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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Venerdì 11 marzo 2016

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   alle donne atlete è «de facto» impedito l'accesso a una legge dello Stato, la legge n. 91 del 1981 sul professionismo sportivo;
   a oggi, tutte le atlete italiane, indipendentemente dal loro livello tecnico-agonistico e dal fatto che pratichino lo sport come attività che produca per loro reddito prevalente e continuativo, sono definite «dilettanti»;
   la legge n. 91 del 23 maggio 1981 «Norme in materia di rapporti tra società e sportivi professionisti», all'articolo 2, stabilisce che sono sportivi professionisti gli atleti, gli allenatori, i direttori tecnico-sportivi e i preparatori atletici che esercitano l'attività sportiva a titolo oneroso, con carattere di continuità nell'ambito delle discipline regolamentate dal Coni;
   in base alla legge n. 91 del 23 maggio 1981, le federazioni sportive hanno qualificato come professionistiche solo cinque discipline del panorama sportivo per i soli atleti maschi: calcio fino alla C2, basket serie A1 e A2, boxe, golf, ciclismo su strada;
   nessuna delle discipline sportive femminili è ritenuta «professionistica» pertanto in Italia nessuna atleta può godere di alcuna tutela occupazionale, previdenziale e di protezione in caso di maternità nonostante le atlete donne siano parte integrante del sistema economico del nostro Paese, che produce circa il 3 per cento del prodotto interno lordo;
   a questa disparità di trattamento, si aggiunge il fatto che la presenza di donne nei ruoli di vertice dello sport italiano è eccessivamente bassa: su 45 federazioni sportive nazionali non vi è a capo una donna, la presenza nei consigli federali è del 9 per cento (solo 60 donne su 670 membri complessivi), ed ancor oggi non è mai stata eletta una presidente donna al Comitato olimpico nazionale italiano;
   la distinzione tra sport professionistico e sport dilettantistico inserita nell'ordinamento sportivo italiano, non può rappresentare un ostacolo a un totale riconoscimento dei diritti fondamentali della persona e per le donne atlete del diritto alla maternità, che deve essere tutelato sotto ogni forma in base al decreto legislativo n. 151 del 2001;
   con la risoluzione su «donne e sport» approvata dal Parlamento europeo nel 2003, si dichiara che «lo sport femminile è l'espressione del diritto alla parità e alla libertà di tutte le donne di disporre del proprio corpo e di occupare lo spazio pubblico, a prescindere dalla cittadinanza, dall'età, dalla menomazione fisica, dall'orientamento sessuale, dalla religione»;
   la stessa risoluzione sollecita gli Stati membri e il mondo sportivo a «sopprimere la distinzione tra pratiche maschili e femminili nelle procedure di riconoscimento delle discipline di alto livello». Da ciò si evince che le federazioni nazionali devono assicurare a tutte le donne atlete, la stessa parità di diritti dei colleghi uomini atleti professionisti in termini di trattamento economico, di assistenza medica, di trattamento pensionistico e di formazione professionale –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma e se il Presidente del Consiglio sia a conoscenza della situazione in cui versano le donne atlete, considerate dilettanti;
   se, anche alla luce della candidatura dell'Italia ai Giochi olimpici del 2024, ritenga ancora opportuno esercitare direttamente le competenze in materia di sport o se invece non sia piuttosto necessario proporre la nomina di un Ministro senza portafoglio cui affidare la delega per le politiche sportive;
   se non ritenga urgente e necessario assumere iniziative per modificare la legge n. 91 del 23 maggio 1981, al fine di eguagliare la condizione giuridica delle atlete donne a quella degli atleti uomini;
   se non ritenga opportuna, in considerazione dell'evidente disparità e discriminazione nei confronti delle donne atlete, promuovere una revisione della disciplina concernente il trattamento economico e pensionistico del settore, equiparando lo sport dilettantistico a quello professionistico. (4-12495)


  LUIGI DI MAIO, DELL'ORCO, DI BATTISTA, RUOCCO, SIBILIA e FICO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane diversi organi di informazione hanno riferito notizie molto inquietanti circa il «prezzo» di un posto nelle liste del Partito Democratico alle elezioni politiche;
   secondo quanto si apprende da fonti si stampa, infatti, «il Pd è il partito che propone il seggio al prezzo più caro: 150 mila euro. Come funziona? Il candidato deve sottoscrivere due obbligazioni. Una tra 30 e 50 mila euro in base alla posizione nel “listino” da corrispondere anche a rate entro il termine della legislatura. I soldi andranno alle federazioni. Per un seggio sicuro, solitamente, il pagamento è anticipato. Poi ci sono 1.500 euro da versare alle casse del Nazareno ogni mese. In tutto, un seggio del Pd può costare 140-150 mila euro. Per ripagare la sua elezione la giovane Pini, dunque, si è portata avanti: nel 2014 ha ricevuto 98.471 euro di competenze parlamentari e più della metà le ha “girate” al partito che gliel'ha permesso». Risulta, infatti, sempre dal medesimo articolo che nel 2014 la deputata Giuditta Pini abbia versato al suo partito «58 mila euro, cifra che la proietta in cima alla lista dei contributi dem che, insieme, hanno versato quell'anno 7,5 milioni»;
   tali articoli di stampa sarebbero peraltro confermati dal senatore Corradino Mineo, ex iscritto al gruppo del Partito Democratico, oggi nel gruppo Misto, il quale nel corso di una trasmissione televisiva ha dichiarato che, dopo aver ricevuto e accettato la richiesta di essere capolista al Senato del Partito Democratico in Sicilia, gli sarebbe stata consegnata una lettera «con la richiesta di versare 25 mila euro da pagare perché ero stato messo in “posizione utile” in lista. Una richiesta che ho giudicato oscena, perché significa che il partito si sente padrone del seggio e allora il Parlamento non conta nulla»;
   risibili sarebbero, a giudizio degli interroganti, le giustificazioni dell'ex tesoriere del Partito Democratico, deputato Antonio Misiani, il quale ha in sostanza sostenuto che si tratterebbe di erogazioni liberali dei parlamentari al Partito Democratico: dalle dichiarazioni del senatore Mineo emerge, secondo gli interroganti, in tutta la sua sconcertante evidenza la diretta correlazione tra posizione in lista e quantum da pagare, ancor prima di essere eletto;
   appare agli interroganti, evidente la gravità del mercimonio di seggi parlamentari descritto in premessa –:
   quale sia l'orientamento del Presidente del Consiglio in merito alle vicende in premessa e se non ritenga che il Governo debba farsi promotore di una iniziativa legislativa finalizzata a contrastare e reprimere il fenomeno dell’«acquisto del seggio parlamentare» che ad avviso degli interroganti – secondo le citate dichiarazioni e fonti di stampa – pare essere istituzionalizzato all'interno del Partito Democratico. (4-12497)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAOLO BERNINI e GAGNARLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   è stata annunciata una gara motonautica di off shore dal 24 al 26 luglio nel Golfo di La Spezia (http://www.ccvgspezia.it);
   il Golfo di La Spezia è incluso nell'areale del Santuario dei Cetacei: il Santuario Pelagos per i mammiferi marini del Mediterraneo è un'area marina protetta che si estende per circa 90.000 chilometri quadrati nel Mediterraneo nord occidentale fra Italia, Francia e Sardegna. È la più grande riserva marina dell'emisfero boreale che comprende il Mar Ligure e parte del Mar Tirreno e del Mar di Corsica, è costituito dalle acque marittime interne (15 per cento) e territoriali (32 per cento) di Francia, Monaco e Italia e dalle acque pelagiche adiacenti (53 per cento);
   le principali specie di cetacei che si possono avvistare all'interno dell'area del Santuario sono: balenottere comuni (Balaenoptera physalus), capodogli (Physeter macrocephalus), zifii (Ziphius cavirostris), globicefali (Globicephala melas), grampi (Grampus griseus), tursiopi (Tursiops truncatus), stenelle striate (Stenella coeruleoalba) e delfini comuni (Delphinus delphis);
   i pericoli per queste specie sono numerosi, il principale è rappresentato dall'impatto antropico diretto e indiretto: porti (commerciali e militari), cittadine, aree industriali e sversamenti in mare di diverse tipologie costituiscono un insieme di fattori che sommati al degrado dell’habitat, al whale whatching (attività ancora non normata), all'intenso traffico marittimo (le navi veloci hanno causato la morte di molti cetacei per collisioni), e alla pesca illegale con le reti pelagiche derivanti (spadare) e le thonaille, mettono a serio rischio la sopravvivenza delle popolazioni dei cetacei nell'area;
   nel 1990 l'Istituto Tethys, a seguito delle ricerche condotte nel Mar Ligure Occidentale, propose all’«Associazione Europea Rotary per l'Ambiente» di costituire un'area marina protetta vista l'alta concentrazione di cetacei nell'area;
   nel 1993 i rappresentanti dei Ministeri dell'ambiente di Francia e Italia e il Ministro di Stato del Principato di Monaco firmano a Bruxelles una dichiarazione relativa all'istituzione di un Santuario Internazionale dei Cetacei del Mar Ligure;
   l'Assemblea generale della IUCN (The World Conservation Union) tenutasi a Buenos Aires nel 1994 promosse la risoluzione 19.92 riguardante «l'Istituzione di un Santuario marino per i grandi e piccoli cetacei nel Mar Ligure, Mediterraneo occidentale»;
   nel 1998 l'Italia approva la proposta di istituzione del Santuario;
   il 25 novembre 1999 a Roma i tre Ministri firmano l'accordo definitivo che sancisce l'istituzione del Santuario. La legge n. 391 dell'11 ottobre 2001 del Parlamento italiano ha ratificato e reso esecutivo l'accordo consentendone l'entrata in vigore effettiva il 21 febbraio 2002. L'area di circa 90mila chilometri quadrati comprende le acque tra Tolone sulla costa francese, Capo Falcone nella Sardegna occidentale, Capo Ferro nella Sardegna orientale e Fosso Chiarone in Toscana;
   nel novembre del 2001 le parti della Convenzione di Barcellona decisero di inserire il Santuario nella lista delle «Specially Protected Areas of Mediterranean Importance» (SPAMIs);
   in seguito alla ratifica dell'accordo finale da parte del Principato di Monaco nel 2000, della Francia nel 2001 e dell'Italia nel 2002, l'accordo sul Santuario entra in vigore nel febbraio del 2002;
   il 17 febbraio 2003 si è tenuta a Monaco, Paese depositario dell'accordo, la prima conferenza delle parti contraenti, nel corso della quale sono state discusse e approvate le linee guida per la redazione del piano di gestione del Santuario;
   con l'istituzione del Santuario Pelagos, le parti contraenti si sono impegnate a:
    a) garantire uno stato di conservazione favorevole dei mammiferi marini proteggendoli, insieme al loro habitat, dagli impatti negativi diretti o indiretti delle attività umane;
    b) valutare periodicamente lo stato delle popolazioni di mammiferi marini, le cause di mortalità e le minacce che gravano sul loro habitat e in particolare sulle loro funzioni vitali, come l'alimentazione e la riproduzione;
    c) esercitare la sorveglianza e intensificare la lotta contro ogni forma di inquinamento che abbia o sia suscettibile di avere un impatto diretto o indiretto sullo stato di conservazione dei mammiferi marini;
    d) esercitare la sorveglianza nel Santuario e intensificare la lotta contro ogni forma di inquinamento, di origine marittima e tellurica, che abbia o sia suscettibile di avere un impatto diretto o indiretto sullo stato di conservazione dei mammiferi marini;
    e) adottare strategie nazionali miranti alla soppressione progressiva degli scarichi di sostanze tossiche nel Santuario, accordando la priorità a quelle elencate nell'Allegato I del protocollo della Convenzione di Barcellona relativa alla protezione del Mar Mediterraneo contro l'inquinamento derivante da fonti e attività situate a terra;
    f) vietare ogni cattura deliberata e qualsiasi forma di disturbo intenzionale dei mammiferi: possono, tuttavia essere autorizzate ricerche specifiche;
    g) regolamentare l'osservazione dei mammiferi marini a fini turistici;
   l'inserimento del Santuario per i mammiferi marini nella lista di aree specialmente protette di importanza mediterranea (Specially Protected Areas of Mediterranean Importance – SPAMIs) – impegna i 17 Stati e gli organismi internazionali aderenti al protocollo SPA al rispetto della vincolistica di cui sopra;
   la legge n. 391 del 2001, ratifica ed esecuzione dell'accordo internazionale del 25 novembre 1999, vieta le competizioni di imbarcazioni veloci a motore nelle acque territoriali italiane ricadenti nel Santuario dei Cetacei –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della gara di off shore prevista ed, eventualmente, come sia stato possibile autorizzarla;
   come i Ministri interrogati intendano garantire l'attuazione di ogni punto previsto dall'accordo e dalla legge di ratifica;
   quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati al riguardo, anche in considerazione dei numerosi episodi di ship-strike (collisioni dei cetacei con i natanti) – oggetto anche di una approfondita ricerca scientifica –, episodi che è necessario prevenire. (4-12478)


   PAOLO BERNINI, BUSTO e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Fao ha come obiettivo, entro il 2025, l'eradicazione della fame dal pianeta, assicurando il giusto accesso alle risorse alimentari per i 9.2 miliardi abitanti previsti nel 2050;
   mentre si discute ancora sulle modalità di una equa redistribuzione delle risorse alimentari, i dati parlano drammaticamente e con chiarezza: sulla terra ci sono circa 6.5 miliardi di persone, ma secondo la Fao solo il 20 per cento può nutrirsi in modo adeguato;
   la strategia vincente, che è l'unica soluzione per sconfiggere la fame nel mondo, è salvare la biodiversità del pianeta è stata proposta da scienziati internazionali come Jeremy Rifkin e Vandana Shiva: una rivoluzione vegetariana per salvare il pianeta;
   solo il 20 per cento della popolazione mondiale ha infatti regolare accesso alle risorse alimentari, mentre il 26 per cento della superficie terrestre è letteralmente invaso dagli allevamenti, ai quali è imputabile l'emissione del 18 per cento dei gas serra, la distruzione di milioni di ettari di foreste e la perdita di biodiversità, nonché la produzione annua di 1.050 miliardi di tonnellate di deiezioni;
   i dati Onu al riguardo sono impressionanti: 900 milioni di persone soffrono la fame, mentre 2 miliardi sono da considerare malnutrite;
   questa situazione sembra destinata ad aggravarsi nei prossimi anni quando la popolazione mondiale della erra passerà da 7 a 9 miliardi di persone, con un aumento netto di 2 miliardi che renderà ancora più drammatica la carenza di cibo e che, verosimilmente, acuirà le tensioni internazionali per la conquista dei territori per ottenere le materie prime alimentari;
   entro il 2050, il mondo intero andrà incontro a catastrofiche crisi alimentari, come ha ricordato, in occasione della conferenza mondiale dell'acqua ad agosto 2013, il professor Malik Falkenmark dello Stockholm International Water Institute;
   ad oggi, il 26 per cento della terra è «invaso» dagli allevamenti animali che ogni anno producono oltre 1500 miliardi di tonnellate di deiezioni che sono la causa dell'emissione del 18 per cento dei gas serra, mentre l'uso dei veicoli ne produce il 14 per cento (Fao). Ciò determina una serie di danni inimmaginabili: il taglio delle foreste distrugge la biodiversità, toglie ossigeno, favorisce i fenomeni di desertificazione, aumenta l'emissione di gas prodotti dagli animali allevati in modo intensivo e ne sacrifica la vita a vantaggio di pochi, con un prezzo pagato invece da molti uomini, animali e natura tutta;
   occorrono più di 16 chili di foraggi per produrre un chilo di carne e, in media, secondo i dati Fao occorrono da 1.000 a 2.000 litri d'acqua per produrre un chilo di grano e da 13.000 a 15.000 litri per ottenere la stessa quantità di carne da bovini alimentati con cereali;
   dal rapporto della Fao (Steinfeld et altri 2006, «Rome, Fao. Livestock's long shadow – environmental issues and options») risulta che ben il 70 per cento delle aree deforestate in Amazzonia sono occupate da pascoli, il resto da coltivazione di foraggio;
   il rapporto evidenzia inoltre che:
    a) il 26 per cento delle terre libere da ghiacci sulla terra è occupato da pascoli, e che, globalmente:
    b) il 33 per cento dei terreni agricoli è occupato dalla coltivazione di foraggio;
    c) un terzo dei cereali raccolti sono impiegati come foraggio per gli animali;
    d) il 20 per cento dei pascoli sono degradati e sterili per via dell'eccessivo sfruttamento.
    e) gli effetti sul clima dei GHG prodotti dagli allevamenti intensivi provengono da:
     34 per cento deforestazione;
     30,4 per cento letame;
     25,3 per cento fermentazione intestinale dei ruminanti;
     6,2 per cento uso di fertilizzanti;
     4,1 per cento altro;
   numerosi ulteriori studi scientifici dimostrano le correlazioni evidenti tra il consumo di proteine animali e i cambiamenti climatici. In particolare, nel «Livestock – Climate Change's Forgotten Sector Global Public Opinion on Meat and Dairy Consumption», a cura di Rob Bailey, Antony Froggatt e Laura Wellesley – Energy, Environment and Resources del dicembre 2014 – in modo lapidario è sentenziato che «il consumo di carni, latte e derivati è una delle principali cause del cambiamento climatico»;
   lo studio sopraccitato e altre numerose pubblicazioni evidenziano che la riduzione, se non l'abolizione dell'uso di proteine di origine animale, consentirebbero l'abbattimento del consumo di suolo, l'impatto sulla biodiversità, il consumo di acqua; foraggi e proteine che, anziché alimentare gli animali, potrebbero essere destinate in modo più logico e razionale ad una redistribuzione equa delle risorse del territorio;
   «l'allevamento e la produzione animale è la più grande fonte mondiale di metano e protossido di azoto» (fonteChatham House 2014);
   «l'allevamento e la produzione animale sono causa di produzione di CO2 e di deforestazione. Le foreste sono abbattute per lasciar spazio alle coltivazioni per foraggi destinati agli animali e per gli allevamenti. Le foreste sono devastate dall'impatto causato dal bestiame»; (fonte: Chatham House 2014);
   l'acqua impiegata nella produzione di foraggi, farine e per abbeverare gli animali rappresenta fino all'87 per cento del consumo mondiale e la produzione di mangimi per animali assorbe il 70 per cento dei consumi di combustibili (fonte: Factory farming and the Enviroment», a cura della organizzazione Compassion in world farming trust). Per produrre un chilo di carne occorrono più di 16 chili di foraggio e, secondo dati Fao, sono necessari circa 15 mila litri di acqua e appena 2 mila per ottenere la stessa quantità di grano;
   «sistemi di produzione alimentari, e in particolare la produzione zootecnica, sono importanti fattori di cambiamenti climatici e ambientali. Qui confrontiamo i contributi del settore zootecnico mondiale nel 2000 con il contributo stimato del settore nel 2050 a tre importanti problemi ambientali: cambiamenti climatici, reattiva mobilitazione di azoto, e di produzione di biomassa vegetale in scala planetaria. Poiché la sostenibilità ambientale richiede infine che le attività umane nel loro complesso rispettino soglie critiche in ciascuno di questi ambiti, si quantificano la misura in cui l'allevamento attuale e futuro contribuisce a stime pubblicate di soglie di sostenibilità a livelli di produzione previsti e sotto diversi scenari alternativi destinati a illustrare la potenziale gamma di impatti associati con la scelta dietetica. Suggeriamo che, entro il 2050, il settore zootecnico da solo può occupare la maggior parte di questa, o significativamente oltrepassare le stime recentemente pubblicate di «spazio operativo sicuro» dell'umanità in ognuno di questi ambiti. Alla luce della portata degli impatti stimati rispetto a queste condizioni di sostenibilità, suggeriamo che frenare la crescita di questo settore dovrebbe essere la priorità nella governance ambientale». (fonte: http://www.pnas.org/content/107/43/18371 Forecasting potential global environmental costs of livestock production 2000-2050, Nathan Pelletier1 e Peter Tyedmers);
   secondo uno studio pubblicato sulla prestigiosa rivista scientifica Nature (fonte – http://www.nature.com/nature/journal/v478/n7369/full/nature10452.html «Solutions for a cultivated planet», Jonathan A. Foley, Navin Ramankutty, Kate A. Brauman, Emily S. Cassidy e altri) «l'aumento della popolazione e il consumo stanno ponendo le richieste senza precedenti in materia di agricoltura e risorse naturali. Oggi, circa un miliardo di persone sono cronicamente malnutriti mentre i nostri sistemi agricoli sono contemporaneamente degradanti per la terra, l'acqua, la biodiversità e il clima su scala globale. Per soddisfare le future esigenze di sicurezza alimentare e di sostenibilità a livello mondiale, la produzione alimentare deve crescere notevolmente, mentre, allo stesso tempo, l'impatto ambientale dell'agricoltura deve ridursi drasticamente. Qui analizziamo le soluzioni a questo dilemma, dimostrando che enormi progressi potrebbero essere fatti per arrestare l'espansione agricola, chiudendo «buchi» di rendimento sulle terre insoddisfacenti, aumentando l'efficienza, modificando le diete e riducendo gli sprechi. Insieme, queste strategie potrebbero raddoppiare la produzione alimentare, riducendo notevolmente l'impatto ambientale dell'agricoltura.»;
   «il riscaldamento antropogenico è causato principalmente dalle emissioni di gas serra (GHG), come l'anidride carbonica, il metano e il protossido di azoto, con l'agricoltura quale principale produttore per gli ultimi 2 gas. Altre parti del sistema alimentare contribuiscono alle emissioni di anidride carbonica che provengono dall'uso di combustibili fossili nel settore dei trasporti, lavorazione, vendita al dettaglio, la conservazione e la preparazione. I prodotti alimentari differiscono sostanzialmente quando le emissioni di gas serra sono calcolate dal campo alla tavola. Un recente studio di 20 articoli venduti in Svezia ha mostrato un arco di 0,4 a 30 kg di CO2 equivalenti/kg di prodotto alimentare. Per alimenti ricchi di proteine, come i legumi, carne, pesce, formaggio e uova, la differenza è un fattore di 30, con le emissioni più basse per chilogrammo per i legumi, pollame e le uova e il più alto per le carni bovine, formaggio e carne di maiale. Le emissioni di grandi dimensioni per i ruminanti sono spiegati principalmente dalle emissioni di metano da fermentazione enterica. Per frutta e verdura, le emissioni sono di solito ≤2.5 kg CO2 equivalenti/kg di prodotto, anche se vi è un alto grado di lavorazione e trasporto sostanziale. Prodotti trasportati in aereo sono un'eccezione, perché le emissioni possono essere elevate come per certe carni. Emissioni da alimenti ricchi di carboidrati, come le patate, pasta e il grano, sono <1,1 kg/kg alimento commestibile. Suggeriamo che i cambiamenti della dieta siano per alimenti di origine vegetale, carni di animali con poca fermentazione enterica, e per gli alimenti trasformati con un basso consumo energetico i quali offrono un territorio esplorato interessante e per mitigare il cambiamento climatico». (fonte: «I potenziali contributi di modelli di consumo alimentare ai cambiamenti climatici», http://ajcn.nutrition.org/content/89/5/1704S.short);
   le politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici tendono a concentrarsi sul settore energetico, mentre il settore zootecnico riceve sorprendentemente poca attenzione, nonostante il fatto che esso rappresenta il 18 per cento delle emissioni di gas serra e per l'80 per cento del consumo totale di terreno di origine antropica. Dal punto di vista dietetico, nuove conoscenze degli effetti negativi sulla salute di carni bovine e suine hanno portato a una revisione delle raccomandazioni sul consumo di carne. Qui abbiamo esplorato il potenziale impatto dei cambiamenti della dieta sul raggiungimento di ambiziosi livelli di stabilizzazione del clima. Utilizzando un modello di valutazione integrata, abbiamo verificato che una modifica globale si ottiene con una dieta con minori consumi di carne o con un radicale cambiamento verso le diete con solo proteine di origine vegetale, ciò può avere un incredibile effetto anche sul consumo del suolo. Fino a 2.700 Mha di pascolo e 100 Mha delle terre coltivate potrebbero essere abbandonati, con un conseguente grande assorbimento di carbonio da rinnovabili vegetazione. Inoltre, il metano e l'emissione di protossido di azoto sarebbero ridotti sostanzialmente. Una transizione globale verso una dieta a basso contenuto di carne, come raccomandato per motivi di salute, ridurrebbe i costi di mitigazione per ottenere un 450 ppm CO2-eq. obiettivo di stabilizzazione di circa il 50 per cento nel 2050 rispetto al caso di riferimento. Cambiamenti nella dieta potrebbero pertanto creare non solo notevoli vantaggi per la salute umana e per il consumo di territorio, ma potrebbero anche svolgere un ruolo importante nelle future politiche di mitigazione dei cambiamenti climatici. «(fonte: http:filink.springer.com/article/10.1007/s10584-008-9534-6  Climate bene fits of changing diet Elke Stehfest», Lex Bouwman, Detlef P. van Vuuren, Michel G. J. den Elzen, Bas Eickhout, Pavel Kabat);
   è davvero paradossale che, per mantenere gli allevamenti, si sperperi una grandissima quantità di risorse: occorrono più di 16 chili di foraggi per produrre un chilo di carne. Inoltre, stando a quanto riferito dalla Fao, occorrono circa 15 mila litri di acqua per produrre un chilo di carne e appena 2 mila per ottenere la stessa quantità di grano. In altri termini, se le risorse necessarie alla produzione di carne fossero investite per l'agricoltura, probabilmente la fame sarebbe solo un ricordo;
   entro il 2050, il mondo intero andrà incontro a catastrofiche crisi alimentari, come ha ricordato in occasione della conferenza mondiale dell'acqua ad agosto 2013, il professor Malik Falkenmark dello Stockholm International Water Institute;
   sostituire 1 chilogrammo di carne a settimana fa risparmiare 1872 CO2 equivalenti in un anno, mentre sostituire una lampadina da 60 watt con una a basso consumare ne fa risparmiare 26. Sostituire 1 chilogrammo di carne suina, bovina e di merluzzo al mese, invece (sempre per un anno), ne fa risparmiare rispettivamente 96, 344,4 e 86, 4 e mangiare solo ed esclusivamente cibo locale (anche vegetale), 367. Quindi un piatto ricco di proteine vegetali diminuisce l'emissione di GHG da circa 10 a 30 volte rispetto ad uno di proteine animali;
   un allevamento bovino con 2500 mucche da latte produce, la stessa quantità di rifiuti di una città di 411,000 persone (fonte «Risk assessment and evaluation for concentrated animal feeding operation Us Enviromental Protection agency». Office of research and development 2004);
   secondo lo studio condotto da Chatham House (https://www.chathamhouse.org/publication/changing-climate-changing-diets;
   https://www.chathamhouse.org/expert/ comment/it-s-time-put-meat-cli-matenegotiating-table;
   uneplive.unep.org/media/docs/theme/13/EGR_2015_ES_English_Embargoed.pdf);
   la produzione di manzo e latticini rappresenta la maggior parte delle emissioni tra tutti i prodotti animali, ed è responsabile del 65 per cento dei gas serra totali emessi;
   stime suggeriscono che, per una unità di proteine, le emissioni di gas serra derivanti dalla produzione di carne bovina sono circa 150 volte di più di quelle dei prodotti di soia e che i prodotti a base di carne di maiale e pollo causano meno emissioni tra tutti i prodotti carnei, ma ciò non significa che le loro emissioni siano esenti dagli effetti che causano all'ambiente;
   lo stesso studio evidenzia come i negoziati, nell'ambito della Convenzione quadro delle Nazioni Unite sui cambiamenti climatici (UNFCCC), abbiano trascurato del tutto l'impatto causato dagli allevamenti di bestiame;
   mentre è stata data rilevanza alla problematica dalla Global Alliance for Climate-Smart Agriculture – che comprende 16 Paesi e 37 organizzazioni – e l'importante tematica è stata lanciata in occasione del vertice sul clima delle Nazioni Unite a New York: tra gli obiettivi prefissati la riduzione e/o eliminazione di emissioni agricole, anche se non è stata ancora stabilita quale misura per l'allevamento di bestiame;
   nella sua ultima revisione della letteratura scientifica in materia di mitigazione nel settore agricolo, il panel internazionale sul cambiamento climatico (IPCC) ha rilevato che il vantaggio nella riduzione delle emissioni rideterminerebbe soprattutto con la riduzione dei consumi di carne;
   uno studio pubblicato sulla rivista Nature Climate Change stima 5,6 Gt di CO2 e di riduzione delle emissioni annue fino al 2050 derivanti dalla riduzione del consumo di carne e latticini a livelli coerenti con le raccomandazioni nutrizionali, rispetto al 4GT di CO2 e ogni anno da «intensificazione sostenibile» di tutto il settore agricolo (dove i rendimenti globali convergono su livelli massimi);
   fondamentalmente il cambiamento di dieta è essenziale per non far aumentare ulteriormente il surriscaldamento globale. Due recenti studi hanno concluso che, anche con uno sforzo ambizioso di mitigazione nel settore agricolo, i cambiamenti radicali nel consumo di carne e latticini sono d'obbligo; è, questa, una strategia di mitigazione molto conveniente, non solo nel settore agricolo, ma in senso più ampio. Inoltre la riduzione dei consumi di carne e latticini aumenterebbe la quota del bilancio del carbonio a disposizione per altri settori. Ciò, a sua volta, consentirebbe costi di mitigazione più bassi per l'uso di energia. I potenziali risparmi sono quindi notevoli ed evidenti;
   il consumo delle risorse del pianeta e l'inquinamento causato dagli allevamenti e i dati fondamentali che ne derivano e che sono stati rilevati in modo scientifico, dovrebbero suggerire una serie di riflessioni per le quali sarebbe necessario contribuire ad una rivoluzione dei consumi e a garantire per questo la sopravvivenza del pianeta –:
   se i Ministri interrogati, alla luce delle numerose evidenze scientifiche, non ritengano fondamentale e necessario ridurre ed abbattere la produzione dei gas serra derivanti dagli allevamenti e dalla trasformazione dei prodotti di origine animale e in che modo intendano adoperarsi al riguardo;
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario promuovere la corretta informazione, sulla base delle sopraccitate evidenze scientifiche e non solo, circa la necessità di seguire un regime alimentare più salutare per l'organismo ed anche meno impattante sull'ambiente, anche tramite l'informazione scolastica e universitaria, e assumere iniziative per prevedere in ogni ambito sociale la proposizione di menu sostitutivi con proteine vegetali anziché animali;
   se i Ministri interrogati non ritengano opportuno fornire una corretta informazione per uno stile di vita che coniughi una alimentazione più salutare alla tutela del pianeta, promuovendo stili di vita sostenibili e che contribuirebbero in maniera immediata ed efficace alla riduzione delle emissioni, causa dei cambiamenti climatici. (4-12482)


   BENEDETTI, MASSIMILIANO BERNINI, GAGNARLI e L'ABBATE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   gli esiti  della ricerca condotta da ISPRA su committenza di ENI per verificare la contaminazione ambientale in campioni di cozze raccolti intorno a 19 piattaforme offshore localizzate in Adriatico e di proprietà della stessa ENI, documentano la presenza nei mitili analizzati di metalli pesanti (mercurio, cadmio, piombo e arsenico), benzene e altri idrocarburi policiclici aromatici (http://www.greenpeace.org);
   in base a quanto si evince dal sito di ENI (https://www.eniday.com), da più di vent'anni le cozze presenti sulle piattaforme vengono regolarmente raccolte da alcune cooperative romagnole di pescatori e successivamente commercializzate. Questi mitili coprirebbero il 5 per cento della produzione annuale della regione Emilia Romagna. Solo nel 2014 sarebbero stati immessi sul mercato italiano 7 mila quintali di cozze «da piattaforma», considerate prodotto di punta e fiore all'occhiello dallo stesso comune di Ravenna che ha organizzato, nel settembre del 2014, un importante evento dal titolo «La cozza di Marina di Ravenna in Festa», in cui, oltre a dibattiti per la valorizzazione e promozione dei mitili locali, sono state effettuate visite guidate alle piattaforme a bordo di imbarcazioni con la presenza di rappresentanti istituzionali e dirigenti dell'ENI;
   all'allarmante quadro ambientale, descritto nel rapporto «Trivelle fuorilegge» di Greenpeace, si aggiunge quindi un ulteriore elemento di preoccupazione, evidenziato anche da Giuseppe Ungherese, responsabile della campagna antinquinamento della suddetta associazione, il quale afferma: «Molte delle sostanze rinvenute da ISPRA nelle cozze raccolte presso le piattaforme di ENI sono note per essere cancerogene. Sostanze come il cadmio e il benzene sono inserite nel gruppo 1 dello IARC (l'Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro delle Nazioni Unite), ovvero tra le sostanze il cui effetto cancerogeno sull'uomo è certo»;
   l'ENI dichiara che «a salvaguardia di quest'area marina (quella in cui sono raccolte le cozze) vengono effettuati monitoraggi periodici da parte delle Capitanerie di Porto, delle ARPA competenti, di ISPRA e CNR-ISMAR» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei gravi fatti descritti in premessa;
   se non ritengano necessario, per quanto di competenza, intraprendere ogni utile iniziativa perché i dati dei monitoraggi raccolti presso le piattaforme siano tempestivamente resi noti dalle autorità competenti nonché per accertare che i controlli e le analisi di rischio per la commercializzazione delle cozze siano stati effettuati secondo quanto previsto dalla legge;
   quali iniziative intendano intraprendere per tutelare la salute e la sicurezza alimentare dei consumatori italiani fugando ogni dubbio circa la grave contaminazione dei mitili in commercio.
(4-12486)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MANZI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a partire dal 2016 il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo nel giorno della Festa della donna, ha previsto l'ingresso gratuito per le donne nei musei italiani oltre ad organizzare un fitto calendario di eventi e manifestazioni a tema, nei luoghi della cultura statali, per sottolineare il rilievo della giornata;
   come riportato in un articolo della testata giornalistica locale « Il Ducato», ripreso anche dalla stampa nazionale, l'8 marzo 2016, l'ingresso al Palazzo Ducale di Urbino non è stato gratis per le donne, come invece accaduto negli altri musei italiani;
   il personale addetto alla biglietteria della Galleria nazionale delle Marche, a seguito delle lamentele delle visitatrici e interpellato dalla stampa locale, si sarebbe giustificato dicendo di non essere stato avvertito dalla Soprintendenza dell'iniziativa ministeriale in corso, mentre quest'ultima avrebbe invece spiegato di aver avvisato il personale interessato per tempo e con una circolare;
   anche se il problema è stato successivamente risolto, l'errore di comunicazione appare poco giustificabile, dato che l'iniziativa in questione era stata puntualmente e preventivamente annunciata dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, già all'inizio del mese di febbraio 2016 e quindi in tempo utile per informare gli addetti ai lavori –:
   se e quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per chiarire come effettivamente si sono svolti i fatti, al fine di accertare eventuali responsabilità ed evitare che episodi come questi possano compromettere il buon esito di iniziative così importanti e, al tempo stesso, recare un danno d'immagine all'intero circuito museale e culturale marchigiano.
(5-08095)

Interrogazione a risposta scritta:


   VALIANTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   Paestum, che in età greca era chiamata Poseidonia, venne fondata agli inizi del VI sec. a.C. da achei provenienti da Sibari che si stanziarono nella fertile pianura a sud del Sele e la resero una delle più importanti città della Magna Grecia. Dopo 2500 anni dalla sua fondazione oggi è possibile visitare un'ampia zona in cui, tra l'altro, sono visibili tre celeberrimi templi dorici, splendidamente conservati, esempi dell'archeologia greca paragonabili per bellezza soltanto al Partendone di Atene: il tempio di Cerere, il tempio di Hera e il tempio di Nettuno. Nell'area pubblica si conservano edifici di età greca come l’ekklesiasterion e l’heroon (la tomba ipogeica dell'eroe fondatore della città) e romani come il foro, il tempio italico, l'anfiteatro e i quartieri di abitazioni. La città antica è circondata dalle mura con quattro porte in corrispondenza dei punti cardinali. Riconosciuta tra i patrimoni dell'umanità dell'Unesco è tra le mete turistiche della provincia di Salerno più ammirate e conosciute dai turisti italiani e stranieri, uno dei principali parchi archeologici d'Europa. Tutta la zona dove insistono gli scavi archeologici è sottoposta a vincolo di tutela e inedificabilità, ai sensi della legge 5 marzo 1957, n. 220 («Costituzione di zona di rispetto intorno all'antica città di Paestum e divieto di costruzioni entro la cinta muraria»);
   è convinzione profonda che l'area archeologica di Paestum per la straordinaria importanza e il valore culturale artistico abbia necessità di un programma di valorizzazione più compiuto, che interessi anche e soprattutto l'acquisizione da parte del demanio di una vasta area di quel patrimonio, che tuttora è in mano ai privati per poterne garantire una effettiva tutela, così come necessario è pensare a progetti specifici di valorizzazione coinvolgendo i sindaci dei territori interessati –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere per tutelare e valorizzare questo inestimabile sito archeologico ed avviare un percorso finalizzato alla graduale cessione di tutta l'area archeologica al demanio. (4-12489)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni nel territorio del materano ed in particolare del metapontino si registrano nuovamente boati improvvisi che provocano non poca paura tra gli abitanti colti di sorpresa;
   gli ultimi in ordine di tempo nella mattinata del 10 marzo 2016;
   queste esplosioni improvvise non nuove nella zona determinano apprensione e non sono seguite da risposte ufficiali, cosa che alimenta dubbi e inquietudini;
   già nel 2013 l'interrogante aveva presentato una serie di atti di sindacato ispettivo a cui è venuta risposta nell'autunno del 2015 quando il sottosegretario alla difesa pro tempore Domenico Rossi rispose testualmente che in considerazione del luogo, del giorno e dell'ora degli eventi richiamati era possibile solo precisare che, nello spazio aereo sovrastante le località richiamate nell'atto, è stato, a suo tempo, individuato un settore di superficie aerea da adibire alle accelerazioni supersoniche di velivoli militari e, successivamente è stata istituita un'apposita «zona di lavoro», denominata LITSA-76 «COSENZA»;
   all'interno di tale area si svolge regolarmente attività di volo a quote superiori ai 35.000 ft (circa 12.000 metri) che sono, generalmente, sufficienti ad evitare le conseguenze connesse a «bang sonici» ed è possibile, che tali fenomeni possano essere percepiti fino al suolo, in presenza di particolari condizioni meteorologiche di venti e di temperature;
   il ripetersi di tali boati evidenzia una sistematicità che necessiterebbe di adeguate informazioni alle amministrazioni e alla cittadinanza evitando l'ingenerarsi di preoccupazioni –:
   se anche i boati avvertiti nelle circostanze richiamate in premessa siano da attribuire allo svolgimento di esercitazioni militari e se, in considerazione del ripetersi di tali fenomeni, non sia opportuno da parte delle autorità militari informare preventivamente le popolazioni locali dello svolgimento di tali attività, evitando di creare paura e preoccupazione tra gli abitanti. (5-08098)

Interrogazione a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il 19 agosto 2014 nello scontro tra due aerei militari Tornado sui cieli di Ascoli Piceno, persero la vita quattro piloti: Pietro Paolo Franzese, Alessandro Dotto, Giuseppe Palminteri e Mariangela Valentini;
   la mamma di quest'ultima, attraverso un articolo pubblicato dal quotidiano «la Stampa» l'8 marzo 2016 evidenzia, come a seguito dell'inchiesta militare e della magistratura, avviata per accertare le responsabilità del tragico evento, numerose testate giornalistiche avessero insinuato qualche sospetto sul corretto operato della giovane figlia;
   il medesimo articolo riporta altresì, che il 13 giugno 2015, i familiari delle vittime sono stati convocati dai vertici dell'Aeronautica militare, per essere informati sull'esito dell'inchiesta della procura militare di Verona e che, in quella sede, è stato ad essi, comunicato che non risultavano responsabilità per quanto accaduto, in quanto l'incidente era stato provocato da una serie di concause sfortunate;
   a seguito del suddetto incontro, prosegue il quotidiano in precedenza richiamato, la famiglia Valentini non ha ricevuto nessun'altra comunicazione sull'inchiesta, nonostante le legittime richieste di far luce su quanto accaduto, affinché i responsabili dell'aeronautica militare, affermassero con una dichiarazione pubblica, quanto sia effettivamente avvenuto in merito alla tragedia aerea;
   nel mese di ottobre 2015, evidenzia inoltre l'articolo giornalistico, sono emerse invece ulteriori novità, in quanto i periti nominati dalla procura di Ascoli, ha o riscontrato carenze organizzative sulla pianificazione dei voli, riconducibili a quattro ufficiali in catena di comando e vari responsabili;
   secondo quanto risulta, infatti, i cosiddetti diavoli rossi del Sesto stormo di Ghedi (Brescia) il giorno della tragedia sono rimasti isolati, non potendo comunicare con le sale operative e il «mission commander» a terra, e pertanto la mancanza di assistenza e di info azioni necessarie, sono state per i consulenti, all'origine del disastro;
   al riguardo, tale nuova conclusione, che non è indubbiamente una sentenza, ha rilanciato le perplessità delle famiglie, sulla veridicità delle dichiarazioni dell'Aeronautica militare in merito alle indagini svolte dalle competenti autorità d'inchiesta;
   la suesposta vicenda, a giudizio dell'interrogante, desta sgomento e preoccupazione, se si valutano le dichiarazioni divergenti, in merito alle indagini effettuate dai medesimi responsabili militari, con quelle svolte dai consulenti nominati dalla procura di Ascoli, che alimentano i dubbi sull'effettivo andamento delle indagini, finalizzate a chiarire le cause della tragedia che ha portato allo schianto i due aerei militari e il decesso dei quattro giovani piloti, dell'Aeronautica –:
   quali siano gli orientamenti dei Ministri interrogati con riferimento a quanto esposto in premessa;
   come si spieghino le dichiarazioni delle autorità militari rese ai familiari delle vittime alla luce del parere dei consulenti nominati dalla procura di Ascoli, in merito all'incidente aereo accaduto il 19 agosto 2014 nei cieli di Ascoli, secondo i quali sarebbero mancati il necessario sostegno e le informazioni adeguate da parte delle sale operative militari, nei riguardi dei piloti dei due caccia Tornado;
   in caso affermativo, quali iniziative urgenti di competenza, i Ministri interrogati intendano intraprendere, al fine di contribuire a fare chiarezza in merito alla vicenda descritta in premessa;
   se i Ministri interrogati siano in possesso di ulteriori informazioni oltre a quelli citati nella premessa e riportate dal quotidiano «la Stampa» e, in caso affermativo, se non ritengano necessario e opportuno fornire chiarimenti in merito. (4-12476)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta scritta:


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   all'interrogante è giunta la segnalazione del dipendente dell'azienda Poste Italiane spa, signor F.E., che ha presentato dall'anno 2012 reiterate richieste di trasferimento da Milano a Napoli che vengono respinte con la motivazione che non ci sono possibilità per un suo collocamento nel contesto partenopeo;
   il signor F.E., il quale sostiene che nelle diverse domande inoltrate la sua posizione in graduatoria varia tra il 1o ed il 2o posto, è dipendente dell'azienda dal dicembre del 1982, è separato legalmente dal 2011 ed, essendo figlio unico, è l'unica persona a poter assistere il padre di 87 anni, titolare dei benefici per handicap grave di cui al comma 3 dell'articolo 3 della legge n. 104 del 1992, e coniugato con la madre di anni 85 anche lei sofferente per varie patologie; è residente presso la casa dei genitori e fa parte dello stesso stato di famiglia. Attualmente è impiegato presso il centro di meccanizzazione postale (CMP) di Peschiera Borromeo in provincia di Milano ed è domiciliato presso un appartamento da lui affittato a Milano con molte difficoltà economiche, anche in ragione del fatto che l'assegnazione lavorativa lo costringe, almeno due volte al mese, a recarsi a Napoli per assistere i genitori, accumulando ulteriori spese di viaggio che l'azienda non rimborsa. Il tutto è aggravato da una continua situazione di stress e preoccupazione;
   nel 2013 il signor F.E., ha intrapreso anche un'azione legale verso Poste Italiane con esito negativo, dal momento che la sua richiesta è stata respinta con le medesime motivazioni fornite dall'azienda (impossibilità di collocamento a Napoli) e con la condanna nei confronti del signor F.E. al pagamento delle spese processuali (pari a 2.500,00 euro), nonostante il ricorrente abbia presentato tutta la documentazione necessaria a riguardo dell'infermità del padre;
   a tal proposito, il signor F.E. rappresenta che Poste Italiane continua ad assumere personale con contratti a termine o interinali coprendo anche i posti analoghi a quello a cui potrebbe essere assegnato se trasferito nel napoletano –:
   se il Governo nella sua qualità di azionista di Poste Italiane spa, non ritenga di dover acquisire elementi sulle ragioni per cui non viene assecondata la richiesta del signor F.E. di essere avvicinato alla sua famiglia che necessita di cure e accudimenti. (4-12475)


   NUTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i servizi ispettivi di finanza pubblica del dipartimento della ragioneria generale dello Stato del Ministero dell'economia e delle finanze, nell'ambito del programma ispettivo relativo all'anno 2009, nell'agosto 2009 hanno avviato una verifica amministrativo contabile presso il comune di Piazza Armerina in provincia di Enna, operativamente avvenuta dal 3 settembre 2009 al 22 settembre 2009;
   a seguito di tale verifica, venivano segnalati tre ordini di irregolarità: 1) carenza di attività istruttoria nell'attribuzione di mansioni superiori e mancato rispetto dei termini di durata; 2) mancato rispetto del principio dell'adeguato accesso dall'esterno per il 50 per cento dei posti messi a concorso per progressioni verticali, 3) dal 2005 mancata trasmissione della relazione annuale del sindaco al consiglio comunale sull'attività degli esperti;
   di tali irregolarità sono stati informati tra gli altri, tramite missiva del 10 febbraio 2010 della ragioneria generale dello Stato: l'ispettorato del dipartimento della funzione pubblica – Ministero per la semplificazione e la pubblica amministrazione; la procura regionale Sicilia e la sezione regionale di controllo siciliana della Corte dei conti, oltre alla procura regionale della Corte dei conti; il servizio enti locali della regione siciliana; la direzione centrale della finanza locale del Ministero dell'interno, l'ufficio territoriale del Governo di Enna –:
   se e quali iniziative i Ministri interrogati per quanto di competenza, abbiano adottato al fine verificare il superamento delle irregolarità riscontrate dalla ragioneria generale dello Stato presso il comune di Piazza Armerina nel 2009.
(4-12477)


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge n. 95 del 2012, all'articolo 23-quater, ha stabilito l'incorporazione dell'Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato (AAMS) nell'Agenzia delle dogane che ha assunto la nuova denominazione di Agenzia delle dogane e dei monopoli;
   l'incorporazione dell'AAMS è stata attuata prevedendo un'articolazione dell'Agenzia in due aree, denominate «dogane» e «monopoli»;
   tutte le attività di contenuto non specialistico come l'organizzazione, la pianificazione e le risorse umane sono in capo all'area dogane come stabilito dal decreto del Ministro dell'economia e delle finanze dell'8 novembre 2012, all'articolo 2, comma 3;
   è stata appresa l'intenzione da parte dell'amministrazione centrale di chiudere la sede dei Monopoli di Forlì accorpandola con la sede doganale di Cesena;
   un'azione di questo genere porterebbe ad una serie di innumerevoli disagi per il personale dipendente, in quanto la struttura di Cesena non sembra essere una sede idonea ad accogliere tutto il personale e i servizi erogati a Forlì;
   i problemi si allargherebbero anche ai cittadini che per una semplice pratica dovrebbero percorrere più volte decine di chilometri e ne risentirebbero anche i rapporti tra l'Agenzia e le altre amministrazioni, tutte ubicate nel territorio del comune di Forlì –:
   se sussista un piano nazionale per la riorganizzazione delle direzioni e degli uffici territoriali dell'Agenzia e se si intenda procedere a breve a un riassetto degli stessi;
   se tra gli indicatori presi in considerazione nella chiusura o nel mantenimento dei servizi siano state tenute nella dovuta attenzione la peculiarità del territorio e l'effettiva funzionalità della scelta;
   se, in caso di riorganizzazione delle sedi distaccate e degli eventuali servizi, visto che le attività di contenuto non specialistico non in capo all'area dogane, si preveda di dare priorità al mantenimento delle sedi doganali a discapito di quelle dei monopoli, con ciò, ad avviso dell'interrogante, non valutando le effettive esigenze del territorio. (4-12488)


   CANCELLERI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   decorso il termine di presentazione della dichiarazione dei redditi modello Unico, i contribuenti possono rettificare o integrare le dichiarazioni stesse inviando, secondo le stesse modalità previste per le dichiarazione originarie, una nuova dichiarazione completa di tutte le sue parti, su modello conforme a quello approvato per il periodo d'imposta cui si riferisce la dichiarazione;
   per considerare valida la correzione l'agenzia delle entrate pretende che la dichiarazione rettificativa a favore del contribuente venga presentata entro un termine molto ristretto, quello previsto dal comma 8-bis dell'articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, ossia non oltre il termine di scadenza della dichiarazione dell'anno successivo;
   il contribuente può fare la correzione entro un anno dalla presentazione della dichiarazione errata, un termine che scade, però, prima che lo stesso contribuente abbia conoscenza, attraverso l'avviso della presunta irregolarità, dell'errore commesso. Se l'errore non viene corretto entro questo tempo, pertanto, quanto preteso dall'ufficio con l'avviso di irregolarità si consolida e viene iscritto a ruolo;
   oltre tale termine, resta, a parere dell'Agenzia, la possibilità di presentare un'istanza di rimborso nel termine di 48 mesi;
   invece, in caso di presentazione di una dichiarazione integrativa nell'ipotesi prevista dall'articolo 2, comma 8, del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, per correggere errori od omissioni che abbiano determinato l'indicazione di minor reddito o, comunque, da cui consegua un minor debito d'imposta o un maggior credito e fatta salva l'applicazione delle sanzioni;
   l'Agenzia delle entrate ritiene che il più lungo termine previsto dal comma 8 dello stesso articolo 2 del decreto del Presidente della Repubblica n. 322 del 1998; ossia entro il 31 dicembre del quarto anno successivo alla data di presentazione della dichiarazione, riguardi esclusivamente la dichiarazione correttiva «a sfavore» del contribuente, quella che serve, cioè, per aumentare l'imposta a debito o per diminuire quella a credito;
   seguendo l'orientamento dottrinale, avallato sempre più spesso dalla giurisprudenza, il contribuente potrebbe presentare, anche oltre il termine stabilito e fino allo spirare dei termini di accertamento, una dichiarazione integrativa a favore;
   considerato che la Corte di cassazione ritiene possibile che il contribuente corregga la dichiarazione relativa a imposte sui redditi e IRAP anche durante il processo tributario fondato sui dati errati precedentemente indicati dalla Corte di cassazione Ordinanza n. 313 del 2016;
   la Corte di cassazione, ha affermato che il termine annuale di cui all'articolo 2, comma 8-bis, del decreto del Presidente della Repubblica n. del 322 1998 non ha alcun effetto sul processo tributario attivato per contestare la pretesa fiscale: l'oggetto del contenzioso non è, infatti, la dichiarazione integrativa, ma la fondatezza della pretesa tributaria, e pertanto una eventuale decadenza amministrativa non si può estendere al processo tributario. La disposizione di cui al citato articolo 2 è finalizzata all'utilizzo del credito in compensazione: i termini di decadenza per la dichiarazione integrativa e per la richiesta di rimborso valgono solo ai fini amministrativi;
   l'attuale stato di incertezza normativa ha generato anche un elevato contenzioso sia perché spesso alla presentazione di un'istanza di rimborso l'ufficio non risponde costringendo il contribuente a presentare ricorso all'autorità giudiziaria; sia perché nel secondo caso la dichiarazione integrativa oltre l'anno non viene ritenuta valida e la richiesta di rimborso in essa contenuta non viene presa in considerazione;
   da più parti si auspica un intervento correttivo che unifichi i termini temporali sia per la presentazione della dichiarazione integrativa «a sfavore» che quella «a favore» –:
   quali siano i suoi orientamenti circa la non uniformità del termine per la presentazione di dichiarazioni integrative in aumento e in diminuzione, e se ritenga opportuna un'iniziativa normativa, volta, a uniformare i detti termini, consentendo pertanto la presentazione di dichiarazioni integrative a favore entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione, salvo il limite costituito dall'avvio di attività ispettive e di verifica. (4-12490)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a seguito di un violento nubifragio, con eccezionale intensità di pioggia, un vasto fenomeno franoso ha interessato nella notte del 22 febbraio 2015 l'area urbana a valle della collina denominata «Cozzo Serronello» ed altre varie località nel territorio del comune di Bisacquino, in provincia di Palermo, con grave pericolo per l'incolumità pubblica;
   a seguito di tale evento si è provveduto ad evacuare le famiglie residenti in 14 unità abitative, giusta ordinanza del sindaco del comune di Bisacquino numero 9 del 22 febbraio 2015 rientranti nella «Zona rossa»;
   la citata ordinanza ha previsto l'evacuazione di ulteriori 10 unità abitative rientranti nella «zona gialla»;
   successivamente ad indagini si è potuto provvedere al ritorno delle famiglie nelle loro case solo per le 10 unità abitative rientranti nella cosiddetta «zona gialla»;
   il servizio di protezione civile del comune di Bisacquino ha prodotto, in data 5 luglio 2015, una relazione tecnico-descrittiva per gli interventi necessari al ripristino delle condizioni di sicurezza nell'area interessata dagli eventi;
   tale relazione evidenzia un costo complessivo di 252.741,47 euro per le opere di ripristino a strutture pubbliche e private;
   la relazione del comune di Bisacquino era stata sollecitata dalla regione siciliana per la realizzazione di un piano degli interventi urgenti di protezione civile nel territorio regionale a seguito degli eventi meteo che hanno interessato la Sicilia nel periodo compreso tra il 17 febbraio e il 9 marzo 2015, giusta ordinanza del capo del dipartimento della protezione civile n. 257 del 30;
   l'ordinanza del capo del dipartimento della Protezione civile n. 257 del 30 stanzia una cifra di 27.250.000,00 per la copertura dei costi relativi agli interventi da attuarsi;
   ad ora gli abitanti residenti nelle abitazioni dichiarate inagibili nell'area rossa del comune di Bisacquino non hanno potuto riprendere possesso delle loro abitazioni;
   essi sono alloggiati in altra sistemazione vedendosi riconosciuto un contributo per far fronte alla situazione di evidente disagio;
   il totale delle spese previste per alleviare il disagio dei nuclei familiari coinvolti ammonta a euro 207.224,24 –:
   se il Governo non ritenga necessario assumere iniziative per destinare la somma, già quantificata in 252.741,47 euro, per gli interventi di messa in sicurezza delle abitazioni private nel territorio del comune di Bisacquino;
   se il Governo non ritenga che vi sia un'evidente discrepanza tra le risorse per «misure tampone» di assistenza ai nuclei familiari e le risorse necessarie per una risoluzione definitiva della problematica descritta in premessa;
   se e quali interventi il Governo, in sinergia con la regione siciliana, intenda intraprendere per una risoluzione della problematica causata dalle eccezionali precipitazioni rilevate in Sicilia nel periodo dal 17 febbraio al 9 marzo 2015, al fine di consentire a tutti gli abitanti colpiti dal fenomeno franoso, di poter rientrare nelle loro abitazioni. (4-12479)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   negli ultimi giorni si sono registrati una serie di furti in provincia di Matera in particolare nella cittadina di Miglionico;
   per sei giorni consecutivi, ignoti malviventi si sono introdotti in abitazioni familiari, molte volte anche con i proprietari all'interno:
   in data 7 marzo 2016 a seguito di una segnalazione i carabinieri della Locale stazione dei carabinieri hanno inseguito una autovettura in direzione Matera-Bari;
   i malviventi hanno abbandonato l'auto e si sono dileguati nelle campagne sfuggendo alla cattura;
   i carabinieri hanno recuperato e riconsegnato la refurtiva al proprietario;
   rimane la preoccupazione da parte della comunità circa l’escalation di furti registrati in maniera così intensiva quasi a tappeto da parte di criminali;
   anche in altre realtà del territorio della provincia si sono registrati furti in abitazioni nei centri storici e nelle campagne –:
   se il Ministro sia a conoscenza di suddetti episodi e se non intenda intervenire potenziando l'organico della stazione dei carabinieri di Miglionico e se non si intenda promuovere, per quanto riguarda l'intera provincia, un patto per la sicurezza rafforzando organici e mezzi a disposizione delle forze dell'ordine nonché installare impianti di videosorveglianza finalizzati a un maggiore e più capillare controllo del territorio. (3-02100)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA, PANNARALE, DANIELE FARINA e SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   si moltiplicano in tutta Italia iniziative di controllo della presenza di sostanze stupefacenti nelle scuole, attuate attraverso blitz delle forze di polizia nelle aule durante l'orario scolastico, con la presenza di cani anti droga:
   in particolare, l'attività repressiva è rivolta ai cannabinoidi, che rappresentano la sostanza più diffusa, e sui quali è avviata ad ogni livello una riflessione sull'opportunità di forme di depenalizzazione o legalizzazione;
   la scuola dovrebbe essere il luogo dedicato alla crescita e alla formazione delle giovani generazioni, che passa anche per la capacità di approcciare criticamente situazioni complesse;
   non si dovrebbe invece assistere a momenti plateali di criminalizzazione di studenti, anche se coinvolti in comportamenti non idonei;
   l'approccio con tematiche problematiche dovrebbe comunque sempre essere affidato agli insegnanti e alla comunità scolastica, non certo demandato ad interventi esterni, tanto meno delle forze dell'ordine –:
   se non si ritenga di dover intervenire per interrompere la pratica dei controlli antidroga condotti negli edifici scolastici durante le ore di lezione, tanto più se condotti con modalità aggressive;
   se non ritengano che si debbano piuttosto prevedere, nell'ambito dell'attività formativa, momenti legati alla crescita della consapevolezza relativa all'utilizzo di tutte le sostanze, a partire dai pericoli connessi all'uso e all'abuso. (4-12480)


   VACCA, MARZANA, LUIGI GALLO e D'UVA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   ai sensi dell'articolo 64 del decreto legge 25 giugno 2008, n. 112, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, sentita la Conferenza unificata di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e previo parere delle Commissioni parlamentari competenti per materia e per le conseguenze di carattere finanziario, doveva predisporre, entro quarantacinque giorni dalla data di entrata in vigore del decreto-legge, un piano programmatico di interventi volti ad una maggiore razionalizzazione dell'utilizzo delle risorse umane e strumentali disponibili, che conferiscano una maggiore efficacia ed efficienza al sistema scolastico attraverso uno o più regolamenti da adottare entro dodici mesi dalla entrata in vigore del decreto legge stesso;
   uno dei criteri da adottare era la ridefinizione dei curricoli vigenti nei diversi ordini di scuola anche attraverso la razionalizzazione dei piani di studio e dei relativi quadri orari, con particolare riferimento agli istituti tecnici e professionali;
   la dichiarata riorganizzazione si tradusse in una riduzione a giudizio degli interroganti scriteriata del monte ore con il solo fine di diminuire le risorse necessarie per poter, quindi, effettuare tagli di spese;
   in particolare, furono emanati i due regolamenti del 15 marzo 2010 che disponevano la riduzione del monte ore di insegnamento al comparto tecnico-professionale incidendo in maniera sostanziale sulla formazione degli alunni a causa della contrazione delle ore di materie caratterizzanti;
   alcune parti di tali provvedimenti sono stati dichiarati nulli dal TAR Lazio sezione terza bis con la sentenza n. 3527/2913;
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca non avendo mai dato seguito alla sentenza del TAR, ha subito, con la sentenza n. 6438/2015 del 5 maggio 2015, un giudizio del TAR per l'ottemperanza della sentenza n. 3527/2913. Con tale sentenza si ordinava al Ministero stesso di eseguire entro 30 giorni dalla notificazione del giudizio di ottemperanza, la sentenza n. 3527/2913;
   nell'ipotesi di inesecuzione, nominava il prefetto di Roma o un funzionario da lui indicato a eseguire la sentenza quale commissario ad acta, assegnando un ulteriore termine di 90 giorni, prorogabile a richiesta del commissario stesso;
   il prefetto Gabrielli ha nominato il 21 settembre 2015 la dottoressa Carmela Palumbo direttore generale della direzione generale per gli ordinamenti scolastici e per l'autonomia scolastica;
   ad oggi non si conosce se l'iter formale di adozione di due schemi di regolamento, integrativi dei due regolamenti del 15 marzo 2000 riguardanti gli istituti professionali e tecnici, che prevede preliminarmente l'acquisizione dei pareri della Conferenza unificata e delle Commissioni parlamentari, sia stato avviato –:
   se l'iter per la modifica dei regolamenti di cui in premessa sia stato già avviato e quali siano i tempi previsti per la sua conclusione. (4-12481)


   D'INCÀ. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'ordinamento italiano prevede all'articolo 71, comma 10, del T.U. enti locali n. 267 del 2000 che nelle elezioni del sindaco e del consiglio comunale nei comuni fino a 15.000 abitanti, ove sia presente una sola lista, è necessario il raggiungimento di un duplice quorum: il numero dei votanti non deve risultare inferiore al 50 per cento degli aventi diritto (quorum strutturale) e la lista deve aver riportato un numero di voti validi non inferiore al 50 per cento dei votanti (quorum funzionale). Qualora non si siano raggiunte tali percentuali, l'elezione è nulla, la votazione non può avere effetto sulla legislazione, ovvero si ha l'effetto della nullità dell'elezione, e non può perciò cambiare lo status quo;
   se fino a non molto tempo fa, la probabilità che una simile ipotesi prendesse forma era remota, ora non è più così, tanto che il radicarsi dell'astensionismo elettorale, fa si che siano sempre maggiori possibilità del presentarsi di «liste uniche» nei piccoli comuni;
   la Corte Costituzionale, chiamata a pronunciarsi in punto di modalità di calcolo del cosiddetto «quorum strutturale dei votanti», con la sentenza n. 242 del 2012, ha fatto salva la normativa applicata al caso posto in esame (scaturito dal mancato conseguimento del quorum dei votanti in occasione delle elezioni locali, del marzo 2010, nel Comune di Sessano del Molise), stabilendo che, ai fini del calcolo del quorum strutturale dei votanti nei comuni più piccoli, vengano contabilizzati pure i cittadini iscritti all'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (AIRE). Intendendo così ribadire il bilanciamento del diritto elettorale degli abitanti con quello dei cittadini residenti all'estero, tra le due soluzioni possibili - quella, cioè, «di garantire con pienezza il diritto dei non residenti iscritti all'AIRE alla appartenenza al corpo elettorale locale si da concorrere al calcolo del quorum per la validità delle elezioni in condizioni di perfetta parità con i cittadini residenti, e quella di assicurare ampia ed incondizionata garanzia ai diritti politici di questi ultimi»;
   l'Anagrafe degli italiani residenti all'estero (A.I.R.E.) è stata istituita con legge 27 ottobre 1988, n. 470, e contiene i dati dei cittadini italiani che risiedono all'estero per un periodo superiore ai dodici mesi, e di coloro che sono nati all'estero e che a qualsiasi titolo abbiano successivamente acquisito la cittadinanza. Essa è gestita dai Comuni sulla base dei dati e delle informazioni provenienti dalle rappresentanze consolari all'estero;
   l'iscrizione all'A.I.R.E. è un diritto-dovere del cittadino (articolo 6 della legge n. 470 del 1988) e costituisce il presupposto per usufruire di una serie di servizi forniti dalle rappresentanze consolari all'estero, nonché per l'esercizio di importanti diritti, quali per esempio: la possibilità di votare per elezioni politiche e referendum per corrispondenza nel Paese di residenza, e per l'elezione dei rappresentanti italiani al Parlamento europeo nei seggi istituiti dalla rete diplomatico-consolare nei Paesi appartenenti all'Unione europea;
   l'aggiornamento dell'A.I.R.E. dipende dai cittadini che devono, tra l'altro, tempestivamente comunicare all'ufficio consolare: il trasferimento della propria residenza o abitazione; le modifiche dello stato civile anche per l'eventuale trascrizione in Italia degli atti stranieri (matrimonio, nascita, divorzio, morte e altro); il rientro definitivo in Italia, la perdita della cittadinanza italiana;
   l'articolo 4 prevede che la cancellazione dall'A.I.R.E: per iscrizione nell'Anagrafe della popolazione residente (A.P.R.) di un comune italiano a seguito di trasferimento dall'estero o rimpatrio; per morte, compresa la morte presunta giudizialmente dichiarata; per irreperibilità presunta, salvo prova contraria, trascorsi cento anni dalla nascita o dopo la effettuazione di due successive rilevazioni, oppure quando risulti non più valido l'indirizzo all'estero comunicato in precedenza e non sia possibile acquisire quello nuovo e per perdita della cittadinanza italiana;
   alla ricostruzione del quadro normativo vigente in materia elettorale, viste le numerose modifiche intervenute nel corso degli anni, emerge che il principio introdotto, secondo il quale tutti i cittadini italiani emigrati conservano l'iscrizione nelle liste elettorali del comune italiano di ultima residenza (o di nascita), senza limiti di tempo, è rimasto intatto;
   il mancato aggiornamento delle informazioni, in particolare di quelle riguardanti il cambio di indirizzo, rende impossibile il contatto con il cittadino e il ricevimento della cartolina o del plico elettorale in caso di votazioni;
   a parere degli interroganti l'eventuale esclusione dal quorum strutturale di elezioni di organi che amministrano persone e territori che forse non si sono neanche mai visitati non incide sul diritto di voto degli italiani all'estero; includerli nel computo significa, al contrario, esporre alcuni cittadini ad una sproporzionata responsabilità politica nei confronti di comunità già ferite da tassi di emigrazione molto alti che condizionano soprattutto i piccoli e piccolissimi comuni –:
   se alla luce degli eventi descritti in premessa, i Ministri interrogati intendano, nell'ambito delle rispettive competenze, adottare iniziative urgenti rispetto all'ottimizzazione del monitoraggio e dell'aggiornamento dell'Aire nazionale, istituita presso il dipartimento per gli affari interni e territoriali del Ministero dell'interno, nonché stimolare e intensificare le attività delle rappresentanze diplomatiche e degli uffici consolari per ottenere la segnalazione da parte delle pubbliche autorità locali dei nominativi e del recapito dei cittadini italiani che si trovano nella loro circoscrizione, anche mediante l'ausilio di mezzi di informazione, così come previsto dalla legislazione vigente;
   se intendano assumere iniziative per prevedere una normativa agevolativa del voto dei residenti all'estero, con riguardo anche alle elezioni amministrative, eventualmente anche con la istituzione di un regime speciale per gli iscritti all'Aire che preveda la non doverosità civica dell'esercizio del loro diritto, dovere tipico di chi condivide lo spazio pubblico della convivenza;
   se e quali iniziative normative intendano adottare al fine di definire, a livello nazionale, una disciplina analoga a quella posta dalla legge regionale n. 21 del 2003, della regione Friuli Venezia Giulia, che, all'articolo 1, stabilisce che, per determinare il quorum dei votanti, richiesto per la validità dell'elezione del sindaco nei comuni con popolazione fino a 15.000 abitanti, non siano computati fra gli elettori iscritti nelle liste elettorali del comune quelli iscritti all'anagrafe degli elettori residenti all'estero. (4-12491)


   FEDRIGA e MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   uno stabile sito in Bologna a via Mario De Maria 5-7, composto complessivamente da 28 appartamenti, acquistato dalla famiglia Baschieri negli anni ’70 ed in attesa di ristrutturazione, è stato illegalmente occupato da una trentina di immigrati extracomunitari che ne hanno forzato gli accessi il 6 marzo 2014;
   all'occupazione i proprietari, i due fratelli Baschieri, hanno tentato inutilmente di resistere, venendo però sopraffatti dagli occupanti abusivi;
   nei pressi del posto dove stava avvenendo la colluttazione verificatasi, mentre i fratelli Baschieri cercavano di difendere il loro immobile dall'occupazione in atto, stazionavano due volanti della polizia di Stato, rimaste inerti;
   l'occupazione del 6 marzo 2014 è avvenuta con il concorso organizzato del Centro sociale Social Log;
   i proprietari dell'immobile hanno immediatamente denunciato i fatti alla questura territorialmente competente, precisando che lo stabile occupato non poteva ritenersi agibile per vari motivi, inclusa la mancanza degli allacci alle pubbliche utilità;
   all'occupazione iniziale parziale dell'immobile faceva seguito quella totale, con l'arrivo di altri abusivi;
   gli occupanti hanno illegalmente provveduto ad operare gli allacci ad alcune pubbliche utilità, in primo luogo l'acqua, nonché ad effettuare delle ristrutturazioni interne;
   il tentativo fatto da uno dei proprietari di effettuare un sopralluogo il 16 luglio 2014 veniva respinto con la forza dagli occupanti abusivi, determinando una nuova colluttazione ampiamente documentata dalla stampa locale;
   a richiesta della famiglia Baschieri, nell'intento di esercitare una pressione sugli abusivi ed evitare ulteriori danni economici, la ditta Hera sezionava successivamente in strada la presa acqua del fabbricato occupato, determinando tuttavia l'apertura di una questione politica e l'intervento del comune di Bologna;
   il comune di Bologna raggiungeva quindi il 3 novembre 2014 un accordo con la proprietà dell'immobile occupato, un « gentlemen agreement» in base al quale le autorità comunali si sarebbero fatte carico della gestione dello stabile fino al 31 dicembre 2015, termine prorogabile di ulteriori sei mesi, esentando nel frattempo la proprietà dal pagamento dell'IMU e corrispondendole anche un indennizzo pari ad euro 100 per appartamento occupato;
   il « gentlemen agreement» del 3 novembre 2014 tuttavia non veniva successivamente formalizzato, probabilmente perché rivelatosi eccessivamente oneroso per l'amministrazione comunale bolognese, che rilanciava peraltro con proposte diverse e meno favorevoli alla proprietà dell'immobile occupato;
   tra le proposte ricevute in seguito dalla proprietà si menziona quella del 30 marzo 2015, in quanto prevedeva l'ingresso in scena della cooperativa soci& denominata Piccola Carovana, circostanza accettata dalla proprietà alla condizione che sussistesse una garanzia del comune di Bologna sulle obbligazioni che la Piccola Carovana avrebbe contratto assumendo la gestione dell'immobile occupato;
   il comune di Bologna rifiutava, tuttavia, la condizione posta dalla proprietà, ingiungendole invece di accollarsi gli oneri della messa in sicurezza dello stabile occupato;
   è stata altresì revocata l'esenzione dall'IMU –:
   se e come il Governo ritenga di tutelare, per quanto di competenza, i diritti di proprietà vantati dalla famiglia Baschieri sull'immobile bolognese generalizzato in premessa;
   se il Governo intenda o meno intraprendere iniziative volte a tutelare l'ordine pubblico, ove ricorrano i presupposti, procedendo allo sgombero dello stabile occupato il 6 marzo 2014 da stranieri abusivi;
   se il Governo intenda o meno assumere iniziative normative per evitare che nel caso sopra descritto e in quelli analoghi alla proprietà degli immobili occupati non sia chiesto il pagamento dell'Imu;
   per quali ragioni la polizia di Stato non sia intervenuta a difendere la proprietà privata mentre questa veniva violata dagli occupanti abusivi. (4-12492)


