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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 5 aprile 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 1 del Regio decreto legge n. 246 del 1938 prevede che «Chiunque detenga uno o più apparecchi atti od adattabili alla ricezione delle radioaudizioni è obbligato al pagamento del canone di abbonamento, giusta le norme di cui al presente decreto. La presenza di un impianto aereo atto alla captazione o trasmissione di onde elettriche o di un dispositivo idoneo a sostituire l'impianto aereo, ovvero di linee interne per il funzionamento di apparecchi radioelettrici, fa presumere la detenzione o l'utenza di un apparecchio radioricevente.»;
    la giurisprudenza concorda che ciò che impropriamente la legge definisce «canone di abbonamento al servizio radiotelevisivo pubblico» è un'imposta dovuta per la semplice detenzione di un apparecchio televisivo, indipendentemente dalle modalità di utilizzo;
    la legge 28 dicembre 2015, n. 208, modificando il regio decreto, ha introdotto una nuova presunzione di possesso dell'apparecchio televisivo legata alla presenza di un contratto di fornitura di energia elettrica nel luogo in cui il soggetto ha la sua residenza anagrafica;
    la Corte Costituzionale ha chiarito come non debba sussistere una relazione diretta tra le entrate che derivano dal canone e quelle che poi vengono effettivamente destinate alla Rai, dal momento che il beneficiario dell'imposta è lo Stato ed in subordine la sua concessionaria;
    il decreto attuativo per stabilire i termini e le modalità per il pagamento del nuovo canone Rai avrebbe dovuto essere emanato entro il 14 febbraio 2016;
    la bozza del decreto che è stato trasmesso al Consiglio di Stato da indiscrezioni sembra preveda una procedura piuttosto macchinosa: l'acquirente unico dovrà trasmettere all'Agenzia delle entrate le informazioni relative ai contratti elettrici; l'Agenzia delle entrate, sulla base delle informazioni disponibili nel sistema informativo dell'anagrafe tributaria, individua i contratti per i quali il luogo di fornitura corrisponde al luogo di residenza dei clienti e li trasmette all'acquirente unico. Entro il 31 ottobre di ogni anno l'Agenzia delle entrate dovrà comunicare all'acquirente unico gli aggiornamenti sulla base delle variazioni di residenza, che a sua volta dovrà rendere disponibili le informazioni per le società elettriche, tramite il sistema informativo integrato. L'Agenzia delle entrate dovrà trasmettere all'acquirente unico, entro 15 giorni dall'emanazione del decreto ministeriale, le informazioni sui soggetti che hanno presentato le dichiarazioni di non detenzione degli apparecchi televisivi. Inoltre, dovrà fornire anche le informazioni relative ai soggetti appartenenti alla stessa famiglia anagrafica, nei cui confronti non si deve procedere all'addebito sulle fatture per l'energie elettrica, in quanto il pagamento è stato effettuato attraverso altre modalità oppure la famiglia risulta esente dal pagamento. Le informazioni per l'addebito saranno rese disponibili mensilmente dall'acquirente unico alle imprese elettriche, tramite il Sistema informativo integrato;
    per rendere operativa la riscossione del nuovo canone Rai è necessario conoscere, tramite l'anagrafe tributaria, coloro che già pagano il canone pur non essendo intestatari di contratti elettrici ad uso domestico, mentre sono disponibili solo i dati sulle forniture domestiche nel luogo di residenza sino a 3 Kw (tariffa elettrica D2);
    in molti, tra cui le associazioni dei consumatori, stimano che le disposizioni previste dal decreto attuativo potrebbero riguardare 5 milioni di contribuenti. Dato facilmente ottenibile sottraendo alle 29 milioni e 282 mila persone intestatarie di un contratto di fornitura di energia elettrica D2 i 24 milioni e 199 mila che possiedono la televisione (dati ISTAT);
    rimangono poi aperti i dubbi sull'obbligo di pagamento del canone Rai da parte dei cittadini italiani residenti permanentemente all'estero i quali, non solo non hanno la residenza negli immobili posseduti in Italia, ma non usufruiscono per la maggior parte del periodo di imposta delle trasmissioni radiotelevisive della concessionaria pubblica nei suddetti immobili;
    l'illegittimità della norma che addebita automaticamente il canone anche a chi non ha una televisione sarà provata in sede giurisdizionale e impone all'utente l'onere della prova del non possesso dell'apparecchio televisivo – comunque di apparecchio atto a ricevere il segnale televisivo digitale terrestre o satellitare – presentando all'Agenzia delle entrate un'autocertificazione per l'esonero dal pagamento del canone per l'anno in corso. Situazione aggravata dal fatto che la dichiarazione pare essere annuale;
    per evitare di ricevere ingiustamente l'addebito del canone Rai, l'intestatario dell'utenza elettrica deve presentare «una dichiarazione sostitutiva che il canone di abbonamento alla televisione per uso privato non deve essere addebitato in alcuna delle utenze elettriche intestate al dichiarante in quanto il canone è dovuto in relazione all'utenza elettrica intestata ad altro componente della stessa famiglia anagrafica, di cui il dichiarante comunica il codice fiscale». Questo comporta che, se ognuno dei componenti di una famiglia anagrafica ha un'utenza elettrica intestata, e ognuno di loro ritiene che a pagare sia un altro, tutti presenteranno l'autocertificazione dichiarando — loro malgrado – il falso, perché il canone non è dovuto da un soggetto individuato a monte, predeterminato, e si fa affidamento sulla coordinazione fra familiari affinché uno di loro si attribuisca il canone in bolletta;
    anche l'Associazione per i diritti degli utenti e consumatori denuncia l'illegittimità del provvedimento dell'Agenzia delle entrate che, visti i tempi troppo stretti per ottenere la composizione delle famiglie anagrafiche dai comuni, ha risolto il problema scaricando questa verifica sui cittadini stessi – per di più attribuendo responsabilità penale alle dichiarazioni rese – e dando loro pochissimo tempo per adempiere, che sembra una mossa finalizzata ad ottenere incassi andando ben oltre la delega conferita dalla legge di stabilità, secondo la quale dovevano essere indicate le modalità di presentazione della dichiarazione, non anche il contenuto delle dichiarazioni stesse (legge di stabilità articolo 1, comma 153: «Tale dichiarazione è presentata all'Agenzia delle entrate – Direzione provinciale I di Torino – Ufficio territoriale di Torino I – Sportello S.A.T., con le modalità definite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, e ha validità per l'anno in cui è stata presentata»);
    nel provvedimento si costringe il singolo cittadino a fare dichiarazioni per conto di terzi, che esulano dal proprio controllo ma in merito alle quali deve assumersi una responsabilità penale, senza che sia chiaro, tra l'altro, il riferimento all'apparecchio televisivo «ulteriore» rispetto a quello per il quale era stata presentata domanda di suggellamento entro il 31 dicembre 2015, lasciando aperto il dubbio sull'obbligo di presentare l'autocertificazione anche da parte di chi aveva nel passato presentato una richiesta di suggellamento. Nel provvedimento si dice anche che le autocertificazioni presentate dal 1o gennaio 2016 al 23 marzo 2016, possono essere ritenute valide solo se contengono tutti gli elementi previsti dal modulo, e questo potrebbe far incorrere in sanzioni numerosi utenti che non hanno rispettato tutti i dettagli del modulo ufficiale;
    in riferimento a tutti gli errori che potrebbero derivare dalla definizione vaga degli apparecchi per cui è dovuto il pagamento «atti a ricevere il segnale televisivo digitale o terrestre», in seguito alle numerose e pressanti richieste avanzate anche dal gruppo della Lega Nord, il Ministero dello sviluppo economico il 22 febbraio 2012 ha precisato che debbono ritenersi assoggettabili a canone tutte le apparecchiature munite di sintonizzatore per la ricezione del segnale (terrestre o satellitare) di radiodiffusione dall'antenna radiotelevisiva. Ne consegue che i personal computer, tablet o smartphone se consentono l'ascolto e/o la visione dei programmi radiotelevisivi in rete non sono assoggettabili a canone;
    rimangono inclusi fra gli apparecchi atti o adattabili a ricevere il segnale televisivo tutti i dispositivi di ultima generazione che integrano funzioni di ricezione della radiodiffusione essendo dotati di antenna atta a captare il segnale pur essendo concepiti, strutturati e acquistati dagli utenti per uso completamente differente;
    è paradossale che i cittadini che non possiedono una televisione devono autocertificare i requisiti per l'esonero dal pagamento del canone Rai ma anche accertarsi delle caratteristiche tecniche dei dispositivi tecnologici in loro possesso per non incorrere in dichiarazioni mendaci che comporterebbero effetti anche penali;
    per contro, un apparecchio originariamente munito di sintonizzatore – come tipicamente un televisore – rimane soggetto a canone anche se successivamente privato del sintonizzatore stesso (ad esempio perché lo si intende utilizzare solo per la visione di DVD);
    nei fatti, una struttura culturale, come può essere un polo museale, che impieghi televisioni a circuito chiuso per trasmettere registrazioni inerenti le mostre in corso o informazioni sul museo è tenuta a pagare il canone Rai, come se trasmettesse programmi della concessionaria pubblica, anche se gli apparecchi televisivi sono utilizzati esclusivamente come strumento di lavoro per finalità intrinseche;
    in questo clima di confusione generale, i rivenditori e riparatori di tv stanno ricevendo sollecitazioni per conto della Rai in cui si chiede il pagamento del «canone speciale», anche se la concessionaria pubblica aveva reso noto che queste aziende sono escluse dal pagamento del canone;
    piuttosto che intervenire sulla qualità di ricezione del servizio pubblico televisivo, visto che molte aree del territorio nazionale, in particolare i comuni di montagna, lamentano numerosi problemi riferiti alla ricezione del segnale Rai, che in molti casi si limita ai tre canali principali anziché i quindici pubblicizzati, il Governo si limita a mettere in atto azioni volte a riscuotere senza una corrispondente contropartita;
    il canone Rai si configura come un'imposta antiquata ed iniqua, che non ha alcun motivo di esistere anche in virtù del maggiore pluralismo indotto dall'ingresso sul mercato di nuovi editori e dall'apporto delle nuove tecnologie;
    le emittenti locali potrebbero rivestire un ruolo altrettanto determinante per colmare il digital divide anche attraverso il pieno e completo riconoscimento della loro prerogativa a svolgere il ruolo di operatore di rete in tecnica digitale in ambito locale, consentendo alle stesse di concedere la capacità trasmissiva ai fornitori di servizi di media, ai fornitori di servizi di media audiovisivi lineari, ai fornitori di servizi di media audiovisivi a richiesta, ai fornitori di contenuti audiovisivi e di dati ed ai fornitori di servizi media radiofonici autorizzati in ambito nazionale e locale;
    la Rai, in qualità di concessionaria del servizio pubblico radiotelevisivo, così come previsto dall'articolo 45 del decreto legislativo 31 luglio 2005, n. 177, dovrebbe svolgere un servizio pubblico sul territorio italiano, sulla base di un contratto nazionale stipulato con il Ministero dello sviluppo economico, assicurando a tutti i cittadini la possibilità di usufruire di tale servizio. La discordanza fra quanto espresso nel contratto di servizio e la realtà dei fatti mina la credibilità e la trasparenza del sistema radiotelevisivo pubblico e ne mette in dubbio l'affidabilità;
    se le stime del Governo hanno previsto, a fronte della nuova riscossione del nuovo canone Rai, maggiori entrate per 500 milioni di euro, sarebbe logico che questo importo fosse utilizzato comunque per garantire la qualità dell'informazione, destinando le risorse alle emittenti locali che davvero svolgono un servizio sull'intero territorio nazionale (e non solo un importo massimo di 100 milioni da far confluire nel Fondo per il pluralismo e l'innovazione dell'informazione);
    la Corte Costituzionale, con sentenza 826 del 1988, centra il fondamento e la funzione del servizio pubblico articolando il principio del pluralismo informativo esterno (inteso come presenza nel settore di un elevato numero di operatori) ed interno (inteso con riferimento ai contenuti diversificati dell'attività radiotelevisiva) definendo il pluralismo come «concreta possibilità di scelta tra programmi che garantiscano l'espressione di tendenze aventi caratteri eterogenei»; la scelta del Governo di dirottare la quasi totalità dei proventi pubblici nella Rai mina la base di questo principio,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per prevedere nuove forme di finanziamento del sistema pubblico dell'informazione nel suo complesso basate su criteri di equità, efficacia ed appropriatezza, cancellando l'imposta per il canone di abbonamento televisivo, di cui al regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, nonché della tassa di concessione governativa prevista dall'articolo 17 della tariffa delle tasse sulle concessioni governative, di cui al decreto del Ministro delle finanze 28 dicembre 1995;
   nelle more dell'abolizione del canone Rai, considerato anche il ritardo nell'emanazione del decreto attuativo oltre i termini fissati dalla legge, ad individuare la platea dei soggetti tenuti al pagamento prevedendo che l'utente certifichi di possedere l'apparecchio televisivo e quindi di essere tenuto al pagamento del canone Rai e che vi sia l'automatica esenzione dal pagamento di quei soggetti che non inviano la certificazione di possesso dell'apparecchio televisivo;
   ad intervenire, anche attraverso una circolare esplicativa, al fine di escludere specificatamente, fra gli apparecchi per i quali è dovuto il pagamento del canone Rai elencati nella nota ministeriale del 22 febbraio 2012, quei dispositivi che vengono utilizzati per finalità differenti dalla visione dei programmi televisivi, anche se originariamente adattabili a ricevere il segnale se non vengono espressamente utilizzati per la ricezione del segnale televisivo digitale terrestre o satellitare;
   a valutare la possibilità per i prossimi anni, tenendo anche conto che è necessaria una modifica legislativa, di assumere iniziative normative volte a prevedere a favore dei cittadini italiani residenti permanentemente all'estero ed iscritti all'AIRE l'esenzione o la riduzione del canone Rai sugli immobili da essi posseduti in Italia, ove siano presenti le presunzioni fissate dal regio decreto del 1938, così come modificato dalla legge di stabilità 2016, a condizione che non siano locati o dati in comodato d'uso.
(1-01213) «Caparini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Picchi, Gianluca Pini, Rondini, Saltamartini, Simonetti».


   La Camera,
   premesso che:
    il canone RAI ordinario è dovuto da chiunque detenga un apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle trasmissioni televisive (articolo 1 del regio decreto-legge del 21 febbraio 1938 n. 246), indipendentemente dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo (sentenza della Corte costituzionale 12 maggio 1988, n. 535 – sentenza della Corte di Cassazione 3 agosto 1993, n. 8549);
    il canone è dovuto una sola volta per tutti gli apparecchi detenuti nei luoghi adibiti a propria residenza o dimora dallo stesso soggetto e dai soggetti appartenenti alla stessa famiglia anagrafica;
    si tratta di una imposta che deve essere versata dal contribuente obbligatoriamente entro i termini previsti dalla legge, a meno che il soggetto non sia in possesso dei requisiti che ne consentono l'esenzione;
    l'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), prevede, a decorrere dal 2016, il pagamento del canone Rai, per un importo complessivo di 100 euro, in dieci rate (da gennaio ad ottobre) mediante addebito nella fattura per i titolari di utenza di fornitura di energia elettrica, ma solo in caso di «utenze domestiche residenti», con importi indicati in fattura con distinta voce rispetto ai consumi. Solo per l'anno 2016 si pagherà una prima maxirata di 60 euro a luglio. Il compenso per le imprese elettriche per la riscossione del canone è pari a 14 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016 e 2017;
    l'importo del canone RAI in Italia, già prima della riduzione prevista per il 2016, era più basso di quello della media europea che si attesta sui 127,00 euro anche se inversamente proporzionale all'importo è la percentuale di evasione che in Italia è di circa il 27 per cento (quasi 500 milioni di Euro), mentre in Europa è vicina al 10 per cento;
    un affittuario deve pagare l'imposta in quanto detentore dell'apparecchio anche se non di sua proprietà (articolo 1 del regio decreto-legge del 21 febbraio 1998 n. 246);
    il canone RAI è dovuto anche dai residenti all'estero che possiedono un'abitazione in Italia e dagli italiani iscritti all'AIRE (anche se il decreto attuativo chiarirà in quale misura), visto che non hanno la residenza negli immobili siti in Italia e ne usufruiscono solo per brevi periodi;
    secondo quanto previsto nella nota del Ministero dello sviluppo economico n. 12991 del 22 febbraio 2012, le apparecchiature informatiche prive di sintonizzatore TV non devono pagare il canone, visto che non possono ricevere il segnale audio/video attraverso la piattaforma digitale terrestre e/o satellitare;
    il canone RAI dovrà essere ancora pagato con il tradizionale bollettino postale nelle 20 isole minori che non sono agganciate alla rete elettrica nazionale;
    la nuova normativa prevede altresì che entro quindici giorni dalla sua entrata in vigore l'Agenzia delle entrate definisca con l'acquirente unico (il garante della fornitura di energia elettrica ai piccoli consumatori) le modalità per l'invio delle informazioni sui soggetti che hanno presentato la dichiarazione di non possesso di televisore o apparecchio adatto a ricevere le trasmissioni, nonché su coloro che, non essendo intestatari di contratto elettrico, pagano il canone con altre modalità o sono esenti dal pagamento;
    è stato recentemente pubblicato il provvedimento dell'Agenzia delle entrate sulle modalità dell'autocertificazione per i soggetti esenti dal pagamento del canone in quanto non possessori di apparecchi televisivi;
    secondo quanto stabilito dall'Agenzia delle entrate, chi intenda dichiarare – sotto la propria responsabilità penale – di non detenere alcun apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle trasmissioni televisive, deve inviare una comunicazione nelle forme previste dalla legge, consapevole del fatto che la comunicazione ha validità solo per l'anno in cui viene presentata e che quindi deve essere ripresentata ogni anno;
    per richiedere l'esenzione è possibile compilare il modulo scaricabile dal sito dell'Agenzia delle entrate e inviarlo a mezzo lettera raccomandata entro il 30 aprile o in via telematica (anche tramite Caf) entro il 10 maggio; la dichiarazione presentata oltre tali scadenze avrà effetto per il canone dovuto per il secondo semestre dello stesso anno;
    l'acquirente unico dovrà a sua volta trasmettere alle imprese elettriche tutte le informazioni necessarie all'addebito del canone nella bollette elettrica entro il 31 maggio 2016;
    le autocertificazioni mendaci, oltre a dar luogo recupero del canone con sanzioni ed interessi, sono un reato ai sensi dell'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000;
    le modalità di fruizione dell'esenzione sono stabilite con apposito decreto del Ministro dell'economia e delle finanze di concerto con il Ministro dello sviluppo economico e, comunque, non dovrebbero riguardare una platea ampia, ma solo il 3 per cento degli italiani;
    è confermata l'esenzione per gli over 75 con reddito non superiore a 6713,98 euro lordi annui; l'eventuale innalzamento di questa soglia fino ad 8000 euro lordi per gli anni 2017-2018 è vincolato alle maggiori entrate previste;
    la RAI ha attivato per fornire assistenza agli utenti un numero verde gratuito 800938362 con risponditore automatico in italiano e in tedesco e offre la possibilità di fissare un appuntamento con un operatore anche attraverso il sito prontolarai.it;
    in caso di pagamenti parziali delle bollette elettriche, i gestori non possono procedere ai distacchi delle utenze né sollecitare la quota relativa al canone RAI; tuttavia i morosi rischiano ingiunzioni di pagamento da parte dell'Agenzia delle Entrate per la parte relativa al canone RAI;
    in caso di mancato pagamento del canone RAI accertato con verbale dell'Autorità di controllo, il contribuente dovrà corrispondere il canone con la decorrenza accertata nel verbale (e non antecedente) e versare una sanzione fino a 619 euro per ogni annualità evasa;
    l'articolo 10 paragrafo 1 della convenzione di Londra del 19 giugno 1051, previa comunicazione allo sportello abbonamenti TV (S.A.T.) consente l'esenzione agli ospedali militari, le case del soldato e le sale convegno dei militari delle Forze armate (ma non per gli apparecchi detenuti in alloggi militari privati) e ai militari di cittadinanza straniera appartenenti a Forze armate della NATO in stanza in Italia;
    è disposta l'esenzione anche per gli agenti diplomatici e consolari stranieri accreditati in Italia, a condizione che nel Paese da loro rappresentato i diplomatici italiani accreditati godano del medesimo trattamento;
    la risoluzione della direzione centrale normativa e contenzioso dell'Agenzia dell'entrate n. 2003/79447 del 29 luglio 2003 consente l'esenzione dal canone RAI alle imprese esercenti attività di riparazione e commercializzazione di apparecchiature di ricezione radiotelevisiva;
    ulteriori chiarimenti e precisazioni potranno essere fornite con l'emanando decreto interministeriale di attuazione del comma 135 della legge di stabilità 2016;
    il nuovo sistema di esenzione del canone presuppone il coinvolgimento e la collaborazione di soggetti diversi (pubblici e privati) detentori di banche dati e un ruolo attivo di indirizzo e verifica garante per la protezione dei dati personali,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per adottare il prima possibile il decreto interministeriale di attuazione del nuovo sistema di pagamento del canone RAI (già al vaglio del Consiglio di Stato), che consenta di superare gli attuali dubbi e le perplessità diffuse;
   a comunicare nel modo più chiaro e trasparente possibile agli utenti quali sono i loro obblighi relativamente al pagamento del canone RAI e quali i loro diritti oltre alle sanzioni in cui incorrono per dichiarazioni mendaci o per mancato pagamento del dovuto (come previsto all'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000);
   a verificare il rispetto dei termini fissati in 45 giorni per il rimborso delle somme riscosse dai gestori di energia elettrica e non dovute dai consumatori;
   a sostenere, nella fase di applicazione di questo nuovo metodo di riscossione del canone RAI, i gestori di energia elettrica e a favorire l'incrocio dei dati detenuti da questi ultimi con quelli dei comuni affinché siano tutelati i cittadini intestatari di più utenze, i nuclei familiari che hanno utenza elettrica e canone RAI intestati a persone diverse ma conviventi, gli anziani che non utilizzano i sistemi informatici e che difficilmente riusciranno a far valere i propri diritti a fronte di procedure complesse come quelle che si prospettano per la richiesta dell'esenzione;
   ad informare periodicamente il Parlamento sui risultati ottenuti dalla riforma della riscossione del canone Rai, in particolare con riferimento agli effetti sul contrasto del fenomeno dell'evasione e alle procedure di condivisione delle diverse banche dati, nel rispetto del diritto alla privacy degli utenti;
   a rendere chiaro, se necessario anche con spot televisivi, per i cittadini che hanno diritto all'esenzione (per lo più anziani non informatizzati, invalidi, e altri) quali sono i termini, le modalità e la scadenza entro cui inviare la richiesta e, soprattutto a chiarire che l'esenzione è valida solo per l'anno in cui è presentata.
(1-01214) «Vezzali, Monchiero».


   La Camera,
   premesso che:
    con la legge di stabilità 2016 (legge 28 dicembre 2015, n. 208) sono state apportate modifiche all'articolo 1, comma 2, del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, disponendo che, per imporre l'obbligo di versare il canone di abbonamento alla televisione per uso privato è sufficiente l'esistenza di un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica per presumere la detenzione di un apparecchio televisivo;
    tale presunzione tuttavia può essere superata, a decorrere dall'anno 2016, esclusivamente tramite una dichiarazione rilasciata ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, la cui mendacia comporta gli effetti, anche penali, di cui all'articolo 76 del medesimo testo unico;
    in due sentenze, la sentenza n. 535 della Corte costituzionale del 12 maggio 1988, e la sentenza n. 8549 della Corte di Cassazione del 3 agosto 1993, si stabilì che la corresponsione del canone da parte di chi detenesse uno o più apparecchi atti o adattabili alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive, fosse dovuta a prescindere dalla qualità o dalla quantità del relativo utilizzo;
    il Ministero dello sviluppo economico ha specificato in una nota del 22 febbraio 2016 che sono assoggettabili a canone Tv solo gli apparecchi atti o adattabili a ricevere il segnale audio/video attraverso la piattaforma del digitale terrestre e/o satellitare escludendo, pertanto, degli apparecchi che consentono l'ascolto e/o la visione dei programmi radiotelevisivi attraverso la rete internet (streaming);
    inoltre, il semplice possesso di un apparecchio televisivo non permette di valutare la capacità contributiva del detentore, rendendo difficoltosa dunque la quantificazione del concorso di ciascun possessore di apparecchi televisivi alle spese pubbliche, secondo il criterio della progressività stabilito dall'articolo 53 della Costituzione;
    è inoltre previsto che il mancato pagamento del canone Rai, ovvero di 100 euro all'anno, può comportare conseguenze penali; inoltre se il televisore è oramai «praticamente un soprammobile», o anche se da anni il contribuente non usa il televisore ma segue soltanto le sue serie preferite in streaming, questo non importa: il canone va pagato comunque;
    il canone va pagato a meno che non si dichiari di non possedere l'apparecchio nel qual caso l'Agenzia delle entrate offre una via d'uscita: per essere esentati per tutto il 2016 entro il 30 aprile si può inviare per raccomandata una dichiarazione con la quale si certifica che in casa non ci sono televisori ed, essendo un'autocertificazione, per chi dichiara il falso è previsto appunto un reato penale ovvero la falsa attestazione o dichiarazione ad un pubblico ufficiale;
    l'eventuale falsa dichiarazione prefigura un grave danno per lo Stato a prescindere dall'entità della somma perché il cittadino deve rilasciare la suddetta dichiarazione all'Erario prevedendo in caso di dichiarazione mendace, la reclusione da uno a 6 anni;
    è evidente per i firmatari del presente atto di indirizzo l'assurdità della discrepanza tra il contribuente che stila una dichiarazione dei redditi volutamente, scorretta e non incorre nel penale a meno che l'imposta evasa superi i 150 mila euro o che l'importo sottratto al fisco superi i 3 milioni di euro, rispetto a chi dichiara l'inesistenza di apparecchi televisivi in casa propria anche se questi siano presenti;
    si deve poi tener conto che la copertura integrale del segnale radiotelevisivo nel territorio viene meno in molti comuni montani e collinari italiani, come in Piemonte, in Lombardia, in Emilia Romagna e in tutto l'arco alpino e in moltissime aree appenniniche e dunque, nei suddetti territori, gli utenti, a causa di una ricezione difficoltosa e limitata, beneficiano di una ricezione difficoltosa dei servizi Rai,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative di carattere normativo al fine di:
    a) sostituire la presunzione legale di cui all'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 introducendo l'obbligatorietà di una dichiarazione, attestante la detenzione o la non detenzione di un apparecchio adattabile alla ricezione del segnale radiotelevisivo, la cui mendacia comporti gli effetti, anche penali, di cui all'articolo 76 del decreto del Presidente della Repubblica n. 445 del 2000, prevedendo che tale dichiarazione sia nuovamente rilasciata solo in caso di mutamento delle condizioni ed escludendo altresì che la riscossione del tributo avvenga tramite l'inclusione nella bolletta dell'energia elettrica;
    b) fornire una definizione esaustiva di quali apparecchi siano soggetti al pagamento del tributo, escludendo dall'imposizione quelli le cui caratteristiche sono tali da non renderne possibile un apprezzabile godimento anche a causa della ricezione difficoltosa;
    c) predisporre un completo monitoraggio su tutto il territorio italiano riguardo ai livelli di effettiva ricezione del segnale televisivo, d'intesa con le regioni, le unioni di comuni e le associazioni di enti locali quali Anci e Uncem, promuovendo, ove necessario, il potenziamento delle infrastrutture per la trasmissione del segnale televisivo della Rai in particolare nelle aree montane e più interne del Paese.
(1-01215) «Civati, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco, Brignone, Andrea Maestri, Matarrelli, Pastorino».


