventare adulti ansiosi, che fanno meno pratica sportiva, ad esempio riescono meno nella corsa, probabilmente a causa di una perdita di autostima, ma soprattutto, arrivano anche spesso a sviluppare disturbi depressivi, attacchi di panico e perfino tendenze suicide;
   Anna Oliverio Ferraris, psicologa e psicoterapeuta e autrice del libro appena uscito Conta su di me, relazioni per crescere spiega che le conseguenze del bullismo dipendono da vari fattori: la gravità della violenza, naturalmente, ma anche il senso che la vittima gli attribuisce e la durata della condizione di vittima, e sottolinea come sia di assoluta importanza l'intervento immediato e qualificato da parte del corpo docente che necessita, pertanto, di una formazione psicologica adeguata per sostenere le vittime e per educare e punire i colpevoli;
   secondo l’European bullying research, parte del progetto Europe Anti-Bullying-Project, il 15,09 per cento degli studenti intervistati è stato vittima di bullismo e la maggior parte dei bulli sono compagni di classe (48,9 per cento) o comunque studenti della stessa scuola (23,4 per cento);
   la Convenzione internazionale sui diritti del fanciullo, ratificata dall'Italia il 27 maggio del 1991 con la legge 27 maggio 1991, n. 176, appare ancora ben lungi dal trovare concreta e reale applicazione –:
   se i Ministri interrogati siano al corrente di quanto esposto in premessa e nello specifico della gravità dell'aumento del cosiddetto cyberbullismo tra i giovani e quali iniziative si intendano assumere per frenare un fenomeno pericoloso sia per il presente, che, come sottolineato in premessa, per il futuro delle giovani generazioni sempre più connesse alla rete e dunque sempre più esposte a questo fenomeno, anche intensificando controlli e facendo in modo che non sia più possibile permettere la modalità di interazione anonima tra gli utenti che favorisce il proliferare di attacchi di cyberbullismo;
   quali siano i risultati concreti delle politiche recentemente attuate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca per contrastare il fenomeno del bullismo;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere tutte le iniziative necessarie per promuovere l'informazione e l'educazione dei più giovani e non solo, sulla reale potenzialità e sulle conseguenze dell'utilizzo dei social network, con l'obiettivo di un uso corretto e responsabile della rete affinché il fenomeno del cyberbullismo possa essere finalmente combattuto o almeno arginato;
   se esistano e, in caso contrario, se non si intendano promuovere degli studi epidemiologici anche in Italia, sulla pericolosa relazione che intercorre tra gli atti di bullismo subiti e le patologie psicologiche legate all'ansia, come evidenziato dagli studi citati;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti e quali iniziative di competenza ritengano necessario assumere, alla luce degli effetti del bullismo sulla salute delle vittime, per promuovere azioni di prevenzione e di sensibilizzazione contro il fenomeno del bullismo più incisive coordinando sul territorio nazionale le azioni promosse dagli istituti scolastici, con il coinvolgimento e la formazione specifica di docenti e famiglie, al fine di salvaguardare non solo i bambini di oggi, ma anche gli adulti di domani.
(4-12919)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   FASSINA e FRANCO BORDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella vicenda del passaggio da Alitalia-Cai ad Alitalia-Sai sarebbero stati licenziati, in totale, oltre 1600 dipendenti;
   in particolare, i licenziamenti sarebbero stati effettuati da Alitalia-Cai dopo la chiusura delle procedure di mobilità avviate nella seconda metà del 2014;
   tra questi lavoratori messi in mobilità, per quanto risulta agli interroganti, sono stati licenziati numerosi lavoratori disabili e appartenenti alle altre categorie protette, ex articolo 18 della legge n. 68 del 1999;
   il licenziamento da parte di Alitalia-CaI di dipendenti disabili e appartenenti alle altre categorie protette ex-articolo 18 della legge n. 68 del 1999, sarebbe stato effettuato nonostante la profonda «scopertura» con cui la stessa citata compagnia esercitava al momento dell'avvio delle procedure e dell'effettuazione dei licenziamenti in questione e comunque dagli inizi del 2009;
   a tale proposito si ricorda che nonostante Alitalia-Cai beneficiasse di una sospensiva dagli obblighi di assumere personale disabile e appartenente alle altre categorie protette, è altrettanto certa l'impossibilità normativa per la stessa Alitalia-Cai di licenziarne altri;
   ne consegue che Alitalia-Sai, operativa dal 1o gennaio 2015, dopo la cessione delle attività di Alitalia-Cai, ha proseguito la propria attività per tutto il 2015 e i primi mesi del 2016 fino ad oggi, in profonda scopertura rispetto alle quote di riserva previste dalla legge;
   nonostante ciò Alitalia-Sai sembrerebbe intenda stipulare delle convenzioni ex-articolo 11 della legge n. 68 del 1999, con il Centro dell'impiego di Roma, le assunzioni di personale disabile e appartenente alle altre categorie protette ex-articolo 8 della legge n. 68 del 1999;
   tutto ciò accade mentre Alitalia-Sai continua a non inserire in servizio i lavoratori disabili e quelli appartenenti alle altre categorie protette ex-articolo 18 della legge n. 68 del 1999, neppure quelli per cui i tribunali del lavoro, a seguito di impugnativa e di ricorso contro lo stesso licenziamento, hanno ottenuto la reintegra nella «nuovissima» compagnia partecipata al 49 per cento da Etihad;
   inoltre è importante sottolineare che Alitalia-Sai, per sua stessa ammissione rilasciata al quotidiano il Tempo il 21 gennaio 2016, ha effettuato nel 2015 oltre 600 assunzioni di lavoratori a tempo indeterminato, evidenziando a giudizio degli interroganti come il numero dei licenziamenti effettuati da Alitalia Cai a fine 2014, sia stato assolutamente esorbitante ed ingiustificato, se non con l'intento di abbattere il costo del lavoro;
   in realtà, infatti, la «nascita» di Alitalia-Sai, come previsto dagli accordi sindacali sottoscritti da Cil, Uil e Ugl, oltre alle associazioni professionali di piloti e assistenti di volo, è auspicata dalle parti sociali che hanno sottoscritto le intese in questione, la cui finalità era quella di favorire l'ingresso di Etihad nel capitale sociale di Alitalia-Cai, a condizione che gli organici venissero notevolmente ridotti;
   tali tagli degli organici apparivano, secondo gli interroganti, dettati piuttosto dalla necessità di ridurre il costo del lavoro attraverso la sostituzione di personale esistente con la stabilizzazione di giovani precari, operazione incentivata dagli sgravi introdotti dal varo di apposite norme, nonché con la riassunzione degli stessi licenziati ma senza le tutele previste dall'articolo 18 della legge n. 300 del 1970 e con un peggioramento sostanziale dell'inquadramento, a seguito dell'approvazione del Job Acts;
   se il Ministro interrogato intenda avviare le iniziative di competenza, ove ne sussistono i presupposti anche a carattere ispettivo, per verificare e comunicare: quanti siano i lavoratori assunti a tempo indeterminato da Alitalia-Sai nel 2015 e nel 2016 fino ad oggi, dopo l'avvio delle attività della compagnia dal 1o gennaio 2015; quanti siano i lavoratori assunti a tempo indeterminato in Alitalia-Sai, attingendo dal bacino dei lavoratori licenziati da Alitalia-Cai a fine 2014 e dal Gruppo Alitalia in amministrazione straordinaria licenziati a fine 2008/inizio 2009;
   quanti siano i lavoratori assunti a tempo indeterminato in Alitalia-Sai, attingendo dal bacino dei lavoratori precari di Alitalia-Cai e Sai, ovvero che avessero effettuato dei contratti a tempo determinato per le due compagnie citate; quanti siano i lavoratori che licenziati da Alitalia-Cai a fine 2014, hanno impugnato il licenziamento e sono ricorsi in tribunale contro Cai e Sai; quanti siano i lavoratori licenziati da Alitalia-Cai a fine 2014 che, dopo aver impugnato il licenziamento e avviato un ricorso, hanno accettato di sottoscrivere una liberatoria e ora prestano servizio in Alitalia-Sai; quanti siano i lavoratori che licenziati da Alitalia-Cai a fine 2014 sono stati assunti in Alitalia-Sai attraverso i processi di ricollocazione avviati dalla regione Lazio; quanti siano i lavoratori che licenziati da Alitalia-Cai a fine 2014, essendo ricorsi in tribunale, sono stati reintegrati dal giudice in Alitalia Sai e quanti sono stati inseriti in servizio, nonché quanti reintegrati in Alitalia-Cai ed in attesa di giudizio nei confronti di Alitalia-Sai; quanti siano i lavoratori licenziati da Alitalia-Cai a fine 2014 che, essendo ricorsi in tribunale siano stati reintegrati dal giudice in Alitalia Sai ed erano in quota obbligatoria ex legge n. 58 del 1999;
   quanti siano i lavoratori che licenziati da Alitalia-Cai a fine 2014 erano disabili ed in quota nelle categorie protette; quanti siano i lavoratori che licenziati da Alitalia-Cai a fine 2014 erano appartenenti alle categorie protette ex articolo 18 della legge n. 68 del 1999 (equiparate);
   se il Ministro interrogato intenda verificare, per quanto di competenza, se Alitalia-Sai risulti in regola con gli obblighi di cui alla legge n. 68 del 1999, e se abbia fruito o fruisca di una sospensiva dagli obblighi di assunzione ex legge n. 68 del 1999 e per quale ragione eventualmente sia stata concessa, nonché se abbia stipulato con il centro per l'impiego una convenzione ex articolo 11, della legge n. 58 del 1999, per quanti anni sia stata eventualmente conclusa tale convenzione e quali modalità preveda la stessa. (4-12923)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   LODOLINI e GIULIETTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le problematiche inerenti alla politica agricola comune e precisamente alle pratiche bloccate da un'inchiesta (marzo 2014) della guardia di finanza «Bonifica» (anomalia D12), sono dovute a piccole anomalie e/o piccolissime irregolarità burocratiche, che, per quanto abbiano a che vedere con la frode, stanno bloccando da tempo interi pagamenti;
   il Ministero delle politiche agricole forestali con decreto n. 1922 del 20 marzo 2015 ha già espresso la volontà di dare una soluzione a tali pratiche con le specifiche indicazioni di cui all'articolo 9;
   nonostante il decreto di cui sopra e le procedure nello stesso previste, la staticità ed il forte ritardo di AGEA nel dare seguito a tali procedure per affrontare tali problemi, in particolare quello dei contratti verbali unilaterali comunque regolarmente registrati all'Agenzia delle entrate, sta creando gravi difficoltà economiche con rischio di fallimento per tante aziende marchigiane coinvolte in questa situazione;
   va inoltre evidenziato che nella maggior parte dei casi le stesse aziende vengono bloccate anche per pagamenti relativi alla programmazione regionale –:
   quali iniziative si intendano assumere in relazione all'attività di AGEA, e se sia intenzione del Governo, come già fatto nel passato, assumere iniziative per una sanatoria al fine di risolvere le piccole anomalie e/o piccolissime irregolarità burocratiche di cui in premessa. (5-08440)


   PARENTELA e NESCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 28 marzo 2008, con regolamento (CE) n. 284 del 2008, la «Cipolla rossa di Tropea Calabria» è entrata nell'elenco europeo delle «denominazioni di origine e indicazioni geografiche protette»;
   la cipolla rossa di Tropea è coltivata da più di duemila anni lungo la fascia tirrenica della Calabria, nella zona tra le province di Vibo Valentia e Cosenza, in particolare nel territorio dei comuni che vanno da Amantea, Campora San Giovanni fino a Briatico, Tropea e Capo Vaticano e Nicotera;
   il direttore generale del dipartimento dell'ispettore centrale della tutela della qualità e della repressione frodi di prodotti agro-alimentari, in risposta ad un quesito posto da un imprenditore agricolo calabrese specializzato nella produzione della cipolla rossa di Tropea, ha affermato che: «il metodo di ottenimento del prodotto è esclusivamente quello descritto all'articolo 5 del disciplinare di produzione che non prevede la coltivazione in serra» e che: «La produzione di cipolla rossa di Tropea Calabria avviene in terreni sabbiosi o tendenzialmente sabbiosi, di medio impasto, a tessitura franco-argillosa o limosa che decorrono lungo la fascia costiera o che costeggiano fiumi e torrenti, di origine alluvionale che seppur ghiaiosi non limitano lo sviluppo e l'accrescimento del bulbo. I terreni costieri — prosegue la nota del dipartimento — sono idonei alla coltura della cipolla precoce da consumo fresco, quelle di aree interne, di natura argillosa e franco argillosa sono adatti alla tardiva da serbo»;
   per quanto sinora asserito, non può, dunque, essere immesso sui mercati (nazionali ed estero), fregiandosi del marchio igp, un prodotto coltivato in serra. I metodi di ottenimento diversi da quelli nei campi (nella zona geografica interessata) darebbero vita, di fatto, a un prodotto contraffatto. Alcune agenzie di stampa locali, tuttavia, riportano una preoccupante situazione – in particolare nelle provincia di Vibo Valentia e zone limitrofe – in cui una tipologia di cipolla rossa viene, in maniera fraudolenta, etichettata ed esportata come «cipolla rossa di Tropea»;
   la Coldiretti, già nel 2013, denunciava come, a fronte di una produzione in Calabria di «cipolla rossa di Tropea» di circa 200 mila quintali, fosse immessa sul mercato una quantità di prodotto superiore al milione di quintali. Se, poi, quanto denunciato in questi giorni dal sopracitato imprenditore agricolo e riportato nelle testate locali fosse confermato si parlerebbe, addirittura, di 700, 800 quintali al giorno di cipolla rossa coltivata in serra e venduta come rossa di Tropea Calabria Ipg;
   in data 6 novembre 2013, il sottosegretario di Stato alle politiche agricole alimentari e forestali, in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-00946, ha affermato: «pur considerando che il soggetto operativo e rappresentativo per il confronto in materia con le istituzioni è individuato ex lege nel Consorzio, confermo comunque la disponibilità del Ministero ad accogliere iniziative specifiche per l'istituzione di un tavolo tecnico nell'ottica di una amministrazione partecipata e nel comune obiettivo di difesa dei prodotti e del consumatore» –:
   per quali motivi, dopo due anni e mezzo, non sia stato ancora costituito un tavolo di crisi che coinvolga gli attori della filiera di produzione della «cipolla rossa di Tropea», la regione Calabria e gli enti locali interessati al fine di contrastarne, in maniera efficace, la sua contraffazione e se non ritenga urgente, oggi più che mai, disporre un controllo capillare da parte delle autorità preposte al fine di arginare il fenomeno. (5-08461)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   all'ospedale Cto di Iglesias nella giornata del 18 aprile 2016 è stato riscontrato un caso di meningite di natura grave e contagiosa;
   nel nosocomio non esiste nessun reparto infettivi;
   un bambino di 21 mesi è ricoverato nella stanza affianco all'altro piccolo colpito da meningite e solo dopo questo riscontro si è sistemato un avviso fuori dalla stanza con l'obbligo di disporre di mascherina sanitaria;
   dopo che è stata riscontrata la gravissima infezione il bambino colpito dall'infezione avrebbe dovuto essere trasferito urgentemente al centro infettivi di Cagliari riferimento anche per la Asl di Carbonia – Iglesias;
   il centro infettivi di Cagliari secondo una prima ricognizione sarebbe pieno;
   una situazione di una gravità inaudita con rischi evidenti per una struttura con già gravissime condizioni strutturali;
   i medici e gli operatori sono già stati sottoposti a profilassi;
   i genitori del bambino ricoverato nella stanza affianco al piccolo colpito da meningite hanno ripetutamente e anche davanti a testimoni richiamato sulla gravità della situazione;
   su questo nuovo gravissimo caso si registra l'ennesima gravissima e colpevole assenza in tutta la Sardegna del vaccino per meningococco di tipo B, indispensabile proprio in casi di meningite di questo ceppo che si sono riscontrati nell'isola;
   il bambino ricoverato, a seguito degli accertamenti condotti, è risultato affetto da una sepsi meningococcica;
   il personale del reparto e i contatti della fase di ricovero sono stati sottoposti alle misure di profilassi con trattamento antibiotico a cura del medico competente aziendale;
   i competenti servizi del Ministero della salute hanno richiesto l'invio della piastra di coltura per la conferma della diagnosi –:
   se non ritenga di dover valutare, per quanto di competenza, la gravissima situazione infettivologica presente in Sardegna, compresa la mancata dotazione di strutture adeguate, e l'assenza di aree di isolamento adeguate;
   se non ritenga, per quanto di competenza, di dover intervenire per verificare l'applicazione di una procedura di isolamento adeguata al caso e non l'apposizione di un semplice cartello sulla porta di un reparto materno infantile;
   se non ritenga di dover valutare le implicazioni che tale fenomeno sta avendo in Sardegna, compresa l'esigenza di fornire vaccini adeguati a questa tipologia di infezioni;
   se non ritenga di dover valutare, per quanto di competenza, che gran parte della Sardegna è sprovvista di reparto di infettivologia con la crescita costante di casi gravi di malattie di importazione.
(5-08442)


   PILI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il reparto infettivi dell'ospedale Is Mirrionis di Cagliari sta letteralmente scoppiando;
   nemmeno un posto letto risulta disponibile;
   si registrano casi estremi e micobatteri di importazione che secondo fonti autorevoli stanno mostrando resistenza ai farmaci in dotazione;
   si registrano forme tubercolari polmonari cavitarie aperte che possono generare gravissimi problemi di contagio aereo;
   si contano numerosi casi di tipi batteriologici ad elevata capacità di diffusione;
   nella casistica si segnalano casi di scabbia gravissimi;
   patologie per le quali la degenza sarà di mesi;
   per questo motivo 700.000 abitanti non hanno a disposizione un solo posto letto per infettivologia;
   si tratta di una situazione gravissima all'interno della struttura di Is Mirrionis con gravi implicazioni anche all'esterno, considerato che questi casi sono stati a contatto con tantissime persone;
   appare evidente che non è stato disposto nessun monitoraggio, nessuna prevenzione, nessuna strategia per quella che i tecnici definiscono una vera emergenza infettivologica, considerato il numero di sbarchi di migranti privi di qualsiasi reale controllo sanitario;
   la giunta regionale non dà una rappresentazione corretta e punta, ad avviso dell'interrogante, solo a smentire, ma in realtà la situazione è ogni giorno più grave e senza controllo;
   non far emergere tale situazione è secondo l'interrogante da irresponsabili;
   non affrontare la situazione nella sua gravità è secondo l'interrogante da incompetenti e spregiudicati;
   se esiste un problema che deriva dall'arrivo dei migranti, non si risolve coprendo la gravità della situazione ma mettendo in campo azioni serie e organiche senza perdere altro tempo;
   è impensabile che i tanti sbarchi non abbiano portato a gestire un vero e proprio screening approfondito e costante e il tutto si sia limitato a generiche quanto rapide visite all'arrivo;
   si tratta di una gestione ad avviso dell'interrogante irresponsabile, per la stessa salute dei migranti con gravissime ripercussioni sulla salute pubblica;
   denunciare tale situazione non è allarmismo ma senso di responsabilità;
   dinanzi a chi assume un atteggiamento silente occorre una denuncia forte e chiara per reagire ed evitare il peggio con interventi adeguati e urgenti –:
   se non ritenga, per quanto di competenza, di dover promuovere un'immediata verifica sui fatti richiamati;
   se non ritenga di dover assumere, per quanto di competenza, iniziative per fronteggiare tale situazione con interventi diretti considerate le implicazioni epidemiologiche che si possono generare;
   se non ritenga di dover assumere ogni iniziativa di competenza per tutelare i livelli essenziali di assistenza e rispondere all'emergenza, che richiede l'istituzione immediata di nuovi posti letto di infettivologia. (5-08469)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la lettera o) del comma 796 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006 ha sollecitato la riorganizzazione delle strutture private e pubbliche eroganti prestazioni specialistiche di diagnostica di laboratorio al fine dell'adeguamento degli standard organizzativi e di personale coerenti con i processi di incremento dell'efficienza resi possibili dal ricorso a metodiche automatizzate;
   l'intesa Stato-regioni n. 61/csr del 23 marzo 2011 ha previsto l'introduzione della soglia minima di produttività;
   successivamente, il piano di assetto della rete laboratoristica privata è stato definito con i tre decreti del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi del servizio sanitario regionale campano n. 109 del 2013, n. 45 del 2014 e n. 59 del 2015;
   in particolare, con il decreto n. 59 del 2015 è stato aggiornato il cronoprogramma del piano di riassetto della rete laboratoristica privata con l'indicazione di cadenze temporali relative al processo di pianificazione aziendale e di aggregazione delle strutture laboratoristiche ed in particolare è stato stabilito: entro il 15 ottobre 2015 di provvedere all'approvazione del piano attuativo da parte delle aziende territoriali e trasmissione alla struttura commissariale; entro il 31 dicembre 2015 di manifestare da parte delle strutture la volontà alla adesione ad una aggregazione, dandone comunicazione secondo le modalità indicate nel citato decreto n. 109 del 2013;
   il decreto n. 17 dell'8 marzo 2016 con cui il commissario ad acta, nell'ambito del cronoprogramma attuativo di riqualificazione e razionalizzazione del servizio sanitario regionale soggetto al piano di rientro dal disavanzo, ha disposto la riorganizzazione della rete laboratoristica con l'obbligo, per le strutture sotto la soglia minima delle 70 mila prestazioni annue, di comunicare entro il 15 aprile l'avvenuta aggregazione ad una struttura, associazione o consorzio, pena la revoca dell'accreditamento;
   con l'applicazione del decreto n. 17 del 2016 si mettono a rischio 4 mila posti di lavoro, senza che si produca alcun risparmio per le casse della sanità campana, a detta dei sindacati e lavoratori dei laboratori di analisi privati interessati all'aggregazione prevista dal decreto che, a tal fine, ne chiedono l'immediata sospensione;
   in occasione della visita del Ministro della salute dell'11 aprile 2016, i manifestanti hanno chiesto di essere ricevuti per trovare soluzioni condivise che garantiscano i livelli occupazionali;
   l'accorpamento non produce alcun risparmio se lo si effettua nei laboratori privati accreditati dato il pagamento a tariffa;
   il drastico ridimensionamento dei laboratori privati potrebbe configurare, a giudizio dell'interrogante, una violazione delle norme a tutela della concorrenza e andrebbe a eliminare anche le professionalità di chi tra chimici, biologi e tecnici di laboratorio sono impegnati nei laboratori accreditati;
   l'accentramento, in assenza di ulteriori investimenti volti a monitorare il sistema di trasferimento dei campioni, garantendo condizioni costanti e adeguate di conservazione, conduce a una scadente qualità delle analisi per problematiche legate all'eccessiva movimentazione delle provette, costrette a viaggiare da una parte all'altra della regione, con particolare riferimento alla deperibilità dei campioni; infatti, la movimentazione di migliaia di campioni biologici, che rischiano di essere processati persino in altre regioni, provocherebbe un grave danno all'economia campana, nonché un ingiustificato incremento dell'inquinamento atmosferico dovuto alle maggiori necessità di trasporto; inoltre, si perderebbe il rapporto di prossimità con il paziente a livello territoriale, che invece necessita spesso di presa in carico, interlocuzione, risultati immediati ed elevata qualità del servizio offerto;
   si produrrebbe un ingente aggravio delle spese regionali a causa dell'attivazione di circa 4.000 sussidi di disoccupazione, gravante sulla fiscalità regionale;
   occorre peraltro sottolineare come non esista alcun richiamo – neppure indiretto – all'obbligo di aggregazione, né all'obbligo di soppressione per i laboratori eroganti prestazioni al di sotto di soglie minime e nemmeno all'obbligo di affidare la fase analitica soltanto a pochi mega-laboratori;
   la stragrande maggioranza dei laboratori accreditati verrebbero di fatto svuotati della fase analitica, vera e propria essenza della prestazione di diagnostica di laboratorio;
   la menzionata intesa Stato-regioni ha, definito le soglie minime di produttività esclusivamente in relazione all'accreditamento istituzionale;
   il funzionamento del «contratto di rete» è definito dalla normativa statale di riferimento e al contrario del citato decreto non prevede l'obbligo specifico di istituzione di un organo comune né la necessaria identificazione di quest'ultimo con una delle imprese partecipanti all'aggregazione;
   il commissario ad acta ha recentemente dichiarato a mezzo stampa che relativamente ai lavoratori che rischiano di perdere il posto di lavoro: «capisco che possano esserci ricadute nel tempo (...) ma ritengo che questo sia un percorso inevitabile», limitandosi a ribadire la preminenza degli obiettivi di riorganizzazione anche rispetto a ricorsi alla magistratura vinti da parte dei ricorrenti nelle altre regioni;
   i laboratori hanno seguito l'orientamento regionale che imponeva loro di potenziare e ammodernare a livello tecnologico le proprie strutture accreditate anche con ingenti investimenti privati: proprio per questo, si stimano in circa 650 le richieste di danni – ognuno tra i 400 mila e il milione di euro – a ristoro delle spese di ammodernamento tecnologico resesi necessarie ai fini dell'accreditamento istituzionale;
   le lobby e le multinazionali operanti nel settore di cui trattasi sarebbero le uniche a trarre beneficio dall'attuazione del piano di assetto della rete laboratoristica privata, come definita dai decreti del Commissario ad acta sopracitati;
   la regione Campania, conformemente alla normativa sulla rete-contratto avrebbe dovuto prevedere la costituzione di una rete al cui interno tutti i soggetti coinvolti mantengano il rispettivo status giuridico e non vengano messi in condizione di chiudere il proprio laboratorio di analisi a causa della trasformazione in punti di prelievo e/o front office per la consegna dei referti;
   nessuna regione italiana ha dato documentazione al Ministero della salute dell'avvenuta totale applicazione della legge, tranne e parzialmente l'Abruzzo su un progetto predisposto da Federbiologi e, in particolare: le regioni Sicilia e Lazio hanno rifiutato le aggregazioni e ottenuto sentenze in tal senso; la regione Puglia ha accettato la volontarietà dell'atto a consorziarsi; la regione Calabria al momento ha proposto un'opposizione al TAR;
   sono preventivabili ricadute negative in termini di posti di lavoro e rischio di fallimento per numerose piccole e medie imprese che operano nel campo della fornitura;
   si genererebbe, infatti, un forte decremento delle entrate fiscali regionali dovute allo smantellamento della rete territoriale laboratoristica, che contribuisce fattivamente all'economia della regione Campania;
   si toglierebbe un presidio territoriale in grado di produrre analisi urgenti e che è stato dimostrato essere fondamentale per salvare vite a seguito della vicinanza con il cittadino e dell'immediatezza delle comunicazioni dei risultati delle analisi –:
   quale sia l'orientamento dei Ministri interrogati in merito alla possibile chiusura dei laboratori di analisi convenzionati e quali iniziative di competenza intendano intraprendere per evitare una crisi di settore e la perdita di posti di lavoro;
   se il Ministro della salute non ritenga, per quanto di competenza, e anche per il tramite del Commissario ad acta della regione Campania, di assumere iniziative affinché venga costituito un tavolo istituzionale con le parti sociali per discutere delle tematiche in questione con i soggetti che operano nel settore;
   quale sia la posizione del Ministro della salute in relazione al consolidato recente orientamento basato sul potenziamento e sull'ammodernamento tecnologico che i laboratori hanno perseguito con ingenti investimenti privati;
   se vi siano documenti ministeriali o della Conferenza Stato-regioni che impongano l'accorpamento dei laboratori di analisi o che definiscano il numero minimo di analisi;
   quali iniziative, per quanto di competenza, i Ministri interrogati intendano porre in essere per la salvaguardia dei livelli occupazionali così duramente messi a repentaglio dal recente decreto del Commissario ad acta n. 17 del 2016. (4-12910)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:
IX Commissione:


   MOGNATO, TULLO e CARLONI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il servizio universale postale affidato a Poste Italiane fino al 2026 offre a tutti i cittadini un servizio di pubblica utilità, indipendentemente dal reddito o dalla collocazione geografica;
   nell'ambito del servizio universale è compreso il servizio di raccolta, trasporto, smistamento e distribuzione degli invii postali fino a 2 chilogrammi e dei pacchi postali fino a 20 chilogrammi; le raccomandate e le assicurate tra cui le comunicazioni bancarie, le bollette e i bollettini di pagamento e quanto altro; alcuni servizi compresi nel servizio postale universale – quali notificazione degli atti giudiziari e delle contravvenzioni del codice della strada – sono erogati in esclusiva da Poste Italiane;
   il fornitore del servizio universale deve garantire per almeno 5 giorni a settimana una raccolta e una distribuzione al domicilio di ogni persona (fisica o giuridica), salvo deroghe stabilite dall'Autorità per le garanzie nelle comunicazioni e notificate alla Commissione europea;
   l'onere per la fornitura del servizio universale è finanziato dal bilancio dello Stato e da un apposito fondo di compensazione, cui contribuiscono gli operatori postali; Poste Italiane è tenuta a trasmettere ogni anno all'Autorità competente, che poi procede a una verifica, il costo del servizio postale universale;
   l'Autorità ha recentemente avviato, con la delibera n. 364/14/CONS, una indagine vola a un'analisi approfondita dei servizi postali, con particolare riguardo al profilo dell'adeguatezza dell'attuale configurazione del servizio universale postale rispetto ai bisogni e alle aspettative dell'utenza;
   con delibera del 25 giugno 2015, l'Agcom è intervenuta sia sulle tariffe che sulla frequenza dei recapiti postali; dal 1o ottobre 2015 il costo di spedizione della corrispondenza è variato, con l'incremento del costo del francobollo da 80 a 95 centesimi; è stato inoltre ripristinato il servizio «ordinario», con tempi di consegna entro il quarto giorno lavorativo; la consegna «prioritaria» – che dovrebbe garantire la consegna entro il primo giorno lavorativo successivo – è offerta, in alternativa a quella ordinaria, a costo maggiorato; dalla stessa data, il recapito della posta è stato trasformato – in modo graduale – in un servizio a «giorni alterni» che – a regime – interesserà un quarto della popolazione; le iniziative sono state introdotte in relazione all'esigenza di coprire il costo del servizio postale universale dando, nel contempo, risposta ai bisogni dei cittadini e dei consumatori con migliori e più flessibili offerte alla clientela, a fronte di una minore domanda di servizi tradizionali di corrispondenza;
   in ottobre il 35,3 per cento del capitale del gruppo Poste italiane è stato collocato sul mercato; la maggioranza del capitale è pertanto tuttora in mano pubblica;
   per l'adempimento del servizio pubblico universale Poste italiane riceve, per il periodo 2012-2019, una compensazione di 2,39 miliardi di euro, di recente giudicata dalla Commissione europea in linea con la disciplina europea in materia di aiuti di Stato; in particolare, in base al contratto di servizio, Poste dovrebbe ricevere un massimo di 1,05 miliardi di euro per il periodo 2016-2019 (262 milioni di euro all'anno) e 1,34 miliardi (335 milioni all'anno) per il periodo 2012-2015;
   il servizio universale obbliga il concessionario ad erogare i servizi postali in tutto il territorio nazionale alle tariffe stabilite nel contratto nel rispetto di requisiti essenziali di qualità; in data 15 dicembre 2015 è stato sottoscritto il contratto di programma 2015-2019 che regola i rapporti tra lo Stato e la società per la fornitura del servizio postale universale;
   ai sensi dell'articolo 12, comma 4 del decreto legislativo 22 luglio 1999, n. 261, di attuazione della direttiva 97/67/CE sulle regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e per il miglioramento della qualità del servizio, l’Authority, al fine di garantire un servizio postale di buona qualità, stabilisce, sentito il consiglio nazionale dei consumatori e degli utenti, gli standard qualitativi del servizio universale, adeguandoli a quelli realizzati a livello europeo, essenzialmente con riguardo ai tempi di instradamento e di recapito ed alla regolarità ed affidabilità dei servizi, che sono recepiti nella carta della qualità del servizio pubblico postale; la stessa Authority effettua, con regolarità, verifiche su base campionaria delle prestazioni, avvalendosi di un organismo specializzato indipendente selezionato dalla stessa autorità di regolamentazione; gli oneri relativi alla verifica ed alla pubblicazione dei risultati sono a carico del fornitore del servizio universale; i risultati sono pubblicati almeno una volta l'anno; in caso di mancato raggiungimento degli obiettivi di qualità, l'Autorità è tenuta ad adottare le necessarie misure correttive;
   nel nuovo contratto di programma si prevede che Poste italiane sono tenute a pubblicare gli standard di qualità del servizio individuati, i sistemi di misurazione e i risultati raggiunti;
   i nuovi vertici di Poste spa – in carica dall'aprile 2014 – hanno avviato, di recente, un controllo di gestione che punta al monitoraggio della qualità del servizio di recapito; dall'audit interno sono emerse «gravissime irregolarità in relazione ai prodotti di corrispondenza nazionale e internazionale, riguarda anche i cosiddetti Grandi clienti»;
   dalla corrispondenza – con posta elettronica – tra addetti e responsabili di strutture territoriali di servizi postali «emerge incontrovertibilmente la illecita finalità di far risultare una qualità del servizio di recapito divergente da quella reale»;
   la verifica di qualità sulla distribuzione ha lo scopo di verificare la puntualità nel recapito della corrispondenza, e si basa sull'elaborazione dei dati relativi alla consegna delle lettere a campione effettuata da società esterne a Poste spa, tenute a mantenere assoluta riservatezza sia sui nominativi di destinatari inclusi nel campione sia sul mittente; sulla base dell'inchiesta avviata dalla procura di Roma sembra che alcuni dirigenti di Poste spa – individuati i nominativi del campione per il controllo di qualità – abbiano organizzato un complesso sistema per intercettare le lettere spedite, e garantire una consegna estremamente rapida della corrispondenza del campione, alla scopo di alterare i risultati delle verifiche sulla qualità del servizio; la contraffazione dei controlli sembra sia stata una prassi seguita nel periodo 2003-2014, fino al cambio al vertice di Poste spa;
   sulla base del contratto 2009-2011 – in vigore fino alla sottoscrizione, avvenuta il 15 dicembre 2015, del nuovo contratto – il conseguimento o il mancato rispetto degli obiettivi di puntualità nei recapiti implicava penali a carico di Poste spa, anche in termini di minori sovvenzioni annuali; di contro, il rispetto di tali obiettivi garantiva più congrui trasferimenti per Poste spa a carico dello Stato e il riconoscimento di elevate gratifiche ai dirigenti postali, legate all’Mbo (management by objectives) secondo il sistema di gestione per obiettivi, che prevede premi ai dipendenti in relazione ai risultati raggiunti a fronte di obiettivi prefissati;
   i dati relativi ai controlli sulla qualità – così alterati – contrastano con le gravi inefficienze del servizio postale universale segnalate da numerosi utenti;
   nell'inchiesta della procura risultano coinvolti decine di dirigenti e numerosi dipendenti di Poste spa accusati di aver tenuto un comportamento «illecito» allo scopo di «far risultare una qualità del servizio divergente da quella reale»; a seguito dell'indagine interna, Poste Italiane ha disposto l'invio di circa 40 lettere di licenziamento e la sospensione «a tempo indeterminato» di numerosi dipendenti; l'azienda contesta ai lavoratori d «non aver contrastato tale condotta» e di «non aver segnalato» la vicenda ai «competenti organismi aziendali» con «la illecita finalità» di alterare gli esiti dei controlli sulla qualità della distribuzione; questo dimostra «la personale e diretta responsabilità nella realizzazione delle irregolarità riscontrate» del personale coinvolto nell'inchiesta;
   vanno assicurati pieno rispetto e fiducia nella procura che ha in corso l'indagine e nell'operato dei nuovi vertici aziendali che hanno avviato l'azione di controllo sulla distribuzione della corrispondenza all'interno di Poste spa;
   è necessario accertare se il personale in questione abbia agito autonomamente, o con l'avallo dei responsabili dell'amministrazione di Poste spa, e in che modo sia stato violato il diritto alla riservatezza della corrispondenza, costituzionalmente garantito in relazione agli elenchi dei controllori del campione individuati allo scopo di alterare i controlli;
   occorre verificare di concerto con l’Authority, per i rispettivi ambiti di competenza, il danno erariale conseguente all'alterazione degli esiti dei controlli sulla gestione del servizio universale e all'assegnazione di sovvenzioni e gratifiche –:
   quali iniziative urgenti di competenza intenda assumere per rafforzare l'efficienza del servizio postale universale su tutto il territorio nazionale, evitare ritardi nella consegna e perdita di competitività del servizio, in particolare riducendo i tempi di instradamento e di recapito, e per garantire la regolarità e l'affidabilità del servizio, con particolare riguardo all'adozione di misure volte a garantire l'indipendenza e la terzietà dei soggetti incaricati dei controlli di qualità sul servizio postale universale. (5-08446)


   DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, CARINELLI, DELL'ORCO, LIUZZI, PAOLO NICOLÒ ROMANO e SPESSOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 aprile 2016, sul quotidiano la Repubblica, è stata pubblicata una intervista all'amministratore delegato di Poste italiane spa, Francesco Caio. Nell'articolo l'amministratore delegato sostiene che «il servizio universale delle lettere perde terreno e non è più remunerativo. Continueremo a farlo, a giorni determinati e con certezza di puntualità, ma è un servizio declinante. E noi, con il contributo dello Stato sceso a 260 milioni dobbiamo stare sulle nostre gambe»;
   nella medesima intervista e nel corsa delle ultime settimane, attraverso diversi organi di informazione, l'amministratore delegato Caio ha segnalato le scelte di politica industriale che Gruppo Poste Italiane perseguirà da qui nel breve e medio periodo. In particolar modo ha inoltre sottolineato la vocazione finanziaria della realtà aziendale alla quale andrebbe ad affiancarsi quella dei servizi per la pubblica amministrazione, si pensi al progetto di identità digitale Spid, e quella di investitore infrastrutturale (Il Messaggero, 5 aprile 2016);
   nello stesso periodo, sono circolate notizie da fonti governative secondo le quali il Ministero dell'economia e delle finanze avrebbe l'intenzione di ridurre ulteriormente la propria partecipazione in Poste Italiane, oggi al 65 per cento dopo la cessione avvenuta nell'autunno 2015. Tale scelta sarebbe direttamente conseguente al rinvio al 2017 della cessione delle quote del Gruppo Ferrovie dello Stato, a causa del quale il Governo ha visto ridursi in maniera rilevante le entrate precedentemente stimate; ciò corroborerebbe, peraltro, la tesi degli interroganti che l'unica priorità di simili operazioni di alienazione di quote pubbliche potrebbe essere quella di «fare cassa»;
   a fronte di queste notizie, il servizio universale che Poste italiane Spa è tenuto a garantire, come lo stesso amministratore delegato ha dichiarato, appare «declinante», non remunerativo e quindi, dal punto di vista dell'azienda in termini prettamente economico-finanziari di scarso interesse, nonostante Poste sia nata e si sia sviluppata nel corso dei decenni grazie a risorse e investimenti prettamente pubblici. Nondimeno, dal punto di vista degli utenti e dei consumatori, come testimoniano numerosi fonti di stampa, servizio postale appare «declinante» sul piano qualitativo e in termini di copertura territoriale facendo registrare disservizi e disagi;
   d'altronde, dalle notizie richiamate, Poste Italiane spa non sembrerebbe interessata a reinvestire parte degli introiti derivanti dalle attività maggiormente remunerative, a mercato, come l’e-commerce, i servizi finanziari e assicurativi, nel servizio postale universale garantendo medesimi standard qualitativi e evitando ulteriori disagi agli utenti –:
   se e come, alla luce delle informazioni riportate, il Ministro interrogato ritenga di poter garantire lo svolgimento del servizio universale anche laddove considerato «non remunerativo» da Poste Italiane, senza che questo comporti disagi e disservizi. (5-08447)


   ATTAGUILE e SIMONETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane S.p.a., negli ultimi anni, sta portando avanti rigidi piani di razionalizzazione che hanno portato alla chiusura di numerosi uffici su tutto il territorio nazionale sulla base di una ridefinizione del servizio universale postale in quanto considerato, disallineato rispetto ai reali bisogni delle famiglie e non più sostenibile dal punto di vista economico: ridefinizione più che preoccupante vista la missione di poste italiane quale società a capitale interamente pubblico, che gestisce i servizi postali in una condizione di sostanziale monopolio e che garantisce l'espletamento del servizio universale sulla base di un contratto di programma siglato con lo Stato;
   solo pochi mesi fa la società, che si impegna nel contratto di servizio a raggiungere determinati obiettivi di qualità, tra cui quelli concernenti l'adeguatezza degli orari di apertura degli sportelli rispetto alle prestazioni richieste, ha previsto, la progressiva chiusura di ben 455 uffici postali a livello nazionale e la riduzione degli orari di apertura in circa 608 uffici, ritenuti «improduttivi» o «diseconomici» e oggi si parla di nuovo di 411 sedi a rischio chiusura;
   esattamente un anno fa, Poste Italiane aveva disposto per il Piemonte la chiusura di 40 uffici e l'apertura a giorni alterni di altri 130 uffici, ubicati soprattutto nelle realtà montane e svantaggiate, senza considerare che queste zone vivono condizioni generali di servizio già di per sé disagiate e ora si preannuncia un altro duro colpo per il Biellese in cui si parla di circa 20 uffici postali coinvolti nelle chiusure a partire già dal mese di aprile per concludersi entro il 2016;
   questa decisione unilaterale di Poste Italiane conferma l'orientamento portato avanti dalla società negli ultimi anni, che insegue una logica del guadagno puntando su assicurazioni, carte di credito, telefonia mobile e servizi finanziari in genere a scapito delle esigenze della collettività, sacrificando uffici che ritiene non redditizi, senza considerare la loro importanza dal punto di vista sociale e rinnegando la ratio propria del servizio universale, che – a tutela delle esigenze essenziali degli utenti – impone la fornitura del servizio anche in situazioni di fallimento di mercato, caratterizzate da bassi volumi di domanda ed alti costi di esercizio, tali da rendere l'erogazione delle prestazioni strutturalmente non redditiva ed antieconomica;
   la delibera n. 342/14/Cons dell'Agcom, nel modificare i criteri di distribuzione degli uffici postali, ha disposto specifici divieti nei confronti di Poste a tutela degli utenti del servizio postale universale che abitano nelle zone svantaggiate del Paese: in particolare, sono state previste particolari garanzie per i comuni caratterizzati da una natura prevalentemente montana del territorio e dalla scarsa densità abitativa. La delibera, inoltre, impone a Poste di avvisare con congruo anticipo le istituzioni locali sulle misure di razionalizzazione, al fine di avviare un confronto sull'impatto degli interventi sulla popolazione interessata e per individuare possibili soluzioni alternative più rispondenti allo specifico contesto territoriale. Entrambe le disposizioni non sembrano essere state prese nella giusta considerazione da Poste Italiane;
   con riguardo specifico all'esigenza di assicurare un'adeguata copertura del territorio nazionale, «incluse le situazioni particolari delle isole minori e delle zone rurali e montane», la direttiva n. 97/67/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 dicembre 1997, recante «Regole comuni per lo sviluppo del mercato interno dei servizi postali comunitari e il miglioramento della qualità del servizio», come modificata, da ultimo, dalla direttiva n. 2008/6/CE; sottolinea che «le reti postali rurali, in particolare nelle regioni montuose e insulari, svolgono un ruolo importante al fine di integrare gli operatori economici nell'economia nazionale/globale, e al fine di mantenere la coesione sociale e salvaguardare l'occupazione» e si riconosce che «i punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote possono inoltre costituire un'importante rete infrastrutturale fini dell'accesso universale ai nuovi servizi di comunicazione elettronica». Nel successivo considerando si afferma, poi, che «gli Stati membri dovrebbero adottare le misure regolamentari appropriate per garantire che l'accessibilità ai servizi postali continui a soddisfare le esigenze degli utenti, garantendo, se del caso, un numero minimo di servizi allo stesso punto di accesso e, in particolare, una densità appropriata dei punti di accesso ai servizi postali nelle regioni rurali e remote». Inoltre, nel considerando n. 22, nel sottolineare il contributo significativo che un servizio postale di alta qualità può apportare al conseguimento degli obiettivi di coesione sociale e territoriale, si fa presente che «il commercio elettronico, in particolare, offre alle regioni remote e alle regioni scarsamente popolate nuove possibilità di partecipare alla vita economica»;
   i servizi postali, in particolare per le famiglie e le imprese, sono fondamentali nello svolgimento di moltissime attività quotidiane, come il pagamento delle utenze, il ritiro del denaro contante da parte dei titolari di conto corrente postale e l'invio di comunicazioni soggette al rispetto perentorio di scadenze, soprattutto quelle di carattere legale. La chiusura degli uffici e la limitazione degli orari di apertura pone quindi in serie difficoltà i privati, i turisti e tutto il bacino industriale;
   questa operazione di razionalizzazione si traduce in gravi disservizi soprattutto per i residenti anziani, che si troveranno a non poter usufruire con la dovuta comodità di servizi essenziali quali il pagamento delle bollette, con la conseguenza di essere costretti a fare lunghe file nei giorni di apertura, ritardare le operazioni o affrontare frequenti e difficili spostamenti. Gli utenti della fascia più debole, quelli di età avanzata, ai quali è già stata negata la possibilità da febbraio 2012 di riscuotere la pensione in contanti e si sono quindi di visti costretti a lasciare i propri risparmi sui libretti postali, ora si vedono nuovamente danneggiati, non potendo usufruire dei servizi resi dagli uffici periferici, nonostante il regime di servizio universale debba essere finalizzato alla promozione di inclusione sociale di categorie deboli di consumatori –:
   se non ritenga urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per una momentanea sospensione del processo riorganizzativo di Poste italiane nei comuni del Biellese in attesa di una concertazione fra la società e le amministrazioni locali coinvolte, così da poter effettuare una puntuale verifica di ogni singola misura di razionalizzazione prevista, al fine di valutare di volta in volta, in relazione al caso concreto, la portata dei disagi eventualmente arrecati all'utenza, anche in relazione all'età anagrafica della popolazione servita e alle condizioni del trasporto pubblico che collega gli uffici postali, nonché i corrispondenti benefici in termini di miglioramento dell'efficienza complessiva della rete e di riduzione dei costi del servizio universale ricadenti sulla collettività. (5-08448)


   FRANCO BORDO, FOLINO e SCOTTO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in un parere espresso sul decreto ministeriale inerente il canone Rai, il Consiglio di Stato ha espresso gravi criticità di forma e contenuto inerenti il provvedimento;
   in particolare, il Consiglio di Stato lamenta che il decreto non offre una definizione di apparecchio Tv. E si rileva che il decreto neanche precisa che il canone si versa una volta sola, anche se si hanno più televisori in casa. È dunque indispensabile chiarire che la famiglia deve versare la gabella un'unica volta, e soltanto se possiede un apparecchio televisivo che riceve i programmi in modo diretto «oppure attraverso il decoder», come anche sottolinea l'alta corte amministrativa;
   il Consiglio di Stato osserva anche che la riscossione del nuovo canone pone un problema di privacy, vista l'elevata mole di dati che si scambieranno gli «enti coinvolti (Anagrafe tributaria, Autorità per l'energia elettrica, Acquirente unico, Ministero dell'interno, Comuni e società private)». Eppure il decreto ministeriale non prevede neanche una «disposizione regolamentare» che assicuri il rispetto delle normativa sulla riservatezza;
   sempre il Consiglio di Stato stigmatizza la scarsa chiarezza del decreto ministeriale che pure tratta una materia molto sentita dagli italiani. Oscuro, ad esempio, è il passaggio che definisce le categorie di utenti tenute al pagamento dell'imposta per la Rai;
   c’è poi il capitolo della dichiarazione che bisogna inviare all'Agenzia delle entrate per attestare di non avere il televisore. Gli adempimenti in capo a chi non deve versare la gabella Tv sarebbero tali da imporre allo Stato una campagna d'informazione capillare, che il decreto però non prevede;
   si tratta di osservazioni chiare e circostanziate che richiedono un immediato intervento correttivo per scongiurare a giudizio degli interroganti una mole di ricorsi e impugnazioni che mettono a repentaglio, da un lato, in termini di certezza del diritto, rapporto tra fisco e contribuente e, dall'altro, certezza della riscossione del contributo;
   già in una mozione presentata in Assemblea in materia di pagamento a mezzo di bolletta del canone Rai, il gruppo di Sinistra italiana – Sinistra ecologia e libertà aveva ribadito come la novella introdotta dalla legge di stabilità 2016 in materia di pagamento del canone di abbonamento radiotelevisivo non ha modificato il presupposto impositivo, cioè il «fatto economico» che fa sorgere l'obbligo di corrisponderlo, quanto piuttosto il regime probatorio ed i meccanismi di riscossione dello stesso, accollando al contribuente l'onere di provare, ai sensi dell'articolo 2697 del codice civile, la non debenza dello stesso, e quindi spostandolo dallo Stato (Agenzia delle entrate) al contribuente. Viene inoltre meno il principio di presunzione di innocenza fissato dalla Costituzione e per il quale la prova della contestazione dell'evasione deve restare a carico dell'Agenzia delle entrate;
   anche le associazioni dei consumatori come l'Unione dei consumatori, a seguito del parere del Consiglio di Stato, hanno chiesto di modificare urgentemente la procedura di riscossione del canone Rai, e di rinviare la scadenza della prima rata al mese di ottobre –:
   quali iniziative a carattere urgente s'intendano mettere in campo al fine di recepire le osservazioni e le criticità emerse dal parere del Consiglio di Stato sul provvedimento in questione, con particolare riferimento alla possibilità di posporre ulteriormente la data ultima per la presentazione dell'autocertificazione di non possesso dell'apparecchio televisivo in scadenza il 30 aprile 2016. (5-08449)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GINEFRA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 17 aprile 2016 si è svolto il cosiddetto referendum sulle trivelle; il quesito aveva ad oggetto la durata delle concessioni relative alle attività di ricerca e di estrazione di idrocarburi già in corso ed effettuate entro le 12 miglia marine dalle coste italiane che, secondo la legislazione vigente, terminano con l'esaurimento del giacimento;
   si trattava dell'unico quesito – rispetto ai sei proposti inizialmente dalle regioni promotrici – che non era stato superato attraverso l'inserimento di alcune norme nella legge di stabilità per il 2016, che, hanno riconsiderato il ruolo degli enti territoriali nelle decisioni sullo sfruttamento di gas e petrolio;
   sul mancato raggiungimento del quorum, che ha vanificato l'espressione di voto dei 15.806.788 cittadini che si sono recati alle urne, ha pesato, ad avviso dell'interrogante, la volontà di caricare il risultato di questa consultazione di significati politici assolutamente estranei rispetto al merito del quesito che investiva indirettamente il problema strategico della scelta delle politiche energetiche più adatte a consentire lo sviluppo del paese;
   proprio per questa ragione non si possono ignorare alcune criticità che la disciplina vigente lascia irrisolte e che meriterebbero, in ogni caso, di essere affrontate;
   in primo luogo, una estensione delle concessioni dalla durata indefinita potrebbe confliggere con la (direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014, poiché, le proroghe « sine die» hanno l'effetto di impedire l'ingresso ad altri soggetti potenzialmente interessati al settore, negando loro opportunità che invece dovrebbero essere riconosciute in un regime di libera concorrenza;
   in secondo luogo, deve essere tenuto in forte considerazione l'aspetto relativo alla sicurezza degli impianti; se le concessioni, anziché prorogate « sine die», riprendessero a essere soggette a rinnovo, lo Stato potrebbe consentire la rinegoziazione del regime delle aliquote destinate alla produzione petrolifera, le cosiddette « royalties», tornando altresì ad avere maggiori poteri di verifica sull'adeguatezza delle piattaforme e sul loro effettivo impatto;
   da ultimo, una proroga della concessione accordata fino al totale sfruttamento del giacimento, rischia di avere effetti distorsivi: a causa degli alti costi comportati dalle operazioni di smantellamento, potrebbe paventarsi il pericolo che, con l'approssimarsi della fase dell'esaurimento dei pozzi, le imprese concessionarie preferiscano rallentare l'estrazione se non addirittura lasciare inattive le piattaforme, con le gravi e nocive conseguenze che si possono immaginare e che sarebbero prodotte dall'assenza di manutenzioni e dai mancati smantellamenti;
   le preoccupazioni sul fronte ambientale sono supportate anche da un recente dossier del WWF sul tema. In questo dossier viene documentato uno stato delle cose in cui, ben il 47,7 per cento delle piattaforme offshore comprese nella fascia delle 12 miglia, non è mai stato sottoposto a valutazione d'impatto ambientale, e il 48 per cento delle concessioni ha oltre i 40 anni. Sempre in tale rapporto, emergono seri e fondati campanelli d'allarme dallo screening delle 8 piattaforme non operanti e delle 31 piattaforme non eroganti;
   è dunque necessario interrogarsi sugli scenari e sulle prospettive che il Paese si può e si deve dare in tema di ambiente, di politica industriale e di gestione delle risorse per iniziare a disegnare uno scenario più ampio e di più lungo respiro –:
   atteso l'esito referendario, quali iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di:
    a) dar seguito alle disposizioni di legge in materia di proroga sino ad esaurimento giacimenti evitando che l'eventuale conflitto con la direttiva 2014/104/UE del Parlamento europeo e del Consiglio del 26 novembre 2014 possa dar luogo a procedure di infrazione;
    b) valutare l'eventualità di una rinegoziazione delle royalty;
    c) affrontare la questione relativa ai controlli, in particolar modo sulle piattaforme inattive;
   quale sia l'orientamento del Ministro interrogato sulla possibilità – visti gli alti costi di messa in sicurezza e di bonifica degli impianti a fine giacimento – di prevedere nel rilascio delle concessioni un deposito cauzionale per evitare che eventuali interruzioni dell'estrazione a fine scorte ovvero il fallimento delle imprese possano far gravare sullo Stato gli oneri di bonifica. (5-08444)


