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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 8 aprile 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    i recenti attentati di Bruxelles con la loro scia di violenza e terrore dimostrano come la minaccia e il rischio di attentati, anche nel cuore dell'Europa, debbano essere prevenuti, piuttosto che curati;
    in questi attacchi è stato possibile osservare la mancata organizzazione tra le intelligence dei Paesi dell'Unione europea, nello specifico caso, Francia e Belgio, ed è stata uno dei motivi dell'impreparazione delle forze di polizia;
    le modalità con le quali sono avvenute queste azioni destano grande preoccupazione soprattutto in considerazione del fatto che gruppi organizzati e armati riescono, ormai, a muoversi con estrema facilità e in tutta tranquillità nella capitali europee, mettendo in esecuzione delle vere e proprie operazioni militari;
    il gruppo parlamentare del MoVimento 5 Stelle, anche in sede istituzionale, ha evidenziato quali possano essere le strade da percorrere per cercare di combattere definitivamente i fenomeni terroristici;
    è innanzitutto necessario, a parere dei presentatori del presente atto di indirizzo, interrompere ogni possibile canale di finanziamento a questi gruppi e, nello specifico, all'ISIS, e, conseguentemente, ridimensionare i rapporti istituzionali e commerciali con quei Paesi – come Arabia Saudita, Qatar e Turchia – che hanno dimostrato di averlo sostenuto;
    diviene di fondamentale importanza bloccare, contestualmente, l'esportazione di armi verso i Paesi del Golfo che fomentano guerre e instabilità politica;
    risultano necessari consistenti investimenti in termini di sicurezza interna attraverso una sempre più stretta e efficace collaborazione tra i servizi di intelligence, inizialmente tra i Paesi dell'Unione europea e successivamente anche extra Unione, in funzione di prevenzione e controllo di frange e gruppi estremistici;
    nello scenario mondiale risulta fondamentale il ruolo nella lotta al terrorismo svolto dalla Federazione russa;
    in considerazione della posizione geopolitica rivestita dalla Russia, sarebbe di primaria importanza che l'Unione europea riallacci, nel più breve tempo possibile, normali rapporti politici diplomatici, economici e istituzionali poiché la lotta alle organizzazioni terroristiche non potrà che passare attraverso una cooperazione internazionale multilaterale;
    l'Italia, insieme alla Germania, sono, tra l'altro, gli Stati che hanno subìto e stanno subendo il colpo più duro in termini economici dal momento che – stando agli ultimi dati riportati da uno studio della CGIA di Mestre – le sanzioni economiche verso la Russia e le conseguenti contromisure volute da Mosca hanno pesato sull’export italiano per ben 3,6 miliardi di euro;
    al riguardo va sottolineata l'incoerenza della posizione di alcuni Stati membri, come la Germania, la quale, da un lato, ha sostenuto le sanzioni alla Russia e, dall'altro, ha concluso l'accordo per il raddoppio del progetto North Stream (gasdotto russo-tedesco) che farà della Germania il principale hub energetico in Europa;
    va inoltre considerato che i consumi di gas russo sono cresciuti quest'anno praticamente in tutti gli Stati europei consumatori, con ciò evidenziando la necessità, anche per quanto riguarda gli aspetti concernenti l'approvvigionamento energetico, di riallacciare rapporti politico-economici con la Federazione russa;
    l'adozione all'unanimità di queste misure è intervenuta nonostante le parole di senso contrario del Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, che, durante l'incontro con il suo omologo russo, Serghei Lavrov tenutosi a Mosca il 25 marzo 2016, ha affermato, tra l'altro, «(...) noi non possiamo permetterci di lasciare che questa diventi una pratica burocratica, permettere che le sanzioni vengano rinnovate automaticamente»;
    il Governo, in materia di sanzioni alla Russia, non è mai riuscito a ottenere alcun risultato concreto per smorzare o cancellare le sanzioni e gli embarghi da entrambi i lati;
    si è assistito a una militarizzazione dell'Est Europa che incide sul delicato equilibrio geopolitico di quell'area. La NATO ha intensificato il numero di esercitazioni militari e sta portando avanti il più grande rafforzamento militare dai tempi della seconda guerra mondiale;
    l'incapacità di approccio politico e diplomatico nei confronti della Federazione russa si può intuire anche dalla scelta di invitare, in questo preciso periodo storico, lo Stato del Montenegro a entrare nella NATO, così come le trattative in corso con Ucraina e Georgia. Stati sovrani considerati «cuscinetto» di sicurezza del blocco russo, con il blocco NATO. Va, tuttavia ricordato, che l'iniziativa condotta in tal modo, vista dalla prospettiva russa viene interpretata come gravissima provocazione e come un tentativo di aggressione alle proprie aree di sicurezza;
    il progressivo isolamento economico, politico e diplomatico tra la Russia e i Paesi dell'Unione europea e delle altre forze occidentali indebolisce il fronte comune che la comunità internazionale deve invece costituire al fine di intraprendere le necessarie azioni di contrasto ai fenomeni terroristici;
    nell'ottica di allargare la cooperazione extra Unione, il quadro risulta particolarmente grave se si considera che, ad esempio, non risulta allo stato esistente alcuna forma di coinvolgimento e/o cooperazione tra i servizi di intelligence dei Paesi dell'Unione europea con quelli russi, collaborazione che, come più sopra accennato, appare indispensabile soprattutto per prevenire nuovi attentati da parte di gruppi jihadisti;
    le misure restrittive in ambito di Unione europea sono stabilite nelle decisioni del Consiglio europeo in materia di politica estera e di sicurezza comune (PESC) e sono adottate all'unanimità su proposta dell'Alto rappresentante dell'Unione per gli affari esteri e la politica di sicurezza;
    un voto contrario dell'Italia al Consiglio europeo avrebbe impedito e avrebbe la capacità di impedire la proroga di ulteriori misure sanzionatorie nei confronti della Federazione russa;
    i rischi principali per l'Europa, e per l'occidente in generale, sono rappresentati dai fenomeni terroristici e dalle frange jihadiste, non certo dalla Russia con la quale l'Italia ha storicamente consolidati rapporti economico-commerciali e cordiali relazioni politiche,

impegna il Governo:

   ad attivarsi nelle competenti sedi internazionali affinché possano gettarsi le basi per la creazione di una sempre più stretta ed efficace collaborazione e cooperazione tra i servizi di intelligence dei Paesi dell'Unione europea e di quelli non aderenti all'Unione, ivi compresa la Federazione russa, in funzione di prevenzione e contrasto a fenomeni terroristici;
   a promuovere e sostenere in sede europea ogni iniziativa utile al fine di procedere alla revoca del sistema di sanzioni europee alla Federazione russa e, in ogni caso, a manifestare voto contrario in seno al Consiglio dell'Unione europea che eventualmente dovrà esprimersi sul rinnovo e/o proroga del predetto regime di sanzioni.
(1-01219) «Di Battista, Tofalo, Manlio Di Stefano, Frusone, Sibilia, Spadoni, Del Grosso, Rizzo, Scagliusi, Grande, Basilio, Corda, Paolo Bernini».


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 14, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, che reca il testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di documentazione amministrativa, sancisce che la trasmissione del documento informatico per via telematica, con modalità che assicurino l'avvenuta consegna, equivale alla notificazione per mezzo della posta nei casi consentiti dalla legge;
    l'articolo 27, comma 8, lettera e) della legge 16 gennaio 2003 stabilisce che l'uso della posta elettronica venga esteso nell'ambito delle pubbliche amministrazioni e dei rapporti tra pubbliche amministrazioni e privati;
    il decreto del Presidente della Repubblica 11 febbraio 2005, n. 68, «Regolamento recante disposizioni per l'utilizzo della posta elettronica certificata, a norma dell'articolo 27 della legge 16 gennaio 2003, n. 3», statuisce le caratteristiche e le modalità per l'erogazione e la fruizione di servizi di trasmissione di documenti informatici mediante posta elettronica certificata (PEC);
    la PEC, in sostanza, è un sistema di trasmissione sicuro e regolamentato per inviare documenti e messaggi di posta elettronica con valore legale. Viene istituita come versione digitale della raccomandata con ricevuta di ritorno e punta a rendere più agili, immediati ed economici, tutti gli scambi di informazioni tra persone, imprese, pubbliche amministrazioni e professionisti, sfruttando le potenzialità del digitale;
    con il decreto legislativo 7 marzo 2005, n. 82, viene emanato il «CAD» ovvero il «Codice dell'amministrazione digitale», costituito da un insieme di norme che favoriscono e regolamentano le comunicazioni digitali tra la pubblica amministrazione e i cittadini;
    con l'articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n.185 (convertito, con modificazioni, dalla legge 28 gennaio 2009, n. 2) viene introdotto l'obbligo da parte delle imprese e dei professionisti di creare un indirizzo di PEC proprio e di comunicarlo rispettivamente al registro delle imprese e agli ordini o collegi di appartenenza;
    i commi 1 e 2 dell'articolo 5 del decreto-legge 18 ottobre 2012, n.179 (convertito, con modificazioni, dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221) estende l'obbligo alle imprese individuali, siano esse nuove o già esistenti, di comunicare al registro delle imprese il proprio indirizzo PEC. Il comma 3 dello stesso articolo, apportando una modifica al decreto legislativo del 7 marzo 2005, dopo l'articolo 6, introduce l'articolo 6-bis che sancisce la nascita dell'INI-PEC, l'Indice nazionale degli indirizzi di posta elettronica certificata, a partire dagli elenchi di indirizzi PEC già registrati presso il registro delle imprese e gli ordini o collegi professionali di appartenenza dei singoli professionisti, come previsto dall'articolo 16 del decreto-legge 29 novembre 2008, n.185;
    INI-PEC è oggi una realtà al servizio di molti soggetti: cittadini, imprese, professionisti, pubbliche amministrazioni;
    attualmente le organizzazioni sindacali, forma istituzionale e di autotutela esclusiva dei lavoratori, non hanno l'obbligo di dotarsi di una PEC;
    la libertà sindacale è sancita dall'articolo 39 della Costituzione e rimarrebbe un principio astratto se non si evolvesse in «diritto sindacale» all'interno dell'impresa e nella contrattazione collettiva nazionale che rappresenta uno dei principali strumenti di autoregolamentazione per i rapporti di lavoro e per le relazioni sindacali;
    con l'adozione del regolamento (UE) n. 910 del 23 luglio 2014 (2014/910/UE) «eIDAS», entrato in vigore il 17 settembre 2014, si è provveduto a garantire la piena interoperabilità a livello comunitario non solo della firma elettronica ma di tutto un insieme di servizi di identificazione ed autenticazione: questo regolamento troverà applicazione definitiva dal 1o luglio 2016 con l'abrogazione della direttiva 1999/93/EC;

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per assicurare che, per le comunicazioni per cui attualmente è richiesto l'obbligo di utilizzare la forma della raccomandata con ricevuta di ritorno, i cittadini siano messi in condizione di poter liberamente scegliere di utilizzare la PEC o un altro strumento di recapito a norma «eIDAS», essendo questi metodi di trasmissione digitale, immediati, sicuri, garantiti e soprattutto economici;
   ad assumere iniziative per prevedere che i sindacati, oltre alle associazioni, alle organizzazioni e alle fondazioni che per la loro attività sono destinatari di documenti con valore legale, abbiano il dovere di dotarsi di una PEC affinché gli utenti possano trasferirli in sicurezza ed in immediatezza salvaguardando l'economicità.
(1-01220) «Cristian Iannuzzi, Galgano, Prodani, Quintarelli, Carrozza, Gribaudo, Dallai, Bruno Bossio, Basso, Rizzetto».


   La Camera,
   premesso che:
    il decreto direttoriale 11 settembre 2012, n. 14, del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, successivamente integrato dal decreto del 4 ottobre 2012 n. 17, ha istituito il «Comitato paritetico nazionale per le malattie croniche e la somministrazione dei farmaci» – composto da rappresentanti del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, del Ministero della salute, della Conferenza delle regioni e delle province autonome, della Conferenza unificata, dell'ISTAT e da esperti del settore;
    gli obiettivi del Comitato, nato anche a seguito delle segnalazioni relative alle numerose difficoltà di inserimento dei bambini affetti da diverse patologie (per esempio asma bronchiale, diabete, allergia) in ambito scolastico sono:
     1) effettuare, anche in collaborazione con il sistema statistico nazionale, una ricognizione dei dati relativi alla somministrazione dei farmaci nelle scuole di ogni ordine e grado, al fine di conoscere l'entità del fenomeno;
     2) definire le linee guida nazionali in tema di assistenza a studenti con patologie croniche che necessitano di somministrazione di farmaci in orario scolastico (con particolare riferimento alle patologie croniche maggiormente prevalenti in ambito scolastico – diabete mellito, asma bronchiale ed epilessia) con i relativi protocolli operativi;
     3) definire i compiti e le responsabilità delle figure professionali coinvolte;
     4) individuare i criteri più idonei in base ai quali promuovere campagne di sensibilizzazione, formazione e informazione sul tema;
    l'Istat, su incarico del Comitato, ha svolto un'indagine conoscitiva, riferita agli anni 2013-2014, riguardante la gestione delle emergenze, la continuità terapeutica e le modalità organizzative del fenomeno, con particolare riferimento alle patologie soprariportate;
    detta indagine ha evidenziato che:
     1) la richiesta di somministrazione di farmaci interessa un numero rilevante di scuole: nell'anno scolastico 2013-14 sono state 2.911 le scuole primarie e secondarie di primo grado (15 per cento del totale delle scuole) che hanno ricevuto almeno una richiesta di somministrazione di farmaci per continuità terapeutica, per un ammontare complessivo di ben 5.816 richieste, con un incremento del 10 per cento del numero complessivo di richieste rispetto all'anno scolastico precedente; nelle scuole primarie la richiesta di somministrazione di farmaci è risultata pari al 71 per cento delle richieste complessivamente pervenute con una differenziazione sensibile tra le regioni centrosettentrionali e quelle meridionali: in particolare sono stati registrati valori superiori al 20 per cento in Emilia Romagna e Lombardia e valori inferiori al 4 per cento in alcune regioni del Mezzogiorno;
     2) i farmaci, nel 48 per cento delle richieste, sarebbero stati somministrati all'alunno direttamente da soggetti appartenenti al personale docente o non docente (dirigente scolastico, insegnante, addetto di segreteria, collaboratore scolastico) o sotto la vigilanza del personale medesimo; nel 26 per cento delle richieste i farmaci sarebbero stati assunti direttamente dell'alunno (autosomministrazione) e nel 17 per cento delle richieste i farmaci sarebbero stati somministrati direttamente da un familiare dell'alunno cui sarebbe stato autorizzato l'accesso nella scuola;
    nella scuola secondaria la somministrazione dei farmaci ad alunni da parte del personale scolastico è risultata ancora più marcata (57 per cento) rispetto a quella registrata nella scuola primaria (40 per cento);
    sulla base dei dati forniti dall'Istat, il Comitato, il 3 marzo 2013, ha approntato, presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, un tavolo di confronto con le regioni al fine di approfondire le problematiche relative alla somministrazione di farmaci nelle scuole e concertare modalità comuni con tutti i soggetti coinvolti atte alla loro risoluzione;
    al termine di un lavoro lungo e complesso, durato circa due anni, il Comitato ha stilato le «Linee guida per la somministrazione dei farmaci a scuola» contenenti un unico «modello» organizzativo e procedurale, sia per la continuità terapeutica che per la gestione delle emergenze, tale da rispondere alle necessità di ciascun soggetto affetto da patologie croniche, con particolare riferimento agli alunni malati di asma, diabete ed epilessia;
    dette linee guida paiono essere perfettamente in linea con le innovazioni normative introdotte dalla legge n. 107 del 2015, in particolare in tema di obbligatorietà della formazione del personale docente quale parte integrante del processo di accoglienza degli alunni e delle loro famiglie all'interno delle scuole;
    dette linee guida, condivise anche dall'Autorità garante per l'infanzia e l'adolescenza, dalle diverse società scientifiche e dalle associazioni delle famiglie degli alunni malati, dopo essere state integrate ed emendate con le proposte migliorative scaturite da un confronto fra tutti i soggetti coinvolti, sono state approvate in via definitiva dal Comitato il 23 settembre 2015;
    successivamente, il 9 novembre 2015, Federsanità ha indetto una consultazione sul tema della somministrazione dei farmaci nelle scuole fra le regioni italiane che ha evidenziato l'importanza della formazione del personale scolastico e la «volontarietà» degli insegnanti a somministrare farmaci in classe agli alunni bisognosi a seguito di idonei corsi formativi;
    le regioni hanno auspicato la rapida adozione di uno strumento normativo comune a tutto il territorio nazionale atto a garantire il diritto all'istruzione e, al contempo, il diritto alla salute di tutti i bambini;
    allo stato le sopracitate linee guida contenenti il modello organizzativo e procedurale sono all'attenzione del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
    appare ormai improcrastinabile l'esigenza di consentire a tutte le regioni di dotarsi di un modello organizzativo e procedurale unitario e condiviso che consenta di superare le disparità attualmente esistenti in materia di somministrazione di farmaci all'interno delle scuole,

impegna il Governo:

   a procedere quanto prima all'adozione definitiva delle «linea guida per la somministrazione dei farmaci a scuola», onde consentire il recepimento e l'attuazione delle stesse in via definitiva da tutte le regioni;
   a consentire, secondo quanto previsto dall'articolo 4 del citato decreto direttoriale n. 14 dell'11 settembre 2012, che il «Comitato paritetico nazionale per le malattie croniche e la somministrazione dei farmaci» vigili sull'attuazione del documento di indirizzo da parte delle regioni e sul successivo monitoraggio finalizzato alla valutazione dei risultati ottenuti e delle eventuali criticità emerse.
(1-01221) «Becattini, Fucci, Martelli, Beni, Berlinghieri, Anzaldi, Bergonzi, Bonomo, D'Incecco, Parrini, Tinagli, Terrosi, Carra, Vargiu, Malpezzi, Scuvera, Dallai, Albini, Cenni, Arlotti, Tacconi, Capone, Sbrollini».

Risoluzioni in Commissione:


   La VI Commissione,
   premesso che:
    da lungo tempo nel nostro Paese si è alla ricerca di soluzioni che siano in grado di far fronte all'annosa questione delle abitazioni, cioè della soddisfazione della domanda di servizi abitativi da parte non solo degli indigenti ma anche, ormai, di famiglie e soggetti appartenenti alle classi medie e ai ceti impiegatizi;
    una caratteristica del mercato dell'edilizia residenziale è la sua struttura per titoli di godimento delle abitazioni, il cui baricentro è fortemente spostato sulla proprietà a discapito dell'affitto; il confronto con altri Paesi europei, dove la maggioranza della popolazione vive in case di cui non ha la proprietà, fa ritenere molto spesso come negativa tale peculiarità italiana, poiché l'offerta deficitaria delle abitazioni in affitto ostacola lo sviluppo dell'economia, in quanto frena la mobilità territoriale della forza lavoro e, naturalmente, si riflette negativamente sul benessere delle famiglie, costringendole a destinare quote crescenti del loro reddito al pagamento dei canoni;
    tra le varie motivazioni addotte per giustificare la dimensione asfittica del mercato degli immobili residenziali in locazione nel nostro Paese si fa particolare riferimento alla bassa redditività del capitale investito in quest'attività, insufficiente per attrarre adeguati volumi di risorse finanziarie nel settore, con conseguente lenta crescita dell'offerta di abitazioni in affitto;
    date tutte le altre condizioni, un elemento al quale si imputa la scarsa disponibilità degli investitori di professione a riversare risorse nell'edilizia residenziale per l'affitto e la propensione dei risparmiatori a preferire allocazioni dei loro risparmi in attività diverse da quelle immobiliari è l'elevato livello di pressione fiscale che graverebbe sui ricavi da canoni;
    con il decreto legislativo sul federalismo municipale (decreto legislativo 14 marzo 2011, n. 23) è stata istituita la cedolare secca sugli affitti, vale a dire la possibilità per i proprietari di immobili concessi in locazione di optare in luogo dell'ordinaria tassazione Irpef sui redditi dalla locazione, per un regime sostitutivo, che assorbe anche le imposte di registro e bollo sui contratti, le cui aliquote sono pari al 21 per cento per i contratti a canone libero ed al 19 per cento per quelli a canone concordato;
    il principale scopo affidato a questo regime di tassazione dei canoni degli immobili residenziali è il rilancio del mercato degli affitti: infatti, incentivando i proprietari a locare un maggior numero di alloggi se ne aumenta l'offerta nel breve periodo, ma, come dimostrato da illustri economisti, la riduzione del carico fiscale sui canoni produce effetti benefici anche nel medio e lungo periodo; infatti, tale misura, oltre a mettere nuovamente in circolazione il patrimonio esistente, rende elastica l'offerta di nuove case, poiché la riduzione delle imposte sui canoni di locazione, con il conseguente aumento della redditività netta degli investimenti, spinge verso il mercato dell'edilizia residenziale nuovi capitali per la costruzione di nuove abitazioni destinate all'affitto;
    l'applicazione della cedolare secca comporta un forte vantaggio fiscale sia per i proprietari dell'appartamento concesso in affitto, sia per gli inquilini stessi, poiché la registrazione del contratto assorbe ben 5 tasse diverse, dall'imposta di bollo e di registro alle addizionali Irpef sul reddito, ma soprattutto perché gli inquilini avranno da parte loro la certezza di non vedersi aumentare l'affitto nel corso del contratto, in quanto il proprietario che opta per la cedolare secca rinuncia all'adeguamento ISTAT del canone;
    l'istituzione della cedolare secca ha comportato notevoli vantaggi anche dal punto di vista economico; i dati mostrano infatti che in soli tre anni (2011-2013) si è passati da poco più di mezzo milione a più di un milione di locazioni cui si applica la cedolare secca, per un ammontare di imponibile di circa 7,5 miliardi di euro (+26 per cento rispetto al 2012) e un'imposta dichiarata di 1,5 miliardi di euro: lo sprint conosciuto nel triennio 2011-2013 del meccanismo impositivo della cedolare secca è dovuto al successo di questa forma di tassazione dell'immobile nelle regioni del Centro sud, dove il numero di chi l'ha scelta, stando alle successive rielaborazioni de Il Sole 24 ore sui dati del Ministero dell'economia e delle finanze, è più che raddoppiata in Molise, Abruzzo, Basilicata, Sardegna, Calabria e Sicilia, contribuendo in parte all'emersione degli affitti in nero;
   l'ufficio del franchising Solo affitti ha rivelato che nel 2013, in quasi due casi su tre, i locatori abbiano preferito optare per il regime fiscale della cedolare secca, piuttosto che sommare il reddito da affitto al proprio imponibile IRPEF;
    per ridare movimento agli affari delle imprese sul territorio e soprattutto per stimolare il commercio e il rifiorire dei negozi di vicinato ci sarebbe una soluzione: estendere i positivi esperimenti fatti nel campo dell'affitto residenziale, attraverso la cedolare secca ed il canone concordato, anche al settore commerciale;
    un'indagine condotta da Anama-Confesercenti dell'anno scorso mostra come, dopo due anni di dura crisi economica, il commercio italiano sia totalmente in ginocchio; stime parlano di 300.000 attività chiuse negli anni più bui della recessione, ovvero dal 2012 al 2015; sebbene molti osservatori e analisti di mercato sostengano che la ripresa sia già iniziata, va rilevato che il terreno su cui si innesta porta ancora i segni di un'economia che ha visto chiudere oltre 600.000 negozi, oggi sfitti;
    a confermare tale scenario è stato il presidente di Confcommercio che, commentando i dati su come siano cambiati dal 2008 al 2015 i centri storici dei principali comuni italiani, ha rilevato come negli ultimi 7 anni sia cresciuto il computo turistico ricettivo, con una forte riduzione dei negozi tradizionali e una crescita del commercio ambulante;
    in uno scenario nel quale circa un negozio su quattro è sfitto, servono dunque un insieme di politiche pubbliche che siano in grado di accompagnare la crescita del Paese: infatti, nessuna agevolazione potrebbe, meglio di una legata all'affitto del locale in cui svolgere la propria attività, aiutare tanti nuovi imprenditori ad affrontare il mercato e avviare la propria attività;
    alla luce degli efficaci risultati derivanti dall'attuazione dello strumento della cedolare secca nel settore residenziale, appare più che opportuno estendere tale misura anche alle locazioni commerciali ed istituire contratti a canone agevolato, con relativo sgravio fiscale per il proprietario, ad un comparto, quello aziendale, legato ancora alle normative e alle tipologie contrattuali degli anni Ottanta;
    in questo modo si renderebbe senz'altro più interessante per i proprietari privati l'affitto ad aziende e con ogni probabilità si ridurrebbe la grande quantità di immobili commerciali oggi sfitti;
    la conseguenza naturale sarebbe, di sicuro, l'aumento del numero di locazioni gestite sul mercato e la riduzione delle tempistiche medie delle trattative,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per estendere le norme attualmente in vigore sulla cedolare secca anche alle locazioni ad uso diverso dall'abitazione.
(7-00964) «Laffranco».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    secondo il programma nazionale di bonifica, curato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, le aree perimetrate come siti di interesse nazionale (SIN) hanno raggiunto negli anni 180 mila ettari di superficie. Oggi, con la riduzione del numero dei SIN da 57 a 39 a seguito del decreto ministeriale 11 gennaio 2013, sono scese ad una superficie di 100 mila ettari;
    in base ai dati aggiornati al marzo 2013, forniti dalla direzione risorse idriche del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, risulterebbe che per i 39 siti di interesse nazionale mancano ancora tanti piani di caratterizzazione; infatti risulterebbero presentati il 100 per cento dei piani di caratterizzazione solo per 11 siti, mentre per gli altri sarebbero parziali o addirittura assenti;
    anche sui progetti di bonifica presentati ed approvati risulterebbe esserci un forte ritardo; infatti, sembrerebbe che per solo tre siti siano stati approvati il 100 per cento dei progetti di bonifica;
    in base ai dati forniti dall'ISPRA, elaborati dai dati delle Arpa, in Italia sarebbero 6.027 i siti potenzialmente inquinati accertati di cui 4.837 definiti come siti contaminati in seguito al superamento dei limiti di legge previsti dalla normativa di settore;
    da un rapporto del 2014 di Legambiente sui siti inquinati si apprende che, secondo alcune stime recenti, il giro d'affari complessivo del risanamento ambientale in Italia si aggirerebbe intorno ai 30 miliardi di euro e che dal 2001 al 2012 sarebbero stati messi in campo 3,6 miliardi di euro di investimenti tra soldi pubblici (1,9 miliardi) e progetti approvati da privati (1,7 miliardi di euro);
    i ritardi negli interventi di bonifica, infatti, posto che nella maggior parte dei casi si è intervenuti solo mettendo le aree interessate in sicurezza, causano un problema ambientale ma soprattutto evidenti danni alla salute, come emerge chiaramente dal progetto Sentieri, promosso dal Ministero della salute e coordinato dall'Istituto superiore di sanità, conclusosi nel 2011 ed in corso di aggiornamento;
    secondo il progetto esistono gravissime conseguenze epidemiologiche derivanti da esposizioni all'inquinamento prodotto da fonti industriali. Si va dall'eccesso di tumori alla pleura nei SIN che hanno a che fare con l'amianto, agli incrementi di mortalità per tumore o per malattie legate all'apparato respiratorio a causa delle emissioni in atmosfera degli impianti petroliferi, petrolchimici, siderurgici e metallurgici; sono, anche stati evidenziati eccessi di mortalità per malformazioni congenite e patologie del sistema urinario per esposizione ai metalli pesanti e composti alogenati, così come emergono eccessi di malattie neurologiche da esposizione a metalli come il piombo e mercurio e solventi organo alogenati oltre ai linfomi di Hodgkin da contaminazione da PCB;
    un quadro devastante che descrive il grave stato di salute dell'ambiente e delle persone, e derivante dalla mancanza di una vera strategia nazionale e della volontà politica e aziendale di mettere in atto concretamente il risanamento ambientale; urge passare dalla fase di caratterizzazione a quella dell'approvazione dei progetti di bonifica e dell'esecuzione dei lavori per la realizzazione di bonifiche vere e non solite messe in sicurezza o «tombamenti»;
   inoltre, sulla epidemiologia ambientale servirebbe garantire risorse economiche necessarie al consolidamento degli studi a partire da Sentieri per indirizzare le bonifiche, definendo da un lato una lista di interventi prioritari e, dall'altra, promuovendo una valutazione d'insieme di impatto sanitario, mirata a prevenire malattie e decessi e ridurre, di conseguenza, l'impatto economico delle spese sanitarie conseguenti;
    altro importante dato riportato da Legambiente è quello relativo alla rete di controlli ambientale che non sembra si sia sviluppata in maniera omogenea sul territorio nazionale, con alcuni casi di eccellenza e tanti altri con fortissime criticità. Controllo e monitoraggio sono fondamentali per il processo di risanamento ambientale, ma per fare ciò serve una vera strategia e una forte volontà politica;
    si ritiene che sia ormai necessario affrontare il discorso delle bonifiche con un intervento forte del Governo realizzando un piano strategico nazionale strutturato con l'obiettivo di raggiungere il risanamento ambientale e restituire un ambiente pulito e sano alle future generazioni;
    si potrebbe ipotizzare di creare una task force costituita da esperti dell'ambiente da scegliere tra ingegneri, tecnici, medici a livello centrale, coordinata e gestita dall'ISPRA, con il compito principale di istituire e successivamente coordinare altri gruppi di esperti locali, in concerto con le regioni ed il supporto dell'ISFOL, per elaborare una mappatura accurata dei siti inquinati, studiarne la criticità, realizzare progetti di bonifica specifici, coordinare e controllare le opere di bonifica ad essi relative, utilizzando le risorse del fondo europeo di sviluppo regionale (FERS) e del fondo di coesione periodo 2014-2020,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per istituire presso l'ISPRA una task force di ingegneri, medici e tecnici con il compito di coordinare e controllare le task force regionali in relazione alle attività concernenti i siti da bonificare di interesse nazionale;
   ad assumere iniziative per costituire task force regionali, in accordo con le regioni e con il supporto dell'ISFOL, per l'individuazione degli esperti, con il compito di mappare i siti inquinati, studiare la tipologia degli interventi per le bonifiche e seguire e controllare i lavori per la realizzazione delle stesse;
   a verificare l'avvenuta bonifica dei siti inquinati di interesse nazionale con una rendicontazione dettagliata degli esperti delle task force regionali da inviare a fine lavori alla referente nazionale.
(7-00962) «Pastorelli, Labriola, Marguerettaz».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    Alitalia Maintenance Systems (AMS) è un'eccellenza tecnologica italiana, con sede in Fiumicino (Rm), che svolge attività di manutenzione, revisione e riparazione di motori per aeromobili e componenti aeronautici;
    il 30 settembre 2016, AMS è stata dichiarata fallita dal tribunale di Roma e, a seguito di una proposta di acquisto, nel mese di marzo 2016, è stato aperto il bando di gara internazionale per la vendita del complesso aziendale. Al riguardo, con la definizione dell'operazione di acquisto, è necessario che vengano rispettati gli impegni presi da parte delle istituzioni e di Alitalia-Etihad, garantendo la continuità dei rapporti di lavoro con la società acquirente dei circa 240 lavoratori di AMS, attualmente in cassa integrazione in deroga;
    in particolare, il presidente Montezemolo ha da sempre dichiarato che, con l'acquisizione di AMS, saranno mantenuti i contratti di servizio per la revisione dei motori della flotta Alitalia—Etihad. Pertanto, con l'apertura del bando, è indispensabile prestare fede a tali promesse, su cui hanno fatto pieno affidamento i lavoratori. Il rispetto degli impegni sul mantenimento dei contratti di servizio con AMS, è necessario anche per smentire alcune recenti notizie, per le quali la revisione dei motori di Alitalia—Etihad verranno destinati per i prossimi dieci anni alla società Israeliana Bedek per circa 500 milioni di euro;
    inoltre, va portato a termine il piano assunto dal Ministero dello sviluppo economico, presso il quale è stato costituito un tavolo permanente su tale vertenza, al fine di risollevare l'azienda e salvaguardare i posti di lavoro;
    ebbene, con la vendita di AMS, affinché possa andare a buon fine l'operazione concordata e, dunque, vengano mantenuti gli attuali livelli occupazionali garantendo ai 240 dipendenti la continuità del rapporto di lavoro con la società acquirente, è indispensabile accordare un'ulteriore proroga della cassa integrazione dei dipendenti di AMS, poiché la stessa è in imminente scadenza il 14 aprile 2016;
    la proroga dell'ammortizzatore sociale è necessaria in attesa che venga portata a termine l'acquisizione di AMS da parte dell'azienda, che ha presentato la manifestazione di interesse a tale operazione;
    si mette in evidenza che si tratta di lavoratori con notevoli competenze specialistiche che non possono andare disperse. Dunque, qualora non si proceda alla proroga della cassa integrazione, la messa in mobilità dei ben 240 dipendenti comporterebbe, oltre ad ovvie e gravi conseguenze per gli stessi e le loro famiglie, anche la difficile ricollocazione di personale altamente specializzato;
    è, quindi, necessario ed urgente procedere alla proroga in questione, allo scopo di garantire la tutela occupazionale ed il rilancio di una realtà produttiva strategica, che rappresenta l'unica eccellenza motoristica di revisione aeronautica dell'Italia. Non procedere a tale provvedimento significherebbe annullare tutto il lavoro delle istituzioni e dalle rappresentanze sindacali, ad oggi svolto, rendendo vani anche i sacrifici dei tanti lavoratori che attendono una ripartenza dell'azienda,

impegna il Governo

in vista della prossima scadenza in data 14 aprile 2016, ad adottare urgentemente tutte le iniziative idonee e necessarie per prorogare la cassa integrazione in deroga dei dipendenti della Alitalia Maintenance Systems.
(7-00963) «Rizzetto, Rampelli, Giorgia Meloni, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


   La XIII Commissione,
   premesso che:
    come noto, i Consorzi di tutela svolgono essenzialmente funzioni di tutela, promozione e valorizzazione del prodotto oltre a curare gli interessi relativi alle denominazioni;
    il decreto ministeriale 12 aprile 2000, n. 61413, all'articolo 4, individua nelle filiere produttive le categorie dei produttori ed utilizzatori dei prodotti DOP e IGP ed in particolare, alla lettera d), gli olivicoltori per la filiera degli oli DOP;
    ai fini del riconoscimento, il Consorzio deve dimostrare la partecipazione agli organi sociali delle categorie di riferimento individuate all'interno di ciascuna filiera produttiva; nel caso della filiera dell'olio la percentuale di partecipazione dei soggetti produttori è pari al 66 per cento, mentre il restante 34 per cento è ripartito tra frantoiani ed imbottigliatori come stabilito dalla vigente normativa;
    calcolare la rappresentatività sul prodotto primario, ovvero sulle olive, senza tenere conto di quanto olio finisce effettivamente a certificazione appare tuttavia una stortura che rischia di mettere in difficoltà i consorzi;
    per alcuni di essi, infatti, in particolare per il Consorzio «Terra di Bari» è estremamente complesso mantenere i requisiti di rappresentatività, in quanto molte aziende olivicole si inseriscono nel sistema di certificazione della DOP «Terra di Bari» esclusivamente per poter accedere al beneficio del sostegno accoppiato di cui all'articolo 68 del regolamento (UE) 73/2009 senza tuttavia iscriversi al Consorzio;
    posto che il prodotto tutelato è l'olio e non le olive, così come più volte chiarito dallo stesso Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali e considerato che, come risulta da dati ufficiali, su una quantità di olive certificate dall'ente camerale pari a 100, solo il 40 per cento diventa olio DOP Terra di Bari, sarebbe opportuno rivedere i criteri di rappresentatività e i soggetti certificatori della DOP anche in considerazione del nuovo sistema di pagamento unico per superficie previsto nel regolamento (UE) 1307/2013,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per modificare il decreto citato in premessa al fine di calcolare la rappresentatività dei consorzi DOP dell'olio di oliva sui produttori che rispetto alle olive annualmente dichiarate come DOP effettivamente arrivano alla certificazione dell'olio, in filiera corta o per il tramite di trasformatori e confezionatori.
(7-00961) «L'Abbate, Gallinella, Gagnarli, Parentela, Benedetti, Massimiliano Bernini, Lupo».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   FREGOLENT, D'OTTAVIO, BARGERO, PATRIARCA, GRIBAUDO e FIORIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nel corso di un torneo denominato «Memorial Antonio Gioia» la squadra dei Giovanissimi di fascia B del Settimo Calcio ha incontrato, sul campo del Volpiano, i pari età dell'Alpignano;
   si tratta di squadre composte da ragazzi di 12/13 anni di età;
   la squadra del Settimo indossa una maglia colore fucsia;
   come riportato dalle cronache che hanno avuto anche rilevanza sul piano nazionale il colore della maglia in maniera del tutto incomprensibile ha dato il via ad una serie di pesantissimi insulti di stampo omofobo all'indirizzo dei ragazzi del Settimo;
   gli insulti provenivano da frange di ragazzi del Volpiano squadra con cui esiste una rivalità campanilista con il Settimo;
   i dirigenti della squadra del Settimo non hanno sporto denuncia per evitare di esasperare gli animi;
   tale episodio denota ancora una volta l'emergere di una incultura razzista e omofoba che non può trovare tolleranza da parte delle autorità sportive competenti ed impone una attenta riflessione a tutte le centrali educative di questo Paese in particolare nell'ambito dello sport;
   non è purtroppo la prima volta che sul territorio nazionale proprio in occasione di confronti che riguardano squadre giovanili si verificano episodi di siffatta gravità;
   occorre intervenire con rapidità coinvolgendo tutti i soggetti istituzionali, associativi e soprattutto dei genitori per far prevalere i principi fondamentali dello sport –:
   se, in considerazione di quanto riportato in premessa, il Governo non intenda promuovere in tempi rapidi una più attenta e vasta riflessione, coinvolgendo tutti i soggetti protagonisti a partire dalle scuole calcio, per avviare iniziative anche di carattere nazionale finalizzate alla formazione e al rafforzamento della cultura del rispetto e della tolleranza nell'interesse dello sport e delle nuove generazioni per scongiurare il ripetersi di simili episodi. (3-02169)


   LATRONICO, PALESE, CHIARELLI, DISTASO, MARTI, ALTIERI, CIRACÌ, FUCCI, CORSARO e BIANCONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia nel 2015 la produzione di petrolio è stata di 5,5 milioni di tonnellate, di queste il 69 per cento arriva dai giacimenti a terra della Basilicata, il più grande non solo del Paese ma di tutta l'Europa occidentale;
   a tutt'oggi in Basilicata sono presenti 10 permessi di ricerca per un totale di 26 comuni interessati e le istanze di permesso sono 17. Solo a gennaio 2016, l'attività petrolifera ha prodotto quasi 300 mila tonnellate di greggio, estratte dalle due concessioni di Serra Pizzuta Pisticci (MT) e l'altra in Val d'Agri;
   l'inchiesta della procura di Potenza legata allo scandalo del petrolio lucano ha travolto nei giorni, scorsi il Governo, con le dimissioni del Ministro dello sviluppo economico dottoressa Federica Guidi;
   uno dei filoni di inchiesta riguarda un presunto traffico di rifiuti prodotti da Eni nel Centro Oli di Viggiano molto pericoloso per la salute dei cittadini e la salubrità dell'ambiente;
   le aree interessate dall'estrazione di greggio occupano una superficie di circa mille chilometri quadrati, altri 1.454 chilometri quadrati dedicati ad attività di ricerca e sono in corso richieste di nuovi permessi al Ministero dello sviluppo economico che riguardano 3872,35 chilometri quadrati. Un'espansione agevolata anche dalla strategia energetica nazionale, che da un lato dichiara di voler raggiungere e superare gli obiettivi dettati dal pacchetto UE Clima-Energia 2020 e nel percorso verso la decarbonizzazione, dall'altro dedica uno dei pilastri proprio allo «sviluppo sostenibile degli idrocarburi», prevedendo un progressivo aumento delle produzioni nazionali fino a raggiungere nel 2020 i livelli degli anni ‘90;
   in Basilicata associazioni, giornalisti e singoli cittadini, da tempo hanno denunciato i fatti che oggi anche la magistratura rileva nell'indagine sulle vicende connesse alle estrazioni petrolifere. Le notizie dell'inchiesta che sono all'attenzione dell'opinione pubblica nazionale, dimostrano una volta di più che i modelli organizzativi e le strategie di sviluppo messe in campo dalle classi dirigenti sia nazionali che regionali, a fronte di esiti del tutto incerti per lo sviluppo locale, possono produrre devastazione ambientale e mettere a serio rischio la salute dei cittadini;
   per l'associazione contro la corruzione Transparency, il settore delle estrazioni di petrolio e gas è in assoluto tra i più a rischio corruzione, con un tasso del 25 per cento di corruzione percepita. L'Italia ha visto consumarsi sul suo territorio diverse inchieste nel settore dell'estrazione di idrocarburi e quella sul Centro Oli di Viggiano, di proprietà dell'Eni, era venuta alla luce già a febbraio 2014 con un primo blitz dell'Antimafia. Da allora l'ipotesi di reato indicata resta quella del «traffico di rifiuti», ma i filoni d'indagine si sono moltiplicati;
   la vicenda giudiziaria che ha portato all'arresto di amministratori, tecnici e imprenditori per la verità di traffico e smaltimento illecito di rifiuti in Val d'Agri è l'ennesimo scandalo per la regione Basilicata. Sono tre i filoni di indagine dell'inchiesta Eni: il primo, affidato ai carabinieri del nucleo operativo ecologico, riguarda l'impianto Eni di Viggiano per presunti illeciti nella gestione dei rifiuti. Il secondo filone di indagine, seguito dagli agenti della squadra mobile della polizia di Stato, ha al centro l’iter che ha portato all'autorizzazione del giacimento Tempa Rossa della Total. E il terzo che riguarda l'indagine sul porto di Augusta;
   i carabinieri del NOE hanno messo sotto sequestro alcuni impianti del megapolo di Viggiano (vasche utilizzate per lo stoccaggio dei rifiuti liquidi) e il pozzo di reiniezione di Costa Molina 2 a Montemurro. Secondo l'indagine in corso gli illeciti avrebbero riguardato lo smaltimento delle acque reflue: la reiniezione prevedeva il trasporto tramite una condotta che dal Cova conduceva al pozzo Costa Molina 2, dove i liquidi venivano pompati a bassissima profondità con una procedura non ammessa (vista la presenza di sostanze pericolose) ed episodi di alterazione dei campioni delle acque. L'alterazione dei codici riferiti alle sostanze smaltite aveva una ricaduta economica con un notevole risparmio e conseguente «illecito profitto» per Eni. Secondo i calcoli degli investigatori, il risparmio ipotizzabile per questo «sistema» sarebbe tra il 22 per cento e il 272 per cento (in base a diversi preventivi acquisiti), e si tradurrebbe in una cifra che oscilla tra i 44 e i 110 milioni di euro ogni anno;
   continua a esserci una informazione poco chiara e trasparente sull'attività estrattiva e sulla sicurezza in Val d'Agri e anche sulle cosiddette «anomalie» che causerebbero le «fiammate», da alcuni anni, del centro olio con la chiusura dei pozzi che con molta probabilità emetterebbero quantitativi di gas eccessivi ed incontrollabili per poter essere gestiti dalle strumentazioni e dagli impianti;
   da organi di stampa si apprende dei rilievi da parte degli inquirenti, per quanto riguarda la parte relativa alle attività del Centro Oli di Viggiano, che stanno proseguendo in tutta la regione con indagini epidemiologiche anche sui «bioindicatori», ovvero su indicatori, utili a dimostrare i possibili livelli di inquinamento sulle produzioni agricole locali e sugli allevamenti. I carabinieri del Noe hanno fatto richiesta agli ospedali lucani di acquisire le cartelle cliniche per verificare le patologie presenti nella regione del petrolio, tra cui anche quelle relative ai tumori;
   le cronache lucane sono piene di studi, rilevazioni e dossier che attestano da anni il riemergere degli inquinanti e degli scarti di estrazione/lavorazione degli idrocarburi. L'attività di trivellazione produce sostanze tossiche e cancerogene, fortemente inquinanti e pericolose per la popolazione e l'ambiente, quali idrocarburi pesanti, diossina, acidicanti vari, bario, berillio e anche isotopi radioattivi come l'americio 249 le estrazioni sono anche motivo dell'inquinamento irreversibile delle falde acquifere e delle sorgenti, del bacindidrico del fiume Agri, un insieme di circa 600 sorgenti che si trovano proprio nell'area della concessione Vai d'Agri;
   il quadro che emerge dalle notizie di stampa in merito alle indagini, complesse e delicate, iniziate da parte della procura antimafia nel 2013 e tutt'ora in corso, sull'inquinamento ambientale provocato dalle attività legate all'estrazione petrolifera del Cova, è abbastanza inquietante, e se le accuse fossero confermate è indubbio che il territorio lucano e la popolazione avrebbero subito un grave ed irreparabile danno –:
   di quali elementi disponga il Governo in merito a quanto esposto in premessa;
   quali iniziative di competenza intendano adottare per avviare un accertamento sulle responsabilità delle amministrazioni statali coinvolte e sugli eventuali danni ambientali, a tutela della sicurezza e della salute dei cittadini;
   quali iniziative si intendano intraprendere, anche sul piano normativo, per obbligare le società operanti in aree come quelle descritte in premessa, ai dovuti investimenti in sicurezza ambientale per la salvaguardia dei lavoratori e della salubrità delle popolazioni. (3-02170)


   PIRAS, DURANTI, SCOTTO e PALAZZOTTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto-legge 30 ottobre 2015, n. 174, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 198 del 2015 si sono prorogate le missioni internazionali delle Forze armate e di polizia, le iniziative di cooperazione allo sviluppo e sostegno ai processi di ricostruzione e partecipazione alle iniziative delle organizzazioni internazionali per il consolidamento dei processi di pace di pace e di stabilizzazione sino al 31 dicembre 2015;
   ad oggi – a 97 giorni dalla scadenza temporale delle autorizzazioni per le missioni in corso il Governo non ha provveduto ad emanare alcun decreto di rifinanziamento delle stesse;
   anche il precedente «decreto missioni» (decreto-legge n. 174 del 2015) è stato licenziato dal Consiglio dei ministri il 12 ottobre 2015 e pubblicato in Gazzetta Ufficiale il successivo 30 ottobre, ovvero dopo un mese esatto dalla scadenza di quello precedente, creando la possibilità di un paradosso normativo in caso di mancata approvazione entro i termini. Paradosso normativo che, a detta degli interroganti, si ripresenta come possibilità in particolar modo adesso che si è creata una finestra di vuoto normativo lunga oltre tre mesi;
   i teatri in cui si muovono le forze armate italiane sono in continua evoluzione, data la forte instabilità di alcuni territori, il cambiamento repentino delle strategie del terrore seguito agli attentati di Bruxelles e le consequenziali azioni messe in campo (o annunciate) da diversi nostri Stati partner oltre che dalle Nazioni Unite stesse, e rischiano di non essere più quanto fotografato con l'ultimo decreto;
   ulteriori nuovi scenari di intervento si sono prefigurati negli ultimi mesi, come nel caso della Libia. Già in data 24 febbraio 2016 – con interrogazione a risposta in Commissione a prima firma Duranti del gruppo parlamentare sinistra ecologia libertà è stato chiesto conto delle intenzioni del Governo circa un possibile intervento diretto nello Stato africano, data anche l'autorizzazione alla base di Sigonella per l'utilizzo di droni armati, le indiscrezioni di stampa per cui sarebbero pronti 5000 uomini e le richieste arrivate in tal senso dal Segretario della difesa americana, Ashton Carter;
   a parer degli interroganti la decretazione di urgenza – diventata negli ultimi anni prassi – per il rifinanziamento delle missioni internazionali è strumento ai limiti della legittimità costituzionale (mancando infatti i requisiti di necessità ed urgenza, vista la natura periodica e quindi prevedibile delle esigenze legate alle missioni stesse) e svilente del controllo effettivo e delle prerogative in capo ai parlamentari in quanto potere legislativo;
   per quanto esposto sopra, quindi, risulta essere ancora più grave il ritardo di cui è oggetto il nuovo «decreto missioni», ritardo che di fatto impedisce trasparenza e discussione parlamentare circa lo stato dell'arte degli interventi italiani all'estero e circa le strategie attuali e future da adottare –:
   se il Presidente del Consiglio i Ministri interrogati non intendano chiarire le motivazioni che hanno portato a non deliberare ancora in merito al decreto di rifinanziamento delle missioni internazionali per l'anno 2016 e se non intendano provvedere in tal senso al più presto.
(3-02171)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO e BUSTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 gennaio 2016, dal vice comandante generale, del corpo di polizia locale di Roma Capitale, in qualità di presidente dell'A.N.C.U.P.M. (associazione nazionale comandante ed ufficiali dei corpi di polizia municipale), veniva inviata lettera al Presidente del Consiglio dei ministri, Matteo Renzi e, per conoscenza, ad alcune delle più alte cariche istituzionali;
   nella missiva veniva fatto richiamo all'articolo 1, comma 972, della legge di stabilità n. 208, approvata il 28 dicembre 2015. Detta norma prevede che al personale appartenente alle Forze di polizia, al corpo nazionale dei vigili del fuoco e alle Forze armate non destinatarie di un trattamento retributivo dirigenziale, venga riconosciuto un contributo straordinario pari a 960 euro lorde su base annua, da corrispondere in quote di pari importo a partire dalla prima retribuzione utile e in relazione al periodo di servizio prestato nel corso dell'anno 2016;
   il dottor Diego Porta evidenziava che ad essere escluso da tale beneficio economico fosse il corpo della polizia locale. Lo stesso Porta sottolineava quanto «la Polizia Locale sia impegnata quotidianamente, ed in maniera capillare, alla stessa stregua delle Forze di Polizia dello Stato, nel fondamentale compito del controllo del territorio attraverso l'esercizio delle sue funzioni istituzionali, rappresentando una componente essenziale delle politiche integrate della sicurezza urbana». Ricordava poi quanto il corpo da lui rappresentato costituisse una «priorità ineludibile per garantire una pacifica convivenza civile ed una serena coesione sociale, rappresentando uno degli strumenti idonei a ridurre il divario tra sicurezza percepita e sicurezza reale»;
   il presidente dell'A.N.C.U.P.M. segnalava inoltre che «l'articolo 6 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, recante "Disposizioni urgenti per la crescita, l'equità e il consolidamento dei conti pubblici", abrogò l'istituto dell'equo indennizzo – originariamente previsto dall'articolo 68, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 – relativamente ai dipendenti pubblici, e quindi anche per il personale appartenente alla Polizia Locale, ad esclusione del personale appartenente al comparto sicurezza, difesa e soccorso pubblico (Polizia di Stato, Vigili del Fuoco, Protezione Civile, ecc.), che continua a fruire di tale istituto, del rimborso delle spese di degenza per causa di servizio e della pensione privilegiata, con ciò accentuando ancor di più il divario tra i benefici di cui godono gli appartenenti al "comparto sicurezza" ed il personale della Polizia locale»;
   Porta chiudeva la sua lettera chiedendo al Governo di estendere il beneficio economico di 80 euro lordi mensili, valutando, la possibilità di intervenire in sede di conversione in legge del decreto cosiddetto «Milleproroghe», anche al personale delle polizie locali, in considerazione del fatto che «le attività da queste svolte non possano e non debbano essere considerate di "rango" inferiore a quelle svolte dalle Forze di Polizia nazionali»;
   alla sopraindicata lettera, non risulta essere ancora pervenuta alcuna risposta ufficiale;
   a giudizio degli interroganti, non solo vi è una disparità di trattamento promosso dal Governo nel non riconoscere il contributo straordinario previsto dalla legge di stabilità n. 208 del 2015 anche per le forze di polizia locale ma, in funzione dei compiti svolti sempre più simili a quelli delle restanti forze di polizia, vi è anche una mancanza nel non riconoscere loro l'istituto dell'equo indennizzo –:
   se il Governo per tutto quanto esposto in premessa, non intenda estendere il beneficio economico indicato all'articolo 1, comma 972, della legge di stabilità n. 208, approvata il 28 dicembre 2015, anche a tutto il personale delle polizie locali d'Italia;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per, abrogare l'articolo 6 del decreto-legge 6 dicembre 2011 n. 201, al fine di reintrodurre l'istituto dell'equo indennizzo così come originariamente previsto dall'articolo 68, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957, anche per le forze di polizia locale. (5-08358)


   TRIPIEDI, BUSTO, CASTELLI, CRIPPA, DI VITA, LOREFICE, MANTERO, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, DALL'OSSO, LOMBARDI, SILVIA GIORDANO, PESCO, VILLAROSA, CANCELLERI, VALLASCAS e PAOLO NICOLÒ ROMANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
  in data 24 marzo 2016, il signor Luigi Scudieri denunciava, tramite una petizione lanciata sul sito «change.org» e poi ripresa da diversi siti di informazione, la sua situazione di paziente malato di cancro e il suo bisogno di cure. Al signor Scudieri, residente in provincia di Torino, qualche giorno prima della pubblicazione della petizione è stato diagnosticato un tumore non operabile e non curabile con chemioterapia o radioterapia. L'unica cura che potrebbe salvargli la vita è disponibile solo al CNAO (Centro nazionale di adroterapia oncologica) di Pavia. La regione Piemonte, sua regione di residenza, non gli rimborserebbe però la costosissima cura, perché praticata in regione Lombardia. Nella petizione, il signor Scudieri specificava di non avere le possibilità economiche per permettersi di pagare le costose cure, né quelle di trasferirsi in Lombardia;
   per portare all'attenzione la sua situazione, in data 18 marzo 2016, Luigi Scudieri aveva inviato una lettera all'assessore alla sanità della regione Piemonte, Antonio Saitta. Lo stesso rispondeva che, seppur profondamente scosso dalla situazione, non era in grado di dare risposte positive alle richieste del signor Scudieri. Infatti, al momento l'adroterapia non è una prestazione indicata tra i LEA (livelli essenziali di assistenza) e non viene erogata in nessuna struttura della regione Piemonte che, essendo sottoposta a piano di rientro dal debito sanitario (dal 2010, unica regione del Centro-nord ad essere in questa situazione), non può rimborsare la spesa ai pazienti che si sottopongono a tale terapia in strutture di altre regioni. Specificava poi che non fosse corretto affermare che la regione Piemonte avesse «chiuso i rubinetti» e quindi non rimborsasse questa terapia, ma che ciò era dovuto al fatto che era una sentenza della Corte Costituzionale, la n. 104 del 2013, a stabilire che le regioni sottoposte al piani di rientro non potessero erogare prestazioni aggiuntive rispetto ai LEA perché questo avrebbe violato il principio del contenimento della spesa pubblica. In conseguenza di quanto appena indicato, la regione Piemonte non ha quindi la possibilità di autorizzare i pazienti residenti nel proprio territorio ad effettuare l'adroterapia o altre terapie extra LEA presso strutture di altre regioni, ai fini del rimborso della spesa sostenuta dai pazienti stessi. L'assessore alla sanità della regione Piemonte, proseguiva nella sua lettera di risposta spiegando che le terapie del CNAO sono riconosciute gratuitamente all'interno del sistema sanitario nazionale, solo dalle regioni Lombardia ed Emilia Romagna;
   Saitta comprendeva perfettamente che il ragionamento da lui fatto potesse sembrare quello di un ragioniere insensibile di fronte al dolore dei pazienti. Sottolineava però la sua insistenza sull'importanza di uscire quanto prima dal piano di rientro, proprio per poter dare una risposta alle situazioni come quella del signor Scudieri. Saitta specificava che nell'anno e mezzo di assessorato, aveva lavorato duramente per rimettere i conti a posto, adottando importanti provvedimenti di programmazione sanitaria e di contenimento della spesa per poter recuperare la necessaria credibilità presso il Ministero della salute ed il Ministero dell'economia e delle finanze ed era fiducioso che entro l'estate 2016, il Piemonte sarebbe finalmente uscito dal commissariamento. Precisava poi che stava giungendo a compimento la rivisitazione da parte del Ministero dei nuovi LEA e che, pertanto, si augurava che entro pochi mesi si potesse riuscire a garantire il rimborso a prestazioni come quella di cui Scudieri necessitava;
   in data 24 marzo 2016, la segreteria della direzione generale della programmazione sanitaria del Ministero della salute, rispondeva all'appello del signor Luigi Scudieri, specificando che per la questione dell'erogabilità dell'adroterapia in strutture del Piemonte e dell'eventuale rimborsabilità se erogata in altre regioni, avrebbe dovuto rivolgersi alla regione stessa. La stessa segreteria specificava che la regione Piemonte sembra avesse già fornito una risposta in merito. Proseguiva poi indicando che «il Ministero della salute, da parte sua, per garantire a tutti i cittadini l'uniformità di accesso a questa prestazione, sia pure nel rispetto di precise indicazioni cliniche, ha inserito l'adroterapia nei nuovi LEA nazionali, in occasione dell'aggiornamento complessivo delle prestazioni di specialistica ambulatoriale», ma aggiungeva che «purtroppo, l’iter di approvazione, con la conseguente entrata in vigore del provvedimento, è ancora lungo e complesso, e attualmente non è possibile quantificare la tempistica»;
   a giudizio degli interroganti, tutta la vicenda sopraindicata ha un che di grottesco se rapportata al diritto alla vita che lo Stato dovrebbe riconoscere ad ogni essere umano. Tale tesi trova fondamento nell'articolo 2 della Costituzione italiana che stabilisce che «la Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo». Tra i diritti inviolabili riconosciuti vi è, appunto, anche quello alla vita, presente anche nella dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, firmato a Parigi il 10 dicembre 1948, la cui redazione fu promossa dalle Nazioni Unite perché avesse applicazione in tutti gli stati membri, tra i quali l'Italia;
   sempre a giudizio degli interroganti e sempre in considerazione del fatto che si sta parlando della vita di un essere umano, se si tratta di terapie salvavita senza alternativa, ad intervenire il più celermente possibile dovrebbe essere lo Stato se le regioni non accolgono la richiesta. In estrema sintesi, gli interroganti trovano assurdo che lo Stato non assicuri il diritto alla vita a causa di ritardi di tipo burocratico;
   gli interroganti trovano però che l'assurdità più evidente risulti essere quella legata al rimandare a data da destinarsi l'iter di approvazione dell'adroterapia nei nuovi LEA nazionali, dimenticandosi che per il caso specifico indicato, ossia la cura di una malattia grave come il tumore, sono richieste tempistiche le più rapide possibili, pena le pesanti complicanze e/o la morte dello stesso soggetto non curato. Tale condizione non è stata evidenziata né dall'assessore alla sanità della regione Piemonte, né dagli uffici del Ministero della salute nelle sopraindicate loro risposte –:
   se il Governo non intenda accelerare il più rapidamente possibile l’iter di approvazione dei nuovi LEA nazionali che dovrebbero includere l'adroterapia, al fine di riconoscere e garantire il diritto alla vita, così come sancito dall'articolo 2 della Costituzione italiana e dalla dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, per il signor Luigi Scudieri e per tutti i casi simili al suo. (5-08365)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FASSINA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo Caltagirone il 23 febbraio 2016 ha deciso lo smembramento di tutte le attività produttive delle testate dei quotidiani Il Messaggero di Roma, Il Mattino di Napoli, Il Gazzettino di Venezia, costituendo le società «Servizi Italia 15 srl», «Stampa Napoli 2015 srl» e «Stampa Roma 2015 srl», società nelle quali confluiscono i rami d'azienda del gruppo;
   secondo quanto denunciano le rappresentanze sindacali, sulla base del piano di scissione presentato, solo l'attività giornalistica rimarrebbe in capo al Messaggero Spa, mentre i servizi, invece, confluiranno in una società ad hoc la Servizi Italia Srl. Un unico calderone in cui vengono mischiati i lavoratori di Mestre (Gazzettino), Roma (Il Messaggero), Il Mattino (Napoli);
   ai dipendenti oggetto di trasferimento in detta società, verrà applicato il contratto del commercio, contratto pensato per le commesse. Contratto che prevede inquadramenti di livello per il personale molto diversi da quelli dei poligrafici, e che pur essendo certamente meno oneroso per l'azienda non prevede il ricorso a prepensionamenti negli stati di crisi ma solo la cassa integrazione e le altre forme di mobilità stabilite dalla legge n. 223 del 1991;
   per poter dunque abbattere i costi del settore poligrafico della stampa e della prestampa, si ricorre alla scissione del ramo d'azienda anche in questi ambiti. Nell'intenzione della Caltagirone Editore, il settore della stampa e della prestampa diventa un «ramo», e secondo le dichiarazioni dei dirigenti, ciò dovrebbe inserire il gruppo in un business nuovo: quello della fornitura di servizi di Stampa e Prestampa anche a terzi;
   la stampa e la prestampa confluiranno, infatti, in un'altra società a responsabilità limitata: la Stampa Roma 2015, per la zona di Roma appunto, e la Stampa Napoli 2015, per quel che riguarda ovviamente la piazza partenopea (Il Mattino);
   i lavoratori di queste società sono di fatto già messi in competizione con società esterne a Caltagirone Editore ma sempre di proprietà del gruppo Caltagirone che svolgono attività analoghe, come la Ced Digital & Servizi srl che, a giudizio dell'interrogante, garantisce costi inferiori grazie ad assunzioni inquadrate in maniera più conveniente per l'azienda, ma a scapito di una reale e solida professionalità;
   di fatto, quindi, i lavoratori sono messi in competizione tra di loro, mentre il cliente è sempre lo stesso, ovvero il gruppo Caltagirone, in quella che all'interrogante appare una logica di gioco al ribasso e una mortificazione delle competenze e professionalità dei poligrafici e tecnici di Caltagirone Editore;
   la Caltagirone Editore dunque, alla scadenza della commessa con le due nuove società, valutando i prezzi sempre più concorrenziali offerti da un mercato in crisi, potrebbe o non rinnovare l'appalto per la stampa e la confezione del quotidiano, o se lo farà, potrebbe richiedere condizioni assai più economiche;
   Stampa Roma 2015 o Stampa Napoli 2015 avranno ben poche possibilità per il futuro: o chiudere, o in un'ipotesi ottimistica attingere agli ammortizzatori sociali per non ricorrere ai licenziamenti collettivi. Analogamente a quello che hanno fatto altre aziende, la Caltagirone Editore potrebbe perfino rinegoziare l'importo della commessa ben prima dello scadere del contratto. Stampa Roma e Stampa Napoli, dunque sarebbero costrette a ricorrere alla mobilità (ex legge n. 223 del 1991);
   tutto questo a fronte di un andamento economico del gruppo Caltagirone che ha consentito di guadagnare utili pari 250 milioni di euro, per il periodo dal 1996 al 2014, al netto delle perdite e dei finanziamenti pubblici, secondo quanto riportato in un'analisi delle rappresentanze sindacali unitarie;
   scissioni di rami d'azienda di tale portata che non sono una novità già in diversi altri settori, e che accadono continuamente nell'indifferenza generale non sono in linea con lo spirito delle norme che le hanno rese possibili;
   le aziende acquisitrici dei rami, infatti, dovrebbero fornire solidi piani industriali atti ad aggredire il mercato e non escogitare veicoli finanziari per avviare cessioni di gruppi di lavoratori a ditte create allo scopo di effettuare quelli che l'interrogante giudica licenziamenti mascherati;
   i lavoratori delle testate Messaggero, Mattino e Gazzettino, dopo aver lavorato fino a un trentennio in una solida società per azioni con cospicuo capitale sociale e un nome di fama più che centenaria, vanno ora e a finire in un'azienda « bad company»;
   la vicenda in atto nel gruppo Caltagirone, ricalca infine altre vicende già viste in altri settori (Alitalia, Telecom, Fiat e altro), che tuttavia non si sono mai verificate nella stessa misura nel mondo editoriale finora, in quanto non sono settori che possiedono rami d'azienda strutturati ed identificabili come quelli della comunicazione, o dell'industria automobilistica o delle linee aeree –:
   se non s'intenda valutare l'avvio di iniziative volte alla costituzione di una task-force governativa, con la presenza della Federazione italiana editori giornali e delle rappresentanze sindacali, per salvaguardare i livelli occupazionali e le prospettive industriali del personale poligrafico e tecnico impiegato nel settore dell'editoria e della stampa quotidiana;
   quali iniziative di competenza s'intendano assumere per salvaguardare le tipologie contrattuali e gli inquadramenti del personale poligrafico impiegato nel settore dell'editoria e della stampa quotidiana. (4-12774)


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e GALLINELLA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il personale della polizia provinciale, come è noto, è interessato, con l'approvazione della legge n. 56 del 2014 in materia di riordino delle funzioni provinciali, della legge n. 190 del 2014 ed il decreto-legge n. 78 del 2015, convertito con modificazioni dalla legge n. 125 del 2015 in materia di disposizioni urgenti in materia di enti territoriali, da un importante processo di «mobilità»;
   in particolare, con il decreto-legge n. 78 del 2015, convertito dalla legge n. 125 del 2015, gran parte delle regioni a statuto ordinario e delle province hanno provveduto a individuare il personale di polizia provinciale necessario alle funzioni fondamentali residue e quello cui le regioni avrebbero riaffidato le funzioni di vigilanza sulle materie oggetto di riordino, inserendo nel cosiddetto «Portale Generale Mobilità» solo il personale residuato da tali processi (articolo 5, commi 2 e 3);
   purtroppo, molte province hanno colto l'occasione per individuare i propri esuberi nel personale di polizia provinciale, posizionandolo in blocco sul portale; in particolare, nelle province di Perugia e Terni è accaduto che gli esuberi sono costituiti dall'intero contingente delle due polizie provinciali;
   il comma 423 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 ha previsto l'adozione di un decreto relativo alle procedure di mobilità entro sessanta giorni dall'entrata in vigore della medesima legge; tuttavia il decreto è stato emanato solamente il 14 settembre 2015;
   il comma 428 dell'articolo 1 della legge n. 190 del 2014 ha fissato il termine del 31 dicembre del 2016 per la procedura di mobilità di ricollocamento del personale con la previsione della attivazione delle procedure previste dall'articolo 33, comma 7 e 8, del decreto legislativo n. 165 del 2001 per il personale non ricollocato e/o assorbito;
   è accaduto invece che la tempistica stabilita dal decreto ministeriale 14 settembre 2015 non sia stata rispettata e l'attivazione del portale è stato realizzata con ritardo, nonostante la circolare n. 1 del 2015 avesse disposto la rilevazione dei posti disponibili entro marzo 2015;
   a tutt'oggi, il portale mobilità.gov, creato per garantire un buon «matching» tra le domande di ricollocamento del personale e le offerte provenienti da altre amministrazioni pubbliche disposte ad assorbire il personale di polizia provinciale, presenta importanti criticità poiché dal 22 marzo 2016 non è possibile consultare gli elenchi dei posti a disposizione sul portale «pmg», né il dipendente che è chiamato ad esprimere la scelta per una sede di ricollocamento dispone di credenziali e tool informatici per esprimere le preferenze di assegnazione;
   la criticità è assai grave poiché il 9 aprile 2016 scadrà il termine per esprimere le preferenze di assegnazione;
   numerose criticità sono state già espresse anche con l'interrogazione n. 5/7970 del 2 marzo 2016; particolarmente critica è la situazione nella regione Umbria: le province di Perugia e Terni (94 addetti di Perugia e 15 di Terni) hanno inserito l'intero contingente di polizia provinciale sul portale della mobilità generale;
   tale situazione sta generando da più tempo notevole sconforto e frustrazione tra tutti i dipendenti della polizia provinciale –:
   quali urgenti iniziative intenda assumere il Governo finalizzate alle proroga del termine stabilito per l'espressione delle preferenze di assegnazione ormai prossimo alla scadenza e se sia intenzione del Governo procedere alla ripubblicazione dei dati delle domande e delle offerte sul portale mobilità per consentire al personale di polizia provinciale interessato l'espressione delle preferenze in tempi ragionevoli, mettendo da subito a disposizione gli strumenti per formulare le domande;
   quali siano i motivi per cui non sono stati rispettati la tempistica e i termini previsti dalla legge n. 190 del 2014 e dal decreto ministeriale del 14 settembre 2015 e se il Governo intenda assumere iniziative per prorogare il termine del 31 dicembre 2016 al fine di evitare che il personale di polizia provinciale residuo possa incorrere nella procedura prevista dalla legge per il personale in eccedenza o in soprannumero. (4-12776)


   BRIGNONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Vega 6 è la più grande piattaforma petrolifera fissa off-shore italiana ed è posta a 12 miglia dalla costa di Pozzallo, in provincia di Ragusa;
   la piattaforma gestita da Edison, per conto di una società mista Edison (60 per cento) ed Eni (40 per cento) si estende per 184,8 chilometri quadrati;
   la piattaforma è stata appoggiata nel febbraio 1987, su un fondale di circa 122 metri di profondità d'acqua tramite un jacket, struttura di acciaio tubolare a forma di traliccio con otto gambe ancorate al fondo marino per mezzo di 20 pali, su cui sono stati poi posati i restanti moduli di produzione e servizi;
   la procura di Ragusa, ha aperto un procedimento penale nell'anno 2007 a carico di Edison, – società che gestisce la piattaforma –, poiché tra il 1989 e il 2007 la stessa, avrebbe smaltito sostanze inquinanti con modalità non conformi alla normativa vigente in materia di rifiuti e acque reflue, ipotizzavano «gravi e reiterati attentanti alla salubrità dell'ambiente e dell'eco sistema marino, attuando per pura finalità di contenimento dei costi e quindi di redditività aziendale, modalità criminali di smaltimento rifiuti e dei rifiuti pericolosi»;
   infatti, avrebbe immesso illecitamente a 2.800 metri di profondità, enormi quantità di rifiuti petroliferi molto inquinanti tra cui: liquidi contenenti alte concentrazioni di metalli pesanti e idrocarburi, 14 mila metri cubi di acque di sentina e 333 mila metri cubi di acque di lavaggio delle cisterne della nave di stoccaggio per un totale di quasi mezzo milione di metri cubi di liquidi definiti dalla legge «rifiuti speciali» e pertanto inquinanti;
   secondo quanto denunciato dall'Ispra, quello dello smaltimento illegale di rifiuti di Edison era un «metodo sistematico» che prevedeva l'aggiunta di sostanze chimiche ai rifiuti prodotti. Le sostanze chimiche servivano a «mantenere in buono stato di conservazione le strutture del pozzo Vega 6» e a «aumentare la capacità di assorbimento dei rifiuti liquidi reimmessi nel sottosuolo»;
   l'ISPRA per i danni causati ha valutato che dovesse essere richiesto un risarcimento del danno ambientale, per circa 70 milioni di euro. Cifra pari al costo dello smaltimento regolamentare del quantitativo accertato di questo tipo di rifiuti;
   secondo l'Ispra, per smaltire correttamente e secondo la normativa vigente in materia di rifiuti pericolosi, Edison avrebbe dovuto corrispondere circa settanta milioni di euro;
   gli effetti ambientali esposti dal pubblico ministero soro inquietanti per la salute pubblica e l'habitat del mare: «dispersione e sversamento d'idrocarburi e sostanze inquinanti nelle acque marine: contaminazioni ambientali per l'ecosistema marino, inquinamento delle falde idriche profonde, rischio di sismicità indotta»;
   il Ministero dell'ambiente nel 2007, si è costituito parte civile contro manager e dirigenti di Edison nel processo penale nei confronti di Edison per lo smaltimento illecito di rifiuti chiedendo un risarcimento per ingiusto profitto per circa settanta milioni di euro;
   tuttavia, il 16 aprile 2015, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha espresso parere positivo alla valutazione d'impatto ambientale (VIA) per la realizzazione di una nuova piattaforma – Vega B – che prevede il raddoppio dei pozzi di estrazione. Il raddoppio dei pozzi ricade all'interno della fascia di protezione delle 12 miglia dal sito d'interesse comunitario (Sic) «Fondali e foce del fiume Irminio», pertanto la legge in vigore impedisce di costruire nuove piattaforme vicino ad aree protette;
   il 13 novembre 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha inoltre concesso il rinnovo del permesso per 10 anni della piattaforma attiva — Vega 6-;
   Edison pertanto per la concessione rinnovata pagherà un canone di 87 euro l'anno a chilometro quadrato, e lo Stato incasserà royalty pari al 7 per cento dei proventi, infatti, le royalty italiane sono tra le più basse d'Europa;
   le motivazioni espresse dal Ministero dello sviluppo economico ai fini della proroga di concessione estrattiva della piattaforma Vega 6 sono in netto contrasto con la posizione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che nel 2007 era costituito parte civile nel processo contro Edison, poiché in una nota del 12 dicembre 2014 il Ministero dello sviluppo economico dichiarò: «la Società ha ottemperato ai termini di buona gestione del giacimento...»;
   lo stesso Governo che chiede a Edison i danni in giudizio la promuove a pieni voti nel momento in cui concede il rinnovo del permesso. In sintesi: grazie alla prescrizione Edison non pagherà i danni procurati, ma incassa dal Governo un rinnovo della concessione per un decennio; il procedimento penale della procura di Ragusa in corso dal 2007 contro la società Edison che gestisce la piattaforma Vega 6 per il «reato d'illecito profitto dovuto allo smaltimento di rifiuti pericolosi non autorizzato per l'attività estrattiva e di stoccaggio degli idrocarburi» è ora al primo grado di giudizio e il prossimo 5 maggio 2016 — data in cui è fissata l'udienza presso il tribunale di Ragusa — verrà molto probabilmente sancita la prescrizione dei reati imputati a Edison –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti narrati in premessa;
   se ritengano di dover assumere iniziative per sospendere l'autorizzazione concessa per la realizzazione della piattaforma Vega B, poiché la stessa non è il completamento del vecchio programma di lavori, approvato nel 1984, bensì un nuovo progetto che a giudizio dell'interrogante contrasta con la direttiva comunitaria detta «direttiva Habitat» del 21 maggio 1992, n. 43, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, recepita in Italia nel 1997;
   se ritengano opportuno revocare la proroga concessa circa le autorizzazioni di Vega 6 e di Vega B, a casa delle numerose inesattezze e irregolarità che sarebbero contenute nelle richieste da parte della società Edison;
   se ritengano opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza e con la massima urgenza, al fine di evitare che al largo delle coste siciliane peggiori la situazione ambientale già compromessa dalla Vega 6, che rischia di contaminare per secoli i fondali del Canale di Sicilia;
   se ritengano di dover chiarire la posizione del Governo circa i fatti di cui in premessa in considerazione del fatto che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è costituito parte civile nel processo a carico di Edison e di contro il Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato il rinnovo della concessione Vega 6 e la realizzazione di Vega B;
   se ritengano opportuno assumere con urgenza ogni iniziativa di competenza per conseguire il risarcimento per il danno ambientale causato da Edison.  (4-12786)