   La Camera,
   premesso che:
    la libertà religiosa è ricompresa tra i diritti fondamentali ed inalienabili dell'uomo, previsti nella «Dichiarazione universale dei diritti dell'uomo» adottata dall'Assemblea generale delle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948. Tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo e la libertà di manifestare, isolatamente o in comune, sia in pubblico sia in privato, la propria religione o il proprio credo nell'insegnamento, nelle pratiche, nel culto e nell'osservanza dei riti;
    la storia dimostra che non solo la libertà religiosa è il pilastro portante di tutte le libertà, ma che l'intolleranza religiosa porta inevitabilmente alla violazione di diritti umani fondamentali e, molto spesso, a conflitti cruenti e devastanti;
    come documentano le numerosi stragi perpetrate negli anni, il diritto alla libertà religiosa è ancora oggi messo in discussione: gli atti di violenza commessi in nome della religione continuano infatti a dominare la scena internazionale, generando intolleranza spesso alimentata e strumentalizzata per motivi politici ed economici, che sempre più di frequente producono azioni collettive aberranti a danno delle minoranze;
    il Novecento è stato il secolo del maggior eccidio di cristiani nella storia. In cent'anni ci sono stati più «martiri» che nei duemila anni precedenti. Sono circa cento milioni i cristiani perseguitati in tutto il mondo. Le statistiche di opendoorsusa.org, organizzazione no profit evangelica che assiste cristiani perseguitati di tutte le confessioni in più di sessanta Paesi, mostrano come in media, ogni mese, 322 cristiani vengono uccisi nel mondo a causa della loro fede, 214 tra chiese ed edifici di proprietà dei cristiani sono distrutti e danneggiati e 722 sono gli atti di violenza perpetrati nei loro confronti;
    nel 2014 e nel primo trimestre 2015 i cristiani si confermano come il gruppo religioso maggiormente perseguitato: dalla Nigeria all'Africa subsahariana, dalla Siria al Pakistan. È lunga la scia di sangue che li vede sempre più sotto attacco con arresti, deportazioni, torture, stupri e decapitazioni;
    in particolar modo nel territorio pakistano si sta continuando a registrare una preoccupante intensificazione della discriminazione e della persecuzione nei confronti dei cristiani, specialmente su donne e ragazze;
    Asia Bibi, madre cristiana di cinque figli, originaria del Punjab, regione del Pakistan, a seguito di una discussione insorta con alcune donne mussulmane è stata denunciata alle autorità locali per aver offeso Maometto. Asia Bibi è stata arrestata nel 2009 e condannata a morte nel 2010 per blasfemia a norma dell'articolo 295-C del codice penale pakistano;
    l'11 novembre 2010, oltre un anno dopo dall'arresto, il giudice di Nankana Sahib ha emesso la sentenza nella quale è stata esclusa «totalmente» la possibilità di considerare che l'imputata sia stata accusata ingiustamente e che «non esistono circostanze attenuanti» per la stessa;
    nel 2013, per questioni di sicurezza, la donna è stata trasferita dal carcere di Sheikhuprura a quello femminile di Multan. Tale provvedimento ha arrecato non poche problematiche ai familiari dell'imputata trovatisi impossibilitati a poter avere incontri frequenti con Asia Bibi, data la maggiore distanza e i costi aggiuntivi del viaggio;
    il 16 ottobre 2014, dopo quasi quattro anni dalla presentazione del ricorso avverso la sentenza di primo grado, si è pronunciata l'Alta Corte di Lahore confermando la pena capitale per Asia Bibi. Il 24 novembre 2014 l'imputata ha presentato appello dinanzi alla Corte suprema, che il 22 luglio 2015 si è pronunciata stabilendo la sospensione della pena capitale e rimandando il processo ad una prossima udienza;
    nel frattempo le condizioni psicologiche e di salute della donna, relegata da sei anni in una cella di isolamento minuscola e senza finestre e in condizioni igieniche disastrose, stanno peggiorando di giorno in giorno;
    il caso della prima donna, inoltre madre di cinque figli, condannata per blasfemia ha mobilitato la comunità internazionale, le principali istituzioni nonché Papa Benedetto XVI e Papa Francesco che, con molteplici moniti, hanno chiesto al Presidente del Pakistan di concedere la grazia ad Asia Bibi. Inoltre, oltre 580 mila persone, in tutto il mondo, hanno firmato una petizione chiedendo al governo pakistano di procedere al rilascio immediato della stessa;
    la pena inflitta ad Asia Bibi è stata introdotta nel 1986 nel codice penale pakistano attraverso l'articolo 295-C sulla blasfemia. Tale norma è stata successivamente soprannominata «legge nera» e prevede la pena di morte per chi offende Allah, Maometto o il Corano. La normativa attualmente in vigore in Pakistan rappresenta, dunque, lo strumento con cui i profeti del fanatismo islamista giustificano gli attacchi alle minoranze religiose oppure più semplicemente per praticare «vendette di vicinato»;
    il controverso articolo sulla blasfemia si presta a colpire minoranze vulnerabili, tra cui ahmadi e cristiani, e rappresenta più che altro un pretesto per fomentare faide familiari dal momento che la maggior parte delle accuse di questo tipo risultano costruite ad arte e sono utilizzate contro le minoranze religiose e le sette eretiche musulmane;
    il Pakistan, che nel 1948 votò a favore dell'approvazione della dichiarazione universale dei diritti dell'uomo, negli ultimi anni ha ratificato sette dei nove principali strumenti internazionali in materia di diritti dell'uomo, tra cui il Patto internazionale relativo ai diritti civili e politici (ICCPR) e la Convenzione delle Nazioni Unite contro la tortura e altre pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti, strumenti che comprendono numerose disposizioni riguardanti l'amministrazione della giustizia, il diritto a un processo equo, l'uguaglianza davanti alla legge e il divieto di discriminazione;
    l'Unione europea e il Pakistan hanno approfondito nonché ampliato i loro legami bilaterali, come previsto dal piano d'impegno quinquennale lanciato nel febbraio 2002, il cui obiettivo è quello di instaurare una relazione strategica e creare un partenariato per la pace e lo sviluppo fondato su valori e principi condivisi;
   in alcuni Paesi mediorientali arabo-musulmani, gli attacchi contro gli edifici di culto e le abitazioni dei cristiani si stanno drammaticamente moltiplicando, innalzando giorno dopo giorno il bilancio delle vittime;
   il 28 marzo 2016 è stata compiuta in Pakistan l'ennesima strage in cui hanno perso la vita 72 innocenti tra cui oltre 50 sono, non a caso, appartenenti ad una minuscola e indifesa comunità cristiana che rappresenta il 4 per cento della popolazione totale del Paese, in larga parte musulmana. Un eccidio i cui numeri sono, purtroppo, destinati a crescere ancora poiché molti dei 300 feriti ricoverati negli ospedali vertono in condizioni molto critiche,

impegna il Governo:

   a promuovere ogni iniziativa affinché il Pakistan proceda alla revoca della condanna imposta ad Asia Bibi, evitando che alla stessa possa essere inflitta la pena dell'impiccagione ma, anzi, garantendo il suo rientro in famiglia, nel rispetto delle disposizioni contenute nei principali strumenti internazionali in materia di diritti dell'uomo ratificati dal Pakistan;
   a promuovere ogni iniziativa affinché il Pakistan proceda all'abrogazione delle disposizioni contenute nel codice penale che prescrivono l'ergastolo obbligatorio (sezione 295-B), o addirittura la pena di morte (sezione 295-C), per presunti atti di blasfemia;
   a promuovere ogni iniziativa affinché il Pakistan garantisca l'indipendenza dei tribunali e lo Stato di diritto, in linea con gli standard internazionali in materia di procedimenti giudiziari, nonché il diritto al giusto processo anche per le minoranze religiose;
   a promuovere nelle competenti sedi internazionali, di concerto con le istituzioni europee, iniziative atte a rafforzare il rispetto del principio di libertà religiosa, la tutela delle minoranze religiose e la lotta contro eventuali violazioni di tale libertà, affinché venga scongiurato ogni tipo di violenza e di persecuzione nei confronti delle minoranze religiose, quale quella cristiana, in ogni Paese della comunità internazionale;
   a porre in essere, in coordinamento con i partner dell'Unione europea e internazionali, ogni iniziativa volta a rafforzare la capacità dei Paesi alleati e dei Paesi che sostiene con gli strumenti della cooperazione internazionale, per fornire adeguata protezione alle minoranze religiose e garantire il diritto di tutti ad esercitare e professare la propria fede in sicurezza e libertà.
(1-01216) «Bergamini, Carfagna, Centemero, Occhiuto».

Risoluzioni in Commissione:


   La III Commissione,
   premesso che:
    con l'annuncio contemporaneo del 16 dicembre 2014, il Presidente degli Stati Uniti d'America, Barack Obama, e il Presidente della Repubblica di Cuba, Raul Castro, hanno espresso la volontà di avviare un processo di normalizzazione dei rapporti tra i due Stati, a partire dalla cancellazione di Cuba dalla lista nera dei Paesi che sponsorizzano il terrorismo internazionale;
    il Congresso degli Stati Uniti aveva tempo fino al 29 maggio 2015 per opporsi alla decisione assunta dal presidente degli Stati Uniti di «depennare» Cuba dalla lista nera: deputati e senatori Usa non si sono espressi, quindi il Segretario di Stato americano ha potuto firmare l'ordine di rimozione di Cuba dalla lista nera, in cui era stata iscritta dagli Usa 33 anni fa;
    l'11 aprile del 2015, durante il vertice delle Americhe, che si è tenuto nella Repubblica di Panama, i 2 leader hanno avuto il primo storico incontro, dove sono state poste le basi per la ripresa delle relazioni diplomatiche fra i due Paesi;
    oltre alla cancellazione dalla lista nera, Cuba richiede che venga posto fine all'embargo (bloqueo), riconosciuto illegale da ben 22 risoluzioni dell'Assemblea generale delle Nazioni Unite, l'ultima delle quali risale al 28 ottobre 2014 (n. 69/5) ed ha avuto come risultato: 188 voti favorevoli, 2 contrari (USA e Israele) e 3 astenuti;
    le sanzioni commerciali contro Cuba sono state decise dalla legge del Senato degli Stati Uniti d'America del 12 marzo 1996, conosciuta come «la Legge Helms-Burton» e affondano le loro radici in una legge del 1917, il Trading With Enemy Act (Twea) atta a regolare i rapporti commerciali «col nemico»: dal 2014, e dopo la cancellazione delle sanzioni alla Corea del Nord, Cuba è l'unico Paese a cui sono applicate le sanzioni come previsto dal Twea;
    il bloqueo ha provocato danni che il Governo cubano calcola in oltre 90.000 miliardi di dollari, colpendo tutti i settori fondamentali dell'economia e segnatamente il campo della salute, dell'alimentazione, dell'educazione e della cultura;
    il 14 agosto 2015 gli Stati Uniti hanno riaperto ufficialmente la sede diplomatica all'Avana, mentre il 26 gennaio 2016 il Ministero del tesoro statunitense ha eliminato alcune restrizioni alle esportazioni di merci verso Cuba, e allentato le limitazioni per il trasporto di prodotti via mare verso l'Isola;
    queste nuove regole permetterebbero alle banche di finanziare le esportazioni verso Cuba e quindi senza che sia più necessario, come prima, usare i contanti o far passare le merci attraverso un Paese terzo;
    il giorno 14 marzo 2016, a una settimana dal viaggio che avrebbe effettuato il Presidente degli Stati Uniti d'America a Cuba dal 20 al 22 marzo 2016, sono state annunciate dal Ministero del tesoro statunitense la revoca di ulteriori restrizioni agli scambi commerciali da parte degli Stati Uniti verso Cuba e per l'ingresso di cittadini americani in tale Paese;
    quello del 14 marzo 2016 è il quarto annuncio fatto dal Governo degli Stati Uniti sulla questione del blocco ma fino ad ora le misure annunciate in precedenza secondo il firmatario del presente atto di indirizzo hanno cambiato poco o niente nella concreta applicazione del bloqueo e non hanno funzionato a causa del carattere globale e opprimente dello stesso che a giudizio del firmatario del presente atto andrebbe totalmente rimosso;
    ulteriormente, nel quadro di normalizzazione dei rapporti tra Cuba e Stati Uniti d'America e nella direzione di eliminare il disordine politico e militare che ha destabilizzato costantemente lo Stato cubano in più di 50 anni, è necessaria per il firmatario del presente atto la restituzione a Cuba della base navale statunitense di Guantanamo, dove tra l'altro si trova la famigerata omonima prigione,

impegna il Governo

   a mettere in atto tutte le iniziative diplomatiche per favorire la normalizzazione delle relazioni diplomatiche fra i 2 Paesi, a partire dalla rimozione totale del bloqueo, condizione prioritaria chiesta dal Governo cubano per la ripresa delle relazioni fra i 2 Paesi;
   a intraprendere e potenziare tutte le iniziative di cooperazione internazionale e cooperazione decentrata allo sviluppo che abbiano come obiettivo il sostegno allo sviluppo economico, sociale e culturale di Cuba;
   a intraprendere e potenziare tutte le iniziative che abbiano come obiettivo la costruzione positiva di rapporti economici, sociali e culturali tra le autorità locali e la società civile italiana e cubana;
   ad assumere iniziative diplomatiche finalizzate alla restituzione a Cuba della base navale statunitense di Guantanamo.
(7-00956) «Palazzotto».