   GUERRA e BRAGA. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ACSM-AGAM spa (gestore uscente) ha perso la gara indetta nel 2011 dal comune di Como per la distribuzione del gas in città. La gara è stata vinta da 2iRetegas spa che, previa firma del contratto, subentrerà nella gestione della rete di distribuzione del gas a partire dal 1o maggio 2016;
   gara suddetta è stata indetta con determinazione n. 148 del 25 febbraio 2011 e con determinazione n. 505 del 2 maggio 2011 antecedenti all'avvio delle gare Atem previste dal decreto legislativo 164 del 2000;
   il bando di gara prevedeva che la ditta subentrante si impegnasse ad «attuare a favore dei lavoratori dipendenti condizioni normative e retributive non inferiori a quelle risultanti dai contratti di lavoro e dagli accordi locali integrativi degli stessi, applicabili alla data dell'offerta, alla categoria e nella località in cui si svolge la prestazione» e «al rispetto degli obblighi sulla tutela dell'occupazione del personale addetto alla gestione locale degli impianti del gestore uscente con l'obbligo di assunzione del personale secondo quanto meglio specificato nella lettera di invito e secondo l'articolo 28 D.Lgs. 164/2000»;
   in data 24 febbraio 2011, il comune di Como e le organizzazioni sindacali firmavano accordo che prevedeva che il comune di Como si impegnasse a inserire nel bando di gara «l'obbligo per l'azienda che subentra di riconoscere il passaggio automatico dei rapporti di lavoro – senza soluzione di continuità – attraverso l'assunzione di tutto il personale sia operativo che amministrativo del gestore uscente alle medesime condizioni, normative, economiche, professionali e previdenziali, comunque non inferiori a quelle già riconosciute sia quelli derivanti dal CCNL settore gas/acqua». Tale clausola tuttavia non è stata prevista nel bando citato;
   il citato articolo 28 del decreto legislativo 164 del 2000 rinvia ad un decreto interministeriale successivamente emesso (decreto del Ministero dello sviluppo economico del 1o aprile 2011 «Disposizioni per governare gli effetti sociali connessi ai nuovi affidamenti delle concessioni di distribuzione del gas in attuazione del comma 6, dell'articolo 28 del decreto legislativo 23 maggio 2000, 164, recante norme comuni per il mercato interno del gas») che all'articolo 2 afferma che «il personale – omissis – è soggetto, ferma restando la risoluzione del rapporto di lavoro e salvo espressa rinuncia degli interessati, al passaggio diretto ed immediato al gestore subentrante, con la salvaguardia delle condizioni economiche individuali in godimento, con riguardo ai trattamenti fissi e continuativi e agli istituti legati all'anzianità di servizio»;
   in data 4 aprile 2016 il gestore uscente ha comunicato alle organizzazioni sindacali e al gestore subentrante l'elenco delle n. 34 unità di personale che saranno licenziate e successivamente riassunte da parte del gestore entrante nel mese di aprile 2016 nel rispetto della normativa vigente;
   per tutti i 34 dipendenti si pone il problema della necessità che nel passaggio non vengano meno ne vengano ridotti, a seguito delle mutate normative, diritti e tutele precedentemente acquisite, mentre molti dipendenti dovranno altresì affrontare il problema della ricongiunzione previdenziale, essendo iscritti alla posizione Inpdap, ricongiunzione ingiustamente e insostenibilmente molto onerosa nonostante siano stati versati i contributi;
   le conseguenze di eventuali cambi di gestione della rete di distribuzione del gas si ripercuotono ora sui lavoratori di ACSM-AGAM Spar, ma in prospettiva potrebbero riguardare tutti i lavoratori oggetto di licenziamento e riassunzione a causa degli esiti delle future gare ATEM che ben potrebbero determinare cambi di gestione –:
   se e quali iniziative per quanto di competenza, intendano, assumere affinché le conseguenze della giusta concorrenzialità nella gestione del servizio di distribuzione del gas non debbano ripercuotersi sui lavoratori che si troverebbero a sostenere i costi di una eventuale ricongiunzione a fronte di contributi previdenziali già pagati (non figurativi) e ad essere riassunti con contratti meno favorevoli nonostante muti il solo datore di lavoro e non l'attività lavorativa;
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per prevedere che eventuali interventi correttivi possano essere applicati anche ai lavoratori soggetti a licenziamento e riassunzione prima dell'entrata in vigore di detti interventi.
(5-08458)

Interrogazione a risposta scritta:


   L'ABBATE, SCAGLIUSI, GALLINELLA, PARENTELA e GAGNARLI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha recentemente comunicato la sua intenzione di procedere ad un nuovo scambio di offerte con il mercato comune dell'America Latina al fine di rilanciare il negoziato in corso da tempo per la conclusione di un trattato di libero scambio con il Mercosur;
   come noto, il settore agricolo è un elemento chiave del suddetto negoziato: gran parte dell’import dell'Unione europea dal blocco commerciale del Paesi dell'America Latina è costituito da prodotti agricoli, specialmente carni bovine e pollame, che spesso, tra l'altro, non rispettano i requisiti di sicurezza previsti dalle norme comunitarie, e non si ravvede alcuna necessità di assegnare al Mercosur contingenti aggiuntivi esenti da dazi per aumentare il suo commercio verso l'Unione europea;
   alcuni Paesi del Mercosur sono tra i più importanti fornitori dell'Europa per la soia con quote di oltre 14 milioni di tonnellate l'anno per Brasilia, e quasi 9 milioni di tonnellate per Buenos Aires; il Brasile è anche un protagonista degli scambi globali di zucchero, caffè e succo d'arancia concentrato;
   anche alla luce della persistente crisi che interessa gli agricoltori europei, penalizzati da bassi prezzi di mercato e da elevati costi di produzione, dalle conseguenze delle recenti sanzioni imposte alla Federazione russa, dai mutamenti imposti dal mercato a seguito della fine del regime dei contingentamenti per alcuni settori, è inaccettabile che l'Esecutivo comunitario includa i prodotti sensibili, come le carni, nell'offerta di negoziato;
   nel corso del Consiglio dei ministri dell'agricoltura dell'11 aprile 2016 alcuni Stati membri hanno formalmente chiesto alla Commissione di escludere dall'offerta di negoziato i prodotti agricoli sensibili, quale carni bovine e pollame per i quali gli allevatori europei non potrebbero mai competere con quelli americani, e comunque di rivedere l'impianto generale dell'accordo al fine di non penalizzare il comparto comunitario, anche in considerazione del fatto che il Mercosur sta ancora utilizzando ingiustificati dazi all'esportazione e altri strumenti di difesa commerciale e pertanto nessuna garanzia è certa circa la disponibilità ad aprire realmente i suoi mercati –:
   quale sia la posizione del Governo nel Consiglio dei ministri dell'agricoltura dell'Unione europea relativamente all'accordo Unione europea-Mercosur e se non ritengano di dover procedere ad una attenta valutazione dei rischi che potrebbero gravare sugli agricoltori italiani, a seguito della eventuale liberalizzazione del mercato dei prodotti agricoli sensibili, quali le carni, prima di acconsentire a qualsiasi ulteriore accordo internazionale di libero scambio, anche in considerazione della ormai prossima chiusura del negoziato sul TTIP. (4-12899)

Apposizione di firme ad una mozione.

  La mozione Spadoni e altri n. 1-01223, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 13 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Agostinelli, Alberti, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Cecconi, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Corda, Cozzolino, Crippa, Da Villa, Dadone, Daga, Dall'Osso, D'Ambrosio, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Dieni, D'Uva, Fantinati, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Grande, L'Abbate, Liuzzi, Lombardi, Lupo, Mannino, Marzana, Micillo, Nesci, Nuti, Parentela, Pesco, Petraroli, Pisano, Rizzo, Paolo Nicolò Romano, Ruocco, Sarti, Scagliusi, Sibilia, Sorial, Spessotto, Terzoni, Tofalo, Toninelli, Tripiedi, Vacca, Simone Valente, Vallascas, Vignaroli, Villarosa, Zolezzi.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Rocchi e altri n. 7-00887, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 20 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sgambato.

  La risoluzione in Commissione Arlotti e altri n. 7-00952, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Albanella.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis n. 5-06762, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Da Villa.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Ribaudo e altri n. 5-07772, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 12 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Vico.

  L'interrogazione a risposta immediata in Assemblea Moscatt e altri n. 3-02200, pubblicata nell'alleato B ai resoconti della seduta del 19 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Andrea.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Becattini n. 5-07549 del 27 gennaio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Mognato n. 5-07854 del 22 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-02059 del 26 febbraio 2016;
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-02080 del 4 marzo 2016;
   interrogazione a risposta orale Terzoni n. 3-02098 del 10 marzo 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Galgano n. 5-08404 del 18 aprile 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Carrescia n. 5-08416 del 19 aprile 2016.

ERRATA CORRIGE

  Interrogazione a risposta immediata in Assemblea Piras e altri n. 3-02199 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 609 del 19 aprile 2016. Alla pagina 36658, seconda colonna, alla riga quattordicesima, si deve leggere «27» e non «29», come stampato.