   SORIAL. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   quando il Premier Matteo Renzi era sindaco di Firenze, il teatro comunale di Corso Italia, immobile da 25.500 metri quadrati ubicato tra Porta a Prato, il parco delle Cascine e il lungarno Amerigo Vespucci, era stato inserito nella lista degli immobili da vendere al valore stimato di 44 milioni di euro, ma sarebbe poi stato venduto per 23 milioni tramite «triangolazione» passata attraverso la Cassa depositi e prestiti nel 2015 ad una società la Nikila Invest srl, di Ilaria Niccolai, società in affari con la società Party Srl tra i cui soci c’è Tiziano Renzi, padre dello stesso Premier Matteo Renzi;
   secondo un articolo de « Il Tempo.it» «nella dichiarazione dei redditi consegnata nel 2015 i genitori di Matteo Renzi avrebbero denunciato che nessuna variazione fosse intervenuta nella loro situazione patrimoniale, ma, in realtà, nel 2014 Tiziano Renzi aveva rilevato il 40 per cento della società Party srl, di cui sopra, della quale la moglie è diventata amministratore unico. Gli altri soci sono Creazioni Focardi (Gucci Firenze, 20 per cento) e Nikila Invest (40 per cento)»;
   sempre secondo l'articolo de « Il Tempo.it», qualche mese prima la vendita del teatro comunale di Firenze «c'era stato però un altro cambio di scena: il 4 marzo Nikila Invest insieme ad altri soci si presenta dal notaio Rita Abbate di Reggello, un paese in provincia di Firenze, e fonda una nuova società: la Egnazia Shopping Mall, di cui fanno parte due società panamensi (Torrado Holdings inc che ha il 23 per cento e Tressel Overseas sa che ha l'11 per cento) ma anche due aziende che fanno riferimento proprio a Lorenzo Rosi: la Castelnuovese società cooperativa con il 5 per cento e Syntagma srl che ha l'11 per cento. Inoltre c’è una quota diretta di Andrea Bacci (7 per cento), manager che Renzi figlio aveva voluto in partecipate del comune di Firenze, e una quota di Mora real estate di Roma. E chi è l'amministratore unico della società ? Proprio Lorenzo Rosi. Il quale chiama ad assistere la società nel business la Party srl dei genitori di Renzi, che per altro come la Egnazia ha la Nikila come socia principale. Tra le pieghe di questi intrecci emerge anche un altro fatto, l'apparente conflitto d'interesse per la concessione di finanziamenti milionari di Banca Etruria alla cooperativa di costruzioni La Castelnuovese di San Giovanni Val d'Arno, di cui Rosi è stato presidente fino a luglio 2014»;
   inoltre rispetto alla Egnazia Shopping Mall, «costituita a febbraio 2015 con lo scopo di replicare a Fasano, in provincia di Brindisi, il successo degli outlet di Reggello. Le quote fanno capo alla Nikila Invest, ad Andrea Bacci, a due società panamensi e alla Castelnuovese. Amministratore unico: Rosi. Il quale, da aprile è alla guida anche della Corso Italia Firenze, società candidata alla realizzazione del progetto del teatro Comunale di Firenze e partecipata dalla Castelnuovese e dai soci di Tiziano Renzi nell'immobiliare Party: Focardi e Niccolai»;
   secondo « il Fatto Quotidiano» al momento dell'acquisto del teatro comunale di Firenze, alla direzione generale di Cassa depositi e prestiti siede Matteo Del Fante, da più parti indicato come manager molto vicino a Renzi e che, una volta terminato il suo compito a Cassa depositi e prestiti; nella girandola di nomine fatta dal Governo ad aprile 2014, viene promosso ad amministratore delegato di Terna, il gestore della rete elettrica che fa capo alla stessa Cassa»; Matteo Del Fante è incaricato di curare l'operazione immobiliare, che non ha bisogno neppure di passare il vaglio del consiglio di amministrazione: il veicolo che ha tecnicamente perfezionato l'acquisto è la Cassa depositi e prestiti investimenti sgr;
   nell'articolo viene riportato anche che «La Niccolai è il nome di punta del sistema «The Mall» che va da Leccio Reggello a Fasano, in provincia di Brindisi, passando per Sanremo. Ma soprattutto nome salito nei – giorni scorsi all'onore delle cronache per Party, la società immobiliare costituita nel 2014 con Tiziano Renzi, il padre del premier» e inoltre «Dieci mesi dopo Nikila Invest ha messo sul piatto 25 milioni di euro per assicurarsi la sede storica del Maggio Fiorentino. Obiettivo: demolire la vecchia struttura (tranne la facciata principale) e costruire 120 appartamenti di lusso da rivendere con ampi margini: si parla di 8.000 euro a metro quadrato, per una superficie di 14.000 metri quadrati»;
   la società Nikila Invest è oggi proprietaria dell'ex-teatro comunale di Firenze, dopo averlo acquistato ad un prezzo che l'amministrazione comunale ha sempre definito «congruo» nonostante fosse esattamente la metà di quanto stimato dalla stessa amministrazione comunale meno di quattro anni prima;
   secondo l'assessore al patrimonio immobiliare non abitativo Federico Gianassi «a fronte di insinuazione sul comportamento dell'Amministrazione comunale, abbiamo specificato con chiarezza che il teatro comunale fu venduto dal comune alla Cassa depositi e prestiti e non a un soggetto privato. Il prezzo fu stimato dalla Commissione Valutazione Immobiliare e valutato per quanto riguarda la congruità dall'Agenzia del Demanio e dal Ministero dell'economia e delle finanze così come prevede la legge in vigore in materia di alienazioni di immobili comunali alla Cassa depositi e prestiti»;
   secondo recenti fonti di stampa sul cosiddetto caso « Panama Papers» nel sofisticato sistema di evasione fiscale off-shore messo insieme tra Hong Kong, Singapore, Isole Vergini britanniche e Panama ci sarebbero anche la «società vicine a Renzi», in particolare secondo quanto riportato da vari quotidiani sembra che, due società con sede a Panama, la Torrado Holdings e la Tressel Overseas abbiano quote di capitale della Egnazia Shopping Mall, di cui l'amministratore unico è ancora oggi Lorenzo Rosi ultimo presidente di Banca Etruria, società nata per la realizzazione dell'outlet di Fasano, in provincia di Brindisi, e per cui ha svolto un ruolo da consulente lo stesso papà del premier, Tiziano Renzi. Le due società sono anche fra i fondatori della Corso Italia, nata per l'acquisto del teatro comunale di Firenze, di cui sopra;
   a giudizio dell'interrogante dai fatti relativi alla vendita del teatro comunale di Firenze e dall'inchiesta Panama papers emergerebbero dunque preoccupanti intrecci economico-politici e familiari molto poco trasparenti al limite della legittimità e del conflitto di interesse, tali da mettere a rischio l'equilibrio che dovrebbe regolare i rapporti tra gli interessi pubblici e quelli privati, mentre la vera a propria svendita del teatro comunale di Firenze quasi alla metà del suo prezzo, è un'operazione che, ad avviso dell'interrogante, potrebbe configurarsi come danno erariale –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non intenda fornire urgentemente chiarimenti in relazione ai fatti descritti nelle premesse;
   se il Governo non intenda valutare la possibilità di promuovere, per quanto di competenza, un'indagine amministrativa interna, volta ad accertare la corretta gestione della vendita del bene immobile, oggetto di compravendita da parte della Nikila invest, e chiarire le ragioni per le quali sarebbe stato ceduto un bene immobiliare di pregio ad un prezzo così basso, ovvero quasi la metà della stima iniziale. (4-12796)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   l'OPAL (Osservatorio permanente sulle armi leggere e politiche di sicurezza e difesa di Brescia) ha recentemente presentato e divulgato «Rapporto sulle esportazioni di armi e munizioni dall'Italia e dalla Provincia di Brescia» relativo all'anno 2015;
   dal rapporto si apprende come l'Italia sia stata nel biennio 2014-2015 l'unico Paese dell'Unione europea ad aver fornito alle forze di polizia e di sicurezza egiziane del Governo Al Sisi, 30.000 pistole e 3.661 fucili e carabine per circa 11, 8 milioni di euro;
   nel 2013 la Turchia risulta essere il secondo acquirente di armi bresciane con quasi 24 milioni di euro di armi e munizioni esportate;
   le sopraindicate esportazioni sono dirette in aree geopolitiche turbolente per via delle tensioni interne che hanno scosso i Paesi del Medio Oriente e per il perdurare del conflitto in Siria;
   nonostante sia tuttora in vigore la decisione del Consiglio dell'Unione europea, assunta nell'agosto del 2013 e riconfermata nel febbraio del 2014, di sospendere le licenze di esportazione all'Egitto «di ogni tipo di materiale che possa essere utilizzato per la repressione interna», l'Italia ha continuato a rilasciare autorizzazioni alla vendita verso questo Paese;
   dal rapporto si evince come nel biennio 2014-15 quasi un quarto delle armi e munizioni (militari e comuni) esportate dalla provincia di Brescia siano state destinate a zone in cui erano in corso conflitti armati (Medio oriente e Africa settentrionale) o che sono caratterizzate da forti tensioni interne o regionali (Asia e taluni Paesi dell'Europa orientale);
   i dettagli e le informazioni sui flussi di armi e munizioni destinate sia alle forze armate sia ai corpi di polizia e di sicurezza per la difesa personale esportate dall'Italia (e principalmente dalla provincia di Brescia) risultano essere agli interroganti poco chiari e trasparenti nei rapporti governativi pubblicati;
   Opal Brescia e la Rete italiana per il disarmo chiedono da anni chiarezza al Governo relativamente alla politica sulle forniture all'estero di armi e sui relativi strumenti di trasparenza (sia per le armi leggere che per i sistemi d'arma). Il presidente di Opal Piergiulio Biatta ha dichiarato in occasione della presentazione del Rapporto: «Paradossalmente c'era più chiarezza agli inizi degli anni ’90 quando le relazioni del Governo tracciavano con precisione l'intera filiera dell'export delle armi. Il Parlamento dovrebbe impegnarsi in un maggiore controllo sulle esportazioni. Lo chiediamo da tempo ma a parte qualche sporadica iniziativa le risposte continuano a mancare» –:
   se il Governo non ritenga di dover adottare tutte le necessarie cautele nel rilasciare le autorizzazioni all'esportazione in zone di tensione e di conflitto interno;
   se non si ritenga necessario, in considerazione della dura rappresaglia delle forze armate egiziane, di dover assumere ogni iniziativa di competenza sospendere l'invio di armi verso l'Egitto;
   se si non ritenga opportuno migliorare la trasparenza e l'informazione pubblica sulle esportazioni di armi italiane, in particolare quelle dirette nei Paesi dell'Arabi e del Medio Oriente;
   se non ritengano improrogabile chiarire la politica adottata dal Governo sulle forniture all'estero e soprattutto nel Medio Oriente di armi e munizioni. (4-12785)


   SIBILIA, SCAGLIUSI, DEL GROSSO, DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO, SPADONI e GRANDE. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   sull’Espresso del 7 aprile 2016 è stato pubblicato un articolo intitolato «Eldorado Las Vegas» firmato da Fabrizio Gatti, in cui si legge che il console onorario a Las Vegas, l'avvocato Dominic Gentile, «oltre a rappresentare noi, la Repubblica e il nostro Governo nello Stato del Nevada, è il difensore di famosi assassini e criminali» e ha «incassato come parcella da due suoi clienti il più movimentato locale di spogliarelli della città: gli ex titolari Luis Hidalgo Jr. e suo figlio Luis Hidalgo III, condannati per aver fatto uccidere un dipendente, gli hanno pagato l'onorario in natura, con tutto il suo contenuto di alcol, ballerine e strip-tease»;
   nel citato articolo il giornalista racconta una serie di vicende che riguardano «alcuni nostri connazionali: nomi con qualche apparizione sulle pagine di cronaca che, nonostante risultino ufficialmente nullatenenti o quasi al fisco, hanno comprato società e ristoranti grazie a una girandola di conti correnti aperti negli Stati Uniti»;
   Gatti cita, tra gli altri, Giovanni Lomaestro «imprenditore campano che ha fatto una fortuna con le varie emergenze rifiuti, e Paolo Marcoccia, l'ex biscazziere sotto l'ombrello di Michele Senese, uno dei quattro boss di Mafia capitale», Pier Francesco Mazzini «intermediario d'affari di Roma e Patrizio Parrini, l'ex tennista professionista e ora procacciatore di giocatori per i casinò» e Sebastiano Sciuto «67 anni, un pensionato della pubblica amministrazione che nei casinò si presenta come il Dottor Sciuto, presunto ex funzionario di polizia»;
   nell'articolo si legge ancora: «secondo una segnalazione alla Guardia di Finanza e all'Fbi, il Dottor Sciuto è indicato come consigliere giuridico e per la sicurezza della rete di Parrini, in grado di conoscere in anticipo l'eventuale apertura di indagini o verifiche fiscali. E i contatti con gli ambienti ministeriali italiani non sembrano mancargli»;
   il giornalista conclude l'articolo chiedendosi «se il console italiano Dominic Gentile darà mai notizia di questa giostra di affari, prestanome e giocatori sul giornale «La voce» di cui è editore. Tra i collaboratori, scrive per lui anche l'amico Joe Lombardo, lo sceriffo di Las Vegas. Ma la sua «Metropolitan police», nonostante le segnalazioni raccolte dagli agenti, sembra piuttosto disinteressata» –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere per fare piena luce sulla posizione del console onorario a Las Vegas, Dominic Gentile, al fine di preservare l'immagine dello Stato italiano all'estero. (4-12788)


   PANNARALE, PALAZZOTTO, FAVA, RICCIATTI, FERRARA, DURANTI, FRATOIANNI, SANNICANDRO e SCOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la legge 19 dicembre 2013, n. 153, il Parlamento ha autorizzato la ratifica dell'accordo per il gasdotto transadriatico (TAP) del 13 febbraio 2013 che attua un memorandum d'intesa siglato dall'Italia, la Grecia e l'Albania in data 27 settembre 2012 quale accordo preliminare sulla cooperazione allo sviluppo della realizzazione del progetto Trans Adriatic Pipeline – TAP;
   l'oggetto dell'accordo è la creazione di un'infrastruttura per il trasporto del gas naturale dai giacimenti dell'area del Caspio (nella specie dal giacimento azero di Shah Deniz) verso l'Europa; il gasdotto attraversa la Grecia, l'Albania e raggiunge l'Italia, dopo un percorso di circa 870 chilometri, approdando in Puglia;
   per la realizzazione del gasdotto si è dato luogo alla costituzione della società Trans Adriatic Pipeline AG, nella quale sono entrati diversi operatori già soci del consorzio Shah Deniz che gestisce direttamente lo sviluppo del giacimento di gas in Azerbaijan;
   a sua volta, il gasdotto transadriatico (TAP) è stato concepito quale prosecuzione di fatto del Gasdotto transanatolico, la cui realizzazione è stata concordata nel dicembre 2012 dai governi dell'Azerbaijan e della Turchia;
   una volta realizzato, il gasdotto transadriatico sarà lungo circa 800 chilometri dei quali 105 chilometri nel mare Adriatico, per un trasporto di circa 10 miliardi di metri cubi di gas ogni anno, raddoppiabili senza necessità di ulteriore posa di tubi;
   rilevato che, alla luce di quanto sopra-esposto, per quanto risulta agli interroganti, con riferimento al gasdotto transadriatico (TAP), il Governo italiano sembrerebbe non aver sottoscritto alcun Host Government Agreement, (HGA), ma solo il citato accordo, ratificato con la citata legge n. 153 del 2013, mentre il Governo albanese ha firmato un Host Government Agreement (HGA) in data 13 aprile 2013 ed il Governo greco, a sua volta, un Host Government Agreement (HGA) in data 26 giugno 2013;
   inoltre, i Governi dell'Azerbaigian e della Turchia risultano aver sottoscritto un Host Government Agreement (HGA) per il Trans-Anatolian gas pipeline (TANAP) il 26 giugno 2012, ma ciò non viene evidenziato dal sito di TAP e l'HGA tra Azerbaigian e Turchia risulta essere stato firmato contestualmente all’InterGovernmental Agreement, come si desume dalla lettura dello stesso accordo, ove è indicato che «l'HGA forma parte integrante ed è allegato all’InterGovernmental Agreement»;
   le recenti inchieste giudiziarie che hanno interessato la presentazione dal parte del Governo dell'emendamento cosiddetto «Tempa Rossa», prima dichiarato inammissibile dalla Presidenza della commissione ambiente della Camera, in occasione dell'esame del cosiddetto «Decreto-Legge Sblocca Italia» e successivamente approvato dal Senato in occasione dell'esame della legge di stabilità 2015, evidenziano come preoccupanti opacità, se non addirittura inammissibili interessi di natura personale, stiano toccando in profondità la politica energetica condotta dall'attuale Esecutivo a discapito della tutela della salute, dell'ambiente, delle economie locali, del turismo e dell'agricoltura;
   in precedenti atti di indirizzo e di sindacato ispettivo presentati dal gruppo parlamentare sinistra italiana-sinistra ecologia e libertà è stato evidenziato, non a caso, come fosse inaccettabile come opere private ad altissimo rischio di impatto ambientale, quali appunto Tempa Rossa, fossero addirittura disciplinate in modo meno rigoroso sotto il profilo dei controlli di un'opera pubblica, negandosi il ruolo delle regioni e senza che vi sia la benché minima previsione di compensazioni ambientali. L'importanza di sbloccare un'opera non impattante può ritenersi condivisibile se si tratta di un'opera pubblica e a determinate condizioni, ma con tutta evidenza non può valere la stessa cosa se si tratta di un'opera privata, come nel caso di Tempa Rossa e alla luce di quanto evidenziato in questi giorni dalla stampa nazionale;
   una nota dolente tra le misure ritenute indifferibili, urgenti e strategiche disciplinate da provvedimenti varati dall'attuale Governo e contenute, in particolare, nel cosiddetto decreto-legge «Sblocca Italia» in materia di energia, riguarda, peraltro, il megaprogetto del citato gasdotto TAP, che approderà in Puglia, attuando un vero «colpo di mano» contro i rischi di impatto ambientale da tempo denunciati dalle amministrazioni locali e i cittadini che con forza si oppongono alla costruzione di questa infrastruttura che comprometterebbe definitivamente un territorio già dolorosamente compromesso dal punto di vista ambientale e conseguentemente il relativo settore turistico indissolubilmente legato alla valorizzazione e alla tutela del territorio e del paesaggio salentino –:
   come sia possibile che l'Italia con riferimento al gasdotto transadriatico (TAP) non abbia sottoscritto alcun Host Government Agreement (HGA) e quali ne siano i motivi, alla luce della considerazione che sia la Grecia che l'Albania evidentemente lo hanno fatto, disciplinando la struttura in base alla quale il progetto viene realizzato e reso operativo nei loro territori anche con riferimento alla implementazione delle tecniche di sicurezza consentite;
   quali iniziative di competenza si intendano assumere per assicurare la massima trasparenza e accesso agli atti che riguardino tutta l'evoluzione degli accordi assunti dall'Italia con riferimento al gasdotto transadriatico (TAP) e più in generale alla politica energetica del Paese. (4-12795)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   BUSTO, BRESCIA, CANCELLERI, DAGA, LOREFICE, MANNINO, MICILLO, TERZONI, VIGNAROLI, ZOLEZZI, SPADONI, MANLIO DI STEFANO e SCAGLIUSI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo del 6 aprile 2016 de L'Antidiplomatico, l'articolo di OilPrice.com del 4 aprile 2016 e ancor prima quello di Il Giornale del 17 settembre 2015 ipotizzano accordi segreti tra Italia e Malta sulla gestione dei rifugiati da parte dell'Italia in cambio di trivellazioni offshore dei giacimenti petroliferi al largo della Sicilia, che si sovrappongono alla zona di interesse maltese;
   l'articolo del EU Observer del 12 novembre 2015, riporta le dichiarazioni di Katrine Camilleri, Malta director of the Jesuit Refugee Service, in merito agli scarsi arrivi di rifugiati e alla presa a carico da parte dell'Italia della maggior parte dei migranti, tali che i centri di accoglienza per migranti ne risultano tendenzialmente vuoti;
   le dichiarazioni dell'ex premier di Malta, Lawrence Gonzi, riportate dal Times of Malta del 1o novembre 2015 recitano: «Non riesco a spiegarmi questo cambiamento di politica... Mi rifiuto di fare speculazioni, ma per anni l'Italia ha continuato a fare domande su questioni che non abbiamo mai accettato, e la maggior parte delle volte l'argomento era la ricerca di petrolio»;
   va tenuto conto delle dichiarazioni del Ministro dell'interno maltese Carmelo Adeba, riportate da The Independent Malta il 15 settembre 2015, circa l'informale collaborazione sul recupero dei migranti da parte dell'Italia tanto che solo 93 migranti nel 2015 hanno raggiunto le coste maltesi;
   la squadra marittima delle Forze armate di Malta ha prestato soccorso a 93 migranti dal gennaio del 2015, nonostante la sua area di ricerca e soccorso si estenda per 250.000 chilometri quadrati tra la Sicilia e la Libia e nello stesso periodo di tempo, l'Italia ha portato 121.139 migranti sulle sue spiagge;
   nel dicembre 2012 l'allora Ministro Corrado Passera del Governo Monti dimissionario allargò la zona marina per le trivellazioni petrolifere offshore sovrapponendola a quella de La Valletta;
   durante una visita a Malta nel 2013 il Primo Ministro pro tempore Enrico Letta aveva dichiarato che Malta ed Italia stavano discutendo la possibilità di esplorazione congiunta di petrolio offshore nelle zone contese a sud della Sicilia;
   va considerato il potenziale di 260 milioni di barili a largo di Malta, risultante da uno studio indipendente dell'ERC Equipoise secondo le rivelazioni del 15 ottobre 2012 del giornale Times of Malta;
   il commissario all'immigrazione Dimitris Avramopoulos circa il presunto accordo tra Italia e Malta ha dichiarato di «non essere a conoscenza di questo accordo bilaterale... tra le autorità maltesi e italiane, riguardo alle operazioni SAR (Search and Rescue, ovvero ricerca e soccorso) nel Mar Mediterraneo»;
   non si può non considerare la difficile gestione da parte dell'Italia di un elevato numero di migranti provenienti dal mare, per i quali il nostro Paese non è in grado di fornire adeguata assistenza e collocamento nel territorio italiano, nonché la tragedia delle morti di profughi nei mari –:
   quali siano gli eventuali patti tra Italia e Malta nella gestione dei migranti e delle trivellazioni offshore dei giacimenti petroliferi al largo della Sicilia;
   se non si ritenga necessario stabilire accordi di collaborazione più stretti nella gestione dei profughi invece di accordi sullo sfruttamento di giacimenti petroliferi;
   se non si ritenga di avviare programmi di sostituzione del petrolio con fonti di energia rinnovabili e più pulite a fronte della necessità di una riconversione energetica in linea con la sostenibilità ambientale. (4-12778)


   CATANIA e CIVATI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nella legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015, articolo 1, comma 239) è stata introdotta e approvata dal Parlamento su proposta del Governo, a seguito dell'iniziativa referendaria promossa da 10 regioni, una modifica all'articolo 6, comma 17, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, che introduce una disposizione tesa a prorogare «per la durata di vita utile del giacimento» le concessioni per la coltivazione offshore degli idrocarburi liquidi e gassosi nella fascia delle 12 miglia dalle linee di costa;
   la suddetta legge di stabilità articolo 1 comma 240, lettera b) ha soppresso il piano delle aree in cui consentire le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi a terra e a mare previsto dall'articolo 38, comma 1-bis del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito dalla legge 11 novembre 2014, n. 164;
   sia l'ufficio-centrale per i referendum della Corte di cassazione, in data 7 gennaio 2016, sia la Corte costituzionale, con la sua sentenza 17/2016 del 19 febbraio 2016, hanno stabilito che uno dei sei quesiti proposti dalle regioni potesse essere sottoposto a consultazione referendaria (che si terrà domenica 17 aprile 2016) perché come riportato nella sentenza della Corte costituzionale: «L‘Ufficio centrale per il referendum ha ritenuto che lo ius superveniens, nel sostituire la disposizione oggetto della richiesta referendaria, oltre ad avere abrogato parte degli originari secondo e terzo periodo del comma 17 dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 152 del 2006, abbia introdotto una modificazione della durata dei titoli abilitativi già rilasciati, commisurandola al periodo “di vita utile del giacimento”, prevedendo, quindi, una “sostanziale” proroga degli stessi ove “la vita utile del giacimento” superi la durata stabilita nel titolo»;
   nel dossier del WWF (Trivelle insostenibili), trasmesso ai parlamentari il 6 aprile 2016, si apprende che 42 delle 88 piattaforme localizzate nella fascia delle 12 miglia dalla costa, essendo state costruite prima del 1986, anno in cui entrò in vigore in Italia la procedura di valutazione di impatto ambientale, VIA (ex articolo 6 della legge 8 luglio 1986 n. 349, in attuazione della direttiva comunitaria 85/337/CE), non sarebbero mai state sottoposte a VIA (elaborazione effettuata sui dati ufficiali pubblicati dall'ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse del Ministero dello sviluppo economico, UNMIG);
   nello stesso dossier si documenta che l'età media delle piattaforme localizzate nella fascia delle 12 miglia è di circa 30 anni e che il 48 per cento del totale delle 88 piattaforme offshore ha oltre 40 anni;
   dai dati dell'UNMIG si evince che sul totale delle 88 piattaforme offshore, 8 sono classificate come «non operative» e 31 sono definite «non eroganti» –:
   se i Ministri interrogati non intendono assumere tutte le iniziative necessarie per quanto di competenza, affinché le piattaforme realizzate prima del 1986 vengano comunque sottoposte alla valutazione di impatto ambientale;
   se i Ministri interrogati non intendono assumere iniziative, per quanto di competenza affinché le 8 piattaforme offshore ENI classificate come «non operative», localizzate nella fascia delle 12 miglia dalle linee di costa, vengano smantellate dall'azienda responsabile provvedendo al risanamento ambientale e al ripristino dello stato dei luoghi, come stabilito dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   se non si intenda promuovere un'indagine sulle 31 piattaforme offshore classificate come «non eroganti» per verificare quante di queste abbiano sospeso momentaneamente le loro attività produttive per lavori di manutenzione o se, al contrario, abbiano in realtà cessato definitivamente la produzione;
   se, nel caso in cui le suddette piattaforme «non eroganti» abbiano in realtà cessato definitivamente la produzione, non si intendano assumere iniziative affinché le aziende procedano allo smantellamento, provvedendo al risanamento ambientale e al ripristino dello stato dei luoghi, come stabilito dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   se il Governo non intenda assumere iniziative normative al più presto tese a ripristinare il piano delle aree in cui consentire le attività di prospezione, ricerca e coltivazione degli idrocarburi a terra e a mare, da sottoporre a valutazione ambientale strategica, nel rispetto di quanto stabilito dal decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152;
   se il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non intenda assumere iniziative per risolvere la confusione delle funzioni svolte da ISPRA – Istituto superiore – per la protezione e la ricerca ambientale (l'istituto di ricerca vigilato dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, che con questo dicastero collabora funzionalmente), che, da un lato, risulta abbia incarichi e commesse da ENI per il monitoraggio ambientale delle piattaforme e, dall'altro, abbia un settore valutazioni d'impatto ambientale, inquadrato nella sezione valutazioni ambientali con il compito di assicurare il supporto dell'agenzia alle competenti strutture del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in materia di valutazioni di impatto ambientale. (4-12780)


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Greenpeace, a seguito di un'istanza pubblica di accesso agli atti, ha ottenuto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare i piani di monitoraggio di 34 piattaforme di proprietà Eni sulle 135 operanti nei mari italiani;
   il 30 marzo 2016, con una nota alle agenzie di stampa, l'Eni ha affermato: «Relativamente alle «100 piattaforme mancanti», per le quali secondo Greenpeace non sarebbero stati forniti i piani di monitoraggio, ENI spiega che quelle di propria pertinenza, non emettono scarichi a mare, né effettuano re-iniezione di acque di produzione in giacimento, pertanto non ci sono piani di monitoraggio prescritti e nessun dato da fornire»;
   l'interrogante da quanto affermato da Eni ne deduce, dunque, che nei mari italiani operano circa 100 piattaforme, a gas e petrolio, del cui impatto ambientale non si ha alcuna stima, misurazione o controllo. L'assenza di controlli su impianti del genere è un fatto gravissimo, che conferma che il 17 aprile votare «sì» al referendum sulle trivelle sia l'unica possibilità per cominciare ad arginare una situazione ai limiti dell'assurdo;
   riguardo alla mancata necessità di controllare le piattaforme che non re-iniettano le acque di produzione, si segnala il caso – portato alla luce nelle scorse ore da «5», il mensile di Live Sicilia – di 500 mila metri cubi di acque di strato, di lavaggio e di sentina che sarebbero state iniettate illegalmente nel pozzo Vega 6, del campo oli Vega della Edison, al largo delle coste di Pozzallo. I dati relativi a questo disastro ambientale verrebbero da un dossier di ISPRA, al centro di un procedimento penale della procura di Ragusa. Gli inquirenti ipotizzano «gravi e reiterati attentati alla salubrità dell'ambiente e dell'ecosistema marino attuando, per pura finalità di contenimento dei costi e quindi di redditività aziendale, modalità criminali di smaltimento dei rifiuti e dei rifiuti pericolosi». Secondo ISPRA la miscela smaltita illegalmente in mare contiene «metalli tossici, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici aromatici e MTBE» e ha causato danni ambientali e inquinamento chimico. «La natura particolare delle matrici ambientali danneggiate», secondo ISPRA, non potrà essere riportata «alle condizioni originali»;
   gli esiti della ricerca condotta da ISPRA su committenza di ENI per verificare la contaminazione ambientale in campioni di cozze raccolti intorno a 19 piattaforme offshore localizzate in Adriatico e di proprietà della stessa ENI, documentano la presenza nei mitili analizzati di metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo e arsenico), benzene e altri idrocarburi policiclici aromatici. In merito agli scandali sul petrolio in Basilicata di questi giorni, adesso si scopre che i dipendenti ENI scambiarono le cozze che servivano a monitorare la qualità degli scarichi in mare alterando così i dati sull'inquinamento delle acque. Il gip di Potenza scrive: «sono apparsi ancora una volta soggetti portatori di una significativa attitudine a incidere illecitamente sulle situazioni attraverso meccanismi di alterazione», fino a spingersi a «situazioni artificiose destinate a ostacolare gli accertamenti»»;
   a parere dell'interrogante appare alquanto singolare che ad aver chiarito l'assenza di controlli non sia stato il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, seppur sollecitato per settimane, ma ENI, coinvolta nello scandalo sul petrolio in Basilicata –:
   se le motivazioni alla base del mancato rilascio dei piani di monitoraggio sulle 100 piattaforme indicate nelle premesse siano riconducibili a quanto affermato da Eni e in tal caso, per quale motivo il Governo non si sia espresso a riguardo e come sia possibile non averne alcuna stima, misurazione o controllo dell'impatto ambientale. (4-12787)


   DIENI, NESCI e PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'inchiesta della magistratura sullo smaltimento illegale di rifiuti tossici derivanti dall'attività di estrazione petrolifera nel Sud Italia, nota giornalisticamente col nome del sito di «Tempa Rossa», sarebbe emerso un filone calabrese della stessa che non può che destare seria preoccupazione per ciò che riguarda le ricadute sull'ambiente;
   a quanto emerge da fonti giornalistiche, infatti, sarebbero sei le persone indagate in Calabria;
   si tratterebbe di amministratori di aziende del settore ambientale, che sarebbero stati inseriti nell'inchiesta della procura della Repubblica di Potenza che ha condotto alle dimissioni del Ministro Federica Guidi;
   a quanto risulta dalle notizie apparse sulla stampa, tra cui su La Gazzetta del Sud in un articolo pubblicato il 5 aprile 2016, «alla Iam di Gioia Tauro negli anni 2013-14 sarebbero stati conferiti come rifiuti non pericolosi i quantitativi di liquido tossico provenienti da due diverse vasche di raccolta: 1854 + 315 tonnellate il primo anno e ben 25696 + 145 il secondo. Entrambe le tipologie di rifiuto sarebbero state sversate con codice CER 16 ma per le caratteristiche CER 19 02 04 (miscugli contenenti almeno un elemento pericoloso) e CER 13 05 08 (miscugli di rifiuti delle camere a sabbia e dei prodotti di separazione acqua/olio). A Bisignano la quantità di rifiuti smaltiti è pari a 1395 + 174 tonnellate nel 2013 e 844 + 769 tonnellate nel 2014. Stessa cosa alla Econet di Lamezia Terme: 14626 + 905 tonnellate nel 2013 e 65376 + 2956 nel 2014. Alla Mida Tecnologie ambientali di Crotone, infine, sarebbero state trattate 747 + 53 tonnellate nel 2013 e 1647 + 284 tonnellate nel 2014»;
   secondo gli accertamenti eseguiti dai carabinieri del Noe, gli scarti della lavorazione, anziché quali rifiuti pericolosi sarebbero quindi stati smaltiti quali rifiuti non pericolosi ed i danni più gravi sarebbero riscontrabili a Gioia Tauro (RC);
   non è chiaro ancora quali possano essere gli effetti sulla salute dei cittadini;
   da quanto emerge da altre notizie riportate a seguito dell'inchiesta dal sito www.reggiotv.it centinaia di migliaia di tonnellate di liquidi contenenti metidieanolammina e glicole trietilenico, sostanze tossiche smaltite però come acque di produzione, sarebbero state rilasciate in mare;
   al momento le notizie starebbero ridestando viva preoccupazione, anche per il fatto che evidentemente il sistema di vigilanza regionale, come non ha rilevato il danno nel momento in cui veniva prodotto, difficilmente dispone di dati attendibili per monitorarlo –:
   se siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa, di quali elementi dispongano sulla questione e quali iniziative di competenza intendano adottare al fine di promuovere un pronto monitoraggio dei danni ambientali derivanti dallo sversamento di rifiuti pericolosi denunciato dall'inchiesta denominata «Tempa Rossa» e di impedire ulteriori catastrofiche ricadute sull'ecosistema e sulla cittadinanza.
(4-12789)


   LOREFICE, GRILLO, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, BARONI e MANTERO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   al largo di Pozzallo, in provincia di Ragusa, si estende su una superficie di 28 chilometri quadrati la più grande piattaforma petrolifera fissa offshore d'Italia. La piattaforma, appoggiata nel 1987 su un fondale di circa 122 metri di profondità d'acqua, è gestita da Edison per conto di una società mista Edison (60 per cento) ed Eni (40 per cento);
   secondo i giornalisti che hanno condotto l'indagine pubblicata sulla rivista siciliana «S» dal titolo «19 anni di contaminazioni – Il dossier che fa tremare la Edison», al largo delle coste siciliane altro non si troverebbe che una pericolosa discarica sottomarina che rischia di contaminare per secoli i fondali del Canale di Sicilia;
   secondo un dossier redatto dall'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA), pubblicato integralmente dalla rivista S, 500.000 metri cubi di acque contaminate da «metalli tossici, idrocarburi policicli aromatici, composti organici aromatici e Metil-Ter-Butil-Etere» sarebbero stati iniettati in un pozzo del Campo Vega dopo l'estrazione di milioni di barili di petrolio. In particolare, sarebbero stati smaltiti i rifiuti della piattaforma petrolifera Vega A nel pozzo sterile V6 a 2800 metri di profondità, pari a mezzo milione di metri cubi di liquidi altamente inquinanti ovvero 147 mila metri cubi di acque di strato miste a idrocarburi, 333 mila metri cubi di acque di lavaggio delle cisterne di petrolio e 14 mila metri cubi di acque di sentina;
   essendo il pozzo Vega 6 permeabile, secondo l'ISPRA «ragionevolmente la contaminazione ha interessato un'area di maggiore estensione», coinvolgendo anche «altre formazioni geologiche con essa confinanti e in comunicazione». Tale fenomeno, sempre secondo l'ISPRA, sarebbe anche stato favorito dal trattamento con acido cloridrico, uno dei liquidi più corrosivi esistenti, che la Edison avrebbe utilizzato per ampliare la capacità di contenimento del pozzo, e dalla fratturazione della matrice rocciosa per aprire in essa nuove vie per lo scorrimento dei fluidi;
   ad avviso dell'Ispra la Edison dovrebbe risarcire lo Stato con 70 milioni di euro, somma equivalente al risparmio ottenuto dalla società dallo smaltimento illegale dei rifiuti. Al riguardo il Ministro interrogato su richiesta di Istituto avrebbe chiesto il risarcimento del danno, mentre il Ministero dello sviluppo economico ha raddoppiato la concessione petrolifera della piattaforma Vega A in Vega B. Il Ministero dello sviluppo economico, in quel periodo guidato da Federica Guidi, autorizzava infatti il 12 dicembre 2014 il raddoppio della concessione con la seguente motivazione: «la società ha ottemperato ai termini di buona gestione del giacimento»;
   l'area scelta per la realizzazione della piattaforma Vega B ricade all'interno della fascia di protezione delle 12 miglia dal sito di interesse comunitario (Sic) «Fondali e foce del fiume Irminio». La legge impedirebbe di costruire nuove piattaforme così vicine ad un'area protetta;
   sarebbero state pubblicate anche le analisi degli esperti che smonterebbero le tesi secondo cui le trivellazioni non provocherebbero alcun danno ambientale;
   dal 2007 su tutta la vicenda è in corso un procedimento penale per il reato di illecito profitto dovuto allo smaltimento di rifiuti pericolosi non autorizzato per l'attività estrattiva e di stoccaggio degli idrocarburi, prossimo alla prescrizione, che vede imputati i dirigenti Edison a Ragusa per l'inquinamento generato dal 1989 ininterrottamente ad oggi –:
   come mai, essendo la vicenda già nota dal 2007, il 16 aprile 2015 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia dato il via libera al raddoppio della piattaforma e 13 novembre dello stesso anno abbia concesso un prolungamento di 10 anni alla concessione con la motivazione che «La società ha ottemperato ai termini di buona gestione del giacimento»;
   se, non intendano, nei limiti delle proprie competenze, attivarsi affinché venga interrotta ogni tipo di attività estrattiva e di stoccaggio degli idrocarburi, che possa costituire un serio e grave pericolo per la sicurezza dei cittadini e per l'ambiente, anche in considerazione del fatto che la piattaforma sarebbe in grado di resistere a terremoti fino al 9o grado della scala Mercalli in un'area già colpita nel 1693 da un terremoto dell'11o grado della stessa scala, con uno sconvolgimento epocale dell'ecosistema marino;
   se non intendano verificare la compatibilità, la legittimità e correttezza, anche nei termini previsti dalle norme che regolano i contratti pubblici, del rinnovo e dell'ampliamento della concessione ad un contraente che si trova in una situazione di contenzioso al punto che, nell'ambito del processo citato in premessa, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare si è finanche costituito parte civile, chiedendo un risarcimento per ingiusto profitto pari a 69 milioni di euro. (4-12790)

DIFESA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DURANTI, PIRAS, PELLEGRINO, MARCON, COSTANTINO, FRATOIANNI, CARLO GALLI, MELILLA, NICCHI, PANNARALE, RICCIATTI e SANNICANDRO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   a quanto si apprende da organi di stampa del 17 marzo 2016 – notizia divenuta contestualmente virale anche su diversi social network — il 14 marzo 2016 due caccia della aviazione militare saudita hanno fatto scalo presso l'aeroporto civile Marconi di Bologna;
   in merito a tale episodio, il giornalista milanese M.G. ha dato conto dei dubbi espressi dagli stessi funzionari della dogana dell'aeroporto emiliano, che nulla sapevano circa la presenza dei veicoli e/o circa le ragioni per cui avessero fatto scalo in tale sede civile;
   a quanto si evincerebbe da alcuni post su Facebook, correlati da foto, in data 1o aprile 2016 si sarebbe verificato un episodio simile presso lo scalo di Bari Palese, con la presenza di almeno un caccia bombardiere della aviazione saudita sulla pista civile –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   se il Ministro non intenda appurare le cause che hanno portato all'utilizzo di piste civili da parte di caccia di aviazioni straniere, con particolar riferimento allo scalo pugliese;
   se non intenda render noti i piani di volo con cui sono stati autorizzati tali velivoli, e se gli stessi fossero o meno armati. (5-08351)


   RIZZO, MANLIO DI STEFANO, FRUSONE, BASILIO, SPADONI, GRANDE, CORDA, DEL GROSSO, PAOLO BERNINI, TOFALO, DI BATTISTA, SIBILIA e SCAGLIUSI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 23 febbraio 2016 da fonti giornalistiche si apprende una rivelazione del quotidiano americano Wall Street Journal a proposito di «droni americani autorizzati a partire da basi italiane»;
   il Presidente del Consiglio Matteo Renzi ha confermato la notizia intervenendo a una radio nazionale: «...se si tratta di fare iniziative contro dei terroristi c’è uno stretto rapporto tra noi, gli americani e gli altri alleati». Anche il Ministro della difesa Roberta Pinotti in un'intervista rilasciata il 23 febbraio 2016 al quotidiano romano Il Messaggero ha assecondato le richieste dell'alleato americano: «La base di Sigonella è utilizzata dagli Stati Uniti secondo un trattato che risale al 1951. Ogni volta che si configurano assetti nuovi, parte una richiesta. Nulla di strano. C’è stato bisogno di una serie di interlocuzioni, perché l'Italia dev'essere coinvolta con un ruolo di leadership e di coordinamento in una strategia di sicurezza complessiva rispetto alla Libia». Infine, il Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Paolo Gentiloni, ha dichiarato che «la possibilità che le basi vengano utilizzate per operazioni antiterrorismo non è preludio a un intervento militare»;
   in successive dichiarazioni poi è stato precisato che l'autorizzazione sarà data caso per caso, in difesa delle truppe Usa e senza comunicazione obbligatoria al Parlamento: i droni partiranno da Sigonella, punto;
   lo strumento di morte più atroce della storia recente era già presente nella base siciliana, ma, fino ad oggi, con la sola autorizzazione per missioni di ricognizioni non armate. Da questo momento, però, utilizzeranno tutta la loro atrocità partendo dall'Italia;
   il grande intellettuale statunitense Noam Chomsky, ha dichiarato in più occasioni che «gli attacchi con droni e le guerre alimentate da Washington sono i più grandi attacchi terroristici della storia dell'umanità»;
   quarantacinque ex militari statunitensi, tra cui un colonnello dell'esercito in pensione, hanno pubblicato un appello congiunto ai «piloti» di droni che operano in Afghanistan, Iraq, Pakistan, Siria e altrove, chiedendo loro di rifiutare di svolgere i propri compiti, sostenendo che le «missioni» «vìolano profondamente le leggi nazionali e internazionali»;
   lo strumento di morte più efferato della storia recente partirà da oggi dall'Italia per concludere, a parere degli interroganti, le sue operazioni di terrorismo, non anti-terrorismo, in Libia;
   l'aspetto più interessante, tralasciato da molti organi di stampa, della rivelazione del Wall Street Journal è la tempistica sull’«accordo», il quale sarebbe stato siglato a gennaio 2016; infatti, gli Stati Uniti provavano da oltre un anno a convincere l'Italia a permettere loro di compiere questo tipo di operazioni partendo da Sigonella;
   le Nazioni Unite non si sono espresse mediante una risoluzione per un intervento armato in Libia –:
   sulla base di quale mandato internazionale, il Governo abbia concesso la base militare di Sigonella per le operazioni militari dei droni statunitensi in Libia.
(5-08357)


   BASILIO, FRUSONE, PAOLO BERNINI, CORDA, RIZZO, TOFALO, MASSIMILIANO BERNINI e BENEDETTI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   da notizie provenienti da organi di stampa nazionali, si evince che la procura generale della Corte dei conti avrebbe in corso una inchiesta avente ad oggetto l'uso improprio di autovetture di servizio da parte di alcuni ufficiali dell'Aeronautica militare;
   in particolare, un articolo pubblicato su « L'Espresso» on line del 6 aprile 2016, dal titolo «Il generale preferisce l'auto blu. Anche per andare al lavoro», descrive i punti salienti dell'inchiesta, che coinvolgerebbe ben sette generali dell'Aeronautica, invitati dal procuratore generale della Corte dei conti a deporre circa l'utilizzo delle predette autovetture anche al di fuori dei casi di «assoluta necessità legata ad inderogabili esigenze di servizio» e, quindi, in violazione delle disposizioni di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 agosto 2011;
   gli ufficiali interessati, attraverso la loro condotta non conforme alle nuove disposizioni in materia di spending review e di razionalizzazione della spesa pubblica, avrebbero così generato, secondo la magistratura contabile, un danno erariale pari a circa 20 mila euro;
   qualora venissero accertate le responsabilità gravemente colpose dei militari coinvolti nella vicenda, per i casi di maggiore entità potrebbe ipotizzarsi la fattispecie del reato di peculato militare;
   è di tutta evidenza che simili condotte, se accertate, non solo producono un danno economicamente apprezzabile per le casse dello Stato, ma rappresentano altresì una violazione dei doveri di probità, onestà e buona condotta a cui la disciplina militare dovrebbe conformarsi –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se, valutata la gravità dell'inchiesta, non ritenga opportuno fornire elementi in merito alle modalità di applicazione delle nuove disposizioni in materia di razionalizzazione della spesa pubblica nel comparto difesa e sicurezza;
   se sussistano analoghe iniziative di razionalizzazione della spesa pubblica anche rispetto alle altre Forze armate e quali risultati abbiano in concreto conseguito;
   quali iniziative disciplinari si intendano adottare nei confronti dei generali coinvolti nell'inchiesta della Corte dei conti;
   se il Ministro non ritenga opportuno, anche per ragioni di trasparenza, rendere noti i nominativi degli ufficiali coinvolti.
(5-08361)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   come si è appreso dalla stampa, sembra siano stati individuati degli anomali movimenti societari di denaro, riconducibili ad un giro d'affari che coinvolge i soci di Tiziano Renzi, padre del Presidente del Consiglio e i finanziatori dello stesso Premier. Si tratta di trasferimenti finanziari di circa 12,5 milioni di euro, di cui 8,1 milioni provenienti dai paradisi fiscali e finiti nelle casse di tre società;
   sui passaggi societari incriminati sono stati esibiti, in una conferenza stampa, i documenti camerali da Giovanni Donzelli capogruppo in Toscana del partito Fratelli d'Italia;
   nello specifico, sembra siano coinvolti: i soci del padre del Presidente Renzi, Ilaria Niccolai, Andrea Bacci, amico e primo finanziatore del Premier, nonché Lorenzo Rosi, ex presidente di Banca Etruria. Mentre, le società in questione sembra siano Mall Re, che si è occupata della realizzazione dell’outlet di Reggello (Firenze), la Dil Invest e la Egnazia Shopping Mall, sorta per la realizzazione di un outlet a Fasano (Brindisi), operazione, quest'ultima, che ha visto un impegno diretto da parte di Tiziano Renzi. L'amministratore di tutte queste società è Luigi Dagostino, artefice delle operazioni di realizzazione degli outlet in varie città d'Italia. Anche fra i soci della Riviera Mall e la Costa Azzurra Re, nate per la realizzazione degli outlet di Sanremo (Imperia), figurano società con sede nei paradisi fiscali;
   il più consistente dei trasferimenti finanziari riguarda la cessione avvenuta, il 5 maggio 2015, da parte della Nikila Invest di Ilaria Niccolai, del 75 per cento della Mall Re, alla società Staridea Investments con sede nel paradiso fiscale di Cipro; si tratta di quote del valore nominale complessivo di 37.500 euro (500 euro ciascuna) vendute a 7,5 milioni di euro (100 mila euro): una crescita di prezzo di 200 volte, se si considera che soltanto tre mesi e mezzo prima, il 17 dicembre 2014, nella stessa società era avvenuta una cessione di quote del 25 per cento, al prezzo di 20 mila euro;
   il 30 settembre 2015, Nikila Invest ha ceduto alla Tressel Overseas, società con sede a Panama e rappresentata in più occasioni da Luigi Dagostino, come predetto, «regista» dell'operazione outlet, il suo 30 per cento (3.000 euro di quote) della società Egnazia Shopping Mall, al prezzo di 125 mila euro. Lo stesso Dagostino ha ceduto il 18 per cento (1.800 euro di quote) per 75 mila euro;
   ed ancora, significativo è anche il caso avvenuto nella Egnazia Shopping Mall. Al riguardo, il 10 febbraio 2016, la società Syntagma, di cui è socio e amministratore unico l'ultimo presidente di Banca Etruria, Lorenzo Rosi, ha venduto a Luigi Dagostino quote da 1.100 euro al prezzo di 1.100 euro. Lo stesso giorno, addirittura 26 minuti dopo, è stata firmata un'altra doppia cessione alla società Uk Development and Investments, con sede nel Regno Unito: La Castelnuovese – a lungo amministrata da Lorenzo Rosi – ha ceduto, al prezzo di 130 mila euro, 500 euro di quote e Mora Real Estate ha ceduto 1.200 euro di quote, al prezzo di 430 mila euro;
   è evidente l'ambiguità delle operazioni in questione, in cui sono coinvolti affaristi e società, apparentemente allegati al Presidente del Consiglio e comunque i suoi stretti familiari e che, pertanto, si ritiene debbano essere accertati, anche per verificare se sussistano dei conflitti d'interessi o dei sistemi mirati ad eludere il fisco –:
   quali siano, per quanto di competenza, gli orientamenti del Ministro interrogato;
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare per verificare i trasferimenti finanziari esposti in premessa e collegati ai cosiddetti paradisi fiscali, accertando, tra l'altro, i nominativi di coloro che sono collegati alle società in questione. (5-08366)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRATTI, PAOLA BOLDRINI, ROMANINI, BARUFFI, MARCHI, PATRIZIA MAESTRI, MARCO DI MAIO, LATTUCA, FABBRI e LENZI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel 2009 un'ispezione della Banca d'Italia rilevava problematiche relative al credito per la Carife spa, ed in particolare una posizione debitoria su Milano (Siano) che presentava significative difficoltà;
   data la delicata situazione, nel settembre 2009, l'allora direttore generale, dottor Gennaro Murolo, veniva sostituito dal dottor Giuseppe Grassano; quest'ultimo, in più occasioni ufficiali prospettava un rapido risanamento rilancio della banca;
   nell'aprile 2010, con la nomina del nuovo consiglio e l'approvazione del primo bilancio in passivo della propria storia, la banca proseguì nell'opera di risanamento, sotto l'assiduo controllo della Banca d'Italia, che aveva disposto per Carife la vigila a rafforzata;
   tra dicembre 2010 e aprile 2011, Carife ha definito il progetto di aumento di capitale mediante ricorso principalmente all'azionariato diffuso, cioè piccoli risparmiatori famiglie e imprese. L'aumento di capitale è stato autorizzato dalla Banca d'Italia e dalla Consob per un importo di 150 milioni di euro, sottoscritto in larghissima parte da famiglie e imprese del territorio ferrarese;
   l'aumento di capitale, tra luglio e settembre 2011, è stato completato con successo, portando il totale azionisti a più di 29.000, quindi con almeno 5.000 nuovi sottoscrittori, rispetto ai 24.000 che erano soci già da prima;
   nel settembre 2012 una nuova ispezione di Bankitalia ha inaspettatamente portato ad ulteriori pesantissime svalutazioni dei crediti, da cui il bilancio 2012 è stato approvato, ad aprile 2013, con una perdita di quasi 105 milioni di euro; in quel momento il patrimonio netto di Carife rimaneva comunque superiore a 350 milioni di euro, con 132 filiali e oltre 1.000 addetti;
   nel frattempo Banca d'Italia aveva chiesto a fondazione Carife di ricercare un partner industriale e, a quanto risulta agli interroganti, la fondazione ha preso contatti con possibili interessati;
   la Cassa di risparmio di Ferrara è stata posta in regime di amministrazione straordinaria con decreto n. 151 del 27 maggio 2013 del Ministero dell'economia delle finanze;
   tale regime è stato confermato dal Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto del 26 maggio 2014, su proposta della Banca d'Italia, che ha disposto la proroga della procedura di amministrazione straordinaria della Cassa di Risparmio di Ferrara, capogruppo dell'omonimo gruppo bancario;
   nei mesi successivi i commissari, in stretto coordinamento con Banca d'Italia, hanno operato una serie di dismissioni di banche controllate e di filiali, riducendo il perimetro di Carife al territorio originario. Nel frattempo i sindacati aziendali hanno aderito ad un importante accordo di prepensionamenti, con oneri economici a carico dei dipendenti rimasti in servizio e consistenti effetti in diminuzione dell'organico e del costo del lavoro;
   in questo periodo di commissariamento, a valutare l'acquisizione sono state prima la Popolare di Vice a e poi Banca popolare dell'Emilia-Romagna, successivamente si è ipotizzato un salvataggio da parte della vicina Cassa di Cento, ma nessuna di queste possibili soluzioni ha dato i risultati sperati;
   con decreto-legge n. 183 del 22 novembre 2015, cosiddetto «salva banche», il Governo Renzi ha individuato un sistema di salvataggio, che trovava immediata applicazione per quattro banche (Banca Marche, Carife, Carichieti, Banca Etruria) e per i loro amministratori uscenti che si sostanzia nella creazione per ciascuno dei quattro istituti di una «good bank» cui affidare la prosecuzione delle relative attività bancarie e di una «bad bank» comune in cui lasciare tutti i crediti non riscossi cosiddetti «sofferenze» e che di fatto implica il sacrificio degli obbligazionisti attraverso l'azzeramento del valore dei titoli subordinati, con conseguenti effetti sui risparmi di 32.000 ferraresi e sull'intera economia provinciale –:
   se, alla luce di quanto esposto in premessa, non ritenga necessario continuare il confronto con l'Unione europea per arrivare a trovare una soluzione che possa condurre al ristoro tutti gli obbligazionisti; se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché le nuove banche e chi le acquisirà possano riconoscere agli ex azionisti nuovi warrant; se sia possibile ipotizzare, per i territori colpiti dalle crisi bancarie iniziative volte a definire nuovi strumenti di sviluppo per superare gli effetti di shock che queste crisi hanno creato. (4-12794)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   PASTORELLI, LOCATELLI e LO MONTE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   con i decreti legislativi n. 155 e n. 156 del 2012 si è dato il via a un piano di riordino degli uffici giudiziari sul territorio nazionale, con la soppressione di 30 tribunali, 38 procure, 220 sedi distaccate e 674 uffici del giudice di pace;
   il 30 giugno 2015, al termine del Consiglio dei ministri, il Presidente del Consiglio e il Ministro della giustizia presentavano in conferenza stampa i 12 punti da cui partire per la riforma del sistema giudiziario italiano, tra i quali, al punto 11, «misure per l'ulteriore razionalizzazione della geografia giudiziaria»;
   come si legge sul sito dello stesso Ministero: «La riforma della geografia giudiziaria del 2012 ha soppresso 30 tribunali e i corrispondenti uffici di Procura, ma ha dovuto realizzarsi negli angusti confini della legge di delega originaria [...]. Pertanto, occorre por mano al necessario superamento di quelle condizioni e, dunque: a) abbandonare la regola che ha imposto di mantenere almeno tre tribunali per ogni distretto di corte di appello; b) rimuovere il divieto di soppressione dei tribunali con sede nei capoluoghi di provincia, a prescindere dalla conformità ad altri parametri funzionali.»;
   a breve dunque il Governo dovrebbe adottare un'iniziativa normativa che, come quelle del 2012, prevederà nuovi ed ulteriori tagli alla geografia giudiziaria: saranno ridotte le corti di appello e i tribunali primo grado;
   infatti, il 16 marzo 2016 la commissione di studio incaricata di predisporre uno schema di riforma dell'ordinamento giudiziario ha elaborato una bozza, che poi verrà discusso e approvato dal Consiglio dei ministri, dove si evidenziano le nuove ipotesi di sviluppo del processo di revisione della geografia giudiziaria attraverso una riorganizzazione della distribuzione sul territorio delle corti di appello e delle procure generali presso le corti di appello, dei tribunali ordinari e delle procure della Repubblica;
   nel testo della bozza di disegno di legge delega all'articolo 1 si legge testualmente che: «1. Il Governo, al fine di incrementare l'efficienza del sistema giudiziario e di realizzare la specializzazione delle funzioni e risparmi di spesa, è delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, uno o più decreti legislativi per riorganizzare la distribuzione sul territorio dei distretti di Corte di appello e delle relative Procure generali, con l'osservanza dei seguenti principi e criteri direttivi: a) ridurre, mediante attribuzione di circondari o porzioni di circondari di tribunali appartenenti a distretti limitrofi, il numero delle Corti di appello esistenti, secondo i criteri oggettivi dell'indice delle sopravvenienze, dei carichi di lavoro, del numero degli abitanti e dell'estensione del territorio, tenendo comunque conto della specificità territoriale del bacino di utenza, della situazione infrastrutturale e del tasso d'impatto della criminalità organizzata; b) sopprimere le sezioni distaccate delle Corti di appello ovvero ridurne il numero anche mediante accorpamento alle corti di appello limitrofe, nel rispetto dei criteri di cui alla lettera a); c) ridefinire l'assetto ordinamentale e organizzativo degli uffici di Procura generale presso la Corte di appello e delle corrispondenti funzioni del Pubblico Ministero, nonché la possibilità di accorpare più uffici di Procura generale indipendentemente dall'accorpamento del corrispondenti distretti di Corte d'appello, prevedendo in tali casi che l'ufficio di Procura generale accorpante possa svolgere le funzioni requirenti di secondo grado presso più Corti d'appello anche mediante l'istituzione di un presidio presso le Procure della Repubblica aventi sede presso i capoluoghi dei rispettivi distretti di Corte di appello; d) ridefinire, anche mediante riduzione in coerenza con i criteri di cui alla lettera a), l'assetto ordinamentale dei Tribunali per i minorenni e dei corrispondenti uffici requirenti indipendentemente dall'accorpamento dei corrispondenti distretti di Corte di appello, prevedendo in tali casi per detti uffici una competenza territoriale su uno o più distretti di Corte di appello»;
   tali anticipazioni hanno sollevato molte preoccupazioni e polemiche per il probabile accorpamento del tribunale di Rieti con quello di Terni al fine di far sì che la corte di appello di Perugia abbia i requisiti previsti per continuare ad operare;
   già con la precedente revisione del 2012, che ha cancellato tutte le sezioni distaccate in Italia (Rieti ha perso quella di Poggio Mirteto) oltre a gran parte degli uffici dei giudici di pace, la Sabina si è vista privata delle sedi di Amatrice, Rocca Sinibalda e Cittaducale, con la conseguenza che il territorio è stato fortemente penalizzato comportando forti disagi per gli utenti e per i professionisti del settore –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se non ritenga opportuno assumere ogni iniziativa di competenza per mantenere i presidi giudiziari di Rieti e Terni o quantomeno valutare l'opportunità di una soluzione alternativa che non lasci i territori ed i cittadini sforniti di un presidio di giustizia. (4-12779)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   TERZONI, CECCONI, AGOSTINELLI, CIPRINI, GALLINELLA, DAGA, DE ROSA, MANNINO, BUSTO, ZOLEZZI, VIGNAROLI e MICILLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a inizio aprile 2016 gli uomini della forestale del comando stazione di Serravalle di Chienti, hanno riscontrato delle irregolarità di carattere penale sulle modalità di ripristino dell'alveo di un corso d'acqua, che attraversa il centro abitato di Serravalle di Chienti in provincia di Macerata;
   in occasione di un forte temporale occorso in zona, il fosso Vallesina, affluente in destra idrografica del fiume Chienti, ha esondato e avrebbe allagato la strada comunale e alcuni terreni privati, arrivando sino a lambire anche abitazioni;
   il comando ha già segnalato anche altre varie irregolarità, che vanno da violazioni riscontrate in ambito paesaggistico – ambientale (con l'accertamento della realizzazione di strade di cantiere abusive e violazioni alle norme relative all'inquinamento delle acque) alla gestione dei fanghi di lavorazione e al non corretto smaltimento dei rifiuti e delle terre e rocce di scavo, sino a profili relativi alle modalità di risarcimento dei terreni espropriati e dei progetti di compensazione ambientale –:
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover intervenire, per quanto di competenza, al fine di attivare una campagna di controlli per verificare il rispetto delle prescrizioni e delle procedure all'interno di tutti i cantieri della Quadrilatero;
   se non ritenga di dover approfondire, per quanto di competenza, ciò che è successo e che è stato riportato in premessa per escludere responsabilità amministrative statali. (3-02168)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nell'anno 2003, scaturisce il progetto del raddoppio della linea ferroviaria nel tratto Foggia-Caserta;
   le Ferrovie dello Stato Italiane (RFI), sono state il proponente del progetto destinatario del finanziamento;
   negli anni 2008/2009, dopo varie vicende burocratiche, iniziano i lavori;
   su tutta la prima tratta di strada Foggia-Bovino è stata prevista la soppressione di sette passaggi a livello, sostituiti con «cavalca-ferrovia» e relative bretelle di passaggio;
   al passaggio a livello della stazione della cittadina di Troia è stato previsto un sottovia e non un cavalca-ferrovia e non sono state previste bretelle di passaggio provocando quindi la totale chiusura della strada;
   questo passaggio è attraversato dalla strada provinciale n. 106, località Giardinetto, che collega il subappenninico meridionale con quello settentrionale ed è pertanto di una certa importanza per la viabilità della zona;
   nell'anno 2011, in seguito alla chiusura del sopracitato passaggio nasce un Comitato autonomo di persone, di vari ordini sociali (commercianti, lavoratori e agricoltori) che si rendono conto del danno che è stato provocato al sottovia e alla relativa chiusura della strada provinciale n. 106;
   dalla cartografia iniziale del progetto delle Ferrovie dello Stato Italiane, si evidenzia che il sottovia era stato previsto in una posizione dove la strada si ritrova frequentemente allagata specialmente durante i mesi invernali, in quanto si tratta di una zona soggetta a frequenti e copiosi temporali al livello del letto del fiume, che dista circa 400 metri;
   infatti, il sottovia ha creato rilevanti e pericolosi incidenti;
   in questa situazione, con la strada attualmente chiusa, e con i lavori ancora da terminare, tutta la popolazione della zona della cittadina di Troia è in agitazione, in quanto non si sa quando i lavori termineranno e nessuno è in grado di dare delle garanzie di apertura della strada, poiché la zona è interessata da ritrovamenti di reperti archeologici e residui bellici ed è già accaduto anche il fallimento della ditta appaltatrice che ha provocato il fermo dei lavori per circa due anni;
   la comunità della cittadina di Troia è costituita principalmente da persone anziane che per raggiungere le fonti di approvvigionamento o di cure o per essere soccorsi devono percorrere circa 40 chilometri per raggiungere il centro cittadino percorrendo pertanto strade completamente disastrate;
   anche gli agricoltori che devono coltivare i loro campi, unica loro fonte di sopravvivenza, sono costretti ad abbandonare le loro coltivazioni, specialmente quelle ortofrutticole che hanno bisogno di una costante manutenzione e di un'assidua presenza –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare per colmare quello che appare un evidente errore di progettazione da parte delle Ferrovie dello Stato Italiane, affinché questa situazione non continui a ripercuotersi sulla comunità della cittadina di Troia e sugli agricoltori della zona;
   quali siano i tempi previsti per la risoluzione dell'increscioso problema descritto in premessa, dato che nessun documento da parte della ditta appaltatrice delle Ferrovie dello Stato Italiane riporta notizie certe sull'andamento dei lavori. (4-12775)


   SORIAL. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   secondo recenti fonti di stampa il bilancio del 2015 della A35, detta BreBeMi, autostrada che collega Brescia a Milano, avrebbe chiuso in passivo per 69 milioni di euro, a causa della scarsa frequenza dell'infrastruttura, con circa 16.500 auto al giorno agli inizi del 2015 rispetto alle previsioni di 60 mila, come sarebbe emerso dall'ultima assemblea dei soci della BreBeMi Spa avvenuta in questi giorni;
   questo passivo raggiungerebbe il doppio rispetto alla chiusura del 2014, quando il bilancio venne approvato con una perdita di 35 milioni di euro, ma sembra che la BreBeMi spa si sia vista approvare il piano di riequilibrio con una concessione fino al 2039 e riceverà, fino al 2029, 320 milioni di euro totali tra la regione Lombardia e il Governo: 20 milioni all'anno dalla regione e il resto dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   infatti, nonostante la BreBeMi fosse stata presentata come l'autostrada «dei privati», da realizzarsi in project financing senza nessun costo per le casse dello Stato, la giunta regionale lombarda avrebbe dato poi l’«ok» a 60 milioni di euro di finanziamento, in tre anni, in particolare 20 milioni nel 2015, 2016 e 2017, sostegno economico approvato in agosto dal Cipe, e sarebbe stato stabilito anche un altro stanziamento di 260 milioni di euro da parte dello Stato per un totale di ben 320 milioni di euro di fondi pubblici;
   con l'atto di sindacato ispettivo n. 4-11079, il 12 novembre 2015 l'interrogante aveva già posto all'attenzione del Governo il problema di questa autostrada dalla dubbia utilità e dall'alto costo, ma non è ancora giunta alcuna risposta da parte del Ministero interrogato;
   Premier Renzi aveva promesso che la BreBeMi doveva essere «tutta finanziata dai privati, senza oneri per lo Stato», invece l'opera si è rivelata estremamente costosa per i contribuenti poiché lo Stato dovrà pagare almeno 1,7 dei 2,4 miliardi di euro di costo: 1,2 miliardi di penale di subentro, 320 milioni appena deliberati dal Cipe, più il valore dell'allungamento della concessione di sei anni, di altri 200 milioni, e così nella migliore delle ipotesi i privati ripagheranno un terzo dell'opera, ovvero 800 milioni, e i fondi dei contribuenti, 1,7 miliardi, saranno equamente divisi tra le banche (800 milioni di interessi) e gli azionisti BreBeMi (800 milioni di giusto profitto);
   più di diciotto anni fa quando partì il progetto e il suo principale azionista era proprio Autostrade per l'Italia, la A35, costruita attraverso il project financing con soci pubblici diretti e indiretti come regione, province e comuni interessati insieme a privati come banche e imprese costruttrici, doveva costare 920 milioni di euro, ma il conto finale si è triplicato fino a raggiungere 2,439 miliardi di euro, compresi gli interessi, per un totale di 38 milioni di euro a chilometro;
   l'aumento del prezzo dell'A35 sarebbe dipeso, secondo fonti di stampa, dal fatto che «nelle varie procedure autorizzative il ceto politico pretende le famigerate opere compensative e altri adeguamenti. Il privato dice «si» a tutto per poter poi dire «è la politica che ha fatto saltare i conti», visto che poi, se l'opera fosse risultata un fallimento, era previsto dalla convenzione il pagamento da parte dello Stato, come di fatto sta succedendo;
   nel frattempo Autostrade per l'Italia ha passato l'affare a Intesa Sanpaolo, e la convenzione tra lo Stato e BreBeMi è stata riscritta completamente, introducendo nuove clausole che garantissero la famosa «bancabilità», come quella che se i conti non tornano deve pagare lo Stato, di cui sopra, oppure quella che ha innalzato la remunerazione del capitale privato dal 3,59 per cento all'anno del bando di gara all'8,90 per cento, e infine quella che stabilisce che a fine concessione il privato avrà diritto a 1,2 miliardi per il cosiddetto subentro: il privato avrà dunque indietro dallo Stato la metà del costo;
   se lo Stato non pagasse per questo fallimento gli accordi stabiliscono che la società autostradale possa restituire la concessione a Concessioni autostradali lombarde (la società costituita da regione Lombardia, attraverso Infrastrutture Lombarde, e dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con ANAS) che dovrebbe risarcire BreBeMi con 2,44 miliardi di euro;
   sempre secondo fonti di stampa «Intesa Sanpaolo, prima azionista della BreBeMi, ha finanziato la BreBeMi. Con Unicredit, Montepaschi, Centrobanca e Credito Bergamasco ha preso 600 milioni dalla Bei (banca europea pubblica) al 2 per cento per girarli alla BreBeMi al 7 per cento. Uno spread di 30 milioni all'anno per vent'anni su un'opera senza rischi, visto che pagherà tutto lo Stato»;
   l'interrogante aveva già presentato anche l'atto n. 4-07502 a gennaio 2015 per domandare la ragione e la natura di tali finanziamenti statali ad un'opera presentata come a costo zero per le casse pubbliche e a poi una spesa di tale portata per lo Stato, ma non è stata ancora ricevuta alcuna risposta in merito;
   ad avviso dell'interrogante, contratti del genere, lungi dal realizzare una utile e proficua interazione dei privati con lo Stato, addossando allo Stato ogni rischio economico di un eventuale fallimento, possono portare di fatto a trasformare il fallimento stesso nell'affare da perseguire e concludere, arrecando un doppio danno alla collettività che si ritrova senza le opere in questione e con perdite economiche ingenti per le casse dello Stato;
   l'esborso complessivo avvenuto finora per la realizzazione dell'opera BreBemi, secondo l'interrogante, potrebbe configurarsi come danno erariale di cui sarebbero soggetti lesi i cittadini contribuenti, e per il quale, in tal caso, sarebbe opportuno intervenire prima possibile, visto che la spesa è in corso –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti esposti e se non ritenga necessario chiarire i motivi di quanto accaduto riguardo all'innalzamento del prezzo dell'opera e alle eventuali responsabilità nella stesura del contratto, soprattutto circa le nuove clausole di «bancabilità» nella seconda versione, di cui in premessa, che hanno reso, ad avviso dell'interrogante, tale accordo decisamente in perdita per lo Stato e a favore dei privati coinvolti nel caso in cui l'opera non si fosse rivelata un successo, come si preannunciava dal principio e come di fatto è stato;
   se non si intenda analizzare la natura e l'utilizzo dello strumento del project financing, che troppo spesso invece di ridurre la spesa pubblica attraverso l'apporto di capitale privato, rischia di trasformarsi in uno sperpero di denaro pubblico;
   se non si ritenga necessario monitorare accuratamente la natura dei contratti delle altre opere similari per capire se esistano altri esempi di questo tipo, e in che modo eventualmente si intenda intervenire per limitare i danni economici che ne potrebbero scaturire, nonché quali iniziative, anche di carattere normativo, si intendano attuare per impedire ai concessionari e ai contraenti generali di assumere commesse di questo tipo, a tutto favore dei privati coinvolti che di fatto guadagnano sia se l'affare va bene, sia se fallisce. (4-12791)