   La VII Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 1, comma 181, lettera b), della legge 13 luglio 2015, n. 107, ha delegato al Governo il riordino, l'adeguamento e la semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso ai ruoli di docente della scuola secondaria;
    la delega sarà esercitata sulla base dei principi e criteri direttivi, indicati ai numeri da 1 a 8 della lettera b, del comma 181 dell'articolo 1 della legge sopra richiamata, che sono molto innovativi rispetto alla situazione attuale in quanto anticipano l'accesso ai ruoli per concorso immediatamente dopo la laurea magistrale e introducono un periodo triennale di contratto a tempo determinato retribuito di formazione sul lavoro per i vincitori del concorso, prima della loro definitiva assunzione in ruolo a seguito di valutazione dei risultati ottenuti nel triennio;
    si rende così l'accesso alla professione di insegnante assai più simile a quello ad altre professioni di altrettanto rilievo pubblico, come quelle di magistrato o di medico, con gli obiettivi di attrarre alla professione docente persone giovani e ben preparate e di far collaborare pariteticamente scuola e università per la formazione iniziale dei docenti e per la valutazione del possesso da parte degli interessati delle necessarie competenze e attitudini professionali;
    viene di conseguenza eliminata l'attuale abilitazione all'insegnamento e si prevede che i vincitori del concorso assumano gradualmente nel triennio di contratto le funzioni di docenti, anche in sostituzione di docenti assenti (si vedano i nn. 3.3 e 5 della lettera b) del comma 181 dell'articolo 1, della suddetta legge);
    i principi e criteri direttivi dettati dalla legge lasciano spazi di scelta nella loro attuazione e rimangono peraltro da stabilire i dettagli di molti aspetti del nuovo sistema di accesso ai ruoli e formazione iniziale degli insegnanti, come ad esempio le modalità di gestione della fase della transizione dal sistema attuale al nuovo (si veda il numero 5, della lettera b) sopra richiamata);
    occorre anche tener conto che nel testo della legge delega sono presenti, a giudizio dei presentatori del presente atto di indirizzo, alcune discordanze e incongruenze lessicali che vanno ben chiarite per evitare il rischio di controversie e contenziosi successivi sul testo del decreto delegato;
    la legge delega non contempla espressamente il caso particolare dell'accesso al ruolo e della formazione iniziale per gli insegnanti tecnico-pratici di cui all'articolo 5 della legge 3 maggio 1999, n. 124;
    la delega dovrà essere esercitata dal Governo entro il 15 gennaio 2017 e quindi manca ormai meno di un anno a tale scadenza;
    con decreto n. 6100 del 7 marzo 2016 il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha nominato un gruppo di lavoro incaricato della redazione del testo normativo del decreto delegato;
    con decreto del direttore generale per il personale scolastico del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 106 del 23 febbraio 2016 è stato bandito un concorso per titoli ed esami finalizzato al reclutamento del personale docente per 33.379 posti comuni dell'organico dell'autonomia della scuola secondaria di primo e secondo grado, riservato, ai sensi dell'articolo 1, comma 101, della legge n. 107 del 2015, a persone già in possesso di abilitazione all'insegnamento;
    il numero di persone attualmente in possesso dell'abilitazione all'insegnamento è già certamente ben maggiore del numero dei posti messi a concorso e, inoltre, dovrebbe essere bandito per l'anno accademico 2016/17 un terzo ciclo di tirocinio formativo attivo (Tfa) finalizzato al conseguimento dell'abilitazione all'insegnamento nella scuola secondaria ai sensi del decreto del Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca 10 settembre 2010, n. 249, per cui il numero degli abilitati dovrebbe ancora crescere;
    agli abilitati si aggiungono coloro che, pur non in possesso di abilitazione, hanno già maturato almeno 36 mesi di esperienza di insegnamento come supplenti;
    l'articolo 1, comma 131, della legge n. 107 del 2015 stabilisce che, con decorrenza dal prossimo 1o settembre 2016, i contratti stipulati dalle istituzioni scolastiche per coprire posti vacanti e disponibili di docente non possono superare la durata complessiva di 36 mesi;
    è estremamente urgente dare certezze normative a tutti coloro che si sono già dedicati o intendono dedicarsi all'insegnamento secondario e, nello stesso tempo, chiarire nel modo migliore possibile il nuovo sistema di accesso al ruolo e formazione iniziale introdotto dalla legge n. 107 del 2015,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per accelerare i tempi di esercizio, della delega per il riordino, l'adeguamento e la semplificazione del sistema di formazione iniziale e di accesso ai ruoli di docente della scuola secondaria, di cui all'articolo 1, comma 181, lettera b), della legge 13 luglio 2015, n. 107, indicando anche, appena possibile, la presumibile data del bando del primo concorso con il nuovo sistema;
   ad adottare ogni idonea iniziativa per:
    regolare con estrema attenzione la fase transitoria, in particolare per la situazione dei già abilitati e di coloro che hanno maturato almeno 36 mesi di insegnamento, prevedendo comunque per loro il superamento di specifiche prove concorsuali per l'accesso ad una quota prestabilita di posti e opportune abbreviazioni del percorso triennale post concorso quando non addirittura il suo totale esonero;
    stabilire che i titolari del contratto triennale di formazione sul lavoro non facciano parte dell'organico di autonomia delle scuole (né di quello di diritto, né di quello di fatto, né di quello di potenziamento) ma vadano a costituire uno specifico organico di formazione iniziale e tirocinio;
    valutare la necessità di stanziare risorse finanziarie specifiche per il corretto funzionamento del nuovo sistema di accesso al ruolo e formazione iniziale degli insegnanti di scuola secondaria, da destinare sia alle scuole, sia alle università, per le spese connesse alle retribuzioni dei docenti, agli esoneri e alle attività dei tutor scolastici, ai corsi universitari di specializzazione;
    disciplinare l'accesso al ruolo e la formazione iniziale degli insegnanti tecnico-pratici;
    indicare i settori scientifico-disciplinari, gli ambiti e gli obiettivi formativi dei 24 crediti formativi universitari nelle discipline antropo-psico-pedagogiche e in quelle concernenti le metodologie e tecnologie didattiche in modo da consentire il rapido adeguamento degli ordinamenti universitari, puntando specificamente alle competenze didattiche, metodologiche, pedagogiche, psico-relazionali, antropologiche, valutative e di innovazione didattica che si intendono necessarie per l'insegnante di scuola secondaria ed evitando, con opportune norme di indirizzo, che il conseguimento di tali crediti finisca col diventare un costo aggiuntivo in tempo e in denaro per gli interessati;
    stabilire che le prove del concorso siano uniche a livello nazionale, prevedendo, oltre eventualmente ad un test psico-attitudinale preselettivo, almeno due prove scritte ed una prova orale su tutte le discipline della classe di concorso e sui predetti ambiti formativi, mettendo in successione le tre prove anche non nell'ordine tradizionale per dare il dovuto risalto contemporaneamente alle competenze strettamente disciplinari e a quelle interdisciplinari e trasversali;
    formare le commissioni giudicatrici del concorso comprendendovi sia professori universitari delle discipline della classe di concorso e di quelle antropo-psico-pedagogiche o concernenti le metodologie e tecnologie didattiche, sia dirigenti e insegnanti scolastici prescelti con modalità trasparenti entro liste nazionali di qualificazione di cui faranno comunque parte i tutor della formazione iniziale degli insegnanti;
    chiarire la natura e i contenuti del contratto triennale per i vincitori del concorso, specificando in particolare lo specifico significato che assume in questo contesto la parola «tirocinio» – che è ben diverso da quello che risulta da altre disposizioni normative (ad esempio l'articolo 1, comma 34, della legge n. 92 del 2012 o il decreto del Presidente della Repubblica n. 137 del 2012) o da quello dei tirocini curricolari o extracurricolari degli ordinamenti didattici universitari – specificando comunque la gradualità dell'assunzione della piena funzione docente da parte dei contrattisti e la necessità di un adeguato accompagnamento e di una supervisione di ogni esperienza formativa nell'ambito scolastico da parte dei docenti universitari e dei tutor scolastici;
    stabilire precisi contenuti e obiettivi formativi del corso universitario di specializzazione del primo anno di contratto, riservandone almeno due terzi a lezioni, seminari, laboratori destinati all'approfondimento di singole conoscenze e competenze, di natura sia disciplinare che trasversale, e, della parte restante, metà ad attività di inserimento e tirocinio e metà a progettazione, discussione e riflessione valutativa sulle medesime attività;
    riservare una parte del secondo e del terzo anno di contratto ad una quota ridotta di attività direttamente formative per il completamento della preparazione disciplinare e professionale del docente;
    effettuare, sia alla fine del primo che del secondo anno di contratto, una valutazione del candidato ai fini del proseguimento del contratto, la prima peraltro coincidente con l'esame finale del corso di specializzazione;
    stabilire la retribuzione del contratto triennale, graduandola nel tempo e comunque fissandola, nel primo anno, in misura non inferiore al 50 per cento dello stipendio iniziale di docente di ruolo, fino a raggiungere nel terzo anno il 100 per cento;
    regolare attentamente tutta l'organizzazione del nuovo sistema di formazione iniziale, in modo che non sia né strettamente universitaria, né strettamente scolastica.
(7-00957) «Ghizzoni, Coscia, Carocci, Rocchi, Malisani, Ascani, Manzi, Dallai, Crimì, Narduolo, D'Ottavio, Iori, Sgambato, Ventricelli, Blazina, Rampi, Malpezzi».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della Repubblica del 28 febbraio 2014 è stato nominato Sottosegretario di Stato alla Salute il dottor Vito De Filippo, già assessore regionale all'agricoltura, vice presidente della giunta regionale ed assessore regionale alla sanità nonché presidente del consiglio regionale della Basilicata;
   con decreto ministeriale 24 luglio 2014 il dottor Vito De Filippo ha ricevuto le deleghe dal Ministro della salute, Beatrice Lorenzin, relativamente alla trattazione e alla firma degli atti relativi alle seguenti materie: termalismo, sanità pubblica veterinaria, sanità penitenziaria e salute mentale limitatamente agli ospedali psichiatrici giudiziari, rapporti con i medici di medicina generale e i pediatri di libera scelta e le relative associazioni sindacali per le cure primarie, indennizzi a favore di soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, competenze in materia di relazioni tra il Ministero della salute e le organizzazioni sindacali, malattie rare;
   con sentenza n. 11/2015 del 20 gennaio 2015 la Corte dei Conti, sezione giurisdizionale della Basilicata, ha condannato, il dottor Vito De Filippo a risarcire il danno prodotto alla regione Basilicata nella misura di euro 2.641,52, nell'ambito della nota inchiesta «Rimborsopoli», concernente «plurimi episodi di malversazione di denaro pubblico compiuti da alcuni componenti del Consiglio regionale della Basilicata, indicati come responsabili dell'utilizzo del denaro messo a loro disposizione per finalità estranee alle funzioni di “rappresentanza”, per le sole quali esso era utilizzabile»;
   precedentemente, per gli stessi fatti, nel luglio 2013, i pm Francesco Basentini e Sergio Marotta, hanno chiesto il rinvio a giudizio per 40 indagati, fra questi c’è anche Vito De Filippo. Alla richiesta è seguito il processo tutt'ora in corso;
   nel mese di settembre 2015 diversi organi d'informazione hanno diffuso la notizia che, nell'ambito delle indagini condotte dalla guardia di finanza per un presunto danno erariale di due milioni di euro causato da «alcune irregolarità» nella progettazione dell'ospedale unico per acuti di Lagonegro (Potenza), sono state segnalate alla procura regionale della Basilicata della Corte dei Conti 18 persone, tra cui anche il dottor Vito De Filippo;
   nel medesimo mese di settembre 2015 alcuni organi d'informazione riportano altresì la notizia che la Corte dei Conti, sezione II giurisdizionale centrale di appello, avrebbe condannato il dottor Vito De Filippo a versare 29.653,69 euro nelle casse della regione Basilicata per due nomine considerate illegittime di due ex dirigenti nel nucleo regionale di valutazione e verifica degli investimenti (NRVVIP), quando lo stesso De Filippo, nel 2001, era assessore regionale e che il danno complessivo accertato dalla Sezione II centrale di appello della Corte dei Conti ammonta a 148.268,53 euro;
   infine, è di questi giorni la notizia che vede il nome del dottor Vito De Filippo emergere diffusamente dalle carte dell'inchiesta in relazione ai fatti gravissimi che hanno riguardato il dimissionario Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi e che individuano il Ministro per le riforme costituzionali e i rapporti con il Parlamento, Maria Elena Boschi, come persona informata sui fatti, riguardo il presunto «traffico illecito di influenze» che avrebbe condotto a far approvare un emendamento alla Legge di Stabilità 2015, in favore del colosso petrolifero Total, così da snellire l'iter amministrativo del progetto Tempa Rossa in Basilicata;
   il presunto e citato reato di «traffico illecito di influenze» si colloca nell'ambito di una più vasta indagine per reati che riguardano «attività organizzate per il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti» e in particolar modo attività connesse allo smaltimento delle acque provenienti dalle lavorazioni petrolifere, con conseguenze drammatiche per la salute dei cittadini e la salubrità dell'ambiente, aree che il governo, e il Ministero della salute in particolar modo, anche tramite i propri sottosegretari, dovrebbero sovrintendere e garantire;
   infatti, dalle carte dell'inchiesta emergono gli stretti legami che il dottor Vito De Filippo intratteneva con Rosaria Vicino, ex sindaco del comune lucano di Corleto Perticara (il paese dove sta sorgendo il Centro oli Tempa Rossa), oggi agli arresti domiciliari e ritenuta dagli inquirenti figura centrale nell'ambito dell'inchiesta che ha coinvolto l'ex Ministro Federica Guidi;
   i diversi organi d'informazione riferiscono che dalle carte dell'indagine emergerebbe il ruolo del sottosegretario alla salute, dottor Vito De Filippo, attivamente impegnato nel controllo del territorio lucano e delle relazioni politico-istituzionali, per finalità di consenso elettorale e di potere, in totale sodalizio con la Vinicio, al punto d'intercedere per sistemare il figlio della medesima ex sindaca proprio presso una società dell'Eni;
   infatti, secondo notizie diffuse da numerosi organi di informazione, gli inquirenti scrivono che «l'attività politica svolta sul territorio dalla Vicino, in favore dei candidati del proprio capocorrente De Filippo Vito, ha quale precipuo scopo quello di “sfruttare” il consenso elettorale carpito attraverso la promessa di assunzioni (o nel caso delle imprese attraverso la promessa di lavori) per ricevere in cambio dal sottosegretario alcuni vantaggi personali»;
   dalle medesime intercettazioni dell'indagine, come riferiscono gli organi d'informazione, emergerebbe anche la spregiudicatezza della Vicino che sfruttava le relazioni istituzionali, ivi inclusa quella proprio con il dottor De Filippo, per attivare un intenso sistema di collocamento al lavoro di amici e conoscenti, senza riguardo alcuno anche alla sicurezza dei siti petroliferi tanto da sentirla affermare che «None, a noi la sicurezza non ce ne fotte niente...», in totale spregio della sicurezza e della salute dei cittadini;
   le gravi contingenze su richiamate e che già hanno portato alle dimissioni del Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi e che vedono coinvolto anche il Sottosegretario alla salute dottor Vito De Filippo, a giudizio degli interpellanti inducono a ritenere non più accettabile, oltre che fortemente inopportuno, che lo stesso continui a ricoprire l'incarico istituzionale conferitogli con il necessario decoro e imparzialità che si confà all'altissimo impegno che lo stesso è stato chiamato ad adempiere;
   i fatti gravissimi di questi giorni aggiunti ai precedenti citati, quale appunto la condanna della Corte dei conti per episodi di malversazione di denaro pubblico, sono elementi che, a giudizio degli interpellanti, avrebbero già dovuto indurre il medesimo Sottosegretario ad una rinuncia spontanea a proseguire nel delicato incarico affidatogli –:
   alla luce dei fatti esposti in premessa che, ad avviso degli interpellanti, vedono la posizione del dottor Vito De Filippo fortemente compromessa e considerato il ruolo di Sottosegretario di Stato legato alla tutela della salute, anche nell'ambito della salubrità ambientale, se non si ritenga di assumere, con urgenza le iniziative di competenza al fine di avviare le procedure di revoca della nomina a Sottosegretario di Stato del dottor Vito De Filippo.
(2-01331) «Di Vita, Grillo, Lorefice, Baroni, Colonnese, Mantero, Silvia Giordano, Dall'Osso, Vallascas, Cancelleri, Crippa, Da Villa, Della Valle, Fantinati, Liuzzi, De Lorenzis, Nicola Bianchi, Carinelli, Dell'Orco, Paolo Nicolò Romano, Spessotto, Terzoni, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Micillo, Zolezzi, Bonafede, Agostinelli».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   nell'ambito delle indagini condotte dalla procura della Repubblica di Potenza, inerenti all'operato dell'allora Ministro dello sviluppo economico Federica Guidi, oltre ai gravi fatti emersi in ordine all'impianto di Tempa Rossa, è altresì emerso un ulteriore filone d'indagine relativo al porto di Augusta – tra l'altro, punto di riferimento di diverse compagnie petrolifere;
   detto filone ha a sua volta condotto gli inquirenti ad indagare su un'altra vicenda non chiara relativa al progetto di ammodernamento dell'intera flotta italiana, del valore di 5,4 miliardi di euro; stando agli organi di stampa, tale progetto risulta fortemente voluto dal Capo di Stato maggiore della Marina italiana, Ammiraglio Giuseppe De Giorgi, che è attualmente indagato, insieme e nello stesso filone, con Gianluca Gemelli, compagno dell'ex Ministro Guidi;
   stando agli organi di stampa, la persona chiave di questa vicenda è soprattutto un funzionario statale da poco in pensione, Valter Pastena, consigliere del Ministro dello sviluppo economico, a titolo, sembrerebbe, gratuito;
   non è noto come svolgesse il ruolo di consigliere nell'ambito della struttura ministeriale, se in coordinamento con essa o «bypassandola», né come lo esercitasse dentro a fuori del Ministero, né come rispondesse all'interno della catena di comando logistica del Ministero;
   nomina, incarico e ruolo del Pastena non risultano riscontrabili nel sito istituzionale del Ministero dello sviluppo economico, in spregio alle norme in materia di trasparenza, in particolare con riguardo agli incarichi apicali di consulenza;
   a parere degli interpellanti il Pastena era in grado di influenzare l’iter di approvazione di norme in corso d'esame al Parlamento; si trattava di norme contenenti sblocco di rilevanti capitali di spesa pubblica; risulta altresì che, in occasione dell'esame parlamentare inerente all'emendamento di «sblocco» del progetto «Tempa Rossa», l'allora viceministro dello sviluppo economico De Vincenti, si presentò in Commissione ambiente subito dopo la dichiarazione di inammissibilità dell'emendamento lamentandosi vivamente;
   in effetti, il Pastena era stato per molti dirigente della ragioneria generale dello Stato; i vertici del Ministero dell'economia e delle finanze e della ragioneria, per anni, hanno deciso di designarlo quale esperto in importanti commissioni di livello nazionale e quale revisore dei conti/sindaco in una miriade di aziende o enti, cumulando contemporaneamente gli incarichi;
   il Pastena, inoltre, nel periodo trascorso presso la ragioneria generale è stato presente con cariche sociali in aziende private, anche quotate in borsa come Reno De Medici, incarichi che si desumono da visure camerali della camera di commercio e dal curriculum vitae presentato alla Fondazione Musica per Roma, in cui il Pastena, anche attualmente, è presente come revisore dei conti;
   il Pastena, attualmente, pur essendo cessato dal suo incarico presso la ragioneria ed essendo in pensione, ricopre numerosi incarichi in enti e società pubbliche; il blog «La sberla» in data 5 aprile 2016, così riporta: «Pastena infatti risulta attualmente membro del collegio sindacale di Investimenti spa, la holding pubblica romana che ha in pancia il progetto del super polo fieristico capitolino voluto dall'allora sindaco democratico Walter Veltroni e poi avviato su un triste crinale fatto di debiti e speranze tradite. La stella di Pastena comunque sembra ancora brillare di luce propria. L'uomo infatti è attualmente presidente del collegio dei sindaci di Aeroporti di Puglia (una spa finita al centro del cosiddetto affare Di Paola), presidente del collegio dei sindaci della “Società per il polo tecnologico industriale romano”, membro del collegio sindacale della Logesta Italia, la filiale nel Belpaese di una delle più importanti multinazionali per il trasporto del tabacco. E ancora l'ex dirigente è revisore legale della fondazione Musica per Roma, nonché presidente del collegio sindacale del consorzio “Sistema Camerale Servizi Roma”» –:
   se il ruolo svolto dal Pastena, conosciuto quale consigliere del Ministro, sia inquadrabile nella normativa vigente in materia di incarichi dirigenziali apicali, anche con riguardo alla funzione di pubblico ufficiale;
   se vi siano situazioni similari a quella del Pastena in altri Ministri o all'interno degli organi di vertice dello Stato.
(2-01332) «Cecconi, Nuti, Cozzolino, Dadone, Dieni, D'Ambrosio, Toninelli, Frusone, Basilio, Paolo Bernini, Corda, Rizzo, Tofalo, Alberti, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Cariello, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti, Cominardi, Del Grosso, Di Battista, Di Benedetto».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI VITA, MANTERO, GRILLO, SILVIA GIORDANO e LOREFICE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in Italia (i dati di fonte Istat sono reperibili sul sito www.handicapincifre.it) oltre 3 milioni di persone — il 5-6 per cento della popolazione — convivono con una forma di disabilità;
   importanti Istituti di ricerca hanno affrontato in questi anni analisi di vario tipo sui siti della pubblica amministrazione italiana; tra i più importanti si ricorda «Il pentagono della qualità» realizzata dal Censis in collaborazione con atenea sulla PA centrale (aprile 2001) che ha analizzato 32 siti dei Ministeri e di altri enti pubblici di rilevanza nazionale. Questo studio ha dimostrato come l'accessibilità sia diventato un requisito importante per la pubblica amministrazione ma che occorre ancora lavorare molto per una piena e totale soluzione del problema;
   una ricerca elaborata dalla Nielsen e presentata allo Smau 2002, ha provato a quantificare il numero degli anziani e dei disabili che rimangono tagliati fuori dalla mancata democratizzazione della Rete, spiegando che circa il 20 per cento dei disabili ha una buona attitudine a navigare su Internet (si tratta, spiega lo studio, di circa 530.000 persone) e ricordando che la quota di over 65 non disabili che usa il web è il 2,4 per cento del totale (un po’ meno di 130.000 persone). Il dossier presentato dalla Banca popolare di Milano arriva a stimare che un sito non adeguatamente accessibile taglia fuori un pubblico già oggi ricettivo di circa 650.000 persone;
   l'analisi dei dati emersi da detti studi e ricerche ha confermato che le istituzioni dello Stato e le pubbliche amministrazioni stanno andando sul web in ordine sparso con punte di eccellenza accanto ad imbarazzanti ritardi;
   accessibilità web vuol dire soprattutto la rimozione delle barriere informatiche che ostacolano gli utenti con disabilità nell'uso di tecnologie Internet;
   le difficoltà che le persone con disabilità incontrano nell'usare un sistema informatico derivano da carenze nella progettazione del software e dei contenuti dei siti web, che non tengono conto dei principi della progettazione universale e dell'usabilità e della possibilità di utilizzare dispositivi specificamente realizzati per favorire l'uso dei computer da parte dei disabili;
   l'importanza dell'accesso dei disabili alle tecnologie informatiche è stata sottolineata da tempo in numerosi documenti internazionali ed è argomento prioritario nei programmi della Commissione europea. Anche a livello nazionale si è posta la necessità di elaborare strategie operative per il raggiungimento di questi obiettivi, fissando regole compatibili con il rapido evolversi della tecnologia e in grado di tenere conto del panorama vasto e composito delle necessità dei disabili;
   accessibilità significa anche usabilità, cioè la capacità di un sito di esporre le informazioni in modo efficace e intuitivo, facilmente raggiungibili. In questo ambito più generale l'accessibilità implica considerazioni, spesso dettate dal buon senso oltre che da valutazioni tecnologiche, che consentono di progettare e realizzare siti più facilmente utilizzabili da tutte le categorie di utenti;
   la Convenzione ONU sui diritti delle persone con disabilità, ratificata dal Parlamento italiano con la legge 3 marzo 2009, n. 18, afferma e sottolinea il diritto all'accesso all'informazione. Secondo l'articolo 21 le persone con disabilità hanno diritto a ricevere informazioni su base di uguaglianza. Quando ciò non accade la discriminazione è evidente;
   la legge n. 4 del 9 gennaio 2004, «Disposizioni per favorire l'accesso dei soggetti disabili agli strumenti informatici», cosiddetta legge Stanca, ha costituito un primo, importante passo per lo sviluppo di un web che consenta a tutti di accedere alle informazioni ed ai servizi che vengono proposti; la legge, ed i successivi decreti, definiscono un insieme di regole e procedure che consentono di valutare il livello di accessibilità di un sito e conseguentemente di certificarlo, impegnando inarticolate le pubbliche amministrazioni a fornire informazioni in modo che siano accessibili e fruibili a tutti i cittadini;
   il concetto di accessibilità dei siti web è strettamente legato a un principio fondamentale della nostra società, quello delle pari opportunità, e l'accesso dei cittadini disabili ai servizi della pubblica amministrazione deve quindi essere garantito a tutti. L'obiettivo della legge è l'abbattimento delle barriere digitali che limitano o impediscono l'accesso agli strumenti della società dell'informazione da parte dei disabili;
   con il regolamento attuativo della predetta legge n. 4 del 2004, sono stati sanciti i criteri e i principi operativi ed organizzativi generali per l'accessibilità, mentre con il decreto ministeriale attuativo sono stati definiti i requisiti tecnici e le metodologie per la verifica dell'accessibilità dei siti web pubblici;
   l'esigenza di porre in essere strumenti per combattere il cosiddetto digital divide è stata dunque avvertita dal legislatore, in particolare con il CAD (Codice dell'amministrazione digitale), il cui articolo 8 dispone che «lo Stato promuove iniziative volte a favorire l'alfabetizzazione informatica dei cittadini con particolare riguardo alle categorie a rischio di esclusione, anche al fine di favorire l'utilizzo dei servizi telematici delle pubbliche amministrazioni»;
   ancora, i cittadini e le imprese hanno, fra l'altro, diritto a richiedere ed ottenere l'uso delle tecnologie telematiche nelle comunicazioni con le pubbliche amministrazioni (articolo 3, comma 1, CAD);
   sul medesimo tema, la linea di intervento 4, «Promozione e attuazione dei principi di accessibilità e mobilità», del Programma di azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità ha stabilita, in sintesi, ha previsto di contemplare specificamente i seguenti aspetti: razionalizzazione, aggiornamento e adeguamento dell'impianto complessivo della normativa italiana alla dimensione culturale e operativa promossa dalla Convenzione ONU in materia di accessibilità; adozione dei regolamenti attuativi secondo quanto già elaborato a livello tecnico («Schema di Regolamento per la eliminazione delle barriere architettoniche»); maggior promozione dell'attuazione del diritto all'accesso alle tecnologie e ai media, anche attraverso un impegno specifico dell'Agenzia per l'Italia digitale;
   con circolare n. 61/2013 diretta a tutte le pubbliche amministrazioni di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, con oggetto «Disposizioni del decreto-legge 18 ottobre 2012, n. 179, convertito con modificazioni dalla legge 17 dicembre 2012, n. 221 in tema di accessibilità dei siti web e servizi informatici. Obblighi delle pubbliche Amministrazioni.», l'Agenzia per l'Italia digitale (AgID) ha altresì provveduto a informare le pubbliche amministrazioni sui nuovi adempimenti posti a loro carico dalla recente normativa. In particolare, con riferimento agli obiettivi di accessibilità, l'Agenzia per l'Italia digitale ha altresì fornito alle pubbliche amministrazioni sia un questionario, che esse potessero utilizzare per effettuare un'autovalutazione circa lo stato di adeguamento dei propri siti e servizi web alla normativa sull'accessibilità, sia un esempio di format per la pubblicazione sui siti web degli obiettivi annuali di accessibilità;
   malgrado la normativa vigente sopra citata, a distanza di alcuni anni, i siti della pubblica amministrazione italiana presentano ancora un livello eterogeneo di adeguamento alla normativa sull'accessibilità degli stessi siti web che risultano, nel complesso, ancora poco accessibili. A fronte di situazioni di eccellenza, molti siti web pubblici non permettono a tutti i cittadini un pieno accesso ai servizi erogati sul web e non risultano totalmente accessibili;
   emblematica, in tal senso, è la lamentela generalizzata recentemente pervenuta alla prima firmataria del predetto atto su segnalazione di un privato cittadino, il quale, sulla base della propria esperienza personale, riferisce dell'impossibilità constatata di accedere ai documenti in formato pdf dell'area riservata del sito istituzionale dell'INPS. In sostanza, non risulterebbe accessibile la lettura dei bandi delle borse di studio, dei soggiorni all'estero, dei vari concorsi, e altro, a meno che non si disponga del plugin di adobe, nonché la versione del browser e il sistema operativo indicati dall'INPS. Tale aspetto sarebbe contrario a quanto sancito dalla normativa sinora citata, nonché e alle norme W3C (obbligatorie per i siti istituzionali), norme che hanno avuto origine allo scopo precipuo di tutelare quelle le fasce più deboli della popolazione che fanno uso di particolari risorse per l'utilizzo del PC, nonché ipovedenti e «analfabeti» informatici;
   un miglioramento della situazione si dovrebbe ottenere con la realizzazione del sito PubbliAccesso dell'AgID; il sito, non ancora integralmente operativo, dovrebbe infatti divenire un punto di riferimento per tutta la pubblica amministrazione favorendo la comunicazione tra tutti gli attori interessati alle tematiche dell'accessibilità;
   uno dei problemi fondamentali resta tuttavia la formazione di coloro che realizzano i siti; questo richiede infatti un'investimento di risorse che va dall'aggiornamento all'acquisto di software. Questi software, hanno ovviamente un costo, di cui però la pubblica amministrazione dovrebbe tenere conto nel proprio bilancio preventivo;
   l'amministrazione pubblica, in ultima analisi, deve reputare l'accessibilità web come l'adempimento di una vera e propria missione, quella di avvicinare i cittadini, tutti, senza esclusione, affinché possano partecipare alla vita democratica e per servirli al meglio nell'esercizio dei diritti –:
   quali attività di verifica abbia già intrapreso, o intenda al più presto intraprendere, al fine di valutare l'adeguamento di tutti i siti istituzionali e delle pubbliche amministrazioni alle norme sull'accessibilità web e quali ulteriori provvedimenti intenda adottare per colmare le eventuali lacune riscontrate;
   quali siano le cause principali che determinano oggi la mancata ottemperanza alla normativa sull'accessibilità web da parte di certe istituzioni e pubbliche amministrazioni;
   se possa fornire un report dell'attività svolta recentemente a riguardo dall'Agenzia per l'Italia digitale, nonché lo stato di pubblicazione per ogni amministrazione pubblica, ad oggi, degli obiettivi di accessibilità e lo stato di attuazione del piano per l'utilizzo del telelavoro, come previsto dalla circolare citata nelle premesse;
   se e quali eventuali sanzioni, risultino ad oggi esser state comminate a carico dei dirigenti amministrativi alla luce della situazione descritta in premessa;
   se possa chiarire per quali ragioni il portale www.pubbliaccesso.gov.it risulti ancora in fase di aggiornamento e entro quale termine la sua funzionalità;
   con quali modalità e secondo quali criteri soggettivi e oggettivi sia stato formato l'albo dei valutatori di accessibilità dell'AgID e secondo quali regole venga gestito il medesimo;
   quanti accessi si stimi verrebbero effettuati in media al portale www.pubbliaccesso.gov.it;
   quali opportune attività promozionali presso le amministrazioni pubbliche abbia già intrapreso, o intenda intraprendere, al fine di pubblicizzare maggiormente l'utilizzo del portale www.pubbliaccesso.gov.it presso. (5-08312)

Interrogazioni a risposta scritta:


   CARRESCIA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), all'articolo 1, commi 979 e 980, espressamente prevede:
  «979. Al fine di promuovere lo sviluppo della cultura e la conoscenza del patrimonio culturale, a tutti i cittadini italiani o di altri Paesi membri dell'Unione europea residenti nel territorio nazionale, i quali compiono diciotto anni di età nell'anno 2016, è assegnata, nel rispetto del limite di spesa di cui al comma 980, una Carta elettronica. La Carta, dell'importo nominale massimo di euro 500 per l'anno 2016, può essere utilizzata per assistere a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'acquisto di libri nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo. Le somme assegnate con la Carta non costituiscono reddito imponibile del beneficiario e non rilevano ai fini del computo del valore dell'indicatore della situazione economica equivalente. Con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri, di concerto con il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo e con il Ministro dell'economia e delle finanze, da adottare entro trenta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti i criteri e le modalità di attribuzione e di utilizzo della Carta e l'importo da assegnare nell'ambito delle risorse disponibili.
  980. Per le finalità di cui al comma 979 è autorizzata la spesa di 290 milioni di euro per l'anno 2016, da iscrivere nello stato di previsione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo»;
   il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri attuativo, a distanza di oltre due mesi dal termine previsto, non è stato però ancora emanato e ciò impedisce a tantissimi giovani l'utilizzo di un positivo strumento di accesso a rappresentazioni teatrali e cinematografiche, per l'acquisto di libri, nonché per l'ingresso a musei, mostre ed eventi culturali, monumenti, gallerie, aree archeologiche, parchi naturali e spettacoli dal vivo –:
   quali siano i motivi del ritardo nell'emanazione del decreto di cui all'articolo 1, comma 979, della legge di stabilità 2016 e quali siano i tempi ora previsti affinché il «bonus giovani» sia operativo. (4-12732)


   GAGNARLI e DAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'acqua, come ribadito dall'Onu e dal Parlamento europeo, è un bene essenziale ed insostituibile per la vita e, pertanto, la disponibilità e l'accesso all'acqua potabile e all'acqua necessaria per il soddisfacimento dei bisogni collettivi costituiscono un diritto inviolabile, universale e indivisibile, che si annovera fra quelli di cui all'articolo 2 della Costituzione;
   da alcuni anni i gestori del servizio idrico integrato hanno intrapreso la esecrabile pratica dei distacchi delle utenze come segnalato da molti articoli apparsi sulla stampa (http://www.arezzoora.it/blog/2016/03/31/morini-gli-obbedienti-civili-non-sono-morosi/);
   uno di questi casi è accaduto ad Arezzo, dove la società di gestione, Nuove Acque spa, ha proceduto all'interruzione del servizio di distribuzione idrica di diverse utenze durante i mesi di febbraio e marzo 2016, a danno di alcuni cittadini aretini che si erano autoridotti la bolletta dell'acqua, aderendo alla campagna denominata «Obbedienza Civile» promossa dal Comitato Acqua Pubblica di Arezzo, omettendo il pagamento delle somme imputate da Nuove Acque alla componente delle fatture relative alla remunerazione del capitale investito, componente abrogata con il referendum del 12 e 13 giugno 2011, il cui esito venne sancito dal decreto del Presidente della Repubblica n. 116 del 18 luglio 2011;
   Nuove Acque s.p.a. gestisce dal 1999 il servizio idrico integrato nell'A.T.O. (Ambito Territoriale Ottimale) n. 4 Alto Valdarno, che comprende 31 Comuni della provincia di Arezzo e 5 della provincia di Siena. La società a capitale misto diviso tra soci pubblici (53,84%), tra cui 35 Comuni del Valdarno e la Provincia di Arezzo, e il socio privato (46,16%), Intesa Aretina Scarl, tra cui figurano Banca Etruria e Monte dei Paschi;
   la Legge n. 221/2015 riconosce al cittadino, anche se moroso, il diritto al quantitativo minimo di acqua definito come vitale in quanto necessario al soddisfacimento dei bisogni fondamentale, pertanto, le sospensioni dell'erogazione dell'acqua, minacciate e messe in atto da Nuove Acque, si configurerebbero come atti arbitrari dei quali l'azienda potrebbe essere chiamata a rispondere davanti all'Autorità Giurisdizionale competente;
   in conseguenza dei primi distacchi, in data 25 marzo 2016, il Comitato Acqua pubblica di Arezzo, riconosciuto dal TAR Toscana come idoneo e rappresentativo interlocutore con le autorità in ordine alla corretta applicazione della normativa vigente in materia di erogazione del servizio idrico, pertanto legittimato ad agire in giudizio a tutela di tali interessi, ha presentato un esposto alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Arezzo, per evitare l'illegittima sospensione di altre forniture idriche ovvero la minaccia di tale sospensione;
   all'esposto del Comitato, in data 31 marzo sono seguite quattro denunce da parte di altrettanti cittadini ai carabinieri di Arezzo, a cui si aggiungono due ricorsi d'urgenza del giorno precedente, presentati da altri privati cittadini che si trovano nella stessa situazione;
   il sindaco di Arezzo, Ghinelli, ha ritenuto opportuno scrivere all'Autorità idrica Toscana affinché interrompesse la pratica dei distacchi messa in atto da Nuove Acque spa nei confronti degli utenti aderenti alla campagna di obbedienza civile;
   il Comitato Acqua Pubblica tiene a precisare che riguardo al contestato mantenimento in tariffa della componente abrogata dal referendum del 2011 è tuttora pendente ricorso in appello presso la Sesta Sezione del Consiglio di Stato (Registro Gen. 5940/2014), in attesa del parere tecnico preliminare alla sentenza che dovrebbe essere fissata entro il secondo trimestre 2016;
   la Società di gestione Nuove acque spa, da parte sua, sostiene di essere mossa da un rigido quadro normativo deciso dalle autorità competenti che la obbligherebbe a recuperare nel tempo i mancati ricavi, spalmandone il debito sul totale dell'utenza, col rischio che le iniziative dei cosiddetti «obbedienti» vadano a colpire l'intera collettività;
   quali iniziative intende intraprendere la Presidenza del Consiglio alla luce dei fatti esposti in premessa per garantire a tutti i cittadini il diritto al quantitativo minimo indispensabile di acqua, ovvero 50 litri al giorno per persona, considerati un diritto inviolabile, universale e indivisibile, che si annovera fra quelli di cui all'articolo 2 della Costituzione, riconoscendone la peculiarità di «bene comune» non assoggettabile a meccanismi di mercato.
(4-12735)


   DIENI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la legge italiana deve essere rispettata da tutti i soggetti operanti in Italia, anche dai social network, specie se la sua violazione minaccia la sicurezza delle persone o mette in discussione i diritti dei cittadini;
   il quotidiano La Stampa, in un articolo dal titolo « Facebook disobbedisce al pm che ordina di oscurare un account», apparso il 29 marzo 2016, segnala il caso di un decreto che non sarebbe stato rispettato dal noto social network;
   più precisamente i reati contestati, di cui Facebook si è fatto veicolo ospitando i profili «Musulmani d'Italia» e «Islam Italia», sarebbero, secondo il quotidiano particolarmente gravi: «si parla di minacce aggravate e diffamazione per una serie di frasi rivolte contro Benedetta Salsi, redattrice del Resto del Carlino di Reggio, "colpevole" di aver raccontato sul suo giornale la storia di Luca Aleotti»;
   il suddetto personaggio sarebbe indagato per terrorismo dalla procura di Bologna per alcune frasi pubblicate su internet dopo gli attentati di Parigi sotto lo pseudonimo Saif-Allah, cioè spada di Dio;
   ad Aleotti, è stata poi applicata una misura di sorveglianza speciale per atti di stalking, inflitti alla sua ex compagna e per aver aggredito un agente;
   a fronte di questi fatti, la giornalista Benedetta Salsi, compiendo il proprio lavoro, decideva di raccontare la vicenda;
   il seguito si traduce per la giornalista in una persecuzione, dato che, come racconta lei stessa, «La mattina della pubblicazione del mio articolo, sulla pagina Musulmani d'Italia compare un post. C’è la mia fotografia rubata da Twitter e un testo con il mio nome, cognome, età, luogo in cui lavoro. Sono indicata come "islamofoba", poi pesanti calunnie e invenzioni riguardanti la mia sfera personale e intima, allusioni sessiste e volgarità»;
   al termine del messaggio comparirebbe addirittura una minaccia;
   al decreto del magistrato di Reggio Emilia, che intimava a Facebook di oscurare due pagine, il social network più seguito del mondo ha risposto tuttavia respingendo la richiesta, senza neppure spiegare il motivo;
   è ovvio che tale condotta da parte di questo sito, che si fa in tal modo veicolo non solo della propaganda islamista, ma anche di uno spregevole svilimento di una donna lavoratrice non può essere accettata dalle autorità italiane;
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza anche normative, intenda adottare al fine di garantire che i social network incluso Facebook, si adeguino ai provvedimenti della magistratura esattamente come avviene per tutti i siti internet visibili nel Paese. (4-12737)