   COLLETTI, LUIGI GALLO e CASO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 4 marzo 2016 si sono svolte a Napoli le primarie del PD e di tutto il centrosinistra per la scelta del candidato sindaco;
   da organi di informazione e video emergerebbe che anche questa consultazione, come del resto quelle disputate in precedenza, sia stata caratterizzata da evidenti brogli ed irregolarità;
   i gravi fatti sono stati documentati da alcuni video realizzati con telecamere nascoste e pubblicati sul sito Fanpage.it che hanno intercettato davanti ai seggi alcune persone (tra cui anche il capogruppo Pd alla sesta municipalità Gennaro Cierro e il consigliere comunale Antonio Borriello) impegnate a offrire denaro in cambio della preferenza per la candidata Valeria Valente, poi risultata vincitrice;
   alcuni video addirittura ritraggono esponenti locali del centrodestra, dunque di un'area politica (presuntivamente) avversaria, attivi ai seggi del Partito democratico e pronti a dare quelle che appaiono agli interroganti perentorie indicazioni di voto ai cittadini elettori;
   sulla base delle irregolarità e delle anomalie emerse dai video, la procura di Napoli ha aperto un fascicolo e il candidato Bassolino, risultato perdente con uno scarto di poco più di quattrocento voti, ha presentato ricorso alla commissione di garanzia;
   episodi simili sono ben noti all'area di centrosinistra per come dimostra quanto avvenuto lo scorso nel 2015 in Liguria in occasione delle primarie regionali e per le quali la commissione di garanzia a cui fece ricorso il candidato Cofferati registrò gravi irregolarità;
   a rendere più inquietante il quadro, si aggiunge il fatto che le documentate iniziative di influenza/compravendita del voto siano state confermate, in quanto assunte in prima persona, da esponenti del Partito Democratico che ricoprono cariche istituzionali ed apertamente schierati nelle primarie con la candidata Valeria Valente, fra cui il senatore di centrosinistra Vincenzo Cuomo, che in qualità di presidente del seggio nel quartiere di San Giovanni a Teduccio, è stato testimone oculare dei brogli. A tal proposito Cuoco ha aspramente dichiarato: «Mercimonio organizzato, mercificazione del voto con persone organizzate scientemente davanti ai seggi. Ho notato un'affluenza più “spintanea” che spontanea, ecco... Dopo il disastro delle primarie del 2011 non immaginavo che alcuni di quei protagonisti ritornassero sul luogo del delitto. Che dire, i lupi perdono il pelo ma non il vizio...!»;
   il pericolo di irregolarità era stato denunciato in tempi non sospetti anche da un altro candidato sindaco, Marco Sarracino, che alla vigilia delle primarie aveva preannunciato «rischio di brogli come nel 2011», definendo «ingiustificata la proliferazione di seggi che rende difficile, e in alcuni casi praticamente impossibile, il loro controllo democratico», tenuto conto soprattutto della scelta della loro ubicazione presso luoghi non istituzionali (bar, pizzerie, caf) dove per regolamento non è possibile insediare seggi;
   i fatti denunciati risultano ancora più gravi se si considera che gli accusati di aver compravenduto i voti, invece di fare ammenda della vergognosa condotta, si sono giustificati dichiarando «L'ho fatto per non essere scortese come partito» (...) «faceva freddo, erano venuti lì, non avevano l'euro e così gliel'ho dato io (...) Alcune persone sono arrivate ai seggi senza l'euro necessario per il contributo e così, per cortesia, gliel'ho dato io» (si è giustificato all'agenzia Ansa il consigliere Borriello, da sempre bassoliniano e da poco a favore della Valente), oppure «Mai capitato di non aver uno spicciolo e di chiederlo a un amico?» (in questi termini si è espressa Francesca Puglisi, responsabile Scuola del partito, quindi nella segreteria nominata da Renzi);
   tali ridicole dichiarazioni appaiono agli interroganti offensive della intelligenza dell'opinione pubblica e, più in particolare, della cittadinanza napoletana di fatto coartata al voto e indotta nella scelta di uno specifico candidato, in chiara violazione del rispetto della libertà del voto e della dignità del cittadino, requisiti irrinunciabile della democrazia;
   la recente sottoposizione ad indagine dell'ex candidato sindaco alle primarie del Pd nel comune di Casavatore, Salvatore Silvestri, chiamato a rispondere di voto di scambio e di essersi avvalso ai fini della propaganda elettorale, per le elezioni comunali e non per le primarie di partito, del contributo di Massimo Minichini, sorvegliato speciale ai sensi della normativa antimafia perché ritenuto vicino al clan camorristico Ferone, indicato come «sottogruppo» del cartello Amato-Pagano, gli «scissionisti» di Scampia, a giudizio degli interroganti dovrebbe portare a monitorare con la dovuta attenzione i fatti di Napoli per evitare che possa riproporsi il «sistema Casavatore», un sistema di commistione tra camorra-politica-istituzioni, ossia di condizionamento della politica al quale gli stessi politici preferiscono prestarsi, in cambio di successi per poter mettere le mani su affari che non riguardano il benessere dei cittadini, ma solo i giochi di potere;
   questo pericolo parrebbe agli interroganti non peregrino se si considera che l'indagato Silvestri è personaggio molto vicino alla Valente come dimostra una foto che ritrae entrambi nonché la circostanza che la sua compagna è attualmente collaboratrice parlamentare della neoeletta candidata sindaco del Pd;
   tutto quanto descritto appare agli interroganti illegale oltre che inaccettabile e moralmente censurabile, ponendosi in contrasto con lo spirito della competizione stessa delle primarie che prevedono una partecipazione al voto libera e democratica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei gravi fatti descritti;
   se risultino al Governo, per quanto di competenza, eventuali rapporti, anche di collaborazione, tra famiglie camorristiche, persone sottoposte alla sorveglianza speciale e «portatori di voti» alle primarie del Partito democratico nel comune di Napoli, così come è purtroppo avvenuto durante la campagna elettorale di Casavatore. (4-12496)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PES. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca delle disposizioni contenute nella legge n. 107 del 13 luglio 2015, comma 144 con decreto del direttore generale del personale scolastico, il 26 febbraio 2016 ha pubblicato i bandi delle procedure concorsuali per il reclutamento di docenti per la scuola dell'infanzia e primaria, per la secondaria di I e II grado e per il sostegno, per circa 63.712 posti che verranno assegnati nel corso del triennio 2016/2018;
   il decreto del direttore generale n. 116 del 2016, relativo al reclutamento del primo e secondo grado, e il decreto del direttore generale n. 107 del 2016, relativo al sostegno, prevedono l'aggregazione territoriale delle procedure concorsuali per determinate classi di concorso, a causa dell'esiguità del numero dei posti messi a bando, indicati nell'allegato dei decreti direttoriali citati;
   dunque, alla luce delle nuove disposizioni dettate dalla procedura concorsuale, numerosi candidati concorreranno, per determinate classi di concorso, per posti disponibili in una regione sostenendo le prove in una regione differente da quella in cui avranno la titolarità, articoli 2, comma 2, dei decreti direttoriali del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, n. 106 e 107 dei 2016;
   le prove concorsuali per tutti gli ordini di scuola non prevedono alcuna prova preselettiva, ma prove scritte e computerizzate che si svolgeranno, sicuramente, in primavera, mentre quelle orali dovrebbero svolgersi verosimilmente durante l'estate;
   numerosi docenti della Sardegna sono penalizzati dalla condizione di insularità e rischiano di dover rinunciare a questa grande opportunità di reclutamento perché impossibilitati a recarsi fuori dall'isola, sia per la difficoltà di trovare posti su navi e aerei da e per la Sardegna che per i costi del viaggio e del pernottamento, spesso, molto onerosi –:
   se il Ministro interrogato non ritenga – per le motivazioni esposte in premessa – di valutare l'opportunità di assumere iniziative per autorizzare il decentramento della procedura concorsuale per i candidati della regione Sardegna sull'isola, al fine di evitare per tali candidati disagi ed esborsi economici, prevedendo altresì che la prova scritta di computer based, possa essere svolta in una sede individuata nell'isola. (5-08096)

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 5 marzo 2016 nel comune di Montevarchi (Arezzo) è stata iscritta nel registro delle unioni civili la prima coppia gay formata da due uomini;
   al fatto è stata data particolare enfasi con svolgimento dell'evento nell'auditorium comunale e, come se non bastasse, sono state portate anche le scuole, con il pretesto di festeggiare la Festa della Donna;
   durante l'evento i ragazzi hanno dovuto assistere anche alla proiezione del film «Lei disse si» che racconta di un matrimonio tra due lesbiche;
   la medesima attenzione non c’è stata quando il sindaco di Montevarchi, il 16 febbraio 2016, ha premiato le coppie che avevano celebrato i 50 anni di matrimonio;
   l'interrogante ha registrato numerose lamentele di genitori che si sono sentiti coartati nel loro sacrosanto diritto di scelta del tipo di educazione da impartire ai propri figli;
   lei stessa, Signora Ministro, si era a suo tempo impegnata, rassicurando alcune forze politiche che l'avevano investita della problematica educativa, assicurando che simili argomenti sarebbero stati affrontati nelle scuole solo con esplicito consenso manifestato dai genitori in forma scritta, ma tutto ciò a Montevarchi non è accaduto –:
   se il Ministro interrogato non ritenga, in un caso grave come questo, di chiedere conto ai presidi delle scuole del comune aretino di una simile scelta educativa. (4-12493)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   l'azienda sanitaria locale di Nuoro è al momento gestita da un commissario straordinario, nominato con delibera della giunta regionale n. 51/2 del 20 dicembre 2014; a detto commissario, con la medesima delibera è stato assegnato l'obiettivo specifico di «valutare i costi e le eventuali criticità del contratto di concessione relativo alla progettazione, costruzione e gestione dei lavori di ristrutturazione e completamento mediante project financing, con particolare riferimento al costo dei servizi oggetto dell'atto aggiuntivo n. 2 approvato dalla Asl di Nuoro con deliberazioni n. 293 del 4 marzo 2013 e n. 1824 del 19 dicembre 2013; definizione dei relativi margini di risparmio e adozione delle azioni conseguenti»;
   su tale contratto di concessione è in corso, e sarebbe in via di conclusione, una specifica istruttoria dell'Anac (Autorità nazionale anticorruzione);
   la stessa Anac, nelle linee guida sulla finanza di progetto, approvate con determinazione n. 10 del 23 settembre 2015, al paragrafo 3.1, pagina 8, precisa quanto segue: «(...) Si richiama, pertanto, l'attenzione delle stazioni appaltanti ad una corretta valutazione della ricorrenza, nelle singole fattispecie, delle condizioni e dei presupposti che caratterizzano il contratto di concessione; distinguendolo dal differente strumento contrattuale dell'appalto. Una corretta qualificazione giuridica dell'operazione posta in essere è, infatti, presupposto indispensabile per la corretta individuazione della disciplina giuridica e contabile da applicare. A tale riguardo, si richiamano le conseguenze in punto di responsabilità amministrativa e contabile per gli eventuali maggiori costi sopportati dall'amministrazione a causa di un utilizzo improprio dei Contratti di Ppp e del PF. In particolare, giova sottolineare come il giudice amministrativo abbia sancito la nullità per illiceità della causa, ai sensi dell'articolo 1344 del codice civile (”contratto in frode alla legge”), di un contratto di concessione nel quale non erano stati osservati i precetti comunitari nella distribuzione dei rischi (v. Tar Sardegna, sentenza 10 marzo 2011, n. 213). Sotto il profilo della responsabilità amministrativo-contabile la Corte dei conti ha più volte evidenziato come sia necessario accertare che il contratto da concludere abbia le caratteristiche proprie del Ppp con utilizzo di risorse private ai sensi del comma 15-ter dell'articolo 3 del Codice e non rappresenti, invece, un meccanismo elusivo del divieto di indebitamento dell'Ente sia per precedenti violazioni del patto di stabilità che per mancato rispetto dei parametri ex articolo 204 TUEL (vedi ex multis Corte dei conti, Sez. Reg. Contr. Veneto, 2 settembre 2011, n. 352/2011/par, in tema di leasing immobiliare)»;
   il passaggio sopra richiamato riguarda la situazione della asl di Nuoro ed il contratto di concessione ricordato;
   il commissario straordinario, nel perseguimento dell'obiettivo assegnatogli, e in ciò affiancato, dal mese di aprile 2015 da un nuovo direttore amministrativo, ha avviato una certosina azione di verifica che ha portato a mettere in luce i numerosi vizi di legittimità, nonché l'antieconomicità, sia dell'atto aggiuntivo n. 2, sia del contratto originario;
   grazie anche alla collaborazione attivata con l'UTFP (unità tecnica per la finanza di progetto) ed in piena collaborazione con le altre autorità interessate, il commissario straordinario ha ottenuto di recente un puntuale ed articolato parere da parte della citata unità tecnica, che nel contempo ha effettuato un'attenta analisi dei PEF (piani economico-finanziari), che conferma le criticità già rilevate dalla gestione commissariale; il commissario ha, quindi, proceduto, con deliberazione n. 1679 del 28 dicembre 2015, ad avviare il procedimento di annullamento dell'atto aggiuntivo n. 2, nonché ad una fase di revisione, giuridica ed economica, del contratto originario, nei limiti di quanto consentito dalla legge e nell'ottica di una corretta riallocazione dei rischi a carico del concessionario, e ciò al fine di garantire l'interesse pubblico al completamento delle opere di valenza strategica per la sanità nuorese;
   in tale scenario, nel quale la direzione aziendale sta operando in una situazione, di particolare delicatezza e complessità, si assiste ad un operato del collegio sindacale della Asl di Nuoro che non appare in linea con l'azione della direzione; infatti, anziché concentrarsi sulle proprie funzioni, con modalità irrituali ed anomale, e basandosi anche su lettere anonime tutte finalizzate a destabilizzare la direzione aziendale nel suo complesso, il succitato collegio sindacale di fatto tende a mettere in discussione l'azione della direzione, creando una inevitabile turbativa nella difficile azione che la stessa sta portando avanti, con particolare riferimento al contratto di project financing;
   si ricorda che ai sensi dell'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992 (riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), un collegio sindacale, dura in carica tre anni ed è composto da cinque componenti, di cui due nominati dalla regione, uno designato dal Ministro dell'economia e delle finanze, uno dal Ministro della salute, e uno dalla Conferenza dei sindaci; il collegio sindacale, ai sensi del primo comma dell'articolo 3-ter del citato decreto legislativo n. 502 del 1992, ha, tra l'altro i compiti di verificare l'amministrazione dell'azienda sotto il profilo economico e di vigilare sull'osservanza della legge;
   risulta evidente, a giudizio degli interpellanti, in considerazione di quanto finora emerso, con riferimento al contratto di project financing, ed in particolare con riferimento all'atto aggiuntivo n. 2, approvato nel 2013 e stipulato nel mese di gennaio 2014, che nessuna delle principali funzioni attribuite dalla legge al collegio sindacale sia stata adeguatamente svolta, in quanto se fossero stati garantiti un'adeguata vigilanza e controllo, sia sotto il profilo della legittimità agli atti, che sotto il profilo economico, l'azienda non avrebbe avuto i danni economici che stanno, invece, emergendo ed ai quali, faticosamente, la dirigenza aziendale sta oggi ponendo rimedio con atti concreti di natura stragiudiziale, assumendosi una responsabilità amministrativa e patrimoniale per sopperire a quello che risulta agli interpellanti essere stato un inesistente sistema di controlli interni, che è venuto a mancare nell'ambito della asl di Nuoro proprio a causa dell'attività del collegio sindacale ancora operante: infatti, nessun concreto contributo risulta agli interpellanti essere stato fornito dal collegio sindacale al commissario; ad esempio, laddove questo, di propria iniziativa, ha deciso di applicare l'iva al 10 per cento, e non al 22 per cento come preteso, il collegio ha espresso parere contrario alla delibera del commissario sul canone integrativo di disponibilità relativo alle opere ricomprese nel project financing, venendo, quindi, meno, a parere degli interpellanti, alla propria funzione di organo garante della legittimità ed economicità dell'azione aziendale;
   per contro, tale collegio, fin dall'insediamento del commissario straordinario, ha posto in essere, a quanto consta agli interpellanti, comportamenti non collaborativi nei confronti dello stesso, sia contestandone con motivazioni infondate l'imprescindibile ricorso a legali esperti della materia, sia con il tentativo, già ricordato, di mettere in discussione la dirigenza aziendale, nei confronti della quale ha operato, con numerose azioni, sulla base di segnalazioni anonime e non, che, a giudizio degli interpellanti, sono state di rilevante gravità, tanto che la stessa si è vista costretta a ricorrere, a propria tutela, all'autorità giudiziaria;
   nel momento in cui la giunta regionale ha incaricato un commissario straordinario della gestione della asl di Nuoro, nella consapevolezza di una situazione che presentava elementi di criticità per profili di illegittimità ed antieconomicità di atti posti in essere in virtù del ricordato contratto di concessione, sarebbe stato necessario intervenire, a parere degli interpellanti, anche nei confronti del collegio sindacale, data l'evidente situazione di potenziale, se non addirittura effettivo, conflitto di interessi che viene a determinarsi per un collegio che si trova oggi ad ingerire in atti che hanno invece lo scopo di ripristinare legittimità ed economicità nell'ambito aziendale;
   si osserva, inoltre, che in data 9 febbraio 2016 l'Autorità nazionale anticorruzione ufficio vigilanza servizi e forniture, ha comunicato le risultanze dell'istruttoria avente per oggetto «il Project Financing Als di Nuoro, concessione dei lavori di ristrutturazione e completamento delle pp.00. San Francesco e Cesare Zonchello di Nuoro, San Camillo di Sorgono e dei presidi sanitari distrettuali di Macomer e Siniscola»;
   nel lungo ed accurato documento, si fa, tra l'altro, riferimento all'atto aggiuntivo n. 2 più volte citato in precedenza;
   oltre alle criticità presenti in origine nella concessione, che evidenziano un vantaggio sproporzionato in favore del concessionario, l'Autorità osserva che l'illeggittimità della concessione originaria si aggrava «con la sottoscrizione del secondo atta integrativo del 27 gennaio 2014, in cui, aldilà delle gravi mancanze procedurali evidenziate (...) dallo stesso Commissario straordinario nell'approvazione dell'articolo da parte della Regione Sardegna, ai sensi dell'articolo 29 della legge Regionale 10/2006, si è posta in essere una novazione contrattuale al di fuori dei limiti di cui all'articolo 143 comma 8 del decreto legislativo n. 163 del 2003, che ha aumentato gli indubbi vantaggi del concessionario»;
   lo stesso commissario straordinario della asl di Nuoro, prosegue l'Autorità «nella sua relazione alla Direzione Generale dell'Assessorato all'Igiene e Sanità della Regione Sardegna del 13.4.2015, prot. 18379, (...) evidenzia l'atto aggiuntivo n. 2 prevede un aumento dei canoni dei servizi, del canone di disponibilità e differenti modalità di erogazione degli stessi, che appaiono oggettivamente migliorativi per la parte privata»;
   in sostanza, l'atto aggiuntivo n. 2 ha introdotto, come ricorda ancora il commissario straordinario, nella relazione citata ampiamente dell'Autorità anticorruzione, una innovazione che introduce il concetto di canone annuo che prescinde del tutto dall'assicurazione (presente nel contratto originario) da parte della concessionaria di assicurare all'azienda il buon funzionamento del parco attrezzature, attraverso l'erogazione delle necessarie attività tecnico-gestionali e/o sostitutive. In pratica, la concessionaria riceve un canone anche non fornendo i servizi previsti in origine;
   numerose sono le osservazioni dell'Autorità sull'atto aggiuntivo n. 2. In particolare, si osserva che «il secondo atto aggiuntivo difetta dei presupposti amministrativi, poiché, come correttamente rilevato dal Commissario straordinario della Asl, il secondo atto aggiuntivo ha singolarmente superato il vaglio di controllo della Regione Sardegna, di cui all'articolo 29 della legge regionale 10/2006 (...), nonostante fosse privo del Piano economico finanziario (PEF) che è un atto (allegato) fondamentale dell'atto concessorio che si va ad esaminare nel merito»;
   in conclusione, l'Autorità osserva che «Alla, luce di quanto sopra premesso e considerato si evidenzia (...) che l'operazione negoziale ed economica (...) si caratterizza per costituire uno strumento con il quale si trasgredisce l'applicazione delle norme e dei principi che disciplinano la concessione di lavori pubblici e il project financing (articoli 2, 143, e 153 del decreto legislativo 163/06), nonché gli appalti pubblici in generale, facendo conseguire alle parti un risultato precluso dall'ordinamento. E ciò si ribadisce – attraverso la previsione in netto contrasto con lo schema normativo tipico) di una remunerazione degli investimenti dei privati concessionari, posta interamente a capo dell'amministrazione aggiudicatrice, senza che si verifichi quella traslazione in capo ai privati del rischio economico e gestionale (elemento essenziale del project financing), collegato alla realizzazione dell'opera ovvero allo svolgimento dei servizi erogati (...)»;
   l'Autorità stessa, infine, conclude avvertendo che le sue conclusioni verranno anticipate, ai sensi dell'articolo 6 del decreto legislativo n. 163 del 2006, alla procura della Repubblica e alla procura della Corte dei conti per eventuali iniziative;
   da tutto quanto su esposto, si deduce che erano ben fondate le motivazioni del commissario straordinario nei suoi interventi, mentre emerge, secondo gli interpellanti, l'assenza di iniziative da parte di quel collegio sindacale che avrebbe dovuto vigilare ed intervenire per evitare quanto su esposto –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere i Ministri interpellati, di concerto con gli altri soggetti interessati, ed in particolare con la regione Sardegna, per affrontare concretamente una situazione critica, quale è quella descritta in premessa, determinatasi a causa dell'atteggiamento che risulta agli interpellanti evidentemente ostruzionistico, per non dire di peggio, del collegio sindacale della asl di Nuoro, in modo da favorire, in una fase delicatissima quale è quella attuale, che vede impegnato il commissario straordinario, l'azione di revisione del project financing della asl di Nuoro, operando altresì affinché si ponga fine, sempre per quanto di competenza, anche all'azione di turbativa che deriva dai comportamenti assunti dal collegio nei confronti della dirigenza aziendale, che ha attuato un'azione di risanamento economico e di ripristino della legalità, garantendo, al contempo, per quanto di propria competenza, il supporto all'azione del commissario da parte di figure di esperti che ne coadiuvino l'azione di risanamento.
(2-01311) «Capelli, Dellai».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   COLONNESE, GRILLO, DI VITA, SILVIA GIORDANO, BARONI, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'interruzione volontaria di gravidanza (Ivg), è la scelta di non portare a termine la gravidanza. Con la legge n. 194 del 1978 l'interruzione volontaria di gravidanza viene riconosciuta come una pratica legale, consentita entro 90 giorni dall'ultima mestruazione, mentre tra il quarto e il quinto mese è permessa solo in caso di gravi malformazioni e pericolo di vita per la donna. Obiettivo primario della legge è la tutela sociale della maternità e la prevenzione dell'aborto attraverso la rete dei consultori familiari, un obiettivo che si intende perseguire nell'ambito delle politiche di tutela della salute delle donne;
   secondo la risposta del Ministro all'interrogazione n. 5-06471 del 24 settembre 2015 presentata dalla prima firmataria del presente atto; con riferimento ai dati riportati nella relazione sull'attuazione della legge n. 194 del 1978, trasmessa al Parlamento il 28 ottobre 2015, contenente i dati preliminari del 2014 e quelli definitivi del 2013, non emergerebbero criticità nell'applicazione della legge n. 194 del 1978: i tempi di attesa delle donne continuerebbero a diminuire, e il 90,8 per cento delle IVG verrebbe effettuata nella regione di residenza, di cui l'87,1 per cento nella provincia di residenza;
   la reale applicazione della legge n. 194 incontra invece ancora oggi numerosi ostacoli e per molte donne, soprattutto al Sud, oltre alle ovvie conseguenze emotive e psicologiche di tale scelta, si sovrappongono problemi dovuti ai disservizi sanitari in materia: ultimo l'episodio della giovane donna diciannovenne morta nel gennaio 2016 per un'interruzione di gravidanza programmata al Cardarelli di Napoli e sul quale il Ministro interrogato ha inviato una task-force;
   a distanza di trent'anni, la legge n. 194, che dovrebbe disciplinare l'interruzione volontaria di gravidanza soprattutto al Sud continua a registrare un percorso accidentato. La criticità si ripercuote non solo sugli operatori ma in maniera pesante sulle donne, costrette talvolta anche a migrazioni intra-regionali perché, spesso, in alcuni centri e in alcuni periodi dell'anno non riescono a ottenere quanto previsto per legge: i centri ivg, oltre a essere a corto di organico, non sempre riescono a garantire un buon accesso alle prenotazioni e inoltre spesso le donne subiscono un trattamento mortificante, con estenuanti e lunghe attese che iniziano all'alba per assicurarsi il primo accesso al centro, non avendo così riconosciuto il proprio diritto alla privacy;
   i dati relativi all'obiezione di coscienza non sono inseriti nei modelli D12 Istat (che si riferiscono alle donne che effettuano le IVG), ma vengono richiesti annualmente dal sistema di sorveglianza alle regioni. La richiesta si riferisce a tutto il personale operante negli istituti di cura con reparto di ostetricia e ginecologia o solo ginecologia, anche se le Regioni non sempre forniscono il dato in questa forma. Nel 2013 si evincono valori elevati di obiezione di coscienza a livello nazionale, specie tra i ginecologi: 70 per cento cioè più di due su tre. Percentuali superiori all'80 per cento tra i ginecologi sono presenti in 8 regioni, principalmente al sud: 93,3 per cento in Molise, 92,9 per cento nella provincia autonoma di Bolzano, 90,2 per cento in Basilicata, 87,6 per cento in Sicilia, 86,1 per cento in Puglia, 81,8 per cento in Campania, 80,7 per cento nel Lazio e in Abruzzo. Anche per gli anestesisti i valori più elevati si osservano al Sud (con un massimo di 79,2 per cento in Sicilia, 77,2 per cento in Calabria, 76,7 per cento in Molise e 71,6 per cento nel Lazio). Per il personale non medico i valori sono più bassi e presentano una maggiore variabilità, con un massimo di 89,9 per cento in Molise e 85,2 per cento in Sicilia. In Campania l'81,8 per cento (unico dato del 2012 della relazione sopra menzionata) dei ginecologi è obiettore di coscienza;
   secondo organi di stampa ci sarebbe il rischio concreto che l'Asl Napoli 1 resti senza alcun centro a cui rivolgersi per avere un aborto nel pieno rispetto della legge e delle norme sanitarie: il primario anestesista dell'ospedale San Paolo, l'unica struttura dell'Asl Napoli 1 dove si praticano aborti, ha comunicato che non potrà garantire la presenza degli anestesisti. Il centro che ha sei posti letto e che, per oltre un ventennio, è stato l'unico punto di riferimento di tutta l'asl Napoli sarebbe quindi a rischio di chiusura. Nel presidio di via Terracina in chirurgia non si opera da novembre 2015: tutto fermo perché mancano gli anestesisti. I sindacati denunciano una struttura in dismissione nonostante serva un'area cittadina molto vasta e aprendo la strada a un ulteriore aumento di interventi clandestini dove si mette a rischio la salute e la vita delle donne che scelgono di interrompere la gravidanza;
   nel decreto legislativo n. 8 del 15 gennaio 2016 approvato dal Consiglio dei ministri, cosiddetto decreto delle depenalizzazioni, sono previste disposizioni anche per l'aborto clandestino; chi ricorre a questa pratica verrà punito con una sanzione amministrativa compresa tra i 5 mila e i 10 mila euro, mentre il reato per chi abortisce oltre i 90 giorni di gravidanza viene cancellato;
   in precedenza, secondo quanto stabilito dall'articolo 19 della legge n. 194, la multa nei confronti delle donne che praticavano l'interruzione di gravidanza in clandestinità era stata fissata a 51 euro. Una cifra simbolica che aveva lo scopo di consentire al sesso femminile di andare in ospedale in caso di complicanze e di denunciare coloro che praticavano gli aborti fuori dalle strutture pubbliche;
   la conseguenza pratica di questa «depenalizzazione» sarà che le donne non andranno più a curarsi, rinunciando alla propria salute, né a denunciare chi compie atti illeciti, violando la legge;
   anziché contrastare l'aborto clandestino, il Governo a giudizio degli interroganti, con le sanzioni salatissime previste per le donne che ricorrono all'illegalità o alla clandestinità e questo perché spesso non hanno altra scelta, di fatto trasforma queste da vittime in autrici di illeciti;
   da quanto esposta si evinca un quadro normativo per cui l'obiezione di coscienza è un diritto consolidato, mentre non lo è l'aborto, in quanto le sanzioni previste dalla legge sulle depenalizzazioni anziché affrontare il problema, puniscono in maniera ancora più aspra quelle donne che si trovano ad affrontare una delle difficoltà più grandi della loro vita –:
   quali iniziative intenda attuare per garantire l'esercizio del diritto alla interruzione volontaria di gravidanza in generale, oltre che nel caso citato dell'Ospedale San Paolo di Napoli, anche in virtù del fatto che le interruzioni volontarie di gravidanza rientrano nei livelli essenziali di assistenza e non possono, come pure è successo, venire sospese;
   come intenda intervenire, per quanto di competenza, onde superare i disservizi sanitari che ostacolano la corretta applicazione della legge;
   quali siano le conclusioni a cui è giunta la task-force istituita dal Ministro ed inviata nell'ospedale Cardarelli di Napoli dove si è verificato il decesso di Gabriella Cipolletta in seguito all'intervento di interruzione volontaria di gravidanza il 12 gennaio 2016. (5-08097)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   gli abitanti del quartiere residenziale Santa Croce di Reggio Emilia, preoccupati per la loro salute, da tempo denunciano l'inquinamento dei locomotori Tpfer e Fer siti in via Talami. I residenti sono allarmati dai dati Arpa che registrano dei veri e propri picchi di emissioni inquinanti – polveri sottili, monossido di carbonio e ozono – quando vengono accesi i vecchi locomotori diesel;
   i residenti si sono costituiti in un comitato e hanno organizzato una raccolta firme, occupando spazi rilevanti in diverse occasioni sui giornali e nelle televisioni locali: la portavoce del comitato, l'avvocato Raffaella Pellini, ha più volte richiesto un intervento del comune di Reggio Emilia, in materia di tutela dell'ambiente e della salubrità dei luoghi pubblici, asserendo che via Cefalonia e via Delle Argonne appartengono ad un quartiere densamente popolato a zona residenziale;
   il comitato afferma come lo stabilimento ferroviario di proprietà di Mafer Srl, ma con l'ingerenza della società T-PER, ha potenziato la sua attività e in quello che doveva essere un semplice deposito con annessa officina per riparazione è stata invece creata una «Stazione Centrale»;
   Arpa ed Ausl hanno redatto lavori dove evidenziano la pericolosità dei gas nocivi ed anche la necessità di un intervento urgente, perché questo stabilimento è troppo vicino alle case per poter svolgere una attività di accensione delle locomotive di questo tipo e senza alcun riparo di schermature;
   l'impatto ambientale della zona è incompatibile con l'attività di accensione delle locomotive; l'accensione avviene di fatto a ridosso di un asilo e di agglomerati di abitazioni. Dalle ispezioni sono emerse indicazioni precise che i responsabili di Mafer e T-per non rispettano;
   la richiesta dei residenti risponde, a giudizio dell'interrogante, a logiche di buonsenso quando chiedono di trasferire altrove l'attività di avviamento dei locomotori perché la zona indicata è certamente non idonea e l'attività che viene effettuata nel deposito ferroviario non è legittima;
   queste preoccupazioni, a parere dell'interrogante, sono assolutamente condivisibili soprattutto dopo i dati allarmanti dell'inquinamento atmosferico della città di Reggio Emilia; i portavoce del comitato raccontano di essere ad un tavolo di trattativa da circa un anno e mezzo con il comune, con la regione e con i rappresentanti delle ferrovie dell'Emilia Romagna, senza però avere ad oggi avuto alcun risultato utile;
   quali iniziate normative i Ministri interrogati intendano intraprendere, in assenza di una specifica normativa in cui è previsto che non sia possibile tenere numerosi treni accesi per diverse ore a ridosso di abitazioni, affinché si arrivi a tutelare la salute dei cittadini. (4-12483)


   BARONI, LOMBARDI, DI BATTISTA, DAGA, VIGNAROLI, RUOCCO, GRILLO, DI VITA, MANTERO, COLONNESE, SILVIA GIORDANO, LOREFICE, TERZONI e SARTI. — Al Ministro della salute, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il gruppo INI spa (legale rappresentante dr. Faroni Delfo sede legale in Roma) è un istituto neurotraumatologico italiano, articolato in più divisioni è presente in molte aree del Paese. Tutte le strutture (circa 1000 posti letto e 1200 dipendenti) sono abilitate al ricovero, all'assistenza specialistica ambulatoriale e sono tutte accreditate con il servizio sanitario nazionale;
   la società in data 22 luglio 2015 ha avviato una procedura di licenziamento collettivo per la riduzione di personale con conseguente collocazione in mobilità, riguardante n. 496 lavoratori addetti presso le unità produttive di Grottaferrata, Tivoli Guidonia, Veroli e Roma;
   nel verbale di accordo siglato in sede regionale a firma della CGIL, CISL UIL avallato dal funzionario responsabile del procedimento dottor Raffaele Fontana si legge:
   le motivazioni alla base del provvedimento, sono state oggetto di approfondito esame e discussione nell'ambito degli incontri tenutisi in sede sindacale;
   la fase sindacale conclusasi con un mancato accordo, ha spostato la discussione in sede regionale per l'espletamento della fase amministrativa. La seconda fase si è conclusa il 13 novembre 2015 e le parti hanno deciso di attivare, a superamento totale o parziale, della problematica, un contratto di solidarietà difensivo di cui al decreto-legge n. 148 del 1993, articolo 5, comma 5, convertito dalla legge n. 236 del 1993 e successive modificazioni e integrazioni;
   la società INI spa ricorrerà al contratto di solidarietà a decorrere dal 1o dicembre 2015 fino al 30 novembre 2017 (per un periodo di 24 mesi) per un numero massimo di 802 dipendenti addetti alle unità di Grottaferrata, Tivoli, Guidonia, Veroli, e Roma;
   a fronte della riduzione di orario, per i lavoratori alla medesima interessati, la retribuzione diretta ed indiretta e tutti gli istituti contrattuali saranno proporzionalmente ridotti in base alla prestazione lavorativa effettuata, salvo le provvidenze previste per legge;
   le parti ritengono congrua una riduzione oraria media, per il periodo 1o dicembre 2015-30 novembre 2017, non superiore al 60 per cento per singolo lavoratore dell'orario di contrattuale;
   durante l'incontro tenutosi in sede regionale il 5 novembre 2015, i rappresentanti della sigla sindacale SICEL hanno denunciato gravi e documentate circostanze in ordine alla gestione precedente per il ricorso al medesimo istituto della solidarietà e prima ancora della cassa integrazione posta in essere dal gruppo INI;
   nel verbale di mancato accordo infatti si legge che durante l'incontro del 5 novembre 2015 il SICEL ha letto in presenza di tutti i partecipanti alla riunione, la relazione tecnica a firma di un professionista sull'analisi dei prospetti paga in essa si denuncia che «il gruppo INI ha fatto ricorso al contratto di solidarietà in via continuativa da settembre 2013 ad agosto 2015. Dalle dichiarazioni (verbali) dei lavoratori e dall'analisi dei fogli presenza, si evince che i dipendenti abbiano prestato regolarmente prestazione lavorativa, pur se nei prospetti paga siano state evidenziate delle trattenute per ore di assenza per «Contratto di solidarietà». Inoltre i lavoratori hanno regolarmente svolto delle ore di lavoro straordinario. Ai lavoratori spetta il pagamento delle differenze retributive per le ore di lavoro svolto e non retribuito, oltre al versamento della contribuzione previdenziale omessa. Altro aspetto importante sono le somme recuperate dal datore di lavoro nei confronti dell'INPS per una assenza per «solidarietà» che di fatto, dalla documentazione analizzata non c’è stata;
   la seduta del 5 novembre viene sospesa, ma il responsabile regionale del procedimento dottor Raffaele Fontana, non intende interrompere la procedura e fissa l'incontro successivo per il 13 novembre 2015;
   segue un atto di diffida del SICEL all'attenzione del dottor Raffaele Fontana, del dottor Egidio Schiavetti del dottor D'Amato Alessio e al presidente Nicola Zingaretti. La diffida è corredata della relazione tecnica e precisa altresì che durante la riunione del 5 novembre 2015, alcuni dipendenti hanno sollevato dubbi anche sull'applicazione della Cassa integrazione guadagni on the job. I lavoratori hanno dichiarando che nel periodo di cassa integrazione firmavano al volo alcuni fogli presenza e tornavano immediatamente al lavoro nei reparti assegnati;
   nonostante la gravità dei fatti denunciati e l'atto di diffida sindacale, la procedura in sede regionale non viene sospesa, ma si consente il ricorso al contratto di solidarietà descritto;
   Equitalia vuole i fondi dall'INI, l'INI vuole i fondi dalla regione Lazio. Il conto di 495 licenziamenti lo pagheranno infine i lavoratori si legge in un articolo del 12 novembre 2015 su hinterland;
   nel verbale di mancato accordo a firma SICEL si appura che dal controllo della pianta organica della divisione INI Medicus di Tivoli (l'unica a disposizione della sigla sindacale), si registrano circa 50 unità lavorative carenti rispetto ai requisiti minimi richiesti per l'accreditamento, l'esposizione debitoria del gruppo sarebbe talmente preoccupante che la solidarietà non scongiura un epilogo più drastico e si ritiene di inoltrare le dovute segnalazioni agli organi competenti affinché controllino e intervengano su quella che appare essere una mala gestione di risorse pubbliche;
   il sindacato SICEL ha presentato formale denuncia nei confronti della società INI Spa per il reato di truffa aggravata ai danni della pubblica Amministrazione e dei singoli lavoratori dipendenti del Gruppo;
   inoltre, per i requisiti di accreditamento, i decreti devono riportare le attestazioni di conformità per il possesso dei «requisiti strutturali, tecnologici e organizzativi e degli ulteriori requisiti per l'accreditamento di cui al DCA n. U00090/2010 con annessi allegati e ss.mm.ii.»;
   è indiscutibile, ad avviso degli interroganti, che la riduzione del 60 per cento della prestazione lavorativa dei dipendenti riduce del 60 per cento i requisiti organizzativi e di pari percentuale il livello assistenziale facendo di fatto venir meno i requisiti minimi previsti e quindi i criteri per mantenere l'accreditamento definitivo;
   occorre tener conto delle funzioni di rilievo pubblicistico svolte e dell'inserimento funzionale nel servizio sanitario nazionale;
   ad avviso degli interroganti il perseguimento di interessi pubblici, in uno con il finanziamento statale e con i controlli della Corte dei conti, fa sì che anche le strutture private che esercitino in forma societaria l'attività di pubblico interesse siano soggette agli stessi limiti;
   il potere imprenditoriale, infatti, nel momento in cui è esercitato con i finanziamenti pubblici e consiste in servizi per la collettività, cede il passo al buon funzionamento e alla legalità della pubblica amministrazione, poiché il danno che si verrebbe a creare sarebbe cagionato in concorso dallo Stato –:
   il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se al Governo risulti che se sussistano in capo al gruppo i requisiti richiesti ai fini dell'accreditamento al servizio sanitario nazionale;
   se il Governo non intenda attivarsi affinché vengano chiarite le ragioni per le quali non sia ancora stato sospeso o revocato l'accreditamento al servizio sanitario nazionale delle struttura sanitaria;
   se il Governo non ritenga che sussistano i presupposti affinché, per il tramite del commissario ad acta per il rientro dei disavanzi sanitari, vengano assunte iniziative per la revoca dell'accreditamento, al fine di salvaguardare il fondamentale diritto alla salute dei cittadini, messo a rischio da una struttura sanitaria che appare priva dei requisiti minimi richiesti dalla normativa nazionale e regionale e, comunque, quali iniziative di competenza si intendano assumere al riguardo.
(4-12485)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta scritta:


   FRUSONE. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la Croce Rossa Italiana ha indetto il concorso pubblico, per esami, per il reclutamento di 12 dirigenti di seconda fascia, per le esigenze del Comitato centrale e dei comitati regionali - con bando pubblicato nella Gazzetta Ufficiale 4a Serie Speciale n. 21 del 14 marzo 2008 - sulla base del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 4 agosto 2005 che autorizzava l'ente a bandire una procedura di reclutamento per 20 dirigenti;
   la graduatoria del predetto concorso pubblico è stata approvata con determinazione del direttore del dipartimento risorse umane e organizzazione della Croce Rossa Italiana n. 7 del 22 gennaio 2009 che ha dichiarato solo 9 vincitori a seguito della determina direttoriale n. 5 del 21 gennaio 2009, adottata dall'ente il giorno precedente, che ha operato una riduzione dei posti messi a concorso da 12 a 9;
   i 12 posti messi a concorso con il bando citato non dovevano subire alcuna riduzione successivamente alla stesura della graduatoria definitiva da parte della commissione giudicante;
   la predetta determinazione direttoriale n. 5 del 21 gennaio 2009, adottata in attuazione dell'articolo 74, comma 1, lettera a) e c) del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, appare all'interrogante in contrasto con quanto disposto dall'articolo 74, comma 5, del medesimo decreto-legge che fa espressamente salve le procedure concorsuali e di mobilità avviate alla data di entrata in vigore del predetto decreto e ciò in evidente coerenza con i principi che regolano le procedure di selezione in rapporto all'esigenza di tutela delle legittime aspettative di ciascun partecipante ed a garanzia del buon andamento della pubblica amministrazione;
   con successiva determinazione dipartimentale delle risorse umane n. 154 del 17 giugno 2009 la Croce Rossa italiana ha ulteriormente ridotto il numero dei vincitori dirigenti da 9 a 8, ad avviso dell'interrogante, senza alcun fondamento normativo a supporto di tale riduzione;
   con seguente determinazione dipartimentale delle risorse umane n. 145 del 6 agosto 2010 – pubblicata nella Gazzetta Ufficiale – 4a Serie Speciale – n. 71 del 7 settembre 2010 – la Croce Rossa Italiana ha approvato la nuova graduatoria generale di merito relativa al concorso pubblico, per esami, per il reclutamento di otto dirigenti con inserimento di una candidata esclusa dalla precedente graduatoria in esecuzione della sentenza TAR Lazio n. 11367 del 20 novembre 2009;
   tali atti, non solo sono di dubbia legittimità, ma comportano anche un danno economico, posto che l'indizione dei bandi di concorsi pubblici rappresenta un elevato costo in termini economici per le casse dello Stato e un onere anche per i candidati che vi partecipano, che possono vedere vanificati i propri sacrifici a causa di una diminuzione delle possibilità di successo risultando legittimati a chiedere il ristoro di tutti i danni subiti;
   a ciò si aggiunge che la Croce Rossa italiana avrebbe assunto, nel 2008 dirigenti di seconda fascia, che avrebbero ottenuto immediatamente incarico dirigenziale di prima fascia ed ha assunto quattro dirigenti, al di fuori della graduatoria vigente del concorso dirigenziale in questione, in data 15 settembre 2008 successivamente all'indizione della procedura concorsuale avvenuta con il citato bando dell'8 marzo 2008;
   l'ente ha continuato ad assumere numerosi dirigenti di seconda fascia al di fuori della citata graduatoria nel corso degli anni dal 2009 al 2015, e quindi sempre successivamente alla pubblicazione della graduatoria generale di merito;
   infatti, dopo l'approvazione della graduatoria di merito sono state assunte tre dirigenti non presenti nella medesima, rispettivamente in data 15 febbraio 2010, 1o luglio 2010, 1o dicembre 2010;
   ulteriori quattro dirigenti sono stati assunti nel corso del 2011 con procedure di mobilità volontaria, rispettivamente in data 7 marzo 2011, 6 giugno 2011, 24 giugno 2011, 1o settembre 2011, anch'essi tutti estranei alla procedura concorsuale di cui trattasi;
   come argomento utile a legittimare tali nomine, non può essere utilizzato il ricorso all'istituto della mobilità di cui all'articolo 30 del decreto legislativo 30 marzo 2001 n. 165; infatti, le predette nomine trovano supporto nella determinazione del direttore del dipartimento risorse umane e organizzazione n. 27 del 1o ottobre 2007, precedente al Concorso pubblico per esami del 2008 – che, dunque, ad essa si riferisce; peraltro, l'avviso di mobilità in argomento – pubblicato in data 27 ottobre 2007 sul sito internet dell'ente – stabiliva, all'articolo 2 il termine perentorio di presentazione delle domande per l'ammissione alla procedura di mobilità «entro e non oltre il quarantacinquesimo giorno successivo dalla data di pubblicazione del presente avviso nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica Italiana – 4a serie speciale» e all'articolo 4 che «l'esito della procedura sarà pubblicato sul sito internet www.cri.it»; tale pubblicazione non è stata rinvenuta sul sito istituzionale della Croce Rossa italiana e, del resto, il bando di mobilità, avendo per sua natura una scadenza perentoria, non prevedeva integrazioni e aggiornamenti della graduatoria medesima; per le ragioni sopra esposte, appare evidente che la suddetta procedura di mobilità era già stata esperita e conclusa prima dell'approvazione della graduatoria di cui è causa;
   infine, va osservato che l'esperimento di procedure di mobilità di cui al decreto legislativo n. 165 del 2001 è soggetto a provvedimenti di autorizzazione e ad una adeguata pubblicità nel rispetto del principio della trasparenza dell'attività amministrativa alla luce anche delle circolari emanate dal dipartimento della funzione pubblica n. 10 del 20 luglio 2007, n. 4 del 18 aprile 2008, n. 46078 del 18 ottobre 2010, n. 11786 del 22 febbraio 2011;
   ulteriore personale è stato assunto con qualifica dirigenziale, anziché ricorrere al legittimo scorrimento della graduatoria nel 2012 anche attraverso lo strumento del comando utilizzato fino ad agosto 2015 (n. 1 dirigente);
   trattasi, per lo più, di segretari comunali, non equiparati dalla normativa vigente al personale dirigenziale, oltre a n. 2 ufficiali del Corpo militare CRI, anch'essi secondo l'interrogante non equiparabili a personale con qualifica dirigenziale, assunti come dirigenti in data 31 dicembre 2013;
   inoltre risultano unità assunte in comando come dirigenti di seconda fascia che hanno ottenuto l'incarico di prima fascia con aggravio di costi a carico della CRI;
   la Croce Rossa Italiana dal 2009 ha altresì conferito incarichi dirigenziali ai sensi dell'articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 a personale estraneo alla procedura concorsuale, rispettivamente uno dal 2003 e l'altro dal 2009, continuando a rinnovare gli incarichi medesimi;
   nonostante l'autorizzazione rilasciata con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2009 ad assumere n. 11 dirigenti, la Croce Rossa italiana CRI ha assunto dalla graduatoria generale di merito del concorso dirigenziale in questione solo n. 6 dirigenti in data 1o luglio 2009 di cui due beneficiari della riserva del posto;
   in data 21 settembre 2010, ha assunto un ulteriore vincitore riammesso in graduatoria a seguito della citata sentenza emessa dal TAR Lazio;
   nonostante le numerose rinunce e dimissioni da parte dei vincitori oltre ai vari trasferimenti per mobilità in altre pubbliche amministrazioni, di cui due autorizzati anche il giorno stesso dell'assunzione, l'ente ha assunto solamente due idonei, uno in data 14 luglio 2009 e l'ultimo in data 5 ottobre 2010, mentre altri due idonei hanno usufruito ciascuno di una convenzione ad personam stipulata dalla Croce Rossa Italiana con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e con il Ministero dell'economia e delle finanze, ai fini dell'inquadramento dirigenziale ai sensi dell'articolo 3, comma 61, della legge n. 350 del 24 dicembre 2003;
   un ulteriore idoneo è a tutti gli effetti uscito dalla graduatoria in quanto superato dalla predetta convenzione stipulata fra la CRI e il Ministero dell'economia e delle finanze, essendo collocato nella posizione immediatamente precedente, implicando, per questa ragione, un'ulteriore riduzione del numero degli interessati;
   la Croce Rossa Italiana, a giudizio dell'interrogante, non ha mai fornito dati esatti – sul numero dei vincitori e idonei assunti – al dipartimento della funzione pubblica ai fini della rilevazione delle graduatorie concorsuali vigenti;
   gli idonei in attesa di assunzione non sono infatti dieci come comunicato dalla Croce Rossa Italiana (peraltro l'ente include, secondo l'interrogante, erroneamente, tra i dieci la candidata collocata in penultima posizione della graduatoria che è stata assunta nel 2009 in quanto riservataria, e quindi già in organico presso la Cri);
   tra i nove idonei collocati in graduatoria solamente quattro aspirano all'assunzione, perché i restanti idonei hanno già incarico dirigenziale presso altre pubbliche amministrazioni ed hanno formulato rinuncia scritta all'assunzione nella Croce Rossa Italiana;
   la descritta azione di gestione delle risorse umane e di reclutamento di risorse umane al di fuori della graduatoria vigente adottata dalla Croce Rossa Italiana è secondo l'interrogante del tutto contraria ai principi costituzionali del buon andamento e dell'imparzialità dell'azione amministrativa e di economicità e inoltre l'esperimento di procedure di mobilità ai sensi del decreto legislativo n. 165 del 2001 è soggetto a provvedimenti di autorizzazione e ad una adeguata pubblicità nel rispetto del principio della trasparenza dell'attività amministrativa, alla luce anche delle circolari emanate dalla Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica n. 10 del 20 luglio 2007, n. 4 del 18 aprile 2008, n. 46078 del 18 ottobre 2010, n. 11786 del 22 febbraio 2011 e successive; tali autorizzazioni, a quanto consta all'interrogante, non sarebbero state richieste dalla Croce Rossa Italiana;
   la posizione degli idonei in attesa di assunzione è compromessa, oltre che dall'assunzione di personale non presente nella graduatoria di cui trattasi, anche dal provvedimento di riorganizzazione dell'ente di cui al decreto legislativo n. 178 del 2012;
   tuttavia, va evidenziato che dall'organigramma attuale della CRI che prevede n. 25 posti di dirigente di seconda fascia, risultano presenti n.7 posti disponibili (conferiti ad interim ai dirigenti in servizio con aggravio di costi a carico della CRI) ed in particolare:
    n. 1 posto nell'amministrazione centrale presso il servizio di reclutamento organizzazione e sviluppo professionale;
    n. 6 posti nell'amministrazione periferica (nella direzione regionale Valle D'Aosta e Piemonte, direzione regionale delle province autonome di Trento e di Bolzano, direzione regionale della Lombardia, direzione regionale Toscana, direzione regionale Campania e Basilicata, direzione regionale Umbria) –:
   se si intendano assumere iniziative necessarie al fine di ripristinare il corretto ricorso alla graduatoria per il reclutamento del personale dirigente della Croce Rossa Italiana per la copertura dei posti vacanti;
   per quali motivi non si è proceduto allo scorrimento della graduatoria di cui al concorso pubblico per esami di cui sopra, posto che l'Ente aveva avuto l'autorizzazione all'assunzione di n. 20 dirigenti di II fascia (come indicato nella determina di approvazione della graduatoria) e che, da ultimo, il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2009 autorizzava la CRI all'assunzione di n. 11 dirigenti, mentre attualmente – del predetto pubblico concorso – sono in servizio n. 5 dirigenti, con l'effetto che tale autorizzazione non è stata utilizzata per l'intero (ostacolando, in tal modo, i rimanenti idonei), mentre la Croce Rossa Italiana ha continuato a chiedere l'autorizzazione peraltro al Ministero dell'economia e delle finanze e non al Dipartimento della funzione pubblica;
   quali siano i criteri attraverso i quali sono stati assunti come dirigenti, ex articolo 19, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 unità prive di qualifica dirigenziale, posto che le persone assunte e attualmente in forza non avrebbero titoli di specialità, nonché due colonnelli, in assenza di una previsione normativa che consenta l'equiparazione a personale con qualifica dirigenziale;
   per quali motivi non è stato rispettato quanto sancito dalla circolare del dipartimento della funzione pubblica n. 5/2013, che sancisce l'obbligo per le pubbliche amministrazioni di far ricorso alle graduatorie vigenti anche in caso di conferimento di incarico a tempo determinato;
   quali siano i criteri di assunzione del personale dirigenziale a partire dal 2009, visto che da quel momento i posti non sono stati più coperti mediante scorrimento della graduatoria, ma mediante mobilità e comandi di personale extra-graduatoria;
   se i Ministri interrogati intendano verificare, per quanto di competenza, la gestione amministrativa sopra descritta, posto che la motivazione del «blocco assunzionale» secondo l'interrogante non significa alcuna assunzione, ma assunzioni contingentate e tenendo conto che – se si considera che della predetta (onerosa) procedura concorsuale risultano attualmente in servizio solo n. 5 dirigenti a fronte del collocamento a riposo di oltre 20 dirigenti – si comprende come tale limite non sussista (e, si ripete, le posizioni dirigenziali attualmente vacanti sono n. 7 ed è ancora valida l'autorizzazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 30 marzo 2009);
   se non si intendano assumere iniziative volte alla copertura dei posti dirigenziali disponibili mediante lo scorrimento della graduatoria e l'assunzione degli idonei ancora interessati ovvero iniziative per l'utilizzo dello strumento della convenzione di cui all'articolo 3, comma 61, della legge n. 350 del 24 dicembre 2003 per l'assunzione dei dirigenti idonei ancora in attesa, considerato che si tratta di personale selezionato mediante pubblico concorso per esami, in possesso di qualificata esperienza lavorativa nell'ambito della pubblica amministrazione nonché di titoli di laurea e di specializzazioni post-lauream, e di titoli di abilitazione professionale in materia giuridica ed economica così come richiesto nel bando di concorso. (4-12494)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   PIZZOLANTE. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il carburante a base di metano viene attualmente commercializzato con la sigla CNG (compressed natural gas/gas naturale compresso), una miscela compressa a 220 bar, che i distributori di metano prelevano in genere direttamente dalla rete che fornisce anche le utenze domestiche, invece che rifornirsi attraverso autocisterne come avviene per i carburanti liquidi. Questa circostanza risulta determinante per la diffusione degli impianti, che devono prevedere i costi di allaccio ai metanodotti. L'adozione di metano GNL (Gas Naturale Liquefatto), frutto della liquefazione alla temperatura di –162o del CNG, consentirebbe di non dipendere dai metanodotti, essendo il GNL trasportabile su gomma e via mare e stoccato in serbatoi criogenici fuori terra, che lo mantengono in forma liquida. Le stazioni di rifornimento di GNL, oltre a presentare minori costi di installazione, sarebbero anche più economiche sotto il profilo della manutenzione perché non hanno bisogno dell'elettricità che il CNG richiede per comprimere il metano (circa 0,07 euro al chilogrammo). Le stazioni di rifornimento GNL presentano inoltre considerevoli vantaggi sotto il profilo della sicurezza e sarebbero perfettamente integrabili con quelle che erogano carburanti tradizionali;
   la trasportabilità del GNL, infine, è già oggi assicurata da moderne autocisterne, che hanno mediamente una capacità di 52.000 litri e possono dunque garantire rifornimenti adeguati e tempestivi;
   pertanto, la progressiva adozione di metano GNL per la mobilità rappresenterebbe una soluzione di grande efficacia nella prospettiva della riduzione, dell'impatto ambientale della circolazione veicolare e dei trasporti;
   nel giugno 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha presentato il «Documento di consultazione pubblica per la strategia nazionale sul GNL», redatto da un gruppo di lavoro coordinato dallo stesso Ministero dello sviluppo economico (cui hanno partecipato vari Ministeri, associazioni, stakeholders, ed enti come ENEA, RINA, CIG) e che ha raccolto ulteriori pareri di operatori del settore e associazioni ambientaliste; il documento è finalizzato alla definizione, entro la fine del 2015, di una strategia nazionale del GNL, che indichi obiettivi concreti da conseguire e le misure previste per la loro attuazione e adozione da parte dei Ministeri interessati;
   il documento è di particolare rilevanza perché contiene misure relative a una serie di impegni assunti dal Governo in sede parlamentare, a partire dall'affermazione che «il Governo Italiano si è impegnato in sede parlamentare (Odg G1.92 (già em. 1.92) ai lavori di conversione in legge del decreto-legge 145/2013 – "Destinazione Italia») ad adottare iniziative per la realizzazione di centri di stoccaggio e ridistribuzione nonché norme per la realizzazione dei distributori di GNL, in tutto il territorio nazionale, anche al fine di ridurre l'impatto ambientale dei motori diesel nel trasporto via mare e su strada;
   la legge di delegazione europea 2014, ha recepito la direttiva 2014/94/EU sullo sviluppo dell'infrastruttura per i combustibili alternativi (DAFI), che prevede che gli Stati membri producano piani di sviluppo delle diverse fonti alternative per il settore dei trasporti entro il 2016. Sul versante specifico del trasporto su strada, la DAFI prevede che entro il 31 dicembre 2025 gli Stati membri realizzino un numero adeguato di punti di rifornimento GNL accessibili al pubblico «almeno lungo la rete centrale della TEN-T ("Trans-European Transport Network"), al fine di assicurare la circolazione in tutta l'Unione dei veicoli pesanti alimentati a GNL. Gli Stati membri sono tenuti inoltre a favorire un sistema di distribuzione adeguato per la fornitura di GNL nel rispettivo territorio, comprese le strutture di carico per i veicoli cisterna di GNL.» La strategia della Unione europea riguarderà anche «le infrastrutture di trasporto necessarie a collegare i punti di accesso del GNL con il mercato interno, il potenziale di stoccaggio del gas in Europa e il quadro normativo necessario per garantire gas sufficiente negli stoccaggi per l'inverno. La CE si adopererà anche per rimuovere gli ostacoli alle importazioni di GNL dagli Stati Uniti e dagli altri produttori di GNL.»;
   il documento del Ministero dello sviluppo economico ribadisce inoltre l'assoluta necessità di lanciare una strategia complessiva sul GNL estesa sull'intero territorio nazionale, giacché soluzioni limitate ad aree specifiche del Paese non sarebbero giustificate in termini di mercato e non garantirebbero il ritorno economico degli investimenti necessari, oltre al fatto che i vantaggi saranno tanto più rilevanti per il sistema Paese quanto maggiore sarà la diffusione del GNL come carburante e combustibile, rappresentando esso un utile contributo al miglioramento delle qualità ambientali (le analisi svolte nella redazione del documento evidenziano che l'impiego del GNL in alternativa ai combustibili attuali consente un contenimento del particolato fino al 90 per cento). Il documento del Ministero dello sviluppo economico, pertanto, ritiene l'uso di GNL «coerente» con gli obiettivi posti dalla SEN;
   da sottolineare, infine, l'impatto che lo sviluppo della distribuzione del GNL in Italia può avere sull'economia industriale del Paese, attraverso l'impulso ai settori delle costruzioni metalmeccaniche specializzate nell'impiego di acciai speciali, a quelli della progettazione e realizzazione di impianti di stoccaggio e distribuzione di liquidi criogenici, alla cantieristica navale, all'industria automobilistica e al suo indotto, oltre che alla industria dell'approvvigionamento e della distribuzione –:
   alla luce delle considerazioni espresse nel documento di consultazione pubblica per la strategia nazionale sul GNL, della letteratura scientifica in materia e delle analisi sperimentali effettuate sui benefici ambientali che deriverebbero dall'adozione su larga la scala del gas liquefatto come combustibile per la mobilità urbana ed extraurbana, quali iniziative concrete di competenza intenda adottare nell'immediato per il potenziamento della rete distributiva di metano GNL e per la promozione del suo uso nel settore dei trasporti e della logistica. (5-08094)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PRESTIGIACOMO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la vita economica, sociale e politica delle amministrazioni locali siciliane versa in uno stato disastroso, a giudizio dell'interrogante, a causa della pessima gestione dei rappresentanti del Partito democratico e del Movimento 5 stelle che occupano i principali ruoli decisionali;
   a Gela, dopo anni di indecisione, disimpegni economici e crisi generale, la situazione è precipitata e migliaia di operai (oltre tremila) subiscono lo stallo del percorso di riqualificazione del sito petrolchimico e aspettano, invano, segnali dalle istituzioni politiche, dalle amministrazioni locali e nazionali e dall'Eni stesso;
   la protesta degli abitanti di Gela è montata nel corso degli ultimi mesi: i cittadini hanno bloccato le vie d'accesso alla città per giorni, nella speranza di ricevere qualche comunicazione da parte delle istituzioni. Migliaia di persone hanno manifestato e continuano a manifestare per le strade della cittadina siciliana in segno di solidarietà ai lavoratori del petrolchimico Eni;
   un protocollo firmato il 6 novembre 2014 prevede un accordo tra l'Eni, la regione siciliana e il Ministero dello sviluppo economico per l'investimento di 2,2 miliardi di euro, con bonifiche sul territorio e riconversione del petrolchimico in una bio-raffineria. Un piano che rilancerebbe la zona industriale di Gela e salverebbe tutti i posti di lavoro: «Un passo importante per la difesa dell'occupazione e il consolidamento di questa realtà industriale. Fondamentale vigilare su tappe e tempi affinché siano rispettati gli accordi», aveva dichiarato il portavoce del Ministro Guidi quasi 1 anno e mezzo fa. Ma nessun azione è stata ancora avviata;
   l'accordo di programma, infatti, si è subito arenato a causa del mancato rilascio delle autorizzazioni ministeriali per la riconversione degli impianti e a tutt'oggi risulta bloccato;
   attualmente i più sfortunati, tra gli operai colpiti, non hanno più accesso agli ammortizzatori sociali e sopravvivono senza ricevere alcun tipo di remunerazione;
   l'attuale vertice dell'Eni starebbe valutando l'ipotesi di cedere il comparto chimico dell'azienda, tramite l'advisor Barclays. Questo è quello che emerge da un recente dispaccio dell'agenzia giornalistica Bloomberg;
   questa ipotesi getta ancor più nell'incertezza il futuro di lavoratori ed operai del gruppo, che temono il ripercuotersi di ulteriori disastrosi effetti occupazionali a causa di un'operazione che appare l'ennesimo caso di cessione di eccellenze industriali italiane a gruppi stranieri che generano, spesso, solo speculazioni finanziarie;
   il presidente della regione siciliana, Rosario Crocetta, continua a rassicurare i cittadini, così come varie rassicurazioni giungono dal Governo nazionale, il quale promette l'inizio di investimenti e riconversioni in tempi brevi, nonché la nascita di un polo industriale ecosostenibile;
   agli annunci delle istituzioni, oramai datati, non è seguito nessun fatto concreto e, anzi, si fa sempre più concreta l'ipotesi della chiusura della raffineria e di una lunga e angosciante attesa per la riconversione. Riconversione che, all'atto della stipula dell'accordo, prometteva: la garanzia del mantenimento di tutti i posti di lavoro, compresi quelli dell'indotto; l'impegno all'utilizzo del sito per l'insediamento di una bio-raffineria, nonché come base logistica per l'onshore e l’offshore; la nascita di un nuovo centro di alto livello per la sicurezza nel settore dei biocarburanti;
   l'Eni ha più volte ribadito che: il protocollo di intesa per l'area di Gela procede nei tempi previsti, anche dopo aver incontrato le organizzazioni sindacali, la regione Sicilia, l'amministrazione comunale di Gela e il Ministero dello sviluppo economico per verificare lo stato di attuazione dell'accordo siglato il 6 novembre 2014;
   è inaccettabile che l'accordo siglato più di 1 anno fa non abbia avuto attuazione alcuna e che si abbandoni, di fatto, un intero territorio in una situazione di incertezza e di difficoltà. Non è possibile ipotizzare la totale dismissione di un'intera filiera che getterebbe nella disperazione più totale tutte le categorie di lavoratori tra diretto e indotto –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda porre in essere al fine di dare concreta attuazione al protocollo siglato nel 2014 tra l'Eni, la regione siciliana e il Ministero dello sviluppo economico nel tentativo di risolvere le problematiche economiche, sociali e politiche riportate in premessa;
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere al fine di evitare ripercussioni occupazionali a discapito degli operai del sito petrolchimico nonché di garantire agli stessi l'accesso agli ammortizzatori sociali. (4-12484)


   ALBINI, CENNI, FOSSATI e TERROSI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 266 del 23 dicembre 2005 (articolo 1, comma 345) e con il relativo decreto di applicazione n. 116 del 22 giugno 2007 entrato in vigore il 17 agosto 2007 (Gazzetta Ufficiale serie generale n. 178 del 2 agosto 2007) sono stati disciplinati lo stato giuridico e la destinazione dei cosiddetti rapporti «dormienti» all'interno del sistema bancario nonché del comparto finanziario ed assicurativo;
   nello specifico, accertata l'impossibilità giuridica di applicare ai contratti di assicurazione le disposizioni attuative della legge n. 266 del 2005, sono state introdotte, alcune modifiche alla disciplina dei cosiddetti «conti dormienti», così da far rientrare anche gli importi relativi ai contratti assicurativi tra le somme destinate ad alimentare il fondo;
   tali modifiche sono state apportate con il decreto-legge, 28 agosto 2008, n. 134 (cosiddetto decreto Alitalia), convertito dalla legge n. 166 del 2008 e sono in vigore dal 28 ottobre 2008; questa disciplina non ha potuto trovare concreta applicazione nei confronti delle società assicuratrici, in quanto, visto il particolare regime prescrittivo, tutti i rapporti contrattuali con gli assicurati risultavano giuridicamente estinti trascorso un anno dalla data di libera disponibilità delle relative somme; sempre nell'anno 2008, un decreto-legge ha modificato la normativa introducendo il comma 345-quater dell'articolo 1 nella legge 266 del 2005 secondo cui «Gli importi dovuti ai beneficiari dei contratti di cui all'articolo 2, comma 1, del codice delle assicurazioni private, di cui al decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209, che non sono reclamati entro il termine di prescrizione del relativo diritto, sono devoluti al fondo di cui al comma 343». Il comma 2-ter del decreto-legge 134 del 2008 ha fissato questo termine di prescrizione in 2 anni dal giorno in cui si è verificato il diritto (ad esempio, la morte dell'assicurato o la scadenza della polizza); l'articolo 22, comma 14, del decreto-legge n. 179 del 2012 come modificato dalla legge di conversione n. 221 del 2012 ha disposto, quindi, che «Al fine di superare possibili disparità di trattamento tra i consumatori nel settore delle polizze vita, il secondo comma dell'articolo 2952 del codice civile è sostituito dal seguente: “Gli altri diritti derivanti dal contratto di assicurazione e dal contratto di riassicurazione si prescrivono in due anni dal giorno in cui si è verificato il fatto su cui il diritto si fonda, ad esclusione del contratto di assicurazione sulla vita i cui diritti si prescrivono in dieci anni”»;
   tale termine, con l'articolo 22, comma 14, è stato esteso a 10 anni, accogliendo, finalmente, quanto richiesto da alcune associazioni dei consumatori già nel 2008 al Ministero dell'economia e delle finanze, al fine di evitare così una disparità di trattamento tra i titolari di conti correnti «dormienti» e i titolari di polizze vita; tale nuova norma risolve la situazione per il futuro, in quanto, dall'entrata in vigore del provvedimento tutte le polizze avranno un termine di prescrizione di 10 anni, ma, allo stato attuale, non vale per le polizze già scadute e prescritte i cui capitali sono stati già devoluti, dal 2008 in poi al fondo dormienti gestito dalla Consap (Concessionaria servizi assicurativi pubblici spa);
   il 15 aprile 2015 è scaduto il termine per risvegliare le polizze «dormienti» prescritte prima del 29 ottobre 2008 e i dati riportano che dei 7,5 milioni di euro messi a disposizione per i rimborsi sono stati richiesti solo 2 milioni di euro; al fine di evitare disparità di trattamento fra i vari possessori di tali polizze, le associazioni dei consumatori maggiormente rappresentative hanno chiesto e ottenuto un incontro con l'IVASS per affrontare congiuntamente la problematica e chiesto un'audizione alle Commissioni parlamentari competenti affinché l'attuale struttura della norma possa essere modificata;
   successivamente, il decreto del Ministro dello sviluppo economico 6 agosto 2015, espletata la procedura di consultazione delle Commissioni parlamentari competenti, ha individuato le iniziative di cui all'articolo 148, comma 1, della legge 23 dicembre 2000, n. 388, per l'importo complessivo di euro 25.000.000, prevedendo all'articolo 6, comma 1, che «per favorire una restituzione almeno parziale a favore dei beneficiari di polizze prescritte e nel limite delle relative somme versate all'entrata per effetto delle disposizioni in materia di cosiddette polizze dormienti di cui ai commi 345-quater e 345-octies dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2005, n.266, come modificato dall'articolo 3, comma 2-bis, del decreto-legge 28 agosto 2008, n. 134, convertito con modificazioni dalla legge 27 ottobre 2008, n. 166, tenuto conto delle successive modifiche delle norme in materia di prescrizione e delle possibili conseguenti carenze di informazione agli interessati, alla Direzione generale per il mercato, la concorrenza, il consumatore, la vigilanza e la normativa tecnica è assegnata la somma di euro 3.500.000.»;
   CONSAP è stata incaricata dal Ministero dello sviluppo economico, mediante la sottoscrizione di apposita convenzione, previo parere da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, della gestione della procedura diretta, per le predette finalità, alla corresponsione di indennizzi in favore dei consumatori danneggiati in connessione diretta o indiretta alla retroattività delle modifiche intervenute in materia di prescrizione delle polizze vita e di effetti di tale prescrizione o, comunque, alla scarsa disponibilità e tempestività dell'informazione relativa al susseguirsi di tali modifiche;
   può essere presentata domanda di rimborso delle somme trasferite al fondo rapporti «dormienti» esclusivamente per quelle polizze vita prescritte cosiddette «Polizze dormienti») per le quali sono soddisfatte tutte le seguenti condizioni:
    a) evento (morte/vita dell'assicurato) o scadenza della polizza che hanno determinato il diritto a riscuotere il capitale assicurato, intervenuto successivamente alla data del 1o gennaio 2006;
    b) prescrizione di tale diritto intervenuta anteriormente al 1o aprile 2010;
    c) rifiuto della prestazione assicurativa, da parte dell'Intermediario, per effetto della suddetta prescrizione e conseguente trasferimento del relativo importo al Fondo rapporti dormienti;
    d) non aver già ricevuto alcun rimborso, anche parziale, nell'ambito di uno dei precedenti due avvisi di presentazione delle domande per polizze dormienti;
   in caso di accoglimento della domanda, sarà corrisposto al massimo il 70 per cento dell'importo della polizza devoluto dall'intermediario al fondo rapporti «dormienti», con le modalità di cui all'articolo 6;
   la limitazione del rimborso solo alle polizze prescritte prima del 31 dicembre 2009 non risolve comunque il problema generale delle polizze «dormienti», infatti molte delle polizze prescritte dopo tale data sono state devolute al Fondo polizze «dormienti» senza che i beneficiari sapessero nulla della prescrizione, creando iniquità ed evidenti disagi ai cittadini –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario assumere iniziative affinché si possa sanare la situazione di tutti i risparmiatori attualmente esclusi e discriminati rispetto a quelli che hanno potuto usufruire delle «finestre» finora previste;
   se non intendano assumere iniziative per prevedere per il futuro prossimo rimborsi anche per altre categorie;
   se non ritengano utile assumere iniziative normative per dare la possibilità ai possessori di polizze di riavere indietro il capitale entro 10 anni dall'evento che dà diritto alla riscossione. (4-12487)

Apposizione di firme ad una interrogazione.

  La interrogazione a risposta in Commissione Vallascas n. 5-08080, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 10 marzo 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: D'Uva, Tripiedi, Cancelleri, Scagliusi, Brescia.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Businarolo n. 4-10424, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 486 del 21 settembre 2015.

   BUSINAROLO. — Al Ministro della giustizia, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'attuale situazione del sistema carcerario italiano, caratterizzato dal sovraffollamento degli istituti di pena, dalla cronica inadeguatezza delle risorse e dalla carenza di personale, rappresenta un'emergenza per la quale occorre intervenire tempestivamente e in maniera incisiva;
   un caso emblematico di tale situazione è quello del nuovo carcere di Rovigo, i cui lavori, iniziati nel lontano 2007, quando l'allora Ministro della giustizia Mastella pose la prima pietra del colosso sorto a ridosso della tangenziale est, sono stati completati soltanto nel 2015;
   l'imponente struttura, composta da un corpo principale (con le 408 celle), il cortile e i locali a servizio dei detenuti, cui si aggiungono le palazzine con i 90 alloggi destinati agli agenti e i due attici da 160 metri quadri a disposizione del direttore e del comandante, è costata circa 30 milioni di euro ma l'inaugurazione ufficiale è avvenuta soltanto il 29 febbraio 2016;
   il caso del carcere di Rovigo, denunciato anche nel corso della trasmissione televisiva «Striscia La Notizia», rappresenta un vero e proprio paradosso: ovvero quello di un carcere nuovo, con le luci accese e i distributori di bevande già installati, ma vuoto. E non solo: nella struttura, che già presenta diverse criticità (tra cui il rinvenimento di animali morti, mancanza di riscaldamento, odori nauseabondi) gli agenti di polizia penitenziaria sono impiegati allo scopo di vigilare la struttura per evitare intrusioni e atti vandalici ma, allo stesso tempo, devono svolgere parallelamente il proprio lavoro anche presso la vecchia struttura carceraria di via Verdi, con turni massacranti di lavoro e in condizioni estremamente precarie;
   a giudizio dell'interrogante il nuovo carcere di Rovigo rischia di trasformarsi in una delle tante cattedrali nel deserto, ovvero in quelle opere realizzate rimaste inutilizzate, o peggio in un rifugio per sbandati o in un hub per immigrati –:
   quale sia, ad oggi, la situazione dei due istituti penitenziari di Rovigo e, alla luce dei fatti sopra esposti, se sia stato completato il trasferimento di tutti i detenuti dalla vecchia struttura carceraria di via Verdi a quella di recente inaugurata e se sia stato attuato anche il trasferimento di tutto il personale (comprendente agenti di polizia penitenziaria e personale amministrativo), garantendo loro condizioni di vita e di lavoro dignitose. (4-10424)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Businarolo n. 5-07373 del 14 gennaio 2016.
   interrogazione a risposta scritta n. 4-11802 del 27 gennaio 2016.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato così trasformato su richiesta del presentatore: interrogazione a risposta in Commissione Valiante n. 5-05204 del 31 marzo 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12489.