  Interrogazione a risposta immediata in Assemblea De Lorenzis e altri n. 3-02204 pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della Seduta n. 609 del 19 aprile 2016. Alla pagina 36698, prima colonna, dalla riga ventiduesima alla riga ventitreesima, deve leggersi: «sempre riconducibili prima facie a situazioni illecite –:», e non come stampato.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ANTEZZA, BIONDELLI, ARLOTTI, BARGERO, AMODDIO, IACONO, BOCCUZZI e MATTIELLO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro della difesa, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute, nel corso del 2012, ha proposto che nella attuazione della direttiva europea sulla assistenza sanitaria transfrontaliera sia istituita una rete di centri di eccellenza per la ricerca sull'amianto e sulle azioni conseguenti di sanità pubblica. La proposta è stata accettata e l'Italia è stata invitata a presentare una proposta operativa nel prossimo Consiglio dei ministri della salute previsto a Cipro entro l'anno 2013;
   in tale quadro il Ministero ha promosso la pubblicazione, nel giugno 2012, del quaderno del Ministero della salute n. 15 «Stato dell'arte e prospettive in materia di contrasto alle patologie asbesto-correlate», il quale delinea lo stato attuale delle conoscenze e formula proposte di intervento in merito alle tematiche sanitarie, ambientali e previdenziali e al quale si rimanda per riferimenti e approfondimenti; 
   successivamente lo stesso Ministero della salute ha promosso a Venezia, nel novembre 2012, la Conferenza governativa sulla tematica dell'amianto che ha permesso di focalizzare le questioni sopra riportate e acquisire indicazioni da tutte le parti sociali coinvolte;
   in tale conferenza è stata decisa la redazione del piano nazionale amianto da parte dei Ministeri della salute, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, e del lavoro e delle politiche sociali, poi redatto e sottoposto alla Conferenza unificata nella seduta del 10 aprile 2013 dove risulta che il piano si sia arenato sostanzialmente per le osservazioni di carattere finanziario avanzate dal MEF;
   a ulteriore testimonianza dell'attualità ed importanza della materia si evidenzia la risoluzione del Parlamento europeo del 14 marzo 2013 sulle «Minacce per la salute sul luogo di lavoro legate all'amianto e le prospettive di eliminazione di tutto l'amianto esistente» che, tra l'altro, «invita gli Stati membri a portare avanti la progressiva eliminazione dell'amianto nel minor tempo possibile... invita la Commissione a includere una strategia coordinata in materia di amianto nella prossima strategia dell'UE 2014-2020 per la salute e la sicurezza...» e formula altresì una nutrita serie di raccomandazioni in materia sanitaria, ambientale e previdenziale; 
   l'attenta lettura della documentazione citata fa emergere una sostanziale unita di intenti, strategia ed obiettivi tra quelli individuati in sede... nazionale, e in particolare nel piano nazionale amianto, e quelli delineati in sede dell'Unione europea, confermando la assoluta centralità del tema e l'impellenza di agire con particolare riferimento alle attività di messa in sicurezza e successiva bonifica a partire dalle situazioni di interesse pubblico –:
   quale sia lo stato dell'iter amministrativo del piano nazionale amianto e se corrisponda al vero che esso non ha compiuto ulteriori passi dopo lo stop subito in Conferenza unificata nonostante risulti che i Ministeri della salute e dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbiano inviato le proprie controdeduzioni alle osservazioni del MEF;
   come si intenda procedere per la risoluzione delle non più rinviabili attività di messa in sicurezza e bonifica degli edifici pubblici contaminati da amianto quali scuole, ospedali e uffici pubblici, individuati durante le attività di mappatura dell'amianto;
   quali risorse si intendano dedicare alle predette attività di messa in sicurezza e bonifica di strutture e manufatti pesantemente contaminati da amianto nonché per finanziare le attività di mappatura;
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non intenda valutare la possibilità di assumere iniziative per consentire agli enti locali di derogare al patto di stabilità per le operazioni di bonifica. (4-02088)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa all'attività di mappatura, messa in sicurezza e bonifica di strutture e manufatti pesantemente contaminati da amianto, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale e dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Sulla scorta delle informazioni contenute nella mappatura amianto, è possibile effettuare l'identificazione dei siti a maggior rischio. Al riguardo si precisa che la presenza di amianto non è indicativa del livello di pericolosità, la cui valutazione dipende dalla disponibilità delle fibre alla dispersione in atmosfera. Per tutti quei casi in cui la matrice risulta friabile sono stati individuati interventi prioritari.
  È inoltre incoraggiato l'uso delle migliori pratiche, utilizzando, ad esempio, materiale statistico già disponibile, ed eseguendo l'analisi spettrale delle immagini acquisite da aereo e da satellite, per incrociarle con i rilievi di controverifica in situ affidati alle ARPA o ad altri enti competenti.
  L'acquisizione dei dati georeferenziati consentirà l'incrocio con i dati catastali, rendendo possibile l'individuazione diretta dei proprietari delle strutture (principalmente quelle coperte) che ancora utilizzano materiali in cemento o amianto.
  L'informatizzazione, realizzabile mediante portali dedicati, interesserà l'intero processo di bonifica, dalla presentazione del Piano di lavoro alla relazione riassuntiva annuale, prevista dall'articolo 9 della legge n. 257 del 1992. Tale procedura ha già superato la fase sperimentale in due Regioni (Lazio e Toscana). Le informazioni saranno, così, inserite nella Banca dati nazionale, ai sensi del decreto ministeriale n. 101 del 2003.
  In relazione alle criticità dell’iter del Piano nazionale amianto, si evidenzia che nella Conferenza unificata dell'11 giugno scorso si è deciso di formulare uno specifico accordo per la costituzione di un Tavolo interistituzionale presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che avrà il compito di recuperare il Piano nazionale amianto, rendendolo sostenibile rispetto alle obiezioni del Ministero dell'economia e delle finanze, superando così l’impasse che lo aveva bloccato.
  Nel frattempo, però, sono state avviate alcune procedure parallele con lo scopo di rispondere in tempi brevi alle criticità più urgenti.
  L'articolo 1, comma 50 della legge n. 190 del 23 dicembre 2014 (legge di Stabilità 2015) ha previsto, al fine di garantire la messa in sicurezza e bonifica di strutture pesantemente contaminate da amianto nei Siti di bonifica di interesse nazionale (SIN), lo stanziamento di euro 45.000.000,00 per ciascuno degli anni 2015, 2016 e 2017, per un totale di euro 135.000.000,00, di cui euro 25.000.000,00 annui a favore dei comuni di Casale Monferrato e di Napoli.
  Al netto di quanto già destinato ai suddetti comuni (pari a complessati euro 75.000.000,00) restano euro 60.000.000,00 da assegnare nel triennio in esame; tali risorse sono destinate ai prioritari interventi di bonifica ricadenti negli altri SIN interessati dalla presenza di amianto («Bari — Fibronit», «Biancavilla», «Broni», «Balangero» ed «Emarese»).
  Con il decreto del Ministro dell'ambiente adottato il 18 febbraio 2015, sono state individuate, ai sensi dell'articolo 51, le modalità di trasferimento delle risorse assegnate.
  A tal proposito, questo dicastero ha richiesto a Regioni e Comuni interessati di proporre gli interventi di bonifica da amianto da finanziare, a valere sulle risorse in oggetto.
  Sulla base delle segnalazioni pervenute e degli esiti di specifica riunione tenutasi in data 21 gennaio 2015, è stato elaborato il quadro degli interventi, completo delle relative informazioni di carattere procedurale, fisico e finanziario.
  Si segnala, peraltro, che le risorse disponibili coprono interamente i fabbisogni segnalati dalle regioni e dai comuni e interessati.
  Con particolare riferimento alle messa in sicurezza e bonifica degli edifici pubblici, si sottolinea che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 27 maggio 2014 è stata istituita presso la Presidenza del Consiglio dei ministri la struttura di Missione per l'edilizia scolastica, finalizzata al coordinamento ed all'impulso dell'attuazione di interventi di riqualificazione degli edifici destinati ad uso scolastico.
  Detta Struttura di missione, siglando lo scorso 21 luglio un protocollo d'intesa con l'agenzia per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (ENEA), ha avviato, per la prima volta a livello nazionale, un programma di riqualificazione energetica e messa in sicurezza degli oltre 40 mila edifici scolastici. L'iniziativa si focalizza principalmente sugli interventi per la sostenibilità e l'efficientamento energetico degli edifici stessi ma anche su quelli per la messa in sicurezza dal rischio sismico e la bonifica da amianto.
  Tale accordo prevede, tra le altre cose, la definizione di una «task force ENEA – ItaliaSicura», ovvero uno specifico ufficio operativo costituito da tecnici e ricercatori dell'agenzia che proporrà alla Struttura di missione i possibili modelli di intervento nonché le soluzioni tecnologiche ma anche i format per acquisire le informazioni necessarie alla valutazione dei progetti presentati (consumi, condizioni dell'immobile, elementi progettuali, costi).
  Si segnalano, infine, alcune novità previste dalla legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 707 della legge n. 208 del 2015). In particolare, si ricorda che a decorrere dall'anno 2016 cessano di avere applicazione le disposizioni concernenti la disciplina del patto di stabilità interno degli Enti locali. Viene tuttavia imposto agli enti il pareggio di bilancio nel solo saldo finale di competenza: pertanto, dal 2016, gli enti locali devono conseguire un saldo non negativo, in termini di competenza, tra le entrate finali e le spese finali. Inoltre, per l'anno 2016, ai fini del pareggio del bilancio, non sono considerate le spese sostenute dagli enti locali per interventi di edilizia scolastica (co. 713) e per interventi di bonifica ambientale (co. 716), conseguenti ad attività minerarie, effettuati mediante utilizzo di avanzo di amministrazione e con assunzione di mutui. Riguardo agli interventi di bonifica ambientale secondo quanto previsto dal citato comma 716, l'esclusione opera nel limite massimo di 20 milioni di euro.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, questo Ministero continuerà a tenersi informato anche attraverso il coinvolgimento di tutti gli altri soggetti competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, BUSTO, DAGA, SEGONI, MANNINO, TERZONI, DE ROSA, ZOLEZZI, COLONNESE, NESCI, CARINELLI e VIGNAROLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro degli affari esteri. — Per sapere – premesso che:
   il Governo croato senza alcuna gara pubblica e senza alcuno studio di impatto ambientale, ha contattato direttamente la società norvegese Geo Spectrum Limited, che dall'inizio di settembre 2013 sta conducendo la scansione del versante marittimo croato in Adriatico di un'area di 12 mila chilometri quadrati alla ricerca di giacimenti di idrocarburi (greggio e metano) intrappolati nei fondali;
   la società conta di rifarsi delle spese vendendo i dati ottenuti nel corso delle rilevazioni alle compagnie petrolifere, mettendo quindi sul mercato i risultati delle scansioni;
   l'organizzazione internazionale per la difesa del mare «Ocean Care» chiede al Governo croato di fermare l'attività di ricerca sottomarina per avviare un confronto pubblico, visto che quella stessa attività costituisce un enorme rischio per il patrimonio ittico croato e porterebbe grave nocumento anche allo sviluppo turistico del Paese;
   secondo il presidente di «Ocean Care», Sigrid Lüber, come riportato dal quotidiano di Zagabria Ve>gernji list, la tecnica adoperata nella ricerca dei giacimenti di gas o di petrolio cosiddetta «2D» prevede il rilascio di vere e proprie bombe di onde sonore ogni dieci secondi pari a 260 decibel ciascuna, mentre il rumore di un jet non supera i 125, 140 decibel;
   secondo il presidente del Blue World Insitute, Dras Ahko Holcer, le specie marine più danneggiate sarebbero quelle dei delfini e delle balene che possono percepire le onde sonore anche a chilometri di distanza. L'intensità con cui queste vengono «sparate» danneggia il loro sistema uditivo provocando lesioni ed emorragie e, a lungo andare, la fuga di queste due specie dal loro habitat;
   una interrogazione dell'eurodeputato Zanoni chiede alla commissione europea indagini sullo svolgimento di attività di ricerca subacquea di giacimenti di idrocarburi nel mar adriatico mediante l'utilizzo di onde sonore, segnalando inoltre che, lungo alcune coste italiane dell'alto adriatico si sta assistendo ad una concomitante ecatombe di tartarughe marine comuni con 165 esemplari morti in meno di due mesi, rendendo necessarie indagini anche sulla strana concomitanza del fenomeno italiano con le ricerche in corso in Croazia;
   con l'attuazione della direttiva 2008/56/CE (recepita in Italia con decreto legislativo n. 190 del 13 ottobre 2010) il rumore diventa un parametro di qualità dell'ambiente marino, imponendo agli Stati membri di affrontare il problema agendo in via precauzionale ed evitando ogni tipo di inquinamento transfrontaliere. La Commissione europea ha applicato il principio secondo cui l'assenza di certezza scientifica, qualora sussista il pericolo di danni gravi o irreversibili, non esonera gli Stati dal dovere di predisporre misure efficaci per evitare il degrado ambientale (principio 15 della dichiarazione di Rio). Tutti i Paesi devono inoltre assicurare che «le attività condotte sotto la propria giurisdizione e sotto il proprio controllo avvengano in modo tale da non provocare danno da inquinamento ad altri Stati e al loro ambiente»;
   pertanto, a prescindere dalla mancanza di disposizioni specifiche sia a livello interno che internazionale, vige il principio di carattere generale correlato all'obbligo di vigilare affinché il rumore sottomarino prodotto da attività soggette alla propria giurisdizione non determini effetti dannosi sugli ecosistemi di altre nazioni, coerentemente con il generale «obbligo di proteggere e preservare l'ambiente marino» (articolo 192 della convenzione UNCLOS);
   si tratta di una cooperazione dai tratti variabili in quanto gli Stati devono cooperare, direttamente o tramite le competenti organizzazioni internazionali, al fine di promuovere studi e sviluppare programmi di ricerca scientifica sull'inquinamento acustico sottomanno, garantendo la protezione di tutte le specie a rischio, sulla base di quanto disposto dalla convenzione sulla diversità biologica e del relativo patto d'azione del 2006 della Comunità europea (PAB);
   si legge nel rapporto tecnico 2012 dell'ISPRA «valutazione e mitigazione dell'impatto acustico dovuto alle prospezioni geofisiche nei mari italiani», che il concetto di inquinamento acustico è stato esteso all'ambiente acquatico quando si è giunti alla certezza che alcuni suoni antropogenici hanno effetti negativi su diversi phyla di organismi, in particolare sui cetacei;
   l'esposizione al rumore di origine antropica può produrre un ampia gamma di effetti sugli organismi acquatici, in particolare sui mammiferi marini. L'esposizione a rumori molto forti può addirittura produrre danni fisici permanenti ad altri organi oltre a quelli uditivi e può in alcuni casi portare al decesso del soggetto colpito;
   lo studio di Bowles e altri (1994) ha dimostrato la tendenza dei capodogli a cessare i loro click (sistemi di segnali sonori per l'ecolocalizzazione e la socializzazione) interrompendo l'attività di feeling (alimentazione) in risposta agli impulsi sismici emessi da una nave a più di 300 chilometri di distanza;
   uno studio di Miller e altri (2009) ha ampiamente dimostrato la tendenza dei capodoglio a non spostarsi dalla zona dr impatto acustico, nonostante il ramp up (suoni di allarme usati come deterrenti per non fare avvicinare i mammiferi alla fonte del rumore);
   lo studio di Madsen e altri 2006 ha inoltre dimostrato come la propagazione sonora sia molto più complicata di quella generalmente rappresentata dai modelli utilizzati per le misure di mitigazione. L'impatto acustico potrebbe verificarsi a distanze maggiori di quelle previste e ben oltre l'area di mare che gli osservatori a bordo nave possono efficacemente monitorare;
   le specie di cetacei che frequentano i nostri mari sono inserite nelle liste rosse dell'IUCN (Unione internazionale per la conservazione della natura) in categorie che evidenziano la necessità di maggiori informazioni e di ungenti azioni di conservazione e protezione;
   molte specie sono incluse in direttive convenzioni e accordi di carattere internazionale per la protezione degli habitat, delle specie e della biodiversità (CBD, direttiva habitat, convenzione di Bonn, CITES, convenzione di Barcellona protocollo ASPIM, IWC) che sono state ratificate dall'Italia;
   anche la nuova strategia per l'ambiente marino (2008/56/EC – Marine Strategy Framework Directive) prevede il mantenimento della diversità biologica marina oltre agli specifici programmi di monitoraggio per la valutazione dello stato dell'ambiente sulla base di specifici elementi, fra i quali i mammiferi marini;
   il 1° luglio 2013 la Croazia è diventato il 28° Stato membro dell'Unione europea;
   da notizie di stampa pare che la Croazia si appresterebbe a liberalizzare il settore della ricerca e dell'estrazione di risorse naturali di metano e di petrolio sul suo territorio, incluso il sottofondo marino nell'Adriatico, che finora era monopolio della società petrolifera nazionale Ina;
   sarebbero previste semplificazione delle procedure burocratiche per ottenere permessi per la ricerca e lo sfruttamento di risorse di idrocarburi gassosi e liquidi –:
   se il Governo croato abbia informato ufficialmente a mezzo di formale notificazione il Governo italiano delle attività di scansione mediante l'utilizzo di onde sonore del versante marittimo croato in Adriatico di un'area di 12 mila chilometri quadrati alla ricerca di giacimenti di idrocarburi (greggio e metano) intrappolati nei fondali;
   se il Governo italiano, indipendentemente dalla formale notificazione di attività frontaliera posta in essere dal Governo croato, sia comunque a conoscenza dei fatti e delle suddette attività poste in essere dal Governo croato o da società da esso incaricate;
   quali garanzie di misure idonee ed efficaci siano state offerte dal Governo croato al fine di proteggere e preservare l'ambiente marino ai sensi e per gli effetti dell'articolo 192 della convenzione UNCLOS, di evitare il degrado ambientale alla luce del principio 15 della dichiarazione di Rio, di protezione della diversità biologica marina disciplinata dalla direttiva 2008/56/EC, ed ogni via precauzionale per evitare l'inquinamento transfrontaliero, anche in considerazione che il delta del Po è candidato ad essere riconosciuto riserva di biosfera dall'Unesco e la laguna di Venezia è già nell'elenco dei siti patrimonio dell'umanità;
   se, indipendentemente dalle eventuali garanzie offerte dal Governo croato, sia intenzione del Governo italiano promuovere un'indagine conoscitiva al fine di accertare se allo stato esiste il rischio che dalle suddette attività possano derivare danni e inquinamento di ogni tipo ai danni del nostro Stato;
   se sia intenzione del Governo italiano, a seguito delle risultanze di indagini conoscitive sullo stato delle attività poste in essere dal Governo croato, giungere alla ratifica di un protocollo di intervento congiunto al fine di predisporre misure idonee ed efficaci per prevenire ogni tipo di danno e inquinamento, e, comunque, disciplinare le ipotesi di responsabilità per tutti i danni che dovessero essere eventualmente procurati ai cittadini italiani e al nostro Stato dalle suddette attività. (4-03492)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle problematiche attinenti le attività di ricerca, prospezione e coltivazione di idrocarburi in territorio croato, sulla base degli elementi acquisiti dai soggetti istituzionali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente si evidenzia che, nel luglio 2013, in Croazia è entrata in vigore una nuova legge sull'esplorazione e lo sfruttamento degli idrocarburi, finalizzata alla liberalizzazione del settore con l'introduzione di procedure burocratiche più snelle per le concessioni. La legge prevede, infatti, un unico procedimento di gara per l'esplorazione e lo sfruttamento dei giacimenti, e la creazione di un'agenzia governativa per la gestione delle gare e dei rapporti contrattuali con le società private.
  L'Ambasciata d'Italia a Zagabria non ha ricevuto alcuna notifica ufficiale dalle autorità croate circa l'inizio delle ricerche di idrocarburi in Adriatico. Era comunque noto alla nostra rappresentanza che il Governo croato avesse commissionato alla società norvegese Spectrum la ricerca di giacimenti di idrocarburi tramite scansione del versante croato dell'Adriatico.
  A seguito della crescente attenzione del Governo croato per lo sfruttamento dei giacimenti di idrocarburi esistenti in Adriatico, sono state pertanto intensificate le relazioni bilaterali con la Croazia in tale ambito, al fine di promuovere nuove forme di cooperazione e garantire la corretta e uniforme attuazione delle disposizioni di sicurezza dettate dalla direttiva 2013/30/UE sulle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi.
  Con l'emanazione della direttiva 2013/30/UE è stato infatti avviato un processo per ridurre per quanto possibile il verificarsi di incidenti gravi legati alle operazioni in mare nel settore degli idrocarburi e di limitarne le conseguenze, aumentando così la protezione dell'ambiente marino e delle economie costiere dall'inquinamento, fissando nel contempo le condizioni minime di sicurezza per la ricerca e lo sfruttamento in mare nel settore degli idrocarburi, limitando possibili interruzioni della produzione energetica interna dell'Unione e migliorando i meccanismi di risposta in caso di incidente.
  Riducendo il rischio di inquinamento marino, la direttiva assicurerà la protezione dell'ambiente marino e in particolare il raggiungimento o il mantenimento di un buono stato ecologico al più tardi entro il 2020, obiettivo stabilito nella direttiva 2008/56/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 giugno 2008, che istituisce un quadro per l'azione comunitaria nel campo della politica per l'ambiente marino (direttiva quadro sulla strategia per l'ambiente marino).
  All'interno del nuovo quadro di cooperazione istituzionale, il Ministero dell'ambiente ha manifestato ufficialmente alla Repubblica croata l'interesse a partecipare alla procedura di valutazione ambientale strategica (VAS) del «Piano e programma quadro di ricerca e produzione degli idrocarburi nell'adriatico» del Governo croato, come previsto dalla direttiva 2001/42/CE e dal protocollo VAS alla convenzione di ESP00 sottoscritto nel 2003 a Kiev.
  La valutazione di impatto ambientale analizza tutte le componenti interessate dal progetto. La valutazione deve altresì comprendere gli effetti sulle componenti dell'ambiente potenzialmente soggette ad un impatto del progetto proposto, con particolare riferimento alla popolazione, all'uso del suolo, alla fauna e alla flora, al suolo, all'acqua, all'aria, ai fattori climatici, ai beni materiali, compreso il patrimonio architettonico e archeologico, al paesaggio e all'interazione tra questi vari fattori.
  Il 26 febbraio 2015 la Croazia ha comunicato il proprio assenso alla richiesta del Governo italiano, a seguito del quale sono state informate le regioni interessate (Friuli Venezia Giulia, Veneto, Emilia Romagna, Marche, Abruzzo, Molise e Puglia), invitandole a trasmettere eventuali osservazioni sul piano, al fine di inoltrarle, insieme a quelle del Governo, alle autorità croate.
  In data 4 maggio 2015, il Ministero ha trasmesso alla Repubblica di Croazia le proprie osservazioni sul Piano e Programma quadro, assieme a quelle presentate da parte di pubbliche amministrazioni, associazioni e cittadini: in tale occasione il Governo italiano ha chiesto alla Croazia di porre la medesima attenzione sulle attività di ricerca ed estrazione prevista nei nostri mari.
  Alla luce delle informazioni esposte, questo dicastero continuerà a tenersi informato attraverso i soggetti istituzionali competenti, monitorando, per quanto di competenza, il puntuale rispetto della normativa in materia di tutela dell'ambiente.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   BRUGNEROTTO, PETRAROLI e D'INCÀ. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nella regione del Veneto sono in atto dei progetti di invasi artificiali per il controllo delle piene, fra questi un progetto nei comuni di Trissino ed Arzignano in provincia di Vicenza che prevede di escavare circa 3 milioni di metri cubi di inerti per la realizzazione di un bacino di laminazione con funzione di invaso;
   con l'interrogazione n. 4-06792 si chiedeva Ministri di avviare misure a tutela del sito archeologico che il progetto avrebbe compromesso;
   i resti antichi consistono in almeno tre grandi gruppi di vasche rettangolari, di cui la più estesa è formata da diverse centinaia di vasche, per un tratto di almeno 1300 metri nell'alveo del fiume Guà-Agno, distribuite in almeno tre zone fra i comuni di Trissino ed Arzignano, e interessano una superficie di almeno 45 ettari; la tipologia dei manufatti, la loro posizione e livello e la loro estensione fecero supporre che essi appartenessero ad un impianto coevo e diffuso di manifattura di dimensioni industriali, e di epoca romana;
   solo dopo anni di segnalazioni, visite al sito archeologico, richieste e pressioni da parte dei residenti, nell'imminenza dei lavori di sbancamento, è stata effettuata da una cooperativa incaricata dalla Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto, una serie di sondaggi, dei quali però non è trapelata nessuna informazione ufficiale in forma scritta, essendo stata comunicata solo a voce la presunta identificazione come impianti per la lavorazione della canapa di epoca recente, e quindi, sempre secondo la stessa comunicazione, il trasferimento di competenze alla Soprintendenza per i beni architettonici e il nulla osta alla loro distruzione; di tale comunicazione verbale, alcuni cittadini (circa 15) hanno fatto una trascrizione firmata, che quindi può essere considerata un dato rilevante;
   in tale comunicazione, veniva giustificata la presunta datazione recente dei resti nella parte del sito in comune di Trissino al periodo 1600-1700, a causa del ritrovamento di alcuni frammenti ceramici;
   un cittadino ha potuto visionare i dati di scavo, su cui la soprintendenza ha posto un vincolo di riservatezza in quanto tali dati dovrebbero essere oggetto di pubblicazione. Nel complesso dei dati visionati, su cui non ci si esprime, appare evidente invece la mancanza sia di foto che della localizzazione dei presunti ritrovamenti, contrastando la comunicazione pubblica con i dati in possesso della Soprintendenza. Nella comunicazione verbale di cui sopra, veniva indicato il ritrovamento di alcuni pali in legno infissi nelle strutture, di cui però veniva affermato che non fosse stata fatta nessuna analisi indirizzata a datarne la deposizione;
   inoltre, ben tre oggetti metallici identificabili come punte di lancia romana, ritrovati in più riprese nelle immediate adiacenze del punto di cui sotto, sono stati apparentemente giudicati «sporadici» e quindi non ancora analizzati, e giacciono inspiegabilmente inutilizzati al museo di Montecchio Maggiore;
   al fine di dare una datazione verificabile ai resti emersi nelle Rotte del Guà, alcuni privati cittadini hanno finanziato l'analisi con il metodo del carbonio 14 (14C), prelevando alcuni gusci di gasteropodi presenti nei depositi costituenti le «Vasche di Tezze» alle coordinate N 45.54338 E 11.36189, nella parte del sito in comune di Arzignano;
   l'analisi, effettuata dal professor Hong Wang dell'università dell'Illinois a Urbana-Champaign (USA) con il metodo di datazione con il 14C mediante acceleratore e spettrometro di massa (AMS), dà come risultato il numero di anni passati da quando gli organismi hanno smesso di assimilare 14C, e quindi il periodo in cui sono morti, calcolato a partire dalla data convenzionale BP (before present, 1950 d.c.), assieme ad una tolleranza che considera le incertezze strumentali e di metodo, indicata come un numero di anni prima e dopo la data più probabile;
   il risultato delle analisi effettuate indica la data di 1040 anni BP +-15 anni; la data presumibile in cui le chiocciole erano in vita è quindi compresa fra l'895 d.c e il 925 d.c., con la maggiore probabilità al 910 d.c.;
   tale risultato sembra smentire le analisi fatte dalla soprintendenza archeologica, spostando di 750 anni indietro la deposizione del materiale delle vasche, mettendo in dubbio anche il lecito ed efficace utilizzo dei fondi (27.000 euro) destinati alle ricerche archeologiche nel bilancio dell'opera idraulica, come pubblicato dalla regione Veneto; per questo motivo è stata informata anche la Corte dei Conti, ed è stata fatta comunicazione al nucleo carabinieri per la tutela del patrimonio artistico –:
   se, alla luce del risultato dell'esame condotto dall'università dell'Illinois a Urbana Champaign, non ritenga di promuovere ulteriori, complete e verificabili analisi, al fine di accertare una volta per tutte la datazione dei reperti, ponendoli quindi sotto tutela;
   se non ritenga di effettuare un controllo sul regolare utilizzo dei fondi destinati alle ricerche archeologiche (27.000 euro) che sembrerebbe abbiano prodotto scarsi risultati, contraddetti da analisi indipendenti finanziate dai cittadini.
(4-10771)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame l'interrogante, premesso che nella regione Veneto sono in atto progetti di invasi artificiali per il controllo delle piene; fra questi un progetto nei comuni di Trissino ed Arzignano, in provincia di Vicenza, che prevede la realizzazione di un bacino di laminazione con funzione di invaso; che tale progetto potrebbe compromettere il sito archeologico posto nell'area; che in tale sito sono stati posti in essere una serie di sondaggi al fine di dare una datazione verificabile ai resti emersi; che alcuni privati cittadini avrebbero dubitato della datazione proposta, finanziando un'ulteriore analisi che avrebbe smentito le precedenti rilevazioni, a detta dell'interrogante, fatte dalla soprintendenza archeologica; tutto ciò premesso, si chiede se, alla luce dei nuovi risultati, il Ministero non ritenga doveroso promuovere ulteriori analisi, al fine di accertare la datazione dei reperti, ponendoli quindi sotto tutela; se il Ministero non ritenga di effettuare un controllo sul regolare utilizzo dei fondi destinati alle ricerche archeologiche che sembrerebbe abbiano prodotto scarsi risultati, contraddetti da analisi indipendenti finanziate dai cittadini.
  A tal proposito si rappresenta quanto segue.
  Come già riferito in occasione di una precedente interrogazione parlamentare riguardante il medesimo argomento, in occasione della realizzazione di opere di adeguamento dei bacini demaniali di Trissino e Tezze di Arzignano (Vicenza) contro le piene del torrente Agno-Guà, la Soprintendenza per i beni archeologici del Veneto (ora denominata Soprintendenza archeologia per il Veneto), attraverso gli strumenti legislativi previsti in materia di archeologia preventiva (articoli 95 e 96 del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163 del codice dei contratti pubblici), ha disposto, con nota n. 6702 dell'11 maggio 2011, una verifica del rischio archeologico, allo scopo di accertare la natura di alcune evidenze già note, in quanto da tempo segnalate all'interno dell'alveo. Si trattava di una serie di raggruppamenti di fosse oblunghe scavate nel sedime del deposito fluviale, caratterizzate da misure variabili, seppure omogenee, fra loro allineate, ma di incerta datazione e non chiara interpretazione funzionale, forse vasche per attività produttive. Contestualmente, l'intervento si poneva l'obiettivo di valutare l'eventuale interferenza rispetto ad un'area limitrofa d'interesse archeologico, in località Valbruna, lambita dalle attività di progetto e assoggettata a vincolo ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera m), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) per l'affioramento di reperti pertinenti ad un insediamento abitativo con indizi di necropoli, databile tra I secolo a.C. e III-IV secolo d.C.
  L'intervento, effettuato tra il giugno 2012 e il gennaio 2013, per il quale il Consorzio di bonifica alta pianura veneta ha incaricato la ditta archeologica P.ET.R.A. soc. coop. di Padova, condotto sotto la direzione scientifica della, dott.ssa Mariolina Gamba, funzionario di zona della Soprintendenza, ha interessato complessivamente un'area di circa 100 ettari ed è consistito nella realizzazione di oltre 200 trincee di accertamento e nell'assistenza alla verifica delle anomalie ferro-magnetiche riscontrate nell'ambito delle attività di bonifica bellica superficiale.
  Considerata la notevole estensione dell'area e i diversi tempi di esecuzione delle lavorazioni, l'indagine è stata suddivisa in due diversi stralci. Il primo ha interessato la superficie compresa tra la briglia di Cinto ed il ponte di Trissino (Bacino di Monte), destinata per prima alle procedure di cantierizzazione, e il secondo l'area tra la briglia di Cinto e il ponte di Tezze di Arzignano (Bacino di Valle): in quest'ultimo, tuttavia, a causa dell'indisponibilità di parte dei terreni, ad oggi ancora in fase di esproprio, gli accertamenti archeologici non sono stati ultimati.
  L'intervento, condotto sotto la costante vigilanza della soprintendenza, ha consentito di individuare e documentare tre estesi complessi di strutture canaliformi, su cui si è successivamente proceduto con un'indagine stratigrafica a campione, che ha portato all'identificazione di un complesso di vasche, probabilmente riferibili alla macerazione di fibre tessili, forse della canapa sulla base delle analisi paleobotaniche. L'impianto, sulla base della sequenza stratigrafica e dei pochi reperti rinvenuti, è da riferire a età storica recente (dalla metà del XVII secolo). Considerata la natura e la tipologia delle strutture, è stata interessata la competente soprintendenza per i beni architettonici e del paesaggio per le province di Verona, Vicenza e Rovigo (ora denominata Soprintendenza belle arti e paesaggio) che, con parere n. 16020 del 6 giugno 2013, ha disposto, in accordo con la soprintendenza per i beni archeologici, una valorizzazione di quanto venuto alla luce, attraverso una serie di pannelli da realizzare presso il museo «G. Zannato» di Montecchio Maggiore, capofila della rete museale dei comuni del bacino dell'Agno-Chiampo.
  Il rinvenimento casuale di una punta di lancia riferibile all'età romana da parte di un privato cittadino, da questi impropriamente prelevato dal suo contesto di giacenza, è da collocarsi – come dimostra la documentazione fotografica prodotta dallo stesso – all'interno di un livello di esondazione fluviale; l'oggetto è pertanto sicuramente traslato e in giacitura secondaria.
  In tutte le fasi dell'intervento la Soprintendenza archeologia ha esercitato, per quanto di competenza, la sorveglianza scientifica atta a garantire la piena correttezza delle procedure stratigrafiche eseguite dalla ditta archeologica incaricata e la tutela dei resti sepolti.
  Per quanto riguarda gli aspetti della divulgazione al pubblico, relativamente alla prima parte dell'intervento concluso nel Bacino di Monte, si fa presente che una conferenza organizzata dal Sistema museale Agno-Chiampo è stata tenuta il 29 maggio 2014 ad Arzignano (relatori la dott.ssa Mariolina Gamba e il dottor Cristiano Miele) e che una notizia preliminare sulle evidenze rinvenute è in corso di pubblicazione nel Notiziario della Soprintendenza archeologia del Veneto, a cura della dott.ssa Mariolina Gamba.
  Sulle opere di laminazione delle piene del fiume Agno-Guà, nei comuni di Trissino e Arzignano, si è espressa favorevolmente, con prescrizioni, la Soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Verona, Rovigo e Vicenza, ai sensi dell'articolo 146 del Codice dei beni culturali e del paesaggio.
  La stessa, soprintendenza, con nota n. 16020 del 6 giugno 2013, inviata al Consorzio di bonifica alta pianura veneta e, per conoscenza alla Soprintendenza archeologia del Veneto, ha comunicato il proprio accordo all'asportazione dei materiali archeologici individuati nel corso dei lavori, con la condizione che «la documentazione tecnica e fotografica sia utilizzata opportunamente per la realizzazione di pannelli espositivi da collocare in modo idoneo anche nell'area contermine al sito o in altra sede da concordare con Comuni interessati» e che i lavori medesimi proseguano sotto la vigilanza della Soprintendenza archeologia del Veneto. Ciò in considerazione della necessità di assicurare la compatibilità paesaggistica dell'opera di protezione del rischio idraulico in questione, la cui realizzazione è ritenuta indispensabile dall'autorità preposta alla pubblica sicurezza.
  Ad ulteriore aggiornamento di quanto esposto, con nota del dicembre 2015 la Soprintendenza archeologica competente per territorio ha comunicato che i risultati delle indagini archeologiche nel sito in questione sono state recentemente pubblicate (settembre 2015) sulla rivista di questa soprintendenza (M. Gamba, C. Miele, P. Paganotto, Trissino, le vasche del torrente Guà, in NAVe – Notizie di Archeologia del Veneto 2, 2013, Firenze, 2015, pp.151-156).
  La documentazione tecnico-scientifica dell'intervento condotto nel bacino di monte, redatta dalla ditta PETRA soc. coop. di Padova e tempestivamente consegnata alla Soprintendenza al termine delle indagini di verifica nel gennaio 2013, risulta pienamente esaustiva in relazione alle linee-guida in uso, compresi gli aspetti della documentazione fotografica e dei posizionamenti georeferenziati; la documentazione delle indagini condotte nel bacino di valle, invece, non è ancora stata redatta, in quanto gli stessi interventi sul campo sono stati solo iniziati e poi sospesi, alla fine del 2012, per sopravvenuti contenziosi espropriativi tra la committenza e i privati. Ad oggi, la realizzazione del bacino di valle risulta ancora «congelata» a tempo indeterminato.
  Nel novembre 2015, un funzionario archeologo di zona ha condotto sul sito un sopralluogo, a seguito del quale sono state prescritte ulteriori indagini archeologiche nel bacino di monte e analisi radiometriche su alcuni campioni organici; inoltre, appreso dalla committenza che i contenziosi sorti nel bacino di valle sono stati sanati, è stata disposta la riapertura e l'analisi stratigrafica dei due saggi sospesi e la relativa documentazione scientifica.
  Si sottolinea che i reperti metallici raccolti nel sito dal privato cittadino e citati nell'interrogazione, si trovavano, come da egli stesso affermato, e come risulta dalla documentazione fotografica da lui effettuata, all'interno di livelli alluvionali a ghiaie, in quest'area particolarmente estesi a causa dell'intensa attività esondativa dei fiumi Agno e Guà: pertanto trattasi di oggetti traslati dalla loro giacitura primaria e privi della valenza stratigrafica e cronologica su cui si basano le contestazioni ai risultati delle indagini.
  Infine occorre rilevare che la Soprintendenza archeologica non è stata mai informata, né ha autorizzato in alcun modo i prelievi e le analisi al C14 menzionate nel testo. Tale operazione parrebbe di scarsa o nulla scientificità, dal momento che non risulta che i prelievi siano stati condotti da personale qualificato, con grave rischio di inquinamento dei campioni in fase di raccolta, oltre al fatto che tali prelievi restano privi di contestualizzazione stratigrafica, e dunque di attendibilità in merito alla supposta retrodatazione del complesso produttivo.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   BRUNETTA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   a Roma, in località Falcognana, al chilometro 15,300 della via Ardeatina, è attivo l'impianto di discarica per rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi gestito dalla società Ecofer Ambiente srl che nel 2013 era stata individuata come possibile luogo dove realizzare una discarica per rifiuti solidi urbani a servizio della città di Roma;
   in data 9 dicembre 2015 la direzione infrastrutture, ambiente e politiche abitative della regione Lazio ha emanato la determinazione n. G15359 con la quale ha autorizzato la società Ecofer Ambiente srl ad ampliare per oltre 100 nuove tipologie di rifiuti da trattare all'interno dell'impianto di Falcognana;
   il quadrante all'interno del quale è ubicata la discarica Ecofer è stato sottoposto, nel gennaio 2010, a vincolo paesaggistico con la «Dichiarazione di notevole interesse pubblico», emessa dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ai sensi dell'articolo 136 del decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modifiche, con decreto ministeriale del 25 gennaio 2010;
   su tale ampliamento di codici CER in sede di conferenza dei servizi, con nota n. 23806 del 16 dicembre 2013, la direzione regionale dei beni culturali e paesaggistici del Lazio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, considerata la richiesta della, soprintendenza dei beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma, ha espresso parere negativo alla realizzazione dell'ampliamento proposto;
   nell'area sono presenti siti di altissimo pregio come l'area monumentale del Santuario del Divino Amore (a circa 1 chilometro di distanza dal sito individuato per la discarica), luogo di culto famoso in tutto il mondo, che attira giornalmente migliaia di pellegrini ed è sottoposto a vincolo monumentale, nonché aree archeologiche e dimore storiche di valore;
   gran parte della località Falcognana è, inoltre, ricompresa all'interno del parco regionale di Decima-Malafede, istituito con la legge regionale 6 ottobre 1997, n. 29;
   nel sito individuato si è in presenza di un'alta permeabilità del terreno testimoniata dal fitto reticolo idrografico secondario dell'affluente fosso dei Radicelli al fiume Tevere;
   secondo quanto previsto dal decreto legislativo n. 152 del 2006, il codice ambientale, l'eventuale estensione dei codici europei dei rifiuti, sarebbe comunque una modifica sostanziale dell'autorizzazione allo smaltimento di rifiuti nell'impianto attuale della Falcognana e quindi in contrasto con la normativa vigente;
   nella zona interessata da tale decisione sono attive importanti aziende agricole e vinicole che verrebbero a trovarsi in difficoltà a causa dell'inquinamento che potrebbe essere causato dalla realizzazione di questa enorme discarica di rifiuti;
   la vigente normativa europea, recepita dalla legislazione italiana, impone agli Stati membri processi progressivi di riduzione dei rifiuti e la stessa normativa indica come elemento determinante la limitazione al ricorso alle discariche per rifiuti;
   tra l'altro, l'articolo 13 della direttiva 2008/98/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 19 novembre 2008 prevede che la gestione dei rifiuti sia effettuata senza danneggiare la salute umana, senza recare pregiudizio all'ambiente ed, in particolare, senza creare rischi per l'acqua, l'aria, il suolo, la flora o la fauna, né causare inconvenienti da rumori od odori, né danneggiare il paesaggio o i siti di particolare interesse;
   la Commissione europea ha già avviato nei confronti dell'Italia numerose procedure di infrazione riguardo alla situazione di molte discariche presenti sul territorio nazionale; in particolare, nel marzo 2013 l'Italia è stata denunciata alla Corte di giustizia dell'Unione europea dalla Commissione europea, in quanto parte dei rifiuti di Roma non avrebbero subito il trattamento meccanico biologico richiesto dai regolamenti europei per ridurre la consistenza volumetrica dei rifiuti e facilitare un loro eventuale possibile recupero;
   la presenza di numerosi insediamenti abitativi di decine di migliaia di cittadini nelle immediate adiacenze ai siti interessati — Castel di Leva, Divino Amore, Falcognana, Spregamore, Selvotta, Monte Migliore, Colle dei Pini, Santa Palomba, Santa Fumia, Palazzo Morgana, Paglian Casale – determina uno stato di grande agitazione sociale in vari quartieri (in particolare, tra la popolazione dei quartieri Selvotta, Schizzanello, Trigoria, Monte Migliore, Spregamore, Falcognana, Santa Fumia, Castel Di Leva, Santa Palomba), che rischia di innescare situazioni di pericolo per l'ordine pubblico;
   nel territorio del municipio Roma IX sono, tra l'altro, già operanti numerose discariche: due a Porta Medaglia, due in via Ardeatina, una a Fioranello, una a Selvotta, nonché diversi recuperi ambientali tra via Laurentina e Santa Palomba ed una discarica di rifiuti pericolosi a Falcognana;
   nei territori limitrofi è presente la discarica di Albano, l'inceneritore del Roncigliano e la discarica di amianto di Pomezia;
   in data 3 ottobre 2013 è stato accolto l'ordine del giorno n. 9/1628/23 con il quale il Governo si impegna «.... ad assicurare il rispetto del notevole interesse pubblico e dei valori del paesaggio agrario dell'area compresa tra le zone storiche della Laurentina e Ardeatina e dell'area archeologica limitrofa al Santuario del Divino Amore, potenziandone l'attrattiva turistica e salvaguardando la bellezza salubrità e il valore artistico dei suoi monumenti, anche contrastando fenomeni di abusivismo in coerenza con il vincolo paesaggistico apposto con Decreto Dirigenziale del gennaio 2010...»;
   si rendono, quindi, assolutamente necessari opportuni approfondimenti e una valutazione della sostenibilità dell'impatto sull'ambiente e la salute pubblica che l'ampliamento di tali codici CER per materiali pericolosi provocherebbe –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assicurare al fine di fugare qualsiasi dubbio in merito alla completa, corretta e trasparente sequenza autorizzatoria ed alla legittimità procedimentale della preesistente discarica in relazione alla determinazione della regione Lazio sopra menzionata, con particolare riferimento alla correttezza della procedura rispetto a quanto prescritto dal decreto legislativo n. 42 del 2004, cosiddetto decreto Bondi;
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza del degrado in cui incorrerebbero l'ambiente, i beni culturali e l'area archeologica interessata nell'ipotesi in cui si procedesse ad ampliare ulteriormente il trattamento dei rifiuti pericolosi in questa area;
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati abbiano intrapreso, vista la persistente emergenza rifiuti e la concomitanza con il Giubileo, al fine di risolvere la questione inerente alla gestione dei rifiuti pericolosi, non pericolosi e dei rifiuti solidi urbani nella città di Roma. (4-11792)