   SANDRA SAVINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il cittadino italiano Odesio Manarin, agente della polizia municipale di San Quirino, residente a Vajont, nella provincia di Pordenone, ha inoltrato, da molto tempo, una richiesta di adozione di un bambino russo di 8 anni insieme a sua moglie;
   i coniugi hanno osservato tutte le procedure adottive necessarie e, la scorsa settimana, hanno intrapreso il terzo ed ultimo viaggio in Russia per preparare la documentazione necessaria per l'espatrio del bambino adottato;
   stando ad informazioni diffuse dai media russi, Odesio Manarin, è stato denunciato per percosse, in quanto avrebbe malmenato proprio il bambino russo di 8 anni dopo aver firmato i documenti necessari per finalizzare l'adozione del minore. Il tutto sarebbe avvenuto a Volgograd;
   gli stessi media russi hanno diffuso la notizia secondo cui il bambino sarebbe affetto da problemi psichici;
   Manarin nega di aver picchiato il ragazzo, spiegando di aver solo cercato di impedire che il bambino finisse in mezzo a una strada trafficata e, quindi, pericolosa per la sua incolumità;
   nonostante ciò, il piccolo è stato affidato ai servizi sociali e la custodia è stata sospesa sino a quando il giudice non chiarirà le circostanze dell'incidente;
   la coppia di coniugi è assistita dal consolato di Mosca che è stato subito informato dei fatti ed è in costante contatto con i connazionali;
   l'Associazione Amici dei Bambini (Aibi), l'ente che sta seguendo tutta la vicenda dell'adozione del bambino russo con i propri avvocati, definisce assolutamente inedita la situazione e si sta muovendo per ottenere chiarimenti;
   in difesa del Manarin si è espresso il sindaco del comune di San Quirino (Pordenone), Corrado Della Mattia, per due mandati anche assessore provinciale alla Viabilità, il quale ha dichiarato: «Stiamo parlando di una persona esemplare, un uomo che ha sempre fatto della conciliazione il principio guida della propria professione, mettendo sempre in primo piano i rapporti interpersonali. Un uomo che da adulto ha conseguito due lauree, e che sta inseguendo da molto tempo il sogno di adottare questo bambino. Secondo quanto mi ha riferito prima di partire era persuaso che questa volta fosse quella buona per perfezionare l'arrivo in Italia del bimbo. Per lui e la moglie questa era diventata la principale ragione di vita: stiamo parlando di un bimbo che ha avuto straordinarie disavventure, un orfano per il quale Odesio stravede e per il quale sta facendo ogni cosa per portarlo nella propria abitazione friulana, consapevole delle difficoltà cui andrà incontro per le patologie che affliggono il piccolo»;
   lo stesso sindaco ha avanzato l'ipotesi che dietro alla vicenda ci siano tentativi di speculazione economica: «Purtroppo Odesio mi aveva già messo al corrente delle incredibili difficoltà che la burocrazia russa aveva opposto alla conclusione dell’iter. Nonostante questo, non si è mai perso d'animo e adesso aveva chiesto un periodo di ferie per raggiungere il traguardo tanto inseguito. Nessuno può pensare che stesse picchiando quel bimbo che sta cercando disperatamente di adottare da anni: se dice che voleva scongiurare che lo investissero delle auto, dobbiamo credergli. In tutti noi si fa forte il sospetto che qualcuno voglia ulteriormente mettere i bastoni tra le ruote per evitare che il progetto di adozione si concretizzi, magari cercando di conseguire un ritorno economico dalla vicenda» –:
   se il Governo sia al corrente della vicenda e se abbia informazioni più precise al riguardo;
   se il Ministro interrogato abbia contattato il consolato di Mosca in merito alla vicenda sopra descritta e se abbia avviato le iniziative di competenza per verificare come si siano svolti effettivamente i fatti;
   se il Governo intenda supportare il nostro concittadino con tutti gli strumenti a sua disposizione per accertarne l'effettiva estraneità alle accuse a lui mosse, come egli stesso ha più volte dichiarato;
   se risulti al Governo la possibilità di risalire ad eventuali testimoni presenti al momento del verificarsi dei fatti in questione. (4-12739)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   tra le voci presenti sul passaporto italiano vi è la voce «residenza»;
   un cittadino italiano residente in Israele e regolarmente iscritto all'Aire che faccia richiesta di rinnovo del passaporto italiano, è posto dinanzi alla condizione per cui, al momento del rinnovo, troverà apposto Israele come Stato di residenza;
   sono numerosi gli Stati che negano l'ingresso a cittadini di qualunque Paese se sul passaporto è presente un visto israeliano. Tra questi: Siria, Libano, Libia, Iran, Yemen ed Arabia Saudita;
   con decreto n. 303/33 del 28 giugno 2010, il Ministero degli affari esteri ha disciplinato le modalità di rilascio di un secondo passaporto ai cittadini italiani che ne facciano richiesta e ciò al fine di consentire al cittadino italiano già titolare di passaporto in corso di validità che si rechi all'estero l'ingresso o la permanenza in determinati Stati, come quelli summenzionati. La finalità di tale decisione, la cui motivazione è espressa nel decreto in «particolari e comprovate contingenze di carattere politico-internazionale, di guerra o di religione» è chiaramente volta a tutelare la sicurezza del cittadino italiano;
   al cittadino italiano sul cui passaporto, alla voce «residenza» viene riportato «Israele», per le stesse ragioni non sarà consentito l'ingresso in numerosi Stati con cui Israele non intrattiene rapporti diplomatici e ciò comporta una violazione della libertà di circolazione di parte dei nostri connazionali –:
   se per i casi di cui sopra, al fine di tutelare la sicurezza e il diritto alla libera circolazione di tutti i cittadini italiani in possesso di regolare passaporto, il Governo non ritenga opportuno assumere iniziative per eliminare la voce «residenza» nel caso di rinnovo del passaporto da parte di cittadini italiani residenti in Israele o, alternativamente, consentire di registrare sul passaporto l'ultimo comune italiano di residenza. (5-08311)


   TULLO, QUARANTA, PASTORINO, BASSO, CAROCCI, GIACOBBE, MARIANI, MARCO MELONI e VAZIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la tensione internazionale generata dagli attentati prima di Parigi e di Bruxelles, oltre ai gravi lutti che ne sono derivati, ha avuto un effetto sulla gestione dell'ordine e della sicurezza pubblica in tutta Europa ma in particolare nel territorio francese;
   da fonti dirette, nonché dalla stampa quotidiana risulta che, il 26 marzo 2016, Khalid Rawash, medico in servizio presso il carcere di Imperia, cittadino italiano da 30 anni, con doppio passaporto giordano e italiano, sposato con una cittadina italiana e padre di tre figli, all'aeroporto di Nizza, di rientro da un viaggio a Tunisi, sia stato respinto dalla polizia francese come «cittadino non gradito» e, anziché consentirgli di rientrare in Italia, è stato forzosamente imbarcato su un aereo diretto sempre a Tunisi, dove, passata la notte in cella di sicurezza, l'indomani mattina, ha preso un volo a sue spese da Tunisi a Milano;
   Rawash è attivista e dirigente provinciale e regionale dell'Arci, nonché impegnato in movimenti per la pace e l'affermazione dei diritti, in quotidiane iniziative che favoriscono l'inclusione sociale la coesione tra i popoli;
   Rawash si era recato a Tunisi per partecipare a un convegno sull'immigrazione cui risultano aver aderito anche docenti dell'università di Torino e di Padova;
   l'Arci, nazionale si è fatta promotrice di una richiesta formale di spiegazioni direttamente all'ambasciata di Francia in Italia e per conoscenza ai Ministri degli esteri e dell'interno del nostro Paese;
   un simile episodio appare configurarsi, a giudizio degli interroganti, come un abuso nei confronti di un cittadino italiano ed europeo perpetrato nel territorio dell'Unione europea e, laddove confermato, rischia di avvalorare i timori circa la tenuta delle garanzie e delle libertà individuali in questa difficile fase della vita europea –:
   se il Ministro sia a conoscenza degli avvenimenti richiamati in premessa e come intenda intervenire sia in sede politica che diplomatica per chiarire con le autorità francesi le ragioni di una così discutibile decisione di polizia;
   se le autorità francesi abbiano informato le corrispondenti autorità italiane prima dell'adozione delle suddette misure nei confronti di un nostro concittadino. (5-08315)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta immediata:


   FAUTTILLI. Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in località Padiglione/Spadellata nei territori di Anzio, Nettuno e Aprilia, in provincia di Roma, è stata recentemente scoperta una discarica di rifiuti abbandonati, individuata tra una piccola area boscosa e un profondo fosso denominato «S. Anastasio», in cui scorre un corso d'acqua che trova il suo naturale sbocco a circa due chilometri a valle, direttamente nel mare al confine tra il lido di Lavinio e il lido dei Gigli;
   tale area boscosa appartiene alla categoria dei siti di interesse comunitario, in cui è classificata con il codice IT6030044;
   la direttiva comunitaria n. 43 del 21 maggio 1992 (92/43/CEE), direttiva del Consiglio relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatiche, è stata recepita in Italia nel 1997;
   la suddetta area interessata si estende su una superficie di circa 5 mila metri quadrati, parzialmente ricoperta di macchia boscosa, e da essa affiorano tracce evidenti di rifiuti misti: plastica, vetro, teli catramati, parti di veicoli, metalli, fibrocemento e altre sostanze pericolose;
   in una parte consistente della sopra citata area è presente anche un accumulo di rifiuti che raggiunge addirittura i 15-20 metri di altezza ed è coperto da un sottile strato di terra sul quale crescono piante erbacee;
   a poche decine di metri da tale «collinetta» di rifiuti sono state inoltre scoperte due piattaforme in calcestruzzo, di circa 100 metri quadrati ciascuna e sopraelevate di 80 centimetri dal livello del suolo, che sono la parte affiorante di due sarcofagi di cemento armato costruiti negli anni ’80 per contenere e sigillare centinaia di fusti contenenti rifiuti speciali farmaceutici; negli anni, tali piattaforme si sono deteriorate presentando ormai vistose crepe;
   è notizia di questi giorni che il comune di Anzio sta cercando di approvare, nonostante l'unanime parere contrario della cittadinanza, delle parti sociali interessate e della commissione «No Biogas» – istituitasi per monitorare gli effetti nocivi sull'ambiente e sulla cittadinanza che tale tipo di impianti procurerebbe – un progetto della società Green Future s.r.l. per la realizzazione, nel lotto di terreno immediatamente attiguo a tale discarica, di una centrale destinata al trattamento di rifiuti e alla produzione di gas metano che confinerebbe anche con la scuola dell'infanzia ed elementare «Istituto comprensivo Anzio 2 – plesso Sacida»;
   è stato in tempi ancora più recenti scoperto, a quanto consta all'interrogante, che lo stesso comune di Anzio sta cercando di approvare, in questo specifico caso senza aver informato la cittadinanza, un secondo impianto destinato al trattamento di rifiuti e alla produzione di gas metano, quest'ultimo ad un solo chilometro di distanza dal primo (e dalla discarica);
   tali impianti, se realizzati, tratterebbero una quantità di rifiuti organici che, a regime, sarebbe di circa 15 volte maggiore rispetto a quella prodotta dal comune di Anzio;
   le conseguenze sarebbero quantificabili in danni alle persone (esalazioni, odori), alle colture (inquinamento delle falde), al turismo ed all'economia (crollo del valore degli immobili ad uso abitativo del 40-50 per cento), senza inoltre calcolare l'ingorgo stradale che si verificherebbe lungo le due arterie che collegano Roma a Nettuno – la strada statale 148 «Pontina» e la strada statale 207 «Nettunense» – già in condizioni disastrose;
   e, in ogni caso, a circa 7 chilometri in linea d'aria di distanza è già presente ed operativo un impianto turbogas, realizzato nel 2012 ad opera di Sorgenia s.p.a.;
   a circa tre chilometri di distanza, è inoltre già presente ed operativo l'impianto turbogas di Campo di Carne (comune di Aprilia – Latina) all'interno del quale, sempre in data 10 febbraio 2016, è divampato un vasto incendio –:
   se il Ministro interrogato non ritenga necessario, per quanto di competenza, promuovere una verifica del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente in ordine ai rischi per la salute e per l'ambiente riscontrabili nell'area citata in premessa e a livello di inquinamento complessivo, considerato che si tratta di un sito di interesse comunitario e che il nuovo impianto prospettato per il trattamento di rifiuti e la produzione di gas metano finirebbe per aggravare la situazione.
(3-02160)


   SCOTTO, FOLINO, PLACIDO, ZARATTI, PELLEGRINO, AIRAUDO, FRANCO BORDO, COSTANTINO, D'ATTORRE, DURANTI, DANIELE FARINA, FASSINA, FAVA, FERRARA, FRATOIANNI, CARLO GALLI, GIANCARLO GIORDANO, GREGORI, KRONBICHLER, MARCON, MARTELLI, MELILLA, NICCHI, PAGLIA, PALAZZOTTO, PANNARALE, PIRAS, QUARANTA, RICCIATTI, SANNICANDRO e ZACCAGNINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nella serata del 31 marzo 2016, come ampiamente evidenziato dalla stampa nazionale, il Ministro dello sviluppo economico, Federica Guidi, si è dimessa a seguito del coinvolgimento del suo compagno, Gianluca Gemelli, nell'inchiesta sul traffico illecito di rifiuti di petrolio al centro oli di Viggiano (Potenza) dell'Eni;
   negli atti di tale inchiesta, sono confluite una serie di conversazioni telefoniche tra il Ministro dello sviluppo economico e il suo compagno Gianluca Gemelli, in riferimento alla presentazione di un emendamento presentato nell'ottobre 2014 dal Governo al disegno di legge di conversione del decreto-legge «sblocca Italia», per agevolare l’iter delle autorizzazioni necessarie alla realizzazione del progetto «Tempa Rossa», il giacimento petrolifero della Basilicata la cui base logistica è prevista a Taranto nella raffineria Eni e dal valore complessivo di 1,6 miliardi di euro. Progetto fortemente contestato dalle associazioni ambientaliste rispetto al quale Gianluca Gemelli nutriva diverse aspettative;
   l'emendamento, poi dichiarato inammissibile, era stato presentato la notte del 17 ottobre 2014, tra le proteste dell'opposizione. L'onorevole Zaratti, come riporta il resoconto sommario del dibattito avvenuto in Commissione ambiente, dichiarava come «l'emendamento 37.52 del Governo, che autorizza procedure di esproprio in ambiti di particolare rilevanza ambientale, non sia degno di uno Stato civile»;
   non essendo riuscito a farlo approvare all'interno dello «sblocca Italia», l'emendamento viene riproposto e inserito dal Governo nel maxiemendamento nel dicembre 2014, e fatto approvare leggermente modificato, in sede di approvazione della legge di stabilità per il 2015, con il quale si sblocca, scavalcando le regioni, il progetto di estrazione di petrolio Tempa Rossa, favorendo le aziende gestite dalla Total e il compagno dell'ex Ministro dello sviluppo economico, ora indagato dalla procura di Potenza, perché, secondo l'accusa, le sue aziende avrebbero guadagnato circa due milioni e mezzo di euro di subappalti, come risulta dalle conversazioni telefoniche agli atti degli inquirenti. Telefonate in cui viene peraltro nominata anche la Ministra Boschi;
   si è, insomma, assistito a un via libera arrivato nonostante la chiara denuncia di quanto sarebbe potuto accadere, come poi è davvero successo, per effetto della modifica. Ad avviso degli interroganti in Commissione bilancio del Senato della Repubblica tutti sapevano cosa si stava votando e quali fossero i possibili rischi della norma;
   si prevedeva, infatti, l'autorizzazione unica per le infrastrutture a valle del progetto, in modo da agevolare il processo autorizzativo. Opere che hanno visto e vedono il forte dissenso del comune di Taranto, anche alla luce del fatto che Tempa Rossa porterà un aumento dell'inquinamento provocato da composti volatili del greggio, peraltro in un'area già ambientalmente devastata dalla presenza degli stabilimenti dell'Ilva;
   per quanto si apprende dalla stampa nazionale, inoltre, a seguito della dichiarazione di inammissibilità dell'emendamento su Tempa Rossa da parte della presidenza della Commissione ambiente della Camera dei deputati in occasione dell'esame del cosiddetto decreto-legge «sblocca Italia», le compagnie Total, Shell ed Eni avrebbero svolto una fortissima attività di lobbying presso la Presidenza del Consiglio dei ministri, tanto che dall'inchiesta citata emergerebbe un vorticoso scambio di posta elettronica per suggerire quasi parola per parola il testo dell'emendamento da presentare al Senato della Repubblica durante la discussione della legge di stabilità per il 2015, poi approvato;
   è da considerarsi inammissibile che un'opera privata ad altissimo rischio di impatto ambientale come Tempa Rossa venga addirittura disciplinata in modo meno rigoroso sotto il profilo dei controlli di un'opera pubblica, negandosi il ruolo delle regioni e senza che vi sia la benché minima previsione di compensazioni ambientali. L'importanza di sbloccare un'opera non impattante può ritenersi condivisibile se si tratta di un'opera pubblica e a determinate condizioni, ma con tutta evidenza non può valere la stessa cosa se si tratta di un'opera privata, come nel caso di Tempa Rossa;
   alla luce di quanto sopra esposto, si fa notare il «silenzio assordante» del Ministro interrogato, nonostante gli evidenti pesanti impatti ambientali dell'opera infrastrutturale –:
   se durante lo svolgimento dei lavori parlamentari inerenti al cosiddetto decreto-legge «sblocca Italia» e alla legge di stabilità per il 2015, il Ministro interrogato sia stato minimamente informato o coinvolto nella valutazione delle proposte riguardanti il progetto Tempa Rossa o se, come si apprende dalla stampa nazionale, dette proposte sarebbero state piuttosto il frutto di un confronto condotto unicamente tra il Ministero dello sviluppo economico, la Presidenza del Consiglio dei ministri e le compagnie petrolifere e, infine, quali elementi intenda fornire al Parlamento circa il rischio di aumento provocato dai composti volatili del greggio riferiti al progetto Tempa Rossa. (3-02161)


   SANTELLI e OCCHIUTO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'inchiesta della procura di Potenza sul caso «Tempa rossa», le cui vicende hanno portato nei giorni scorsi alle dimissioni della Ministra dello sviluppo economico, Federica Guidi, tocca anche la regione Calabria, in merito ad un presunto traffico di rifiuti prodotti da Eni nel centro oli di Viggiano, in Basilicata, molto pericoloso per i cittadini e per l'ambiente;
   come anticipato da Il Corriere della Calabria, sono sei i calabresi indagati dalla procura di Potenza: si tratta degli amministratori della Iam (Iniziative ambientali meridionali), ovvero l'azienda che gestisce il depuratore di Gioia Tauro, e della Consuleco, che gestisce il depuratore a Bisignano: impianti che – scrive la procura di Potenza – non era in grado di trattare i rifiuti pericolosi che giungevano dalla Basilicata; a questi si aggiungono anche gli amministratori della Ecosystem, azienda autorizzata al trasporto di rifiuti solidi e liquidi;
   la procura indaga su due anni, il 2013 e il 2014, nel corso dei quali migliaia di tonnellate di rifiuti pericolosi sono arrivate nei due impianti calabresi (Iam e Consuleco) che non avevano i mezzi per trattarle. Si tratta di 28 mila tonnellate giunte a Gioia Tauro e circa 3.200 iniettate nel depuratore a Bisignano. In entrambi i casi, il consulente nominato dagli uffici giudiziari ha evidenziato che «i rifiuti liquidi provenienti dalle due vasche (del centro oli) dovevano essere caratterizzati con i codici CER 19 02 04 (miscugli di rifiuti contenenti almeno un rifiuto pericoloso) e 13 05 08 (miscugli di rifiuti delle camere a sabbia e dei prodotti di separazione acqua/olio), entrambi pericolosi». Il codice assegnato, invece, era decisamente tranquillizzante e riservato agli scarti non pericolosi;
   per smaltire la grande mole di rifiuti liquidi prodotta nel centro oli, scrivono i magistrati, «Eni ha posto in essere una vera e propria organizzazione, che seppur inquadrata amministrativamente dai due contratti stipulati rispettivamente con i raggruppamenti temporanei d'imprese Ireos e Ecosystem, di fatto è finalizzata al traffico illecito dei rifiuti». «A fronte dell'ingente movimentazione e smaltimento di rifiuti – continuano i magistrati –, si produceva un consistente ritorno economico per tutte le parti in causa, concretizzatosi sostanzialmente in un sostanziale risparmio per la committente Eni e in un ingiusto guadagno per gli impianti di smaltimento che, grazie alla «pilotata» e più favorevole classificazione del rifiuto, avevano potuto trattare il rifiuto celando, sotto una parvenza di legalità, un vero e proprio traffico illecito»;
   nelle conversazioni intercettate degli amministratori indagati si parla anche della questione ambientale: «(...) è la popolazione che ha il problema (...) il problema degli odori: ormai esce su tutti gli impianti (...) delle vostre acque»;
   il caso riportato non è sicuramente il primo che coinvolge il tema dell'inquinamento e dei rifiuti pericolosi in Calabria; vale la pena ricordare la vicenda dell'azienda Legnochimica, con sede a Mondovì (Cuneo), che ha operato in Calabria dal 1967 al 2002, attraverso due stabilimenti nel cosentino che hanno prodotto pannelli in ledorex (masonite) e tannino;
   in particolare lo stabilimento di Rende ha occupato un territorio di 30 ettari circa ed è stato più volte oggetto di lamentele da parte dei residenti della zona per presunte emissioni inquinanti, soprattutto fumi e cattivi odori;
   tra il 2002, anno in cui Legnochimica ha cessato le proprie attività, e il 2006, anno in cui la proprietà, concentrata nella società Legnochimica srl, ha avviato la propria liquidazione, oltre 20 dei 30 ettari di terreno dello stabilimento sono stati venduti per agevolare la nascita di altre attività: tra queste, la più corposa, è Calabra Maceri, azienda specializzata nella gestione del ciclo dei rifiuti solidi urbani;
   nel terreno di Legnochimica erano presenti 8 bacini idrici artificiali di varia estensione, dove veniva «decantato» il legname da trasformare in ledorex e da cui estrarre il tannino;
   nel 2006 il comune di Rende ha impedito a Legnochimica srl di liquidare i restanti 9 ettari di terreno dell'ex stabilimento, di cui aveva chiesto la preventiva bonifica;
   nel 2009, in seguito ad alcuni incendi verificatisi nell'estate precedente e alle pressioni di alcuni gruppi di ambientalisti (comitato «Romore» e associazione «Crocevia»), la procura della Repubblica di Cosenza ha aperto un'inchiesta sull'ex stabilimento a carico dell'ex amministratore e liquidatore Palmiro Pellicori per disastro ambientale;
   l'inchiesta, arenatasi nel 2012 in seguito alla morte per malattia di Pellicori, è stata archiviata nel 2014. Tuttavia, ha prodotto un consistente faldone di documenti, tra cui spicca la cosiddetta «relazione Crisci», redatta per conto della procura cosentina da Gino Mirocle Crisci, docente e ora rettore dell'Università della Calabria. I risultati della relazione, redatta tra il 2010 e il 2011, denunciano elevate concentrazioni di nichel, manganese, ferro, alluminio, cromo, piombo, cloro, cobalto e arsenico, nei terreni e nelle vasche dell'ex stabilimento. I quantitativi rilevati di queste sostanze eccedono, anche di centinaia di volte, i limiti massimi consentiti dalla legge. Al riguardo, il professor Crisci ha scritto nella sua relazione: «La falda acquifera sotto ed in prossimità dei bacini artificiali, risulta gravemente contaminata, anche in profondità e detta contaminazione si è estesa ai pozzi esistenti in zona». Sulla stessa problematica sono intervenute, l'Arpacal e l'azienda sanitaria di Cosenza. Anche queste due strutture hanno denunciato pericoli di inquinamento;
   negli 8 mesi compresi tra l'inverno del 2008 e l'estate del 2009 si sono verificati, nelle immediate vicinanze (a via Settimo, che dista più o meno 100 metri dall'ex stabilimento), circa 10 decessi per tumore. Tra questi, 4 riguardano il pancreas e non sono incompatibili con ipotesi di inquinamento industriale;
   nel periodo estivo si verificano frequenti fenomeni di autocombustione dei materiali di scarto rimasti nell'ex stabilimento che sprigionano fumi e cattivi odori rendendo irrespirabile l'aria e letteralmente invivibile la zona;
   il 24 novembre 2015, in seguito a 4 denunce (2 inoltrate dai sindaco di Rende, Marcello Manna, 1 dalla polizia provinciale di Cosenza e 1 dall'associazione «Crocevia»), la procura di Cosenza ha riaperto l'indagine e sequestrati i terreni e i pozzi idrici sospetti. L'inchiesta è tuttora in corso e si è estesa anche ad ipotesi di «epidemiologia tumorale» –:
   se il Ministro interrogato intenda porre in essere opportune verifiche di competenza, anche in considerazione della normativa europea, al fine del controllo sui livelli di inquinamento delle aree interessate dalle vicende riportate in premessa e di assicurare interventi di riparazione, nella misura possibile, di eventuali danni ambientali, e, più in generale, quali iniziative di competenza intenda promuovere per tutelare in maniera adeguata la sicurezza e la salute dei cittadini calabresi residenti nelle zone interessate dalla presenza di rifiuti tossici. (3-02162)