INTERROGAZIONI PER LE QUALI È PERVENUTA RISPOSTA SCRITTA ALLA PRESIDENZA


   AMATO, CASTRICONE, D'INCECCO, FUSILLI e GINOBLE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   dal 5 marzo 2015 si è registrata una eccezionale ondata di maltempo che ha colpito l'Abruzzo e l'alto Molise e con particolare intensità e conseguenze le province di Chieti e Pescara e Teramo; in poche ore si è abbattuta una vera bomba d'acqua che ha allagato strade, case, esercizi commerciali, campi agricoli, stabilimenti industriali;
   per circostanze ancora da chiarire un incendio con una terribile esplosione è scaturito dalla rottura del metanodotto all'altezza di Mutignano, nel teramano, con gravissime conseguenze ambientali e, prima ancora, con danni alle persone, solo fortunosamente senza esiti mortali;
   il perdurare del maltempo complicato dal black out elettrico, ha aggravato la situazione ostacolando gli interventi di soccorso;
   migliaia di persone e interi territori dopo quattro giorni ancora sono ancora senz'acqua e senza corrente elettrica, l'intera area della costa dei trabocchi è stata colpita, con allagamenti, smottamenti e danni alle infrastrutture;
   i danni alle attività produttive, alle infrastrutture e alle abitazioni private sono ingenti e non è ancora possibile stimarli con precisione;
   una voragine ha interessato l'asse attrezzato Chieti-Pescara causando un incidente che ha coinvolto circa venti veicoli, buche e allagamenti hanno interessato la rete stradale dell'area costiera e dell'area interna;
   l'elevata quantità di pioggia ha determinato l'esondazione dei fiumi Tordino, Trigno, Feltrino e dei relativi torrenti e in alcuni tratti del Pescara, del Sangro e del Tronto;
   nel vastese gli allagamenti hanno reso necessaria la evacuazione degli stabilimenti industriali del vastese Pilkinton e Denso per i quali allo stato attuale non c’è ancora una stima effettiva dei danni;
   la situazione è critica e necessita di interventi urgenti –:
   se e quali iniziative il Governo intenda intraprendere al più presto per la dichiarazione dello stato di emergenza per il comprensorio in questione e il successivo riconoscimento dello stato di calamità naturale. (4-08333)

  Risposta. — Con riguardo all'anomala ondata di maltempo che, nel mese di marzo 2015, ha colpito le regioni Abruzzo e Molise causando, tra l'altro, notevoli disagi al settore agricolo, segnalo che, rispettivamente con il decreto ministeriale 18 novembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 3 dicembre 2015 e con il decreto ministeriale 15 luglio 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 28 luglio 2015, sono state integralmente accolte le richieste di provvidenze ex decreto legislativo del 29 marzo 2004, n. 102 presentate dalle citate regioni.
  Con il primo provvedimento sono stati delimitati alcuni territori agricoli delle province di Chieti, Pescara e Teramo per i quali sono state attivate le provvidenze di cui all'articolo 5, comma 3, del decreto legislativo del 29 marzo 2004, n. 102, per il ripristino delle strutture aziendali danneggiate.
  Per quanto concerne la regione Molise, il menzionato provvedimento ministeriale ha delimitato alcuni territori agricoli della provincia di Campobasso ove sono state attivate le provvidenze di cui all'articolo 5, comma 6, del decreto legislativo n. 102 del 2004, per il ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola danneggiata.
  Ricordo infine, che i contributi in conto capitale per il ripristino delle strutture aziendali danneggiate possono essere erogati a favore delle imprese agricole che hanno presentato domanda alle regioni di appartenenza entro il termine di 45 giorni dalla pubblicazione del decreto di declaratoria.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   ARLOTTI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 30 settembre 2015, il sindaco del comune di Montefiore Conca (RN), Valli Cipriani, ha disposto la chiusura degli uffici comunali per il giorno 2 ottobre 2015;
   a quanto risulta all'interrogante, la comunicazione della chiusura è stata data con l'affissione negli uffici di semplici fogli A4, su carta intestata del comune di Montefiore Conca, timbrati e firmati dal sindaco;
   nella stessa comunicazione vengono citate le motivazioni della chiusura degli uffici comunali, ovvero «per protesta contro la politica irresponsabile dei tagli, l'aumento delle tasse e la riduzione del servizi», aggiungendo che si garantiranno i servizi essenziali;
   il sito internet del comune di Montefiore, nella sezione «comunicazioni ufficiali», non riporta in alcun modo la comunicazione della chiusura degli uffici;
   la garanzia dei servizi essenziali è prevista da norme atte a garantire di non interrompere i servizi stessi e a non creare disagi ai cittadini e agli utenti, come accade in caso di scioperi;
   pare di estrema gravità che un sindaco chiuda al pubblico gli uffici comunali per un'azione di protesta che, dalle motivazioni, risulta rivolta al Governo –:
   se di tale chiusura sia stata data adeguata comunicazione ai soggetti istituzionali competenti, a partire dalla Prefettura di Rimini;
   se risulti che la medesima chiusura sia stata pubblicizzata nelle forme e nei modi necessari;
   se il Ministro intenda adottare iniziative, anche normative, al fine di evitare casi come quello citato in premessa in cui, ad avviso dell'interrogante, si potrebbe configurare una interruzione del pubblico servizio. (4-10627)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede notizie in merito alla chiusura degli uffici comunali di Montefiore Conca, in provincia di Rimini, avvenuta lo scorso 2 ottobre 2015.
  A tale proposito, si rappresenta che, effettivamente, nella predetta data, il sindaco di quel comune, aderendo a un'iniziativa promossa dall'associazione nazionale piccoli comuni italiani, ha disposto la chiusura al pubblico degli uffici dell'ente per l'intera giornata. L'iniziativa era motivata dall'esigenza di protestare contro i tagli dei trasferimenti statali agli enti locali. Lo stesso sindaco ha fatto presente che alla manifestazione hanno aderito 564 comuni.
  Secondo quanto riferito dalla locale compagnia Carabinieri, nel corso della giornata, gli uffici interessati hanno continuato ad assolvere gli adempimenti di competenza a porte chiuse, assicurando in ogni caso l'erogazione dei servizi essenziali ai cittadini.
  Peraltro, non sono pervenute segnalazioni di protesta da parte dei cittadini.
  Si soggiunge che il sindaco ha dato comunicazione alla cittadinanza della chiusura degli uffici con provvedimento del 30 settembre 2015. Copia di esso è stata trasmessa dalla compagnia dei Carabinieri alla prefettura di Rimini lo stesso 2 ottobre.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   ARLOTTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Rimini, lo storico ristorante trattoria «Da Tonino il Lurido» ha chiuso i battenti nell'ottobre 2014;
   il sito TripAdvisor offre consigli di viaggio pubblicati da milioni di viaggiatori e i siti a marchio TripAdvisor rappresentano in 47 paesi la più grande community di viaggiatori del mondo, con 350 milioni di visitatori unici ogni mese e più di 290 milioni di recensioni e opinioni relative a 5,3 milioni di alloggi, ristoranti e attrazioni;
   sulla pagina di Tripadvisor del ristorante «Il Lurido» sono apparse delle recensioni nonostante la chiusura del locale, esattamente da ottobre 2015 sono 7 le recensioni scritte da persone che ne tracciano l'ottima qualità dei piatti serviti come se, in questo periodo, si fossero effettivamente sedute ai tavoli;
   di fronte alla notizia riportata dai media, l'ufficio stampa di TripAdvisor ha risposto che «attualmente sul sito sono presenti 5.3 milioni di business a livello globale, e ogni volta che riceviamo una segnalazione riguardo al cambiamento di dati relativi a un business, compresa la chiusura dello stesso, agiamo per verificare lo stato dell'attività e aggiornare di conseguenza il sito. In questo caso abbiamo investigato lo stato del ristorante ed essendo stato confermato che la struttura ha chiuso definitivamente abbiamo attivato la procedura volta ad aggiungere la segnalazione “chiuso” sulla rispettiva pagina all'interno del sito. Il potere della nostra community rappresenta di per sé una forza auto regolamentata e la natura stessa del nostro sito permette di rettificare tempestivamente qualunque imprecisione o incorrettezza», ammettendo sostanzialmente a giudizio dell'interrogante, di non controllare a priori l'attendibilità di quanto pubblicato;
   in un recente articolo, pubblicato da Il Messaggero del 22 giugno 2015, viene riportata la notizia di un esperimento condotto da «Italia a Tavola» per verificare l'attendibilità di TripAdvisor, celebre sito di recensioni: «Italia a Tavola» avrebbe iscritto al sito un ristorante, «La scaletta», mai esistito, a Moniga del Garda, attribuendogli recensioni ottime e facendolo balzare in cima alle classifiche del gradimento;
   nel 2012, il periodico «Il Salvagente» raccontava la paradossale offerta commerciale che si è vista recapitare la stragrande maggioranza dei 1.100 albergatori di Rimini, da una fantomatica Delta System, «agenzia promozionale on web», che proponeva pacchetti di recensioni positive per migliorare il posizionamento delle strutture ricettive; già nel 2011 Patrizia Rinaldis, presidente dell'Associazione italiana albergatori di Rimini, aveva ribadito la necessità di cambiare le regole di questi servizi, basati su recensioni anonime, a volte rivelatesi false;
   nel 2010 Federalberghi ha inviato all'Autorità garante della concorrenza e del mercato una segnalazione di presunta scorrettezza delle pratiche commerciali poste in essere da Tripadvisor;
   da quanto sopra riportato, è evidente, per l'interrogante, che nessun controllo sia stato fatto da Tripadvisor nelle varie occasioni per verificare la reale esistenza o operatività di un'attività, né tanto meno siano stati predisposti dei sistemi di controllo delle presunte finte recensioni –:
   quali iniziative di competenza, anche normative intenda intraprendere il Ministro interrogato per risolvere il problema dell'inattendibilità del mezzo, che pare pubblicare recensioni di clienti o supposti tali senza operare alcun preventivo controllo, e per introdurre un riconoscimento di certificazione e affidabilità delle recensioni, a garanzia della tracciabilità e credibilità di coloro che esprimono i loro giudizi. (4-11580)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in oggetto con il quale l'interrogante chiede se il Ministero sia a conoscenza del fatto che alcune recensioni pubblicate da TripAdvisor, ovvero la più grande community di viaggiatori del mondo, sarebbero non veritiere o riferite a strutture non più operative. Conseguentemente si chiede quali iniziative di competenza, anche normative, intenda intraprendere il Ministero interrogato per risolvere il problema dell'inattendibilità del mezzo.
  A tale proposito si evidenzia quanto segue.
  L'Italia che risulta essere tra le nazioni con il più alto indice di gradimento da parte dei viaggiatori su TripAdvisor, con un punteggio medio sulle imprese ricettive più alto della media europea e mondiale, si è dimostrato anche un paese sensibile alla tutela del consumatore.
  Si ricorda in proposito che lo scorso mese di marzo a TripAdvisor è stato intimato di rimuovere dal sito una recensione su un ristorante di Venezia ritenuta falsa e diffamatoria e che l'autorità garante della concorrenza e del mercato a seguito di segnalazioni formulate dall'unione nazionale consumatori, da federalberghi ed altri, ha comminato una multa di 500.000 euro a TripAdvisor, a causa di pratiche commerciali scorrette in violazione del codice del consumo.
  Attualmente la Federazione italiana pubblici esercizi, insieme ad altre associazioni di categoria sta collaborando con TripAdvisor per individuare modalità operative e strumenti finalizzati a colpire la compravendita delle recensioni e ad eliminare quelle false con il comune obiettivo della veridicità delle informazioni fornite agli utenti.
  Il tema della false recensioni sta al centro della corretta attenzione sia degli esercenti che dei consumatori; resta il fatto che è interesse anche di TripAdvisor aumentare il livello di controllo, che vede negli stessi consumatori i soggetti in grado di attivare le opportune segnalazioni di abusi o malfunzionamenti. Il Ministero comunque si impegna a monitorare con attenzione il fenomeno e a fornire ogni utile supporto, nell'ambito delle sue competenze e in stretta collaborazione con gli altri interlocutori, al fine di combattere il fenomeno segnalato e le distorsioni da esso causate, valutando, in tale prospettiva, anche la praticabilità degli interventi proposti in sede parlamentare.

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   ATTAGUILE. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 9 settembre 2015 il territorio dei comuni del Calatino (Catania) è stato interessato da una pioggia persistente, accompagnata da una intensa e duratura grandinata che ha compromesso le coltivazioni locali, in particolare, oliveti, frutteti e carciofeti, causando gravissimi danni alle produzioni, alle strutture, infrastrutture e provocando smottamenti che in alcuni casi rendono impossibile il transito nelle aziende agricole;
   l'evento ha danneggiato in particolare gli agrumeti, i cui impianti sono stati in alcuni casi distrutti nella struttura e le produzioni letteralmente staccate dalle piante, proprio nella loro fase di ingrossamento, nonché gli impianti di oliveti già prossimi alla raccolta. In alcune zone si è arrivati ad una perdita di produzione lorda vendibile per l'annata corrente del 100 per cento e sicuramente, vista la gravità delle lesioni alle strutture vegetali, vi saranno ripercussioni anche per le future annate;
   ai recenti eventi alluvionali si aggiunge poi un'altra piaga che si abbatte sul comparto agrumicolo siciliano ovvero quella scaturita dal Citrus Tristeza virus più conosciuto come «Tristezza degli agrumi». Il virus ha devastato, in questi anni nelle campagne del catanese e del siracusano, circa 32.000 ettari di agrumeti per la quale non vi è un rimedio fitopatologico, ma l'unico metodo di controllo della patologia è la riconversione produttiva degli impianti con l'utilizzo di portainnesti tolleranti e l'adozione di un'adeguata politica di monitoraggio e prevenzione dei ceppi più virulenti oltreché la distruzione delle piante definitivamente compromesse a seguito di ordinanza del servizio fitosanitario regionale;
   se non si interviene con determinazione ed urgenza si rischia di assistere ad un ulteriore drammatica crisi economica nelle famiglie degli agricoltori e del tessuto economico del territorio siciliano compromettendo in modo irreversibile redditi e occupazione –:
   se ritenga opportuno, in considerazione della gravità dell'accaduto, assumere iniziative per prevedere misure straordinarie per affrontare l'emergenza nei territori colpiti e per finanziare adeguatamente gli interventi utili al sostegno degli agricoltori siciliani che si trovano a fronteggiare le perdite dei loro raccolti, anche futuri, provocati dalla straordinaria grandinata nonché al fine di consentire una immediata ripresa del comparto agrumicolo;
   se intenda intervenire, a sostegno delle aziende agrumicole siciliane colpite dal Citrus Tristeza Virus, prevedendo appositi finanziamenti per la riconversione degli impianti agrumicoli infetti. (4-10646)

  Risposta. — Con riguardo alla segnalata e anomala ondata di maltempo che, nel settembre 2015, ha colpito alcuni territori della provincia di Catania provocando disagi al settore agricolo, faccio presente che nessuna richiesta di intervento del Fondo di solidarietà nazionale è stata presentata a tutt'oggi da parte della Regione Sicilia, nei termini e con le modalità prescritte dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102 e successive modifiche e integrazioni. Con l'occasione, ricordo che gli interventi previsti dal citato decreto legislativo, per il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per le avversità e le colture danneggiate non comprese nel Piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi le cui polizze sono agevolate da un contributo statale fino all'80 per cento della spesa premi sostenuta (per gli eventi atmosferici accaduti fino al 2014) e fino al 65 per cento per quelli accaduti nel 2015.
  Vorrei tuttavia segnalare che gli strumenti
ex ante, come quello assicurativo, si sono dimostrati nel corso del tempo nettamente più efficaci rispetto agli interventi compensativi assicurando, infatti, oltre 7 miliardi di euro di produzione lorda vendibile agricola.
  Peraltro, le assicurazioni agevolate sono state inserite tra le misure analizzate dalla Commissione europea per far fronte, a partire dal periodo di programmazione 2014-2020, alle crisi che interessano il settore agricolo. Infatti, sono all'esame mirate azioni volte ad assicurare l'estensione territoriale della misura e a meglio informare le imprese agricole circa la portata e le potenzialità dello strumento assicurativo.
  Compatibilmente con le esigenze primarie delle imprese agricole, potranno essere adottate anche misure volte al ripristino delle infrastrutture connesse all'attività agricola, tra le quali quelle irrigue e di bonifica, con onere della spesa a carico del fondo di solidarietà nazionale.
  Per quanto riguarda, infine, l'infezione del virus
Citrus Tristeza che ha causato danni al settore agrumicolo, faccio presente che gli interventi di riconversione degli impianti colpiti dal patogeno sono di esclusiva competenza regionale; tale misura infatti può essere prevista nell'ambito del programma di sviluppo rurale regionale.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   BASILIO, MASSIMILIANO BERNINI e SIMONE VALENTE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la necropoli etrusca di Norchia, in provincia di Viterbo, ricadente sul territorio amministrato dal comune di Viterbo, è un sito archeologico preistorico, etrusco, romano e medievale situato lungo l'antica Via Clodia;
   la zona fu già abitata a partire dall'epoca preistorica. Le prime tracce risalgono infatti al Paleolitico superiore e si intensificano nell'Età del Bronzo, con resti di capanne. Con l'arrivo degli Etruschi sorsero l'abitato e la vicina necropoli, già a partire dagli inizi del VI o del V secolo a.C.;
   in epoca medievale, la città tornò ad essere frequentata in epoca longobarda, quando la zona faceva da confine con il Ducato romano, per essere poi fortificata nel XII secolo da papa Adriano IV. Tra il XII e il XIII secolo vennero eretti le chiese di S. Pietro e S. Giovanni e il castello, passato nel XIII alla famiglia Di Vico;
   la città, definitivamente abbandonata nel 1435, rappresenta attualmente una delle necropoli etrusche più importanti della regione Lazio, testimonianza fondamentale e di notevole valore storico-culturale dell'intera civiltà etrusca;
   come si evince da un articolo a firma del giornalista Daniele Camilli, pubblicato su giornale on line «Tuscia Web» il 2 novembre 2015, il sito archeologico di Norchia versa oggi in uno stato di totale ed intollerabile abbandono;
   l'intera area, infatti, risulta completamente invasa dalla vegetazione che ha nuovamente «sepolto» la necropoli etrusca, rischiando di danneggiare irrimediabilmente le importantissime tombe presenti e la zona è piena di pericoli che potrebbero arrecare gravi danni all'incolumità delle persone che volessero visitare la necropoli;
   come è noto, ai sensi dell'articolo 18 del codice dei beni culturali e del paesaggio (decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42), la vigilanza sui beni culturali compete al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, unitamente ai poteri di ispezione, protezione e conservazione dei ben sottoposti alla sua tutela;
   al fine di evitare il rischio di un disastro archeologico, con gravi ripercussioni anche sul turismo del territorio, è necessario che il sito di Norchia, già oggetto negli anni precedenti di dichiarazione di interesse culturale di cui all'articolo 13 del codice dei beni culturali, possa ricevere in tempi rapidi adeguata protezione e conservazione da parte delle autorità competenti –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, quale sia l'assetto delle competenze in merito alla vigilanza del sito archeologico in questione e se siano state delegate funzioni amministrative anche alla regione Lazio;
   quale sia l'assetto delle competenze in merito alla tutela del sito archeologico in questione da parte della Soprintendenza e dell'amministrazione comunale di Viterbo sul cui territorio la necropoli etrusca di Norchia ricade;
   quali siano i terreni ancora di proprietà privata ricadenti all'interno della necropoli etrusca di Norchia e quali gli obblighi e le responsabilità dei privati, così previsti dalla normativa vigente;
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda adottare – e che tempi siano previsti – per tutelare, salvaguardare e valorizzare l'importantissimo patrimonio archeologico e culturale rappresentato dalla necropoli etrusca di Norchia. (4-11193)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in esame, nella quale, con riferimento alla necropoli etrusca di Norchia, in provincia di Viterbo, l'interrogante chiede di conoscere l'assetto delle competenze di vigilanza e tutela del sito, tra ministero, regione Lazio e comune di Viterbo, quali siano i terreni proprietà privata ricadenti all'interno della necropoli e gli obblighi dei proprietari stessi e, infine, quali iniziative si intenda adottare per tutelare, salvaguardare e valorizzare il sito.
  Con riguardo ai quesiti posti dall'interrogante la Direzione generale archeologia e la soprintendenza archeologia del Lazio e dell'Etruria meridionale, competente per territorio, hanno fornito le seguenti informazioni.
  Il complesso monumentale-paesaggistico, che comprende una vasta area (almeno 20 ettari), si estende sul pianoro dove era ubicata la città antica e sui fianchi scoscesi che si affacciano sulle valli del Biedano, del Pile e dell'Acqualta. Qui la grande necropoli di tombe a facciata rupestre di IV-III secolo avanti Cristo si articola su più ordini sovrapposti collegati da scale e rampe, anch'esse ricavate nel tufo e costruite, a livello di fondovalle, anche su massi erratici.
  Il sito non è di semplice manutenzione, ma pone questioni di natura statico-strutturale peggiorate da una vegetazione spontanea che, con la sua crescita incontrollata, esercita azioni di stress del tufo, aggravando lo stato di conservazione dei resti.
  Il complesso, interessato da circoscritti interventi conservativi fino agli anni ’90, non ha successivamente potuto contare su specifici finanziamenti, fatta eccezione per interventi urgenti di tutela.
  In risposta a «quali siano i terreni ancora di proprietà privata ricadenti all'interno della necropoli etrusca» si informa che le testimonianze a est del fosso Biedano – comprendenti l'area dell'abitato antico, le necropoli delle tombe a Tempio in località Acqualta e le necropoli denominate Pile A-D – ricadono in terreni di proprietà privata, mentre i terreni a ovest del medesimo fosso, dove sono ubicati la cava Buia, la via Clodia e la tomba Lattanzi, sono proprietà del demanio militare, in uso da parte del poligono di Monte Romano. Gli obblighi e le responsabilità dei privati sono quelli previsti dal vigente codice dei beni culturali e del paesaggio, emanato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, il quale dispone, all'articolo 1, comma 5, che «I privati proprietari, possessori o detentori di beni appartenenti al patrimonio culturale, ivi compresi gli enti ecclesiastici civilmente riconosciuti, sono tenuti a garantire la conservazione», obbligo ribadito anche all'articolo 30, comma 3, dello stesso codice («I privati proprietari, possessori o detentori di beni culturali sono tenuti a garantirne la conservazione»).
  Lo stesso codice, sopra richiamato, regola altresì l'assetto delle competenze tra il ministero e gli altri enti territoriali, in ordine alla vigilanza e alla tutela del sito.
  Avvalendosi del cosiddetto
Art bonus, introdotto dall'articolo 1 del decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito nella legge del 29 luglio 2014 n. 106, (Disposizioni urgenti per la tutela del patrimonio culturale, lo sviluppo della cultura e il rilancio del turismo), la Soprintendenza ha recentemente concordato con il proprietario dei terreni in cui ricade la necropoli dell'Acqualta, l'erogazione in denaro a favore di un intervento di restauro delle cosiddette Tombe a Tempio.
  La soprintendenza ha, inoltre, conferito al Dipartimento per il servizio geologico d'Italia dell'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale), l'incarico di studio – a titolo non oneroso – dei meccanismi di deterioramento e degrado delle pareti rupestri, premessa conoscitiva necessaria per programmare un intervento di salvaguardia su larga scala, con il coinvolgimento dei soggetti pubblici e privati interessati.
  In accordo con l'amministrazione comunale di Viterbo, nel cui territorio ricade la Necropoli, è stato avviato, infine, un progetto per l'istituzione del «Parco archeologico delle necropoli rupestri».

Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   BERRETTA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   a seguito della trasformazione dell'ente Poste italiane in Poste italiane s.p.a., i lavoratori postelegrafonici in base all'articolo 53 comma 6 della legge n. 449 del 30 dicembre 1997 (legge finanziaria 1998), che stabilisce che «a decorrere dalla data di trasformazione dell'ente poste italiane in società per azioni al personale dipendente dalla società medesima spettano il trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile, e per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di cui all'alinea del presente comma», hanno diritto alla corresponsione di tfr e di indennità di buonuscita;
   al personale dipendente della società Poste italiane spetta per il servizio prestato al momento dell'assunzione fino al 28 febbraio 1998 — data di trasformazione dell'ente in società per azioni – l'indennità di buonuscita di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 23 dicembre 1973;
   tale indennità di buonuscita è calcolata, in base all'articolo 3 del decreto 1032 del Presidente della Repubblica, per tutti i dipendenti pubblici avendo a riferimento l'ultima retribuzione percepita dal lavoratore prima della sua collocazione in quiescenza e che tale indennità, avendo a riferimento l'ultima retribuzione percepita, ne garantisce la sua costante rivalutazione per effetto degli aumenti contrattuali e degli avanzamenti di carriera dei lavoratori;
   detta liquidazione, tuttavia, viene effettuata in base all'interpretazione letterale del comma 6 di cui sopra, facendo riferimento alla retribuzione percepita al 28 febbraio 1998, data di trasformazione dell'ente in società per azioni;
   il sopracitato sistema di calcolo, che «congela» la buonuscita al valore maturato al 28 febbraio 1998 indipendentemente da quando il lavoratore andrà in pensione, determina un evidente e grave danno economico ai lavoratori interessati, e cioè a tutti i dipendenti di Poste assunti prima di tale data, che sono la grande maggioranza degli attuali dipendenti;
   tale sistema di calcolo impedisce anche la conseguente rivalutazione della buonuscita stessa;
   i lavoratori postelegrafonici sono passati alle dipendenze della nuova società mantenendo di fatto la continuità lavorativa con il precedente ente;
   in questi anni i lavoratori collocati in quiescenza hanno prodotto un notevole contenzioso giudiziario per la rivalutazione della buonuscita sulla base dell'ultima retribuzione percepita prima della quiescenza stessa;
   il contenzioso giudiziario ha avuto sino ad ora esito favorevole per i lavoratori, ma, nonostante le sentenze avverse, le dinamiche di liquidazione adottate continuano a fondarsi sull'interpretazione restrittiva dell'articolo 53 della suindicata legge;
   ai dipendenti di Poste italiane non viene concessa neanche l'anticipazione del 75 per cento della buonuscita così come avviene per altri lavoratori e alla richiesta, più volte reiterata dagli stessi, di essere messi a conoscenza dell'esatto ammontare del valore della buonuscita maturato al 28 febbraio 1998, non è stato dato alcun tipo di riscontro da parte degli uffici competenti;
   la cifra complessiva destinata alle predette liquidazioni è confluita in un fondo chiuso presso l'Ipost, affidato a una gestione commissariale denominata «gestione commissariale fondo buonuscita per i lavoratori di Poste italiane»;
   in data 6 novembre 2012 la IX Commissione lavoro della XVI legislatura ha approvato una risoluzione in materia di corresponsione dell'indennità di buonuscita ai lavoratori ed ex lavoratori postelegrafonici che impegnava il Governo pro tempore a valutare la possibilità, compatibilmente con gli effetti finanziari, di adottare eventuali iniziative, anche di natura normative, che consentissero ai lavoratori di usufruire dell'aggiornamento del valore dell'indennità nonché di consentire la corresponsione pur in costanza di rapporto di lavoro;
   a tale risoluzione non hanno fatto seguito le opportune e necessarie iniziative di legge –:
   quali iniziative intendano assumere per consentire ai lavoratori di Poste italiane spa di usufruire di un costante aggiornamento del valore dell'indennità di buonuscita, per assicurare il diritto alla corresponsione della buonuscita di detti lavoratori, pur in costanza di rapporto di lavoro e per garantire la trasparenza sull'esatto ammontare della buonuscita alla data del 28 febbraio 1998. (4-05737)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente al trattamento di quiescenza spettante al personale dipendente di Poste italiane spa, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, è opportuno ricordare che il processo di privatizzazione di Poste italiane spa ha avuto inizio con l'emanazione del decreto-legge n. 390 del 1993 (dapprima reiterato con il decreto-legge n. 487 del 1993 e successivamente convertito nella legge n. 71 del 1994) che ha segnato l'avvio del passaggio dell'amministrazione delle poste e telecomunicazioni nell'ente pubblico economico Poste italiane.
  Il provvedimento ha, tra l'altro, previsto che, a decorrere dal 1o agosto 1994, al trattamento di quiescenza di tutto il personale in servizio presso l'ente Poste italiane provvedesse l'Istituto postelegrafonici (Ipost), applicando la normativa prevista per il personale statale.
  Successivamente, l'articolo 2, comma 27, della legge n. 662 del 1996 (Finanziaria per l'anno 1997) ha differito al 31 dicembre 1997 il termine per la definitiva privatizzazione dell'amministrazione delle poste e delle comunicazioni. Tale termine è stato ulteriormente prorogato al 1o marzo 1998 a seguito di delibera Cipe del 18 dicembre 1997.
  In ragione del completamento del procedimento di privatizzazione, l'articolo 53, comma 6, lettera a), della legge n. 449 del 1997 (Finanziaria per l'anno 1998) ha disposto che al personale dipendente di Poste italiane spa spetta, per il servizio prestato a decorrere dal 28 febbraio 1998 (data di trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni), il trattamento di fine rapporto (Tfr), di cui all'articolo 2120 del codice civile, e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente anteriormente alla suindicata data.
  Dal dettato normativo discende, pertanto, che:
   i dipendenti cessati dal servizio entro il 28 febbraio 1998 hanno diritto a percepire esclusivamente l'indennità di buonuscita, calcolata in conformità alla disciplina di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1032 del 1973 (Testo Unico delle norme in materia di prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato);
   i dipendenti cessati dal servizio dopo il 28 febbraio 1998, avranno diritto a percepire l'indennità di buonuscita, per il periodo dalla data di assunzione al 28 febbraio 1998, nonché, per il periodo dal 1o marzo 1998 alla data del collocamento a riposo, il Tfr, ai sensi dell'articolo 2120 del codice civile come modificato dalla legge n. 297 del 1982.

  Per questi ultimi, pertanto, l'anzianità di servizio maturata fino al 28 febbraio 1998 rileverà ai fini del calcolo previsto per la liquidazione dell'indennità di buonuscita, mentre l'anzianità maturata dal 1o marzo 1998 alle dipendenze di Poste italiane spa sino al collocamento a riposo, inciderà sul calcolo del Tfr secondo la disciplina privatistica di cui all'articolo 2120 codice civile e successive modifiche e integrazioni.
  Si ricorda infine che il comma 6, lettera
a) dell'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 ha disposto la soppressione della gestione separata istituita presso istituto postelegrafonici (Ipost) per l'erogazione dell'indennità di buonuscita alla cui liquidazione provvede una gestione commissariale.
  Con riferimento a quanto rilevato dall'interrogante in ordine alla mancata rivalutazione ed anticipazione dell'indennità di buonuscita, nonché ai tempi di corresponsione della stessa, occorre precisare quanto segue.
  L'indennità di buonuscita dovuta al personale postelegrafonico, relativa alla parte del rapporto avente natura pubblicistica, è disciplinata, in via generale, dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 e, per quanto qui interessa, dalla suindicata legge n. 449 del 1997 che, nel confermare che la stessa buonuscita va calcolata in base alla normativa in vigore alla data della trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni, non prevede alcuna forma di rivalutazione dell'indennità in argomento.
  Del resto, anche l'interpretazione letterale dell'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 conduce a tale conclusione in quanto la norma, facendo esclusivo riferimento all'indennità «maturata», stabilisce che la prestazione debba essere calcolata sulla base dei valori retributivi utili in vigore al 28 febbraio 1998.
  Sul punto è intervenuta la Corte costituzionale che, nella sentenza n. 366 del 2006, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 53, comma 6, lettera
a) della legge n. 449 del 1997, nella parte in cui non prevede alcuna forma di indicizzazione (o di adeguamento monetario) nel tempo per l'indennità di buonuscita.
  Con tale pronuncia, infatti, il giudice delle leggi ha sancito la sostanziale legittimità costituzionale del sistema disciplinato dall'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 rilevando, altresì, che «il danno derivante dal differimento dell'erogazione dell'indennità di buonuscita rispetto al momento della sua determinazione, trova compensazione nella previsione dell'unicità del rapporto e nel rispetto delle anzianità maturate, con i conseguenti riflessi sui livelli delle retribuzioni e, quindi, sulla base di calcolo della quota da determinare ai sensi dell'articolo 2120 del codice civile.
  In ordine al contenzioso giudiziario avente ad oggetto la rivalutazione della indennità di buonuscita sulla base dell'ultima retribuzione percepita prima della quiescenza, occorre precisare che la Corte di cassazione, sulla scorta delle argomentazioni svolte dalla Consulta nella sentenza n. 366 del 2006, ha suffragato la legittimità di calcolo dell'indennità di buonuscita sulla base della retribuzione maturata al 28 febbraio 1998, momento a partire dal quale il dipendente postale matura il diritto al Tfr.
  La suprema corte, in particolare, con sentenza del 17 settembre 2009, ha respinto sia la richiesta di computo dell'indennità di buonuscita sulla base del trattamento retributivo in atto al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, sia il riconoscimento in favore della indennità di interessi e rivalutazione monetaria.
  Per ciò che concerne i tempi di corresponsione dell'indennità di buonuscita ai dipendenti di Poste italiane spa, va precisato che, alla data del 28 febbraio 1998, non risulta maturato alcun diritto all'indennità di buonuscita in favore del lavoratore, in quanto il rapporto di lavoro è proseguito, sia pure sotto una veste giuridica diversa, con il medesimo datore di lavoro e quindi senza soluzione di continuità.
  Diversamente, l'immediato pagamento al 28 febbraio 1998 dell'indennità in parola sarebbe stato possibile solo previa interruzione del rapporto di lavoro e previa costituzione, a decorrere dal 1o marzo 1998, di una nuova posizione giuridica ed economica, con conseguente pregiudizio per il lavoratore.
  Si precisa, inoltre, che anche nei confronti del personale dipendente di Poste italiane spa trovano piena applicazione, relativamente alla parte di rapporto di lavoro avente natura pubblicistica, le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 484 e 485, della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014) che hanno modificato la previgente disciplina sui termini temporali per la corresponsione dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) dei dipendenti pubblici.
  Infatti, nella previgente disciplina di cui all'articolo 3 del decreto-legge n. 79 del 1997 i trattamenti in esame erano corrisposti ai dipendenti pubblici decorsi 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età o di servizio ovvero di collocamento a riposo d'ufficio per motivi inerenti l'anzianità massima di servizio, decorsi 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
  La nuova disciplina, che si applica ai soggetti che maturino i requisiti per il pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2014, eleva a 12 mesi il termine di 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro per la corresponsione del suddetto trattamento nella casistica sopra richiamata.
  Per ciò che concerne la possibilità per i dipendenti di Poste italiane spa di ottenere un'anticipazione dell'indennità di buonuscita, l'Istituto ha precisato che l'articolo 26, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 ha espressamente previsto che in materia di indennità di buonuscita non si fa luogo alla corresponsione di acconti.
  Occorre ricordare, in proposito, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 9 del 2000, ha ritenuto conforme al dettato costituzionale il decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 nella parte in cui non prevede la possibilità di accorciare ai richiedenti anticipazioni sull'indennità di buonuscita.
  In base a quanto suesposto, emerge che il pertinente quadro normativo, di cui la stessa Consulta ha affermato la conformità alla Costituzione, non consente di accedere alle pur comprensibili istanze sottese al presente atto di sindacato ispettivo.
  Si osserva al riguardo che, pur volendo tenere nella più adeguata considerazione tali istanze, il loro pieno accoglimento comporterebbe, unitamente alla modifica dell'attuale disciplina in materia di buonuscita, l'allocazione di ingenti risorse finanziarie, la cui possibilità di reperimento deve essere valutata alla luce dell'attuale quadro congiunturale.
  Peraltro, la risoluzione n. 8-30208 (già 7-00635), approvata in data 6 novembre 2012 dalla Commissione XI (lavoro pubblico e privato) ha impegnato il Governo «a valutare la possibilità, entro il 31 gennaio 2013, e compatibilmente con gli effetti finanziari, di adottare eventuali iniziative, anche di natura normativa, che consentano ai lavoratori di Poste italiane spa di usufruire di un costante aggiornamento del valore dell'indennità di buonuscita, nonché per consentire il diritto alla corresponsione della buonuscita di detti lavoratori, pur in costanza di rapporto di lavoro».
  Dal citato atto di indirizzo emerge, dunque, come l'adozione, da parte del Governo, delle iniziative auspicate debba avvenire previa verifica delle necessarie compatibilità finanziarie.
  Si precisa, al riguardo, che i vincoli posti dall'attuale quadro finanziario di riferimento non hanno sinora consentito al Governo di introdurre modifiche all'attuale disciplina in materia di buonuscita, si da poter dare attuazione all'impegno sopracitato.
  Da ultimo, con riferimento alle iniziative volte a garantire la trasparenza sull'esatto ammontare della buonuscita al 28 febbraio 1998, la gestione commissariale fondo buonuscita per i lavoratori delle Poste italiane ha reso noto che, dal mese di gennaio 2013, è operativo sul sito web www.buonuscitaposte.it, un sistema di accesso alla banca dati per il quale ogni iscritto può consultare
on line il proprio fascicolo personale, verificare la correttezza dei dati ed effettuare autonomamente il calcolo dell'indennità di buonuscita. A tale sistema hanno avuto accesso, sino ad ora, circa 25.000 iscritti. Inoltre per tutti i soggetti ai quali sono state liquidate somme a titolo di buonuscita, è attiva la funzionalità di stampa della Certificazione unica relativa all'indennità percepita.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   STELLA BIANCHI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la liquidazione spettante al personale dipendente della società Poste italiane ha diritto, al momento della cessazione dal servizio, è composta di due quote: l'indennità di buonuscita maturata fino al 28 febbraio 1998, data della trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni, calcolata secondo la normativa vigente e corrisposta dalla gestione commissariale Fondo buonuscita unitamente al trattamento di fine rapporto previsto dall'articolo 2120 del codice civile, maturato dal marzo 1998 fino alla data di cessazione del servizio, che viene liquidata da Poste italiane spa;
   l'articolo 53, comma 6, della legge n. 449 del 30 dicembre 1997 (recante «Misure per la stabilizzazione della finanza pubblica») stabilisce che «A decorrere dalla data di trasformazione dell'Ente poste italiane in società per azioni (...) al personale dipendente dalla società medesima spettano: a) il trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di cui all'alinea del presente comma»;
   l'articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 23 dicembre 1973 prevede che l'indennità sia calcolata, per tutti i dipendenti pubblici, in riferimento all'ultima retribuzione percepita dal lavoratore prima della sua collocazione in quiescenza. In tal modo, avendo a riferimento l'ultima retribuzione percepita, si garantisce la costante rivalutazione dell'indennità di buonuscita, per effetto degli aumenti contrattuali e degli avanzamenti di carriera dei lavoratori;
   la gestione commissariale Fondo buonuscita per i lavoratori delle Poste liane, istituita con la legge 27 dicembre 1997, n. 449 articolo 53, 6° comma, con la finalità, tra l'altro, di provvedere alla liquidazione dell'indennità di buonuscita ha adottato un'interpretazione strettamente letterale del comma 6, calcolando l'indennità stessa in riferimento alla retribuzione percepita al 28 febbraio 1998, data di trasformazione dell'ente in società per azioni;
   questo sistema di calcolo ha di fatto legittimato la cristallizzazione del valore dell'indennità di buonuscita, ancorandola a quello della retribuzione percepita al 28 febbraio 1998, ignorando le dinamiche salariali che l'hanno caratterizzata e la conseguente rivalutazione un importante svantaggio economico ai lavoratori direttamente coinvolti, che si configurano in maggior parte come i dipendenti di poste assunti prima del febbraio 1998;
   i vari trattamenti di fine servizio che il nostro ordinamento conosce, o ha conosciuto, o che sono in fase di superamento, sono accomunati dal fatto di essere tutti dotati, pur nelle diversità dei relativi sistemi di calcolo, di meccanismi idonei a salvaguardarne il potere di acquisto o comunque a proteggerli dalla svalutazione dell'inflazione. Tutte le indennità di fine rapporto costituiscono parte del compenso dovuto per il lavoro prestato, la cui corresponsione viene differita in funzione previdenziale al fine agevolare il superamento delle difficoltà economiche che possono insorgere nel momento in cui viene meno la retribuzione;
   l'indennità di buonuscita deve essere ricondotta nella categoria generale dei trattamenti di fine rapporto nel settore pubblico, riconoscendo a tutti questi trattamenti in stretta analogia con quelli del settore privato la natura essenziale di retribuzione differita, legata ad una concorrente funzione previdenziale, e come ogni trattamento di fine servizio comunque denominato (trattamento di fine rapporto, indennità di buonuscita, indennità premio servizio, indennità di anzianità) può essere determinato solo al momento della risoluzione del rapporto, che costituisce non solo un termine per l'adempimento di un credito già maturato, ma un elemento essenziale di completamento della fattispecie;
   il sopra citato sistema di calcolo, che «congela» la buonuscita al valore maturato al 28 febbraio 1998 indipendentemente da quando il lavoratore andrà in pensione, determina un evidente e grave danno economico ai lavoratori interessati, e cioè a tutti i dipendenti di Poste assunti prima di tale data, impedendo la conseguente rivalutazione della buonuscita. La somma così determinata perderebbe progressivamente la proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato così realizzando disparità di trattamento non solo con altre categorie di lavoratori, pubblici e privati, ma anche all'interno della stessa categoria di dipendenti postali, cessati dal servizio prima del 28 febbraio 1998 o assunti dopo tale data;
   questa situazione ha causato nel corso degli anni molteplici procedimenti giudiziari dei lavoratori di Poste italiane contro Ipost, istituto postelegrafonici, per ottenere la rivalutazione della buonuscita sulla base dell'ultima retribuzione percepita prima della quiescenza stessa; il contenzioso giudiziario ha condotto a esiti a favore dei lavoratori e, malgrado le sentenze avverse, le dinamiche di liquidazione protratte dall'Ipost continuano a fondarsi sull'interpretazione restrittiva dell'articolo 53 della suindicata legge –:
   quali iniziative anche di natura normativa, intenda adottare per sanare la difficile situazione dei lavoratori di Poste italiane spa e consentire loro di usufruire di una costante rivalutazione del valore dell'indennità di buonuscita in modo che questa sia corrispondente a quanto maturato effettivamente e non bloccata alla data del 28 febbraio 1998. (4-07085)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente al trattamento di quiescenza spettante al personale dipendente di Poste italiane spa, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, è opportuno ricordare che il processo di privatizzazione di Poste italiane spa ha avuto inizio con l'emanazione del decreto-legge n. 390 del 1993 (dapprima reiterato con il decreto-legge n. 487 del 1993 e successivamente convertito nella legge n. 71 del 1994) che ha segnato l'avvio del passaggio dell'amministrazione delle poste e telecomunicazioni nell'ente pubblico economico Poste italiane.
  Il provvedimento ha, tra l'altro, previsto che, a decorrere dal 1o agosto 1994, al trattamento di quiescenza di tutto il personale in servizio presso l'ente Poste italiane provvedesse l'Istituto postelegrafonici (Ipost), applicando la normativa prevista per il personale statale.
  Successivamente, l'articolo 2, comma 27, della legge n. 662 del 1996 (Finanziaria per l'anno 1997) ha differito al 31 dicembre 1997 il termine per la definitiva privatizzazione dell'amministrazione delle poste c delle comunicazioni. Tale termine è stato ulteriormente prorogato al 1o marzo 1998 a seguito di delibera Cipe del 18 dicembre 1997.
  In ragione del completamento del procedimento di privatizzazione, l'articolo 53, comma 6, lettera a), della legge n. 449 del 1997 (Finanziaria per l'anno 1998) ha disposto che al personale dipendente di Poste italiane spa spetta, per il servizio prestato a decorrere dal 28 febbraio 1998 (data di trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni) il trattamento di fine rapporto (Tfr) di cui all'articolo 2120 del codice civile e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente anteriormente alla suindicata data.
  Dal dettato normativo discende, pertanto, che:
   i dipendenti cessati dal servizio entro il 28 febbraio 1998 hanno diritto a percepire esclusivamente l'indennità di buonuscita, calcolata in conformità alla disciplina di cui al decreto del Presidente della Repubblica 1032 del 1973 (Testo Unico delle norme in materia di prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato);
   i dipendenti cessati dal servizio dopo il 28 febbraio 1998, avranno diritto a percepire l'indennità di buonuscita, per il periodo dalla data di assunzione al 28 febbraio 1998, nonché, per il periodo dal 1o marzo 1998 alla data del collocamento a riposo, il Tfr ai sensi dell'articolo 2120 del codice civile come modificato dalla legge n. 297 del 1982.

  Per questi ultimi, pertanto, l'anzianità di servizio maturata fino al 28 febbraio 1998 rileverà ai lini del calcolo previsto per la liquidazione dell'indennità di buonuscita, mentre l'anzianità maturata dal 1o marzo 1998 alle dipendenze di Poste italiane spa sino al collocamento a riposo, inciderà sul calcolo del Tfr secondo la disciplina privatistica di cui all'articolo 2120 del codice civile e successive modificazioni e integrazioni.
  Si ricorda infine che il comma 6, lettera a) dell'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 ha disposto la soppressione della gestione separata istituita presso istituto postelegrafonici (Ipost) per l'erogazione dell'indennità di buonuscita alla cui liquidazione provvede una gestione commissariale.
  Con riferimento a quanto rilevato dall'interrogante in ordine alla mancata rivalutazione ed anticipazione dell'indennità di buonuscita nonché ai tempi di corresponsione della stessa, occorre precisare quanto segue.
  L'indennità di buonuscita dovuta al personale postelegrafonico, relativa alla parte del rapporto avente natura pubblicistica, è disciplinata, in via generale, dal decreto del Presidente della Repubblica 1032 del 1973 e, per quanto qui interessa, dalla suindicata legge n. 449 del 1997 che, nel confermare che la stessa buonuscita va calcolata in base alla normativa in vigore alla data della trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni, non prevede alcuna forma di rivalutazione dell'indennità in argomento.
  Del resto, anche l'interpretazione letterale dell'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 conduce a tale conclusione in quanto la norma, facendo esclusivo riferimento all'indennità «maturata», stabilisce che la prestazione debba essere calcolata sulla base dei valori retributivi utili in vigore al 28 febbraio 1998.
  Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 366 del 2006, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 53, comma 6, lettera a) della legge n. 449 del 1997, nella parte in cui non prevede alcuna forma di indicizzazione (o di adeguamento monetario) nel tempo per l'indennità di buonuscita.
  Con tale pronuncia, infatti, il Giudice delle leggi ha sancito la sostanziale legittimità costituzionale del sistema disciplinato dall'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 rilevando, altresì, che «il danno derivante dal differimento dell'erogazione dell'indennità di buonuscita rispetto al momento della sua determinazione, trova compensazione nella previsione dell'unicità del rapporto e nel rispetto delle anzianità maturate, con i conseguenti riflessi sui livelli delle retribuzioni e, quindi, sulla base di calcolo della quota da determinare ai sensi dell'articolo 2120 del codice civile.
  In ordine al contenzioso giudiziario avente ad oggetto la rivalutazione della indennità di buonuscita sulla base dell'ultima retribuzione percepita prima della quiescenza, occorre precisare che la Corte di Cassazione, sulla scorta delle argomentazioni svolte dalla Consulta nella sentenza n. 366 del 2006, ha suffragato la legittimità di calcolo dell'indennità di buonuscita sulla base della retribuzione maturata al 28 febbraio 1998, momento a partire dal quale il dipendente postale matura il diritto al Tfr.
  La Suprema Corte, in particolare, con sentenza del 17 settembre 2009, ha respinto sia la richiesta di computo dell'indennità di buonuscita sulla base del trattamento retributivo in atto al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, sia il riconoscimento in favore della indennità di interessi e rivalutazione monetaria.
  Per ciò che concerne i tempi di corresponsione dell'indennità di buonuscita ai dipendenti di Poste italiane spa, va precisato che, alla data del 28 febbraio 1998, non risulta maturato alcun diritto all'indennità di buonuscita in favore del lavoratore, in quanto il rapporto di lavoro è proseguito, sia pure sotto una veste giuridica diversa, con il medesimo datore di lavoro e quindi senza soluzione di continuità.
  Diversamente, l'immediato pagamento al 28 febbraio 1998 dell'indennità in parola sarebbe stato possibile solo previa interruzione del rapporto di lavoro e previa costituzione, a decorrere dal 1o marzo 1998, di una nuova posizione giuridica ed economica, con conseguente pregiudizio per il lavoratore.
  Si precisa, inoltre, che anche nei confronti del personale dipendente di Poste italiane spa trovano piena applicazione, relativamente alla parte di rapporto di lavoro avente natura pubblicistica, le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 484 e 485 della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014) che hanno modificato la previgente disciplina sui termini temporali per la corresponsione dei trattamenti di fine servizio (comunque denominati) dei dipendenti pubblici.
  Infatti, nella previgente disciplina di cui all'articolo 3 del decreto-legge n. 79 del 1997 i trattamenti in esame erano corrisposti ai dipendenti pubblici decorsi 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età o di servizio ovvero di collocamento a riposo d'ufficio per motivi inerenti l'anzianità massima di servizio, decorsi 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
  La nuova disciplina, che si applica ai soggetti che maturino i requisiti per il pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2014, eleva a 12 mesi il termine di 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro per la corresponsione del suddetto trattamento nella casistica sopra richiamata.
  Perciò che concerne la possibilità per i dipendenti di Poste italiane spa di ottenere un'anticipazione dell'indennità di buonuscita, l'istituto ha precisato che l'articolo 26, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 73 ha espressamente previsto che in materia di indennità di buonuscita non si fa luogo alla corresponsione di acconti.
  Occorre ricordare, in proposito, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 9 del 2000, ha ritenuto conforme al dettato costituzionale il decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 nella parte in cui non prevede la possibilità di accordare ai richiedenti anticipazioni sull'indennità di buonuscita.
  In base a quanto suesposto, emerge che il pertinente quadro normativo, di cui la stessa Consulta ha affermato la conformità alla Costituzione, non consente di accedere alle pur comprensibili istanze sottese al presente atto di sindacato ispettivo.
  Si osserva al riguardo che, pur volendo tenere nella più adeguata considerazione tali istanze, il loro pieno accoglimento comporterebbe, unitamente alla modifica dell'attuale disciplina in materia di buonuscita, l'allocazione di ingenti risorse finanziarie, la cui possibilità di reperimento deve essere valutata alla luce dell'attuale quadro congiunturale.
  Peraltro, la risoluzione n. 8-00208 (già 7-00635), approvata in data 6 novembre 2012 dalla Commissione XI (lavoro pubblico e privato) ha impegnato il Governo «a valutare la possibilità, entro il 31 gennaio 2013, e compatibilmente con gli effetti finanziari, di adottare eventuali iniziative, anche di natura normativa, che consentano ai lavoratori di Poste italiane spa di usufruire di un costante aggiornamento del valore dell'indennità di buonuscita, nonché per consentire il diritto alla corresponsione della buonuscita di detti lavoratori, pur in costanza di rapporto di lavoro».
  Dal citalo atto di indirizzo emerge, dunque, come l'adozione, da parte del Governo, delle iniziative auspicate debba avvenire previa verifica delle necessarie compatibilità finanziarie.
  Si precisa, al riguardo, che i vincoli posti dall'attuale quadro finanziario di riferimento non hanno sinora consentito al Governo di introdurre modifiche all'attuale disciplina in materia di buonuscita, sì da poter dare attuazione all'impegno sopracitato.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   NICOLA BIANCHI e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Sardegna da anni, almeno dal 2010, come confermano fonti di stampa, in particolare lungo il tratto di strada statale che congiunge Olbia con Sassari, nelle cui vicinanze ci sono anche zone di interesse naturalistico come il lago Coghinas, la società Anas e le ditte appaltatrici utilizzano diserbanti chimici per la decespugliazione dei bordi stradali;
   è stato riscontrato che in Italia, oltre alla Sardegna, le regioni dove sono utilizzati tali erbicidi sono la Toscana, l'Umbria, le Marche, il Lazio, la Valle d'Aosta e la Sicilia;
   questa pratica, che sostituisce in parte le tradizionali operazioni di sfalcio, non è vantaggiosa perché non riduce la necessità di interventi continui di pulitura dei margini stradali, deturpa l'ambiente e provoca effetti dannosi per la salute umana e per l'ecosistema;
   è stato riferito dalla popolazione locale che anche recentemente, in particolare tra il 22 e il 25 marzo 2014, è stata gettata ai bordi delle strade una massiccia quantità di diserbante chimico;
   il diserbante generalmente utilizzato è a base di glifosato. Il prodotto più diffuso è il Roundup, della multinazionale americana Monsanto, un gigante nel settore degli agrofarmaci;
   secondo la società Anas, che qualche tempo fa ha diramato una nota stampa sull'argomento, i prodotti usati per la pulizia dei bordi delle strade statali sono biodegradabili e non lasciano residui tossici dopo la loro applicazione, pertanto non sono dannosi;
   studi scientifici americani, invece, hanno sostenuto che tali erbicidi possono avere degli effetti tossici sulle popolazioni residenti nelle zone vicine a quelle in cui vengono utilizzati, con un forte aumento del rischio di alterazioni neurocomportamentali dei nascituri. In alcuni casi, inoltre, sono state riscontrate delle associazioni tra esposizione ai diserbanti chimici e morbo di Parkinson;
   diversi studiosi italiani hanno espresso preoccupazione sulla correlazione tra casi di tumore e l'esposizione prolungata a queste sostanze –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti citati in premessa;
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare, nell'ambito delle proprie competenze e nelle sedi che riterranno opportune, affinché si faccia ulteriore chiarezza sulle conseguenze provocate dall'uso dei citati erbicidi sulla salute degli uomini e degli animali e sull'ambiente;
   quali iniziative intendano altresì adottare i Ministri interrogati per vietare la vendita e l'utilizzo dei suddetti diserbanti chimici. (4-04362)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Con il decreto ministeriale 22 gennaio 2014 è stato adottato il piano di azione nazionale (Pan) per l'uso sostenibile dei prodotti fitosanitari, in linea con i contenuti della direttiva 2009/128/CE e del decreto legislativo n. 150 del 2012, con i seguenti obiettivi generali:
   a) ridurre i rischi e gli impatti dei prodotti fitosanitari sulla salute umana, sull'ambiente e sulla biodiversità;
   b) promuovere l'applicazione della difesa integrata, dell'agricoltura biologica e di altri approcci alternativi;
   c) proteggere gli utilizzatori dei prodotti fitosanitari e la popolazione interessata;
   d) tutelare i consumatori;
   e) salvaguardare l'ambiente acquatico e le acque potabili;
   f) conservare la biodiversità e tutelare gli ecosistemi.

  In particolare per quanto attiene l'ambito evidenziato dagli interroganti, il Piano affronta la problematica al punto A.5.4 – Misure per la riduzione e/o eliminazione dell'uso dei prodotti fitosanitari e dei rischi sulle o lungo le linee ferroviarie, indicando che «è necessario ridurre e/o eliminare, per quanto possibile, l'uso dei prodotti fitosanitari e i rischi connessi al loro utilizzo sulle o lungo le linee ferroviarie, ricorrendo a mezzi alternativi (meccanici, fisici e biologici), riducendo per quanto possibile le dosi di impiego dei prodotti fitosanitari ed utilizzando, per la loro distribuzione, le attrezzature e le modalità di impiego che consentano di ridurne al minimo le perdite nell'ambiente».
  Il piano prevede che entro due anni siano adottati criteri ambientali minimi da inserire obbligatoriamente nei capitolati tecnici delle gare d'appalto per l'esecuzione dei trattamenti fitosanitari nella rete stradale e autostradale.
  Inoltre, al punto A.5.5 (Misure per la riduzione e/o eliminazione dell'uso dei prodotti fitosanitari e dei rischi sulle o lungo le strade) del Pan si indica nello specifico che «è necessario ridurre e/o eliminare, per quanto possibile, l'uso dei prodotti fitosanitari e i rischi connessi al loro utilizzo sulle o lungo le strade, ricorrendo a mezzi alternativi (meccanici, fisici e biologici), riducendo per quanto possibile le dosi di impiego dei prodotti fitosanitari ed utilizzando, per la loro distribuzione, le attrezzature e le modalità di impiego che consentano di ridurne al minimo le perdite nell'ambiente, nel rispetto della sicurezza e del ruolo della vegetazione sui cigli stradali.
  Per tale scopo sono previste le seguenti misure:
   «sostituzione, dall'entrata in vigore del Piano, dei prodotti fitosanitari che contengono sostanze classificate per la cancerogenesi, la mutagenesi e la tossicità riproduttiva, in Categoria 1A e 1B, ai sensi del regolamento (CE) n. 1272/2008;
   sostituzione e/o limitazione, entro 3 anni dall'entrata in vigore del Piano, dei prodotti fitosanitari che riportano in etichetta le pertinenti frasi di precauzione SPe1, SPe2, Spe3 e SPe4, o classificati tossici, molto tossici e/o recanti in etichetta le frasi di rischio R40, R42, R43, R45, R60, R61, R62, R63, R64 e R68, ai sensi del decreto legislativo n. 65 del 2003 e successive modificazioni e integrazioni o le indicazioni di pericolo corrispondenti di cui al regolamento (CE) n. 1272/2008;
   divieto di effettuare trattamenti con insetticidi e acaricidi sulle alberate stradali durante la fase fenologica della fioritura».

  In particolare, all'interno dei criteri ambientali minimi da inserire nei capitolati tecnici delle gare d'appalto, saranno introdotte misure che prevedano di utilizzare il diserbo meccanico e fisico (ad esempio, pirodiserbo) in tutti i casi in cui esso possa sostituire il diserbo chimico. Inoltre, saranno previste opportune misure di gestione del sistema dei cigli stradali, al fine di ridurre il più possibile l'attecchimento e la crescita delle malerbe (pacciamatura verde o con materiali inerti, eccetera), tecniche o metodi alternativi all'impiego di prodotti fitosanitari anche per evitare l'insorgere di resistenze causate dall'uso ripetuto della stessa sostanza attiva e l'uso del mezzo chimico terrà conto delle previsioni meteorologiche, evitando l'utilizzo di prodotti fitosanitari nei giorni in cui sono previste precipitazioni e nei giorni immediatamente precedenti.
  Il 9 dicembre 2015 la direzione competente di questo Ministero ha trasmesso al servizio fitosanitario nazionale una bozza preliminare dei criteri ambientali da inserire in tali capitolati tecnici, per acquisire, come previsto dal citato decreto ministeriale 22 gennaio 2014, ogni utile contributo per l'emanazione del suddetto provvedimento. A breve si terrà un incontro convocato dalla Direzione competente del Dicastero con i Ministeri concertanti (Ministeri delle politiche agricole e della salute) per un esame a livello tecnico della citata bozza preliminare all'emanazione del provvedimento.
  Per quanto riguarda il prodotto Roundup, l'erbicida contenente il principio attivo denominato glifosate, l'Efsa (Autorità europea per la sicurezza alimentare) ha concluso nel novembre 2015 la valutazione dei dati presentati dall'industria produttrice e delle informazioni messe a disposizione dallo Iarc (Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro dell'organizzazione mondiale della sanità).
  Nell'aprile 2015, lo Iarc aveva concluso la propria valutazione, ritenendo che il principio attivo in questione dovesse essere classificato come «probabile cancerogeno per gli esseri umani», mentre l'Efsa è giunta alla conclusione che il glifosate non sia un probabile cancerogeno per l'uomo.
  Alle stesse conclusioni dell'Efsa è giunto anche lo Stato membro rapporteur (Germania) che ha esaminato sia le informazioni dello Iarc sia i dati sperimentali forniti dall'industria produttrice.
  In questo quadro di incertezza scientifica a livello internazionale, la Commissione europea ha ritenuto opportuno il rinvio della decisione attesa entro dicembre 2015, relativa al ritiro o al mantenimento del glifosate sul mercato, impegnandosi a presentare entro il 30 giugno 2016 una proposta di decisione da sottoporre al voto degli Stati membri, nell'ambito del Comitato permanente istituito ai sensi dell'articolo 58 del regolamento (CE) n. 178/2002.
  In attesa della proposta di decisione della Commissione Ue, il Ministero dell'ambiente, insieme alle altre Autorità interessate, sta effettuando i necessari approfondimenti tecnici al fine di arrivare ad una posizione comunitaria adeguata in ordine alla rilevante questione posta dagli interroganti, tenendo in considerazione tutti i dati disponibili di carattere sanitario, ambientale e socio-economico relativi agli usi agricoli ed extra-agricoli dei prodotti fitosanitari a base di glifosate, inclusi i dati di monitoraggio delle acque superficiali e sotterranee.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FRANCO BORDO, PALAZZOTTO e ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la Sicilia è stata flagellata da una settimana di intenso maltempo specialmente nella parte centro-meridionale, dopo il passaggio di un ciclone mediterraneo e del fronte atlantico che hanno portato le piogge a cadere anche sulla Penisola. I rovesci torrenziali, che nel weekend si sono abbattuti sull'isola, hanno fatto ingrossare ancor di più i fiumi portandoli a superare i livelli di guardia;
   si contano milioni di euro di danni alle coltivazioni e alle strutture agricole con frane e smottamenti che hanno compromesso la viabilità interna. I danni provocati dal maltempo in Sicilia hanno compromesso drammaticamente le produzioni più tipiche come gli agrumeti della zona di Ribera che, nel pieno della produzione, sono stati allagati con la conseguente perdita del raccolto;
   nei comuni di Menfi e Castelvetrano (Trapani) le forti piogge hanno fatto straripare i fiumi con detriti che hanno colpito le strutture dei vigneti e degli agrumeti mentre i seminativi e le ortive sono sommersi dall'acqua;
   nel palermitano si contano i danni gravissimi soprattutto nella zona di Chiusa Sclafani, Giuliana, Bisacquino e Contessa Entellina, dove l'acqua ha letteralmente portato via agrumeti, oliveti, ortaggi. I campi seminati sono completamente allagati e in futuro anche il grano potrebbe subire ulteriori danni, così come si temono conseguenze devastanti anche per le ciliege;
   nell'agrigentino i danni causati dal maltempo hanno prodotto smottamenti con molte fogne non in grado di smaltire i flussi. A preoccupare maggiormente sono stati i fiumi in piena che hanno interrotto importanti arterie di comunicazione e causato gravi danni all'agricoltura come nel caso del fiume Naro che poco prima dell'altezza di Cannatello ha letteralmente invaso la vallata circostante distruggendo ortaggi ed uliveti;
   nell'agrigentino a rischio esondazione vi sono anche i fiumi Akragas ed il Sant'Anna;
   sono stati numerosi gli smottamenti anche lungo la strada tra Gangi e San Mauro Castelverde e la statale tra Alimena e Resuttano: la zona più colpita è l'area sotto l'autostrada Palermo-Catania invasa dall'acqua e trasformata in un enorme lago;
   nei comuni di Corleone, Bisacquino e Chiusa Sclafani si sono registrate frane, smottamenti, allagamenti e la circolazione stradale e ferroviaria si è bloccata, a ciò si aggiunge l'evacuazione di 40 abitazioni;
   le violente precipitazioni hanno causato gravi danni sulle linee ferroviarie Palermo-Catania e Palermo-Agrigento;
   sono andati distrutti anche interi pezzi di manto stradale per cui, se non verranno ripristinati rapidamente, gli imprenditori non potranno nemmeno accedere ai propri fondi per salvare il salvabile;
   a Mussomeli (Caltanissetta) un ampio movimento franoso sta portando a valle un'intera azienda agricola zootecnica;
   negli ultimi quindici anni in Sicilia si sono verificate 78 frane o alluvioni che hanno provocato 58 vittime e danni stimati in almeno 3,3 miliardi di euro. E inoltre – secondo quanto si evince dal rapporto preliminare sul rischio idraulico in Sicilia redatto dalla Regione – «...ci sono nella nostra regione quasi ottomila nodi...» – e cioè luoghi in cui è presente una situazione di rischio idrogeologico dovuto a «interferenze» tra corsi d'acqua e insediamenti umani. Per mettere in sicurezza questi luoghi servirebbero almeno quattro miliardi di euro;
   negli ultimi quindici anni, peraltro, i danni – materiali e in termini di vite umane – sono stati mediamente maggiori rispetto al ventennio precedente (1980-1999) quando si sono verificate 70 tra frane e alluvioni, con 69 vittime e danni (con un valore attualizzato ad oggi) per «soli» 681 milioni di euro. Una situazione di allarme che fa il paio con la stima del rapporto sull'Ecorischio 2013 di Legambiente, secondo cui 7 comuni su 10 in Sicilia sono a rischio idrogeologico –:
   quali interventi urgenti il Ministro interrogato intenda porre in essere per far fronte ai danni economici che hanno subìto gli agricoltori a seguito degli eventi climatici descritti in premessa;
   se non si ritenga attivare con urgenza le misure previste dal decreto legislativo n. 102 del 2004, attinente gli interventi finanziari a sostegno delle imprese agricole, a norma dell'articolo 1, comma 2, lettera i), della legge 7 marzo 2003, n. 38, al fine di dichiarare lo stato di calamità naturale nelle zone colpite. (4-08123)

  Risposta. — Con riguardo all'anomala ondata di maltempo che, nel mese di febbraio 2015, ha colpito la parte centro-meridionale della Sicilia provocando disagi al settore agricolo, faccio presente che, con decreto ministeriale 18 novembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 3 dicembre 2015, è stata integralmente accolta la richiesta della regione Siciliana ex decreto legislativo del 29 marzo 2004 n. 102.
  Con il suddetto provvedimento sono stati delimitati i territori delle province di Agrigento e Palermo nei quali sono state attivate le provvidenze di cui all'articolo 5, commi 2 e 3, del menzionato decreto legislativo, per i danni alle produzioni agricole e per il ripristino delle strutture aziendali danneggiate, applicabili anche alla luce delle disposizioni introdotte dall'articolo 5 del decreto-legge n. 51 del 2015, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 91 del 2015.
  A favore delle imprese agricole danneggiate, che hanno presentato domanda alla regione Sicilia entro il termine di 45 giorni dalla pubblicazione del decreto di declaratoria, possono essere erogati contributi in conto capitale fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria, prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo, proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso, esonero parziale (fino al 50 per cento) dal pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali propri e dei propri dipendenti, misure di aiuto in conto capitale per il ripristino delle strutture aziendali danneggiate.
  Per quanto riguarda, invece, i danni segnalati nei territori agricoli della provincia di Enna, evidenzio che in assenza dei requisiti di cui al summenzionato decreto legislativo n. 102 del 2004, come integrato dall'articolo 5 del citato decreto-legge n. 51 del 2015, non è stato possibile accogliere la proposta di declaratoria.
  Quanto alle province di Trapani e Caltanissetta, faccio presente che l'amministrazione regionale non ha, al momento, presentato richiesta ai fini dell'attivazione delle provvidenze del Fondo di solidarietà nazionale. In proposito, ricordo che per gli eventi di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, il termine della presentazione della richiesta è stato differito al 29 febbraio 2016, ai sensi dell'articolo 1, comma 454, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016).
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   BORGHESE e MERLO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   la Siria, dal marzo 2011 ad oggi, vive una terribile guerra, alimentata da terroristi provenienti da 89 Paesi dove, finora, sono decedute più di 300.000 persone tra civili e militari;
   oltre la situazione di caos, sul territorio siriano si sono sviluppate, grazie anche al supporto logistico, finanziario e di armamenti, le organizzazioni terroristiche di Jhabbat al-Nusra, filiale di al-Qaeda in Siria e il sedicente Stato Islamico (Isis);
   diverse organizzazioni non governative, provenienti da tutti i Paesi del mondo e rilevanti organizzazioni umanitarie, come «Medici senza Frontiere» e «Emergency» operano sul territorio siriano per soccorrere la popolazione, come nella città assediata di Madaya, sempre in Siria;
   qui la situazione appare disperata: ogni giorno muoiono più di 30 pazienti nei vari centri sanitari supportati dalle organizzazioni nelle città assediate nelle zone di Madaya;
   le cittadine delle zone siriane, in questi ultimi mesi, per circa 20.000 persone, tra cui neonati, bambini, anziani, appaiono prigioni a cielo aperto;
   nessuno ha la possibilità di muoversi, né di entrare, né di uscire dal territorio di Madaya in Siria, nemmeno con permessi speciali;
   Madaya è un esempio estremo degli assedi imposti, in diverse zone del Paese, sia dal Governo siriano, che dai gruppi armati dell'opposizione;
   i medici, che sono a lavorare lì, a fini umanitari, non hanno i farmaci sufficienti negli scaffali per rispondere a tutte le esigenze che insorgono sempre più frequenti, in particolare per i gravissimi casi che si presentano a causa dell'insicurezza alimentare;
   in questa devastante situazione i bambini mangiano le foglie dagli alberi. Altri si cibano di cani e gatti. Gli oltre 40 mila civili intrappolati da mesi in località a ovest di Damasco, circondata dalle milizie sciite di Hezbollah, continuano a patire la fame e il freddo;
   l'Onu ha annunciato di aver ottenuto dal Governo siriano l'assicurazione che un convoglio umanitario potrà raggiungere l'area sottoposta a un assedio medievale da parte del regime siriano sostenuto da Russia e Iran;
   Melissa Fleming, portavoce dell'Alto commissariato dell'Onu per i rifugiati (Unhcr), ha detto che il Governo siriano si è impegnato a «permettere alle organizzazioni umanitarie di raggiungere le zone più disastrate»;
   secondo fonti giornalistiche internazionali, nelle ultime settimane, troppe persone sono morte di stenti nella città situata sulle montagne che separano il Libano dalla Siria. «In quelle zone è a rischio di inedia la maggior parte della popolazione», ha affermato Yaqoub al Hillo, il più alto rappresentante Onu presso il Governo siriano;
   la maggior parte delle aree sono circondate da truppe governative o dalle milizie locali o straniere alleate a Damasco. In altri casi, come a Dayr az Zor nell'est del Paese, l'Isis assedia sobborghi controllati dalle truppe del regime. Nel caso di Fuaa e Kafraya, nel nord-ovest del Paese, miliziani delle opposizioni e loro alleati qaidisti assediano le due località a maggioranza sciita e difese anche dagli Hezbollah;
   il destino dei 30 mila civili assediati a Fuaa e Kafraya è legato ai 40 mila di Madaya. Qui rimangono asserragliati gli ultimi combattenti di Zabadani, il principale centro urbano che, nel 2012, si era rivoltato contro il regime e che costituiva una minaccia ai lealisti. Dopo l'assedio e la conseguente distruzione quasi completa di Zabadani da parte di Hezbollah l'estate scorsa, i resistenti locali erano stati lasciati fuggire a Madaya. L'accordo per l'evacuazione di Zabadani prevedeva anche la messa in salvo dei civili di Fuaa e Kafraya. Ma l'avvio della campagna aerea russa del 30 settembre 2015 ha rallentato l'applicazione dei punti della tregua e, di fatto, le due cittadine sciite sono rimaste sotto assedio;
   in queste zone manca inoltre il combustibile per riscaldare le case. Mancano anche latte, riso, farina. Ad approfittarne sono i contrabbandieri che, al mercato nero, vendono i beni di prima necessità a prezzi esorbitanti: un chilo di farina è a 90 euro, un litro di latte a 25, un chilo di riso a 80. Ciò avviene, com’è già successo nei sobborghi di Damasco assediati dal regime, nel campo palestinese di Yarmuk o nella città vecchia di Homs, dove sono stati per oltre due anni circondati dai governativi –:
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative di competenza volte ad apportare maggiori aiuti a livello internazionale per risolvere questa tragedia inumana, in quanto se perdurerà questa situazione, avrà come conseguenza quella di portare ulteriori flagelli umani. (4-11724)