   FRANCO BORDO, SCOTTO, FOLINO e NICCHI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   Toscana Aeroporti s.p.a è la società di gestione degli scali aeroportuali di Firenze e Pisa. Nasce il 1o giugno 2015 dalla fusione di AdF — Aeroporto di Firenze s.p.a. (società di gestione dello scalo A. Vespucci di Firenze) e SAT – Società Aeroporto Toscano s.p.a. (società di gestione dello scalo G. Galilei di Pisa);
   dalla pubblicazione a mezzo stampa delle intercettazioni riguardanti l'inchiesta sullo scandalo petroli in Basilicata che hanno coinvolto anche l'ex Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, e il suo compagno, Gianluca Gemelli, emergono elementi preoccupanti circa il sistema delle opere che Toscana Aeroporti ha messo in campo;
   come ha dichiarato di recente lo stesso presidente di Toscana Aeroporti, Marco Carrai, in un'intervista sul Sole 24 Ore, «Se non ci saranno intoppi, la nuova pista dell'aeroporto di Firenze sarà pronta nel 2017, in tempo per far atterrare i capi di Stato e di Governo che parteciperanno al G8». Difatti, si tratta di un investimento di circa 300 milioni di euro, per metà finanziati dal Governo, per la costruzione di una nuova pista di volo – più lunga e sicura dell'attuale, destinata ad accogliere aerei più grandi e a far salire il traffico dello scalo fiorentino (2,2 milioni di passeggeri nel 2014, +13,6 per cento) – e per la realizzazione di una nuova aerostazione (da cui partirà una linea della tranvia) che sarà firmata con tutta probabilità dall'architetto americano Rafael Vinoly;
   come ha comunicato lo stesso Carrai, proprio in merito alla delicatezza dell'opera Adf ha siglato di recente un protocollo d'intesa con l'Autorità nazionale anticorruzione «per essere accompagnati — dice Carrai — nelle procedure e nei bandi che andremo a fare, visto che vogliamo essere una casa di vetro»;
   nel mese di ottobre 2015 sono stati sottoscritti i contratti di programma tra Toscana Aeroporti e l'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac), per un valore complessivo di 104 milioni di euro, di cui 71 finanziati con risorse pubbliche. L'obiettivo – secondo le parole del presidente dell'Enac, Vito Riggio – è quello di accelerare gli investimenti necessari per un efficace sviluppo degli scali, anche in prospettiva dell'incremento della domanda del trasporto aereo, a garanzia di un miglioramento dell'efficienza operativa e dell'innalzamento degli standard qualitativi dei servizi resi ai passeggeri;
   dalle intercettazioni pubblicate in merito al caso Guidi/Gemelli emerge un quadro tutt'altro che trasparente degli sviluppi legati all'opera. Il 26 giugno 2015, nel corso di una telefonata tra Gianluca Gemelli e l'allora Ministro, Gemelli rinfaccia alla Guidi di essersi interessata per il presidente di Aeroporti Toscani (quindi Carrai) mettendosi a sua completa disposizione, telefonando e presentandogli una società che copriva tratte aeree: «Per lui ti sei esposta, per me no», dice al telefono Gemelli –:
   se il Governo sia a conoscenza di un interessamento, diretto o indiretto, da parte dell'ex Ministra, Federica Guidi in merito allo sviluppo delle opere e dei servizi di Aeroporti Toscani volto a favorire soggetti privati al di fuori di procedure di gara pubbliche e trasparenti;
   se s'intendano fornire elementi circa lo stato dei lavori e dei contratti di appalto e subappalto inerenti allo scalo aeroportuale di Firenze e quali iniziative di trasparenza e legalità siano state implementate in vista dei lavori di ampliamento della pista;
   se, nelle more degli stanziamenti per le opere destinate agli aeroporti toscani, non si ritenga, a fronte degli interessi privati in campo, eccessivamente sbilanciato il contributo di natura pubblica, rispetto a quello di natura privata.
(4-12793)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   CHIARELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 4 dicembre 2015 i consiglieri di minoranza del comune di Leporano, in provincia di Taranto, signori Pavone, Galeone, De Milito, D'Avanzo, depositavano una richiesta di convocazione di un consiglio comunale monotematico sulla questione raccolta differenziata e smaltimento dei rifiuti, ai sensi dell'articolo 39, comma 2, del TUEL, con le forme e il rispetto dei requisiti richiesti dalla norma e dallo statuto comunale;
   in data 22 dicembre 2015 con note protocollo nn. 12522 e 12533, rispettivamente a firma del presidente del consiglio comunale e del sindaco pro tempore, si notificava diniego alla richiesta di convocazione del consiglio comunale monotematico adducendo come motivazione: «perché l'istanza a firma di 1/5 dei consiglieri risulta priva di una proposta di deliberazione allegata»;
   in data 4 gennaio 2016 con istanza inviata tramite pec alla prefettura di Taranto, a firma i tutti i consiglieri di minoranza, si chiedeva al prefetto di intervenire nella vicenda e di ordinare al presidente del consiglio comunale di Leporano la fissazione del consiglio monotematico, in quanto non attiene alle competenze né del presidente del consiglio né del sindaco esprimere giudizi sull'oggetto della richiesta di convocazione del consiglio monotematico ex articolo 39, comma 2, del TUEL;
   in data 6 marzo 2016 con sollecito formale a firma del consigliere Pavone si richiedeva al prefetto di Taranto di rispondere all'istanza protocollata più di due mesi prima; tale sollecito veniva inviato per conoscenza anche al Ministero dell'interno;
   in data 21 marzo 2016 la responsabile dell'area enti locali della prefettura di Taranto: dottoressa Pricolo rispondeva al sollecito affermando che non fosse stato possibile evadere la predetta richiesta formulata dai consiglieri del comune di Leporano poiché «priva dello schema di deliberazione richiesto dallo Statuto Comunale», aggiungendo che «sull'argomento l'Ufficio ha richiesto l'avviso al Ministero dell'Interno»;
   la previsione del citato articolo 23 dello statuto del comune di Leporano è, a giudizio dell'interrogante, in netto contrasto con quanto statuito dal TUEL all'articolo 39, nel momento in cui indica una condizione aggiuntiva che limita i diritti dei consiglieri comunali secondo l'articolo 39, comma 2, il presidente del consiglio comunale o provinciale è tenuto a riunire il consiglio, in un termine non superiore ai venti giorni, quando lo richiedano un quinto dei consiglieri, o il sindaco o il presidente della provincia, inserendo all'ordine del giorno le questioni richieste al comma 5 si stabilisce che in caso di inosservanza degli obblighi di convocazione del consiglio, previa diffida, provvede il prefetto;
   l'assenza di contestuale presentazione dello schema di deliberazione, ancorché non previsto dal TUEL, nei fatti non può rappresentare elemento impeditivo alla convocazione dell'assise nel caso di un consiglio comunale monotematico su uno specifico argomento, per il quale è richiesto il più ampio confronto propedeutico e finalizzato al raggiungimento di una convergenza sul piano delle risoluzioni da adottare;
   l'argomento oggetto della richiesta, gestione dei rifiuti e raccolta differenziata, è di particolare interesse sociale e richiede di essere affrontato in tempi brevi –:
   di quali elementi disponga in relazione alla vicenda di cui in premessa e se, alla luce delle istanze dei citati consiglieri di minoranza, si intenda da parte del prefetto procedere all'esercizio dei poteri di cui all'articolo 39 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali ai fini della convocazione del consiglio comunale. (3-02167)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CRIPPA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel novembre 2012, secondo il suo resoconto spese, il sindaco di Novara Andrea Ballarè si trovava a Diamante (Cosenza) per un «Incontro sui rifiuti»;
   in un post sul social network « Facebook» datato 5 aprile 2016, lo stesso Ballarè dichiara di aver partecipato in quei giorni del novembre 2012 ad un evento ANCI, cosa non specificata dal proprio resoconto spese;
   mentre non si trova traccia in rete di un incontro del genere, cosa certa invece è che diverse agenzie locali riportano come il primo cittadino novarese abbia partecipato proprio in quei giorni ad una trasmissione dell'emittente « Telediamante» e all'Assemblea locale del comitato elettorale per Matteo Renzi, inerente alle Primarie PD 2012, tema della trasmissione sopracitata, a cui era presente anche l'allora sindaco di Diamante, Ernesto Magorno;
   l'assemblea pare abbia visto la partecipazione di diverse altre personalità del PD locale;
   sono ormai fin troppo frequenti le razionalizzazioni delle risorse destinate ai comuni, così come le tassazioni a loro dirette, da parte dei diversi Governi succedutisi negli ultimi anni;
   tale « spending review» vede la continua limitazione in tutta Italia di qualità e quantità dei servizi basilari forniti dalle amministrazioni comunali –:
   se il Ministro non ritenga opportuno assumere iniziative per implementare la normativa relativa ai rimborsi delle spese sostenute da sindaci ed esponenti da questi delegati riferite a trasferte come quella citata che non appare riconducibile al comune di provenienza degli stessi.
(4-12783)


   TOTARO e RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   ormai da alcuni mesi il territorio della provincia di Siena è oggetto di atti criminosi gravi e violenti;
   nei giorni scorsi, dopo una serie di rapine a mano armata, assalti a negozi e banche di Siena e provincia, è stato presa di mira la sede della «Securpol» di Colle Val d'Elsa;
   il tentativo di rapina ai danni di tale agenzia di sorveglianza è stato portato avanti con tecniche incredibilmente gravi: fonti investigative parlano di un commando di venticinque persone armate di kalashnikov che avrebbe assaltato l'edificio nell'intento di arrivare al caveau che conteneva alcune decine di milioni di euro destinati al pagamento delle pensioni del territorio, impiegando nell'attacco anche una ruspa escavatrice rubata nei dintorni che ha parzialmente distrutto la palazzina che ospita la sede della società;
   pochi giorni dopo tale assalto, ha avuto luogo una rapina ai danni di un supermercato «Simply», ad opera di tre malviventi armati di fucile, alla quale ha fatto seguito addirittura una sparatoria in strada;
   a Siena e nella provincia si trovano diverse caserme di forze armate, tra le quali quella che ospita il 186o reggimento paracadutisti della brigata «Folgore» –:
   quali iniziative intendano assumere al fine di garantire la sicurezza nella zona del senese, se del caso destinando, nell'ambito dell'operazione «strade sicure», personale militare al presidio dei punti sensibili. (4-12784)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARZANA, VACCA, DI BENEDETTO, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE, BRESCIA e D'UVA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   con il decreto del Presidente della Repubblica n. 19, del 14 febbraio 2016, è stato adottato il «Regolamento recante disposizioni per la razionalizzazione ed accorpamento delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento, a norma dell'articolo 64, comma 4, lettera a), del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133» con il quale si è proceduto all'accorpamento e al riordino delle precedenti classi di concorso;
   esaminando la tabella A, contenente gli insegnamenti delle discipline teoriche, e la tabella B, che riassume tutte le classi concorsuali di carattere tecnico-pratico, emergono a giudizio degli interroganti una lunga serie di problematiche, refusi e accorpamenti forzati delle discipline d'insegnamento;
   ad esempio, è stata istituita la classe A-59 (tecniche di accompagnamento alla danza e teoria e pratica musicale per la danza), che contempla esclusivamente le ore di laboratorio coreutico, laboratorio coreografico e teoria e pratica musicale per la danza, privandola in questo modo delle ben 64 ore di tecnica della danza;
   in tal modo, con la decurtazione del 70 per cento del monte orario dei pianisti, oltre a uno spaventoso taglio del personale stesso, nei licei coreutici, dopo sei anni di regolare attività, la musica per le lezioni di danza si svolgerebbe con un disco, pertanto la mancanza del pianista accompagnatore concorre quindi ad abbassare la qualità e il rendimento didattico;
   nella classe di concorso B16 (laboratori di scienze e tecnologie informatiche) sono confluite le classi C310 (laboratorio informatica industriale dei Periti Informatici ITIS) e C300 Laboratorio gestionale dei ragionieri); ebbene nel riordino la materia «Laboratorio di Tecnologie Informatiche Primo biennio degli Istituti Tecnici» non è più prevista né nella nuova classi di concorso B16, né in nessuna altra classe di concorso;
   con questa esclusione emerge un'altra contraddizione del ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca che, da un lato, sostiene la digitalizzazione della scuole, dall'altro, priva il biennio degli istituti tecnici di un insegnamento laboratoriale legato alla medesima digitalizzazione, con conseguente esclusione dei periti informatici dal prossimo concorso a cattedra;
   ancora, i titolari della classe di concorso A 65 (teoria e tecnica della comunicazione), con il nuovo riordino possono insegnare esclusivamente la materia «Teoria della Comunicazione» presso gli istituti tecnici, settore tecnologico, indirizzo grafica e comunicazione, mentre viene loro impedita la possibilità di insegnare anche la materia «Tecnica della Comunicazione»;
   un'altra anomalia è rappresentata dalla classe di concorso B14 (laboratori di scienze e tecnologie delle costruzioni) in cui è confluita la classe di concorso C39 (laboratorio e reparti di lavorazione per l'industria mineraria) e la classe C43 (laboratorio tecnologico per l'edilizia scolastica ed esercitazioni di topografia): con tale accorpamento si consente a determinati docenti di insegnare discipline che non rientrano nel loro corso di studio, ma la criticità più grave è che la nuova classe di concorso (B14) non prevede più l'ITP in geologia e tecnologia per la gestione del territorio e dell'ambiente, precludendo attività di laboratorio, richieste dalle aziende del settore;
   nella classe di concorso A37 (scienze e tecnologie delle costruzioni, tecnologie e tecniche di rappresentazione grafica), nata dall'accorpamento delle classi di concorso A071, A072 e A016, gli unici concorrenti ad essere avvantaggiati al prossimo concorso a cattedra sono i laureati in ingegneria civile perché il loro percorso di studi prevede le tre materie accorpate in questa riordino, mentre gli altri delle classi afferenti si trovano nella situazione di non aver mai affrontato alcune materie nel proprio piano di studi (esempio: per un laureato in architettura o ingegneria edile non è mai stato possibile insegnare la cdc A072 proprio perché il piano di studi non ha materie di questo tipo), pertanto parteciperanno al concorso su materie mai studiate nel loro piano di studi accademico;
   ancora, il nuovo regolamento non prevede alcuni titoli d'accesso che sino ad ora avevano permesso a molti docenti non abilitati di insegnare; con questa scelta, a tali docenti viene preclusa la possibilità di partecipare ai percorsi di abilitazione e, quindi, ai concorsi a cattedra: riporto come esempio il caso della laurea in scienze dello spettacolo e della produzione multimediale (LM 65/LM73S) che ha costituito in passato titolo d'accesso alle classi di concorso A-11, A-12, A-13 e A22; ebbene, nel nuovo riordino, tale titolo d'accesso non è più previsto, con tutte le conseguenze negative del caso per chi, non abilitato, ha insegnato con detto titolo di studio;
   un'altra criticità riguarda gli insegnanti specializzati in «Lingua italiana per discenti alloglotti», la disciplina per la quale è stata appena istituita la nuova classe di concorso A23 (lingua italiana per discenti di lingua straniera); nello specifico, il valore legale dei loro titoli di specializzazione, che ha permesso loro di lavorare da anni come docenti esperti nelle istituzioni riconosciute dal Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca, dai CPIA agli istituti italiani di cultura, non vale però per l'accesso alla classi di concorso A23 che permetterebbe loro di partecipare al concorso a cattedra 2016;
   inoltre, dalla tabella A del regolamento risultano inspiegabilmente assenti alcune delle lauree umanistiche, quali: LM 19/LS13 ,(informazione e sistemi editoriali); LM37/LS42 (lingue e letterature moderne europee e americane); LM36/LS41 (lingue e letterature dell'Africa e dell'Asia), ossia gli unici corsi di laurea magistrale che prevedono un indirizzo di glottodidattica delle lingue; poi LM57/LS65 (scienze dell'educazione degli adulti e della formazione continua), LM59/LS 5967 (scienze della comunicazione pubblica, d'impresa e pubblicità) e LM78/LS17/LS18/LS96 (scienze filosofiche);
   anche per le nuove classi di concorso spuntano incongruenze: A/25 (lingua inglese e seconda lingua comunitaria nella scuola secondaria di primo grado), A-36 (scienze e tecnologie della logistica), A-41 (informatica, B-19 (laboratori di servizi di ricettività alberghiera), relativamente al titolo d'accesso, non è stata indicata la qualifica in qualità di titolo congiunto al diploma, come è stata invece indicata per le classi B-20 (laboratori di servizi enogastronomici, settore cucina ) e B21 (laboratori di servizi enogastronomici, settore sala e vendita);
   intanto, in risposta alla interpellanza urgente n. 2/01249 del 2 febbraio 2016, in merito ai rilievi esposti dal Consiglio di Stato che, nell'esprimere il parere, nella seduta del 22 ottobre 2015, aveva auspicato rilevanti modifiche rilevando «come la attuale formulazione dello schema di regolamento, (...) non sembri adeguatamente garantire la salvaguardia delle posizioni e dei titoli acquisiti per effetto dei percorsi formativi sino ad ora in vigore, né di conseguenza le posizioni degli insegnanti attualmente inseriti nelle graduatorie. Non sembra, invero, sufficiente ad assicurare tale salvaguardia la previsione, indicata dall'Amministrazione, della possibilità da parte dei docenti accorpati di poter insegnare nella nuova classe di concorso e, di conseguenza, di poter partecipare alle prossime procedure concorsuali, non facendosi cenno nel provvedimento di quale sorte subiranno le posizioni dei docenti già inseriti in valide graduatorie al momento della entrata in vigore del regolamento», il Sottosegretario di Stato Davide Faraone informava che: «Questi sono stati recepiti nel testo definitivo del Regolamento. Quindi il tema non esiste più come questione»;
   eppure a seguito della pubblicazione del regolamento, anche il Consiglio nazionale universitario, con la mozione n. 5737 del 7 marzo 2016, ha rilevato tra le tante criticità non recepite, quelle riguardanti la corrispondenza tra lauree e accesso alle classi di concorso e che evidenziano l'incoerenza tra il regolamento di riordino e la struttura delle classi di laurea: classi di concorso cui possono accedere laureati magistrali privi delle competenze indispensabili; classi di concorso che richiedono requisiti del tutto incompatibili con gli ordinamenti delle attuali lauree magistrali; classi di concorso in cui risultano incongruenze fra i titoli del vecchio ordinamento, ex decreto ministeriale n. 509 del 1999 ed ex decreto ministeriale n. 270 del 2004, che vi danno accesso; classi di concorso affini per le quali si fissano requisiti incoerenti; classi di concorso per le quali si fissano requisiti non correlati alle competenze necessarie per l'insegnamento delle discipline previste dalla classe –:
   se e quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, per procedere al più presto al riordino delle classi disciplinari di concorso dei docenti e delle classi di laurea magistrale, in modo da assicurarne la coerenza così da risolvere le criticità emerse dal riordino delle classi di concorso a cattedre e a posti di insegnamento disposta dal decreto del Presidente della Repubblica n. 19 del 2016, alcune delle quali segnalate in premessa.
(5-08363)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRUNO BOSSIO, BURTONE, BATTAGLIA, CARLONI, CARRA, STUMPO, SPERANZA e ZOGGIA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il tirocinio formativo attivo (TFA), previsto con decreto ministeriale 10 settembre 2010, n. 249, è stato istituito per sostituire la Scuola di specializzazione all'insegnamento secondario (SSIS) e costituire, quindi, l'unica via possibile per l'abilitazione alla professione di insegnante, sulla base del fabbisogno regionale per ogni classe di concorso determinato dalla previsione dei pensionamenti;
   le prove selettive per l'accesso ai TFA si sono tenute solo a partire dall'estate 2012, mentre dalla fine di quell'amo fino all'estate 2013 si sono svolti i relativi corsi;
   la selezione per potere accedere ai TFA è stata particolarmente impegnativa, considerato che a contendersi i 21.000 posti disponibili hanno partecipato al concorso 150.000 aspiranti e, dopo la selezione nazionale e le due prove, scritta e orale, proposte dalle singole università, sono stati ammessi al primo ciclo di TFA circa 11.000 aspiranti insegnanti;
   l'acquisizione del titolo TFA ha garantito l'iscrizione in seconda fascia delle graduatorie d'istituto e, di conseguenza, la priorità nell'assegnazione delle supplenze, a partire da quelle annuali, rispetto ai laureati non abilitati della terza fascia delle stesse graduatorie;
   la nota del Ministero, dipartimento dell'istruzione, del 10 aprile 2013, protocollo di uscita n. 000839, indirizzata ai direttori degli uffici scolastici regionali e ai magnifici rettori, invita le università sede di TFA a concludere il percorso formativo entro la fine di luglio 2013, in modo da garantire agli abilitati la possibilità di fruire del titolo fin dall'anno scolastico 2013/2014;
   la nota è stata totalmente disattesa dal Ministero (in realtà da più parti si avanza l'ipotesi che sia addirittura scomparsa dall'archivio del Ministero, nonostante sia ancora reperibile in rete), con il risultato che il titolo TFA è divenuto totalmente inservibile per un intero anno scolastico;
   a tale situazione si è aggiunto l'effetto del decreto ministeriale 25 marzo 2013, n. 81, con cui si sono istituiti i percorsi abilitanti speciali (PAS) per ottenere l'abilitazione senza selezione all'ingresso, riservati a coloro che avessero almeno 3 anni di anzianità di servizio;
   è opportuno ricordare che per avere conteggiati 3 anni di anzianità è sufficiente avere maturato uno solo anno di servizio nella classe di concorso in cui si intende abilitarsi, essendo ammesso il riconoscimento anche del servizio prestato nelle scuole paritarie in un arco temporale di riferimento molto ampio che va dal 1999 al 2013;
   di conseguenza, alla data del 5 settembre 2013, termine ultimo per l'iscrizione ai corsi, il numero dei futuri PAS è di 60.000 unità, quasi 6 volte quello degli abilitati TFA;
   tutto ciò ha, di fatto, reso inutile il titolo faticosamente conseguito: infatti soggetti abilitati con i TFA precedentemente non insegnavano perché sopravanzati nelle graduatorie dai non abilitati con più anzianità, e ora non insegnano perché questi ultimi sono stati posti nelle condizioni di abilitarsi in tempo con l'aggiornamento delle graduatorie;
   la legge 13 luglio 2015, n. 107, all'articolo 1, comma 114, prevede un nuovo concorso per l'assunzione a tempo indeterminato in cui sono valorizzati, fra i criteri valutabili in termini di maggior punteggio insieme al «titolo di abilitazione all'insegnamento conseguito a seguito sia dell'accesso ai percorsi di abilitazione tramite procedure selettive pubbliche per titoli ed esami, sia del conseguimento di specifica laurea magistrale o a ciclo unico», anche «il servizio prestato a tempo determinato per un periodo continuativo non inferiore a centottanta giorni, nelle istituzioni scolastiche ed educative di ogni ordine e grado»; con il comma 96, lettere a) e b);
   appare evidente che il criterio del fabbisogno sulla base del quale sono stati banditi i due cicli TFA già conclusi risulti essere inficiato poiché il suddetto bando prevede, per alcune classi di concorso, un numero di cattedre inferiore al numero complessivo degli abilitati TFA e per altre non ne prevede affatto, privando i docenti appositamente selezionati di un qualsiasi canale di reclutamento;
   la presente interrogazione segue altre con le quali è stata posta in evidenza la situazione di altre categorie quali i diplomati magistrali, i soggetti in possesso di abilitazione tramite i cosiddetti PAS e i laureati in scienze della formazione primaria –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario prevedere, con apposite iniziative, la definizione di un secondo canale di assunzione a tempo indeterminato mediante scorrimento delle graduatorie per gli abilitati TFA in virtù del processo abilitativo conseguito, equiparabile in toto ad una procedura concorsuale;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda assumere per la risoluzione dei problemi di reclutamento già segnalati per le altre categorie di insegnanti abilitati (diplomanti magistrali, PAS, laureati in scienze della formazione primaria) oggetto di precedenti interrogazioni e iniziative parlamentari. (4-12767)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Hypo Alpe Adria Bank s.p.a. è un istituto di credito di diritto italiano la cui direzione è a Udine, in comune di Tavagnacco. Tale Istituto, dal primo novembre 2014, è posseduto al 99 per cento da HBI-Bundesholding AG, holding di partecipazioni detenuta dal Ministero delle finanze austriaco con sede a Vienna;
   si è appreso da un delegato della proprietà, il commercialista di Merano Haymo Unterhauser, alla presenza del direttore generale Maurizio Valfrè, la notizia dell'avvio della liquidazione della banca; la decisione di accelerare il processo di chiusura arriva inaspettatamente, considerando che il presidente di Hbi, Florian Schumi, solo un mese fa, in occasione del cambio del direttore generale, aveva inviato al personale una comunicazione parlando dei «prossimi progetti e delle sfide che dovranno essere gestite con attenzione, nel miglior modo possibile»;
   la brusca chiusura della banca poteva essere evitata, considerando che le scadenze dettate dalla Commissione europea si riferivano al 2018;
   sicché, con una condotta a giudizio dell'interrogante del tutto scorretta, la proprietà della banca, dopo aver illuso i dipendenti garantendo «prossimi progetti», procederà a ben 157 licenziamenti, ossia quasi la metà dell'organico: 54 del Friuli Venezia Giulia, 100 tra Veneto e Lombardia e 3 a Modena e in Emilia Romagna;
   è stata, tra l'altro, disposta la chiusura di tutte le filiali del Friuli Venezia Giulia: quattro sportelli in provincia di Udine, uno a Pordenone e un altro a Trieste;
   è necessario adottare, immediati provvedimenti, a tutela dei lavoratori in questione che con l'inaspettata perdita del posto di lavoro, sono con le loro famiglie in grave ed evidente difficoltà;
   la proprietà austriaca ha mal gestito la crisi di Hypo spa e deve ora assumersi tutte le iniziative necessarie per sollevare i lavoratori dalle tragiche conseguenze derivanti dai licenziamenti, che, se non potranno essere ormai evitati, devono essere accompagnati, quantomeno, da un accordo che preveda il sostegno al reddito, con il 70 per cento dell'ultima retribuzione, come previsto nel contratto dei dipendenti;
   a quanto è dato sapere, sulle vicende della Hypo spa, già è prevista la costituzione di un tavolo ministeriale, con scadenza di tre mesi. È evidente che in tale sede devono essere decisi i dovuti provvedimenti a tutela degli impiegati –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative intenda adottare a tutela dei 157 impiegati della Hypo Alpe Adria Bank s.p.a. a cui è stato annunciato il licenziamento. (5-08350)


   CIPRINI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, COMINARDI, DALL'OSSO, LOMBARDI e GALLINELLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di luglio 2014 l'azienda multinazionale Thyssenkrupp presentava un piano industriale di «efficientamento» del polo industriale AST (Acciai speciali Terni) nel corso di un incontro svoltosi a Palazzo Chigi, alla presenza del Sottosegretario di Stato pro tempore Delrio e di alcuni rappresentanti delle istituzioni locali;
   il piano prevedeva una diminuzione di 550 posti di lavoro e la chiusura di un altoforno entro il biennio 2015-16, per un risparmio economico diretto stimato in circa 100 milioni di euro;
   a seguito della presentazione della proposta, il Ministero dello sviluppo economico, di concerto con le organizzazioni sindacali ed i rappresentanti aziendali, apriva un tavolo di confronto che ha visto in data 2 dicembre 2014, la sigla di un accordo fra le parti che prevedeva l'esodo volontario incentivato per 290 lavoratori;
   in data 17 gennaio 2016 da fonti stampa («TerniOggi») si apprende che il Ministro Poletti, al tempo della vertenza, quindi nel 2014, aveva già firmato un accordo, il quale prevedeva, a norma di legge, il pensionamento anticipato per circa 300 lavoratori dell'AST; si trattava dei cosiddetti «lavoratori esposti amianto» e tale agevolazione era stata già concessa anche ai lavoratori ILVA di Taranto e Genova;
   l'accordo, già sottoscritto dal Ministro Poletti, sembrerebbe di conseguenza essere stato disatteso e ciò ha permesso, nel dicembre 2014, all'azienda di applicare il piano industriale senza tenere in considerazione la vicenda dei lavoratori esposti all'amianto;
   la suddetta fonte di stampa informa che alcuni vertici sindacali si opposero a questa agevolazione per i lavoratori esposti all'amianto;
   lo studio «Sentieri», curato da ISS (Istituto superiore sanità) e Ministero della salute, ha registrato nella città di Terni un eccesso di patologie legate al mesotelioma pleurico negli uomini pari al 164 per cento;
   allo scopo di scongiurare qualsiasi pericolo per i lavoratori e la cittadinanza appare necessario verificare la eventuale presenza di amianto nello stabilimento nonostante i pregressi interventi di bonifica e da cosa sia determinato –:
   quali siano i contenuti dell'accordo siglato per la tutela e il pre-pensionamento dei lavoratori esposti all'amianto dello stabilimento TK-AST di Terni;
   per quali motivi sia stato disatteso l'accordo sul pensionamento anticipato dei 290 lavoratori esposti all'amianto dell'AST e se corrisponda al vero che tale non osservanza sia attribuibile all'irrigidimento mostrato da alcuni degli attori dell'accordo, in seguito stipulato e, in caso affermativo, a chi sia, riconducibile tale contrarietà;
   se i Ministri interrogati intendano promuovere, per quanto di competenza, accertamenti presso lo stabilimento TK-AST di Terni circa la presenza residua di amianto e le relative cause;
   se intendano, nell'ambito delle proprie competenze, verificare se i preoccupanti risultati dello studio Sentieri, che vedono nella città di Terni un aumento delle patologie legate al mesotelioma pleurico maschile, siano collegati con la situazione dei lavoratori del polo siderurgico ternano. (5-08353)


   DALL'OSSO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 1998 nasce Alstom Italia, dall'acquisizione da parte di Alstom di SASIB Railway di Bologna (fondata nel 1933), delle sue unità di Verona, Bari e Guidonia (Roma) e delle controllate in Europa e Stati Uniti;
   nel 2000 Alstom acquisisce Fiat Ferroviaria (attiva dal 1880, in Fiat dal 1970) e le sue controllate Elettromeccanica Parizzi (fondata nel 1955) e Fiat-Sig (Svizzera), fuse e rinominate Alstom Ferroviaria;
   il 19 dicembre 2005 si inaugura ufficialmente la prima tratta della linea ad alta velocità Roma-Napoli: è la prima linea in Europa dotata del nuovo sistema di segnalamento ERTMS (European Rail Traffic Management System) di Livello 2, sviluppato in Italia da Alstom;
   nel 2008 Alstom si aggiudica un contratto per la fornitura di 25 treni ad altissima velocità AGV ad NTV, primo operatore privato per l'alta velocità in Italia;
   nel 2012 Alstom si aggiudica la gara pubblica bandita da Trenitalia per 70 nuovi treni regionali Coradia Meridian, destinati a rafforzare e rinnovare il servizio regionale in tutta Italia;
   dalla stampa locale e nemmeno da quella a tiratura nazionale si apprende della cosiddetta presenza di esuberi ben 22 nella sede di Bologna nel reparto manifacturing; a ciò si devono aggiungere ben altri 11 lavoratori del comparto repairing che verranno trasferiti temporaneamente nello stabilimento di Sesto San Giovanni che nella riorganizzazione è comunque previsto diventino esuberi, poiché l'attività, sembra, verrà esternalizzata in un secondo momento;
   si teme che l'integrazione del sito di Firenze con quello di Bologna, riorganizzazione ancora non ben definita, possa avere ulteriori sviluppi anche sugli organici del sito bolognese;
   l'azienda, come riferiscono le tute blu, dichiara inoltre che, se non dovesse vincere il bando della regione Emilia-Romagna per la costruzione di 47 treni regionali, si aprirebbe un buco produttivo e lavorativo che potrebbe comportare a breve circa 1.500 esuberi su 2.600 lavoratori in forza sul territorio nazionale; a breve si svolgeranno le assemblee tra le lavoratrici e i lavoratori nello stabilimento di Bologna;
   le dichiarazioni dell'assessore regionale ai trasporti Raffaele Donini poco fanno ben sperare: «Ho appreso con grande preoccupazione le notizie relative allo stabilimento Alstom di Bologna dopo l'incontro di oggi a Milano, in cui l'azienda ha annunciato ai sindacati un piano di riorganizzazione a livello nazionale. Ci tengo però a fare una precisazione, in merito a quanto è stato detto: il bando non è della regione ma di Trenitalia, che fornirà treni nuovi in Emilia-Romagna sulla base della gara del ferro “ed aggiunge che” siamo la prima regione che, attraverso questa gara, fa muovere in modo significativo il comparto. Ovviamente non abbiamo la possibilità di sceglierci il fornitore, anche perché, appunto, stiamo parlando di una gara di evidenza pubblica. Auspichiamo però che il settore ferroviario possa riprendere anche in virtù dei nostri investimenti e speriamo che, dentro questa ripresa, ci sia l'opportunità anche per le aziende che producono in Italia di incrementare la produzione e il lavoro»;
   il gruppo Alstom ha oggi 8 sedi distribuite su tutto il territorio nazionale, 4 delle quali centri di eccellenza mondiale;
   con 2.500 persone e un giro d'affari annuo pari a un 1 miliardo di euro, rappresenta sia per il numero e l'importanza dei progetti realizzati, che per il contenuto tecnologico, una delle principali realtà industriali italiane nel settore ferroviario –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale situazione che interessa la sede Alstom di Bologna;
   se il Governo abbia già preso contatti con l'azienda e, nel caso, quale ne sia la risultanza;
   come il Governo intenda agire, in difesa dei 33 esuberi ed al fine di prevenire situazioni di grave disagio per il compatto bolognese Alstom Transport.
(5-08355)


   BARUFFI, GHIZZONI, PATRIARCA, GIUDITTA PINI, RICHETTI, ARLOTTI, INCERTI e PATRIZIA MAESTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la casa automobilistica Maserati, ora appartenente al gruppo FCA, ha profonde radici nella città di Modena, dove insiste uno stabilimento vocato alla ricerca e allo sviluppo, nonché alla produzione di automobili;
   come già evidenziato in una precedente interrogazione in data 26 febbraio 2016, a cui il Governo ha risposto in data 17 marzo, nello stabilimento modenese si è assistito ad un progressivo calo della produzione di autoveicoli a marchio Maserati, a fronte di un aumento di quelli a marchio Alfa; anche in considerazione del fatto che per produrre i secondi occorre circa un terzo del tempo rispetto ai primi, si è posto non solo un problema generale di qualità e di valore aggiunto per unità di prodotto, ma di concreta saturazione delle linee di produzione che ha portato l'azienda a ricorrere nei mesi scorsi, in modo crescente, alla cassa integrazione guadagni ordinaria; a questa situazione critica si aggiungeva già nel febbraio 2016 l'incertezza sulla strategia aziendale, con particolare riguardo ai modelli Maserati: i due ora in produzione – Gran Cabrio e Gran Turismo – risultano infatti piuttosto datati (sono sul mercato da più di 7/8 anni) e nel 2014 l'azienda aveva già programmato la loro uscita di produzione, rispettivamente nel 2016 e nel 2018; ora, da quanto si è appreso a seguito degli incontri tra i vertici aziendali e le organizzazioni sindacali del 6 aprile 2016, tali previsioni non solo sarebbero rispettate, ma verrebbero addirittura anticipate: l'azienda ha infatti comunicato l'intenzione di dismettere entrambi i modelli entro il corrente anno, non sapendo o non volendo ancora una volta fornire alcuna informazione o indicazione circa la possibilità di metterne in produzione di nuovi nello stabilimento modenese; i dipendenti Maserati a Modena sono complessivamente 1.020, di cui circa 300 ’operai; a seguito delle indicazioni fornite nei richiamati incontri sindacali, l'azienda ha prospettato per la fine del 2016 esuberi per 120 lavoratori (105 operai e 15 impiegati), che potrebbero essere eventualmente e parzialmente assorbiti attraverso mobilità volontaria presso altri stabilimenti del gruppo: si sarebbe dunque dinanzi ad un radicale svuotamento produttivo dello stabilimento, con un azzeramento totale della produzione a marchio Maserati a fronte di una produzione residuale a marchio Alfa; nella risposta alla richiamata interrogazione, in data 17 marzo 2016, il Governo registrava «positivamente la conferma dell'obiettivo di piena occupazione negli stabilimenti italiani comunicata ieri da Fiat Chrysler Automobiles» e in ogni caso si impegnava «a monitorare i futuri sviluppi della vicenda, auspicando che il prestigioso marchio Maserati continui ad essere valorizzato come merita per la sua tradizione e il suo potenziale anche a livello internazionale» –:
   se il Governo, rispetto alla situazione analizzata solo nel marzo 2016, sia a conoscenza di questi recenti e negativi sviluppi della vicenda riportati in premessa; quali iniziative di competenza intenda promuovere nei confronti della casa automobilistica Maserati e del gruppo FCA per assicurare una piena continuità produttiva nello stabilimento di Modena, a fronte delle intenzioni prospettate dall'azienda sugli esuberi del personale e l'azzeramento della produzione a marchio Maserati. (5-08364)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il 5 aprile 2016, il sindaco di Novara Ballarè, ha incontrato, presso la sede dello stabilimento, i lavoratori della Verbano Trasformatori (77 dipendenti), storica azienda elettromeccanica novarese, (del gruppo Tamini) che dal maggio 2014 è stata acquisita da Terna spa, la quale (secondo quanto risulta dagli organi di stampa locali) ha dichiarato l'esubero del personale che coinvolgerebbe 48 lavoratori;
   il primo cittadino della città novarese, nel corso della riunione, ha ascoltato i lavoratori e i rappresentanti sindacali, acquisendo alcune informazioni sulla situazione dell'azienda, impegnandosi al contempo ad attivarsi immediatamente a tutti i livelli per coinvolgere le altre istituzioni con l'obiettivo di salvaguardare il più possibile i livelli occupazionali;
   al riguardo, secondo quanto risulta dal sito internet del quotidiano « buongiorno Novara», in merito alla crisi aziendale della Verbano Trasformatori, è intervenuta anche l'imprenditrice novarese Catia Bastioli, a capo della proprietà della medesima azienda confluita nel gruppo Terna, la quale ha tuttavia confermato l'intenzione di ridurre il personale, nonostante le azioni intraprese per cercare di ridurre i costi a tutti i livelli, ed evitare il licenziamento dei lavoratori in esubero non ricollocabili o riassorbibili in organico per ragioni economiche;
   il suddetto quotidiano riporta, inoltre, che fra le principali cause della crisi aziendale, emerge la mancata competitività sul mercato per la produzione di trasformatori a potenza media, le cui conseguenze, una volta esaurite le commesse acquisite, ed onorati gli impegni contrattuali assunti, determineranno o l'uscita progressiva da detto segmento e la cessazione della produzione di trasformatori presso lo stabilimento di Novara;
   la massima rappresentante dell'azienda a tal fine ha evidenziato come sia pertanto economicamente insostenibile una struttura sovradimensionata rispetto agli effettivi valori della produzione, così come l'adozione di misure di riduzione di orario e/o di altre misure a sostegno dell'impiego siano da ritenersi incompatibili con la cessazione di una parte delle attività;
   a giudizio dell'interrogante, la vicenda esposta, ove confermata, desta sconcerto e preoccupazione, se si valuta che l'acquisizione dell'azienda Verbano Trasformatori, da parte di Terna, sia relativamente recente e di conseguenza risulti incomprensibile l'improvvisa decisione dei vertici aziendali, per le modalità con le quali è stata decisa la ristrutturazione aziendale, in termini di riduzione del personale;
   risultano indispensabili, a parere dell'interrogante, iniziative urgenti, volte ad evitare che nell'area novarese vi siano altre chiusure aziendali e ulteriori perdite di posti di lavoro, in considerazione del fatto che la realtà territoriale locale è stata, nel recente passato, interessata da una crisi aziendale ed occupazionale molto grave, a causa della cessazione di attività industriali che operavano da molti anni, con effetti economici altamente negativi che si sono riflessi sul tessuto sociale novarese –:
   se trovi conferma la situazione di crisi aziendale esistente all'interno dell'azienda Verbano Trasformatori, recentemente acquisita dalla società Terna spa, con riferimento alla decisione relativa al personale in esubero che riguarderebbe 48 lavoratori;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti, nell'ambito delle rispettive competenze, i Ministri interrogati intendano intraprendere, al fine di tutelare i livelli occupazionali del personale che non rientrerebbe nei futuri piani aziendali;
   se siano a conoscenza dell'eventuale maturazione dei requisiti per il trattamento pensionistico da parte dei lavoratori ritenuti in eccedenza e in caso affermativo, quale sia il loro numero;
   se non ritengano urgente ed opportuno, nell'ambito delle proprie competenze, avviare iniziative finalizzate alla promozione di un tavolo di confronto con la proprietà dell'azienda, le parti sociali e le istituzioni locali novaresi, al fine di tutelare i livelli occupazionali dell'azienda e addivenire a soluzioni positive in grado di rilanciare il sistema produttivo della Verbano Trasformatori. (4-12771)


   MINARDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Governo, ha adottato, per superare il fenomeno della disoccupazione giovanile nel nostro Paese, il programma «Garanzia Giovani»;
   la «Garanzia Giovani» è un piano europeo per la lotta alla disoccupazione giovanile. Con questo obiettivo sono stati previsti dei finanziamenti per i Paesi membri con tassi di disoccupazione superiori al 25 per cento che saranno investiti in politiche attive di orientamento, istruzione e formazione e inserimento a lavoro, a sostegno dei giovani che non sono impegnati in un'attività lavorativa, né inseriti in un percorso scolastico o formativo;
   in sinergia con la raccomandazione europea del 2013, l'Italia dovrà garantire ai giovani al di sotto dei 30 anni un'offerta qualitativamente valida di lavoro, proseguimento degli studi, apprendistato o tirocinio, entro 4 mesi dall'inizio della disoccupazione o dall'uscita dal sistema d'istruzione formale;
   quindi un giovane tra i 15 e i 29 anni, residente in Italia – cittadino comunitario o straniero extra Unione europea, regolarmente soggiornante – non impegnato in un'attività lavorativa, né inserito in un corso scolastico o formativo, può usufruire della «Garanzia Giovani». Infatti quest'ultima è un'iniziativa concreta che può aiutarlo ad entrare nel mondo del lavoro, valorizzando le sue attitudini ed il suo background formativo e professionale;
   programmi, iniziative, servizi informativi, percorsi personalizzati, incentivi: sono queste le misure previste a livello nazionale e regionale per offrire opportunità di orientamento, formazione e inserimento al lavoro, in un'ottica di collaborazione tra tutti gli attori pubblici e privati coinvolti;
    per stabilire in modo opportuno il livello e le caratteristiche dei servizi erogati e aumentarne l'efficacia, si è scelto di introdurre un sistema di profiling che tenga conto della distanza dal mercato del lavoro, in un'ottica di personalizzazione delle azioni erogate: una serie di variabili, territoriali, demografiche, familiari e individuali profilano il giovane permettendo così di regolare la misura dell'azione in suo favore. Dal 1o febbraio 2015 le modalità di calcolo del profiling sono aggiornate a seguito del decreto direttoriale del 23 gennaio 2015 n.10, che mette fine alla fase di sperimentazione avviata il 1o maggio 2014;
   la regione siciliana con deliberazione della giunta regionale no 106 del 13 maggio 2014, ha approvato il piano di attuazione regionale (PAR) della Garanzia per i giovani e lo schema della convenzione con il Ministero del lavoro e delle politiche sociali è stata sottoscritta in data 16 maggio;
   sembra, da notizie riportate dalla stampa, che la regione abbia disponibilità finanziarie impegnate e non spese, per circa 41 milioni di euro –:
   di quali elementi disponga il Governo circa le risorse economiche impiegate ed effettivamente spese dalla regione siciliana per il programma «Garanzia Giovani»;
   quanti siano i soggetti che usufruiranno del piano «Garanzia Giovani» e, se il Piano non sia stato attuato, quali siano i tempi di realizzazione dello stesso;
   se risulti al Governo che la regione siciliana abbia a disposizione circa 41 milioni di euro che, a tutt'oggi, non sono stati impiegati per il programma «Garanzia Giovani»;
   di quali elementi disponga il Governo, ove siano fondate le notizie sopra riportate, circa le problematiche relative all'impiego di tali risorse. (4-12781)


   GREGORI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la società Cotral ha recentemente assegnato all'associazione temporanea di imprese (Ati) Cometa-Manutencoop un appalto per la pulizia della flotta, delle sedi degli impiegati e degli impianti;
   a denunciare come la Cotral abbia dato il suo assenso premiando l'offerta tecnica dell'appalto, sono i segretari regionali del Sul settore servizi Marco Buongiovanni e Fabrizio Colafrancesco, responsabile sempre del Sult per gli appalti delle pulizia. I due sindacalisti se la prendono non solo con l'offerta tecnica quasi surreale, ma soprattutto con il fatto che la società Cometa ha aperto nel periodo 2014-2015 le procedure per la Cassa integrazione in deroga e ha ottenuto i contratti di solidarietà, riuscendo quindi ad abbattere il costo del lavoro;
   l'associazione temporanea di impresa avrebbe anche manifestato la volontà di ridurre del 30 per cento l'orario del lavoro e di conseguenza i salari a centinaia di lavoratori, già titolari di retribuzioni al limite della sopravvivenza;
   a questo si aggiunge il fatto che, a quanto risulta all'interrogante, la società Manutencoop avrebbe subordinato l'accesso al luogo di lavoro e la conseguente presa di servizio dei lavoratori alla firma di un contratto che prevede una riduzione del 30 per cento dell'orario di lavoro;
   quanto esposto in premessa a giudizio dell'interrogante costituisce una palese violazione delle norme fondamentali del diritto del lavoro che regolano la contrattazione collettiva –:
   se non ritenga che sussistono i presupposti per avviare, per quanto di competenza, iniziative a carattere ispettivo volte alla verifica del rispetto delle norme sui contratti e sui contratti e sui livelli salariali per le società di cui in premessa.
(4-12792)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GUIDESI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   sono migliaia i soggetti che svolgono un'attività professionale in settori strettamente collegati al mondo dell'ippica. L'attività delle corse rientra tra le attività agonistiche insieme alle discipline equestri;
   il sistema dell'ippica nazionale è diviso in 3 fasi: la prima relativa all'allevamento nazionale del cavallo da corsa che avviene in strutture di alta qualità, situate, molto spesso, in zone svantaggiate. Le corse ippiche promuovono la produzione di oltre 6 mila cavalli l'anno tra galoppo e trotto;
   la seconda fase riguarda l'allenamento che solitamente inizia tra i 18-20 mesi. I cavalli vengono preparati alla corsa attraverso allenamenti effettuati in centri specializzati oppure all'interno degli ippodromi, avvalendosi della collaborazione di centinaia di professionisti, allenatori e fantini/guidatori;
   la terza fase riguarda la prestazione agonistica e la scommessa. Le corse sono organizzate da società che gestiscono gli ippodromi e che da sempre svolgono un ruolo fondamentale per l'ippica, in quanto, oltre ad organizzare le corse, pagano i premi e accettano e pagano le scommesse;
   esiste un indotto di rilevanti proporzioni che si snoda dietro all'ippica per la fornitura dei servizi connessi a partire dagli allevamenti, che utilizzano molto spesso foraggi e lettiere del mercato agricolo interno, alle scuderie e alle recinzioni, che vengono prodotte spesso in modo artigianale, e alla collaborazione di moltissimi veterinari e maniscalchi specializzati;
   con la «legge Mangelli» del 1942 lo Stato italiano riconosceva l'alto valore culturale del cavallo in Italia e con la corsa, che è la sua massima espressione agonistica, dava la possibilità al settore di autofinanziarsi mediante le scommesse. Questo legame tra corse, scommesse e finanziamento della filiera è durato fino al decreto-legge 449 del 1999 che ha riformato l'UNIRE e contemporaneamente ha aperto il mercato alle scommesse sportive e a tutti i tipi di giochi;
   il passaggio della gestione dei giochi all'Amministrazione autonoma monopoli di Stato (AAMS) ha portato ad una diminuzione del volume di scommesse che ha raggiunto nel 2011 il 25 per cento in meno rispetto all'anno precedente. La scommessa ippica è ancora quella a più basso ritorno per lo scommettitore e meno remunerativa per lo Stato;
   nel corso degli anni l'UNIRE è stato spogliato di ogni capacità gestionale e tecnica perdendo autorevolezza e mancando al proprio ruolo di guida dell'ippica italiana. Contemporaneamente alcuni concessionari hanno approfittato per spingere altri tipi di giochi molto più vantaggiosi che hanno causato un impatto devastante sul settore ippico e che ha visto la costante diminuzione di interesse per le corse e le relative scommesse;
   si è pensato quindi di risolvere il problema facendo subentrare (legge 15 luglio 2011, n. 111) all'UNIRE, l'Agenzia per lo sviluppo del settore ippico (ASSI). Successivamente, il comma 9 dell'articolo 23-quater del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito, con modificazioni, alla legge 7 agosto 2012, n. 135, ha stabilito la soppressione immediata dell'ASSI con il passaggio al Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, anche di tutti i rapporti passivi ed attivi;
   l'ASSI era chiamata a svolgere compiti relativi al miglioramento delle razze equine, alla gestione dei libri genealogici, alla programmazione delle corse e dei programmi di allevamento, alla gestione del servizio di diffusione delle riprese televisive delle corse;
   l'articolo 14 della legge 11 marzo 2014, n. 23, recante delega al Governo per la riforma del sistema fiscale, prevedeva, per il rilancio del settore ippico, l'istituzione della Lega ippica italiana, con funzioni, fra l'altro, di organizzazione degli eventi ippici, controllo di primo livello sulla regolarità delle corse, ripartizione e rendicontazione del fondo per lo sviluppo e la promozione del settore ippico;
   il Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali ha il dovere di promuovere lo sviluppo dell'allevamento, grazie ai proventi delle scommesse, avvalendosi di tre aree tecniche, rispettivamente galoppo, trotto e sella;
   il crollo di credibilità degli ultimi anni ha provocato il collasso del gioco, la sparizione dei proprietari e la caduta dell'interesse di sponsor, investitori, media e organizzatori di eventi per il grande pubblico –:
   se non ravvisi la necessità di promuovere in tempi brevi una riforma completa ed efficiente, profondamente innovativa, etica e trasparente, con regole chiare, al fine di garantire al settore dell'ippica nazionale una « governance» con il compito e l'onere di avviare tutte quelle trasformazioni che sono necessarie per arrivare all'autosufficienza dell'intero settore e farlo uscire dalla grave crisi e dare al medesimo rilancio, visibilità e nuove prospettive di sviluppo per l'indotto, tenendo in debita considerazione la specificità del settore ippico che, a differenza dei giochi generalisti, attraverso la scommessa ippica, svolge un diretto ruolo di sostegno al settore agricolo e induce positivi effetti nei settori del turismo e dell'artigianato. (5-08356)

Interrogazione a risposta scritta:


   FUCCI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2011 la Commissione europea ha adottato, nell'ambito della riforma della politica agricola comune (PAC), un pacchetto di nuove direttive europee relative alla produttività, al consumo e alla commercializzazione;
   in tema di commercializzazione particolarmente importante è ciò che riguarda i prodotti fitosanitari, che sono utilizzabili per proteggere e conservare i vegetali o influire sui processi vitali;
   in precedenza, la direttiva europea 2009/128/CE, recepita in Italia con il decreto legislativo n. 150/2012, ha istituito un «quadro sostenibile per l'azione comunitaria ai fini dell'utilizzo sostenibile dei pesticidi» contenente obiettivi, misure, tempi ed indicatori per la riduzione dei rischi e degli impatti derivanti dall'impiego dei prodotti fitosanitari;
   inoltre, a livello europeo e nazionale sono state bandite molecole fitofarmacie che presentano rischi per la salute umana e le nuove direttive nell'ambito della PAC 2014-2020 potrebbero rafforzare ulteriormente i divieti consentendo agli Stati membri di decidere quale fitofarmaco si può utilizzare e quale no nella produzione agricola sul proprio territorio;
   rispetto ad un quadro normativo così regolato e improntato alla tutela della salute, a parere dell'interrogante suscita preoccupazione il fatto che — come da ultimo affermato dall'organizzazione dei produttori agricoli spagnoli — i Paesi terzi partner commerciali della Unione europea possano utilizzare in fase di produzione agricola almeno 56 prodotti fitosanitari vietati dall'Unione europea;
   la tutela della salute e della qualità delle produzioni agricole nazionali è un autentico pilastro del made in Italy agroalimentare di qualità, anche alla luce dell'ancora vivissimo dibattito apertosi dopo l'approvazione, da parte del Parlamento europeo, della proposta della Commissione europea sull'autorizzazione a importazioni aggiuntive di olio proveniente dalla Tunisia –:
   quali iniziative di competenza i Ministri interrogati intendano assumere per far sì che nell'Unione europea e quindi anche in Italia vengano importati solo prodotti che rispettino le regole esposte in premessa, prevedendo altresì in modo espresso un bando, in materia di registrazione e di vendita, per quelli fuori norma. (4-12770)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, LOREFICE, GRILLO, MANTERO, DI VITA e COLONNESE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la xantomatosi cerebro-tendinea è una malattia da accumulo di lipidi (specie colestanolo) causata da un difetto nella sintesi degli acidi biliari. È caratterizzata da diversi sintomi clinici, tra cui in particolare: diarrea infantile, comparsa di cataratta durante l'infanzia o l'adolescenza, formazione (intorno ai 20-30 anni) di piccoli accumuli di lipidi (xantomi), soprattutto a livello di tendini ma anche di altri tessuti, disturbi neurologici (demenza, disturbi psichiatrici, crisi epilettiche, spasticità), che si manifestano già durante l'età adulta;
   il difetto alla base di questo disordine è il deficit di un enzima epatico (la 27-idrossilasi) della via biosintetica degli acidi biliari, che ha il compito di trasformare il colesterolo in acidi biliari. Tale via sintetica risulta così anormalmente interrotta, causando l'accumulo di colesterolo nella bile, nella maggior parte dei tessuti, compreso il cervello, e la formazione di xantomi;
   la xantomatosi cerebrotendinea è una malattia rara, sono stati descritti oltre 300 pazienti, con una prevalenza di circa 1/50.000 nella popolazione caucasica;
   la xantomatosi cerebro-tendinea è causata da mutazioni del gene CYP27A1, coinvolto nella sintesi di acidi biliari, sostanze che partecipano al metabolismo dei lipidi come il colesterolo. La malattia è trasmessa con modalità autosomica recessiva: i genitori sono portatori sani della mutazione, mentre ciascun figlio della coppia ha il 25 per cento di probabilità di essere malato;
   la diagnosi si basa su caratteristiche cliniche e biochimiche. In particolare, i pazienti colpiti mostrano una quantità anomala di colestanolo nel siero e nei tendini, mentre il livello di colesterolo plasmatico è normale oppure ridotto. Si può inoltre effettuare l'analisi genetica, con ricerca di mutazioni nel gene CYP27A1. Conoscendo le mutazioni presenti nei genitori si può anche eseguire la diagnosi prenatale;
   il trattamento a lungo termine con acido chenodeossicolico (CDCA) si è dimostrato efficace nel normalizzare la sintesi degli acidi biliari e la concentrazione di colestanolo, migliorando anche i sintomi neurologici e fisiologici;
   il farmaco, a base di acido chenidesossicolico, sembrerebbe essere irreperibile in Italia, è però considerato un farmaco essenziale per la xantomatosi cerebrotendinea, la produzione potrebbe essere interrotta in quanto ritenuto commercialmente di scarso interesse;
   la diagnosi e il trattamento precoci sono essenziali per prevenire l'accumulo progressivo di colestanolo e colesterolo: l'evoluzione della malattia può essere arrestata e in alcuni casi fatta regredire. I pazienti trattati possono avere un'attesa di vita normale. In assenza di trattamento, l'attesa di vita si attesta intorno ai 50-60 anni. Sono stati descritti anche alcuni decessi precoci neonatali;
   nei laboratori del reparto di farmacia ospedaliera del policlinico Santa Maria alle Scotte nosocomio senese si è riusciti a produrre un farmaco, a base di acido chenidesossicolico, per la terapia di questa patologia. Il medicinale, non ancora in commercio, era usato per curare i circa 40 pazienti seguiti dal professor Antonio Federico, direttore dell'unità operativa complessa (Uoc) di neurologia e malattie neurometaboliche del policlinico senese; ad oggi sembrerebbe che il policlinico non fornisca più tale terapia –:
   se il farmaco a base di acido chenodeossicolico sia disponibile in Italia;
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di tutelare il diritto alle cure dei malati di xantomatosi cerebro-tendinea. (5-08352)


   SILVIA GIORDANO, TOFALO, COLONNESE, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'ASL Salerno 1 ed in particolare nel distretto di Nocera Inferiore è stato limitato il servizio della radioterapia oncologica, normalmente praticato in convenzione con il Centro D'AM di Nocera Inferiore (Salerno), così come pure è stata sospesa la prestazione a titolo gratuito di altri servizi ambulatoriali; pertanto oggi i cittadini sono obbligati a migrare presso altre strutture lontane e costretti a subire svantaggi che ricadono sia sui pazienti che sui familiari accompagnatori: svantaggi soprattutto di natura economica che costringono spesso il paziente, sfiduciato, alla rinuncia al trattamento;
   il 29 dicembre 2013 il commissario « ad acta» per il settore sanitario in Campania, di intesa con i sub-commissari, con il capo dipartimento della salute e con i direttori generali dell'Arsan e della tutela della salute, ha decretato la programmazione delle dotazioni delle apparecchiature per la radioterapia con accelerazione lineare necessarie per ognuna delle 7 Asl della Campania, sulla base dello standard apparecchi/popolazione, il cui rapporto è pari ad 1 ogni 100 mila-150 mila abitanti, quindi si è determinato un fabbisogno complessivo di circa 40 apparecchiature, ad oggi ancora non distribuite;
   attualmente in Campania sono disponibili presso le strutture pubbliche e private 25 macchine e, in base al decreto commissariale, la nuova dotazione divisa per ASL sarà la seguente: Avellino 3, Benevento 2, Caserta 6, Napoli Centro 8, Napoli Nord 7, Napoli Sud 6, Salerno 8;
   la provincia di Salerno attualmente dispone di 6 apparecchiature, di cui solo una nell'area dell'agro nocerino-sarnese e paesi limitrofi nonostante il bacino di popolazione che sfiora i 500.000 abitanti –:
   se, alla luce dei fatti esposti in premessa, intenda assumere iniziative, anche tramite il commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, al fine di garantire i livelli essenziali di assistenza e porre rimedio all'attuale sperequazione nella distribuzione delle macchine per la radioterapia, data l'alta densità abitativa dell'agro nocerino-sarnese e il crescente fabbisogno della popolazione di suddette apparecchiature, rilevato anche dall'incremento delle patologie neoplastiche legate alle particolari condizioni ambientali dove, tra l'altro, è allocato il polo oncologico dell'ospedale di Pagani. (5-08354)


   COLLETTI, DEL GROSSO e VACCA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione dei parametri stabiliti negli anni scorsi dal Governo nazionale e dal tavolo governativo di rientro del deficit sanitario cui è sottoposto l'Abruzzo dopo il commissariamento del 2008, il commissario ad acta per la sanità, Luciano D'Alfonso, in base alla interpretazione di quanto previsto dall'Accordo Stato-regioni sul documento concernente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», disponeva con decreto n. 10 dell'11 febbraio 2015 la chiusura definitiva di quattro, su dodici totali punti nascita esistenti nei presidi ospedalieri abruzzesi e, in particolare, di quelli dei comuni di Sulmona (L'Aquila), Atri (Teramo), Ortona (Chieti) e Penne (Pescara);
   il decreto 10 del 2015 veniva adottato nonostante le numerose proteste dei cittadini dei comuni interessati nonché la presentazione di una risoluzione urgente a firma dei consiglieri regionali di opposizione contenente, per ciascun punto nascita, le motivazioni che ne impedivano la chiusura e, segnatamente;
   il punto nascita di Ortona ha raggiunto 513 parti nel 2010, 525 nel 2011, 524 nel 2012 e solo nel 2013 ne ha raggiunto 492, mentre nel 2014 ha superato ampiamente la soglia dei 500 e rispetta tutti gli standard di qualità (tecnologici, strutturali e organizzativi) previsti dall'Accordo Stato-regioni del 2010, il cosiddetto piano Fazio. Inoltre, a Ortona nell'ambito della programmazione regionale si è voluto istituire l'ospedale della Donna con la Breast Unit dal 2011 e si sta per concludere la procedura per il conseguimento della certificazione Eusoma: certificazione di eccellenza molto prestigiosa conseguita ad oggi da sole 5 strutture in Italia e 10 in Europa. Infine, il fatto che il documento pubblicato nei primi mesi del 2014 dall'Agenas relativo ai punti nascita pubblici e privati da chiudere, distinti per regione, in base ai dati del piano nazionale esiti per l'Abruzzo esclude il punto nascite di Ortona tra quelli da chiudere;
   il punto nascita di Atri rispetta perfettamente i parametri previsti nell'Accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010 in quanto il numero di parti nel 2014 è stato pari a 517 e nel 2015, sulla base dei dati fino ad ora registrati, si presume superiore ai 600, la media dei parti cesarei è più bassa (pari al 36 per cento) sia di quella regionale (pari al 44 per cento) che di quella nazionale (pari al 38 per cento) e che si tratta di un punto nascita con elevatissimi standard di sicurezza e dispone di una unità operativa di neonatologia pediatrica;
   il punto nascita di Sulmona nel documento di riorganizzazione dei punti nascita dell'agenzia sanitaria regionale è indicato tra quelli da mantenere attivi con deroga al principio dei 500 parti l'anno per fattori strettamente orografici del territorio legati alla necessità di garantire adeguati tempi di percorrenza. Infatti, il tempo medio di percorrenza tra Sulmona e presidi ospedalieri più vicini (Chieti e Avezzano) è prossimo ai 50 minuti e il tempo medio di percorrenza tra il territorio di Castel di Sangro e i Presidi più vicini (Chieti, Avezzano e Vasto) è prossimo ad un'ora e trenta;
   quanto al punto nascita di Penne la chiusura dei punti nascita riverserebbe l'attività su quelli già esistenti; per esempio quella di Penne si sposterebbe a Pescara che è già al massimo dell'operatività con una media di 2100 parti l'anno e la chiusura di quello di Atri avrebbe ripercussioni sull'operatività di quello di Teramo che già supera gli 800 parti l'anno;
   l'11 novembre 2015 il Ministro interrogato, ha adottato una circolare contenente precise deroghe sui criteri adottati dalle regioni che consentono di salvare anche i punti nascita che hanno eseguito meno di 500 parti all'anno;
   nonostante i punti nascita di Ortona, Penne, Atri e Sulmona abbiano i parametri e i dati idonei affinché si possa giungere ad una rivisitazione dei criteri di valutazione, e quindi rivedere la decisione sulla loro chiusura, al momento tutti e quattro i reparti risultano non operativi con evidenti ripercussioni sulla efficienza e sicurezza delle prestazioni sanitarie rese alle gestanti e ai neonati;
   tale disfunzione nella prestazione dei servizi sanitari è stata riconosciuta anche dalla Commissione di vigilanza nella seduta svoltasi a L'Aquila nella mattinata del 16 dicembre 2015 nel corso della quale le audizioni sia dei tecnici che dei medici intervenuti hanno confermato che le chiusure sono state fatte in maniera irrazionale dal momento che i parametri oggettivi sono rispettati ampiamente dai quattro punti nascita;
   la condizione di insicurezza e inadeguatezza, dei servizi offerti è comprovata da quanto avvenuto il 20 2016 marzo quando una donna, non riuscendo a raggiungere l'ospedale di Pescara, è stata costretta a partorire presso il pronto soccorso dell'ospedale San Massimo di Penne, essendo il punto nascita del nosocomio chiuso dal 15 novembre 2015, in esecuzione della delibera del 30 giugno 2015 a firma del direttore generale della Asl di Pescara, Claudio D'Amario;
   da organi di informazione si apprende che nemmeno l'ambulanza che dovrebbe intervenire in questi casi, è arrivata puntale poiché sarebbe dislocata presso il presidio ospedaliero di Pescara e non presso quello di Penne;
   l'episodio segnalato costituisce l'ennesima testimonianza di come il nosocomio vestino debba essere classificato come ospedale di base, anziché presidio di area disagiata per mantenere attivi tutti i servizi, tenuto conto, soprattutto, del fatto che Penne è male collegata con la costa e abbraccia un bacino di utenza molto vasto;
   il presidio ospedaliero di Penne nel corso degli anni è stato privato dei servizi più importanti, ridotto della capacità ricettiva in termini di posti letto e ridimensionato di organico, sia a livello medico che infermieristico. Dal reparto di rianimazione si è passati alla TIPO (unità di terapia intensiva post operatoria); il laboratorio di analisi, da unità complessa è stata trasformata in unità semplice. Diverse funzioni fondamentali sono state tagliate e numerosi reparti, compreso il punto nascita, messi nella condizione di non poter fare più i numeri necessari per rimanere in vita;
   queste riduzioni di spesa non hanno fatto altro che avviare il San Massimo ad un rapido processo di smembramento le cui conseguenze sono subite non solo dalla cittadinanza di Penne ma anche da quella dall'intero comprensorio costituito da un'area territoriale vasta e penalizzata dall'assenza di collegamenti viari efficienti e idonei per come dimostrato dal fatto che già nel maggio del 2015 una gestante tedesca da qualche tempo residente tra Penne e Farindola è stata costretta a partorire a casa con l'aiuto del marito poiché l'ambulanza da Penne non sarebbe arrivata in tempo considerando le strade martoriate dell'entroterra pescarese –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza delle conseguenze che la chiusura dei quattro punti nascita dei comuni abruzzesi ha comportato e, in particolare, se sia a conoscenza del fatto che alcuni parti, fra cui quello del 20 marzo 2016 a Penne, siano avvenuti in condizioni emergenziali presso i pronto soccorso degli ospedali interessati da tale chiusura;
   se, con preciso riferimento al presidio ospedaliero San Massimo di Penne, risulti al Ministro che l'ambulanza deputata al soccorso del nascituro sia posteggiata a Pescara e non a Penne e operi con un’équipe reperibile e, dunque, chiamata al bisogno e se trovi conferma che, in occasione del parto dello scorso 20 marzo, ciò ha causato l'arrivo dell'ambulanza al pronto soccorso ben due ore dopo il parto; se, quanto accaduto, non profili delle carenze in ordine al rispetto della normativa nazionale sui livelli essenziali di assistenza;
   se risulti che il reparto di pediatria del nosocomio di Penne rimanga chiuso nel fine settimana;
   se rientri nella competenza del Ministero della salute ovvero del commissario ad acta D'Alfonso per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, decidere quali punti nascita chiudere o quali tenere aperti;
   se, infine, non ritenga che la normativa sul riordino del percorso nascita sia stata applicata con eccessivo rigore e senza considerarne; gli effetti sul ridisegno complessivo della rete ospedaliera abruzzese, tenuto conto anche della orografia del territorio e della carenza dei collegamenti viari. (5-08359)


   COLLETTI, VACCA e DEL GROSSO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in attuazione dei parametri stabiliti negli anni scorsi dal Governo nazionale e dal tavolo governativo di rientro del deficit sanitario cui è sottoposto l'Abruzzo dopo il commissariamento del 2008, il commissario ad acta per la sanità, Luciano D'Alfonso, in base alla interpretazione di quanto previsto dall'Accordo Stato-regioni sul documento concernente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo», disponeva con decreto n. 10 dell'11 febbraio 2015 la chiusura definitiva di quattro, su dodici totali, punti nascita esistenti nei presidi ospedalieri abruzzesi fra cui quello del comune di Atri (Teramo);
   il decreto n. 10 del 2015 veniva adottato nonostante le numerose proteste dei cittadini interessati nonché la presentazione di una risoluzione urgente a firma dei consiglieri regionali di opposizione;
   l'11 novembre 2015 il Ministro interrogato ha emanato una circolare sui criteri adottati dalle regioni che, in deroga a quanto previsto dall'accordo Stato-regioni del 16 dicembre 2010, consente di mantenere in attività i punti nascita nelle aree montane e disagiate, anche se fanno meno di 500 parti, purché vengano mantenuti gli standard di qualità e di sicurezza;
   il 17 novembre 2015 l'Agenzia nazionale per i servizi sanitari (Agenas) per conto del Ministero ha analizzato, sulla base dei dati riferibili al 2014, i punti nascita italiani, elencando quelli che sono sotto gli standard previsti dall'accordo del 2010;
   in questo elenco non compare il punto nascita dell'ospedale San Liberatore di Atri in quanto, rispettando i 58 indicatori di sicurezza e qualità previste nel citato accordo Stato-regioni, possiede tutte le caratteristiche ed i requisiti di personale e di sicurezza per poter continuare a servire una vasta utenza della provincia di Teramo;
   in ragione, di ciò il commissario ad acta per la sanità, D'Alfonso, facendo marcia indietro sul decreto di chiusura n. 10 del 2015, il 15 dicembre 2015 ha inviato al Ministro interrogato una nota ufficiale chiedendo «di voler nuovamente sottoporre al Comitato Percorso Nascita Nazionale la richiesta di tenere in attività il punto nascita dell'ospedale San Liberatore di Atri», in considerazione del fatto che sia nel 2014 che nel 2015 il punto nascite atriano ha superato la soglia di 500 parti imposta dal decreto;
   secondo le previsioni del decreto dell'11 novembre 2015, è compito del Ministro sottoporre le richieste al Comitato percorso nascita nazionale che avrà novanta giorni di tempo per esprimersi –:
   se il Ministro interrogato, a seguito della richiesta avanzata dal commissario ad acta D'Alfonso, abbia sottoposto la questione al Comitato punto nascita nazionale circa la possibile riattivazione del punto nascita dell'ospedale San Liberatore di Atri e, conseguentemente, abbia risposto alla sua missiva del 15 dicembre 2015;
   se rientri nella potestà del Ministero della salute o del Commissario ad acta la decisione di chiudere dei punti nascita nella regione Abruzzo. (5-08360)