   LIUZZI, DELL'ORCO, CASTELLI, TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI, VALLASCAS, CRIPPA, DA VILLA, DELLA VALLE, FANTINATI e CANCELLERI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Basilicata, nella provincia di Potenza, è situato il centro oli di Viggiano Eni. Una delle principali attività del centro è la produzione di composti, azotati derivanti dalla desolforazione del petrolio, utilizzati in agricoltura;
   il petrolio estratto in Basilicata è di scarsissima qualità, altamente inquinante e la sua produzione copre appena il 6 per cento del fabbisogno nazionale;
   per estrarre il petrolio lucano bisogna trivellare fino a 4 chilometri di profondità. Tale attività produce sostanze tossiche e cancerogene, fortemente inquinanti e pericolose per la popolazione e l'ambiente, quali idrocarburi pesanti, diossina, acidicanti vari, bario, berillio e anche isotopi radioattivi come l'americio 249. Inoltre, le estrazioni sono anche motivo dell'inquinamento irreversibile delle falde acquifere e delle sorgenti del bacino idrico del fiume Agri, un insieme di circa 700 sorgenti che si trovano proprio nell'area della Concessione Val d'Agri;
   le attività estrattive o di reiniezione o di desolforizzazione vengono realizzate in prossimità di una diga lucana, lo sbarramento del Pertusillo, nonostante siano noti i rischi sismici e di raffinazione. In tali località, oltretutto, spesso si registrano morie di pesci proprio dove si rilevano anche alte concentrazioni di idrocarburi, di acidificanti e di inquinanti in generale;
   la zona della Val d'Agri, secondo alcuni documenti venuti in possesso della professoressa dell'Università della California, Maria Rita D'Orsogna, negli anni ’90, è stata una delle tre aree al mondo dove si sono sperimentate per la prima volta tecniche di perforazione simili all'attuale ed invasivo fracking, con acidificazione elevata delle acque del Pertusillo. Secondo uno studio dell'Usgs (United States geological survey), agenzia governativa statunitense, l'acidificazione delle acque dolci è la principale causa sospetta per l'improvvisa moria di carpe, trote e persici;
   il portavoce del MoVimento 5 Stelle al Senato della Repubblica Vito Petrocelli, a settembre del 2013, ha presentato una denuncia alla Commissione europea con richiesta di infrazione per violazione della direttiva europea sull'acqua;
   nel centro di desolforazione del Cova di Viggiano, che è al centro della concessione mineraria Val d'Agri, si sono registrate numerose «sfiammate» oggetto di molti atti parlamentari del MoVimento 5 Stelle ai quali sono sempre seguite risposte rassicuranti da parte delle istituzioni e degli enti preposti;
   l'estrazione di petrolio in generale, ma soprattutto quello lucano che è ad altissima concentrazione di zolfo, significa un'inevitabile immissione in atmosfera di idrogeno solforato. Il processo di Claus ne elimina solo il 95-97 per cento, la restante parte viene immessa in aria da un inceneritore a fiammella costante come quello del centro oli di Viggiano. Le fiammate, che da settembre del 2013 interessano costantemente il centro lucano e spaventano la popolazione locale, creano anche diffuse patologie allergiche, cardio-respiratorie e irritazioni a mucose nasali e agli occhi. La causa delle patologie appena citate è l'idrogeno solforato che ha visto in Val d'Agri anche l'abbandono delle terre coltivate e la fine della pastorizia;
   in una ricerca curata dall'università della Basilicata, pubblicata dall’international journal food science and technology, risulta che nel miele prodotto nella Val D'Agri si trovano alti tassi di benzeni ed alcoli. Nessuno acquista più i prodotti agricoli, né le carni, né il latte degli allevamenti del posto, che registrano anche sterilità negli allevamenti di ovini;
   l'Organizzazione mondiale della sanità consiglia di fissare il limite di rilascio di idrogeno solforato a 0,005 parti per milione; negli Stati Uniti, il Governo federale raccomanda addirittura un limite di 0,001 parti per milione;
   in Italia, il limite massimo di rilascio di idrogeno solforato, secondo quanto stabilito dal decreto ministeriale del 12 luglio 1990, recante le «Linee Guida per il contenimento delle emissioni degli impianti industriali e la fissazione dei valori minimi di emissione», è di 5 parti per milione per l'industria non petrolifera e di 30 parti per milione per quella petrolifera. In Italia i valori raccomandati dall'Organizzazione mondiale della sanità sono superati di 6.000 volte;
   con l'approvazione di una risoluzione del MoVimento 5 Stelle in Commissione ambiente alla Camera di deputati due anni fa, anche l'Italia avrebbe dovuto equiparare i limiti di emissioni a quelli forniti dall'Organizzazione mondiale della sanità, ma nulla è stato fatto;
   nel citato studio della professoressa D'Orsogna si segnalano due incidenti rilevanti avvenuti in Basilicata nel 2002 e nel 2005 che hanno riguardato il centro oli di Viggiano. Incidenti gravissimi, sui quali non sono stati mai forniti i dati relativi all'emissione dell'idrogeno solforato;
   nel mese di febbraio 2015, la direzione distrettuale antimafia di Potenza ha aperto un'indagine sul centro oli di Viggiano. Ad inizio dicembre 2015, 37 persone hanno ricevuto un avviso di garanzia per traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale. Tra gli indagati figuravano nove dipendenti dell'Eni, una decina di imprenditori, quattro ex dirigenti dell'Arpab, funzionari regionali e della provincia di Potenza, varie società del settore ambientale e due rappresentanti di Tecnoparco;
   l'inchiesta ha toccato tutto il «sistema rifiuti» della Basilicata. Molti funzionari regionali e Arpab indagati per la vicenda del centro oli erano anche rinviati a giudizio per disastro ambientale nella vicenda Fenice, inceneritore di San Nicola di Melfi, nato vent'anni fa e a servizio della Fiat di Melfi;
   i fatti hanno dimostrato che l'attività di estrazione petrolifera in Basilicata ha prodotto ingenti danni e malattie. Dal 2001 al 2013, scrivono i magistrati contabili, la regione e i 12 comuni dell'area estrattiva si sono redistribuiti un miliardo e 158 milioni di euro, «ma l'85 per cento se n’è andato in spesa corrente anziché in investimenti anziché per lo sviluppo e il lavoro. E solo il 7 per cento è andato alla ricerca e all'innovazione»;
   il 4 giugno 2014 l'ex Ministro Guidi in visita in Basilicata sponsorizzava la necessità di utilizzare al meglio le risorse indigene del territorio. Il Presidente del Consiglio dei ministri Matteo Renzi nel mese di luglio 2014 manifestava la volontà di raddoppiare le estrazioni in Basilicata;
   nel mese di ottobre 2014 il Governo, durante la discussione del decreto-legge «sblocca Italia», presenta un emendamento, poi ritirato, volto ad autorizzare la costruzione dell'infrastruttura «Tempa Rossa» per portare a Taranto il petrolio che verrà poi commercializzato;
   per la realizzazione del progetto della Total «Tempa Rossa», inoltre, è previsto un 12 per cento in più di emissioni diffuse, dato confermato dai tecnici di Arpa Puglia;
   da fonti stampa si apprende che nel mese di novembre 2014, l'ex Ministro dello sviluppo economico Guidi, intercettata telefonicamente, aveva tentato di far approvare l'emendamento prima citato che avrebbe avvantaggiato il suo compagno, possessore di una società di ingegneria che avrebbe partecipato alla gara di progettazione ed esecuzione dei lavori di Tempa Rossa dal valore di circa 2,5 milioni di euro. Il 31 marzo 2016 a seguito dello scandalo, Eni interrompe le attività al centro oli di Viggiano ed il Ministro dello sviluppo economico si dimette;
   sono tre i filoni di indagine dell'inchiesta Eni: il primo, affidato ai carabinieri del nucleo operativo ecologico, riguarda l'impianto Eni di Viggiano. Questa parte dell'indagine riguarda, unicamente, presunti illeciti nella gestione dei rifiuti. Il secondo filone di indagine, seguito dagli agenti della squadra mobile della Polizia di Stato, ha al centro l’iter che ha portato all'autorizzazione del giacimento Tempa Rossa della Total. A questi primi due filoni si è poi aggiunto un terzo che riguarda l'indagine sul porto di Augusta;
   da stralci di ordinanze diffuse a mezzo stampa si legge che i dirigenti dell'impianto Eni coinvolti «erano consapevoli dei problemi emissivi» del centro, ma «cercano di ridurre il numero di comunicazioni sugli sforamenti invece di incidere direttamente sulla causa del malfunzionamento o dell'evento» allo scopo di «non allarmare gli enti di controllo»;
   sempre da fonti stampa si apprende che i vertici dell'impianto Eni «qualificavano in maniera del tutto arbitraria e illecita» rifiuti pericolosi come «non pericolosi», utilizzando quindi un «trattamento non adeguato» degli stessi scarti e «notevolmente più economico», e dati sulle emissioni in atmosfera «alterati»;
   nell'indagine sono state poste agli arresti domiciliari dai carabinieri per la tutela dell'ambiente sei persone, funzionari e dipendenti del centro oli di Viggiano (Potenza) dell'Eni e l'ex sindaca del Partito democratico di Corleto Perticara, Rosaria Vicino, perché ritenuti responsabili, a vario titolo, di «attività organizzate per il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti»;
   il 31 marzo 2016, il procuratore nazionale antimafia, Franco Roberti, durante la conferenza stampa sull'inchiesta ha dichiarato: «Dispiace rilevare che per risparmiare denaro ci si riduca ad avvelenare un territorio con meccanismi truffaldini»;
    da fonti stampa si apprende che, secondo i pubblici ministeri, grazie all'alterazione dei codici rifiuto, l'azienda centro oli di Viggiano ha risparmiato fino a 100 milioni di euro sui costi di smaltimento. Anche le emissioni in atmosfera, sistematicamente in eccesso, venivano alterate –:
   di quali informazioni sia in possesso sui fatti sopra esposti e quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di prevenire il rischio di danno ambientale, a tal fine anche valutando la revisione della disciplina normativa in tema di reimmissione delle acque emunte nel sottosuolo al fine di garantire la sicurezza ambientale, evitando le violazioni che risultano – secondo fonti di stampa – ripetutamente avvenute nel caso di specie. (3-02163)


   TAGLIALATELA, RAMPELLI, CIRIELLI, LA RUSSA, MAIETTA, GIORGIA MELONI, NASTRI, PETRENGA, RIZZETTO e TOTARO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   nell'ambito dell'inchiesta promossa dalla procura di Potenza in merito a diverse irregolarità riscontrate con riferimento alle attività petrolifere in Lucania sono emersi gravi fatti sul centro oli di Viggiano, di proprietà dell'Eni, situato proprio nella provincia potentina;
   nel centro oli di Viggiano negli scorsi anni si sono verificati diversi incidenti e, inoltre, in passato nelle sue immediate vicinanze avevano avuto luogo scontri con manifestanti che contestavano proprio lo smaltimento irregolare di rifiuti;
   l'inchiesta attualmente in atto riguarda presunti illeciti nella gestione dei reflui petroliferi e lo sforamento dei limiti delle emissioni in atmosfera degli idrocarburi;
   secondo la magistratura inquirente i dirigenti dell'impianto Eni, indagati e arrestati con l'accusa di «attività organizzate per il traffico e lo smaltimento illecito di rifiuti», erano «consapevoli dei problemi emissivi» del centro ma cercavano «di ridurre il numero di comunicazioni sugli sforamenti invece di incidere direttamente sulla causa del malfunzionamento o dell'evento» al fine di «non allarmare gli enti di controllo»;
   gli stessi vertici dell'impianto sono stati accusati anche di qualificare in maniera del tutto arbitraria e illecita rifiuti pericolosi come non pericolosi, utilizzando un «trattamento non adeguato» degli stessi scarti che risultava essere meno dispendioso, di alterare i dati sulle emissioni in atmosfera;
   è evidente come l'atteggiamento irresponsabile dei soggetti in questione e le lacune nel sistema dei controlli hanno causato l'esposizione delle popolazioni residenti nella zona a pericolosi rischi sanitari;
   con un precedente atto di sindacato ispettivo, presentato in seguito ad un'esplosione verificatasi nel centro oli di Viggiano nel gennaio del 2014, gli interroganti avevano chiesto la convocazione di un tavolo istituzionale con l'Eni e gli organi competenti per verificare la sicurezza dell'impianto, ma tale richiesta non ha mai avuto seguito –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere con riferimento ai fatti in premessa e, in via più generale, per implementare i meccanismi di controllo volti a scongiurare il verificarsi di episodi simili, tutelando la popolazione. (3-02164)


   BORGHI, BERGONZI, STELLA BIANCHI, BRAGA, BRATTI, CARRESCIA, COMINELLI, COVELLO, DE MENECH, GADDA, GINOBLE, TINO IANNUZZI, MANFREDI, MARIANI, MARRONI, MASSA, MAZZOLI, MORASSUT, REALACCI, GIOVANNA SANNA, VALIANTE, ZARDINI, CINZIA MARIA FONTANA, BINI e MARTELLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la legge 28 dicembre 2015, n. 221, recante disposizioni in materia ambientale, contiene numerose norme innovative di fondamentale rilevanza per promuovere misure di green economy e per contenere l'uso eccessivo di risorse naturali;
   si tratta di una serie di innovazioni che vanno dalle disposizioni per incentivare la mobilità sostenibile a quelle relative agli appalti verdi, all'impronta ambientale dei prodotti denominata «made green in Italy», dalle disposizioni per incentivare i prodotti derivanti da materiali post consumo a quelle relative alla gestione dei rifiuti e alla difesa del suolo, fino a quelle per garantire l'accesso universale all'acqua;
   alcune importanti misure contenute nella legge comportano per l'effettiva entrata in vigore la predisposizione di decreti attuativi; è il caso del programma sperimentale nazionale di mobilità sostenibile casa-scuola e casa-lavoro, dei criteri ambientali minimi negli appalti pubblici, degli accordi di programma e degli incentivi per l'acquisto di prodotti derivanti da materiali post consumo, della pulizia dei fondali marini, della demolizione degli immobili abusivi nelle aree soggette a rischio idrogeologico, del credito d'imposta per la bonifica dell'amianto, dell'introduzione di sistemi di remunerazione dei servizi ecosistemici e ambientali;
   la legge è entrata in vigore il 2 febbraio 2016 e i primi decreti attuativi sono in scadenza in questi giorni e altri decreti scadranno tra maggio e giugno 2016 ed è importante che i Ministeri interessati rispettino i tempi previsti dalla legge nell'emanazione di tali provvedimenti, anche attraverso il coinvolgimento delle competenti commissioni parlamentari nella fase di predisposizione degli stessi –:
   se il Ministro interrogato non intenda fornire elementi circa il coordinamento del processo di attuazione dei decreti, nel rispetto della tempistica dettata dalla legge e con il coinvolgimento delle competenti commissioni parlamentari. (3-02165)


   CERA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'arcipelago delle isole Tremiti si trova a circa 12 miglia al largo del Gargano, è costituito dalle isole di San Nicola, San Domino, Cetaccio, Caprara e, a circa 11 miglia da queste, dall'isola di Pianosa;
   le isole Tremiti sono un patrimonio ambientale di estrema bellezza e dal 1989 Pianosa è riserva naturale totale;
   Pianosa si sviluppa su una superficie di circa 13 ettari per una lunghezza di 700 metri, una larghezza di 250 metri, con uno sviluppo costiero di 1.300 metri ed una altezza massima di 15 metri sul livello del mare;
   nel corso della seconda guerra mondiale l'aviazione tedesca ha scaricato, nell'intero Mare Adriatico, numerosi ordigni chimici contenenti materiali tra i quali l'antrace, l'iprite e l'arsenico;
   l'intera area è stata oggetto di studio da parte dell'Ispra – già Icram, Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare – che nel 2003 ha condotto una ricerca finanziata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio, in seguito alle segnalazioni di oltre 200 pescatori che tra il 1946 e il 2000 avevano fatto ricorso a cure ospedaliere per essere venuti in contatto con aggressivi chimici provenienti da residuati bellici;
   le analisi condotte dall'Istituto hanno rilevato gravi conseguenze nei pesci dovute a sostanze come l'iprite, e concentrazioni di arsenico superiori ai valori soglia nei sedimenti marini analizzati;
   ad ulteriore dimostrazione della pericolosità rappresentata dalla presenza di ordigni bellici, vi è l'ordinanza numero n. 27 del 1972, depositata presso la capitaneria di porto di Manfredonia – in provincia di Foggia – che vieta agli isolani di avvicinarsi e soprattutto di pescare nei dintorni dell'isola di Pianosa;
   durante l'ultimo conflitto mondiale l'isola servì agli Alleati quale campo di tiro per l'Aeronautica, che peraltro distrusse il faro, i pozzi e i rifugi dei pescatori, oggi in totale stato di deterioramento e abbandono;
   sull'isola esistono anche altre costruzioni che a causa dei divieti suddetti rischiano di andare in rovina per la totale assenza di interventi di manutenzione;
   durante le mareggiate, proprio a causa della limitata altezza delle coste, Pianosa viene sommersa dall'acqua quasi nella sua interezza, accrescendo di conseguenza il pericolo di esplosioni;
   il numero stimato degli ordigni inesplosi da parte delle autorità locali è di circa cinquanta bombe, tutte risalenti al periodo del secondo conflitto mondiale;
   alla data odierna, e fino a nuovo ordine, nella zona di mare sopra indicata per una profondità di mare di metri 500 è vietata la navigazione, l'ancoraggio e la sosta di qualsiasi natante, la pesca, la pesca subacquea e la balneazione;
   nonostante l'indubbio inquinamento ambientale, terrestre e marino, i fondali dell'isola di Pianosa continuano ad essere caratterizzati da una grande ricchezza naturalistica;
   l'amministrazione comunale dell'isola di Pianosa ha da tempo denunciato la presenza nei fondali marini di tali residuati bellici, arrivando a chiedere al Governo lo stanziamento di un milione di euro per l'opera di bonifica –:
   pur comprendendo l'interrogante i vincoli di finanza pubblica che il Governo è impegnato a rispettare, se il Ministro interrogato non ritenga che sussistano esigenze primarie di tutela dell'ambiente, ormai non più differibili, che giustificano un intervento per l'assoluta gravità della situazione. (3-02166)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   VALIANTE e CAPOZZOLO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   come riporta la stampa locale, nella giornata di ieri è emersa la notizia riguardante la strada Fondovalle Calore, l'importante opera pubblica bloccata da diversi anni per un lungo contenzioso tra soprintendenza e provincia;
   la strada Fondo Valle-Calore della provincia di Salerno rappresenta un percorso di collegamento fra il Cilento più interno ed i suoi agglomerati industriali, oltre le grandi vie di collegamento. A tal proposito, la progettazione dell'opera avrebbe un impatto molto positivo per lo sviluppo della vasta area territoriale nella quale è inserita, difatti se ne discute dal 1998, quando la giunta regionale campana, in accordo con il Ministero dell'economia e delle finanze, ha provveduto al relativo finanziamento;
   la regione Campania, con delibera n. 2207 del 27 giugno 2003, ha provveduto ad affidare alla provincia di Salerno l'attuazione dell'opera;
   quest'ultima, dopo aver definito il procedimento e dopo aver espletato le previste procedure di gara, ha affidato i lavori relativi alla costruzione dell'arteria stradale che sono stati contestualmente sospesi a causa di rilievi della soprintendenza;
   i ricorsi della struttura ministeriale al Tar di Salerno e al Consiglio di Stato sono stati respinti e dichiarati inammissibili. Nonostante ciò risulta all'interrogante che i lavori dell'opera sarebbero ancora sospesi;
   il Consiglio di Stato, con sentenza n. 04479/2015, si è espresso definitivamente sulle questioni proposte dalla soprintendenza, respingendo e dichiarando inammissibili i vari ricorsi presentati dalla medesima;
   ad oggi, però, i lavori dell'opera sono ancora sospesi. Si apprende inoltre dell'impegno repentino della regione e del presidente De Luca per risolvere le questioni che ostacolano la prosecuzione ed il completamento della Fondovalle Calore, dopo anni di immobilismo –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere, alla luce di quanto sopra descritto, per agevolare il superamento degli ostacoli e assicurare una veloce ripresa dei lavori per l'infrastruttura che rappresenta un'infrastruttura fondamentale per gli Alburni, la Valle del Calore e l'intera provincia. (5-08314)

Interrogazione a risposta scritta:


   PRODANI e RIZZETTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Porto Vecchio di Trieste (Punto Franco Nord), realizzato nell'ultimo trentennio dell'800 su una superficie di 67 ettari prospicienti il centro città comprendente e cinque moli, banchine di carico e scarico e raccordi ferroviari, è riconosciuto quale uno tra gli ambiti di archeologia industriale marittima più rilevanti del Mediterraneo: i magazzini, posti al suo interno, che contano una cubatura di oltre un milione di metri, appartengono alla classificazione disciplinata dalle regole costruttive specifiche dei lagerhauser dei porti del Nord Europa;
   negli ultimi decenni, il Porto Vecchio ha subito, da un punto di vista produttivo, un parziale e progressivo abbandono. Sono stati comunque, negli ultimi dieci anni, recuperati i varchi doganali, il magazzino 1 sul molo IV e, quali esempi di archeologia industriale-portuale, il magazzino 26, la più ampia costruzione del sito, l'edificio della centrale idrodinamica e l'edificio della sottostazione elettrica, ancora oggi sedi di macchine generatrici di energia conservate nella loro interezza nell'edificio originario. Questi due ultimi edifici speciali sono stati restaurati e riutilizzati (come Polo museale del Porto dal 2012), su iniziativa di Italia Nostra e grazie a un protocollo di intesa tra autorità portuale, regione Friuli Venezia Giulia e Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, con utilizzo di fondi pubblici ed europei;
   la legge 23 dicembre 2014, n. 190, (legge di stabilità 2015) ha stabilito la sdemanializzazione di gran parte dei 60 ettari del Porto Vecchio, sancendo la fine della pubblica utilità dell'area nonché, in capo al commissario di Governo del Friuli Venezia Giulia, il trasferimento del regime di punto franco ad altre aree da individuare. In particolare, la legge stabilisce anche il passaggio del Porto Vecchio al patrimonio disponibile del comune di Trieste, che dovrà occuparsi della vendita dell'area e del trasferimento «dei relativi introiti all'Autorità Portuale di Trieste per gli interventi di infrastrutturazione del Porto Nuovo e delle nuove aree destinate al regime internazionale di Punto Franco»;
   il 5 novembre 2015, il comune di Trieste ha pubblicato il bando per un’«Indagine esplorativa di mercato finalizzata all'individuazione di un operatore cui affidare l'incarico per la redazione di linee guida per l'impostazione e la redazione delle linee guida del Piano Strategico di valorizzazione delle aree facenti parte del Porto Vecchio di Trieste»; le attività oggetto dell'incarico, divise in 3 fasi, per la durata di minimo 180 giorni, «consistono sostanzialmente nel fornire supporto ed elementi conoscitivi e propositivi finalizzati alla trasformazione delle informazioni e dei dati relativi al contesto dell'area ed a quelli più ampi del territorio, inclusi quelli di natura economico-finanziaria, in conoscenza utile all'Amministrazione comunale per assumere le decisioni più appropriate finalizzate a rendere appetibile per potenziali investitori anche stranieri investimenti e iniziative economiche nell'area del Porto Vecchio.»;
   il bando stabilisce che la valutazione delle offerte tecnico-economiche sarà demandata ad una apposita commissione giudicatrice ed indica, quale responsabile del procedimento, il dottor Walter Toniati, direttore del servizio progetti strategici e appalti, contratti e affari generali del comune di Trieste;
   in particolare, la prima fase prevede, «l'evidenza dei punti di forza e delle criticità, dei fabbisogni, da sviluppare e implementare con possibili e fattibili soluzioni, dei limiti e vincoli (urbanistici, morfologici, ambientali e altro), dei rischi e delle opportunità» mentre, la seconda, l’«Indicazione delle zone di modificazione fisica dell'area del Porto Vecchio secondo aree omogenee di, conservazione o restauro, riqualificazione, l'analisi dei limiti e dei vincoli insistenti sull'area;
   come riportato da Il Piccolo, il 25 gennaio 2016, la Commissione, composta da soli tre membri, «presieduta da Walter Toniati (responsabile dell'Ufficio progetti strategici del Comune) e composta anche dal segretario generale dell'Authority Mario Sommariva e dal docente universitario Vittorio Torbianelli, ha vagliato attentamente le dodici offerte» ed ha affidato l'incarico a Ernst&Young financial business advisor Milano, per un importo di 170 mila euro;
   il 27 gennaio 2016, come riporta Il Piccolo, durante una conferenza pubblica, è stato lo stesso Toniati a spiegare come, tra alcuni mesi, «con l'intavolazione di Magazzini e fabbricati a favore del Comune, l'amministrazione dovrà sobbarcarsi il pagamento di imposte e tasse, quote di assicurazione, vigilanza, manutenzioni ordinarie e straordinarie. Non solo, dovrà anche provvedere all'infrastrutturazione dell'area (allacciamenti fognari, idrici, elettrici, informatici, ecc.), che non potrà essere a carico dei futuri investitori. C’è già un progetto con una stima dei costi e una spesa prevista di 9 milioni di euro per una porzione di 100 mila metri quadrati – aveva aggiunto – per 600 mila quadrati non si può moltiplicare per sei perché vi sono economie di scala, ma comunque si tratterà di spendere alcune decine di milioni di euro»;
   in data 27 gennaio 2016, il prefetto di Trieste Garufi, in qualità di commissario di Governo per la regione Friuli Venezia Giulia, ha decretato, con prot. 19/8-5/2016, il trasferimento di una porzione del regime di Punto Franco dal Porto Vecchio a 5 aree distribuite sul territorio triestino, individuate e proposte dall'Autorità portuale di Trieste;
   l'associazione Italia Nostra già da molti anni è impegnata fattivamente per il recupero e la tutela dell'area di Porto Vecchio. Una missiva del 24 dicembre 2013 (Prot. 009951) indirizzata da Giangiacomo Martines, direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici per il Friuli Venezia Giulia, all'allora Ministro Bray, nel rimarcare il pregio architettonico e monumentale di Porto Vecchio, ha sottolineato la necessità, indicata da Italia Nostra, di intervenire con urgenza per la messa in sicurezza ed il restauro leggero degli edifici del Porto Vecchio, anche al fine del suo riutilizzo in termini economici, turistici e culturali. La missiva indica che il citato restauro era stato proposto attraverso l'elaborazione di un Masterplan, che meritava la massima attenzione da parte del Ministero, ampiamente condiviso con l'Autorità portuale, la provincia e l'Università degli studi ed attraverso dei finanziamenti europei, opportunamente individuati dall'associazione;
   l'8 aprile 2014 il Direttore del servizio II tutela del patrimonio architettonico del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, Stefano D'Amico ha risposto (prot. 009372) al Gabinetto del Ministro e alla direzione regionale dei beni culturali per il Friuli Venezia Giulia che, «esaminato il «dettagliato e accurato Masterplan per il Porto vecchio 2013 ritiene» pregevole, oltre che necessario, il progetto di riqualificazione di Italia Nostra attraverso il rinnovo del Protocollo d'intesa scaduto nel 2010» e attraverso il ricorso agli strumenti finanziari europei;
   successivamente, il 3 luglio 2014 (n. prot. 16709) Francesca Gandolfo, direttore del servizio II tutela del patrimonio architettonico del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, ha scritto al gabinetto del Ministro, alla direzione regionale del Friuli Venezia Giulia e alla Soprintendenza per i beni architettonici e paesaggistici del Friuli Venezia Giulia (con riferimento alla nota di Gabinetto del 23 giugno 2013 e alla lettera della direzione regionale del Friuli Venezia Giulia del 24 dicembre 2013) di aver già espresso parere positivo sul progetto di Italia Nostra per il Porto vecchio e di ritenere utile e opportuno predisporre un secondo sopralluogo in Porto vecchio «a patto che sia garantita la partecipazione fattiva di tutti i soggetti interessati, al fine di giungere ad un'effettiva condivisione degli scopi, degli obiettivi, e delle priorità degli interventi». Obiettivo ormai raggiunto nel corso del 2015 e condiviso da tutti gli enti coinvolti;
   il 5 novembre 2015 l'architetto Francesco Scoppola, direttore generale delle belle arti e del paesaggio del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (Prot. 27064), nel ribadire il proprio giudizio favorevole ad iniziative che tutelino e valorizzino il patrimonio storico monumentale dell'importante distretto portuale di Trieste, ivi compresa l'organizzazione di un workshop internazionale, ha comunicato che «per i necessari sopralluoghi è stata interessata la Soprintendenza territorialmente competente»;
   Italia Nostra, come riportato da una nota pubblicata su Il Piccolo del 23 agosto 2015, ha già criticato le notizie relative alla ricerca, da parte del comune di Trieste, di un advisor, a cui «affidare le decisioni essenziali sullo sviluppo di tutta l'area, senza che si siano già dettate le linee guida generali da rispettare, ed alle quali vorremmo partecipare anche noi con nostre proposte, al di là dell'esclusività dell'azione politica». Il comunicato ribadisce che «Siamo sicuramente preparati, con le professionalità all'interno dell'associazione prosegue la nota – ad affrontare tutti i problemi, che conosciamo benissimo ed a dare il nostro contributo alla loro soluzione, e non si può correre il rischio, come è già successo in passato, di affidare ad un unico «terzo» scelte fondamentali, attraverso intermediazioni, che alla fine hanno creato più che altro contrasti e polemiche, evidenziandone la debolezza»;
   secondo un comunicato stampa diffuso da Italia Nostra, sezione di Trieste, il 2 marzo 2016, «sarebbe stato più opportuno e confacente lasciare la ricerca dell’advisor ad un secondo tempo, organizzando sin da subito un Workshop ad alto livello istituzionale, onde individuare insieme ad esperti internazionali i criteri e le modalità migliori per il riuso del Porto Vecchio. Italia Nostra aveva già patrocinato e reso disponibile pubblicamente un Comitato scientifico internazionale per il Porto, che avrebbe potuto procedere anche in accordo con l'AIPAI (Associazione Italiana per il Patrimonio Archeologico Industriale): ma tutte le nostre segnalazioni e le richieste (inviate anche via PEC) al riguardo sono state completamente ignorate, come quella più recente di un sollecito incontro con il Sindaco. Eppure, dopo il masterplan redatto a cura dall'Associazione (con la collaborazione di professionisti ed esperti) che pur illustrava le sostanziali linee guida e le opportunità di sviluppo e di riqualificazione dell'area del Porto vecchio, nonché i molti convegni organizzati da Italia Nostra sul tema, un Workshop con il contributo di questi esperti avrebbe certamente costituito una straordinaria occasione a costi quasi nulli. Inesplicabile è dunque perché non si è voluto approfittare di un lungo ed accurato lavoro già svolto, che avrebbe consentito ancor prima il reperimento di validi obiettivi strategici e di investitori.»;
   il 20 febbraio 2016, Il Piccolo riporta dell'invio, da parte del sindaco di Trieste, di due documenti tecnici accompagnati dalla bozza di un protocollo d'intesa per la richiesta di investimenti statali, pari a 18 milioni di euro, corredati da un protocollo d'intesa Governo-regione-comune, abbozzato insieme alla presidente Debora Serracchiani, per attivare gli investimenti sollecitati;
   Il Piccolo del 3 marzo 2016, nell'articolo «Lascia Toniati, il tecnico del Porto vecchio», riferisce che «il responsabile dell'Ufficio progetti strategici del Comune costituito dal sindaco Roberto Cosolini, in particolare per seguire il processo di sdemanializzazione del Porto vecchio, ha chiesto e ottenuto quattro anni di aspettativa dal ruolo di dipendente comunale e già dal 1o marzo ha assunto la carica di direttore generale dell'Istituto nazionale di oceanografia e geofisica sperimentale». A seguito dell'addio del dirigente comunale, l'articolo riporta che il sindaco Roberto Cosolini starebbe «per affidare l'incarico temporaneo di reggente al dirigente Walter Cossutta, dopodiché bandiremo subito il concorso interno per il nuovo dirigente titolare dell'Ufficio progetti strategici.»;
   a parere degli interroganti risulta grave il fatto che il responsabile del procedimento e responsabile dell'ufficio progetti strategici del comune di Trieste, a poco più di un mese dall'affidamento dell'incarico ad Ernst&Young, lasci la propria funzione. Risultano, poi, oscuri i motivi che abbiano portato il comune di Trieste ad ignorare il Masterplan già realizzato da Italia Nostra e a non proseguire, di concerto con l'associazione ed il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, sulla strada per determinare le linee guida della riqualificazione che la corrispondenza tra le istituzioni aveva già delineato –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato, alla luce dei pareri positivi espressi dagli organi competenti del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo sul MasterPlan e sul workshop internazionale proposti da Italia Nostra;
   se il Ministro interrogato intenda confermare che il « Workshop internazionale» sia lo strumento più adatto a definire le linee guida per il recupero del Porto Vecchio;
   per quali ragioni, nella composizione della commissione giudicatrice costituita per il bando di cui in premessa, non sia stata prevista la presenza di rappresentanti della soprintendenza;
   se il Ministro non ritenga necessario e urgente assumere iniziative per la messa in sicurezza dei magazzini di cui in premessa e per favorire, a tale scopo, l'utilizzo di fondi europei attraverso una programmazione nazionale ed europea.
(4-12738)