  Risposta. – L'Italia è intervenuta immediatamente dopo lo scoppio del conflitto siriano, mettendo a disposizione sino ad oggi un contributo complessivo pari ad oltre 84 milioni di euro. In particolare, sono stati realizzati interventi in favore della popolazione sfollata all'interno del Paese (29 per cento) e per sostenere gli sforzi dei Paesi di accoglienza dei rifugiati, soprattutto Libano (37 per cento) e Giordania (19 per cento), mentre una quota minore è stata destinata ai rifugiati in Iraq (4 per cento) e in Turchia, anche attraverso operazioni di trasporto transfrontaliere al valico con la Siria (4 per cento), oltre che per iniziative di respiro regionale (7 per cento).
  Gli interventi della cooperazione italiana si concentrano sulla resilienza tanto di rifugiati e sfollati quanto delle comunità ospitanti, sul rafforzamento delle capacità delle autorità locali, sulla riabilitazione di infrastrutture e servizi di base e sulla creazione di opportunità di lavoro. Ulteriori fondi (2,2 milioni di euro) sono stati recentemente mobilitati per continuare a sostenere le municipalità giordane e per attività di cooperazione transfrontaliera dalla Giordania. L'Italia è inoltre intervenuta attraverso lo strumento dei fondi fiduciari, contribuendo al Syria Recovery Trust Fund (SRTF) tedesco-emiratino con 3.4 milioni di euro e divenendo membro fondatore del Trust Fund europeo (EUTF) per la crisi siriana con un contributo di 3 milioni di Euro. Nell'ambito dell'EUTF vengono in particolare realizzati, in collaborazione con i governi ospitanti, interventi a carattere regionale che si concentrano principalmente sugli aspetti di resilienza, ricostruzione e sviluppo a beneficio dei rifugiati siriani e delle comunità ospitanti in Siria e nei Paesi limitrofi, in particolare Libano e Giordania.
  Come annunciato durante la conferenza dei donatori sulla Siria, tenutasi a Londra lo scorso 4 febbraio, il Governo italiano ha rafforzato il proprio impegno in risposta alla crisi siriana, assicurando per il 2016 un contributo di 45 milioni di euro a dono (pari a circa 50 milioni di dollari), di cui 25 milioni per interventi di aiuto umanitario e 20 milioni per interventi di sviluppo. Tale importo potrà essere confermato anche per il 2017 ed il 2018, per un totale di almeno 150 milioni di dollari. A valere sull'impegno in questione sono già stati finanziati due interventi di emergenza dell'importo complessivo di 3 milioni di euro che verranno realizzati dal PAM (2 milioni) e da OCHA (1 milione) rispettivamente nei settori della fornitura di beni alimentari (farina, legumi, zucchero, olio vegetale) e della distribuzione di generi di prima necessità (tende, stufe, combustibile) a favore dei civili in fuga dalle aree assediate in prossimità di Aleppo. È inoltre previsto un pacchetto di risorse a credito d'aiuto di 200 milioni di dollari da utilizzare a supporto del settore privato, con l'obiettivo stimolare la crescita delle economie dei paesi confinanti (Libano e Giordania).
  Infine, è al vaglio del Ministero dell'economia e delle finanze una conversione parziale del debito che Giordania e Libano hanno verso l'Italia (per un ammontare totale di 50 milioni di dollari). Alla luce di tali iniziative, il nostro impegno complessivo per la crisi siriana per il prossimo triennio raggiungerà almeno i 350 milioni di dollari, che potrebbero diventare 400 qualora la procedura di conversione del debito si perfezionasse in tempo utile.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   BORGHESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il Comitato organizzatore dei campionati mondiali di ciclismo 2013 fu costituito in data 14 dicembre 2012 a Viareggio (LU), al fine di provvedere all'organizzazione tecnico sportiva dei campionati mondiali di ciclismo, tenutisi in Toscana nel corso del mese di settembre del 2013;
   terminata la suddetta manifestazione e definitivamente conclusasi ogni attività operativa e di definizione del risultato economico complessivo dell'evento, è stato constatato un significativo debito nei confronti di quasi tutte le aziende, i professionisti, ed i collaboratori che hanno rivestito specifiche mansioni direttive ed esecutive nel suddetto evento;
   il comitato organizzatore del mondiale, davanti a questa situazione, si è sempre giustificato dicendo che i fondi dai soggetti istituzionali quali, Regione Toscana, il comune e la camera di commercio di Firenze, coinvolti nella manifestazione, non erano arrivati o erano giunti solo in parte;
   in data 23 luglio 2014, con delibera assunta dinanzi al notaio Eliana Chiarugi di Firenze, il Comitato veniva quindi sciolto e posto in liquidazione, nominando liquidatore l'Avvocato Francesco Sottili. Al fine di fronteggiare il conseguente stato di tensione finanziaria, nell'ottica anche di evitare le inevitabili spese per l'accesso ad una procedura concorsuale, il Comitato ha inizialmente verificato la possibilità di giungere ad una definizione stragiudiziale con impropri creditori. L'esito di tale verifica è stato tuttavia negativo, inducendo l'Avvocato Sottili a presentare le proprie dimissioni. L'Assemblea del Comitato ha pertanto nominato quale nuovo liquidatore il signor Andrea Da Roit, conferendogli contestualmente i più ampi poteri per tutti gli atti di ordinaria e straordinaria amministrazione necessari od utili ai fini della liquidazione del Comitato, compreso quello di ricorrere, avvalendosi di professionisti in materia di crisi di impresa, alle soluzioni anche concorsuali più adeguate e tecnicamente perseguibili da sottoporre ai creditori;
   il Comitato aveva tra l'altro attivato tutti i canali nei confronti degli enti pubblici, delle istituzioni e delle società coinvolti nell'organizzazione dell'evento mondiali di ciclismo 2013, rispetto ai quali vi era una ragionevole aspettativa di risorse utili a ripianare almeno in parte il deficit;
   la Federazione ciclistica italiana ha confermato al Comitato il proprio impegno a mettere a disposizione «tramite intervento del Coni e con l'autorizzazione dello stesso e all'espressa condizione dell'intervenuta irrevocabilità del provvedimento di omologazione di una proposta concordataria o di un accordo di ristrutturazione del debito ex Art. 182-bis L.F., la somma complessiva di Euro 1.180.000, da erogarsi entro 30/60 giorni dal ricevimento di formale comunicazione di avvenuto avveramento della suddetta condizione. In difetto nessuna somma potrà essere erogata»;
   in data 2 aprile 2015, il Comitato ha depositato presso il tribunale di Lucca domanda per l'ammissione alla procedura di concordato preventivo ai sensi dell'articolo 161, comma sesto, legge fallimentare con riserva di presentare entro il termine assegnato dal tribunale la proposta; piano e la documentazione prevista dal secondo e terzo comma dello stesso articolo 161 della legge fallimentare, ovvero nell'auspicata ipotesi che le trattative pendenti con i creditori abbiano un esito positivo, un accordo di ristrutturazione dei debiti ai sensi dell'articolo 182-bis della legge fallimentare;
   con provvedimento del 12 maggio 2015, depositato in cancelleria il 19 maggio 2015, il tribunale ha assegnato al Comitato il termine di 60 giorni dalla data di comunicazione di tale provvedimento avvenuta in data 19 maggio 2015, per il deposito del piano e della documentazione prevista dall'articolo 161, secondo e terzo comma, della legge fallimentare, nominando commissario giudiziale il dottor Riccardo Sarti di Lucca;
   l'indebitamento complessivo del Comitato, senza considerare le spese di giustizia e di assistenza professionale in relazione alla procedura concorsuale adita, ammonta a circa euro 2.680.000, di cui circa 2.320.000 euro nei confronti di fornitori di beni e servizi e/o di prestazioni professionali, circa 260.000 euro nei confronti di collaboratori a progetto, e circa 100.000 euro per debiti erariali e previdenziali strettamente connessi ai compensi dovuti a tali collaboratori a progetto;
   l'attivo attualmente nella disponibilità del Comitato consta pressoché quasi unicamente nel credito Iva di circa 500.000 euro, oltre che in un credito Ires di circa 50.000 euro ed in residui crediti, vantati nei confronti di amministrazioni pubbliche per circa 50.000 euro;
   la soluzione trovata, ovvero il piano di ristrutturazione del debito che il Comitato intende sottoporre ai propri consiste nell'effettuare i seguenti pagamenti nella misura del 40 per cento dei rispettivi crediti, in favore di tutti i creditori aderenti alla presente proposta da corrispondersi entro e non oltre 75 giorni dall'intervenuta omologazione da parte del Tribunale dell'accordo di ristrutturazione del debito;
   nel caso di una mancata adesione alla proposta di accordo di ristrutturazione del debito il Comitato non potrà di contro che addivenire alla liquidazione delle attività disponibili da realizzarsi nell'ambito di una procedura concorsuale alternativa di natura concordataria (con conseguente significativo aggravio di oneri per le connesse spese di procedura e di giustizia ed inevitabile detrimento delle prevedibili percentuali di soddisfazione dei creditori), ovvero di natura fallimentare (in tal caso con un ancor maggiore detrimento delle prevedibili percentuali di soddisfazione dei creditori ed allungamento dei tempi di soddisfazione degli stessi;
   questo accordo di ristrutturazione dei debiti tra il comitato organizzatore del campionato mondiale di ciclismo, tenuto a Montecatini nel 2013, e i creditori dell'organismo medesimo, lede pesantemente gli interessi risarcitori di coloro che hanno svolto attività professionale per la manifestazione senza mai ricevere i compensi pattuiti, obbligandoli di fatto ad accettare un rimborso del solo 40 per cento dei crediti;
   per di più, a quanto consta all'interrogante alcune aziende coinvolte hanno dovuto versare l'iva relativa alle fatture emesse, aggiungendo la beffa al danno economico;
   il mancato soddisfacimento delle pretese creditorie delle aziende coinvolte nella suddetta manifestazione sportiva e la relativa richiesta di pagamento erano già state oggetto della precedente interrogazione del firmatario del presente atto (n. 4-09630);
   da informazioni acquisite risulta che, nel mese di settembre 2015, i debiti sarebbero stati onorati per intero, tramite apposita provvista, invece l'unica risposta è stata questa restituzione solo del 40 per cento del debito –:
   se il Governo sia a conoscenza dell'evoluzione della vicenda, rispetto a ciò che è stato esposto nella precedente interrogazione e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, per una positiva conclusione della medesima;
   quali iniziative intenda adottare il Governo per evitare la ricaduta occupazionale negativa, che ci sarà sicuramente, visto che le aziende si vedranno costrette a rinunciare al 60 per cento dei crediti vantati nei confronti del Comitato, imprese che saranno costrette a chiudere i battenti visto che non sono riuscite a rientrate degli investimenti fatti in occasione dei mondiali di ciclismo svoltisi a Firenze nel 2013. (4-10605)

  Risposta. – In seguito all'interrogazione a risposta scritta n. 4-09630 e all'interpellanza urgente n. 2-01040, presentate dall'onorevole Stefano Borghesi, la Federazione ciclistica italiana (FCI) ha acquisito, dal Comitato organizzatore dei campionati del mondo di ciclismo su strada 2013 e dal tribunale di Lucca, le informazioni inviate al CONI, e delineato l’iter amministrativo che ha portato alla realizzazione nella regione Toscana del campionato del mondo di ciclismo su strada 2013, specificando che il comitato organizzatore, nel mese di giugno 2013, prevedeva di ottenere introiti per un totale di euro 13.850.000,00 di cui euro 9.500.000,00 finanziati da autorità pubbliche, centrali e locali. I finanziamenti pubblici si sono invece rivelati inferiori. Si è assistito ad una diminuzione dei proventi e un aumento dei costi inatteso. Si è verificata di conseguenza una sensibile crisi debitoria.
  Attualmente il comitato organizzatore, per una soluzione della crisi, ha presentato al tribunale di Lucca un ricorso per concordato preventivo. In proposito gli enti locali sono bendisposti a elargire nuovi contributi, e la FCI è pronta ad erogare la somma di euro 1.180.000,00 (somma residua dei contributi ricevuti dal CONI) a condizione che l'accordo proposto dal comitato organizzatore sia approvato dai creditori.
  Al riguardo e contrariamente a quanto si asserisce nell'atto in oggetto, dove si afferma che ai creditori del comitato organizzatore verrebbe corrisposto soltanto il 40 per cento dei rispettivi crediti, in realtà dalla documentazione presentata dai consulenti del comitato organizzatore, e citata nella domanda di concordato, risulterebbe che la maggioranza dei creditori aveva incassato, anteriormente alla proposta di ristrutturazione del debito, acconti variabili tra il 40 per cento il 60 per cento del credito complessivo rispettivamente vantato. Inoltre taluni crediti di importi limitati, erano stati totalmente soddisfatti. L'accordo di ristrutturazione del debito proposto dal comitato organizzatore prevede oggi il pagamento nella misura 40 per cento di tutti i restanti crediti. In estrema sintesi con la soluzione della crisi debitoria i creditori incasserebbero tra il 60 per cento e l'80 per cento del loro credito originario. È possibile comunque un aumento della percentuale di recupero dei crediti vantati nell'ipotesi che gli enti locali intervengano in favore della massa creditoria erogando ulteriori contributi. L'accordo proposto dal comitato organizzatore ha ottenuto l'adesione del 94 per cento dei creditori ed è stato asseverato senza riserve dal professionista designato, si può dunque ragionevolmente prevedere l'omologazione da parte del tribunale di Lucca. Nel caso che fosse necessario, la FCI chiederà al comitato organizzatore di poter rendere disponibile una copia integrale della proposta di concordato e della documentazione allegata.
  In relazione a quanto precede, il già dipartimento per gli affari regionali, il turismo e lo sport per quanto di competenza, con lettera/contratto del 13 agosto 2013, ha affidato alla FCI l'incarico di porre in essere le attività per dare impulso alla manifestazione di spessore internazionale e quindi promuovere i valori dello sport. In data 14 agosto 2013, il citato dipartimento, con decreto a firma del capo dipartimento pro tempore, per la realizzazione e lo svolgimento di tutte le attività specificate nella anzidetta lettera/contratto, ha provveduto all'approvazione della stessa e contestualmente disposto a favore della federazione l'impegno di spesa di euro 900.000,00 da imputare sul capitolo di spesa n. 432 «Eventi sportivi anche a livello internazionale» del bilancio di previsione della Presidenza del Consiglio dei ministri – centro di responsabilità n. 7 (affari regionali) per l'esercizio finanziario 2013. Il trasferimento delle risorse alla FIC è avvenuto secondo le seguenti modalità: il 50 per cento dell'importo complessivo è stato versato alla fase iniziale dell'organizzazione dei mondiali di ciclismo 2013, il restante 50 per cento dell'importo complessivo a seguito della rendicontazione delle spese sostenute per detta manifestazione.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   BOSSA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 dicembre 2015, due concittadini italiani, mentre erano in vacanza a Berlino, sono stati fermati dalla polizia tedesca e sottoposti – secondo il loro racconto, raccolto dalla sottoscritta – ad un trattamento che avrebbe violato i loro diritti fondamentali, senza al tempo stesso ricevere adeguata tutela e assistenza dalla ambasciata;
   i due concittadini (Michele Punzo e Francesco Signoriello) riferiscono di essere stati brutalmente e improvvisamente prelevati dal ristorante «Luna», sito all'angolo tra le strade «Martin-Luther-str.» e «Motzstratz», alle ore 15 del 13 dicembre 2015, da due poliziotti in divisa (un uomo e una donna) che, in malo modo, tra urla e strattonamenti, li hanno portati fuori dal locale;
   i due poliziotti hanno perquisito i concittadini per strada, continuando ad urlare in tedesco, lingua non parlata da Punzo e Signoriello; successivamente, sono sopraggiunti altri due poliziotti che hanno continuato ad esprimersi in tedesco senza, quindi, dare spiegazioni su quanto stava avvenendo;
   solo dopo le rimostranze di Punzo e Signoriello, i poliziotti hanno messo in contatto telefonicamente i due con una terza persona, che, senza qualificarsi, con un italiano stentato, ha fatto intendere atti stessi che dovevano essere arrestati perché «visti in un'auto», senza altre spiegazioni;
   i nostri concittadini hanno provato subito a far capire che era impossibile averli avvistati in un'automobile, dal momento che utilizzavano, da turisti, per i loro spostamenti solo mezzi pubblici;
   indifferenti ad ogni spiegazione, i poliziotti hanno condotto i nostri concittadini nella loro abitazione, presa in fitto per la vacanza, e distante poche centinaia di metri; qui sono stati visionati i documenti di identificazione e ai due è stato detto che dovevano essere condotti in una stazione della «Polizia criminale»;
   a richiesta di spiegazione, sempre l'ignoto interlocutore telefonico, in un italiano incomprensibile spiegava ai nostri concittadini che c'era una denuncia contro di loro e che dovevano essere portati via per le foto segnaletiche e le impronte digitali;
   condotti presso una caserma, i due nostri concittadini, senza che nessuno fosse in grado di spiegare con chiarezza di cosa fossero accusati e cosa stesse accadendo, sono stati perquisiti, privati di tutto (le carte d'identità, i telefoni cellulari, sigarette, chiavi di casa, fiammiferi), separati e chiusi ciascuno in una cella;
   i due concittadini hanno continuato a chiedere – a gesti e grida, visto che nessuno dei poliziotti era in grado di parlare una lingua differente dal tedesco – cosa stesse accadendo, senza avere risposta;
   Punzo e Signoriello hanno anche chiesto subito di chiamare l'ambasciata italiana e non solo non hanno avuto ascolto ma sono stati ripetutamente aggrediti verbalmente e costretti al silenzio;
   solo dopo un paio d'ore, i due sono stati prelevati singolarmente e portati in un ufficio per essere fotografati; i poliziotti hanno preso le impronte digitali, l'altezza, il peso, il numero di scarpe; solo in quel momento, una delle agenti presenti ha spiegato in inglese che i due erano accusati di aver rubato in una macchina lo stereo e il navigatore;
   al termine di tutti i rilievi, ai due sono stati fatti firmare alcuni fogli scritti in tedesco, che i due non erano chiaramente in grado di comprendere;
   i concittadini hanno chiesto che fossero tradotti, ma nessuno lo ha fatto; spaventati dalla situazione, hanno firmato e solo dopo la firma, uno per volta, senza sapere nulla l'uno dell'altro, sono stati rilasciati;
   una volta liberi, i due hanno contattato immediatamente l'ambasciata italiana che avrebbe detto di non poter garantire alcun tipo di intervento; i due avrebbero portato secondo il loro racconto – con la signora Marina Abbruzzetti, che avrebbe fatto loro domande relativamente al possesso di sostanze stupefacenti, cosa di cui i due concittadini non sapevano assolutamente nulla;
   i due concittadini sono tornati il giorno dopo all'ambasciata italiana, chiedendo un intervento sulle autorità tedesche sia per capire cosa fosse successo, sia per protestare per le modalità con cui erano stati trattati, senza alcuna informazione, senza alcuna tutela, senza rispetto dei diritti fondamentali, «costretti» e firmare documenti ignorandone il contenuto;
   secondo i due concittadini, l'ambasciata italiana avrebbe rifiutato qualunque azione di protesta verso le autorità tedesche e si sarebbe limitata a fornire ai due, vari nominativi di avvocati, tra cui scegliere un legale di fiducia che i due avrebbero dovuto pagare a loro spese, in modo da raccogliere informazioni e attivare una tutela;
   i due concittadini hanno così dato mandato, a loro spese, ad un legale tedesco per essere seguiti e hanno fatto poi rientro in Italia, dove ancora attendono di conoscere i dettagli di quanto accaduto;
   i due concittadini lamentano di non aver avuto adeguata tutela dall'Ambasciata italiana che non si sarebbe attivata neppure per avere almeno notizie, informazioni, chiarimenti rispetto ad azioni che li hanno privati dei più elementari e fondamentali diritti;
   nei giorni scorsi, l'ambasciata, dopo le reiterate richieste scritte dei due concittadini, ha inviato al signor Punzo una nota con cui si comunicava di aver chiesto «alla Polizia di Berlino una formale di presa di posizione sulla vicenda», ma di non poter contare su una risposta in tempi brevi e di non poter promuovere nessuno ulteriore azione prima del riscontro formale da parte della polizia tedesca –:
   se non ritenga di attivarsi, nell'ambito delle sue competenze, in merito a quanto sopra esposto, al fine di verificare presso le autorità tedesche e presso l'ambasciata italiana le motivazioni dei comportamenti sopra menzionati e per quali motivi ai due concittadini siano state negate un'adeguata assistenza dalla ambasciata italiana e le misure minime di tutela dei diritti e della dignità dalla polizia tedesca. (4-11801)

  Risposta. — La vicenda dei connazionali Michele Punzo e Francesco Signoriello è stata seguita dall'ambasciata d'Italia a Berlino sin dal 13 gennaio 2016, giorno in cui si è verificato lo spiacevole episodio che li ha coinvolti.
  Il giorno seguente i connazionali sono stati immediatamente ricevuti in ambasciata. In tale occasione, i due hanno dichiarato di essere stati fermati dalla polizia tedesca all'interno di un locale di Nollendorfplatz e di essere stati sottoposti all'ordinaria procedura di identificazione, per il cui completamento – non avendo con sé i documenti di identità – sono stati condotti presso il proprio alloggio. Successivamente, sono stati portati presso la centrale di polizia di Tempelhofer Damm per ulteriori accertamenti. I connazionali hanno lamentato di non essere stati informati delle accuse mosse nei loro confronti, di non essere stati messi in condizione di rappresentare le proprie ragioni e di aver sottoscritto un documento redatto in tedesco di cui non conoscevano il contenuto, dato che non parlano tedesco e non è stato loro fornito l'ausilio di un interprete.
  Preso atto delle dichiarazioni fornite, l'ambasciata ha messo a disposizione dei signori Punzo e Signoriello la lista dei legali di riferimento e ha subito chiesto per le vie formali gli opportuni chiarimenti sulla vicenda alla polizia locale. Sulla vicenda è intervenuto personalmente l'ambasciatore, sollecitando un rapido riscontro dalle autorità tedesche. La polizia di Berlino ha comunicato che il fermo dei due connazionali è avvenuto a seguito del furto di un'autovettura, in quanto alcuni testimoni li avrebbero riconosciuti come i presunti responsabili. Secondo quanto riferito, ai connazionali sarebbero state fornite subito le opportune spiegazioni in lingua italiana in merito alle ragioni dell'accertamento e ai loro diritti e gli stessi interessati avrebbero dichiarato di aver compreso quanto comunicatogli. I nostri connazionali sono stati successivamente condotti presso la Centrale per essere sottoposti a fotosegnalazione, misura volta a garantirne anche il diritto di difesa, per poi essere lasciati liberi, previa firma di una ricevuta attestante la restituzione degli effetti personali precedentemente requisiti.
  Nel precisare che i colloqui con i signori Punzo e Signoriello si sono svolti con l'ausilio di un mediatore linguistico e non hanno avuto natura di interrogatorio, la polizia ha infine chiarito che l'ambasciata d'Italia a Berlino non sarebbe stata informata dei fatti in quanto i connazionali sono stati trattenuti in stato di fermo solo per un breve periodo.
  La cancelleria consolare dell'ambasciata d'Italia a Berlino ha costantemente aggiornato i signori Punzo e Signoriello in merito ai passi effettuati a tutela dei loro diritti, informandoli sui contenuti della comunicazione della polizia di Berlino e mantenendo costanti contatti con l'avvocato Roth del foro di Berlino, cui i connazionali hanno conferito il mandato di assisterli.
  Si conferma che la Farnesina, attraverso l'ambasciata a Berlino, continuerà a prestare la massima attenzione alla vicenda, ponendo in essere ogni azione volta ad ottenere i dovuti chiarimenti da parte delle autorità locali, nonché rassicurando e tenendo informati i connazionali circa ogni ulteriore sviluppo.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, SEGONI, TERZONI, ZOLEZZI e MICILLO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la discarica di Alice Castello in Provincia di Vercelli, genericamente indicata col nome di «Alice 2», è stata inaugurata nel 1991; in precedenza era una cava di ghiaia, o meglio era un buco creato da anni di estrazione di ghiaia dal sottosuolo. Tutta questa zona chiamata Valle Dora è ricchissima di ghiaie: esse sono i depositi alluvionali lasciati in tempi passati da un torrente uscente dal lago di Viverone, allora molto più esteso rispetto a oggi, che qui scorreva e depositava i suoi detriti;
   la regione Valle Dora è molto ampia e, soprattutto negli ultimi anni, è stata intensamente sfruttata, in molti punti e da ditte diverse, per l'estrazione di materiali edili;
   gli strati di ghiaia e sabbia hanno, qui, mediamente uno spessore di 30 metri: l'estrazione può continuare fino a quando si arriva a circa 3 metri dalla falda acquifera, dopo di che la cava è esaurita e lo scavo può essere colmato;
   la ex cava poi diventata la discarica «Alice 2» occupava uno spazio di due milioni di metri cubi con pareti alte più di 30 metri;
   l'autorizzazione a farne una discarica ha suscitato molte polemiche sia tra gli esperti (geologi, ambientalisti, politici) che tra la popolazione: la regione Valle Dora infatti, proprio per le sue caratteristiche geologiche, non sarebbe stata un'area idonea all'insediamento di una discarica: la ghiaia è estremamente permeabile e un ipotetico inquinamento giungerebbe facilmente alle falde acquifere che riforniscono molti acquedotti, compreso quello di Santhià;
   le pareti scoscese dello scavo non hanno permesso la loro impermeabilizzazione tramite uno strato d'argilla, per cui nel progetto si è previsto di pavimentare solo il fondo con uno strato di 1 metro d'argilla. Il fondo e le pareti sono state poi ricoperte con un telone in HDPE. Nonostante tutte le opposizioni, l'autorizzazione regionale fu comunque concessa;
   nel 2006 la provincia, avendo rilevato perdite di percolato causate da una impermeabilizzazione non ottimale delle vasche della discarica, ne affidò la gestione a un soggetto privato. Tale soggetto indicò tra le azioni da attuare la costruzione di una nuova vasca per la bonifica;
   l'ente pubblico non aveva fondi per provvedere alla bonifica; si è pensato di affidare l'incarico ad un privato che avrebbe approntato l'intervento tecnico necessario, contestualmente la stessa ditta provvedeva a colmare il vuoto esistente tra le due discariche con l'abbancamento di rifiuti appartenenti ad alcuni codici CER, con lo scopo di riportare l'area all'uso agricolo;
   nonostante la gestione affidata, con progetto appunto del 2006, all'azienda Daneco poi passata ad Alice Ambiente srl, pare che ad oggi non vi siano avanzamenti significativi nella stessa bonifica e che sul caso sia anche in corso un'inchiesta della procura di Vercelli;
   le informazioni date alla stampa locale dal sindaco Andrea Chemello appaiono preoccupanti in quanto si parla di un «collasso» di alcuni pozzi che avrebbero dovuto emungere il percolato;
   dunque non solo non c’è miglioramento, ma anche rischio di inquinamento della falda acquifera;
   motivo del collasso, sempre secondo Arpa e Provincia in conferenza servizi, potrebbe essere l'eccessivo peso specifico di rifiuti conferita nella nuova vasca (circa 1300 chilogrammi per metro cubo invece di 750 chilogrammi per metro cubo come stabilito);
   era stato autorizzato il conferimento di rifiuti per un massimo di 750 chili per ogni metro cubo e invece ne sono stati portati 1.350, l'80 per cento in più;
   «secondo l'Arpa e la provincia di Vercelli questa maggior pressione avrebbe causato il collasso dei pozzi a suo tempo realizzati per emungere il percolato dal fondo della discarica»;
   si teme, inoltre, un altro grave rischio: quello della lesione della fascia di impermeabilizzazione della nuova vasca, dovuto al sovraccarico di rifiuto con conseguente aumento del rischio della falda acquifera; il comune di Tronzano, nella persona del sindaco, fatto un serio esame della situazione della discarica di Alice 2, ha il fondato timore che la falda acquifera sia inquinata;
   la provincia ha convocato sulla «discarica» di Alice Castello una conferenza dei Servizi il 5 giugno 2014 ed una si terrà tra luglio e agosto prossimi, durante le quali si intende comprendere meglio alcune voci riportate dalla stampa secondo le quali nel corso del 2013 la società di gestione (ora Alice Ambiente srl) avrebbe «spento» alcuni pozzi e questa sembra essere una delle cause determinanti l'innalzamento del livello di percolato;
   il consorzio dei comuni per lo sviluppo del Vercellese si è sciolto il 12 maggio, lo ha deciso l'assemblea dei 51 comuni aderenti. Un adempimento naturale, perché è la norma nazionale che prevede il graduale superamento di questi enti. Al momento, non è però chiaro chi dovrà quindi verificare il rispetto del contratto del 2006;
   il disciolto consorzio dei comuni ha ora un commissario liquidatore nella persona del sindaco di Ghislarengo, Daniele Zanazzo –:
   se il Governo disponga di elementi in relazione alla situazione della falda acquifera di cui in premessa e, considerato lo stato dei luoghi, se ritenga di promuovere, per quanto di competenza, un'indagine epidemiologica in merito. (4-05083)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame con la quale è stata chiesta la disponibilità di elementi relativi alla falda acquifera nell'area della discarica denominata Alice 2, in provincia di Vercelli, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  In seguito all'acquisizione di notizie dalla provincia di Vercelli, si informa che, accertata la contaminazione delle acque da falda a causa della fuoriuscita di percolato, già nel 2006 è stato approvato un progetto di bonifica, successivamente, è stata accertata l'impossibilità di rimuovere la sorgente di contaminazione ed il progetto iniziale è stato rivisto con l'intento di confinarla. Così, nella Conferenza dei servizi svoltasi in data 30 maggio 2015, è stato approvato il nuovo progetto di messa in sicurezza. Il nuovo progetto prevede interventi di capping, di captazione, di regimazione delle acque meteoriche e di riduzione dei battenti di percolato, con obiettivi da raggiungere secondo termini e modalità ben precisi. Il raggiungimento degli obiettivi prefissati dovrà essere oggetto di monitoraggi e valutazione periodici. Sono previsti il raggiungimento e mantenimento, nel tempo, delle seguenti concentrazioni limite ai punti di conformità del sito: ammoniaca 0,5 mg/l, ferro 0,2 mg/l, manganese 0,05 mg/l, nichel 0,02 mg/l. I limiti «obiettivo» prefissati per l'ammoniaca devono essere raggiunti entro giugno 2017, quelli prefissati per i metalli entro settembre 2019.
  In merito all'efficacia degli interventi già attuati, si riportano in sintesi gli approfondimenti analitici formulati da Golder Associates per conto di Alice Ambiente srl, nell'ultimo report trimestrale relativo al periodo aprile-giugno 2015 e datato agosto 2015.
  Per quanto riguarda la falda, nel periodo che va dal 2008 a giugno 2015, si osserva una graduale efficacia degli interventi di bonifica anche se con progressione più lenta rispetto alle previsioni iniziali del progetto di bonifica approvato del 2006. Per quanto riguarda la presenza di percolato nelle due vasche interessate, la serie storica dei battenti evidenzia un andamento in diminuzione, infatti, rispetto al periodo 2008-2009 i valori medi di battente, a giugno 2015, sono passati, nella 1a vasca da 8,40 m a 4,5 m, nella 2a da 6,42 m a 3,5 circa.
  La falda viene monitorata mensilmente su alcuni piezometri e trimestralmente su altri, per un set di parametri definito di concerto con gli enti di controllo. Con cadenza semestrale viene effettuato il monitoraggio, su tutti i piezometri di controllo, e sul set completo dei parametri previsto dal decreto legislativo 152 del 2006 per il monitoraggio delle acque da falda.
  Ad ogni modo, questo Ministero, per il tramite delle istituzioni competenti, avrà cura di garantire il costante aggiornamento informativo sulla descritta situazione.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CAON. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo n. 334 del 2000 «Riordino dei ruoli del personale direttivo e dirigente della Polizia di Stato», è stato istituito il ruolo direttivo speciale della polizia di Stato;
   il nuovo ruolo direttivo avrebbe dovuto essere costituito con 5 concorsi annuali, a partire dal 2001 e fino al 2005, per un totale di 1300 posti riservati agli ispettori della polizia di stato attraverso l'espletamento di concorsi per titoli ed esami con almeno dieci anni di servizio, secondo le previsioni di cui agli articoli 24 e 25 del medesimo decreto legislativo;
   ad oggi le suddette disposizioni di legge sono rimaste inattuate, in quanto il Ministero dell'interno non ha mai bandito alcun concorso per la copertura della dotazione organica del ruolo direttivo speciale, così come è avvenuto nelle altre forze di polizia ad ordinamento militare (carabinieri, Guardia di finanza) e nella polizia penitenziaria. Ciò con grave danno sia di carriera che economico per gli ispettori apicali della polizia di Stato (sostituti commissari), già tali ben prima del riordino delle carriere così come previsto dal decreto legislativo 12 maggio 1995, n. 197 (ispettori della polizia di Stato già collocati – nella tabella allegata alla legge n. 121 del 1981 – in posizione gerarchica, funzionale ed economica sovraordinata ai Sottufficiali e ai sovrintendenti delle diverse forze di polizia);
   ad aggravare la situazione di disparità con i carabinieri, guardia di finanza e polizia penitenziaria, si è aggiunto l'articolo 1, comma 261, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con il quale, da ultimo, è stato stabilito che «fino a quando non saranno approvate le norme per il riordinamento dei ruoli del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle Forze, di polizia ad ordinamento militare e delle Forze armate, è sospesa l'applicazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, e successive modificazioni»;
   a seguito della sospensione dell'applicazione dell'articolo 24 del decreto del Presidente della Repubblica n. 334 del 2000, con il medesimo articolo 1, comma 261, della legge 266 del 2005, il legislatore ha previsto, in via transitoria, che «alle esigenze di carattere funzionale» si dovesse provvedere, in particolare, «mediante l'affidamento, agli ispettori superiori-sostituti ufficiali di pubblica sicurezza «sostituti commissari», delle funzioni di cui all'articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, e successive modificazioni», ossia «le funzioni di vice dirigente di Uffici o unità organiche in cui, oltre al funzionario preposto, non vi siano altri funzionari del ruolo dei commissari o del ruolo direttivo speciale»;
   ai sensi del citato articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 335 del 1982, «gli uffici nell'ambito dei quali possono essere affidate funzioni predette, nonché ulteriori funzioni di particolare rilevanza», sono individuati «con decreto del Capo della Polizia – Direttore Generale della Pubblica Sicurezza»;
   il legislatore nel 2005, pur sospendendo l'applicazione dell'articolo 24 del decreto legislativo n. 334 del 2000, aveva previsto una disciplina transitoria che l'amministrazione era tenuta ad ottemperare, nell'attesa dell'emanazione delle nuove norme di riordino dei ruoli del personale delle forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle forze di polizia ad ordinamento militare e delle forze armate;
   le predette disposizioni, anche in questo caso, non hanno mai avuto attuazione, con la conseguenza che in molti uffici o unità organiche in cui, oltre al funzionario preposto, non vi sono altri funzionari del ruolo dei commissari, per quanto normativamente previsti, gli appartenenti al ruolo degli ispettori sono costretti a svolgere — di fatto e in maniera non occasionale o temporanea come previsto dalla legge — non soltanto le funzioni proprie del ruolo direttivo, ma, nei casi di assenza o impedimento del titolare dell'ufficio, anche quelle di vice-dirigente o addirittura di dirigente. Ciò senza che l'ufficio sia stato previamente individuato — in considerazione dell'importanza delle funzioni predette — «con decreto del Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza»;
   pertanto, da oltre dieci anni, il Ministero dell'interno sta provvedendo, «alle esigenze di carattere funzionale» conseguenti alla sospensione dell'applicazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 334 del 2000 e successive modificazioni ed integrazioni, di fatto in maniera non conforme alla legge;
   a fronte di tale prolungata inerzia, in data 3 ottobre 2014, il «Comitato per la tutela degli ispettori della polizia di Stato» (Co.T.I.Pol.), ha formalmente richiesto al Ministero dell'interno di dare attuazione alle disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 261, lettera a), della legge 266 del 2005;
   in mancanza di un'adeguata risposta da parte dell'amministrazione, il Co.T.I.Pol. ha adito il T.A.R. del Lazio, che ha accolto il ricorso con sentenza 8328/2015, ordinando al Ministero dell'interno di provvedere entro 90 giorni, con decreto del capo della polizia, alla formale individuazione degli uffici nell'ambito dei quali le funzioni di cui all'articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 335 del 1982 possono essere affidate, così come previsto dall'articolo 1, comma 261, della legge 266 del 2005;
   a seguito dell'impugnazione del Ministero, di recente si è pronunciato anche il Consiglio di Stato con sentenza n. 5251/2015, il quale, in accoglimento dell'appello, ha osservato che nella fattispecie «non si ravvisa l'obbligo dell'Amministrazione, nella specie il Ministero dell'interno, di provvedere nei confronti del privato in quanto nel caso in esame l'amministrazione anzidetta se pure vincolata nell’«an» ad assumere l'invocato provvedimento non lo è nel «quando». Di conseguenza, essendo la materia riservata al potere discrezionale dell'amministrazione, nessun vincolo almeno nel «quando», sussisterebbe in capo al Ministero dell'interno di emissione dell'invocato provvedimento»;
   ciò nondimeno, il Consiglio di Stato ha precisato che, «logicamente, ciò non vuoi dire che l'Amministrazione dell'Interno possa «sine die» rimanere inerte ed esimersi dal disciplinare gli adempimenti stabiliti dalla legge»;
   il personale interessato rappresenta la quasi totalità dei comandanti degli uffici delle specialità della polizia di Stato, ossia della polizia stradale, ferroviaria e postale, e dei responsabili delle sezioni della direzione investigativa antimafia, della squadra mobile, della polizia scientifica, della digos e dei commissariati, che da oltre 20 anni stanno subendo intollerabili disparità di trattamento, sia sul piano economico che professionale, rispetto agli omologhi delle altre forze di polizia (tutti già loro inferiori gerarchici e funzionali prima del 1995) e tali disparità sono state generate ed alimentate esclusivamente dall'amministrazione dell'interno –:
   se vi siano particolari ragioni per le quali il Ministero dell'interno ha ritenuto di poter dare attuazione, in questi ultimi anni, soltanto al disposto di cui alla lettera b) al comma 261, dell'articolo 1, della legge n. 266 del 2005 e non anche al disposto di cui alla lettera a), quantunque dall'attuazione di quest'ultima non sarebbero derivati maggiori oneri per lo Stato, a differenza della prima;
   se, a fronte dell'obbligo di legge e alla luce della citata pronuncia del Consiglio di Stato, il Ministro non ritenga di porre fine allo stato di inerzia e dare finalmente attuazione all'articolo 1, comma 261, lettera a), della legge n. 266 del 2005 previa attuazione dell'articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica n. 335 del 1982, bandendo un concorso unico per titoli, con inquadramento anche in sovrannumero alle 1300 unità previste, per coloro già in possesso dei requisiti ex articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 334 del 2000;
   se, in vista delle ormai imminenti modificazioni agli ordinamenti del personale delle forze di polizia di cui all'articolo 16 della legge n. 121 del 1981, come stabilito dalla legge-delega n. 124 del 7 agosto 2015, sia intenzione del Ministro assumere iniziative atte a sanare le sperequazioni e far sì che tutti gli apicali del ruolo ispettori della polizia di Stato (sostituti commissari) già in possesso dei requisiti ex articolo 25 del decreto del Presidente della Repubblica n. 334 del 2000 (in quanto già ispettori prima del riordino del 1995 di cui al decreto legislativo) 12 maggio 1995, n. 197) siano inquadrati ope legis in posizione identica – riallineata – agli omologhi delle altre forze di polizia militari (carabinieri e guardia di finanza) e della polizia penitenziaria. (4-11642)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame si chiede al Ministero dell'interno l'adozione di tempestive iniziative dirette alla costituzione del ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato, in attuazione di quanto disposto dal decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, al fine di riallineare le qualifiche apicali del ruolo degli ispettori alle omologhe qualifiche degli appartenenti alle altre forze di polizia.
  Come evidenziato dall'interrogante, la legge n. 26 del 2005 (legge finanziaria per l'anno 2006) ha disposto che, fino a quando non saranno approvate le norme per il riordinamento dei ruoli del personale delle forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle forze di polizia ad ordinamento militare e delle forze armate, è sospesa l'applicazione dell'articolo 24 del citato decreto legislativo n. 334 del 2000, recante disposizioni in materia di prima applicazione del ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato.
  La normativa in questione ha altresì previsto, sempre in via transitoria, la possibilità di soddisfare le esigenze di carattere funzionale dell'Amministrazione mediante l'affidamento agli ispettori superiori-sostituti ufficiali di pubblica sicurezza «sostituti commissari», delle funzioni di vice dirigente di uffici o unità organiche in cui oltre al funzionario preposto non vi siano altri funzionari del ruolo dei commissari o del ruolo direttivo speciale.
  Quest'ultima previsione normativa è stata oggetto di un contenzioso giurisdizionale volto a contestare l'inadempimento dell'amministrazione dell'interno in ordine all'obbligo di adottare un decreto recante l'individuazione degli uffici nell'ambito dei quali le citate funzioni possono essere affidate al personale appartenente al ruolo degli ispettori.
  Il giudice amministrativo ha effettivamente accolto la richiesta di parte dichiarando sussistente l'obbligo per l'amministrazione della pubblica sicurezza di provvedere nel termine di 90 giorni.
  All'esito del gravame, il Consiglio di Stato con sentenza dello scorso mese di ottobre ha precisato che la facoltà di attribuzione delle funzioni e, conseguentemente, di emissione del decreto di individuazione delle sedi in cui possano essere affidate le funzioni medesime non è legata al rispetto di specifici termini temporali attenendo all'ambito dei profili organizzativi e di gestione dell'apparato amministrativo rientranti a pieno titolo nel campo delle scelte discrezionali della pubblica amministrazione.
  Essendo dunque la materia riservata al potere discrezionale dell'amministrazione, non sussiste nessun vincolo ad emettere l'invocato provvedimento almeno per quanto riguarda il profilo del «quando», fermo restando che la stessa amministrazione non può rinviare « sine die» l'adempimento.
  Nel quadro normativo appena esposto si è inserita la novità rappresentata dalla legge n. 124 del 2015 che, tra le altre deleghe conferite al Governo in tema di pubblico impiego, prevede quella relativa al riordino delle carriere del personale delle forze di polizia, in aderenza al nuovo assetto funzionale e organizzativo dei rispettivi corpi.
  È evidente, a questo punto, che le problematiche di natura ordinamentale e gestionale connesse alla mancata attivazione del ruolo direttivo speciale devono essere coordinate con l'attuazione della predetta delega, a cui stanno già lavorando da tempo appositi tavoli tecnici anche a composizione interforze.
  Si fa presente, infine, che la procedura di approvazione del decreto legislativo di riordino delle carriere del personale dei corpi di polizia prevede l'acquisizione del parere delle commissioni parlamentari competenti in materia, che potranno, in tale sede, fornire il loro prezioso contributo di analisi e di proposta.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CAPARINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nelle more del riordino delle carriere nelle forze dell'ordine, alcune fasce del personale della polizia di Stato lamentano la sostanziale mancata applicazione delle parti dedicate al ruolo direttivo speciale della polizia di Stato di cui agli articoli 14-21 decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334;
   sarebbero conseguentemente bloccate da tempo le progressioni di carriera degli ispettori superiori-sostituti ufficiali di pubblica sicurezza e dei sostituti commissari e dei sostituti commissari verso il livello dirigenziale;
   le progressioni delle carriere verso la dirigenza nell'Arma dei carabinieri, nel Corpo della guardia di finanza e nella polizia penitenziaria, di contro, non incontrerebbero invece più ostacoli;
   il problema sarebbe risolvibile riconoscendo finalmente il ruolo direttivo speciale della polizia di Stato istituito dal decreto legislativo 334 del 2000 e permettendo al personale che da tempo è fermo ai livelli immediatamente inferiori di accedervi;
   la situazione attuale genererebbe risentimenti e frustrazioni anche in ragione del fatto che nella polizia di Stato sono ancora presenti ufficiali che transitarono nel ruolo dei funzionari e dirigenti con il solo diploma di scuola superiore in seguito alla smilitarizzazione del Corpo delle guardie di pubblica sicurezza, attuata con la legge 1° aprile 1981, n. 121, e che ricoprono adesso le qualifiche di vice questore aggiunto, primo dirigente, dirigente superiore, dirigente generale e perfino prefetto –:
   quali ostacoli impediscano di dare piena attuazione alle norme del decreto legislativo 334 del 2000 nell'ambito della polizia di Stato e se il Governo non ritenga opportuno finalmente intervenire per permettere l'accesso alla dirigenza al personale dei livelli immediatamente inferiori, che si trova bloccato nella progressione della carriera da numerosi anni. (4-11734)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame si chiede al Ministero dell'interno l'adozione di tempestive iniziative dirette all'effettiva attivazione del ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato, in attuazione di quanto disposto dal decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, al fine di riallineare le qualifiche apicali del ruolo degli ispettori alle omologhe qualifiche degli appartenenti alle altre forze di polizia.
  La legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per l'anno 2006) ha disposto che, fino a quando non saranno approvate le norme per il riordinamento dei ruoli del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle Forze di polizia ad ordinamento militare e delle Forze armate, è sospesa l'applicazione dell'articolo 24 del citato decreto legislativo n. 334 del 2000, recante disposizioni in materia di prima applicazione del ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato.
  Nel quadro normativo appena esposto si è inserita la novità rappresentata dalla legge n. 124 del 2015 che, tra le altre deleghe conferite al Governo in tema di pubblico impiego, prevede quella relativa al riordino delle carriere del personale delle Forze di polizia, in aderenza al nuovo assetto funzionale e organizzativo dei rispettivi corpi.
  È evidente, a questo punto, che le problematiche di natura ordinamentale e gestionale connesse alla mancata attivazione del ruolo direttivo speciale devono essere coordinate con l'attuazione della predetta delega, a cui stanno già lavorando da tempo appositi tavoli tecnici anche a composizione interforze.
  Si fa presente, infine, che la procedura di approvazione del decreto legislativo di riordino delle carriere del personale dei corpi di polizia prevede l'acquisizione del parere delle commissioni parlamentari competenti in materia, che potranno, in tale sede, fornire il loro prezioso contributo di analisi e di proposta.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   CAPELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   con la pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale Serie Generale n. 204 del 31 agosto 2013 del decreto-legge n. 101, entrato in vigore 1° settembre 2013 sono state confermate le modifiche dei soggetti interessati ad aderire al SISTRI e del calendario dell'operatività del sistema;
   a seguito delle modifiche apportate il sistema riguarderà solo i produttori e gestori di rifiuti pericolosi i quali dal punto di vista operativo dovranno rispettare le seguenti previsioni: dal 1° ottobre 2013 solo per i gestori di rifiuti pericolosi (smaltitori-recuperatoritrasportatori-commercianti-intermediari) con o senza detenzione, compresi i nuovi produttori (nuova definizione introdotta dal decreto secondo cui è «nuovo produttore» chiunque effettua operazioni di pretrattamento, di miscelazione o altre operazioni che modifichino la natura o la composizione dei rifiuti [dunque che già esistono] e si distingue da produttore iniziale che è colui che per primo genera il rifiuto nell'esercizio della propria attività); dal 3 marzo 2014 sarà introdotta la categoria dei produttori di rifiuti pericolosi; tuttavia per consentire ulteriori semplificazioni, sarà possibile un'ulteriore proroga di sei mesi se a tale data le semplificazioni non saranno operative; in questa fascia sono ricompresi anche i comuni e le imprese di trasporto dei rifiuti urbani del territorio della regione Campania;
   il Sistri è un sistema telematico di tracciabilità dei rifiuti, per le aziende che producono rifiuti pericolosi e contano più 10 dipendenti e per le imprese di trasporto, trattamento e commercio di rifiuti. In altre parole il Sistri prevede la necessità di misure volte a garantire il controllo e la tracciabilità dei (soli) rifiuti pericolosi, dal momento della loro produzione a quello della conseguente destinazione finale, e che il trasporto degli stessi debba essere corredato da un documento, in formato elettronico, che riporti tutti i dati appropriati e necessari;
   il principale obiettivo delineato con l'attivazione del SISTRI era, dunque, il progressivo superamento della procedura documentale di tipo «cartaceo», sostituita da adempimenti da effettuare su mezzi digitali, ciò avrebbe dovuto portare a ripercussioni positive sulla riduzione dei costi sostenuti dalle imprese e sulla maggiore affidabilità delle operazioni a vantaggio della trasparenza, della conoscenza e della prevenzione dell'illegalità;
   il sistema presenta ancora criticità operative irrisolte, le quali producono innanzitutto una forte incertezza sulle modalità gestionali, neppure chiarita dalla «nota esplicativa» trasmessa dal Ministero a poche ore dall'attivazione parziale del SISTRI;
   le circostanze incerte nelle quali il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti è stato attivato si ripercuotono sull'intera filiera produttiva italiana, con ricadute negative immediate;
   dal 2009, data di emanazione del decreto ministeriale, circa 350.000 imprese italiane hanno dovuto versare il contributo annuale previsto per legge, per un importo totale di circa 500 milioni di euro, senza tuttavia ricevere in cambio alcun beneficio operativo, e dunque con il solo effetto di essere maggiormente gravate da una pressione fiscale già eccessiva;
   l'operatività complessiva del sistema è resa di fatto inefficace dal cattivo funzionamento dei dispositivi informatici dedicati, da una carente formazione degli operatori, oltre che dalla mancanza di interoperabilità e dalla lungaggine delle procedure informatiche necessarie per completare le singole operazioni, nonché dall'incerta evoluzione della normativa, tutti fattori che già hanno sostanzialmente bloccato l'efficienza del trasporto «intermodale»;
   a fronte di questa mancata operativa del sistema istituito dallo Stato di deve invece registrare la presenza, sul territorio nazionale, di un sistema operativo molto simile che funziona perfettamente la cooperativa sociale Telea garantisce da un anno il Servizio relativo al tracciamento della rimozione delle macerie pubbliche e private e connesso sistema di Open data per il monitoraggio pubblico dei dati in seguito all'affidamento effettuato da parte del soggetto attuatore per la rimozione delle macerie della regione Abruzzo;
   l'attività comprende: il «Servizio di supporto tramite Call Center per la comunicazione delle informazioni relative ai rifiuti movimentati provenienti dalla demolizione o dai lavori di ricostruzione a seguito del sisma del 6 aprile 2009»; la creazione e la successiva gestione, manutenzione e supporto dell'apposito Sito internet all'interno del quale è possibile consultare liberamente e scaricare i dati, in formato aperto ed aggiornati in tempo reale, relativi all'andamento della rimozione delle macerie;
   tale sistema di tracciamento delle macerie attivato a L'Aquila ha ricevuto diversi apprezzamenti a livello nazionale ed è stato indicato anche dal Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare pro tempore Clini come un modello di buona pratica amministrativa in grado di «integrare» il SISTRI;
   il sistema, caratterizzato da una modalità di utilizzo estremamente semplice, è di proprietà pubblica e la sua implementazione è attuabile immediatamente a costi enormemente contenuti;
   infatti, dopo l'accreditamento al sistema effettuato on line dalle aziende coinvolte i dati vengono comunicati dai trasportatori direttamente via web o chiamando un call center, un'alternativa utile in caso di assenza di connessione Internet. Il call center invia un SMS di conferma in seguito a ciascuna comunicazione;
   per quanto riguarda la tracciabilità dei mezzi è stato installato l'Obu (on board unit, utilizzato anche per pagare i pedaggi di trasporto in Austria e Germania) un segnalatore Gps ritirabile presso l'Aci al costo di 163 euro una tantum a cui aggiungere altri 169 euro per l'abbonamento annuale della scheda telefonica. Per installarlo nessuna officina specializzata con tecnici formati appositamente ma un qualsiasi elettrauto o il dipendente della propria azienda, oppure semplicemente collegandolo all'accendisigari;
   infine per gestire il flusso di informazioni ad oggi è sufficiente il server locale della Regione. Un'applicazione su larga scala richiede unicamente il potenziamento del disco rigido di archiviazione;
   si tratta di un modello facilmente adattabile ad altri contesti, che non riguardano solo le macerie;
   così stante la situazione attuale estremamente problematica di operatività del SISTRI – per il quale il maggior onere d'adempimento grava soprattutto sui gestori degli impianti di destinazione dei rifiuti, i quali sono impossibilitati all'uso dei software di gestione aziendale per mancanza di interoperabilità degli stessi e risultano altresì gravati dall'obbligo aggiuntivo di dover compilare le «schede SISTRI» per conto di trasportatori e produttori, con evidenti ripercussioni sul carico di lavoro, che si traducono in ore straordinarie e ricorso a personale esterno alle ditte, con inevitabili e ingiustificati maggiori oneri economici-prendere in considerazione un sistema operativo già implementato e sperimentato eviterebbe ulteriori inutili costi –:
   se i Ministri interrogati intendano attivare soluzioni normative urgenti finalizzate alla sospensione immediata di ogni effetto applicativo del SISTRI, nella sua attuale impostazione e concezione, arrivando ad una veloce e definitiva cancellazione del «sistema di tracciamento dei rifiuti», così come concepito e varato;
   se intendano assumere altresì iniziative normative per prevedere forme di rimborso alle imprese italiane obbligate per i contributi dalle stesse versati dall'anno 2009, eventualmente anche tramite la formula del «credito d'imposta»;
   se non ritengano opportuno dare avvio all'implementazione del nuovo sistema di tracciamento dei rifiuti elaborato da Telea in quanto è stato dimostrato, attraverso il suo utilizzo, che soddisfa i criteri di semplicità ed efficacia che costituivano i presupposti ispiratori del SISTRI. (4-02465)

  Risposta. — Con riferimento alla domanda in esame relativa al Sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) si rappresenta quanto segue.
  Al riguardo occorre evidenziare che secondo quanto previsto dal comma 9-bis del disegno di legge n. 101 del 31 agosto 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 125 del 30 ottobre 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, avvalendosi della Società Consip, ha avviato nel mese di giugno 2015 le procedure per l'affidamento della concessione del servizio SISTRI nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie vigenti in materia di appalti pubblici nonché dei principi di economicità, semplificazione, interoperabilità tra sistemi informatici e costante aggiornamento tecnologico.
  La gara ha recepito le indicazioni emerse dalla consultazione pubblica delle organizzazioni appartenenti alle categorie di soggetti utenti del SISTRI (produttori, trasportatori, smaltitori) e al mercato di riferimento (produttori di software gestionali e operatori del mercato digitale), al fine di raccogliere contributi in merito alla possibilità di evoluzione del sistema di tracciabilità dei rifiuti. La gara a procedura ristretta si è sviluppata, nella prima fase, tramite la pubblicazione di un bando di prequalifica, a cui è seguito, in una seconda fase, l'invio della lettera di invito ai concorrenti qualificati. Nel mese di novembre 2015 è stato inviato alle RTI partecipanti, il disciplinare di gara con i relativi allegati, dando così avvio alla fase finale di aggiudicazione.
  Circa le forme di rimborso per le imprese che hanno versato il contributo SISTRI nell'anno 2009, nonché negli anni 2010 e 2011, si rappresenta che il contributo è dovuto a prescindere dall'effettiva fruizione del servizio e deve essere versato al momento dell'iscrizione. In tal senso, infatti, si è espressa con diverse pronunce la commissione tributaria di Roma e, da ultima, la Corte di cassazione a sezioni unite con sentenza n. 23834 del 23 novembre 2015. Tale decisione ha infatti precisato che «il contributo annuale di iscrizione al SISTRI è un vero e proprio tributo» dovuto a prescindere dall'effettiva fruizione del servizio. Il contributo versato, dunque, non può essere considerato il corrispettivo di un servizio di cui chiedere il successivo rimborso in mancanza del servizio medesimo. Si tratta di oneri per i soggetti obbligati imposti per ragioni di tutela dell'ambiente e della salute.
  Si fa presente, inoltre, che relativamente al regime sanzionatorio, l'entrata in vigore dell'articolo 9, comma 3, del decreto legislativo n. 192 del 31 dicembre 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 27 febbraio 2015 (cosiddetto «milleproroghe 2014»), ha previsto l'applicabilità, a partire dal 1 aprile 2015, delle sole sanzioni relative all'omessa iscrizione ed omesso versamento del contributo annuale SISTRI, ex articolo 260-bis, commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. Ha previsto, altresì, la vigenza fino al 31 dicembre 2015, dell'applicazione degli adempimenti di tracciabilità cartacei, al fine di consentire la tenuta in modalità elettronica dei registri di carico e scarico e dei formulari di accompagnamento dei rifiuti, previsti dagli articoli 188, 189, 190 e 193 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, nel testo previgente alle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010, nonché le relative sanzioni oltre all'applicazione delle altre semplificazioni.
  Con l'articolo 8 del decreto legislativo n. 210 del 30 dicembre 2015 (cosiddetto «milleproroghe 2015»), il legislatore ha peraltro prorogato al 31 dicembre 2016 il cosiddetto «regime del doppio binario», mantenendo in vita gli adempimenti cartacei e il relativo impianto sanzionatorio. Conseguentemente, i soggetti obbligati al SISTRI devono soltanto iscriversi al sistema e versare il relativo contributo annuale. In assenza di tali adempimenti, naturalmente, sono passibili di sanzione. Resta comunque ferma la possibilità per i medesimi soggetti, di utilizzare il SISTRI per i propri adempimenti in materia di gestione dei rifiuti speciali pericolosi. Peraltro, in sede di conversione del citato «milleproroghe 2015», in data 4 febbraio 2016, è stato approvato dalle Commissioni riunite I e V della Camera dei deputati un emendamento all'articolo 8 del decreto-legge n. 210 del 30 dicembre 2015, il quale stabilisce che fino al 31 dicembre 2016 e comunque non oltre il collaudo con esito positivo della piena operatività del nuovo sistema di tracciabilità individuato a mezzo di procedure ad evidenza pubblica, bandite dalla Consip S.p.a. il 26 giugno 2015, le sanzioni di cui all'articolo 260-bis, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, sono ridotte del 50 per cento.
  Si segnala, infine, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in attuazione dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, ha voluto disciplinare attraverso uno specifico regolamento (il cui iter procedurale è in corso di definizione) ulteriori misure di semplificazione allo scopo di ottimizzare il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti di cui all'articolo 188-bis del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. Tra i principali obiettivi perseguiti, si segnalano i seguenti:
   aggiornamento dei contributi previsti, nonché la definizione dell'entità degli stessi per i soggetti che aderiscono al SISTRI su base volontaria, da calcolarsi in misura ridotta rispetto agli importi dovuti dai soggetti obbligati;
   la razionalizzazione e la semplificazione del sistema, attraverso l'abbandono dei dispositivi attualmente previsti (black box e dispositivi token usb);
   la tenuta in formato elettronico dei registri di carico e scarico e dei formulari di trasporto con compilazione in modalità off-line e trasmissione asincrona dei relativi dati, nonché la generazione automatica del modello unico di dichiarazione ai fini della dematerializzazione della corrispondente documentazione;
   la semplificazione degli obblighi informativi alle imprese attraverso l'interazione e il coordinamento con banche dati in uso alla Pubblica Amministrazione, garantendo, per quanto possibile, l'acquisizione automatica delle informazioni disponibili;
   la garanzia di interoperabilità con i sistemi gestionali utilizzati dalle imprese, dalle associazioni di categoria e loro società di servizi e realizzazione di specifici sistemi per le imprese che non dispongono di sistemi gestionali;
   la sostenibilità dei costi;
   la messa a disposizione di adeguati strumenti di assistenza e formazione delle imprese.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 5 e 6 novembre 2014, una tromba d'aria, unita a piogge torrenziali, ha colpito la città di Acireale e il suo territorio causando alle proprietà pubbliche, al patrimonio verde e ai privati, danni ingenti e difficilmente rimediabili con le sole forze della cittadinanza;
   a causa del nubifragio e della tromba d'aria sono stati danneggiati infrastrutture pubbliche come il sistema di illuminazione artificiale, il palazzetto dello sport e il teatro Maugeri, da poco restaurato e riconsegnato alla città; inoltre è stato danneggiato il patrimonio arboreo delle ville comunali e quello lungo gli assi stradali della città;
   sono decine le autovetture colpite dagli alberi abbattuti o dai pali della pubblica illuminazione piegati dalla forza del vento, oppure ancora dai cornicioni staccati dalle abitazioni o dai cartelloni pubblicitari;
   ingentissimi sono i danni alle attività commerciali per l'abbattimento delle strutture esterne, così come si contano alcuni feriti – per fortuna non gravi – a causa, principalmente ma non solo, della frantumazione di vetrate e finestre;
   anche l'agricoltura ha subito danni per centinaia di migliaia di euro. È stata colpita la fascia jonica che va da Ognina a Giarre, mettendo in ginocchio le aziende agricole della zona;
   intere aziende sono state rase al suolo, le coltivazioni sono state distrutte e compromesse ed è a rischio un intero comparto produttivo;
   a parere dell'interrogante, dovrebbe essere attivata una procedura accelerata per il riconoscimento dello «stato di calamità naturale» per il territorio di Acireale;
   il Governo dovrà rendersi conto della gravità della situazione e della eccezionalità dell'evento che ha provocato rilevantissimi danni e l'interrogante spera che vorrà farsene carico;
   a giudizio dell'interrogante, il Governo dovrebbe dichiarare lo stato di calamità per il territorio del comune di Acireale e per gli altri comuni interessati dalla devastazione della settimana scorsa –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-06813)

  Risposta. — Con riguardo all'anomala ondata di maltempo che nei giorni 5 e 6 novembre 2014, ha investito i territori della provincia di Catania che avrebbe causato disagi al settore agricolo, faccio presente che nessuna richiesta di intervento del Fondo di solidarietà nazionale è stata presentata a tutt'oggi da parte della Regione Siciliana, nei termini e con le modalità prescritte dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102 e successive modifiche e integrazioni.
  Al riguardo ricordo che l'amministrazione regionale competente per territorio, ha 60 giorni di tempo per formalizzare la proposta risarcitoria, elevabili a 90 in caso di difficoltà nelle operazioni di rilevazione.
  Ricordo tuttavia che, per gli eventi di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, il termine della presentazione della richiesta è stato differito al 29 febbraio 2016, ai sensi dell'articolo 1, comma 454, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016).
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   CATANOSO. – Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   con atto di sindacato ispettivo n. 4-06813 pubblicato nei resoconti parlamentari dell'11 novembre del 2014, l'interrogante descriveva quanto accaduto ad Acireale il 5 e il 6 novembre 2014 e chiedeva al Governo di dichiarare lo stato di calamità per le zone interessate dalla tromba d'aria che ha danneggiato la città di Acireale e il suo territorio causando alle proprietà pubbliche, al patrimonio verde e ai privati, danni ingenti e difficilmente rimediabili con le sole forze della cittadinanza;
   l'11 dicembre 2014, il consiglio comunale di Acireale ha approvato un documento con il quale si chiede al Governo, tramite la deputazione siciliana, di deliberare lo stato di calamità per i territori interessati;
   i danni causati dalla tromba d'aria sono stati registrati dalla protezione civile comunale e regionale e sono stati portati all'attenzione del Governo nazionale, così come da loro stesso sostenuto, dal presidente della Regione siciliana e dal sindaco di Acireale;
   l'ufficio della protezione civile di Acireale, in sinergia con quello regionale, a seguito dei sopralluoghi effettuati, ha redatto una perizia di stima dei danni conseguenti all'evento calamitoso, sia per gli edifici pubblici che per quelli privati;
   il documento approvato l'11 dicembre 2014 dal consiglio comunale di Acireale ha inteso fare proprie le motivazioni a fondamento dell'istanza di calamità naturale presentata dalla Regione siciliana e, soprattutto, ha inteso dare voce alle legittime aspettative degli acesi colpiti dall'evento calamitoso, oltre che della cittadinanza tutta;
   contemporaneamente, il consiglio comunale di Acireale ha espresso la propria preoccupazione che l'istanza di calamità naturale venga respinta dal Governo –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo per risolvere la problematica esposta in premessa.
(4-07848)

  Risposta. — Con riguardo all'anomala ondata di maltempo che nel mese di novembre 2014 ha investito i territori della città di Acireale colpiti, in particolare, da una tromba d'aria registrata tra il 5 e il 6 novembre che ha provocato disagi al settore agricolo, faccio presente che nessuna richiesta di intervento del Fondo di solidarietà nazionale è stata presentata a tutt'oggi da parte della Regione Siciliana, nei termini e con le modalità prescritte dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102 e successive modifiche e integrazioni.
  Al riguardo ricordo che l'amministrazione regionale competente per territorio ha 60 giorni di tempo per formalizzare la proposta risarcitoria, elevabili a 90 in caso di difficoltà nelle operazioni di rilevazione.
  Con l'occasione, preciso che gli interventi previsti dal citato decreto legislativo, per il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per le avversità e le colture danneggiate non comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi le cui polizze sono agevolate da un contributo statale fino al 65 per cento della spesa premi sostenuta.
  Vorrei tuttavia segnalare che gli strumenti ex ante, come quello assicurativo, si sono dimostrati nel corso del tempo nettamente più efficaci rispetto agli interventi compensativi assicurando, infatti, oltre 7 miliardi di euro di produzione lorda vendibile agricola.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   CERA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 188-bis del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152 (norme in materia ambientale) prevede che la tracciabilità dei rifiuti debba essere garantita dalla loro produzione sino alla loro destinazione finale;
   a tal fine viene istituito, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in data 17 dicembre 2009, il Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), ai sensi dell'articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 14-bis del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito con modificazioni dalla legge n. 102 del 2009;
   il SISTRI ha il duplice obiettivo di semplificare l’iter di certificazione e tracciabilità dei rifiuti e di rendere trasparente il ciclo di distruzione dei rifiuti abbattendo i costi sostenuti dalle imprese del settore;
   destinatari dell'obbligo di iscrizione al sistema erano inizialmente 640 mila aziende, coinvolte nel SISTRI secondo il contratto iniziale tra la Selex e il ministero dell'ambiente;
   il Sistema è stato soggetto a notevole stratificazione normativa, cui sono stati destinatari soprattutto i soggetti tenuti ad aderire;
   in particolare, si segnala che l'articolo 11 del decreto-legge n. 101 del 2013, convertito con modificazioni dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125, novella I commi 1, 2 e 3 dell'articolo 188-ter delle norme in materia ambientale;
   tale novella comporta l'esclusione dall'obbligo di iscrizione al SISTRI di tutti coloro che non trasportano rifiuti non pericolosi: il comma 2 novellato difatti recita «Possono aderire al sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti (SISTRI) di cui all'articolo 188-bis, comma 2, lettera a), su base volontaria i produttori, i gestori e gli intermediari e i commercianti dei rifiuti diversi da quelli di cui al comma 1»;
   successivamente, con il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 27 aprile 2014 la platea iniziale si è ristretta di altre 150 mila aziende, dal momento che è stato eliminato l'obbligo di iscrizione al SISTRI delle imprese con meno di dieci dipendenti;
   già in precedenza, con l'articolo 52 del decreto-legge n. 83 del 2012 è stata disposta la sospensione del SISTRI per l'anno 2012, fino al 30 giugno 2013: «per consentire i necessari accertamenti sul funzionamento» del sistema, vengono sospesi il termine di entrata in operatività del sistema per un massimo di 12 mesi e i conseguenti adempimenti delle imprese;
   in seguito alle progressive restrizioni della platea iniziale, sono stati aperti numerosi contenziosi in merito al pagamento delle quote del 2010 e 2011, ma come riportano autorevoli fonti di stampa, l'esito dei giudizi cambia sensibilmente a seconda della composizione del collegio giudicante;
   molte imprese ad oggi escluse dall'obbligo di iscrizione al SISTRI hanno provato a cancellarsi dal sistema, al fine di evitare di dover pagare il contributo, senza esito;
   al fine di evitare questa criticità, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha pubblicato in data 24 giugno 2014 un Comunicato di chiarimento riguardante il pagamento del contributo annuale e la cancellazione dell'iscrizione da SISTRI dei soggetti non obbligati ai sensi del decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 convertito dalla legge 30 ottobre 2013, n. 125 e che non aderiscono volontariamente al sistema;
   il direttore generale per la tutela del territorio e delle risorse idriche, avvocato Maurizio Pernice, ha chiarito che «I soggetti già iscritti al Sistri, che ai sensi dell'articolo 11, del decreto legge 31 agosto 2013, n. 101 non sono più tenuti ad aderire né aderiscono volontariamente al Sistema, non devono versare il contributo annuale alla scadenza del 30 giugno 2014, anche se a tale data la procedura di cancellazione dell'iscrizione non è stata avviata o non è conclusa. Le modalità semplificate per la cancellazione dal Sistri dei soggetti iscritti che non sono tenuti ad aderire al sistema medesimo, nonché per la restituzione dei dispositivi, saranno definite con ulteriore comunicazione» –:
   quali urgenti iniziative, anche di natura normativa, intenda il Ministro porre in essere al fine di salvaguardare il diritto al rimborso delle quote versate negli anni 2010 e 2011 da imprese che non hanno mai usufruito del SISTRI, vista la mancata messa in funzione e le continue sospensioni, e che sono peraltro state successivamente esentate dall'obbligo di adesione, ai sensi degli atti con forza di legge e di natura secondaria indicati in premessa;
   quali iniziative siano state predisposte al fine di garantire la definitiva cancellazione dal sistema per quelle imprese il cui obbligo di iscrizione sia venuto meno, ai sensi degli atti con forza di legge e di natura secondaria indicati in premessa. (4-05493)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al Sistema di tracciabilità dei rifiuti – SISTRI, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, si rappresenta che l'entrata in vigore del SISTRI è stata più volte prorogata e sono state apportate diverse modifiche alla sua operatività, ma dal 1o ottobre 2013 il sistema è operativo per gli enti e le imprese che raccolgono o trasportano rifiuti speciali pericolosi a titolo professionale o che effettuano operazioni di trattamento, recupero, smaltimento, commercio, intermediazione di rifiuti speciali pericolosi, inclusi i nuovi produttori, cioè quei soggetti che sottopongono i rifiuti a operazioni di trattamento ottenendo nuovi rifiuti speciali pericolosi. Dal 3 marzo 2014 l'operatività del SISTRI è stata estesa ai produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi, ai comuni e alle imprese di trasporto dei rifiuti della regione Campania.
  Inoltre, in base agli esiti del collaudo eseguito nel dicembre 2013 da parte della Commissione di verifica di conformità per l'esecuzione del contratto SISTRI, prevista dall'articolo 11, comma 8 del decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013, il SISTRI è stato ritenuto «esente da difetti e/o carenze tali da precludere l'erogazione dei servizi».
  Circa le forme di rimborso per le imprese che hanno versato il contributo SISTRI negli anni 2010 e 2011, si fa presente che, ai sensi dell'articolo 14-bis, introdotto dalla legge n. 102 del 3 agosto 2009, di conversione del decreto-legge n. 78 del 1o luglio 2009, tale evenienza non è prevista. Oltre, infatti, a diverse pronunce in tal senso da parte della commissione tributaria di Roma, si veda, da ultima la sentenza n. 23834 del 23 novembre 2015 della Corte di cassazione a sezioni unite. Tale decisione ha infatti precisato che «il contributo annuale di iscrizione al SISTRI è un vero e proprio tributo» dovuto a prescindere dall'effettiva fruizione del servizio. Il contributo versato, dunque, non può essere considerato il corrispettivo di un servizio di cui chiedere il successivo rimborso in mancanza del servizio medesimo. Si tratta di oneri per i soggetti obbligati imposti per ragioni di tutela dell'ambiente e della salute.
  Si fa presente, altresì, che relativamente al regime sanzionatorio, l'entrata in vigore dell'articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 192 del 31 dicembre 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 27 febbraio 2015 (così detto «milleproroghe 2014»), ha previsto l'applicabilità, a partire dal 1o aprile 2015, delle sole sanzioni relative all'omessa iscrizione ed omesso versamento del contributo annuale SISTRI, ex articolo 260-bis, commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. Ha previsto, altresì, la vigenza fino al 31 dicembre 2015, dell'applicazione degli adempimenti di tracciabilità cartacei, al fine di consentire la tenuta in modalità elettronica dei registri di carico e scarico e dei formulari di accompagnamento dei rifiuti, previsti dagli articoli 188, 189, 190 e 193 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, nel testo previgente alle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010, nonché le relative sanzioni oltre all'applicazione delle altre semplificazioni. Con l'articolo 8 del decreto-legge n. 210 del 30 dicembre 2015 (così detto «milleproroghe 2015»), il legislatore ha prorogato al 31 dicembre 2016 il così detto «regime del doppio binario», mantenendo in vita gli adempimenti cartacei e il relativo impianto sanzionatorio. Conseguentemente, i soggetti obbligati al SISTRI devono soltanto iscriversi al sistema e versare il relativo contributo annuale. In assenza di tali adempimenti, naturalmente, sono passibili di sanzione. Resta comunque ferma la possibilità per i medesimi soggetti, di utilizzare il SISTRI per i propri adempimenti in materia di gestione dei rifiuti speciali pericolosi.
  Peraltro, in sede di conversione del citato «milleproroghe 2015», in data 10 febbraio è stato approvato dall'Aula Camera il 10 febbraio, attualmente all'esame del Senato, un emendamento all'articolo 8 del decreto-legge n. 210 del 30 dicembre 2015, con il quale si stabilisce che fino al 31 dicembre 2016 e, comunque, non oltre il collaudo con esito positivo della piena operatività del nuovo sistema di tracciabilità individuato a mezzo di procedure ad evidenza pubblica, bandite dalla Consip S.p.a. il 26 giugno 2015, le sanzioni di cui all'articolo 260-bis, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, sono ridotte del 50 per cento.
  Si fa presente, inoltre, che sul portale istituzionale del SISTRI («Area Iscrizione») è stata pubblicata la nuova Sezione «Modalità di cancellazione» con i relativi moduli per la restituzione dei dispositivi USB.
  Si segnala, infine, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in attuazione dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge n. 91 del 24 giugno 2014, ha voluto disciplinare attraverso uno specifico regolamento (il cui iter procedurale è in corso di definizione) ulteriori misure di semplificazione allo scopo di ottimizzare il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti di cui all'articolo 188-bis del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. Tra i principali obiettivi perseguiti, si segnalano i seguenti:
  l'aggiornamento dei contributi previsti, nonché la definizione dell'entità degli stessi per i soggetti che aderiscono al SISTRI su base volontaria, da calcolarsi in misura ridotta rispetto agli importi dovuti dai soggetti obbligati;
  la razionalizzazione e la semplificazione del sistema, attraverso l'abbandono dei dispositivi attualmente previsti (black box e dispositivi token usb);
  la tenuta in formato elettronico dei registri di carico e scarico e dei formulari di trasporto con compilazione in modalità off-line e trasmissione asincrona dei relativi dati, nonché la generazione automatica del modello unico di dichiarazione ai fini della dematerializzazione della corrispondente documentazione;
  la semplificazione degli obblighi informativi alle imprese attraverso l'interazione e il coordinamento con banche dati in uso alla Pubblica Amministrazione, garantendo, per quanto possibile, l'acquisizione automatica delle informazioni disponibili;
  la garanzia di interoperabilità con i sistemi gestionali utilizzati dalle imprese, dalle associazioni di categoria e loro società di servizi e realizzazione di specifici sistemi per le imprese che non dispongono di sistemi gestionali;
  la sostenibilità dei costi;
  la messa a disposizione di adeguati strumenti di assistenza e formazione delle imprese.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   CIMBRO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Esposizione Universale è stata, pur tra le molte difficoltà, gli scandali e i ritardi di questi anni, una straordinaria occasione di lavoro e impresa per il nostro Paese. Ciò è stato tanto più vero per le molte aziende lombarde coinvolte, in particolare per quelle del territorio rhodense e del nord ovest milanese; aziende che hanno potuto, beneficiando della vicinanza al sito, collaborare alla riuscita di questo evento eccezionale, che, si ricorda, ha avuto finora un'affluenza di più di sedici milioni di visitatori, e che raggiungerà per la fine di ottobre i risultati a suo tempo prefissati;
   per ottenere questi obiettivi, entro i termini imposti e riconosciuti dallo stesso Presidente del Consiglio Renzi nel corso delle visite ai cantieri, e durante la giornata inaugurale, è stato necessario il coinvolgimento del sistema delle piccole e medie imprese italiane, lombarde, milanesi; fondamentale è stata la loro professionalità e flessibilità nell'adattarsi a tempistiche, condizioni climatiche, rigidità contrattuali, normative stringenti, continue modifiche progettuali, oneri e costi imprevisti;
   purtroppo, a meno di un mese dalla chiusura di EXPO, permangono ancora criticità legate ai pagamenti di molte imprese impegnate nel cantiere. Nello specifico, le aziende aderenti al Consorzio DISTRETTO33, o a esso collegate, che hanno sottoscritto contratti di appalto diretto nei confronti di EXPO 2015 s.p.a., o in subappalto per conto di Impresa di Costruzioni ing. E. Mantovani S.p.A. e Con.Expo 2015 S.c.a.r.l., sono in sofferenza per il mancato o ritardato pagamento degli ultimi stati di avanzamento lavori o saldi, per opere eseguite nei termini contrattuali previsti e non contestate; fatto questo che non ha consentito a sua volta di onorare il pagamento degli abituali fornitori di materiali;
   le aziende menzionate, quindici in totale, per più di un migliaio di lavoratori coinvolti, e in parte ancora impegnati, hanno operato in particolare sul cantiere denominato «Piastra», sull'Open Air Theatre, sul Cluster riso e cacao, e nei più vari settori: vigilanza e sicurezza, prove e collaudo sui materiali, rilievi topografici, scavi e movimenti terra, coperture industriali, verde e giardini, impianti elettrici e meccanici, opere edili e di carpenteria metallica;
   il citato Consorzio DISTRETTO33 nasce su iniziativa di A.I.L., Associazione imprenditori lombardi, ed opera al fianco dei sedici comuni aderenti al patto per il nord ovest, con i quali sviluppa iniziative a favore delle attività imprenditoriali, culturali e sociali del territorio denominato appunto «Terre di EXPO» –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto per accelerare i tempi di pagamento da parte di EXPO 2015 s.p.a. ai propri fornitori, e di conseguenza a quanti hanno operato in subappalto. (4-11627)