   LATRONICO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i carabinieri del Noe nucleo operativo ecologico) hanno acquisito, nei giorni scorsi, nell'ambito del filone d'inchiesta della procura di Potenza sulle attività di smaltimento dei rifiuti prodotti dal Centro Oli di Viggiano (Potenza) dell'Eni, migliaia di cartelle cliniche negli ospedali della Basilicata per verificare il possibile collegamento tra le patologie presenti in regione, tra cui anche quelle relative ai tumori e i livelli di inquinamento ambientale;
   i magistrati della procura di Potenza hanno deciso di supplire alle mancanze degli organi preposti in materia di epidemiologia per conoscere le incidenze delle malattie che potrebbero derivare dalle attività estrattive di idrocarburi in Val D'Agri. Quello che per ora emerge dall'inchiesta sul centro Oli di Viggiano è lo smaltimento illecito di circa 850 mila tonnellate di rifiuti, che farebbero parte del ciclo di desolfurizzazione del petrolio pesante (heavy), così definito per l'alta percentuale di zolfo. L'estrazione di petrolio è ad altissima concentrazione di zolfo e questo significa un'inevitabile immissione in atmosfera di idrogeno solforato. Le fiammate, che da alcuni anni interessano con frequenza il centro oli e spaventano la popolazione locale, creano diffuse patologie allergiche, cardio-respiratorie e irritazioni a mucose nasali e agli occhi;
   diversi studi negli anni hanno registrato un'anomala crescita di patologie riconducibili all'eccesso di esposizioni da inquinanti. Nella relazione sanitaria Basilicata 2000, condotta dalla regione in collaborazione con l'Istituto Mario Negri Sud di Chieti, si parla del centro Oli di Viggiano e si fa riferimento al rapporto n. 5, «Epidemiologia occupazionale ed ambientale», dal quale emergono dati decisamente preoccupanti sull'incidenza delle patologie respiratorie nell'area della Val D'Agri;
   secondo lo studio di allora, nell'area comprendente il Centro Oli di Viggiano, formata dall'aggregazione di 4 comuni, per un totale di 11.186 residenti, era stata effettuata un'analisi epidemiologica delle schede di dimissione ospedaliera (SDO) del triennio 1996-1998 riferite a pazienti con ricovero in regime ordinario urgente; si erano osservati tassi di ospedalizzazione per eventi sentinella cardio-respiratori mediamente più elevati (dal 50 per cento a 2,5 volte) per asma, altre condizioni respiratorie acute, ischemie cardiache e scompenso rispetto ai livelli medi regionali;
   nel 2009, in un altro studio, i ricercatori abruzzesi tornano a parlare della Basilicata e considerato il periodo trascorso dalla pubblicazione della relazione sanitaria del 2000 ritenevano opportuno che l'Osservatorio epidemiologico regionale della Basilicata effettuasse approfondimenti non soltanto sulle patologie sentinella ma anche sulle patologie croniche che si erano eventualmente manifestate nel frattempo;
   secondo una recente indagine dell'ufficio statistica dell'Istituto superiore di sanità, trasmessa alla regione Basilicata, ma non ancora pubblicata, il presidente dell'Associazione medici per l'ambiente (ISDE), Roberto Romizi, segnala che le cifre sono più alte e che sul territorio regionale e in particolare in Val d'Agri, si è verificato un eccesso di mortalità per tumori allo stomaco e per le leucemie;
   da notizie di stampa si apprende che l'indagine dell'Istituto superiore di sanità non è uno studio epidemiologico in senso stretto ma statistico che si propone di caratterizzare e valutare i rischi per la salute di origine ambientale sia identificando le sorgenti ed i fattori di rischio, sia attivando un sistema di sorveglianza sanitaria nell'area interessata;
   lo studio riguarda un territorio di 20 comuni tra la Val d'Agri e la Valle del Sauro, in un periodo tra il 2003 e il 2010 e i dati ricavati dall'analisi sull'area estrattiva lucana hanno portato a evidenziare, secondo le indiscrezioni trapelate, un aumento delle patologie tumorali e cardiorespiratorie. In particolare, si tratta di tumori maligni allo stomaco, infarto, malattie del sistema respiratorio e malattie dell'apparato digerente;
   questi risultati, se verificati, a giudizio dell'interrogante sono preoccupanti se si considera che l'aumento significativo di alcune patologie cardio-respiratorie e neoplasie si è verificato dopo nemmeno tre anni dall'entrata in funzione del Centro olio Eni di Viggiano che fu inaugurato nel 1996 –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per la pubblicazione degli studi svolti finora e per attivare progetti specifici per la prevenzione delle patologie secondo modalità da concordare con l'Istituto superiore di sanità;
   se non si intenda avviare una indagine epidemiologica allo scopo di monitorare le relazioni tra causa ed effetto dell'inquinamento ambientale e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per potenziare l'attività di monitoraggio, studio e ricerca e il ricorso alla prevenzione per la tutela della salute dei cittadini lucani. (5-08362)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la FMS (sindrome da fibromialgia) è una patologia dell'apparato loco-motore associata a dolori e a segni d'affaticamento a livello dei muscoli, legamenti e tendini (ossia a livello dei tessuti connettivi del corpo, tessuti composti di fibre). «Fibro» definisce la componente fibrosa, «mio» la componente muscolare e «Algia» lo stato doloroso;
   la fibromialgia (o sindrome fibromialgica) è una patologia le cui cause non sono ancora note. In realtà, la fibromialgia non è una vera e propria malattia, ma un insieme di sintomi;
   è caratterizzata da astenia e iperalgesia diffusa a livello muscolo-scheletrico accompagnata da aree tensive che vengono denominate tender point. Anni addietro, per descrivere la condizione caratterizzata dalla sindrome fibromialgica, si usava il termine fibrosite, tuttavia tale termine è più idoneo ad indicare un processo infiammatorio, processo che non è una peculiarità della fibromialgia. Con il termine fibromialgia si vuole quindi indicare lo stato generalizzato di dolenzia (algia) delle strutture fibrose (ovvero i tendini e i legamenti) e dei muscoli;
   la medicina riporta come non sia affatto semplice diagnosticare la sindrome fibromialgica perché vi sono diverse condizioni patologiche che hanno sintomatologia simile e a tutt'oggi non ci sono esami clinici che permettano la formulazione della diagnosi. Generalmente vi si arriva per esclusione (un'espressione tipica con cui si definisce la sindrome fibromialgica è malattia invisibile). La patologia è cronica con tendenza al peggioramento. La mancanza di riscontri oggettivi dati da esami di laboratorio, la stanchezza e l'iperalgesia riferita dai soggetti colpiti causano spesso errori diagnostici perché molte volte i medici tendono, un po’ frettolosamente, a classificare il paziente semplicemente come soggetto ansioso o depresso;
   recentemente il sottosegretario per la salute Vito De Filippo in sede di risposta in Commissione affari sociali della Camera dei deputati ad un atto di sindacato ispettivo sugli eventuali progressi compiuti in merito all'individuazione di criteri diagnostici oggettivi ed omogenei e sulla possibilità di inserimento nei livelli essenziali di assistenza, ricordava che il Ministero della salute ha presentato al Consiglio di sanità (C.S.S.) già due richieste di parere riguardo alla fibromialgia;
   in particolare, il rappresentante del Governo evidenziava la costituzione di un gruppo di lavoro che ha prodotto un documento in cui si rileva, tra l'altro, che la fibromialgia è una malattia cronica e invalidante solo in alcuni casi e non necessariamente permanente, segnalando altresì la necessità di attendere che siano definiti i cut-off (valori necessari a definire una data situazione clinica) attraverso studi idonei;
   in altri termini dalla richiamata risposta sembra evincersi che il Ministero della salute ad oggi non ritiene che sussistano le condizioni per l'inserimento della fibromialgia nell'elenco delle malattie croniche soggette ad esenzione (allegato al decreto ministeriale n. 329 del 1999) –:
   se il Ministro abbia rivisto la propria posizione convenendo sull'opportunità di riconoscere la sindrome fibromialgica quale malattia cronica invalidante garantendo, attraverso l'inserimento della patologia nei livelli essenziali di assistenza (LEA), un accesso omogeneo su tutto il territorio nazionale ai servizi ed alle prestazioni erogate dal servizio sanitario nazionale (SSN);
   se e quali iniziative di competenza il Ministro intenda adottare per garantire la predisposizione – a parere dell'interrogante non più rinviabile – dei cut-off per definire la gravità della malattia. (4-12777)


   MATARRELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in base alle indicazioni fornite dal Ministero della salute – dipartimento della sanità pubblica veterinaria della sicurezza alimentare e degli organi collegiali per la tutela della salute –, e come disciplinato dagli articoli 823 e 826 del codice civile, la tutela degli animali liberi, non riconducibili ad un proprietario, spetta all'autorità amministrativa;
   l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica del 31 marzo 1979, inoltre, attribuisce ai comuni la funzione di vigilanza sull'osservanza di leggi e regolamenti, relativi alla protezione degli animali e alla difesa del patrimonio zootecnico;
   giova precisare anche che le nuove disposizioni del codice della strada prevedono il coinvolgimento di più enti ed attribuiscono con chiarezza ai servizi veterinari la competenza in materia di salute e benessere animale;
   le funzioni di intervento e controllo per la profilassi delle malattie infettive diffusive, con particolare riguardo alle zoonosi, e il controllo delle popolazioni animali in genere, rientrano tra gli obiettivi che il Servizio sanitario nazionale deve perseguire, quali la tutela della salute della persona umana, ex articolo 1 del decreto legislativo n. 502 del 1992, con competenze e compiti di prevenzione collettiva e di tutela della sanità pubblica ex articoli 7-ter e 7-quater del decreto legislativo n. 502 del 1992;
   ad oggi, tuttavia, la mancata o parziale osservanza della legge quadro n. 281 del 1991 da parte di numerosi comuni ha determinato il perpetrarsi del fenomeno del randagismo, il quale rimane un problema allarmante, che coinvolge svariati diritti e interessi giuridicamente tutelati;
   ci si riferisce al mancato benessere della popolazione animale in questione dovuto ad esempio a mortalità elevata, fame, aggressioni, malattie, cannibalismo, predazione, esposizione alle avversità climatiche, parassiti che li debilitano e che li fanno diventare, a loro volta, un veicolo di propagazione che può divenire un fenomeno allarmante se le malattie infettive sono trasmesse tra animali selvatici e domestici;
   la situazione descritta può costituire un pericolo per l'uomo stesso, a causa della naturale aggressività sviluppata da taluni animali, costretti a lottare per sopravvivere, e degli incidenti che sono idonei a provocare, anche in relazione al rischio legato alle antropo-zoonosi;
   il randagismo, inoltre, genera elevati costi a carico dell'Associazione difesa animali e ambiente (AIDAA), oltre che per la pubblica amministrazione – si consideri che, stando ai rapporti zoomafie della Lav-Lega antivivisezione, esso è stimato in spese pari a circa 500 milioni di euro l'anno;
   tutti i comuni italiani attingono alle proprie casse per la gestione, diretta o indiretta, degli animali randagi presenti sul proprio territorio;
   gli interventi di sterilizzazione causerebbero un minimo esborso economico per le finanze comunali, garantendo un grande vantaggio collettivo costituito dal sicuro blocco della riproduzione di tali animali, il quale permetterebbe di scongiurare la soppressione della prole o, una sua morte certamente più atroce –:
   se i fatti narrati in premessa corrispondano al vero e se e quali iniziative intenda assumere, con particolare riferimento all'opportunità di avviare specifiche campagne di sterilizzazione degli animali randagi adottando opportune iniziative al fine di istituire l'obbligo di porre in essere detta pratica, per garantire una migliore tutela dell'uomo, degli animali e anche per arginare sacche di speculazione gravitanti attorno al fenomeno, volta anche all'accaparramento di denari pubblici;
   se ritenga opportuno adottare idonee iniziative, per quanto di competenza, per consentire alle amministrazioni competenti di stipulare apposite convenzioni per l'affidamento del servizio di pronto soccorso veterinario a favore di animali incidentati feriti e/o traumatizzati e di individuare un «luogo degenza-rifugio», per la gestione delle colonie feline presenti sul territorio;
   se ritenga opportuno promuovere la costituzione di un'oasi protetta a favore dei felini non più integrabili nel contesto urbano di provenienza, sul modello dell'articolo 10, comma 2, della legge regionale della Puglia n. 12 del 95, restituendo ai cittadini ed agli animali una convivenza improntata al rispetto della natura e dell'ambiente;
   se il Ministro non reputi di assumere le iniziative di competenza, per definire le modalità per l'intervento ed il coordinamento delle attività spettanti ai singoli soggetti coinvolti, stabilendone i compiti e se ritenga opportuno promuovere la realizzazione di ospedali veterinari pubblici, garantendo la continuità del servizio mediante la presenza costante di personale sanitario, oltre alla dotazione di adeguati strumenti ed attrezzature;
   se intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per potenziare l'attuale sistema dei controlli. (4-12782)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   VILLAROSA, BARONI, MANTERO, LOREFICE, SILVIA GIORDANO e DI VITA. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 17, comma 1, lettera l), della legge 7 agosto 2015, n. 124, si stabilisce la: « l) riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici, al fine di garantire l'effettività del controllo, con attribuzione all'Istituto nazionale della previdenza sociale della relativa competenza e delle risorse attualmente impiegate dalle amministrazioni pubbliche per l'effettuazione degli accertamenti, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per la quantificazione delle predette risorse finanziarie e per la definizione delle modalità d'impiego del personale medico attualmente adibito alle predette funzioni, senza maggiori oneri per la finanza pubblica e con la previsione del prioritario ricorso alle liste di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e successive modificazione»;
   la medicina fiscale del settore pubblico è attualmente in carico alle regioni, in un quadro regionale molto variegato e con notevoli differenze, sia come inquadramento del personale medico, sia come entità dei compensi;
   la Sicilia, insieme ad altre regioni italiane, è sottoposta a piano di rientro finalizzato a verificare la qualità delle prestazioni ed a raggiungere il riequilibrio dei conti dei servizi sanitari regionali. Il Ministero della salute, attraverso il SIVEAS, affianca le regioni in questa difficile operazione, cercando di aiutare gli enti regionali, anche quelli a statuto speciale come la Sicilia, al raggiungimento degli obiettivi previsti dai piani di rientro;
   lo Stato attribuisce risorse alle regioni (circa 70 milioni di euro all'anno) a fronte degli oneri da sostenere per gli accertamenti medico-legali sui lavoratori assenti per malattia che non possono essere destinate a finalità diverse da tali accertamenti;
   l'INPS ha prima sospeso e poi tagliato il numero delle viste mediche di controllo nel settore privato riducendo il numero di certificati da verificare;
   uno studio della CGIA di Mestre dimostra che la Sicilia è stata la seconda regione italiana nel 2014 per numero di eventi di malattia nel settore pubblico, con la Sicilia 637.643 casi;
   l'INPS, dal maggio 2013, ha ridotto le visite fiscali richieste d'ufficio ritenendo che tali oneri, transitati in bilancio da spese obbligatorie a quelle non obbligatorie, rientrino tra le spese di funzionamento e pertanto concorrano al conseguimento dei risparmi cui sono soggetti gli enti di previdenza e assistenza sociale, a norma dell'articolo 1, comma 108, legge 24 dicembre 2012, n. 228, anche se ivi non previsto;
   la consistente riduzione delle visite richieste d'ufficio non consente un efficace ed efficiente controllo dell'assenteismo ed inoltre potrebbe essere causa di un incremento delle spese per indennità di malattia, quindi a carico della finanza pubblica;
   in questo quadro, si è delineata in questi anni la possibilità di accentrare in un polo unico presso l'INPS tutta la medicina fiscale, sia quella rivolta ai lavoratori del settore privato, già oggi di competenza INPS, sia quella rivolta ai lavoratori del pubblico impiego, oggi in carico alle aziende unità sanitarie locale, quindi alle singole regioni;
   con una lettera nel dicembre 2015, il presidente della Fnomceo Roberta Chersevani chiedeva:
    a) la stabilizzazione in termini di continuità di lavoro;
    b) un contratto dignitoso (corrispondenza di tipo economico). La Fnomceo rileva l'importanza dell'articolo 63 del codice deontologico recante «medicina fiscale» e dell'articolo 2233 del codice civile circa la previsione di compensi professionali in ogni caso adeguati all'importanza dell'opera e al decoro della professione. Si rileva che si debba addivenire a una applicazione uniforme su tutto il territorio nazionale delle condizioni lavorative di ogni medico fiscale;
    c) vincolo di risorse. Si chiedeva cioè che i fondi derivanti dall'introduzione del polo unico della medicina fiscale fossero destinati unicamente a tale scopo;
    d) eliminare qualsiasi graduatoria che potrebbe creare delle discrepanze o criteri di selezione tra i medici di lista, che hanno tutti la medesima priorità –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza dei fatti di cui in premessa e quali iniziative intenda adottare per la risoluzione del problema collegato all'attivazione del polo unico della medicina fiscale (gestito dell'INPS) e alla carenza di verifiche sui certificati di malattia.
(4-12772)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   nel 2011 viene istituito, dal Ministero dello sviluppo economico, il registro delle opposizioni, la cui gestione viene affidata alla Fondazione Ugo Bordoni. Scopo del registro è tutelare la privacy dei cittadini;
   dalla sua istituzione al 31 dicembre 2015 sono state circa 20 mila le segnalazioni di utenti che lamentano la violazione della propria privacy ad opera di aziende di telemarketing (le più attive, quelle di telefonia, luce, gas, tv) e sono stati erogati circa 2,6 milioni di euro di multa;
   ad oggi, gli iscritti al registro delle opposizioni, sono 1,44 milioni e per iscriversi è necessario essere sull'elenco telefonico. Ma non basta l'iscrizione per non essere più chiamati. Come spiega bene Marco Pierani di AltroConsumo: «Iscrivendoci al registro delle opposizioni vietiamo alle aziende di telemarketing solo di usare il nostro numero se lo hanno trovato nell'elenco. Se lo hanno avuto in un altro modo possono chiamarci comunque, a patto di avere ottenuto il nostro consenso che spesso ce lo estorcono con l'inganno»;
   Calogero Pepe, presidente di Federconsumatori Liguria più volte ha espresso preoccupazione per una situazione che diventa di giorno in giorno più grave, soprattutto per quanto riguarda i cittadini più anziani, spesso vittime di vere e proprie truffe telefoniche. La maggior parte dei cittadini che si rivolgono alla nostra associazione, chiedono come difendersi dal telemarketing; insieme alle associazioni dei consumatori è anche il segretario generale del Garante per la privacy, Giuseppe Busia, ad affermare che le regole sono sbagliate, il registro non basta; bisogna aumentare per legge le responsabilità degli operatori in caso di abusi delle aziende di telemarketing cui si affidano per le campagne e bisogna istituire un registro delle opposizioni universali che vieti ogni tipo di chiamata pubblicata ai numeri iscritti;
   in altri Paesi europei esiste uri registro delle opposizioni universale i cui iscritti non possono mai essere chiamati a scopo di telemarketing, anche se dovesse risultare che in precedenza avevano dato il loro consenso all'utilizzo dei propri dati a fini promozionali –:
   se il Ministro interpellato sia al corrente della situazione e cosa intenda fare, per quanto di competenza, per rispondere alle giuste sollecitazioni pervenute dai cittadini e dallo stesso Garante della privacy.
(2-01335) «Quaranta, Airaudo, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Scotto, Zaratti, Zaccagnini».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   AlmavivA Contact è una azienda leader di mercato nell’outsourcing di servizi CRM per aziende private ed enti pubblici, aiuta i propri clienti a sviluppare una strategia customer experience di successo, con circa 10.000 lavoratori con sedi localizzate in Italia (Palermo, Catania, Roma, Rende, Napoli e Milano) e all'estero (Brasile, Cina e Tunisia), di cui 6.000 in Sicilia, ove ha stabilito anche la sede legale;
   l'azienda, negli ultimi 3 anni, in più occasioni ha evidenziato la presenza di oltre 2.000 esuberi di lavoratori dipendenti sulle due sedi palermitane, minacciando l'intera tenuta occupazionale, con effetto domino su tutti e 6.000 lavoratori siciliani;
   la disciplina non adeguata degli ultimi anni concernente il sistema delle telecomunicazioni in materia di cambi d'appalto, gare al massimo ribasso e la mancata applicazione dell'articolo 24-bis del decreto-legge n. 83 del 2012 sulle delocalizzazioni ha danneggiato ulteriormente tale settore e di conseguenza il tessuto occupazionale già povero del territorio siciliano;
   risulta difatti che a dicembre 2015 Almaviva ha perso la gara ENEL (a causa di un massimo ribasso sul costo del lavoro) dove sono attualmente impiegati 500 lavoratori, a vantaggio di un'altra azienda con sede in Calabria e capitale sociale di 20.000 euro, che non ha ancora assunto le risorse da utilizzare;
   un passo avanti è stato fatto, attraverso l'approvazione della legge 28 gennaio 2016, n. 11, «Deleghe al Governo per l'attuazione delle direttive 2014/23/UE, 2014/24/UE e 2014/25/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture» che ha previsto modifiche alla disciplina in materia di cambi d'appalto, prevedendo che gli appalti siano assegnati in base al criterio dell'offerta economicamente più vantaggiosa, individuata sulla base del miglior rapporto qualità/prezzo;
   un piano industriale di rilancio per i siti di Palermo che preveda la riqualificazione dei lavoratori sulle nuove tecnologie attraverso l'utilizzo dei fondi di pertinenza regionale (legge n. 236 del 1993), potrebbe aprire nuovi scenari con l'acquisizione di ulteriori quote di mercato e invertire l'attuale trend negativo del settore;
   la mancanza di una sede unica che possa contenere tutti i lavoratori di Palermo (5.000 tra dipendenti e collaboratori a progetto) scongiurerebbe il possibile ridimensionamento aziendale di Almaviva;
   il 31 maggio 2016 scadranno i contratti di solidarietà e da articoli di stampa si legge che l'azienda si stia riorganizzando in via Cordova, dove vorrebbe far spostare tutti i lavoratori. Risulta però che gli uffici possano ospitare solo circa 1.000 postazioni per 2.500 lavoratori circa;
   inoltre, ad alimentare le preoccupazioni, vi è la notizia dello spostamento della sede legale a Roma e la disdetta del contratto di affitto della storica sede di via Marcellini;
   l'azienda ha convocato le organizzazioni sindacali di tutti i siti in contemporanea su tutti i siti il 21 marzo 2016 per comunicare l'apertura delle procedure di licenziamento collettivo;
   l'apertura dello stato di crisi per i call center della Sicilia potrebbe consentire l'accesso a fondi di supporto con carattere straordinario per la risoluzione positiva della vertenza;
   la possibilità di utilizzare i contratti d'area, il possibile inserimento della «clausola Morese» nei contratti d'appalto, le risorse per le aree di crisi (come per Bluetec a Termini Imerese con le risorse Invitalia) potrebbero dare nuove prospettive a tutti i lavoratori del settore oltre che a quelli di Almaviva;
   inoltre, il cambio di inquadramento da parte dell'INPS da settore industria a settore terziario ha comportato anche la modifica dell'accesso agli ammortizzatori sociali, con pesanti ripercussioni economiche su salari già esigui, e l'introduzione di elementi di incertezza sulla copertura dei fondi in deroga;
   da articoli di stampa risulta che il sottosegretario allo sviluppo economico ha convocato per il 13 aprile 2016 le parti sociali per affrontare la vertenza Almaviva, prevedendo altresì per il 18 aprile la convocazione del tavolo tecnico sulla crisi dei call center;
   appare urgente e improcrastinabile affrontare e risolvere la questione legata al mantenimento dell'occupazione su un territorio già gravemente svantaggiato come quello della Sicilia, con revisione del sistema degli ammortizzatori sociali di settore –:
   quali opportune iniziative intendano assumere, anche in previsione dei prossimi incontri già annunciati, a tutela dell'intero settore dei call center e dell'azienda Almaviva al fine di tutelare i livelli occupazionali.
(2-01336) «Piccione, Gasparini, Casellato, Massa, Pierdomenico Martino, Capone, Lauricella, Berretta, Lattuca, Taricco, Mongiello, Petrini, Cova, Mattiello, Giovanna Sanna, Chaouki, Tentori, Iacono, Rubinato, Minnucci, Giuseppe Guerini, Braga, Gribaudo, Romanini, Porta, Incerti, Martella, Boccadutri, Falcone, Pinna, Gnecchi, Paola Boldrini, Anzaldi, Arlotti».

Interrogazioni a risposta scritta:


   PALMIZIO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   è necessario che Poste Italiane ridiscuta con il Governo il suo piano di tagli dei servizi, chiusure di uffici e distribuzione a giorni alterni;
   il nuovo piano di distribuzione della corrispondenza e dei quotidiani a giorni alterni coinvolge 5.200 comuni italiani;
   secondo quanto denunciato da due sindacati di categoria, nella città di Parma a causa dei disservizi causati dalla distribuzione a giorni alterni, sarebbero giacenti alle Poste ben quattro tonnellate di corrispondenza, tra cui bollette, raccomandate ordinarie e atti giudiziari;
   l'introduzione di nuove tecnologie e la riorganizzazione della distribuzione della posta per far fronte alla riduzione nella città di Parma delle zone postali e dei postini da 106 a 60, non sono ancora state definitivamente introdotte, generando conseguenti ritardi e difficoltà nella consegna della posta;
   la consegna della posta a giorni alterni, solamente da aprile 2016 interessa già più di mille comuni, comportando innumerevoli disservizi soprattutto alle cosiddette «aree montane»;
   è inaccettabile che Poste Italiane possa continuare a ridurre i servizi in alcune aree del Paese, che ritiene essere poco remunerative;
   è opportuno che le decisioni nella gestione di servizi come quello postale vengano prese coinvolgendo direttamente sindaci e amministratori locali;
   come suggerito da un documento prodotto da Uncem (Unione nazionale dei comuni comunità enti montani), è necessario individuare degli strumenti a sostegno dei servizi per la montagna, in particolare fare degli investimenti mirati che possano servire a superare il digital divide e per migliorare i servizi alle persone, alla pubblica amministrazione e alle aziende, grazie ai principi e agli obiettivi dell'Agenda digitale nazionale;
   come sostenuto dall'Intergruppo parlamentare per lo sviluppo dalla montagna, sarebbe necessario guardare a quanto fatto da altri Paesi europei dove i servizi sono stati resi innovativi attraverso un serio programma legato allo sviluppo digitale;
   in Italia esiste un'ampia fascia di popolazione in digital divide a causa sia della mancanza di connessioni veloci sia per la bassa percentuale di popolazione abile nell'utilizzo di Internet;
   sarebbe utile avviare soprattutto nelle zone rurali una sperimentazione di forme di recapito digitale alternativo o complementare, e allo stesso tempo lanciare progetti sperimentali che incentivino la riduzione della digital divide e l'alfabetizzazione di specifiche comunità locali all'uso di internet –:
   se il Governo intenda intraprendere iniziative, per quanto di competenza, per rivedere urgentemente il piano di riduzione dei servizi di Poste italiane, affinché venga assicurata la regolare consegna della corrispondenza postale;
   se il Governo intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, affinché siano avviati dei progetti sperimentali nelle «aree montane» per la sostituzione del recapito fisico con quello elettronico, approfittando sia dei bassissimi volumi di posta ad oggi recapitati, sia della domanda potenziale di molti servizi su internet che Poste Italiane potrebbe intermediare.
(4-12768)


   LAFFRANCO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nell'aprile 2012 è stata portata a termine l'operazione di joint venture del ramo tv da parte di Philips a TPV Technology, finalizzata alla creazione di una controllata comune denominata TP Vision. Con tale operazione, già annunciata l'11 novembre 2001, il marchio olandese manteneva il 30 per cento del capitale, mentre il restante veniva ceduto all'impresa specializzata nella produzione di schermi Lcd e computer con sede a Hong Kong;
   nell'accordo, necessario viste le ingenti perdite del marchio olandese, si prevedeva, che dopo 6 anni Philips avrebbe potuto vendere il 30 per cento delle sue quote a TPV. Le sedi di produzione dei televisori, i servizi commerciali e i dipendenti della divisione sono state interamente trasferiti in TP Vision; nell'occasione, TP Vision Italia annunciava di volersi porre in continuità con la decennale presenza di Philips nel settore dei televisori in Italia e si impegnava a proseguire la stretta collaborazione con i partner per il mercato retail;
   il managing director per TP Vision in Italia affermava che l'azienda si sarebbe focalizzata sul mercato dei televisori in cui è in grado di offrire ai consumatori una gamma di prodotti all'avanguardia e con un'ampia possibilità di scelta, con l'obiettivo di far crescere la quota di mercato del noto brand;
   nell'ambito dei sistemi informativi del gruppo Philips la strategia per il rilancio dell'azienda è quella di passare da un'organizzazione per prodotti a una per processi, più vicina ai clienti e ai mercati;
   in questa complessa ristrutturazione, TP Vision ha ceduto alla ditta Teknema srl il ramo assistenza. Teknema, infatti, risulta essere specializzata nell'assistenza tecnica pre e post-vendita, in grado di rispondere alle esigenze complesse e diversificate della clientela;
   a sua volta, la citata ditta ha inteso affidare senza vincolo di esclusiva il servizio di assistenza sia in garanzia che fuori garanzia per i prodotti di TP Vision a società con i necessari requisiti di professionalità ed esperienza tecnica;
   con precedente atto di sindacato ispettivo (interrogazione n. 4-01497) l'interrogante ha posto all'attenzione del Governo la difficile situazione in cui si sono trovate, già nel 2013, le aziende affidatarie del servizio, che vista la grave crisi del settore, e più in generale dell'economia del nostro Paese, hanno sottoscritto contratti con clausole svantaggiose;
   all'interrogazione parlamentare sopra citata non è stata ancora fornita risposta e nel frattempo la situazione delle aziende affidatarie del servizio non sembra essere minimamente migliorata, poiché il nuovo contratto proposto dalla ditta Teknema prevede delle clausole che appaiono all'interrogante ancora più svantaggiose per le aziende stesse, rispetto a quelle del 2013, stabilendo addirittura che qualsiasi inadempienza di Teknema non la si potrà considerare una violazione contrattuale;
   l'articolo 41, comma 1 della Costituzione sancisce il diritto alla libertà di iniziativa economica privata prevedendo dunque la possibilità sia di scegliere se intraprendere o meno un'attività economica sia la libertà di poter decidere quale attività esercitare –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto riportato in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intendano intraprendere al fine di tutelare le aziende affidatarie del servizio di assistenza per i prodotti di TP Vision nonché situazioni analoghe e sempre più frequenti in questo periodo di crisi, in cui la salvaguardia dell'occupazione e della capacità tecnologica e produttiva rischiano di essere perseguite anche a scapito di leali rapporti fra le parti. (4-12769)


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la crisi dei call center che si sta manifestando in questi giorni, rischia di ripercuotersi sull'economia già fragile del Sud dove sono localizzate larga parte delle aziende che operano in questo settore;
   a giudizio dell'interrogante, occorrono interventi, anche normativi, che non solo rendano meno convenienti le delocalizzazioni, ma garantiscano una prospettiva di medio lungo periodo a queste importanti realtà imprenditoriali;
   i call center impiegano nel Mezzogiorno quasi 40 mila lavoratori;
   stando ai dati delle associazioni di categoria, la delocalizzazione nei Paesi dell'Est, tuttora in atto, rischia di ridurre questi posti di lavoro di oltre il 50 per cento;
   se ciò avvenisse, si esaspererebbero ulteriormente le difficoltà dell'economia meridionale, duramente provata dalla crisi e ancora flebile in termini di ripresa;
   la decisione assunta dal Ministero dello sviluppo economico di convocare un tavolo va nella giusta direzione;
   tuttavia, occorre un progetto di rilancio che tenga conto della peculiarità di queste aziende che assicurano al Sud una significativa offerta occupazionale;
   a giudizio dell'interrogante, un intervento sulle regole che tutelano il lavoro in outsourcing probabilmente la strada che va seguita per dare un minimo di stabilità agli operatori dei call center e a tutti gli addetti del settore –:
   quali iniziative il Ministro interrogato ritenga di dover promuovere per evitare che le delocalizzazioni nei Paesi dell'Est dei servizi di contact e call center determinino la crisi delle aziende del settore; se il Ministro interrogato non ritenga di dover promuovere iniziative tipo normativo che, pur nel rispetto della disciplina sulla libera concorrenza, servano a dare stabilità alle aziende e ai lavoratori del settore. (4-12773)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Bossi n. 3-01909, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 22 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Grimoldi, Simonetti.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Cancelleri e Sorial, n. 5-08233, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta immediata in Commissione Sottanelli n. 5-08268, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 30 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Galgano.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Di Vita e altri n. 5-08312, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta scritta Gallinella e altri n. 4-12750, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 6 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato L'Abbate.

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Quaranta n. 4-11785 del 25 gennaio 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Capelli n. 5-08121 del 15 marzo 2016;
   interpellanza urgente Quaranta n. 2-01330 del 5 aprile 2016;

Ritiro di una firma da una interrogazione.

  Interrogazione a risposta in Commissione Rocchi e altri n. 5-08183, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 marzo 2016: è stata ritirata la firma del deputato Epifani.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   ARLOTTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in più occasioni dall'inizio della legislatura il firmatario del presente atto ha visitato la casa circondariale di Rimini;
   in seguito alla visite l'interrogante ha presentato interrogazioni sulla situazione dell'istituto penitenziario, in cui sono reclusi ad oggi 121 detenuti di cui il 65 per cento stranieri;
   in particolare nella risposta in Commissione all'interrogazione 5-03621, nel dicembre 2014 il viceministro Enrico Costa aveva riferito che per quanto concerne il personale di polizia penitenziaria, nell'istituto di Rimini su un organico di 144 unità di polizia penitenziaria, quale rideterminato dal provveditore nel rispetto della dotazione organica regionale di cui al decreto ministeriale 22 marzo 2013, risultavano presenti, al netto dei provvedimenti di distacco in entrata e in uscita, 116 unità, e che l'organico era stato di recente incrementato di due unità;
   nella medesima risposta, il viceministro aveva anticipato che un eventuale ulteriore incremento sarebbe stato oggetto di valutazione da parte della competente direzione generale in occasione della ripartizione del personale a conclusione del 169° corso di formazione diretto a 486 unità, previsto con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 settembre 2014 del dipartimento della funzione pubblica e Ministero dell'economia e delle finanze, e del successivo corso per ulteriori assunzioni autorizzate a decorrere dal 1o gennaio 2015;
   la casa circondariale di Rimini si trova in un territorio a vocazione turistica, caratterizzato da un'evidente discrasia numerica tra la popolazione residente (330.000 abitanti) e quella effettivamente presente, con 15 milioni di presenze registrate e con picchi nei mesi di luglio e agosto sino a 4.500.000/4.700.000 unità;
   tali massicce presenze si riverberano evidentemente sulla delittuosità, attirando nel territorio riminese un maggior numero di soggetti dediti ad attività criminose;
   il lavoro e la formazione professionale costituiscono gli strumenti più significativi con finalità di recupero sociale e reinserimento, come disposto dall'articolo 27 della Costituzione che assegna alla pena una funzione rieducativa;
   i detenuti coinvolti in percorsi di lavoro in carcere hanno abbattuto drasticamente i tassi di recidiva, con conseguenti riduzioni dei danni per la società, riscatto di vita individuale, nonché riduzione delle spese per le carcerazioni successive –:
   quali iniziative il Ministro intenda porre in atto per colmare il persistente deficit di organico della polizia penitenziaria, attingendo anche alle nuove assunzioni previste dai succitati corsi, al termine dei quali gli allievi potranno essere assegnati, secondo le consuete procedure, presso gli istituti e servizi penitenziari del territorio nazionale;
   se non ritenga indispensabile inserire in maniera strutturale nella previsione di rinforzi alle dotazioni delle forze dell'ordine durante il periodo estivo nel territorio riminese, anche il rinforzo estivo del personale di polizia penitenziaria;
   quali iniziative il Ministro intenda attivare per rafforzare l'istituto del lavoro in carcere e garantire una funzione davvero rieducativa della pena. (4-10267)

  Risposta. — Con l'interrogazione in oggetto, l'interrogante pone due distinte questioni: l'una, riguardante la casa circondariale di Rimini, che, in ragione della vocazione turistica della città, è soggetta ad un incremento della popolazione carceraria nel periodo estivo e, pertanto, richiederebbe un incremento del personale di polizia penitenziaria; l'altra, più generale, attiene all'importanza del lavoro in carcere per la sua attitudine a ridurre il rischio di recidiva, e, dunque, ad aumentare la sicurezza della collettività e a ridurre le spese legate a successive carcerazioni.
  Con riguardo alla situazione della casa circondariale di Rimini, si rappresenta che sono attualmente in forza presso la stessa 122 unità di polizia penitenziaria e vi è una carenza di 22 unità, con una scopertura di organico, dunque, del 16 per cento rispetto alla previsione del decreto ministeriale 22 marzo 2013. I ruoli nei quali si sono verificate maggiori carenze sono quelli intermedi, degli ispettori e sovrintendenti.
  Per quanto riguarda la popolazione detenuta, dai dati forniti dalla competente articolazione ministeriale, è emerso che nel corso dell'anno la stessa si è attestata su una media di 105 presenze e che l'incremento registrato nel periodo estivo è stato contenuto: le 108 presenze registrate alla data del 2 novembre corrente anno, sono salite il 31 agosto a 118 (su una capienza regolamentare di 130 posti detentivi), per scendere nuovamente a 110 nel mese di settembre.
  Con riferimento alla lamentata carenza di personale del corpo di polizia penitenziaria si rappresenta che, nel secondo semestre del prossimo anno, al termine dei nuovi corsi allievi agenti si procederà alle assegnazioni delle sedi ed anche Rimini sarà tenuta nella massima considerazione.
  Con riguardo al più generale tema posto dall'interrogante con riguardo all'importanza del lavoro nelle carceri, voglio preliminarmente ribadire come questo Governo abbia posto l'esecuzione penale tra le sue assolute priorità, come dimostrato con l'importante iniziativa degli Stati generali dell'esecuzione penale. L'obiettivo che ci siamo prefissati è quello di delineare un nuovo statuto che conduca ad un'effettiva rieducazione dei detenuti, che sia conforme ai principi costituzionali e sovranazionali e declinato sulla tutela dei diritti fondamentali e della dignità umana, sulla responsabilizzazione del detenuto e sull'individualizzazione del trattamento.
  Uno dei temi su si sono particolarmente concentrati gli sforzi degli Stati generali è proprio quello lavoro detentivo. L'obiettivo che ci siamo posti è quello di rendere effettivamente operativa la previsione dell'articolo 20 dell'ordinamento penitenziario, secondo cui: «il lavoro carcerario deve far acquisire ai soggetti una preparazione professionale adeguata alle normali condizioni lavorative per agevolarne il reinserimento sociale».
  I lavori degli Stati generali hanno analizzato il tema sotto molteplici aspetti, quali la retribuzione, la promozione e lo sviluppo del lavoro nelle carceri attraverso l'individuazione delle reali necessità formative del mercato ed il reperimento di occasioni di lavoro per i detenuti e per gli istituti penitenziari. Inoltre, si sta esaminando l'opportunità di insediare le lavorazioni più complesse negli istituti o nei reparti che hanno una popolazione detenuta stabile, e sono al vaglio meccanismi che permettano, in occasione dei trasferimenti, di valorizzare le competenze lavorative specifiche dei singoli detenuti.
  Le conclusioni del tavolo degli «Stati Generali» sul tema andranno ad innestarsi sulle iniziative già da tempo avviate.
  Proprio presso la casa circondariale di Rimini, ad esempio, l'organizzazione del lavoro è stata pensata in modo da favorire l'accesso al maggior numero possibile di reclusi, sia pur nel rispetto delle disposizioni di legge che ne regolano l'avviamento e gli avvicendamenti.
  Più in dettaglio, è attualmente al vaglio l'ipotesi di una ristrutturazione dei locali della vecchia cucina per renderli funzionali ad accogliere un'attività formativa e/o lavorativa e alcune cooperative hanno già espresso interesse per l'allestimento di un laboratorio di serigrafia, così garantendo l'impiego a un certo numero di detenuti per soddisfare le commesse che gli pervengono dagli enti pubblici.
  Inoltre, nell'ambito della raccolta, selezione e smaltimento dei rifiuti solidi urbani operano, nel circondario riminese, alcune cooperative sociali che hanno già assicurato occupazione a diversi detenuti ammessi alle misure alternative.
  Come riferito dal dipartimento dell'amministrazione penitenziaria è stata acquisita la disponibilità di una cooperativa ad assumere detenuti, muniti di patente, per impieghi stagionali nella raccolta differenziata dei rifiuti e in attività di pubblica utilità, e potranno essere sottoscritte convenzioni apposite.
  Un'altra cooperativa ha invece già condotto l'attività formativa del corso di «manutenzione edile ordinaria», dichiarandosi disponibile ad impiegare nel settore agricolo, alcuni detenuti sottoposti a misure alternative alla detenzione, impegnandosi anche a sottoscrivere una convenzione che estenderà l'area di intervento alle attività di pubblica utilità.
  Si sta, inoltre, consolidando un progetto avviato due anni fa (il progetto «Acero») che favorisce la formazione professionale dei detenuti attraverso tirocini formativi.
  Le iniziative sinora riepilogate rappresentano solo le prime tappe di un cammino appena intrapreso per giungere ad un nuovo assetto dell'esecuzione della pena, che sia in grado di svolgere una funzione effettivamente rieducativa, responsabilizzando in modo costruttivo il detenuto, nel rispetto del dettato costituzionale.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la RA15 tangenziale ovest di Catania rappresenta un raccordo autostradale, tangente alla città di Catania, che si sviluppa su un tracciato di 25 chilometri, a due carreggiate e quattro corsie, due per ogni senso di marcia, con relative corsie di emergenza;
   gestita direttamente dall'ANAS, la tangenziale ovest di Catania fa parte della strada europea E45 e, oltre ad essere l'asse contenente quasi tutti gli svincoli di accesso al capoluogo, svolge pure l'importantissima funzione di raccordare tra loro tutte le principali strade della Sicilia orientale che hanno il proprio fulcro su Catania: la A18 Catania-Siracusa; la A19 Palermo-Catania, la SS114 Orientale Sicula (che da Messina scende fino a Siracusa); la SS194 Ragusana (che da Catania scende verso Ragusa); la SS417 di Caltagirone (che da Catania scende verso Caltagirone e verso Gela); la SS121 Catanese (che da Catania si sviluppa verso il centro dell'isola fino a raggiungere Palermo), da cui, poco dopo, nasce anche la SS284 occidentale etnea che sale verso i paesi del versante ovest dell'Etna; la SP92, che raggiunge buona parte dei paesi etnei dell'area metropolitana catanese;
   la tangenziale è percorsa da 30 milioni di automobilisti l'anno, con una media di circa 80 mila veicoli al giorno;
   da ormai due anni questa lunga arteria di collegamento Catania-Siracusa è rimasta al buio per colpa dei frequenti furti di rame;
   i tanti automobilisti e camionisti che frequentano l'arteria nelle ore notturne vivono con grande disagio la mancanza di illuminazione che li espone al concreto pericolo di incidenti;
   nonostante le ripetute e molteplici segnalazioni all'ANAS (ente gestore della tangenziale) nessun intervento di ripristino è stato fino ad oggi avviato né, sembra, programmato;
   a giustificazione di tale ritardo l'ANAS rende noto che il fenomeno dei furti di rame interessa 25 mila chilometri di autostrade sull'intero territorio nazionale complicando la programmazione degli interventi e facendo lievitare i costi –:
   se il Ministro interrogato ritenga opportuno di intervenire, per quanto di sua competenza, presso l'ANAS per il ripristino in tempi certi dell'illuminazione lungo la RA15 tangenziale ovest di Catania a tutela della sicurezza degli automobilisti.
   (4-10307)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta, sulla base delle informazioni acquisite presso la società Anas.
  L'assenza di illuminazione sul RA15 – tangenziale di Catania – è stata causata dai numerosi furti sulle linee di alimentazione elettrica.
  Gli interventi per il ripristino di tali installazioni risultano inseriti nel piano quinquennale di manutenzione straordinaria (2015-2019) predisposto dalla medesima Anas.
  Le risorse economiche necessarie per gli interventi di ripristino della funzionalità degli impianti tecnologici saranno messe a disposizione dall'Anas stessa attraverso il recupero dai fondi residui.
  Anas ha inoltre fatto presente che la perizia per la manutenzione straordinaria è già stata approvata in linea tecnica, per un importo complessivo di circa 2 milioni di euro.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa — Gazzetta del Sud del 30 agosto 2015 — un comportamento anomalo dell'autorità portuale di Messina, in ordine alla conduzione del porto di Tremestieri;
   in particolare, in attesa delle prime sciroccate autunnali, l'autorità portuale, per risolvere in anticipo il noto problema dell'insabbiamento del porto riducendo al minimo le conseguenze, si è avvalsa delle soluzioni tecniche proposte dalla società danese Dhi, aggiudicando un intervento di dragaggio di media entità, quantificato in 20.000 metri cubi di sabbia, da poter eseguire immediatamente quando il piccolo porto sarà invaso dalla ghiaia la prima volta;
   secondo quanto afferma la stessa autorità portuale, è stata spedita all'assessorato regionale all'ambiente della regione siciliana la terza richiesta scritta del parere favorevole per quest'intervento da eseguire al primo insabbiamento ma, purtroppo, non è arrivata ancora alcuna risposta; l'autorità portuale desume che anche questa volta la richiesta dovrà essere avanzata dopo l'evento meteo, e ciò renderà inevitabile l'accumularsi dei soliti «tempi morti» che si volevano azzerare;
   in questi giorni l'amministrazione comunale di Messina e la deputazione nazionale della stessa città stanno chiedendo a gran voce i poteri speciali per procedere con il nuovo porto di Tremestieri (Messina), finalizzato a liberare la città dai TIR. Contro l'assegnazione di tali poteri e la prosecuzione dei lavori del nuovo porto, che ha un costo di 80 milioni di euro, si sono dichiarate Italia Nostra e alcune associazioni ambientaliste;
   a prescindere dagli sviluppi attesi sui poteri speciali e il finanziamento del porto da 80 milioni, la vera novità appresa dai giornali è che, per affrontare la questione degli insabbiamenti nell'immediato, l'autorità portuale ha deciso una gara — con procedura abbreviata — per attuare la soluzione più rapida proposta da Dhi: quella dell'escavo all'imbocco del porto, di una fossa profonda 15 metri, che dovrebbe assorbire i flussi di sabbia di due mareggiate eccezionali. Un effetto garantito, pare, per 1-2 anni secondo il progetto che sarà pronto a metà settembre, per un importo di circa 500.000 euro;
   a giudizio dell'interrogante, occorre promuovere una verifica sulla gestione degli ultimi anni del porto di Tremestieri e sulla incredibile vicenda della via del Mare, la strada che dovrebbe collegare l'autostrada al porto naturale della città, progettata 19 anni fa, i cui lavori non sono mai iniziati nonostante i finanziamenti concessi;
   i cittadini di Messina hanno la sensazione che si voglia ancora insistere a spendere fondi in un porto artificiale, mentre il porto storico di Messina viene sottoutilizzato, anche a causa del disimpegno della compagnia Cartour, che da diversi mesi imbarca da Catania i mezzi che fanno rotta per Salerno, nonché a causa della riduzione dei servizi delle Ferrovie dello Stato italiane;
   si evidenzia il danno che sembra aver provocato alla costa il porto già realizzato a Tremestieri a causa della deviazione del flusso delle correnti marine, inconveniente che diventerebbe ancor maggiore con l'ampliamento di detta struttura, se dovesse passare il progetto all'esame del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti;
   si deve inoltre aggiungere che i tempi di percorrenza Tremestieri-Villa sono doppi rispetto a quelli che si hanno da Messina, con il risultato di un maggior inquinamento atmosferico sviluppato dalle navi, anche se esso verrebbe allontanato dalla città di Messina, e che si prospetta un doppio pedaggio, che finisce con l'essere ricaricato su tutti i cittadini in transito e sulle merci che vengono importate ed esportate dalla Sicilia;
   occorre prendere in considerazione le questioni sopra evidenziate, urgentemente, prima che vengano prodotti sprechi e danni irreversibili –:
   se il Ministro non intenda avviare una urgente verifica ministeriale sulla conduzione del porto di Tremestieri in relazione alla gestione delle frequenti operazioni di rimozione dei detriti sabbiosi;
   se il Ministro non intenda avviare una indagine ministeriale per comprendere perché non sia stata realizzata in 19 anni la cosiddetta via del Mare, che dovrebbe collegare l'autostrada con il porto naturale di Messina che continua a restare sottoutilizzato. (4-10404)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame si forniscono i seguenti elementi di risposta.
  Il sito prescelto per il porto di Tremestieri fu individuato da una commissione costituita da membri del consiglio superiore dei lavori pubblici che suggerì il sito di Tremestieri quale miglior compromesso costi-benefici rispetto a tutte le possibili soluzioni alternative esaminate prescrivendo comunque una attenta valutazione progettuale.
  La complessità del sito consiste nell'essere esposto a mareggiate di scirocco e a un rilevante trasporto solido correlato direzione sud-nord. La prima circostanza è quella meno preoccupante, in quanto l'intensità e l'energia delle onde non è certamente superiore a quella che interessa buona parte dei porti italiani. Quanto al trasporto solido, invece, i valori sono certamente elevati ma in letteratura tecnica e in numerose applicazioni reali, sono state attuate con efficacia diverse soluzioni di gestione e mitigazione. Pertanto, l'esecuzione di un porto in quel sito, sebbene richieda cure e progettazioni delicate, è certamente possibile e costituisce la migliore soluzione sul piano logistico e trasportistico per risolvere il problema del transito dei mezzi pesanti dalla città di Messina.
  L'opera, costruita e collaudata nel 2006, grazie ad una procedura emergenziale istituita con apposita ordinanza della protezione civile, mostrò già nell'inverno 2009-2010 una discreta vulnerabilità, con i primi cedimenti alla diga di sopraflutto generati da alcune forti mareggiate di scirocco che danneggiarono e in più riprese distrussero la testata della stessa. L'autorità portuale (AP), entrata nella gestione del porto solo ad opera conclusa (2008), oltre a predisporre un progetto di riparazione del molo, commissionò uno studio specialistico a tre esperti; la causa del cedimento era da attribuirsi certamente a un difetto di progettazione e, probabilmente, anche di costruzione del molo, prevalentemente per una insufficiente stabilità geotecnica del complesso diga-terreno sottostante.
  Di tali circostanze l'autorità portuale di Messina informò immediatamente la regione siciliana, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e la locale procura della Repubblica.
  In sostanza, l'opera costruita nel 2006 si è rivelata non in grado di resistere adeguatamente alle mareggiate previste per quel sito, e ciò non per la gravosità delle stesse ma, a parere dell'autorità portuale, per l'errato dimensionamento delle opere, oltre che per un presumibile non adeguato livello di realizzazione. Tali valutazioni, hanno spinto l'autorità portuale a ricostruire la testata distrutta con soluzioni tecniche e livelli di sicurezza diversi e ben correlati alla intensità delle mareggiate massime prevedibili nel sito, ottenendo ad oggi i risultati desiderati.
  Il porto, dopo il citato danno alla testata, ha iniziato a mostrare anche una discreta vulnerabilità all'insabbiamento. Come detto, il sito è caratterizzato da un trasporto solido sud-nord di importante entità media annua e ciò rappresenta sicuramente un fenomeno naturale più difficile da gestire rispetto al moto ondoso. La sabbia, durante le mareggiate di scirocco, migra lungo la costa da sud verso nord e si accumula sulla testata del molo di sopraflutto del porto, aggirandolo e penetrandovi dentro. Non è un fenomeno raro, né tantomeno tipico di Tremestieri: interessa infatti diversi porti della Sicilia e della Calabria.
  Questa circostanza costituisce una conferma ulteriore circa il non elevato livello di approfondimento del progetto, che non prevedeva presidi contro l'insabbiamento, né modalità manutentive per la gestione del fenomeno in fase di esercizio. Valutazioni che, se fossero state fatte e stabilite tecnicamente per tempo, non avrebbero certamente prodotto i malfunzionamenti che invece attualmente si registrano.
  Infatti, la stagione invernale produce mediamente due-tre eventi di scirocco importanti, con onde superiori ai 2,5-3,0 metri di altezza a largo e inclinazione notevole rispetto alla direzione della spiaggia. Tutte circostanze che hanno determinato negli ultimi anni un accumulo in porto progressivo di circa 40 mila metri cubi a stagione. Ovviamente tali accumuli hanno generato impedimenti alla navigazione ed esigenze di ripristino del passo portuale attraverso dragaggi ad hoc, di cui l'autorità portuale si è fatta carico anche sul piano economico per assicurare il massimo del funzionamento del porto.
  Talvolta però esso è rimasto inagibile alla navigazione a causa delle difficoltà connesse al completamento delle procedure autorizzative necessaria alla esecuzione dei predetti dragaggi, posto che i lavori non comportano in genere tempi lunghi di esecuzione. Ogni volta, infatti, dopo l'avvenuto insabbiamento, occorre analizzare le sabbie in porto e chiedere all'assessorato regionale territorio e ambiente una autorizzazione all'escavo e allo sversamento delle sabbie in altro sito. Purtroppo, queste procedure comportano tempi lunghi e d'altra parte l'autorità portuale ha perfino chiesto, senza ottenere risposta dal competente assessorato, di ottenere delle autorizzazioni «aperte» e spendibili immediatamente alla bisogna, previa analisi dei sedimenti, onde comprimere al minimo necessario i tempi di inoperosità dello scalo. Da qui il disagio generato alla città e richiamato dall'interrogante.
  Tale disagio, nel periodo 2011 – 2014, è stato acuito in parte dalla compresenza in porto del cantiere di riparazione della diga di sopraflutto, i cui lavori si sono protratti oltre il prevedibile (da un anno previsto a tre effettivi) per oggettive difficoltà di esecuzione dei pali di grosso diametro e per una indubbia disorganizzazione dell'impresa, in parte giustificabile dai ridotti spazi di cantiere e dalla necessità oggettiva e comprovata di dover ricorrere all'uso di attrezzature di perforazione a ciclo lento, disorganizzazione naturalmente sanzionata mediante l'applicazione integrale delle penali previste nel contratto.
  Anche in questo caso, nel 2014, la procura della Repubblica ha aperto una inchiesta che è attualmente in corso, volta a comprendere nel suo insieme tutto il percorso che va dalla originaria costruzione del porto fino ad eventuali responsabilità connesse ai ritardi nella riparazione della testata.
  Al riguardo, l'autorità portuale di Messina ha già trasmesso ogni elemento, documento e ricostruzione scritta alla procura della Repubblica sin dal luglio 2014 e costantemente interloquisce con gli organi di polizia giudiziaria per una massima e leale collaborazione.
  Inoltre, l'autorità portuale di Messina, per una sempre migliore gestione dei disservizi del porto, ha condotto importanti studi specialistici, con l'ausilio di una società accreditata a livello mondiale nel settore (DHI), per meglio definire più strategie gestionali, i cui risultati finali sono stati consegnati nell'agosto scorso. Oggi il fenomeno, a differenza di quanto si potesse dire all'epoca della progettazione del porto, è ben conosciuto e delineato nei suoi contenuti e nei suoi valori. Le soluzioni gestionali esistono, si conoscono, e sono diverse in funzione dei tempi necessari per mettere in cantiere il nuovo porto in appalto da parte del comune di Messina.
  La soluzione più immediata consiste nel realizzare un over-dredging in prossimità della testata del molo ricostruito. In sostanza, si tratta di creare fondali superiori al necessario in modo da far si che le sabbie che periodicamente arrivano siano costrette a riempire la fossa prima di incidere negativamente, accumulandosi in porto, sui fondali operativi fino a impedire la navigazione. Tale approccio permetterebbe di limitare gli interventi di dragaggio a tutto vantaggio della operatività dello scalo, senza di contro affrontare spese elevate.
  È in corso il progetto esecutivo per la realizzazione di tale opera.
  Vi sono poi ulteriori soluzioni, con tempi e costi maggiori, che potranno essere adottate nel caso inauspicato in cui non fosse costruito il nuovo porto traghetti previsto a sud dell'attuale.
  Riguardo il nuovo porto, la cui esecuzione si ricorda è affidata ad oggi al comune di Messina e non alla autorità portuale, giova ricordare i seguenti elementi.
  Dal 2007, grazie ad una nuova ordinanza della protezione civile (3633/07), il Governo ha previsto il completamento della costruzione dell'esistente approdo integrandolo con nuove opere tali da consentire la realizzazione di un porto organico e pienamente efficace sotto tutti i punti di vista.
  Per consentire una accelerazione dell’iter procedurale, è stato nominato un Commissario delegato con poteri accelerativi e speciali. Il commissario delegato, nella persona del prefetto di Messina, nel dicembre 2008 ha approvato il progetto preliminare delle opere per un importo di 120 milioni di euro.
  Dal gennaio 2009, la gestione commissariale è stata affidata al sindaco della città di Messina, il quale ha provveduto a cercare la copertura economica per le opere. Nel 2010 il nuovo commissario ha bandito la gara di appalto di un'opera stralcio, dell'importo di euro 80 milioni, non essendo stato possibile reperire risorse ulteriori, caratterizzata dalla esecuzione della totalità delle opere a mare. La differenza economica è stata ottenuta rinunciando all'edificio servizi, oltre ad alcuni arredi portuali di non impellente necessità.
  Nell'agosto del 2010 è stata aggiudicata l'opera alla Sigenco spa che, come da disciplinare di gara, ha proceduto a sottoporre a Via il proprio progetto definitivo. La Via, pur in presenza di poteri speciali, ha comportato oltre un anno di tempo di esame presso il Ministero dell'Ambiente e della tutela del territorio e del mare (Mattm) si è conclusa con un giudizio di compatibilità ambientale favorevole con alcune prescrizioni. La Via, come consueto, integra le valutazioni di natura ambientale e paesaggistica di competenza dei vari organismi preposti, anche di rango locale e regionale e costituisce pertanto una valutazione collegiale e articolata che prevede, peraltro, precise fasi di partecipazione pubblica. La Via è stata anche integrata dalla valutazione di incidenza per effetto della presenza nelle vicinanze di talune aree protette.
  Sulla aggiudicazione definitiva, sono stati presentati diversi ricorsi al TAR che l'Amministrazione ha superato agevolmente (anche in sede di Consiglio di Stato) per quanto attiene alla fase cautelare, determinandosi conseguentemente a stipulare il contratto nel marzo 2012, coerentemente ai disposti della normativa vigente.
  È stato pertanto dato avvio alla progettazione esecutiva, quale prima fase di esecuzione del contratto.
  Successivamente, il Governo ha deciso di interrompere tutte le procedure emergenziali a decorrere dal settembre 2012; pertanto, a progettazione esecutiva quasi completata, senza fornire inizialmente indicazioni (tramite la protezione civile nazionale) circa il soggetto cui dovesse essere affidata la prosecuzione dell'appalto in qualità di soggetto attuatore e stazione appaltante, si è generato uno stallo dell'opera.
  Solo il 13 giugno 2013, mediante apposita ordinanza, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha attribuito al comune di Messina il compito di proseguire l'opera in regime ordinario, senza più quindi alcun potere accelerativo delle procedure, potere che nella prima fase era invece risultato essenziale per comprimere i notevoli tempi della burocrazia in alcuni passaggi cruciali.
  Inoltre, lo stesso giorno il Tar Lazio, ribaltando quanto espresso in sede cautelare, ha disposto l'annullamento del contratto e l'aggiudicazione provvisoria in favore della seconda classificata. Tale circostanza ha generato un notevole danno alla amministrazione, costretta a retrocedere il procedimento alla fase ante 2011.
  La nuova amministrazione comunale, insediatasi nell'estate del 2013, ha pertanto ripreso le proprie attività invitando la nuova aggiudicataria (nuova Coedmar srl) ad acquisire la Via sul proprio progetto definitivo. È stato necessario ripercorrere i passi già compiuti per il progetto della precedente aggiudicataria, con riunioni, esami, e valutazioni collegiali che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha concluso nell'ottobre del 2014 ritenendo che le differenze tra i due progetti (quello Sigenco con quello nuova Coedmar) non fossero tali da richiedere l'espletamento di una nuova procedura integrale di valutazione ambientale.
  Giova ricordare che anche questo percorso ha visto la prescritta partecipazione pubblica e che, nonostante la presentazione di documenti da parte di una associazione ambientalista, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha ritenuto di non dover modificare il proprio, parere favorevole. Va detto, peraltro, che nessun ricorso avverso il provvedimento del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è arrivato nei termini di legge.
  L'amministrazione comunale si è, nel frattempo, organizzata per accertare la sussistenza dei necessari finanziamenti.
  Allo stato attuale è in corso un'attività amministrativa volta ad assicurare la copertura economica necessaria all'avvio dei lavori.
  Il sindaco di Messina ha più volte ribadito la assoluta necessità di dare corso immediato ai lavori per assicurare il soddisfacimento dei bisogni di sicurezza e salubrità dei cittadini messinesi, oltre che per garantire alla portualità messinese un adeguato futuro nella direzione dello sviluppo. Egli costantemente monitora gli sviluppi in raccordo con la autorità portuale, ovviamente interessata al porto per le positive implicazioni sul futuro del sistema portuale dello Stretto.
  Il nuovo porto di Tremestieri sarà costituito da una nuova e più grande darsena a sud della attuale. La sua costruzione non interferirà con il porto attuale e non ne cambierà alcun elemento. Al contrario, esso mitigherà i fenomeni meteomarini oggi gravanti sull'attuale porto, in quanto determinerà una naturale protezione nei confronti dello stesso.
  Il completamento del porto di Tremestieri costituisce indiscutibilmente l'unica alternativa infrastrutturale per Messina, ed è necessaria sia per smaltire l'intero traffico gommato che ancora oggi attraversa in parte la città, sia per sviluppare il traffico ro-ro che vede nell'area dello Stretto un sito di straordinarie potenzialità oggi compresse, vista la carenza di spazi di banchina e piazzali adeguati.
  L'autorità portuale di Messina, sin dal 2010, ha integrato nell'approvando nuovo piano regolatore portuale (PRP) il completamento del porto di Tremestieri proprio per la sua elevata potenzialità trasportistica, conducendo studi tecnici ben documentati e ampiamente diffusi da cui si può evincere che con una sapiente progettazione ed esecuzione è possibile gestire le problematiche che hanno afflitto l'attuale porto sino ad oggi.
  Il progetto definitivo redatto alcuni mesi fa dalla aggiudicataria dell'appalto per la costruzione del nuovo porto è stato sviluppato integrando gli studi ed approfondimenti di cui sopra con ulteriori analisi comparative particolarmente concentrate sulla problematica dell'insabbiamento. Sono stati usati tutti i più accreditati modelli matematici costituenti oggi lo stato dell'arte, confrontandone i risultati, e partendo da una ricostruzione del clima ondoso effettuata con le ultime e più aggiornate serie storiche di dati di onda disponibili in letteratura. Le strutture, per indicazioni fornite in appalto, sono state dimensionate con coefficienti di sicurezza superiori a quelli previsti dalla vigente normativa, così da pervenire a un livello di affidabilità strutturale massimo.
  Il progetto prevede un riuso delle sabbie dragate ad alto valore ambientale, essendo le stesse destinate a ricostruire le spiagge immediatamente a nord del porto, attualmente erose dalla incauta progettazione dello scalo esistente. Tale risorsa costituisce ad oggi l'unica reale speranza di risoluzione dei problemi per le persone che abitano nelle aree soggette ad erosione, che di inverno subiscono sulla loro pelle i danni derivanti dalle mareggiate.
  Concludendo si evidenzia che:
   la scelta del sito risulta essere stata fatta dopo una attenta analisi condotta da specialisti del settore che, nel confrontare più soluzioni possibili, hanno ritenuto meritevole di preferenza quella di Tremestieri pur non mancando di sottolineare l'esigenza dei necessari approfondimenti tecnici da demandare alla fase della progettazione;
   il progetto di completamento del porto è stato affidato dapprima ad un apposito commissario delegato di nomina ministeriale, e successivamente (da giugno 2013) al comune di Messina, pertanto giova chiarire che esso è presente nel piano operativo triennale della autorità portuale unicamente in quanto è previsto che una quota di finanziamento dell'opera, pari ad euro 15.000.000,00 sia in capo a fondi dell'ente, tuttora disponibili;
   inoltre, si precisa che l'intervento di riparazione della testata operato dalla autorità portuale è uno solo, realizzato solo al termine del processo che, in più riprese, ha visto la demolizione della testata della diga ad opera dei marosi; i necessari interventi si sono conclusi in un anno. Nonostante i vari problemi l'autorità portuale riferisce che l'opera è completata ormai da oltre un anno e svolge il suo lavoro in maniera adeguata in funzione della protezione dello specchio acqueo e delle strutture interne del porto dagli effetti delle violente mareggiate. Il fenomeno dell'insabbiamento è infatti dovuto al trasporto solido, nonché alla forma del porto nel suo insieme;
   è certamente un dato inopinabile che il porto abbia finora mostrato una debolezza non accettabile, ma i periodi in cui è rimasto operativo sono certamente prevalenti rispetto a quelli in cui è fermo o solo parzialmente funzionante. In ogni caso, l'autorità portuale sta ponendo in campo ogni sforzo possibile per pervenire quanto prima ad una adeguata mitigazione degli effetti delle mareggiate sul porto.

  Il Ministero, fermi restanti gli esiti delle indagini della magistratura, si adopererà al fine di attivare ogni utile ed opportuno strumento di valutazione connesso alle criticità rilevate.
  Da ultimo, si segnala che la via del mare, richiamata dall'interrogante è di competenza comunale. Tuttavia, l'autorità portuale, considerando necessario migliorare l'accessibilità viaria del porto di Messina, come soluzione parallela e non antitetica al porto di Tremestieri, ha concordato con il comune di Messina e Rete ferroviaria italiana il cofinanziamento, per una somma pari a cinque milioni di euro, della cosiddetta «via Don Blasco», opera consistente nel miglioramento e completamento di una arteria viaria esistente, parallela al futuro tracciato della via del mare, che consentirà con tempi celeri e minori risorse di offrire una risposta qualitativamente positiva anche al problema del collegamento viario col porto.
  I lavori relativi a detta opera, saranno avviati a cura del comune di Messina, appena ultimati gli ultimi passaggi amministrativi, attualmente in corso, legati al finanziamento regionale.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   BERRETTA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2015 la società Aeroporto Catania s.p.a. ha presentato il progetto «Norma», spazio inaugurato all'interno dell'aeroporto di Catania «Vincenzo Bellini», volto alla valorizzazione delle eccellenze gastronomiche siciliane;
   l'area polivalente, che ha una superficie di 3.800 metri quadrati, nasce negli spazi rinnovati del vecchio terminal arrivi dello scalo etneo per ospitare punti vendita di prodotti di nicchia siciliani, uno spazio meeting, una scuola di cucina e ristoranti, in una logica di marketing territoriale ed in sinergia con UnionCamere Sicilia;
   la realizzazione di «Norma» è avvenuta nell'ambito di un progetto predisposto da UnionCamere Sicilia e cofinanziato dall'assessorato regionale delle attività produttive a valere sul PO FESR 2007-2013 obiettivo 5.2.1 ed, inoltre, utilizzando una parte del finanziamento di 80 milioni di euro concesso alla società Aeroporto Catania s.p.a. per la realizzazione del piano d'investimenti dell'aeroporto di Catania, con il supporto di finanziatori istituzionali (in particolare Cassa depositi e prestiti e Bei);
   sul portale di informazioni online Lasiciliaweb, con un articolo dal titolo «Fontanarossa, il flop di Norma» del 30 settembre 2015, viene messo in luce che il progetto «Norma» si rivela, ad oggi, quasi del tutto inattuato, poiché «la struttura di migliaia di metri quadrati è praticamente senza vita, ridotta a piccolo spazio espositivo fuori dai flussi di transito dei passeggeri in arrivo e in partenza che non riesce attirare neppure i curiosi»;
   inoltre, nel suddetto articolo, vengono denunciati il blocco e l'inefficacia dell’iter finalizzato all'affidamento e alla gestione degli spazi, dato che la società Aeroporto Catania  s.p.a. ha disposto di non dare corso alla procedura del bando di gara, pubblicato il 3 luglio 2015, avente ad oggetto «l'assegnazione in regime di sub-concessione di un locale allestito all'interno dello spazio polifunzionale, per la gestione di una scuola di cucina ed attività di ristorazione», mentre al bando, pubblicato il 15 settembre 2015, di «invito a manifestare interesse a partecipare alla procedura selettiva per concedere la sub-concessione di spazi da allestire all'interno dell'Aeroporto di Fontanarossa di Catania ex terminal T4, per la realizzazione di piccole aree di ristoro, nello specifico una legata alla produzione e vendita di pasta fresca, una alla carne, una ai prodotti siciliani pasticceria e gastronomia» la stessa società ha assegnato la funzione di mera «indagine conoscitiva» –:
   se il Governo non ritenga opportuno vigilare, per quanto di competenza, sul buon utilizzo delle risorse statali sopra menzionate ed, in parte, finalizzate alla realizzazione del progetto volto alla promozione di prodotti alimentari siciliani presso l'aeroporto di Catania «Vincenzo Bellini» e denominato «Norma», che risulterebbe inattuato alla data odierna.
(4-10808)

  Risposta. — Con riferimento all'atto di sindacato ispettivo in esame, cui si risponde per delega della Presidenza del Consiglio dei ministri del 26 ottobre 2015, sulla base delle informazioni assunte dall'ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) e dall'Agenzia per la coesione territoriale, si evidenzia quanto segue.
  Per quanto attiene agli aspetti infrastrutturali si fa presente che, al fine di mitigare gli effetti della repentina crescita del traffico passeggeri sull'aeroporto di Catania, giunto a 7 milioni per il 2014, l'Enac ha chiesto alla società aeroporto Catania s.p.a. (SAC) uno studio finalizzato all'individuazione degli interventi sull'attuale aerostazione (entrata in esercizio a maggio 2007 e dimensionata per sostenere un traffico di 6 milioni) in grado di assicurare adeguati livelli di servizio fino alla realizzazione del nuovo terminal aeroportuale.
  Le iniziative individuate prevedono una serie di interventi, con orizzonte temporale al 2020, che concorreranno ad un aumento delle superfici a disposizione degli utenti dagli attuali 22.000 metri quadrati ai 30.700, con un investimento complessivo di circa 40 milioni di euro, attraverso la realizzazione delle seguenti opere:
   1) adeguamenti al Terminal esistente:
    a. ampliamenti ed ottimizzazioni interne;
    b. ampliamenti esterni, da recepire nell'ambito del nuovo master plan;
   2) ristrutturazione della vecchia aerostazione «Morandi» (attualmente in disuso), con valorizzazione architettonica ed efficientamento energetico, per la quale è prevista una destinazione finalizzata a soddisfare il traffico low cost e/o extra Schengen;
   3) ristrutturazione dell'edificio denominato T4 (ex terminal arrivi), previo collegamento funzionale con il terminal Morandi, con destinazione a zona commerciale e servizi ai passeggeri utenti dello stesso terminal. In coincidenza con l'evento di Expo 2015 è stato autorizzato un utilizzo provvisorio di tale manufatto quale centro polifunzionale.