  Risposta. — Nell'interrogazione parlamentare in esame, l'interrogante, riferito che la regione Lazio, con determinazione G15359/2015, ha autorizzato la società Ecofer Ambiente S.R.L ad ampliare, per oltre 100 nuove tipologie, i rifiuti da trattare all'interno dell'impianto di Falcognana, nel comune di Roma, nonostante parere contrario espresso dalla Direzione regionale dei beni culturali e paesaggistici del Lazio, chiede a questo ministero e al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare: quali iniziative si intendano assumere per fugare ogni dubbio in merito alla legittimità del procedimento autorizzatorio; se i ministeri interrogati siano a conoscenza del degrado in cui incorrerebbero l'ambiente, i beni culturali e l'area archeologica interessata in conseguenza dell'ampliamento del trattamento dei rifiuti; quali iniziative si intenda intraprendere per risolvere la questione della gestione dei rifiuti a Roma.
  Al fine di ricostruire la questione oggetto dell'interrogazione, di indubbia complessità e delicatezza, e che ha visto il succedersi di provvedimenti amministrativi e decisioni del giudice amministrativo, in una sequenza tuttora non conclusa, si riferisce anzitutto quanto comunicato dal Segretariato regionale Mibact del Lazio e dalla Soprintendenza belle arti e paesaggio per il Comune di Roma, competenti per territorio.
  La direzione regionale infrastrutture, ambiente e politiche abitative, Area valutazione impatto ambientale della Regione Lazio, con nota n. 98192 del 18 novembre 2013, convocò per la data del 10 dicembre 2013 una conferenza di servizi, ai sensi dell'articolo 25, comma 3, del decreto legislativo del 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale», per la valutazione di impatto ambientale (VIA) sul progetto Ottimizzazioni impiantistiche e gestionali finalizzate al miglioramento della sostenibilità ambientale dell'impianto di discarica per rifiuti pericolosi e non pericolosi e realizzazione impianto fotovoltaico da 988 KW in loc. Falcognana Via Ardeatina km 15,300, nel comune di Roma, proposto da Ecofer Ambiente S.R.L., invitando a parteciparvi, per questa Amministrazione, la ex Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, la ex Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma e la ex Soprintendenza per i beni archeologici del Lazio.
  In data 21 ottobre 2013, precedentemente quindi alla convocazione di cui sopra, in esito ad una segnalazione di esecuzione di lavori abusivi consistenti in movimenti di terra che si stavano eseguendo nell'area sopracitata, funzionari della ex Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il comune di Roma e della ex direzione regionale di questo Ministero, unitamente a funzionari della polizia Roma Capitale, avevano effettuato un sopralluogo constatando che erano stati effettuati movimenti di terra in un'area delimitata da una recinzione, adiacente all'invaso del lotto della discarica in corso di realizzazione.
  Successivamente a detto sopralluogo, con nota n. 20234 del 28 novembre 2013, la ex Soprintendenza chiese la sospensione di detti lavori ai sensi dell'articolo 150 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, «Codice dei beni culturali e del paesaggio».
  In tale nota, la soprintendenza evidenziava che «l'area su cui insiste la discarica è interessata dal fosso dei Preti, corso di acqua pubblica, diramazione del Rio Petroso, facente parte del bacino del fosso di Vallerano, uno dei più ampi e articolati sistemi idrografici della Campagna Romana, tutelato dalla legge 431/85 con relativa fascia di rispetto 150 metri; la Valle dei fossi di Falcognana, Rudicelli e Vallerano, individuata secondo le procedure stabilite dall'articolo 143, c. 1,1. d), è tutelata come area agricola identitaria della Campagna romana dal PTPR Lazio, adottato nel dicembre 2007 e disciplinata dall'articolo 42, comma 4, lettera b) delle relative norme; l'area della Falcognana dal 31 luglio 2009, data della pubblicazione del vincolo Agro Romano Sud, Ardeatina, Laurentina, ai sensi dell'articolo 139, comma 2, è sottoposta alla dichiarazione di interesse ex articolo 136 del decreto legislativo n. 42 del 2004. L'area è, inoltre, disciplinata dalle norme concernenti l'ambito del Paesaggio Agrario di Rilevante Valore, ex articolo 12 delle norme allegate alla dichiarazione di interesse DDR 25/1/2010; nella tavola A della cartografia del PTPR e nella cartografia del PRAE del Lazio l'area della discarica è indicata come cava dismessa».
  Si dava conto, poi, che, dalla documentazione trasmessa dalla polizia municipale, successivamente al sopralluogo, si era potuto desumere che «la fascia di rispetto del fosso tutelato è stata interessata da movimentazione di terra» e che «la determinazione dirigenziale n. B2211 del 20 aprile 2010 della regione Lazio, dipartimento istituzionale e territorio-Direzione regionale “Energia, Rifiuti, Porti e Aeroporti” Area rifiuti e la Determinazione dirigenziale n. A04909 del 13 giugno 2013 della regione Lazio, dipartimento istituzionale e territorio-Direzione regionale “Territorio, Urbanistica, Mobilità e Rifiuti” Area ciclo integrato dei rifiuti sono state rilasciate prive delle autorizzazioni paesaggistiche ex articolo 146, decreto legislativo n. 42 del 2004 e successive modificazioni e integrazioni».
  Tanto premesso, l'ex Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per il Comune di Roma motivava la richiesta di sospensione in considerazione del fatto che: «per il regime vincolistico vigente dal 2003, ai sensi della legge Galasso n. 431 del 1985, erano già tutelati i 150 metri della fascia di rispetto del fosso dei Preti; che dalla data di adozione del PTPR, essendo stata censita la località Falcognana tra le aree identitarie ex articolo 134, comma 1 lettera c) del decreto legislativo n. 42 del 2004, il sito della discarica è sottoposto alle disposizioni dell'articolo 146 del decreto legislativo n. 42 del 2004; le norme di salvaguardia del vincolo dell'agro romano sono entrate in vigore dal 31 luglio 2009: pertanto la Regione Lazio, in piena vigenza di vincolo, avrebbe dovuto trasmettere alla SBAP Roma qualsiasi atto autorizzativo, riguardante sia nuovi impianti sia ampliamenti dell'attività della discarica; per quanto attiene alle discariche (punto 4.8.1 delle norme) nel paesaggio agrario di rilevante valore, dove è sita la discarica al km 15,300 di via Ardeatina Loc. Falcognana, non sono consentite nuove realizzazioni e per quelle esistenti, autorizzate, la loro permanenza è subordinata ad opere di miglioramento della qualità paesaggistica del contesto; le opere abusivamente realizzate nell'area in oggetto risultano in contrasto con la tutela dei Beni paesaggistici poiché non conformi alla disciplina d'uso del paesaggio di rilevante valore e non compatibili con i valori paesaggistici tutelati dai DDR 25/1/2010 ex articolo 136 del decreto legislativo n. 42 del 2004, che riconosce il rilevante interesse pubblico di questo territorio, in particolare per la stratificazione e la densità di beni naturali e culturali che insistono sull'area della Falcognana».
  Riguardo al procedimento di Via in corso di svolgimento, l'ex Direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio (con nota prot. n. 23806 del 16 dicembre 2013), assunti i pareri endoprocedimentali delle soprintendenze competenti, espresse alla Regione Lazio «parere negativo alla realizzazione delle opere proposte, in quanto le aree interessate, risultano viziate dalle irregolarità rappresentate dalla preposta Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici» nella succitata nota n. 20234 del 28 novembre 2013.
  Contro la richiesta di sospensione dei lavori, la società Ecofer propose ricorso al Tribunale amministrativo regionale per il Lazio (TAR Lazio), chiedendone l'annullamento e, in via cautelare, la sospensiva dell'efficacia.
  Il Tribunale amministrativo ha accolto, dapprima, l'istanza cautelare di sospensiva (ordinanza n. 1240 del 14 marzo 2014) e, successivamente, decidendo nel merito, ha annullato il provvedimento di sospensione dei lavori disposto dalla Soprintendenza (sentenza n. 2342 del 9 febbraio 2015), accogliendo il ricorso della Ecofer Ambiente.
  Relativamente alla circostanza che i lavori avessero interessato la fascia di rispetto del fosso dei Preti, corso di acqua pubblica, il giudice amministrativo, richiamate le considerazioni espresse nelle precedenti sentenze TAR Lazio 11218/2005 e Consiglio di Stato 6029/2006 – sempre riguardanti l'attività svolta dalla Ecofer nella stessa discarica – circa la «compatibilità delle distanze intercorrenti tra la discarica e i centri abitati, e case sparse e le località circonvicine e il rispetto delle previsioni normative che disciplinano quel territorio», ha specificato che il Fosso dei Preti non è elencato tra i corsi d'acqua di interesse ambientale ricompresi nel Bacino di Fosso di Vallerano per come risulta dal Piano territoriale paesistico n. 15/3 «Vallerano, Castel di Leva, Tor Pagnotta, Cecchignola» approvato con deliberazione della Giunta della Regione Lazio del 20 dicembre 1994, n. 9849. Pertanto, il rilievo di illiceità dei lavori eseguiti dalla società non si presenta adeguatamente confortato.
  Riguardo alla sussistenza o meno di un titolo autorizzatorio valido alla realizzazione degli interventi nella discarica, il tribunale ha rilevato come le attività in corso al momento del sopralluogo dei funzionari della Soprintendenza fossero assistite dal complesso delle autorizzazioni preesistenti, costituito dal decreto n. 28 del 4 aprile 2003 dell'assessorato all'ambiente della Regione Lazio (cui accedeva il successivo contratto del 28 luglio 2003), dall'autorizzazione B2211 del 20 aprile 2010 e dall'autorizzazione A04909 del 13 giugno 2013.
  Il giudice ha ritenuto che «in assenza di interventi provvedimentali di esplicita rimozione degli atti autorizzatori regionali che, per come si è verificato ed illustrato, ammettono la realizzazione degli interventi posti in essere dalla Ecofer Ambienti e considerati “non assentiti” dalla Soprintendenza, l'intervento sospensivo della Soprintendenza finisce con il perdere giuridica efficacia (e comunque si manifesta per ciò solo illegittimo) dinanzi alla permanenza di atti che consentono la realizzazione dei denunciati interventi».
  Il Mibact ha impugnato la suddetta sentenza; il giudizio è pendente avanti il Consiglio di Stato, che si confida voglia riformare la sentenza del TAR, riconoscendo le buone ragioni di questa amministrazione.
  Successivamente alla sentenza del tribunale amministrativo del Lazio, la Direzione regionale Infrastrutture, ambiente e politiche abitative. Area Qualità dell'ambiente e valutazione impatto ambientale della regione Lazio, ha concluso il procedimento di Via, assumendo la richiamata determinazione G15359 del 9 dicembre 2015 di pronuncia di compatibilità ambientale: «negativa per la realizzazione dell'impianto fotovoltaico, sulla base del parere negativo espresso in sede di conferenza dei servizi ex articolo 25 comma 3 del decreto legislativo n. 152 del 2006 dalla Soprintendenza belle arti e paesaggio (ex beni architettonici e paesaggistici) del Mibact, intervenuta nel procedimento in qualità di soggetto competente in materia ambientale in quanto l'area interessata alla realizzazione del suddetto impianto è sottoposta vincolo paesaggistico; positiva, fermo restando gli esiti della sentenza del TAR Lazio succitata, per l'aumento dei Codici catalogo europeo dei rifiuti, ... per il sistema del trattamento in situ del percolato e per l'impianto di trattamento degli scarichi civili mediante evapotraspirazione, alle condizioni evidenziate nella allegata Istruttoria tecnico-amministrativa».
  Per quanto riguarda il profilo della tutela archeologica, la Soprintendenza speciale per il Colosseo, il Museo nazionale romano e l'area archeologica di Roma ha comunicato che, in relazione all'oggetto dell'interrogazione, non vi sono state evoluzioni. L'atto ispettivo, infatti, si riferisce all'autorizzazione di nuove tipologie di rifiuti, da parte del competente ufficio della regione Lazio, non interessando quindi una nuova perimetrazione della discarica in atto.
  La stessa soprintendenza ha precisato che la località Falcognana non ricade nell'ambito del Parco regionale di Decima Malafede, bensì nell'area del vincolo paesaggistico apposto con decreto del direttore della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio del 25 gennaio 2010.
  Riguardo alle altre questioni sollevate dall'interrogante, e in particolare, alle iniziative intraprese per risolvere la questione inerente alla gestione di rifiuti nella città di Roma, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, con nota n. 2258 del 15 febbraio 2016, ha comunicato di essere impegnato «nel seguire la procedura di infrazione causa-323-13 e le misure adottate in esecuzione della sentenza del 15 ottobre 2014 da parte della Regione Lazio attraverso costanti incontri tecnici anche al fine di monitorare l'evoluzione delle misure e azioni intraprese.
  Più in particolare – prosegue la nota del Ministero dell'ambiente, del territorio e del mare – le conclusioni della citata sentenza sono riferite alla mancata adozione, da parte della Regione Lazio, degli obblighi comunitari sul pretrattamento dei rifiuti prima del loro conferimento in discarica e alla mancata realizzazione di una rete integrata e adeguata di impianti di gestione dei rifiuti, tenendo conto delle migliori tecniche disponibili.
  Su tale ultimo aspetto, lo schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri di attuazione all'articolo 35, comma 1 del decreto-legge n. 133 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, recante «Individuazione della capacità complessiva di trattamento degli impianti di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati in esercizio o autorizzati a livello nazionale, nonché l'individuazione del fabbisogno residuo da coprire mediante la realizzazione di impianti di incenerimento con recupero di rifiuti urbani e assimilabili», indica, per la Regione Lazio, una nuova infrastruttura di incenerimento di rifiuti urbani e assimilati da realizzare con una capacità pari a circa 210.000 tonnellate anno.
  L'attuazione da parte della regione Lazio degli interventi disciplinati dallo schema del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, insieme al raggiungimento degli obiettivi nazionali di raccolta differenziata, concorrono senz'altro – secondo il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – a superare le criticità emerse dalla sentenza su richiamata e, soprattutto, a superare tale procedura di infrazione e diminuire drasticamente il ricorso alle forme di smaltimento in discarica, anche per la città di Roma».
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   FALCONE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da accreditati organi di stampa locali si apprende della chiusura degli uffici novaresi della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Novara, Alessandria, e Verbano Cusio Ossola, dovuta — sembrerebbe — alla riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo;
   in Piemonte — regione territorialmente più grande d'Italia, seconda come numero di comuni — una seconda sede della Soprintendenza, quale appunto quella di Novara, ha rappresentato una grande opportunità per il territorio, ha abbreviato le distanze, garantendo una buona amministrazione del patrimonio culturale;
   tale chiusura non risulta ancora confermata, ma si deduce dall'invito rivolto a tutti gli addetti ai lavori di inviare le pratiche presso la sede principale di Torino –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dell'eventuale chiusura della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Novara, Alessandria, e Verbano Cusio Ossola e — in tal caso — come intenda attivarsi al fine di garantire una buona amministrazione del patrimonio culturale in territori molto vasti, come appunto è quello del Piemonte. (4-10622)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame, l'interrogante, in relazione alla riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e alla prevista chiusura della Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici per le province di Novara, Alessandria e Verbano Cusio Ossola, chiede di conoscere come ci si intenda attivare per garantire una buona amministrazione del patrimonio culturale in territori molto vasti, come appunto è quello del Piemonte.
  Come è noto all'onorevole interrogante, anche questa amministrazione ha dovuto dotarsi di un nuovo regolamento di organizzazione che recepisse le riduzioni alle piante organiche imposte dalle politiche di revisione della spesa pubblica (spending review), contenute in numerosi provvedimenti normativi finalizzati, tra l'altro, al contenimento e alla riduzione dei costi delle pubbliche amministrazioni.
  Questo Ministero vi ha provveduto con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 agosto 2014, n. 171, Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici della diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della perfomance, a norma dell'articolo 16, comma 4 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, e con il decreto ministeriale 27 novembre 2014, Articolazione degli uffici dirigenziali di livello non generale del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo.
  Il processo di riorganizzazione si è svolto in ottemperanza alle disposizioni di cui al decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, Disposizioni urgenti per la revisione della spesa pubblica con invarianza dei servizi ai cittadini nonché misure di rafforzamento patrimoniale delle imprese del settore bancario, in particolare all'articolo 2, comma 1, lettera a), che prevede la riduzione degli uffici dirigenziali delle pubbliche amministrazioni, di livello generale e di livello non generale – e delle relative dotazioni organiche – in misura non inferiore, per entrambe le tipologie di uffici e per ciascuna dotazione, al 20 cento di quelle esistenti.
  Nel complesso, la riorganizzazione ha imposto il taglio di 37 dirigenti (6 di prima fascia e 31 di seconda fascia).
  Nonostante che l'indicazione normativa mirasse soprattutto alla riduzione della spesa, l'amministrazione ne ha colto l'occasione per ridisegnare la propria organizzazione in modo fortemente innovativo, in linea con le misure già adottate con il decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 (cosiddetto decreto Art bonus).
  L'adeguamento ai numeri della spending review è divenuto, così, l'opportunità per intervenire sull'organizzazione del Ministero e porre rimedio ad alcuni problemi che, per lungo tempo, hanno segnato l'amministrazione dei beni culturali e del turismo in Italia. Si tratta di disfunzioni e lacune riconosciute ed evidenziate molte volte e da più parti: l'assoluta mancanza di integrazione tra i due ambiti di intervento del Ministero, la cultura e il turismo; l'eccessiva moltiplicazione delle linee di comando e le numerose duplicazioni tra centro e periferia; il congestionamento dell'amministrazione centrale, ingessata anche dai tagli operati negli ultimi anni; la cronica carenza di autonomia dei musei italiani, che ne limita grandemente le potenzialità; la scarsa attenzione del ministero verso il contemporaneo e verso la promozione della creatività; il ritardo del ministero nelle politiche di innovazione e di formazione.
  Sono state perciò adottate le seguenti misure: le direzioni regionali sono state trasformate in segretariati regionali del Mibact, con il compito di coordinare tutti gli uffici periferici del Ministero operanti in ciascuna regione, riconoscendo il ruolo amministrativo di tali uffici, tutti dirigenziali di II fascia, senza però sovrapporsi alle competenze tecnico-scientifiche delle soprintendenze; nel rispetto della distribuzione territoriale, sono state quindi accorpate le soprintendenze per i beni storico-artistici con quelle per i beni architettonici; la linea di comando tra amministrazione centrale e soprintendenze è stata ridefinita e semplificata e le soprintendenze sono divenute articolazioni periferiche delle relative direzioni generali; la collegialità delle decisioni sul territorio è stata rafforzata nel comitato di coordinamento regionale, presieduto dal segretario regionale e composto dai soprintendenti, che è divenuto il luogo in cui sono assunte le decisioni un tempo adottate dalla direzione regionale, come la dichiarazione e la verifica di interesse culturale.
  Con specifico riferimento alla regione Piemonte, in applicazione dei criteri sopra illustrati, i provvedimenti di riorganizzazione adottati nel 2014 hanno previsto la Soprintendenza belle arti e paesaggio per il comune e la provincia di Torino, la Soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Alessandria, Asti, Biella, Cuneo, Novara, Yerbano-Cusio-Ossola e Vercelli e la Soprintendenza archeologia del Piemonte. Per tutti e tre gli istituti la sede legale è stata fissata nella città di Torino.
  L'interrogante giustamente ricorda come sia necessario garantire una buona amministrazione del patrimonio culturale nei territori.
  Anche a questo scopo, recentemente, è stato avviato un progetto di completamento della riorganizzazione del ministero, già illustrato nel corso della riunione congiunta delle commissioni Cultura di Camera e Senato del 19 gennaio 2016, e presentato, anche, alle parti sociali e al Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici.
  Il progetto attua la disposizione contenuta al comma 327 della legge 28 dicembre 2015, n. 208, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016), per la quale, nelle more dell'attuazione dei decreti legislativi attuativi dell'articolo 8 della legge 7 agosto 2015, n. 124, Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche, al fine di dare efficace attuazione alle disposizioni di cui all'articolo 17-bis, comma 3, della legge 7 agosto 1990, n. 241 (che ha introdotto il silenzio-assenso qualora non siano acquisiti, entro il termine di novanta giorni, assensi, concerti o nulla osta comunque denominati di amministrazioni preposte alla tutela paesaggistico territoriale e dei beni culturali), nonché di garantire il buon andamento dell'amministrazione di tutela del patrimonio culturale, il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo provvede alla riorganizzazione, anche mediante soppressione, fusione o accorpamento, degli uffici dirigenziali, anche di livello generale del Ministero, nel rispetto delle dotazioni organiche determinate dal sopra citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, senza nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica, entro il termine di trenta giorni dall'entrata in vigore della legge di stabilità 2016.
  Il ministero viene ridisegnato a livello territoriale per rafforzare i presidi di tutela e semplificare il rapporto tra cittadini e amministrazione. Il nuovo assetto organizzativo prevede la creazione delle «Soprintendenze Archeologia, Belle Arti e Paesaggio». Con questo intervento aumentano i presidi di tutela sul territorio nazionale, che, proprio per l'archeologia, passano dalle attuali 17 Soprintendenze archeologiche alle nuove 39 soprintendenze unificate (a cui si sommano le due soprintendenze speciali del Colosseo e di Pompei). Le nuove soprintendenze parleranno con voce unica a cittadini e imprese riducendo tempi e costi burocratici.
  La riorganizzazione prosegue, anche, nella strada di valorizzazione del patrimonio culturale. Vengono per questo istituiti dieci nuovi musei e parchi archeologici autonomi, retti da altrettanti direttori che saranno selezionati con un nuovo bando internazionale.
  La nuova articolazione territoriale, che realizza una distribuzione dei presidi più equilibrata ed efficiente, è stata definita tenendo conto del numero di abitanti, della consistenza del patrimonio culturale e della dimensione dei territori.
  Ogni nuova soprintendenza verrà articolata in sette aree funzionali (organizzazione e funzionamento; patrimonio archeologico; patrimonio storico e artistico; patrimonio architettonico; patrimonio demoetnoantropologico; paesaggio; educazione e ricerca) che garantiscono una visione complessiva dell'esercizio della tutela, assicurando anche la presenza delle specifiche professionalità. Per cittadini e imprese sarà così più semplice e rapido rapportarsi con l'amministrazione, con una notevole riduzione degli oneri burocratici. Ciascuna soprintendenza costituirà un riferimento univoco per la valutazione di qualunque aspetto di ogni singolo progetto, dalla tutela di beni archeologici per arrivare all'impatto paesaggistico, passando per gli aspetti di carattere artistico e architettonico: a un'unica domanda corrisponderanno un unico parere e un'unica risposta. Al centro ci sarà una sola Direzione generale archeologia, belle arti e paesaggio, che garantirà il coordinamento delle soprintendenze su tutto il territorio nazionale.
  In Piemonte saranno istituite: la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per la città metropolitana di Torino, con sede a Torino, la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Alessandria, Asti e Cuneo, con sede ad Alessandria e la Soprintendenza archeologia, belle arti e paesaggio per le province di Biella, Novara, Verbano-Cusio-Ossola e Vercelli, con sede a Novara.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   FRACCARO, GAGNARLI, BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, LUPO, PARENTELA, L'ABBATE, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, SEGONI, TERZONI, VIGNAROLI e ZOLEZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 agosto 2014, nei boschi di Pinzolo nella provincia autonoma di Trento (PAT) l'orsa Daniza, munita di radio collare, allontana un cercatore di funghi per difendere i propri cuccioli. L'uomo è graffiato alla schiena e al ginocchio e morso ad uno scarpone. Il presidente della PAT Ugo Rossi informa il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare comunicando l'intenzione di emettere un'ordinanza di cattura per l'orsa;
   in data 16 agosto 2014 una nota stampa della PAT informa che Daniza, l'orsa responsabile dell'aggressione, sarà catturata. La nota si riferisce ad un'ordinanza urgente firmata dal vicepresidente della provincia autonoma di Trento, Alessandro Olivi, con la quale si prende atto del profilo di pericolosità che si è determinato, sulla base degli accertamenti compiuti dagli organi provinciali competenti, e che impone un intervento urgente per garantire il massimo livello di tutela della pubblica incolumità. Della suddetta ordinanza non vi è traccia sul sito istituzionale della provincia autonoma di Trento e su bollettino ufficiale della regione Trentino-Alto Adige/Südtirol;
   in data 19 agosto 2014, dopo aver esaminato l'ordinanza inviata dalla provincia autonoma di Trento con PEC del 16 agosto e la documentazione ad essa allegata all'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, quest'ultimo emette la nota P.G. N.0033805 indirizzata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e pubblicata sul sito web ufficiale, nella quale si ritiene che la cattura per la captivazione permanente dell'esemplare rientri tra le azioni previste dal PACOBACE (Piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali) in risposta al comportamento registrato. Nella stessa si ritiene inoltre di evitare la captivazione dei due cuccioli, ma, nel caso di rimozione della madre, di prevedere un attento monitoraggio dei due individui anche con tecniche radiotelemetriche, al fine di assicurare la tempestiva registrazione di eventuali comportamenti anomali, o condizioni di denutrizione;
   in data 20 agosto 2014 sul sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare viene pubblicata una nota in cui si riportano gli estremi di una lettera inviata alla provincia autonoma di Trento. Nella nota, recependo le valutazioni e le considerazioni dell'ISPRA, si raccomanda di evitare la captivazione dei due cuccioli e, nel caso della rimozione della madre, di prevedere un attento monitoraggio dei due individui anche con tecniche radiotelemetriche. Alla missiva, che prevede anche la possibilità di rimozione dell'orsa, il presidente della provincia autonoma di Trento Rossi replica con una nota stampa ufficiale nella quale si sottolinea che il progetto di reintroduzione dell'orso bruno non è in discussione, ma, come si afferma da tempo, serve fissare un numero massimo nelle presenze del plantigrado al fine di renderle compatibili con il territorio, ormai fortemente antropizzato, oltre che con la vita, le attività e la tranquillità di residenti e turisti;
   in data 8 settembre Claudio Groff, referente per la gestione dei grandi carnivori del servizio fauna e foreste della provincia di Trento, dichiara alla stampa nazionale che i «proiettili narcotizzanti, possono essere pericolosi (...) mentre la trappola tubo è senza dubbio lo strumento più difficile e lento»;
   in data 11 settembre, una nota stampa della provincia autonoma di Trento informa che in ottemperanza all'ordinanza che prevedeva la cattura dell'orsa Daniza, dopo quasi un mese di monitoraggio intensivo, la notte fra il 10 e l'11 settembre 2014 si sono create le condizioni per intervenire, in sicurezza, con la telenarcosi. L'intervento della squadra di cattura addormenta l'orsa, ma la stessa non sopravvive al trauma. Dell'accaduto viene informata anche l'autorità giudiziaria;
   stando alle ricostruzione dei fatti, il provvedimento di cattura si basava sul concetto di «orso dannoso», nonché sulla possibilità di catturare l'orso ai fini della «captivazione permanente» e, se necessario, di abbatterlo. Ciò è permesso a seguito della modifica al piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali (PACOBACE) approvata dalla provincia autonoma di Trento con la delibera n. 1241 del 18 luglio 2014;
   nell'interrogazione n. 5/03303 del 23 luglio 2014, ancora senza risposta, si sottolineavano tutte le criticità di tale singolare provvedimento nonché il rischio di provocare danni irreparabili alla popolazione degli orsi bruni nel nostro Paese;
   l'uccisione dell'orsa, arrivata in Trentino nel 2000 nell'ambito di un progetto di ripopolazione dell'area, rappresenta, ad avviso degli interroganti, una potenziale violazione delle normative comunitarie e nazionali e per questo, secondo gli interroganti, il provvedimento della provincia di Trento deve necessariamente essere esaminato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, affinché possa valutarne la compatibilità con la normativa in vigore e con la tutela della specie orso bruno –:
   se, ai sensi del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, il Governo ritenga di mettere a disposizione della cittadinanza rendendoli pubblici: l'ordinanza e la documentazione ad essa allegata inviata con PEC del 16 agosto dalla provincia autonoma di Trento all'ISPRA, le ulteriori informazioni fornite dai servizi tecnici della provincia autonoma di Trento al medesimo istituto, la lettera inviata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla provincia autonoma di Trento in data 20 agosto e il contenuto della comunicazione della provincia autonoma di Trento al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 11 settembre;
   se intenda acquisire ogni elemento utile, per gli aspetti di propria competenza, in relazione alla uccisione del plantigrade ed avviare delle azioni immediate volte alla tutela dei cuccioli dell'orsa Daniza, rimasti orfani e che rischiano di morire prematuramente;
   se il Governo intenda organizzare un tavolo di confronto con i vertici della provincia autonoma di Trento invitando i rappresentanti dei comuni, dei territori interessati, delle associazioni ambientaliste, delle associazioni di categoria e dei soggetti interessati che ne faranno richiesta per discutere dell'accaduto e, in prospettiva futura, per garantire una corretta gestione del progetto di ripopolamento dell'orso bruno (Ursus arctos) e per impedire ulteriori irreparabili danni alla popolazione degli orsi in Italia, con particolare riferimento all'unilaterale modifica dell'accordo «PACOBACE» da parte della provincia di Trento. (4-06012)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa a problematiche legate all’«uccisione» dell'orsa Daniza, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Prima di esaminare i singoli quesiti, si ritiene opportuno sottolineare che la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha seguito sin dall'inizio la vicenda Daniza con estrema attenzione e costanza, tramite la acquisizione costante di informazioni, fornite dalla Provincia autonoma di Trento e vagliate con il supporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e del Corpo forestale dello Stato (CFS), nonché con incontri con gli enti preposti ed esperti internazionali di settore, nei limiti delle competenze che l'ordinamento ed il PACOBACE (piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle alpi centro-orientali) attribuiscono ai vari soggetti pubblici interessati.
  L'ordinanza contingibile ed urgente concernente l'orsa Daniza è stata emessa dalla provincia autonoma di Trento il 16 agosto 2014. Il successivo 19 agosto l'ISPRA, su richiesta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di pari data, ha emesso un parere concernente il comportamento dell'orso, le possibili misure di intervento ed il possibile destino dei due cuccioli. L'ISPRA ha definito il comportamento di Daniza non anomalo, in quanto realizzato a difesa dei cuccioli. Ha tuttavia concluso che la cattura per captivazione permanente dell'esemplare dovesse ritenersi tra le azioni previste dal PACOBACE in risposta al comportamento registrato, a maggior ragione per il fatto che Daniza era già in precedenza entrata in contatto con esseri umani rendendosi protagonista di cosiddetti «falsi attacchi» sempre in difesa dei propri piccoli, seppur senza conseguenze gravi. L'ISPRA ha inoltre precisato che l'eventuale rimozione di Daniza, considerata la consistenza della popolazione di orso nelle Alpi Centrali, non avrebbe reso indispensabile un rilascio sostitutivo. In merito ai cuccioli, l'ISPRA ha invece sottolineato che ne andava evitata la cattura. In caso di captivazione permanente della madre, tuttavia, occorreva un attento monitoraggio degli stessi anche con tecniche radiotelemetriche, al fine di assicurare la tempestiva registrazione di eventuali comportamenti anomali o di condizioni di denutrizione.