  Risposta. — In merito alla richiesta dell'interrogante, in particolare riguardo ai tempi di pagamento ai propri fornitori, la società Expo 2015 s.p.a. dichiara di aver avviato un procedimento finalizzato alla conclusione di un accordo transattivo, ai sensi dell'articolo 239 del Codice dei contratti pubblici.
  La società Expo 2015 s.p.a. ha precisato che i pagamenti verranno erogati a fronte dell'acquisizione delle fatture quietanzate dei sub-appaltatori ai sensi di quanto previsto dalla vigente normativa in materia, tenendo doverosamente conto dei pareri richiesti all'Avvocatura dello Stato e ad ANAC sui documenti presentati, ovvero l'atto ricognitivo e la bozza di transazione, in corso di acquisizione.
  Per quanto di competenza, abbiamo rappresentato la sollecitazione dell'interrogante e trasmesso l'atto di sindacato ispettivo alla società Expo 2015 s.p.a.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   CIRIELLI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   è di pochi giorni fa la notizia della sospensione di un dirigente del sindacato autonomo di Polizia (Sap), accusato di aver truccato, durante un servizio di «Ballarò» andato in onda circa un mese fa, le prove che dimostrerebbero il cattivo stato di manutenzione degli equipaggiamenti degli agenti e, in generale, le inefficienze dell'intero apparato;
   in particolare, alla base del provvedimento disciplinare di sospensione, firmato dal capo della polizia, Alessandro Pansa, nei confronti del quale il Sap ha presentato immediata denuncia, vi sarebbe la convinzione che l'assistente capo ha «deliberatamente prelevato materiale di vecchio tipo non più in uso al personale della polizia di Stato, per poi esibirlo al giornalista durante l'intervista»;
   secondo il Sap, invece, il dirigente avrebbe preso, dall'apposito armadio del materiale di pronto impiego, due caschi Ubott a disposizione dei colleghi per l'utilizzo quotidiano e non li avrebbe furtivamente sottratti, come falsamente sostenuto; così come la mitragliatrice M12, mostrata nel corso della trasmissione televisiva, che era nell'auto di servizio e in dotazione quel giorno, come dimostrerebbe il filmato delle telecamere di video sorveglianza;
   tale vicenda ripropone purtroppo il duplice problema, da un lato, delle difficili condizioni di sicurezza in cui operano gli agenti di polizia e, dall'altro, delle criticità derivanti dai rapporti, sempre più problematici, tra i vertici della polizia di Stato e gli stessi agenti;
   come denunciato dal segretario generale del Sap, Gianni Tonelli, «è gravissima la compressione di libertà fondamentali, tutelate dalla nostra carta Costituzionale: un rappresentante sindacale metteva in luce e denunciava che le condizioni di sicurezza, la preparazione e gli equipaggiamenti non sono idonei ad affrontare un'insidia cruenta come quella del terrorismo di matrice islamica. Un eroe, che nell'interesse della collettività, non suo, sta dando un contributo affinché agli operatori delle forze dell'ordine sia consentito di lavorare con efficacia e sicurezza al fine di tutelare la comunità sulla quale dobbiamo sorvegliare»;
   il Sap, oltre a confermare che le attrezzature in dotazione alla polizia sono inadeguate e logore, ha rilevato altresì come al collega non sarebbe stato notificato alcun atto relativo a procedimenti penali, bensì una sospensione disciplinare dal servizio, peraltro ritenuta inapplicabile se si considerano le disposizioni degli impiegati civili dello Stato e non la speciale e successiva normativa prevista per la polizia di Stato;
   i sospetti e i timori del Sap, che, se confermati, sarebbero di estrema gravità, sono che quanto accaduto, in realtà, sarebbe stato organizzato con scopo intimidatorio, probabilmente per inibire la comunità interna, vittima da anni di tagli lineari e ridimensionamenti importanti, dal «togliere il coperchio al vaso di Pandora»;
   tutta la vicenda desta sconcerto e preoccupazione con riferimento, in particolare, alle crescenti difficoltà connesse ai rapporti tra il sindacato autonomo di polizia, che da diversi anni denuncia l'urgenza di introdurre rapide misure volte a potenziare l'apparato di sicurezza, con gli stessi vertici della polizia di Stato, e i cui effetti si ripercuotono negativamente sul funzionamento organizzativo e di tutela dell'intera comunità nazionale –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali orientamenti, nell'ambito delle rispettive competenze, intendano esprimere, nonché quali urgenti iniziative intendano adottare per adeguare il sistema della sicurezza pubblica alle sfide e alle minacce del terrorismo internazionale;
   se non si ritenga opportuno avviare un'inchiesta interna per accertare le effettive condizioni in cui operano gli agenti di polizia, al fine di garantire un miglioramento complessivo dell'attività di pubblica sicurezza. (4-11461)

  Risposta. — La vicenda su cui verte l'interrogazione ha origine lo scorso mese di dicembre, allorquando il capo della polizia, su motivata proposta del questore di Roma, ha sospeso cautelarmente dal servizio un dipendente avente la qualifica di assistente capo.
  Il provvedimento è stato motivato da gravi motivi disciplinari anche alla luce del grave pregiudizio arrecato dal predetto all'immagine e al prestigio dell'amministrazione in ragione dell'ampia risonanza mediatica dell'episodio che si riassume brevemente di seguito.
  L'assistente capo, in divisa, con voce camuffata e il volto oscurato, ha reso un'intervista mandata in onda durante la trasmissione televisiva di Rai 3 «Ballarò», nel corso della quale ha rilasciato dichiarazioni non autorizzate su argomenti riservati, mostrando ai giornalisti materiale obsoleto e deteriorato in dotazione alla polizia di Stato.
  Dalla ricostruzione dei fatti è stato possibile appurare che il dipendente aveva prelevato materiale di vecchio tipo per poi esibirlo durante l'intervista.
  Per quanto sopra, si ritiene che il provvedimento in questione sia stato adottato in corretta applicazione della normativa vigente.
  Si soggiunge che, in considerazione della grave condotta posta in essere, l'assistente capo è stato altresì denunciato alla procura della Repubblica per i reati di peculato, abuso d'ufficio e diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico nonché per abbandono del posto di servizio.
  Quanto, invece, all'inadeguatezza delle attrezzature in dotazione alla Polizia di Stato, si informa che è in atto un generale ricambio ed ammodernamento delle dotazioni complessive, in particolare, dei giubbetti antiproiettile.
  In proposito, l'articolo 1, comma 967, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo con una dotazione finanziaria di 50 milioni di euro per l'anno 2016, destinato all'ammodernamento delle dotazioni strumentali e delle attrezzature anche di protezione personale in uso alle forze di polizia e al corpo nazionale dei vigili del fuoco. La stessa disposizione ha autorizzato, sempre per l'anno corrente, la spesa di 10 milioni di euro per il rinnovo e l'adeguamento della dotazione dei giubbetti antiproiettile della Polizia di Stato.
  Riguardo a questo specifico aspetto, si sottolinea che già nel 2014, grazie alle risorse finanziarie messe a disposizione nello stesso anno dal «cosiddetto decreto stadi» (decreto-legge n. 119/2014, convertito dalla legge n. 146/2014), è iniziato il programma di sostituzione dei giubbetti antiproiettile esterni, per i quali – in relazione all'approssimarsi del decimo anno di vita – non sarebbe stata più operante la garanzia offerta dalla casa produttrice.
  Sul punto è necessario chiarire che la scadenza decennale riguarda soltanto il profilo giuridico dell'azionabilità della garanzia, ma non determina affatto la perdita automatica del requisito balistico del giubbetto, ragion per cui non viene messa in pericolo l'incolumità dell'operatore.
  Il giubbetto può essere di regola utilizzato anche oltre il termine di dieci anni a seguito dell'effettuazione di test balistici. Nonostante ciò, l'Amministrazione della pubblica sicurezza ha, comunque, deciso di procedere alla sostituzione dei giubbetti alla scadenza della garanzia.
  In particolare, nel 2015 sono già stati distribuiti 3.216 nuovi giubbetti, e, a cominciare dai primi mesi del 2016, ne verranno distribuiti ulteriori 13.000.
  Si informa, inoltre, che per il breve periodo in cui i dispositivi resteranno in uso agli operatori anche dopo il termine della predetta garanzia dei dieci anni, in attesa dell'arrivo dei nuovi, si sta provvedendo ad effettuare, presso il banco di prova di Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia, prove a fuoco su un campione significativo, al fine di testare il mantenimento del requisito balistico.
  A tale riguardo, si rappresenta che i giubbetti prodotti nel 2005 hanno superato le prove ed è stata pertanto concessa una proroga d'uso per il tempo necessario al rinnovo delle dotazioni.
  In merito alla richiesta di adottare iniziative volte ad adeguare il sistema della sicurezza pubblica alle sfide e alle minacce del terrorismo internazionale, si evidenzia – tra le altre misure poste in essere – che la Direzione centrale per gli istituti di istruzione del dipartimento della pubblica sicurezza è costantemente e significativamente impegnata nell'organizzazione e nella gestione dell'attività formativa anche di carattere specialistico, finalizzata a dotare gli operatori di polizia di conoscenze professionali specifiche in relazione a particolari servizi, impieghi e contesti operativi.
  In tale ambito, la predetta direzione pianifica le proprie attività tenendo conto dei fenomeni più rilevanti in termini di allarme sociale e delle criticità collegate all'attuale scenario internazionale. Pertanto, attualmente, l'addestramento in materia di tecniche operative è orientato anche su tematiche inerenti alle possibili situazioni di pericolo collegate alla minaccia terroristica.
  In proposito, si segnala che una specifica attività di aggiornamento è stata destinata agli istruttori di tecniche operative presenti nelle varie province, al fine di uniformare le modalità di intervento e le misure di autotutela, nonché di diffondere i contenuti addestrativi che si sono rivelati più efficaci.
  L'iniziativa ha interessato 120 istruttori, che a loro volta hanno formato altri 502 istruttori in servizio nelle province di rispettiva provenienza, consentendo «a cascata» l'addestramento nelle tecniche di intervento antiterrorismo di ben 33.906 operatori della polizia di Stato nelle rispettive sedi di servizio. La programmazione di questa intensa attività di aggiornamento continuerà anche nel 2016.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   COSTANTINO, PALAZZOTTO, MARCON, ZARATTI, PELLEGRINO, DURANTI, RICCIATTI, NICCHI, FERRARA, PANNARALE, MELILLA e GIANCARLO GIORDANO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   nel 1955 Libero Giancarlo Castiglia (nato a San Lucido, Cosenza, il 4 luglio del 1944) parte dal suo Paese per raggiungere il padre emigrato Brasile. Il viaggio terminerà il 20 gennaio. Ad accompagnarlo la madre Elena Gibertini e dai fratelli Antonio, Wanda e Walter Mario;
   nel 1962 Libero Giancarlo Castiglia inizia la sua attività politica con il giornale ’A Classe Operaria, giornale del Partito Comunista do Brasil;
   nel 1964 il colpo di Stato costringe l'italiano alla fuga. La famiglia gli offre riparo con il ritorno in patria ma il giovane dice di voler rimanere e si dimostra intenzionato a cambiare città, trasferendosi a San Paolo per lavoro. In realtà il partito lo invierà insieme a un'avanguardia di uomini e donne in Cina, dove gli esiliati trascorreranno un periodo di addestramento culturale e politico-militare;
   nel 1967 Libero Giancarlo Castiglia, dopo il ritorno in Brasile e la clandestinità nella città di Rondonopolis, raggiunge in Amazzonia le sponde del fiume Araguaia insieme a membri di vertice del partito per organizzare la lotta armata che passerà alla storia come «Guerriglia dell'Araguaia». Diventa Joao Bispo Ferreira detto «Joca»;
   6 anni dopo, nel 1973 nell'ambito dell'operazione militare Mesopotamia la commissione militare del partito comunista brasiliano, impegnata nella lotta armata nelle regioni amazzoniche bagnate dal fiume Araguaia, viene scoperta e trucidata nell'episodio passato alla storia come la «Strage di Natale»;
   nel 1979 La Legge d'amnistia, entrata in vigore il 28 agosto del 1979, consente di stare alla larga dai processi a tutti coloro che si sono resi responsabili di torture, esecuzioni extragiudiziali, sparizioni forzate e stupri commessi su vasta scala durante il regime militare dal 1964 al 1985;
   nel 1995 in Brasile nell'allegato della Legge numero 9.140/1995 vengono riconosciuti 61 desaparecidos della Guerriglia dell'Araguaia, fra questi risulta (al num. 35) anche il cittadino italiano Libero Giancarlo Castiglia;
   nel luglio del 1997, il Governo brasiliano, previo l'ufficio di stato civile delle persone fisiche della quinta circoscrizione giudiziaria di Rio de Janeiro rilascia alla famiglia Castiglia un certificato di morte con data 25 dicembre 1973 senza specificazione del luogo del decesso o seppellimento del corpo ne, tanto meno, le cause del decesso. Da allora i familiari di Castiglia si sono rivolti alle più alte autorità italiane e brasiliane per la restituzione del corpo, senza nessuna fortuna;
   nel 2001 il Grupo do trabalho del Tocantins, afferente alla Commissione nazionale della verità istituita dal Governo Dilma in Brasile, compie degli scavi in Amazzonia dove viene ritrovato un corpo con le mani tagliate e un capo di biancheria europea, si pensa possa essere quello di Castiglia;
   nel marzo 2007 la Presidenza della Camera dei deputati informa la famiglia Castiglia di una prossima visita del Segretario Speciale per i diritti umani del Governo brasiliano, il ministro Paulo Vannuchi (Prot. 2007/0001544/PRES). Durante la visita, accompagnato dal segretario dell'Ambasciata brasiliana in Italia, Hilton Catanzaro Guimaràes, l'esponente istituzionale, brasiliano ha recepito materiale genetico della signora Elena Gibertini, madre dello scomparso Libero Giancarlo Castiglia per le opportune prove di familiarità con la vittima;
   nel dicembre 2015 il presidente Dilma Rousseff presenta dopo quasi tre anni di lavori della Commissione della verità brasiliana, il dossier finale sui crimini della dittatura militare tra il 1964 e il 1985. Una relazione dettagliata che riassume il lavoro di ricostruzione dei fatti attraverso centinaia di testimonianze spontanee, interrogatori, indagini in archivi. In questo documento pubblico la morte di Castiglia viene indicata dapprima nella data del 25 dicembre 1973, poi in un giorno imprecisato del 1974, indicando espressamente che l'italiano si sarebbe salvato dalla strage di Natale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e come, intenda agire di concerto con le autorità brasiliane per favorire il rientro delle spoglie di Libero Giancarlo Castiglia, alle quali la sua famiglia rimasta in Italia non ha mai rinunciato. (4-10289)

  Risposta. — Tra la fine degli anni ’60 e l'inizio degli anni ’70, il signor Libero Giancarlo Castiglia partecipò ad attività di guerriglia condotte nella regione dell'Araguaia da un gruppo di affiliati al Partito comunista brasiliano contro le truppe inviate in quella regione dal regime militare all'epoca al potere nel Paese sud-americano. Il connazionale fu presumibilmente ucciso nel corso di un'offensiva lanciata dall'esercito regolare nel dicembre 1973, ma il suo corpo non risulterebbe essere stato mai identificato con certezza.
  Una legge varata in Brasile nel 1995 ha riconosciuto come decedute, ai fini legali, tutte le persone scomparse «a seguito della partecipazione ad attività politiche tra il 2 settembre 1961 e il 5 ottobre 1988». Il nome del Signor Castiglia compare nell'elenco annesso a detto provvedimento. La medesima legge ha altresì istituito un'apposita commissione, incaricata di esaminare le richieste di indennizzo inoltrate dai parenti degli scomparsi, di contribuire al rinvenimento delle salme (tramite la ricerca delle sepolture clandestine all'epoca utilizzate per l'inumazione dei guerriglieri) e al loro riconoscimento attraverso la raccolta del DNA dei familiari.
  Quanto all'indennizzo, risulta che questo sia stato corrisposto ai congiunti del signor Castiglia nel 1996. Con riguardo al riconoscimento della salma del connazionale, il Segretario Speciale per i diritti umani del Governo brasiliano, Vannucchi, avrebbe effettuato un prelievo del DNA della madre del signor Castiglia per permettere i necessari raffronti. Tuttavia non risultano, né a questo Ministero né all'ambasciata d'Italia in Brasile, comunicazioni ufficiali da parte delle autorità brasiliane sull'identificazione certa del corpo del connazionale.
  La Farnesina, per il tramite dell'ambasciata in loco, ha subito provveduto a chiedere elementi di informazione circa l'identificazione del corpo del signor Castiglia alla immissione nazionale istituita dal Governo brasiliano. Si rimane in attesa di un riscontro da parte di quelle Autorità. L'ambasciata resta inoltre a piena disposizione della famiglia del congiunto, la quale fino ad oggi non risulta abbia mai preso contatto con la nostra Sede a Brasilia né con gli uffici della Farnesina per chiedere assistenza al fine di ottenere la restituzione della salma del signor Castiglia.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleMario Giro.


   COVA, MALPEZZI e MAURI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'autostrada A4 tratto Milano-Bergamo è stata ampliata con la quarta corsia con lavori di abbattimento dell'inquinamento acustico, ma nel comune di Trezzo sull'Adda le barriere posizionate tra i cavalcavia 154-155 sono state oggetto di contestazione da parte dei cittadini di Trezzo sull'Adda;
   le indagini fonometriche svolte dall'ARPA rilevano rumori leggermente sotto la soglia consentita, ma per i cittadini l'impatto del rumore risulta ancora molto alto;
   i lavori eseguiti presentano alcune serie anomalie, la cui correzione potrebbe contribuire alla diminuzione del rumore;
   in particolare, in base alle conclusioni del politecnico di Milano lo stato di manutenzione delle barriere è da considerarsi precario in quanto la presenza di fessure tra una barriera e l'altra e la scarsa efficacia di potere fonoassorbente dei materiali di cui sono costituite, fanno si che risulti una scarsa diminuzione della potenza sonora a radiazione diretta;
   a quanto consta agli interroganti, la realizzazione del manufatto non sarebbe stata eseguita a regola d'arte, le barriere dalla parte interna sarebbero riflettenti anziché fonoassorbenti e mancherebbe un'idonea sigillatura sotto i cavalcavia 154 e 155 al punto che gli stessi producono un effetto «cassa di risonanza» che, con l'aggiunta del manto autostradale scarsamente fonoassorbente, amplificano il disagio dei residenti;
   il responsabile dell'ufficio territoriale del Ministero ha incontrato il comune di Trezzo sull'Adda, ASPI, SPEA e il consulente del comune in data 27 giugno 2013 –:
   se non ritenga necessaria la sostituzione delle barriere al lato nord dell'A4 tra i cavalcavia 154-155 con strutture di ultima generazione, accorgimenti tecnici con l'intervento di nuove tecnologie, ad esempio, asfalto fonoassorbente, la realizzazione di una ulteriore idonea barriera antirumore da collocare, nel tratto individuato, tra le due carreggiate di marcia (così come già realizzato in A4 tra le uscite di Bergamo e Seriate) che consentano un miglioramento della percezione del rumore alla popolazione coinvolta. (4-04340)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame relativa alla problematica dell'inquinamento acustico dell'autostrada A4, in concessione alla società Autostrade per l'Italia, in prossimità del comune di Trezzo sull'Adda, si rappresenta quanto segue.
  Il progetto di ampliamento a quattro corsie più emergenza dell'autostrada A4 Milano – Bergamo ha ricevuto parere positivo circa la compatibilità ambientale con il decreto VIA/2003/604 del 6 ottobre 2003 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di concerto con il Ministero per i beni e le attività culturali.
  Il progetto di mitigazione acustica prevedeva di intervenire sulla propagazione del rumore con l'installazione di barriere acustiche alte 7,5 metri e sui ricettori con l'installazione di infissi acustici nell'eventualità di situazioni singolari che sarebbero emerse nel monitoraggio ambientale post operam.
  In fase di esecuzione dei lavori, a seguito della richiesta del comune di Trezzo sull'Adda, le fondazioni delle barriere acustiche previste nel progetto sono state oggetto di un innalzamento di 1,5 metri: tale modifica, è stata accolta favorevolmente dalla predetta amministrazione comunale, la quale ha altresì condiviso il dimensionamento dei pannelli sul rimanente tratto, giudicati positivamente anche dai residenti specificamente consultati in merito dal comune stesso.
  Nel 2008 è intervenuta la conclusione dei lavori e tra il 2009 e il 2010 è stato eseguito il monitoraggio ambientale post operam, che ha confermato l'efficacia delle opere di protezione acustiche realizzate, rilevando un livello di pressione acustica al di sotto dei limiti di legge ed individuando nel Comune di Trezzo sull'Adda due situazioni singolari da sottoporre ad interventi integrativi di mitigazione acustica. La società concessionaria ha attuato tali interventi tramite l'installazione di finestre silenti nei due immobili, dei quali uno risulta già indennizzatole per l'altro sono state rifiutate le proposte avanzate secondo quanto previsto nel decreto di valutazione di impatto ambientale.
  Quanto alle conclusioni del politecnico di Milano, risulta che quest'ultimo, incaricato dal comune di Trezzo sull'Adda di eseguire ulteriori indagini, ha confermato, sulla scorta delle prove svolte, il rispetto dei limiti di legge.
  In merito, poi, alle fessurazioni lungo i muri prefabbricati, esse sono state sigillate con schiuma poliuretica e comunque, secondo la competente direzione generale per la vigilanza sulle concessioni autostradali presso questo Ministero, non determinano cambiamenti significativi del comportamento acustico della barriera nel suo complesso.
  La stessa direzione evidenzia che i lavori in argomento sono stati eseguiti in conformità al progetto approvato e alle successive richieste migliorative, precisando altresì che le barriere installate sono rispondenti alle prescrizioni del progetto e garantiscono il rispetto dei limiti di rumore imposti dalla legge.
  Ulteriormente, detta direzione fa presente che la sigillatura sotto i cavalcavia 154 e 155 è da escludere: infatti, trattandosi di due strutture aventi differente rigidezza, l'indipendenza tra i cavalcavia e le barriere antifoniche deve essere mantenuta.
  L'elevata pressione sonora registrata, seppure rientrante entro i limiti di legge, è da considerarsi «fisiologica» vista la notevole vicinanza all'infrastruttura autostradale; inoltre, risulta che, nonostante la realizzazione della quarta corsia, le prove sperimentali eseguite pre e post operam dimostrano comunque una diminuzione complessiva dell'impatto acustico.
  Si evidenzia, altresì, che eventuali ulteriori lavori di miglioramento delle barriere risulterebbero antieconomici, considerati i risultati ottenibili in termini di abbattimento della pressione sonora; un ulteriore abbattimento dell'impatto sonoro e con risultati migliori si otterrebbe solo intervenendo direttamente sui recettori (edifici esistenti).
  Da ultimo, si fa presente che, ad oggi, non risultano ulteriori richieste da parte del Comune di Trezzo sull'Adda circa la questione in argomento.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   CUPERLO, LUCIANO AGOSTINI, ROBERTA AGOSTINI, ALBANELLA, ALBINI, AMATO, ARGENTIN, BARGERO, BARUFFI, BENI, BLAZINA, BORGHI, BOSSA, BRUNO BOSSIO, CARLONI, CAPODICASA, CAROCCI, CARRA, CARROZZA, CENNI, DE MARIA, GIANNI FARINA, FONTANELLI, FOSSATI, GANDOLFI, GASPARINI, GIACOBBE, GNECCHI, IACONO, BERLINGHIERI, LAFORGIA, PATRIZIA MAESTRI, MALISANI, MARCHETTI, MOGNATO, MONTRONI, MURER, POLLASTRINI, ROCCHI, ROMANINI, ROSTELLATO, GIOVANNA SANNA, TENTORI, TERROSI, TULLO, VERINI, ZAMPA, ZOGGIA, RICHETTI, BENAMATI, MIOTTO, LATTUCA, SCUVERA, ROSSOMANDO, CIMBRO, REALACCI, MARTELLA, GIORGIS, SGAMBATO, CRIVELLARI, TIDEI, GRIBAUDO, MAZZOLI e PRINA. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale — Per sapere – premesso che:
   il cittadino italiano Giulio Regeni, è stato trovato privo di vita il 3 febbraio 2016 sul ciglio della strada che porta da Il Cairo ad Alessandria, in Egitto;
   l'esame autoptico ha accertato che la morte è sopravvenuta dopo prolungate torture;
   tali risultanze sono state riportate sui documenti trasmessi al Governo italiano dopo il primo esame del corpo;
   l'autopsia eseguita a Roma dall’équipe di medici legali guidata da professore Vittorio Fineschi ha purtroppo confermato che prima di perdere la vita il connazionale è stato sottoposto a torture;
   Giulio Regeni è scomparso il 25 gennaio 2016 e solo il 31 gennaio la notizia è stata resa nota dal Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   per diversi giorni le autorità egiziane hanno negato di conoscere quale fosse la sorte del giovane italiano; e solo il 4 febbraio, il giorno successivo al ritrovamento – dopo forti insistenze da parte italiana – è stata data notizia della identificazione del corpo;
   una, squadra italiana di inquirenti, formata da sette uomini di polizia, carabinieri interpol è giunta al Il Cairo il 5 febbraio 2016;
   l'Egitto ha sottoscritto, tra gli altri, il Patto internazionale sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite, la Convenzione ONU contro la tortura ed i trattamenti e le punizioni crudeli, inumane o degradanti, lo statuto della Corte penale internazionale;
   i rapporti del 2014 e del 2015 di Amnesty International sull'Egitto mettono in evidenza episodi di arresti illegali e ricorso alla tortura, documentando violenze di ogni tipo;
   in particolare, il rapporto del 2014 ha registrato 1.400 morti per uso sproporzionato della forza da parte dei reparti di sicurezza egiziani, tanto che nell'agosto del 2013 il Consiglio dell'Unione europea aveva decretato – tra i principali fautori l'allora ministro degli affari esteri Emma Bonino – la sospensione dell'esportazione verso l'Egitto di materiali utilizzabili ai fini di repressione interna;
   Giulio Regeni, originario di Fiumicello in provincia di Udine, come hanno testimoniato i genitori Claudio e Paola era un ragazzo curioso che amava viaggiare, sofisticato e di grande talento, serio e concentrato sul suo lavoro (intervista a « La Repubblica» 21 febbraio 2016);
   i suoi amici hanno riferito di un giovane allegro e aperto, motivato nelle sue attività da una forte passione;
   Giulio stava svolgendo un dottorato di ricerca presso il dipartimento di politica e studi internazionali della University of Cambridge e stava affrontando un viaggio di studi in Egitto –:
   se e in che modo le autorità egiziane abbiano collaborato al lavoro della squadra italiana di inquirenti inviata a Il Cairo;
   quale sia il livello di coordinamento che tale squadra ha potuto ottenere con gli inquirenti locali;
   quale sia lo stato delle indagini sulla vicenda della sparizione e della morte di Giulio Regeni;
   se il Governo stia valutando determinazioni da assumere nel caso in cui venissero accertate opacità, resistenze, mancanza di collaborazione da parte delle autorità di quel Paese in ordine ai rapporti commerciali dell'Italia con l'Egitto, in particolare rispetto alle attività dell'Eni sul giacimento supergiant Zohr, dal momento che non può esservi cooperazione economica senza il più rigoroso rispetto dei diritti fondamentali della persona e delle garanzie proprie di uno Stato di diritto;
   quali ulteriori iniziative intenda adottare il Governo perché sia fatta piena luce su questa drammatica vicenda;
   quali iniziative intenda adottare il Governo, anche d'intesa con i partner dell'Unione europea, perché la condotta delle autorità egiziane sia conforme agli atti ed alle convenzioni poste a tutela dei diritti umani che l'Egitto ha sottoscritto. (4-12240)

  Risposta. — Con riferimento al caso Regeni, si ribadisce quanto sottolineato dal Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, Gentiloni, in occasione della risposta data al Question Time in aula di mercoledì 24 febbraio 2016.
  In discussione non è, infatti, né il ruolo dell'Egitto per la stabilità di una regione tormentata e al centro di quasi tutte le tensioni internazionali, né il nostro sostegno ad un Paese fortemente impegnato contro la minaccia terroristica. In discussione è la fine atroce di un nostro connazionale, Giulio Regeni, torturato e barbaramente ucciso.
  Su questa vicenda l'Italia semplicemente chiede ad un Paese alleato la verità e la punizione dei colpevoli.
  Il Governo non si accontenterà di verità di comodo, tantomeno di piste improbabili come quelle evocate nei giorni scorsi al Cairo. La cooperazione con la nostra squadra di inquirenti può e deve essere più efficace, nel senso che gli investigatori italiani non possono essere soltanto informati: devono avere accesso ai documenti sonori e filmati, ai reperti medici, agli atti del processo in possesso della procura di Giza. Il Governo ha trasmesso richieste specifiche e dettagliate in tal senso attraverso gli opportuni canali diplomatici.
  Il passare del tempo non farà desistere il Governo italiano, che pretende la verità, sia per dovere nei confronti della famiglia di Giulio Regeni sia, più in generale, per una questione di dignità del nostro Paese.
Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleVincenzo Amendola.


   DAGA, VIGNAROLI, TERZONI, DE ROSA, BUSTO, MANNINO, MICILLO e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il grande raccordo anulare (abbreviato in GRA), classificato ufficialmente come A90 è l'autostrada tangenziale, senza pedaggio, che circonda anularmente la città di Roma. È caratterizzato da un tracciato circolare chiuso e senza discontinuità, a doppio senso di marcia con almeno 3 corsie per carreggiata, un diametro medio di circa 21 chilometri e una lunghezza di 68,223 chilometri. È gestito direttamente dall'ANAS e percorso giornalmente da circa 160.000 veicoli (58 milioni l'anno), risultando tra le autostrade italiane con il più alto volume di traffico;
   secondo ACI il grande raccordo anulare è una delle strade con maggior densità di incidenti in Italia;
   «L'Anas spa è il gestore della rete stradale ed autostradale italiana di interesse nazionale. È una società per azioni il cui socio unico è il Ministero dell'Economia ed è sottoposta al controllo ed alla vigilanza tecnica ed operativa del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti»;
   nelle linee programmatiche 2013-2018 per il governo di Roma Capitale il sindaco Ignazio Marino dichiara: «L'Amministrazione comunale interverrà con un piano straordinario per mettere in sicurezza le strade romane. Adotteremo un piano di interventi finalizzato alla progressiva eliminazione di sconnessioni stradali, prevedendo un nuovo sistema di gestione e controllo delle manutenzioni affidate alle ditte terze.»; e ancora: «La questione della sicurezza urbana è al centro degli interventi dell'amministrazione capitolina attraverso il potenziamento delle attività di coordinamento tra le forze in campo ed una politica integrata e preventiva di sicurezza urbana»;
   l'obbligo di provvedere alla manutenzione del grande raccordo anulare spetta ad Anas spa;
   la mancata illuminazione da mesi rende ancor più pericoloso il grande raccordo anulare, infatti con il calare del sole i circa 68 chilometri dell'arteria autostradale che circonda la città sprofondano per lunghi tratti nell'oscurità;
   secondo Anas spa il problema sarebbe dovuto ai furti dei cavi elettrici;
   il 1° luglio 2015 è scaduta la gara d'appalto per il ripristino dell'illuminazione sul grande raccordo anulare e sull'autostrada Roma-Fiumicino, ma ad oggi non sono ancora iniziati i lavori –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei fatti;
   se entro quali tempi e con quali modalità i Ministri interrogati intendano ognuno per quanto competenza, risolvere il grave danno che arreca alla sicurezza di centinaia di migliaia di automobilisti la mancata illuminazione del grande raccordo anulare. (4-10297)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione parlamentare in esame, si forniscono i seguenti elementi di risposta, sulla base delle informazioni acquisite presso la Società ANAS.
  I numerosi disservizi sull'intero tracciato della A90 e A91 sono stati causati da furti di cavi elettrici, danneggiamenti ai cavidotti, ai quadri e alle cabine elettriche degli impianti di illuminazione nonché da puri atti vandalici.
  La Società ANAS al fine di ripristinare e ammodernare l'illuminazione lungo l'intero tracciato sia del «Grande raccordo anulare di Roma» (A90) sia dell'A91 «Roma – aeroporto di Fiumicino» ha redatto un progetto di manutenzione straordinaria al fine di conseguire il ripristino funzionale e migliorare le prestazioni energetiche degli impianti di illuminazione.
  Peraltro, a causa dell'urgenza ha provveduto all'avvio dei lavori attraverso stralci funzionali. Gli interventi relativi al primo stralcio, consentiranno di ripristinare il sistema di illuminazione stradale, del Grande Raccordo Anulare e della Roma – Fiumicino, in conformità con le normative vigenti. In particolare, saranno effettuati i seguenti interventi:
   ripristino delle linee di alimentazione elettrica mediante cavi con conduttore diverso dal rame (alluminio) e interramento degli stessi (intervento di circa 700 km di cavi);
   utilizzo di corpi illuminanti in classe II, quindi senza necessità di cavi di terra e/o equipotenziale;
   introduzione di sistemi «antifurto» che, localizzano in tempo reale il taglio del cavo e ne individuano posizione e natura;
   impiego di shelter antieffrazione per i quadri e le apparecchiature elettriche dotati anche di sistemi antintrusione e sorveglianza;
   installazione di un telecontrollo, del tipo a radiofrequenza, che consentirà di supervisionare il singolo corpo illuminante, di regolarne il flusso luminoso in funzione delle condizioni ambientali, stagionali e per alcune fasce orarie, così come previsto dalle leggi regionali sull'inquinamento luminoso, su corpi illuminanti in itinere della A90;
   standardizzazione delle apparecchiature installate, in modo da semplificare le operazioni di manutenzione.

  Considerato l'elevato numero di corpi illuminanti e la loro tipologia (vapori di sodio – SAP), ANAS ha ritenuto opportuno sostituire gli stessi con altri a tecnologia LED, in modo da consentire un risparmio energetico valutabile nell'ordine del 35 per cento circa. L'investimento finanziario del progetto di primo stralcio permetterà la sostituzione degli apparecchi illuminanti della A90 posti lungo tutto il Grande Raccordo Anulare, circa 3300.
  L'ANAS il 1o luglio scorso, come ricordato anche dagli interroganti, ha espletato il bando di gara per i lavori di ripristino urgente degli impianti di illuminazione sull'autostrada A90 «GRA» di Roma e sull'autostrada A91 «Roma-aeroporto di Fiumicino», per un investimento di circa 15 milioni di euro e ad oggi la commissione di gara sta procedendo alla verifica e alla selezione delle offerte.
  In particolare, la commissione sta procedendo alla verifica della documentazione relativa al concorrente, primo classificato, risultato anomalo. Al fine di contenere i tempi complessivi ha, altresì, provveduto a richiedere la documentazione comprovante la congruità dell'offerta del concorrente secondo classificato.
  La gara in argomento sarà conclusa, nelle more delle verifiche previste dalla normativa vigente, entro il prossimo mese di dicembre.
  Si fa presente inoltre, inoltre, che è stato proposto ricorso al TAR da parte di un altro concorrente escluso a seguito della verifica della documentazione dell'offerta economica presentata.
  La consegna dei lavori avverrà nei termini previsti dalla vigente normativa (articolo 11 del Codice degli appalti, decreto legislativo n. 163 del 2006). Il tempo utile per l'esecuzione dei lavori sarà di 180 giorni naturali e consecutivi, comprensivi di 15 giorni di tempo sfavorevole, con obbligo di lavorare sulle 24 ore per 7 giorni la settimana.
  Successivamente a queste operazioni, al fine di adeguare tutti gli ulteriori sistemi di illuminazione presenti sul Grande Raccordo Anulare e sull'autostrada «Roma-aeroporto di Fiumicino», ANAS ha già programmato altri due interventi per un investimento complessivo di ulteriori 10 milioni di euro.
Il Ministro delle infrastrutture e dei trasportiGraziano Delrio.


   D'AGOSTINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 27 agosto 2015 alcuni giovani turisti in visita alla Reggia di Caserta, Patrimonio dell'Unesco, sono entrati nella fontana di Diana e Atteone che è stata usata come piscina;
   in ragione di quanto dichiarato agli organi di informazione dalle guide turistiche, che hanno documentato fotograficamente l'accaduto, non si tratterebbe del primo episodio che vede dei giovani entrare nelle fontane dello storico Palazzo reale borbonico per trovare refrigerio, ma l'ultimo di una lunga serie;
   è piuttosto evidente che tali fenomeni accadano a causa della mancanza di controlli adeguati da parte del personale in servizio presso la Reggia;
   a giudizio dell'interrogante, è intollerabile che la Reggia o anche solo parte di essa sia lasciata incustodita, in particolare nei mesi estivi;
   in seguito all'accaduto, la soprintendenza ha deciso di chiudere il torrione superiore per evitare che altri turisti entrino ancora nelle fontane per fare il bagno;
   a giudizio dell'interrogante, tale decisione non va nella direzione auspicata di garantire tutti i percorsi di visita offerti da un sito che suscita l'attenzione di turisti da tutto il mondo, in particolare quello chiuso al pubblico che risulta essere uno dei più apprezzati e di particolare interesse;
   stando a quanto dichiarato agli organi di stampa da alcuni esponenti delle organizzazioni sindacali, sono solo sette i custodi che vengono assegnati alla sorveglianza del parco ad ogni turno di lavoro. Un numero che, a giudizio dell'interrogante, è del tutto insufficiente a garantire una sorveglianza adeguata a circa 120 ettari di terreno, considerato anche il significativo afflusso di turisti che si registra nel periodo estivo;
   sempre secondo quanto dichiarato dalle organizzazioni sindacali, nel periodo finale del mese di agosto risultano in servizio presso la Reggia solo cinquanta persone, poco meno del 40 per cento. Il 40 per cento del personale di vigilanza risulterebbe in ferie (circa 55 persone), 10 sarebbero «malati cronici», 12 sarebbero «esonerati». I restanti risulterebbero in permesso o malattia;
   a giudizio dell'interrogante, si tratta di una situazione inconcepibile che espone l'intera Reggia ai malintenzionati e a quei turisti che non portano rispetto per i beni storici e le opere d'arte –:
   quali provvedimenti il Ministro interrogato intenda adottare per garantire il controllo adeguato della Reggia di Caserta, dei parchi circostanti e delle opere in essi contenute; se non ritenga di dover disporre il potenziamento della dotazione organica in forza alla Reggia. (4-10272)

  Risposta. — Nell'atto ispettivo in esame, l'interrogante, riferito che alcuni giovani turisti in visita alla Reggia di Caserta, il 27 agosto scorso, «sono entrati nella fontana di Diana e Atteone che è stata usata come piscina», e ricordato il numero di addetti alla sorveglianza presenti in servizio alla fine di agosto, secondo i sindacati, chiede quali provvedimenti si intenda adottare per garantire il controllo adeguato della Reggia.
  La direzione della Reggia di Caserta ha precisato che l'episodio riportato dall'Interrogante non ha riguardato la fontana monumentale di Diana e Atteone, sorvegliata direttamente da almeno due addetti alla vigilanza, ma la vasca ubicata al di sotto del torrione che sormonta la cascata dell'acquedotto Carolino. Tale vasca dista circa trecento metri di rampe in salita dalla fontana di Diana e Atteone e, pertanto, i custodi presenti presso la fontana sono potuti intervenire solo con intimazioni vocali a distanza.
  L'accesso alle rampe che conducono al torrione superiore, situato a una altezza di circa centosettantacinque metri sul livello del mare, lungo le pendici della collina boscosa che costituisce il fondale scenografico della «via d'acqua» del parco, è consentito ai visitatori soltanto con visite guidate, in quanto il sito non permette di ospitare una postazione idonea ad accogliere gli addetti al servizio di vigilanza.
  Il parco della Reggia si estende per centotrenta ettari e per una lunghezza di 3,3 chilometri. La presenza di addetti alla sorveglianza è assicurata in prossimità dei cinque principali nodi monumentali del complesso, con una media di dodici addetti, ma non è possibile coprire a tappeto, con la stessa modalità, tutta l'estensione del parco né controllare in modo capillare la correttezza del comportamento del pubblico.
  Consapevoli, però, dell'importanza del complesso monumentale e della necessità che esso sia dotato di una adeguata struttura di governo e gestione, la recente riforma del Ministero, adottata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171 (Regolamento di organizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, degli uffici di diretta collaborazione del Ministro e dell'Organismo indipendente di valutazione della perfomance, a norma dell'articolo 16, comma 4, del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89) ha elevato la Reggia di Caserta a ufficio di livello dirigenziale generale, dotandola di speciale autonomia per la quale la Reggia potrà dotarsi di un proprio statuto e disporre di un bilancio e il direttore, dirigente di livello generale, coadiuvato da un consiglio di amministrazione e da un comitato scientifico, potrà definire strategie e obiettivi di valorizzazione e iniziative finalizzate ad assicurare la più ampia fruizione del patrimonio della Reggia.
  Con successivi provvedimenti amministrativi si è provveduto a nominare il direttore dell'istituto, nella persona del Dottor Mauro Felicori, selezionato a seguito di una procedura internazionale, il consiglio di amministrazione, il comitato scientifico e il collegio dei revisori dei conti.
  Con decreto ministeriale del 6 agosto 2015, inoltre, è stata determinata una autonoma e specifica dotazione di personale dell'istituto che prevede, complessivamente, duecentosedici unità di cui centocinquantuno di vigilanza.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   DALL'OSSO, LOREFICE, GRILLO e SILVIA GIORDANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   per esercitare la professione di infermiere è necessario il titolo di studio della laurea (decreto ministeriale 2 aprile del 2001 e successivo decreto n. 270 del 2004);
   il decreto ministeriale n. 509 del 1999 varò la laurea di 1° livello per detta professione, e ancora prima con il decreto ministeriale n. 24 luglio 1996 il titolo di Infermiere era un diploma universitario, per arrivare al decreto legislativo n. 502 del 1992, che prevedeva già il requisito del diploma di maturità per l'accesso ai corsi di infermiere;
   l'infermiere della Polizia di Stato, nonostante l'accesso ai ruoli, avviene previo conseguimento della laurea, è destinato alla carriera esecutiva, ossia quella riservata agli assunti con la licenza media e perfino a questi ultimi subordinato, ciò, si ribadisce, in applicazione del decreto ministeriale interno 18 luglio 1985 (Profili professionali ruoli tecnici), sebbene vi siano stati provvedimenti legislativi successivi e di rango superiore (lex superior e lex posterior) che hanno contribuito alla valorizzazione della laurea e della professione infermieristica e che avrebbero dovuto far evolvere automaticamente, con lo strumento razionale della discrezionalità amministrativa, la professione del dottor infermiere;
   la valutazione giuridica e lavorativa dell'infermiere determinata dal decreto ministeriale 18 luglio 1985 si riverbera sperequativamente anche nella comparazione con le altre figure professionali sanitarie non mediche del medesimo dipartimento PS (Fisioterapisti, Tecnici di laboratorio, tecnici di neurofisiopatologia, e altro), determinando una posizione di pieno ed insormontabile subordine dell'Infermiere nei confronti di questi operatori, di pari dignità accademica, giuridica e professionale, che viceversa, a differenza dell'Infermiere che viene equiparato a maniscalchi, calzolai e carpentieri; vengono inseriti nel superiore ruolo carriera dei periti, determinando nei confronti del dottor Infermiere, una fruibilità gerarchica e operativa. In netta contraddizione ai principi di buon andamento, ragionevolezza e legalità della pubblica amministrazione e in netta distonia con il resto della sanità pubblica e privata italiana ed europea, dove viceversa, i titoli e le professioni sanitarie non mediche sono corrispondenti;
   ancora più palese è la sperequazione che avviene, rispetto all'inquadramento lavorativo e giuridico, con gli assunti in possesso del diploma di scuola media superiore, che accedono ai superiori ruoli di perito e ispettore della stessa Polizia di Stato (articoli 25-bis, commi 1 e 2 e 25-ter, comma 1, del decreto del Presidente della Repubblica n. 337 del 1982 emanato ai sensi dell'articolo 1, ultimo comma, legge n. 121 del 1981, decreto del Presidente della Repubblica n. 335 del 1982, decreto ministeriale n. 243 del 1999, decreto legislativo n. 53 del 2001, decreto ministeriale n. 129 del 2005), viceversa, l'infermiere laureato è inquadrato nella carriera dei revisori, ossia a quella ad essi subordinata, determinando che un laureato abbia accesso alla qualifica subordinata alla posizione riservata all'accesso con il diploma di scuola media superiore, ossia alla carriera prevista per la licenza media o per le qualifiche professionali di tipo regionale e a quest'ultimi, si riafferma, sia peraltro ulteriormente subordinato;
   ancora più difficile è accogliere, che il medesimo ordinamento della Polizia di Stato, preveda il ruolo tecnico direttivo speciale (decreto legislativo n. 334 del 2000) dove si accede con il diploma di scuola media superiore, quando come già indicato, viceversa, i laureati sono inquadrati nel ruolo Esecutivo dei revisori (decreto ministeriale 18 luglio 1985);
   la legge n. 42 del 1999 «Articolo 1 comma 1 – La denominazione «professione sanitaria ausiliaria» nel testo unico delle leggi sanitarie, approvato con regio-decreto 27 luglio 1934, n. 1265, e successive modificazioni, nonché in ogni altra disposizione di legge, è sostituita dalla denominazione professione sanitaria, che equipara l'esercizio della professione infermieristica a professione sanitaria, al pari dei medici e degli altri professionisti sanitari. Inoltre all'articolo 4 della medesima legge, rendendo equipollenti ai fini della formazione post-base e dell'esercizio professionale, i titoli conseguiti con i precedenti ordinamenti;
   la legge n. 43 del 2006, che definisce la denominazione di professioni sanitarie infermieristiche, ostetrica, riabilitative, tecnico-sanitarie e della prevenzione, ossia, quelle previste ai sensi della legge 10 agosto 2000, n. 251, e del decreto del Ministro della sanità 29 marzo 2001, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 118 del 23 maggio 2001, i cui operatori svolgono, in forza di un titolo abilitante rilasciato dallo Stato, attività di prevenzione, assistenza, cura o riabilitazione. Indicando il titolo universitario per il conseguimento e l'esercizio della professione sanitaria infermieristica e di altre;
   il decreto ministeriale Salute n. 739 del 1994, che indica il profilo professionale dell'infermiere, abrogando il precedente mansionario, che il decreto ministeriale 18 luglio 1985 ancora, indirettamente, legittima;
   il nesso tra qualifica/carriera/ruolo e titolo di studio, affonda le sue radici nel decreto del Presidente della Repubblica n. 3 del 1957 (carriere: Direttiva, Concetto, Esecutiva, Ausiliaria), si è rinnovato con l'avvento della legge n. 312 del 1980 introducente le qualifiche funzionali, anch'esse estrinsecazione del titolo di studio posseduto (articolo 108 legge n. 312 del 1980), è continuato con il CNNL 2006/09 del comparto ministeri, mantenendo l'accesso alla carriera di funzionario con il possesso della Laurea [già triennale – vedasi il Ministero dell'interno, nella classificazione del personale prevede l'accesso all'area 3° funzionario (ex carriera direttiva – funzionario) con la laurea (triennale)], e a tutt'oggi, in ossequio al decreto del Presidente della Repubblica 16 aprile 2013, n. 70, (articolo 4 «Reclutamento dei funzionari nelle amministrazioni statali, anche ad ordinamento autonomo e negli enti pubblici non economici), si stabilisce nella laurea (anche triennale) il requisito per l'accesso alla carriera direttiva (vedasi note del dipartimento della Funzione Pubblica, 1) n. 0011963 del 21 marzo 2012 e 2) n. 0027780 del 16 giugno 2008 e sentenza Tar Lazio – Roma n. 430 del 16 gennaio 2012) –:
   perché, a tutt'oggi, sia ancora palesemente ammessa e tollerata, e non sia stata ancora oggetto d'intervento e risoluzione, la manifesta iniquità e discriminazione che continua a perpetrarsi a danno del personale laureato in infermieristica, in servizio nel comparto sanitario della Polizia di Stato e scaturente dalla lapalissiana constatazione che l'attuale inquadramento giuridico, lavorativo e professionale dei dottori in infermieristica, determinato dal decreto ministeriale 18 luglio 1985) è, a differenza di tutte le amministrazioni pubbliche e private dove si prevede un riconoscimento lavorativo nel ruolo funzionari (area 3°) o ad esso equipollente, inserito in un'inopportuna ed impropria Carriera/Ruolo avente mansioni prettamente esecutive (decreto ministeriale interno del 18 luglio 1985 – articolo 20-ter decreto del Presidente della Repubblica n. 337 del 1982 ruolo revisori) equiparato ad un generico, sia giuridicamente che professionalmente;
   come intenda agire il Governo al fine di colmare tale discrepanza normativa e garantire l'equipollenza e l'uguaglianza nello svolgimento di professioni eguali. (4-06777)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede al Ministro dell'interno se non ritenga di doversi attivare affinché la professionalità dei dottori infermieri in servizio nella Polizia di Stato abbia un effettivo riconoscimento giuridico.
  Si rileva, preliminarmente, che il requisito del titolo di studio prescritto per il profilo professionale di infermiere è stato oggetto di un'evoluzione normativa. Attualmente, infatti, per gli infermieri è richiesto il possesso della laurea triennale, titolo di studio che non era prescritto dalla normativa pregressa,
  Tuttavia, il possesso della laurea triennale non può comportare ipso iure un diverso inquadramento giuridico degli infermieri professionali in un ruolo superiore rispetto a quello previsto allorquando era richiesto solo il titolo dell'abilitazione professionale. Una siffatta operazione può realizzarsi solo attraverso una modifica normativa, atteso che lo status giuridico e professionale dei revisori tecnici infermieri è ad oggi disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 337 del 1982 e dal decreto ministeriale del 18 luglio 1985, ove sono previsti i contenuti delle professionalità.
  Per questa ragione, nell'ambito del ruolo dei revisori infermieri, si è determinato un disallineamento, nel senso che in esso coesistono dipendenti aventi il citato titolo universitario, altri con diploma di abilitazione alla professione di infermiere ed altri ancora senza specifico titolo di studio (cosiddetti infermieri non professionali).
  Un disallineamento anche maggiore si evidenzia tra la professionalità dei neo revisori infermieri con laurea triennale e quella del personale con profilo professionale di capo-sala, neurofisiopatologo, tecnico della riabilitazione motoria e di radiologia medica, tutti inquadrati dal decreto ministeriale del 18 luglio 1985 nel ruolo superiore dei periti, anche se eventualmente sprovvisti del suddetto titolo di studio.
  Tanto detto, si rappresenta che l'amministrazione dell'interno condivide l'esigenza di riqualificazione del personale laureato in infermieristica inquadrato nel ruolo dei revisori tecnici della Polizia di Stato in relazione al titolo universitario conseguito.
  Al fine di rivedere l'ordinamento dei ruoli dei revisori infermieri e dei periti, e più in generale dei ruoli tecnici, sono stati istituiti diversi gruppi di lavoro, le cui conclusioni sono state portate al vaglio delle rappresentanze sindacali maggiormente rappresentative che, quasi all'unanimità, hanno peraltro richiesto che il riassetto avvenga unicamente nell'ambito del riordino di tutti i ruoli della Polizia di Stato.
  L'amministrazione dell'interno ha all'esame soluzioni per la valorizzazione della specifica professionalità degli infermieri laureati nell'ambito di un riordino complessivo dei ruoli tecnico-scientifici e professionali, che – come detto – non può che avere carattere normativo.
  In questo contesto si è inserita la novità rappresentata dalla legge n. 124 del 2015 che, tra le altre deleghe conferite al Governo, prevede quella relativa alla «revisione della disciplina in materia di reclutamento, di stato giuridico e di progressione in carriera, tenendo conto del merito e delle professionalità, nell'ottica della semplificazione delle relative procedure, prevedendo l'eventuale unificazione, soppressione ovvero istituzione di ruoli, gradi e qualifiche e la rideterminazione delle relative dotazioni organiche».
  È evidente, che le problematiche di natura ordinamentale oggetto della presente interrogazione dovranno essere coordinate con l'attuazione della predetta delega.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   per esercitare la professione di infermiere è necessario il titolo di studio della laurea (decreto ministeriale 2 aprile del 2001 e successivo decreto n. 270 del 2004), ma già il decreto ministeriale n. 509 del 1999 varava la laurea di I livello per detta professione, e ancora prima con il decreto ministeriale 24 luglio 1996 il titolo di Infermiere era un diploma universitario, laddove già il decreto legislativo n. 502 del 1992 prevedeva già il requisito del diploma di maturità per l'accesso ai corsi di infermiere;
   viene tuttavia segnalato al deputato interrogante dal sindacato di polizia CONSAP che a tutt'oggi si verifichi ancora una iniqua discriminazione a danno del personale laureato in infermieristica in servizio nel comparto sanitario della polizia di Stato;
   infatti, l'attuale inquadramento giuridico, lavorativo e professionale dei dottori in infermieristica, determinato dal decreto ministeriale del 18 luglio 1985 è, a differenza di tutte le amministrazioni pubbliche e private dove si prevede un riconoscimento lavorativo nel ruolo funzionari (area 3°) o ad esso equipollente, inserito in un'inopportuna ed impropria carriera/ruolo avente mansioni prettamente esecutive (decreto del Ministero dell'interno del 18 luglio 1985, articolo 10-ter del decreto del Presidente della Repubblica n. 337 del 1982, ruolo revisori) equiparato ad un generico, sia giuridicamente che professionalmente;
   facendo un parallelismo con il pubblico impiego, l'infermiere della polizia di Stato, nonostante l'accesso ai ruoli avvenga previo conseguimento della laurea, è destinato alla carriera esecutiva, ossia quella riservata agli assunti con la licenza media e perfino a questi ultimi subordinato. Ciò, si ribadisce, rappresenta una in impropria applicazione del decreto del Ministro dell'interno 18 luglio 1985 (profili professionali ruoli tecnici), sebbene vi siano stati provvedimenti legislativi successivi e di rango superiore che hanno contribuito alla valorizzazione della laurea e della professione infermieristica e che avrebbero dovuto far evolvere automaticamente la professione del dottore infermiere;
   peraltro, occorre rilevare come tale improprio inquadramento dell'infermiere si riverbera in senso sperequativo anche nella comparazione con le altre figure professionali sanitarie non mediche del medesimo dipartimento di pubblica sicurezza, facendo sì che la posizione dell'infermiere sia gerarchicamente subordinata rispetto a quella di questi altri operatori con pari dignità accademica, giuridica e professionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della problematica illustrata in premessa e se non ritenga di doversi attivare affinché la professionalità dei dottori infermieri dipendenti del dipartimento di pubblica sicurezza abbia un effettivo riconoscimento giuridico. (4-06819)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede al Ministro dell'interno se non ritenga di doversi attivare affinché la professionalità dei dottori infermieri in servizio nella Polizia di Stato abbia un effettivo riconoscimento giuridico.
  Si rileva, preliminarmente, che il requisito del titolo di studio prescritto per il profilo professionale di infermiere è stato oggetto di un'evoluzione normativa. Attualmente, infatti, per gli infermieri è richiesto il possesso della laurea triennale, titolo di studio che non era prescritto dalla normativa pregressa.
  Tuttavia, il possesso della laurea triennale non può comportare ipso iure un diverso inquadramento giuridico degli infermieri professionali in un ruolo superiore rispetto a quello previsto allorquando era richiesto solo il titolo dell'abilitazione professionale. Una siffatta operazione può realizzarsi solo attraverso una modifica normativa, atteso che lo status giuridico e professionale dei revisori tecnici infermieri è ad oggi disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 337 del 1982 e dal decreto ministeriale del 18 luglio 1985, ove sono previsti i contenuti delle professionalità.
  Per questa ragione, nell'ambito del ruolo dei revisori infermieri, si è determinato un disallineamento, nel senso che in esso coesistono dipendenti aventi il citato titolo universitario, altri con diploma di abilitazione alla professione di infermiere ed altri ancora senza specifico titolo di studio (cosiddetti infermieri non professionali).
  Un disallineamento anche maggiore si evidenzia tra la professionalità dei neo revisori infermieri con laurea triennale e quella del personale con profilo professionale di capo-sala, neurofisiopatologo, tecnico della riabilitazione motoria e di radiologia medica, tutti inquadrati dal decreto ministeriale del 18 luglio 1985 nel ruolo superiore dei periti, anche se eventualmente sprovvisti del suddetto titolo di studio.
  Tanto detto, si rappresenta che l'amministrazione dell'interno condivide l'esigenza di riqualificazione del personale laureato in infermieristica inquadrato nel ruolo dei revisori tecnici della Polizia di Stato in relazione al titolo universitario conseguito.
  Al fine di rivedere l'ordinamento dei ruoli dei revisori infermieri e dei periti, e più in generale dei ruoli tecnici, sono stati istituiti diversi gruppi di lavoro, le cui conclusioni sono state portate al vaglio delle rappresentanze sindacali maggiormente rappresentative che, quasi all'unanimità, hanno peraltro richiesto che il riassetto avvenga unicamente nell'ambito del riordino di tutti i ruoli della Polizia di Stato.
  L'amministrazione dell'interno ha all'esame soluzioni per la valorizzazione della specifica professionalità degli infermieri laureati nell'ambito di un riordino complessivo dei ruoli tecnico-scientifici e professionali, che – come detto – non può che avere carattere normativo.
  In questo contesto si è inserita la novità rappresentata dalla legge n. 124 del 2015 che, tra le altre deleghe conferite al Governo, prevede quella relativa alla «revisione della disciplina in materia di reclutamento, di stato giuridico e di progressione in carriera, tenendo conto del merito e delle professionalità, nell'ottica della semplificazione delle relative procedure, prevedendo l'eventuale unificazione, soppressione ovvero istituzione di ruoli, gradi e qualifiche e la rideterminazione delle relative dotazioni organiche».
  È evidente, che le problematiche di natura ordinamentale oggetto della presente interrogazione dovranno essere coordinate con l'attuazione della predetta delega.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LUIGI DI MAIO e FRUSONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   fonti sindacali segnalano al deputato interrogante che il ruolo direttivo speciale della polizia di Stato, istituito e disciplinato dagli articoli da 14 a 21 del decreto legislativo n. 334 del 2000, non è stato finora mai attivato. È stato, infatti, sospeso ufficialmente, dall'articolo 1, comma 261, della legge 23 dicembre 2005, n. 266;
   tale sospensione sarebbe dovuta permanere fino a quando non fossero state approvate «le norme per il riordinamento dei ruoli del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle Forze di polizia ad ordinamento militare e delle Forze armate», che all'epoca sembrava imminente ma che così non è stato, essendo ormai trascorsi dieci anni dalla data di sospensione e quindici dall'anno della prevista, ma mai attuata, istituzione;
   secondo quanto segnalato ai deputati interroganti, la mancata attivazione prima e la sospensione poi, del ruolo direttivo speciale ha comportato numerosi problemi e sperequazioni;
   in primo luogo, ha causato un blocco per l'avanzamento in carriera di tutto il personale appartenente al ruolo degli ispettori e ai ruoli inferiori, con grave pregiudizio per gli interessati (che avrebbero potuto godere di un migliore trattamento economico e/o previdenziale);
   in secondo luogo, ha causato la vanificazione dell'intervento legislativo che – nell'ottica del legislatore – avrebbe dovuto equiparare il personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile con il personale di pari grado appartenente all'Arma dei carabinieri e alla Guardia di finanza (che continua a godere di un trattamento migliore) e il permanere, dunque, di una disparità di trattamento rispetto al personale militare;
   in terzo luogo, ha comportato una ennesima disparità di trattamento tra gli appartenenti ai ruoli degli ispettori, dei sovrintendenti e degli agenti e assistenti e gli appartenenti al ruolo dei funzionari (per i quali, invece, i concorsi vengono banditi regolarmente);
   infine, ha causato il rischio che nell'ambito delle procedure per il riordino delle carriere ovvero della paventata unificazione delle Forze di polizia, gli appartenenti al ruolo degli Ispettori possano subire un pregiudizio ancora maggiore, anche in considerazione della riduzione dei trattamenti pensionistici –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda segnalata, quale sia il suo orientamento in merito e se non ritenga di doversi attivare fine di attivare nel più breve tempo possibile il ruolo direttivo speciale. (4-07813)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame si chiede al Ministero dell'interno l'adozione di tempestive iniziative dirette alla costituzione del ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato, in attuazione di quanto disposto dal decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, al fine di riallineare le qualifiche apicali del ruolo degli ispettori alle omologhe qualifiche degli appartenenti alle altre forze di polizia.
  Come evidenziato dall'interrogante la legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per l'anno 2006) ha disposto che, fino a quando non saranno approvate le norme per il riordinamento dei ruoli del personale delle forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle forze di polizia ad ordinamento militare e delle forze armate, è sospesa l'applicazione dell'articolo 24 del citato decreto legislativo n. 334 del 2000, recante disposizioni in materia di prima applicazione del ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato.
  Nel quadro normativo appena esposto si è inserita la novità rappresentata dalla legge n. 124 del 2015 che, tra le altre deleghe conferite al Governo in tema di pubblico impiego, prevede quella relativa al riordino delle carriere del personale delle forze di polizia, in aderenza al nuovo assetto funzionale e organizzativo dei rispettivi corpi.
  È evidente, a questo punto, che le problematiche di natura ordinamentale e gestionale connesse alla mancata attivazione del ruolo direttivo speciale devono essere coordinate con l'attuazione della predetta delega, a cui stanno già lavorando da tempo appositi tavoli tecnici anche a composizione interforze.
  Si fa presente, infine, che la procedura di approvazione del decreto legislativo di riordino delle carriere del personale dei Corpi di polizia prevede l'acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che potranno, in tale sede, fornire il loro prezioso contributo di analisi e di proposta.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto segnalato da fonti sindacali al deputato interrogante, mediante, la circolare n. 555/RS/61/003,480 del 29 luglio 2015, il questore di Palermo ha proposto alla direzione centrale per gli affari generali della polizia di Stato alcune modifiche nell'assetto organizzativo dei presidi di polizia. Più precisamente sono stati proposti: 1) l'elevazione a livello dirigenziale del commissariato di polizia Bagheria; 2) l'elevazione a livello dirigenziale dell'ufficio del personale; 3) il declassamento a livello direttivo dei commissariati di polizia Oreto-Stazione e Libertà, con diminuzione di aliquota di personale all'interno di quest'ultimo;
   la criticità dei commissariati distaccati della questura di Palermo è ormai storicamente nota. Sebbene la citata circolare evidenzi che raramente essi arrivano ad una dotazione organica di 50 unità, la realtà è ancora più preoccupante, dal momento che diversi, come nel caso di Corleone e Cefalù, non arrivano nemmeno a 40, mentre Termini Imerese e Partinico contano poco più di 40 addetti;
   secondo quanto sostenuto dall'associazione sindacale CONSAP, la proposta di elevare a livello dirigenziale il commissariato di polizia Bagheria è utile, a patto che segua a ciò un aumento significativo dell'organico, affinché possa diventare un presidio consistente ed adeguato a contrastare la criminalità nel territorio dell’hinterland cittadino, esperienza che sarebbe proficuo estendere anche al commissariato di polizia Partinico, che ha un bacino d'utenza di circa 250 mila abitanti ed ha il nucleo di cittadini stranieri maggiore della provincia: in questo caso un potenziamento consentirebbe di avere un forte presidio in uno dei territori a più forte incidenza mafiosa della provincia;
   al contempo, sempre secondo la citata organizzazione sindacale, lo stesso giudizio positivo non si può esprimere nei confronti del declassamento dei commissariati Oreto-Stazione e Libertà: un simile declassamento (da dirigenziale a direttivo) fa temere che la prospettiva sia un'ulteriore diminuzione dell'aliquota di personale;
   infatti, il commissariato Oreto, sito in via Roma a Palermo, incide in un territorio dove negli ultimi mesi si è registrata una nuova clamorosa ondata di immigrazione, di cui chi assume queste decisioni dimostra di non si conoscere il reale impatto sul territorio;
   peraltro, l'inclusione del centro storico della città di Palermo nell'elenco dei siti patrimonio Unesco aumenterà ancora di più il flusso turistico nel centro storico della città;
   per quanto riguarda il commissariato di polizia Libertà, occorre segnalare che insiste su un territorio residenziale (con una popolazione di circa 250.000 persone) nel quale il tasso di criminalità sta aumentando, soprattutto per quello che riguarda i furti in abitazione, a causa del crescente impoverimento dovuto alla crisi economica ed al fatto che le abitazioni di quella zona sono considerate le più «ricche» della città: la zona è davvero «una elegante zona residenziale» ma rischia di diventare preda di criminalità provenienti da altre zone di Palermo;
   recentemente poi, con una disposizione tutt'altro che condivisibile della dirigenza del Compartimento Polfer per la Sicilia, il personale Polfer in servizio alla Stazione Notarbartolo è stato ridimensionato in favore del posto Polfer della Stazione Centrale. Tuttavia, il contingente in servizio presso Notarbartolo è fondamentale, anzi andrebbe potenziato, dal momento che si tratta dell'unico posto Polfer all'interno della città di Palermo e va a coprire uno snodo fondamentale del sistema ferroviario palermitano: la preoccupazione, dati i tagli che stanno avvenendo in questo momento, è che sia destinato a chiudere. In tale sciagurata ipotesi, secondo quanto segnalato dalla citata organizzazione sindacale, sommando il depotenziamento del commissariato Libertà e la possibilità di chiusura di Notarbartolo, si provocherebbe un serio rischio per la sicurezza delle zone centrali del capoluogo siciliano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto illustrato in premessa, quale sia il suo orientamento in merito e se non ritenga doveroso un intervento al fine di bloccare immediatamente il tentativo del dipartimento della pubblica sicurezza di indebolire il presidio per la sicurezza a Palermo città e in provincia, con le modalità indicate in premessa. (4-10252)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante richiama l'attenzione sulla proposta di parziale rimodulazione della struttura organizzativa della questura e degli uffici dipendenti, inoltrata dal questore di Palermo al Dipartimento della pubblica sicurezza, paventando che essa possa tradursi in un indebolimento il presidio per la sicurezza a Palermo e provincia.
  Al riguardo, si informa che l'iniziativa del questore, dettata dalle mutate esigenze operative e assunta nella prospettiva di una ottimizzazione della distribuzione e dell'impiego delle risorse, è tuttora al vaglio del citato Dipartimento.
  Si assicura che ogni scelta sarà valutata con grande attenzione e calibrata sul contesto territoriale di riferimento, in una logica di efficientamento del dispositivo, senza che ne venga a soffrire la qualità del «prodotto sicurezza», che semmai verrà accresciuta da una migliore e più adeguata rispondenza alle esigenze della cittadinanza.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto si apprende da fonti di stampa, negli ultimi giorni presso il centro di accoglienza «Vogliamo volare» di Romitello in provincia di Palermo si sarebbe verificata una situazione paradossale;
   secondo quanto denunciato anche dall'organizzazione sindacale Consap, tre fratelli di origine nigeriana si sarebbero resi protagonisti di diversi atti di violenza, protestando inizialmente per la qualità del cibo da loro non gradito e scatenando una rissa con le forze dell'ordine che stavano notificando loro un provvedimento della prefettura di Palermo nel quale venivano «invitati» ad abbandonare la struttura. Nel corso della colluttazione, per cui sono stati denunciati a piede libero per percosse, oltraggio e resistenza a pubblico ufficiale, hanno rotto gli occhiali di un poliziotto e il polso di un altro;
   tuttavia, una volta allontanati dal centro per le loro intemperanze, non possono essere espulsi a causa della richiesta di asilo pendente (per il cui esito occorreranno alcuni mesi) e, pertanto, fino a nuova comunicazione, sono a piede libero;
   si tratta di un caso emblematico, dal momento che è possibile che si creino altre situazioni analoghe –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda descritta in premessa e se non ritenga di doversi attivare al fine di risolvere la situazione, nonché di evitare il presentarsi di circostanze analoghe;
   se sul territorio nazionale esistano casi analoghi di migranti allontanati dai centri di accoglienza per intemperanze e lasciati senza alcun controllo liberi di circolare sul territorio nazionale.
(4-10254)