DIFESA

Interrogazione a risposta scritta:


   ZACCAGNINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   attualmente lo stato giuridico del «volontario in servizio permanente» dei graduati, per quanto riguarda le Forze armate, prevede che si raggiunga l'apice della carriera dopo 15 anni di servizio, fermandosi al grado di caporal maggiore capo scelto e gradi corrispondenti. Il raggiungimento del grado apicale, provoca la stagnazione della remunerazione oltre che l'appiattimento dei parametri, tale situazione determina delle conseguenze anche a livello pensionistico, oltre che professionale, per via dell'invecchiamento del ruolo e della riduzione degli organici;
   l'argomento in questione per i graduati «volontari in servizio permanente» è di primaria importanza e dal 2003 il personale in questione attende un provvedimento che affronti e risolva le criticità; non si comprende in che modo il Ministero della difesa intenda intervenire in tale situazione, considerata anche l'evidente penalizzazione nella progressione di carriera;
   i graduati, che a differenza di altre categorie delle forze armate, per via della recente circolare 2938 «servizi interni di caserma», entrata in vigore da gennaio 2016, notevolmente peggiorativa rispetto alla precedente edizione, si ritrovano a ripercorrere la propria carriera con evidente demansionamento, impegnati in servizi che venivano, precedentemente, ricoperti dai militari di leva;
   come più volte espresso dai vertici militari, i graduati sono i primi veri professionisti delle Forze armate sia dal punto operativo che in termini di forza lavoro per quanto riguarda la logistica;
   la proposta, che da tempo viene formulata, è quella di un riordino delle carriere unico con le forze di polizia, che tenga conto dell'anzianità di servizio del «graduato», di eventuali «vittime del dovere», ma, soprattutto, della legge n. 958 –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali siano gli eventuali orientamenti, per garantire una maggior considerazione a carattere professionale per quel che riguarda l'impiego e la carriera dei cosiddetti graduati.
(4-12740)

ECONOMIA E FINANZE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   a seguito delle sfavorevoli risultanze degli accertamenti ispettivi di vigilanza, su proposta della Banca d'Italia, il Ministro dell'economia e delle finanze, con decreto n. 151 del 27 maggio 2013, ha disposto lo scioglimento degli organi con funzioni di amministrazione e controllo della Cassa di Risparmio di Ferrara spa (Carife) e la sottoposizione della stessa ad amministrazione straordinaria ai sensi dell'articolo 70, comma 1, lettera a) e b) e dell'articolo 98 del decreto legislativo 1o settembre 1993, n. 385 (cosiddetto Testo Unico Bancario);
   la proposta di commissariamento della Banca d'Italia, indirizzata al Ministro dell'economia e delle finanze contiene, a parere degli interpellanti, un rilevante errore poiché in essa si indica una carenza patrimoniale, rispetto ai requisiti minimi regolamentari, di 60 milioni di euro. Il grave errore è derivato principalmente dal mancato inserimento della fiscalità differita attiva nel conteggio degli indici patrimoniali, che, se presi in considerazione, avrebbero fatto balzare il patrimonio di vigilanza ad una eccedenza patrimoniale di 27,5 milioni di euro;
   alla formulazione dell'ingiustificabile errore ha contribuito senz'altro, il fatto che il Ministero dell'economia e delle finanze, dopo aver ricevuto la proposta di commissariamento della Cassa di Risparmio di Ferrara spa avanzata dalla Banca d'Italia, non abbia svolto ad avviso degli interpellanti, alcuna attività istruttoria così come stabilito dal testo unico bancario;
   il regime di amministrazione straordinaria è stato confermato, su proposta della Banca d'Italia, dal Ministro dell'economia e delle finanze con decreto del 26 maggio 2014, che ha disposto la proroga della procedura di amministrazione straordinaria della Cassa di Risparmio di Ferrara, capogruppo dell'omonimo gruppo bancario, ai sensi dell'articolo 98, comma 3, del decreto testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia, per un periodo non superiore a un anno;
   come emerso in sede di accesso agli atti richiesto dalla difesa dei ricorrenti nel procedimento del contenzioso amministrativo avverso il decreto n. 151 del 27 maggio 2013, anche in occasione della proroga del commissariamento, decorsi i primi 12 mesi, il Ministero non ha svolto alcuna istruttoria;
   il periodo di commissariamento, iniziato il 30 maggio 2013, si è protratto per oltre due anni e mezzo e in tale periodo la situazione di Carife è chiaramente peggiorata tanto che i commissari, in stretto coordinamento con Banca d'Italia, hanno effettuato la dismissione di banche controllate e di filiali, riducendo il perimetro di Carife al territorio originario. Nello stesso periodo i sindacati aziendali hanno aderito ad un importante accordo sui prepensionamenti, con oneri economici a carico dei dipendenti rimasti in servizio e consistenti effetti di diminuzione dell'organico e del costo del lavoro;
   nel triennio precedente al commissariamento (2010-2013) Carife si trovava in regime di «vigilanza rafforzata» a seguito di una ispezione condotta da Banca d'Italia che aveva fatto emergere problematiche sul credito ed, in particolare, una posizione debitoria su Milano (Siano) che presentava significative difficoltà;
   da quel momento sono state prospettate diverse proposte di risanamento e rilancio della Banca. La Cassa di Risparmio di Ferrara nell'aprile 2010, con la nomina del nuovo consiglio e l'approvazione del primo bilancio in passivo della propria storia, ha proseguito nell'opera di risanamento sotto l'assiduo controllo della Banca d'Italia, che aveva disposto per Carife la vigilanza rafforza;
   ogni tre mesi la Banca aveva il compito di fornire alla vigilanza di Roma una relazione dettagliata sui crediti nonché uno specifico riferimento dedicato alla più significativa esposizione deteriorata (cosiddetta posizione Siano). Tale relazione era altresì corredata dalla valutazione del risk manager e dalle osservazioni del collegio sindacale;
   tutto ciò risulta agli interpellanti molto anomalo se viene considerato che Banca d'Italia solo con l'ispezione del 2012/2013 ha improvvisamente imposto svalutazioni molto significative, quando da molto tempo era, come esposto precedentemente, ampiamente aggiornata sullo stato dei crediti e sulle rispettive percentuali di copertura;
   nella proposta di commissariamento, disposta nel maggio 2013, la Banca d'Italia non ha preso minimamente in considerazione il fatto che il principale territorio di operatività di Carife, nella primavera del 2012, è stato interessato da eventi sismici di particolare gravità che hanno procurato danni ingenti a molti clienti, alle loro strutture produttive ed alcune filiali della Cassa;
   i commissari in due anni e mezzo di gestione della Banca non hanno individuato percorsi idonei per far uscire Carife dall'amministrazione straordinaria, né sotto il profilo di una rafforzata compagine societaria, né per completare la riduzione del perimetro del Gruppo;
   a seguito del periodo di gestione commissariale, l'unica prospettiva per il salvataggio dell'istituto bancario sembrava essere quello di un intervento da parte del fondo interbancario di tutela dei depositi con la sottoscrizione di un aumento di capitale di 300 milioni di euro;
   in data 30 luglio 2015 l'assemblea straordinaria di Carife ha approvato l'aumento di capitale sopra citato accantonando la proposta avanzata dalla Fondazione Carife, socio di maggioranza, che aveva segnalato alla Banca d'Italia ed al Ministero dell'economia e delle finanze la concreta disponibilità di un fondo di investimento ad intervenire per una significativa parte dell'aumento di capitale;
   a fronte dell'intervento del fondo interbancario di tutela dei depositi, il patrimonio che Carife registrava nel 2012, pari a 350 milioni di euro, è stato ridotto a poco più di 11 milioni di euro e con esso anche il valore delle azioni stesse;
   a destare notevoli perplessità, ad avviso degli interroganti, è la posizione di Bankitalia che in questa vicenda è sempre stata consapevole degli ostacoli provenienti dalla Commissione europea per l'utilizzo del fondo interbancario di tutela dei depositi (Fidt) per i salvataggi degli istituti di crisi. Nonostante ciò fino a novembre 2015 il ricorso al fondo interbancario è stata l'unica strada percorsa per la risoluzione di Banca Marche, Carife, Banca Etruria e Cari-Chieti;
   una serie di documenti pubblicati nei giorni scorsi hanno dimostrato come il Ministro dell'economia e delle finanze era a conoscenza, fin dall'autunno 2014, dell'opposizione dell'Unione europea all'intervento nel capitale delle banche in difficoltà e abbia, dunque, tenuto all'oscuro della contrarietà della Commissione europea gli altri soggetti coinvolti, innanzitutto il fondo interbancario;
   in ben tre occasioni, a partire dal 2014, la Commissione europea ha intimato al Ministro di desistere dall'utilizzo del fondo interbancario, ma, nonostante ciò il 28 luglio 2015 il Ministero ha autorizzato la Fondazione Carife, allora prima azionista della banca, a votare favorevolmente all'ingresso del Fondo;
   emerge con nitidezza, secondo gli interpellanti, una forte responsabilità di Bankitalia, soggetto che avrebbe dovuto vigilare e nel caso Carife risanare, per il tramite dei commissari, i conti, ma che non ha evidentemente svolto il proprio ruolo con le conseguenze che si sono successivamente sviluppate. In sostanza, e quindi anche a Carife, si è fatto credere, a giudizio degli interpellanti, che si poteva usare il fondo interbancario, mettendo in condizione anche i commissari di perseguire una strada di risanamento che, soprattutto la stessa Bankitalia sapeva bene essere impraticabile;
   quanto esposto dimostra, secondo gli interpellanti, l'inaffidabilità e l'incapacità del Governo che in questa vicenda ha lasciato senza alcuna tutela la sorte non solo di Carife e di altre tre banche, ma anche il destino di migliaia di risparmiatori e azionisti –:
   se il Ministro interpellato intenda chiarire, per quanto di competenza, i fatti esposti in premessa in merito alla procedura di amministrazione straordinaria e alla gestione commissariale di Carife alla luce delle numerose anomalie riportate;
   se il Ministro interpellato sia a conoscenza dei motivi per cui non sia stata presa in debita considerazione la proposta avanzata dalla Fondazione Carife sulla disponibilità di un Fondo di investimento ad intervenire nell'aumento di capitale, considerate le informazioni che, ottimisticamente, erano state fornite sulle prospettive dell'operazione stessa;
   quali iniziative di competenza intenda assumere al fine di tutelare risparmiatori e azionisti di Carife, e, più in generale, di provvedere al pieno ristoro di coloro che hanno investito in modo inconsapevole i propri risparmi in strumenti finanziari subordinati emessi dalle banche poste in risoluzione alla fine di novembre 2015.
(2-01329) «Palmizio, Brunetta».

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   L'Associazione nazionale forense segnala le proprie perplessità in relazione ad un progetto relativo al lancio di un quotidiano dell'Avvocatura chiamato «Il Dubbio — Il quotidiano dei garantisti»;
   gli interroganti ritengono che la diffusione di questo quotidiano cartaceo e online ponga rischi di autoreferenzialità dell'Avvocatura;
   l'iniziativa editoriale è stata annunciata nella città di Torino nel novembre 2015, in occasione della giornata di apertura della Conferenza nazionale dell'Avvocatura;
   nei mesi successivi s’è assistito ad un'intensa attività promozionale riservata agli ordini circondariali ma non anche agli avvocati;
   il progetto è stato intrapreso dal Consiglio nazionale forense, il quale attraverso la Fondazione dell'avvocatura italiana, che dipende dallo stesso Consiglio nazionale forense, ha costituito appositamente una società a responsabilità limitata, avente sede a Bolzano, la «Edizioni diritto e ragione Srl» unipersonale, il cui unico socio è la stessa Fondazione dell'avvocatura italiana;
   il consiglio d'amministrazione della società è composto dal presidente del Consiglio nazionale forense e della Fondazione (presidente consiglio di amministrazione), dal consigliere del Consiglio nazionale forense, dal vicepresidente della fondazione (componenti del consiglio di amministrazione), dal ragioniere che condivide lo studio col secondo (amministratore delegato);
   il Consiglio nazionale forense è, per definizione normativa (articolo 24, della legge 247 del 2012), un ente pubblico non economico che esercita, anche una funzione giurisdizionale (articolo 35, lett. c), e 36 della legge 247 del 2012) ed ha sede presso il Ministero della giustizia (articolo 34 della legge 247 del 2012);
   assieme agli ordini circondariali, il Consiglio nazionale forense è istituito «...per garantire il rispetto dei principi previsti dalla presente legge e delle regole deontologiche, nonché con finalità di tutela dell'utenza e degli interessi pubblici connessi all'esercizio della professione e al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale...» (articolo 24 della legge 247 del 2012);
   il Consiglio nazionale forense e ordini circondariali ai sensi dell'articolo 24 comma 3, della legge 247 del 2012, sono soggetti esclusivamente alla vigilanza del Ministro della giustizia;
   l'Associazione nazionale forense peraltro segnala che il Consiglio nazionale forense nella seduta dell'11 dicembre 2015, ha approvato il «Regolamento rimborsi spese e gettoni di presenza» per i componenti già in carica, in contrasto con la tradizionale e doverosa gratuità dell'impegno e del servizio;
   i compensi annui sarebbero, per il presidente, di 90.000,00 euro, di 50.000,00 euro per ciascuno dei due vicepresidenti, di 70.000,00 euro per il consigliere segretario, e per il tesoriere di 50.000,00 euro;
   oltre a tali emolumenti fissi sarebbe previsto un gettone di presenza per ciascuno dei 28 consiglieri pari ad 650,00 euro a seduta o udienza per un numero massimo di 38 sedute;
   in totale, ogni anno, si spenderebbe quindi una somma di circa 1.001.600,00 euro ai quali andranno aggiunti anche i rimborsi spese di 120 euro/die per vitto e altri benefit;
   il regolamento, entrato in vigore il 28 febbraio 2016, fa retroagire gli effetti economici ed anche la liquidazione dei gettoni già dal 1o gennaio 2016;
   complessivamente, si evince dalla lettura del bilancio preventivo del Consiglio nazionale forense, i gettoni di presenza ed il quotidiano costeranno agli avvocati italiani oltre 2 milioni di euro per anno;
   poiché il sistema di finanziamento del Consiglio nazionale forense proviene dai contributi collegiali, pagati dagli avvocati italiani agli ordini circondariali, che poi vengono fatti confluire in gran parte al Consiglio nazionale forense, è d'immediata evidenza che queste indennità e rimborsi saranno sostanzialmente pagati dagli avvocati italiani, con buon pace della consolidata tradizione della completa gratuità del servizio all'interno del Consiglio nazionale forense;
   la decisione di sostenere questa ingente spesa interviene in un momento nel quale il Consiglio nazionale forense è chiamato a dover destinare altre ingenti somme per fronteggiare situazioni, che mano a mano si manifestano quali ad esempio le sanzioni irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato al Consiglio nazionale forense;
   l'Antitrust con provvedimento n. 25868 deliberato il 10 febbraio 2016 ha adottato la sanzione di 912.536,40 euro per inottemperanza ad una precedente decisione (la n. 25154 del 22 ottobre 2014) della medesima Autorità garante della concorrenza e del mercato, per contrasto all'articolo 101 TFUE, poiché il Consiglio nazionale forense aveva posto in essere un'intesa unica e continuata, restrittiva della concorrenza, consistente nell'adozione di due decisioni volte a limitare l'autonomia dei professionisti nella determinazione del proprio comportamento economico sul mercato, «stigmatizzando quale illecito disciplinare la richiesta di compensi inferiori ai minimi tariffari (...) e limitando l'utilizzo di un canale promozionale e informativo attraverso il quale si veicola anche la convenienza economica della prestazione professionale» –:
   se i fatti descritti in premessa siano a conoscenza del Ministro interrogato;
   se ritenga di valutare, per quanto di competenza, la sussistenza di profili di conflitto d'interesse in relazione all'approvazione da parte del Consiglio nazionale forense del «Regolamento rimborsi spese e gettoni di presenza» nella seduta dell'11 dicembre 2015;
   se sia conforme alla normativa vigente che un ente istituzionale pubblico non economico qual è il Consiglio nazionale forense, per di più con funzioni giurisdizionali e con sede presso il Ministero della giustizia, possa assumere legittimamente, in relazione alle finalità statutarie del Consiglio nazionale forense stesso, sia pure tramite una delle tante fondazioni facenti capo al Consiglio nazionale forense, la Fondazione dell'avvocatura italiana (FAI), l'iniziativa editoriale descritta in premessa anche alla luce delle recenti decisioni dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato in merito;
   se ritenga di valutare se sussistano i presupposti per l'invio di ispettori ministeriali presso il Consiglio nazionale forense e la Fondazione dell'avvocatura italiana per l'esercizio dei poteri di competenza. (5-08313)

Interrogazione a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il corpo di polizia penitenziaria vive da anni una situazione di grande criticità. Una delle cause principali di tutto ciò è da ricercarsi nel sovraffollamento delle carceri che, come facilmente immaginabile, deteriora notevolmente le condizioni di lavoro, soprattutto se accompagnato da un organico in notevole sofferenza: secondo quanto segnalato da fonti sindacali, a fronte di un organico di 45.000 unità, i dipendenti effettivi sono circa 37.500, con una carenza di ben 7.500 unità. Conseguenza di una simile situazione esplosiva è un altissimo livello di burn out tra gli appartenenti al corpo di polizia penitenziaria, con un elevato numero di suicidi, secondo fonti sindacali, con oltre 100 negli ultimi quindici anni: un numero impressionante che risulterebbe essere, secondo le medesime fonti, il più alto tra le forze dell'ordine;
   il corpo di polizia penitenziaria svolge compiti di polizia giudiziaria, pubblica sicurezza, gestione delle persone sottoposte a provvedimenti di restrizione o limitazione della libertà personale. Espleta inoltre attività di polizia stradale ai sensi dell'articolo 12 del codice della strada. Partecipa al mantenimento dell'ordine pubblico, svolge attività di polizia giudiziaria e pubblica sicurezza anche al di fuori dell'ambiente penitenziario, così come tutte le altre forze di polizia. Svolge attività di scorta a tutela di personalità istituzionali (Ministro della giustizia e sottosegretari di Stato) e di magistrati. Di recente, in quanto forza di polizia a competenza generale, la polizia penitenziaria è entrata a comporre la direzione i investigativa antimafia (DIA) e l'Interpol;
   peraltro, occorre sottolineare che la delicatezza della funzione di sorveglianza penitenziaria, negli ultimi mesi, è elevata in particolare dal fatto che, secondo alcuni dati recentemente resi noti, sarebbero detenute nelle carceri italiane circa 12.000 persone di religione islamica. Fermo restando il massimo rispetto delle differenze religiose e della libertà di culto, considerati i recenti eventi terroristici degli ultimi mesi, è di tutta evidenza come una così vasta comunità islamica posta in regime detentivo meriti una sorveglianza speciale e come, al contempo, un adeguato monitoraggio di una simile popolazione carceraria possa rappresentare una miniera di informazioni preziosissime per la sicurezza nazionale;
   peraltro, occorre segnalare che il comma 973 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016) ha modificato il comma 155 dell'articolo 3 della legge 24 dicembre 2003, n. 350, autorizzando stanziamenti di bilancio per gli anni 2016, 2017 e 2018, da destinare a provvedimenti normativi diretti all'equiparazione, nell'articolazione delle qualifiche, nella progressione di carriera e nel trattamento giuridico ed economico del personale direttivo del corpo di polizia penitenziaria ai corrispondenti ruoli direttivi della polizia di Stato, di cui al decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334;
   secondo quanto segnalato all'interrogante da alcune organizzazioni sindacali del corpo della polizia penitenziaria, si tratta di norme che andrebbero a sanare alcune sperequazioni tra appartenenti al corpo stesso e alle altre forze di polizia;
   in tale contesto, negli ultimi mesi, i progetti usciti dagli «Stati generali dell'esecuzione penale», istituiti con il decreto ministeriale 8 maggio 2015, hanno per lo più l'obiettivo di porre fine al corpo di polizia penitenziaria quale forza di polizia nazionale che, ai sensi della normativa vigente, riveste le medesime funzioni di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza delle altre forze di polizia nazionali;
   secondo fonti sindacali, oltre al pregiudizio per lo Stato, che in tal modo si priverebbe di 37.500 unità di polizia penitenziaria, che attualmente, in quanto ufficiali ed agenti di polizia giudiziaria garantiscono, a costo zero, la sicurezza generale dello Stato anche fuori servizio, si ledono i diritti del relativo personale che, d'imperio, si vede leso nel proprio status acquisito tramite concorso pubblico;
   peraltro, è opinione di alcune organizzazioni sindacali che il fatto di istituire un unico corpo, in cui far confluire quali ruoli tecnici, le altre figure non di polizia del dipartimento dell'amministrazione penitenziaria, comporterebbe ulteriori anacronistici costi per l'erario dello Stato, rivelandosi come una riforma non solo infondata in diritto ma anche inefficiente, inefficace ed anti economica, e che si porrebbe in violazione dell'articolo 97 della Costituzione –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato per sopperire alla carenza di organico segnalata in premessa;
   quali siano gli orientamenti del Governo in ordine all'attuazione del comma 973 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità per il 2016);
   quali siano gli effettivi intendimenti del Ministro e del Governo in merito al futuro della polizia penitenziaria ed in particolare se vi sarà pregiudizio per le sue funzioni generali di polizia giudiziaria e di pubblica sicurezza. (4-12734)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   FRACCARO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la stazione ferroviaria in superficie di Ala (Tn) sita lungo la linea Innsbruck – Verona, ha una notevole valenza urbana per effetto dell'architettura dell'edificio e del significato paesaggistico dell'area circostante nonché per la centralità della funzione svolta a favore del comune omonimo. Tale valenza è però venuta gradualmente meno nel corso degli anni a causa del decadimento dell'edificio e dello stato di crescente degrado delle relative pertinenze;
   da anni è in corso una trattativa tra RFI e provincia Autonoma di Trento per la cessione in comodato dei beni accessori collegati alla menzionata infrastruttura ferroviaria, la cui proprietà risulta essere di RFI – Rete ferroviaria italiana, società incaricata di assicurare la piena fruibilità e il costante mantenimento in efficienza delle infrastrutture ferroviarie;
   un intervento di riqualificazione dell'edificio e dell'area circostante permetterebbe: l'eliminazione delle barriere architettoniche e il raggiungimento degli standard minimi per garantire l'accessibilità delle stazioni a tutti i cittadini, incluse le persone a ridotta mobilità; un miglioramento della qualità e della fruibilità delle aree e superfici accessibili e frequentabili dal viaggiatore/utente; un potenziale aumento della frequentazione, ovvero del numero di viaggiatori e dei semplici frequentatori che giornalmente potrebbero impegnare l'impianto ferroviario; un incremento della capacità di interscambio dell'impianto e della sua potenziale offerta commerciale;
   la riqualificazione dell'area circostante costituita dalle pp.ff. 885, 2709/3 e parte della 2784/1 e dalle p. ed. 490/1, 1296, 489/2 del comune catastale di Ala è ritenuta peraltro essere un'esigenza prioritaria anche dalla popolazione locale come attestato dalla petizione popolare consegnata all'amministrazione comunale di Ala il 5 giugno 2008 e inviata per conoscenza anche agli uffici dell'amministrazione ferroviaria, i quali sono stati tenuti costantemente informati dai rappresentanti del comitato proponente del corso degli anni. Nel caso di specie, la proposta promossa dal «Comitato per il ripristino ambientale della Bocca del Torrente Ala» consiste in un progetto per la valorizzazione dell'area il cui costo di realizzazione sarebbe in buona parte a carico dei proponenti medesimi e delle associazioni locali. Tale progetto prevede la riorganizzazione degli spazi adiacenti alla stazione ed in particolare all'area fluviale del torrente Ala che nel corso degli anni sono stati abbandonati e si aggiunge naturalmente alla necessità di restauro, a carico della pubblica amministrazione, degli elementi architettonici e funzionali della stazione allo scopo di aumentare l'attrativittà dell'area –:
   se il Governo sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza ritenga opportuno adottare per consentire una rapida conclusione della trattativa di cessione in comodato dei beni accessori della stazione ferroviaria di Ala e una programmazione per l'impiego delle risorse destinate alla realizzazione di progetti diretti alla riqualificazione e all'ammodernamento dell'edificio e dell'area circostante al fine di tutelare e conservare il patrimonio storico, architettonico e paesaggistico e di incrementare l'accessibilità, la fruibilità e la funzionalità dell'impianto ferroviario. (4-12731)

INTERNO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   le firme dei referendum possono essere raccolte solo in presenza di un autenticatore che dovrà autenticare le firme dei sottoscrittori;
   tra gli autenticatori abilitati, in base alla legge 28 aprile 1998, n. 130, e all'articolo 4 della legge 30 aprile 1999, n. 120, figurano anche i consiglieri comunali e provinciali che comunichino la propria disponibilità rispettivamente al sindaco o al presidente della provincia; la legge 7 aprile 2014, n. 56, «Disposizioni sulle città metropolitane, sulle province, sulle unioni e fusioni di comuni», ha previsto la costituzione delle città metropolitane, ridefinendo il sistema delle province e disciplinando le unioni e fusioni di comuni;
   in particolare, le città metropolitane in data 1o gennaio 2015, si sono sostituite alle preesistenti province, subentrando ad esse in tutti i rapporti e in tutte le funzioni;
   l'articolo 1, comma 2, definisce le città metropolitane «enti territoriali di area vasta con le funzioni di cui ai commi da 44 a 46 e con le seguenti finalità istituzionali generali: cura dello sviluppo strategico del territorio metropolitano; promozione e gestione integrata dei servizi, delle infrastrutture e delle reti di comunicazione di interesse della città metropolitana; cura delle relazioni istituzionali afferenti al proprio livello, ivi comprese quelle con le città e le aree metropolitane europee»;
   l'entrata in vigore della legge 7 aprile 2014, n. 56, non ha privato i consiglieri provinciali della legittimazione ad autenticare le sottoscrizioni a sostegno della presentazione di liste elettorali, come ha testualmente affermato il Consiglio di Stato (sezione V, 10 luglio 2015, n. 3470); se ne può pertanto dedurre, sul piano e dell'analogia e del sistema, la sostanziale continuità in ordine ad attività di autenticazione, giacché l'articolo 14, comma 1, della legge 21 marzo 1990, n. 53, nell'abilitare i consiglieri provinciali e comunali all'autenticazione delle firme dei presentatori delle liste elettorali, ha inteso agevolare il corretto svolgimento del procedimento elettorale, ampliando il novero dei soggetti abilitati all'autenticazione delle firme dei sottoscrittori di liste (Cons. Stato, Sez. V, 11/05/2012, n. 2731), con l'unico limite costituito dal territorio di competenza dell'ufficio di cui sono titolari o al quale appartengono. È quindi quello territoriale l'unico limite che in base alle disposizioni vigenti in materia di autenticazione di firme nel nostro ordinamento è da ritenere implicitamente sussistente in relazione al potere attribuito ai pubblici ufficiali indicati nel citato articolo 14, anche a seguito della legge n. 56 del 2014 (Consiglio di Stato, sezione V, 16 aprile 2014, n. 1885);
   risulta assolutamente rilevante la finalità di agevolare e semplificare lo svolgimento del procedimento elettorale ampliando il novero dei soggetti abilitati all'autenticazione delle firme dei sottoscrittori di liste, implicita in tale normativa di sistema (Consiglio di Stato, Sezione V, 16 aprile 2014 n. 1885);
   tuttavia, in tale ottica parrebbe non muoversi invece il parere rilasciato dal Ministero dell'interno, tramite la prefettura di Torino, che, prediligendo l'interpretazione letterale, come tale secondo gli interroganti irragionevole e frustrante rispetto alle finalità perseguite dalla normativa in materia di autenticazione delle firme dei sottoscrittori, avrebbe ritenuto escludere la possibilità per i consiglieri metropolitani e i funzionari delle città metropolitane di procedere in tal senso;
   è evidente che tale interpretazione, assai discutibile, limitando il numero dei potenziali autenticatori, porterebbe anche ad una preoccupante e, secondo gli interroganti, illegittima limitazione della possibilità dei cittadini di accedere allo strumento del referendum –:
   se il Ministro interpellato non intenda assumere iniziative volte a rivedere l'orientamento di cui in premessa e se non ritenga che alle città metropolitane, subentrate alle province in tutti i rapporti e in tutte le funzioni, debba ritenersi applicabile la normativa in tema di autenticazione delle firme dei sottoscrittori di liste, con particolare riferimento a quanto previsto in tema di autenticatori delle firme, in tal modo ritenendo abilitati i consiglieri metropolitani, in luogo di quelli provinciali, ormai venuti meno per la soppressione delle province, ai sensi della legge 7 aprile 2014, n. 56.
(2-01330) «Quaranta, D'Attorre, Costantino, Scotto, Airaudo, Franco Bordo, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Martelli, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».