  La competente direzione generale del ministero ha prontamente chiesto alla provincia autonoma di Trento, con nota del 20 agosto 2014, una dettagliata relazione e trasmesso le indicazioni dell'ISPRA sui cuccioli. Nella lettera, sono stati sottolineati i risultati del progetto di ripopolamento e conservazione dell'orso, ed è stato richiesto di effettuare una specifica considerazione sul destino dei cuccioli, al fine di salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza.
  In ogni contatto avuto con la provincia di Trento, il ministero ha sempre rappresentato la necessità di prestare particolare attenzione alla condizione dei cuccioli in caso di cattura della madre, facendo proprie le indicazioni dell'ISPRA e comunicando all'ente provinciale le note di valutazione del CFS.
  La provincia di Trento ha inviato la relazione il 1o settembre 2014, confermando la permanenza dei presupposti e delle condizioni per l'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente. L'Ente provinciale ha concluso le operazioni di cattura con l'esito che conosciamo in data 10 settembre 2014.
  Vista la conclusione delle operazioni, l'11 settembre 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha chiesto alla «Provincia di Trento una dettagliata relazione sull'operato della squadra che ha effettuato l'intervento di telenarcosi, anche al fine di valutare il protocollo adottato dagli operatori. Tale relazione è stata acquisita il 16 settembre 2014 e posta al vaglio tecnico di ISPRA, che non ha sollevato rilievi di sorta. Con nota del 15 settembre 2014, il CFS ha informato il Ministero circa le attività svolte dal Servizio CITES (Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione) nell'immediatezza del decesso dell'orsa Daniza, comunicando contestualmente la propria intenzione di non collaborare alla cattura con telenarcosi di altri esemplari di orso in attesa di approfondimenti sulla sicurezza dei protocolli di anestesia. Nell'ambito del procedimento penale aperto a seguito dell'uccisione dell'orsa Daniza, la procura della Repubblica di Trento ha disposto due autopsie, la prima presso l'Istituto zooprofilattico sperimentale (IZS) delle Venezie a Legnaro (PD), la seconda presso l'IZS di Grosseto, in quanto centro di referenza nazionale per la medicina forense veterinaria. La vicenda giudiziaria si è conclusa con provvedimento di archiviazione del Procuratore della Repubblica n. 312/2015 R.G. Mod. 45 DD. dell'8 maggio 2015. Il Giudice ha accolto la richiesta di oblazione da parte del veterinario, che ha pagato un'ammenda di 2.000 euro, con la quale si estingue il reato.
  L'esito della telenarcosi, inoltre, ha indotto il ministero a sospendere temporaneamente l'autorizzazione alla cattura di orsi in Veneto e in altre regioni in attesa di verifiche ulteriori sui protocolli di cattura.
  Con riferimento ai due cuccioli di Daniza, sin dal 16 agosto 2014, giorno dell'ordinanza contingibile e urgente della Provincia di Trento, è stata posta grande attenzione al destino dei piccoli e sono stati tenuti nel debito conto i pareri dell'ISPRA e del CFS. La scelta di lasciarli in libertà, attentamente monitorati, è stata frutto di attenta valutazione della letteratura scientifica esistente ed ha trovato ampio supporto nei numerosi esperti scientifici internazionali sentiti da ISPRA e che da anni seguono con interesse l'intero processo di ritorno degli orsi sulle Alpi, evento quest'ultimo riconosciuto come un enorme successi di conservazione da parte delle Autorità italiane. Dal mese di settembre 2014, i cuccioli di Daniza, completamente autonomi, sono stati oggetto di monitoraggio sul campo da parte della Provincia di Trento, dapprima e fino alla fine di ottobre 2014, con tecniche radiotelemetriche, successivamente, con metodi indiretti. Sono state inoltre intraprese diverse altre iniziative tese a salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza (tra cui, confronti e tavoli tecnici con i massimi esperti europei del settore, redazione di linee guida per la gestione dei cuccioli di orso privi della madre, diffusione di depliant informativi, predisposizione di apposita segnaletica stradale luminosa per ridurre i rischi di investimento). Premesso che gli animali non hanno radiocollari e quindi non è possibile avere informazioni continue, si evidenzia che la Provincia autonoma di Trento conduce un costante monitoraggio del territorio e una raccolta di campioni per esami genetici. Le ultime notizie certe risalgono alla primavera del 2015 (http://www.orso. provincia.tn.it/novita/pagina254.html) ed erano senz'altro positive. Il fatto che non ci siano state altre segnalazioni costituisce di per sé un elemento positivo. Il quadro complessivo, dunque, pare confermare un buono stato di salute dei cuccioli e soprattutto un comportamento schivo senza contatti con l'uomo, per quanto sia difficile averne certezza. In genere si ha un riscontro relativamente rapido nel caso di decesso. Nel corso dell'inverno gli orsi non sono attivi per cui occorrerà attendere la primavera del 2016 per verificare le loro condizioni.
  Pare inoltre opportuno soffermarsi sulla ripartizione delle competenze tra le varie amministrazioni coinvolte nella vicenda al fine di fornire indicazioni utili alla definizione del corretto quadro giuridico entro i cui limiti il ministero ha operato.
  L'ordinanza contingibile ed urgente è uno strumento che il Presidente della Provincia può legittimamente adottare, ai sensi dell'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972, in ragione dell'esistenza di un pericolo concreto per l'incolumità pubblica, al di fuori e indipendentemente delle procedure «ordinarie» di cui all'articolo del decreto del Presidente della n. 357 del 1997, come affermato anche dal Consiglio di Stato (cfr., ad es. C.d.S., Sez. VI, Sent. 03362/2012).   Lo stesso PACOBACE, del resto, al paragrafo 3.4.2, riconosce all'amministrazione territorialmente competente il ruolo di soggetto decisore nelle azioni energiche non programmabili in caso di orsi problematici e situazioni critiche.
  Tanto premesso, in merito ai quesiti relativi all'accertamento delle vicende che hanno condotto al decesso dell'orsa Daniza, alle misure concernenti la salvezza dei due cuccioli, alla salvaguardia della popolazione di orsi in Trentino, come già menzionato, si evidenzia che la competente Direzione Generale del Ministero ha chiesto alla Provincia autonoma di Trento, l'11 settembre 2014, immediatamente a ridosso della morte dell'animale, una dettagliata relazione sull'operato della squadra che ha effettuato le operazioni di telenarcosi. La relazione è stata acquisita il 16 settembre 2014 e non ha dato luogo a rilievi tecnici da parte dell'ISPRA rispetto al protocollo adottato dagli operatori. L'esito della telenarcosi ha peraltro indotto il Ministero a sospendere temporaneamente l'autorizzazione alla cattura di altri orsi in Veneto e in altre Regioni.
  Con riferimento al ruolo ricoperto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nelle decisioni prese dalla provincia di Trento, oltre a quanto già evidenziato, si segnala innanzitutto che il dicastero, nel corso dei contatti con l'ente ha esplicitato il problema del destino dei due cuccioli ed indicata come preferibile l'opzione di lasciarli liberi, sebbene monitorati attentamente, per valutare il loro comportamento e le probabilità di sopravvivenza, anche tenuto conto delle valutazioni dell'ISPRA e delle valutazioni del CFS.
  Tuttavia, occorre richiamare i limiti posti dal nostro ordinamento alle competenze delle amministrazioni interessate.
  Come affermato in precedenza, infatti, TAR e Consiglio di Stato hanno avuto modo di affermare che la sussistenza di una situazione di pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica vale a giustificare l'adozione di uno specifico provvedimento extra ordinem contingibile ed urgente da parte della Provincia. In situazioni di questo tipo, dunque, non è prevista alcuna autorizzazione ministeriale, né alcun parere dell'ISPRA.
  L'ordinanza contingibile ed urgente con la quale è stata adottata la scelta di catturare l'orsa, inoltre, si colloca tra le previsioni del PACOBACE (piano d'azione sottoscritto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Province di Trento e di Bolzano, regioni Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Veneto, ISPRA) concernenti le azioni energiche non programmabili in caso di orsi problematici e situazioni critiche (paragrafo 3.4.2., misure i e j); infatti, «le decisioni per l'attuazione dei provvedimenti previsti per gli orsi problematici e nelle situazioni critiche, sono assunte dall'amministrazione competente per territorio e materia attraverso la propria struttura preposta alla gestione delle specie selvatiche, che viene così a rivestire il ruolo di soggetto decisore».
  Con riferimento al PACOBACE ed alla popolazione di orsi del Trentino, Veneto, Lombardia e Friuli, va sottolineato che il progetto di reintroduzione dell'orso, estremamente ambizioso, si è dimostrato un successo che ha avuto i massimi riconoscimenti in tutto il contesto internazionale, registrando un incremento della popolazione di orso ben superiore alle previsioni.
  Prima della vicenda Daniza, nessuna modifica unilaterale del PACOBACE è mai stata adottata e nemmeno richiesta. Nel corso degli ultimi anni si è verificato un notevole incremento demografico della popolazione dell'orso nelle Alpi centro-orientali, con conseguente aumento delle situazioni problematiche, sia in termini di danni diretti causati dai plantigradi, sia di pericolosità, legata all'aumento della frequenza di incontri ravvicinati tra uomo e orso. Ciò ha reso necessaria, anche ai fini di una migliore accettazione sociale della specie, una gestione più rapida ed efficace di quei singoli individui cosiddetti «problematici», responsabili di una rilevante quota dei danni economici e delle situazioni di pericolo più significative.
  Le amministrazioni responsabili dell'attuazione del PACOBACE, su iniziativa della Provincia di Trento, hanno quindi concordato con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e ISPRA una modifica del capitolo 3 del Piano d'azione, che definisce l’«orso problematico» in maniera più precisa, prevedendo inoltre, nell'ambito della definizione del grado di problematicità dei possibili comportamenti di un orso e relative azioni possibili (Tabella 3.1), l'inclusione della categoria «orso che provoca danni ripetuti a patrimoni per i quali l'attivazione di misure di prevenzione e/o di dissuasione risulta inattuabile o inefficace» tra quelle per le quali può essere consentita l'attivazione di azioni energiche comprese la cattura per captivazione permanente e l'abbattimento. Ferme restando tutte le azioni di dissuasione che dovranno essere poste in essere secondo la normativa vigente, è mantenuta invariata l'obbligatorietà della richiesta di autorizzazione al ministero per ogni intervento di rimozione. Tale modifica, formalmente approvata dalle Amministrazioni coinvolte, è stata resa esecutiva con Decreto direttoriale Prot. 0015137 PNM del 30 luglio 2015.
  Con riferimento alle modalità di prosecuzione del programma nazionale di conservazione dell'orso bruno evitando nel contempo situazioni analoghe a quello dell'orsa Daniza, si fa presente che nelle province autonome e nelle regioni alpine interessate dalla presenza dell'orso, anche allo scopo di evitare che in futuro accadano di nuovo episodi analoghi a quello di Daniza, sono operative e sono state recentemente rafforzate apposite squadre di emergenza, che hanno il compito di intervenire, seguendo le indicazioni fornite nel PACOBACE, in tutti i casi in cui il comportamento dell'orso possa essere ritenuto pericoloso o dannoso.
  Circa l'opportuna pubblicità delle vicende relative all'orsa Daniza e del progetto di ripopolamento dell'orso bruno, si fa notare resistenza di significative iniziative di trasparenza e diffusione di informazioni effettuate sul tema a livello centrale e territoriale. Tra le iniziative svolte dai soggetti preposti sul territorio nazionale, la Provincia autonoma di Trento, in particolare, nell'ambito di una specifica campagna di informazione tiene costantemente aggiornato un apposito sito internet in cui vengono pubblicate tutte le informazioni più importanti sulla presenza e sulla gestione dell'orso nella Provincia (http://www.orso. provincia.tn.it/). Inoltre, nel Rapporto orso 2014 è stata pubblicata una dettagliata descrizione di quanto accaduto all'orsa Daniza (http://www.orso.provincia.tn.it/rapporto_orso_trentino/), mentre in tutti i Rapporti orso (strumenti anche essi indirizzati al grande pubblico, compreso quello del 2015, di imminente pubblicazione), si evidenziano le altre iniziative di comunicazione mirate ad una corretta ed equilibrata gestione della specie nel territorio interessato (tra i quali l'organizzazione di incontri di informazione e confronto con la popolazione, con i referenti amministrativi e i rappresentanti di categoria, l'organizzazione di interventi nelle scuole, la realizzazione e la diffusione di comunicati stampa e di materiale divulgativo, la realizzazione di articoli scientifico-divulgativi e di interviste).
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GALATI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella data del 19 novembre 2013 un violento nubifragio ha interessato vaste zone territoriali della regione Calabria, manifestandosi con particolare intensità nelle province di Catanzaro (in particolare nella zona del basso Jonio), Vibo Valentia e Crotone;
    tra le varie conseguenze naturali provocate dal nubifragio e dall'eccezionale intensità delle precipitazioni registrate in Calabria, si segnalano in articolare l'esondazione i fiumi e torrenti, tra i quali l'Uria in provincia di Catanzaro, il Neto in provincia di Crotone ed il torrente Ancinale, in provincia di Vibo Valentia, che hanno a loro volta determinato situazioni di isolamento a causa dell'interruzione di strade e vie di comunicazione — invase da detriti e fango o interessate da frane — e reso necessaria, in alcuni casi, l'evacuazione di centinaia di cittadini residenti in zone considerate ad alto rischio;
   secondo i primi rilievi e quantificazioni e sulla base degli esiti delle verifiche e ricognizioni immediatamente effettuate dalle autorità della protezione civile competenti (peraltro ancora in corso di accertamento) sul territorio si registrerebbero danni ambientali, strutturali ed infrastrutturali per un ammontare complessivamente stimato in decine di milioni di euro;
   la condizione attuale dei territori interessati, risultante dalla manifestazione dello straordinario fenomeno meteorologico registrato (evento che allo stato attuale peraltro non può dirsi ancora definitivamente rientrato), presenta i caratteri del disastro ed è potenzialmente idonea a configurarsi quale ulteriore elemento di resistenza ed impedimento rispetto ai processi dello sviluppo economico locale in atto, già di difficile attuazione in un territorio caratterizzato da elevati livelli di complessità a causa dei molteplici e peculiari fattori di criticità, i quali contrastano costantemente gli ingenti sforzi intesi al rilancio di questa regione;
   l'amministrazione territoriale competente, preso atto degli ingenti danni ambientali e sul piano delle infrastrutture, oltre che dell'industria, commercio, artigianato ed agricoltura, ha annunciato l'avvio della procedura per la richiesta di riconoscimento dello stato di calamità, ai sensi della legislazione vigente –:
   se il Governo abbia preso atto delle emergenze determinatesi in Calabria segnalate dall'interrogante ed, in caso affermativo, quali siano le iniziative di competenza che ha intrapreso o intenda intraprendere per ripristinare la situazione su livelli di normalità;
   quali siano le strategie in atto o le iniziative che il Governo intenda intraprendere per fronteggiare il generale problema del diffuso ed elevato rischio meteo-idrogeologico ed idraulico che interessa non soltanto la regione Calabria ma l'intero Paese. (4-02634)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alle criticità conseguenti all'esondazione di fiumi e torrenti tra i quali l'Uria in provincia di Catanzaro, il Neto in provincia di Crotone e l'Ancinale in provincia di Vibo Valentia, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il piano è stato definito dalle proposte presentate dalle regioni nel corso degli anni 2014 e 2015 attraverso l'utilizzo del sistema
web ReNDiS (repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente in collaborazione con ISPRA (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  L'insieme degli interventi localizzati sull'intero territorio nazionale raggiungono un importo pari a circa 20,3 miliardi di euro che rappresenta, pertanto, il fabbisogno complessivo del periodo 2014-2020.
  Si evidenzia che, rispetto a tale importo, quello relativo alle richieste validate dalle regioni nel sistema ReNDiS, ammonta, ad oggi, a circa 17,5 miliardi di euro.
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un Piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione, con un costo di circa 1,4 miliardi di euro.
  Gli interventi sono stati validati dalle Regioni secondo le procedure previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, proposto dal Ministero dell'ambiente, relativo all'individuazione dei criteri e delle modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico.
  Al fine di garantire il rapido avvio degli interventi più urgenti e tempestivamente cantierabili ricompresi nel Piano stralcio, la delibera CIPE n. 32 del 2015 ha assegnato al Ministero dell'ambiente l'importo di 450 milioni di euro a valere sulle risorse del Fondo per lo sviluppo e la coesione afferenti alla programmazione 2014-2020. Per la medesima finalità sono state individuate risorse disponibili a legislazione vigente pari a 150 milioni di euro, di cui 40 milioni costituite da risorse del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a valere sulle disponibilità recate dall'articolo 1, comma 111, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) e la restante quota di 110 milioni a carico delle risorse del fondo di sviluppo e coesione per il periodo 2007-2013 di cui all'articolo 7, comma 8, del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 (cosiddetto Sblocca Italia).
  A questi si devono aggiungere, per il biennio 2015-2016, ulteriori 54 milioni di euro circa che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha disposto di destinare al fine di incrementare la copertura del piano stralcio citato, in considerazione della rilevanza e dell'urgenza degli interventi in esso previsti.
  Il piano stralcio è composto da una sezione attuativa, nella quale sono riportati gli interventi immediatamente finanziabili per un importo di oltre 650 milioni di euro, e da una sezione programmatica che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno a tal fine disponibili.
  Nella sezione programmatica sono stati inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio di alluvione.
  In relazione al piano nazionale 2014-2020, si segnala che le richieste avanzate e validate dalla regione Calabria fino al 24 febbraio 2016, termine per l'inserimento delle proposte nel sistema ReNDiS, ammontano a 134.145.407,16 euro per la provincia di Catanzaro per un totale di 88 interventi, a 87.479.870,64 euro per la provincia di Crotone per un totale di 59 interventi e a 54.818.153,78 euro per la provincia di Vibo Valentia per un totale di 50 interventi. Non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, saranno individuati gli interventi che potranno essere ammessi a finanziamento secondo le modalità e in base ai criteri previsti dal citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 28 maggio 2015, tenendo conto in particolare delle priorità che saranno espresse dalla stessa regione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GULLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la tutela della salute costituisce principio fondamentale costituzionalmente garantito;
   l'Italia, con il decreto legislativo marzo 2014, n. 45, ha dato attuazione alla direttiva 2011/70/EURATOM che istituisce un quadro comunitario per la gestione responsabile e sicura del combustibile nucleare esaurito e dei rifiuti radioattivi;
   il decreto legislativo n. 45 del 2014, istituisce l'ispettorato per la sicurezza nucleare e la radioprotezione e fissa nuove regole per lo smaltimento in sicurezza dei rifiuti nucleari, modificando numerose normative di riferimento;
   lo stesso decreto legislativo prevede l'emanazione di specifici decreti interministeriali:
    1) entro 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo n. 45 del 2014 di un decreto interministeriale (Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare-Ministro dello sviluppo economico) per stabilire la classificazione dei rifiuti radioattivi, anche in relazione agli standard internazionali, tenendo conto delle loro proprietà e delle specifiche tipologie;
    2) entro il 31 dicembre 2014, un decreto del Presidente del Consiglio dei ministri (su proposta del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e del Ministro dello sviluppo economico, sentiti il Ministro della salute, la Conferenza unificata e l'autorità di regolamentazione competente) definirà il programma nazionale per la gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi comprendente tutti i tipi di combustibile esaurito e di rifiuti radioattivi soggetti alla giurisdizione nazionale e tutte le fasi della gestione del combustibile esaurito e dei rifiuti radioattivi, dalla generazione allo smaltimento. I contenuti del programma nazionale sono stabiliti nell'articolo 8 del decreto legislativo n. 45 del 2014;
   dovrà essere, pertanto, prevista la creazione di un deposito unico nazionale;
   da notizie di stampa trapela che per realizzare l'impianto di stoccaggio dei previsti 90 mila metri cubi di scorie nucleari dovrebbe essere individuata un'area del centro sud Italia, in particolare in Sicilia, Basilicata, Lazio, Sardegna o Puglia;
   l'area di ubicazione del mega impianto dovrebbe ottenere misure compensative pari a investimenti europei per 2,5 milioni di euro nonché 1.000 posti di lavoro;
   il pericolo potenziale determinato da tali scorie non è barattabile con alcuna misura compensativa;
   il territorio siciliano è stato martoriato ripetutamente da stabilimenti industriali e produttivi fortemente dannosi per l'ambiente e la salute dei cittadini;
   la Sicilia per la sua collocazione costituisce un unicum dal punto di vista storico, artistico, culturale, paesaggistico e ambientale e, pertanto, andrebbe valorizzata nell'ottica della promozione turistica e agroalimentare del territorio, invece che divenire nell'immaginario collettivo la discarica nucleare d'Italia;
   comunque le misure compensative disposte non potrebbero in alcun modo compensare un eventuale danno ambientale;
   l'isola è area a fortissimo rischio sismico, vulcanico e/o idrogeologico;
   sulla base di quanto esposto è evidente come l'eventuale inopinata ubicazione di impianti simili in Sicilia è decisamente sconsigliata e scorretta;
   indipendentemente dall'ubicazione nell'isola bisogna adottare misure straordinarie volte al controllo delle salute, della sicurezza e della tutela dell'ambiente, nonché al fine di evitare ogni ingerenza della criminalità –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere per:
    a) individuare aree più idonee della Sicilia all'ubicazione di impianti di stoccaggio di scorie nucleari, eliminando, comunque, i rischi per la salute di cittadini;
    b) tutelare, in ogni caso, adeguatamente la salute dei cittadini delle aree in cui si ubicheranno simili impianti;
    c) prevenire, comunque, infiltrazioni criminali e/o mafiose nella realizzazione di tali impianti e delle opere connesse. (4-04705)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base degli elementi acquisiti, si rappresenta quanto segue.
  In base alla direttiva 2011/70/Euratom, l'Italia deve provvedere allo «smaltimento» che è inteso come «collocazione di rifiuti radioattivi o di combustibile esaurito, secondo modalità idonee, in un impianto autorizzato senza intenzione di recuperarli successivamente». Per giungere allo smaltimento dei rifiuti radioattivi è attualmente in corso la procedura, comprendente anche la relativa tempistica, per la localizzazione del deposito nazionale dei rifiuti radioattivi, interamente disciplinata dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010.
  Tenuto conto del percorso istituzionale che ha sinora caratterizzato i lavori dei Ministeri dell'ambiente e dello sviluppo economico, si chiarisce che le strutture ministeriali interessate hanno svolto in questi mesi un'intensa attività istruttoria.
  Il rilascio del nulla-osta alla Sogin s.p.a. alla pubblicazione della Carta nazionale delle aree potenzialmente idonee rappresenterà soltanto il momento di avvio, e non di conclusione, della lunga procedura caratterizzata da ampie fasi di consultazione pubblica, nella quale verranno coinvolti regioni ed enti locali interessati, cittadini e comunità scientifica, che porterà prima ad individuare alcune aree idonee ad ospitare il deposito nazionale e solo dopo ad individuare il sito.
  Questo processo normativo non attribuisce ai ministeri alcuna discrezionalità in ordine all'inclusione o esclusione pregiudiziale di specifiche aree fra quelle da prendere in considerazione per l'individuazione del sito in questione che, invece, sono regolate dal citato articolo 27 (Autorizzazione unica per la costruzione e l'esercizio del parco tecnologico) del decreto legislativo n. 31 del 2010, laddove ha previsto specifici passaggi per la progressiva selezione dei siti che includono una consultazione pubblica (sede di osservazioni e proposte da parte di Regioni, Enti locali e di soggetti portatori di interessi qualificati), la promozione di un Seminario nazionale, una Valutazione di impatto ambientale, la possibilità di candidature da parte di singoli territori e la ricerca di un'intesa con le Regioni interessate. È in questa sede, infatti, che si potranno fare valere tutte le legittime istanze, anche attraverso la formale interlocuzione con gli enti territoriali specificamente interessati.
  Una volta ultimato il processo di localizzazione dell'area su cui realizzare il deposito nazionale, la sua realizzazione avverrà secondo i tempi dettati dall'articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010.
  Resta inteso che le caratteristiche del deposito e dei sistemi ausiliari saranno tali da garantire il soddisfacimento degli obiettivi di radioprotezione sia per la popolazione, sia per l'ambiente. Nello stesso articolo 27 del decreto legislativo n. 31 del 2010 è stato già previsto che l'autorizzazione unica dovrà contenere prescrizioni a carico dell'esercente Sogin s.p.a. in materia di ispezioni, test, analisi e obblighi informativi al fine di garantire la salvaguardia e la tutela della popolazione e dell'ambiente.
  La realizzazione e l'esercizio del deposito nazionale e delle strutture tecnologiche di supporto sono affidati alla Sogin s.p.a., ai sensi dell'articolo 26 del decreto legislativo n. 31 del 2010 e successive modificazioni ed integrazioni, che è una società per azioni interamente partecipata dal Ministero dell'economia e delle finanze e ai sensi dell'articolo 13, comma 4, del decreto legislativo n. 79 del 1999 soggetta a potere di indirizzo del Ministero dello sviluppo economico.
  Sulla stessa società, inoltre, sarà effettuato anche il controllo e la vigilanza da parte dell'Ispettorato nazionale per la sicurezza nucleare e la radioprotezione (ISIN), in qualità di Autorità di regolamentazione competente, come disposto dall'articolo 26, comma 1 del decreto legislativo n. 31 del 2010 e successive modificazioni ed integrazioni.
  In merito agli articoli di stampa, i quali, secondo l'interrogante, hanno ipotizzato varie localizzazioni per il deposito, si fa presente che gli stessi non si possono considerare attendibili poiché sulla documentazione consegnata ai due dicasteri è prevista la classificazione di riservatezza attribuita dalla Sogin s.p.a. alla proposta di CNAPI: come tale dunque sarà trattata, conformemente alle vigenti disposizioni, sino alla pubblicazione a seguito del nulla-osta.
  Si segnala, infine, che la direzione generale competente di questo ministero il 4 febbraio 2016 ha inviato alla Commissione europea la relazione sullo stato di attuazione della direttiva 2011/70/Euratom ed è pronta ad avviare la consultazione pubblica per la procedura di valutazione ambientale strategica sulla bozza di programma nazionale per la gestione dei rifiuti radioattivi e del combustibile nucleare esaurito, redatta congiuntamente con il Ministero dello sviluppo economico.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti, ai rifiuti pericolosi e alle discariche di rifiuti;
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva «rifiuti»; inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva «rifiuti pericolosi»; infine, l'Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva «discariche di rifiuti»;
   nel corso della causa c-196/13, la Commissione europea ha affermato che, secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva «rifiuti» e che, di esse, 14 non erano conformi neppure alla direttiva «rifiuti pericolosi». Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva «discariche di rifiuti»;
   nella sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014, la Corte ha ricordato innanzitutto che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla direttiva «rifiuti». Pertanto, i provvedimenti di, – chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. Oltre a ciò, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificarle. Il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure sufficienti. La Corte ha rilevato poi che, alla scadenza del termine impartito, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati in certi siti; riguardo ad altri siti, la Corte ha contestato che non è stato fornito alcun elemento utile a determinare la data in cui detti lavori sarebbero stati eseguiti. La Corte, quindi, ne è arrivata alla conclusione che l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente nonché quello, per il detentore, o di consegnarli ad un raccoglitore che effettui le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti o di provvedere egli stesso a tali operazioni sono stati violati in modo persistente;
   la Corte è arrivata alla conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione. Di conseguenza, la Corta» condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro. La Corte di giustizia dell'Unione europea ha rilevato poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. Essa considera quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo sarà ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma, conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. L'imposizione su base semestrale consentirà di valutare l'avanzamento dell'esecuzione degli obblighi da parte dell'Italia. La prova dell'adozione delle misure necessarie all'esecuzione della sentenza del 2007 dovrà essere trasmessa alla Commissione europea prima della fine del periodo considerato. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data dal 2 dicembre 2014 e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 euro. Da tale importo saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma e 200.000 euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente, detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre;
   in data 3 giugno 2015, gli europarlamentari del Movimento 5 Stelle, Ignazio Corrao, Eleonora Evi, Piernicola Pedicini e Marco Affronte, hanno presentato una interrogazione alla Commissione europea per sapere l'ammontare della multa semestrale in merito alle discariche abusive di cui alla sentenza Commissione/Italia (ECLI:EU:C:2007:250);
   la Commissione europea, in data 7 agosto 2015, ha risposto all'interrogazione di cui al punto precedente, affermando: «Il 13 luglio 2015 la Commissione ha inviato all'Italia una lettera con cui sollecita il pagamento della penale dovuta per il primo semestre successivo alla sentenza. La penale richiesta in tale lettera ammonta a 39,800.000 EUR, importo che è stato calcolato sulla base delle informazioni trasmesse dalle autorità italiane in merito ai progressi realizzati nella messa in conformità delle discariche. [..]»;
   la Commissione europea, in data 18 agosto 2015, ha fornito ai parlamentari sopra richiamati l'elenco delle discariche abusive oggetto della sentenza pronunciata dalla Corte di giustizia dell'Unione europea in data 2 dicembre 2014 (causa C-196/13) – Situazione allo scadere del primo semestre successivo alla sentenza (del 2 dicembre 2014-2 giugno 2015). Dall'elenco si evince che esistono ancora 185 discariche non conformi alle direttive europee ossia inottemperanti a quanto stabilito dalla più volte richiamata sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea, motivo per cui è stata inflitta all'Italia la multa semestrale di 39.800.000 euro –:
   quale sia l'organo che effettua i sopralluoghi presso le discariche oggetto della sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea del 2 dicembre 2014;
   in quale modalità e con quale tempistica vengano effettuate questi sopralluoghi;
   quali siano le maggiori criticità che ancora non permettono all'Italia di ottemperare alla sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea. (4-10778)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla procedura di infrazione sulle discariche illegali (Causa C-196/13), si rappresenta quanto segue.
  Il caso in parola riguarda la mancata esecuzione della prima sentenza di condanna del 26 aprile 2007 per violazione della direttiva rifiuti 75/442/CE modificata dalla direttiva 91/156/CEE, della direttiva 91/689 CEE e della direttiva 1999/13/CE in riferimento a 200 discariche presenti sul territorio di 18 regioni italiane, in particolare:

   a) n. 198 discariche dichiarate non conformi agli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442 e all'articolo 2, paragrafo 1 della direttiva 91/689 per le quali sono necessarie operazioni di messa in sicurezza e/o bonifica;
   b) n. 2 discariche dichiarate non conformi all'articolo 14, lettere da a) a c) della direttiva 1999/31, per le quali si rendeva necessario dimostrare l'approvazione di piani di riassetto oppure l'adozione di decisioni definitive di chiusura.

  Il 2 dicembre 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia al pagamento, per le suddette violazioni, di una sanzione forfettaria di 40 milioni di euro e di una penalità semestrale di 42,8 milioni di euro da pagarsi fino all'esecuzione completa della sentenza.
  L'elenco completo delle discariche ancora oggetto del procedimento di esecuzione della sentenza è stato trasmesso informalmente dalla Commissione europea a marzo 2015 per il tramite della rappresentanza permanente d'Italia per l'Unione europea. Tali discariche erano così ripartite sul territorio nazionale: Abruzzo 28; Basilicata 2; Calabria 43, di cui 1 di rifiuti pericolosi; Campania 48, di cui 1 di rifiuti pericolosi; Emilia Romagna 1 di rifiuti pericolosi; Friuli Venezia Giulia 3; Lazio 21, di cui 1 di rifiuti pericolosi; Liguria 6, di cui 4 di rifiuti pericolosi; Lombardia 4, di cui 2 di rifiuti pericolosi; Marche 1, di cui 1 di rifiuti pericolosi; Molise 1; Piemonte 1, di cui 1 di rifiuti pericolosi; Puglia 12; Sardegna 1; Sicilia 12, di cui 1 di rifiuti pericolosi; Toscana 6; Umbria 1, di cui 1 di rifiuti pericolosi; Veneto 9.

  A seguito della disamina della documentazione ricevuta dalle Regioni e trasmessa a giugno 2015 dalle autorità italiane, con la nota del 13 luglio 2015 SG-Greffe (2015) D/7992, la Commissione europea ha riconosciuto la messa a norma di 14 discariche ed un errore di censimento.
  Alla data del 13 luglio 2015, rimanevano pertanto in procedura di infrazione ancora 185 discariche. Nei mesi successivi, il Ministero ha avviato:

   a) un costante lavoro d'impulso delle attività con le amministrazioni regionali competenti al fine del completamento degli interventi ancora in corso e della certificazione di quelli completati;
   b) l'istruttoria della documentazione necessaria alla Presidenza del Consiglio dei ministri per diffidare ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131, le amministrazioni regionali e locali inadempienti ad adottare tutti i provvedimenti dovuti per completare le attività necessarie a dare corretta esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia;
   c) una collaborazione continua con il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio e con l'Avvocatura dello Stato, attraverso l'istituzione di un tavolo di lavoro deputato all'elaborazione congiunta della documentazione, da trasmettere alla Commissione europea, per il calcolo delle penalità semestrali e per lo stralcio dei casi con interventi ultimati e adeguatamente certificati.

  Con riferimento all'attività d'impulso delle autorità regionali competenti, sono state convocate e regolarmente verbalizzate apposite riunioni con le regioni interessate dalla procedura d'infrazione, esaminando caso per caso le discariche oggetto di condanna, supportando gli organi regionali nell'individuazione dei percorsi utili alla risoluzione dei casi.
  Nel mese di dicembre 2015, le autorità italiane hanno trasmesso al dipartimento per le politiche europee, per il successivo inoltro alla Commissione europea, la documentazione attestante la chiusura dei procedimenti per 35 siti e ulteriori atti ritenuti utili a dimostrare la sussistenza di 3 errori di censimento. Per tali siti, è stato richiesto lo stralcio dall'intera procedura d'infrazione per completa esecuzione della sentenza di condanna e la conseguente detrazione dalla sanzione così come statuito dalla corte.
  A seguito della disamina della documentazione ricevuta, la Commissione europea, con la decisione ENV.D2/GM/vf/ARES (2016) dell'8 febbraio 2016, la Commissione europea ha riconosciuto la messa a norma di 29 discariche e 1 errore di censimento, escludendoli dal pagamento della penalità semestrale.
  Rispetto allo stato dei procedimenti in corso per le 155 discariche ancora oggetto della procedura d'infrazione, si segnala che 151 discariche sono state oggetto di diffida ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2 della legge 5 giugno 2003, n. 13 e in altri 4 casi di discariche che ricadono all'interno di siti d'interesse nazionale di bonifica, sono in corso approfondimenti istruttori.
  Per quanto riguarda le criticità che ancora non consentono all'Italia di ottemperare pienamente alla sentenza della Corte di giustizia europea in questione, si fa presente quanto segue.
  La Commissione europea ha chiarito che, per dare esecuzione alla sentenza, non basta garantire che nei siti oggetto della condanna non siano più depositati rifiuti o che i rifiuti già depositati siano gestiti in conformità alla normativa dell'Unione europea in materia, ma occorre altresì verificare che i rifiuti non abbiano inquinato il sito e, in caso di inquinamento, eseguire le attività di messa in sicurezza o bonifica del sito ai sensi dell'articolo 240 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006.
  Inoltre, in merito al pagamento delle ingenti sanzioni pecuniarie, il Governo, al fine di assicurare una tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna, ha previsto delle novità con la Legge di Stabilità 2016 (articolo 1, comma 813), in particolare, per quanto riguarda il sistema del diritto di rivalsa dello Stato nei confronti delle amministrazioni locali e regionali responsabili. Tale sistema, attivato dal Ministero dell'economia e delle finanze nei confronti dei soggetti responsabili delle violazioni che hanno determinato la sentenza di condanna, prevede, specificatamente, un meccanismo di compensazione con i trasferimenti che lo Stato dovrà effettuare in favore delle amministrazioni stesse. Al riguardo, si segnala che non è più necessario, a seguito delle modifiche normative introdotte, acquisire l'intesa con le amministrazioni responsabili delle violazioni. Il Ministero dell'economia e delle finanze sta procedendo a definire, sentiti le regioni e i comuni interessati, le modalità di reintegro delle anticipazioni effettuate. La scelta di seguire una procedura collaborativa con le amministrazioni interessate risponde all'esigenza di assicurare il reintegro delle anticipazioni tenendo conto dei vincoli di bilancio e delle limitate disponibilità di risorse di molti comuni interessati.
  Ad ogni modo, considerato comunque il forte impatto che ne deriva sulla finanza pubblica, resta alta l'attenzione e la priorità dell'intero Governo nella risoluzione delle problematiche evidenziate, pronto a utilizzare tutti gli strumenti disponibili, anche mediante il ricorso ai poteri sostitutivi. Proprio in considerazione della grande importanza e della notevole complessità degli adempimenti qui in discussione, il Governo si è fatto promotore dell'approvazione, in sede di legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 814 della legge n. 208 del 2015), di una normativa volta a rendere più celere ed efficace l'intervento sostitutivo dello Stato a garanzia di importanti diritti fondamentali degli individui nonché del corretto adempimento agli obblighi europei. Per giungere alla definitiva bonifica di questi siti è infatti necessario procedere ad una serie di attività, strettamente collegate le une alle altre: questo rende particolarmente difficile l'esercizio di un efficace potere sostitutivo da parte del Governo. La norma sopra richiamata, viceversa, consente al Governo – nel caso in cui ciò si renda necessario per far fronte a sentenze di condanna o a procedure di infrazione dell'Unione europea – di diffidare gli enti inadempienti alla realizzazione di uno specifico cronoprogramma, con la possibilità, nel caso di inadempimento anche ad uno solo degli atti indicati nel cronoprogramma, di una integrale sostituzione fino al pieno raggiungimento del risultato. Come è evidente, si tratta di uno strumento di grande accelerazione dei procedimenti ed è intenzione del Governo servirsene con decisione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MARTELLA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi un detenuto di nazionalità italiana presso la Casa Circondariale Santa Maria Maggiore di Venezia, ha aggredito un agente di Polizia penitenziaria e con un morso gli ha staccato la falange del dito di una mano;
   l'aggressione è avvenuta mentre l'agente di Polizia penitenziaria stava accompagnando il detenuto all'Ufficio matricola del carcere per l'espletamento di alcune formalità;
   il detenuto risulta non nuovo nel compiere episodi di violenza ai danni di agenti di polizia penitenziaria;
   le organizzazioni sindacali di categoria a seguito di questo nuovo episodio di violenza hanno espresso la richiesta di una maggiore attenzione alla sicurezza del Corpo nello svolgimento del proprio lavoro;
   è stata posta nuovamente la questione del sovraffollamento della struttura penitenziaria veneziana, in quanto alla data del 30 giugno 2015 erano detenute a nella Casa Circondariale Santa Maria Maggiore 257 persone rispetto ai 160 posti regolamentari –:
   in considerazione della gravità dell'episodio riportato in premessa, quali iniziative il Ministro intenda adottare per affrontare il problema del sovraffollamento della Casa circondariale Santa Maria Maggiore di Venezia) nonché per consentire agli agenti di Polizia penitenziaria di svolgere in sicurezza il proprio lavoro. (4-10116)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante segnala le criticità rilevate presso l'istituto penitenziario di Venezia S.M. Maggiore durante la scorsa estate, chiedendo di indicare gli interventi che si intendono adottare per ridurre il sovraffollamento e ricondurre l'istituto in condizioni di sicurezza.
  In via preliminare, appare opportuno procedere ad una breve analisi del grave episodio ricordato nell'atto ispettivo in esame – nel quale un assistente capo della polizia penitenziaria è stato aggredito e morso ad una mano – per evidenziare che si è trattato di un episodio isolato, sia pur nella sua intrinseca gravità, da riportare alle patologie psichiatriche da cui è afflitto l'aggressore. In effetti, si è trattato di un'aggressione avvenuta ad opera di un detenuto che, all'esito dell'osservazione psichiatrica disposta ai sensi dell'articolo 112, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica 230 del 2000, è risultato essere affetto da «Disturbo evitante di personalità e Disturbo ossessivo-compulsivo in soggetto con storia di poliabuso di sostanze e dipendenza da alcool». Proprio in considerazione alla sopravvenuta ed accertata infermità psichica, il condannato è stato trasferito presso l'ex ospedale psichiatrico giudiziario di Reggio Emilia, su disposizione dell'Autorità giudiziaria.
  Con riguardo allo stato d'agitazione del personale, verificatosi nel mese di agosto dello scorso anno, all'indomani del grave episodio ricordato, si rappresenta che il provveditore regionale, nell'immediatezza della protesta, ha incontrato tutte le organizzazioni sindacali rappresentative del comparto sicurezza, alla presenza anche del direttore della C.C. di Venezia, del comandante del reparto f.f., e del capo area giuridico pedagogica, per affrontare il tema «sicurezza» nelle sue molteplici sfaccettature e proporre soluzioni volte a migliorare l'organizzazione complessiva dell'istituto penitenziario, anche con riguardo a situazioni complesse come quella derivante dalla presenza di soggetti «disturbati».
  Preme in questa sede evidenziare che il tema della sicurezza è ovviamente una delle priorità dell'azione del ministero, e, pertanto, nella prospettiva di potenziare i dispositivi delle strutture penitenziarie si sta valutando, per il 2016, un supporto ulteriore rispetto alle dotazioni di bilancio, con risorse aggiuntive costituite dai fondi Fondo unico giustizia. Nei limiti delle risorse disponibili, pertanto, anche il carcere di Venezia potrà giovarsi di tale intervento.
  Per quanto concerne, poi, la situazione di sovraffollamento, deve premettersi che la capienza dell'istituto penitenziario di Venezia è di 161 posti, calcolati applicando ancora il parametro previsto dal decreto ministeriale del 1975 sull'abitabilità delle abitazioni civili, che considera 9 metri quadrati per ogni singolo occupante, cui devono sommarsi 5 metri quadrati per ogni persona che condivide la camera di detenzione.
  Al termine dell'estate, erano presenti, nell'istituto veneziano, 280 detenuti, con un indice di sovraffollamento pari al 66 per cento.
  Per ricondurre il numero delle presenze nei limiti della capienza dell'istituto, sono stati adottati una serie di provvedimenti di trasferimento ad altre strutture penitenziarie del circondario nei confronti di 57 detenuti che non presentavano vincoli di territorialità. In tal modo si è ottenuta una prima riduzione della popolazione carceraria, dagli iniziali 280 ristretti, agli attuali 223.
  È importante, però, rilevare, sul punto, che nonostante il persistente esubero dei presenti rispetto alla capienza detentiva, le prescrizioni della Convenzione europea diritti dell'uomo restano comunque pienamente rispettate, posto che tutti i detenuti hanno a disposizione uno spazio non inferiore a 3 metri quadrati.
  Ciò che però merita di essere sottolineato, è l'impegno che questo Governo sta profondendo per dare un nuovo volto all'esecuzione della pena, nello sforzo di fornire concreta realizzazione al principio costituzionale della funzione rieducativa della pena e della responsabilizzazione del detenuto.
  Si coglie, pertanto, l'occasione offerta dall'interrogante per segnalare le numerose iniziative in corso presso il carcere di Venezia, innovative sotto vari profili, finalizzate ad avviare percorsi di risocializzazione dei ristretti, anche nella prospettiva di prevenire episodi simili a quello segnalato.
  È stato introdotto il regime a camere detentive aperte e, pertanto, sono state messe a disposizione dei detenuti numerose possibilità di socializzazione ed un ampio ventaglio di programmi rieducativi, che si avvalgono del fondamentale contributo della società esterna e promuovono il lavoro dei detenuti, in una prospettiva di risocializzazione e di responsabilizzazione.
  Grazie alla partecipazione della Società esterna – e, in particolare, delle cooperative sociali, delle associazioni di volontariato, dell'amministrazione comunale e degli altri enti – all'opera di rieducazione e di reinserimento dei detenuti, sono state avviate presso la struttura penitenziaria veneziana una serie di attività lavorative, di attività religiose, culturali e di istruzione, nonché corsi di formazione e di orientamento al lavoro.
    Attraverso la collaborazione di una cooperativa sociale, infatti, sono stati attivati all'interno dell'istituto due laboratori, di serigrafia e pelletteria, che danno lavoro, anche grazie alle operazioni di sostegno al reddito, rispettivamente a 2 e 6 detenuti, per la durata di uno-due mesi.
  Dal 2014, inoltre, in collaborazione con altra cooperativa sociale, è stato avviato, a Mestre, un laboratorio di montaggio, noleggio e riparazione di biciclette nel quale lavorano detenuti in regime di lavoro all'esterno.
  Una quarantina di detenuti sono impiegati nel lavoro cosiddetto domestico, con il sistema della rotazione.
  Alcuni detenuti, inoltre, fruiscono del lavoro all'esterno o della semilibertà.
  Un aspetto di particolare rilievo è quello dell'istruzione, sia per il numero dei detenuti coinvolti (circa 100 nel periodo 2014-2015), che per le ore di impegno quotidiano che essa richiede. L'elevato numero di detenuti stranieri, infatti, ha determinato un incremento della domanda di alfabetizzazione e di una formazione culturale di base, comprensiva anche di un'educazione alla cittadinanza, che risulta fondamentale sia nei rapporti interni al carcere, che nella prospettiva del reinserimento all'esterno.
  È stata prestata, poi, particolare attenzione al tema dell'affettività, attraverso un articolato progetto che fornisce sostegno materiale e psicologico nei rapporti tra detenuti e figli minori. Sono, infatti, previsti incontri individuali e di gruppo dei detenuti con psicologi sui temi della genitorialità, corsi di apprendimento delle tecniche per la realizzazione di spettacoli di burattini, forme di intrattenimento dei figli dei detenuti durante i colloqui, a cura di operatori dell'associazione, sotto la supervisione dei docenti dell'istituto universitario «IUSVE» di Venezia.
  In collaborazione con il comune di Venezia, alcuni detenuti sono impiegati nelle attività della biblioteca, in coordinamento con la Biblioteca civica di Mestre e la Fondazione Querini Stampalia, in relazione al prestito dei libri ed anche alla fornitura gratuita di quotidiani in lingua straniera. La biblioteca, infatti, è un fondamentale riferimento culturale, non solo per la distribuzione e la diffusione dei libri, ma anche come momento di incontro, di aggregazione e di stimolo culturale.
  Nell'intento di fornire ai soggetti prossimi alla scarcerazione strumenti per la proficua ricerca di occupazione, è stato previsto un corso di formazione e di orientamento al lavoro, finanziato con fondi della regione e condotto da operatori dell'associazione di volontariato penitenziario.
  Inoltre, ha suscitato particolare apprezzamento il corso di ceramica, che rappresenta, per frequenza ed assiduità dei partecipanti, uno dei corsi più seguiti, per la sua attitudine a valorizzare la dimensione manuale, consentendo di realizzare piccoli oggetti da creare, dipingere e poter regalare alle proprie famiglie.
  Vi è, poi, l'iniziativa del cosiddetto Gruppo di redazione per la stesura di un giornalino, nel quale sono coinvolti circa 12 detenuti e merita altresì di essere segnalata l'attenzione rivolta agli aspetti educativi della cura della salute e dell'igiene, impostata su tre differenti moduli, specificamente dedicati ai detenuti dell'area del Maghreb, ai detenuti moldavi, ucraini e rumeni e ai detenuti albanesi, kosovari, montenegrini e macedoni.
  Il progetto internazionale «Disegni a più mani», inoltre, dell'associazione di volontariato «Venezia: Pesce di pace», ha avuto il riconoscimento del Presidente della Repubblica e si è avvalso del contributo di quattro detenuti per la traduzione di racconti e messaggi scritti da bambini veneziani su disegni inviati ai loro coetanei tedeschi, armeni, greci e russi.
  Sempre restando nell'ambito delle attività culturali, devono anche essere ricordati il corso di percussioni, il corso di «Educazione alla pace», che coinvolge i detenuti sul tema della cooperazione internazionale fra gli stati per garantire e mantenere la pace nel mondo ed il corso di «Filosofia di vita», condotto da una ricercatrice della Università di Venezia, che declina il tema sulla concretezza delle relazioni fra le persone e la considerazione di sé.
  Viene prestata attenzione anche all'attività fisica, attraverso la messa a disposizione di due piccole palestre di reparto per gli allenamenti.
  Tutte le iniziative già assunte, insieme all'importanza attribuita dal Governo al tema dell'esecuzione della pena, dimostrano l'impegno che il ministero sta profondendo per migliorare in modo sostanziale la condizione di vita nelle carceri.
  Si rassicura, in ogni caso, l'interrogante che sarà curato, da parte del ministero, un attento monitoraggio ed uno stretto controllo sull'istituto veneziano.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   PAGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto I.I.S.S. L. Russo di Caltanissetta, sorto come istituto tecnico femminile in sostituzione dell'indirizzo Generale Femminile, nell'anno scolastico 1981/82 attiva l'indirizzo ordinario per periti aziendali e corrispondenti in lingue estere e nell'anno scolastico 1988/89, autorizzato con decreto ministeriale del 30 settembre 1989, gli indirizzi sperimentali (ex articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 419 del 1974) biologico-sanitario, che rilascia una maturità scientifica, e linguistico moderno che rilascia una maturità linguistica;
   con decreto ministeriale n. 383 del 7 ottobre 1998 assume la denominazione di Istituto tecnico per attività sociali. Con questo progetto l'I.T.A.S. «L. Russo», oggi I.I.S.S. «L. Russo», ha riutilizzato strutture e competenze già presenti al suo interno, impegnando fino ad oggi docenti della classe di concorso 60/A (ex 86/A) per l'insegnamento di tutte le discipline scientifiche (chimica inorganica, chimica organica, biochimica, biologia, zoologia, anatomia, fisiologia e patologia umana, educazione e tutela ambientale, microbiologia, biologia applicata, scienze della terra e geografia);
   dall'anno scolastico 2010/11, a seguito del riordino del secondo ciclo di istruzione, l'istituto diventa I.I.S.S. con gli indirizzi tecnico tecnologico chimica, materiali e biotecnologie con articolazione biotecnologie sanitarie, tecnico-economico amministrazione, finanza e relazioni internazionali per il marketing e liceo linguistico;
   in seguito al compimento delle operazioni di mobilità ad avviso dell'interrogante, disattendendo quanto stabilito dalle apposite circolari ministeriali n. 37 del 13 aprile 2010, n. 21 del 14 marzo 2011, n. 2320 del 29 marzo 2012 e n. 2916 del 21 marzo 2013, circ. n. 34 del 1° aprile 2014, nella scuola le cattedre di chimica, da sempre attribuite alla 60/A, sono state attribuite già dall'anno scolastico 2010/11 alla classe di concorso 13/A con immissione in ruolo di nuovi docenti;
   per l'anno scolastico 2013/14 l'organico di diritto nella provincia ha previsto la disponibilità di 4 cattedre della classe 13/A (chimica e tecnologie chimiche), di una cattedra della classe 12/A (chimica agraria) e per la classe 60/A di una sola cattedra; ciò a fronte di ben quattro insegnanti di 60/A dichiarati soprannumerari che si sono così aggiunti agli altri quattro della medesima classe titolari sulla dotazione organica provinciale, e quindi soprannumerari degli anni precedenti;
   in sede di operazioni di mobilità le cattedre di 13/A sono state assegnate ai docenti di chimica immessi in ruolo il settembre precedente e che, in quanto neo-assunti in prova, erano privi di sede definitiva;
   la cattedra di 12/A è stata assegnata ad un insegnante in dotazioni organica provinciale della medesima classe di concorso: pertanto, a causa delle assunzioni di 13/A effettuate negli ultimi due anni, non previste e in opposizione alle circolari emanate, l'amministrazione periferica della provincia, di fatto non curandosi di salvaguardare le titolarità, specialmente in quelle scuole dove la chimica era stata precedentemente insegnata da docenti di 60/A, ha determinato, con tale operato, una serie di soprannumerari di 60/A per i quali non sono residuate, per l'anno scolastico successivo, cattedre che potessero riassorbirli (eccetto uno). Tale condotta ha fatto sì che gli insegnanti di 60/A in dotazioni organica provinciale, in appena due anni, siano passati da quattro a dieci unità;
   tale situazione si è verificata anche in altri istituti tecnici della provincia in cui alcune delle ore di scienze integrate-chimica sono state attribuite solo in parte alla classe di concorso 60/A per la salvaguardia della titolarità, ma comunque sempre non sufficienti alla copertura dell'orario di una cattedra, tanto che i docenti della 60/A hanno completato la cattedra con ore a disposizione per la sostituzione dei colleghi assenti;
   di contro, le rimanenti ore di scienze integrate-chimica e chimica organica e biochimica sono state attribuite alla 13/A e date a docenti con contratto a tempo determinato. In un altro istituto invece le ore residue di scienze naturali, che potevano essere attribuite sia alla classe 60/A sia alla 13/A, perché classi di concorso atipiche per l'indirizzo di studi, sono state assegnate esclusivamente ad un insegnante della classe di concorso 13/A;
   nell'anno scolastico 2013/14, l'organico dell'I.I.S.S. L. Russo ha previsto i seguenti titolari: 11 docenti di 60/A, 1 docente di 12/A, 3 docenti 13/A, 1 docente di 40/A, 1 docente di 57/A;
   per l'anno scolastico 2014/15, sulla base delle classi autorizzate, della sperimentazione venuta meno nelle V classi e per quanto esposto sopra, sempre nell'I.I.S.S.L. Russo sono stati individuati altri 2 docenti soprannumerari della classe 60/A che si sono aggiunti agli 8 dotazioni organica provinciale già esistenti nella provincia di Caltanissetta che, a loro volta, si aggiungeranno agli oltre 300 presenti in tutta Italia;
   per l'anno scolastico 2015/16, un docente titolare presso l'I.I.S.S. L. Russo nella classe di concorso A013, è stato trasferito da Caltanissetta a Gela. Il suo posto, da lui precedentemente coperto, è stato assegnato, su trasferimento, ad una insegnante proveniente da altra provincia e della medesima classe di concorso (A013). Tale posto poteva essere utilizzato per il rientro di un docente di A060 ex titolare nella scuola e attualmente in dotazioni organica provinciale –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, quale iniziativa il Ministro interrogato intenda assumere a fronte della forte penalizzazione cui la classe di concorso 60/A è stata sottoposta e come si intenda agire per far sì che la stessa classe di concorso 60/A possa continuare ad insegnare le citate materie. (4-12286)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si precisa che nelle more del riordino delle classi di concorso, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, con nota prot. n. 3119 del 1o aprile 2014, aveva attribuito gli insegnamenti di «Scienze integrate», «Chimica analitica e strumentale», «Chimica organica e Biochimica», «Biologia, microbiologia e tecnologie di controllo sanitario», «Igiene, Anatomia, Fisiologia, Patologia» ad una o più classi di concorso cosiddette atipiche, disciplinando anche la relativa assegnazione, in particolare: scienze integrate: A012/A013; chimica analitica e strumentale: A012/A013; chimica organica e biochimica: A012/A013; biologia, microbiologia e tecnologie di controllo sanitario: A040/A057/A060; igiene, anatomia, fisiologia, patologia: A040/A057/A060.
  In sede di definizione dell'organico per il corrente anno scolastico dell'Istituto d'istruzione secondaria superiore «L. Russo» di Caltanissetta, non essendo prevista dalla tabella allegata alla citata nota l'atipicità delle classi A013 e A060 per gli insegnamenti di «Scienze integrate», «Chimica analitica e strumentale» e «Chimica organica e biochimica», tali insegnamenti erano stati attribuiti alla classe A013 (o in alternativa alla classe di concorso A012).
  Per il futuro, si fa presente, per completezza d'informazione, che con decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 2016, n. 19, entrato in vigore in data 23 febbraio 2016, è stato emanato il nuovo regolamento sulla razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso. Lo stesso prevede che la classe di concorso A060 «Scienze naturali, chimica e geografia, microbiologia» confluisca nella nuova classe A-50 «Scienze naturali, chimiche e biologiche».
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   PRODANI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 83 del 31 maggio 2014, convertito con modificazioni dalla legge del 9 luglio 2014 n. 106, recante «Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo», all'articolo 1 istituisce «l'Art-Bonus»;
   si tratta di un regime fiscale agevolato di natura temporanea, sotto forma di credito d'imposta, in favore delle persone fisiche e giuridiche che effettuano erogazioni liberali in denaro per interventi a favore della cultura e dello spettacolo. La disposizione è finalizzata a favorire e potenziare il sostegno del mecenatismo e delle liberalità al fondamentale compito dello Stato di tutela e valorizzazione del patrimonio culturale;
   i contribuenti possono usufruire del credito nella misura del 65 per cento delle erogazioni effettuate nel 2014 e nel 2015 e del 50 per cento per il 2016 e nel periodo indicato non si applica la disciplina ordinariamente prevista per le erogazioni liberali dal Testo Unico delle Imposte sui Redditi (detrazioni IRPEF e deduzioni IRES);
   il credito d'imposta è riconosciuto alle persone fisiche e agli enti non commerciali nei limiti del 15 per cento del reddito imponibile, ai soggetti titolari di reddito d'impresa nei limiti del 5 per mille dei ricavi annui, ed è ripartito in tre quote annuali di pari importo. Sono previste specifiche misure per garantire la pubblicità e la trasparenza, nonché la creazione, all'interno del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, di strutture per favorire la raccolta di fondi;
   secondo Gian Paolo Ranocchi, autore dell'articolo pubblicato da Il Sole 24 Ore il 23 marzo 2015, diventerebbe particolarmente importante definire quale sia il confine alla base della differenziazione tra liberalità e prestazione;
   afferma, infatti, che «ove l'impresa fornisce fondi secondo le disposizioni dell’Art-Bonus e poi decide di utilizzare l'iniziativa sul piano dell'autopromozione, la liberalità mantiene tale natura assicurando la sua spendibilità di bonus fiscale», ma la cosa cambia quando «chi usufruisce dei fondi derivanti dalla donazione, faccia comunicazione a terzi dell'intervento finanziario dell'impresa»; in questo caso la liberalità si potrebbe prospettare come il corrispettivo di un servizio e si entrerebbe in un terreno insidioso in cui diventerebbe opinabile l'effettiva natura della gratuità dell'elargizione;
   laddove, infatti, si possa ragionevolmente sostenere che l'erogazione altro non è che un corrispettivo di un servizio, è chiaro che il pagamento perderebbe la natura di liberalità: cadrebbero, così, i presupposti alla base dell'incentivo fiscale;
   il decreto ministeriale del 19 dicembre 2012 recante «Approvazione delle norme tecniche e linee guida in materia di sponsorizzazione di beni culturali e di fattispecie analoghe o collegate», al punto 1.3.1 affronta la problematica delle erogazioni liberali accompagnate da riconoscimento morale sia ad opera di soggetti che operano non a fine di lucro sia ad opera di soggetti che hanno tale fine specificando «in tali casi l'amministrazione procedente dovrà prestare un'attenzione particolare a che il riconoscimento morale attribuito al donatore impresa commerciale non travalichi i limiti suoi propri per assumere la consistenza di una vera e propria sponsorizzazione»;
   a parere dell'interrogante, la sopra citata disposizione non indica i criteri o i modi con cui «l'amministrazione procedente dovrà prestare un'attenzione particolare» e, pertanto, il rischio di pregiudicare il beneficio dell’Art-Bonus sarebbe concreta –:
   se vi possano essere motivi, come quelli descritti nelle premesse che possano minacciare le fondamenta dell'istituzione dell’Art Bonus e se non ritenga opportuno fornire precisi chiarimenti relativi alla modalità di comunicazione dei soggetti beneficiari;
   quali iniziative urgenti intenda adottare per precisare in maniera chiara la questione relativa alla fruibilità del ritorno di immagine del soggetto erogante per evitare che l'erogazione liberale possa essere considerata quale corrispettivo di un servizio. (4-08915)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in esame, nella quale, con riguardo al credito d'imposta riconosciuto alle erogazioni liberali a sostegno della cultura (cosiddetto Art bonus, introdotto dall'articolo 1 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito nella legge 29 luglio 2014, n. 106), l'interrogante fa riferimento alla questione, da alcuni sollevata, della incertezza del confine tra liberalità e prestazione, che potrebbe derivare in caso di comunicazione a terzi dell'intervento finanziario dell'impresa da parte di chi usufruisce dei fondi derivanti dalla donazione, in quanto ciò potrebbe rendere opinabile l'effettiva gratuità dell'elargizione (con possibile venir meno dei presupposti a base dell'incentivo fiscale).
  L'Interrogante segnala in particolare un articolo pubblicato dal quotidiano «Il Sole 24 Ore», il 23 marzo 2015, a firma di Gian Paolo Ranocchi, nel quale l'autore – commentando le disposizioni recate dall'articolo 1 del citato decreto-legge n. 83 del 2014, con il quale è stato introdotto un credito di imposta per favorire le erogazioni liberali a sostegno della cultura (cosiddetto Art bonus) — sostiene che sarebbe necessario meglio definire, ai fini dell'attribuzione del credito d'imposta medesimo, in quali casi l'elargizione costituisca una liberalità e quando, invece, sia da considerarsi quale corrispettivo di un servizio facendo, così, venir meno i presupposti alla base dell'incentivo fiscale.
  Secondo l'autore dell'articolo, infatti, le imprese interessate a versare somme a fondo perduto, a sostegno della cultura e dello spettacolo, si aspettano anche un ritorno d'immagine da questo tipo di iniziativa. Diventa, dunque, particolarmente delicato definire quale sia il confine del sinallagma che è alla base della differenziazione tra liberalità e prestazione e della diversa disciplina applicabile alle suddette fattispecie. L'autore ritiene che «non vi possano essere conseguenze di alcun genere in relazione alla cosiddetta «autopromozione»; laddove l'impresa eroghi somme secondo le disposizioni dell’Art. bonus e poi decida di utilizzare l'iniziativa sul piano «autopromozionale», la liberalità mantiene tale natura assicurando la spendibilità del bonus fiscale. Possono, invece, insorgere problemi quando il soggetto beneficiario dei fondi effettua comunicazione a terzi dell'intervento finanziario dell'impresa. In questo caso si entra in un terreno più insidioso in cui qualcuno potrebbe opinare dell'effettiva natura della gratuità dell'elargizione. Laddove, infatti, si possa ragionevolmente sostenere che la liberalità altro non è che un corrispettivo di un servizio (con alla base, quindi, un rapporto sinallagmatico), è chiaro che il pagamento perderebbe la natura di liberalità: cadrebbero, così, i presupposti alla base dell'incentivo fiscale».
  L'interrogante cita, inoltre, il decreto del Ministro per i beni e le attività culturali 19 dicembre 2012 (Approvazione delle norme tecniche e linee guida in materia di sponsorizzazione di beni culturali e di fattispecie analoghe o collegate) che, al punto I.3.1, affronta la problematica delle erogazioni liberali accompagnate da riconoscimento morale, sia ad opera di soggetti senza scopo di lucro sia ad opera di soggetti che hanno tale fine, specificando che «in tali casi l'amministrazione procedente dovrà prestare un'attenzione particolare a che il riconoscimento morale attribuito al donatore impresa commerciale non travalichi i limiti suoi propri per assumere la consistenza di una vera e propria sponsorizzazione».
  Poiché, tuttavia, a parere dell'interrogante, il decreto citato non indicherebbe i criteri o i modi con cui «l'amministrazione precedente dovrà prestare un'attenzione particolare», rendendo, dunque, concreto il rischio di pregiudicare il beneficio dell’
Art bonus, egli chiede di sapere se vi possano essere motivi che possano minacciare le fondamenta dell'istituzione dell’Art bonus, se non si ritenga opportuno fornire precisi chiarimenti relativi alla modalità di comunicazione dei soggetti beneficiari e quali iniziative urgenti si intenda adottare per precisare in maniera chiara la questione relativa alla fruibilità del ritorno di immagine del soggetto erogante, per evitare che l'erogazione liberale possa essere considerata quale corrispettivo di un servizio.
  Sulle questioni oggetto dell'interrogazione, questa amministrazione ha richiesto il parere del Ministero dell'economia e delle finanze, cui era anche rivolto l'atto di sindacato parlamentare.
  Il ministero interpellato ha osservato quanto segue.
  «L'articolo 1 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito dalla legge 29 luglio 2014, n. 106 – nell'ambito delle disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo – introduce un regime fiscale agevolato di natura temporanea, sotto forma di credito di imposta, riconosciuto alle persone fisiche e giuridiche che effettuano erogazioni liberali in denaro per interventi a favore della cultura e dello spettacolo.
  Come precisato nella relazione illustrativa al disegno di legge di conversione, la predetta disposizione è finalizzata a favorire e potenziare il sostegno del mecenatismo e delle liberalità al fondamentale compito della Repubblica di tutela e valorizzazione dei patrimonio culturale.
  Per poter fruire del predetto credito d'imposta è necessario che le erogazioni liberali medesime siano effettuate esclusivamente in denaro e destinate: a interventi di manutenzione, protezione e restauro di beni culturali pubblici, anche se le erogazioni sono destinate ai soggetti concessionari o affidatari del beni oggetto di tali interventi; a sostegno degli istituti e dei luoghi della cultura di appartenenza pubblica (come espressamente precisato negli atti parlamentari), musei, biblioteche, archivi, aree e parchi archeologici, complessi monumentali, come definiti dall'articolo 101 del Codice dei beni culturali e del paesaggio di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42; alla realizzazione di nuove strutture, restauro e potenziamento di quelle esistenti, delle fondazioni lirico-sinfoniche o di enti o istituzioni pubbliche che, senza scopo di lucro, svolgono esclusivamente attività nello spettacolo.
  Nel periodo di applicazione del regime agevolato in esame, al fine di evitare duplicazioni di benefici fiscali nell'ambito della cultura e dello spettacolo, sono temporaneamente disapplicate ai fini dell'IRPEF le detrazioni previste dall'articolo 15, comma 1, lettere h) e i), e, ai fini dell'IRES, le deduzioni stabilite dall'articolo 100, c. 2, lett. f) e g), del TUIR.
  Per quanto attiene all'ambito soggettivo di applicazione dei credito d'imposta in argomento, la misura agevolativa è riconosciuta a tutti i soggetti che effettuano le erogazioni liberali per le finalità sopra indicate, indipendentemente dalla natura e dalla forma giuridica dei soggetti medesimi. Tuttavia, in relazione alla qualifica del soggetto che effettua le liberalità sono previsti diversi limiti massimi di spettanza del credito di imposta nonché modalità di fruizione differenziate.
  L'articolo in commento prevede, tra l'altro, che i destinatari delle erogazioni liberali comunichino al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, mensilmente, l'ammontare delle erogazioni ricevute nel mese di riferimento, provvedendo, inoltre, a dare pubblica comunicazione di tale ammontare, nonché della destinazione e dell'utilizzo delle erogazioni stesse, tramite un'apposita pagina dedicata e facilmente individuabile nei propri siti web istituzionali, nonché in un apposito portale, gestito dallo stesso ministero, fatte salve le disposizioni di cui al codice in materia di protezione dei dati personali di cui al decreto legislativo 30 giugno 2003, n. 196.
  Tanto premesso, si fa presente, al riguardo, che proprio con il decreto ministeriale 19 dicembre 2012, citato dall'interrogante, il Ministero per i beni e le attività culturali, ha fornito specifiche indicazioni in ordine agli elementi che consentono di differenziare un atto di liberalità da un contratto di sponsorizzazione con le conseguenti ricadute anche di natura fiscale.
  Il decreto sopra citato è stato emanato in attuazione della disposizione contenuta nell'articolo 61, comma 1, del decreto-legge n. 5 del 2012, convertito dalla legge n. 35 del 2012, che – oltre ad inserire nel Codice dei contratti pubblici di cui al decreto legislativo n. 163 del 2006, l'articolo 199-bis recante la disciplina delle procedure per la selezione di sponsor – ha altresì demandato al Ministro per i beni e le attività culturali il compito di approvare con proprio decreto norme tecniche e linee guida applicative delle disposizioni contenute nel citato articolo 199-bis del decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, nonché di quelle contenute nell'articolo 120 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, con il quale è stato approvato il codice dei beni culturali e del paesaggio.
  Tale ultima disposizione, disciplina l'utilizzo delle sponsorizzazioni a tutela e sostegno della cultura stabilendo che rientra in tale fattispecie «ogni forma di contributo di beni o servizi da parte di soggetti privati allo progettazione o all'attuazione di iniziative del Ministero, delle regioni e degli altri enti pubblici ovvero di soggetti privati, nel campo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale, con lo scopo di promuovere il nome, il marchio, l'immagine, l'attività o il prodotto dell'attività dei soggetti medesimi». Ai sensi del comma 2 del citato articolo 120, la promozione in parola avviene attraverso l'associazione del nome, del marchio, dell'immagine, dell'attività o del prodotto all'iniziativa oggetto del contributo, in forme compatibili con il carattere artistico o storico, l'aspetto e il decoro del bene culturale da tutelare o valorizzare, da stabilirsi con il contratto di sponsorizzazione. Ai sensi del comma 3, infine, con il contratto di sponsorizzazione sono altresì definite le modalità di erogazione del contributo nonché le forme del controllo, da parte del soggetto erogante, sulla realizzazione dell'iniziativa cui il contributo si riferisce.
  Le norme tecniche e linee guida approvate con il citato decreto ministeriale 19 dicembre 2012 definiscono, in primo luogo, il contratto di sponsorizzazione – distinguendolo sia da tipologie contrattuali affini, sia dagli accordi di varia natura volti a stabilire rapporti di partnership pubblico-privato – come un contratto atipico per il quale un soggetto (lo sponsor) si impegna a legare il marchio o il nome dell'azienda ad una determinata attività, mentre l'altro (lo sponsor) si impegna a fornire risorse in denaro o in natura.
  I requisiti che caratterizzano i contratti di sponsorizzazione sono in sostanza: la natura onerosa dell'accordo; l'esistenza di prestazioni contrapposte tra lo sponsor ed il soggetto sponsorizzato; la realizzazione di una pubblicità per lo sponsor.
  Ai fini della qualificazione giuridica del rapporto come sponsorizzazione piuttosto che come erogazione liberale assume rilevanza la presenza (sponsorizzazione) o l'assenza (erogazione liberale o gratuita) di un «corrispettivo», inteso nel senso giuridico di causa tipica ed essenziale dell'operazione economico-giuridica e non di motivo personale e soggettivo che spinge all'elargizione che, come tale, non rileva ai fini della predetta qualificazione. Tale «corrispettivo» esiste solo qualora la promozione del nome, dell'immagine, del marchio, dell'attività, dei prodotti dello sponsor sia oggetto di un preciso obbligo giuridico gravante in capo al soggetto sponsorizzato.
  Nel decreto in argomento viene, inoltre, chiarito che «deve considerarsi errata ogni automatica esclusione della possibilità di ricondurre un conferimento in danaro o opere entro lo schema dell'elargizione liberale o patrocinio, per una sua qualificazione in termini di sponsorizzazione, sol perché il benefattore accetti o chieda una qualche forma di riconoscimento, soprattutto morale e ideale (o comunque inerente a un interesse patrimoniale che non trova diretta corrispettività in un obbligo posto a carico dell'amministrazione), dell'elargizione accordata».
  Il decreto riconosce poi che «I rapporti di mecenatismo ben possono trovare attuazione e svolgimento in appositi accordi accessori – riversati in atti convenzionali – aventi ad oggetto la disciplina della partnership che, comunque, si va ad instaurare, in un rapporto di durata tra mecenate e amministrazione competente all'intervento di restauro (o altro). Tale rapporto è generato dall'atto di disposizione del mecenate e riguarda, oltre che le modalità esecutive, le forme, i modi e i tempi di realizzazione degli interventi, il controllo e monitoraggio del rispetto delle condizioni e del modus apposto all'atto negoziale liberale o gratuito, nonché le possibili forme di riconoscimento non economico ed essenzialmente morale richiesto dal mecenate. Questi accordi e atti convenzionali devono però essere tenuti ben distinti dai contratti di sponsorizzazione, poiché essi costituiscono tuttora un'area interamente libera da condizioni e procedure di tipo concorrenziale».
  Tale decreto ammette, inoltre, la possibilità di realizzare la suddetta sponsorizzazione non soltanto nella forma della sponsorizzazione cosiddetta tecnica, consistente in una forma di partenariato estesa alla progettazione e alla realizzazione di parte o di tutto l'intervento a cura e a spese dello sponsor delle prestazioni richieste, ma anche nella forma della sponsorizzazione «pura» – in cui lo sponsor si impegna unicamente a finanziare, anche mediante accollo, le obbligazioni di pagamento dei corrispettivi dell'appalto dovuti dall'amministrazione – e della sponsorizzazione mista.
  Nel medesimo decreto viene, altresì, evidenziato che elementi utili al fine di distinguere le erogazioni liberali dalle sponsorizzazioni sono ricavabili anche dal decreto ministeriale 3 ottobre 2002, attuativo dell'articolo 38 della legge n. 342, del 2000, recante la prima disciplina delle agevolazioni fiscali in favore delle erogazioni liberali. In particolare, l'articolo 5, comma 3, del citato decreto stabilisce che «sono considerate erogazioni liberali anche le elargizioni di denaro per le quali il beneficiario formula pubblico ringraziamento al soggetto erogante».
  Come si legge nel decreto ministeriale 19 dicembre 2012, tale previsione normativa risolve «sia pur implicitamente, il problema della distinzione tra mecenatismo e sponsorizzazioni, lasciando intendere che quest'ultima figura può dirsi ricorrente solo qualora la promozione del nome, dell'immagine, del marchio, dell'attività, dei prodotti dello sponsor sia oggetto di un preciso obbligo giuridico gravante in capo al soggetto sponsorizzato, obbligo che costituisce la controprestazione del finanziamento erogato dallo sponsor. Qualora, invece, l'erogazione dello sponsor sia sorretta da spirito di liberalità o abbia comunque carattere di gratuità (ancorché eventualmente corrisponda a un interesse di rilevanza patrimoniale dell'erogante), e non sia accompagnata da alcun obbligo posta a carico dello sponsor, se è al di fuori dello schema dello sponsorizzazione, rientrandosi, invece, in quello del mecenatismo, e ciò anche qualora il soggetto finanziatore benefici comunque di un ritorno di immagine per effetto del comportamento spontaneo, di pubblico ringraziamento, posto in essere dallo sponsorizzato. La stessa disciplina fiscale non esclude, pertanto, la natura di erogazione liberale dell'atto allorquando lo stesso sia accompagnato da forme di riconoscimento essenzialmente morale, non trasmodante in una forma di promozione dell'azienda o dei suoi prodotti. D'altra parte, se è vero che, di regola, l'elargizione liberale è lo strumento adoperato dalle persone fisiche e dalle persone giuridiche non perseguenti fini di lucro, esso non è perciò precluso alle persone giuridiche lucrative e alle imprese commerciali in generale. In tali casi l'amministrazione precedente dovrà prestare un'attenzione particolare a che il riconoscimento morale attribuito al donatore impresa commerciale non travalichi i limiti suoi propri per assumere la consistenza di una vera e propria sponsorizzazione».
  Per quanto sopra esposto, il Ministero dell'economia e delle finanze ritiene che, contenendo il decreto ministeriale 19 dicembre 2012 sopra richiamato linee guida interpretative del quadro normativo vigente, «è possibile sostenere che le qualificazioni ivi riportate possono assumere valenza generale» e che, pertanto, «il quadro normativo di riferimento nel quale si colloca il credito d'imposta in argomento sia sostanzialmente consolidato e che non sarebbero, dunque, necessari ulteriori interventi chiarificatori».
  Questa amministrazione, condividendo quanto espresso dal Ministero dell'economia e delle finanze, nel parere sopra riportato, ritiene accettabile menzionare nel sito web degli enti beneficiari, previa rilascio della liberatoria, da parte del mecenate, alla pubblicazione, un pubblico ringraziamento a quest'ultimo (citando solo il nome o la ragione sociale, senza riferimento al marchio, attività, prodotti ecc.), nei casi in cui le modalità di comunicazione dei soggetti beneficiari consistono in una forma di riconoscimento morale al mecenate, senza che ciò rappresenti adempimento di un obbligo per l'ente beneficiario.
  Analogamente, sul sito web di questo Ministero è prevista una pagina di pubblico ringraziamento per mecenati che forniscano i dati relativi alle loro erogazioni, previo rilascio della opportuna liberatoria.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.


   ROMANINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il ponte sul fiume Taro fu costruito nel 1816 per volere di Maria Luigia d'Asburgo Lorena. Inaugurato nel 1819 è lungo 565,5 metri e largo 8 metri poggiandosi su 8 arcate;
   questa infrastruttura, collocata sulla via Emilia, ha svolto fin dalla sua inaugurazione una funzione importantissima consentendo l'attraversamento del fiume Taro sulla allora principale strada di collegamento con Piacenza, Milano, e altre località;
   lo scultore Giuseppe Carra per l'accesso del ponte scolpì 4 statue raffiguranti i principali corsi d'acqua del parmense;
   è stato dichiarato bene di interesse storico artistico dalla direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici dell'Emilia Romagna ai sensi degli articoli 10, comma 1, e 12 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42;
   il ponte sul Taro ancora oggi rappresenta una delle maggiori opere a livello infrastrutturale e viario per il territorio. Esso necessita però di importanti interventi di manutenzione, in quanto eventi atmosferici e usura del tempo ne mettono seriamente a rischio l'integrità, per consolidarne la staticità, preservarne e recuperarne il valore storico-testimoniale;
   i vigili del fuoco del comando di Parma nel loro intervento presso il ponte sul Taro, del 19 ottobre 2015, hanno rilevato come, si legge nel verbale: «tuttavia si rende necessario per tutti gli Enti interessati una approfondita verifica da parte di personale qualificato, e una urgente opera di consolidamento e messa in sicurezza dell'intera struttura del ponte. Tutto questo per la tutela della pubblica e privata incolumità e dei transiti veicolari»;
   nella viabilità ordinaria questo ponte mantiene pienamente la sua strategicità e la sua rilevanza nazionale, cosicché un intervento a livello ministeriale, foss'anche con un concerto tra i Ministeri dei beni e delle attività culturali e del turismo e delle infrastrutture e dei trasporti, appare più che auspicabile e dovuto –:
   se i Ministri siano a conoscenza della situazione sopraindicata;
   in che modo intendano intervenire, per quanto di competenza, per sostenere le amministrazioni locali negli ormai indifferibili interventi di manutenzione straordinaria e recupero conservativo del ponte. (4-11261)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo in esame, con il quale l'interrogante, premesso che il ponte sul fiume Taro è stato dichiarato bene di interesse storico artistico e rappresenta una delle maggiori opere a livello infrastrutturale e viario per il territorio; che esso necessita di interventi di manutenzione, in quanto eventi atmosferici e usura del tempo ne mettono seriamente a rischio l'integrità, chiede di sapere in che modo il ministero intenda intervenire al fine di sostenere le amministrazioni locali negli indifferibili interventi di manutenzione straordinaria e recupero conservativo del ponte.
  A tal proposito si rappresenta quanto segue.
  Con decreto della direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici della regione Emilia-Romagna in data 29 ottobre 2014, il Ponte sul Taro, struttura di grande interesse storico e architettonico, è stato dichiarato di «interesse culturale».
  La soprintendenza architettonica competente per territorio è da lungo tempo a conoscenza delle gravi condizioni in cui versa il ponte e ne sorveglia con attenzione lo stato di conservazione. È infatti del settembre 2000 la prima segnalazione della Soprintendenza alla società ANAS di Bologna, all'epoca proprietaria del ponte, con la quale si chiedeva di provvedere ai necessari interventi di restauro e consolidamento del ponte, ma la società ANAS ritenne di non dover intervenire. Il ponte poi fu ceduto nel 2005 dall'ANAS ai Comuni di Parma per 2/4, di Fontevivo per 1/4 e di Noceto per il restante 1/4.
  Da allora sono state diramate diverse comunicazioni da parte della soprintendenza a vari enti locali, inerenti allo stato di degrado del ponte, nelle quali veniva costantemente sottolineata la necessità di predisporre un piano di riqualificazione dell'intera area, anche per la presenza della zona a parco fluviale, area paesaggisticamente tutelata. Nonostante le varie azioni di sensibilizzazione che negli anni la soprintendenza ha avviato presso vari enti, non vi è stata alcuna proposta di fattivo intervento. Presso la soprintendenza è conservato un ampio carteggio in merito alla vicenda riguardante lo stato conservativo del ponte sul Taro.
  Nel dicembre 2013, a causa dello scarso stato manutentivo del ponte, si è verificato il distacco di alcuni mattoni da una delle arcate del ponte, che ha comportato l'intervento dei vigili del fuoco; in quell'occasione il comune di Parma ha provveduto a realizzare le opere di salvaguardia richieste dal comando dei vigili del fuoco.
  A seguito di incontri avvenuti tra le amministrazioni comunali proprietarie del ponte, è stato redatto un progetto di fattibilità sul monitoraggio strutturale e restauro del ponte presentato nel settembre 2014 dal Comune di Parma agli altri comuni proprietari, nonché al ministero, dell'onere stimato in circa 10 milioni di euro. Sulla base di tale progetto, ed in considerazione dell'importanza che il ponte riveste nei confronti degli intensi traffici veicolari sulla Via Emilia già da epoche antiche, e per i quali esso è da considerarsi infrastruttura pubblica di primaria importanza, la soprintendenza competente ha proposto l'inserimento di interventi di recupero del ponte nella programmazione triennale ordinaria 2015-2017 di questo ministero, proposta, tuttavia non accolta in fase di adozione.
  Da ultimo si sottolinea che un ulteriore intervento dei vigili del fuoco è stato effettuato nell'ottobre 2015, a seguito del quale è seguita una fitta corrispondenza tra la soprintendenza e i comuni di Fontevivo (a seguito di emissioni di alcune ordinanze contingibili e urgenti, nonché risposte a interrogazioni del consiglio regionale dell'Emilia Romagna) e di Parma.
  Gli interventi attualmente in corso sul ponte si riferiscono alla mera manutenzione, spettante agli enti proprietari e gestori del ponte e della strada (Via Emilia), ma non concernono interventi di consolidamento da attuare per iniziativa dei tre comuni proprietari del ponte, i quali hanno già segnalato la mancanza di disponibilità finanziaria per attivare anche le pur minime operazioni di consolidamento strutturale del ponte.
  Si fa presente infine che il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti in data 15 gennaio 2016 ha comunicato a questo ministero di non disporre di elementi utili per la risposta ai quesiti posti dall'interrogante.
  Si intende, peraltro, esprimere in conclusione l'impegno di questa amministrazione a promuovere ogni utile collaborazione fra le diverse istituzioni interessate, al fine di individuare gli strumenti anche finanziari atti ad avviare il problema segnalato, della cui rilevanza vi è piena consapevolezza, a soddisfacente soluzione.
La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti Dell'Acqua.