  Risposta. — Come riferito dall'interrogante, nella mattinata del 27 agosto 2015 alcuni operatori del Commissariato di pubblica sicurezza di Partinico, insieme ai militari della locale compagnia di carabinieri, hanno eseguito un provvedimento di revoca dell'accoglienza emesso dalla prefettura di Palermo nei confronti di tre migranti di origine nigeriana ospitati presso il centro gestito dall'associazione «Vogliamo Volare» situato a Romitello, una frazione montana del comune di Borgetto.
  I tre si erano resi responsabili, il 21 agosto 2015, di iniziative estemporanee di protesta e di minacce nei confronti di alcuni operatori della comunità.
  Il loro disappunto sarebbe stato causato dalla tipologia del cibo loro offerto, soprattutto in considerazione dell'asserita intolleranza di uno di loro ad alcuni alimenti.
  Al momento della notifica del provvedimento di revoca, hanno avuto una reazione violenta, aggredendo il personale operante per poi dileguarsi nella campagna circostante.
  In seguito a tale episodio, un operatore della Polizia di Stato e due militari dell'Arma hanno riportato vari traumi con prognosi di sette giorni ciascuno.
  La mattina successiva alla loro fuga, i predetti cittadini nigeriani sono stati rintracciati dalle forze dell'ordine in via Cavour a Palermo, nei pressi della Prefettura, e denunciati per lesioni, resistenza e violenza a pubblico ufficiale, oltre che per la violazione dell'articolo 650 del codice penale. Sono stati quindi invitati ad eleggere domicilio (ex articolo 161 c.p.p.).
  Si soggiunge che gli stranieri in argomento erano richiedenti asilo e, come tali, inespellibili.
  In ordine all'ultimo quesito posto con l'interrogazione, si precisa che ogniqualvolta un richiedente asilo da luogo ad atti di intemperanza, come nella fattispecie in esame, il prefetto competente adotterà il provvedimento di revoca delle misure di accoglienza, con conseguente allontanamento dalla relativa struttura, ai sensi dell'articolo 23 del decreto legislativo n. 142 del 2015. Ciò sempre nel rispetto dei diritti riconosciuti, anche a livello comunitario, a coloro che siano in attesa dell'esito delle istanze di richiesta di protezione internazionale.
  Resta fermo che lo straniero allontanato dalla struttura di accoglienza può essere trattenuto in un centro di identificazione ed espulsione, sulla base di una valutazione caso per caso, quando costituisca un pericolo per l'ordine e la sicurezza pubblica oppure sussistano il rischio di fuga o le altre condizioni previste dall'articolo 6, comma 2, del citato decreto legislativo.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2015 ricorreva l'anniversario della tragedia del Vajont, costata 1910 vittime e la distruzione di buona parte dei paesi di Longarone, Codissago ed Erto. La più grande tragedia europea dopo la seconda guerra mondiale fino a Chernobyl, come ricorda Il Corriere del Veneto. Una tragedia «lontana» nel tempo (correva l'anno 1963), spesso dimenticata, ma che ora torna d'attualità a causa della questione relativa alle carte del processo attualmente custodite nell'archivio di Stato di Belluno;
   l'archivio di Stato di Belluno, istituito nel 1973 e attivo dal 1976, rischia la chiusura per carenza di organico, infatti vi sono solo sei persone con qualifica amministrativa più il direttore (che è l'unico ad avere la qualifica di archivista), nominato pro tempore e a scadenza, pertanto si parla di trasferire tutto a Treviso;
   esiste un accordo temporaneo, tra Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e comune di Longarone, per la conservazione e la digitalizzazione dei documenti processuali del Vajont salvati dal terremoto a L'Aquila. La convenzione del 2009, tra comune di Belluno e comune dell'Aquila, prevede la restituzione dei documenti entro il 31 dicembre 2012, dopo il termine della digitalizzazione, terminata nel 2014;
   nel frattempo è iniziato un progetto per far riconoscere i documenti processuali all'UNESCO, come «memoria, del mondo» (riconoscimento previsto per il 31 maggio 2016), da parte dell'associazione Tina Merlin, della Fondazione Vajont, dell'archivio di stato di Belluno, del comune di Longarone e dall'avvocato Fabbri (che si occupò del processo Vajont), ed il mantenimento dell'archivio di Stato di Belluno, consentirebbe la permanenza degli atti processuali a Belluno rendendo più agevole anche il percorso di riconoscimento avviato già da un paio di anni, dalle comunità locali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   se e quali iniziative, anche normative, intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, per evitare la chiusura dell'archivio di Stato di Belluno e prevedere che «l'archivio della Memoria» degli atti processuali del Vajont, che attualmente vi è custodito, vi abbia sede stabile. (4-11595)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in esame, nella quale l'interrogante, premesso che l'archivio di Stato di Belluno rischia la chiusura per carenza di organico e che in esso sono attualmente custoditi i documenti processuali del Vajont, chiede quali iniziative il Ministero intenda intraprendere per evitare la chiusura dell'Archivio e prevedere che l’«Archivio della memoria» del Vajont vi abbia sede stabile.
  A tale proposito si rappresenta quanto segue, sulla scorta degli atti della direzione generale degli archivi del Ministero, nonché delle informazioni trasmesse dall'Archivio di Stato di Belluno.
  I documenti in argomento, versati secondo le norme vigenti presso l'Archivio di Stato dell'Aquila presso cui sono stati ordinati e inventariati, a seguito del terremoto del 2009 sono stati trasferiti presso l'Archivio di Stato di Belluno in base ad una convenzione stipulata tra il Mibact e il comune di Longarone con finalità di studio e valorizzazione.
  L'accordo prevedeva la redazione di un inventario analitico, la realizzazione di regesti dei documenti di particolare interesse, la digitalizzazione delle carte al fine della fruizione online e la creazione di copie di sicurezza. Tali interventi sono stati completati e le carte si trovano attualmente presso l'istituto, al fine di garantirne l'ottimale fruizione e conservazione.
  Successivamente, su iniziativa della fondazione Vajont e dell'associazione Tina Merlin di Belluno è stata avviata, con l'accordo del comune di Longarone, dell'archivio di Stato de L'Aquila, della direzione generale archivi e dell'archivio di Stato di Belluno, la procedura per la presentazione della candidatura necessaria ad iscrivere l'archivio processuale del Vajont nel registro della memoria dell'Unesco.
  A tale proposito, nello scorso mese di gennaio si è svolta presso l'archivio di Stato di Belluno una riunione cui hanno partecipato i rappresentanti di tutti i soggetti istituzionali sopra citati, i quali hanno predisposto una bozza di accordo per la costituzione del gruppo promotore della candidatura.
  Attualmente è in corso di redazione il testo da proporre alla commissione italiana Unesco e successivamente alla commissione di Parigi.
  Resta ancora da realizzare la pubblicazione online dei documenti su un Portale tematico dedicato all'interno del SAN, Sistema archivistico nazionale, che consentirà di estendere la consultazione ad un maggior numero di studiosi.
  In relazione alla prospettata carenza di personale, si fa presente che l'articolo 1, comma 328, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, autorizza l'assunzione a tempo indeterminato presso il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di 500 funzionari da inquadrare nella III area del personale non dirigenziale, posizione economica F1, tra gli altri, nel profilo professionale di archivista.
  In tale ambito si potrà sopperire alle criticità prospettate attraverso la prevista procedura di reclutamento di funzionari archivisti, da assegnare anche all'archivio di Stato di Belluno.
  Si segnala al riguardo che la nuova tabella organica del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, allegata al decreto ministeriale 6 agosto 2015 di approvazione delle dotazioni organiche per tutti gli uffici dell'amministrazione centrale periferica, prevede per l'archivio di Stato di Belluno 12 unità di personale tra cui 3 funzionari archivisti.
  Quanto sopra conferma che l'istituto continuerà ad avere la sua sede a Belluno e che non è mai stato ipotizzato alcun trasferimento.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   D'UVA, VILLAROSA, LOREFICE, MANNINO, DADONE, LUPO, SARTI, RIZZO e CANCELLERI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 dicembre 2008, nella zona compresa tra Milazzo e Falcone, si sono verificati, a causa di piogge molto abbondanti, eventi alluvionali di particolare intensità che hanno gravemente colpito tali località, causando ingenti danni e provocando gravissimi disagi alle popolazioni locali;
   il comune di Falcone, in particolare, risultava essere uno dei comuni maggiormente colpiti da tali fenomeni e l'entità dei danni subiti richiedeva l'intervento di ditte esterne che liberassero il centro abitato dai fanghi e detriti causati dall'esondazione del limitrofo torrente Feliciotto;
   è necessario rilevare come nel territorio falconese sia emerso, nel corso degli anni, un preoccupante quadro di legami tra politica e criminalità organizzata, a seguito di numerose indagini e alcune dichiarazioni di collaboratori di giustizia, i quali, deponendo in sede di alcuni procedimenti giudiziari denominati «Gotha» e riguardanti il sistema mafioso di gestione degli appalti nel territorio barcellonese, avrebbero denunciato un sistema illecito attraverso il quale garantire l'affidamento dei lavori ad aziende legate alla criminalità organizzata;
   in seguito alle numerose indagini portate avanti in questi anni dalle varie procure siciliane dal 2008 a oggi, tali dichiarazioni hanno potuto trovare effettivo riscontro nei numerosi arresti per associazione mafiosa a danno di imprenditori titolari di alcune delle ditte risultate vincitrici degli appalti;
   tra questi avvenimenti particolare rilievo assume proprio l'affidamento di parte dei lavori per la rimozione dal territorio dei fanghi causati dall'alluvione del 2008 a un imprenditore ritenuto legato ad ambienti di tipo malavitoso, che ha condotto la magistratura all'emissione di 8 avvisi di garanzia nei confronti di alcuni esponenti politici del comune di Falcone (Messina), per i quali si ipotizza il reato di abuso d'ufficio in concorso;
   tra i destinatari di tali provvedimenti, così come firmati dal pubblico ministero Francesca Bonanzinga, risultano l'attuale sindaco del Comune di Falcone (Messina), Avv. Santi Cirella, nonché gli assessori comunali, in carica tra dicembre del 2008 e maggio del 2009, Pasquale Bucolo, Sebastiano Calabrese, Francesco Giuseppe Cannistraci e Mariano Antonino Gitto;
   così come riportato da fonti di stampa, in occasione dell'alluvione dell'11 dicembre 2008 con l'ordinanza n.30, del 14 dicembre 2008, firmata dal Sindaco del Comune di Falcone (Messina), Avv. Santi Cirella, e con successive delibere di approvazione adottate dalla Giunta municipale, si precettava, quale esecutrice dei lavori di intervento di trasporto di pietre con pala gommata, la ditta individuale di cui risulta titolare il presunto boss del Comune di Terme Vigliatore (Messina), Carmelo Salvatore Trifirò;
   secondo quanto emerso dalle indagini, per eseguire i lavori di somma urgenza post-alluvione, consentendo la messa in sicurezza del territorio e dei suoi abitanti, il comune di Falcone (Messina) ha ricevuto dalla regione siciliana fondi per un ammontare superiore ad un milione e quattrocentomila euro;
   secondo l'accusa mossa dal pubblico ministero, tale ordinanza sarebbe stata adottata nonostante Carmelo Salvatore Trifirò già nel 2008 risultasse gravato da precedenti penali, nonché sottoposto a regime di custodia cautelare in carcere a seguito di ordinanza del Gip del Tribunale di Messina per l'operazione antimafia denominata «Vivaio»;
   secondo gli inquirenti, «oltre a quella nella titolarità di Carmelo Salvatore Trifirò, compare pure la Ve.Ni.Al. di Salvatore Campanino, azienda con sede in Contrada Granciotta, Terme Vigliatore, (Messina), a cui sono stati liquidati con determina del 2011 lavori per complessivi 59.780 euro»;
   Salvatore Campanino, condannato a otto anni di reclusione al processo «Vivaio», per gli inquirenti sarebbe imprenditore «vicino» alla mafia barcellonese, ed in particolare a persone quali «Tindaro Calabrese, Agostino Campisi e Carmelo Salvatore Trifirò»;
   agli amministratori comunali, così come al presunto boss Carmelo Salvatore Trifirò, si contesta la violazione dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998, il quale prevede espressamente che, «quando, a seguito delle verifiche disposte dal prefetto, emergono elementi relativi a tentativi di infiltrazione mafiosa nelle società o imprese interessate, le amministrazioni cui sono fornite le relative informazioni, non possono stipulare, approvare o autorizzare i contratti o subcontratti, né autorizzare, rilasciare o comunque consentire le concessioni e le erogazioni»;
   al solo Sindaco Avv. Santi Cirella, infine, si contesta l'ulteriore reato di omissione di atti d'ufficio per avere omesso di rilasciare gli atti richiesti, «nonostante tale richiesta proveniva da un componente della Commissione speciale per l'alluvione nominata con delibera del Consiglio del 30 dicembre 2008, n.34»;
   in data 30 giugno 2015, il quotidiano La Gazzetta del Sud pubblicava, sulla sua edizione cartacea, la notizia della richiesta di rinvio a giudizio da parte della Procura di Patti, ipotizzando il reato di abuso d'ufficio in concorso, «per il Sindaco di Falcore, Santi Cirella, e per gli assessori comunali in carica tra dicembre del 2008 e maggio del 2009»;
   sullo stesso quotidiano è affermato che «per lo stesso reato la richiesta di rinvio a giudizio è stata estesa anche all'imprenditore che ha beneficiato dell'affidamento dei lavori di ripristino a seguito dei danni alluvionali dell'autunno 2008, il presunto boss di Terme Vigliatore, Carmelo Salvatore Trifirò, indagato in una serie di operazioni antimafia scattate nella primavera del 2008 con l'inchiesta ‘Vivaio’»;
   secondo quanto appreso dal quotidiano inoltre «Tutti devono rispondere di abuso per l'affidamento di parte dei lavori per la rimozione dei fanghi dell'alluvione del 2008», mentre «agli amministratori comunali di Falcone, così come all'imprenditore Trifirò, si contesta nel capo di imputazione la violazione dell'articolo 10 del decreto del Presidente della Repubblica n. 252 del 1998 che prescrive il divieto per la pubblica amministrazione di contrarre allorquando emergono elementi di infiltrazione mafiosa all'interno di imprese e società» –:
   se sia a conoscenza dei fatti sin qui esposti;
   se intenda valutare la sussistenza dei presupposti per avviare iniziative ai sensi degli articoli 141, 142 e 143 del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali in relazione ai fatti di cui in premessa. (4-10497)

  Risposta. — Come evidenziato dall'interrogante, nel corso degli ultimi anni il territorio del comune di Falcone è stato interessato da svariate inchieste giudiziarie che hanno riguardato tutto l’hinterland di Barcellona Pozzo di Gotto.
  In particolare, dalle operazioni di polizia «Vivaio» e «Gotha 3» è emerso che diversi soggetti erano coinvolti nell'associazione mafiosa «famiglia barcellonese», riconducibile a «Cosa Nostra» siciliana, attiva sul versante tirrenico della provincia di Messina.
  Tale sodalizio, avvalendosi della forza di intimidazione promanante dal vincolo associativo e dalla condizione di assoggettamento e omertà che ne derivava sul territorio, «programmava e commetteva delitti della più diversa natura contro la persona, il patrimonio, la Pubblica Amministrazione, l'amministrazione della giustizia, l'ordine pubblico e la fede pubblica, con l'obiettivo precipuo di acquisire in forma diretta e indiretta la gestione e comunque il controllo di attività economiche, di appalti pubblici, di profitti e vantaggi ingiusti per sé e per altri».
  Per quanto riguarda più specificamente gli eventi alluvionali del 2008, a seguito dei quali il comune di Falcone affidò svariati lavori servendosi del sistema delle somma urgenza, occorre precisare che, dagli accertamenti esperiti dalla Prefettura di Messina, risulta che i relativi atti amministrativi siano stati resi pubblici mediante affissione presso l'albo pretorio dell'ente e fossero visionabili presso la segreteria comunale. Tale documentazione è stata trasmessa mensilmente a ciascun consigliere comunale (assieme alle copie delle delibere della giunta comunale e ai provvedimenti dei capi area).
  Secondo quanto asserito dal sindaco di Falcone Santi Cirella in una lettera aperta inviata il 2 settembre del 2012 al giornalista Antonio Mazzeo – in risposta al suo articolo «Falcone colonia di mafia fra Tindari e Barcellona», pubblicato sul quotidiano on line «siciliani.it» –, la selezione delle ditte era avvenuta col sistema del «passa parola». Tutti coloro che conoscevano ditte e imprese, infatti, erano stati invitati a contattarle per poter dare immediato corso ai lavori che la situazione emergenziale richiedeva.
  In seguito a ciò, numerose imprese contattarono la segreteria del centro operativo comunale per la gestione delle situazioni di emergenza, al fine di essere censite e prese in considerazione per i lavori.
  Sempre a detta del sindaco, l'avviamento al lavoro era subordinato, pena il diniego o la revoca dell'incarico, alla presentazione, da parte della ditta appaltatrice, del certificato camerale con dicitura antimafia e alla sottoscrizione di una serie di dichiarazioni attestanti la regolarità della propria posizione contributiva, l'inesistenza di carichi pendenti e l'assenza di divieti a contrarre con la pubblica amministrazione.
  Si soggiunge che il sindaco di Falcone, a seguito di un esposto inviato il 15 giugno 2009 da un consigliere comunale di minoranza alla procura della Repubblica presso il tribunale di Patti per presunte irregolarità gestionali da lui commesse – appunto – in occasione dell'alluvione del 2008, ha replicato alle accuse relazionando sul proprio operato alla prefettura di Messina, all'autorità giudiziaria e all'assessorato regionale agli enti locali.
  Le indagini susseguenti all'esposto, delegate dalla procura del tribunale di Patti all'arma dei carabinieri, hanno consentito di individuare alcune ditte impiegate nell'esecuzione dei lavori post-alluvione, che si erano rese responsabili di false attestazioni. In relazione a ciò, sono state formulate alcune ipotesi di reato a carico di imprenditori e amministratori comunali.
  Il 23 dicembre 2014 la procura della Repubblica di Patti ha avanzato richiesta di rinvio a giudizio per il sindaco e i componenti della giunta municipale di Falcone per il delitto di abuso d'ufficio commesso in concorso con Carmelo Salvatore Trifirò.
  Quest'ultimo, titolare dell'omonima ditta individuale, aveva ottenuto dal comune di Falcone, a seguito dell'alluvione del dicembre 2008, l'affidamento dei lavori di trasporto di pietre con pala gommata e autocarri, nonostante risultasse gravato da precedenti penali e, nell'ambito della predetta operazione «Vivaio», fosse stato condannato per associazione a delinquere di tipo mafioso (in quanto appartenente al gruppo dei «Mazzarroti», facente capo alla famiglia mafiosa di Barcellona Pozzo di Gotto).
  Nell'ambito dello stesso procedimento penale, la procura ha chiesto il rinvio a giudizio del sindaco di Falcone anche per il reato di omissione di atti d'ufficio.
  All'esito dell'udienza del 18 novembre 2015, il giudice dell'udienza preliminare presso il Tribunale di Patti ha assolto il sindaco di Falcone e gli altri amministratori comunali dai delitti loro ascritti perché il fatto non sussiste.
  Per quanto concerne l'opportunità di disporre l'accesso ispettivo al comune di Falcone ai sensi dell'articolo 143, comma 2, del decreto legislativo n. 267 del 2000, si informa che lo scorso 12 gennaio la Prefettura di Messina ha invitato il comandante provinciale dei carabinieri di Messina a trasmettere gli elementi informativi disponibili e ostensibili, ai fini della loro valutazione in seno al Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica.
  Si assicura, in ogni caso, che la situazione del comune di Falcone è costantemente monitorata dalla Prefettura, che continuerà a seguire con attenzione gli sviluppi delle vicende evidenziate e di ogni altro episodio di interesse, nell'esercizio delle proprie prerogative e nei limiti delle competenze dettate dalla legge.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   FANTINATI, BUSINAROLO e TURCO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro per gli affari europei. — Per sapere – premesso che:
   sono decenni ormai che l'aeroporto e l'interporto di Verona – separati fisicamente solo dall'autostrada A22 e dall'incrocio tra l'autostrada A22 e l'autostrada A4 e quindi in presenza di impatti ambientali «cumulativi» – si sono ampliati e potenziati senza mai chiedere una procedura di VIA (valutazione d'impatto ambientale) o di VAS (valutazione ambientale strategica);
   non risulta all'interrogante che queste strutture siano state sottoposte neppure alla verifica di assoggettabilità (screening preliminare) alla valutazione d'impatto ambientale o alla valutazione ambientale strategica;
   queste infrastrutture (aeroporto, interporto, autostrade A22 e A4), interessano pesantemente il centro abitato di Caselle di Sommacampagna, sul cui territorio insiste quasi l'80 per cento del sedime dell'aeroporto di Verona, il cui confine comunale coincide con l'intero confine ovest dell'interporto «Quadrante Europa» ed il cui territorio è attraversato dall'autostrada A22 e dall'A4, ai cui impatti ambientali vanno anche aggiunti quelli generati dall'incrocio di due autostrade;
   nel corso degli anni, alcuni cittadini di Caselle di Sommacampagna hanno presentato denunce ed esposti alla procura della Repubblica, inviate anche alla direzione generale ambiente della Commissione europea;
   su tale argomento l'eurodeputato Andrea Zanoni ha presentato tre interrogazioni al Presidente del Consiglio europeo e alla Commissione competente per materia;
   con la pratica EU-PILOT 3719/12/ENVI la direzione generale ambiente sta ancora indagando sulla mancata sottoposizione alla valutazione ambientale strategica dell'interporto «Quadrante Europa» e, con la pratica EU-PILOT 3720/12/ENVI sono ancora in corso verifiche sulla mancata sottoposizione alla valutazione d'impatto ambientale dell'Aeroporto «Valerio Catullo»;
   in merito alla violazione della direttiva di valutazione d'impatto ambientale dell'aeroporto Catullo, la Procura della Repubblica di Verona sta ancora svolgendo indagini, in quanto ad oggi risulta essere ancora aperto il fascicolo 4246/11/ANCNR;
   notizie di stampa di qualche settimana fa anticipano indiscrezioni secondo cui, a seguito di una perizia commissionata dal pubblico ministero, sarebbe emerso che «era necessaria la Valutazione d'Impatto Ambientale per realizzare l'ampliamento e il potenziamento dell'Aeroporto Catullo» –:
   considerata la sommatoria degli impatti che creano gravi problemi ambientali sull'abitato di Caselle del comune di Sommacampagna, quali iniziative urgenti intenda adottare affinché l'aeroporto «Valerio Catullo» e l'interporto «Quadrante Europa» siano rispettivamente sottoposti alle procedure di valutazione d'impatto ambientale e di valutazione ambientale strategica, tenendo conto anche degli effetti cumulativi che impattano su Caselle di Sommacampagna vista la contemporanea presenza dell'interporto, dell'aeroporto, delle Autostrade A22 e A4 e del rispettivo incrocio autostradale. (4-03074)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  In premessa va sottolineato che la Commissione europea in passato ha già verificato la corretta applicazione della normativa in materia di valutazioni ambientali rispetto all'interporto e all'aeroporto di Verona. Con riferimento alla procedura di indagine EU-PILOT 3719/12/ENVI relativa alla mancata sottoposizione dell'interporto «Quadrante Europa» alla procedura di valutazione ambientale strategica (Vas), in data 13 giugno 2014 la Commissione europea, sulla base delle informazioni fornite dalle Autorità italiane, ha archiviato il caso in quanto non ha rinvenuto alcuna violazione rilevante ai fini dell'apertura di una procedura di infrazione. Parimenti, anche la procedura di indagine EU-PILOT 3720/12/ENVI relativa alla mancata sottoposizione a valutazione di impatto ambientale (Via) di alcuni aeroporti italiani, tra cui quello di Verona, è stata archiviata in data 14 ottobre 2014, a seguito della documentazione e dei dati trasmessi dalle Autorità italiane.
  In merito all'attuale piano di sviluppo dell'aeroporto di Verona, che progressivamente tiene conto delle esigenze di adeguamento ai flussi di traffico e delle richieste di modifica da parte dei comuni limitrofi, si evidenzia che l'Enac ha approvato il progetto del Master plan relativo al terminal Valerio Catullo e in data 15 gennaio 2016 ha presentato la relativa istanza di Via al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. La direzione competente del Dicastero sta attualmente verificando la regolarità e la completezza della documentazione trasmessa ai fini dell'avvio del relativo procedimento.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il sito di interesse nazionale Trieste è stato perimetrato nel 2003 e da tale data fino al 2011 sono succedute diverse conferenze di servizi con sufficiente regolarità, indette dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai fini dell'attuazione delle procedure di caratterizzazione e di bonifica del sito;
   dal 2012 ad oggi, invece, sono state convocate solo due conferenze di servizi, nel 2013 e 2015, l'ultima delle quali nel luglio 2015 dove, peraltro, sono stati deliberati solo due punti su nove all'ordine del giorno;
   la mancata convocazione delle conferenze di servizi ha ulteriormente rallentato, se non bloccato, le attività di caratterizzazione ambientale e di bonifica nel SIN già avviate o in fase di conclusione;
   ciò, di fatto, determina l'impossibilità per diversi imprenditori di poter eseguire investimenti, ampliamenti produttivi o consentire l'insediamento di nuove aziende e realtà produttive sul territorio;
   inoltre, a seguito dell'avvenuta sottoscrizione, nel 2014, dell'accordo di programma sull'area della Ferriera e la nomina del presidente della regione Friuli Venezia Giulia commissario straordinario, lo stesso Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha convocato diverse conferenze di servizi specificatamente per la Ferriera, con un unico punto all'ordine del giorno;
   il decreto-legge «Crescita», n. 83 del 2012; convertito nella legge n. 134 del 2012, all'articolo 36-bis, ha razionalizzato i criteri di individuazione dei siti di interesse nazionale; infatti, i commi 2 e 3 prevedono che:
    «2. Con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, da adottare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, sentite le regioni interessate, è effettuata la ricognizione dei siti attualmente classificati di interesse nazionale che non soddisfano i requisiti di cui all'articolo 252, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, come modificato dal comma 1 del presente articolo.
    3. Su richiesta della regione interessata, con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sentiti gli enti locali interessati, può essere ridefinito il perimetro dei siti di interesse nazionale, fermo restando che rimangono di competenza regionale le necessarie operazioni di verifica ed eventuale bonifica della porzione di siti che, all'esito di tale ridefinizione, esuli dal sito di interesse nazionale»;
   tale norma dimostra l'intenzione del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare a ridefinire le aree del sito di interesse nazionale sul territorio nazionale, di competenza del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, declassando alcune aree e trasferendone le competenze alle regioni;
   in tale contesto si potrebbe riperimetrare il sito di interesse nazionale di Trieste, lasciando alle competenze del Ministero solo le aree di maggior interesse (Ferriera, ex-Aquila, e altre) e inserendo tutte le restanti aree nel SIR (sito di interesse regionale);
   tale politica organizzativa potrebbe dare nuovo impulso alla problematica delle aree inquinate, con conferenze di servizi convocate dalla regione e non più dal Ministero per gran parte del territorio dell'attuale sito di interesse nazionale, riducendo al minimo i tempi per la chiusura di molte delle numerose pratiche di bonifica tuttora aperte e ancora in attesa di soluzione –:
   se il Ministro intenda valutare la possibilità della riperimetrazione del sito di interesse nazionale di Trieste e, per quanto di competenza, adottare le opportune iniziative, in raccordo con la regione Friuli Venezia Giulia. (4-10680)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, concernente la possibilità di riperimetrare il sito di bonifica di interesse nazionale di Trieste, in base agli elementi acquisiti dagli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  L’iter istruttorio—amministrativo per la bonifica del sito di interesse nazionale procede regolarmente con la convocazione di conferenze di servizi istruttorie e decisorie in funzione della documentazione progettuale che perviene a questo dicastero.
  Nel solo anno 2015 si sono tenute cinque conferenze di servizi a carattere istruttorio, una conferenza di servizi decisoria, ai sensi dell'articolo 14, comma 2, della legge n. 241 del 1990, una conferenza di servizi ai sensi dell'articolo 252-bis, del decreto legislativo n. 152 del 2006, nonché numerose riunioni a carattere tecnico con enti locali e soggetti privati interessati.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha, inoltre, adottato misure specifiche per il sito di interesse nazionale in questione, volte a semplificare ed agevolare l'applicazione e l'adeguamento alla evoluzione della normativa in materia ambientale che ha interessato aspetti particolarmente rilevanti per il sito.
  Ci si riferisce, nello specifico, al «Protocollo tecnico-operativo per l'esecuzione del test di cessione sui materiali di riporto previsto dall'articolo 41, comma 3, del decreto-legge n. 69 del 2013 (recepito con la legge n. 98 del 2013) all'interno del sito di interesse nazionale di Trieste», redatto da Arpa Friuli Venezia Giulia su impulso del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare alla luce della quasi ubiquitaria presenza di materiali di riporto, utilizzati per la realizzazione di riempimenti e reinterri, e all'applicazione delle previsioni della legge n. 98 del 9 agosto 2013.
  Come richiamato dallo stesso interrogante, la possibilità di riperimetrare un sito di bonifica di interesse nazionale è previsto dalla normativa, ma la proposta di riperimetrazione è iniziativa attribuita alla Regione interessata, ai sensi dell'articolo 36-bis, comma 3 del decreto-legge n. 83 del 22 giugno 2012 (convertito con legge n. 134 del 7 agosto 2012).
  Ad oggi non risulta alcuna istanza in tal senso da parte della regione Friuli Venezia Giulia.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   FORMISANO. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la delibera del CIPE n. 50 del 2013 e con la legge n. 147 del 2013 sono state stanziate le risorse per la ricostruzione degli immobili privati crollati a seguito del sisma che in data 6 aprile 2009 ha colpito la città de L'Aquila nonché diversi comuni dell'Abruzzo;
   con le successive delibere del CIPE, n. 1 del 2014 del 6 febbraio 2014 e n. 23 del 2014 del 1° agosto 2014, sono state assegnate le somme al fine di assicurare la prosecuzione degli interventi di ricostruzione privata nei territori della regione Abruzzo colpiti dagli eventi sismici del 6 aprile 2009, per un importo complessivo 468.978.452,34 euro per la copertura del relativo fabbisogno per il periodo marzo-luglio 2014;
   con le suddette delibere vengono disposte le assegnazioni definitive e le autorizzazioni ad assumere impegni anticipati; le assegnazioni a favore del comune di L'Aquila sono:
    a) assegnazione di 63.294.575,83 euro a valere sull'annualità 2014 delle risorse stanziate dalla legge n. 147 del 2013 (tavola 2, colonna F);
    b) assegnazione di 205.819.704,82 euro a valere sull'annualità 2015 delle risorse stanziate dalla legge n. 147 del 2013 (tavola 2, colonna G), assegnazione di cui viene autorizzato l'impegno sin dal corrente anno 2014;
   le suddette delibere sanciscono che i comuni assegnatari delle risorse per la concessione di contributi a privati – finalizzati alla ricostruzione o riparazione di immobili danneggiati, prioritariamente adibiti ad abitazione principale, ovvero per l'acquisto di nuove abitazioni sostitutive dell'abitazione principale distrutta – possono utilizzare le disponibilità di cassa derivanti dai trasferimenti annuali a valere sulle assegnazioni, per erogazioni di contributi della stessa natura concessi a valere sulla competenza assegnata anche per annualità successive rispetto a quella di trasferimento, restando fermo che, nel rispetto dell'articolo 7-bis del decreto-legge n. 43 del 2013, le erogazioni complessive devono essere effettuate nel limite delle risorse trasferite per ciascun anno di competenza;
   contestualmente, il comune del L'Aquila è stato autorizzato a impegnare le risorse stanziate in previsione delle annualità 2015 e 2016;
   ad oggi, tali risorse, che devono essere utilizzate per i lavori di cui ai cosiddetti «decimo ed undicesimo elenco», all'interrogante non risulta che siano state ancora materialmente percepite, non essendo transitate sui conti ad esse dedicati;
   la stasi dei fondi sta causando gravissimi problemi per i già martoriati cittadini dell'Aquila, ai quali, peraltro, dalle istituzioni e dai media è sempre stato fatto passare il messaggio che «le risorse ci sono»;
   risulta infatti all'interrogante che sia accaduto che, facendo affidamento sullo stanziamento dei fondi e sull'assegnazione degli stessi, molti cittadini interessati, sulla scorta delle comunicazioni ricevute dal comune del L'Aquila, hanno stipulato dei contratti preliminari di vendita per l'acquisto di abitazioni sostitutive, e che, non avendo avuto a disposizione i fondi – mai arrivati – hanno perso la relativa caparra confirmatoria, versata al momento del compromesso;
   per tali ragioni, questi ultimi hanno già anticipato di voler chiedere il risarcimento dei danni al comune de L'Aquila; inoltre lo stesso, nella sua qualità di pubblica amministrazione più vicina alla popolazione, oltre a ricevere comprensibili biasimi da parte della cittadinanza, ha dovuto anche anticipare, per due volte, con proprie risorse, i contributi di «autonoma sistemazione» che, ormai, non arrivano da mesi e mesi, rinunciando ai lavori di cantiere per due mesi;
   questo continuo temporeggiamento sta anche minando l'assetto e le prospettive delle imprese aquilane e alterando il mercato della concorrenza;
   le condotte innanzi descritte, sotto gli occhi di tutti, potrebbero profilare, a giudizio dell'interrogante, un danno erariale per lo stesso comune –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dell'attuale situazione e se non ritengano opportuno assumere iniziative per sbloccare i fondi di cui in premessa secondo modalità e tempistiche certe, individuando anche le eventuali responsabilità dei ruoli dirigenziali per ritardi e omissioni. (4-08647)

  Risposta. — In merito alle questioni sollevate nell'atto di sindacato ispettivo in oggetto e precisamente:
   riporta lo stanziamento della legge di stabilità per il 2014, n. 147 del 2013, ripercorrendo le assegnazioni di risorse per la ricostruzione degli immobili privati nel comune di L'Aquila, ovvero per l'acquisto di abitazioni sostitutive, effettuate dal Cipe con le delibere nn. 50 del 2013, 1 del 2014 e 23 del 2014;
   lamenta il mancato trasferimento delle risorse necessarie per la concessione dei contributi per la riparazione/ricostruzione degli immobili privati, o l'acquisto dell'abitazione sostitutiva, di cui agli elenchi «decimo e undicesimo», pubblicati dal comune di L'Aquila sull'albo pretorio. Più in generale, stigmatizza l'afflusso non costante e non tempestivo delle risorse per cassa verso il comune, che starebbe minando le prospettive delle imprese di costruzione aquilane e creando gravi disagi ai cittadini, già «martoriati» dalla situazione venutasi a creare dopo il sisma del 6 aprile 2009;
   in particolare, alcuni cittadini avrebbero stipulato contratti d'acquisto per l'abitazione sostitutiva, contando sulla provvista del buono contributo, e avrebbero perso la relativa caparra confirmatoria rimasti privi della relativa liquidità;
   estende il biasimo al mancato afflusso di risorse per cassa per il finanziamento dei contributi per l'autonoma sistemazione (Cas), provvidenze monetarie per l'affitto di un'abitazione temporanea concessi ai cittadini rimasti privi dell'abitazione principale, ai sensi dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3754 del 2009.

  Al riguardo si forniscono i seguenti elementi.
  Dalla data dell'interrogazione parlamentare in oggetto, il Cipe ha disposto un ulteriore assegnazione di risorse al comune di L'Aquila per la ricostruzione e riparazione degli immobili privati distrutti e danneggiati dal sisma del 6 aprile 2009 o l'acquisto di abitazioni sostitutive, pari a euro 802.544.418,85, con deliberazione n. 22 del 20 febbraio 2015, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 19 giugno 2015.
  Il residuo di cassa per la ricostruzione privata del comune di L'Aquila, al 30 aprile 2015, ovvero un mese esatto dopo la data dell'interrogazione in oggetto, e prima che venissero trasferite le risorse ulteriori di cui al prossimo paragrafo, si attestava in euro 86.635.940,83 (dati ufficiali di monitoraggio ex decreto-legge n. 83 del 2012 e decreto del Ministero dell'economia e delle finanze del 29 ottobre 2012);
  Inoltre, a far tempo dal 1o aprile, la Struttura di missione competente (Sdm) per il coordinamento dei processi di ricostruzione del cratere abruzzese dal 1o giugno 2014, ha istruito e chiesto al Ministero dell'economia e delle finanze i seguenti trasferimenti di risorse, per un totale di euro 475.341.214,23, che sono stati accreditati sul c/tesoreria del comune di L'Aquila per la ricostruzione privata o l'acquisto di abitazioni sostitutive:
   euro 272.483.474,00, di cui euro 158.000.000,00 a valere sulle somme stanziate dall'articolo 14, comma 1, del decreto-legge n. 39 del 2009 e assegnati sulla competenza 2015 dalla delibera Cipe n. 135 del 2012, e euro 14.483.474,00 a valere sulle somme stanziate con competenza 2015 dal decreto-legge n. 43 del 2013 e assegnate dalla delibera Cipe n. 1 del 2014; trasferimento chiesto dalla Sdm il 24 aprile 2015;
   euro 76.857.740,23, di cui euro 69.861.565,25 a valere sulle somme stanziate dalla legge 147 del 2013 di stabilità per il 2014 sulla competenza 2014, e euro 6.996.174,98 a valere sulle somme stanziate dal decreto-legge n. 133 del 2014 sulla competenza 2014; trasferimento chiesto alla Sdm il 7 agosto 2015 e accreditato presso il comune il 30 settembre 2015;
   un ulteriore trasferimento di euro 126.000.000,00, chiesto il 25 settembre 2015 dalla Sdm al Mef, a valere sulla competenza 2015 dello stanziamento effettuato dalla legge di stabilità per il 2014, e risultante accreditato sul c/tesoreria del comune all'inizio di novembre.

  Pertanto, il quadro completo delle assegnazioni e dei trasferimenti di risorse al comune di L'Aquila finalizzati alla ricostruzione privata è riportato nella tabella 1 (disponibile presso il servizio assemblea).
  Per quanto riguarda la situazione attuale, come comunicato dal comune, il residuo di cassa per il proseguimento delle erogazioni per la ricostruzione privata si attestava, alla data del 14 ottobre 2015, su un livello di circa 60 milioni di euro (cfr. riga D, tabella 1). Tale disponibilità è stata incrementata a seguito dell'ultimo trasferimento di 126 milioni di euro, recentemente accreditato al comune.
  A seguito della pubblicazione del decimo e undicesimo elenco di contributi concessi, con decorrenza rispettivamente il 24 aprile (il decimo elenco, pubblicato in data 19 agosto 2015, è stato sospeso con comunicazione del comune presso l'albo pretorio fino alla data di decorrenza del 24 aprile 2015) e il 30 giugno 2015, e grazie anche ai trasferimenti di cui al punto 2, il comune di L'Aquila ha regolarmente finanziato le corrispondenti erogazioni ai cittadini, sia per l'avvio dei cantieri di ricostruzione sia per l'acquisto dell'abitazione sostitutiva.
  Dopo la data di decorrenza riportata nella pubblicazione dell'atto di concessione sull'albo pretorio, sorge il diritto al finanziamento a favore del cittadino, che nel caso di acquisto di abitazione sostitutiva può presentare in comune i documenti relativi al compromesso di acquisto ed esigere il pagamento del 100 per cento del contributo concesso.
  Al fine di provvedere, al finanziamento dei contributi di autonoma sistemazione (Cas), il 26 gennaio 2015 la Sdm ha provveduto a chiedere un trasferimento di risorse finalizzato all'assistenza alla popolazione presso il comune di L'Aquila, pari a euro 11.170.402,10, che risulta essere stato accreditato nel c/tesoreria del comune alla fine di marzo 2015, e quindi poco prima della data di presentazione dell'interrogazione in esame.
  Inoltre, a partire dal 1o aprile 2015, con determina sindacale è stata disposta la cessazione del pagamento dei Cas, tramite la sostituzione di detto beneficio con la messa a disposizione ai cittadini coinvolti di abitazioni presso i complessi del progetto casa.
  In conclusione, alla luce degli elementi raccolti, nel periodo preso in esame dall'interrogazione in oggetto il comune di L'Aquila risultava in possesso della disponibilità di cassa che lo abilitava sia all'erogazione, senza soluzione di continuità, dei contributi per la riparazione/ricostruzione degli immobili privati distrutti dal sisma, sia alla corresponsione dei contributi per l'autonoma sistemazione.
  Infine, la Struttura di missione competente per il coordinamento della ricostruzione è in costante contatto con i funzionari del comune per assicurare la continuità nella erogazione dei fondi: circa 475 milioni di euro sono già stati trasferiti dalla data dell'interrogazione ad oggi per la ricostruzione privata e altri trasferimenti sono previsti per il futuro.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   FRATOIANNI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dalle immagini diffuse da siti internet di informazione, si è visto che la Digos di Pisa ha fatto irruzione nei locali denominati exGea, per sgomberare una occupazione simbolica degli studenti universitari, impugnando le pistole, nonostante gli stessi studenti avessero annunciato che avrebbero interrotto l'occupazione;
   all'interno dell'edificio, in stato di occupazione da due giorni circa, nelle ore precedenti non è accaduto nulla che potesse far pensare a una situazione di immediato pericolo, sia per gli occupanti, che per un eventuale intervento delle forze dell'ordine;
   anche le immagini video diffuse in rete dimostrano ad avviso dell'interrogante, che al momento dell'irruzione nello stabile, erano in corso le normali attività organizzate dagli studenti e nulla lascia pensare a una situazione di scontro, di violenza e, quindi, di pericolo per gli agenti intervenuti. In sostanza, pare non essere accaduto nulla che possa in qualche modo giustificare l'ingresso con un'arma per sgomberare una occupazione studentesca. Il rischio, appare del tutto evidente, è quello che dall'arma potesse partire un colpo anche accidentalmente, mettendo a rischio l'incolumità e la vita degli studenti e degli agenti impegnati;
   non è la prima volta che nella gestione dell'ordine pubblico, negli ultimi mesi, si assiste a un uso che all'interrogante appare spropositato della forza e dell'intimidazione, nei confronti di chi dissente o protesta. Il caso più eclatante ha riguardato operai e sindacalisti della AST di Terni, manganellati in piazza senza chiare ragioni –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti e se ritenga che il comportamento tenuto dalle forze dell'ordine sia stato adeguato alla circostanza;
   quali iniziative intenda adottare per fare in modo che non accadano più fatti potenzialmente pericolosi e lesivi nella gestione dell'ordine pubblico. (4-10858)

  Risposta. — La questione posta all'attenzione dell'interrogante concerne lo sgombero che le forze di polizia avrebbero effettuato con modalità inappropriate nello scorso mese di ottobre per liberare un'area dell'università di Pisa denominata ex Gea è stata valutata con attenzione da questa amministrazione.
  L'area, decentrata rispetto alla sede principale dell'ateneo e parzialmente in disuso, era stata occupata per iniziativa di alcuni movimenti universitari, allo scopo di protestare contro la nuova riforma dell'indicatore della situazione economica equivalente ritenuta lesiva del diritto degli studenti alle agevolazioni universitarie previste per le tasse di iscrizione e l'accesso agli alloggi.
  Per meglio comprendere la dinamica all'operazione di sgombero, va precisato preliminarmente che all'interno dell'area in questione è collocato un magazzino adibito a deposito di centinaia di migliaia di volumi della casa editrice Pisa University Press, società partecipata al 100 per cento dall'università di Pisa e che i tomi, alcuni dei quali di alto valore commerciale, erano opportunamente custoditi in scatole chiuse e destinati a rifornire le librerie universitarie cittadine.
  Ciò posto, nella serata dello scorso 20 ottobre, la locale questura ha appreso informalmente che il movimento studentesco maggiormente rappresentativo, «Sinistra Per», si era dissociato dall'occupazione in quanto gli altri movimenti, una volta constatata la presenza in loco di numerosissimi libri universitari, avevano manifestato l'intenzione di sottrarli.
  All'indomani, personale dell'università ha segnalato che la struttura era entrata nuovamente nella disponibilità della proprietà, non essendovi più traccia degli occupanti.
  In quella circostanza, operatori delle forze dell'ordine hanno effettuato un sopralluogo all'interno del magazzino unitamente al responsabile patrimoniale dell'università che ha rilevato la mancanza di numerosi libri estratti dagli involucri di cartone rinvenuti aperti e si è impegnato a denunciare la circostanza all'autorità giudiziaria.
  Nel pomeriggio del giorno successivo – 22 ottobre –, lo stesso responsabile patrimoniale ha telefonato due volte al numero di emergenza 113, per avvertire che una trentina di persone stavano sottraendo numerosi libri dal magazzino e avevano manifestando nei suoi confronti intenzioni ostili costringendolo a scappare.
  A seguito della segnalazione, la questura, al fine di impedire che il reato in corso fosse portato ad ulteriori conseguenze, ha disposto un immediato intervento di polizia giudiziaria facendo convergere sul posto le forze della polizia di Stato e dell'arma dei carabinieri in quel momento disponibili, peraltro in numero sproporzionato per difetto rispetto a quello segnalato degli autori della razzia.
  In merito all'intervento, va evidenziata innanzitutto la particolarità del contesto in cui esso si è svolto, in cui mancava, tra l'altro, una cognizione precisa circa la reale consistenza numerica degli autori del reato in corso e la loro effettiva estrazione.
  In tale frangente, il dirigente della Digos ha ritenuto di dover impugnare l'arma di ordinanza, tenendola comunque in sicurezza puntata verso il basso e priva di colpo in canna, disponendo, nel contempo, che il restante personale non estraesse la propria arma, come invece è prassi in tali circostanze secondo un protocollo operativo finalizzato alla tutela dell'incolumità del personale operante.
  Subito dopo il dirigente medesimo, verificato che gli autori del reato non opponevano alcuna forma di resistenza e riconoscendo tra gli stessi diversi soggetti appartenenti al movimento studentesco denominato Exploit, ha riposto l'arma nella fondina, avendo cura comunque che fosse sempre in condizioni di massima sicurezza.
  Al momento dell'intervento, gli operatori di polizia hanno riscontrato la presenza di oltre trenta soggetti, inequivocabilmente intenti, con varie modalità, a trafugare interi pacchi di libri dal deposito dell'università.
  Le susseguenti attività di polizia giudiziaria, espletate peraltro alla presenza di un avvocato accorso pochi minuti dopo l'intervento nel piazzale, non hanno dato luogo inizialmente ad alcun problema di ordine pubblico, grazie anche alle modalità di attento controllo e massima sicurezza attuate nella circostanza dalle forze di polizia.
  Dopo mezz'ora, tuttavia, circa trecento persone si sono concentrate all'esterno dell'area prospiciente il piazzale, cercando di accedere con violenza all'area interessata. Nella circostanza tre operatori di polizia hanno riportato lesioni giudicate guaribili fino a dieci giorni.
  Comunque, al termine dell'operazione, 38 soggetti colti in flagranza dei reati di furto o ricettazione sono stati denunciati a piede libero all'autorità giudiziaria.
  Successivamente è stato possibile individuare e denunciare a piede libero altre persone, grazie alla fattiva collaborazione di alcuni studenti che, fin dal mattino del 22 ottobre scorso, avevano fotografato le persone intente nel furto dei testi universitari, depositando le relative immagini presso la questura.
  Dai fatti descritti, emerge che il tempestivo ed efficace intervento delle forze di polizia ha consentito di interrompere una vera e propria attività predatoria a scapito dell'università di Pisa, che ha subito un danno quantificabile nell'ordine di alcune decine di migliaia di euro.
  Pertanto, nella circostanza non è stato posto in essere alcun intervento di sgombero, dal momento che l'occupazione dell'area ex Gea risultava cessata il giorno prima.
  Inoltre, l'attività di polizia giudiziaria, richiesta dalla stessa università attraverso il responsabile patrimoniale e quindi nota ai vertici universitari, è stata effettuata secondo quanto previsto dal codice di procedura penale e della sua esecuzione è stata costantemente tenuta informata e aggiornata la procura della Repubblica presso il tribunale di Pisa.
  Si rappresenta, infine, che lo scorso 2 novembre, durante un incontro tra il prefetto di Pisa, il rettore dell'università e il questore, è stata valutata positivamente l'ipotesi di un atteggiamento benevolo nei confronti di quegli studenti che, ingannati dalla falsa informazione, dolosamente diffusa, secondo la quale l'università stesse dismettendo dei libri gratuitamente, dovessero riconsegnare spontaneamente in questura i volumi sottratti.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GAGNARLI, L'ABBATE, LUPO, GALLINELLA, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, BENEDETTI e DE ROSA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il SISTRI – Sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti – è il sistema informativo voluto dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sin dal lontano 2007, per monitorare i rifiuti pericolosi tramite la tracciabilità degli stessi, trasferendo in formato digitale i documenti precedentemente svolti in forma cartacea, con l'ambizioso obiettivo di diventare l'arma definitiva nella lotta alle eco-mafie;
   l'Italia, anche senza SISTRI, avendo già un pregresso sistema di tracciabilità, non era affatto inadempiente rispetto alle direttive comunitarie, pur dovendo riconoscere come il sistema di tracciabilità preesistente – quello del decreto Ronchi del ’97 – fosse «migliorabile» e dotabile di maggiore efficienza, anche grazie ad un processo di informatizzazione;
   il progetto SISTRI comincia a prendere forma dal 2007 ma viene ufficialmente istituito soltanto il 17 dicembre 2009, con decreto del Ministro ambiente e della tutela del territorio e del mare, ai sensi dell'articolo 189 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 14-bis del decreto-legge n. 78 del 2009, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 102 del 2009;
   la partenza ufficiale del sistema è prevista nel marzo 2011, ma da quel momento iniziano ad essere emesse una serie di proroghe (ad oggi se ne contano ben sette), principalmente dovute a malfunzionamenti delle apparecchiature elettroniche e carenze del sistema informativo centrale che non è in grado di garantire l'accesso a tutti gli operatori, come in occasione del «click-day» organizzato da Confindustria nel maggio 2011;
   nel 2012, come riportato in una inchiesta di Carlo Bonini su Repubblica del 10 maggio 2012, l'Ente nazionale per la digitalizzazione della pubblica amministrazione, incaricato di eseguire una «spending review» sul contratto con Finmeccanica, conclude che le scelte seguite per il SISTRI non sono compatibili con i principi di trasparenza. I vertici di Selex, intanto, vengono iscritti al registro degli indagati della procura di Napoli per associazione a delinquere finalizzata a truffa, abuso di ufficio e false fatturazioni;
   il 20 marzo 2013 il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Corrado Clini, fissa il nuovo avvio del SISTRI, differenziando le categorie obbligate in due gruppi: i primi operativi dal giorno 1° ottobre 2013, i secondi dal 3 marzo 2014;
   il 17 aprile 2013 l'inchiesta della procura di Napoli produce 22 misure cautelari in carcere, 19 con la concessione dei domiciliari, e 4 obblighi di presentazione alla polizia giudiziaria, con l'accusa di progettazione ed esecuzione dell'infrastruttura relativa gestione del SISTRI, in violazione della normativa sui contratti pubblici;
   a giugno 2013 l'attuale Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, Andrea Orlando, indice una «consultazione delle organizzazioni delle imprese interessate dal SISTRI» al fine di acquisire il loro punto di vista; dalla consultazione emergono: la necessità di un sistema di tracciabilità che renda trasparenti sia la gestione che la movimentazione dei rifiuti, ma a condizione che sia fruibile dalle imprese, senza eccessivi sovraccarichi organizzativi; la considerazione che il SISTRI è stato avviato come modello unico, senza comparazioni con altri sistemi più semplici, oltre che flessibili e meno onerosi; il continuo rinvio della operatività del SISTRI è prova della sua non funzionalità operativa; l'operatività del SISTRI dal 1° ottobre 2013 comporterebbe notevoli disagi, oltre che costi economici ed organizzativi insostenibili, per diverse decine di migliaia di imprese e di operatori che «producono» e «gestiscono» rifiuti pericolosi; la presa d'atto che per i motivi citati il SISTRI non è idoneo e va quindi abolito con un intervento legislativo, abrogando le norme che lo prevedono e sostituendolo con nuovi criteri – da affidare poi a normativa secondaria – mantenendo nel frattempo il sistema preesistente con eventuali piccole integrazioni che ne garantiscano una maggiore efficacia, compreso l'aspetto sanzionatorio; vengono, infine, indicati i punti principali di un nuovo sistema di tracciabilità informatizzata;
   il Ministro Orlando ha inoltre precisato che l'accordo con Selex Service Management spa, attualmente ancora aggiudicataria dell'appalto per la fornitura del sistema SISTRI, è di partire con un numero ridotto di gestori di rifiuti pericolosi, 17 mila in tutto, per poi rimodulare il sistema secondo i presupposti dalla relazione di un team di esperti, guidati dal professore Edo Ronchi, da egli incaricato;
   l'accordo prevede, inoltre, la costituzione di una Commissione di esperti che dovrà collaudare il sistema, prima del termine iniziale di operatività del 1° ottobre: un eventuale esito negativo sancirebbe uno stop al Sistri, in caso contrario la partenza sarebbe confermata per i suddetti 17 mila soggetti e successivamente, la platea sarebbe estesa, ma solo dopo le semplificazioni richieste dalle imprese;
   allo stato attuale, il sistema di tracciabilità SISTRI presenterebbe le solite carenze da tempo ormai emerse: l'inadeguatezza delle chiavette USB, l'impossibilità da parte delle imprese di inviare i dati in momenti di minor carico informatico, salvo dotarsi di costosi software gestionali, le carenze di varia natura nel nuovo manuale operativo SISTRI, pubblicato il 12 agosto 2013, l'assenza di interoperabilità del SISTRI con i software gestionali aziendali, la scopertura della linea dati ADSL in tantissime zone del Paese, come ribadito dal direttore generale di Confindustria, Marcella Panucci durante l'audizione tenuta al Senato in Commissione territorio, ambiente e beni ambientali, il 18 settembre 2013;
   il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nella risposta alla interrogazione n. 5-00913 dell'onorevole Realacci, ha manifestato la volontà di non rescindere il contratto con Selex Service Management spa, per via dell'avanzato stadio di esecuzione dello stesso, la cui invalidazione comporterebbe il pagamento di penali, nonché per l'ineludibile esigenza di avere un sistema efficace di trattamento dei rifiuti –:
   in che modo il Ministro interrogato preveda che il SISTRI possa contrastare le ecomafie, dal momento che queste ultime potrebbero tranquillamente non iscriversi come trasportatori di rifiuti speciali pericolosi nell'apposito Albo gestori ambientali, ma come semplici trasportatori di altro materiale, o di rifiuti non pericolosi, e quindi non essere obbligati all'iscrizione al SISTRI, posto che il sistema di monitoraggio non risulta debba essere effettuato su strada ma soltanto a livello telematico;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno, nell'ipotesi tutt'altro che vana dovesse fallire il prossimo collaudo del SISTRI, intraprendere con la massima urgenza la reintroduzione del sistema preesistente, con le integrazioni che garantiscano una maggiore efficacia, compreso l'aspetto sanzionatorio, seguendo le proposte emerse durante la consultazione di giugno con le organizzazioni delle imprese interessate al sistema;
   se il Ministro interrogato, preso atto della sua volontà di non rescindere il contratto con Selex Service Management spa, possa quantomeno rassicurare sul fatto che il pagamento del contributo di iscrizione e l'apparato sanzionatorio, siano attualmente sospesi fino alla effettiva entrata in esercizio del SISTRI e siano riattivati solamente a collaudo eseguito e con esito positivo;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno definire con la massima urgenza indicazioni ministeriali chiare ed univoche che consentano alle aziende di adempiere correttamente agli obblighi del Sistema, evitando così anche la diffusione sul mercato di fatidici corsi di semplificazione/preparazione al SISTRI, proposte ai soli fini di ottenere profitti ai danni delle imprese obbligate all'iscrizione.
(4-01979)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al Sistema di tracciabilità dei rifiuti — SISTRI, si rappresenta quanto segue.
  Si rappresenta, innanzitutto, che il sistema di tracciabilità dei rifiuti SISTRI,con i relativi obblighi e le corrispondenti sanzioni, è finalizzato ad assicurare il massimo tasso di trasparenza nella movimentazione dei rifiuti. Da questo punto di vista non può che essere considerato uno strumento di significativa importanza per il contrasto alla illegalità nel settore. L'obiettivo di garantire una corretta gestione dei rifiuti è perseguito attraverso l'individuazione di tutti i soggetti che intervengono nell'intera filiera del rifiuto, fornendo sia un quadro contabile delle quantità dei rifiuti prodotti, trasportati e gestiti dagli impianti, sia un monitoraggio dei soggetti che operano in ciascuna operazione di gestione del rifiuto. Al conseguimento di tale obiettivo, peraltro, concorre non soltanto il controllo svolto dai dispositivi installati sui mezzi di trasporto, ma anche l'analisi delle movimentazioni dei rifiuti svolta dagli organi deputati alla sorveglianza e accertamento degli illeciti in violazione della normativa in materia di rifiuti nonché alla repressione dei traffici illeciti e degli smaltimenti illegali dei rifiuti.
  Si conferma, inoltre, che nel dicembre 2013 è stato eseguito il collaudo del sistema SISTRI. In particolare, si rappresenta che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha istituito nel settembre 2013, la commissione di verifica di conformità per l'esecuzione del contratto SISTRI, prevista dall'articolo 11, comma 8 del decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013. Alla commissione è stato affidato il compito di verificare e, successivamente, certificare la corretta esecuzione delle prestazioni dedotte nel contratto, nonché la funzionalità delle tecnologie componenti l'infrastruttura centrale e periferica, tanto singolarmente quanto nella modalità di interazione. I lavori condotti dalla commissione sono stati riportati nel certificato di verifica di conformità presentato in data 31 dicembre 2013 e riportano le seguenti conclusioni: «la Commissione, a seguito dell'analisi delle registrazioni di collaudo sul funzionamento del sistema SISTRI, (...) ritiene che non ci siano difetti e/o carenze tali da precludere l'erogazione dei servizi». Ulteriori verifiche di funzionalità e monitoraggio del sistema sono state condotte da parte dell'agenzia per l'Italia digitale che, sin dal 2013, ha redatto apposite relazioni al fine di valutare lo stato di efficienza, efficacia ed adeguatezza del sistema nonché definire eventuali linee evolutive.
  Circa la sospensione dell'apparato sanzionatorio, si segnala che con l'articolo 8, comma 1, del decreto-legge n. 210 del 30 dicembre 2015 recante «proroga di termini previsti da disposizioni legislative», è stata posticipata al 31 dicembre 2016 l'applicazione degli adempimenti di tracciabilità cartacei, il cosiddetto regime del «doppio binario», e cioè la coesistenza tanto del SISTRI quanto del regime cartaceo, così come previsto dagli articoli 188, 189, 190 e 193 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, nel testo previgente alle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010, nonché le relative sanzioni; è stata, altresì, prorogata alla medesima data del 31 dicembre 2016 la non applicabilità delle sanzioni previste dall'articolo 260-bis, commi da 3 a 9, decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006 e successive modificazioni e integrazioni. Peraltro, in sede di conversione del citato «milleproroghe 2015», in data 10 febbraio è stato approvato dall'Aula Camera il 10 febbraio, attualmente all'esame del Senato, un emendamento all'articolo 8 del decreto-legge n. 210 del 30 dicembre 2015, con il quale si stabilisce che fino al 31 dicembre 2016 e, comunque, non oltre il collaudo con esito positivo della piena operatività del nuovo sistema di tracciabilità individuato a mezzo di procedure ad evidenza pubblica, bandite dalla Consip S.p.a. il 26 giugno 2015, le sanzioni di cui all'articolo 260-bis, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, sono ridotte del 50 per cento.
  Si segnala infine che sul portale istituzionale del SISTRI, sono pubblicate le guide rapide di consultazione contenenti informazioni di supporto per l'utilizzo corretto ed efficace delle applicazioni e servizi del sistema.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GAGNARLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la recente inaugurazione del Museo della Città di Cortona, dove sono collocati numerosi reperti provenienti dalle aree di Camucia negli anni passati oggetto di danneggiamenti collegati a cantieri edili, ha riproposto all'attenzione dell'opinione pubblica la vastità dell'area archeologica camuciese e la grande occasione perduta a causa dell'ignavia di chi doveva esercitare la tutela di tale patrimonio culturale;
   in una lettera inviata al Ministro interrogato, lo storico e studioso aretino Santino Gallorini ha ripercorso nel loro complesso le varie scoperte per rendere tutti consapevoli del danno ormai fatto e per cercare, quindi, di evitare che nel futuro accadano fatti simili;
   fin dall'Ottocento, scrive Gallorini, archeologi illustri o semplici abitanti, spesso in maniera casuale, hanno effettuato ritrovamenti di oggetti, di tombe, di epigrafi ed altri materiali davvero importanti. Si potrebbe accennare al tumulo funerario, detto il Melone di Camucia, scavato nel 1842 da Alessandro François, alla corniola con incise le lettere PEL I UST, alle tombe ad inumazione presso la Fonte di Boarco, contenenti bronzi, al sepolcro «con pietre grandissime» ed un «orciolo» rinvenuto presso la via per Cortona, all'epigrafe circolare su lastrone di arenaria, alle varie tombe romane alla cappuccina rinvenute nel XX secolo nelle proprietà Bistarelli e Schippa;
   di recente si sono aggiunte le più clamorose scoperte della cosiddetta Tabula Cortonensis, la ormai celebre lastra di bronzo contenente ben 40 righe di testo etrusco rinvenuta da Giovanni Ghiottini, e della vasta area sacra di Camucia situata a cavallo della strada statale 71, dopo il centro del paese, andando verso Terontola, un abitato immerso in un'area ricca di santuari e strutture culturali abbraccianti un vastissimo arco temporale;
   in due siti archeologici individuati, scrive lo storico aretino, lo scavo stratigrafico è stato fatto solo dopo che le ruspe avevano pesantemente devastato il contesto e quindi le testimonianze, che potenzialmente potevano essere restituite dalle aree archeologiche, sono state in buona parte distrutte (http://www.informarezzo.com);
   in questi giorni a Camucia si rinnova il rischio, per l'ennesima volta, di ripetere la distruzione o obliterazione di strutture archeologiche tardo etrusche, ed il comune di Cortona dovrebbe farsi portatore dell'interesse al recupero nei luoghi deputati alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio storico e artistico;
   è noto che, su chi dirige i siti archeologici e su chi vigila, vengono esercitate forti pressioni dettate dall'impulso imprenditoriale; tuttavia, sui due appezzamenti di territorio rimasti liberi che rientrano in quell'area di rilevanza archeologica individuata a monte e a valle della strada statale 71, uno pubblico (la Maialina) e uno privato, è necessario alzare il livello di attenzione;
   il sistema legislativo italiano prevede, con l'articolo 840 del codice civile, che «La proprietà del suolo si estende al sottosuolo, con tutto ciò che vi si contiene, e il proprietario può fare qualsiasi escavazione od opera che non rechi danno al vicino. Questa disposizione non si applica a quanto forma oggetto delle leggi sulle miniere, cave e torbiere. Sono del pari salve le limitazioni derivanti dalle leggi sulle antichità e belle arti, sulle acque, sulle opere idrauliche e da altre leggi speciali. In virtù di tale disposizione il proprietario del suolo non può opporsi ad attività di terzi che si svolgano a tale profondità nel sottosuolo o a tale altezza nello spazio sovrastante...»;
   a monte della strada statale 71 sono stati recentemente eseguiti, come previsto dal piano regolatore, dei saggi esplorativi sotto la supervisione della Sovrintendenza durante i quali ci sono stati dei primi ritrovamenti, prelevati e trasferiti altrove per il loro studio e datazione;
   si ritiene, insieme all'Associazione tutela Valdichiana ed allo storico aretino Santino Gallorini, che quest'area non debba essere sottratta alla comunità camuciese, che debba essere esplorata e recuperata al godimento pubblico e alla storia ed eventualmente trasformata in un parco archeologico fruibile a tutti –:
   se il Ministro interrogato non ritenga urgente intervenire, nell'ambito delle sue competenze, per assicurare un'efficace controllo delle tutele previste dalle leggi vigenti, al fine di salvaguardare questo ultimo fazzoletto dell'area sacra etrusca di Camucia da ulteriori cementificazioni.
(4-11330)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione in esame, nella quale, con riferimento all'attuale situazione dell'area sacra etrusca di Camucia, nel comune di Cortona (Arezzo), si chiede di conoscere se il Ministero non ritenga di intervenire, nell'ambito delle sue competenze, per tutelare l'area archeologica e salvaguardarla «da ulteriori cementificazioni».
  Riguardo alla questione sollevata dall'interrogante, la Direzione generale archeologia, assunte informazioni dal competente ufficio periferico preposto alla tutela, ha informato che nell'area di Camucia, situata nel comune di Cortona, tra via Aldo Capitini, viale Antonio Gramsci e piazzale Europa, sono state avviate indagini archeologiche preventive a seguito di disposizioni impartite dalla Soprintendenza archeologia della Toscana con nota n. 14308 del 22 settembre 2015, proseguite dopo i risultati dei primi sondaggi.
  Gli scavi, in corso dal 17 dicembre 2015, sotto la direzione scientifica del funzionario responsabile, hanno portato al rinvenimento di strutture murarie e manufatti riferibili a un vasto e imponente complesso edilizio, connesso probabilmente con quanto già individuato in occasione di scavi condotti, nell'arco dell'ultimo ventennio, nelle adiacenti aree dei «I Vivai» e dell'attuale piazzale Europa.
  In merito alle questioni sollevate dall'interrogante, in particolare alla necessità di un'esplorazione dei contesti e del loro recupero per il godimento pubblico, si ritiene che, essendo ancora in corso lo scavo archeologico, eventuali iniziative future di tutela e valorizzazione potranno essere effettuate sulla base della maggiore conoscenza delle testimonianze emerse, acquisibile col completamento di questa fase di indagini.
  Il Ministero – confermando l'attenzione alle segnalazioni e alle istanze provenienti dal territorio – è quindi pienamente disponibile a fornire ogni aggiornamento sulla evoluzione della vicenda in occasione della eventuale presentazione di nuovi atti di sindacato ispettivo.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   RICCARDO GALLO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   le avversità atmosferiche di eccezionale intensità, che hanno colpito la Sicilia, per tutta la settimana in corso, in particolare nell'agrigentino e nel palermitano, provocando fenomeni franosi, esondazioni di corsi d'acqua con conseguenti allagamenti, danneggiamenti ad edifici pubblici e privati e alle opere di difesa idraulica, hanno seriamente compromesso le colture e le strutture delle attività produttive agricole;
   secondo la Coldiretti Sicilia infatti, i danni nelle suesposte aree regionali, stimati per milioni di euro, sono stati provocati anche a causa della mancata manutenzione degli argini lungo il fiume Platani, tra Ribera e Cattolica Eraclea, che ha comportato l'esondazione e che determinerà ulteriori costi per la pulizia considerato che con l'acqua, arrivano spazzatura e detriti di tutti i tipi;
   l'interrogante evidenzia che oltre alla pioggia, l'apertura della paratia della diga ha determinato danni ingenti all'agrumicoltura della zona di Ribera, la cui produzione si trova nel pieno della sua attività e che a seguito dell'allagamento, la perdita del raccolto ha causato milioni di euro di danni;
   gli agricoltori della provincia di Agrigento segnalano inoltre, che una esondazione di siffatta gravità mai verificatasi nel passato, in un lasso di tempo così ristretto, ha inevitabilmente coinvolto oltre alle piantagioni anche numerose strutture aziendali quali: gli impianti di irrigazione, fabbricati, mezzi ed attrezzi, coinvolgendo anche le infrastrutture viarie, come il ponte provvisorio sul fiume Verdura (strada statale 115) indispensabile per tutte le attività produttive;
   la stessa Coldiretti inoltre, rileva come l'intensità delle forti piogge lungo il fiume Naro che ha spazzato via tutte le colture pregiate del territori nell'agrigentino causando, danni ai terreni limitrofi al fiume Carboj tra i territori di Menfi e Sciacca e il fiume Basso Belice nei comuni di Menfi e Castelvetrano, ha distrutto completamente le strutture dei vigneti e agrumeti mentre i seminativi e le ortive sono state tutte sommerse dall'acqua;
   a tal fine prosegue l'associazione agricola, anche in considerazione delle numerose sollecitazioni provenienti dagli operatori agricoli locali della provincia di Agrigento, a seguito dei gravissimi danni provocati all'economia agricola del territorio, occorrono urgenti e indispensabili interventi di natura emergenziale, finalizzati a sostenere le imprese del medesimo comparto, che hanno subito ingenti danni alla loro attività;
   a giudizio dell'interrogante l'analisi della Coldiretti Sicilia, risulta condivisibile anche con riferimento alle richieste rivolte al Governo, ed in particolare al Ministro interrogato, il quale si è secondo l'interrogante contraddistinto negativamente nel corso del suo mandato, per l'assenza di significative misure, in particolare per l'agricoltura del Mezzogiorno, volte a rilanciare un comparto sul quale grava un sistema di tassazione iniquo ed esorbitante sui bilanci aziendali –:
   quali orientamenti intendano esprimere, nell'ambito delle proprie competenze, con riferimento a quanto esposto in premessa;
   se, a seguito delle avversità atmosferiche avvenute nella regione siciliana, nelle giornate del 24, 25 e 26 febbraio 2015 che hanno compromesso, in maniera gravissima, numerose piantagioni agricole e l'intera filiera legata all'attività produttiva connessa al raccolto e alla commercializzazioni dei prodotti, nonché ai danni derivanti alle infrastrutture viarie e al territorio interessato, non ritengano urgente ed opportuno decretare lo stato di emergenza e di calamità naturale;
   in caso contrario, quali iniziative urgenti e necessarie intendano intraprendere, per le parti di competenza, al fine di sostenere le imprese agricole locali e fronteggiare la gravissima situazione economica venutasi a determinare a seguito dell'ondata di maltempo che ha interessato il territorio siciliano (in particolare quello agrigentino e palermitano), che ha determinato ingenti danni al settore agricolo e agroalimentare, ed evitare ripercussioni anche sui livelli occupazionali. (4-08207)