Interrogazioni a risposta immediata:


   MOLTENI, FEDRIGA, ALLASIA, ATTAGUILE, BORGHESI, BOSSI, BUSIN, CAPARINI, GIANCARLO GIORGETTI, GRIMOLDI, GUIDESI, INVERNIZZI, PICCHI, GIANLUCA PINI, RONDINI, SALTAMARTINI e SIMONETTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto affermano alcuni quotidiani, un noto predicatore islamico kuwaitiano di tendenze radicali ed assai prossimo al sedicente califfato sorto a cavallo tra Siria ed Iraq, Tareq Suwaidan, sarebbe in procinto di effettuare un viaggio in Europa;
   Suwaidan, pur non risultando un adepto dello Stato islamico, si è fatto notare per aver pubblicamente auspicato nel corso di un suo sermone pronunciato l'11 aprile 2009 nei pressi di Le Bourget la conquista e sottomissione di Roma all'Islam;
   le posizioni antisemite di Suwaidan hanno altresì già indotto Belgio, Regno Unito e Stati Uniti a negare al predicatore il visto di ingresso e soggiorno nei rispettivi territori;
   contro Suwaidan, che vanta trascorsi importanti nella Fratellanza musulmana, si sono mossi anche i sauditi, che nel 2013 hanno negato al predicatore il permesso di effettuare il pellegrinaggio alla Mecca e l'anno seguente proceduto alla messa al bando dei suoi libri;
   nel contesto del viaggio che si accingerebbe a compiere in Europa, Suwaidan avrebbe ricevuto ed accettato un invito a visitare Como e Reggio Emilia a maggio 2016 –:
   se il Governo, considerati i precedenti di Tareq Suwaidan, il carattere radicale ed antisemita del suo pensiero e le decisioni assunte da Stati Uniti, Regno Unito e Belgio nei suoi confronti, non ritenga opportuno verificare la sussistenza dei presupposti per unire il nostro Paese al novero di quelli che hanno negato al predicatore radicale il visto di ingresso e soggiorno. (3-02158)


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   sono ripetuti e angoscianti gli episodi di maltrattamenti di cui la stampa dà conto, ogni giorno, perpetrati a danno di minori, anziani e disabili;
   soggetti che necessitano di una tutela maggiore da parte delle istituzioni perché versano in una situazione di particolare svantaggio, non essendo in grado di provvedere autonomamente alle proprie esigenze e alla propria auto-difesa;
   soprusi che si compiono all'interno delle strutture, pubbliche e private come asili, scuole per l'infanzia o strutture socio-assistenziali di cui sono ospiti o a cui le famiglie li affidano quando si recano al lavoro;
   persone che vengono obbligate a mangiare cibi avariati, alle quali vengono somministrati medicinali scaduti, in ambienti senza le più elementari condizioni igieniche;
   l'installazione di un sistema di videosorveglianza a circuito interno nelle strutture pubbliche e private costituirebbe, certamente, un elemento di maggiore garanzia per le famiglie che devono affidare i propri figli, genitori e parenti a tali strutture e avrebbe funzione di deterrente per evitare ogni eventuale tipo di abuso da parte di coloro che vi operano o, addirittura, da parte di soggetti esterni;
   il sistema di videosorveglianza con telecamere a circuito interno non è un sistema di web cam, sistema peraltro censurato nell'anno 2013 dal Garante per la protezione dei dati personali; ma il circuito chiuso offre le necessarie tutele di riservatezza e le riprese immagazzinate possono essere visionate dagli interessati solo qualora vi sia la necessità, in caso di sospetti o di segnalazioni pervenute agli organi di polizia preposti, di utilizzarle per indagini e controlli;
   proprio grazie alle segnalazioni di parenti o di genitori e all'installazione di telecamere a circuito chiuso che le forze dell'ordine hanno avuto la possibilità di individuare e perseguire i reati commessi negli asili nido, nelle scuole materne e nei centri residenziali che ospitano disabili e anziani, in quelli, cioè, che dovrebbero essere luoghi deputati all'educazione e al benessere dei bambini, dei disabili e degli anziani;
   di recente la Repubblica ha dato notizia di un gruppo che sui social con l’hashtag «#sialletelecamere» (in tutte le strutture in cui si lavora con soggetti minori o non in grado di difendersi) ha raggiunto il ragguardevole numero di 48.281 membri; mentre sulla piattaforma change.org ci sono due petizioni che chiedono, nello specifico, riprese video nei nido e nelle scuole dell'infanzia con rispettivamente 11.438 sostenitori e con 12.616 firmatari (dati rilevati a fine marzo 2016);
   alcuni programmi televisivi hanno iniziato a dar voce a questi gruppi proprio per il crescente numero di casi di cronaca che sono stati denunciati e che si sono consumati in strutture per l'infanzia, per disabili e per anziani;
   anche il Garante per la protezione dei dati personali parla di questo tema su cui ci si interroga e che non va banalizzato, ribadisce che è un problema che esiste e sul quale bisogna valutare le contromisure più equilibrate –:
   se non ritenga opportuno ragionare compiutamente di prevenzione e di misure atte ad assicurare la tutela, la sicurezza e l'incolumità fisica e mentale dei soggetti deboli e vulnerabili che sono ospitati in scuole dell'infanzia e strutture assistenziali al fine di garantire la tranquillità anche delle loro famiglie, visto che le vittime spesso non sono nelle condizioni di avere cognizione di ciò che subiscono, quindi i soprusi, in assenza di segni fisici o comportamenti particolari, rischiano di non essere scoperti. (3-02159)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TURCO, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il COISP – Coordinamento per l'indipendenza sindacale delle forze di polizia, rende noto in un suo comunicato stampa un caso particolare che ha interessato un sostituto commissario, Margherita Taufer, che da anni presta servizio presso la sezione di polizia giudiziaria della procura della Repubblica presso il tribunale di Verona;
   la funzionaria, a detta di tutti i magistrati di quell'ufficio, è un bravissimo poliziotto a cui sono state affidate delicatissime indagini soprattutto in materia di reati contro la pubblica amministrazione;
   le attività d'indagine svolte dalla stessa, indagini scomodissime proprio perché è una persona seria e capace, hanno portato a risultati straordinari, soprattutto nei confronti di tantissimi amministratori infedeli o di colleghi coinvolti in fatti avvenuti durante un servizio ed astrattamente costituenti reato;
   la sostituta commissaria Taufer, sempre fedele ai suoi doveri, arriva anche a scoprire degli interessi non proprio pubblici di un alto ufficiale della guardia di finanza del comando provinciale di Verona e della di lui consorte che provocano ai coniugi avvisi di garanzia ed il trasferimento per il finanziere;
   sebbene il merito nello svolgimento di tali indagini sia inequivoco, al funzionario citato accadono inspiegabilmente particolari vicissitudini;
   nel settembre 2013 il sostituto commissario Taufer Margherita avvia le indagini delegate dal pubblico ministero, a carico del vice sindaco di Verona Vito Giacino e della moglie, avvocato, Lodi Alessandra, che si sono palesate il 28 ottobre 2013 con la perquisizione a carico degli stessi;
   le indagini sono proseguite anche nel 2014, giacché il 17 febbraio 2014 sono stati eseguiti gli ordini di custodia cautelare per concussione a carico degli stessi;
   proprio a seguito della pubblicità data a quest'indagine, il sostituto commissario viene bersagliato da vari fronti; gli avvocati degli indagati accedono ai brogliacci delle intercettazioni telefoniche riscontrando due cose: alcune intercettazioni tra avvocati ed indagati, previamente autorizzate dal pubblico ministero che fanno terribilmente infuriare i penalisti; alcune frasi irrituali utilizzate anche dalla Taufer per identificare i soggetti intercettati, sulla base di espressioni da loro stessi usate nel corso delle conversazioni trascritte;
   gli avvocati, lamentando una violazione del diritto di difesa, coinvolgono nella loro protesta la Camera penale di Verona, la quale ottiene solidarietà dai penalisti di tutta Italia creando una frattura con la procura ed il procuratore capo indica perciò il sostituto commissario Margherita Taufer quale persona «non più meritevole della fiducia dei Magistrati di questa Procura»;
   tale affermazione, tuttavia, stride con gli attestati di stima che tutti i sostituti procuratori inviano per iscritto al procuratore capo dichiarando la Taufer altamente meritevole della loro fiducia;
   la Taufer dal suo lato si difende spiegando molto bene che quelle frasi per quanto inopportune, sono riportate su un atto interno (il brogliaccio) e servono solo ad identificare gli interlocutori intercettati, non ad esprimere giudizi di valore su di loro;
   il procuratore capo ottiene comunque il trasferimento della Taufer presso la questura di Verona, dove il questore dottor Gagliardi, le propone un trasferimento alla scuola di Peschiera, che viene però rifiutato;
   i magistrati della procura che hanno lavorato con lei per 12 anni continuano come prima ad inviarle deleghe per lo svolgimento delle indagini costringendo il questore a porla a disposizione dei pubblico ministero;
   a stretto giro la sostituta commissaria Taufer viene però attinta da un provvedimento di deplorazione a seguito di un procedimento disciplinare iniziato su impulso dello stesso questore sulla scorta della considerazione che la sostituta commissaria dichiara di effettuare un monte ore straordinarie eccessivo e, poiché la cosa potrebbe anche costituire reato, l'anomalia viene segnalata in procura;
   a seguito delle indagini che portano alla repentina archiviazione del procedimento penale si scopre che gli straordinari sono reali, effettuati per le attività d'indagine svolte su delega della procura, anzi, spesse volte proprio all'interno dei locali della procura; il procedimento disciplinare, così come le accuse penali appaiono pertanto del tutto infondate;
   il questore di Verona dottor Gagliardi quale presidente della commissione disciplinare, irroga comunque la sanzione della deplorazione;
   a seguito di ricorso della Taufer, il TAR del Veneto annulla la sanzione, condanna l'amministrazione resistente al pagamento delle spese legali della Taufer per euro 2.500,00, oltre accessori di legge, mettendo in rilievo, expressis verbis, la manifesta incompetenza disciplinare del questore per il personale in forza presso le sezioni di polizia giudiziaria; come rilevabile, oltreché dalla norma del codice di procedura penale, anche dall'articolo 4 del regolamento di disciplina decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 1981 secondo il quale la competenza per «il personale in servizio presso ogni altro ufficio non compreso tra quelli indicati», spetta al «funzionario preposto all'ufficio», perciò nel caso della procura della Repubblica è da individuarsi nel procuratore capo;
   il questore di Verona in data 2 luglio 2014 avviava una nuova contestazione di addebiti ai sensi dell'articolo 4 n. 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 737 del 1981, conclusa il 31 luglio 2014 con l'irrogazione della pena pecuniaria nella misura di 5/30 dello stipendio per la seguente motivazione: «Nell'espletamento delle sue funzioni ha provocato un grave danno di immagine alla Amministrazione adottando una condotta non conforme alla cura, alla sollecitudine e all'attenzione che l'attaccamento al servizio e all'Amministrazione di appartenenza ed il comune buon senso richiederebbero»;
   anche in questo caso le presunte manchevolezze così contestate sarebbero avvenute in un periodo nel quale la Taufer rivestiva il ruolo di ufficiale di polizia giudiziaria presso la procura della Repubblica, di talché si configurava nuovamente il difetto di competenza già evidenziato dal TAR Veneto; da quanto è dato sapere nonostante la richiesta di annullamento del provvedimento in autotutela questa non è stata ad oggi esercitata;
   appare quindi che alcuni procedimenti e provvedimenti assunti dal questore di Verona e rivolti al sostituto commissario Taufer Margherita non trovino fondamento ma possano invece essere riconducibili ad azioni dallo scopo non ben definito; inoltre, tali azioni, sembrerebbero essere state assunte senza il rispetto di tutte le norme che di volta in volta risultano applicabili a ciascuna singola fattispecie;
   a parere degli interroganti, pertanto, il primo procedimento disciplinare, poi annullato dal Tar Veneto, a causa dei gravi ed evidenti vizi rilevati, andrebbe valutato dai competenti organi in relazione agli eventuali profili di responsabilità amministrativo-contabile in capo al soggetto che lo ha attuato;
   se sia a conoscenza della situazione descritta;
   se ritenga di dover approfondire la vicenda descritta in premessa al fine di verificare se vi siano state ovvero se siano ipotizzabili violazioni di legge o regolamentari relativamente alle azioni disciplinari poste in essere dal questore di Verona, dottor Gagliardo e rivolte al sostituto commissario Taufer Margherita tali da comportare una responsabilità in capo al soggetto che le ha promosse;
   se non ritenga di valutare l'opportunità di inviare gli ispettori ministeriali per l'esercizio dei poteri di competenza in relazione ai procedimenti disciplinari assunti dal questore nei confronti del sostituto commissario Taufer Margherita.
(5-08316)

Interrogazione a risposta scritta:


   MASSIMILIANO BERNINI e SARTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 30 ed il 31 marzo 2016, si sono verificate l'amputazione di parti della struttura della stele, nonché lo svellimento della targa posta a corredo della stessa del monumento commemorativo di Pier Paolo Pasolini a Ostia. A scoprirlo sono stati i volontari della Lipu che gestiscono l'oasi Centro habitat Mediterraneo, all'interno della quale si trovano le opere dedicate a Pasolini all'Idroscalo di Ostia, dove il poeta fu ucciso;
   i vandali hanno spezzato parti del monumento; hanno spaccato le lastre di marmo con incise le sue poesie; hanno rotto i pannelli di vetro con i percorsi biografici; hanno lasciato sul prato uno striscione ingiurioso. A firmare l'attacco « Militia» un movimento di estrema destra;
   l'associazione ha denunciato l'episodio di vandalismo ai carabinieri, che hanno fatto i rilievi e sequestrato lo striscione;
   l'oasi oggi regno di aironi rossi, tarabusini, morette tabaccate e cigni reali – è nata alla fine degli anni ’90 dopo una lunga battaglia contro la costruzione di un oceanario; il «Giardino letterario Pier Paolo Pasolini» è stato inaugurato il 2 novembre 2005, 30o anniversario dell'omicidio. Prima di allora, e per tre decenni, l'area a ridosso dell'abitato dell'Idroscalo (a due passi dal porto turistico di Ostia), era immersa nel degrado più totale. Sul luogo del delitto c'era solo una stele grezza realizzata dall'artista Rosati –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo, per quanto di competenza, per fare luce sull'episodio e se non ritengano opportuno intervenire al fine di mettere in sicurezza il luogo deputato alla memoria di uno dei più importanti intellettuali italiani del secolo scorso per evitare che gli atti esposti in premessa non siano più ripetibili. (4-12736)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   è stato istituito, nell'ambito della legge n. 208 del 2015, legge di stabilità 2016, per quanto concerne la soluzione della vertenza lavoratori ex Isochimica di Avellino, un fondo con una dotazione pari a 2 milioni di euro per ciascuno degli anni 2016, 2017 e 2018 finalizzato all'accompagnamento alla quiescenza, entro l'anno 2018, dei lavoratori di cui all'articolo 1, comma 117, della legge 23 dicembre 2014, n. 190, che non maturino i requisiti previsti da tale disposizione;
   per i lavoratori indicati all'articolo 1, comma 117, della legge 23 dicembre 2014. N. 190, le disposizioni previste si applicano anche a coloro che, in seguito alla cessazione del rapporto di lavoro, siano transitati in una gestione di previdenza diversa da quella dell'Inps derogando al disposto dell'articolo 1, comma 115, della citata legge n. 190 del 2014 e che non abbiano maturato il diritto alla decorrenza del trattamento pensionistico nel corso degli anni 2015 e 2016;
   le risorse previste dal fondo dovranno essere ripartite tra i lavoratori sulla base di criteri e modalità stabiliti con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della legge di stabilità per l'anno 2016;
   il termine previsto è stato pertanto superato e considerati i precedenti che hanno interessato i lavoratori della Isochimica e l'attenzione sociale che si registra sui territorio rispetto a tale vertenza è del tutto evidente l'attesa che riguarda l'emanazione del citato decreto per declinare operativamente la misura prevista dal legislatore;
   presso la prefettura di Avellino si è già costituito un tavolo tecnico con i soggetti istituzionali e le organizzazioni di rappresentanza dei lavoratori interessati e si sono svolti una serie di incontri finalizzati a risolvere suddetta questione;
   sarebbe stata opportuno che la convocazione del suddetto tavolo, anziché essere in prefettura, fosse stata direttamente ministeriale –:
   quali siano le ragioni della mancata adozione del citato decreto ministeriale di applicazione della norma e quali iniziative intendano promuovere i Ministri interpellati affinché il provvedimento possa essere adottato in tempi rapidi al fine evitare il perpetuarsi di una situazione di stallo che alimenta solo tensioni ed incertezze tra i lavoratori beneficiari.
(2-01327) «Famiglietti, Giorgio Piccolo, Lodolini, Bruno Bossio, Morani, Fanucci, Tartaglione, Tino Iannuzzi, Paris, D'Incecco, Zoggia, De Menech, Fabbri, Ermini, D'Ottavio, La Marca, Fedi, Fusilli, Zardini, Donati, Gianni Farina, Valiante, Ferrari, Bossa, Cuomo, Burtone, Albanella, Amato, Zappulla, Ventricelli, Bazoli, Beni, Gadda, Moretto, Covello, Fossati, Manzi, Manfredi, Richetti».

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GULLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la regione Sicilia ha attivato a partire dall'8 novembre 2010, d'intesa con il Bambino Gesù di Roma, la gestione del Centro cardiologico pediatrico del Mediterraneo - Bambino Gesù Taormina, presso l'ospedale Sirina di Taormina (Messina);
   si tratta di un Centro di III livello della rete di Cardiologia pediatrica della regione Sicilia che ha come obiettivo primario quello di assicurare l'assistenza di alta specializzazione cardiologica e cardiochirurgica sia per la popolazione pediatrica siciliana sia per quella di altri Paesi del bacino del Mediterraneo;
   l'adeguamento della struttura dell'ospedale Sirina di Taormina ha avuto un costo che si aggira intorno a 10 milioni di euro per acquisti effettuati senza autorizzazione e senza evidenza pubblica dal momento che il Bambino Gesù ha sede legale a città del Vaticano;
   da notizie stampa si apprende che il rinnovo di tale convenzione con il Bambino Gesù è stato bloccato perché il direttore generale dell'Asp di Messina, dott. Gaetano Sirna, ha evidenziato che 5 milioni di euro richiesti dal Bambino Gesù per la convenzione annuale siano eccessivi a fronte di una previsione di spesa di circa 1,2;
   a quanto pare la regione Sicilia avrebbe intenzione di chiudere cardiochirurgia pediatrica al Sirina di Taormina per trasferirla a Palermo –:
   di quali elementi disponga sulla situazione rappresentata in premessa, con specifico riferimento agli effettivi costi e agli eventuali sprechi di risorse pubbliche, in particolare alla luce del piano di rientro dal disavanzo sanitario cui è sottoposta la regione. (5-08317)

Interrogazione a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   nel luglio 2015, in sede di Conferenza Stato-regioni, è stata siglata l'intesa sui tagli alla sanità da 2,352 miliardi per il 2015 ed il 2016;
   il peso maggiore di tale riduzione è ricaduto sulla Lombardia, che peraltro non ha siglato l'intesa, la quale vedrà ridurre complessivamente le sue entrate di 385 milioni di euro, di cui 219 milioni solo nel settore beni e servizi;
   il 19 giugno 2015, è divenuto operativo il nuovo regolamento per gli standard ospedalieri, che si propone, tra le varie finalità, anche un risparmio complessivo da oltre 210 milioni di euro. In testa alla classifica risulta sempre la Lombardia con 34,3 milioni di euro;
   la legge di stabilità per il 2016 impone agli ospedali con i conti in rosso l'attuazione di un piano di rientro che, paradossalmente, coinvolge anche talune strutture della Lombardia, nonostante la sanità regionale contribuisca a garantire il pareggio di bilancio da 12 anni;
   ad esempio, un polo come l'ospedale Niguarda, il più importante della regione, è in deficit perché offre un'infinità di cure costose, tutte concentrate in un unico polo d'eccellenza: dai trapianti, alle terapie per i grandi ustionati, fino ai soccorsi per gli incidenti più gravi e relativi ricoveri in rianimazione. In altri termini, una tale struttura ospedaliera risulta in rosso per una scelta regionale di privilegiare la qualità delle cure;
   un altro paradosso dell'eccellenza della sanità lombarda è rappresentato dall'elevato numero di pazienti provenienti da altre regioni, in particolare dal Sud Italia, pari ad oltre 150 mila persone ogni anno;
   il «turismo sanitario» muove circa 800 mila persone (di cui il 55 per cento diretti nelle strutture sanitarie del Nord). Una delle regioni più «affezionate» agli ospedali lombardi è la Sicilia, che ricovera al Nord quasi 20 mila pazienti. Dall'Emilia Romagna ne arrivano invece 9 mila e dal Lazio circa 7 mila. Oltre 10 mila quelli che partono da Calabria e Puglia. La maggior parte sono diretti negli istituti oncologici (leo e Int) e nei poli d'eccellenza della regione;
   il sistema regionale anticipa le spese ospedaliere per ognuno dei pazienti ospitati e troppo spesso le regioni d'origine non provvedono al dovuto rimborso;
   ad oggi, risulta all'interrogante che la regione Lombardia debba incassare dalle regioni di provenienza dei pazienti 495 milioni di euro, una sempre considerevole cifra pur se minore rispetto a quella registrata nel 2013, in cui i fondi attesi ammontavano addirittura a 542 milioni di euro (ed erano il risultato di una sottrazione tra crediti di oltre 869 milioni e debiti per 327 milioni) –:
   se trovino conferma le cifre riportate in premessa e quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo affinché regioni come la Lombardia, meta del cosiddetto turismo sanitario, possano recuperare entro congrui tempi i crediti vantati, trattandosi di cifre consistenti la cui disponibilità consentirebbe nel caso della Lombardia di colmare, almeno in parte, i tagli sanitari decisi il 2 luglio 2015, e garantire, di conseguenza, la qualità del servizio sanitario erogato e le fasce di popolazione esentate dal pagamento del ticket sui farmaci. (4-12733)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta immediata:


   LOCATELLI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'Istat è attualmente interessato da un ampio processo di riorganizzazione interna fortemente voluto dal presidente Giorgio Alleva;
   da notizie stampa si apprende che la riforma comporterebbe l'accorpamento di due dipartimenti dei quattro che fino ad oggi si sono occupati della produzione e raccolta dei dati. In uno, il dipartimento per statistiche amministrative, confluiranno sia i settori che si occupano di statistiche economiche sia quelli che si occupano di statistiche sociali, ambientali e i censimenti, mentre all'altro spetterà occuparsi degli aspetti metodologici inerenti la raccolta ed elaborazione dei dati;
   la nuova organizzazione dei dipartimenti mostra chiaramente la volontà di privilegiare le fonti amministrative, certamente meno costose, rispetto alla raccolta dati sul campo, a scapito di quelle statistiche che non si trovano certo nei registri degli enti locali o delle imprese;
   l'attuale dirigente del dipartimento delle statistiche sociali e ambientali dell'Istat, Linda Laura Sabbadini, una delle poche donne presenti nell'Istituto a livello apicale, sarebbe stata esclusa dalle nuove nomine scaturite da tale processo organizzativo in corso di completamento;
   si sta parlando di una ricercatrice che ha avuto il merito di dare forte impulso alle statistiche sociali in generale e, all'interno delle stesse, di dare attenzione a quelle di genere rispondendo a indicazioni precise che dalla Quarta conferenza mondiale sulle donne delle Nazioni Unite, Pechino 1995, ad oggi ci giungono da istituzioni ed enti europei e sovranazionali e conseguendo risultati di eccellenza tali da aver ridato lustro all'Istituto, anche a livello internazionale;
   a parere dell'interrogante e delle molte associazioni di donne e di social media che hanno sollevato tale questione, la mancata nomina parrebbe inserirsi in una logica che nei fatti indebolisce il settore delle statistiche sociali, poiché sostanzialmente i nuovi accorpamenti dei dipartimenti vanno a premiare coloro che si sono occupati delle statistiche economiche a detrimento di chi ha lavorato proficuamente per produrre risultati fondamentali per capire la società italiana in un momento storico segnato da grossi cambianti sociali riguardanti la famiglia, i rapporti tra le generazioni e la violenza in ambito familiare e sulle donne –:
   quali siano gli orientamenti della Ministra interrogata in relazione a quanto esposto in premessa e, in particolare, se ritenga opportuno il ridimensionamento del settore delle statistiche sociali che si sta realizzando con la riorganizzazione in corso e con le relative nomine, in una fase come quella che si sta vivendo, caratterizzata da profondi cambiamenti della società italiana. (3-02157)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   per rilanciare il settore industriale campano occorre investire sulle eccellenze produttive del territorio, sostenendo le imprese che hanno dimostrato capacità di innovazione e che si sono affermate anche durante la crisi economica. In questo quadro, le realtà del comparto dell'aerospazio sono di fondamentale importanza, poiché centri propulsori di ricerca avanzata e di interazione con il sistema di ricerca pubblica;
   a parere degli interpellanti quindi, per avviare una seria politica di reindustrializzazione nella regione Campania non si può prescindere dalla centralità del comparto dell'aerospazio;
   nei giorni scorsi, alla presentazione dei risultati finanziari agli analisti, l'amministratore delegato Moretti ha annunciato che Finmeccanica cambierà il suo nome in Leonardo e punterà a partecipare ai migliori progetti europei del futuro nei comparti difesa e aerospazio; lo stesso Moretti ha dichiarato, nella stessa sede, che l'azienda ha chiuso il bilancio con un utile netto di 527 milioni di euro e ricavi di 12,99 miliardi di euro, facendo segnare un +1,8 per cento rispetto al bilancio del 2014;
   tali risultati sono legati al risanamento aziendale, che ha incluso la vendita del settore trasporti (Ansaldo Breda e Ansaldo-Sts) ai giapponesi, e alla crescita del fatturato, spinto soprattutto dall'elettronica per difesa e sicurezza;
   le rassicurazioni sull'occupazione fornite dall'amministratore delegato di Finmeccanica al presidente della regione Campania De Luca, negli stabilimenti ex Finmeccanica del settore presenti sul territorio campano, rappresentano per gli interpellanti solo uno scarno risultato, visto che sull'aerospazio non si è lavorato per definire una strategia complessiva e proposte concrete per rilanciare il comparto regionale;
   il comparto regionale dell'aerospazio è in sofferenza per le difficoltà registrate già da qualche tempo dalle imprese del settore e per il vuoto di strategia da parte di Finmeccanica che non facilita gli investimenti e del Governo che, a parere degli interpellanti non ha un'idea definita di politica industriale;
   le ricadute negative, che già si palesano, andranno ad incidere sul già provato settore delle piccole e medie imprese del comparto aerospaziale sia Campania che in Puglia. Le quali, ad oggi, nell'indotto contano oltre 6.000 addetti e rappresentano il tessuto connettivo della fornitura di Finmeccanica e fino ad oggi, non messe a sistema, anzi vessate, dal nuovo corso dell'azienda di Stato;
   emblematico è il caso della campana Dema (Design Manufacturing Spa), attiva nel settore aerospaziale sin dal 1993 come azienda di progettazione e di ingegneria per il settore aeronautico;
   la Dema è l'azienda dell'indotto aeronautico più grande della regione, con 800 dipendenti disto – i tra i suoi vari stabilimenti e, a partire dal 2013, registra una riduzione del fatturato tra i 15 e i 20 milioni di euro per anno, un aggravarsi della dinamica finanziaria e soffre le difficili condizioni che il mercato aeronautico vive in questi anni;
   l'azienda, nel mese di febbraio, ha dichiarato cento esuberi sui 358 addetti dello stabilimento di Somma Vesuviana, al momento evitati facendo ricorso a strumenti alternativi come la cassa integrazione e percorsi di riqualificazione;
   l'accordo raggiunto per tentare di salvare la Dema, prevede l'ingresso di un privato e la riconversione di siti industriali per altre produzioni non aeronautiche;
   molti e sempre più allarmanti sono i segnali di allarme lanciati dalle piccole medie imprese. È dall'ultimo trimestre del 2014 che l'osservatorio sui distretti tecnologici di Intesa Sanpaolo segnala arretramenti significativi nelle esportazioni dell'industria aeronautica campana;
   la frenata nel corso del 2015 degli ordini mondiali nel settore civile (-38 per cento è consistente, anche se Iata, (l'Associazione internazionale del trasporto aereo) si aspetta una crescita del 3,8 per cento all'anno del traffico passeggero;
   la congiuntura economica ha esposto finanziariamente quei costruttori in ritardo per difficoltà tecniche con i nuovi programmi, quelli che si sono attardati nell'innovazione dei prodotti e quelli che soffrono di programmi come A380 che, come dichiara la stessa Airbus, «non sarà mai redditizio» e richiede immensi investimenti per sviluppare versioni più attrattive per il mercato;
   in questo scenario sono incastrate le attività degli stabilimenti aeronautici napoletani di Finmeccanica: il velivolo Airbus A380 riceve 1 o 2 ordini l'anno, ATR mantiene un portafoglio di circa aerei, Pomigliano d'Arco si avvia a consegnare una decina di fusoliere per mese, ma nel 2015 ATR ha visto ridursi del 55 per cento le vendite rispetto all'anno precedente, quindi le previsioni di vita del programma formulate dallo stesso amministratore delegato di Finmeccanica Moretti andranno probabilmente riviste;
   sebbene il dato ATR fosse previsto dagli analisti per effetto della congiuntura e per l'assenza di un nuovo prodotto, si è di fronte ad un segnale inquietante;
   il progetto del nuovo turboelica, dopo i molti milioni di euro pubblici già spesi per investimenti e ricerca è ormai uno snodo anche politico e la decisione di lanciare il nuovo velivolo non può essere lasciata alla sola Finmeccanica;
   per anni si è affermato che un aereo più capiente, economico e moderno avrebbe rilanciato la domanda di ATR; si è ripetuto costantemente come il mercato di sostituzione di un velivolo che ha venduto circa 1600 aerei a oltre 200 operatori e che ha un solo concorrente molto meno attrattivo, siano tutte condizioni che rendono vincente in partenza un programma aeronautico. Una premessa avvalorata dalla considerazione che le caratteristiche green dei nuovi velivoli siano aspetti di crescente peso nell'offerta dei prodotti aeronautici e non compromessa dal costo attuale del carburante, giacché nessun esperto è in condizione di fare una previsione su scala almeno trentennale, che rappresenta la vita minima di un progetto aeronautico;
   da oltre tre anni giace immobile la proposta/progetto relativa al nuovo turboprop ATR: si vorrebbe sapere dalla nuova Finmeccanica se ciò sia dovuto ad un atteggiamento miope o se stia progressivamente disinteressando dell'unico polo di eccellenza aereo spaziale del Sud;
   l'amministratore delegato Moretti, aveva annunciato almeno dieci anni di tranquillità, riferendosi, anche evidentemente alle attività post vendite che dureranno molti anni. Ma, come è noto, a Pomigliano si producono fusoliere, quindi cellule di nuovi velivoli;
   diversamente Airbus sarebbe poco interessata a rilanciare il programma del turboelica regionale con gli italiani, forse anche perché lo scenario dei velivoli jet e turboelica regionali potrebbe avere evoluzioni per le difficoltà dei programmi di Bombardier e di Embraer, che sono tra i protagonisti del mercato dei regionali, tali che Airbus potrebbe trovarsi, indipendentemente da ATR, riposizionata in questo segmento di mercato;
   l’ex Alenia Aermacchi spa occupa un totale di circa 10.500 lavoratori e lavoratrici dislocate in cinque regioni di cui 3.500 solo in Campania;
   Alenia Aermacchi e tutto il settore dell'aerospazio civile e militare in Campania è inserito nel territorio attraverso un proficuo rapporto con l'Accademia dell'Aeronautica militare, le facoltà di ingegneria, i centri di ricerca e le aziende dell'indotto; a Pomigliano d'Arco risiede il più grande stabilimento Alenia Aeronautica dell'Italia meridionale, dove lavorano circa 2.700 addetti, impegnati in lavorazioni e tecnologie dei maggiori costruttori aeronautici mondiali, da Airbus a Boeing, a Bombardier; a Nola lavorano circa 800 addetti nella produzione di parti lavorate a macchina, nella fabbricazione di lamiere metalliche e nell'assemblaggio di pannelli con un elevato livello di integrazione ed automazione industriale;
   occorre evidenziare che Finmeccanica non ha partecipato alla ricapitalizzazione di Superjet (Alenia-Sukhoi) e che il programma è in difficoltà. Qualora il dossier ATR non dovesse trovare una soluzione, l'industria aeronautica nazionale si troverebbe completamente fuori dal segmento dei velivoli regionali;
   per quanto riguarda Avio Aero, il Governo e le regioni hanno finanziato investimenti per 20 milioni di euro del gruppo e 80 per il sito di Pomigliano;
   nel corso del recente bilaterale Italia-Francia, sono stati discussi i numerosi dossier aperti tra i due Paesi, molti dei quali riguardano la difesa e lo spazio, per Finmeccanica il vertice avrebbe rappresentato un'opportunità, perché la One Company di Moretti deve completare il riassetto dei gruppo e decidere se e come restare nell'aeronautica civile e come rimodulare le alleanze industriali;
   resta senza risposta la domanda se il nuovo turboelica è per Finmeccanica un tassello di questo riposizionamento;
   la regione Piemonte e la città di Torino hanno deciso di ripartire dall'aerospazio, tanto da aver convocato gli stati generali per le politiche del settore e propongono un confronto pubblico, aperto e trasparente tra gli esperti e i portatori d'interessi pubblici e privati per definire una strategia condivisa di rilancio dell'intero comparto, un percorso inclusivo che rappresenta un esempio anche per altre istituzioni;
   in Campania dopo l'accantonamento della delibera regionale sul distretto aerospaziale, n. 618 del 27 marzo 2009, che proponeva un soggetto pubblico di governance rappresentativo di tutti gli attori, opera un soggetto privato;
   il distretto tecnologico che ha beneficiato di risorse pubbliche per la ricerca, è largamente partecipato, ma non è un soggetto istituzionale, non è legittimato, attrezzato e non ha le competenze per monitorare e definire una strategia industriale;
   in assenza di progetti industriali validi, a parere degli interpellanti è inutile proporre altri accordi di programma, piuttosto sarebbe opportuno sbloccare i fondi assegnati e mai erogati alle aziende nei precedenti provvedimenti, approntare iniziative utili alle imprese del comparto nella ricerca di nuovi mercati riportando in casa le attività che da anni sono state affidate all'ICE/ITA, l'agenzia nazionale governativa che ormai finanzia molte delle sue iniziative con i fondi comunitari delle regioni di convergenza;
   nei mesi scorsi la Ministra dello sviluppo economico, Federica Guidi, ha illustrato in Parlamento un complesso sistema di sostegno alle imprese e l'ultimo piano di finanziamento di poco meno di 2 miliardi di euro per lo sviluppo dei programmi aeronautici;
   il Governo, ha deciso di attrezzare un Comitato per lo sviluppo dell'industria aeronautica che rappresenta tutti i ministeri interessati ed esprime parere sui progetti presentati;
   il paradosso ravvisato dagli interroganti è che le imprese della Campania rischiano di non accedere nemmeno a questi fondi, fatta eccezione per quelle motoristiche e qualcuna dell'aviazione generale, perché non in condizione di presentare progetti e nuove attività industriali;
   di questo passo intravede il rischio che la presenza del sistema delle imprese aeronautiche nazionali si ridistribuirà nel Paese a discapito della Campania dove non si riesce a vedere quale spazio potranno avere le aziende del territorio, salvo qualche rara eccezione;
   da questo punto di vista va notato come negli ultimi anni il management industriale di Finmeccanica non risponda più ad esigenze strategiche volte a dotare il gruppo di un'impostazione tale da renderlo pilastro fondamentale dello sviluppo industriale italiano;
   tale sviluppo dovrebbe partire proprio dalle aree più disagiate del Paese, ed invece l'assetto dato al gruppo dalla dirigenza aziendale sembra non venire incontro a questa esigenza e ciò ha portato ad una progressiva desertificazione industriale di zone del Paese già martoriate dalla crisi come il Mezzogiorno ed, in particolar modo la Campania;
   è del tutto evidente come sia diventato indispensabile un intervento strutturale e programmatico che inverta una tendenza che già adesso ha assunto connotati drammatici;
   ad una presenza così importante nel territorio campano di aziende legate direttamente o indirettamente a Finmeccanica non sembra corrispondere, come nel settore dell'aerospazio, un adeguato piano di investimenti a sostegno delle realtà produttive presenti, ed anzi si può facilmente notare come le uniche politiche portate avanti in questi ultimi anni dai management che si sono succeduti siano quelle di dismissione e ridimensionamento di realtà presenti sul territorio campano –:
   se il Governo non intenda assumere come scelta prioritaria di politica industriale il comparto dell'aerospazio civile e militare, con investimenti straordinari e significativi nel campo delle attività produttive, della ricerca, dell'innovazione e dell'alta formazione al fine di rilanciare l'industria in Campania;
   se il Governo non intenda aprire un tavolo di confronto nazionale permanente con Finmeccanica e con tutti i soggetti pubblici e privati interessati, al fine di mettere in atto tutte quelle iniziative in grado di puntare allo sviluppo del comparto dell'aerospazio in Campania, attraverso in valorizzazione e il rilancio dei siti di alta specializzazione presenti nel territorio campano, a partire dalla messa, in sicurezza e rilancio degli stabilimenti di Giugliano e Fusaro;
   se il Governo, in qualità di azionista di maggioranza di Finmeccanica, non intenda intervenire sull'attuale management del gruppo affinché la stessa si doti di una politica industriale che punti su sviluppo rilancio, innovazione e crescita sia qualitativa che dimensionale delle aziende che fanno parte del più grande gruppo industriale italiano e non si limiti ad operazioni di sola razionalizzazione e ridimensionamento come sta accadendo in questi anni.
(2-01328) «Ferrara, Scotto, Giancarlo Giordano, Ricciatti».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CRIVELLARI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in provincia di Rovigo, dopo un primo periodo di sperimentazione, a partire dal primo di aprile del 2016 Poste italiane razionalizzerà il servizio di consegna a domicilio, capoluogo di provincia escluso, passando dall'attuale consegna quotidiana alle cinque consegne ogni due settimane;
   in Polesine sono stati coinvolti nella fase sperimentale 16 (sedici) comuni collegati al centro di smistamento di Occhiobello tra i quali Bergantino, Calto, Canaro, Castelmassa, Castelnovo Banano, Ceneselli, Ficarolo, Flesso Umbertiano, Gaiba, Giacciano con Baruchella, Melara, Occhiobello, Pincara, Salara, Stienta e Trecenta;
   molti di questi comuni hanno già segnalato forti disagi nel periodo di sperimentazione, lamentando ritardi nella consegna delle bollette delle utenze e disagi tra gli utenti con fasce di età più avanzata;
   i cittadini hanno protestato in più occasioni poiché ricevono posta con lunghi ritardi e da questo mese la riorganizzazione verrà estesa ad altre realtà comunali tra le quali i comuni di Adria, Ariano Polesine, Arquà Polesine, Badia Polesine, Bagnolo di Po, Bosaro, Canda, Castelguglielmo, Ceregnano, Corbola, Costa di Rovigo, Crespino, Frassinelle, Fratta Polesine, Gavello, Guarda Veneta, Lendinara, Loreo, Lusia, Papozze, Pettorazza Grimani, Pontecchio, Porto Tolle, Porto Viro, Rosolina, San Bellino, San Martino di Venezze, Taglio di Po, Villadose, Villamarzana, Villanova del Ghebbo e Villanova Marchesana;
   anche le amministrazioni locali coinvolte hanno espresso preoccupazione per la costante riduzione delle attività di sportello e recapito in particolar modo negli uffici periferici o frazionali;
   la riorganizzazione rischia di essere penalizzante per il territorio ed i lavoratori addetti al servizio –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative di competenza per verificare la situazione e lo stato dell'applicazione del piano di riorganizzazione di Poste Italiane anche per la parte di servizio di consegna, e inoltre quali iniziative di competenza intenda intraprendere per superare i disagi lamentanti dalla popolazione; se vi sia evidenza dei risultati del periodo di sperimentazione del nuovo modello di recapito e consegna soprattutto per la parte della zona alto polesana. (5-08310)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Vargiu e altri n. 1-01191, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Miotto.

  La mozione Palese e altri n. 1-01207, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Borghese.

  La mozione Peluffo e altri n. 1-01208, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 4 aprile 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Garavini.

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta orale Iacono e altri n. 3-02011, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Carnevali.

  L'interrogazione a risposta in commissione Cancelleri n. 5-08233, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Sorial.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Brunetta n. 1-01206, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 600 del 1o aprile 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    a partire dal 2016, come stabilito dall'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016), il canone Rai verrà addebitato sulla bolletta elettrica con l'aggiunta, rispetto al passato, che d'ora in poi sarà presunta la detenzione dell'apparecchio nel caso in cui esista un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica;
    l'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 interviene modificando l'articolo 1, comma 2, del regio decreto-legge 21 febbraio 1938, n. 246, convertito dalla legge 4 giugno 1938, n. 880, stabilendo che, ai fini della corresponsione del canone di abbonamento alla televisione per uso privato, «la detenzione di un apparecchio si presume altresì nel caso in cui esista un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo in cui un soggetto ha la sua residenza anagrafica»;
    tale presunzione contrasta secondo i firmatari del presente atto di indirizzo con la ratio affermata nel citato regio decreto-legge, in base al quale l'imposta si applica solo a chi effettivamente, e non presuntivamente, possieda un apparecchio adibito alla ricezione di radioaudizioni televisive nel territorio italiano;
    il citato articolo 1, comma 153, della legge di stabilità 2016, prevede anche che: «Allo scopo di superare le presunzioni di cui ai precedenti periodi, a decorrere dall'anno 2016 è ammessa esclusivamente una dichiarazione rilasciata ai sensi del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, la cui mendacia comporta gli effetti, anche penali, di cui all'articolo 76 del medesimo testo unico. Tale dichiarazione è presentata all'Agenzia delle entrate – Direzione provinciale I di Torino – Ufficio territoriale di Torino I – Sportello S.A.T., con le modalità definite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate, e ha validità per l'anno in cui è stata presentata»;
    si fa, quindi, riferimento ad un'autocertificazione, una dichiarazione sostitutiva, con la quale il cittadino deve certificare di non possedere alcun apparecchio atto o adattabile alla ricezione delle trasmissioni radiotelevisive;
    la possibilità data agli utenti di poter presentare, con cadenza annuale, un'autocertificazione, in cui si dichiari il non possesso di alcun apparecchio radiotelevisivo inverte indebitamente il principio dell'onere della prova di cui all'articolo 2697 del codice civile, secondo il quale «chi vuol far valere un diritto in giudizio deve provare i fatti che ne costituiscono il fondamento»;
    risulta decisamente spropositata e draconiana secondo i firmatari del presente atto la previsione della sanzione penale, ex articolo 76 del citato decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, a fronte di autocertificazioni mendaci relative al possesso del televisore;
    l'Agenzia delle entrate, con il provvedimento pubblicato il 24 marzo 2016, ha definito, in termini che a loro volta presentano per i firmatari del presente atto di indirizzo numerosi profili di quantomeno dubbia legittimità, le modalità e i termini di presentazione della dichiarazione sostitutiva relativa al canone di abbonamento alla televisione per uso privato ai sensi del richiamato articolo 1, comma 153, lettera a), della legge 28 dicembre 2015, n. 208, e approvazione del relativo modello;
    il legislatore ha espressamente stabilito, all'articolo 1, comma 154, della legge di stabilità 2016, che «con decreto del Ministro dello sviluppo economico, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, da adottare entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, sono definiti termini e modalità per il riversamento all'Erario, e per le conseguenze di eventuali ritardi, anche in forma di interessi moratori, dei canoni incassati dalle aziende di vendita dell'energia elettrica»;
    il 15 febbraio 2016 è scaduto il termine fissato dall'esecutivo, senza che sia stato, ancora oggi, emanato il decreto ministeriale che dovrebbe definire nel dettaglio termini e modalità di riscossione del canone Rai;
    da recenti notizie di stampa, si apprende che il decreto ministeriale in questione sarebbe stato trasmesso dal governo all'attenzione del Consiglio di Stato;
    la nuova normativa sull'esazione del canone Rai, all'articolo 1, comma 156, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, al fine di individuare gli intestatari delle bollette e gli esenti, prevede che siano incrociate le banche dati dell'Anagrafe tributaria, l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico, l'Acquirente unico spa, il Ministero dell'interno, i comuni, nonché non meglio identificati «altri soggetti pubblici o privati» che, peraltro, saranno anche autorizzati allo scambio e all'utilizzo di queste informazioni;
    l'incrocio delle banche dati di innumerevoli soggetti pubblici e privati ed il continuo flusso di informazioni sensibili costituisce un problema di privacy per molte famiglie e singoli cittadini, ed aumenta notevolmente il rischio di commettere errori nell'identificazione dei soggetti intestatari delle bollette del canone radiotelevisivo;
    inoltre, le cosiddette domiciliazioni bancarie sono state spesso oggetto di controversie, causate da problemi tecnici, talvolta piuttosto significativi, relativi a difficoltà di comunicazione e di connessione tra i sistemi informatici della banca di riferimento del consumatore e quella della società energetica, con ritardi o inadempienze nell'aggiornamento dei database di quest'ultima;
    la disposizione in questione ha poi previsto che gli importi del canone Rai e dell'energia elettrica, seppur nella stessa fattura, restino distinti e separati, ma, contrariamente a questo principio, stabilisce anche, di fatto e sin da subito, un pagamento unico di entrambi gli importi, ponendo gli utenti nella condizione di subire, già dalla prima bolletta, un prelievo automatico delle somme relative al canone radiotelevisivo e, in caso di contestazioni, dover tentare di rientrare in possesso di tali importi solo in una fase successiva, con tutte le oggettive difficoltà che questo comporta;
    la sentenza della Corte costituzionale n. 284 del 26 giugno 2002 e la sentenza della Corte di cassazione del 3 agosto 1993 n. 8549 hanno acclarato che il canone tv ha natura di imposta il cui pagamento è dovuto in ragione della mera detenzione dell'apparecchio atto alla ricezione e in misura indipendente dalla quantità e qualità del relativo utilizzo;
    se il canone Rai rappresenta un'imposta e non una tariffa per un servizio, come stabilito dalla Consulta, esso si configura però per i firmatari del presente atto di indirizzo come una sorta di «imposta espropriativa», dal momento che la corresponsione dell'importo annuo stabilito in 100 euro, genererebbe un effetto paradossale: in pochi anni, l'imposta supererebbe il valore stesso del bene tassato;
    l'Autorità garante della concorrenza e del mercato, nel parere del 28 ottobre 2015, espresso in tema di inserimento del canone Rai nell'utenza elettrica ha precisato che, se da un lato il servizio pubblico può essere finanziato da una combinazione di risorse pubbliche e proventi commerciali, dall'altro occorre «certamente evitare che le risorse pubbliche siano utilizzate per il finanziamento di attività commerciali, situazione che determinerebbe un'evidente distorsione concorrenziale»;
    tuttavia, la Rai, in quanto «soggetto ibrido» coniuga obiettivi pubblicistici e commerciali a loro volta finanziati sia da risorse pubbliche (il canone) sia da attività commerciali. La Rai, inoltre, a differenza delle altre tv europee si finanzia attraverso risorse pubblicitarie molto consistenti, anche rispetto alle altre televisioni pubbliche europee; circa il 46 per cento delle risorse Rai provengono dagli introiti pubblicitari, contro il 13 per cento di pubblicità della tv pubblica tedesca Zdf-Adr, mentre la tv pubblica inglese Bbc, non manda in onda pubblicità;
    la prima rata del canone Rai, inclusa nella bolletta elettrica sarà emessa a partire dal 1o luglio 2016, ma ancora oggi sono molte le criticità per i cittadini circa i termini e le modalità di riscossione del canone. Il gruppo Forza Italia, attraverso una serie di atti di sindacato ispettivo depositati a prima firma dell'onorevole Simone Baldelli, e sottoscritte dal capogruppo e dai deputati membri delle Commissioni attività produttive e finanze della Camera dei deputati, ha già avuto modo di sollevare le diverse questioni poste dall'introduzione della nuova normativa in materia di riscossione del canone Rai, che non hanno ancora trovato una risposta compiuta da parte del Governo;
    tali criticità, abbinate alla poca chiarezza e all'esasperazione fiscale che già grava sui contribuenti, rischiano di creare un ulteriore cortocircuito nel rapporto tra cittadini e fisco, con conseguenti ripercussioni dannose anche dal punto di vista erariale,

impegna il Governo:

   a valutare gli effetti applicativi della nuova normativa, anche alla luce della necessaria tutela della privacy che deve essere garantita agli utenti e contribuenti, attraverso la protezione dei dati sensibili;
   a fornire, senza ulteriori ritardi, i chiarimenti necessari, attraverso il decreto del Ministero dello sviluppo economico, tali da definire, in modo esaustivo, quali apparecchi sono soggetti al pagamento del tributo, escludendo dall'imposizione quelli il cui uso è destinato a finalità differenti dalla visione dei programmi televisivi;
   ad adottare ogni opportuna iniziativa volta ad evitare il rischio di eventuali cortocircuiti del sistema di domiciliazione bancaria, e di ogni altro effetto che possa ripercuotersi negativamente su consumatori e contribuenti, con particolare riferimento alle ipotesi di errori o ritardi nel riversamento all'Erario delle somme incassate da parte delle imprese elettriche e alle eventuali indebite conseguenze negative, compreso l'onere della prova o vario genere di aggravi, sugli utenti consumatori;
   ad assumere iniziative normative per definire specifici mezzi a disposizione degli utenti per tutelarsi in caso di errori, abusi o comportamenti contrari al codice del consumo nell'ambito della riscossione del canone Rai in bolletta elettrica;
   a riferire, attraverso una specifica relazione alle Camere, in merito ai dati e all'applicazione della nuova normativa in materia di riscossione del canone Rai;
   alla luce del quadro rilevato, e delle difficoltà o delle criticità che dovessero emergere, a valutare l'opportunità del superamento della previsione normativa contenuta all'articolo 1, comma 153, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, attraverso il ripristino dello status quo precedente alle disposizioni contenute nella legge n. 208 del 2015, ovvero attraverso l'individuazione di un nuovo meccanismo di riscossione del canone, che superi le criticità organizzative e fiscali riscontrate, e che non ravvisi profili di rischio per la necessaria tutela degli utenti e contribuenti;
   a prevedere una riduzione dell'attuale importo del canone Rai per l'anno 2017.
(1-01206) (Nuova formulazione) «Brunetta, Baldelli, Occhiuto, Gelmini, Polidori, Giammanco, Squeri, Sandra Savino, Giacomoni, Laffranco».

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interpellanza Palmizio n. 2-01316 del 16 marzo 2016;
   interrogazione a risposta scritta Fauttilli n. 4-12550 del 16 marzo 2016;
   interrogazione a risposta orale Galgano n. 3-02137 del 29 marzo 2016;
   interrogazione a risposta scritta Quaranta n. 4-12691 del 31 marzo 2016;
   interrogazione a risposta in Commissione Molteni n. 5-08305 del 4 aprile 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo (ex articolo 134, comma 2 del Regolamento).

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta scritta Di Vita e altri n. 4-08407 del 13 marzo 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-08312.