  Tali interventi saranno oggetto di aggiornamento del contratto di programma e del relativo piano degli investimenti 2015 – 2019 nonché di verifica nell'ambito del nuovo piano di sviluppo per quelli che attengono al citato punto 1)b.
  L'Enac ha fatto altresì presente che in ottemperanza a tale prima programmazione con nota della Direzione progetti del 5 novembre 2014 è stato approvato il progetto esecutivo attinente alla ristrutturazione del terminal denominato T4, con la provvisoria destinazione rivolta all'evento di Expo 2015.
  La complessiva progettazione delle opere denominate di «valorizzazione e potenziamento dell'aerostazione Fontanarossa di Catania» – che include l'integrazione dei tre edifici nuova aerostazione, terminal Morandi e T4 –, si è concretizzata con la redazione di un progetto preliminare, inviato dalla società Sac nell'agosto 2015 alla medesima Enac, all'esito di un percorso di condivisione delle scelte funzionali e architettoniche.
  L'Enac, in data 21 ottobre 2015, ha chiesto integrazioni documentali e in occasione della chiusura di Expo 2015 ha chiesto l'immediato utilizzo operativo del terminal T4.
  In data 3 novembre 2015 la Sac ha trasmesso il progetto completo che è stato successivamente approvato dall'Enac il 24 novembre 2015.
  Al fine di accelerare i tempi per la concreta esecuzione delle opere, Enac sta provvedendo ad autorizzare la società di gestione a procedere ad un «appalto integrato complesso», sulla base del progetto preliminare.
  Da ultimo, con particolare riferimento alle azioni volte a promuovere i prodotti alimentari siciliani, l'Agenzia per la coesione territoriale ha comunicato che il dipartimento della regione Siciliana ha ammesso a cofinanziamento, nell'ambito del POR Sicilia Fesr 2007-13 – asse V – obiettivo operativo 5.2.1 – linea d'intervento 5.2.1.1 – con DDG n. 513 del 12 marzo 2015, il progetto your gate to sicilian excellence presentato da Unioncamere Sicilia.
  Il progetto prevede, fra l'altro, la realizzazione dell'attività denominata welcome area, detta attività avrà luogo in 6 aree aeroportuali e tre aree portuali siciliane.
  Il costo complessivo previsto ammonta a 181.000 euro.
  Detto progetto, stante quanto comunicato dall'assessorato competente (attività produttive) della regione siciliana, è in fase di rendicontazione.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   BRAMBILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come risulta da notizie di stampa, ampiamente riprese anche dai media nazionali, il 15 agosto scorso, nei boschi sopra Pinzolo (Trento), un cercatore di funghi, il signor Daniele Maturi, si è trovato nei pressi di un'orsa con due cuccioli, che, per una naturale reazione di difesa, l'ha aggredito. L'uomo, medicato in ospedale, è stato giudicato «in condizioni non gravi»;
   già il giorno successivo, un'ordinanza contingibile ed urgente firmata dal vicepresidente della provincia autonoma di Trento, Alessandro Olivi – fondamentalmente sulla base della testimonianza dell'aggredito – disponeva la cattura dell'orsa, chiamata Daniza, portata in Trentino dalla Slovenia nell'ambito del progetto di ripopolamento Life Ursus e – secondo un comunicato della PAT – «già da tempo monitorata per aver manifestato anomali atteggiamenti aggressivi nei confronti delle persone». Si tratta di una decisione, spiega il medesimo comunicato, «che prende atto del profilo di pericolosità che si è determinato, sulla base degli accertamenti compiuti dagli organi provinciali competenti, e che impone un intervento urgente per garantire il massimo livello di tutela della pubblica incolumità». L'ordinanza non esclude l'abbattimento «come ipotesi estrema qualora l'animale, durante l'operazione di cattura, dovesse provocare un imminente, grave e non altrimenti evitabile pericolo per gli operatori e per terzi»;
   nel parere sollecitato dall'amministrazione provinciale per perfezionare l’iter dell'ordinanza, anche l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), ammette che l'episodio «non va ascritto ad un comportamento anomalo», in quanto «la reazione di difesa dei piccoli nei primi mesi di vita rientra tra i comportamenti parentali naturali della specie», per poi affermare, pilatescamente, che «la cattura per la captivazione permanente rientra tra le azioni previste dal Piano d'azione per la conservazione dell'orso bruno (PACOBACE) in risposta al comportamento registrato»: conclusione alla quale si poteva arrivare, senza neanche entrare nel merito dell'accaduto, semplicemente leggendo il Piano stesso;
   che il comportamento dell'orsa Daniza sia stato «perfettamente normale» e non suscettibile di farla classificare come un esemplare «problematico» è confermato dalla relazione dell'etologo Roberto Marchesini, consegnata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 25 agosto 2014. Secondo l'esperto, «per considerare “deviante” un comportamento animale deve esserci un'aggressione non motivata che avviene al di fuori dell’habitat naturale, mentre nel caso dell'orsa queste condizioni non si sono verificate. Cercare funghi è ovviamente un'attività che porta l'essere umano a frequentare luoghi silvestri dove è possibile entrare in rapporto con gli animali che vi dimorano sulla base di precise esigenze ecologiche – scrive ancora Marchesini – come peraltro compreso dai piani di reintroduzione. Sia chiaro: se si mette in discussione questo punto è lo stesso progetto di reintroduzione che decade»;
   non può sfuggire, inoltre, che la provincia autonoma di Trento si arroga il diritto di decidere su una popolazione di orsi – diffusa sul territorio di almeno quattro regioni: oltre al Trentino-Alto Adige, la Lombardia, il Veneto e il Friuli-Venezia Giulia – che è patrimonio indisponibile dello Stato e tutelata nell'interesse della comunità nazionale. Né che gli orsi convivono pacificamente con l'uomo in altre regioni d'Italia e sul territorio di molti Paesi civili (come nel Nord America), dai quali dovremmo mutuare le migliori pratiche. Al contrario, la provincia autonoma di Trento ha modificato unilateralmente l'Accordo interregionale per la protezione dell'orso, inserendovi la definizione di «animale nocivo», cancellata dalla legislazione nazionale nel lontano 1977 –:
   se il Ministro non ritenga opportuno impedire l'uccisione e la cattura dell'orsa Daniza sulla base di un provvedimento che appare sostanzialmente in contrasto con le leggi dello Stato e con gli interessi della comunità nazionale, riaffermare l'impegno del nostro Paese nel piano di ripopolamento dell'orso bruno e predisporre adeguate campagne formative e informative per i residenti e i turisti nelle aree interessate dal progetto;
   se non intenda intervenire in merito all'unilaterale modifica dell'Accordo PACOBACE per quanto riguarda la definizione di animale nocivo e per la previsione della captivazione permanente e dell'uccisione;
   se non ritenga di disporre urgentemente un proprio studio sulle condizioni degli orsi già detenuti in captivazione permanente al fine di poterli reimmettere in natura e, in caso contrario, se i luoghi di detenzione siano muniti delle autorizzazioni prescritte dal decreto legislativo n. 73 del 2005 sui giardini zoologici, dato che custodiscono specie di grande importanza faunistica. (4-05912)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa a problematiche legate all’«uccisione» dell'orsa Daniza, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonché dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Prima di esaminare i singoli quesiti, si ritiene opportuno sottolineare che la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente ha seguito sin dall'inizio la vicenda Daniza con estrema attenzione e costanza, tramite la acquisizione costante di informazioni, fornite dalla provincia autonoma di Trento e vagliate con il supporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e del Corpo forestale dello Stato (CFS), nonché con incontri con gli enti preposti ed esperti internazionali di settore, nei limiti delle competenze che l'ordinamento ed il Pacobace (Piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali) attribuiscono ai vari soggetti pubblici interessati.
  L'ordinanza contingibile ed urgente concernente l'orsa Daniza è stata emessa dalla provincia autonoma di Trento il 16 agosto 2014. Il successivo 19 agosto l'Ispra, su richiesta del Ministero dell'ambiente di pari data, ha emesso un parere concernente il comportamento dell'orso, le possibili misure di intervento ed il possibile destino dei due cuccioli. L'Ispra ha definito il comportamento di Daniza non anomalo, in quanto realizzato a difesa dei cuccioli. Ha tuttavia concluso che la cattura per captivazione permanente dell'esemplare dovesse ritenersi tra le azioni previste dal Pacobace in risposta al comportamento registrato, a maggior ragione per il fatto che Daniza era già in precedenza entrata in contatto con esseri umani rendendosi protagonista di cosiddetti «falsi attacchi» sempre in difesa dei propri piccoli, seppur senza conseguenze gravi. L'Ispra ha inoltre precisato che l'eventuale rimozione di Daniza, considerata la consistenza della popolazione di orso nelle Alpi Centrali, non avrebbe reso indispensabile un rilascio sostitutivo. In merito ai cuccioli, l'Ispra ha invece sottolineato che ne andava evitata la cattura. In caso di captivazione permanente della madre, tuttavia, occorreva un attento monitoraggio degli stessi anche con tecniche radiotelemetriche, al fine di assicurare la tempestiva registrazione di eventuali comportamenti anomali o di condizioni di denutrizione.
  La competente direzione generale del Ministero ha prontamente chiesto alla provincia autonoma di Trento, con nota del 20 agosto 2014, una dettagliata relazione e trasmesso le indicazioni dell'Ispra sui cuccioli. Nella lettera, sono stati sottolineati i risultati del Progetto di ripopolamento e conservazione dell'orso, ed è stato richiesto di effettuare una specifica considerazione sul destino dei cuccioli, al fine di salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza.
  In ogni contatto avuto con la provincia di Trento, il Ministero ha sempre rappresentato la necessità di prestare particolare attenzione alla condizione dei cuccioli in caso di cattura della madre, facendo proprie le indicazioni dell'Ispra e comunicando all'Ente provinciale le note di valutazione del Corpo forestale dello Stato.
  La provincia di Trento ha inviato la relazione il 1o settembre 2014, confermando la permanenza dei presupposti e delle condizioni per l'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente. L'ente provinciale ha concluso le operazioni di cattura con l'esito che conosciamo in data 10 settembre 2014.
  Vista la conclusione delle operazioni, l'11 settembre 2014 il Ministero dell'ambiente ha chiesto alla provincia di Trento una dettagliata relazione sull'operato della squadra che ha effettuato l'intervento di telenarcosi, anche al fine di valutare il protocollo adottato dagli operatori. Tale relazione è stata acquisita il 16 settembre 2014 e posta al vaglio tecnico dell'Ispra, che non ha sollevato rilievi di sorta. Con nota del 15 settembre 2014, il Corpo forestale dello Stato ha informato il Ministero circa le attività svolte dal Servizio Cites (Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione) nell'immediatezza del decesso dell'orsa Daniza, comunicando contestualmente la propria intenzione di non collaborare alla cattura con telenarcosi di altri esemplari di orso in attesa di approfondimenti sulla sicurezza dei protocolli di anestesia. Nell'ambito del procedimento penale aperto a seguito dell'uccisione dell'orsa Daniza, la procura della Repubblica di Trento ha disposto due autopsie, la prima presso l'Istituto zooprofilattico sperimentale (IZS) delle Venezie a Legnaro (PD), la seconda presso l'Istituto zooprofilattico sperimentale di Grosseto, in quanto Centro di referenza nazionale per la medicina forense veterinaria. La vicenda giudiziaria si è conclusa con provvedimento di archiviazione del procuratore della Repubblica n. 312/2015 R.G. Mod. 45 DD. dell'8 maggio 2015. Il giudice ha accolto la richiesta di oblazione da parte del veterinario, che ha pagato un'ammenda di 2.000 euro, con la quale si estingue il reato.
  L'esito della telenarcosi, inoltre, ha indotto il Ministero a sospendere temporaneamente l'autorizzazione alla cattura di orsi in Veneto e in altre regioni, in attesa di verifiche ulteriori sui protocolli di cattura.
  Con riferimento ai due cuccioli di Daniza, sin dal 16 agosto 2014, giorno dell'ordinanza contingibile e urgente della provincia di Trento, è stata posta grande attenzione al destino dei piccoli e sono stati tenuti nel debito conto i pareri dell'Ispra e del Corpo forestale dello Stato. La scelta di lasciarli in libertà, attentamente monitorati, è stata frutto di attenta valutazione della letteratura scientifica esistente ed ha trovato ampio supporto nei numerosi esperti scientifici internazionali sentiti dall'Ispra e che da anni seguono con interesse l'intero processo di ritorno degli orsi sulle Alpi, evento quest'ultimo riconosciuto come un enorme successo di conservazione da parte delle autorità italiane. Dal mese di settembre 2014, i cuccioli di Daniza, completamente autonomi, sono stati oggetto di monitoraggio sul campo da parte della provincia di Trento, dapprima e fino alla fine di ottobre 2014, con tecniche radio telemetriche, successivamente, con metodi indiretti. Sono state inoltre intraprese diverse altre iniziative tese a salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza (tra cui, confronti e tavoli tecnici con i massimi esperti europei del settore, redazione di linee guida per la gestione dei cuccioli di orso privi della madre, diffusione di depliant informativi, predisposizione di apposita segnaletica stradale luminosa per ridurre i rischi di investimento). Premesso che gli animali non hanno radiocollari e quindi non è possibile avere informazioni continue, si evidenzia che la provincia autonoma di Trento conduce un costante monitoraggio del territorio e una raccolta di campioni per esami genetici. Le ultime notizie certe risalgono alla primavera del 2015 (http://www.orso.provincia.tn.it/novità/pagina254.html) ed erano senz'altro positive. Il fatto che non ci siano state altre segnalazioni costituisce di per sé un elemento positivo. Il quadro complessivo, dunque, pare confermare un buono stato di salute dei cuccioli e soprattutto un comportamento schivo senza contatti con l'uomo, per quanto sia difficile averne certezza. In genere si ha un riscontro relativamente rapido nel caso di decesso. Nel corso dell'inverno gli orsi non sono attivi per cui occorrerà attendere la primavera del 2016 per verificare le loro condizioni.
  Pare inoltre opportuno soffermarsi sulla ripartizione delle competenze tra le varie amministrazioni coinvolte nella vicenda al fine di fornire indicazioni utili alla definizione del corretto quadro giuridico entro i cui limiti il Ministero ha operato.
  L'ordinanza contingibile ed urgente è uno strumento che il presidente della provincia può legittimamente adottare, ai sensi dell'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972, in ragione dell'esistenza di un pericolo concreto per l'incolumità pubblica, al di fuori e indipendentemente delle procedure «ordinarie» di cui all'articolo del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, come affermato anche dal Consiglio di Stato (cfr., ad esempio, Consiglio di Stato, Sez. VI, Sent. 03362/2012). Lo stesso Pacobace, del resto, al paragrafo 3.4.2, riconosce all'amministrazione territorialmente competente il ruolo di soggetto decisore nelle azioni energiche non programmabili in caso di orsi problematici e situazioni critiche.
  Tanto premesso, in merito ai quesiti relativi all'accertamento delle vicende che hanno condotto al decesso dell'orsa Daniza, alle misure concernenti la salvezza dei due cuccioli, alla salvaguardia della popolazione di orsi in Trentino, come già menzionato, si evidenzia che la competente direzione generale del Ministero ha chiesto alla Provincia autonoma di Trento, l'11 settembre 2014, immediatamente a ridosso della morte dell'animale, una dettagliata relazione sull'operato della squadra che ha effettuato le operazioni di telenarcosi. La relazione è stata acquisita il 16 settembre 2014 e non ha dato luogo a rilievi tecnici da parte dell'Ispra rispetto al protocollo adottato dagli operatori. L'esito della telenarcosi ha peraltro indotto il Ministero a sospendere temporaneamente l'autorizzazione alla cattura di altri orsi in Veneto e in altre regioni.
  Con riferimento al ruolo ricoperto dal Ministero dell'ambiente nelle decisioni prese dalla provincia di Trento, oltre a quanto già evidenziato, si segnala innanzitutto che il dicastero, nel corso dei contatti con l'ente ha esplicitato il problema del destino dei due cuccioli ed indicata come preferibile l'opzione di lasciarli liberi, sebbene monitorati attentamente, per valutare il loro comportamento e le probabilità di sopravvivenza, anche tenuto conto delle valutazioni dell'Ispra e delle valutazioni del Corpo forestale dello Stato.
  Tuttavia, occorre richiamare i limiti posti dal nostro ordinamento alle competenze delle amministrazioni interessate.
  Come affermato in precedenza, infatti, Tar e Consiglio di Stato hanno avuto modo di affermare che la sussistenza di una situazione di pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica vale a giustificare l'adozione di uno specifico provvedimento extra ordinem contingibile ed urgente da parte della provincia. In situazioni di questo tipo, dunque, non è prevista alcuna autorizzazione ministeriale, né alcun parere dell'Ispra.
  L'ordinanza contingibile ed urgente con la quale è stata adottata la scelta di catturare l'orsa, inoltre, si colloca tra le previsioni del Pacobace (piano d'azione sottoscritto dal Ministero dell'ambiente, province di Trento e di Bolzano, regioni Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Veneto, Ispra) concernenti le azioni energiche non programmabili in caso di orsi problematici e situazioni critiche (paragrafo 3.4.2., misure i) e j); infatti, «le decisioni per l'attuazione dei provvedimenti previsti per gli «orsi problematici» e nelle «situazioni critiche», sono assunte dall'amministrazione competente per territorio e materia attraverso la propria struttura preposta alla gestione delle specie selvatiche, che viene così a rivestire il ruolo di Soggetto decisore.
  Con riferimento al Pacobace ed alla popolazione di orsi del Trentino, Veneto, Lombardia e Friuli, va sottolineato che il progetto di reintroduzione dell'orso, estremamente ambizioso, si è dimostrato un successo che ha avuto i massimi riconoscimenti in tutto il contesto internazionale, registrando un incremento della popolazione di orso ben superiore alle previsioni.
  Prima della vicenda Daniza, nessuna modifica unilaterale del Pacobace è mai stata adottata e nemmeno richiesta. Nel corso degli ultimi anni si è verificato un notevole incremento demografico della popolazione dell'orso nelle Alpi centro-orientali, con conseguente aumento delle situazioni problematiche, sia in termini di danni diretti causati dai plantigradi, sia di pericolosità, legata all'aumento della frequenza di incontri ravvicinati tra uomo e orso. Ciò ha reso necessaria, anche ai fini di una migliore accettazione sociale della specie, una gestione più rapida ed efficace di quei singoli individui cosiddetti «problematici», responsabili di una rilevante quota dei danni economici e delle situazioni di pericolo più significative.
  Le amministrazioni responsabili dell'attuazione del Pacobace, su iniziativa della provincia di Trento, hanno quindi concordato con il Ministero dell'ambiente e l'Ispra una modifica del capitolo 3 del piano d'azione, che definisce l’«orso problematico» in maniera più precisa, prevedendo inoltre, nell'ambito della definizione del grado di problematicità dei possibili comportamenti di un orso e relative azioni possibili (tabella 3.1), l'inclusione della categoria «orso che provoca danni ripetuti a patrimoni per i quali l'attivazione di misure di prevenzione e/o di dissuasione risulta inattuabile o inefficace» tra quelle per le quali può essere consentita l'attivazione di azioni energiche comprese la cattura per captivazione permanente e l'abbattimento. Ferme restando tutte le azioni di dissuasione che dovranno essere poste in essere secondo la normativa vigente, è mantenuta invariata l'obbligatorietà della richiesta di autorizzazione al Ministero per ogni intervento di rimozione. Tale modifica, formalmente approvata dalle amministrazioni coinvolte, è stata resa esecutiva con decreto direttoriale prot. 0015137 PNM del 30 luglio 2015.
  Con riferimento all'applicazione a casi reali dell'aggiornamento del Pacobace, adottato il 30 luglio 2015, rispetto alle problematiche relative alla maggiore mortalità riscontrata nel corso delle catture in Trentino in confronto ad altri contesti territoriali, nonché alle sospensioni temporanee all'autorizzazione alla cattura di altri orsi sul territorio nazionale, si rappresenta che, ad oggi, non si sono verificati casi per i quali si sia resa necessaria l'applicazione di quanto predisposto nell'aggiornamento del Pacobace.
  In merito alle condizioni degli orsi in captivazione permanente ed ai luoghi di detenzione si evidenzia che le condizioni di salute degli orsi in captivazione sono seguite con estrema attenzione; in proposito, tuttavia, va evidenziata l'elevata difficoltà di rilasciare in natura un esemplare di orso tenuto in condizioni di cattività. Il Ministero dell'ambiente, infine, valuta costantemente il rispetto, da parte delle singole strutture ospitanti gli animali, delle disposizioni contenute nel decreto legislativo n. 73 del 2005.
  Con riferimento alle modalità di prosecuzione del Programma nazionale di conservazione dell'orso bruno evitando nel contempo situazioni analoghe a quello dell'orsa Daniza, si fa presente che nelle province autonome e nelle regioni alpine interessate dalla presenza dell'orso, anche allo scopo di evitare che in futuro accadano di nuovo episodi analoghi a quello di Daniza, sono operative e sono state recentemente rafforzate apposite squadre di emergenza, che hanno il compito di intervenire, seguendo le indicazioni fornite nel Pacobace, in tutti i casi in cui il comportamento dell'orso possa essere ritenuto pericoloso o dannoso.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CARDINALE e BURTONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   a seguito del bando di trasferimento per il personale docente dell'anno 2014/2015, così come avvenuto per gli anni precedenti, l'ufficio scolastico provinciale di Palermo, a quanto consta agli interroganti, ritiene di non applicare le norme contenute nella legge n. 104 del 1992, in contrasto con il principio di inderogabilità che scaturisce da norma di legge sulla base della contrattazione collettiva integrativa che pone i beneficiari dell'articolo 21 della citata legge in terza battuta, dopo i perdenti posto nell'ambito della città e della provincia;
   l'articolo 21, comma 1, della legge n. 104 del 1992 recita testualmente: «la persona handicappata con un grado di invalidità superiore a 2/3 (...) assunta presso gli enti pubblici ha diritto di scelta prioritaria tra le sedi disponibili» e al comma 2 «i soggetti di cui al comma 1 hanno la precedenza in sede di trasferimento a domanda»;
   la violazione del principio di inderogabilità è sanzionata dall'ordinamento con la nullità della norma difforme, perché in contrasto con disposizione di legge come esplicitato da numerose sentenze;
   l'articolo 21 comma 2, è disposizione imperativa che non può essere stravolta da previsioni contrattuali e si configura quale lex specialis; quindi, il beneficiario ha un diritto soggettivo alla scelta del posto condizionato, solamente, all'esistenza del posto vacante nella sede di destinazione richiesta;
   i beneficiari della legge n. 104 del 1992, in sede di trasferimento, hanno la precedenza assoluta anche in contrasto con quanto dettato in sede di contrattazione collettiva integrativa;
   secondo gli interroganti una disposizione contenuta nel contratto collettivo integrativo e nello specifico riguardante il trasferimento del personale docente che contrasti con la legge n. 104 del 1992 non può annullare gli effetti che dovrebbe produrre una lex specialis ed in particolare, i benefici scaturenti dall'articolo 21 della citata legge –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare per ristabilire l'ordine nel rispetto e nell'applicazione corretta della norma contenuta nella legge n. 104 del 1992 considerato quanto stabilito, erroneamente, dalla contrattazione collettiva che regolamenta le fasi dei trasferimenti;
   quali iniziative intenda porre in essere nel più breve tempo possibile e prima della pubblicazione dei trasferimenti concessi;
   come si intenda operare per l'applicazione corretta delle disposizioni contenute nell'articolo 21 che concede, senza indugio, la precedenza assoluta e prioritaria nei trasferimenti a chi ha esibito certificazioni comprovanti i requisiti necessari;
   come si intenda procedere per ristabilire ordine e concedere ai beneficiari dell'articolo 21 i trasferimenti richiesti scaturenti da una specifica norma di legge che non lascia spazio ad alcuna interpretazione;
   quali iniziative si adotteranno, anche a seguito della pubblicazione dei trasferimenti autorizzati facenti parte della prima e seconda fase come disciplinato dal bando della contrattazione collettiva integrativa, per evitare contenziosi legali, posto che già numerose sentenze si sono pronunciate sulla nullità della norma del contratto collettivo integrativo in quanto contrastante con disposizione di legge.
(4-04900)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame si rappresenta, preliminarmente, che le procedure di mobilità del personale della scuola sono disciplinate dal decreto legislativo n. 297 del 1994, il quale distingue la mobilità territoriale (trasferimenti da una scuola all'altra) da quella professionale (passaggi di cattedra e di ruolo), nonché dal contratto collettivo nazionale di lavoro del comparto scuola sottoscritto il 29 novembre 2007 e integrato annualmente dal relativo contratto collettivo nazionale integrativo. Per gli anni scolastici 2014/2015 e 2015/2016 il contratto integrativo è stato sottoscritto, rispettivamente, in data 26 febbraio 2014 e in data 23 febbraio 2015.
  Le procedure di mobilità sono effettuate ogni anno con procedimenti meccanizzati tramite il sistema informativo del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca. Il menzionato contratto collettivo nazionale integrativo le suddivide in tre fasi: comunale, intercomunale nell'ambito della stessa provincia e interprovinciale. In ciascuna fase è rispettato un sistema di precedenze nella scelta, articolato secondo l'ordine di priorità indicato all'articolo 7 dello stesso contratto collettivo nazionale integrativo.
  Nell'ordine delle precedenze, la scelta della sede per il personale della scuola appartenente alla categoria di cui all'articolo 21 della legge n. 104 del 1992 è annoverata tra le priorità, ma non si tratta di una priorità assoluta in quanto il contratto collettivo nazionale integrativo la colloca al terzo posto. L'articolo 21, comma 2, stabilisce, infatti, che coloro i quali hanno un'invalidità superiore ai due terzi o una minorazione rientrante nelle categorie prima, seconda e terza della tabella A, annessa alla legge 10 agosto 1950, n. 648, «hanno la precedenza in sede di trasferimento a domanda». Si tratta, dunque, di un diritto di precedenza assoluta. Per questo motivo, il contratto collettivo nazionale integrativo colloca al terzo posto, e non al primo, la scelta della sede da parte della categoria dei soggetti di cui all'articolo 21 della legge n. 104 del 1992 e, pertanto, non opera alcuna violazione del dettato legislativo.
  Occorre evidenziare, infatti, che le categorie di soggetti che sono collocati, nel sistema delle precedenze di cui all'articolo 7 del contratto collettivo nazionale integrativo, prima della categoria di cui all'articolo 21 della legge n. 104 del 1992, hanno diritto ex lege di precedenza assoluta nella scelta.
  Si tratta, dunque, delle categorie relative al personale scolastico non vedente che, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 120 del 1991, ha diritto di «precedenza assoluta nei trasferimenti, passaggi e assegnazioni provvisorie, relativi al movimento interregionale, interprovinciale e intercomunale», e al personale emodializzato che, ai sensi dell'articolo 61, ultimo comma, della legge n. 270 del 1982, ha anch'esso «la precedenza assoluta nella scelta nella sede».
  Queste due ipotesi di precedenze, quindi, sono collocate prima rispetto a quelle di cui all'articolo 21 della legge n. 104 del 1992, in quanto è lo stesso legislatore che richiede che a quei determinati soggetti sia garantita una precedenza assoluta nella scelta. Si evidenzia, inoltre, che entrambe le discipline relative alle categorie suddette sono, comunque, precedenti rispetto alla legge n. 104 del 1992 e, quindi, erano già in vigore al momento in cui è sopravvenuta la legge n. 104 del 1992.

  L'altra categoria che, nel sistema delle precedenze di cui all'articolo 7 del contratto collettivo nazionale integrativo, esercita il diritto di scelta prima dei soggetti di cui all'articolo 21 della legge n. 104 del 1992, è il personale soprannumerario trasferito d'ufficio o a domanda condizionata dal permanere della posizione di soprannumero. Tali soggetti sono considerati, per un periodo di tempo pari a otto anni, ancora titolari presso la scuola dalla quale sono stati trasferiti e hanno diritto a rientrare nella sede di titolarità, purché abbiano presentato in ciascun anno domanda di trasferimento per ottenere il rientro nella propria sede. Tale tipo di precedenza si applica unicamente con riferimento alla sede della scuola presso la quale tali soggetti sono titolari e, pertanto, non si tratta di sedi disponibili sulle quali il personale di cui all'articolo 21 della legge n. 104 del 1992 avrebbe potuto esprimere una preferenza. Anche in tal caso, dunque, la precedenza prevista dal contratto collettivo nazionale integrativo non è in contrasto con quanto dettato dalla legge n. 104 del 1992.
  Alla luce di quanto esposto, quindi, non vi sono motivi per ritenere non corretta l'applicazione della normativa relativa alla legge n. 104 del 1992 e del contratto collettivo nazionale integrativo nell'ambito delle procedure di mobilità del personale scolastico.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   CENSORE e CASELLATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 5, comma 12, del decreto-legge n. 463 del 1983, stabilisce che l'INPS, per l'effettuazione delle visite mediche di controllo dei lavoratori, sentiti gli ordini dei medici, istituisca liste speciali di medici;
   la disciplina attuativa è stata definita da una serie di decreti del Ministero del lavoro e delle politiche sociali che, a partire dal decreto ministeriale 15 luglio 1986 (disciplina delle visite mediche di controllo), seguito dal decreto del 18 aprile 1996 (graduatoria provinciale, conferimento dell'incarico e definizione delle liste speciali, compensi, costituzione della commissione mista in ogni sede provinciale) poi dal 12 ottobre 2000 (conferma dei medici delle liste speciali) e infine dal decreto ministeriale 8 maggio 2008 (conferma della vigente disciplina delle visite mediche di controllo fino a completa rivisitazione della disciplina da effettuarsi entro 12 mesi, compensi aggiornati), hanno disciplinato la materia nel dettaglio;
   il comma 10-bis articolo 4 del decreto-legge n. 101 del 2013, in materia di razionalizzazione nelle pubbliche amministrazioni, come modificato dal comma 340 della legge di stabilità 2014 (legge n. 147 del 2013), ha trasformato le liste speciali in liste speciali ad esaurimento, nelle quali sono stati confermati i medici già inseriti alla data del 31 dicembre 2007, e ha vincolato l'INPS ad avvalersi, in via prioritaria, dei medici iscritti nelle liste speciali ad esaurimento;
   la Commissione affari sociali della Camera, nel documento conclusivo approvato il 27 maggio 2014, al termine dell'indagine conoscitiva sull'attività dei medici di controllo dell'INPS, ha ribadito l'utilità della medicina fiscale e la necessità di garantire stabilità lavorativa ai medici fiscali;
   l'articolo 17 della legge n. 124 del 7 agosto 2015, sul riordino della disciplina del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche, al comma 1, lettera l), stabilisce la riorganizzazione delle funzioni in materia di accertamento medico-legale sulle assenze dal servizio per malattia dei dipendenti pubblici, al fine di garantire l'effettività del controllo, con attribuzione all'Istituto nazionale della previdenza sociale della relativa competenza e delle risorse attualmente impiegate dalle amministrazioni pubbliche per l'effettuazione degli accertamenti, previa intesa in sede di Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano per la quantificazione delle predette risorse finanziarie e per la definizione delle modalità d'impiego del personale medico attualmente adibito alle predette funzioni, senza maggiori oneri per la finanza pubblica e con la previsione del prioritario ricorso alle liste di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101, convertito, con modificazioni, dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, e successive modificazioni;
   la normativa vigente sopracitata prevede quindi che le visite fiscali debbano essere effettuate dai medici delle liste speciali istituite con il decreto-legge n. 463 del 1983 e prioritariamente dai medici delle liste speciali ad esaurimento di cui al comma 10-bis articolo 4 del decreto-legge n. 101 del 2013 e successive modificazioni, con compensi a prestazione stabiliti dal decreto ministeriale 8 maggio 2008; la legge n. 124 del 7 agosto 2015 stabilisce che spetta al Governo, con decreto attuativo, previa intesa con la Conferenza delle regioni, conferire all'INPS l'esclusività del servizio della medicina fiscale di controllo e stabilire la quantificazione delle risorse finanziare e le modalità di impiego del personale medico attualmente adibito al predetto servizio:
    alla luce di quanto sopra esposto e in virtù della necessità di trasparenza, occorre verificare il rispetto della normativa vigente e del ruolo assegnato all'INPS –:
   se il Ministro interrogato, sia a conoscenza del bando preannunciato dai dirigenti medico-legali dell'INPS responsabili delle commissioni mediche locali delle sedi provinciali, per l'affidamento di incarichi dal gennaio 2016, a tempo determinato con retribuzione oraria, per medici esterni che, pur non appartenendo alle liste speciali ad esaurimento, dovrebbero svolgere servizio di medicina fiscale di controllo domiciliare oltre che in relazione all'invalidità civile;
   se il Ministro sia a conoscenza delle iniziative assunte dall'INPS che di fatto inducono i medici fiscali delle liste ad esaurimento a partecipare al bando per adempiere ai controlli fiscali domiciliari e a sottrarre a un contratto a tempo determinato a retribuzione oraria quando per i controlli fiscali domiciliari è già in essere una collaborazione a tempo indeterminato ultra ventennale tra i medici fiscali e l'INPS, di natura libero-professionale, normata da leggi, decreti-legge e decreti ministeriali specifici e con compensi a prestazione stabiliti dal decreto ministeriale 8 maggio 2008;
   quali iniziative intenda assumere per garantire che nel sopracitato bando siano specificati in modo chiaro, analitico ed inequivocabile non solo i criteri di valutazione e la loro specifica applicazione nella successiva graduatoria per la valutazione dei titoli, ma anche le mansioni in cui verrebbe utilizzato il personale selezionato, con l'esplicita esclusione della medicina fiscale di controllo domiciliare, già svolta con professionalità ed efficacia dai medici delle liste ad esaurimento, come risulta dall'indagine della Commissione affari sociali, in attesa del decreto attuativo del Governo, a cui spetta, previa intesa con la conferenza delle Regioni, la definizione delle modalità di impiego del personale medico attualmente adibito alle funzioni di controllo fiscale in relazione alle assenze per malattia dei dipendenti pubblici e privati. (4-10659)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in esame, inerente l'avviso di selezione pubblica per il reperimento, da parte dell'Inps, di un contingente di medici esterni cui conferire incarichi libero-professionali, sulla base delle informazioni fornite dall'Inps, si rappresenta quanto segue.
  Il 12 novembre 2015, il presidente dell'Inps ha adottato la determinazione n. 147 per l'autorizzazione di una procedura selettiva pubblica ai fini del reperimento di un contingente di 900 medici cui conferire incarichi a tempo determinato volti a garantire l'espletamento degli adempimenti medico legali di competenza delle unità operative semplici (UOS) e unità operative complesse (UOC), centrali e territoriali, dell'istituto.
  Obiettivo di tali procedure selettive è quello di consentire all'Inps di reperire, all'esterno della propria organizzazione, risorse umane che consentano di soddisfare esigenze connotate da carattere temporaneo e richiedenti elevata professionalità, senza per questo dover ricorrere ad assunzioni di personale di ruolo.
  Nel caso in esame, il punto 1 dell'allegato A della citata determinazione presidenziale (relativo ai requisiti di partecipazione) ha stabilito che qualora il candidato risulti essere già iscritto, in qualità di medico fiscale, nelle liste speciali – di cui all'articolo 4, comma 10-bis, del decreto-legge n. 101 del 2013 – è tenuto ad optare, al momento della sottoscrizione del contratto, tra l'attività medico fiscale e quella di medico esterno convenzionato. Sul punto, l'Inps ha precisato che l'esercizio di tale opzione non comporta la cancellazione dal medico fiscale dalle liste speciali della medicina fiscale ma solo l'impossibilità di svolgerne le relative funzioni limitatamente alla durata dell'incarico medico legale per conto dell'istituto.
  La ratio di tale scelta si basa essenzialmente sulla particolare delicatezza delle funzioni che dovranno svolgere i medici selezionati, si pensi ad esempio: all'accertamento degli stati di invalidità civile, cecità, sordità, handicap e disabilità; all'accertamento delle condizioni di invalidità e inabilità previdenziale; all'esame della certificazione di malattia per la disposizione dei controlli domiciliari; all'attività di consulenza tecnica di parte nell'ambito di un contenzioso giudiziario. Ne consegue la necessità che tali soggetti non risultino, nemmeno potenzialmente, in conflitto di interessi con lo svolgimento di altre attività professionali, in conformità a quanto stabilito dall'articolo 53, commi 2, 3-bis e 5, del decreto legislativo n.165 del 2001, nonché dall'articolo 52, comma 67, della legge n. 448 del 2001.
  Per quanto concerne i criteri generali di valutazione dei titoli, essi sono esplicitati al paragrafo 4 (recante «criteri di valutazione e modalità di attribuzione dei punteggi») del bando di selezione di cui alla determinazione presidenziale n. 147 del 12 novembre 2015. L'Inps ha, inoltre, precisato che la commissione – mediante un'applicazione analogica della normativa per i concorsi pubblici prevista dall'articolo 12 del decreto del Presidente della Repubblica n. 487/1994 – può, nel corso della prima riunione, specificare e dettagliare maggiormente i criteri previsti dal bando per l'attribuzione dei punteggi. Ciò vale in particolar modo in relazione alla lettera c) del paragrafo 4 del bando, recante «Titoli scientifici risultanti da curriculum – max 40 punti».
La Sottosegretaria di Stato per il lavoro e le politiche socialiFranca Biondelli.


   COLONNESE, LUIGI GALLO e FICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del 22 gennaio 2016, il Ministro del interno, attuando una norma del 1985, equipara la Deputazione della cappella del tesoro di San Gennaro, organismo laico che da secoli gestisce la cappella del Santo e custodisce il sangue prodigioso, a una fabbriceria e rinomina arbitrariamente gli 11 deputati attualmente in carica, assumendosi un ruolo che non gli compete;
   l'effetto del decreto potrebbe provocare la modifica dei criteri di nomina dell'organismo: la Fabbriceria è composta da 8 membri laici e 4 di nomina ecclesiastica. Ai discendenti delle famiglie nobili della città si affiancherebbero quattro membri di nomina della Curia di Napoli, facendo così perdere alla Deputazione il suo carattere secolare di laicità e di autonomia dalla diocesi;
   le reliquie del sangue sono custodite dalla Deputazione della Cappella del Tesoro di San Gennaro che apre la cassaforte solo in occasione del miracolo. Se la Curia facesse parte della Deputazione potrebbe gestirlo con più disinvoltura rompendo una consolidata tradizione;
   la Deputazione è presieduta dal sindaco di Napoli, elemento che rafforza l'appartenenza alla città – e non alla diocesi – della cappella dove sono custodite le ampolle contenenti il sangue di san Gennaro, accanto ad – opere d'arte di valore inestimabile ed a tutti i gioielli donati al patrono nel corso dei secoli;
   la Deputazione si costituì nel 1601, quando i nobili della città diedero esecuzione ad un voto del popolo napoletano formulato nel 1527: erigere una cappella in onore del patrono per lo scampato pericolo nell'eruzione del Vesuvio ed a protezione della città di Napoli. Da allora, malgrado calamità, guerre e rivoluzioni e numerosi tentativi degli arcivescovi di assumerne il controllo, non ha mai tradito quel mandato mantenendo sempre la sua autonomia;
   il delegato agli affari legali, Riccardo Imperiali, di Francavilla riferisce ai numerosi tentativi fatti per rinnovare il vecchio statuto, risalente al 1894, assieme ai rappresentanti della Curia di Napoli e, dopo essere arrivati alla stesura definitiva, l'attuale cardinale Crescenzio Sepe ha semplicemente preferito ignorare il documento perché non conteneva l'unica parte che, a giudizio degli interroganti, davvero lo interessava, cioè la nomina dei «suoi» rappresentanti all'interno della Deputazione;
   l'intera vicenda è stata svelata dal quotidiano « il Mattino» del 28 e 29 febbraio 2016 con gli articoli «San Gennaro, entra la Curia – Bufera sul decreto di Alfano», «Cinque secoli di lotte per l'investitura» e «Ex sindaci e studiosi: San Gennaro appartiene alla città», tutti a firma del giornalista Pietro Treccagnoli nei quali tra le altre cose si rappresenta lo sconcerto di Riccardo Imperiali di Francavilla, delegato per gli affari legali della Deputazione che afferma «Il decreto del ministero degli Interni equipara la Deputazione a una Fabbriceria e rinomina arbitrariamente gli undici deputati in carica» –:
   se sia a conoscenza di quanto, esposto in premessa;
   se si intenda immediatamente fare chiarezza, per quanto di competenza ed autonomamente, rispetto alla natura della deputazione rispetto a quella della fabbriceria; le deputazioni sono enti che provvedono al mantenimento dei beni dei luoghi sacri, riconosciuti come persone giuridiche e vigilati dallo Stato, composti anche da rappresentanti ecclesiastici;
   se il Ministro dell'interno intenda chiarire i motivi che hanno spinto ad adottare un decreto che modifica in modo unilaterale la composizione di un'istituzione storica e laica come la Deputazione, che è diversa per finalità e storia dalla Fabbriceria;
   come intendano intervenire concretamente, per quanto di competenza, al fine di tutelare l'indipendenza, l'autonomia, la tradizione, la storia di un'istituzione di Napoli connessa con il sentimento del popolo della città di Napoli con il suo Santo patrono San Gennaro. (4-12345)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante, ripercorrendo brevemente la storia della deputazione del tesoro di San Gennaro, chiede al Ministro dell'interno come intenda intervenire al fine di tutelare l'indipendenza, l'autonomia e la tradizione di tale istituzione, che sarebbero state scalfite da un provvedimento da lui adottato il 22 gennaio 2016.
  Si premette che, in base allo statuto dell'ente, la deputazione, organo di governo dell'ente cappella del tesoro di San Gennaro, di cui è espressamente prevista la sottoposizione ordinamentale al Ministero dell'interno, è composta da dodici membri (10 rappresentanti delle famiglie nobiliari e 2 del popolo) dei sedili cittadini, che erano le antiche articolazioni amministrative della città di Napoli.
  Si precisa ancora che nel maggio del 2003, lo stesso ente chiese ed ottenne dal prefetto di Napoli l'iscrizione nel registro delle persone giuridiche di diritto privato, facendo richiamo alle disposizioni di cui alla legge n. 22 del 1985 in materia di enti ecclesiastici. In tale occasione, venne anche prodotto il nulla osta dell'ordinario diocesano di Napoli, indispensabile per l'ottenimento della registrazione prefettizia.
  Nel dicembre 2009 il prefetto di Napoli ha segnalato al legale rappresentante dell'ente la necessità di provvedere all'aggiornamento dello statuto del medesimo ente, per adeguarlo alla disciplina normativa di settore emanata oltre venti anni prima, nonché al mutato contesto sociale.
  La deputazione ha accolto l'invito del prefetto, evidenziando tuttavia l'utilità di un confronto volto ad esaminare «le peculiarità storiche della Cappella che possano lecitamente convivere con l'attuale contesto giuridico ed economico».
  Nel corso degli approfondimenti per la revisione statutaria, è emerso come l'opera di aggiornamento presupponesse un chiarimento sulla configurazione giuridica dell'ente, confrontandosi sul punto due tesi: quella sostenuta dalla deputazione che colloca l'ente nel novero degli enti fondazionali morali di carattere pubblico e quella che inquadra l'ente cappella nell'ambito delle fabbricerie, enti di natura privatistica, pur riconoscendone il tratto atipico e peculiare derivante dalla tradizione storica.

  In considerazione delle perduranti perplessità sulla questione, il Ministero dell'interno ha interessato, il Consiglio di Stato e, successivamente, dietro indicazione dello stesso atto consesso, la commissione governativa per l'attuazione delle disposizioni dell'accordo tra Italia e Santa Sede, firmato il 18 febbraio 1984.
  Gli organismi aditi, al termine di una complessa fase di consultazione che li ha visti esprimersi – ciascuno – in almeno due circostanze, si sono pronunciati nel senso di riconoscere all'ente cappella del tesoro di San Gennaro natura giuridica di fabbriceria, desumibile, in particolare, da un'attenta valutazione delle attività svolte e dalle finalità perseguite, ritenendo, al contempo, che in sede di revisione dello statuto si possa tener conto della tradizione storica e della atipica configurazione dell'ente.
  Sulla scorta dei pareri acquisiti, il tavolo di confronto, già avviato in prefettura, con la partecipazione di rappresentanti della deputazione e della curia arcivescovile di Napoli, ha provato, senza successo, ad elaborare un'ipotesi di statuto condivisa dalle parti. A questi tentativi ha fatto seguito una fase di stallo delle trattative, con timidi segnali di ripresa del confronto bloccati dalla persistente divergenza tra le posizioni delle due istituzioni.
  Nell'attesa del raggiungimento di un accordo sull'adeguamento dello statuto, a partire dal 2011 non sono state più disposte nomine di deputati a scadenza di incarico, producendosi una gestione di fatto della cappella che, a lungo andare, avrebbe potuto determinare la paralisi dell'organo di amministrazione.
  Per evitare tale rischio, è stato individuato un percorso transitorio, che ha condotto il Ministro dell'interno ad adottare, il 22 gennaio 2016, su parere favorevole del prefetto di Napoli, il decreto di rinnovo dei componenti della deputazione per la durata di un anno, che recepisce integralmente le designazioni espresse dalla deputazione medesima, secondo il tradizionale sistema di scelta, e non interviene sulla natura dell'ente; sicché le doglianze sembrano indirizzarsi alle premesse narrative del decreto in cui l'organo ministeriale da atto dei suddetti pareri.
  Questa la ricostruzione dei fatti, che consente di trarre ed esporre le seguenti conclusioni.
  Il provvedimento si presentava come necessario ed urgente ed è stato adottato nell'esclusivo interesse dell'ente per garantire la piena legittimazione giuridica all'attività gestionale della deputazione.
  Esso non ha dato luogo ad alcuna lesione della laicità dell'ente, non avendo affatto inciso sulla sua composizione e sui metodi di scelta dei componenti, né ha comportato alcuna interferenza nella vicenda della revisione dello statuto, rimasta aperta ad ogni possibile mediazione per giungere ad una approvazione condivisa dell'atto.
  La natura transitoria del provvedimento e la nomina integrale dei deputati designati dalla stessa deputazione dimostrano come l'amministrazione dell'interno abbia inteso ricorrere a una soluzione interlocutoria per giungere a definire in tempi brevi un assetto ordinamentale e organizzativo condiviso, coerente con la vigente normativa e funzionale alle finalità dell'ente, rispettando la rilevante importanza storica e culturale della cappella del tesoro di San Gennaro.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   sin dal 1993 l'Unione europea con la direttiva 104 ha imposto ai Paesi membri una disciplina comune sull'orario di lavoro;
   dal 2000, con la direttiva 34 tali standard vengono applicati a tutti i settori dell'economia;
   tale direttiva garantisce ai lavoratori il rispetto del periodo minimo di riposo;
   nel mese di novembre del 2003 l'Unione europea ha emanato la direttiva 88/2003/CE considerata una sorta di testo unico sulla disciplina dell'orario di lavoro;
   detta direttiva indica la disciplina relativa a riposi, ferie, orario massimo di lavoro, e lavoro notturno;
   a giudizio dell'interrogante, la prescrizione del riposo serve a garantire il benessere psicofisico del personale medico e paramedico e, di conseguenza, ad assicurare ai pazienti cure più adeguate;
   per il riposo giornaliero la misura considerata «minima» dall'Unione europea è quella di 11 ore consecutive nell'arco di 24 ore partendo dall'inizio dell'attività, mentre il tempo di lavoro massimo settimanale è individuato in 48 ore, comprendendo oltre all'orario contrattuale anche le eventuali ore di lavoro straordinario, che in ogni caso non possono essere imposte al lavoratore;
   le succitate direttive sono state recepite nel mese di aprile del 2003 con il decreto legislativo n. 66;
   tale decreto non è stato mai realmente attuato nel campo della sanità ospedaliera, in quanto l'errore derivante dal calo della performance è sempre stato considerato come episodio sporadico;
   al contrario, si sono spesso verificate nell'ambito sanitario tragedie attribuibili a stanchezza derivante da turni di lavoro prolungati e a mancanza di riposo;
   a giudizio dell'interrogante, è fondamentale prendere atto che periodi lavorativi prolungati producono effetti significativi sulla salute degli interessati ed aumentano il rischio d'errore;
   l'articolo 1 del decreto legislativo n. 66 del 2003 definisce il riposo adeguato: «Il fatto che i lavoratori dispongano di periodi di riposo regolari, la cui durata è espressa in unità di tempo, e sufficientemente lunghi e continui per evitare che essi, a causa della stanchezza, della fatica o di altri fattori che perturbano l'organizzazione del lavoro, causino lesioni a se stessi, ad altri lavoratori o a terzi o danneggino la loro salute a breve o a lungo termine»;
   l'articolo 14 della legge n. 161 del 2014, recante «Disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione europea – Legge europea 2013-bis», stabilisce che dal 25 novembre 2015 «nel rispetto di quanto previsto dall'articolo 17 del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, e successive modificazioni, al fine di garantire la continuità nell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, i contratti collettivi nazionali di lavoro del comparto sanità disciplinano le deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero del personale del Servizio sanitario nazionale preposto ai servizi relativi all'accettazione, al trattamento e alle cure, prevedendo altresì equivalenti periodi di riposo compensativo, immediatamente successivi al periodo di lavoro da compensare, ovvero, in casi eccezionali in cui la concessione di tali periodi equivalenti di riposo compensativo non sia possibile per ragioni oggettive, adeguate misure di protezione del personale stesso. Nelle more del rinnovo  dei contratti collettivi vigenti, le disposizioni contrattuali in materia di durata settimanale dell'orario di lavoro e di riposo giornaliero, attuative dell'articolo 41, comma 13, del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, e dell'articolo 17, comma 6-bis, del decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, cessano di avere applicazione a decorrere dalla data di abrogazione di cui al comma 1»;
   con il ripristino del diritto al riposo dei medici, moltissime aziende ospedaliere italiane si troveranno in una condizione di difficoltà legata al mancato sblocco del turn-over e alla cronica carenza di personale; una condizione fin qui risolta con gli autoconvenzionamenti pagati dalle stesse aziende ospedaliere;
   a giudizio dell'interrogante, al fine di evitare gravi disservizi ai pazienti, è necessario che il Governo non solo autorizzi l'assunzione di nuovo personale, ma al contempo chieda all'Unione europea una deroga di 4-5 mesi nell'applicazione della direttiva per poter espletare le procedure concorsuali necessarie all'assunzione del nuovo personale;
   è evidente l'esigenza di sbloccare il turn-over, impiegando le risorse che le aziende attualmente utilizzano per gli autoconvenzionamenti, ma anche di chiedere alla Commissione europea il tempo necessario per espletare i concorsi e inserire in organico il nuovo personale;
   in mancanza gli ospedali si troveranno in una condizione di ulteriore e sempre più grave difficoltà –:
   se il Ministro interrogato non ritenga che sussistano i presupposti per assumere iniziative volte a differire il termine di applicazione della direttiva che fissa al 25 novembre 2015 la data entro la quale il personale medico dovrà osservare i turni di riposo, così come disciplinato dalla normativa indicata, per consentire alle aziende ospedaliere e sanitarie di espletare le procedure concorsuali necessarie all'assunzione attualmente mancante in ragione del blocco del turn-over. (4-11070)

  Risposta. — La direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ha inteso disciplinare l'organizzazione dell'orario di lavoro, coordinando le disposizioni contenute nella direttiva 1993/104/CE con quelle della direttiva 2000/34/CE.
  Il nostro Paese ha recepito tale disciplina normativa con il decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, entrato in vigore il 29 aprile 2003, il quale, nel regolamentare l'articolazione dell'orario di lavoro, detta principi in materia di riposi, ferie, lavoro notturno e straordinario.
  Tali disposizioni trovano applicazione sia per i dipendenti privati che per quelli pubblici, quindi anche per il personale del comparto sanità.
  In particolare, l'articolo 7 del decreto legislativo n. 66 del 2003, garantisce ai lavoratori il diritto ad undici ore di riposo consecutivo nel corso di ogni periodo di 24 ore; mentre l'articolo 4 fissa in 48 ore, comprese le prestazioni straordinarie, la durata massima settimanale dell'orario di lavoro.
  La legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), ha introdotto una prima deroga al decreto legislativo n. 66 del 2003, riguardante il riposo del personale delle aree dirigenziali degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale.
  L'articolo 41, comma 13, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008 ha apportato una seconda deroga relativamente al limite massimo dell'orario di lavoro settimanale.
  Dette deroghe hanno determinato, nel 2012, l'avvio da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, per contrasto della normativa italiana concernente l'orario di lavoro dei medici e del personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale con la normativa comunitaria.
  Le giustificazioni presentate nelle sedi comunitarie dal Governo italiano non sono state ritenute sufficienti per porre termine alla procedura di infrazione; per cui, negli ambiti della legge 30 ottobre 2014, n. 161 (legge europea 2013-bis), si è resa necessaria l'introduzione dell'articolo 14, norma finalizzata ad abrogare le disposizioni oggetto dell'attenzione della Commissione europea.
  Peraltro, al fine di garantire la continuità nell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, l'abrogazione di tali disposizioni è stata differita di un anno, con l'obiettivo di consentire alle legioni di avviare specifiche procedure di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture e dei servizi, anche tenendo conto della riorganizzazione della rete ospedaliera prevista dall'articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012.
  Inoltre, è stata rinviata ai contratti collettivi nazionali di lavoro del settore la disciplina delle eventuali deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero del personale del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto dei limiti previsti dalle norme europee.
  A tal riguardo, il comitato di settore in data 4 novembre 2015 ha approvato un apposito atto di indirizzo, al fine di individuare, nell'ambito della contrattazione collettiva, le eventuali deroghe e le connesse misure rivolte a consentire il pieno recupero psicofisico del personale interessato.
  Nel contempo, per consentire alle aziende sanitarie di superare le difficoltà nell'organizzazione dei servizi e nell'erogazione delle prestazioni ai pazienti, tenuto conto che le limitazioni al «turn over» introdotte negli ultimi anni hanno comportato disagi nel Servizio sanitario nazionale, la legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) all'articolo 1, commi 541 e seguenti, ha previsto uno specifico percorso di programmazione regionale dei fabbisogni del personale, allo scopo di consentire l'indizione di procedure concorsuali straordinarie nel periodo 2016-2017, onde far fronte alle esigenze emerse.
  Dette procedure verranno in parte riservate ai lavoratori precari già operanti nel settore della sanità.
  Nelle more della predisposizione e della verifica dei piani inerenti al fabbisogno del personale, le regioni, dal 1o gennaio 2016 e fino al 31 luglio 2016, laddove emergano criticità nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, possono ricorrere a forme di lavoro flessibile, nel rispetto della normativa vigente in materia sanitaria, e quindi anche delle disposizioni che contemplano il contenimento del costo del personale ed i piani di rientro.
  Se al termine di detto periodo dovessero permanere condizioni di criticità, i contratti di lavoro attivati potranno essere prorogati fino al termine massimo del 31 ottobre 2016.
  Queste misure consentiranno alle regioni di verificare i reali fabbisogni del personale, nonché di fronteggiare le criticità derivanti dalle disposizioni in materia di orario di lavoro.
  In effetti, una nuova, ulteriore deroga alla disciplina comunitaria, anche se parziale o temporanea, avrebbe generato contenzioso sia a livello comunitario, con la probabile apertura di una seconda procedura di infrazione, sia a livello nazionale, dal momento che molti professionisti sanitari hanno già avviato azioni legali nei confronti dello Stato italiano per i danni lamentati a causa della violazione della disciplina europea sull'orario di lavoro.
  Per completezza, rammento anche la misura introdotta ai sensi dell'articolo 4-bis del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012, per fronteggiare le carenze delle figure professionali sanitarie segnalate dalle regioni in piano di rientro.
  In tali regioni, infatti, il blocco del «turn-over» del personale «può essere disapplicato, nel limite del 15 per cento e in correlazione alla necessità di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, qualora i competenti tavoli tecnici di verifica dell'attuazione dei piani accertino (...) il raggiungimento, anche parziale, degli obiettivi previsti nei piani medesimi».
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   DADONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 2 gennaio 2015 l'interrogante apprendeva da quotidiani locali come un detenuto della casa di reclusione di Alba fosse stato ricoverato all'ospedale San Lazzaro dopo aver contratto la legionella;
   questo caso non è il primo dell'istituto penitenziario, visto che nei mesi passati ad aver contratto la malattia sono stati anche un agente di polizia penitenziaria e un altro detenuto;
   il medesimo problema si era già avuto nel carcere di Monza nel mese di febbraio 2014;
   nell'agosto 2013 nella casa di reclusione di Sulmona sempre un detenuto aveva contratto la legionella;
   si ricorda che tale malattia è altamente infettiva e nei casi più gravi può portare alla morte;
   a rischio di contagio, quindi, non sono solo i detenuti, ma anche gli agenti di polizia penitenziaria, i volontari, i parenti dei detenuti stessi e tutto il personale che quotidianamente frequenta le strutture penitenziarie;
   la legionella si diffonde nelle carceri anche per l'obsolescenza, oltre che per le scarse condizioni igieniche delle stesse;
   il 5 gennaio 2016 il dipartimento dell'amministrazione penitenziaria ha emesso un comunicato stampa in cui informa che sono state avviate «tutte le procedure per la bonifica dell'impianto idrico della casa circondariale di Alba, dove recentemente si sono verificati alcuni casi di affezioni respiratorie da legionellosi. A tutela della salute del personale penitenziario e della popolazione detenuta il provveditorato regionale e la direzione generale in queste ore stanno provvedendo al trasferimento dei detenuti presso gli istituti penitenziari del Piemonte, nel pieno rispetto del principio di territorialità della pena. Il personale penitenziario sarà temporaneamente reimpiegato presso altre strutture nel rispetto delle vigenti procedure. Gli interventi di bonifica dell'impianto idrico sono stati disposti dal locale Servizio di Igiene e Sanità pubblica»;
   tale intervento del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria appare opportuno e corretto, ma, ad avviso dell'interrogante, onde evitare la diffusione di legionella, sarebbe necessaria un'attività di prevenzione in tutte le case circondariali e di reclusione –:
   se il Ministro, a fronte di quanto esposto in premessa, ritenga sufficienti le verifiche che attualmente vengono effettuate sugli impianti idrici degli istituti penitenziari;
   se, coordinandosi con le competenti autorità sanitarie, abbia intenzione di promuovere un piano di controllo di tutte le strutture detentive italiane al fine di evitare casi come quello di Alba e di altre case circondariali. (4-11616)

  Risposta. — Il miglioramento delle condizioni dell'esecuzione detentiva della pena ha costituito obiettivo prioritario dell'azione di Governo al fine di dare concreta attuazione ai principi enunciati dalla Costituzione e dalla Convenzione europea dei diritti dell'uomo.
  In questa prospettiva, assume primario rilievo anche la tutela del diritto alla salute dei detenuti, nelle diverse componenti in cui la stessa si declina.
  E proprio per questo, nell'ampia consultazione istituzionale avviata attraverso gli Stati generali dell'esecuzione penale, al tema della salute è stata dedicato uno specifico tavolo tematico, il decimo, che ha affrontato la vastissima tematica dell'attuazione della riforma della medicina penitenziaria, esaminato i profili di criticità dell'attuale assetto, ha proposto interventi di ammodernamento delle procedure attualmente seguite, nell'ottica di rendere effettivo il riconosciuto pieno diritto della popolazione detenuta ad una adeguata tutela della salute in carcere.
  Gli esiti dei lavori di tale tavolo potranno fornire spunti per interventi normativi, anche tenuto conto che tutela della salute rientra tra i principi del disegno di legge delega per la riforma dell'ordinamento penitenziario.
  La tutela della salute è, dunque, al centro di ogni riflessione sull'esecuzione della pena che il Governo sta conducendo.
  Con l'atto ispettivo in esame, l'onorevole Dadone pone l'accento sulle iniziative volte ad assicurare la sanità delle strutture penitenziarie, sotto lo specifico profilo del rischio di legionellosi.
  Richiamando i casi diagnosticati nel carcere di Alba e gli interventi posti in essere dall'Amministrazione per fronteggiare una eventuale epidemia, l'Onorevole interrogante chiede, difatti, se il Ministro della giustizia ritenga adeguate le misure di prevenzione già assunte in tutti i penitenziari italiani e se intenda adottare un generalizzato piano di verifica, al fine di prevenire l'insorgenza di analoghe criticità.
  Come noto, la legionellosi è una infezione polmonare causata dal batterio Legionella pneumophila, organismo ubiquitario che prolifera soprattutto in ambienti acquatici caldi, in condizioni termiche comprese tra i 32 e i 45 oC.
  Per prevenire la concentrazione del batterio e la diffusione attraverso flussi idrici, l'Amministrazione Penitenziaria provvede all'installazione ed alla periodica manutenzione di adeguati dispositivi nelle centrali termiche per il riscaldamento dell'acqua sanitaria, nel quadro degli interventi di adeguamento degli impianti degli istituti penitenziari.
  Quando, nonostante le misure di prevenzione adottate, sono stati diagnosticati isolati casi di legionella, le amministrazioni periferiche hanno posto in essere i necessari interventi di bonifica, secondo le prescrizioni delle autorità sanitarie ed in coordinamento con queste, risolvendo le criticità manifestate.
  Come riferito dal competente Dipartimento, così è avvenuto nei casi citati dall'interrogante verificatisi lo scorso anno presso l'istituto penitenziario di Monza e, nel 2013, presso la casa di reclusione di Sulmona.
  Il ceppo batterico riscontrato nella Casa di Reclusione di Alba ha richiesto, invece, misure più articolate. Dagli accertamenti svolti sono risultati, difatti, necessari interventi più complessi sugli impianti idraulici.
  L'Amministrazione penitenziaria ha avviato, pertanto, sin dall'immediatezza della prima diagnosi, un piano finalizzato alla tutela della salute delle persone detenute e degli operatori impegnati, a diverso titolo, nella struttura, disponendo, innanzitutto, l'immediato trasferimento dei detenuti in altre strutture disponibili, e promuovendo la mobilità temporanea del personale.
  Ulteriori iniziative hanno riguardato l'analisi delle operazioni necessarie a realizzare, in tempi rapidi, le prescrizioni dell'autorità sanitaria.
  A tal fine, è stato demandato alle competenti articolazioni ministeriali lo studio e l'elaborazione di progetti di ristrutturazione ed adeguamento e sono state già formulate soluzioni di intervento. In particolare, considerata la priorità delle opere di sanificazione, l'amministrazione penitenziaria ha inserito i relativi interventi nel programma triennale 2016-2018 ed ha stanziato un apposito finanziamento, per due milioni di euro, nel piano degli interventi per il 2016, per il totale rifacimento dell'impianto idrico secondo le indicazioni fornite dalla competente Asl ed il contestuale adeguamento al decreto del Presidente della Repubblica n. 230 del 2000 dei servizi igienici dei reparti e degli ambienti detentivi.
  Nella consapevolezza della necessità di garantire, nel modo più opportuno, l'utilizzazione delle risorse necessarie, l'amministrazione ha avviato valutazioni tecniche di fattibilità per la predisposizione del progetto preliminare e l'individuazione delle modalità più utili a garantire la maggiore celerità nelle successive fasi di progettazione esecutiva, appalto, esecuzione e collaudo dei lavori, affinché il carcere di Alba possa essere restituito, in condizioni di assoluta sicurezza, all'uso penitenziario.
  Nel quadro di una integrale verifica e del generale monitoraggio di tutte le strutture penitenziarie del Paese, l'amministrazione sta poi avviando una generale ricognizione sullo stato degli impianti idrici, termici e di climatizzazione, e sulla presenza di apparati anti-legionella.
  L'indagine sarà estesa anche agli edifici comunque in uso al DAP, comprese le scuole di formazione e aggiornamento del personale e le sedi degli uffici territoriali, al fine di valutare la consistenza ed il grado di priorità degli interventi eventualmente necessari in relazione alle risorse finanziarie disponibili sui pertinenti capitoli di spesa, per garantire nel modo migliore il diritto alla salute dei detenuti e di quanti operano nel circuito penitenziario.
Il Ministro della giustiziaAndrea Orlando.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   così come denunziato da alcune organizzazioni sindacali, già da alcuni anni, l'Agenzia nazionale dei beni sequestrati e confiscati alla mafia (ANBSC) ha assegnato circa 40 alloggi alla questura di Palermo, taluni per finalità ordine pubblico e altri per essere utilizzati come alloggi di servizio in favore del personale della polizia di Stato;
   a tutt'oggi nessuno di questi alloggi è mai stato assegnato al personale della cosiddetta «truppa» della polizia, ma solo qualcuno ai funzionari;
   alcuni tra questi alloggi, sono stati occupati abusivamente da terzi che non pagano né l'affitto, né le quote condominiali previste, con evidente danno all'erario, considerato che le spese gravano comunque sulla prefettura;
   questi alloggi non possono essere assegnati perché necessitano di essere ristrutturati, ma ciò non è possibile a causa della mancanza di risorse. Il risultato è che tali alloggi, oltre a versare in stato di abbandono, si stanno deteriorando sempre di più;
   il sindacato di Polizia Consap ha più volte chiesto alla questura di Palermo di ricevere le copie: dei decreti di assegnazione di tutti gli alloggi che l'ANBSC ha destinato nel tempo alla questura di Palermo; dei decreti/contratti degli alloggi che sono stati assegnati ad oggi e se per alcuni di questi viene corrisposto affitto; delle relazioni sulla situazione strutturale dei beni destinati all'alloggio di servizio del personale della polizia di Stato;
   si tratta di una documentazione necessaria per fare il punto della situazione di queste strutture;
   oltre ad un danno economico per lo Stato italiano e ad un mancato vantaggio per i poliziotti, questa situazione rappresenta un vero e proprio schiaffo morale per coloro che hanno lottato e lottano contro la criminalità organizzata e fa insorgere il sospetto che talvolta i toni trionfalistici usati con la confisca dei beni alla mafia siano stati solo demagogici, dal momento che buona parte di questi alloggi, a Palermo e in altre realtà d'Italia soprattutto al Sud, risulta non abbiano alcun utilizzo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto denunciato in premessa;
   per quale ragione la questura di Palermo non fornisca all'Organizzazione sindacale richiedente il materiale sopra indicato;
   come sia possibile che beni confiscati alla mafia, grazie anche al sacrificio degli uomini della polizia, debbano versare in questa condizione di abbandono e non possano essere utilizzati per venire incontro alle esigenze abitative della famiglie dei poliziotti che versano in condizioni economiche difficoltose perché mono reddito o numerose o con disabili a carico;
   se il Ministro interrogato possa fornire una mappatura di tutti gli alloggi in Italia confiscati alla mafia ed assegnati alle questure italiane specificando la destinazione d'uso di ciascuno di essi. (4-09484)

  Risposta. — In relazione all'atto parlamentare in esame, concernente gli immobili confiscati alla criminalità organizzata nella città di Palermo, si rappresenta che la locale questura è risultata assegnataria, nel tempo, di un totale di 53 immobili, 37 dei quali da destinare ad alloggi del personale della Polizia di Stato.
  I decreti di destinazione dei cespiti risultano emessi dalla prefettura di Palermo, dall'agenzia del demanio filiale Sicilia e, a partire dall'anno 2010, dall'Agenzia nazionale per l'amministrazione e la destinazione dei beni sequestrati e confiscati alla criminalità organizzata (Anbsc).
  Tutti i cespiti indicati sono stati assunti in consistenza dall'agenzia del demanio che – ai sensi dell'articolo 48, comma 3, lettera a) – li ha mantenuti al patrimonio dello Stato per finalità di ordine pubblico e, in particolare, per destinarli – come detto – alle esigenze alloggiative del personale di polizia della questura di Palermo o come archivio-deposito della questura medesima.
  A tal proposito, la predetta questura ha riferito che essi le sono stati consegnati nelle medesime condizioni in cui si trovavano al momento della confisca e dunque, nella maggior parte dei casi, privi della certificazione connessa alla regolarità dei relativi impianti e in condizioni di degrado. Tale situazione di inagibilità strutturale ne ha reso impossibile l'immediata assegnazione, né d'altronde è stato possibile provvedere alla loro ristrutturazione per la mancanza di appositi stanziamenti.
  Solo negli ultimi anni – sulla base di alcune leggi della regione siciliana, che prevedono lo stanziamento di fondi per la ristrutturazione di edifici da destinare alle Forze dell'ordine o già in uso a quest'ultime – la questura di Palermo è riuscita ad ottenere fondi per la ristrutturazione dei locali che costituiscono l'attuale sede del commissariato di pubblica sicurezza «Porta Nuova» (inaugurato lo scorso anno) e di altri 3 immobili rientranti nell'elenco di quelli confiscati. Si tratta di appartamenti satellite del commissariato in questione che, a lavori ultimati, potranno essere destinati ad alloggi.
  In merito, poi, alle istanze di accesso agli atti inerenti ai citati immobili presentate dall'organizzazione sindacale Consap, si rileva che esse, nei termini in cui erano state formulate e in relazione al loro oggetto, apparivano inammissibili in quanto preordinate a un controllo generalizzato sull'operato del dipartimento della pubblica sicurezza.
  Si informa tuttavia che in passato, in occasione di analoghe richieste della medesima organizzazione sindacale, la questura di Palermo ha richiamato la possibilità di prendere diretta cognizione, sul sito dell'Anbsc, sia dell'elenco dei beni confiscati e assegnati alle singole Forze di polizia sia dei relativi decreti di assegnazione.
  Su un piano più generale, si ricorda in ogni caso che il legislatore del Codice antimafia non ha attribuito all'Anbsc le attività di monitoraggio e di effettivo utilizzo dei beni mantenuti al patrimonio dello Stato, riservando tali competenze all'Agenzia del demanio che assume i cespiti in consistenza (all'agenzia compete il monitoraggio sull'utilizzo dei beni destinati e assegnati agli enti territoriali).
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il distributore di benzina Ri.Al.Ga. Petroli sas di Rita Coppola e c. sito in Corso Umberto chilometro 12,940 di Caivano in provincia di Napoli è stato negli ultimi due mesi oggetto di ben 4 furti con scasso avvenuti nelle notti tra il 23 e il 24 maggio, il 3 e il 4 giugno, il 12 e il 13 giugno, il 24 e il 25 giugno;
   in totale il gestore Alberico Caccia avrebbe riportato oltre 25.000 euro di danni tra refurtiva e spese per il ripristino delle serrande forzate e delle vetrine sfondate a colpi di mazza;
   i furti riguarderebbero ingenti quantitativi di tabacchi, gratta e vinci e i contanti lasciati dai proprietari all'interno dell'esercizio commerciale;
   in seguito all'ultimo furto, il titolare sopraffatto dallo sconforto starebbe valutando seriamente di chiudere l'attività;
   quanto esposto, è evidentemente molto grave e richiederebbe una più adeguata presenza delle forze dell'ordine su un territorio, quale quello di Caivano, sempre più degradato a causa dell'intensificarsi del traffico di droga e di episodi quali quello denunciato nella presente interrogazione;
   è evidente come l'indispensabile presenza delle forze dell'ordine non possa prescindere da un adeguato stanziamento di uomini, risorse e mezzi, che attualmente il Governo centrale non garantisce in misura necessaria –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione che si sta creando in provincia di Napoli e in particolare nella zona di Caivano e quale sia la sua opinione in merito;
   quali provvedimenti intenda assumere il Governo, in particolare stanziando le adeguate risorse per la problematica descritta in premessa;
   se il Ministro non intenda doversi attivare affinché vengano attivate particolari forme di sorveglianza nei confronti degli esercizi commerciali presi di mira dai delinquenti così come nel caso descritto in premessa. (4-09677)