  Risposta. — Con riguardo all'anomala ondata di maltempo che, nel mese di marzo 2015, ha colpito i territori della regione siciliana, provocando disagi al settore agricolo, faccio presente che, con decreto ministeriale 18 novembre 2015, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana del 3 dicembre 2015, è stata accolta integralmente la richiesta di intervento ex decreto legislativo del 29 marzo 2004 n. 102 della regione Sicilia.
  Con il suddetto provvedimento sono stati delimitati alcuni territori agricoli della provincia di Agrigento e Palermo nei quali sono state attivate le provvidenze di cui all'articolo 5, comma 3, del citato decreto legislativo, per il ripristino delle strutture aziendali danneggiate.
  A favore delle imprese agricole danneggiate che hanno presentato domanda alla regione Sicilia entro il termine di 45 giorni dalla pubblicazione del decreto di declaratoria, possono dunque essere erogati contributi in conto capitale per il ripristino delle strutture aziendali danneggiate fino all'80 per cento del danno sulla produzione lorda vendibile ordinaria, prestiti ad ammortamento quinquennale per le maggiori esigenze di conduzione aziendale nell'anno in cui si è verificato l'evento ed in quello successivo, proroga delle rate delle operazioni di credito in scadenza nell'anno in cui si è verificato l'evento calamitoso, esonero parziale (fino al 50 per cento) dal pagamento dei contributi previdenziali ed assistenziali propri e dei propri dipendenti.
  Per quanto concerne, infine, i danni segnalati nei territori agricoli della provincia di Enna, non è stato possibile accogliere la proposta in assenza dei requisiti di cui al citato decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, anche tenendo conto delle disposizioni di cui all'articolo 5, del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   RICCARDO GALLO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   la tromba d'aria abbattutasi il 10 ottobre 2015, in provincia di Agrigento, ha provocato numerosi danneggiamenti ad edifici pubblici e privati, alle opere di difesa idraulica, alle infrastrutture viarie, alla rete dei servizi essenziali ed alle attività produttive, determinando forti disagi alla popolazione interessata;
   le aree maggiormente colpite sono state quelle di Licata, Naro, Caltanissetta e Canicattì, il cui forte vento ha distrutto numerosi ettari di vigneti e piantagioni di pesche, che avevano ancora il frutto pendente, oltre che causato ingenti danni alle strutture agricole (impianti di irrigazione, fabbricati, mezzi ed attrezzi) dell’hinterland;
   secondo quanto risulta dalle segnalazioni pervenute alle autorità locali e alla prefettura della regione siciliana, a subire i danni maggiori sono stati i serricultori, in considerazione che almeno cinquanta ettari di serre e tunnel sono stati letteralmente spazzati via dai venti che a velocità da record hanno imperversato, per pochissimo tempo in tutta l'area agrigentina;
   le comunità interessate attualmente stanno provvedendo a censire i danni al patrimonio pubblico e privato, alle infrastrutture e all'economia agricola delle aree in precedenza indicate, i cui danni secondo le prime stime risultano essere di alcuni milioni di euro;
   l'interrogante segnala come l'economia agricola siciliana, (com’è peraltro noto), nonostante le numerose difficoltà determinate dalla crisi economica, dai ritardi cronici del Mezzogiorno determinati dalle carenza strutturali e dalla concorrenza sleale degli altri Paesi, (in particolare quelli asiatici), risulta essere l'attività principale dell'isola, le cui avversità atmosferiche verificatesi negli ultimi anni ed in particolare nel presente anno, hanno causato gravissimi riflessi economici e sociali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione di gravità determinatasi lo scorso fine settimana in provincia di Agrigento, causata dal maltempo, in cui una tromba d'aria ha provocato per intensità ed estensione, ingenti danni alle colture agricole;
   se non ritenga opportuno, in considerazione dei livelli di criticità in precedenza richiamati, attivare interventi in grado di stabilire l'entità complessiva dei danni subiti alle strutture agricole e alle piantagioni, dei territori di Licata, Naro, Caltanissetta e Canicattì, in cui il forte vento ha reso peraltro inagibile la prosecuzione di molte attività rurali;
   quali iniziative urgenti e necessarie, per quanto di competenza, intenda prevedere, a seguito della conclusione dell'analisi dei danni accertati alle filiere agricole maggiormente interessate dall'evento esposto in premessa, a partire dalla serricoltura, anche attraverso la dichiarazione dello lo stato di calamità naturale in favore dei territori colpiti. (4-10712)

  Risposta. — Con riguardo all'anomala ondata di maltempo che, il 10 ottobre 2015, ha colpito con una tromba d'aria la provincia di Agrigento, provocando disagi al settore agricolo faccio presente che, con decreto ministeriale 24 dicembre 2015, pub-blicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 13 del 18 gennaio 2016, è stata accolta integralmente la richiesta di intervento, ex decreto legislativo del 29 marzo 2004 n. 102, della regione Sicilia.
  Con il suddetto provvedimento sono stati delimitati alcuni territori agricoli della provincia di Agrigento nei quali sono state attivate le provvidenze di cui all'articolo 5, comma 3, del citato decreto legislativo, per il ripristino delle strutture aziendali danneggiate.
  A favore delle imprese agricole danneggiate che presenteranno domanda alla regione siciliana entro il termine di 45 giorni dalla pubblicazione del decreto di declaratoria, possono dunque essere erogati contributi in conto capitale per il ripristino delle strutture aziendali danneggiate.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   GIULIETTI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   si prende atto dell'ulteriore sospensione delle sanzioni, della proroga della tracciabilità cartacea e in particolare della prospettiva, annunciata dal Ministro interrogato di un decreto che escluda dal Sistri le imprese con meno di 10 dipendenti, che di fatto cancellerebbe l'assurda equiparazione dei rifiuti di un parrucchiere e di un piccolo commerciante con quelli di un'industria;
   questi provvedimenti sono la prova che si sta cominciando a comprendere l'inadeguatezza del sistema alle esigenze delle imprese e del Paese;
   il Sistri per il mondo della piccola e media impresa rappresenta l'emblema dello squilibrio burocratico del nostro Paese. Il sistema ha infatti dimostrato troppe criticità, che riguardano l'interoperabilità, i malfunzionamenti tecnici e tecnologici di dispositivi e sistema, la lentezza delle procedure, oltre a costi esorbitanti alle imprese –:
   se nei tempi che restano dall'entrata in vigore delle sanzioni, quali iniziative il Governo intenda assumere per sostituire al più presto il Sistri con un sistema di tracciabilità che risponda all'esigenza di una corretta gestione dei rifiuti, attraverso un modello che non gravi sulle aziende con ulteriori costi e procedure complesse ed ingestibili, provocando, a volte, rallentamenti per le stesse e, in alcuni casi, addirittura il blocco delle attività. (4-04317)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al sistema di tracciabilità dei rifiuti — SISTRI, si rappresenta quanto segue.
  Secondo quanto previsto dal comma 9-bis del decreto-legge n. 101 del 31 agosto 2013, convertito con modificazioni dalla legge n. 125 del 30 ottobre 2013, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, avvalendosi della società Consip, ha avviato nel mese di giugno 2015 le procedure per l'affidamento della concessione del servizio SISTRI nel rispetto delle norme nazionali e comunitarie vigenti in materia di appalti pubblici nonché dei princìpi di economicità, semplificazione, interoperabilità tra sistemi informatici e costante aggiornamento tecnologico.
  La gara ha recepito le indicazioni emerse dalla consultazione pubblica delle organizzazioni appartenenti alle categorie di soggetti utenti del SISTRI (produttori, trasportatori, smaltitori) e al mercato di riferimento (produttori di software gestionali e operatori del mercato digitale), al fine di raccogliere contributi in merito alla possibilità di evoluzione del sistema di tracciabilità dei rifiuti.
  La gara a procedura ristretta ha previsto, nella prima fase, la pubblicazione di un bando di prequalifica, a cui è seguito, in una seconda fase, l'invio della lettera di invito ai concorrenti qualificati. Nel mese di novembre 2015 è stato inviato alle RTI partecipanti, il disciplinare di gara con i relativi allegati, dando così avvio alla fase finale di aggiudicazione.
  Relativamente al regime sanzionatorio, l'entrata in vigore dell'articolo 9, comma 3, del decreto-legge n. 192 del 31 dicembre 2014, convertito con modificazioni dalla legge n. 11 del 27 febbraio 2015 (cosiddetto milleproroghe 2014), ha previsto l'applicabilità, a partire dal 1o aprile 2015, delle sole sanzioni relative all'omessa iscrizione ed omesso versamento del contributo annuale SISTRI, ex articolo 260-bis, commi 1 e 2 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. Ha previsto, altresì, la vigenza fino al 31 dicembre 2015, dell'applicazione degli adempimenti di tracciabilità cartacei, al fine di consentire la tenuta in modalità elettronica dei registri di carico e scarico e dei formulari di accompagnamento dei rifiuti, previsti dagli articoli 188, 189, 190 e 193 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, nel testo previgente alle modifiche apportate dal decreto legislativo n. 205 del 3 dicembre 2010, nonché le relative sanzioni oltre all'applicazione delle altre semplificazioni.
  Con l'articolo 8 del decreto-legge n. 210 del 30 dicembre 2015 (cosiddetto milleproroghe 2015), il legislatore ha prorogato al 31 dicembre 2016 il cosiddetto «regime del doppio binario», mantenendo in vita gli adempimenti cartacei e il relativo impianto sanzionatorio. Conseguentemente, i soggetti obbligati al SISTRI devono soltanto iscriversi al sistema e versare il relativo contributo annuale. In assenza di tali adempimenti, naturalmente, sono passibili di sanzione. Resta comunque ferma la possibilità per i medesimi soggetti, di utilizzare il SISTRI per i propri adempimenti in materia di gestione dei rifiuti speciali pericolosi.
  Peraltro, si segnala che in sede di conversione del citato «milleproroghe 2015», in data 10 febbraio è stato approvato dall'Aula Camera il 10 febbraio, attualmente all'esame del Senato, un emendamento all'articolo 8 decreto-legge n. 210 del 30 dicembre 2015, con il quale si stabilisce che fino al 31 dicembre 2016 e comunque non oltre il collaudo con esito positivo della piena operatività del nuovo sistema di tracciabilità individuato a mezzo di procedure ad evidenza pubblica, bandite dalla Consip S.p.a. il 26 giugno 2015, le sanzioni di cui all'articolo 260-bis, commi 1 e 2, del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, sono ridotte del 50 per cento.
  Si segnala, infine, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in attuazione dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 91, ha voluto disciplinare attraverso uno specifico regolamento (il cui iter procedurale è in corso di definizione) ulteriori misure di semplificazione allo scopo di ottimizzare il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti di cui all'articolo 188-bis del decreto legislativo n. 152 del 2006. Tra i principali obiettivi perseguiti, si segnalano i seguenti:
   l'aggiornamento dei contributi previsti, nonché la definizione dell'entità degli stessi per i soggetti che aderiscono al SISTRI su base volontaria, da calcolarsi in misura ridotta rispetto agli importi dovuti dai soggetti obbligati;
   la razionalizzazione e la semplificazione del sistema, attraverso l'abbandono dei dispositivi attualmente previsti (black box e dispositivi token usb);
   la tenuta in formato elettronico dei registri di carico e scarico e dei formulari di trasporto con compilazione in modalità off-line e trasmissione asincrona dei relativi dati, nonché la generazione automatica del modello unico di dichiarazione ai fini della dematerializzazione della corrispondente documentazione;
   la semplificazione degli obblighi informativi alle imprese attraverso l'interazione e il Coordinamento con banche dati in uso alla pubblica amministrazione, garantendo, per quanto possibile, l'acquisizione automatica delle informazioni disponibili;
   la garanzia di interoperabilità con i sistemi gestionali utilizzati dalle imprese, dalle associazioni di categoria e loro società di servizi e realizzazione di specifici sistemi per le imprese che non dispongono di sistemi gestionali;
   la sostenibilità dei costi;
   la messa a disposizione di adeguati strumenti di assistenza e formazione delle imprese.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GNECCHI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il regolamento (UE) n. 492 del 2011 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 5 aprile 2011 dispone la libera circolazione dei lavoratori all'interno dell'Unione europea;
   se è consentita la libera circolazione dei lavoratori all'interno dei Paesi della Comunità europea, non si comprendono le motivazioni per le quali, un lavoratore pubblico non possa trasferirsi da una regione all'altra del nostro Paese;
   nella fattispecie si riporta il caso dei vigili del fuoco del Corpo permanente dei vigili del fuoco della provincia autonoma di Bolzano o di Trento, ai quali è negata qualsiasi possibilità di potersi trasferire un qualsiasi altro Corpo dei vigili del fuoco di altra regione del nostro paese, pur avendo superato il vincolo di sette anni di immissione nei ruoli locali della provincia di Bolzano, previsto dall'articolo 11 del decreto del Presidente della Repubblica 26 luglio 1976 n. 752;
   è altrettanto singolare che con la legge 10 agosto 2000 n. 246 (articolo 1 comma 6) prevedeva che in caso di specifica richiesta degli interessati, il Corpo nazionale dei vigili del fuoco poteva reperire personale anche dalle province autonome di Trento e Bolzano, ma il successivo decreto legislativo 13 ottobre 2005 n. 217 (ordinamento del personale del Corpo nazionale dei vigili del fuoco a norma dell'articolo 2 della legge 30 settembre 2004, n. 252), non più ripreso la norma prevista dalla legge 246 del 2000;
   per assurdo quindi, un vigile del fuoco operante nei corpi permanenti dei vigili del fuoco delle province autonome di Trento o di Bolzano, fermo restando il vincolo dei sette anni di cui sopra, non potrà mai trasferirsi in un'altra sede del territorio, salvo che non decida di partecipare ad un bando di concorso per l'assunzione ex novo nel corpo nazionale dei vigili del fuoco –:
   se non ritengano i Ministri interrogati, intervenire con un atto amministrativo di interpretazione della norma o con specifica iniziativa normativa, per sanare suddetta situazione che impedisce di fatto ai vigili del fuoco delle province autonome di Trento e Bolzano, così come è consentito a tutti i vigili del fuoco del Corpo nazionale, di poter essere trasferiti su loro richiesta presso altra sede territoriale dei vigili del fuoco. (4-08297)

  Risposta. — In relazione al tema evidenziato con l'interrogazione in rappresenta preliminarmente che la competenza legislativa primaria in materia di servizio antincendi è passata dallo Stato alla regione Trentino-Alto Adige, in virtù dello speciale statuto di autonomia di quest'ultima.
  La regione Trentino-Alto Adige ha disciplinato il predetto servizio con la legge regionale 20 agosto 1954, n. 24. Successivamente, con legge regionale 2 settembre 1978, n. 17 recante «Ordinamento del servizio antincendi e delega delle funzioni alle Province autonome di Trento e di Bolzano», essa ha trasferito le competenze amministrative in materia alle due province autonome di Trento e di Bolzano.
  Nelle rimanenti regioni italiane, ad eccezione della Valle d'Aosta, i servizi antincendi vengono espletati dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco incardinato nel Ministero dell'interno.
  Per quanto appena detto, nella regione in questione l'organizzazione dei servizi antincendi e l'ordinamento del relativo personale sono regolati da normative differenti da quelle in vigore nella restante parte del territorio nazionale.
  Venendo alla specifica richiesta di un'interpretazione in via amministrativa o di un intervento normativo che consenta ai vigili del fuoco del corpo permanente delle province autonome di Trento e Bolzano il trasferimento presso una sede del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, si fa presente quanto segue.
  In effetti, l'articolo 1, comma 6, della legge del 10 agosto 2000, n. 246, richiamato nell'interrogazione, consentiva di ripianare le vacanze di organico del Corpo nazionale dei vigili del fuoco anche attraverso la mobilità dei vigili del fuoco del corpo valdostano. Era previsto che il passaggio avvenisse su richiesta degli interessati e previo assenso dell'Amministrazione autonoma di appartenenza.
  Successivamente, l'articolo 132 del decreto legislativo del 13 ottobre 2005, n. 217 ha previsto, quali uniche modalità di accesso ai ruoli del personale del Corpo nazionale, il concorso pubblico e l'assunzione obbligatoria per chiamata diretta nominativa dei congiunti degli appartenenti al Corpo nazionale dei vigili del fuoco deceduti o divenuti permanentemente inabili al servizio per causa di servizio.
  Tale disposizione va letta unitamente all'articolo articolo 70, comma 1, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, secondo il quale le disposizioni in materia di mobilità di cui all'articolo 30 e seguenti del medesimo testo normativo non si applicano al personale del Corpo nazionale.
  A parere di questa Amministrazione, tali disposizioni hanno determinato l'abrogazione di quella della legge n. 246/2000 sopra citata, essendo escluso – allo stato – che l'accesso al Corpo nazionale possa avvenire con modalità diverse rispetto a quelle ivi tipizzate.
  Tuttavia, sulla problematica rappresentata questa amministrazione manifesta la propria disponibilità al confronto, anche in sede di tavolo tecnico istituito allo scopo.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   GREGORI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il personale infermieristico della polizia di Stato svolge la propria attività professionale presso le strutture sanitarie presenti in 70 delle 103 questure italiane, presso gli istituti di istruzione della polizia, presso i 14 reparti mobili e presso strutture sanitarie periferiche che richiedono la presenza di personale qualificato;
   si tratta di personale altamente qualificato e competente che tuttavia a causa del decreto ministeriale del 18 luglio 1985, inquadra il personale infermieristico laureato della polizia di Stato, nel ruolo di revisori tecnici sanitari, di fatto operando un evidente demansionamento del personale;
   tale demansionamento viene ad operare, sia subordinando gli assunti con laurea, ai diplomati dei ruoli periti e direttivi speciali, ed alle altre professioni sanitarie non mediche; sia attraverso un inquadramento in una carriera esecutiva, quella dei revisori, destinata ai possessori di licenza, media o qualifica professionale di tipo regionale, sia applicando all'infermiere della polizia il decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1974, n. 225, o la legge n. 42 del 1999, e successive innovazioni legislative anche di rango superiore;
   da ultimo, tale trattamento è stato riservato anche in occasione dell'ultimo concorso esterno per 56 posti da infermiere, bandito nel 2013. Essi sono stati a giudizio dell'interrogante arbitrariamente, inquadrati nel ruolo dei revisori tecnici senza procedere ad un adeguato inquadramento sulla base della loro professionalità acquisita, anche in contrasto con la normativa vigente che vuole l'obbligo di iscrizione all'albo professionale degli infermieri, per tutti gli esercenti la professione e dunque anche per gli infermieri della polizia –:
   se il Ministro non intenda assumere iniziative per provvedere ad un inquadramento degli infermieri nel ruolo iniziale dei direttivi tecnici della polizia di Stato;
   se non s'intenda, come previsto dalla vigente normativa, introdurre l'obbligo di iscrizione all'albo professionale degli infermieri per tutto il personale infermieristico della polizia di Stato, sanando l'anomalia che divide la polizia dalle altre pubbliche amministrazioni;
   se s'intendano assumere iniziative per una revisione del decreto ministeriale di cui in premessa, procedendo ad una completa rivisitazione dell'inquadramento degli infermieri allo stesso livello del personale infermieristico operante nelle pubbliche amministrazioni. (4-08782)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame, l'interrogante chiede al Ministro dell'interno se non ritenga di doversi attivare affinché la professionalità dei dottori infermieri in servizio nella Polizia di Stato abbia un effettivo riconoscimento giuridico.
  Si rileva, preliminarmente, che il requisito del titolo di studio prescritto per il profilo professionale di infermiere è stato oggetto di un'evoluzione normativa. Attualmente, infatti, per gli infermieri è richiesto il possesso della laurea triennale, titolo di studio che non era prescritto dalla normativa pregressa,
  Tuttavia, il possesso della laurea triennale non può comportare ipso iure un diverso inquadramento giuridico degli infermieri professionali in un ruolo superiore rispetto a quello previsto allorquando era richiesto solo il titolo dell'abilitazione professionale. Una siffatta operazione può realizzarsi solo attraverso una modifica normativa, atteso che lo status giuridico e professionale dei revisori tecnici infermieri è ad oggi disciplinato dal decreto del Presidente della Repubblica n. 337 del 1982 e dal decreto ministeriale del 18 luglio 1985, ove sono previsti i contenuti delle professionalità.
  Per questa ragione, nell'ambito del ruolo dei revisori infermieri, si è determinato un disallineamento, nel senso che in esso coesistono dipendenti aventi il citato titolo universitario, altri con diploma di abilitazione alla professione di infermiere ed altri ancora senza specifico titolo di studio (cosiddetti infermieri non professionali).
  Un disallineamento anche maggiore si evidenzia tra la professionalità dei neo revisori infermieri con laurea triennale e quella del personale con profilo professionale di capo-sala, neurofisiopatologo, tecnico della riabilitazione motoria e di radiologia medica, tutti inquadrati dal decreto ministeriale del 18 luglio 1985 nel ruolo superiore dei periti, anche se eventualmente sprovvisti del suddetto titolo di studio.
  Tanto detto, si rappresenta che Amministrazione dell'interno condivide l'esigenza di riqualificazione del personale laureato in infermieristica inquadrato nel ruolo dei revisori tecnici della polizia di Stato in relazione al titolo universitario conseguito.
  Al fine di rivedere l'ordinamento dei ruoli dei revisori infermieri e dei periti, e più in generale dei ruoli tecnici, sono stati istituiti diversi gruppi di lavoro, le cui conclusioni sono state portate al vaglio delle rappresentanze sindacali maggiormente rappresentative che, quasi all'unanimità, hanno peraltro richiesto che il riassetto avvenga unicamente nell'ambito del riordino di tutti i ruoli della polizia di Stato.
  L'Amministrazione dell'interno ha all'esame soluzioni per la valorizzazione della specifica professionalità degli infermieri laureati nell'ambito di un riordino complessivo dei ruoli tecnico-scientifici e professionali, che – come detto – non può che avere carattere normativo.
  In questo contesto si è inserita la novità rappresentata dalla legge n. 124 del 2015 che, tra le altre deleghe conferite al Governo, prevede quella relativa alla «revisione della disciplina in materia di reclutamento, di stato giuridico e di progressione in carriera, tenendo conto del merito e delle professionalità, nell'ottica della semplificazione delle relative procedure, prevedendo l'eventuale unificazione, soppressione ovvero istituzione di ruoli, gradi e qualifiche e la rideterminazione delle relative dotazioni organiche».
  È evidente, che le problematiche di natura ordinamentale oggetto della presente interrogazione dovranno essere coordinate con l'attuazione della predetta delega.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il sistema di tracciabilità dei rifiuti (SISTRI), approvato con decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 17 dicembre 2009 e concepito per tutta la filiera dei rifiuti speciali pericolosi e non pericolosi (nonché per i rifiuti urbani della Campania), in teoria, è operativo dal 13 gennaio 2010 sul mercato italiano ma, in realtà, non è mai entrato in funzione, subendo innumerevoli proroghe e differimenti, a causa della evidente inapplicabilità delle procedure e dell'inefficienza del sistema;
   il prioritario obiettivo che il Governo ha inteso conseguire con il sistema SISTRI è stato quello della lotta ai fenomeni di illegalità, giacché esso può fornire, in tempo reale, le informazioni necessarie sulla movimentazione dei rifiuti, in modo da consentire un rigoroso controllo della gestione dei rifiuti da parte delle autorità di controllo;
   le imprese sono state obbligate ad adempiere all'iscrizione e al pagamento dei relativi contributi, nonché a dotarsi di strumentazione informatica e dispositivi obsoleti, che hanno anche provocato danni sui veicoli su cui sono stati installati, con un significativo impatto in termini economici per le stesse imprese;
   in linea generale, il problema principale è stato quello della logistica del sistema e della sua architettura funzionale, realizzati su presupposti che non rappresentano la vera realtà della variegata composizione della filiera dei soggetti obbligati;
   sul piano operativo vi sono stati ritardi sia nella fase di iscrizione dei soggetti obbligati al Sistri, sia nella successiva fase di distribuzione dei dispositivi elettronici che, in diversi casi, hanno scontato malfunzionamenti; tenendo conto di queste situazioni nel loro complesso, i Governi in carica hanno mostrato senso di responsabilità, concedendo proroghe che si sono succedute nel tempo;
   la categoria che si è trovata in maggior disagio, sia per la fase preparatoria che per quella gestionale, è stata in particolare quella degli autotrasportatori che da sempre ha avuto le maggiori incombenze del SISTRI, sia economiche che gestionali;
   lamentele sulle carenze della funzionalità del sistema e sulla sua inefficacia sono giunte da tutte le categorie dei soggetti obbligati ad aderire al SISTRI;
   la società che ha progettato e gestito fino ad oggi il SISTRI è la SELEX Service Management spa; infatti la SELEX-SE.MA ha stipulato un contratto, in data 14 dicembre 2009, con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, successivamente integrato con atto stipulato il 10 novembre 2010, avente ad oggetto «l'affidamento del servizio di progettazione, gestione e manutenzione del sistema integrato per la sicurezza e la tracciabilità dei rifiuti» –:
   a quanto ammonterebbero le penali a carico del bilancio dello Stato in caso di recesso da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dal rapporto contrattuale con Selex-Se.Ma, avente ad oggetto «l'affidamento del servizio di progettazione, gestione e manutenzione del sistema integrato per la sicurezza e la tracciabilità dei rifiuti», stipulato in data 14 dicembre 2009 e successivamente integrato con atto stipulato il 10 novembre 2010. (4-02106)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa al Sistema di tracciabilità dei rifiuti — SISTRI, si rappresenta quanto segue.
  Si desidera, innanzitutto, rappresentare che l'entrata in vigore del SISTRI è stata più volte prorogata e sono state apportate diverse modifiche alla sua operatività, ma dal 1o ottobre 2013 il sistema è operativo per gli enti e le imprese che raccolgono o trasportano rifiuti speciali pericolosi a titolo professionale o che effettuano operazioni di trattamento, recupero, smaltimento, commercio, intermediazione di rifiuti speciali pericolosi, inclusi i nuovi produttori, cioè quei soggetti che sottopongono i rifiuti a operazioni di trattamento ottenendo nuovi rifiuti speciali pericolosi. Dal 3 marzo 2014 l'operatività del SISTRI è stata estesa ai produttori iniziali di rifiuti speciali pericolosi, ai Comuni e alle imprese di trasporto dei rifiuti della regione Campania.
  Inoltre, in base agli esiti del collaudo eseguito da parte della commissione di verifica di conformità per l'esecuzione del contratto SISTRI, prevista dall'articolo 11, comma 8 del decreto-legge n. 101 del 31agosto 2013, il SISTRI è stato ritenuto «esente da difetti e/o carenze tali da precludere l'erogazione dei servizi».
  Circa l'eventuale recesso da parte del Ministero dal rapporto contrattuale con la Selex Se-Ma, si osserva quanto segue.

  In primo luogo deve essere evidenziato come il contratto stipulato tra Selex e il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare non preveda, con una disposizione specificamente dedicata, la possibilità di recesso unilaterale. In secondo luogo merita di essere ricordato come l'Avvocatura Generale dello Stato, a seguito di specifici quesiti, ha avuto modo di affermare più volte la piena validità del contratto con la società in parola sostenendo in particolare, da ultimo in data 27 novembre 2014, che «il contratto stipulato con Selex in assenza di gara ed il relativo atto aggiuntivo sono validi e non possono essere risolti».
  Da ciò dunque la conseguenza, sorretta dai pareri dell'Avvocatura generale dello Stato e dal collaudo positivo del sistema, secondo la quale il contratto non può che essere considerato valido e legittimo, e che il recesso ingiustificato dal medesimo potrebbe condurre ad un'azione di responsabilità contrattuale per risarcimento del danno oltre che per danno erariale. Infine, non può che assumere rilievo in questa sede la considerazione secondo la quale, ad oggi, la regolamentazione contrattuale è stata prorogata, quanto alla sua durata, in base a precise disposizioni di legge. Gli obblighi delle parti, dunque, trovano ad oggi in quest'ultima il loro fondamento.
  Si segnala, infine, che il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in attuazione dell'articolo 14, comma 2, del decreto-legge n. 91 del 24 giugno 2014, ha voluto disciplinare attraverso uno specifico regolamento (il cui iter procedurale è in corso di definizione) ulteriori misure di semplificazione allo scopo di ottimizzare il sistema di controllo della tracciabilità dei rifiuti di cui all'articolo 188 bis del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006. Tra i principali obiettivi perseguiti, si segnalano i seguenti:
   l'aggiornamento dei contributi previsti, nonché la definizione dell'entità degli stessi per i soggetti che aderiscono al SISTRI su base volontaria, da calcolarsi in misura ridotta rispetto agli importi dovuti dai soggetti obbligati;
   la razionalizzazione e la semplificazione del sistema, attraverso l'abbandono dei dispositivi attualmente previsti (black box e dispositivi token usb);
   la tenuta in formato elettronico dei registri di carico e scarico e dei formulari di trasporto con compilazione in modalità off-line e trasmissione asincrona dei relativi dati, nonché la generazione automatica del modello unico di dichiarazione ai fini della dematerializzazione della corrispondente documentazione;
    la semplificazione degli obblighi informativi alle imprese attraverso l'interazione e il coordinamento con banche dati in uso alla pubblica amministrazione, garantendo, per quanto possibile, l'acquisizione automatica delle informazioni disponibili;
   la garanzia di interoperabilità con i sistemi gestionali utilizzati dalle imprese, dalle associazioni di categoria e loro società di servizi e realizzazione di specifici sistemi per le imprese che non dispongono di sistemi gestionali;
   la sostenibilità dei costi;
   la messa a disposizione di adeguati strumenti di assistenza e formazione delle imprese.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   GRIMOLDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in alcuni articoli di stampa è emersa l'intenzione da parte di Italcementi spa di utilizzare nello stabilimento sito a Calusco d'Adda come combustibile alternativo rifiuti catalogati come CSS (combustibile solido secondario), con un enorme aumento di tonnellate utilizzate, passando da 30.000 a 110.000 tonnellate annue;
   tale incremento del combustibile utilizzato incrementerebbe dall'attuale 15 per cento al 62 per cento la fornitura di energia alternativa ai combustibili fossili per la produzione di cemento;
   il progetto modificherebbe sensibilmente il protocollo d'intesa sottoscritto nel maggio 2012 con le amministrazioni locali del territorio e potrebbe causare un notevole aumento delle emissioni di ossidi di azoto e polveri sottili (PM 10 e PM 2.5) nell'aria;
   ricerche svolte sul territorio regionale dall'università degli studi di Milano hanno rilevato correlazione tra picchi di inquinamento atmosferico (ossidi di azoto, PM10) e impatti sulla salute degli abitanti del territorio; infatti, l'area di ubicazione del cementificio ricade in zona classificata di classe A dal piano di risanamento dell'inquinamento atmosferico della regione Lombardia e ciò evidenzia un elevato inquinamento di fondo; pertanto, il contributo quantitativo e qualitativo di inquinanti sul territorio attuato da Italcementi dovrebbe essere oggetto di una maggiore e costante attenzione e controllo, per tutelare la salute degli abitanti e degli ecosistemi presenti, anche in considerazione della presenza del parco Adda nord con le tutele ambientali che ne conseguono;
   da notizie di stampa si apprende che come CSS saranno utilizzati fanghi derivati da trattamento delle acque reflue, plastiche e gomme, come pneumatici usati e scarti d'imballaggi di plastica non riciclabili;
   mercoledì 11 febbraio 2015 si è tenuto il primo incontro della conferenza dei servizi indetta dalla provincia di Bergamo per confrontarsi con gli enti interessati sulla richiesta di Italcementi di aumentare i rifiuti CSS bruciati nello stabilimento di Calusco d'Adda. Alla conferenza, oltre a Italcementi, alla provincia di Bergamo, all'ASL e all'ARPA (Agenzia regionale per la protezione dell'ambiente) e al comune di Calusco, hanno partecipato i sindaci o i loro delegati dei comuni di Paderno d'Adda, Imbersago, Robbiate, Verderio e Solza, che nel dicembre 2014 avevano chiesto alla provincia di Bergamo, tramite una lettera pubblica, di prendere parte alla procedura di verifica di impatto ambientale sul progetto di Italcementi, nonché dei comune di Merate che ha partecipato in qualità di semplice uditore;
   secondo il parere degli amministratori coinvolti si è trattato di un incontro interlocutorio, il primo di un percorso che ricomincerà il 6 marzo 2015 e che, in quella data, vedrà i comuni del meratese portare sul tavolo della provincia di Bergamo le proprie osservazioni tecniche;
   i punti principali in discussione riguardano la tracciabilità e la qualità dei rifiuti bruciati, che il territorio chiede che vengano garantiti da un ente terzo, così come i controlli sulle emissioni;
   un altro punto ha riguardato lo scalo ferroviario tra lo stabilimento e la stazione di Calusco d'Adda della cui costruzione, secondo gli accordi del 2012, Italcementi si sarebbe dovuta occupare e sui quali, invece, lamenta difficoltà con le Ferrovie dello Stato che non si interessano del progetto;
   per pareggiare il potere calorifico del carbone occorrono 1,8 chilogrammi di CSS per ciascun chilogrammo di carbone; pertanto, l'incremento della produzione dell'impianto in combinazione con la mancata realizzazione dello scalo ferroviario e il minor potere calorifico del carbone creerà senz'altro un incremento cospicuo del traffico indotto dal trasporto del combustibile su gomma che incrementerà gli impatti sulle matrici ambientali atmosfera e rumore;
   recentemente, il Governo, con l'articolo 35 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha previsto un piano nazionale per individuare la capacità complessiva di trattamento di rifiuti urbani e assimilati degli impianti di incenerimento in esercizio o autorizzati a livello nazionale e uno dei requisiti posti per il funzionamento degli impianti è stato il rispetto delle disposizioni sulla qualità dell'aria di cui al decreto legislativo 13 agosto 2010, n. 155;
   inoltre, il decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare 14 febbraio 2013, n. 22, recante «Regolamento recante disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, e successive modificazioni», all'articolo 15, prevede l'istituzione di un comitato di vigilanza e controllo, presso il Ministero, con il compito, tra gli altri, di garantire il monitoraggio della produzione e dell'utilizzo del CSS-combustibile ai fini di una maggiore tutela ambientale nonché la verifica dell'applicazione di criteri di efficienza, efficacia ed economicità e, inoltre, di intraprendere le iniziative idonee a portare a conoscenza del pubblico informazioni utili o opportune in relazione alla produzione e all'utilizzo del CSS-combustibile, anche sulla base dei dati trasmessi dai produttori e dagli utilizzatori;
   peraltro, il 22 ottobre 2013, l'Assemblea della Camera ha discusso una serie di mozioni presentate da tutti gruppi parlamentari, sull'utilizzo dei CSS e sulle implicazioni che ciò comporta per la salute dei cittadini, ed ha approvato la mozione (1-00193) che, tra l'altro, ha impegnato il Governo:
    «ad avviare approfondimenti tecnici multidisciplinari per verificare se e a quali condizioni l'utilizzo del combustibile solido secondario nei cementifici non determina rischi per la salute e per l'ambiente, con particolare riferimento alle effettive emissioni di sostanze inquinanti derivanti dall'uso dei rifiuti come combustibili, che tengano conto non solo del funzionamento degli impianti a regime e in condizioni di massima sicurezza, ma anche dei possibili rischi derivanti da malfunzionamenti, fuori servizio e gestione dei transitori;
    a fornire, a seguito di tali accertamenti preliminari, un quadro aggiornato sull'attuazione, da parte dei settori industriali coinvolti, del potenziale costituito dal combustibile solido secondario, fornendo anche informazioni circa i processi autorizzativi avviati a seguito dell'entrata in vigore del decreto ministeriale n. 22 del 2013, nonché a rendere alle competenti Commissioni parlamentari ogni necessario elemento informativo relativo alle verifiche tecniche attuate e al vaglio dei risultati di tali verifiche, nonché ai dati di utilizzo del combustibile solido secondario, anche sulla base delle comunicazioni annuali previste dall'articolo 14 del decreto ministeriale n. 22 del 2013 a carico dei produttori e degli utilizzatori di combustibile solido secondario; (...);
    a garantire la completa e verificata applicazione della normativa ambientale relativa all'esercizio degli impianti di produzione di cemento a ciclo completo, nonché ad assumere iniziative normative ad hoc per garantire, altresì, la completa trasparenza e aderenza alle severe norme comunitarie in materia di emissioni, nei processi di autorizzazione, che, nel caso di istanza da parte del gestore dell'impianto di utilizzo, dovranno essere considerati dall'autorità competente uno ad uno; (...);
    a rafforzare con ogni strumento a disposizione, in particolare in materia di emissioni inquinanti, il processo di costruzione di un moderno ed efficace sistema di controlli ambientali in tempo reale, al fine di garantire ai cittadini effettive ed efficaci forme di tutela della salute e assieme dell'ambiente, anche con la prescrizione di precise procedure tecniche che impongano agli operatori l'obbligo di rendere disponibili on line i dati raccolti» –:
   se e come il Governo abbia attuato gli impegni impartiti dall'Assemblea della Camera a seguito dell'approvazione della mozione n. 1-00193 del 22 ottobre 2013 e se nella ricognizione dello stato di utilizzo del CSS da parte dei cementifici sul territorio nazionale sia stato preso in considerazione l'impianto Italcementi di Calusco d'Adda;
   se i Ministri interrogati non intendano assumere le opportune iniziative a tutela dell'ambiente e della salute dei cittadini, anche per il tramite del Nucleo operativo ecologico dei carabinieri, per verificare lo stato dei luoghi e il livello d'inquinamento dell'area in cui sorge il cementificio, nonché il tipo di CSS utilizzato dall'azienda (se CSS o CSS-combustibile ossia combustibile certificato e di qualità), la tracciabilità del combustibile, la quantità e qualità degli inquinanti che si prevede l'impianto possa emettere a seguito all'incremento di utilizzo di CSS, nonché i monitoraggi previsti. (4-08891)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione di cui in esame, tenuto conto delle informazioni acquisite anche presso la regione Lombardia e la provincia di Bergamo, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che la competenza in materia di autorizzazione di nuovi impianti per la gestione rifiuti, anche pericolosi, l'autorizzazione alle modifiche degli impianti esistenti, nonché l'autorizzazione all'esercizio delle operazioni di smaltimento e recupero di rifiuti, anche pericolosi, è allo stato, in carico alle amministrazioni regionali, fatte salve le competenze statali previste dall'articolo 195, comma 1, lettera f), e di cui all'articolo 7, comma 4-bis, del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  Tra le competenze degli enti territoriali rientrano anche la pianificazione della gestione integrata dei rifiuti, ai sensi dell'articolo 199 del decreto legislativo n. 152 del 3 aprile 2006, oltre che le attività di controllo presso gli impianti di gestione dei rifiuti, competenza delle province, ai sensi dell'articolo 197 dello stesso decreto. In particolare le province possono avvalersi, per effettuare le necessarie verifiche ed ispezioni ambientali, di organismi pubblici, ivi incluse, le agenzie regionali per la protezione dell'ambiente.
  Con il decreto 14 febbraio 2013, n. 22 del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare è stato adottato il regolamento recante la «Disciplina della cessazione della qualifica di rifiuto di determinate tipologie di combustibili solidi secondari (CSS), ai sensi dell'articolo 184-ter, comma 2, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152». Al riguardo, si precisa che il decreto ministeriale in questione non opera una trasformazione dei cementifici in impianti di incenerimento, ma, al contrario, limita l'utilizzo del CSS-combustibile ai soli cementifici che, nell'ambito dell'autorizzazione integrata ambientale, rispettano i valori limite di emissione e le condizioni di esercizio degli impianti di coincenerimento, cioè di recupero di energia dai rifiuti. Pertanto sia i cementifici che gli impianti di coincenerimento, operano alle medesime condizioni per quanto attiene ai valori limite di emissione degli inquinanti in atmosfera.
  Al riguardo, si precisa che l'articolo 15, comma 1, del decreto ministeriale sopra citato, ha istituito, presso il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Comitato di vigilanza e controllo, composto da nove esperti nella materia, con i seguenti compiti: a) garantire il monitoraggio della produzione e dell'utilizzo del CSS-combustibile ai fini di una maggiore tutela ambientale nonché la verifica dell'applicazione di criteri di efficienza, efficacia ed economicità; b) promuovere la cooperazione ed il coordinamento tra tutti i soggetti interessati alla produzione e all'utilizzo del CSS-combustibile; c) esaminare il livello qualitativo e quantitativo della produzione e dell'utilizzo del CSS-combustibile; d) intraprendere le iniziative idonee a portare a conoscenza del pubblico informazioni utili o opportune in relazione alla produzione e all'utilizzo del CSS-combustibile, anche sulla base dei dati trasmessi dai produttori e dagli utilizzatori di cui all'articolo 14; e) assicurare il monitoraggio sull'attuazione della presente disciplina, garantire l'esame e la valutazione delle problematiche collegate, favorire l'adozione di iniziative finalizzate a garantire applicazione uniforme e coordinata del presente regolamento e sottoporre eventuali proposte integrative o correttive della normativa. Tale comitato di vigilanza e controllo si è insediato in data 20 febbraio 2014 e si riunisce periodicamente. Nell'ambito dei lavori condotti dal comitato, sono state esaminate e valutate diverse problematiche e criticità con particolare riferimento ai potenziali ostacoli di natura sociale, amministrativa, tecnica e normativa, che impediscono la puntuale applicazione della disciplina del CSS-combustibile sul territorio nazionale. Lo stesso comitato, inoltre, ha predisposto ed approvato il rapporto annuale 2015, contenente l'elenco dei processi autorizzativi avviati dalle autorità competenti locali dopo l'entrata in vigore del decreto, sulla base dei dati forniti direttamente dalle autorità territoriali competenti.
  Si fa presente, in particolare, che la stessa provincia di Bergamo ha comunicato, in data 28 agosto 2015, che l'attività svolta da Italcementi S.p.A. nello stabilimento di Calusco d'Adda è diretta alla produzione di cemento a partire da clinker ottenuto per cottura di marna e calcare e che lo stabilimento è in possesso di autorizzazione integrata ambientale, rilasciata da regione Lombardia con decreto regionale n. 934 del 7 agosto 2006. Sono attualmente utilizzati sia combustibili convenzionali petcoke-coke di petrolio quale combustibile principale, olio combustibile e metano (limitatamente ad alcune condizioni operative-fasi di avviamento), sia combustibili alternativi, in parziale sostituzione dei combustibili convenzionali.
  L'utilizzo di CDR (combustibili derivati dal rifiuto) (CER 191210) successivamente ad una sperimentazione condivisa, effettuata in più fasi, a partire dal 2007, è stato autorizzato in conformità alle norme tecniche UNI 9903-1, per un quantitativo massimo di 30.000 tonnellate/anno e biomasse vegetali non rifiuto, di cui all'allegato X alla parte V del decreto legislativo n. 152 del 2006.
  La provincia di Bergamo ha, altresì, rappresentato che Italcementi ha recentemente progettato:
  di incrementare da 30.000 tonnellate/anno a 110.000 tonnellate/anno il quantitativo di combustibili costituiti da rifiuti solidi non pericolosi (CSS) da utilizzare in parziale sostituzione dei combustibili fossili convenzionali;
   di diversificare le tipologie di rifiuti CSS (combustibili solidi secondari) utilizzabili;
  di utilizzare anche CSS-combustibile ex decreto ministeriale 14 febbraio 2013, n. 22 (non rifiuto).

  Per tale progetto la Italcementi S.p.A. ad ottobre 2014, ha presentato alla provincia di Bergamo, quale autorità competente individuata dalla regione per entrambi i procedimenti, istanza di Valutazione di impatto ambientale, oltre che di modifica sostanziale dell'autorizzazione integrata ambientale rilasciata per lo stabilimento di Calusco d'Adda.
  Come previsto dalla legge regionale n. 5 del 2010 la stessa provincia di Bergamo ha indetto una prima conferenza di servizi istruttoria per l'11 febbraio 2015, convocando gli enti pubblici competenti al rilascio dei successivi titoli autorizzatori del progetto ai fini paesistico-ambientali, e gli enti territoriali che hanno chiesto di partecipare al procedimento ai sensi dell'articolo 2, comma 11.
  La medesima provincia di Bergamo, valutate le osservazioni formulate dai vari enti e soggetti interessati, ha formulato una richiesta di integrazioni ad Italcementi. Italcementi ha prodotto le dovute integrazioni ed ha fatto pervenire anche le valutazioni richieste dalla ASL di Bergamo. La documentazione sarà comunque oggetto di valutazione, da parte dei soggetti istituzionalmente competenti, nell'ambito del procedimento di Valutazione di impatto ambientale, contemplato dalla normativa vigente.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   da diverse fonti giornalistiche si apprende che, potrebbe essere posticipato, a data da destinarsi, il pronunciamento della «cabina di regia» per l'attuazione del «Protocollo di Intesa per interventi urgenti di bonifica ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto», firmato a Roma il 26 luglio 2012, in merito allo studio realizzato da ARPA Puglia, in collaborazione con CNR, Politecnico di Bari e Conisma, sullo stato reale in cui versa il bacino del I seno del Mar Piccolo;
   durante la riunione tenutasi ai primi di ottobre, il commissario Vera Corbelli ha infatti dichiarato che in merito allo studio di ARPA e CNR e ai lavori della cabina di regia su questo specifico intervento, ci sono diversi aspetti che andranno approfonditi. A quanto pare, il commissario Corbelli, che a differenza del suo predecessore Alfio Pini ha sin da subito avuto un approccio molto tecnico ai lavori della cabina, avrebbe contestato il fatto che le attività siano state concepite in maniera troppo settoriale, e che lo studio elaborato da ARPA e CNR presenti delle lacune e non sia del tutto esaustivo;
   sembra anche che il commissario Corbelli abbia manifestato l'intenzione di chiedere al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare di rivedere le attività previste dal protocollo d'intesa sottoscritto nel 2012. Il che avrebbe alquanto disorientato gli enti che fanno parte della cabina di regia, che si ricorda essere composta dai Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e dei trasporti e della coesione territoriale, oltre che dalla regione Puglia, dalla provincia di Taranto, dai comuni di Taranto e Statte, dall'autorità portuale di Taranto e dall'ARPA Puglia. Il commissario Corbelli pare infatti non essere stato troppo esaustivo nelle sue dichiarazioni, tanto da indurre a pensare che il tutto possa prevedere due strade possibili al momento percorribili: da un lato, eventualità sicuramente positiva, la possibilità di richiedere un aumento dei fondi stanziati per l'intervento di bonifica del Mar Piccolo (per il quale l'accordo del 2012 ha previsto una spesa totale 21.000.000 di euro tramite la delibera CIPE del 3 agosto 2012 n. 87);
   dall'altro però, in molti hanno il timore che il commissario abbia in realtà intenzione di chiedere ulteriori studi ed approfondimenti, il che potrebbe appunto voler significare un posticipare nel tempo l'intervento di bonifica, con il concreto rischio di far arenare il tutto (come già avvenuto nel lontano 2006);
   con riferimento allo studio effettuato da ARPA e Cnr, i cui risultati sono stati presentati lo scorso aprile alla «cabina di regia», non se ne conosce il contenuto. Si sa solo che si è trattato di un lavoro estremamente complesso, diviso in due parti: la prima riguarda la «Predisposizione del modello di circolazione e risospensione dei sedimenti», mentre la seconda riguarda «l'individuazione delle fonti ancora attive e le dimensioni del loro inquinamento»;
   lo studio ha fornito un modello concettuale sito-specifico del sito e una stima del «rischio» ambientale associato alle varie opzioni di intervento ed indica le superfici del Mar Piccolo (in ettari) oggetto del/degli interventi di bonifica e/o Mise (messa in sicurezza d'emergenza);
   da sempre, sono tre le ipotesi di intervento esaminate per il recupero del primo seno del Mar Piccolo: il dragaggio, il capping o diversi biorimedi;
   inoltre si ricorda che secondo il cronoprogramma delle attività previsto dalla cabina di regia, nel mese di luglio sarebbe dovuta avvenire l'approvazione del progetto. Tra agosto e novembre invece, era stata indicata la pubblicazione del bando dell'appalto integrato e l'affidamento dei lavori alla ditta vincitrice (per l'intero 2014 era stato previsto un contributo finanziario pari a 540.000 euro). Poi, dal dicembre di quest'anno al dicembre del 2015, era stato previsto il periodo della progettazione e dell'esecuzione dei lavori d'intervento (con uno stanziamento finanziario pari a 19.209.000 milioni di euro). Infine, gennaio-marzo 2016 era stato indicato come periodo per il collaudo e la funzionalità degli interventi apportati (con uno stanziamento finanziario pari a 1.011.000 euro) –:
   quali informazioni il Ministro interrogato, alla luce dei fatti esposti in premessa, abbia intenzione di assumere al fine di dare certezze ai cittadini di Taranto in merito alla bonifica di questo sito così altamente contaminato che sta compromettendo soprattutto, in modo irreversibile, le aziende locali dedite all'allevamento e alla raccolta di mitili e tutto l'indotto. (4-06537)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, riguardante le problematiche ambientali relative al Mar Piccolo di Taranto, sulla base degli elementi acquisiti dagli enti competenti, si rappresenta quanto segue.
  L'articolo 5 della legge n. 20 del 4 marzo 2015 prevede che, in considerazione della peculiare situazione dell'area di Taranto, l'attuazione degli interventi che riguardano detta area (compresa l'area del Mar Piccolo oggetto dell'interrogazione) è disciplinata dallo specifico contratto istituzionale di sviluppo (Cis) di cui all'articolo 6 del decreto legislativo n. 88 del 31 maggio 2011.
  Il Contratto istituzionale di sviluppo Taranto è sottoscritto dai soggetti che compongono il tavolo istituzionale permanente per l'Area di Taranto, istituito e disciplinato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 11 giugno 2015 presso la struttura di missione «Aquila-Taranto-POIN Attrattori» della stessa Presidenza.
  Il tavolo istituzionale ha il compito di coordinare e concertare tutte le azioni in essere nonché definire le strategie comuni utili allo sviluppo compatibile e sostenibile del territorio e, nello specifico, verificare lo stato di applicazione del contratto istituzionale di sviluppo Taranto. È presieduto da un rappresentante della Presidenza del Consiglio dei ministri e composto da un rappresentante per ciascuno dei Ministeri dello sviluppo economico, dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, delle infrastrutture e dei trasporti, della difesa, dei beni e delle attività culturali e del turismo nonché da tre rappresentanti della regione Puglia e da un rappresentante della Camera di commercio, industria, artigianato e agricoltura di Taranto, della provincia di Taranto, del comune di Taranto e dei comuni ricadenti nella predetta area, dell'Autorità portuale di Taranto, del Commissario straordinario per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione di Taranto, del Commissario straordinario del Porto di Taranto, dell'Agenzia nazionale per l'attrazione degli investimenti e lo sviluppo d'impresa.
  Il tavolo assorbe le funzioni di tutti i tavoli tecnici comunque denominati su Taranto istituiti presso la Presidenza del Consiglio dei ministri e di quelli costituiti presso le Amministrazioni centrali, regionali e locali (compresa la cabina di regia).
  Il commissario straordinario di Taranto è incaricato di predisporre – tenendo conto delle eventuali indicazioni del tavolo istituzionale – un programma di misure, a medio e lungo termine, per la bonifica, ambientalizzazione e riqualificazione dell'intera area di Taranto, dichiarata ad elevato rischio di crisi ambientale, volto a garantire, ove possibile e mediante ricorso alle Bat (best available techniques) riconosciute a livello internazionale, il più alto livello di sicurezza per le persone e per l'ambiente. Il programma è attuato secondo le disposizioni contenute nel contratto istituzionale di sviluppo Taranto.
  Alla predisposizione ed attuazione del programma di misure sono destinate, per essere trasferite sulla contabilità speciale intestata al commissario straordinario, tutte le risorse effettivamente disponibili, quali, quelle allo scopo impegnate dal Ministero dell'ambiente, le ulteriori risorse derivanti dal Fondo sviluppo e coesione tramite le delibere Cipe, nonché quelle derivanti dai Fondi strutturali e di investimento europei, per il prosieguo di interventi di bonifiche e riqualificazione dell'area.
  Una quota non superiore all'1,5 per cento delle risorse trasferite al commissario straordinario può essere utilizzata dal commissario stesso per tutte le attività tecnico-amministrative connesse alla realizzazione degli interventi.
  In base a quanto sopra esposto, il tavolo istituzionale è subentrato alla cabina di regia. Pertanto, le attività programmate dalla cabina di regia dovranno essere verificate, ed eventualmente aggiornate, sulla base dei programmi che il commissario straordinario vorrà predisporre.
  Nell'ambito del predetti programmi si colloca l'attività definita dal commissario relativa alla campagna geofisica prevista nel Mar Piccolo di Taranto, attuata d'intesa con l'Università degli studi di Bari «Aldo Moro» ed il Consiglio nazionale delle ricerche. In particolare, il rilievo prevede l'utilizzo di tecnologie, strumenti e metodologie di accoppiamento del Sun Bottom Profile e del magnetometro con successive e mirate indagini Sparker, compiute da unità appartenenti ai suddetti Enti di ricerca sotto il controllo del commissario straordinario.
  Inoltre, il Commissario il 15 dicembre 2015 ha trasmesso un piano integrativo di indagini dell'area del Mar Piccolo. La campagna d'indagini, elaborata di concerto con le unità scientifiche del Politecnico di Bari, dell'Università di Bari e del Consiglio nazionale delle ricerche, è finalizzata alla ricostruzione della stratigrafia dell'area, alla caratterizzazione geotecnica ed ambientale di sedimenti marini e del sottosuolo. La competente direzione generale del Ministero dell'ambiente il 31 dicembre 2015 ha comunicato che le attività di caratterizzazione integrativa possono utilmente iniziare, sulla base delle ulteriori indicazioni e delle eventuali prescrizioni dell'Arpa Puglia, ferme restando le diverse competenze previste dalla legislazione vigente in materia.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   LABRIOLA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 19 della legge 4 novembre 2010, n. 183 («collegato lavoro») ha previsto la specificità del ruolo del Corpo nazionale dei vigili del fuoco, delle Forze armate e delle Forze di polizia. Allo stesso modo è stata prevista la specificità dello stato giuridico del personale ad essi appartenente, in dipendenza della peculiarità dei compiti, degli obblighi e delle limitazioni personali, previsti da leggi e regolamenti, per le funzioni di tutela delle istituzioni democratiche e di difesa dell'ordine e della sicurezza interna ed esterna, nonché per i peculiari requisiti di efficienza operativa richiesti e i correlati impieghi in attività usuranti;
   l'articolo 1 comma 403 della Legge 27 dicembre 2013, n. 147 ha previsto, per il solo personale delle Forze di polizia, la sostituzione dei sistemi di rilevazione automatica delle presenze con modalità alternative di accertamento dell'effettivo svolgimento e della durata del servizio reso ai fini dell'erogazione dei compensi per lavoro straordinario, estendendole anche al personale civile che presta servizio negli uffici o nei reparti specificamente individuati –:
   quali iniziative i Ministri interrogati intendano adottare ai fini dell'equiparazione al Corpo nazionale vigili del fuoco rispetto alla possibilità riconosciuta agli altri Corpi dello Stato di dotarsi di strumenti alternativi alla rilevazione automatica delle presenze, secondo analoghi criteri di razionalizzazione e contenimento della spesa. (4-06555)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante chiede al Governo quali iniziative intenda assumere ai fini dell'equiparazione del corpo nazionale dei vigili del fuoco rispetto alla possibilità riconosciuta agli altri corpi dello Stato di dotarsi di strumenti alternativi alla rilevazione automatica delle presenze. Richiama, in proposito l'articolo 1, comma 403, della legge di stabilità 2014, in base al quale, con decreto interministeriale sono definite, per il solo personale delle forze di polizia, modalità di rilevazione della presenza in servizio alternative a quella automatica, la sostituzione dei detti sistemi di rilevazione automatica, estendendole anche al personale civile che presta servizio negli uffici specificamente individuati.
  In relazione a tale problematica, si rappresenta che il sistema di rilevazione automatica delle presenze è stato adottato nell'ottica della razionalizzazione e semplificazione amministrativa, in quanto il sistema medesimo è direttamente collegato al sistema del Ministero dell'economia e delle finanze per i pagamenti diretti di stipendi e di ogni compenso accessorio.
  Si evidenzia, che tale modalità, applicata già da tempo presso tutte le sedi periferiche del corpo nazionale dei vigili del fuoco, riduce notevolmente i tempi di corresponsione della retribuzione al personale di ogni qualifica e, inoltre, soddisfa le esigenze di contenimento della spesa, in quanto comporta tra l'altro l'abolizione dell'uso della carta.
Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   LOMBARDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   presso il dipartimento della protezione civile nella Sala Situazione Italia è attivo un centro di coordinamento denominato sistema che ha il compito di:
    a) monitorare e sorvegliare il territorio nazionale per individuare le emergenze previste o in atto e seguirne l'evoluzione;
    b) allertare e attivare le diverse componenti e strutture operative del Servizio nazionale della protezione civile che concorrono alla gestione delle emergenza;
   l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 28 luglio 2006 n. 3536 (pubblicata nella Gazzetta Ufficiale in data 10 agosto 2006), in particolare l'articolo 17, comma 1, prevede che, il sistema può avvalersi di personale appartenente alle varie strutture operative, ovvero:
    Corpo dei vigili del fuoco, Corpo della guardia forestale, capitaneria di porto, guardia di finanza, polizia di Stato, carabinieri, Croce rossa italiana, Comando operativo di vertice interforze;
   l'articolo 17, comma 2, dell'ordinanza de qua prevede che al personale impiegato per assicurare la piena operatività della Sala Situazione Italia SI.STE.MA è corrisposta una speciale indennità mensile onnicomprensiva, da corrispondersi in relazione alle giornate/turni di effettivo impiego commisurato a 30 ore di lavoro straordinario festivo e notturno;
   il personale ha percepito fino a tutto il 2013 la predetta speciale indennità;
   con decreto-legge 28 gennaio 2014 n. 4 (convertito dalla legge 28 marzo 2014, n. 50, in Gazzetta Ufficiale 29 marzo 2014 n. 74), articolo 3, comma 7, proprio al fine di garantire le attività svolte dalle varie strutture, per il triennio 2013-2015 sono stati stanziati 3 milioni di euro per il 2013/2014 e 1,5 milioni di euro per il 2015;
   le situazioni emergenziali verificatesi hanno comportato oneri eccedenti gli stanziamenti de quibus e con delibera della Presidenza del Consiglio dei ministri si è provveduto, per il 2015, allo stanziamento di un'ulteriore somma, nel limite massimo di 624.273,09 euro;
   con nota prot. n. RUS/0037675 del 24 luglio 2015, il capo dipartimento della protezione civile ha comunicato che, per quanto riguarda l'assegnazione dei compensi, solo quelli destinati al personale di cui all'articolo 17, commi 1 e 2, della già citata ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3536/2006 non risultano disponibili, mentre saranno erogate le spettanze delle altre strutture del dipartimento –:
   quale sarà la destinazione dei fondi stanziati, in più riprese, per garantire le attività svolte dalle varie strutture presenti presso il dipartimento della protezione civile, con particolare riguardo a quelli destinati al personale di cui all'articolo 17 commi 1 e 2 della già citata ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3536/2006;
   quali siano le ragioni che hanno indotto il capo del dipartimento della protezione civile ad adottare provvedimenti che appaiono discriminatori e che escludono una parte del personale impiegato nelle medesime emergenze dei colleghi delle altre strutture beneficiarie dei fondi dalle spettanze previste e stanziate dalle norme sopra indicate;
   cosa intenda fare il Presidente del Consiglio dei ministri per consentire anche al personale escluso di beneficiare delle competenze previste, stanziate e non ancora erogate e quali iniziative intenda porre in essere in relazione al provvedimento, a giudizio dell'interrogante discriminatorio, del capo del dipartimento della protezione civile. (4-10346)

  Risposta. — Si fa riferimento all'interrogazione in esame per rappresentare quanto segue.
  Con il decreto-legge n. 4 del 28 gennaio 2014 convertito, con modificazioni, dalla legge n. 50 del 28 marzo 2014, è stato previsto – all'articolo 3, comma 7, nell'ambito di disposizioni urgenti in materia di protezione civile – che, al fine di garantire le attività afferenti l'allertamento, il monitoraggio ed il coordinamento operativo del sistema nazionale di protezione civile, fosse consentito «il riconoscimento, nel triennio 2013-2015 delle integrazioni al trattamento economico accessorio previste dall'articolo 5, comma 1, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3967 del 2011, dall'articolo 17, comma 1, dell'Opcm n. 3721 del 2008, dall'articolo 6, comma 3, dell'Opcm n. 3361 del 2004, dall'articolo 17, commi 1 e 2, dell'Opcm n. 3536 del 2006 e dall'articolo 2, comma 1, dell'Opcm n. 3288 del 2003, nel limite di spesa di 3 milioni di euro per l'anno 2014 e di 1,5 milioni di euro per l'anno 2015».
  L'esame della disposizione normativa contenuta nell'articolo 3, comma 7, del citato decreto-legge n. 4 del 2014, consente agevolmente di rilevare che il legislatore, per le finalità espresse dalla norma – garantire le attività afferenti l'allertamento, il monitoraggio ed il coordinamento operativo del sistema nazionale di protezione civile – ha reiterato, ai soli fini della individuazione degli emolumenti economici e del personale beneficiario, talune ordinanze di protezione civile che risultavano decadute alla data del 31 dicembre 2012 a seguito della cessazione delle relative dichiarazioni di stato di emergenza che ne avevano giustificato, nel tempo, l'adozione. La corresponsione di tali emolumenti, pur facendo esplicito richiamo a più Opcm con le quali erano state a suo tempo disciplinate differenti tipologie di integrazioni al trattamento economico accessorio di differenti categorie di personale, è stata vincolata dal legislatore, all'atto della reiterazione, oltre che alle finalità (garantire le attività afferenti l'allertamento, il monitoraggio ed il coordinamento operativo del sistema nazionale di protezione civile) ad un preciso limite temporale – «nelle more del rinnovo della contrattazione integrativa... e comunque fino al 2015» – ed al rispetto di precisi limiti di spesa – complessivi 4,5 milioni di euro – previsti per il triennio 2013-2015, e specificamente: 3 milioni di euro per gli anni 2013-2014 e 1,5 milioni di euro per l'anno 2015.
  A seguito dei molteplici eventi emergenziali e stati di allerta verificatesi su tutto il territorio nazionale nel corso degli anni 2013 – 2014, per assicurare la piena capacità operativa del Dipartimento della protezione civile, e quindi l'adempimento dei precipui compiti istituzionalmente affidati al medesimo, è stato necessario ricorrere ad un massiccio impiego del personale in turni di presidio e in prestazioni di lavoro straordinario oltre i limiti ordinariamente previsti.
  Per quanto riguarda l'anno 2013, l'Amministrazione, disponendo della sufficiente copertura finanziaria a carico delle risorse del decreto-legge n. 4 del 2014 e nel rispetto del limite di spesa previsto, ha provveduto a riconoscere anche gli emolumenti previsti dall'articolo 17 dell'Opcm n. 3536 del 2006.
  Per l'anno 2014, invece, sulla base del costo storico di analoghe prestazioni rese nel triennio precedente, è stata verificata l'insufficienza delle disponibilità finanziarie già individuate dal decreto-legge n. 4 del 2014 in quanto è stato necessario provvedere al riconoscimento, al personale che è stato chiamato a rendere ulteriori prestazioni lavorative, degli emolumenti accessori già individuati dalle Opcm pure richiamate dall'articolo 3, comma 7, del decreto-legge n. 4 del 2014. Si precisa che tali emolumenti risultano strettamente connessi a specifiche e ulteriori prestazioni lavorative, rese nell'ambito di situazioni emergenziali o in conseguenza di dichiarazioni di stato di allerta.
  Al fine di potere far fronte a tali maggiori spese derivanti, appunto, da turni di presidio nonché remunerare le prestazioni di lavoro straordinario effettivamente rese oltre i limiti vigenti in occasione di eventi emergenziali, che non avevano trovato adeguata copertura a valere sulle risorse di cui al citato comma 7, è intervenuta la delibera del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2015 che, in applicazione del disposto normativo di cui all'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992 n. 225, ha autorizzato l'utilizzo di risorse dal Fondo di riserva per le spese impreviste di cui all'articolo 28 della legge 31 dicembre 2009 n. 196, nel limite massimo di euro 624.273,09.
  Tali risorse poiché afferenti non all'ordinario funzionamento del Dipartimento della protezione civile ma finalizzate al supporto tecnico-operativo da esso assicurato nelle attività di soccorso e assistenza alle popolazioni colpite dagli eventi emergenziali, non possono, per la loro stessa natura, essere considerate un mero rifinanziamento delle risorse individuate per gli anni 2013-2015 dall'articolo 3, comma 7, del decreto-legge n. 4 del 2014 e dei relativi limiti di spesa. Pertanto, in particolare, tali fondi – in ragione della predetta natura e finalità emergenziale – non potevano certo essere destinati a coprire le prestazioni di cui all'articolo 17 dell'Opcm n. 3536 del 2006 inerenti prestazioni rese in ordinario e non durante situazioni di emergenza o di allertamento operativo.
  Infatti, gli emolumenti previsti dall'articolo 17, comma 2, dell'Opcm n. 3536 del 2006, da riconoscersi nei limiti delle risorse indicate dall'articolo 3, comma 7, del decreto-legge n. 4 del 2014, trovano il presupposto della loro erogazione nella presenza del personale interessato, estraneo al Dipartimento della protezione civile, presso le isole operative del Servizio nazionale della protezione civile situate presso la sala situazione Italia del Dipartimento, per lo svolgimento di ordinaria quotidiana attività.
  Invero, va evidenziato che le Opcm richiamate dal citato decreto-legge n. 4 del 2014 riguardano il riconoscimento di emolumenti accessori che hanno diversa natura giuridica la cui attribuzione, a differenti categorie di personale, può essere, a seconda dei casi, legata o meno a dichiarazioni di stato di emergenza o stati di allerta.
  Al riguardo, risulta evidente che non sono stati adottati dal Dipartimento provvedimenti discriminatori nei confronti dei soggetti indicati dall'articolo 17 dell'Opcm n. 3536 del 2006, poiché la verificata insufficienza delle risorse individuate dall'articolo 3, comma 7, del decreto-legge n. 4 del 2014, e la suddetta diversa natura giuridica degli emolumenti non ha di fatto consentito, finora, per l'anno 2014, la relativa liquidazione.
  Si precisa, altresì, che non era peraltro possibile fare ricorso alle ulteriori risorse riconosciute con delibera del Presidente del Consiglio dei ministri del 29 aprile 2015 trattandosi di stanziamenti finalizzati, posti a carico del Fondo di riserva per le spese impreviste, esclusivamente utilizzabili per l'anno 2014, in relazione al disposto normativo di cui all'articolo 5 della legge n. 225 del 1992, per far fronte alla copertura delle spese derivanti da imprevisti eventi emergenziali che hanno comportato un conseguente maggior impegno in termini di prestazioni lavorative di presidio.
  Pertanto, il Dipartimento della protezione civile non ha tenuto alcun comportamento diseguale, né tantomeno ha agito in difformità rispetto a quanto prescritto da alcuna norma di legge ma, invece, ha potuto e dovuto soddisfare – almeno in prima battuta e fatto salvo l'auspicio di possibili future diverse integrazioni di risorse – tutti quegli emolumenti strettamente connessi a prestazioni lavorative che avendo assicurato la piena capacità operativa del Dipartimento in eccezionali situazioni di allerta o emergenza, in assoluta conformità con la ratio della norma di cui all'articolo 5, comma 1, della legge 24 febbraio 1992 n. 225, che ha reso possibile l'integrazione delle relative risorse economiche, potevano trovare adeguata e legittima possibilità di copertura a valere sulle somme prelevate dal Fondo di riserva per le spese impreviste.
  Per completezza di informazione si segnala che risulta pendente presso il Tar Lazio apposito ricorso proposto da alcune delle unità interessate alla corresponsione degli emolumenti già previsti dall'articolo 17 dell'Opcm n. 3536 del 2006.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   ANDREA MAESTRI e BRIGNONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il sostituto commissario della polizia di Stato, dottor Giuseppe Trapani, attualmente in servizio a Roma, referente per la regione Lazio del CO.T.I.POL. (Comitato per la tutela dei diritti degli ispettori della polizia di Stato ed equiparati) e dirigente sindacale della CONSAP (Confederazione sindacale autonoma di Polizia), denuncia il mancato rispetto dell'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo n. 334 del 2000, con il quale è stato istituito il ruolo direttivo speciale della polizia di Stato: egli, infatti, da 20 anni è fermo nella qualifica di ispettore superiore – sostituto ufficiale di pubblica sicurezza e, da 12 anni, in quella di sostituto commissario;
   il dottor Trapani e moltissimi suoi colleghi nelle medesime condizioni, ritengono che nei confronti della polizia di Stato venga ingiustamente disatteso e inapplicato il suddetto decreto legislativo e il riconoscimento al ruolo di ispettori della polizia di Stato, contrariamente a quanto già avvenuto per gli ordinamenti militari dell'Arma dei carabinieri, della Guardia di finanza e della polizia penitenziaria, per i quali la citata normativa è stata applicata;
   equiparati al ruolo del dottor Trapani, già da diversi anni, nell'Arma dei carabinieri e nella Guardia di finanza vi sono colleghi che rivestono, a quanto riferisce lo stesso, le qualifiche di tenente colonnello e nella polizia penitenziaria di vice questore aggiunto, godendo, inoltre, di un trattamento economico superiore (da colonnello il personale militare e da primo dirigente quello ad ordinamento civile);
   è quanto mai urgente un intervento affinché questa disparità di trattamento venga sanata e che siano riconosciuti rispetto e considerazione nei confronti di professionisti della sicurezza italiana che quotidianamente mettono a repentaglio la propria vita a salvaguardia di quella altrui;
   il dottor Trapani aggiunge, inoltre, che con la legge 1° aprile 1981, n. 121, recante «Nuovo ordinamento dell'Amministrazione della pubblica sicurezza», gli allora ufficiali del corpo, pur avendo un normalissimo diploma di scuola media superiore (ragioniere o geometra), per «ope legis» transitarono tutti nel ruolo di funzionari e dirigenti, pur non avendo il possesso di una laurea specifica e, attualmente, moltissimi di questi ex ufficiali, ancora rimasti senza il dovuto titolo di studio, rivestono qualifiche di vice questore aggiunto, primo dirigente, dirigente superiore, dirigente generale e perfino prefetto della Repubblica;
   in data 3 Gennaio 2016, sul sito della CONSAP è stato pubblicato un articolo dove viene evidenziato il trattamento prioritario riservato alla polizia penitenziaria nella legge di stabilità 2016, oltre a «l'assordante silenzio del Capo della Polizia» al riguardo che, da anni si ripete con vane rassicurazioni circa l'imminente realizzazione della dirigenzializzazione della «sua dirigenza» –:
   se il Governo non ritenga opportuno e doveroso assumere iniziative per porre rimedio a questa incresciosa e iniqua situazione di disparità di trattamento tra le omologhe qualifiche degli appartenenti alle diverse forze di polizia e se non intenda assumere iniziative urgenti per la costituzione del ruolo direttivo speciale della polizia di Stato, in attuazione dell'articolo 14 del decreto legislativo n. 334 del 2000. (4-11695)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame si chiede al Ministero dell'interno l'adozione di tempestive iniziative dirette alla costituzione del ruolo direttivo speciale della polizia di Stato, in attuazione di quanto disposto dal decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, al fine di riallineare le qualifiche apicali del ruolo degli ispettori alle omologhe qualifiche degli appartenenti alle altre forze di polizia.
  Al riguardo, si rappresenta che la legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per l'anno 2006) ha disposto che, fino a quando non saranno approvate le norme per il riordinamento dei ruoli del personale delle forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle forze di polizia ad ordinamento militare e delle Forze armate, è sospesa l'applicazione dell'articolo 24 del citato decreto legislativo n. 334 del 2000, recante disposizioni in materia di prima applicazione del ruolo direttivo speciale della polizia di Stato.
  Nel quadro normativo appena esposto si è inserita la novità rappresentata dalla legge n. 124 del 2015 che, tra le altre deleghe conferite al Governo in tema di pubblico impiego, prevede quella relativa al riordino delle carriere del personale delle forze di polizia, in aderenza al nuovo assetto funzionale e organizzativo dei rispettivi corpi.
  È evidente, a questo punto, che le problematiche di natura ordinamentale e gestionale connesse alla mancata attivazione del ruolo direttivo speciale devono essere coordinate con l'attuazione della predetta delega, a cui stanno già lavorando da tempo appositi tavoli tecnici anche a composizione interforze.
  Si fa presente, infine, che la procedura di approvazione del decreto legislativo di riordino delle carriere del personale dei corpi di polizia prevede l'acquisizione del parere delle commissioni parlamentari competenti in materia, che potranno, in tale sede, fornire il loro prezioso contributo di analisi e di proposta.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   MERLO e BORGHESE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   il bilancio della serie di attentati terroristici che hanno insanguinato Parigi il 13 novembre 2015 è di oltre 129 vittime ed oltre 350 feriti e sono 7 i terroristi morti, inclusi i kamikaze, che si sono fatti saltare in aria vicino allo Stadio di Francia;
   allo stato attuale proseguono le ricerche da parte di tutti i servizi di sicurezza internazionali degli eventuali complici; sembrerebbe che la squadra sarebbe stata formata in tutto da 8 terroristi: quattro hanno agito alla sala concerti Bataclan, gli stessi che prima hanno aperto il fuoco nei bar e nei ristoranti nelle vicinanze. Il quinto terrorista sarebbe il primo kamikaze che si è fatto saltare in aria allo stadio di Francia, alle 21,20 il 13 novembre 2015, azione che ha dato il via al massacro;
   i Capi di Stato di tutto il mondo hanno manifestato preoccupazione per l’escalation terroristica internazionale e stanno predisponendo piani di emergenza e interventi straordinari per garantire la sicurezza nazionale;
   sono stati registrati, a Parigi, casi di psicosi collettiva e momenti di tensione a causa di falsi allarme attentati. La prefettura parigina è stata costretta a diramare una nota in cui ha confermato diversi «movimenti di panico» nella capitale «dopo vari falsi allarme» (http://www.ilfattoquotidiano.it);
   l'Is pare non abbia intenzione di fermarsi, anzi gli attacchi di Parigi sembrano esser più un preavviso di quello che lo Stato islamico si appresterebbe a fare, sia in Italia, che in altre città di altri Paesi, per esempio Londra e Washington, come ha annunciato sui media e i social network (http://www.iltempo.it);
   il prossimo dicembre avrà inizio il Giubileo a Roma, evento straordinario che si celebra nel Paese che ospita la sede del Vaticano e aumenta le probabilità di attacchi terroristici in Italia, e contro gli italiani;
   anche i connazionali residenti all'estero – cittadini italiani e al tempo stesso europei – sono fortemente preoccupati dal clima di terrore scatenato dai recenti fatti di Parigi;
   alcuni consolati, collocati in città con una forte presenza di italiani, spesso nella situazione di ricevere centinaia di utenti al giorno, potrebbero rappresentare un obiettivo sensibile per i terroristi –:
   quali iniziative intendano intraprendere i Ministri interrogati – anche in coordinamento con le autorità nazionali locali – per la tutela della sicurezza delle sedi diplomatiche, ambasciate e consolati italiani in tutto il mondo, che si considerino per quanto premesso «a rischio» e per quella personale dei dipendenti che vi lavorano e degli utenti dei servizi consolari. (4-11150)

  Risposta. — Nel corso degli ultimi anni la Farnesina si è attivamente adoperata per rafforzare la sicurezza delle nostre sedi all'estero (ambasciate, consolati e istituti italiani di cultura) e del personale che vi lavora; numerose iniziative in tal senso sono state già adottate, con l'obiettivo di adeguare le esigenze di sicurezza al mutato quadro internazionale e alle nuove minacce.
  L'attentato alla sezione consolare della nostra ambasciata a Il Cairo, che ha causato danni ingentissimi e la morte di un cittadino egiziano, ha drammaticamente confermato l'urgenza di un ulteriore rafforzamento della sicurezza a favore delle sedi all'estero.
  Sforzi notevoli sono stati in particolare rivolti al rafforzamento della sicurezza attiva e passiva, avviando già nel biennio 2013/2014 un'intensa opera di adeguamento e potenziamento delle sedi che è stata portata avanti nell'ultimo anno, pur tenendo conto delle limitate capacità tecniche e delle difficoltà strutturali legate alla tipologia degli immobili e alla loro ubicazione.
  In tale contesto, si segnala che solo nel 2015 sono stati esaminati e finanziati interventi per oltre 4 milioni di euro a favore di 150 sedi (ambasciate e consolati) che hanno segnalato criticità e nell'ultimo triennio sono stati realizzati interventi sull'80 per cento delle sedi estere. Si è altresì rafforzata la vigilanza privata delle sedi estere (con un esborso complessivo di oltre 4,8 milioni di euro) e sono state disposte 70 specifiche missioni brevi di sicurezza di militari dell'Arma (per un costo di circa 700.000 euro), in aggiunta alla sorveglianza già assicurata dai Carabinieri in missione pluriennale all'estero.
  Per quelle sedi che presentano maggiori rischi, per motivi strutturali o di collocazione, si sta comunque provvedendo alla ricerca di un immobile che risulti più adeguato alle esigenze di sicurezza e tutela. Tra le sedi dove l'attenzione è stata maggiore sotto tale profilo, vale la pena menzionare i seguenti casi: Erbil, dove il consolato è da poco funzionante in una nuova e più sicura struttura; Tunisi, dove sono in fase avanzata le attività finalizzate all'imminente trasferimento dell'ambasciata in un nuovo immobile che, in una logica di accorpamento logistico, ospiterà i diversi uffici della presenza istituzionale italiana in Tunisia; Nairobi, dove sono stati avviati progetti per rendere funzionale il nuovo complesso che ospiterà la cancelleria e altri uffici italiani; Manila, dove il nuovo edificio è stato già individuato; infine, Il Cairo, dove è in fase di avanzata concertazione il progetto di accorpamento degli uffici diplomatici e consolari in una sede rafforzata, alla luce del recente attacco terroristico.
  Al fine di monitorare la situazione in loco, ispettorato generale della Farnesina ha effettuato missioni in quasi tutte le sedi maggiormente esposte a rischi. Nel quadro di una accresciuta sensibilità per le esigenze di sicurezza, è stato avviato un esercizio di ricognizione e potenziamento della sicurezza di numerosi Istituti italiani di cultura e un'analisi delle condizioni delle scuole statali all'estero.
  Si è infine proceduto alla costituzione di un tavolo ad hoc delle sedi estere con il Consiglio superiore dei lavori pubblici il cui accordo, firmato il 19 marzo 2015, prevede la collaborazione del dipartimento delle informazioni per la sicurezza della Presidenza del Consiglio (D.I.S.) e del Ministero della difesa, per la costituzione di un database sulle caratteristiche strutturali e di sicurezza di tutte le sedi estere e per l'approntamento di standard tecnici modulabili secondo le situazioni di rischio.
  Il mutato contesto internazionale impone, come detto, un approccio sempre più integrato e sistematico per quanto riguarda i temi di sicurezza, che coinvolga anche professionalità di altre Amministrazioni come difesa, infrastrutture e trasporti.
  Tale consapevolezza trova un giusto riconoscimento con lo stanziamento di 15 milioni di euro appositamente previsti nella legge di stabilità 2016. Finora la materia è stata affrontata con l'impegno di risorse umane interne alla Farnesina. Le crescenti responsabilità in questo settore impongono il ricorso a professionalità tecniche che, anche a causa del blocco del turnover nella Pubblica amministrazione, non sono disponibili all'interno del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale e dovranno essere reperite presso altre amministrazioni.
  Per quanto concerne il profilo della protezione dei capi missione e di tutto il personale, è stato previsto, d'intesa con i vertici dell'Arma, un rafforzamento della presenza e della capacità dei Carabinieri inviati all'estero con compiti di sicurezza e vigilanza (nell'organico delle sedi estere operano attualmente 225 militari). Apposite missioni di protezione e scorta, ovvero di vigilanza e sicurezza, vengono disposte e finanziate da questo Ministero nelle cosiddette «sedi belliche» e per le sedi nei Paesi contemplati nel decreto missioni internazionali, ove sussistono particolari condizioni di rischio, avvalendosi di reparti specializzati dell'Arma dei Carabinieri (attualmente i militari impiegati per tali missioni sono 101 dislocati in 9 sedi). È in fase di ulteriore potenziamento anche il parco delle auto blindate. Con riguardo al personale, è stato recentemente aggiornato e nuovamente diffuso un articolato vademecum contenente numerose raccomandazioni sulla scelta delle abitazioni, sul comportamento da tenere e sulle precauzioni da adottare sia nelle abitazioni che negli spostamenti.
  Si segnala, infine, che la Farnesina, di concerto con le altre amministrazioni coinvolte, ha promosso una più stretta collaborazione sui temi di sicurezza sia in ambito europeo che internazionale, al fine di agevolare lo scambio di informazioni e condividere valutazioni e linee d'azione che consentano ai vari Paesi di prevenire e contrastare più efficacemente il terrorismo internazionale. In tale contesto, si fa presente che presso il dipartimento di pubblica sicurezza del Ministero dell'interno opera un apposito Servizio per la cooperazione internazionale di polizia, che mantiene rapporti costanti con gli altri uffici Interpol in caso di segnalazioni per attività di terrorismo internazionale e partecipa a specifici progetti operativi in seno all'organizzazione internazionale della polizia criminale-interpol, quali il progetto «Fusion Task Force», relativo alla creazione di una banca dati mondiale con informazioni dettagliate su alcune organizzazioni terroristiche.
  Quanto alla collaborazione con le autorità locali, sono state date precise istruzioni alle sedi affinché richiedano, in base agli obblighi previsti dal diritto internazionale, il potenziamento delle misure di sicurezza da parte delle rispettive autorità di accreditamento.
Il Viceministro degli affari esteri e della cooperazione internazionaleMario Giro.