  Risposta. — Come riferito dall'interrogante nel periodo compreso tra maggio e giugno del 2015, esercizio commerciale e distributore di carburanti «RI.AL.GA. Petroli sas» ubicato a Caivano, ha subito un tentativo di furto e tre «furti con scasso» di tabacchi lavorati e «gratta e vinci», oltre che di denaro contante, per un danno complessivo che si aggira attorno ai 17 mila euro. Su tali fatti sono attualmente in corso le indagini, coperte da segreto, condotte dalla locale tenenza dell'Arma dei carabinieri.
  Su un piano più generale, occorre osservare che il comune di Caivano si trova nell'area settentrionale della provincia di Napoli, la cui geografia criminale è frammentata e caratterizzata da svariati gruppi che cercano o ritrovano un proprio ruolo nella «scacchiera» delinquenziale. L'epicentro di tale situazione è il territorio compreso tra Afragola, Caivano, Mugnano e Melito.
  Tanto premesso, si fa tuttavia presente che l'analisi dei dati statistici raccolti dal locale presidio dell'Arma dei carabinieri sulla delittuosità a Caivano fa registrare nel corso dei primi dieci mesi del 2015, rispetto all'analogo periodo dell'anno precedente, una flessione generale dei delitti consumati, furti compresi. A questo calo fa però effettivo riscontro uno specifico e circoscritto aumento dei furti in danno di esercizi commerciali, passati dai 7 casi del 2014 ai 16 del 2015.
  La tendenza in atto è confermata dai dati elaborati dal dipartimento della pubblica sicurezza che – in base alle rilevazioni disponibili, tuttora non consolidate, relative ai primi 7 mesi dell'anno 2015 – mostrano una diminuzione generalizzata dei reati commessi nella città di Caivano (-15,5 per cento rispetto ai primi 7 mesi del 2014), con una flessione dei furti pari al –8,0 per cento delle rapine (-15,2 per cento) e degli omicidi (passati da 4 a 2).
  Il miglioramento della situazione generale va ascritto, in larga parte, all'intensificazione dei servizi di controllo del territorio effettuati dal locale presidio dell'Arma – che dispone di una forza effettiva di 29 militari, rispetto alla previsione organica di 30 unità – con l'ausilio delle compagnie di intervento operativo della linea mobile e, soprattutto, del nucleo operativo e radiomobile di Casoria che ha distaccato, presso la tenenza di Caivano, 12 unità dell'aliquota radiomobile.
  Sotto il profilo dell'azione di contrasto, si segnala che il 22 dicembre 2014 l'Arma dei carabinieri ha dato esecuzione ad un decreto di fermo di indiziato di delitto, emesso dalla procura della Repubblica di Napoli – direzione distrettuale antimafia, nei confronti di tre pregiudicati appartenenti a un nascente sodalizio camorristico, in contrapposizione al clan «Ciccarelli», operante a Caivano, in quanto ritenuti responsabili a vario titolo dei reati, aggravati dal metodo mafioso, di detenzione di armi da fuoco clandestine, detenzione ai fini di spaccio di sostanze stupefacenti e ricettazione.
  Il provvedimento scaturisce da due distinte attività d'indagine che hanno consentito, nel complesso, di documentare la disponibilità, la detenzione nonché il porto in luogo pubblico, da parte dei destinatari del decreto di fermo, di armi da fuoco clandestine (tra queste un kalashnikov, due mitragliette e granate di marca e modello sconosciuti).
  Il 2 febbraio 2015, inoltre, l'Arma dei carabinieri ha dato esecuzione, a Napoli e provincia, al provvedimento restrittivo con il quale sono stati disposti la custodia cautelare in carcere nei confronti di otto persone e gli arresti domiciliari per altre 12, tutte appartenenti al gruppo criminale «Padulo», operante nel comune di Caivano. L'indagine ha consentito di accertare l'operatività, nella cittadina, del menzionato sodalizio criminale, dedito prevalentemente allo smercio di cocaina e marijuana. Sono state inoltre rinvenute armi da guerra nella disponibilità degli indagati (bazooka, mitragliatrici e pistole).
  Considerate le risultanze statistiche sulla delittuosità generale di Caivano, nonché i positivi risultati ottenuti dalle Forze di polizia operanti nell'area territoriale in argomento, si ritiene che il dispositivo presente sia in grado di garantire standard di sicurezza accettabili, fermo restando che questa Amministrazione valuterà e terrà nella debita considerazione eventuali misure di rafforzamento dei presidi locali.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il terzo periodo del comma 519 dell'articolo 1 della legge 27 dicembre 2006 n. 296 (legge finanziaria per il 2007) consentì la stabilizzazione di personale volontario del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, a favore degli iscritti negli appositi elenchi di cui all'articolo 6 del decreto legislativo 8 marzo 2006 n. 139, da almeno tre anni e con almeno di centoventi giorni di servizio;
   con il decreto ministeriale 27 agosto 2007 n. 3747, emanato ai sensi del citato comma 519 dell'articolo 1 della legge n. 296 del 2006, il Ministero dell'interno indisse una procedura selettiva, per titoli ed accertamento dell'idoneità motoria, per la copertura di posti nella qualifica di vigili del fuoco nel Corpo nazionale dei vigili del fuoco, per la stabilizzazione del personale precario;
   tuttavia, nelle more intervenne la norma interpretativa di cui al comma 91 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 2007, n. 244, la quale precisò che il requisito dei centoventi giorni si dovesse intendere riferito al quinquennio 2002/2007;
   un vigile del fuoco precario propose istanza di partecipazione a tale procedura, ma ne fu escluso con riguardo appunto alla norma citata, in quanto egli svolse si il servizio di vigile del fuoco discontinuo, ma non nel periodo indicato;
   pertanto si instaurò un lungo contenzioso circa l'esclusione che si concluse sfavorevolmente per il ricorrente con la sentenza n. 9 del 24 giugno 2011 dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato;
   nel frattempo, però, sette concorrenti in una situazione analoga al ricorrente furono ammessi con riserva alla procedura selettiva, in forza della cautela concessagli dalla VI sezione del Consiglio di Stato;
   i sette concorrenti superarono le prove e furono avviati al lavoro con invito a presentarsi nella sede indicata per la frequenza del prescritto corso di formazione professionale, pena la decadenza dalla posizione che avevano ottenuto superando le prove concorsuali;
   tale invito fu formulato con lettera datata 15 ottobre 2009 a firma del dirigente della direzione centrale per le risorse umane del dipartimento dei Vigili del fuoco del soccorso pubblico e della difesa civile del Ministero dell'interno. In tale comunicazione si comunicava «che la S.V., in esecuzione dell'esito del ricorso proposto, con provvedimento in corso, viene assunta con riserva quale vigile del fuoco in prova del Corpo Nazionale dei Vigili del Fuoco e pertanto dovrà presentarsi il giorno 3 novembre 2009 alle ore 8,30 presso la scuola per la formazione di base P.zza Scilla 2 — 00178, Roma Capannelle, per iniziare la frequenza del corso di formazione professionale che avrà poi seguito presso la struttura che verrà successivamente comunicata e della durata complessiva di sei mesi. Ciò premesso, si informa che la mancata presentazione in servizio, senza giustificato motivo, sarà intesa come rinuncia all'assunzione. La S.V. dovrà presentarsi munita della seguente documentazione in fotocopia». Veniva, inoltre, richiesto, ai fini dell'assunzione, che tutti i vincitori rendessero tutte le dichiarazioni obbligatorie previste dal decreto del Presidente della Repubblica n. 217 del 2005, tra cui quella attestante «di impegnarsi a non avere, alla data di assunzione in servizio, altro rapporto di lavoro a tempo determinato o indeterminato con altra P.A. o datore di lavoro privato e quindi esercitare il diritto di opzione per il nuovo impiego presso il Ministero dell'interno dalla medesima data di assunzione»;
   pertanto, al fine di ottemperare a quanto richiesto dall'amministrazione, i sette concorrenti in oggetto hanno dovuto rinunziare alla loro attività lavorativa all'epoca in itinere;
   nel frattempo, terminate il corso di formazione e la conseguente fase di applicazione pratica, i sopra elencati vigili hanno conseguito la definitiva nomina in ruolo, come vigili del fuoco, ed hanno prestato il previsto giuramento ai sensi e per gli effetti dell'articolo 6, comma 3, del decreto del Presidente della Repubblica n. 217 del 2005;
   in conclusione, nella fattispecie, si discute sull'ammissibilità di una assunzione nel pubblico impiego condizionata come è avvenuto nel caso di specie dove i signori vigili hanno, in buona fede e senza dolo alcuno, creduto nella loro assunzione a tempo indeterminato essendo si consapevoli dell'assunzione con riserva, ma legittimamente e in buona fede convinti che il buon esito del corso, il giuramento e il passaggio in ruolo avessero di fatto sanato il tutto;
   nel frattempo, tuttavia, sopraggiunse la già citata sentenza n. 9 del 24 giugno 2011 dell'adunanza plenaria del Consiglio di Stato che vedendo soccombere il ricorrente innescò la procedura di annullamento della nomina iniziata il 12 luglio 2011 e terminata con il licenziamento dei sette vigili del fuoco;
   peraltro, il Consiglio di Giustizia amministrativa delle regione siciliana (sezione giurisdizionale, 23 aprile 2001, n. 179), ha stabilito che «quando il giudice amministrativo, con pronuncia cautelare, abbia ammesso con riserva il ricorrente alle prove concorsuali, se il ricorrente supera le prove, l'amministrazione può scegliere se congelare le fasi successive del procedimento di assunzione in attesa della sentenza di merito, oppure se procedere all'assunzione definitiva, per assicurare l'immediata copertura del posto; non può procedere invece a un'assunzione con riserva in quanto essa, richiedendo comunque le dimissioni definitive dal precedente impiego, comporterebbe per il ricorrente un pregiudizio incompatibile con la funzione di garanzia della tutela cautelare»;
   non si capisce per quali ragioni il Ministero dell'interno non abbia tenuto conto di tali banali principi di buon senso;
   attualmente pendono i ricorsi in appello proposti dai succitati vigili per contestare l'annullamento della loro nomina ed il comportamento della pubblica amministrazione che dapprima li ha indotti a credere in buona fede nella definitività del rapporto di pubblico impiego instaurato salvo poi procedere, in maniera a loro avviso illegittima, all'annullamento in autotutela degli atti assunti, senza considerare che i vigili in questione hanno dovuto rinunciare al proprio precedente impiego, assumendo impegni finanziari e familiari gravosi. –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda illustrata in premessa e quale sia il suo orientamento in merito;
   se il Ministro interrogato possa risalire alle motivazioni sulla base delle quali si sia proceduto all'assunzione definita dei soggetti, nonostante non fosse ancora intervenuta la sentenza del giudice amministrativo sul merito;
   se il Ministro interrogato non ritenga di doversi attivare, per quanto di competenza amministrativa o mediante l'esercizio del potere di iniziativa normativa al fine di giungere ad una soluzione che risolva questa controversa vicenda in favore dei sette vigili del fuoco prima assunti e poi licenziati. (4-09800)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione del Ministro dell'interno sulla situazione di 7 candidati che hanno partecipato alla procedura selettiva di stabilizzazione dei vigili del fuoco volontari, bandita nel 2007, chiedendo in particolare iniziative volte alla loro riassunzione in servizio.
  Occorre premettere che i 7 candidati hanno partecipato alla procedura di stabilizzazione, pur non essendo in possesso di uno dei requisiti di ammissione, in particolare quello di aver effettuato nel quinquennio precedente al bando almeno 120 giorni di richiamo in servizio volontario.
  Inizialmente esclusi dal concorso, i candidati, in virtù di una decisione cautelare del Consiglio di Stato, sono stati ammessi con riserva alle prove selettive.
  All'esito delle stesse, i predetti, essendosi collocati utilmente in graduatoria, sono stati assunti seppure con riserva dell'esito del giudizio di merito.
  Al riguardo, giova sottolineare che le assunzioni con riserva, come viene espressamente rappresentato dall'Amministrazione agli interessati nelle lettere di convocazione, non determinano acquiescenza alle ragioni dei ricorrenti, ma rappresentano solo una mera esecuzione di ordinanze o sentenze di primo grado. Tant’è che nel caso in questione, a seguito del rigetto nel merito del ricorso da parte del Consiglio di Stato e su parere favorevole dell'Avvocatura generale dello Stato, l'Amministrazione ha disposto l'annullamento della nomina a vigile del fuoco dei sette interessati.
  Contro tale provvedimento quest'ultimi hanno proposto ricorso al Tar Campania che, in via cautelare, ha accolto la richiesta di sospensiva dell'efficacia del decreto ministeriale di annullamento della nomina a vigile del fuoco. Conseguentemente, l'Amministrazione ha provveduto alla loro riassunzione sino all'esito del giudizio di merito.
  La vicenda processuale si è poi conclusa.
  Il 15 febbraio del 2014 il Tar Campania ha rigettato nel merito i ricorsi, con decisione confermata dal Consiglio di Stato il 22 dicembre 2014. Nella circostanza l'alto consesso ha evidenziato come i rapporti di lavoro, sorti in via provvisoria in adempimento di un'ordinanza cautelare, non potevano indurre gli interessati a un legittimo affidamento circa la volontà dell'Amministrazione di mantenerli in servizio, atteso che gli stessi non possedevano i requisiti per essere ammessi alla procedura di stabilizzazione.
  Sulla scorta di quanto esposto, appare utile sottolineare come nella vicenda, oramai definita, l'Amministrazione non abbia avuto alcun margine di discrezionalità.
  Essa, tuttavia, ha sempre manifestato considerazione per la difficile posizione dei soggetti interessati, come è dimostrato dall'adesione alle richieste di incontro formulate dai medesimi, i quali sono stati ricevuti allo scopo di fornire loro tutti i chiarimenti e le delucidazioni che le circostanze richiedevano.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   MANLIO DI STEFANO, DEL GROSSO, DI BATTISTA, GRANDE, SCAGLIUSI, SIBILIA e SPADONI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Siria dal 15 marzo 2011 vive una terribile guerra per procura alimentata da terroristi provenienti da 89 Paesi dove, finora, sono morte più di 220.000 persone tra civili e militari;
   vista la situazione di caos, sul territorio siriano si sono sviluppate, grazie anche al supporto logistico, finanziario e di armamenti, le organizzazioni terroristiche di Jhabbat al-Nusra, filiale di al-Qaeda in Siria e il sedicente Stato Islamico (Isis);
   è stato documentato da diversi media in Turchia, così come dal dipartimento di Stato americano, il coinvolgimento dei servizi segreti turchi nel passaggio dei terroristi in Siria;
   l'Isis continua a ricevere i proventi dalla vendita di petrolio alla Turchia a un prezzo ridotto (come documentato da vari analisti e reporter di guerra) e dai reperti archeologici saccheggiati in Siria e Iraq e poi rivenduti sui mercati europei;
   da quanto si apprende da fonti giornalistiche, la Giordania favorisce il passaggio di terroristi sul suolo siriano (http://italian.irib.ir);
   Israele accoglie i terroristi feriti in Siria e, come documentato dai media israeliani, offre loro supporto logistico per tornare nei campi di battaglia siriani;
   dal mese di aprile 2015, l'Isis e il Fronte al-Nusra hanno proseguito la loro avanzata in Iraq e Siria, occupando prima la città di Ramadi in Iraq, e successivamente le città di Idlib e Palmira in Siria;
   l'inviato dell'Onu in Siria, Staffan De Mistura, ha ribadito più volte che il presidente siriano Bashar al-Assad è parte della soluzione alla crisi siriana e che sarebbe necessario un maggior coordinamento con le forze armate siriane contro le organizzazioni terroristiche Isis e al-Nusra, avendo acquisito nel tempo importanti informazioni di intelligence;
   la cosiddetta coalizione anti-Isis a guida americana non solo si è dimostrata inconcludente, ma, come nel caso dell'occupazione di Palmira, ha mostrato addirittura un chiaro atteggiamento non interventista, quasi benevolo;
   la cosiddetta coalizione nazionale siriana è divisa e lacerata da divisioni al suo interno tra continue liti e scandali per sottrazione di fondi; attualmente, ha un riscontro minimo di popolarità sul suolo siriano e la sua formazione militare, il Free Syrian Army, è ormai parte integrante delle organizzazioni terroristiche presenti sul territorio siriano;
   la Repubblica araba siriana non è isolata: è riconosciuta all'ONU, dai Paesi cosiddetti B.R.I.C.S., dai Paesi membri dell'Alleanza bolivariana per le Americhe (ALBA), dall'Iran, Algeria, Libano, Kuwait e altri Paesi che stanno rivedendo la loro posizione, e che, nel complesso, rappresentano la maggioranza della popolazione mondiale –:
   quali iniziative intenda adottare il Governo per il ripristino delle relazioni diplomatiche con la Repubblica araba siriana;
   quali iniziative intenda adottare il Governo affinché sia posto fine al sostegno che Paesi come Turchia, Qatar, Arabia Saudita, Israele, Giordania, offrono ai suddetti gruppi terroristici nel territorio siriano. (4-09641)

  Risposta. — A seguito dello scoppio della crisi siriana e della repressione sistematicamente attuata dal Governo di Damasco contro l'opposizione. L'Unione europea ha adottato, fin dal gennaio 2012, un articolato corpus normativo (regolamento n. 136/2012) contenente misure sanzionatorie contro le persone fisiche e giuridiche associate al regime siriano e le attività a vario titolo connesse al finanziamento o alle repressioni compiute da quest'ultimo.
  Alla luce dell'aggravarsi della crisi sul piano politico e militare, il Governo italiano ha innanzitutto richiamato, il 13 marzo 2012, tutto il personale diplomatico accreditato a Damasco e la maggior parte del personale di ruolo del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e, successivamente, provveduto a dichiarare, il 29 maggio 2012, l'ambasciatore siriano a Roma persona non grata e, con esso, quasi tutto lo staff della sede diplomatica. Tale decisione è stata peraltro assunta in stretto coordinamento con i principali partner europei (tra cui, Francia, Germania e Regno Unito) che hanno adottato posizioni analoghe. Da parte siriana si è pertanto proceduto alla chiusura dell'ambasciata a Roma e al ritiro di tutto il personale, dichiarando al contempo persona non grata tutto il personale diplomatico italiano richiamato a Roma.
  Pur avendo sospeso ufficialmente il dialogo politico con il regime siriano, l'Italia mantiene ancora un Incaricato d'affari formalmente accreditato a Damasco per seguire gli affari correnti, che è stato ridispiegato a Beirut da luglio 2012 per ragioni di sicurezza. Quanto all'eventuale riavvio delle attività dell'ambasciata d'Italia a Damasco, il Governo si riserva di valutarne tempi e modi in coordinamento con i principali partner europei e internazionali. Tale decisione dovrà tuttavia tenere conto dell'evoluzione del quadro sicurezza in Siria, che allo stato rimane proibitivo, nonché degli esiti e delle prospettive dell'iniziativa diplomatica avviata negli ultimi mesi per promuovere una soluzione politica del conflitto in corso.
  In tale contesto, come evidenziato dal Ministro Gentiloni nel question time in aula Camera il 24 febbraio 2016, la recente proposta di Russia e Stati Uniti per un cessate il fuoco rappresenta un passo importante verso la cessazione delle ostilità nel Paese e il superamento della crisi umanitaria, che l'Italia ha fortemente sostenuto e incoraggiato nell'ambito del «Gruppo di Supporto internazionale per la Siria» ISSG – detto anche «processo di Vienna» – di cui siamo parte. Il nostro Paese ha sempre mantenuto un approccio costruttivo e realistico all'interno dell'Issg che ha permesso di definire importanti obiettivi di breve e medio termine per il raggiungimento di una soluzione politica al sanguinoso conflitto siriano, obiettivi fissati – come noto – all'interno della risoluzione del consiglio di sicurezza 2254 del dicembre 2015.
  Il Governo italiano è ora fortemente impegnato – in raccordo con l'inviato speciale dell'ONU De Mistura, con i partner regionali e internazionali, e con diversi interlocutori siriani (non del regime) – al fine di incoraggiare le parti siriane a dare immediata attuazione alle intese raggiunte alla ministeriale Issg di Monaco (11 febbraio 2016), con riferimento sia all'invio di aiuti alla popolazione siriana che alla cessazione immediata delle ostilità, senza avanzare precondizioni che rischierebbero di bloccare l'intero processo. Si tratta di un'opportunità importante da cogliere, che potrebbe consentire il riavvio dei colloqui a Ginevra tra le diverse parti per una transizione politica in Siria che porti alla pace. Da parte italiana si continuerà pertanto ad assicurare pieno e costante sostegno all'azione dell'inviato speciale De Mistura, al quale il Consiglio di sicurezza ha affidato il difficile compito di mediare tra le parti siriane, al fine di raggiungere quanto prima tale obiettivo.
  Per quanto concerne l'azione di contrasto al terrorismo e all'estremismo violento, l'impegno dell'Italia si colloca nel quadro di una mobilitazione globale, stimolata anche dalle iniziative assunte in ambito Onu. Le pertinenti risoluzioni n. 2170 e 2178, adottate nel 2014 dal consiglio di sicurezza dell'Onu, mirano a far emergere un consenso molto ampio sulla crescente gravità della minaccia (con un riferimento in primis all'Isil, ma anche a Jabhat al Nusra e ad altri gruppi della galassia Al Qaeda,) e sulla necessità di contrastarla. Le risoluzioni incoraggiano infatti tutta la membership dell'Onu a rafforzare gli strumenti sia preventivi che repressivi per contrastare l'estremismo violento, soprattutto sul piano «ideologico» e del finanziamento. In particolare, la 2178 è completamente dedicata al contrasto del fenomeno dei «foreign terrorist fighters» (FTF), a testimonianza del crescente grado di allarme che tale questione desta a livello globale.
  Preme sottolineare, al riguardo, gli ingenti sforzi profusi dal nostro Paese ai fini dell'attuazione sul piano interno delle predette risoluzioni, in particolare della 2178 sui «foreign fighters», attraverso il decreto-legge n. 7 del 18 febbraio 2015, contenente «misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale». Tali misure sono volte, tra l'altro, a punire chi organizza, finanzia e propaganda viaggi per commettere condotte terroristiche, i reclutati e chi si «auto-addestra» alle tecniche terroristiche, prevedendo altresì aggravamenti delle pene per i delitti di apologia e di istigazione al terrorismo commessi attraverso strumenti telematici. Rilevante anche l'attribuzione al Procuratore nazionale antimafia di funzioni di coordinamento, su scala nazionale, delle indagini relative a procedimenti in materia di terrorismo. Queste rafforzate attività di indagine e monitoraggio sono destinate ad avere ricadute positive nel quadro delle relazioni diplomatiche e di cooperazione giudiziaria con i Paesi membri dell'Onu, inclusi quelli citati dall'onorevole interrogante.
  Quanto al contrasto delle fonti di finanziamento di Isil/Daesh, di Jabhat al Nusra e degli altri gruppi della galassia Al Qaeda, si ricordano le ulteriori risoluzioni n. 2199 e 2253 del Consiglio sicurezza dell'Onu, adottate rispettivamente il 12 febbraio e il 17 dicembre 2015. L'Italia è in primo piano nella loro attuazione, anche nell'ambito della coalizione internazionale anti-Daesh, e più precisamente nella sua veste di co-chair del gruppo di lavoro sul contrasto al finanziamento del Daesh. L'Italia contribuisce attivamente all'azione di contrasto a Daesh anche in altri settori (counternarrative, sostegno militare alle forze irachene e curde, emergenza umanitaria), nel quadro della collaborazione rafforzata avviata fin dal settembre 2014 dalla coalizione anti-Daesh.
  Su queste basi e in questa cornice giuridica multilaterale, l'Italia sostiene gli sforzi portati avanti sia dalle Nazioni Unite che dall'Unione europea volti ad assistere e ad incoraggiare i Paesi più interessati dal fenomeno terroristico, in particolare in Medio Oriente e Nord Africa, affinché essi adottino le necessarie misure per assicurare la rapida attuazione delle citate risoluzioni Onu sempre nel pieno rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   DURANTI, SCOTTO, MELILLA, RICCIATTI, PANNARALE e PIRAS. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il progetto denominato «Tempa Rossa» riguarda un giacimento petrolifero, gestito dalla Total E&P, situato nell'alta valle del Sauro (Basilicata). A regime l'impianto avrà una capacità produttiva giornaliera di circa 50.000 barili di petrolio, 230.000 metri cubi di gas naturale, 240 tonnellate di GPL e 80 tonnellate di zolfo. Il progetto di sviluppo riguarda: la messa in produzione di 8 pozzi, di cui 6 già perforati e altri 2 da perforare; la costruzione di un centro di trattamento oli dove gli idrocarburi estratti, convogliati tramite una rete di condotte interrate (pipeline), verranno trattati e separati nei diversi sottoprodotti (petrolio greggio, gas combustibile, zolfo e GPL) e, successivamente, immessi tramite canalizzazioni interrate; la costruzione di un centro di stoccaggio GPL (2 serbatoi interrati della capacità totale di 3.000 metri cubi) dotato di 4 punti di carico stradale, nonché la costruzione o la modifica di infrastrutture di servizio (adeguamento di strade comunali, realizzazione dei sistemi per l'alimentazione di acqua ed elettricità per il centro di trattamento, connessione alle reti esistenti per il trasporto e la distribuzione degli idrocarburi);
   il greggio avrà quale terminale per lo stoccaggio e la movimentazione, proveniente dal giacimento «Tempa Rossa», l'impianto di raffinazione ENI di Taranto. Queste operazioni comporterebbero l'emissione di composti organici volatili fra cui anche gli idrocarburi policiclici aromatici, cosiddetti IPA, in una città come Taranto che subisce un'incidenza delle patologie tumorali allarmante;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in data 27 ottobre 2011, ha decretato la compatibilità ambientale e rilasciato «l'autorizzazione all'esercizio», VIA-AIA, per il progetto denominato «Tempa Rossa» proposto dalla Società Eni spa;
   tale autorizzazione è stata rilasciata senza attendere il parere endoprocedimentale della regione Puglia (DGR n. 2515 del 22 novembre 2011), il quale, oltre a contenere i pareri di comune e provincia di Taranto, ha stabilito di prescrivere a carico dell'ENI la presentazione all'ARPA e all'Asl territorialmente competente della Valutazione di incidenza sanitaria (VIS) per monitorare l'andamento sanitario connesso con l'attività di stabilimento al fine di tutelare la salute pubblica. Tale documento non è, a tutt'oggi, mai stato presentato o predisposto da parte di ENI;
   in seguito, la regione Puglia con la legge n. 21 del 24 luglio 2012, recante «Norme a tutela della salute, dell'ambiente e del territorio sulle emissioni industriali per le aree pugliesi già dichiarate a elevato rischio ambientale» ha introdotto la procedura della valutazione del danno sanitario (VDS), uno strumento innovativo che deve diventare parte integrante dell'AIA, per garantire una migliore tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini e che deve essere osservata anche se successiva alla procedura di VIA per le aree a rischio industriale;
   nell'ottobre 2012 il comune di Taranto ha approvato un ordine del giorno in cui si deliberava l'orientamento contrario alla realizzazione da parte dell'ENI SpA del nuovo impianto di stoccaggio e movimentazione del greggio denominato «Tempa Rossa», al fine di evitare un ulteriore rischio di inquinamento in un'area già fortemente compromessa dal punto di vista ambientale e socio-sanitario ordine del giorno nel quale si chiedeva, inoltre, la riapertura immediata della procedura di autorizzazione integrata ambientale rilasciata all'ENI spa per il progetto, con l'inserimento della valutazione del danno sanitario e della procedura relativa al rischio di incidenti rilevanti in materia di prevenzione dei grandi rischi industriali e, quindi, di assoggettamento alla direttiva «Seveso» (direttiva 82/501/CEE) rispetto all'autorizzazione di esercizio;
   in data 25 settembre 2014 l'ARPA Puglia ha provveduto ad inviare al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare un proprio rapporto in cui si evidenzia l'incremento di emissioni IPA nella misura del 14 per cento;
   l'assessorato regionale per l'ambiente, in data 30 settembre 2014, ha comunicato che è stata disposta la costituzione di una cabina di regia ARPA-ARES-ASL per la redazione della valutazione del danno sanitario;
   l'esito della valutazione, ad opera della cabina di regia, sarebbe in grado di fornire un dato ulteriore ed essenziale per l'autorizzazione VIA-AIA da parte dei Ministero –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non ritenga necessario fermare l’iter di autorizzazione VIA-AIA in attesa di conoscere gli esiti della valutazione del danno sanitario, dal momento che, qualora l'esito della stessa risultasse essere negativo ci troveremmo di fronte a un impianto in fase di costruzione (o addirittura già in esercizio) ma al di fuori del rispetto di quel «principio di precauzione» così come definito dalla normativa europea. (4-06443)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente le possibili criticità nell'area in cui insiste la raffineria di Tempa Rossa nel comune di Taranto, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto riguarda la richiesta dell'interrogante di fermare l’iter della procedura integrata Via e Aia relativa alla raffineria di cui trattasi, si evidenzia che al momento della presentazione dell'atto di sindacato ispettivo in oggetto, l’iter relativo al progetto «raffineria di Taranto — adeguamento stoccaggio del greggio proveniente dal giacimento Tempa Rossa», era già concluso con il provvedimento congiunto Via/Aia n. DVA-DEC-2011-573 del 27/10/2011. Come noto, la normativa in materia di autorizzazione integrata ambientale al titolo III, articolo 29-octies del codice dell'ambiente, prevede la possibilità di riesaminare l'autorizzazione rilasciata ai sensi del medesimo titolo. Con decreto n. DVA-DEC-2013-194 del 06/06/2013, a seguito di specifico procedimento di riesame, è stata infatti rilasciata una nuova Aia in merito alla medesima raffineria Eni, al fine di adeguare le disposizioni relative all'esercizio recate dal provvedimento integrato Via/Aia sopra citato. Per completezza di informazione si precisa che anche tale procedimento di riesame, all'atto della presentazione dell'interrogazione in oggetto, risultava concluso.
  Occorre, infine, ricordare che sia i provvedimenti di valutazione di impatto ambientale, sia le autorizzazioni integrate ambientali prevedono specifici adempimenti da parte del Ministero in materia di monitoraggio e controllo, nonché di verifica del rispetto delle prescrizioni. Al riguardo, non risultano irregolarità nell'ottemperanza di tali prescrizioni nei provvedimenti rilasciati, né criticità nei risultati dei monitoraggi ambientali trasmessi dalla società Eni nell'ambito dei propri adempimenti.
  Ad ogni modo, in merito alla procedura di valutazione di impatto ambientale all'interno dell’iter autorizzativo, si ricorda che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale, mentre l'autorizzazione finale alla costruzione e all'esercizio di determinati impianti spetta al Ministero dello sviluppo economico, preposto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici coinvolti dalla realizzazione di determinati progetti, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Va da sé che anche la futura richiesta di autorizzazione integrata ambientale per i nuovi impianti sarà valutata dal Ministero nel rigoroso rispetto della disciplina vigente, al fine di tutelare l'ambiente e la salute delle popolazioni interessate.
  Per quanto attiene le valutazioni di impatto sanitario, si evidenzia infine che già nelle priorità politiche della direttiva annuale 2015 di questo Ministero figurava la necessità di contribuire a definire «una specifica valutazione d'impatto sulla salute (VIS) che garantisca preventivamente le comunità da eventuali rischi legati ad insediamenti industriali ad alto impatto ambientale», e che la legge 28 dicembre 2015 cosiddetto «Collegato ambientale») ha introdotto, nell'ambito della procedura di Via relativa a determinate categorie progettuali (tra cui anche le raffinerie), la Valutazione di impatto sanitario. Questo Ministero ha già avviato le necessarie interlocuzioni tecniche con il Ministero della salute e l'istituto superiore di sanità, al fine di individuare modalità condivise alla definizione di una procedura di valutazione dei possibili effetti sulla salute umana di piani, programmi e progetti.
  Tutto ciò premesso, si precisa che la definizione del procedimento di Via/Aia del progetto in questione è stata svolta dal Ministero, con le modalità e la tempistica stabilite dalla normativa nazionale e comunitaria in materia di Via.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competente.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FURNARI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   per il cosiddetto progetto «Tempa Rossa» l'Eni presentò la domanda di compatibilità ambientale «VIA-AIA» congiunta il 16 aprile 2010. Il parere favorevole della «Commissione Tecnica di Verifica d'Impatto Ambientale VIA-VAS» del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che arrivò il 21 giugno 2011;
   il 19 settembre 2011, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, firmò il decreto di pronuncia di compatibilità ambientale al progetto cui seguirono in ordine di tempo i pareri favorevoli di comune, provincia ed infine, il 6 dicembre 2011, quello della regione Puglia;
   il 23 marzo 2012 arrivò anche l'approvazione definitiva al progetto da parte del CIPE (Comitato interministeriale per la programmazione economia). Sta di fatto che nell'ottobre del 2012 il comune di Taranto approva un ordine del giorno con il quale si dichiara contrario. Si legge testualmente: «Il Consiglio comunale di Taranto, al fine di prevenire un ulteriore ed insostenibile rischio di inquinamento che si andrebbe ad innestare su una situazione ambientale, quella attuale, già fortemente compromessa.... Delibera l'orientamento contrario alla realizzazione da parte dell'ENI Spa del nuovo impianto di stoccaggio e movimentazione del greggio denominato «Tempa Rossa»; la riapertura immediata dell'AIA Rilasciata all'ENI spa per il medesimo progetto che dovrà contemplare oltre alla valutazione del danno sanitario anche quelle relative al rischio di incidente rilevante;
   si ricorda che il progetto di adeguamento delle strutture della raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento «Tempa Rossa», consisterà nella costruzione di diverse opere, tra cui la costruzione di un nuovo impianto pre-raffreddamento greggio e di due nuovi impianti di recupero vapori a integrazione dell'esistente, uno per la gestione dei vapori da caricamento greggio Tempa Rossa e uno per la gestione dei vapori da caricamento greggio Val d'Agri. In altre parole si legge nel progetto si prevede la «Progettazione e realizzazione delle opere marine previste per l'ampliamento del terminale petrolifero sito nel Mar Grande di Taranto»;
   il fattore di rischio di inquinamento di cui sopra fa riferimento al fatto che, attraverso la realizzazione di questo terminale petrolifero, si produrrà un 12 per cento in più di emissioni diffuse, che si distinguono dalle altre per il fatto che si disperdono in atmosfera senza l'ausilio di un sistema di convogliamento delle stesse dall'interno verso l'esterno. Emissioni diffuse che rientrano nella normativa sull'inquinamento prodotto dagli impianti industriali, emanata con decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio 1998 n. 203, che all'articolo 2, comma 4, recita testualmente: «Emissione, ovvero qualsiasi sostanza solida, liquida o gassosa introdotta nell'atmosfera, proveniente da un impianto, che possa produrre inquinamento atmosferico»;
   al di là delle vicende locali in merito a varianti del piano regolatore portuale che vede interessati da un lato i comuni di Taranto e Bari e dall'altro la regione Puglia e che di fatto ostacolano e ritardano la fase di progettazione ed anche in presenza dell'eventuale attuazione dell'autorizzazione integrata ambientale da parte di ENI spa per la raffineria di Taranto e dell'utilizzo delle migliori tecnologie disponibili, il «Progetto di adeguamento delle strutture della raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa» costituisce certamente un elemento aggiuntivo di inquinamento in un contesto ambientale già fortemente compromesso sia dal punto di vista delle ripercussioni sulla salute che per quel che concerne i fattori inquinanti –:
   se il Ministro ritenga utile, al fine di salvaguardare l'ambiente e la salute delle popolazioni interessate, valutare tutte le prossime richieste di autorizzazione integrata ambientale per i nuovi impianti in modo tale che non sia consentito un peggioramento delle matrici ambientali e sanitarie nel comune di Taranto il cui equilibrio è già fortemente compromesso;
   se il Ministro ritenga necessario sospendere l'attività dovuta al «progetto di adeguamento delle strutture della raffineria di Taranto per lo stoccaggio e la movimentazione del greggio proveniente dal giacimento denominato Tempa Rossa» al fine di salvaguardare l'ambiente e la salute dei cittadini e dei lavoratori dei territori interessati. (4-05328)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, concernente le possibili criticità nell'area in cui insiste la raffineria di Tempa Rossa nel comune di Taranto, si rappresenta quanto segue.
  Per quanto riguarda la richiesta dell'interrogante di fermare l’iter della procedura integrata Via e Aia relativa alla raffineria di cui trattasi, si evidenzia che al momento della presentazione dell'atto di sindacato ispettivo in oggetto, l’iter relativo al progetto «raffineria di Taranto — adeguamento stoccaggio del greggio proveniente dal giacimento Tempa Rossa, era già concluso con il provvedimento congiunto Via/Aia n. DVA-DEC-2011-573 del 27/10/2011. Come noto, la normativa in materia di autorizzazione integrata ambientale al titolo III, articolo 29-octies del codice dell'ambiente, prevede la possibilità di riesaminare l'autorizzazione rilasciata ai sensi del medesimo titolo. Con decreto n. DVA-DEC-2013-194 del 06/06/2013, a seguito di specifico procedimento di riesame, è stata infatti rilasciata una nuova Aia in merito alla medesima raffineria Eni, al fine di adeguare le disposizioni relative all'esercizio recate dal provvedimento integrato Via/Aia sopra citato. Per completezza di informazione si precisa che anche tale procedimento di riesame, all'atto della presentazione dell'interrogazione in oggetto, risultava concluso.
  Occorre, infine, ricordare che sia i provvedimenti di valutazione di impatto ambientale, sia le autorizzazioni integrate ambientali prevedono specifici adempimenti da parte del Ministero in materia di monitoraggio e controllo, nonché di verifica del rispetto delle prescrizioni. Al riguardo, non risultano irregolarità nell'ottemperanza di tali prescrizioni nei provvedimenti rilasciati, né criticità nei risultati dei monitoraggi ambientali trasmessi dalla società Eni nell'ambito dei propri adempimenti.
  Ad ogni modo, in merito alla procedura di valutazione di impatto ambientale all'interno dell’iter autorizzativo, si ricorda che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è l'autorità competente a svolgere le procedure di valutazione di impatto ambientale, mentre l'autorizzazione finale alla costruzione e all'esercizio di determinati impianti spetta al Ministero dello sviluppo economico, preposto alla finale valutazione comparativa dei diversi interessi pubblici coinvolti dalla realizzazione di determinati progetti, comprese le vocazioni territoriali e i modelli di sviluppo di volta in volta da promuovere.
  Tutto ciò premesso, la definizione del procedimento di Via/Aia del progetto in questione è stata svolta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare con le modalità e la tempistica stabilite dalla normativa nazionale e comunitaria in materia di Via. Va da sé che anche la futura richiesta di autorizzazione integrata ambientale per 1 nuovi impianti sarà valutata dal Ministero nel rigoroso rispetto della disciplina vigente, al fine di tutelare l'ambiente e la salute delle popolazioni interessate.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, il Ministero continuerà a tenersi informato anche al fine di un eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competente.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, MICILLO, TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   con una prima sentenza, nel 2007, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ha dichiarato che l'Italia era venuta meno, in modo generale e persistente, agli obblighi relativi alla gestione dei rifiuti stabiliti dalle direttive relative ai rifiuti (75/442/CEE), ai rifiuti pericolosi (91/689/CEE) e alle discariche di rifiuti (1999/31/CE);
   nel 2013, la Commissione europea ha ritenuto che l'Italia non avesse ancora adottato tutte le misure necessarie per dare esecuzione alla sentenza del 2007. In particolare, 218 discariche ubicate in 18 delle 20 regioni italiane non erano conformi alla direttiva «rifiuti» (dal che si poteva desumere che fossero in esercizio discariche prive di autorizzazione); inoltre, 16 discariche su 218 contenevano rifiuti pericolosi in violazione della direttiva «rifiuti pericolosi»; infine, l'Italia non aveva dimostrato che 5 discariche fossero state oggetto di riassetto o di chiusura ai sensi della direttiva «discariche di rifiuti»;
   nel corso della causa C-196/13, la Commissione europea ha affermato che, secondo le informazioni più recenti, 198 discariche non erano ancora conformi alla direttiva «rifiuti» e che, di esse, 14 non erano conformi neppure alla direttiva «rifiuti pericolosi». Inoltre, sarebbero rimaste due discariche non conformi alla direttiva «discariche di rifiuti»;
   nella sentenza del 2 dicembre 2014, la Corte di Giustizia dell'Unione europea ricorda innanzitutto che la mera chiusura di una discarica o la copertura dei rifiuti con terra e detriti non è sufficiente per adempiere agli obblighi derivanti dalla direttiva «rifiuti». Pertanto, i provvedimenti di chiusura e di messa in sicurezza delle discariche non sono sufficienti per conformarsi alla direttiva. Oltre a ciò, gli Stati membri sono tenuti a verificare se sia necessario bonificare le vecchie discariche abusive e, all'occorrenza, sono tenuti a bonificarle. Il sequestro della discarica e l'avvio di un procedimento penale contro il gestore non costituiscono misure sufficienti;
   la Corte di giustizia dell'Unione europea rileva poi che, alla scadenza del termine impartito, lavori di bonifica erano ancora in corso o non erano stati iniziati in certi siti; riguardo ad altri siti, la Corte constata che non è stato fornito alcun elemento utile a determinare la data in cui detti lavori sarebbero stati eseguiti. La Corte ne trae la conclusione che l'obbligo di recuperare i rifiuti o di smaltirli senza pericolo per l'uomo o per l'ambiente nonché quello, per il detentore, o di consegnarli ad un raccoglitore che effettui le operazioni di smaltimento o di recupero di rifiuti o di provvedere egli stesso a tali operazioni sono stati violati in modo persistente;
   l'Italia non si è assicurata che il regime di autorizzazione istituito fosse effettivamente applicato e rispettato. Essa non ha assicurato la cessazione effettiva delle operazioni realizzate in assenza di autorizzazione. L'Italia non ha neppure provveduto ad una catalogazione e un'identificazione esaustive di ciascuno dei rifiuti pericolosi sversati nelle discariche. Infine, essa continua a violare l'obbligo di garantire che per determinate discariche sia adottato un piano di riassetto o un provvedimento definitivo di chiusura;
   la Corte ha tratto la conclusione che l'Italia non ha adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla sentenza del 2007 e che è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza del diritto dell'Unione;
   di conseguenza, la Corte di Giustizia dell'Unione europea, il 2 dicembre 2014, ha condannato l'Italia a pagare una somma forfettaria di 40 milioni di euro;
   la Corte ha rilevato poi che l'inadempimento perdura da oltre sette anni e che, dopo la scadenza del termine impartito, le operazioni sono state compiute con grande lentezza; un numero importante di discariche abusive si registra ancora in quasi tutte le regioni italiane. Essa considera quindi opportuno infliggere una penalità decrescente, il cui importo sarà ridotto progressivamente in ragione del numero di siti che saranno messi a norma conformemente alla sentenza, computando due volte le discariche contenenti rifiuti pericolosi. L'imposizione su base semestrale consentirà di valutare l'avanzamento dell'esecuzione degli obblighi da parte dell'Italia. La prova dell'adozione delle misure necessarie all'esecuzione della sentenza del 2007 dovrà essere trasmessa alla Commissione europea prima della fine del periodo considerato. La Corte ha condannato quindi l'Italia a versare altresì una penalità semestrale a far data da oggi e fino all'esecuzione della sentenza del 2007. La penalità sarà calcolata, per quanto riguarda il primo semestre, a partire da un importo iniziale di 42.800.000 di euro. Da tale importo saranno detratti 400.000 euro per ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi messa a norma ed 200.000 euro per ogni altra discarica messa a norma. Per ogni semestre successivo, la penalità sarà calcolata a partire dall'importo stabilito per il semestre precedente detraendo i predetti importi in ragione delle discariche messe a norma in corso di semestre –:
   a quanto ammonti la penalità semestrale che – secondo quanto stabilito sia dai criteri di calcolo previsti nella sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea in merito alla Causa C-196/13 sia dai documenti trasmessi dal nostro Paese alla Commissione europea – l'Italia dovrà pagare;
   quante e quali discariche non siano ancora conformi a quanto stabilito dalla sentenza della Corte di Giustizia dell'Unione europea in merito alla causa C-135/05 del 2007;
   se i Ministri interrogati – per quanto attiene alle proprie competenze ed in merito pagamento della cosiddetta multa semestrale – intendano avvalersi del diritto di rivalsa così come previsto dalla legge 24 dicembre 2012, n. 234 all'articolo 43 che dà la possibilità allo Stato di chiedere il risarcimento a quelle regioni o ad altri enti pubblici responsabili di violazioni del diritto dell'Unione europea. (4-09771)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla procedura di infrazione sulle discariche illegali (Causa C-196/13) si rappresenta quanto segue.
  Il caso in parola riguarda la mancata esecuzione della prima sentenza di condanna del 26 aprile 2007 per violazione della direttiva rifiuti 75/442/CE modificata dalla direttiva 91/156/CEE, della direttiva 91/689 CEE e della direttiva 1999/13/CE in riferimento a 200 discariche presenti sul territorio di 18 regioni italiane, in particolare:
   a. n. 198 discariche dichiarate non conformi agli articoli 4, 8 e 9 della direttiva 75/442 e all'articolo 2, paragrafo 1 della direttiva 91/689 per le quali sono necessarie operazioni di messa in sicurezza e/o bonifica;
   b. n. 2 discariche dichiarate non conformi all'articolo 14, lettere da a) a e) della direttiva 1999/31, per le quali si rendeva necessario dimostrare l'approvazione di piani di riassetto oppure l'adozione di decisioni definitive di chiusura.

  Il 2 dicembre 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha condannato l'Italia al pagamento, per le suddette violazioni, di una sanzione forfettaria di 40 milioni di euro e di una penalità semestrale di 42, 8 milioni di euro da pagarsi fino all'esecuzione completa della sentenza.
  In data 24 febbraio 2015, il Ministero dell'economia e delle finanze ha provveduto al pagamento della somma forfettaria di 40 milioni di euro e, in data 11 marzo 2015, dei relativi interessi di mora pari a 85.589.04 euro.
  Nella sentenza era inoltre indicato il criterio che avrebbe permesso di detrarre dalla sanzione semestrale: 400.000 euro per la messa a norma di ciascuna discarica contenente rifiuti pericolosi e 200.000 euro per la messa a norma di ciascuna altra discarica contenente rifiuti non pericolosi. Inoltre, la Commissione ha chiarito che, per dare esecuzione alla sentenza, non basta garantite che nei siti oggetto della condanna non siano più depositati rifiuti o che i rifiuti gir depositati siano gestiti in conformità alla normativa dell'Unione europea in materia, ma occorre altresì verificare che i rifiuti non abbiano inquinato il sito e, in caso di inquinamento, eseguire le attività di messa in sicurezza o bonifica del sito ai sensi dell'articolo 240 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152.
  L'elenco completo delle discariche ancora oggetto del procedimento di esecuzione della sentenza è stato trasmesso informalmente dalla Commissione europea a marzo 2015 per il tramite della Rappresentanza permanente d'Italia per l'Unione europea. Tali discariche erano così ripartite sul territorio nazionale:
   Abruzzo 28;
   Basilicata 2;
   Calabria 43 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Campania 48 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Emilia Romagna 1 di rifiuti pericolosi;
   Friuli Venezia Giulia 3;
   Lazio 21 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Liguria 6 di cui 4 di rifiuti pericolosi;
   Lombardia 4 di cui 2 di rifiuti pericolosi;
   Marche 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Molise 1;
   Piemonte 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Puglia 12;
   Sardegna 1;
   Sicilia 12 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Toscana 6;
   Umbria 1 di cui 1 di rifiuti pericolosi;
   Veneto 9.

  La Commissione europea, con note del 14 dicembre 2014 SG-Greffe (2014) D/19444 e del 18 dicembre 2014 Ares (2014) 4268785, ha richiesto la trasmissione, entro il 2 giugno 2015, di specifiche informazioni sulle misure adottate in ottemperanza alla sentenza al fine di determinare l'entità della sanzione semestrale e decurtare dalla citata penalità semestrale la quota relativa agli interventi completati durante il primo semestre successivo alla sentenza.
  A seguito della disamina della documentazione ricevuta dalle regioni e trasmessa a giugno 2015 dalle autorità italiane, con la nota del 13 luglio 2015 SG-Greffe-2015) D/7992, la Commissione europea ha riconosciuto la messa a norma di 14 discariche ed un errore di censimento, escludendoli dal pagamento della penalità semestrale, e ha contestualmente notificato l'ingiunzione di pagamento della penalità semestrale per le discariche restanti, per un ammontare di euro 39.800.000,00.
  Il pagamento della suddetta prima penalità semestrale è stato effettuato dal Ministero dell'economia e delle finanze in data 24 agosto 2015.
  Alla data del 13 luglio 2015, rimanevano pertanto in procedura di infrazione ancora 185 discariche. Nei mesi successivi, il Ministero ha avviato:
   a. un costante lavoro d'impulso delle attività con le amministrazioni regionali competenti al fine del completamento degli interventi ancora in corso e della certificazione di quelli completati;
   b. l'istruttoria della documentazione necessaria a proporre alla Presidenza del Consiglio dei ministri di diffidare ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2 della legge 5 giugno 2003, n.131, le amministrazioni regionali e locali inadempienti ad adottare tutti i provvedimenti dovuti per completare le attività necessarie a dare corretta esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia;
   c. una collaborazione continua con il Dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio e con l'Avvocatura dello Stato, attraverso l'istituzione di un tavolo di lavoro deputato all'elaborazione congiunta della documentazione, da trasmettere alla Commissione europea, per il calcolo delle penalità semestrali e per lo stralcio dei casi con interventi ultimati e adeguatamente certificati.

  Con riferimento all'attività d'impulso delle autorità regionali competenti, sono state convocate e regolarmente verbalizzate apposite riunioni con le regioni interessate dalla procedura d'infrazione, esaminando caso per caso le discariche oggetto di condanna, supportando gli organi regionali nell'individuazione dei percorsi utili alla risoluzione dei casi.
  Con riferimento all'attività d'istruttoria svolta dalla competente direzione generale, in collaborazione con l'ufficio legislativo, dei decreti del Presidente del Consiglio dei ministri sono state notificate, alle regioni e agli enti locali interessati, 161 diffide ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2 della legge 5 giugno 2003, n. 131.
  Nel mese di dicembre 2015 le autorità italiane hanno trasmesso al dipartimento per le politiche europee, per il successivo inoltro alla Commissione europea, la documentazione attestante la chiusura dei procedimenti per 35 sui e ulteriori atti ritenuti utili a dimostrare la sussistenza di 3 errori di censimento. Per tali siti, è stato richiesto lo stralcio dall'intera procedura d'infrazione per completa esecuzione della sentenza di condanna e la conseguente detrazione dalla sanzione così come statuito dalla Corte.
  A seguito della disamina della documentazione ricevuta, la Commissione europea, con la decisione ENV.D2/GM/vf/ARES(2016) dell'8 febbraio 2016, la Commissione europea ha riconosciuto la messa a norma di 29 discariche e 1 errore di censimento, escludendoli dal pagamento della penalità semestrale, e ha contestualmente notificato l'ingiunzione di pagamento della seconda penalità semestrale per le discariche restanti, per un ammontare di euro 33.400.000,00.
  Rispetto allo stato dei procedimenti in corso per le 155 discariche ancora oggetto della procedura d'infrazione, segnalo che 151 discariche sono state oggetto di diffida ai sensi dell'articolo 8, commi 1 e 2 della legge 5 giugno 2003, n. 13 e in altri 4 casi di discariche che ricadono all'interno di Sui d'interesse nazionale di bonifica, sono in corso approfondimenti istruttori.
  Per quanto riguarda il tema dell'esercizio del diritto di rivalsa, si rappresenta quanto segue.
  Sul pagamento delle ingenti sanzioni pecuniarie e sull'esercizio del diritto di rivalsa dello Stato nei confronti delle amministrazioni locali e regionali responsabili, considerata l'importanza che riveste, il Governo, al fine di assicurare una tempestiva esecuzione delle sentenze di condanna, ha previsto delle novità con la legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 813). Il sistema di rivalsa attivato dal Ministero dell'economia e delle finanze nei confronti dei soggetti responsabili delle violazioni che hanno determinato la sentenza di condanna prevede, infatti, un meccanismo di compensazione con i trasferimenti che lo Stato dovrà effettuare in favore delle amministrazioni stesse. Al riguardo, si segnala che non è più necessario, a seguito delle modifiche normative introdotte con la legge di stabilità per il 2016, acquisire l'intesa con le amministrazioni responsabili delle violazioni. Il Ministero dell'economia e delle finanze sta procedendo a definire, sentiti le regioni e i comuni interessati, le modalità di reintegro delle anticipazioni effettuate. La scelta di seguire una procedura collaborativa con le amministrazione interessate risponde all'esigenza di assicurare il reintegro delle anticipazioni tenendo conto dei vincoli di bilancio e delle limitate disponibilità di risorse di molti comuni interessati.
  Ad ogni modo, considerato comunque il forte impatto che ne deriva sulla finanza pubblica, resta alta l'attenzione e la priorità dell'intero Governo nella risoluzione delle problematiche evidenziate, pronto a utilizzare tutti gli strumenti disponibili, anche mediante il ricorso ai poteri sostitutivi.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MANNINO, MICILLO, TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche dei rifiuti mira a prevenire o ridurre le ripercussioni negative sull'ambiente e sulla salute umana risultanti dall'intero ciclo di vita delle discariche;
   a questo riguardo l'articolo 14 della stessa direttiva, infatti, prevedeva che gli Stati membri adottassero misure affinché le discariche, che avevano ottenuto un'autorizzazione o che erano già in funzione al momento del recepimento della direttiva, potessero rimanere in funzione alle seguenti condizioni:
    a) entro un anno dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, il gestore della discarica doveva elaborare e presentare all'approvazione dell'autorità competente un piano di riassetto della discarica comprendente le informazioni menzionate nell'articolo 8 e le misure correttive eventualmente necessarie al fine di soddisfare i requisiti previsti dalla direttiva, fatti salvi i requisiti di cui all'allegato I, punto 1;
    b) in seguito alla presentazione del piano di riassetto, le autorità competenti dovevano adottare una decisione definitiva sull'eventuale proseguimento delle operazioni in base a detto piano e alla presente direttiva;
    c) sulla base del piano approvato, le autorità competenti avrebbero dovuto autorizzare i necessari lavori, stabilendo un periodo di transizione per l'attuazione del piano. Lo stesso articolo 14 prevedeva, altresì, che tutte le discariche preesistenti dovessero conformarsi ai requisiti previsti dalla direttiva, entro otto anni dalla data prevista nell'articolo 18, paragrafo 1, e che gli Stati membri adottassero le misure necessarie per far chiudere al più presto, a norma dell'articolo 7, lettera g), e dell'articolo 13, le discariche che, in forza dell'articolo 8, non avessero ottenuta l'autorizzazione a continuare a funzionare;
   in merito al rispetto degli obblighi previsti, tra l'altro, dal citato articolo 14 della direttiva, in data 15 luglio 2009, la Commissione europea ha inviato una richiesta di informazioni alle autorità italiane (Ares (2009) 173208), alla quale l'Italia ha risposto con nota della Rappresentanza permanente d'Italia presso l'Unione europea del 13 ottobre 2009 (prot. n. 10910);
   nell'ambito della procedura EU Pilot 1513/10/ENVI la Commissione ha poi inviato alle Autorità italiane una nuova lettera datata 18 novembre 2010. In questa la Commissione ha osservato che, a settembre 2009, erano presenti nel nostro Paese almeno 187 discariche «preesistenti» (ovvero discariche già autorizzate o in funzione al momento del recepimento della direttiva 1999/31/CE) che non erano ancora state rese conformi alle prescrizioni della direttiva, né chiuse in base a quanto previsto dalla stessa direttiva, e ha, pertanto, invitato le autorità italiane a presentare le loro osservazioni in merito;
   le autorità italiane hanno risposto alla lettera succitata in data 23 dicembre 2010 tramite nota del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 22 dicembre 2010. In tale lettera e nei relativi allegati esse hanno fornito informazioni su alcune iniziative intraprese per attuare l'articolo 14 della direttiva. La Commissione ha inviato un'ulteriore richiesta di chiarimenti l'11 aprile 2011, chiedendo all'Italia di trasmettere dati completi ed aggiornati in merito all'applicazione dell'articolo 14 della direttiva. Le autorità italiane hanno di nuovo risposto tramite lettera del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 16 maggio del 2011 nella quale sono state fornite informazioni dettagliate. Dalle analisi di tali informazioni emergeva che sul territorio italiano vi erano almeno 102 discariche «preesistenti» (3 delle quali per rifiuti pericolosi) che non erano ancora state né oggetto di provvedimenti di chiusura né rese conformi alla direttiva;
   la Commissione, in data 28 febbraio 2012, ha inviato alla Repubblica Italiana una lettera di costituzione di messa in mora, invitando il Governo italiano, conformemente all'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, a trasmettere osservazioni, entro due mesi dal ricevimento della lettera;
   le autorità italiane hanno risposto alla costituzione di messa in mora mediante note della rappresentanza permanente d'Italia dell'11 maggio e dell'8 giugno 2012, dalle quali emergeva che, malgrado i notevoli progressi compiuti, sul territorio italiano vi fossero ancora 46 discariche «preesistenti» (1 delle quali per rifiuti pericolosi), con riferimento alle quali non erano stati rispettati gli obblighi previsti dell'articolo 14 della direttiva;
   tali discariche sono presenti nelle seguenti regioni: Abruzzo (15 discariche), Basilicata (19 discariche), Campania (2 discariche), Friuli Venezia Giulia (4 discariche), Liguria (1 discarica per rifiuti pericolosi), Puglia (5 discariche);
   la Commissione europea in data 21 novembre 2012 — dopo aver posto la Repubblica italiana in condizione di presentare osservazioni con lettera di costituzione di messa in mora del 28 febbraio 2012 (rif. SG(2012)D/3668) e tenuto conto delle risposte del Governo italiano dell'11 maggio 2012 (rif. INF(2012) 105002) e del giugno 2012 (rif. INF (2012)105172) — ha emesso il seguente parere motivato: poiché sul territorio italiano vi sono 46 discariche «preesistenti» che non sono ancora state rese conformi alle prescrizioni della direttiva 1999/31/CE né chiuse, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi imposti dall'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE, pertanto, in applicazione dell'articolo 258 primo comma, del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea, la Commissione invita la Repubblica italiana a prendere le disposizioni necessarie per conformarsi al presente parere motivato, entro due mesi dal ricevimento del medesimo;
   la Commissione europea in data 18 giugno 2015 ha chiesto all'Italia di assicurare che le discariche operino in conformità delle norme dell'Unione europea, tant’è che le informazioni più recenti di cui dispone la Commissione indicano che, a quasi sei anni dal termine ultimo per la chiusura, almeno 50 discariche in Italia sono ancora non conformi e avrebbero dovuto essere chiuse o adeguate alle norme richieste. Almeno una delle discariche in questione contiene rifiuti pericolosi. È stato quindi inviato un ulteriore parere motivato. Adesso l'Italia ha due mesi di tempo per comunicare alla Commissione le misure adottate al fine di porre rimedio a tale situazione. In caso contrario la Commissione ha facoltà di deferire tale paese alla Corte di giustizia dell'Unione europea –:
   quali siano i comuni e le località dove sono ubicate le discariche oggetto della procedura di infrazione 2011–2215;
   se e quali iniziative siano state intraprese, o si intendano avviare, affinché – in merito alla procedura di infrazione 2011–2215 inerente alla violazione dell'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE relativa alle discariche di rifiuti in Italia — venga evitato il deferimento del nostro Paese innanzi alla Corte di giustizia europea. (4-09772)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alle discariche oggetto della procedura di infrazione 2011/2215 inerente la violazione dell'articolo 14 della direttiva 1999/31/CE si rappresenta quanto segue.
  Il caso in oggetto, al quale il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare sta dedicando grande attenzione, è attualmente in fase di pre-contenzioso comunitario. La Commissione europea, in data 19 giugno 2015, ha notificato un parere motivato complementare con il quale ha segnalato la presenza di 50 discariche preesistenti alla direttiva 1999/31/CE che non sono state adeguate alla direttiva stessa o non sono state chiuse nei termini previsti dalla citata direttiva: Esse sono così ripartite:
   Abruzzo: 12;
   Basilicata: 26;
   Campania: 2;
   Friuli-Venezia Giulia: 4;
   Liguria: 1;
   Puglia: 5.

  È tutt'ora in corso la valutazione, da parte della Commissione europea, della risposta delle autorità italiane, trasmessa ad ottobre 2015 sulla base dei dati acquisiti dalle regioni Abruzzo, Basilicata, Campania, Friuli-Venezia Giulia, Liguria e Puglia.
  Dalla decisione della Commissione europea si potranno definire se e quali violazioni della normativa europea sono state accertate.
  Ad ogni modo il Ministero dell'ambiente, al fine di individuare misure tempestive ed efficaci utili a scongiurare una nuova condanna nel caso in cui la Commissione europea decidesse di deferire il nostro Paese in Corte di giustizia, sta effettuando ulteriori approfondimenti in collaborazione con le regioni interessate.
  All'esito di tale istruttoria, e una volta accertate a livello comunitario eventuali violazioni, sarà possibile al Governo decidere se procedere ai sensi della nuove disposizioni introdotte dalla legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 814, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, la legge di, Stabilità 2016). Proprio in considerazione della grande importanza e della notevole complessità degli adempimenti qui in discussione, il Governo si è fatto promotore dell'approvazione, in sede di legge di stabilità, di una normativa volta a tendere più celere ed efficace l'intervento sostitutivo dello Stato a garanzia di importanti diritti fondamentali degli individui nonché del corretto adempimento agli obblighi europei. Per giungere alla definitiva bonifica di questi sui è infatti necessario procedere ad una serie di attività, strettamente collegate le une alle altre: questo rende particolarmente difficile l'esercizio di un efficace potere sostitutivo da parte del Governo. La norma prevista in legge di stabilità consente al Governo – nel caso in cui ciò si renda necessario per far fronte a sentenze di condanna o a procedure di infrazione dell'Unione Europea – di diffidare gli enti inadempienti alla realizzazione di uno specifico cronoprogramma, con la possibilità, nel caso di inadempimento anche ad uno solo degli atti indicati nel cronoprogramma, di una integrale sostituzione fino al pieno raggiungimento del risultato. In particolare, la nuova disciplina dettata dal novellato articolo 41, comma 2-quater della legge n. 234 del 2012 stabilisce che nei casi in cui sono in corso procedure europee di infrazione e accertate violazioni della normativa europea, il Presidente del Consiglio dei ministri può porre un termine per l'adeguamento alle amministrazioni pubbliche competenti; scaduto inutilmente il termine, il Consiglio dei ministri può decidere di adottare direttamente i necessari provvedimenti attuativi o nominare un commissario (nuovi commi 2-bis e 2-ter dell'articolo 41 della legge n. 234 del 2012).
  Come è evidente, si tratta di uno strumento di grande accelerazione dei procedimenti ed è intenzione del Governo servirsene con decisione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riportato da fonti di stampa on-line, la questura di Bologna avrebbe aperto un procedimento disciplinare nei confronti del segretario generale del Sindacato autonomo di polizia, Gianni Tonelli;
   alla base dell'iniziativa assunta dalla questura di Bologna vi sarebbe la circostanza che Gianni Tonelli abbia partecipato il 22 novembre 2015 ad una nota trasmissione di RaiTre indossando una polo che si è ritenuto facesse parte del vestiario in dotazione alla polizia di Stato;
   i regolamenti vigenti proibiscono in effetti al personale della polizia di Stato di indossare abiti appartenenti alle dotazioni della forza di polizia insieme ad altri indumenti civili;
   Gianni Tonelli, tuttavia, afferma di non aver indossato nessuna polo appartenente al vestiario ricevuto in dotazione e sottolinea come l'indumento indossato in trasmissione gli appartenesse in qualità di abito civile;
   le immagini della trasmissione permettono in effetti di notare sulla polo indossata da Tonelli elementi assolutamente estranei al materiale normalmente in dotazione al personale della polizia di Stato, come la sigla del SAP ed una scritta impressa sul tessuto che non potrebbero mai trovarsi su delle uniformi;
   non sarebbe da escludere pertanto che l'apertura di un'inchiesta a carico di Tonelli costituisca una forma neanche tanto velata di intimidazione nei confronti della sua attività sindacale e di denuncia delle carenze in fatto di equipaggiamenti che affliggerebbero le unità operative della polizia di Stato –:
   se, a fronte di quanto generalizzato in premessa, sia fondata l'apertura di un procedimento disciplinare a carico di Gianni Tonelli e cosa osti all'immediata archiviazione della vicenda. (4-11633)

  Risposta. — L'interrogazione presentata dall'interrogante riguarda il procedimento disciplinare aperto dalla questura di Bologna a carico dell'ispettore capo della Polizia di Stato Gianni Tonelli.
  Innanzitutto va precisato che la contestazione degli addebiti nei confronti dell'ispettore di polizia è stata redatta a seguito di una nota inviata dal dipartimento della pubblica sicurezza, in particolare dalla Direzione centrale delle risorse umane, con la quale era stata segnalata la partecipazione del signor Tonelli, in qualità di segretario generale nazionale del Sap, alla trasmissione televisiva «in Mezz'ora» condotta dalla giornalista Lucia Annunziata.
  Nella circostanza, l'ispettore indossava una polo facente parte del vestiario in uso alla Polizia di Stato, con la presenza degli alamari sul bavero e la scritta «Polizia», con l'unica variante che sul bavero dell'indumento, nel punto in cui si applica il distintivo di qualifica, era stata apposta la denominazione «SAP».
  All'ispettore capo è stato contestato di aver contravvenuto alla norma che vieta l'uso promiscuo di capi della divisa con altri non pertinenti alla stessa, con ciò ponendo in essere una condotta non conforme al decoro delle funzioni degli appartenenti della pubblica sicurezza, oltreché potenzialmente pregiudizievole per l'immagine dell'Amministrazione.
  A seguito di tale contestazione, il 25 gennaio 2016 l'ispettore capo ha presentato una propria memoria difensiva, che è in fase di valutazione da parte degli organi a ciò deputati.
  Tanto detto, si ritiene che il procedimento disciplinare sia stato avviato in corretta applicazione della normativa vigente, in particolare del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 1981 e del regolamento di servizio della Polizia di Stato.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NACCARATO, MIOTTO, NARDUOLO e CAMANI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 12 luglio alle ore 2,30 a Ospedaletto euganeo, in provincia di Padova, presso uno degli stabilimenti dell'azienda Veronesi, azienda leader in Italia della produzione di mangimi, si è sviluppato un incendio di vaste dimensioni nel parcheggio interno;
   l'incendio ha danneggiato 15 motrici su 25 presenti nel parcheggio e i relativi camion contenenti i mangimi;
   le motrici sono di proprietà delle imprese di autotrasporti che lavorano per la Veronesi e, in particolare sono state colpite le imprese Trasporti romagna di Malo (Vi) e Turra trasporti di Este (Pd);
   l'incendio ha causato gravi danni per circa 2 milioni di euro;
   le prime indagini hanno rinvenuto dei contenitori di benzina posti sotto le motrici; su una parte dell'edificio dello stabilimento è stata trovata la scritta «No ogm, no allevamenti»;
   dalle prime indagini l'incendio risulta chiaramente di origine dolosa;
   il grave episodio ha le caratteristiche di un attentato per danneggiare e minacciare un'attività imprenditoriale di primaria importanza;
   l'episodio ha suscitato allarme e preoccupazione nella popolazione e nelle istituzioni locali per il possibile inquinamento ambientale causato dall'incendio e per il rischio che l'attentato possa essere riconducibile a minacce e intimidazioni nei confronti delle imprese coinvolte –:
   se il Ministro sia al corrente dei fatti sopra esposti;
   in che modo il Ministro, attraverso gli uffici territoriali competenti, intenda attivarsi, per quanto di competenza, per contribuire a fare luce sulla vicenda e per prevenire il rischio che tali episodi possano determinare un clima di intimidazione e minaccia contro le imprese. (4-09828)

  Risposta. — Con riferimento all'episodio richiamato nell'interrogazione in esame, si rappresenta che, nella nottata del 12 luglio 2015, due soggetti col volto travisato, dopo essersi introdotti nello stabilimento «A.I.A. SpA» del gruppo «VERONESI MANGIMI» di Ospedaletto Euganeo (Padova), hanno incendiato 15 TIR parcheggiati con i carichi di foraggio, di proprietà di alcune ditte incaricate del trasporto dei mangimi, causando un danno di circa 3 milioni di euro.
  Sul posto sono immediatamente intervenuti personale dei Vigili del fuoco, per le operazioni di spegnimento, e personale della locale compagnia dei carabinieri, per l'accertamento di polizia giudiziaria.
  A seguito del sopralluogo, sono state rinvenute alcune bottigliette di benzina nonché una scritta con vernice spray riportante la seguente espressione «NO OGM, NO ALLEVAMENTI».
  I responsabili del Mangimificio Veronesi e della società appaltatrice dei trasporti «Trasporti Romagna S.r.l.» hanno dichiarato agli inquirenti di non aver mai subito minacce, intimidazioni o richieste estorsive.
  Tuttavia, si segnala che lo stabilimento oggetto dell'azione delittuosa nonché altre aziende del gruppo «AIA s.p.a.» operanti nel campo della produzione dei mangimi «OGM», nel recente passato, sono state oggetto di presidi di protesta, organizzati dal comitato popolare «LASCIATECI RESPIRARE» di Conselve e dal coordinamento «ZERO OGM».
  Quest'ultimo sodalizio, appena divenuta pubblica la notizia dell'incendio doloso, ha immediatamente condannato il fatto, smentendo qualsiasi proprio coinvolgimento.
  Gli inquirenti, comunque, non escludono che gli autori del gesto possano annoverarsi tra gli appartenenti a tali sodalizi o a gruppi anarco/animalisti, i cui militanti, in passato, sono stati individuati quali autori di simili gravi episodi, anche incendiari.
  Per tali ragioni, è stata interessata la direzione distrettuale antimafia di Venezia al fine di acquisire i dati del traffico telefonico che ha interessato il luogo in cui si è verificato l'incendio, nonché le immagini registrate dai sistemi di videosorveglianza e i dati telepass della società autostrade relativi ai caselli limitrofi alla località ove è ubicato lo stabilimento.
  Allo stato attuale, le attività d'indagine coordinate dalla procura della Repubblica presso il tribunale di Rovigo e condotte congiuntamente dal nucleo operativo e radiomobile della compagnia carabinieri di Este e dalla sezione anticrimine della questura di Padova, non hanno evidenziato elementi tali da far ricadere l'evento nell'ambito di dinamiche contigue alla criminalità organizzata, non venendo, peraltro, esclusa alcuna ipotesi investigativa.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   OLIVERIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come ormai si ripete costantemente durante questo periodo dell'anno molti corsi d'acqua dei torrenti Antonucci, Tomarchiello e Sant'Anna della provincia di Vibo Marina risultano interamente ricoperti da canneti, sterpaglie, rami di alberi, e rifiuti di ogni genere che, qualora non debitamente puliti prima dell'inizio della stagione invernale, potrebbero dare corso a pericolose esondazioni, comportando smottamenti e frane con conseguenze anche pericolose per le popolazioni che vivono vicino ad essi;
   tale realtà costituisce una situazione ancor più critica per una regione come la Calabria, dove le eccessive opere di urbanizzazione e cementificazione contribuiscono a creare maggiore allarmismo;
   la Calabria, rappresentando una delle zone del territorio italiano a più elevato rischio idrogeologico, già nel passato ha affrontato gravi situazioni legate al dissesto idrogeologico, come confermato dal progetto Iffi (primo inventario dei fenomeni franosi in Italia), che ha evidenziato la diffusa fragilità del territorio individuando ben 409 punti identificativi del fenomeno franoso, con 78 aree soggette a rischio frana, per un'estensione totale di territorio che supera i 40 chilometri quadrati;
   la situazione appare molto critica anche in prossimità del fosso «La Badessa» dove immondizia mista ad una folta vegetazione impedisce il naturale deflusso delle acque;
   la medesima situazione si registra verso la frazione Longobardi che risulta essere particolarmente pericolosa; molti tratti dell'alveo non risultando visibili potrebbero pregiudicare il percorso dei torrenti interamente coperti da pietre e rocce;
   anche la strada statale 18 è interessata dai continui episodi di subsidenza che stanno creando gravi disagi alla viabilità locale, penalizzata ulteriormente anche dagli sporadici e inefficaci interventi dell'Anas;
   le diverse segnalazioni pervenute da parte della popolazione confermano una situazione allarmante, sottolineando la necessità di intervenire tempestivamente per porre fine a questo continuo stato di emergenza ambientale che persiste nel vibonese;
   sarebbe necessario provvedere anzitempo alla manutenzione dei siti e degli alvei al fine di non ripetere il verificarsi di eventi naturali disastrosi come l'alluvione del 2006 durante la quale, precipitazioni eccezionali, intense e persistenti, provocarono gravi e diffusi danni (allagamenti, frane) e 4 morti. Nella città di Vibo Valentia, in sole cinque ore, furono registrati più di 200 mm di pioggia, quando in media nel mese di luglio, nelle medesime località, le precipitazioni oscillarono tra i 30 e i 110 mm. Sul vibonese caddero circa 130 litri di acqua per ogni metro quadrato di terreno –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti riportati e se non ritenga necessario, alla luce dei recenti accadimenti, intensificare attraverso gli organi competenti e in particolare attraverso il commissario delegato per gli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico di cui all'accordo di programma stipulato con la regione Calabria, azioni per contrastare il fenomeno descritto al fine di evitare uno scempio ambientale di uno dei posti più suggestivi d'Italia, oltre a un tracollo economico del territorio;
   se il Governo non intenda assumere iniziative per adeguare le risorse finanziarie destinate alla difesa del suolo e alla prevenzione del dissesto idrogeologico, assicurando che la distribuzione avvenga in modo da privilegiare le aree a più alto rischio, come quella della provincia di Vibo. (4-01690)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa agli interventi di manutenzione dei siti nonché alla pulizia degli alvei dei corsi d'acqua situati nella provincia di Vibo Valentia, si rappresenta quanto segue.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, insieme alla struttura di missione contro il dissesto idrogeologico presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, ha avviato il piano operativo nazionale degli interventi per la mitigazione del rischio idrogeologico per il periodo 2014-2020.
  Il piano è stato definito dalle proposte presentate dalle regioni nel corso degli anni 2014 e 2015 attraverso l'utilizzo del sistema web ReNDiS (repertorio nazionale degli interventi per la difesa del suolo) del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in collaborazione con l'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale).
  L'insieme degli interventi localizzati sull'intero territorio nazionale raggiungono un importo pari a circa 20,3 miliardi di euro che rappresenta, pertanto, il fabbisogno complessivo del periodo 2014-2020.
  Si evidenzia che, rispetto a tale importo, quello relativo alle richieste validate dalle regioni nel sistema ReNDiS, ammonta, ad oggi, a circa 17,5 miliardi di euro.
  Tuttavia, al fine di assicurare l'avvio degli interventi più urgenti di contrasto al rischio idrogeologico nelle aree soggette a frequenti esondazioni, è stato individuato, nell'ambito del piano operativo nazionale, un piano stralcio costituito da un insieme di interventi di mitigazione del rischio riguardanti le aree metropolitane e le aree urbane con alto livello di popolazione esposta a rischio di alluvione, con un costo di circa 1,4 miliardi di euro.
  Gli interventi sono stati validati dalle regioni secondo le procedure previste dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 maggio 2015, proposto dal Ministero dell'ambiente, relativo all'individuazione dei criteri e delle modalità per stabilire le priorità di attribuzione delle risorse agli interventi di mitigazione del rischio idrogeologico.
  Al fine di garantire il rapido avvio degli interventi più urgenti e tempestivamente cantierabili ricompresi nel piano stralcio, la delibera CIPE n. 32/2015 ha assegnato al Ministero dell'ambiente l'importo di 450 milioni di euro a valere sulle risorse del fondo per lo sviluppo e la coesione afferenti alla programmazione 2014-2020. Per la medesima finalità sono state individuate risorse disponibili a legislazione vigente pari a 150 milioni di euro, di cui 40 milioni costituite da risorse del Ministero dell'ambiente a valere sulle disponibilità recate dall'articolo 1, comma 111, della legge n. 147 del 27 dicembre 2013 (legge di stabilità 2014) e la restante quota di 110 milioni a carico delle risorse del fondo di sviluppo e coesione per il periodo 2007-2013 di cui all'articolo 7, comma 8, del decreto-legge n. 133 del 12 settembre 2014 (cosiddetto sblocca Italia).
  A questi si devono aggiungere, per il biennio 2015-2016, ulteriori 54 milioni di euro circa che il Ministero dell'ambiente ha disposto di destinare al fine di incrementare la copertura del piano stralcio citato, in considerazione della rilevanza e dell'urgenza degli interventi in esso previsti.
  Il piano stralcio è composto da una sezione attuativa, nella quale sono riportati gli interventi immediatamente finanziabili per un importo di oltre 650 milioni di euro, e da una sezione programmatica che potrà essere successivamente finanziata con risorse che si renderanno a tal fine disponibili.
  Nella sezione programmatica sono stati inseriti alcuni studi di fattibilità o progettazioni preliminari per i quali si prevede un rapido sviluppo del livello progettuale e che coinvolgono un'alta percentuale di popolazione esposta al rischio di alluvione.
  In relazione al piano nazionale 2014-2020, si segnala che le richieste avanzate e validate dalla regione Calabria fino al 24 febbraio 2016, termine per l'inserimento delle proposte nel sistema ReNDiS, ammontano a 54.818.153,78 euro per la provincia di Vibo Valentia per un totale di 50 interventi. Non appena rinvenute le ulteriori risorse finanziarie necessarie per l'attuazione del suddetto piano nazionale, saranno individuati gli interventi che potranno essere ammessi a finanziamento secondo le modalità e in base ai criteri previsti dal citato dal decreto del Presidente del Consiglio dei Ministri 28 maggio 2015, tenendo conto in particolare delle priorità che saranno espresse dalla stessa regione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PELLEGRINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   anche a seguito di un'aggressione nei boschi del Trentino subita da un uomo il 15 agosto 2014 da parte dell'orsa Daniza, la provincia autonoma di Trento ha emesso un'ordinanza che prevedeva la sua cattura, sollevando numerose contestazioni da parte dei cittadini e delle associazioni;
   l'ordinanza non esclude l'abbattimento come ipotesi estrema qualora l'animale, durante l'operazione di cattura, dovesse provocare un imminente, grave e non altrimenti evitabile pericolo per gli operatori e per terzi;
   dopo quasi un mese di monitoraggio e ricerca sul territorio trentino l'orsa è stata individuata è si è deciso di intervenire con la telenarcosi che avrebbe consentito di addormentare l'animale;
   l'orsa Daniza, però, non è sopravvissuta alla narcosi effettuata per catturarla;
   il Corpo forestale dello Stato ha aperto un'indagine sulla morte dell'orsa Daniza, ipotizzando i reati di maltrattamento di animali e uccisione senza motivo reale dell'esemplare;
   peraltro, come riporta il Tgcom24 on line dell'11 settembre, nell'agosto scorso la Forestale aveva inviato una lettera al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e al presidente della provincia di Trento esprimendo perplessità sull'iniziativa dell'ente locale di catturare e isolare in cattività in una struttura solo l'orsa, peraltro senza i propri cuccioli;
   con un comunicato dell'11 settembre l'ente nazionale protezione animali definisce la morte dell'orsa Daniza un «animalicidio», e chiede le dimissioni del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare Gian Luca Galletti. Il comunicato dell'Enpa e della Presidente Carla Rocchi prosegue: «Ciò che è accaduto all'orsa Daniza non è un incidente né un fatto casuale: è un animalicidio in pieno regola. Nei giorni e nelle settimane passate avevamo più volte chiesto di lasciare in pace l'animale, arrivando a diffidare le autorità locali. (...) Consideriamo responsabili di questa morte tutte le autorità che hanno fatto del terrorismo psicologico contro l'orso: in primis la Provincia di Trento e gli amministratori locali ed i politici locali che hanno scatenato questa guerra di religione» –:
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare abbia avuto un qualche ruolo nelle decisioni prese dalle amministrazioni locali in merito alle attività di ricerca e di cattura dell'orsa;
   per quali motivi il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non abbia ritenuto di dare seguito, per quanto di competenza, a quanto raccomandato dal Corpo forestale dello Stato nella lettera al medesimo Ministro circa la non opportunità di catturare e isolare l'orsa;
   se non si intenda acquisire certezza, per quanto di competenza, che l'intervento di narcosi che ha portato alla morte dell'orsa Daniza, sia stato posto in essere da personale medico-veterinario e se siano stati rispettati tutti i protocolli veterinari. (4-06018)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa a problematiche legate all’«uccisione» dell'orsa Daniza, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Prima di esaminare i singoli quesiti, si ritiene opportuno sottolineare che la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente ha seguito sin dall'inizio la vicenda Daniza con estrema attenzione e costanza, tramite la acquisizione costante di informazioni, fornite dalla provincia autonoma di Trento e vagliate con il supporto dell'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale (ISPRA) e del Corpo forestale dello Stato (CFS), nonché con incontri con gli enti preposti ed esperti internazionali di settore, nei limiti delle competenze che l'ordinamento ed il PACOBACE (Piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali) attribuiscono ai vari soggetti pubblici interessati.
  L'ordinanza contingibile ed urgente concernente l'orsa Daniza è stata emessa dalla provincia autonoma di Trento il 16 agosto 2014. Il successivo 19 agosto l'ISPRA, su richiesta del Ministero dell'ambiente di pari data, ha emesso un parere concernente il comportamento dell'orso, le possibili misure di intervento ed il possibile destino dei due cuccioli. L'ISPRA ha definito il comportamento di Daniza non anomalo, in quanto realizzato a difesa dei cuccioli. Ha tuttavia concluso che la cattura per captivazione permanente dell'esemplare dovesse ritenersi tra le azioni previste dal PACOBACE in risposta al comportamento registrato, a maggior ragione per il fatto che Daniza era già in precedenza entrata in contatto con esseri umani rendendosi protagonista di c.d. «falsi attacchi» sempre in difesa dei propri piccoli, seppur senza conseguenze gravi. L'ISPRA ha inoltre precisato che l'eventuale rimozione di Daniza, considerata la consistenza della popolazione di orso nelle Alpi Centrali, non avrebbe reso indispensabile un rilascio sostitutivo. In merito ai cuccioli, l'ISPRA ha invece sottolineato che ne andava evitata la cattura. In caso di captivazione permanente della madre, tuttavia, occorreva un attento monitoraggio degli stessi anche con tecniche radiotelemetriche, al fine di assicurare la tempestiva registrazione di eventuali comportamenti anomali o di condizioni di denutrizione.
  La competente direzione generale del Ministero ha prontamente chiesto alla provincia autonoma di Trento, con nota del 20 agosto 2014, una dettagliata relazione e trasmesso le indicazioni dell'ISPRA sui cuccioli. Nella lettera, sono stati sottolineati i risultati del progetto di ripopolamento e conservazione dell'orso, ed è stato richiesto di effettuare una specifica considerazione sul destino dei cuccioli, al fine di salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza.
  In ogni contatto avuto con la provincia di Trento, il Ministero ha sempre rappresentato la necessità di prestare particolare attenzione alla condizione dei cuccioli in caso di cattura della madre, facendo proprie le indicazioni dell'ISPRA e comunicando all'Ente provinciale le note di valutazione del CFS.
  La provincia di Trento ha inviato la relazione il 1o settembre 2014, confermando la permanenza dei presupposti e delle condizioni per l'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente. L'ente provinciale ha concluso le operazioni di cattura con l'esito che conosciamo in data 10 settembre 2014.
  Vista la conclusione delle operazioni, l'11 settembre 2014 il Ministero dell'ambiente ha chiesto alla provincia di Trento una dettagliata relazione sull'operato della squadra che ha effettuato l'intervento di telenarcosi, anche al fine di valutare il protocollo adottato dagli operatori. Tale relazione è stata acquisita il 16 settembre 2014 e posta al vaglio tecnico dell'ISPRA, che non ha sollevato rilievi di sorta. Con nota del 15 settembre 2014, il CFS ha informato il Ministero circa le attività svolte dal servizio CITES (Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione) nell'immediatezza del decesso dell'orsa Daniza, comunicando contestualmente la propria intenzione di non collaborare alla cattura con telenarcosi di altri esemplari di orso in attesa di approfondimenti sulla sicurezza dei protocolli di anestesia. Nell'ambito del procedimento penale aperto a seguito dell'uccisione dell'orsa Daniza, la procura della Repubblica di Trento ha disposto due autopsie, la prima presso l'Istituto zooprofilattico sperimentale (IZS) delle Venezie a Legnaro (PD), la seconda presso l'IZS di Grosseto, in quanto Centro di Referenza Nazionale per la Medicina Forense Veterinaria. La vicenda giudiziaria si è conclusa con provvedimento di archiviazione del procuratore della Repubblica n. 312/2015 R.G. Mod. 45 DD. dell'8 maggio 2015. Il giudice ha accolto la richiesta di oblazione da parte del veterinario, che ha pagato un'ammenda di 2.000 euro, con la quale si estingue il reato.
  L'esito della telenarcosi, inoltre, ha indotto il Ministero a sospendere temporaneamente l'autorizzazione alla cattura di orsi in Veneto e in altre regioni in attesa di verifiche ulteriori sui protocolli di cattura.
  Con riferimento ai due cuccioli di Daniza, sin dal 16 agosto 2014, giorno dell'ordinanza contingibile e urgente della provincia di Trento, è stata posta grande attenzione al destino dei piccoli e sono stati tenuti nel debito conto i pareri dell'ISPRA e del CFS. La scelta di lasciarli in libertà, attentamente monitorati, è stata frutto di attenta valutazione della letteratura scientifica esistente ed ha trovato ampio supporto nei numerosi esperti scientifici internazionali sentiti dall'ISPRA e che da anni seguono con interesse l'intero processo di ritorno degli orsi sulle Alpi, evento quest'ultimo riconosciuto come un enorme successi di conservazione da parte delle autorità italiane. Dal mese di settembre 2014, i cuccioli di Daniza, completamente autonomi, sono stati oggetto di monitoraggio sul campo da parte della provincia di Trento, dapprima e fino alla fine di ottobre 2014, con tecniche radiotelemetriche, successivamente, con metodi indiretti. Sono state inoltre intraprese diverse altre iniziative tese a salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza (tra cui, confronti e tavoli tecnici con i massimi esperti europei del settore, redazione di linee guida per la gestione dei cuccioli di orso privi della madre, diffusione di depliant informativi, predisposizione di apposita segnaletica stradale luminosa per ridurre i rischi di investimento). Premesso che gli animali non hanno radiocollari e quindi non è possibile avere informazioni continue, si evidenzia che la provincia autonoma di Trento conduce un costante monitoraggio del territorio e una raccolta di campioni per esami genetici. Le ultime notizie certe risalgono alla primavera del 2015 (http://www.orso.provincia.tn.it/novita/pagina254.html) ed erano senz'altro positive. Il fatto che non ci siano state altre segnalazioni costituisce di per sé un elemento positivo. Il quadro complessivo, dunque, pare confermare un buono stato di salute dei cuccioli e soprattutto un comportamento schivo senza contatti con l'uomo, per quanto sia difficile averne certezza. In genere si ha un riscontro relativamente rapido nel caso di decesso. Nel corso dell'inverno gli orsi non sono attivi per cui occorrerà attendere la primavera del 2016 per verificate le loro condizioni.
   Pare, inoltre opportuno soffermarsi sulla ripartizione delle competenze tra le varie amministrazioni coinvolte nella vicenda al fine di fornire indicazioni utili alla definizione del corretto quadro giuridico entro i cui limiti il Ministero ha operato.
  L'ordinanza contingibile ed urgente è uno strumento che il presidente della provincia può legittimamente adottare, ai sensi dell'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972, in ragione dell'esistenza di un pericolo concreto per l'incolumità pubblica, al di fuori e indipendentemente delle procedure «ordinarie» di cui all'articolo del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, come affermato anche dal Consiglio di Stato (cfr., ad esempio C.d.S., Sez. VI, Sent. 03362/2012). Lo stesso PACOBACE, del resto, al paragrafo 3.4.2, riconosce all'Amministrazione territorialmente competente il ruolo di soggetto decisore nelle azioni energiche non programmabili in caso di orsi problematici e situazioni critiche.
  Tanto premesso, in merito ai quesiti relativi all'accertamento delle vicende che hanno condotto al decesso dell'orsa Daniza, alle misure concernenti la salvezza dei due cuccioli, alla salvaguardia della popolazione di orsi in Trentino, come già menzionato, si evidenzia che la competente Direzione generale del Ministero ha chiesto alla Provincia autonoma di Trento, l'11 settembre 2014, immediatamente a ridosso della morte dell'animale, una dettagliata relazione sull'operato della squadra che ha effettuato le operazioni di telenarcosi. La relazione è stata acquisita il 16 settembre 2014 e non ha dato luogo a rilievi tecnici da parte dell'ISPRA rispetto al protocollo adottato dagli operatori. L'esito della telenarcosi ha peraltro indotto il Ministero a sospendere temporaneamente l'autorizzazione alla cattura di altri orsi in Veneto e in altre regioni.
  Con riferimento al ruolo ricoperto dal Ministero dell'ambiente nelle decisioni prese dalla provincia di Trento, oltre a quanto già evidenziato, si segnala innanzitutto che il dicastero, nel corso dei contatti con l'ente ha esplicitato il problema del destino dei due cuccioli ed indicata come preferibile l'opzione di lasciarli liberi, sebbene monitorati attentamente, per valutare il loro comportamento e le probabilità di sopravvivenza, anche tenuto conto delle valutazioni dell'ISPRA e delle valutazioni del CFS.
  Tuttavia, occorre richiamare i limiti posti dal nostro ordinamento alle competenze delle amministrazioni interessate.
  Come affermato in precedenza, infatti, TAR e Consiglio di Stato hanno avuto modo di affermare che la sussistenza di una situazione di pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica vale a giustificare l'adozione di uno specifico provvedimento extra ordinem contingibile ed urgente da parte della provincia. In situazioni di questo tipo, dunque, non è prevista alcuna autorizzazione ministeriale, né alcun parere dell'ISPRA.
  L'ordinanza contingibile ed urgente con la quale è stata adottata la scelta di catturare l'orsa, inoltre, si colloca tra le previsioni del PACOBACE (piano d'azione sottoscritto dal Ministero dell'ambiente, province di Trento e di Bolzano, regioni Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Veneto, ISPRA) concernenti le azioni energiche non programmabili in caso di orsi problematici e situazioni critiche (paragrafo 3.4.2., misure i) e j); infatti, «le decisioni per l'attuazione dei provvedimenti previsti per gli orsi problematici e nelle situazioni critiche, sono assunte dall'Amministrazione competente per territorio e materia attraverso la propria struttura preposta alla gestione delle specie selvatiche, che viene così a rivestire il ruolo di Soggetto decisore».
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GIANLUCA PINI e FEDRIGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Commissione europea ha approvato con proprio provvedimento nuove linee guida volte a garantire la tracciabilità dei prodotti provenienti dai territori occupati dallo Stato d'Israele dopo la Guerra dei sei giorni, determinando la reazione politica del Governo di Gerusalemme, che ha annunciato ritorsioni, ponendo temporaneamente fine ad alcuni formati di dialogo politico aperti con le istituzioni comunitarie;
   la formulazione delle linee guida sopra menzionate sembrerebbe ricomprendere non soltanto gli insediamenti dei coloni israeliani in Cisgiordania che in base agli accordi di Oslo ricadono nell'ambito territoriale soggetto all'amministrazione dell'Autorità nazionale palestinese, ma anche porzioni di territorio ancora sotto la piena giurisdizione dello Stato ebraico, che tuttora rifiuta la prospettiva di tornare ai confini antecedenti alla Guerra dei sei giorni, comportando tra l'altro il completo abbandono della capitale Gerusalemme;
   non sarebbe quindi sorprendente la forte reazione politica dello Stato ebraico;
   il Governo di Gerusalemme ha convocato il rappresentante del servizio di azione esterna dell'Unione europea per comunicargli le proteste del caso;
   risulta che la Commissione europea abbia agito in base a sollecitazioni provenienti da 16 Stati membri dell'Unione, fra i quali anche il nostro Paese;
   mentre sono evidenti le pesanti ripercussioni politiche negative della decisione assunta dall'Unione europea, meno chiare sono le motivazioni che hanno indotto i 16 Stati europei a sollecitare un'iniziativa della Commissione europea, che viene tuttora presentata come esclusivamente tecnica;
   nulla soprattutto si sa in merito alle ragioni che hanno indotto il Governo italiano ad inserirsi nel novero dei Paesi richiedenti alla Commissione iniziative per rendere tracciabili i prodotti provenienti dai cosiddetti territori occupati –:
   se il Governo abbia effettivamente sollecitato la Commissione europea ad assumere la decisione che ha fatto precipitare la crisi diplomatica in atto tra Unione europea e Stato d'Israele;
   qualora sia effettivamente accaduto, se il Governo intendesse in questo modo soltanto rassicurare i consumatori italiani rispetto al rischio di importare prodotti non garantiti, oppure se, consapevole delle probabili conseguenze politiche che ne sarebbero derivate, intendesse dar corso a quella che appare agli interroganti una sottile forma di pressione nei confronti dell'esecutivo israeliano;
   quali iniziative il Governo abbia in programma ora di assumere per evitare un deterioramento delle relazioni bilaterali italo-israeliane ed in che tempi.
(4-11111)

  Risposta. — La Commissione europea ha adottato l'11 novembre 2015 una nota interpretativa sulla «indicazione di origine dei beni provenienti dai territori occupati da Israele a partire dal giugno 1967», che costituisce un chiarimento tecnico ad uso degli Stati membri (e segnatamente delle loro autorità doganali) per la corretta informazione dei consumatori e per l'applicazione della differenziazione tariffaria tra beni prodotti in Israele (cosiddetti beni «Made in Israel») e beni prodotti in Cisgiordania. Il documento in questione non implica dunque alcun cambiamento normativo rispetto a quanto disciplinato dall'accordo commerciale in vigore tra l'Unione europea ed Israele.
  Sin dal dicembre 2004, il Comitato di cooperazione doganale Unione europea-Israele ha infatti adottato un accordo tecnico in base al quale Israele è tenuto ad indicare in ogni certificato di origine dei prodotti il luogo di produzione (identificato attraverso l'utilizzo di codici postali). Su tale base, i prodotti
«Made in Israel» beneficiano di un sistema di tariffe preferenziali in base all'accordo euro-mediterraneo di associazione Unione europea-Israele, mentre nessun tipo di preferenza può essere applicata ai beni prodotti negli insediamenti in Cisgiordania e sulle alture del Golan, che non sono riconosciuti quali territorio appartenente ad Israele ai sensi del diritto internazionale. Il Regno Unito (dal 2009), la Danimarca (nel 2013) e il Belgio (nel 2014) hanno da tempo applicato nei propri ordinamenti nazionali analoghe linee guida che distinguono in differenti categorie i beni alimentari prodotti in Israele, negli insediamenti e in Cisgiordania.
  Le autorità israeliane hanno dato all'iniziativa europea, malgrado il suo effetto pratico limitato, una lettura esclusivamente politica, giudicandola discriminatoria e assimilandola al boicottaggio e alla campagna BDS (
«Boycott, Divestment and Sanctions»), portata avanti da alcuni gruppi di pressione europei e a cui invece l'Unione europea e l'Italia si oppongono attivamente. Va rilevato al riguardo che l'adozione di misure per la corretta indicazione d'origine, al contrario, mira anche a limitare la portata di azioni di boicottaggio indiscriminate contro i prodotti israeliani.
  In tale contesto, il Governo ha più volte ribadito, da ultimo anche in seno all'assemblea generale delle Nazioni Unite, la sua posizione contraria a qualsiasi tentativo volto a delegittimare lo Stato ebraico e il diritto di quest'ultimo ad esistere. Questo orientamento si concreta attraverso il costante sostegno dell'Italia in tutte le sedi multilaterali in cui vengono dibattute le aspirazioni di Israele ad ottenere uno
status rafforzato. Parimenti, l'Italia respinge qualsiasi forma di boicottaggio contro Israele, comprese le azioni dirette a limitare le sue relazioni commerciali e di investimento con l'Europa e il resto del mondo.
  Il consolidato rapporto politico, economico e commerciale con l'Italia non è dunque in discussione, essendo Israele ben consapevole dell'intensità del partenariato italo-israeliano e del costante impegno italiano volto ad articolarlo e approfondirlo. Ad ulteriore recente conferma di questa intensa attività bilaterale, durante la VI sessione del Dialogo strategico tra Italia ed Israele – svoltasi a Gerusalemme il 10 dicembre 2015 – sono state approfondite future iniziative di collaborazione in diversi settori: cooperazione allo sviluppo in Africa (attraverso progetti congiunti), ricerca scientifica e tecnologica (grazie ai successi dell'accordo scientifico e tecnologico bilaterale in vigore dal 2002), attrazione di flussi turistici da Paesi terzi (soprattutto dall'America latina e dall'Estremo Oriente), questioni energetiche.
  Pur comprendendo il dissenso del Governo israeliano rispetto alla pubblicazione delle linee guida della Commissione, occorre pertanto sottolineare che queste ultime sono una semplice attuazione di una consolidata
«policy» dell'Unione europea. L'applicazione corretta e coerente della normativa dell'Unione europea sulla protezione dei consumatori è infatti necessaria per garantire che questi ultimi non siano indotti in errore da informazioni inesatte. L'enfasi posta su questa materia (che, per quanto significativa, ha portata ed effetti pratici limitati sull'insieme delle relazioni Unione europea-Israele) non deve distrarre da ciò che deve rimanere la priorità comune: la ricerca della pace attraverso negoziati diretti tra israeliani e palestinesi, sulla base della soluzione dei due Stati.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da recenti e numerosi articoli di stampa nazionale e locale, agenzie stampa, articoli nei blog e nei più diffusi social media un bell'esemplare femmina di plantigrado, di nome Daniza e dell'età di 19 anni, non è sopravvissuta alle procedure di «narcotizzazione» da parte della Guardia forestale trentina ed autorizzate dalla Provincia autonoma di Trento, l'11 settembre 2014;
   la cattura dell'orsa fu decisa successivamente all'aggressione, a Ferragosto, di Gabriele Matuli, che ha reso necessaria l'ospedalizzazione del cercatore di funghi nei boschi di Pinzolo (TN). La maggior parte degli esperti ipotizza che Daniza abbia forse agito probabilmente per difendere i propri due cuccioli;
   il Corpo forestale dello Stato, appresa la volontà da parte della provincia autonoma di Trento di autorizzare e procedere alla cattura e captivazione dell'orsa Daniza ha prontamente sollevato a fine agosto, tramite una nota scritta indirizzata alla Direzione generale protezione natura del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e all'ISPRA, forti preoccupazioni nel caso in cui l'orsa fosse stata catturata e posta in cattività sia per la salute del plantigrado quanto per la sopravvivenza dei cuccioli, nati nell'anno, mancando «dell'assistenza della madre nella ricerca del cibo, nella scelta dei luoghi di rifugio, negli itinerari da percorrere e nella difesa da possibili minacce e da eventuali predatori». Si evidenziava esplicitamente inoltre nella lettera la «necessità di un'attenta valutazione di come, in tali circostanze, la cattura e lo stato di cattività possano configurarsi come ipotesi di maltrattamento nei confronti dei cuccioli»;
   a quanto risulta all'interrogante tale nota è stata trasmessa tempestivamente alle competenti autorità trentina prima del tentativo di cattura e del suo tragico epilogo;
   l'orso Daniza è stata reintrodotta in Trentino dalla Slovenia anche per decisione delle stesse istituzioni trentine, aderenti, sin dal 1999, all'importante progetto comunitario «Life Ursus» con l'obiettivo del ripopolamento dei boschi con alcune specie selvatiche un tempo autoctone;
   coerentemente con i sopraddetti ammonimenti e le preoccupazioni del Corpo forestale dello Stato sul tema della captivazione dell'animale, anche l'Ente nazionale protezione animali, si legge in un articolo apparso su La Stampa il 27 agosto 2014, aggiungeva poi che: «contro gli orsi, specie particolarmente protetta anche a livello comunitario, è in atto, in Italia, una vera e propria guerra forse alimentata dall'allarmismo, dai pregiudizi. [...] In realtà sia nel caso di Daniza che in quello più recente di «M25» ciò che è stato definito come aggressione o tentativo di aggressione non è stato causato da una pericolosità intrinseca degli animali ma, ancora una volta, da comportamenti avventati ed in taluni casi addirittura negligenti posti in essere dalle persone». L'insofferenza delle comunità locali verso gli orsi ma anche verso altre specie selvatiche, spesso in pericolo di estinzione, è aggravato dal fatto che negli ultimi anni, in un periodo di scarsità di risorse finanziarie, si è assistito ad una drastica riduzione da parte delle regioni italiane degli stanziamenti per il rimborso per danni da fauna selvatica –:
   quali iniziative urgenti intenda mettere in campo, per quanto di competenza ed anche per tramite del Corpo forestale dello Stato e dell'ISPRA, il Ministro interrogato al fine di chiarire per quanto di competenza, l'operato della Guardia forestale trentina e dell'ente della provincia autonoma di Trento dalla decisione di cattura alla narcotizzazione del detto plantigrado femmina e se siano state o meno considerate le preoccupazioni del Corpo forestale dello Stato inoltrate ai reparti territoriali già a fine agosto 2014;
   quali misure si vogliano poi prendere per garantire la sopravvivenza e la maturazione dei cuccioli rimasti orfani, considerando l'imminente inizio della delicata fase di letargo degli stessi. (4-06021)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in oggetto, relativa a problematiche legate all’«uccisione» dell'orsa Daniza, sulla base degli elementi acquisiti dalla competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare nonché dagli altri soggetti preposti, si rappresenta quanto segue.
  Prima di esaminare i singoli quesiti, si ritiene opportuno sottolineare che la competente direzione generale del Ministero dell'ambiente ha seguito sin dall'inizio la vicenda Daniza con estrema attenzione e costanza, tramite la acquisizione costante di informazioni, fornite dalla provincia autonoma di Trento e vagliate con il supporto dell'Istituto Superiore per la protezione e la ricerca ambientale (Ispra) e del Corpo forestale dello Stato (Cfs), nonché con incontri con gli enti preposti ed esperti internazionali di settore, nei limiti delle competenze che l'ordinamento ed il PACOBACE (Piano d'azione interregionale per la conservazione dell'orso bruno nelle Alpi centro-orientali) attribuiscono ai vari soggetti pubblici interessati.
  L'ordinanza contingibile ed urgente concernente l'orsa Daniza è stata emessa dalla provincia autonoma di Trento il 16 agosto 2014. Il successivo 19 agosto, l'Ispra, su richiesta del Ministero dell'ambiente di pari data, ha emesso un parere concernente il comportamento dell'orso, le possibili misure di intervento ed il possibile destino dei due cuccioli. L'Ispra ha definito il comportamento di Daniza non anomalo, in quanto realizzato a difesa dei cuccioli. Ha tuttavia concluso che la cattura per captivazione permanente dell'esemplare dovesse ritenersi tra le azioni previste dal PACOBACE in risposta al comportamento registrato, a maggior ragione per il fatto che Daniza era già in precedenza entrata in contatto con esseri umani rendendosi protagonista di cosiddetti «falsi attacchi» sempre in difesa dei propri piccoli, seppur senza conseguenze gravi. L'Ispra ha inoltre precisato che l'eventuale rimozione di Daniza, considerata la consistenza della popolazione di orso nelle Alpi Centrali, non avrebbe reso indispensabile un rilascio sostitutivo. In merito ai cuccioli, l'Ispra ha invece sottolineato che ne andava evitata la cattura. In caso di captivazione permanente della madre, tuttavia, occorreva un attento monitoraggio degli stessi anche con tecniche radiotelemetriche, al fine di assicurare la tempestiva registrazione di eventuali comportamenti anomali o di condizioni di denutrizione.
  La competente direzione generale del Ministero ha prontamente chiesto alla provincia autonoma di Trento, con nota del 20 agosto 2014, una dettagliata relazione e trasmesso le indicazioni dell'Ispra sui cuccioli. Nella lettera, sono stati sottolineati i risultati del progetto di ripopolamento e conservazione dell'orso, ed è stato richiesto di effettuare una specifica considerazione sul destino dei cuccioli, al fine di salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza.
  In ogni contatto avuto con la provincia di Trento, il Ministero ha sempre rappresentato la necessità di prestare particolare attenzione alla condizione dei cuccioli in caso di cattura della madre, facendo proprie le indicazioni dell'Ispra e comunicando all'ente provinciale le note di valutazione del Cfs.
  La provincia di Trento ha inviato la relazione il 1o settembre 2014, confermando la permanenza dei presupposti e delle condizioni per l'esercizio del potere di ordinanza contingibile e urgente. L'ente provinciale ha concluso le operazioni di cattura con l'esito che conosciamo in data 10 settembre 2014.
  Vista la conclusione delle operazioni, l'11 settembre 2014 il Ministero dell'ambiente ha chiesto alla provincia di Trento una dettagliata relazione sull'operato della squadra che ha effettuato l'intervento di telenarcosi, anche al fine di valutare il protocollo adottato dagli operatori. Tale relazione è stata acquisita il 16 settembre 2014 e posta al vaglio tecnico di Ispra, che non ha sollevato rilievi di sorta. Con nota del 15 settembre 2014, il Cfs ha informato il Ministero circa le attività svolte dal Servizio CITES (Convenzione di Washington sul commercio internazionale delle specie di fauna e flora minacciate di estinzione) nell'immediatezza del decesso dell'orsa Daniza, comunicando contestualmente la propria intenzione di non collaborare alla cattura con telenarcosi di altri esemplari di orso in attesa di approfondimenti sulla sicurezza dei protocolli di anestesia. Nell'ambito del procedimento penale aperto a seguito dell'uccisione dell'orsa Daniza, la procura della Repubblica di Trento ha disposto due autopsie, la prima presso l'Istituto zooprofilattico sperimentale (IZS) delle Venezie a Legnaro (PD), la seconda presso l'Izs di Grosseto, in quanto Centro di referenza nazionale per la medicina forense veterinaria. La vicenda giudiziaria si è conclusa con provvedimento di archiviazione del procuratore della Repubblica n. 312/2015 R.G. Mod. 45 DD. dell'8 maggio 2015. Il Giudice ha accolto la richiesta di oblazione da parte del veterinario, che ha pagato un'ammenda di 2.000 euro, con la quale si estingue il reato.
  L'esito della telenarcosi, inoltre, ha indotto il Ministero a sospendere temporaneamente l'autorizzazione alla cattura di orsi in Veneto e in altre regioni in attesa di verifiche ulteriori sui protocolli di cattura.
  Con riferimento ai due cuccioli di Daniza, sin dal 16 agosto 2014, giorno dell'ordinanza contingibile e urgente della provincia di Trento, è stata posta grande attenzione al destino dei piccoli e sono stati tenuti nel debito conto i pareri dell'Ispra e del Cfs. La scelta di lasciarli in libertà, attentamente monitorati, è stata frutto di attenta valutazione della letteratura scientifica esistente ed ha trovato ampio supporto nei numerosi esperti scientifici internazionali sentiti da Ispra e che da anni seguono con interesse l'intero processo di ritorno degli orsi sulle Alpi, evento quest'ultimo riconosciuto come un enorme successi di conservazione da parte delle autorità italiane. Dal mese di settembre 2014, i cuccioli di Daniza, completamente autonomi, sono stati oggetto di monitoraggio sul campo da parte della provincia di Trento, dapprima e fino alla fine di ottobre 2014, con tecniche radiotelemetriche, successivamente, con metodi indiretti. Sono state inoltre intraprese diverse altre iniziative tese a salvaguardarne la libertà e la sopravvivenza (tra cui, confronti e tavoli tecnici con i massimi esperti europei del settore, redazione di linee guida per la gestione dei cuccioli di orso privi della madre, diffusione di depliant informativi, predisposizione di apposita segnaletica stradale luminosa per ridurre i rischi di investimento). Premesso che gli animali non hanno radiocollari e quindi non è possibile avere informazioni continue, si evidenzia che la provincia autonoma di Trento conduce un costante monitoraggio del territorio e una raccolta di campioni per esami genetici. Le ultime notizie certe risalgono alla primavera del 2015 (
http://www.orso.provincia.tn.it/novita/pagina254.html) ed erano senz'altro positive. Il fatto che non ci siano state altre segnalazioni costituisce di per sé un elemento positivo. Il quadro complessivo, dunque, pare confermare un buono stato di salute dei cuccioli e soprattutto un comportamento schivo senza contatti con l'uomo, per quanto sia difficile averne certezza. In genere si ha un riscontro relativamente rapido nel caso di decesso. Nel corso dell'inverno gli orsi non sono attivi per cui occorrerà attendere la primavera del 2016 per verificare le loro condizioni.
  Pare inoltre opportuno soffermarsi sulla ripartizione delle competenze tra le varie amministrazioni coinvolte nella vicenda al fine di fornire indicazioni utili alla definizione del corretto quadro giuridico entro i cui limiti il Ministero ha operato.
  L'ordinanza contingibile ed urgente è uno strumento che il presidente della provincia può legittimamente adottare, ai sensi dell'articolo 52 del decreto del Presidente della Repubblica n. 670 del 1972, in ragione dell'esistenza di un pericolo concreto per l'incolumità pubblica, al di fuori e indipendentemente delle procedure «ordinarie» di cui all'articolo del decreto del Presidente della Repubblica n. 357 del 1997, come affermato anche dal Consiglio di Stato (cfr., ad esempio C.d.S., Sez. VI, Sent. 03362/2012). Lo stesso PACOBACE, del resto, al paragrafo 3.4.2, riconosce all'Amministrazione territorialmente competente il ruolo di soggetto decisore nelle azioni energiche non programmabili in caso di orsi problematici e situazioni critiche.
  Tanto premesso, per quanto concerne l'accertamento delle vicende che hanno condotto al decesso dell'orsa Daniza, le misure relative alla salvezza dei due cuccioli, nonché la salvaguardia della popolazione di orsi in Trentino, come già menzionato, si evidenzia che la competente direzione generale del Ministero ha chiesto alla provincia autonoma di Trento, l'11 settembre 2014, immediatamente a ridosso della morte dell'animale, una dettagliata relazione sull'operato della squadra che ha effettuato le operazioni di telenarcosi. La relazione è stata acquisita il 16 settembre 2014 e non ha dato luogo a rilievi tecnici da parte dell'Ispra rispetto al protocollo adottato dagli operatori.
  L'esito della telenarcosi ha peraltro indotto il Ministero a sospendere temporaneamente l'autorizzazione alla cattura di altri orsi in Veneto e in altre regioni.
  Con riferimento al ruolo ricoperto dal Ministero dell'ambiente nelle decisioni prese dalla provincia di Trento, oltre a quanto già evidenziato, si segnala innanzitutto che il dicastero, nel corso dei contatti con l'ente ha esplicitato il problema del destino dei due cuccioli ed indicata come preferibile l'opzione di lasciarli liberi, sebbene monitorati attentamente, per valutare il loro comportamento e le probabilità di sopravvivenza, anche tenuto conto delle valutazioni dell'Ispra e delle valutazioni del Cfs.
  Tuttavia, occorre richiamare i limiti posti dal nostro ordinamento alle competenze delle Amministrazioni interessate.
  Come affermato in precedenza, infatti, Tar e Consiglio di Stato hanno avuto modo di affermare che la sussistenza di una situazione di pericolo per l'incolumità e la sicurezza pubblica vale a giustificare l'adozione di uno specifico provvedimento
extra ordinem contingibile ed urgente da parte della provincia. In situazioni di questo tipo, dunque, non è prevista alcuna autorizzazione ministeriale, né alcun parere dell'Ispra.
  L'ordinanza contingibile ed urgente con la quale è stata adottata la scelta di catturare l'orsa, inoltre, si colloca tra le previsioni del PACOBACE (piano d'azione sottoscritto dal Ministero dell'ambiente, province di Trento e di Bolzano, regioni Friuli Venezia Giulia, Lombardia e Veneto, Ispra) concernenti le azioni energiche non programmabili in caso di orsi problematici e situazioni critiche (paragrafo 3.4.2., misure i e j); infatti, «le decisioni per l'attuazione dei provvedimenti previsti per gli “orsi problematici” e nelle “situazioni critiche”, sono assunte dall'amministrazione competente per territorio e materia attraverso la propria struttura preposta alla gestione delle specie selvatiche, che viene così a rivestire il ruolo di Soggetto decisore».

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   RICCIATTI e NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la legge n. 135 del 2012 (cosiddetta «spending review») ha stabilito, al fine di contenere i costi del servizio sanitario nazionale, un nuovo standard di posti letto per mille abitanti, portando il tasso dal 4 per mille al 3,7 per mille;
   in applicazione di tale disposizione normativa, la regione Marche ha adottato la DGRM 1969/2012 per provvedere alla riduzione dei posti letto per numero di abitanti;
   con la delibera n. 735/2013 la giunta regionale delle Marche ha approvato un progetto di riordino delle strutture sanitarie denominato «Riduzione della frammentazione della Rete Ospedaliera, Riconversione delle piccole strutture ospedaliere e Riorganizzazione della Rete Territoriale della Emergenza-Urgenza della Regione Marche in attuazione della DGR 1696/2012», che prevede la riconversione di diversi piccoli ospedali in «Case della salute»;
   molte delle realtà dove vi saranno le conversioni da nosocomi in case della salute sollevano da tempo numerose – e condivisibili – perplessità circa tale piano di riordino, che porta ad una inconfutabile diminuzione dei servizi medico sanitari per i presìdi territoriali, comprimendo in molti casi l'effettivo diritto alla salute dei cittadini interessati;
   tra le numerose riconversioni in case della salute previste, si segnala quella dell'ospedale «Lanciarini» di Sassocorvaro (Pesaro e Urbino) che, oltre a perplessità non dissimili dagli altri piccoli ospedali interessati dal piano, presenta ulteriori e peculiari criticità;
   l'ospedale di Sassocorvaro serve un bacino di utenza di circa 40 mila cittadini. Alcuni dei comuni che fanno riferimento alla struttura ospedaliera sono situati in zone impervie, aree premontane e montane, che renderebbero difficile il raggiungimento dell'ospedale di Urbino – previsto come nuovo centro di riferimento per l'area –, sia per le condizioni delle strade che per le condizioni climatiche particolarmente avverse in alcuni periodi dell'anno;
   gli amministratori dei 22 comuni serviti dall'ospedale di Sassocorvaro hanno di recente richiamato anche un possibile contrasto del piano di riorganizzazione previsto dalla DGRM 735/2013 rispetto ad alcune previsioni del «regolamento Balduzzi» del 2012 recante «Definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera, in attuazione dell'articolo 1, comma 169, della legge 30 dicembre 2004, n. 311 e dell'articolo 15, comma 13, lettera c), del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95 convertito, con modificazioni dalla legge 7 agosto 2012, n. 135», che prevede al paragrafo 9.2.2 condizioni particolari per i «Presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate» (distanti più di 90 minuti dai centri hub o spoke di riferimento, o 60 minuti dai presidi di pronto soccorso);
   in particolare il regolamento prevede, al punto citato, che per i «presìdi situati in aree considerate geograficamente e meteorologicamente ostili o disagiate, tipicamente in ambiente montano o premontano con collegamenti di rete viaria complessi e conseguente dilatazione dei tempi, oppure in ambiente insulare» occorre «garantire una attività di pronto soccorso con la conseguente disponibilità dei necessari servizi di supporto attività di medicina interna, di chirurgia generale ridotta»;
   anche alla luce di tali possibili contrasti si ritiene di fondamentale importanza garantire un effettivo diritto alla salute per i 40 mila cittadini dell'area servita dall'ospedale di Sassocorvaro –:
   quali iniziative intenda assumere per quanto di competenza, al fine di verificare il rispetto dei livelli essenziali di assistenza per i cittadini dell'area indicata in premessa, caratterizzata da condizioni geograficamente disagiate, e per tutti quelli che versano in situazioni analoghe.
(4-10852)

  Risposta. — In merito alla problematica posta in rilievo nell'interrogazione parlamentare in esame, la prefettura – ufficio territoriale del Governo di Pesaro e Urbino ha inteso segnalare quanto segue.
  La giunta regionale della regione Marche ha comunicato di aver provveduto alla riorganizzazione della rete ospedaliera, tenendo conto dei parametri di produttività, efficienza e sostenibilità previsti dalla legge n. 135 del 2012, cosiddetta
«Spending Review», che individua un nuovo percorso centrato su un ruolo ancora più forte dell'assistenza territoriale e su una diversa connotazione dell'assistenza ospedaliera, sempre più rivolta alle patologie acute ad elevato contenuto clinico-assistenziale e caratterizzata da modelli organizzativi in forte discontinuità con il recente passato.
  Tra le altre misure strutturali di razionalizzazione del sistema sanitario, per il macrolivello dell'assistenza ospedaliera, è programmata la riduzione dello
standard dei posti letto ospedalieri accreditati ed effettivamente a carico del servizio sanitario regionale a 3,7 per 1.000 abitanti, la contrazione del tasso di ospedalizzazione complessivo a 160 (per 1.000), una durata media di degenza per i ricoveri ordinari inferiori a 7 giorni ed un tasso di occupazione dei posti letto di almeno il 90 per cento.
  Fondamentali, in tale contesto, la riduzione della frammentazione ospedaliera, vero «tallone di Achille» dell'assetto storico regionale, e la riorganizzazione dei presidi ospedalieri nella logica delle reti cliniche.
  La delibera della giunta regione Marche (DGRM) n. 1696 del 3 dicembre 2012, in applicazione della legge n. 135 del 2012 e sulla base degli
standard all'epoca individuati (successivamente pressoché integralmente recepiti dal decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70) per ridurre la frammentazione ospedaliera, dispone la riconversione delle strutture di piccole dimensioni, almeno una per area vasta, in strutture sanitarie extra ospedaliere per il trattamento del paziente sub-acuto, con l'esclusione di Amandola e di Pergola, che mantengono servizi per acuti, in funzione della collocazione geografica, della viabilità e dell'organizzazione interna, in coerenza con il piano socio-sanitario regionale 2012-2014.
  La riconversione delle strutture di piccole dimensioni deve necessariamente realizzarsi in stretta sinergia con la riorganizzazione delle reti cliniche, per garantire la continuità assistenziale nel percorso, che prevede diversi livelli di intensità di cure, mediante l'accesso alla rete integrata da ciascun nodo del territorio regionale.
  Presupposto fondamentale per il nuovo modello organizzativo ora richiamato, è la riorganizzazione del sistema del soccorso territoriale e dei trasporti sanitari tra i nodi della rete in una logica unitaria, che garantisca uniformità di accesso e di servizio su tutto il territorio regionale.
  La riconversione dei piccoli ospedali costituisce uno strumento fondamentale per la realizzazione della rete di assistenza, sia per le persone anziane sia per altri «soggetti fragili», come i disabili, i minori, le persone che necessitano di cure palliative per malattie in fase terminale, neoplastiche e non.
  La definizione del nuovo assetto organizzativo è stata disposta con delibera della giunta regione Marche n. 735 del 20 maggio 2013 «Riduzione della frammentazione della rete ospedaliera, riconversione delle piccole strutture ospedaliere e riorganizzazione della rete territoriale della emergenza-urgenza della regione Marche in attuazione della delibera della giunta regione Marche n. 1696 del 2012».
  Sono state date indicazioni alle aziende ed enti del servizio sanitario nazionale relativamente ad altri aspetti della riorganizzazione.
  Per quanto riguarda la rete dell'emergenza-urgenza, tramite la riorganizzazione della stessa e il suo potenziamento, come previsto dalla delibera della giunta regione Marche n. 753 del 2015, il territorio montano mantiene un numero di MSA (mezzi di soccorso avanzato con medico) maggiore rispetto alla media delle altre aree vaste della regione Marche ed, in particolare, si prevede il potenziamento dei MSI (mezzi di soccorso con infermiere) e il mantenimento delle postazioni di: Piobbico (PU) numero abitanti: 2.093; abitanti per chilometro: 44; Sassoferrato (AN) numero abitanti: 7.310; abitanti per chilometro: 54; Serra Sant'Abbondio (PU) numero abitanti: 1.030; abitanti per chilometro: 31; Popolazione totale dei 10 comuni: numero abitanti: 40.939; abitanti per chilometro: 43; Marche: numero abitanti: 1.550.796; abitanti per chilometro: 160.
  Riguardo a quanto previsto dal decreto ministeriale n. 70 del 2015 rispetto ai presidi ospedalieri in zone particolarmente disagiate, occorre specificare che il presidio di Sassocorvaro, ora casa della salute, presenta le seguenti distanze dai centri «
hub» o «spoke» di riferimento: Sassocorvaro e Urbino (il pronto soccorso più vicino è a 31 minuti e, quindi, inferiore a 60 minuti), mentre dista dall'A.O. ospedali riuniti Marche nord 58 minuti (90 minuti dal centro «hub»); Lunano-Urbino: 38 minuti; Mercatino Conca-Urbino: 42 minuti; Macerata Feltria-Urbino: 34 minuti; Apecchio/Piobbico-Urbino: 54 minuti; Apecchio/Piobbico-Città di Castello: 36 minuti.
  Si precisa che le distanze in chilometri sono state calcolate con velocità di crociera, nel rispetto dei limiti di velocità.
  Il decreto ministeriale n. 70 del 2015 specifica che, per centri
«hub and spoke», si intendono anche quelli delle regioni confinanti, sulla base di accordi interregionali da sottoscriversi secondo le indicazioni contenute nel nuovo patto per la salute 2014-2016.
  Si soggiunge, da ultimo, che la regione Marche è dotata di un servizio di elisoccorso che fa capo alla centrale regionale di Ancona, con due elicotteri in due basi operative, ad Ancona e Fabriano, entrambi dotati di verricello.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   RICCIATTI, PALAZZOTTO, KRONBICHLER, COSTANTINO, DURANTI, GREGORI, NICCHI, PANNARALE e PELLEGRINO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, meglio noto come «decreto Lorenzin» si è proceduto all'individuazione e definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera;
   tale decreto segue l'esito della conferenza Stato-regioni che ha proceduto ad individuare parametri e standard relativi ai servizi ospedalieri e nello specifico l'accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane sul documento concernente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» del 16 dicembre 2010;
   per effetto di tale decreto, procede a chiusura dei «punti nascita» che non registrano un numero di parti su anno, pari o superiori al numero di 500; in tale situazione, con un numero di parti pari a 128 nel corso del 2014, si trova il punto nascite dell'ospedale Madonna dell'Alto nel comune di Petralia Sottana che serve l'intero comprensorio madonita in provincia di Palermo;
   da fonti di stampa si apprende che, in presenza di adeguato e moderno apparato tecnico e di una struttura moderna, il principale ostacolo per rientrare nei parametri riguarda il personale. Tale situazione, verificatasi già nei presidi di Corleone e Partinico, è stata risolta accorpando i due presidi e ricorrendo alla turnazione, garantendo così gli standard richiesti nelle more dell'assunzione del personale vincitore di concorso;
   a tal riguardo, è utile sottolineare la particolarità del territorio montano della Madonie, nonché la condizione della viabilità in direzione del punto nascite di Termini Imerese che, con la chiusura di Petralia, diventerebbe la struttura più vicina per numerosi comuni dell'area;
   tale situazione di particolarità comporta tempi di percorrenza vicini ai 90 minuti in condizioni meteorologiche buone o ottimali. Condizioni che, vista altezza e posizionamento geografico dei centri madoniti, sono da considerare situazioni non certo garantibili, soprattutto durante i mesi invernali;
   la particolarità del territorio è, per altro, evidente nella decisione di inserire l'area della Madonie nel percorso della strategia nazionale sulle aree interne. Ad evidenziarne una particolarità che poco si concilia con le scelte di chiusura e trasferimento dei servizi sanitari;
   nel corso del 2014, l'ospedale Madonna dell'Alto ha registrato circa 300 casi di interruzione volontaria della gravidanza e rimane l'unica struttura in grado di svolgere l'attività correlata alla legge n. 194 del 1978. Tanto da diventare struttura essenziale per garantire la reale applicazione della legge citata in una regione con circa l'80 per cento di medici «obiettori». A dimostrazione di ciò va registrato come le degenze relative alle procedure di interruzione volontaria della gravidanza registrate nell'ospedale di Petralia non siano riferibili solo alla popolazione residente nell'area delle Madonie;
   da notizie di stampa si apprende che altre strutture, pur in condizioni di parti su anno simili a quelle registrate a Petralia, otterranno una deroga per continuare ad operare;
   da tempo, nell'area madonita, amministratori locali e popolazione sono impegnati in una strenua difesa dei servizi sanitari, partendo proprio dall'ospedale Madonna dell'Alto;
   in data 8 gennaio 2016 i sindaci dei comuni di Gangi, Bompietro, Geraci Siculo, Alimena, Polizzi Generosa, Petralia Sottana, Petralia Soprana, Blufi Castellana Sicula hanno manifestato al prefetto di Palermo i rischi gravissimi se si dovesse giungere alla chiusura del punto nascite di Petralia;
   la chiusura del punto nascite appare, così come percepita dagli abitanti del comprensorio madonita, come l'ennesimo atto di disinteresse per un territorio che conta circa 27 mila residenti e vive tutte le difficoltà (collegamenti stradali, rischio idrogeologico, fenomeni di spopolamento) a cui un'area montana è esposta; in analoga situazione si trova il punto nascite di Mussomeli, in provincia di Caltanissetta, ospitato dall'ospedale «Longo»;
   la struttura costituisce l'unico punto di riferimento per l'area cosiddetta «Vallone-Alto Platani», composta da numerosi comuni della Sicilia interna a cavallo tra le province di Palermo, Agrigento e Caltanissetta e nello specifico i comuni di Mussomeli, Acquaviva Platani, Sutera, Campofranco, Milena, Bompensieri, Villalba, Vallelunga, Marianopoli, Casteltermini, Cammarata, S. Giovanni Gemini, Roccapalumba, Castronovo, Lercara, Alia, Valledolmo;
   come nel caso dell'ospedale Madonna dell'Alto di Petralia, il centro di Mussomeli serve un'area caratterizzata da notevolissimi disagi derivanti tanto dalle condizioni generali, che dallo stato di dissesto delle arterie provinciali;
   le condizioni, pertanto, appaiono, come nel caso di Petralia, foriere di rischi negli spostamenti per raggiungere i punti nascita alternativi, con lunghi tempi di percorrenza;
   la decisione della regione Marche di eliminare il punto nascite del reparto materno infantile dell'ospedale Bartolomeo Eustachio di San Severino Marche ha mobilitato tutta la popolazione del territorio afferente alla struttura, unita nel protesta contro tale decisione;
   oltre alla preoccupazione espressa alla regione dalle assise comunali, dai primi cittadini e dai presidenti delle unioni montane di San Severino Marche, Camerino e San Ginesio, si è costituito un comitato per la salvaguardia del punto nascite che serve un territorio dell'entroterra in gran parte montano, molto vasto e disagiato per quanto riguarda la viabilità che, soprattutto nel periodo invernale, moltiplica i tempi di percorrenza;
   tale comitato ha dato, e continua a dare, vita a varie manifestazioni di protesta che riempiono le piazze (11 dicembre 2015); il comitato a portato la protesta presso la sede della regione Marche (15 dicembre 2015), in occasione della discussione delle mozioni, cercando di dialogare con il presidente della regione Marche. Inoltre, esso si accingerebbe, a quanto si apprende da notizie diffuse dalla stampa, a firmare un esposto. Tali iniziative sono finalizzate a ottenere una revisione della decisione da parte della regione Marche;
   qualora il punto nascite di San Severino Marche venisse chiuso, l'utenza delle aree, interne e montane, sarebbe costretta a rivolgersi al reparto di ostetricia più vicino, situato a Macerata. In tale ipotesi, una donna si troverebbe ad affrontare, durante il travaglio, lunghi viaggi con il rischio di neve, gelo, incidenti, strade impervie, raddoppiando in più casi i tempi di percorrenza ad oggi previsti per raggiungere l'ospedale di San Severino Marche. Ciò anche in situazioni d'emergenza, dove è fondamentale la vicinanza alla struttura ospedaliera, quali parti improvvisi o distacchi di placenta come verificatosi nella cittadina, in un caso risalente agli inizi di novembre 2015, dove solo un tempestivo cesareo ha salvato la vita ad una mamma e a suo figlio nato prematuramente;
   nel reparto di ostetricia dell'ospedale Bartolomeo Eustachio ci sono un numero di nascite superiori alle 500, ma si è chiesto comunque di applicare il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70 (cosiddetto «decreto Lorenzin»);
   la regione non ha infatti ritenuto sufficienti, per conservare il servizio, le oltre 515 nascite effettuate sino alla data odierna, motivando la decisione con una questione di sicurezza, non essendo in quel nosocomio presente il reparto di rianimazione neonatale;
   tale valutazione mette in realtà, ad avviso degli interroganti, in risalto proprio il necessario investimento da fare per offrire ai cittadini un adeguato servizio sanitario;
   il comitato «tutti uniti per l'ospedale di Osimo» è composto da padri, padri e nonni che si oppongono alla scelta politica di chiudere i punti nascita senza tenere in debito conto le esigenze delle persone che vivono in territori dove gli spostamenti risultano più difficili;
   l'accordo Stato-regione dichiara che vengano chiusi i reparti sotto i 500 parti;
   Osimo ne conta una media di 650. L'accordo Stato-regione indica la riduzione del ricorso ai cesarei, di cui Osimo è al primo posto nelle Marche, col 29 per cento dei casi, su una, media nazionale del 38 per cento, e tale dato va considerato anche rispetto ad altri ospedali marchigiani, come ad esempio il Salesi, con il 51 per cento. Quindi, di conseguenza, il punto nascita di Osimo è primo anche per parti fisiologici con il 71 per cento dei casi;
   l'accordo Stato-regione impegna le regioni a migliorare, sostenere e proteggere l'allattamento materno alla nascita e nel puerperio, al fine di incrementare i centri delle nascite classificati «amico del bambino», secondo i criteri Unicef e Oms e Osimo è ospedale amico del bambino, con certificazione Unicef e Oms;
   nel punto nascita di Osimo vengono mamme dall'Umbria, dall'Abruzzo, dal Molise proprio in quanto esso è considerato eccellenza Unicef;
   Osimo ha gli stessi parti di strutture come Jesi, Fermo e Senigallia. Al Salesi già ci sono madri appoggiate in altri reparti, in quanto non riescono a soddisfare tutti, quindi è facile immaginare cosa succederebbe se chiudesse il punto nascita di Osimo, visto che il punto nascita più vicino e quello di Jesi a più di un'ora di strada;
   pochi giorni fa una ragazza ha partorito in ambulanza perché non è riuscita a raggiungere l'ospedale;
   la Val Musone conta 100.000 abitanti ed è spontaneo chiedersi quante mamme partoriranno in ambulanza per raggiungere Jesi, e quali conseguenze si potrebbero verificare in presenza di problemi correlati al parto come un'emorragia;
   la decisione della regione Marche di eliminare il reparto di ostetrica e ginecologia dell'ospedale Profili di Fabriano ha mobilitato la cittadinanza alla protesta. Un coordinamento cittadino si è infatti costituito proprio per cercare di impedire che questa decisione diventi operativa e per chiedere alla regione di applicare il decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, cosiddetto «decreto Lorenzin», della cui possibilità di attuazione il Ministro ha rassicurato direttamente il sindaco della città;
   nelle Marche altri punti nascita dell'entroterra saranno chiusi, San Severino Marche ed Osimo, salvaguardando, invece, gran parte dei punti nascita situati lungo la costa;
   Fabriano si trova in una zona montana, dove il clima è spesso avverso. Più volte, durante l'arco dell'anno, il traffico nell'unica strada che collega la città alla costa (e quindi all'ospedale di Jesi dove le donne dovranno andare a partorire, a partire dal 2016) viene interrotto a causa dei frequenti incidenti stradali che bloccano il traffico ogni volta per diverse ore. Le donne del comprensorio fabrianese dovranno intraprendere questo viaggio durante il travaglio, con il rischio di incontrare per strada neve, gelo, o di imbattersi in un incidente stradale;
   vi sono anche le situazioni d'emergenza come i parti improvvisi o i distacchi di placenta, solo per fare alcuni esempi, in cui la vicinanza della struttura ospedaliera è fondamentale;
   il coordinamento si è già mobilitato con tre manifesta ione a cui hanno aderito quasi 1.000 persone ed ha cercato di dialogare con il presidente della regione Marche, Luca Ceriscioli, al quale spetta la decisione, invadendo per giorni la sua bacheca Facebook, senza ottenere risposte affermative;
   la regione Marche ne fa un caso di sicurezza, in quanto manca la rianimazione neonatale sia ad Osimo che a San Severino, mentre a Fabriano è operativa, ma manca quella neonatale, mettendo in realtà in risalto proprio il necessario investimento da fare per offrire ai cittadini un adeguato servizio sanitario;
   va comunque sottolineato che vi sono ambiti territoriali più disagiati, dove, per peculiari caratteristiche di isolamento territoriale o difficoltà di trasferimento dei pazienti alle strutture ostetrico-ginecologiche più vicine, quali per esempio molte zone montane, è indispensabile mantenere punti nascita, seppur con un numero di parti annui inferiore a 500 o in deroga ad alcuni degli standard individuati dal suddetto accordo Stato-regioni –:
   quali siano i motivi per cui non si è inteso concedere alcuna deroga nei confronti dell'ospedale Madonna dell'Alto e dell'ospedale «Longo» di Mussomeli e quali siano i criteri in base ai quali detta deroga sia stata conosciuta invece alle strutture di Bronte e Licata;
   se la chiusura del punto nascite di Petralia non comporti, per quanto esposto, una ulteriore lesione del diritto alla scelta per le donne di cui alla legge n. 194 del 1978 riguardante l'interruzione volontaria della gravidanza;
   se non sia grave e foriero di pericolo costringere partorienti ad un viaggio verso la struttura di Termini Imerese con tempi di percorrenza superiori anche ai 90 minuti e con il rischio di fenomeni meteorologici quali neve, ghiaccio, nebbia soliti nelle aree montane nei periodi invernali;
   se le particolari condizioni dell'area su cui insiste l'ospedale Madonna dell'alto non siano tali da ritenere la struttura indispensabile per garantire i livelli essenziali di assistenza, il diritto alla salute e all'accesso alle cure;
   se il Ministro non ritenga, anche alla luce di quanto esposto in premessa, che le condizioni particolari delle aree interne della Sicilia meritino l'individuazione di un ulteriore parametro per la concessione del nulla osta operativo, oltre al criterio numerico dei parti registrati su base annua;
   se non si ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza, per le ragioni esposte in premessa, al fine di garantire la permanenza di punti nascita, seppur in deroga ad alcun parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 16 dicembre 2010;
   come si intendano garantire, per quanto di competenza, i livelli essenziali di assistenza e il diritto alla salute, che trova tutela al più elevato rango dell'ordinamento, in considerazione degli oggettivi rischi per la salute delle mamme e dei nascituri causati dalla difficoltà, dovute a viabilità limitata e caratteristiche meteo-territoriali disagiate, di raggiungere il nosocomio designato dalla nuova proposta di organizzazione avanzata dalla regione Marche;
   quanti e quali siano attualmente le strutture ospedaliere che non rispettano i parametri e gli standard suesposti;
   se non si ritenga di assumere iniziative volte a garantire la permanenza di punti nascita seppure al di sotto di 500 parti/anno e in deroga ad alcuni parametri e standard individuati dall'accordo raggiunto in seno alla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano del 16 dicembre 2010, qualora ubicati in aree critiche quali quelle dei territori montani o quelle segnate da frammentazione territoriale, o da particolari caratteristiche orografiche, o distanti da altre strutture ostetrico/ginecologiche di livello superiore. (4-12233)

  Risposta. — Con riguardo alla tematica in esame, si forniscono le seguenti valutazioni.
  In via preliminare si ricorda che l'accordo firmato il 16 dicembre 2010, tra il Governo e le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane riferito alle «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» ha impegnato tutte le regioni, comprese quelle cosiddette «in Piano di rientro» dal deficit sanitario, ad attuare 10 linee di azioni per la ridefinizione del percorso nascita.
  Tale accordo è scaturito dalla generale consapevolezza di dover implementare le misure fondamentali per garantire livelli accettabili di qualità e sicurezza per la madre e il nascituro.
  Di particolare importanza è, in tal senso, la definizione del volume minimo di parti, che, secondo la letteratura e le esperienze in materia, costituisce conditio sine qua non per configurare le condizioni organizzative, di competenza e di expertice, necessarie per la sicurezza del percorso nascita.
  In base a ciò, l'accordo ha previsto la chiusura dei punti nascita (PN) con un volume di attività inferiore a 500 parti/anno, in quanto non in grado di garantire sicurezza per la madre ed il neonato, nonché l'adozione di stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale, fissando il numero di almeno 1000 parti/anno quale parametro cui tendere.
  Va da subito chiarito che tale criterio non va ovviamente letto con accezione punitiva nei confronti della popolazione, poiché non scaturisce da mere finalità economiche di contenimento della spesa, bensì dalla necessità di fornire alla donna ed al neonato un'assistenza di livello elevato; tale garanzia può essere assicurata innanzitutto da adeguati standard operativi, tecnologici e di sicurezza, ma soprattutto dalla presenza, con livelli di operatività h24 intesa come guardia attiva, di personale qualificato che, potendo seguire una casistica numerosa, è in grado di effettuare un corretto inquadramento delle pazienti ed una corretta gestione della gravidanza, mantenendo ed accrescendo nel tempo la propria competenza. Ciò vale, ancor più, rispetto ad eventuali situazioni di emergenza che dovessero verificarsi durante il decorso della gravidanza, il parto e il post partum, che richiedono interventi appropriati, efficaci e tempestivi.
  Si sottolinea, peraltro, che il decreto ministeriale n. 70 del 2 aprile 2015 «Regolamento recante definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera» fa specifico riferimento agli standard operativi, tecnologici e di sicurezza contenuti nell'accordo del 16 dicembre 2010.
  L'accordo ha anche previsto la possibilità di persistenza dell'operatività di punti nascita in deroga al volume minimo di 500 parti/anno, esclusivamente in caso di reali situazioni orogeografiche critiche, ovvero in presenza di aree geografiche notevolmente disagiate, esclusivamente a condizione che in tali strutture siano garantiti tutti gli standard organizzativi, tecnologici e di sicurezza previsti per le unità operative ostetriche e neonatologico/pediatriche di 1o livello.
  In relazione a tale problematica, si sottolinea che il decreto ministeriale 11 novembre 2015, che integra i compiti e la composizione del Comitato percorso nascita nazionale (CPNn), ha demandato al predetto comitato il compito di esprimere un parere sulla richiesta, da parte delle regioni e delle province autonome, di deroghe per punti nascita con volumi di attività <a 500 parti/anno, sentiti anche i comitati percorso nascita regionali.
  Le richieste di deroga devono seguire un iter preordinato ed essere predisposte secondo un preciso «Protocollo metodologico» messo a punto dal Comitato percorso nascita nazionale.
  Fatte salve le valutazioni di carattere generale sopra formulate, nel merito di quanto rappresentato con gli atti ispettivi in esame, si forniscono le seguenti indicazioni.
  Da interlocuzioni con la regione Marche, si è appurato che effettivamente sono in via di predisposizione gli atti normativi di disattivazione di questi due punti nascita, in aderenza a quanto previsto dall'accordo del 16 dicembre 2010, che raccomanda «la razionalizzazione/riduzione progressiva dei punti nascita con numero di parti inferiore a 1000/anno, prevedendo l'abbinamento per pari complessità di attività delle unità operative ostetrico-ginecologiche con quelle neonato logiche/pediatriche».
  Si coglie l'occasione per ricordare che, a seguito delle modifiche al Titolo V della Costituzione, che ha demandato alle regioni la competenza legislativa in termini di organizzazione e realizzazione di risposte efficaci ai bisogni di salute di tutti i gruppi di popolazione, le scelte programmatorie e organizzativo/gestionali in tema di sanità sono di competenza delle regioni e delle province autonome. Il Ministero della salute non entra nel merito delle scelte strategiche adottate dalle regioni, ma verifica il rispetto dell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza (LEA), in termini di appropriatezza e di efficienza nell'utilizzo delle risorse e la congruità tra le prestazioni da erogare e le risorse messe a disposizione dal Servizio sanitario nazionale.
  La regione Marche con nota del 17 febbraio 2016, per quanto di sua diretta competenza, rispondendo ad una specifica richiesta del Ministero della salute, ha osservato quanto segue.
  Con deliberazione della giunta regionale n. 1345/2013, come modificata dalla deliberazione della giunta regionale n. 1219 del 27 ottobre 2014, la regione ha proceduto al riordino delle reti cliniche in coerenza con la riorganizzazione dell'offerta sanitaria regionale. Tale atto è stato predisposto con l'obiettivo di migliorare la qualità delle cure, garantirne l'omogeneità e migliorare l'efficienza del sistema ed ha tenuto conto delle indicazioni dell'Agenas e delle indicazioni contenute nel decreto ministeriale n. 70 del 2015, già sopra indicato, che ha definito le condizioni necessarie per garantire livelli di assistenza ospedaliera omogenei.
  Nelle richiamate deliberazioni della giunta regionale 1345/2013 e 1219/2014 sono stati fissati, tra l'altro, i criteri per la riorganizzazione dei punti nascita, introducendo i principi di gradualità, sicurezza, numero annuale dei parti, per orientare le scelte di riduzione dei punti nascita. Tra l'altro è raccomandato «di adottare stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale fissando il numero di almeno 1000 nascite/anno quale parametro standard a cui tendere, nel triennio, per il mantenimento/attivazione dei punti nascita; i punti nascita con un numero di parti inferiore a 500, privi di una copertura di guardia medico-ostetrica, anestesiologica e medico pediatrica h24 andavano chiusi entro il 2011. Tali principi sono già stati recepiti dalla giunta con la chiusura dei punti nascita con meno di 500 parti». Sono stati, pertanto, in quell'occasione chiusi i punti nascita al di sotto dei 500 parti (2 strutture del privato ed 1 struttura pubblica). La giunta, inoltre, ha esplicitato la volontà di «dare applicazione alle prescrizioni contenute nell'accordo Stato-regioni 16112/2010 in modo graduale, nei tempi necessari, in concertazione con il direttivo Anci; che tale gradualità sia legata al numero di parti nei singoli stabilimenti ospedalieri (dal più basso al più alto) e dalla presenza almeno della guardia medico-ostetrica, della guardia medico-pediatrica e anestesiologica H24».
  La gradualità dei tempi di riorganizzazione è stato, pertanto, rispettata e la data del 31 dicembre 2015 – come termine nel procedere alla chiusura dei punti nascita che non garantiscono le condizioni di qualità e sicurezza necessarie – sembra congruo con il percorso già avviato. Ulteriori deroghe non sono coerenti con le normative richiamate, esponendo la regione Marche al rischio di risultare inadempiente all'obbligo di erogare i livelli essenziali di assistenza in condizioni di sicurezza.
  Inoltre, al fine di garantire l'assistenza delle madre e dei neonati a rischio, con specifici provvedimenti regionali e aziendali, è stato attivato lo Stam (sistema di trasferimento sanitario della madre) per la centralizzazione delle donne, in procinto di partorire, con problematiche richiedenti un 2o livello assistenziale. In questo modo eventuali gravidanze con gravi prematurità (< alla 31 settimana), o con patologie congenite importanti, vengono centralizzate al Presidio Salesi dove e presente l'unica neonatologia di 2o livello, una terapia intensiva (DEA di 2o livello e la possibilità di effettuare interventi chirurgici (cardiologici, neurologici e di chirurgia generale) che si rendono necessari nell'immediato post nascita.
  Va anche detto che insieme allo Stam è attivo lo Sten (trasporto neonatale), che si attiva in caso di neonato con gravi patologie congenite o insorte alla nascita per le quali si rende necessario un ricovero nella neonatologia di 2o livello. L’equipe dell'ospedale Salesi (medico e infermiere) si reca al punto nascita interessato, per stabilizzare il neonato e trasferirlo al medesimo ospedale. Quando le condizioni lo permettono, la stessa equipe lo riconduce al punto nascita. Con queste modalità vengono garantite le urgenze emergenze legate al momento della nascita.
  Per quanto riguarda il punto nascita di Fabriano e di Osimo ci sono stati nel corso del 2015 rispettivamente n. 390 e n. 561; tali punti nascita rappresentano le sedi con minor numero di parti nel panorama regionale, insieme con l'ospedale di San Severino, dove nel corso del 2015, si sono registrati n. 537 parti, in diminuzione rispetto al valore del 2014 (n. 565) ma con il 45 per cento di parti cesarei: la media di parti oscilla tra i 7 e i 10 parti alla settimana, circa tra 1 ed 1,5 al giorno. Considerata la presenza di medici nei vari turni, si può dire che ogni medico assiste a circa un parto alla settimana e questo spiegherebbe il ricorso al parto cesareo e in ogni caso si traduce in una qualità assistenziale a rischio per le donne ed il nascituro.
  Peraltro, la mancanza di una guardia pediatrica in tutti e tre i nosocomi al momento del parto impedisce un intervento immediato per qualsiasi ipotetica complicanza che si possa verificare al momento o subito dopo il parto. È appena il caso di rammentare, che le ipossie perinatali rappresentano una delle più gravi cause di disabilità nel bambino con conseguenze socio-sanitarie per la famiglia e la società non valutabili.
  Inoltre, per quanto attiene al punto nascita di Osimo e di San Severino, si precisa che gli stessi sono allo stato operativi, in considerazione della pendenza di un giudizio amministrativo, in caso di rigetto delle istanze di sospensione dell'efficacia esecutiva dei provvedimenti impugnati, i suddetti punti nascita saranno chiusi.
  Alla luce di quanto sopra esposto, la chiusura dei punti nascita, partendo da quelli meno produttivi, quindi da subito Fabriano che non raggiunge neanche la soglia dei 500 parti anno e di seguito delle altre strutture con bassa numerosità di parti, porterà all'aumento volumetrico degli altri con raggiungimento degli standard di qualità che norme di accreditamento e società scientifiche dispongono.
  Per quanto attiene ai due punti nascita con parti ancora superiori ai 500/anno i tempi di percorrenza verso gli ospedali di riferimento sono inferiori ai 60 minuti.
  Inoltre, nelle situazioni particolarmente avverse la regione mette a disposizione i mezzi di soccorso straordinari mediante il Gores (Gruppo operativo regionale emergenze sanitarie) che in collaborazione tra sanità e protezione civile garantisce la salute di tutti i cittadini presenti sul territorio regionale.
  Per quanto attiene agli incidenti stradali sono ovviamente imprevedibili ed i mezzi di soccorso presenti sul territorio vengono attivati a seconda delle esigenze mettendo a disposizione tutte le risorse del 118 regionale compreso il servizio di elisoccorso.
  Si rappresenta che nella regione Marche sono presenti 2 elicotteri uno con sede base Fabriano e l'altro Ancona ed è attiva una convenzione regionale con il Soccorso Alpino.
  Da ultimo, la regione ha osservato che l'entrata in vigore dal 25 novembre 2015 della normativa europea sull'orario di lavoro, con l'obbligo non più eludibile, di garantire ai lavoratori (medici e personale del comparto) pause di riposo sufficienti tra un turno e l'altro e il divieto di superare un orario settimanale di 48 ore, rende di fatto oggettivamente impossibile mantenere l'attuale diffusione dei punti nascita per la mancanza di medici specialisti (ginecologi, anestesisti, pediatri) necessari a garantire la presenza per 24 ore.
Il Sottosegretario di Stato per la saluteVito De Filippo.


   ROCCELLA, PAGANO, SALTAMARTINI e CALABRÒ. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Ufficio nazionale antidiscriminazione razziale (UNAR) ha emanato un documento che va sotto il nome di Strategia nazionale per la prevenzione e il contrasto delle discriminazioni basate sull'orientamento sessuale e sull'identità di
genere (2013-2015), in esecuzione della raccomandazione CM/REC (2010) 5 del Comitato dei ministri del Consiglio d'Europa, volta a combattere la discriminazione fondata sull'orientamento sessuale o l'identità di genere;
   al punto 4.1.2 (Obiettivi e misure), il citato documento dell'UNAR ha previsto, «in relazione all'ambito “Educazione e Istruzione”», una particolare misura costituita dall’«arricchimento delle offerte di formazione con la predisposizione di bibliografie sulle tematiche LGBT e sulle nuove realtà familiari» (punto 2 dei paragrafo «misure»);
   in attuazione della summenzionata direttiva, presso il liceo classico Giulio Cesare di Roma, nelle prime classi del ginnasio (frequentate quindi da studenti minori di sedici anni), gli allievi sono stati obbligati a leggere un romanzo, dal titolo «Sei come sei» della scrittrice Melania Mazzucco, nel quale sono descritte con crudezza di linguaggio scene esplicite di sesso;
   il predetto romanzo, edito nel 2013, non pare agli interroganti essere già considerato una pietra miliare della letteratura nazionale, né può essere annoverato tra i classici della stessa letteratura, fatti leggere nelle scuole italiane accanto ad opere del livello della Divina Commedia, del Promessi Sposi, dell'Iliade, dell'Eneide, dell'Odissea, o di opere contemporanee di indiscusso valore letterario;
   nel citato romanzo il tema dei rapporti sessuali tra ragazzi dello stesso sesso viene trattato con crudezza di immagini ed un linguaggio a giudizio degli interroganti particolarmente sguaiato;
   nello stesso romanzo il delicato tema della procreazione assistita per coppie omosessuali viene poi trattato in termini che appaiono agli interroganti grossolanamente brutali;
   in merito a tali fatti l'associazione Giuristi per la Vita e l'associazione Pro Vita Onlus hanno presentato denuncia alla procura della Repubblica presso il tribunale di Roma;
   da quanto si è saputo dalla stampa, nel caso di specie non sono stati coinvolti i genitori degli studenti minori, a giudizio degli interroganti in palese violazione, tra l'altro, del diritto fondamentale riconosciuto, garantito e tutelato dall'articolo 26 della Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, nella parte in cui attribuisce ai genitori il diritto di priorità nella scelta di educazione da impartire ai propri figli, ed in palese violazione, peraltro, del diritto degli stessi genitori alla «corresponsabilità educativa», previsto dalle «linee di indirizzo sulla partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa», diramate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 22 novembre 2012 –:
   se i genitori degli alunni del liceo classico Giulio Cesare, minori tra i 14 e i 16 anni, non avessero il diritto di essere a conoscenza del contenuto del romanzo fatto leggere ai propri figli adolescenti;
   se, nel caso di specie, si sia violato il principio di «corresponsabilità educativa» contemplato nelle citate «linee di indirizzo sulla partecipazione dei genitori e corresponsabilità educativa», diramate dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il 22 novembre 2012;
   quali iniziative il Ministro intenda assumere perché non si violi la libertà e la
responsabilità educativa dei genitori, soprattutto in ambiti delicati come quello citato, e perché quindi fatti come quelli evidenziati nella presente interrogazione non accadano più in futuro nelle scuole pubbliche del nostro Paese. (4-04806)

  Risposta. — L'interrogazione in epigrafe verte su un episodio accaduto nell'anno scolastico 2014/2015 all'interno del liceo «Giulio Cesare» di Roma, ove alcuni docenti sono ricorsi, a scopo didattico, al libro di Melania Mazzucco «Sei come sei», suscitando una serie di polemiche che hanno trovato ampia eco anche sulla stampa.
  Proprio attraverso i mezzi di informazione la vicenda è giunta a conoscenza del Ministro, che ha svolto in proposito tutti gli accertamenti del caso.
  L'ufficio scolastico regionale per il Lazio ha fornito, su richiesta del Ministero, una dettagliata relazione con ampia documentazione a supporto, da cui è emerso che la lettura del libro citato è stata prevista nell'ambito di un progetto denominato «Invito alla lettura», condiviso tra studenti, professori e famiglie, iniziato già da due anni, e che fino a quel momento erano stati proposti 21 testi tra classici, moderni e contemporanei. Tale progetto affrontava, in particolare, tutte le situazioni di diversità, ivi comprese le differenze di nazionalità e quelle religiose.
  Atteso ciò, nessuna altra iniziativa è stata assunta dall'Amministrazione, essendo stato chiarito il contesto in cui si è sviluppata la vicenda portata all'attenzione della pubblica opinione.
  Con l'occasione, si ricorda che le scuole godono di autonomia, ai sensi dell'articolo 21, comma 7, della legge n. 59 del 1997, che si esplicita nella facoltà di scegliere metodologie, strumenti didattici, modalità e tempi dell'insegnamento «nel rispetto degli obiettivi del sistema nazionale di istruzione e degli standard di livello nazionale».
  Il concetto di autonomia richiama un sistema organizzativo che fa della scuola una comunità educante, nell'ambito di standard di qualità fissati a livello nazionale, e comporta da parte delle singole istituzioni scolastiche la costante interazione con tutte le componenti del processo educativo: personale della scuola, studenti e genitori, in linea con i principi enucleati nella nostra Costituzione.
La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Luigi Rossi, consigliere comunale di Quarto, in provincia di Napoli, ha denunciato il sindaco dello stesso comune, Rosa Capuozzo;
   il consigliere Rossi, esponente di una delle opposizioni consiliari, ha indicato nella denuncia di essere stato pubblicamente minacciato l'8 ottobre 2015 di quest'anno da una persona sino ad allora da egli sconosciuta per via di alcune questioni amministrative relative allo stadio comunale di Quarto e della partecipazione alla gestione dello stesso da parte dell'ASD Quartograd, locale squadra di calcio;
   in particolare, la persona in questione, un tesserato dell'ASD Quartograd, avrebbe scritto tali minacce in un commento pubblico su Facebook;
   in allegato ad un comunicato stampa diramato su Facebook il 18 ottobre 2015 l'ASD Quartograd ha pubblicato gli screenshots di una conversazione avvenuta oltre dieci giorni prima tra due soggetti, di cui uno risulterebbe essere il sindaco di Quarto Rosa Capuozzo;
   in tale conversazione il soggetto non identificato si riferisce al consigliere Rossi con toni palesemente minacciosi, ed in vista della seduta consiliare dell'8 ottobre 2015, in cui è prevista la risposta orale del sindaco ad un'interrogazione presentata dal consigliere Rossi sul campo sportivo locale, lo sconosciuto si offre di presenziare, evidentemente per incutere timore sull'esponente dell'opposizione;
   l'intento intimidatorio della proposta è del tutto evidente, tanto che il soggetto che sembrerebbe corrispondere al Sindaco Capuozzo risponde «non sarebbe male vedere Rossi spaventato»;
   si ricorda che le minacce ricevute, direttamente e indirettamente, dal consigliere Rossi sono arrivate dopo questa presunta conversazione –:
   se il Ministro interrogato sia già a conoscenza della vicenda e quali iniziative, per quanto di competenza, ritenga necessario assumere in merito, al fine di tutelare l'incolumità del consigliere comunale Rossi;
   se siano state inviate indagini a seguito dei fatti di cui in premessa. (4-10931)

  Risposta. — La vicenda oggetto dell'interrogazione riguarda i messaggi intimidatori ed ingiuriosi rivolti nello scorso mese di ottobre al signor Luigi Rossi, consigliere di opposizione del comune di Quarto dimessosi dalla carica nel corrente mese di gennaio.
  Si premette che la gestione dell'amministrazione comunale di Quarto, negli ultimi mesi, è stata caratterizzata da una forte contrapposizione tra maggioranza ed opposizione nonché all'interno della stessa maggioranza, che ha visto coinvolti il sindaco, i membri della giunta e del consiglio.
  I contrasti sono culminati nelle dimissioni dello stesso sindaco – dimissioni poi ritirate –, nonché di svariati assessori e consiglieri comunali, tra i quali ultimi proprio il signor Rossi.
  Venendo allo specifico episodio evidenziato nell'atto di sindacato ispettivo, consistito in minacce, ingiurie e commenti diffamatori rivolti contro il citato consigliere, diffusi sui social network, si rappresenta che lo stesso ha presentato una denuncia contro ignoti presso la tenenza Carabinieri di Quarto.
  Le espressioni minacciose sembrerebbero connesse alla richiesta di chiarimenti formulata dal consigliere con una interrogazione concernente la partecipazione della squadra locale «ASD Quartograd» alla gestione dello stadio comunale di Quarto.
  Si soggiunge che, nel corso di una riunione del consiglio comunale, il signor Rossi ha addebitato al sindaco la responsabilità di alcuni di questi messaggi ingiuriosi, generando un'accesa discussione politica, cui ha fatto seguito la controquerela per diffamazione sporta dal medesimo sindaco.
  Per completezza si rappresenta che il consigliere ha presentato, sempre nei confronti del sindaco, un'ulteriore denuncia ai Carabinieri, lamentando atteggiamenti asseritamente inopportuni che pregiudicherebbero la democrazia e la libertà di pensiero.
  Inoltre il signor Rossi ha inviato un esposto alla prefettura di Napoli, richiamando l'attenzione su alcune illegittimità ed irregolarità commesse dall'amministrazione comunale di Quarto che riguarderebbero i settori tecnico e urbanistico.
  Quanto alle iniziative assunte dalla prefettura di Napoli, si informa che le espressioni di minaccia nei confronti del signor Rossi sono state oggetto di esame in sede di riunione tecnica interforze convocata dalla prefettura, ai fini della valutazione dell'esposizione a rischio del consigliere. Nell'occasione, pur in assenza di attuali e concreti indicatori di pericolo, si è concordato di avviare un'attività di monitoraggio volta a verificare i presupposti per l'attivazione di misure di protezione a tutela dell'incolumità personale dell'allora consigliere.
  Si informa che il presidio dei Carabinieri destinatario delle denunce ha trasmesso la documentazione alla competente autorità giudiziaria.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   SCOTTO, PELLEGRINO, ZARATTI e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in data 16 luglio 2015, l'Italia è stata nuovamente condannata dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea per non aver rispettato, nella regione Campania, la normativa europea in materia di rifiuti;
   la condanna comporta una spesa ingente per il nostro Paese, stabilita in 20 milioni di euro forfettari ai quali si aggiungono 120 mila euro giornalieri a partire dal 16 luglio 2015, per ogni giorno in cui il sistema dei rifiuti campano non risulti adeguato alle direttive comunitarie;
    in una nota emessa dalla Corte in occasione della sentenza, le motivazioni che impongo agli Stati di adeguarsi alla normativa europea vengono chiarite in modo molto netto: «La direttiva relativa ai rifiuti ha l'obiettivo di proteggere la salute umana e l'ambiente. Gli Stati membri hanno il compito di assicurare lo smaltimento e il recupero dei rifiuti, nonché di limitare la loro produzione, in particolare promuovendo tecnologie pulite e prodotti riciclabili e riutilizzabili. Essi devono in tal modo creare una rete integrata ed adeguata di impianti di smaltimento, che consenta all'Unione nel suo insieme e ai singoli Stati membri di garantire lo smaltimento dei rifiuti»;
   la gestione dei rifiuti in Italia permane, tuttavia, fortemente arretrata, con gravi squilibri territoriali, consentendo in molti casi un intervento diretto da parte della criminalità organizzata;
   il fenomeno conosciuto come ecomafia ha, infatti, progressivamente intrecciato le proprie attività, con il business dei rifiuti, con la complicità di uno Stato latitante e di amministrazioni fortemente ambigue;
   in particolar modo, la Campania è la regione italiana più colpita dalla criminale gestione dei rifiuti; di appena qualche settimana fa è la notizia del rinvenimento di una nuova, gravissima, contaminazione, la discarica abusiva di Calvi Risorta (per la quale sono state presentate dal gruppo SEL nell'ultimo mese due interrogazioni a prima firma Scotto, 409589 e 4-09500) definita dal generale Sergio Costa, comandante regionale del Corpo Forestale, come «la più grande discarica europea di rifiuti industriali»: un'area di circa 25 ettari in cui sarebbero stati interrati, negli ultimi decenni, più di due milioni di metri cubi di rifiuti industriali;
   la Campania è conosciuta soprattutto per la drammatica situazione sviluppatasi nella zona che si estende a nord della provincia di Napoli sino a Caserta, la cosiddetta «Terra dei fuochi», il cui nome deriva dal diffuso fenomeno dei roghi tossici;
   i succitati fenomeni sono solo gli esempi più tragici ed eclatanti di una gestione dei rifiuti totalmente inadeguata, configurabile in molti casi come criminale;
   ciò risulta ancor più evidente se si rintracciano i numerosi interventi delle istituzioni comunitarie, che, nel corso degli anni, hanno ammonito e sanzionato il nostro Paese in più di un'occasione;
   nel 2007, in particolare, si è verificato nella regione Campania un grave stato di crisi, in relazione alla raccolta e allo smaltimento dei rifiuti solidi urbani;
   in seguito alla crisi è stato decretato uno stato di emergenza, approccio, purtroppo, estremamente diffuso nella gestione dei rifiuti, ma che, nella maggior parte, dei casi risulta aggravare situazioni già al collasso, senza essere in grado di produrre soluzioni sostenibili e durature;
   contestualmente all'avvio della crisi campana, la Commissione europea aprì una procedura di infrazione, deferendo l'Italia innanzi alla Corte di giustizia a causa della mancata creazione di una rete adeguata di impianti atta a garantire l'autosufficienza nello smaltimento dei rifiuti, sulla base del criterio della prossimità geografica, configurando un grave pericolo per la salute umana e l'ambiente;
   il 4 marzo 2010, la Corte di giustizia dell'Unione europea ha, dunque, condannato l'Italia con la sentenza C-297/08, per non aver rispettato la direttiva 2006/12/CE, ossia non aver garantito che tutti i rifiuti fossero smaltiti o recuperati senza pericolo per la salute dell'uomo e senza recare pregiudizio all'ambiente;
   nonostante la sentenza, negli anni 2010 e 2011 sono giunte alla Commissione numerose segnalazioni circa il permanere di situazioni fortemente critiche come l'accumulo di tonnellate di rifiuti in alcune città, oltre alla mai risolta questione delle ecoballe, sei milioni di rifiuti storici non ancora smaltiti che richiederanno più di 15 anni per essere eliminati;
   nel corso dei controlli relativi alla prima sentenza, la Commissione europea ha dunque constatato quanto ancora risulti inadeguato il trattamento dei rifiuti in Campania, ed ha deferito nuovamente l'Italia innanzi alla Corte di giustizia, con la conseguente, succitata, condanna, nella causa C-653/13;
   nella sentenza si è sottolineato come 5 anni di inadempienza risultino essere un periodo considerevole;
   quanto emerso in premessa, oltre a provocare incalcolabili danni alla salute umana e all'ambiente campani, costituirà un nuovo, significativo onere per lo Stato –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro per contribuire, nel rispetto delle competenze di autorità regionali e locali troppo spesso a giudizio degli interroganti intenzionalmente latitanti in una questione che intacca profondamente una pluralità di diritti fondamentali, alla definitiva risoluzione di una devastazione tanto estesa e prolungata nel tempo, per la quale risulta evidente la necessità di attivare sinergie con ogni soggetto in grado di intervenire positivamente, tra cui, in primis, cittadini, comitati, associazioni;
   nell'immediato, come intenda procedere per contenere gli effetti della sentenza, configurabili, oltre che nei 20 milioni di euro forfettari, in una spesa di 120 mila euro giornalieri per ogni giorno di inadempienza a partire dal 16 luglio 2015 risorse che, invece, avrebbero potuto essere investite positivamente per adeguare il sistema di rifiuti campano alla normativa comunitaria. (4-09899)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla sentenza di condanna della Corte di giustizia dell'Unione europea nei confronti dell'Italia per la gestione dei rifiuti urbani in regione Campania, si rappresenta quanto segue.
  In data 16 luglio 2015, la Corte di giustizia ha emesso una sentenza
ex articolo 260 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea (TFUE) (Causa C-653/13) nella quale dichiara e statuisce che l'Italia, non avendo adottato tutte le misure necessarie a dare esecuzione alla prima sentenza della Corte del 4 marzo 2010, è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza dell'articolo 260, paragrafo 1, TFUE, e, conseguentemente, è condannata a versare alla Commissione europea una sanzione pecuniaria nella forma di: a) una somma forfettaria di euro 20 milioni; b) una penalità giornaliera di euro 120.000 dovuta dal giorno di pronuncia della sentenza fino al completo adempimento della prima sentenza.
  La condanna consegue principalmente alla carenza nella capacità della regione Campania di gestire i propri rifiuti urbani.
  In particolare, la Corte considera che il numero di impianti aventi la capacità necessaria a trattare i rifiuti prodotti dalla regione Campania è insufficiente, dato che il trattamento di una parte cospicua dei rifiuti dipende da trasferimenti verso altre regioni e altri Stati.
  La penalità imposta dalla Corte di giustizia è suddivisa in tre parti, ciascuna pari ad un importo di euro 40.000 al giorno, calcolata per categoria di impianti da realizzare in attuazione del piano regionale di gestione dei rifiuti (discariche, termovalorizzatori e impianti di trattamento dei rifiuti organici) per un totale di euro 120.000 al giorno ed è dovuta fino a quando non saranno messi in esercizio gli impianti necessari a garantire l'autosufficienza nella gestione dei rifiuti urbani e allo smaltimento delle ecoballe.
  Con decisione del 22 settembre 2015, la Commissione europea ha chiarito le modalità di esecuzione della sentenza e comunicato le sue valutazioni in merito ai dati trasmessi dalle Autorità italiane, precisando che «almeno fino a quando non sia adottato un nuovo piano di gestione dei rifiuti conforme al diritto dell'Unione europea, e visto che, secondo l'attuale piano del 2012, in Campania occorre costruire anche capacità aggiuntiva di termovalorizzazione, la Commissione non potrà che chiedere il pagamento dell'integralità della penalità giornaliera». Inoltre, nel sottolineare che il nuovo piano dovrà basarsi su dati e analisi affidabili ed essere pienamente in linea con l'articolo 28 della direttiva 2008/98/CE, la Commissione ricorda che tale pianificazione «dovrà affrontare esplicitamente la questione delle ecoballe».
  A seguito della sentenza di condanna, la regione Campania ha adottato, con delibera di giunta regionale n. 381 del 7 agosto 2015, il documento intitolato «Indirizzi per l'aggiornamento del piano regionale per la gestione dei rifiuti urbani», dal quale si evincono le modalità con le quali la regione intende gestire il ciclo ordinano dei rifiuti nel nuovo Piano prevedendo la realizzazione di un'idonea rete impiantistica per il trattamento della frazione organica proveniente dalla raccolta differenziata dei rifiuti urbani e l'identificazione di ulteriori capacità di discarica, nonché una proposta per la valorizzazione dei rifiuti stoccati in balle.
  Il 25 novembre 2015 il Presidente della Repubblica ha emanato il decreto-legge n. 185, che all'articolo 2 prevede «Intendenti straordinari per la regione Campania» nel quale si elencano i compiti delegati al presidente della regione per dare esecuzione alla sentenza della Corte di giustizia europea.
  In ottemperanza alle disposizioni contenute all'articolo 2, comma 7, del decreto-legge n. 185 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 2016, n. 9, la regione Campania con la delibera di giunta n. 609 del 26 novembre 2015 ha approvato il piano stralcio operativo e in data 24 dicembre 2015 ha pubblicato anche la gara relativa allo smaltimento di una prima quota di ecoballe.
  Ai sensi dell'articolo 2, comma 1 del citato decreto-legge n. 185, la regione ha inoltre approvato, con delibera di Giunta il piano straordinario d'interventi. Quest'ultimo si configura come variante al vigente piano regionale e contiene misure atte alla risoluzione del problema delle ecoballe. Il 5 febbraio 2016, la regione Campania ha inviato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare l'informativa relativa all'avvio della procedura di
scoping di VAS per l'aggiornamento del vigente piano regionale alla luce sia degli indirizzi approvati lo scorso agosto, relativi alla gestione del ciclo ordinario, sia del piano straordinario degli interventi per la gestione delle ecoballe.
  Queste misure adottate dalla regione Campania, nonché le disposizioni normative adottate dal Governo il decreto-legge n. 185 del 25 novembre 2015, sono state oggetto di valutazione da parte della Commissione europea che ha notificato, con la decisione del 12 febbraio 2016, l'ingiunzione di pagamento della penalità giornaliera per il primo semestre successivo alla sentenza del 16 luglio 2015.
  Tale penalità ammonta a euro 22.200.000 e dovrà essere versata dallo Stato italiano entro la fine del corrente mese di marzo.
  La Commissione ha ritenuto di dover imporre il pagamento dell'integralità della penalità giornaliera così come prevista dalla sentenza e confermato che «poiché il piano di gestione dei rifiuti in Campania adottato nel 2012 è tutt'ora vigente, la Commissione europea non può che continuare a far riferimento a tale piano per definire quale sia la capacità di gestione dei rifiuti necessaria in Campania». In riferimento alla disposizioni adottate dal legislatore con il decreto-legge n. 185 del 2015, la Commissione segnala che il problema delle ecoballe non è la sola questione oggetto della sentenza del 16 luglio 2015. La sentenza riguarda infatti la più ampia questione del sistema di gestione dei rifiuti in Campania, e quindi la produzione attuale di rifiuti e non soltanto i rifiuti «storici».
  Alla luce di tali importanti chiarimenti da parte delle istituzioni europee, si conferma la necessità, più volte segnalata dal Ministero dell'ambiente, di adottare tutte le misure necessarie al fine di accelerare la realizzazione dell'impiantistica indispensabile alla gestione dei rifiuti urbani in regione Campania per dare piena esecuzione alla sentenza di condanna al fine di scongiurare il protrarsi degli onerosi esborsi conseguenti alle sanzioni pecuniarie inflitte al nostro Paese.
  Stante la diretta competenza della regione Campania per l'esecuzione della sentenza ed il notevole impatto che la sanzione comporta per le casse dello Stato, il Governo ritiene di dover esercitare il diritto di rivalsa di quanto pagato e ha previsto delle novità con la legge di stabilità 2016 (articolo 1, comma 813). La nuova procedura di rivalsa attivata dal Ministero dell'economia e delle finanze nei confronti dei soggetti responsabili delle violazioni che hanno determinato la sentenza di condanna prevede, infatti, un meccanismo di compensazione con i trasferimenti che lo Stato dovrà effettuare in favore dell'amministrazione regionale. Il Ministero dell'economia e delle finanze sta procedendo a definire, sentita la regione interessata, le modalità di reintegro delle anticipazioni effettuate.
  Ad ogni modo, in via di ordine generale, merita di essere richiamata la nuova disciplina introdotta con l'articolo 1, comma 814, della legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015). Proprio in considerazione della grande importanza e della notevole complessità degli adempimenti qui in discussione, il Governo si è fatto promotore dell'approvazione, in sede di legge di stabilità, di una normativa volta a rendere più celere ed efficace l'intervento sostitutivo dello Stato a garanzia di importanti diritti fondamentali degli individui nonché del corretto adempimento agli obblighi europei. Per giungere alla definitiva bonifica di questi siti è infatti necessario procedere ad una serie di attività, strettamente collegate le une alle altre: questo rende particolarmente difficile l'esercizio di un efficace potere sostitutivo da parte del Governo. La norma prevista in legge di stabilità consente al Governo – nel caso in cui ciò si renda necessario per far fronte a sentenze di condanna o a procedure di infrazione dell'Unione europea – di diffidare gli enti inadempienti alla realizzazione di uno specifico cronoprogramma, con la possibilità, nel caso di inadempimento anche ad uno solo degli atti indicati nel cronoprogramma, di una integrale sostituzione fino al pieno raggiungimento del risultato. Come è evidente, si tratta di uno strumento di grande accelerazione dei procedimenti ed è intenzione del Governo servirsene con decisione.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SGAMBATO, CARLONI, CAPOZZOLO, FAMIGLIETTI, MANFREDI, PALMA, PETRENGA, VALERIA VALENTE e SCOTTO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la seconda università degli Studi di Napoli, nota con l'acronimo SUN, è stata istituita con decreto MURST del 25 marzo 1991 e decreto del Presidente della Repubblica 27 aprile 1992, per scorporo dall'università degli studi di Napoli «Federico II» e con l'obiettivo di decongestionare il primo Ateneo napoletano;
   la SUN ha sedi nei comuni di Caserta (anche sede legale), Aversa, Capua, Santa Maria Capua Vetere e Napoli;
   nel corso dei suoi primi venti anni di attività, fino all'attuazione della legge 30 dicembre 2010, n. 240 «Norme in materia di organizzazione delle università, di personale accademico e reclutamento, nonché delega al Governo per incentivare la qualità e l'efficienza del sistema universitario», la SUN ha progressivamente attivato dieci Facoltà (medicina e chirurgia, giurisprudenza, economia, lettere, ingegneria, architettura, scienze matematiche fisiche e naturali, scienze ambientali, psicologia e scienze politiche) le cui sedi sono state dislocate nella provincia di Caserta, ad eccezione della sola facoltà di medicina con sede a Napoli;
   a seguito dell'attuazione della legge n. 240 del 2010, la riorganizzazione dell'Ateneo ha visto, nelle stesse aree scientifiche precedentemente coperte dalle Facoltà, l'istituzione di 19 Dipartimenti universitari di cui 9 di area medica con sede a Napoli e 10 nelle altre aree con sede nella provincia di Caserta dove attualmente prestano servizio circa il 60 per cento del personale docente e frequentano oltre il 70 per cento degli studenti dell'Ateneo;
   il 24 febbraio 2015 il rettore della SUN ha presentato la proposta di cambiamento del nome dell'università, e il Senato Accademico ha approvato la proposta invitando i Dipartimenti universitari a esprimere il proprio parere;
   le proposte su cui dovranno esprimersi i dipartimenti sono:
    università della Campania «Luigi Vanvitelli»;
    università «Luigi Vanvitelli»;
    università di Caserta;
   la prima denominazione fa riferimento al più ampio e generico territorio regionale, e rischia per questo di creare confusione nei rapporti con le altre Università della Campania e le rispettive aree di operatività;
   la seconda denominazione costituirebbe un'eccezione tra gli Atenei nazionali che, ad eccezione delle università telematiche, mantengono sempre un riferimento geografico nella propria denominazione;
   la Seconda Università degli Studi di Napoli e il suo acronimo SUN sono, di fatto, un brand attraverso il quale le attività didattiche e scientifiche dell'ateneo casertano sono noti e apprezzati nel contesto internazionale, grazie anche alla storia e alla fama culturale, artistica, scientifica e cosmopolita della città partenopea;
   la legge 9 maggio 1989, n. 168 «Istituzione del Ministero dell'università e della ricerca scientifica e tecnologica all'articolo 6 commi 9 e 10 prevede tra l'altro che «Gli statuti e i regolamenti di ateneo sono deliberati dagli organi competenti dell'università a maggioranza assoluta dei competenti. Essi sono trasmessi al Ministro che, entro il termine perentorio di sessanta giorni, esercita il controllo di legittimità e di merito nella forma della richiesta motivata di riesame. In assenza di rilievi essi sono emanati dal rettore. Inoltre che, Il Ministro può per una sola volta, con proprio decreto, rinviare gli statuti e i regolamenti all'università, indicando le norme illegittime e quelle da riesaminare nel merito –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopraesposti e se al momento della ricezione della modifica allo statuto, ai sensi dell'articolo 6 commi 9 e 10, intenda tenere conto dell'importanza di garantire il collegamento dell'immagine e dell'azione della SUN rispetto alla provincia di Caserta. (4-08844)

  Risposta. — L'interrogazione in esame verte sulla questione relativa al cambio di denominazione della seconda università degli studi di Napoli. Al riguardo, si forniscono di seguito le informazioni acquisite presso i competenti uffici del Ministero.
  Occorre premettere che il Sindaco della città di Caserta aveva fatto pervenire al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca la deliberazione del consiglio comunale – n. 9 del 29 gennaio 2015 – con la quale era stato approvato all'unanimità un ordine del giorno per la sostituzione dell'attuale denominazione «Seconda Università degli Studi di Napoli» con quella di «Università degli Studi di Caserta – Luigi Vanvitelli».
  Anche a seguito della presentazione dell'interrogazione cui si risponde e di altri atti di sindacato ispettivo sullo stesso argomento, la competente direzione generale del Ministero ha provveduto, con nota n. 6086 del 20 maggio 2015, a chiedere all'ateneo elementi di chiarimento in merito alla questione rappresentata.
  Il rettore ha dato riscontro con lettera del 3 giugno 2015 confermando che il senato accademico – con delibera del 31 marzo 2015 – ha approvato il cambio di denominazione dell'ateneo che prenderebbe il nome di «Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli».
  Il rettore ha precisato, in particolare, che la proposta è scaturita da un'esigenza delle rappresentanze interne dell'Università che insistono sul territorio casertano, presenti in misura pari al 60 per cento, a fronte del restante 40 per cento insistente sul territorio napoletano.
  L'università, nel rispetto del principio di autonomia di cui all'articolo 33 della Costituzione e della specifica normativa in materia, ha attivato le procedure amministrative di consultazione che hanno interessato non soltanto i competenti organi collegiali di ateneo, quali il senato accademico e il consiglio di amministrazione, ma anche i consigli di dipartimento e il consiglio degli studenti.
  Il rettore ha, inoltre, rappresentato che la sopra citata delibera del senato accademico ha tenuto conto della preferenza espressa in larga misura dalle componenti universitarie per la denominazione «Università degli Studi della Campania Luigi Vanvitelli», nella piena consapevolezza del valore storico, culturale e sociale di tale scelta, e che nel corso della seduta è stato affrontato anche l'aspetto relativo all'impegno economico da sostenere, evidenziando un costo contenuto rispetto ai benefici attesi e la natura di investimento a lungo termine finalizzata a non esaurire i suoi effetti nell'immediato.
  Posto ciò, si informano gli interroganti che il Ministero non ha ancora ricevuto dall'Università alcuna modifica statutaria inerente il cambio di denominazione, approvata secondo quanto previsto dall'articolo 51 dello statuto di ateneo.
  Qualora la modifica dovesse essere sottoposta all'attenzione della competente direzione generale, la stessa non mancherà di esercitare il controllo di legittimità e di merito previsto dall'articolo 6, comma 9, della legge n. 168 del 1989.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.


   SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte di Halloween, tra il 31 ottobre ed il 1° novembre 2015, più di 2.000 giovani hanno dato vita ad un rave party all'interno di alcuni capannoni abbandonati nel territorio comunale di Verrone, nel biellese;
   i giovani sono penetrati nei capannoni abbandonati senza alcuna autorizzazione;
   nulla ha impedito loro l'accesso alle infrastrutture, malgrado il sindaco di Verrone avesse fin dal gennaio 2015 emanato un'apposita ordinanza, invitando altresì i proprietari dei capannoni – il gruppo Auchan ed un soggetto imprenditoriale britannico – ad assumere i provvedimenti necessari alla bonifica e protezione delle aree loro appartenenti;
   i rave party sono abitualmente organizzati e promossi attraverso i social media, pubblicamente accessibili attraverso la rete internet, ed è quindi teoricamente possibile averne anticipatamente notizia ed assumere provvedimenti diretti ad evitarne lo svolgimento;
   i giovani sono arrivati da tutto il Nord Italia e persino dalla Francia;
   in occasione dei rave party, è frequente il consumo di alcoolici e sostanze stupefacenti, mentre si balla con musica ad altissimo volume;
   cessato il rave party, i giovani hanno lasciato l'area occupata in condizioni di grave degrado, cosparsa di rifiuti di ogni genere e persino deiezioni;
   alla luce di quanto precede, pare incredibile che nessuno si sia accorto di nulla o abbia fatto niente per impedire lo svolgimento di questo raduno;
   in effetti, almeno le forze dell'ordine hanno seguito a debita distanza gli eventi, preoccupandosi soprattutto che non degenerassero completamente, assumendo connotazioni ancora più pericolose per la quiete e la sicurezza pubblica;
   alcune delle macchine con le quali i numerosi giovani convenuti hanno raggiunto il sito della festa rave sono peraltro state identificate, circostanza che permetterà di risalire ai proprietari ed inviare loro l'eventuale notifica di apertura di indagini –:
   se la relativa passività che, a quanto pare, avrebbero dimostrato nella circostanza le forze dell'ordine si debba o meno ad un preciso indirizzo del Ministero dell'interno ed eventualmente cosa la giustifichi;
   quali iniziative si ritenga di dover e poter assumere per impedire che i capannoni abbandonati ed il territorio comunale di Verrone siano utilizzati in futuro per svolgervi ulteriori party selvaggi come quello che ha avuto luogo nella notte tra il 31 ottobre ed il 1° novembre 2015.
(4-11011)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, nel richiamare l'attenzione sul rave party, tenutosi a Verrone, in provincia di Biella, la notte tra il 31 ottobre e il 1o novembre 2015, con la partecipazione di circa duemila giovani, chiede quali iniziative si intendano adottare per impedire che il territorio di quel comune sia nuovamente interessato da analoghe manifestazioni.
  Innanzitutto, occorre tener presente che i
rave party sono eventi improvvisati ed organizzati in breve tempo e che la selezione dei partecipanti avviene attraverso una pubblicità mirata.
  Infatti, i canali privilegiati di diffusione dell'evento sono la creazione estemporanea di pagine
Facebook ad accesso limitato oppure il cosiddetto passaparola tramite WhatsApp, che presume l'appartenenza ad un gruppo ben definito di soggetti.
  È quindi complesso e difficile acquisire notizie preventive sull'organizzazione di queste manifestazioni. Il monitoraggio dei siti
web interessati, pur assiduamente effettuato dagli uffici di Polizia, non può oggettivamente garantire informazioni precise sul luogo in cui essi si svolgeranno.
  A ciò si aggiunga che, in genere, gli organizzatori sono soggetti provenienti da Stati limitrofi (soprattutto di nazionalità francese) che prediligono, notoriamente, organizzare gli eventi in questione in fabbricati dismessi situati nel territorio nazionale.
  Quanto alla manifestazione tenutasi nel comune di Verrone, si rappresenta che la questura di Biella ha ricevuto la segnalazione dello svolgimento del suddetto evento allorché era già in atto l'occupazione, da parte di un gruppo consistente di persone, dell'area in cui si trovano i capannoni della ex fabbrica Aiazzone.
  Pertanto essa, nella valutazione degli interventi da porre in essere a tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica, ha optato per un servizio di vigilanza e di controllo dell'evento, piuttosto che per un intervento coattivo, anche in considerazione delle peculiarità del territorio.
  Infatti, il luogo prescelto per lo svolgimento della festa risultava essere isolato e posto a circa due chilometri dalla stazione ferroviaria raggiungibile solo percorrendo un tratto di strada scarsamente illuminato. Un eventuale intervento degli operatori di polizia all'interno della struttura abbandonata, quindi, avrebbe potuto comportare conseguenze anche sull'incolumità fisica dei medesimi, giacché i capannoni in questione non sono illuminati e presentano pericoli.
  Tenuto conto di ciò, la questura ha disposto l'effettuazione di un servizio di vigilanza dinamica sul tratto della strada interessata e un posto di vigilanza fissa all'ingresso della ex fabbrica per tutta la durata dell'evento, al fine di evitare incidenti stradali che coinvolgessero i partecipanti e cittadini estranei all'evento.
  Nel contempo sono stati allertati i presidi sanitari ed il servizio del 118 per prestare soccorso immediato in caso di necessità.
  Il personale di polizia ha fatto ingresso nell'area dismessa solo nella mattina del 2 novembre 2015 per identificare e fare allontanare i partecipanti ancora presenti e verificare lo stato dei luoghi. Nella circostanza, sono stati segnalati all'autorità giudiziaria per il reato di invasione di terreni ed edifici 380 persone, tra le quali diversi minori.
  Al fine di adottare una strategia di prevenzione di tali manifestazioni, il prefetto di Biella ha convocato, il 26 novembre 2015, una seduta del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, durante la quale si è convenuto sull'opportunità di porre in essere, d'intesa con la società proprietaria dell'immobile dismesso, attività mirate, in particolare, a scoraggiare l'accesso alle zone interessate.
  È stata disposta anche un'attenta attività di monitoraggio sia dei siti dove si erano già svolti
rave party, sia dei soggetti residenti in provincia che si è ritenuto potessero diffondere notizie utili ad individuare preventivamente le aree destinate a tali manifestazioni.
  Tali misure hanno impedito di fatto che nei primi giorni di gennaio di quest'anno potesse svolgersi un altro
rave party.
  Infatti, la società proprietaria dell'immobile, informata tempestivamente dal comune di Verrone, dopo aver fatto posizionare dei dissuasori all'ingresso della struttura, ha predisposto nell'area un temporaneo servizio di guardiania e di vigilanza.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   SORIAL, ALBERTI, COMINARDI e BASILIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   secondo la ricerca del progetto «Respira – “Danni al Dna nelle cellule della mucosa buccale di bimbi d'età prescolare esposti ad alti livello di inquinamento urbano”», svolta a Brescia dalle facoltà di medicina e di ingegneria con fondi europei e la partecipazione della Loggia, l'aria avvelenata da polveri sottili provoca ai bimbi che vivono a Brescia alterazioni genetiche maggiori che nei minori che vivono nell'inquinatissima Calcutta, in India;
   tali alterazioni cromosomiche comportano significative probabilità di sviluppare, in età adulta, malattie tumorali;
   i danni delle polveri sottili sono ampiamente noti: dichiarate cancerogene dalla Iarc (agenzia internazionale per la ricerca sul cancro), in grado di provocare malattie respiratorie e cardiache, nella Pianura Padana sono in grado di abbassare di 3 anni l'aspettativa media di vita;
   la ricerca, pubblicata nei giorni scorsi su www.plosone.org, spiega come le microscopiche particelle di Pm 10 e soprattutto Pm 2,5 (il cui diametro è un quarto di centesimo di millimetro) una volta respirate entrino nel sangue e nelle cellule e lì producano le alterazioni: veri e propri danni genetici che, se si verificano nelle prime fasi della vita, sono considerati in grado di aumentare il rischio di carcinogenesi in età adulta;
   analizzando per due inverni consecutivi le cellule della mucosa della bocca raccolte con un semplice spazzolino in 222 bambini dai tre ai a sei anni sono state indagate le formazioni di micronuclei nelle loro cellule, poiché è stato dimostrato che i micronuclei sorgono maggiormente in presenza di agenti mutageni, come l'inquinamento e per questo sono ottimi bio-marcatori per verificare e quantificare gli eventuali danni genetici;
   i campioni biologici sono stati raccolti nel gennaio-febbraio del 2012 e 2013 dopo una lunga serie di giorni con livelli di polveri sottili e ossidi d'azoto superiori ai limiti europei e i risultati dello studio hanno mostrato una elevata frequenza di micronuclei proprio nei giorni di massimo inquinamento. «Frequenza statisticamente significativa e superiore di due o tre volte rispetto ai dati disponibili nella letteratura scientifica»;
   la media dei micronuclei riscontrati a Brescia è di 0,29 per cento mentre in altre ricerche internazionali è stato stabilito che in bimbi residenti in aree non inquinate la presenza di micronuclei varia da uno 0,03 per cento ad un massimo di 0,17 per cento;
   come sottolineato, i livelli di alterazioni riscontrati nei bimbi in città sono addirittura superiori a quelli trovati nei ragazzini indiani (dai 6 ai 17 anni) di Calcutta, che, secondo una ricerca del 2000, presentavano una media dei micronuclei dello 0,22 per cento; ma il valore dei bambini bresciani supererebbero anche quello di certi giovani uomini che lavorano in officine meccaniche;
   «I bambini sono i soggetti migliori per stabilire gli effetti dell'inquinamento atmosferico — ha sottolineato il professor Francesco Donato — visto che non fumano, non lavorano in ambienti poco salubri e la loro alimentazione non prevede troppa carne alla griglia, fonte dei cancerogeni idrocarburi policiclici aromatici(Ipa)»;
   la pianura Padana è una delle aree più altamente inquinate d'Europa poiché è una zona altamente industrializzata, con un importante livello di inquinamento atmosferico connotato da una serie di fonti emissive (traffico, ma anche acciaierie ed inceneritore) e, come riportato all'attenzione del Governo dall'interrogante con una interrogazione del 5 dicembre 2014, a tutt'oggi rimasta senza risposta, a Brescia l'inquinamento atmosferico fa più vittime degli incidenti stradali, la leonessa d'Italia ha infatti il triste e preoccupante primato di essere la città della Lombardia con l'aria più inquinata –:
   se i Ministri siano al corrente di quanto esposto in premessa e se non intendano attivarsi, nei limiti di competenze, affinché questa emergenza sanitaria e ambientale possa essere presa seriamente in considerazione e si ponga rimedio per il bene della salute di tutti i cittadini di Brescia, in primis dei più piccoli, per i quali rappresenta una terribile ipoteca sulla loro futura salute.
(4-05434)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, per quanto di competenza, si fa presente quanto segue.
  Preliminarmente, si segnala che nella città di Brescia la valutazione della qualità dell'aria ambiente è effettuata, per il materiale particolato PM10, tramite 2 stazioni fisse di monitoraggio, «Brescia Broletto» e «Brescia Villaggio Sereno».
  I dati di qualità dell'aria di materiale particolato PM10, misurati da tali stazioni a partire dal 2005, mostrano il superamento del valore limite giornaliero (valore limite di 50 μg/m3 da non superarsi per più di 35 giorni all'anno), mentre si rileva che dal 2013 le medie annuali rispettano il valore limite di 40 μg/m3. In generale, è comunque osservabile un miglioramento dei valori misurati rispetto agli anni precedenti sia in termini di media annua che di numero di superamenti.
  Estendendo l'analisi del
trend dei valori del materiale particolato PM10 dal 2002 al 2014 a tutti i capoluoghi lombardi, si può evidenziare come, dal 2013, il valore limite sulla media annua sia stato rispettato in tutti i capoluoghi, mentre il limite giornaliero è rispettato nei capoluoghi di Como, Lecco, Sondrio e Varese, con un miglioramento rispetto al 2013 in cui tale limite era rispettato solo nel capoluogo di Lecco. Si osserva, inoltre, che il numero di giorni di superamento della media giornaliera è fortemente diminuito nel tempo.
  Tali dati evidenziano, quindi, sebbene in un contesto di miglioramento generale della qualità dell'aria, come il problema dell'inquinamento da PM10 non sia circoscritto alla sala città di Brescia, ma esteso all'intero territorio della regione Lombardia.
  Da un punto di vista tecnico, parte del problema è identificabile nella specificità meteo-climatica e orografica della Lombardia, e dell'intero Bacino Padano, che determina una situazione particolarmente critica in quanto ostacola la dispersione degli inquinanti emessi in atmosfera e favorisce la formazione di composti secondari a seguito di reazioni chimiche (quali ozono, materiale particolato PM10 e PM2,5 e biossido di azoto NO2). Questa particolare criticità naturale del Bacino Padano rende particolarmente difficile il rispetto degli obiettivi di legge, nonostante gli sforzi sostenuti.
  Per tale ragione da anni la regione Lombardia, assieme alle altre regioni del Bacino Padano, promuove attività comuni di miglioramento della qualità dell'aria che nel tempo hanno consentito un costante e progressivo miglioramento dello stato della qualità dell'aria.
  La regione ha, quindi, approvato nel 2013 il nuovo piano regionale degli interventi per la qualità dell'aria, che costituisce il nuovo strumento di pianificazione e di programmazione regionale in materia di qualità dell'aria, aggiornando ed integrando quelli già esistenti ed individuando misure più rigorose per il contenimento delle emissioni. Tale Piano individua un insieme di azioni ed interventi suddivisi tra i tre macrosettori «Trasporti su strada e mobilità», «Sorgenti stazionarie e uso razionale dell'energia» e «Attività agricole e forestali», attuabili nel breve, medio e lungo periodo, efficaci per assicurare la massima riduzione degli inquinanti, tenendo in considerazione anche la relativa fattibilità e sostenibilità.
  Considerando l'effetto delle azioni di piano, la regione ha stimato che le nuove misure consentono il rientro all'interno del valore limite relativo alla media annuale di materiale particolato PM10 già dal 2015 su tutto il territorio regionale, mentre si evidenzia una maggiore difficoltà nel rientro del numero di superamenti del limite giornaliero, con orizzonte al 2020, per alcune zone/agglomerati, tra cui l'agglomerato di Brescia. Per tale zona le stime effettuate, con orizzonte temporale al 2015-2020, circa gli effetti derivanti dall'attuazione delle misure previste dal nuovo piano, mostrano comunque un
trend in diminuzione del numero di superamenti del valore limite giornaliero del materiale particolato PM10.
  A livello nazionale, si segnala che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha da tempo avviato una strategia volta a favorire l'individuazione di misure condivise da attuare congiuntamente nei territori del bacino padano, che ha condotto alla sottoscrizione, nel dicembre 2013, di un accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e trasporti, delle politiche agricole e della salute, competenti nei settori che producono emissioni in atmosfera, e le regioni e province autonome del bacino padano. In particolare, tale accordo prevede l'istituzione di appositi gruppi di esperti con il compito di analizzare i principali settori produttivi (trasporto merci e passeggeri, riscaldamento civile e risparmio energetico, industria, agricoltura) e di individuare, con riferimento ad ogni singolo settore, specifiche misure analizzate anche in relazione alle ricadute ambientali e agli effetti socio-economici. Le regioni del bacino padano dovranno, quindi, provvedere all'adozione delle misure elaborate dai gruppi attraverso una modifica dei propri piani di qualità dell'aria.
  Dall'attuazione di tale accordo è atteso pertanto un ulteriore contributo al percorso di risanamento in atto sul territorio nazionale finalizzato ad intervenire sulle fonti che contribuiscono ai superamenti, mirando in questo modo ad una generale riduzione delle concentrazioni degli inquinanti atmosferici critici sul territorio nazionale.
  Si segnala, infine, che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente, la conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
  In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), il protocollo prevede: l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale e alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Nel protocollo, inoltre, Ministero, regioni e Anci si sono impegnati a promuovere ulteriori misure tra cui il controllo e la riduzione delle emissioni degli impianti di riscaldamento delle grandi utenze, incrementando l'efficienza energetica e agevolando il passaggio a combustibili meno inquinanti, il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni (rinnovando il parco mezzi), misure di sostegno e sussidio finanziario per l'utenza del trasporto pubblico come, ad esempio, l'offerta di abbonamenti integrati treno/bus/metro/
bike o carsharing, sosta gratuita nei nodi di scambio extraurbani, corsie preferenziali per il trasporto pubblico e aree di totale pedonalizzazione, nonché la diffusione di buone pratiche agricole per limitare le emissioni di ammoniaca derivanti dalla somministrazione di fertilizzanti azotati o dagli allevamenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   VALIANTE e LENZI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   la legge 30 ottobre 2014, n. 161, recante «disposizioni per l'adempimento degli obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia all'Unione Europea» (legge europea 2013-bis), ha recepito le disposizioni dell'Unione Europea (direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003) in materia di ruolo sanitario finalizzate ad evitare eccessi lavorativi prolungati e a garantire la funzione dei riposi nei modi e nei limiti previsti per gli altri lavoratori. Tale legge, all'articolo 14 comma 1, sancisce esplicitamente che: «decorsi dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono abrogati il comma 13 dell'articolo 41 del decreto-legge 25 giugno 2008 n. 112 convertito con modificazioni dalla legge 6 agosto 2008 n. 133 e il comma 6-bis dell'articolo 17 del decreto legislativo 8 aprile 2003 n. 66». La direttiva 2003/88/Ce, così come alcune sentenze della Corte di giustizia europea, precisa che, essendo la stessa direttiva vigente in tutti i Paesi dell'Unione, si prevede l'automatico adeguamento nel corpo delle leggi di ciascuno Stato, indipendentemente dall'atto formale di recepimento, risultando così inefficaci le leggi dello Stato pregresse e soprattutto successive che ne ostacolino, in qualsiasi modo, la corretta applicazione. Considerando che il provvedimento è entrato in vigore il 25 novembre 2014, i dodici mesi transitori per il riallineamento ufficiale alla normativa europea e la consequenziale abrogazione delle disposizioni nazionali illegittime scadrebbero il giorno 25 novembre 2015, data dalla quale tutte le amministrazioni saranno obbligate a garantire direttamente e immediatamente ogni tutela prevista ai lavoratori del comparto sanitario. Le norme che regolamentano l'orario di lavoro e la durata minima dei riposi sono state, da sempre, un argomento molto dibattuto specialmente per il peggioramento delle condizioni legato al cosiddetto «blocco del turn over», per i risvolti che si generano in campo organizzativo e per le potenziali conseguenze sui risultati professionali, sulla salute del lavoratore e su quella dei pazienti. Proprio alla luce di tali considerazioni, specialmente nelle regioni la cui sanità è commissariata, l'applicazione puntuale delle nuove regole in presenza di «blocco da turn-over», per la mancanza di concorsi da oramai diversi anni, verosimilmente comporterebbe un blocco dell'attività di molti reparti ospedalieri il cui spesso scarso personale, proprio ricorrendo a turni straordinari, riesce a garantire la continuità delle prestazioni medico chirurgiche e che, ritrovandosi ad osservare riposi ed interruzioni di attività, determinerebbe una paralisi della regolare attività medico chirurgica con consequenziale chiusura di diversi reparti ospedalieri soprattutto in quelle zone già fortemente penalizzate –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per scongiurare, in seguito all'entrata in vigore delle nuove norme il 25 novembre 2015, la paventata paralisi dell'attività sanitaria di molti nosocomi con relativo enorme danno alla collettività o, in alternativa, quali iniziative intenda porre in essere per modificare il regime del blocco del turn-over garantendo così un opportuno supporto mediante assunzione di nuovo personale.
(4-12209)

  Risposta. — La direttiva 2003/88/CE del 4 novembre 2003, al fine di tutelare la salute e la sicurezza dei lavoratori, ha inteso disciplinare l'organizzazione dell'orario di lavoro, coordinando le disposizioni contenute nella direttiva 1993/104/CE con quelle della direttiva 2000/34/CE.
  Il nostro Paese ha recepito tale disciplina normativa con il decreto legislativo 8 aprile 2003, n. 66, entrato in vigore il 29 aprile 2003, il quale, nel regolamentare l'articolazione dell'orario di lavoro, detta principi in materia di riposi, ferie, lavoro notturno e straordinario.
  Tali disposizioni trovano applicazione sia per i dipendenti privati che per quelli pubblici, quindi anche per il personale del comparto sanità.
  In particolare, l'articolo 7 del decreto legislativo n. 66 del 2003, garantisce ai lavoratori il diritto ad undici ore di riposo consecutivo nel corso di ogni periodo di 24 ore; mentre l'articolo 4 fissa in 48 ore, comprese le prestazioni straordinarie, la durata massima settimanale dell'orario di lavoro.
  La legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), ha introdotto una prima deroga al decreto legislativo n. 66 del 2003, riguardante il riposo del personale delle aree dirigenziali degli enti e delle aziende del Servizio sanitario nazionale.
  L'articolo 41, comma 13, del decreto-legge n. 112 del 2008, convertito dalla legge n. 133 del 2008, ha apportato una seconda deroga relativamente al limite massimo dell'orario di lavoro settimanale.
  Dette deroghe hanno determinato, nel 2012, l'avvio da parte della Commissione europea di una procedura di infrazione nei confronti del nostro Paese, per contrasto della normativa italiana concernente l'orario di lavoro dei medici e del personale del ruolo sanitario del Servizio sanitario nazionale con la normativa comunitaria.
  Le giustificazioni presentate nelle sedi comunitarie dal Governo italiano non sono state ritenute sufficienti per porre termine alla procedura di infrazione; per cui, negli ambiti della legge 30 ottobre 2014, n. 161 (legge europea 2013-
bis), si è resa necessaria l'introduzione dell'articolo 14, norma finalizzata ad abrogare le disposizioni oggetto dell'attenzione della Commissione europea.
  Peraltro, al fine di garantire la continuità nell'erogazione dei livelli essenziali delle prestazioni, l'abrogazione di tali disposizioni è stata differita di un anno, con l'obiettivo di consentire alle regioni di avviare specifiche procedure di riorganizzazione e razionalizzazione delle strutture e dei servizi, anche tenendo conto della riorganizzazione della rete ospedaliera prevista dall'articolo 15, comma 13, lettera
c), del decreto-legge n. 95 del 2012, convertito dalla legge n. 135 del 2012.
  Inoltre, è stata rinviata ai contratti collettivi nazionali di lavoro del settore la disciplina delle eventuali deroghe alle disposizioni in materia di riposo giornaliero dei personale del Servizio sanitario nazionale, nel rispetto dei limiti previsti dalle norme europee.
  A tal riguardo, il comitato di settore in data 4 novembre 2015 ha approvato un apposito atto di indirizzo, al fine di individuare, nell'ambito della contrattazione collettiva, le eventuali deroghe e le connesse misure rivolte a consentire il pieno recupero psicofisico del personale interessato.
  Nel contempo, per consentire alle aziende sanitarie di superare le difficoltà nell'organizzazione dei servizi e nell'erogazione delle prestazioni ai pazienti, tenuto conto che le limitazioni al «
turn over» introdotte negli ultimi anni hanno comportato disagi nel Servizio sanitario nazionale, la legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) all'articolo 1, commi 541 e seguenti, ha previsto uno specifico percorso di programmazione regionale dei fabbisogni del personale, allo scopo di consentire l'indizione di procedure concorsuali straordinarie nel periodo 2016-2017, onde far fronte alle esigenze emerse.
  Dette procedure verranno in parte riservate ai lavoratori precari già operanti nel settore della sanità.
  Nelle more della predisposizione e della verifica dei piani inerenti al fabbisogno del personale, le regioni, dal 1o gennaio 2016 e fino al 31 luglio 2016, laddove emergano criticità nell'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, possono ricorrere a forme di lavoro flessibile, nel rispetto della normativa vigente in materia sanitaria, e quindi anche delle disposizioni che contemplano il contenimento del costo del personale ed i piani di rientro.
  Se al termine di detto periodo dovessero permanere condizioni di criticità, i contratti di lavoro attivati potranno essere prorogati fino al termine massimo del 31 ottobre 2016.
  Queste misure consentiranno alle regioni di verificare i reali fabbisogni del personale, nonché di fronteggiare le criticità derivanti dalle disposizioni in materia di orario di lavoro.
  In effetti, una nuova, ulteriore deroga alla disciplina comunitaria, anche se parziale o temporanea, avrebbe generato contenzioso sia a livello comunitario, con la probabile apertura di una seconda procedura di infrazione, sia a livello nazionale, dal momento che molti professionisti sanitari hanno già avviato azioni legali nei confronti dello Stato italiano per i danni lamentati a causa della violazione della disciplina europea sull'orario di lavoro.
  Per completezza, rammento anche la misura introdotta ai sensi dell'articolo 4-
bis del decreto-legge n. 158 del 2012, convertito dalla legge n. 189 del 2012, per fronteggiare le carenze delle figure professionali sanitarie segnalate dalle regioni in piano di rientro.
  In tali regioni, infatti, il blocco del «
turn-over» del personale «può essere disapplicato, nel limite del 15 per cento e in correlazione alla necessità di garantire l'erogazione dei livelli essenziali di assistenza, qualora i competenti tavoli tecnici di verifica dell'attuazione dei piani accertino (...) il raggiungimento, anche parziale, degli obiettivi previsti nei piani medesimi».
La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della segnalazione inviata da «Il Fatto Alimentare» al Ministero della salute sulla vendita in Italia di olio di palma vergine contaminato da un colorante cancerogeno e genotossico (Sudan IV), il sistema di allerta rapido europeo (RASFF) ha allettato le autorità sanitarie regionali, invitandole a fare accertamenti per ritirare i prodotti interessati;
   il livello d'allarme è alto perché c’è un precedente simile che avvenne nel 2003-2004, in cui centinaia di prodotti italiani furono ritirati perché contaminati dal Sudan I, un colorante simile al Sudan IV;
   secondo le informazioni rese note da Bruxelles, si tratterebbe di olio di palma proveniente dal Ghana, importato dall'Olanda. I Paesi interessati sono 10, ossia: Austria, Belgio, Danimarca, Finlandia, Francia, Germania, Ghana, Irlanda, Olanda e Spagna;
   i valori di contaminante oscillano da 596 a 1210 μg/kg – ppb;
   il caso è scoppiato quasi un mese fa, il 21 ottobre 2015, quando la Food and Drugs Authority del Ghana ha invitato i consumatori a non utilizzare l'olio di palma, dopo che le analisi condotte dall'Autorità per la sicurezza alimentare su 50 campioni venduti nei maggiori mercati della regione della capitale Accra hanno rilevato la presenza, nel 98 per cento dei casi, del colorante genotossico e potenzialmente cancerogeno Sudan IV, di solito usato per dare una certa tonalità rossastra a solventi, cere, oli e lucido per scarpe;
   il problema coinvolge anche l'Europa e l'Italia, perché confezioni di olio di palma rosso sono esportate e vendute via internet e nei negozi etnici. In Gran Bretagna, ad aprile, è stato ritirato dal commercio un olio di palma senza etichetta del Ghana venduto da Kemtoy Miyan Cash & Carry. A luglio 2015, la stessa sorte ha interessato un altro lotto proveniente dal Ghana, marchiato Zdomi, commercializzato da Fovitor International, per la presenza di Sudan IV. Un'inchiesta avviata dalle autorità del Ghana sul Fovitor Zdomi Palm Oil ha scoperto che il fornitore, Miva Lifeline Limited, non aveva chiesto l'autorizzazione per esportare nella Unione europea, dove è richiesta l'assenza del Sudan IV;
   su internet sono acquistabili diverse marche di prodotti con olio di palma: pochi giorni fa c’è stato un altro caso. Il 30 ottobre 2015 il sistema rapido di allerta europeo (Rasff) ha segnalato in Francia la vendita di olio di palma del Ghana proveniente dall'Olanda, con il colorante Sudan IV;
   «Il Fatto Alimentare» ha segnalato al Ministero della salute, Direzione generale per l'igiene e la sicurezza degli alimenti e la nutrizione, la presenza di diverse marche di olio di palma provenienti dal Ghana acquistabili da siti internet in lingua italiana, chiedendo in via precauzionale la sospensione delle importazioni di olio di palma dal Ghana. L'invito a non utilizzarlo dovrebbe essere rivolto anche a industrie, ristoratori e consumatori sino a che non saranno disponibili i risultati delle analisi di questi prodotti, per verificare l'eventuale presenza del colorante Sudan IV –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti descritti in premessa e, in caso affermativo, quali iniziative hanno posto o intenderanno porre in essere per salvaguardare la salute pubblica;
   se in Italia siano stati importati quantitativi di olio di palma contaminato dal Sudan IV proveniente dal Ghana e, nel caso ciò sia avvenuto, quali siano stati i controlli avviati finora al fine di determinare la presenza dell'olio di palma vergine sia in purezza, che come ingrediente, nei preparati delle industrie agroalimentari;
   se i Ministri interrogati non ritengano urgente assumere iniziative, per quanto di competenza, per bloccare, in via precauzionale, le vendite on line di olio di palma vergine proveniente dal Ghana e comunque anche da quei Paesi che non garantiscono gli stessi standard di qualità e sicurezza alimentare del sistema italiano, finché non sia stato preventivamente appurato la presenza del Sudan IV o altri prodotti genotossici nell'olio di palma utilizzato nella nostra filiera di produzione e consumo. (4-11194)

  Risposta. — Il sistema di allerta rapido europeo RASFF (Rapid Alert System for Food and Feed) consente di notificare i rischi diretti e indiretti per la salute pubblica connessi ad alimenti, mangimi e materiali a contatto, e quindi, di adottare tempestivamente le opportune misure di salvaguardia e di comunicarle a tutti i membri del «network».
  Istituito sotto forma di rete (regolamento CE 178/2002), i cui punti di contatto sono la Commissione europea, gli Stati membri dell'Unione e l'Efsa, si attiva attraverso procedure standardizzate, quando un prodotto che presenta o può presentare un pericolo per la salute, ha raggiunto il mercato europeo.
  È la Commissione europea ad attivare, attraverso il RASFF, le allerta diffondendole ai punti di contatto europei, e non le comunicazioni pubblicate su
blog, quali il «Fatto Alimentare».
  Relativamente all'allerta sul colorante Sudan IV attivata dalle autorità sanitarie francesi su olio di palma proveniente dal Ghana, importato dall'Olanda, si rappresenta quanto segue.
  La notifica 2015.1364 è stata attivata in data 30 ottobre 2015 per riscontro del colorante Sudan IV in diversi lotti di olio di palma di provenienza Ghana campionati sul mercato.
  La Commissione europea richiedeva al punto di contatto dell'Olanda, dove ha sede l'importatore, ulteriori informazioni e maggiori dettagli sull'origine del prodotto, sull'esportatore e sulla distribuzione.
  Solo in data 11 novembre 2015 le autorità olandesi comunicavano le liste di distribuzione, che riguardavano anche clienti italiani siti nelle regioni Veneto e Lombardia.
  Il Ministero della salute ha prontamente comunicato le informazioni ricevute dal RASFF a tutti gli assessorati alla sanità delle regioni e province autonome, per gli adempimenti dei provvedimenti di competenza, comprese le successive azioni di ritiro e di richiamo dei lotti/prodotti sotto allerta.
  Inoltre, considerando che il colorante Sudan IV è stato identificato in più lotti, con la stessa nota, datata 12 novembre 2015, è stato chiesto agli assessorati alla sanità delle regioni e province autonome, per motivi precauzionali, di incrementare i controlli sul territorio nazionale e di effettuare campioni ufficiali per la ricerca del colorante non autorizzato in olio di palma, anche in lotti diversi da quelli segnalati dalle autorità olandesi.
  Questo Ministero ha inoltre pubblicato, nel proprio sito istituzionale, un avviso di sicurezza per informare i consumatori in merito a tale problematica sanitaria.
  Gli assessorati alla sanità, a seguito della richiesta di rafforzare i controlli nel territorio nazionale, hanno comunicato di aver effettuato campionamenti di olio di palma presso depositi, negozi di alimenti e ristoranti etnici.
  Le informazioni pervenute dal RASFF hanno consentito l'attivazione di controlli rafforzati all'importazione da parte degli uffici di sanità marittima, aerea e di frontiera di questo Ministero sull'olio di palma.
  Ad oggi, non risultano importazioni dirette dal Ghana di olio di palma.
  Da ultimo si precisa che l'invito a non utilizzare olio di palma proveniente dal Ghana, rivolto ad industrie, ristoratori e consumatori, anche per i lotti non interessati dalla notifica di allerta, risulterebbe ingiustificato dal punto di vista legale.

La Ministra della saluteBeatrice Lorenzin.


   ZAN. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il prossimo 30 agosto 2014 scadrà il mandato di Paolo Jacolino, attuale provveditore agli studi di Padova;
   il ruolo di provveditore viene stabilito, dal direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale, il cui ufficio, in Veneto, è vuoto ormai da circa tre anni: a oggi, dunque, nessuno potrebbe neppure firmare l'incarico per il nuovo provveditore agli studi;
   l'ultima a occupare il ruolo di direttore generale è stata Daniela Palumbo, che da gennaio del 2011 svolge attività presso il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca; dopo di lei, l'ufficio regionale veneto fu affidato alla reggenza di Daniela Beltrame, che dopo circa sei mesi fu promossa a direttore generale in Friuli Venezia Giulia. Così il posto è stato preso dalla vice-direttrice, Gianna Marisa Miola, approdata alla pensione dall'inizio di maggio del 2014;
   la lacuna dirigenziale coinvolge oggi non uno bensì due incarichi: il direttore e il suo vice;
   la mancanza di un direttore generale si traduce nell'impossibilità di firmare deleghe, e ciò porta inevitabilmente alla paralisi di una serie di provvedimenti, tutt'altro che secondari: dalle assunzioni ai licenziamenti, dalle visite ispettive alla contrattazione sindacale, fino alla rappresentanza in tribunale, in caso di contenziosi;
   la questione riguarda anche le diverse migliaia di docenti che, in Veneto, dovrebbero entrare in ruolo a seguito dell'ultimo concorso: circa 18.000 contratti, secondo una stima approssimativa, che, senza la firma del direttore generale, rischiano di rimanere in fase di stallo per un tempo di fatto indeterminato;
   la spending review prevedeva l'accorpamento tra Veneto e Friuli con un unico direttore generale, ma a oggi non è chiaro quale sia la linea che il Ministero intende perseguire –:
   quali iniziative il Ministro intenda adottare al fine di assicurare quanto prima alla regione Veneto la presenza stabile di un direttore generale dell'Ufficio scolastico regionale così da impedire la paralisi dell'ufficio e di tutti gli adempimenti connessi all'esercizio delle sue funzioni, ivi compresa l'impellente necessità di nomina del nuovo provveditore agli studi di Padova. (4-06078)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame si chiedono notizie concernenti l'ufficio scolastico regionale del Veneto e in particolare la nomina del direttore generale dell'ufficio scolastico regionale e del dirigente dell'ambito territoriale di Padova.
  Al riguardo, occorre precisare in primo luogo che il Ministero non ha effettuato alcun accorpamento di uffici scolastici regionali bensì ha perseguito l'obiettivo della
spending review attraverso la sola riorganizzazione interna degli stessi uffici scolastici regionali e prevedendo che quelli con popolazione studentesca di scarsa entità potessero essere retti da un dirigente di livello non generale. Pertanto, nell'assetto delineato dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 98 dell'11 febbraio 2014, di riorganizzazione del Ministero, anche gli uffici scolastici regionali per il Veneto e per il Friuli-Venezia Giulia hanno mantenuto la loro autonomia.
  A seguito dell'adozione del predetto decreto, sono stati nominati i nuovi direttori generali: il nuovo direttore generale dell'ufficio scolastico regionale per il Veneto, dottoressa Daniela Beltrame, si è insediata in data 10 settembre 2014.
  Con riguardo all'ambito territoriale di Padova, si precisa che:
   come ricordato dall'interrogante, al 31 agosto 2014 scadeva l'incarico dirigenziale non generale, conferito ai sensi dell'articolo 19, comma 5-
bis del decreto legislativo n. 165 del 2001, relativo al suddetto ambito territoriale;
   a conclusione della prevista procedura per il conferimento dell'incarico in questione, con decreto del capo dipartimento per la programmazione e la gestione delle risorse umane, finanziarie e strumentali di questo Ministero, n. 49 dell'8 settembre 2014, è stato individuato quale destinatario dell'ufficio lo stesso dottor Paolo Jacolino;
   in data 17 settembre 2014, il dottor Paolo Jacolino ha assunto servizio presso l'allora Ufficio IX – ambito territoriale per la provincia di Padova.

  Per completezza, si informa che con successivo decreto ministeriale del 18 dicembre 2014 è stata definita la nuova organizzazione dell'ufficio scolastico regionale per il Veneto, nella quale i territori delle province di Padova e Rovigo sono stati riuniti in un unico ambito territoriale, l'Ufficio V, che svolge le funzioni elencate nel terzo comma dell'articolo 8 del citato decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 98 del 2014 e le altre previste dalla vigente normativa.
  Attualmente, all'Ufficio V, relativo all'ambito territoriale in questione, è preposto il dottor Andrea Bergamo.

La Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricercaStefania Giannini.