   MINARDO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il patrimonio documentario conservato nella città di Modica dal XV al XVI secolo fa riferimento al plurisecolare periodo della Contea di Modica (è andata perduta la documentazione precedente al 1447 relativa al sorgere della Contea) e poi, con l'abolizione della feudalità in Sicilia (1812/16) al periodo in cui Modica fu capoluogo dell'omonimo circondario (Ottocento e primo Novecento):
   la giunta municipale di Modica nel 1947 propone che in città venga istituito l'Archivio di Stato. La richiesta della giunta municipale viene rinnovata nel 1948, 1949, 1954;
   con decreto del Ministero dell'interno del 25 febbraio 1955 viene istituita la «sottosezione», poi sezione di Archivio di Stato di Siracusa;
   la città di Ragusa chiede pure di ottenere e ottiene che si dia luogo a Ragusa una sezione di Archivio di Stato e che con decreto del Ministero dell'interno del 21 giugno 1955 viene istituita la sezione di Ragusa con decorrenza 1° luglio 1955;
   con decreto del Presidente della Repubblica del 30 settembre 1963, n. 1409 (norme per l'ordinamento degli Archivi di Stato), Ragusa, in quanto capoluogo di provincia, diventa sede di Archivio di Stato e la sede di Modica diventa sezione dell'Archivio di Stato di Ragusa;
   nella sede di Ragusa, oltre ovviamente ai documenti della Prefettura, confluirono documenti provenienti da Siracusa (taluni documenti si sarebbero dovuti trasferire a Modica, per errore pervengono a Ragusa ove finiscono conservati). Al di là di ciò il patrimonio documentale più consistente e rilevante resta quello conservato nella sezione archivistica di Modica e tra questi vari fondi della Contea di Modica (doc. dal sec. XIV al 1894), corporazioni religiose soppresse, atti dei notai, atti di vari comuni della contea e del circondario, documenti di famiglie, registri della Gran Corte (tribunali della contea di Modica), archivio comunale. In totale la consistenza del patrimonio documentale conservato a Modica è di 16.808 tra mazzi, registri, fascicoli e buste, 2 pergamene e 2 biblioteche antiche e la biblioteca di sezione;
   la città di Modica è stata ed è vivaio di istituzioni culturali antiche. Sono numerosi gli studiosi nei vari campi del sapere: diritto, filosofia, letteratura, teologia, medicina, matematica, scienze sperimentali e così via;
   il retaggio storico caratterizzante questo territorio riguarda ogni aspetto, a partire da quello istituzionale, agricolo, artigianale, giudiziario, gastronomico e così via; quello che fa capo a Modica, almeno dal XIV secolo sede di istituzioni scolastiche, fino ai primi decenni del `900 confluivano studenti dei vari comuni del circondario ed oltre;
   Ragusa non è più capoluogo di provincia;
   la scarsità di personale potrebbe indurre ad unificare le sedi di Modica e Ragusa –:
   quali iniziative, si intendano adottare in vista di un'eventuale ristrutturazione nella conservazione del patrimonio archivistico;
   se si ritenga opportuno unificare l'intera documentazione nella sede storica della conservazione del patrimonio documentale di questo territorio sud orientale della Sicilia, ossia Modica;
   se non ritenga di assumere iniziative affinché si conservi il patrimonio archivistico nel moderno e ampio edificio, che fino a pochi mesi fa è stato sede del nuovo palazzo di giustizia di via Aldo Moro a Modica, che peraltro ha tutti i requisiti di legge e quindi è pienamente idoneo alla conservazione e alle attività culturali ed è dotato peraltro di un grande parcheggio antistante e prossimo alla strada statale 115 che collega tutto il comprensorio.
(4-10731)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo, in esame, con il quale l'interrogante, premesso che l'Archivio di Stato di Ragusa include la sezione di Archivio di Stato di Modica, la quale, a parere dell'interrogante, conserva un patrimonio documentale molto consistente e rilevante e che la scarsità di personale potrebbe indurre ad unificare le sedi di Modica e Ragusa, chiede di sapere se il Ministero non ritenga opportuno unificare l'intera documentazione nella sede storica della conservazione del patrimonio documentale della Sicilia sud-orientale, ossia Modica, atteso che Ragusa non è più capoluogo di provincia e se non ritenga di assumere iniziative affinché si conservi il patrimonio archivistico in un più ampio e moderno edificio.
  A tal proposito si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare si osserva che, pur dopo la soppressione delle province regionali, disposta con legge regionale 4 agosto 2015, n. 15, la città di Ragusa resta sede di un «libero consorzio di comuni», disciplinato dalla nuova normativa. Libero consorzio comunale è il secondo livello di amministrazione della Regione Siciliana, che ha sostituito la «Provincia regionale», di cui assorbe le funzioni. Si tratta di un ente territoriale di area vasta dotato di autonomia statutaria, regolamentare, amministrativa, impositiva e finanziaria. Il previsto riordinamento del Ministero dell'interno prevede altresì il mantenimento della prefettura di Ragusa. Ogni iniziativa in materia di riesame della presenza dell'amministrazione sul territorio non può quindi prescindere da tale circostanza.
  Per quanto concerne la possibilità di conservare il materiale documentario in una moderna sede, facilmente accessibile all'utenza, si assicura la disponibilità a valutare la soluzione proposta, sotto il profilo della razionalizzazione degli spazi e del contenimento degli oneri per locazioni passive.
  Sarà inoltre cura dell'amministrazione accertare se e a quali condizioni il comune di Modica, proprietario dell'ex Palazzo di giustizia, sia disponibile a concedere in uso l'edificio, nonché verificarne l'idoneità sotto il profilo della normativa tecnica di sicurezza.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da notizie apparse sui quotidiani, si apprende che gli agenti della polizia italiana di Como che pattugliano l'area di frontiera con la Svizzera sono attualmente sprovvisti dei giubbotti antiproiettile che dovrebbero invece avere in dotazione;
   i giubbotti antiproiettile sono una componente essenziale per consentire il corretto e puntuale svolgimento del lavoro degli agenti e soprattutto per chi ha l'incarico di controllare un territorio delicato come quello di confine che pone più a rischio l'incolumità dei poliziotti;
   tale situazione è stata denunciata dal Sindacato autonomo di polizia (Sap), che per il tramite segretario del Sap per la provincia di Como, Ernesto Molteni, ha fatto sapere: «I giubbotti antiproiettili sono dotazioni personali fondamentali, e devono dunque fornirci chiarimenti per quanto accaduto, alla luce soprattutto delle normative sulla sicurezza»;
   a fronte dei 25 giubbotti antiproiettili restituiti, perché ormai completamente inutilizzabili, pare ne siano stati riconsegnati solo 6 e che perciò, ad oggi, ben 19 gli agenti ne risultano sprovvisti;
   gli uomini impegnati nelle pattuglie della polizia di frontiera operano in turni di 10 uomini alla volta e pertanto anche solo i 6 giubbotti antiproiettili resi sono insufficienti a garantire l'incolumità di tutti gli agenti in servizio;
   pertanto, ci sono attualmente in servizio agenti che potrebbero trovarsi ad affrontare dei rapinatori armati senza questa indispensabile protezione;
   anche nei mesi precedenti erano stati segnalati al Ministro dell'interno diverse problematiche in merito alla dotazione delle divise per cui i poliziotti che devono obbligatoriamente indossare la divisa, sono dunque altresì obbligati a comprare a spese loro quegli indumenti indispensabili per poter lavorare, di cui avrebbero diritto, ma che non vengono forniti dall'amministrazione competente;
   la mancata dotazione di giubbotti antiproiettili assumere rilievo ancora più grave, mettendo a rischio la vita degli agenti e va ad aggiungersi a tutte le altre questioni che già investono il settore delle forze dell'ordine, tra cui i tagli e i blocchi stipendiali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto sopra e se ciò corrisponda al vero, quali misure intenda adottare nell'immediato per dotare il personale della polizia di Stato di Como del necessario e adeguato abbigliamento e metterlo in condizione di poter svolgere il proprio lavoro in tutta sicurezza. (4-07007)

  Risposta. — Con l'interrogazione si chiedono chiarimenti in merito ai giubbotti antiproiettile in dotazione al personale della Polizia di Stato di Como.
  A tale proposito si informa che è in atto un generale ricambio ed ammodernamento delle dotazioni complessive della Polizia di Stato, in particolare, dei giubbetti antiproiettile.
  Infatti, l'articolo 1, comma 967, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo con una dotazione finanziaria di 50 milioni di euro per l'anno 2016, destinato all'ammodernamento delle dotazioni strumentali e delle attrezzature anche di protezione personale in uso alle Forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco.
  La stessa disposizione ha autorizzato, sempre per l'anno corrente, la spesa di 10 milioni di euro per il rinnovo e l'adeguamento della dotazione dei giubbetti antiproiettile della Polizia di Stato.
  Riguardo a questo specifico aspetto, si sottolinea che già nel 2014, grazie alle risorse finanziarie messe a disposizione nello stesso anno dal «cosiddetto decreto stadi» (decreto-legge n. 119 del 2014, convertito dalla legge n. 146 del 2014), è iniziato il programma di sostituzione dei giubbetti antiproiettile esterni, per i quali – in relazione all'approssimarsi del decimo anno di vita – non sarebbe stata più operante la garanzia offerta dalla casa produttrice.
  Sul punto è necessario chiarire che la scadenza decennale riguarda soltanto il profilo giuridico dell'azionabilità della garanzia, ma non determina affatto la perdita automatica del requisito balistico del giubbetto, ragion per cui non viene messa in pericolo l'incolumità dell'operatore.
  Il giubbetto può essere di regola utilizzato anche oltre il termine di dieci anni a seguito dell'effettuazione di test balistici. Nonostante ciò, l'amministrazione della pubblica sicurezza ha, comunque, deciso di procedere alla sostituzione dei giubbetti alla scadenza della garanzia.
  In particolare, nel 2015 sono già stati distribuiti 3.216 nuovi giubbetti, e, a cominciare dai primi mesi del 2016, ne verranno distribuiti ulteriori 13.000.
  Si informa, inoltre, che per il breve periodo in cui i dispositivi resteranno in uso agli operatori anche dopo il termine della predetta garanzia dei dieci anni, in attesa dell'arrivo dei nuovi, si sta provvedendo ad effettuare, presso il banco di prova di Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia, prove a fuoco su un campione significativo, al fine di testare il mantenimento del requisito balistico.
  A tale riguardo, si rappresenta che i giubbetti prodotti nel 2005 hanno superato le prove ed è stata pertanto concessa una proroga d'uso per il tempo necessario al rinnovo delle dotazioni.
  In tale contesto si assicura che le esigenze del personale della Polizia di Stato di Como saranno tenute in debita considerazione.
Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   NICCHI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   archivi e biblioteche attirano studiosi e investimenti dall'estero, ma soprattutto risultano fondamentali per il progresso civile, essendo una risorsa necessaria per allinearsi ai livelli dell'Europa più avanzata, pensando almeno alla Francia, alla Germania e alla Gran Bretagna;
   l'Italia per la sua storia può vantare un patrimonio librario di qualità per nulla inferiore a quello conservato nei Paesi appena ricordati;
   da anni, le sue principali biblioteche risultano fra le più arretrate. In particolar modo, nella Biblioteca nazionale di Firenze i servizi all'utenza sono decisamente inferiori agli standard minimi oggi richiesti (dall'accoglienza alle risorse informatiche, dalla comodità di accesso all'effettiva disponibilità delle collezioni) e da anni il settore vive il blocco del turn-over, del personale e l'assenza di un'idonea politica di sviluppo che contempli investimenti e progettualità di medio lungo termine;
   la Biblioteca nazionale centrale di Firenze, la più antica delle biblioteche nazionali italiane, nota per una dotazione eccezionale di sei milioni di libri e venticinquemila manoscritti, presenta difficoltà crescenti, poiché è impossibile accedere alla lettura di volumi recenti, anche quando catalogati;
   l'accesso alle collezioni di periodici, materiale di inestimabile lavoro, è stato escluso a tempo indeterminato ormai da due anni. La Biblioteca, ospitata in un edificio di notevole pregio architettonico, necessita di restauri della facciata e dei locali interni. L'impianto di climatizzazione è inefficiente, i locali di servizio sono al di sotto degli standard minimi di accoglienza che si richiedono a un istituto che dovrebbe godere di un prestigio internazionale, situazione aggravata da continui guasti e malfunzionamenti (porte bloccate, bagni spesso inagibili, locali chiusi e altro). Problemi ancor più evidenti nei caso di maltempo, quando l'acqua penetrata all'interno a causa della rottura di alcuni vetri infranti dalla grandine ed attraverso le finestre e porte spalancate dal vento ha arrecato danni a volumi di inestimabile valore;
   come si evince dalle tabelle ministeriali relative al finanziamento della Biblioteca nazionale di Firenze, le risorse sono così ripartite per il corrente anno e per il prossimo biennio: 2015, 196.397 euro; 2016, 154.593 euro; 2017, 154.593 euro;
   in questo anno finanziario pertanto il fondo di funzionamento è stato ridotto di oltre l'80 per cento da 1.111.000 euro a 196.397 euro, quello che permette di aprire le porte ogni mattina, di pagare le bollette e altro;
   il Ministro interrogato il 6 marzo 2015 ha annunciato che la Biblioteca nazionale nel 2015 avrà un contributo di 1.091.000 euro;
   a cavallo del 2014-15, sono stati conferiti alla Biblioteca oltre 1.100.000 euro per spese di restauro e messa in sicurezza, implicitamente riconoscendo la totale insufficienza dei fondi previsti dalle tabelle ministeriali –:
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere per garantire che alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze siano destinate risorse pubbliche certe e continuative per non ricorrere all'esercizio emergenziale, soprattutto risorse che non siano, ogni volta, ridotte;
   quali azioni intenda intraprendere per garantire il turn over dell'organico del personale. (4-08612)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo indicato in esame, nel quale l'Onorevole interrogante chiede di sapere quali misure si intende «intraprendere per garantire che alla Biblioteca nazionale centrale di Firenze siano destinate risorse pubbliche certe e continuative per non ricorrere all'esercizio emergenziale, ... risorse che non siano, ogni volta, ridotte» e «per garantire il turnover dell'organico del personale».
  L'interrogante bene descrive la ricchezza della Biblioteca nazionale centrale di Firenze (di seguito BNCF), sotto i profili della quantità e la qualità del patrimonio posseduto e dell'importanza delle molteplici funzioni che essa svolge nell'ambito del sistema bibliotecario italiano e internazionale.
  Si aggiunga che la BNCF è archivio della letteratura italiana moderna; che ha una raccolta dei periodici che conta più di 250.000 testate, di cui 15.000 in corso; che conserva un cospicuo fondo di materiale cosiddetto minore, tra cui importanti documenti prodotti nell'ambito di attività associative, produttive e commerciali, guide turistiche e cartoline illustrate e un importantissimo fondo di libri d'artista del Novecento. Il patrimonio artistico consta di una cinquantina di opere tra busti, statue, maioliche e dipinti di diverse epoche.
  La Biblioteca, ai sensi della vigente normativa sul deposito legale, costituisce l'Archivio nazionale della produzione editoriale italiana nonché elemento fondamentale del Servizio bibliotecario nazionale, il quale consente la catalogazione partecipata e la circolazione dei documenti su scala nazionale.
  La BNCF, inoltre, è partner in molti progetti europei e internazionali, quali Europeana, World Digital Library, Google, ProQuest, attivati anche sulla base di lettere d'intenti con partner privati e prestigiose istituzioni culturali, e tuttora in corso. Tali progetti hanno consolidato all'estero il ruolo di importante istituto bibliografico della BNCF.
  L'interrogante rileva, però, anche difficoltà e criticità che impediscono alla BNCF di fornire i propri servizi secondo standard qualitativi e quantitativi analoghi ad altre istituzioni simili, anche straniere.
  Si tratta di questioni già note, per le quali l'amministrazione si è ed è fermamente impegnata nella loro risoluzione. Alcune di esse sono già state risolte. Per altre, sono necessari interventi e investimenti di lungo periodo, alla cui progettazione e realizzazione l'amministrazione sta provvedendo, nel limite delle risorse disponibili.
  La sede della BNCF, risalente agli anni trenta del secolo scorso, conserva al suo interno arredi, elementi architettonici e apparati che si sono nel corso dei decenni storicizzati e che assegnano all'edificio stesso un notevole valore storico-culturale. Ciò comporta insieme la volontà di preservare l'edificio e il suo apparato ma anche il suo utilizzo in maniera efficiente, compatibilmente, ovviamente, con il valore storico-culturale della sede.
  Gli eventi meteorologici straordinari che hanno colpito la città di Firenze il 19 settembre del 2014 hanno danneggiato strutturalmente la BNCF, lesionando in modo particolarmente grave le grondaie, il sistema di smaltimento delle acque meteoriche delle coperture a falda, il lastrico solare e i lucernari risalenti per lo più agli anni trenta del novecento e già oggetto di parziali interventi di messa in sicurezza. La medesima circostanza ha causato gravi lesioni al paramento murario dell'ala nuova di via Magliabechi, messa in sicurezza dai vigili del fuoco, e il distacco parziale di frammenti lapidei della facciata principale rivestita di pietra forte.
  Premesso che nei mesi di luglio e agosto 2014 si era provveduto a opere di manutenzione indifferibili dell'intero sistema di grondaie e di pulizia dei lastrici solari, la causa essenziale dei danni lamentati è stata l'eccezionalità dell'evento. Ad oggi si è già provveduto a recuperare con lavori in urgenza i lucernari danneggiati dalle grandine e a rimettere i vetri andati distrutti allo scopo di evitare ulteriori infiltrazioni di acqua nell'edificio e si è proceduto a intervenire sulla porzione di lastricato solare danneggiata. L'utilizzazione di uno stanziamento di euro 1.100.000,00 ha reso possibile stipulare una convenzione con il Provveditorato alle opere pubbliche per la Toscana per la realizzazione degli interventi necessari.
  Per quanto riguarda l'impianto termico, sono stati operati interventi di messa a regime ai sensi della normativa vigente con un miglioramento notevole nel microclima delle aree trattate, considerata anche la struttura architettonica dell'edificio, l'altezza delle sale e dei locali e la presenza di infissi storici, ancora da recuperare attraverso operazioni di restauro conservativo. La struttura dell'edificio, risalente agli anni trenta del novecento, consente, comunque, una climatizzazione solo parziale, limitata ai locali che presentano caratteristiche adatte a tali interventi.
  Dopo gli interventi sull'impianto termico dell'edificio della Biblioteca, si è proceduto alla climatizzazione del deposito riservato.
  Per quanto riguarda i servizi igienici, gli stessi rispettano le norme igienico-sanitarie e la normativa di sicurezza vigente. È presente un servizio igienico dedicato, accessibile ai disabili. Da un punto di vista architettonico l'area rispecchia lo stile del periodo di costruzione dell'edificio, con parziali interventi aggiuntivi negli anni ottanta del secolo scorso, ma viene costantemente assicurata la pulizia e la disponibilità di materiale igienico-sanitario.
  Come anche rilevato nell'interrogazione, la situazione dell'emeroteca della BNCF presenta notevoli criticità per la cui soluzione sono necessari interventi di ordine strutturale. L'emeroteca della BNCF vanta un patrimonio documentario di notevole importanza sia per il numero delle testate, che assommano a 250.000, che per la rarità di molte di esse, alcune delle quali risalenti alla metà del secolo XVIII. Attualmente le collezioni delle pubblicazioni periodiche, conservate nei vari spazi della BNCF, corrispondono approssimativamente a quaranta chilometri lineari di scaffalature, con un incremento annuo stimato di circa mille metri lineari. È in previsione, inoltre, il deposito della collezione della stampa italiana e straniera dagli anni venti del novecento al 2000, conservata attualmente presso la Presidenza del Consiglio dei ministri che occuperà, presumibilmente, uno spazio pari a ulteriori dieci chilometri lineari di scaffalature.
  La sede secondaria della BNCF, costituita dalla Polveriera di forte Belvedere, dove furono collocati provvisoriamente i giornali storici della Biblioteca dopo la tragica alluvione del 1966, ancorché fosse poco adatta alle necessità di una biblioteca, venne aperta al pubblico nel 1990 per poi essere chiusa già nel 2000, in attesa di interventi di miglioramento delle condizioni di sicurezza dello stabile.
  Forte Belvedere da quel momento venne utilizzato come mero deposito, da cui, a cura del personale della Biblioteca, si provvedeva a prelevare, in giorni prefissati, il materiale richiesto dagli utenti e a trasferirlo per la consultazione nella sede centrale della Biblioteca. Attualmente, però, il servizio è sospeso a tempo indeterminato in quanto un'analitica relazione della ditta che gestisce la sicurezza dei luoghi di lavoro ha evidenziato peggioramenti nelle condizioni dell'immobile sotto il profilo della sicurezza. Ciò, di fatto, esclude dalla consultazione la collezione di indiscusso valore dei giornali storici della Biblioteca.
  Gli interventi per garantire la sicurezza della sede di Forte Belvedere appaiono, già a una prima analisi, molto onerosi e, soprattutto, non risolutivi, in considerazione del fatto che la sede in questione per sua stessa conformazione non consente una conservazione ottimale del materiale collocatovi; che la stessa manca di ulteriori spazi occupabili; che la zona, benché altamente suggestiva, è difficilmente raggiungibile dagli utenti per mancanza di infrastrutture; che, infine, è di difficile, se non impossibile, gestione come biblioteca per la sua stessa conformazione fisica.
  La soluzione della problematica dell'emeroteca può essere costituita dal pieno recupero dell'area della ex caserma Curtatone e Montanara, assegnata alla Biblioteca Nazionale Centrale di Firenze dal 2003.
  L'area in questione si compone di tre fabbricati, tra cui l'ex convento di Sant'Onofrio e l'ala di manifattura ottocentesca, adibita a servizi della Scuola militare di sanità e di tre cortili, per una superficie complessiva di settemila metri quadri. Nell'ultimo triennio si è già provveduto a recuperi parziali: nel corso del 2011 è stata recuperata la quasi totalità delle coperture e sono stati effettuati interventi di disinfestazione all'interno del fabbricato ottocentesco; nel corso del 2012 si è provveduto alla rimozione delle coperture in cemento-amianto delle due pensiline poste lungo il muro perimetrale di via Tripoli, ormai fatiscenti, e al loro smaltimento, così come alla rimozione di tutte le canne fumarie e dei serbatoi di accumulo acque, sempre in cemento-amianto, posti nel fabbricato e nei cortili. Attualmente nell'area del Convento sono già funzionanti impianti di rilevazione antincendio e antintrusione.
  Col recupero dei locali dell'ex caserma Curtatone e Montanara, si creerebbe un'asse culturale della biblioteca lungo la via Tripoli, che risulterebbe di grande utilità per gli utenti. Mentre il fabbricato più antico potrebbe ospitare gli spazi dei servizi al pubblico, il centro di digitalizzazione, gli uffici e parte delle collezioni più particolari, l'area ottocentesca potrebbe essere destinata ai magazzini librari mediante un impianto di robotizzazione, che andrebbe a garantire spazi a lungo termine per l'accrescimento delle raccolte librarie e documentarie della BNCF.
  Si restituirebbe, così, agli utenti la possibilità di consultare il prezioso materiale dell'emeroteca nazionale attualmente non finibile, di estremo pregio e rarità, ottimizzando e migliorando in modo evidente e sostanziale, oltre alla conservazione e alla tutela del materiale, la sua fruizione e la sua valorizzazione, mediante l'inserimento in progetti di digitalizzazione.
  Per quanto riguarda gli organici, si evidenzia che la recente riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, attuata con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 29 agosto 2014, n. 171, fondandosi innanzitutto sull'esigenza di attuare misure di riduzione e revisione della spesa (spending review), ha rideterminato anche le dotazioni organiche del personale di questo Ministero, fissandole in complessive 19.050 unità per il personale appartenente alle aree funzionali. Per avere un utile termine di raffronto, si rammenta che il precedente decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 8 gennaio 1997 (Rideterminazione delle dotazioni organiche delle qualifiche dirigenziali, delle qualifiche funzionali e dei profili professionali del personale del Ministero per i beni culturali e ambientali) — di seguito DPCM 1997 — aveva fissato le dotazioni organiche, per il personale non dirigenziale, in complessive 25.050 unità.
  Con successivo decreto ministeriale 6 agosto 2015, l'amministrazione, sentite anche le organizzazioni sindacali, ha provveduto a ripartire le dotazioni organiche del personale delle aree funzionali tra gli uffici centrali e periferici dell'amministrazione.
  Le dotazioni organiche delle biblioteche sono state definite attraverso un processo metodologico che ha suddiviso gli istituti bibliotecari del ministero secondo macro categorie, considerando, al fine della classificazione, alcuni aspetti peculiari: dimensioni dell'edificio, fondi posseduti, accessibilità al pubblico e numero dei fruitori.
  Per ogni biblioteca si è, quindi, proceduto a calibrare il peso di alcuni profili professionali, in base a delle «variabili influenti», tra cui; le dimensioni dell'edificio, il numero di fondi presenti, il numero di ricerche effettuate in loco e per corrispondenza.
  A causa di una passata programmazione del personale, per alcuni profili professionali in ambito bibliotecario si è creato, nel tempo, un anomalo surplus in specifiche aree territoriali. In particolar modo è stata individuata una forte presenza di personale con la qualifica di funzionario bibliotecario, concentrata in prevalenza nelle regioni del Sud, assegnato, in taluni casi, a strutture periferiche estranee alle attività bibliotecarie.
  Questa anomala situazione ha impedito, in alcuni casi, una più congrua dotazione di personale tra gli istituti che insistono in altre aree geografiche.
  Per la BNCF è stata individuata una dotazione organica pari a 170 unità di personale, così ripartita: n. 38 funzionari bibliotecari, n. 3 funzionari amministrativi, n. 2 funzionari informatici, n. 2 funzionari per le tecnologie, n. 1 funzionario restauratore, n. 42 assistenti alla vigilanza, n. 25 assistenti tecnici, n. 4 assistenti informatici, n. 33 assistenti amministrativi, n. 20 addetti ai servizi ausiliari.
  Dalle 162 unità rilevate effettivamente in servizio a maggio 2015, la Biblioteca passa dunque ad una dotazione di previsione di 170 unità. In particolare aumenta il personale di prima area (5 unità). Nella seconda area si confermano le 42 unità di vigilanza così come i 33 amministrativi, i 4 informatici e i 25 tecnici; per la terza area, aumentano i bibliotecari di una unità e due funzionari delle tecnologie mentre i restanti profili sono confermati.
  L'analisi della pianta organica prevista per la Biblioteca dal DPCM 1997 evidenzia la presenza di profili professionali che, attualizzati, possono ritenersi – in considerazione della loro funzione – non più correnti (ad esempio: le 40 unità del profilo di dattilografo, gli addetti alle attrezzature e alle pulizie). Se si raffronta, quindi, la nuova dotazione con quella prevista dal decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1997, privata dei profili ormai obsoleti, la differenza si riduce notevolmente.
  Occorre, poi, considerare l'impatto che, anche nelle biblioteche, ha avuto l'evoluzione tecnologica, trasformando e riducendo modalità operative e carichi di lavoro.
  Anche per l'impossibilità di disporre di tutto il personale assegnato, a causa dell'effettiva indisponibilità di alcune unità di personale di accoglienza e vigilanza (dovuta ad assenze croniche per malattia e a una difficoltà complessiva di personale particolarmente anziano nello svolgimento delle turnazioni), la Biblioteca ha limitato la distribuzione dei libri al turno mattutino, per tre giorni alla settimana, al fine di garantire l'apertura, per un arco temporale significativo (lunedì-venerdì: 8,15-19; sabato 8,15-13,30), di altri servizi al pubblico essenziali: gestione dell'accesso, del tesseramento, delle sale di consultazione, della sala manoscritti, della sala periodici, del prestito, della movimentazione e della distribuzione del materiale librario e documentario sia dai magazzini librari della sede centrale sia da quelli delle sedi distaccate.
  Nel corso del 2015 un utile apporto è stato fornito dai tirocinanti (10 unità) assegnati per sei mesi, e ancora un importante supporto si avrà grazie all'assegnazione, mediante procedimento in corso, di 40 unità del servizio civile nazionale, che presteranno servizio per un anno nel settore dei servizi al pubblico e nel settore della catalogazione del materiale bibliografico corrente.
  Si segnala, comunque, che il decreto ministeriale 6 agosto 2015 prima citato, col quale sono state ripartite le dotazioni organiche tra gli uffici dell'Amministrazione, prevede una verifica mensile della congruità della ripartizione stessa, con la possibilità di adottare, entro il mese di febbraio 2016, correzioni e modifiche.
  Come è noto, poi, la legge di stabilità 2016 prevede, all'articolo 1, commi 328- 330, la possibilità di reclutare nuovo personale tramite un concorso straordinario per l'assunzione di 500 funzionari dei beni culturali, tra cui anche funzionari bibliotecari.
  Rispetto, invece, alle iniziative per sostenere l'attività della Biblioteca, la legge di bilancio 2015 ha inizialmente assegnato, per il funzionamento della BNCF, solo euro 196.397,00. Questo finanziamento è stato incrementato di euro 491.118,00 dalla legge di assestamento e ulteriori euro 32.000,00 sono stati erogati per rafforzare i servizi della Biblioteca, nell'ambito del Servizio bibliotecario nazionale.
  A queste risorse vanno aggiunti euro 100.000,00 per l'incremento del patrimonio bibliografico, euro 200.000,00 per il progetto «Magazzini digitali», nell'ambito del programma degli utili della società pubblica ARCUS ed euro 100.000,00 per il progetto Google Books.
  In aggiunta a quanto sopra, la Direzione generale bilancio, alla fine del 2014, ha disposto un finanziamento straordinario pari a euro 600.000,00, per far fronte a interventi urgenti e indifferibili (decreto dirigenziale 5 dicembre 2014) e uno ulteriore di euro 500.000,00 (decreto dirigenziale del 3 ottobre 2014), per la messa in sicurezza delle sedi della Biblioteca e la tutela del patrimonio librario.
  Per il 2016, invece, la Biblioteca verrà nuovamente dotata di risorse finanziarie sufficienti a consentire una gestione efficace dell'immobile occupato e dei servizi connessi: nella legge di bilancio 2016, in attuazione dell'articolo 1, comma 349, della legge di stabilità, sono infatti previsti euro 2.981.072 sul capitolo 3609, dedicato al funzionamento della Biblioteca.
  La stessa legge di stabilità prevede (all'articolo 1, comma 318) di stabilizzare e rendere permanente l'agevolazione dell’Art Bonus introdotta dal decreto-legge 31 maggio 2014, n. 83, convertito con modificazioni dalla legge 29 luglio 2014, n. 106.
  Seppure l'effetto attrattivo dell’Art Bonus applicato alle biblioteche sia certamente più debole rispetto alla capacità di richiamo dei più noti monumenti italiani, la BNCF – secondo quanto risulta dal sito web dell'istituto – nel 2014 ha beneficiato di due erogazioni liberali per un importo totale di euro 13.309,00 e, nel primo semestre 2015, di un ulteriore erogazione di euro 7.500,00.
  Si ricorda, inoltre, che con il decreto ministeriale 7 ottobre 2008 alla BNCF è stata riconosciuta una speciale forma di autonomia, con l'obiettivo di conferire ad essa strumenti gestionali utilizzabili anche nell'ottica di una ricerca di forme di finanziamento e di sostegno da parte di enti pubblici e privati.
  Infine, va segnalato che da ultimo il Programma triennale degli interventi di tutela, istituito dalla legge 190 del 2014 e sul quale le commissioni parlamentari hanno già espresso parere favorevole, ha assegnato la somma di 3.550.000 euro nel triennio per interventi di restauro e ristrutturazione della sede BNCF, onde risolvere il problema della carenza di spazi.
  In conclusione, se anche nel passato l'attenzione del Ministero per la Biblioteca nazionale centrale di Firenze non è mai venuta meno, sicuramente le iniziative e gli interventi in itinere potranno consentire a questa illustre istituzione culturale di continuare a svolgere a pieno la sua funzione culturale.
Il Sottosegretario di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoAntimo Cesaro.


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il sistema della raccolta e dello smaltimento dei rifiuti solidi urbani in Calabria sta nuovamente attraversando, dopo la conclusione della gestione commissariale, un periodo di enorme difficoltà che si traduce nel mancato espletamento di questo servizio in quasi tutti i comuni della regione, con gravi disagi per i cittadini ed evidenti ripercussioni sotto il profilo igienico-sanitario ed ambientale;
   a causa delle avverse condizioni meteorologiche che si sono verificate nelle ultime settimane e della fragilità del territorio della regione, prevalentemente sabbioso, è stata differita la riapertura della megadiscarica di Pianopoli;
   la ritardata apertura della discarica sta determinando ingenti problemi ai cittadini che si vedono sovrastati dai rifiuti;
   l'insediamento delle acque piovane all'interno dei rifiuti sta, tra l'altro, dando luogo a quello che si definisce «percolato», un liquido che comincia ad accumularsi sul fondo della discarica solo dopo che i rifiuti, saturi d'acqua, hanno raggiunto un grado di umidità tale per cui ogni ulteriore apporto idrico prosegue il suo moto attraversandoli;
   questo composto, se non opportunamente trattato, può contaminare i terreni circostanti, le falde acquifere e le acque superficiali. Sussiste, altresì, il rischio, tutt'altro che remoto, che venga a determinarsi la destabilizzazione del corpo della discarica con conseguenti probabili collassamenti del terreno, che provocano frane e gravi danni ambientali;
   il caso della discarica di Pianopoli è emblematico perché determina una situazione che ormai sta raggiungendo elevati livelli di gravità;
   la discarica di Pianopoli, nella quale sono in corso continui lavori di manutenzione ordinaria, è l'unica ancora attiva in tutta la regione e risulta ormai essere prossima all'esaurimento;
   sarebbe necessario la creazione di altre discariche e di un complessivo intervento da parte della giunta regionale della Calabria per operare in regime di prevenzione e non, come accade da molti anni, in emergenza –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda porre in essere per affrontare l'emergenza del ciclo dei rifiuti nella regione Calabria e per individuare le giuste soluzioni al problema del superamento dell'attuale fase di emergenza e per favorire un percorso risolutorio di una problematica che diventa, ogni giorno, sempre più grave. (4-03716)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, per quanto di competenza, tenuto conto anche delle competenze acquisite dalla Regione Calabria, si rappresenta quanto segue.
  Il settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Calabria è stato caratterizzato da una gestione commissariale straordinaria dichiarata nel 1997 e durata 15 anni, sino al 31 dicembre 2011.
  Lo stato di emergenza e le azioni compiute dai commissari nel corso degli anni avrebbero dovuto permettere la normalizzazione del settore, anche mediante l'impiego di ingenti risorse finanziarie, nonostante ciò permangono significative criticità.
  Le difficoltà attualmente emergenti nel settore dei rifiuti nella regione Calabria sono da ricondurre principalmente alla mancata realizzazione degli interventi e delle attività previste dalla pianificazione regionale di settore e alla inesistenza, sul territorio regionale, di un sistema efficiente di gestione integrata dei rifiuti urbani comprensivo anche dei necessari impianti di smaltimento.
  Risulta ancora in fase di completamento il sistema tecnologico ed infrastrutturale regionale ed in qualche caso si registra la mancata attivazione/implementazione della raccolta differenziata da parte dei comuni. La percentuale di raccolta differenziata regionale infatti, si attesta intorno al 14,70 per cento (dato ufficiale Ispra 2014).
  Queste condizioni continuano pertanto a determinare uno squilibrio tra la quantità di rifiuti prodotti sul territorio regionale e quelli inviati a trattamento/smaltimento che rende evidente la complessiva insufficienza della capacità di trattamento del sistema tecnologico. Per scongiurare il collasso del sistema il presidente della giunta regionale ha adottato alcune ordinanze con le quali è stato sinora garantito il funzionamento del sistema di gestione. Un'ulteriore valvola di sicurezza nella gestione dei rifiuti potrebbe essere approntata anche mediante il ricorso alla movimentazione transfrontaliera dei rifiuti ed a specifiche intese con altre regioni.
  Sull'argomento si segnala che, il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 all'articolo 35 ha introdotto misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio.
  Al fine di imprimere maggior impulso alle azioni rivolte all'applicazione pratica della gerarchia di cui articolo 179 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il predetto articolo 35 ha disposto l'emanazione di due decreti del Presidente del Consiglio dei ministri che mirano ad offrire nuove logiche sistematiche e uno spunto sulla riorganizzazione del sistema vigente sulla gestione dei rifiuti con particolare riferimento al trattamento:
   della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata in impianti di recupero;
   dei rifiuti urbani e assimilati in impianti di incenerimento.

  Tale disposizione propone, infatti, di effettuare una ricognizione degli impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti e di incenerimento dei rifiuti urbani esistenti o autorizzati e l'eventuale fabbisogno residuo di trattamento per attuare un sistema integrato e adeguato di gestione di tali rifiuti.
  Si evidenzia, in particolare, che l'articolo 35 del citato decreto-legge n. 133 del 2014, ha stabilito al comma 2 che «entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione (...), il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, effettua la ricognizione dell'offerta esistente e individua, con proprio decreto, il fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni (...).
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha pertanto predisposto un primo schema di decreto che è stato sottoposto a marzo del 2014 all'esame della Conferenza Stato-regioni. A seguito delle osservazioni delle regioni lo schema è stato integrato e inviato nuovamente all'esame della Conferenza in data 9 settembre 2015. In tale occasione le regioni hanno richiesto ulteriori modifiche dello schema di decreto che a breve sarà inviato alla Conferenza per un ultimo confronto prima dell'approvazione finale.
  Lo schema di decreto individua il fabbisogno di trattamento di ciascuna regione e mette in relazione tale fabbisogno con la capacità di trattamento esistente in ciascuna regione al fine di evidenziare eventuali carenze di trattamento. Tale decreto è importante perché pone l'attenzione del legislatore nazionale su un tema cruciale e centrale per lo sviluppo dell'economia circolare. La raccolta ed il trattamento della frazione organica dei rifiuti è, infatti, un anello fondamentale del sistema di gestione dei rifiuti urbani senza il quale risulta impossibile il raggiungimento dell'obiettivo di riciclaggio del 50 per cento dei rifiuti urbani e anche di quello di riduzione del conferimento in discarica dei rifiuti biodegradabili. Per quanto riguarda la regione Calabria il decreto ha individuato i seguenti fabbisogni residui.
  La sinergia di tutte queste azioni in parte avviate ed in parte ancora in fase di progetto, consentirà di assicurare la corretta gestione dei rifiuti urbani sul territorio regionale. Tuttavia la completa definizione della attività necessarie a ripristinare equilibrio del sistema regionale di gestione dei rifiuti richiede ancora tempi lunghi per i quali la regione ha presentato un crono programma nel quale ipotizza di poter concludere il transitorio e rientrare al regime ordinario non prima di giugno del 2017.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si fa presente che la questione rifiuti della regione Calabria è attenzionata dalle strutture tecniche del Ministero che continueranno a svolgere un'attività di monitoraggio.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   OLIVERIO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi il maltempo si è, ancora una volta, accanito sulla nostra penisola, colpendo ancora soprattutto le regioni del Sud. In provincia di Vibo Valentia, in particolare nel comune di Fabrizia una violenta grandinata ha danneggiato le abitazioni locali che sono, tra l'altro, rimaste isolate a causa di un blocco totale dell'energia elettrica;
   sono stati duramente colpiti interi campi di fiori, arrivando a distruggere l'intero possibile raccolto estivo;
   si è trattato di un fenomeno dall'effetto devastante. I chicchi di grandine, infatti, sono risultati particolarmente consistenti e di elevata intensità e la pioggia è stata abbondante;
   l'inattesa e violenta calamità atmosferica ha determinato ingenti danni in un settore già alle prese con una crisi generale di cui non si vede ancora la via d'uscita;
   gli agricoltori stanno ora verificando gli importanti danni subiti, nella speranza che qualche coltura sia riuscita a rimanere indenne;
   la popolazione locale, interessata dal grave evento atmosferico, riterrebbe opportuno che venga attivata la procedura per la dichiarazione dello stato di emergenza e la conseguente assegnazione di adeguati mezzi finanziari per intervenire nei territori colpiti a sostegno del reddito degli agricoltori –:
   se il Ministro interrogato, in considerazione della gravità dell'accaduto, ritenga opportuno assumere iniziative per proclamare in tempi rapidi lo stato di calamità naturale nei territori maggiormente colpiti e permettere l'invio di risorse straordinarie per fronteggiare la situazione di emergenza provocata dalla straordinaria grandinata;
   se il Ministro interrogato, al di là della situazione di emergenza, non intenda affrontare i problemi strutturali del settore agricolo calabrese attivandosi per promuovere un tavolo di concertazione che coinvolga tutte le rappresentanze degli operatori del territorio interessato anche in considerazione delle gravi ripercussioni economiche sui comparti agricoli e dei comprensori interessati che già soffrono le conseguenze del difficile periodo di crisi che il nostro Paese sta attraversando. (4-04931)

  Risposta. — Con riguardo alla violenta grandinata che, nel maggio 2014, ha colpito alcuni territori della provincia di Vibo Valentia, in particolare il comune di Fabrizia, provocando disagi al settore agricolo, faccio presente che nessuna richiesta di intervento del fondo di solidarietà nazionale è stata presentata a tutt'oggi da parte della regione Calabria, nei termini e con le modalità prescritte dall'articolo 6, comma 1, del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102.
  Con l'occasione, ricordo che gli interventi previsti dal citato decreto legislativo, per il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per le avversità e le colture danneggiate non comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi le cui polizze sono agevolate da un contributo statale fino all'80 per cento della spesa premi sostenuta (per gli eventi atmosferici accaduti fino al 2014) e fino al 65 per cento per quelli accaduti nel 2015.
  Ricordo tuttavia che, per gli eventi di cui all'articolo 5, comma 1, del decreto-legge 5 maggio 2015, n. 51, convertito, con modificazioni, dalla legge 2 luglio 2015, n. 91, il termine della presentazione della richiesta è stato differito al 29 febbraio 2016, ai sensi dell'articolo 1, comma 454, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 (legge di stabilità 2016).
  Vorrei tuttavia segnalare che gli strumenti ex ante, come quello assicurativo, si sono dimostrati nel corso del tempo nettamente più efficaci rispetto agli interventi compensativi assicurando, infatti, oltre 7 miliardi di euro di produzione lorda vendibile agricola.
  Peraltro, le assicurazioni agevolate sono state inserite tra le misure analizzate dalla Commissione europea per far fronte, a partire dal periodo di programmazione 2014-2020, alle crisi che interessano il settore agricolo. Infatti, sono all'esame mirate azioni volte ad assicurare l'estensione territoriale della misura e a meglio informare le imprese agricole circa la portata e le potenzialità dello strumento assicurativo.
Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   OLIVERIO. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   lo scorso 12 giugno la Gazzetta del Sud ha pubblicato un articolo che riportava l'ormai consueto stato di degrado in cui versa la città di Vibo, invasa dalla sporcizia che accresce a dismisura mettendo a grave rischio l'incolumità della popolazione;
   l'emergenza rifiuti ha prodotto la presenza di enormi quantità di rifiuti in ogni angolo della città;
   gravissima è la situazione che emerge soprattutto in provincia e nella città di Vibo dove il problema rifiuti si sta trasformando in vera e propria emergenza igienico-sanitaria;
   ci sono strade in cui i cumuli hanno invaso l'intero territorio comunale e non vengono più raccolti da giorni;
   nonostante i lavoratori svolgano regolarmente le mansioni loro dedicate per ripulire la città, nonostante il mancato pagamento delle competenze loro spettanti, la responsabilità vada riscontrata nella mancata organizzazione della raccolta dei rifiuti che dovrebbe svilupparsi attraverso la differenziazione, così come avviene in altre località;
   in Calabria si producono circa 2400 tonnellate di rifiuti di queste quasi il 40 per cento viene trattato negli impianti pubblici ancora funzionanti mentre il resto, ormai, fa da triste cornice ad una regione in balia di amministratori che sembrano non rendersi conto della situazione;
   l'obiettivo di razionalizzare la spesa non può scaricarsi come un'ulteriore tegola sulle già critiche condizioni igienico-sanitarie della città di Vibo Valentia con pesanti conseguenze per la salute degli anziani e dei bambini che risultano essere i più esposti ai pericoli igienico-sanitarie;
   un'emergenza ambientale caratterizzata dal fatto che i rifiuti urbani smaltiti in discarica si sono ridotti del 11,7 per cento;
   davanti a questo cupo scenario è necessario uno sforzo di tutti, al di là di contrapposizioni e diversificazioni politiche, affinché il tema dei rifiuti in Calabria venga immediatamente affrontato. Ma è necessario che si muova con estrema urgenza la Regione Calabria, che in questo settore evidenzia il fallimento più grave –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza di quanto descritto in premessa e quali iniziative intendano promuovere, negli ambiti di rispettiva competenza, per la difesa dell'ambiente e della salute dei cittadini. (4-05255)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, per quanto di competenza, tenuto conto anche delle informazioni acquisite dalla regione Calabria, si rappresenta quanto segue.
  Il settore dello smaltimento dei rifiuti nella regione Calabria è stato caratterizzato da una gestione commissariale straordinaria dichiarata nel 1997 e durata 15 anni, sino al 31 dicembre 2011.
  Lo stato di emergenza e le azioni compiute dai commissari nel corso degli anni avrebbero dovuto permettere la normalizzazione del settore, anche mediante l'impiego di ingenti risorse finanziarie, nonostante ciò permangono significative criticità.
  Le difficoltà attualmente emergenti nel settore dei rifiuti nella regione Calabria sono da ricondurre principalmente alla mancata realizzazione degli interventi e delle attività previste dalla pianificazione regionale di settore e alla inesistenza, sul territorio regionale, di un sistema efficiente di gestione integrata dei rifiuti urbani comprensivo anche dei necessari impianti di smaltimento.
  Risulta ancora in fase di completamento il sistema tecnologico ed infrastrutturale regionale ed in qualche caso si registra la mancata attivazione/implementazione della raccolta differenziata da parte dei comuni. La percentuale di raccolta differenziata regionale infatti, si attesta intorno al 14,70 per cento (dato ufficiale Ispra 2014).
  Queste condizioni continuano pertanto a determinare uno squilibrio tra la quantità di rifiuti prodotti sul territorio regionale e quelli inviati a trattamento/smaltimento che rende evidente la complessiva insufficienza della capacità di trattamento del sistema tecnologico. Per scongiurare il collasso del sistema il presidente della Giunta regionale ha adottato alcune ordinanze con le quali è stato sinora garantito il funzionamento del sistema di gestione. Un'ulteriore valvola di sicurezza nella gestione dei rifiuti potrebbe essere approntata anche mediante il ricorso alla movimentazione transfrontaliera dei rifiuti ed a specifiche intese con altre regioni.
  Sull'argomento si segnala che, il decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164 all'articolo 35 ha introdotto misure urgenti per la realizzazione su scala nazionale di un sistema adeguato e integrato di gestione dei rifiuti urbani e per conseguire gli obiettivi di raccolta differenziata e di riciclaggio.
  Al fine di imprimere maggior impulso alle azioni rivolte all'applicazione pratica della gerarchia di cui articolo 179 del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, il predetto articolo 35 ha disposto l'emanazione di due decreti del presidente del Consiglio dei ministri che mirano ad offrire nuove logiche sistematiche e uno spunto sulla riorganizzazione del sistema vigente sulla gestione dei rifiuti con particolare riferimento al trattamento:
   della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata in impianti di recupero;
   dei rifiuti urbani e assimilati in impianti di incenerimento.

  Tale disposizione propone, infatti, di effettuare una ricognizione degli impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti e di incenerimento dei rifiuti urbani esistenti o autorizzati e l'eventuale fabbisogno residuo di trattamento per attuare un sistema integrato e adeguato di gestione di tali rifiuti.
  Si evidenzia, in particolare, che l'articolo 35 del citato, decreto-legge n. 133 del 2014, ha stabilito al comma 2 che «entro centottanta giorni dall'entrata in vigore della legge di conversione (...), il Presidente del Consiglio dei ministri, su proposta del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, effettua la ricognizione dell'offerta esistente e individua, con proprio decreto, il fabbisogno residuo di impianti di recupero della frazione organica dei rifiuti urbani raccolta in maniera differenziata, articolato per regioni (...)».
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha pertanto predisposto un primo schema di decreto che è stato sottoposto a marzo del 2014 all'esame della Conferenza Stato-regioni. A seguito delle osservazioni delle regioni lo schema è stato integrato e inviato nuovamente all'esame della Conferenza in data 9 settembre 2015. In tale occasione le Ragioni hanno richiesto ulteriori modifiche dello schema di decreto che sarà a breve inviato alla Conferenza per un ultimo confronto prima dell'approvazione finale.
  Lo schema di decreto individua il fabbisogno di trattamento di ciascuna regione e mette in relazione tale fabbisogno con la capacità di trattamento esistente in ciascuna regione al fine di evidenziare eventuali carenze di trattamento. Tale decreto è importante perché pone l'attenzione del legislatore nazionale su un tema cruciale e centrale per lo sviluppo dell'economia circolare. La raccolta ed il trattamento della frazione organica dei rifiuti è, infatti, un anello fondamentale del sistema di gestione dei rifiuti urbani senza il quale risulta impossibile il raggiungimento dell'obiettivo di riciclaggio del 50 per cento dei rifiuti urbani e anche di quello di riduzione del conferimento in discarica dei rifiuti biodegradabili. Per quanto riguarda la regione Calabria il decreto ha individuato i seguenti fabbisogni residui.
  La sinergia di tutte queste azioni in parte avviate ed in parte ancora in fase di progetto, consentirà di assicurare la corretta gestione dei rifiuti urbani sul territorio regionale. Tuttavia la completa definizione della attività necessarie a ripristinare l'equilibrio del sistema regionale di gestione dei rifiuti richiede ancora tempi lunghi per i quali la regione ha presentato un crono programma nel quale ipotizza di poter concludere il transitorio e rientrare al regime ordinario non prima di giugno del 2017.
  Inoltre, con riferimento alla situazione emergenziale verificatesi nel giugno 2014 nella città di Vibo Valentia, sulla base delle informazioni acquisite dagli enti territorialmente competenti, emerge una certa divergenza fra le parti nella gestione dell'accaduto.
  Ad ogni modo, per quanto di competenza, si fa presente che la questione rifiuti della regione Calabria è attenzionata dalle strutture tecniche del Ministero che continueranno a svolgere un'attività di monitoraggio.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PALAZZOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   da un articolo pubblicato sul quotidiano online «loraquotidiano.it» il 22 ottobre 2014, si apprende che l'amministratore delegato di Onda Energia avrebbe rinunciato all'affidamento della gestione del servizio idrico integrato nei 52 comuni della provincia di Palermo per la quale l'azienda siracusana si era fatta avanti nel mese di febbraio 2014;
   nonostante l'affidamento definitivo della gestione delle reti e la sigla in Confindustria del verbale per il trasferimento dei lavoratori, nonostante gli oltre 150 mila euro di spese sostenute e la fideiussione versata per partecipare all'iniziale manifestazione pubblica di interesse e nonostante fosse già stata creata una società di scopo, Onda Idrica spa, con tanto di organico definito, l'azienda avrebbe deciso di rinunciare a seguito dello verifica sul pessimo stato in cui versano le reti idriche e i depuratori nella provincia di Palermo. A titolo di esempio, viene citato il comune di Villafrati (Palermo) in cui viene distribuita acqua non potabile e quelli di Termini Imerese (Palermo), Blufi (Palermo), Campofiorito (Palermo) e Santa Flavia (Palermo) che scaricano a mare o, comunque, lungo corsi d'acqua;
   secondo Luigi Martines, amministratore delegato di Onda Energia, le ragioni che lo hanno portato a desistere sarebbero state: il pessimo stato delle reti, il fatto che molti degli impianti verificati sarebbero fuori norma e in precario stato di conservazione, che tutti gli impianti di depurazione risulterebbero costruiti non conformemente al decreto legislativo 152 del 2006; ad eccezione dell'impianto di Balestrate (Palermo), e che l'acqua spesso non risulta – conforme ai parametri microbiologici di legge;
   la gestione del servizio idrico integrato in provincia di Palermo era stata affidata con ordinanza del prefetto ad «Acque potabili siciliane», che occupa oltre 200 dipendenti e oggi rischia il fallimento. L'ordinanza scadrà il prossimo 31 Ottobre e non risulta che il prefetto non abbia intenzione di concedere una proroga;
   la gestione del servizio idrico vive una fase di emergenza che sta provocando una serie di gravi disservizi. Questa emergenza dura da quasi 3 anni, con 2 anni di amministrazione straordinaria, 4 mesi di amministrazione fallimentare e altri 8 mesi di gestione di emergenza da parte dell'Ato idrico su ordinanza prefettizia;
   inoltre ad Acque potabili siciliane, al momento della sua costituzione fu finanziato dalla Unione europea, per quasi 21 milioni di euro, il progetto «Conoscenza» che serviva proprio a fare una ricognizione dello stato attuale delle infrastrutture attraverso sopralluoghi negli impianti;
   sarebbe quindi opportuno capire che fine hanno fatto questi fondi dal momento che le reti sono un colabrodo e non si contano le perdite di acqua. Al 31 dicembre 2011, risulterebbe infatti che l'importo per lo svolgimento delle attività avviate nell'ambito del progetto «Conoscenza» era di oltre 1 milione 350 mila euro, di cui quasi 635 mila fatturati dai soci tra il 2008 e il 2010 ed il resto stanziati;
   le organizzazioni sindacali dei chimici di Cgil, Cisl, Uil, Ugl e Cisal hanno presentato un esposto alla Corte dei Conti e alla procura di Palermo per far luce sulla vicenda;
   inoltre, con sentenza C 85/13 del 10 aprile 2014, la Corte di giustizia dell'Unione europea, sezione 10o, ha condannato l'Italia inadempiente circa l'inquinamento idrico e il trattamento delle acque reflue urbane per alcuni comuni. L'Italia infatti è venuta meno agli obblighi della direttiva 91/271/CEE del Consiglio, del 21 maggio 1991, concernente il trattamento delle acquea reflue urbane, come modificata dal regolamento n. 1137/2008. La direttiva, in sostanza, prevede che le acque di scarico prima di confluire nelle reti fognarie, debbono essere sottoposte a trattamento che rispetti l'ambiente e le prescrizioni di legge;
   dalla settima relazione, depositata in data 7 agosto 2013, redatta dalla commissione e presentata al Parlamento europeo, al Consiglio, al comitato economico e sociale europeo e al comitato delle regioni sull'attuazione della direttiva concernente il trattamento delle acque reflue urbane si evince che in Italia 475 centri urbani piccoli/grandi risultavano non in regola con la direttiva al momento dell'avvio del procedimento di infrazione nel 1998; ad oggi ancora 110 di essi si trovano in una situazione di non conformità;
   a seguito della condanna in sede europea in data 19 luglio 2012 e relativa ai centri urbani con più di 15mila abitanti per la mancanza di un trattamento secondario delle acque reflue, si prospetta per l'Italia, a partire dal 1° gennaio 2016, una sanzione da un minimo di 11.904 euro a un massimo di 714.240 euro, per ogni giorno di ritardo nell'adeguamento dei sistemi di raccolta e trattamento degli scarichi;
   in Sicilia i comuni interessati dalla sentenza del 10 aprile 2014, già richiamata, sono quelli di Castellammare del Golfo (Trapani), Cinisi (Palermo), Partinico (Palermo), Terrasini (Palermo) e Trappeto (Palermo) in cui le acque reflue urbane che confluiscono in reti fognarie non sono sottoposte, prima dello scarico, ad un trattamento più spinto di un trattamento secondario o equivalente. Inoltre, sempre relativamente ai suddetti comuni, la sentenza stabilisce l'inadempienza relativamente agli obblighi volti a garantire che la progettazione, la costruzione, la gestione e la manutenzione degli impianti di trattamento delle acque reflue urbane realizzati per ottemperare ai requisiti fissati dagli articoli da 4 a 7 della direttiva 91/271 siano condotte in modo da garantire prestazioni sufficienti nelle normali condizioni climatiche locali e che la progettazione degli impianti tenga conto delle variazioni stagionali di carico;
   già con sentenza 19 luglio 2012, causa C-545/10, la Corte di giustizia europea aveva stabilito la violazione da parte dell'Italia delle norme dell'Unione europea sulla raccolta, trattamento e scarico delle acque reflue urbane non rispettando i tempi stabiliti per la loro applicazione. I giudici comunitari diedero quindi ragione alla Commissione europea che nel 2009 avviò una procedura d'infrazione contro l'Italia per il mancato rispetto delle norme dell'Unione europea e per quanto riguarda la Sicilia, relativamente ai sistemi di depurazione di: Misterbianco, Paternò, Aci Catena, Adrano, Catania, Giarre-Mascali-Riposto, Caltagirone, Aci Castello, Acireale, Belpasso, Biancavilla, Gravina di Catania, Tremestieri Etneo, San Giovanni La Punta, Caltanissetta-San Cataldo, Macchitella, Niscemi, Agrigento, Favara, Palma di Montechiaro, Porto Empedocle, Sciacca, Cefalù, Carini e ASI Palermo, Palermo, Santa Flavia, Augusta, Avola, Priolo Gargallo, Carlentini, Ragusa, Marina di Ragusa, Santa Croce Camerina, Vittoria, Scoglitti, Favignana, Marsala, Partanna 1 (Villa Ruggero), Capo d'Orlando, Giardini Naxos, Consortile Letojanni, Pace del Mela, Piraino, Roccalumera, Consortile Sant'Agata Militello, Consortile Torregrotta, Messina 1, Messina e Messina 6;
   per affrontare e risolvere la questione alla Sicilia sono stati assegnati 1.161 milioni di euro messi a disposizione dal fondo sviluppo e coesione per realizzare fogne e depuratori nell'isola. Ad oggi, però, il numero di progetti cantiere è di appena 14 su 94;
   tutto ciò dimostra come la salute e la sicurezza dei cittadini sia messa in grave pericolo dall'incuria e dall'incapacità da parte di quei soggetti che invece dovrebbero garantirne la tutela, attraverso una distribuzione capillare di acqua potabile e un corretto smaltimento di quelle reflue, eliminando gli sprechi e riducendo l'inquinamento del mare e dei corsi d'acqua –:
   se si intenda, inviare un'ispezione del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente, in merito alla situazione descritta in premessa, presso i depuratori presenti nei 52 comuni della provincia di Palermo interessati, per accertarne i reali guasti e malfunzionamenti;
   se e con quali iniziative i Ministri intendano intervenire per evitare che l'Italia sia costretta a pagare le sanzioni previste dall'Unione europea adeguando i sistemi di raccolta e il trattamento degli scarichi alle normative in vigore, con particolare riguardo alla regione Sicilia.
(4-06657)

  Risposta. — In risposta all'interrogazione in esame, per quanto di competenza, si rappresenta quanto segue.
  In Sicilia l'assetto organizzativo e funzionale del servizio idrico integrato, avviato a livello nazionale con la legge n. 36 del 1994 (cosiddetta Legge Galli), non ha ancora trovato piena e completa attuazione. Molte delle gestioni esistenti sono in economia, altre realtà vedono il servizio idrico integrato gestito da società in house di proprietà di singoli comuni. Vista la relazione al Parlamento (marzo 2015) dell'Autorità per l'energia elettrica, il gas ed il settore idrico nella relazione annuale al Parlamento (marzo 2015), risulta che nell'ambito territoriale ottimale di Palermo, che comprende 82 comuni (come da delimitazione stabilita dalla legge regionale siciliana 9 gennaio 2013 n. 2), non si è provveduto all'affidamento del servizio idrico ad un gestore unico, contrariamente alle disposizioni della parte terza del decreto legislativo n. 152 del 2006, così come modificate dal decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto sblocca Italia).
  Ad oggi risulta che il maggior gestore del servizio idrico integrato è Amap Spa, azienda speciale del comune di Palermo, subentrata ad Aps (acque potabili siciliane) dichiarata fallita. La gestione, che dovrebbe cessare al 31 dicembre 2016, avviene tramite affitto del ramo di azienda dalla curatela fallimentare e interessa 35 comuni. Tale situazione è il risultato della collaborazione istituzionale fra i sindaci dei comuni interessati ma non può ritenersi conforme alle norme nazionali di settore che prevedono un affidamento da parte dell'ente di Governo d'ambito ad un soggetto gestore unico, l'approntamento del piano d'ambito che rappresenta l'oggetto dell'affidamento e contiene la ricognizione delle infrastrutture, il programma degli interventi, il modello gestionale ed organizzativo e il piano economico finanziario. L'assetto del servizio idrico così come disciplinato a livello nazionale deve garantire l'efficienza, l'efficacia e l'economicità della gestione attraverso la tariffa che, nel generare flussi finanziari, deve garantire la sostenibilità della gestione e la realizzabilità degli investimenti.
  Con l'entrata in vigore del decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto sblocca Italia), il legislatore, consapevole della necessità di dare piena ed efficace attuazione al riordino del settore, ha:
   previsto il riassetto del servizio idrico integrato (Sii) per superare le criticità organizzative, gestionali ed infrastrutturali ancora presenti e dare impulso alla realizzazione degli interventi necessari a superare le infrazioni comunitarie in materia di acque;
   disciplinato tempi e modi per il riordino del Sii;
   supportato il dovere di provvedere tempestivamente alla riorganizzazione del settore tramite nuove previsioni, contenenti anche l'introduzione di casi di responsabilità amministrativo-contabile per danno erariale in ragione del comportamento omissivo nonché l'attribuzione di poteri sostitutivi, sia straordinari che ordinari, agli organi politici, statali e regionali, a fronte dell'inerzia delle amministrazioni competenti.

  Il processo in corso mira ad assicurare una governance del Sii in grado di provvedere prontamente ed efficacemente alla pianificazione, alla programmazione, alla scelta del modello gestionale ed all'affidamento del servizio, nonché ad esercitare adeguatamente il controllo e la vigilanza sulle gestioni e garantirne la trasparenza. Funzioni queste che spettano agli enti locali che le devono esercitare in forma aggregata attraverso l'ente di Governo d'ambito che le singole regioni devono provvedere ad individuare.
  Peraltro, il settore del servizio idrico integrato richiede un'elevata necessità di interventi strutturali nei prossimi anni. Sono infatti diffuse nel Paese situazioni di inadeguatezza ed inefficienza del sistema idrico, specialmente nel comparto della fognatura e della depurazione delle acque reflue urbane, e la Sicilia è una delle regioni che presenta maggiori criticità. Tale deficit funzionale e strutturale ha determinato l'avvio di vari contenziosi comunitari per la non conformità dei sistemi di raccolta e trattamento delle acque reflue urbane ai requisiti della direttiva 91/271/CEE a carico di oltre mille agglomerati. In Sicilia ci sono 237 agglomerati di cui 57 interessati dalla causa C 565/10, sentenza di condanna emessa il 19 luglio 2012; 5 interessati dalla causa C 85/13 sentenza di condanna emessa il 10 aprile 2014; 175 in procedura d'infrazione 2014/2059, lettera di messa in mora complementare marzo 2014. Tra gli agglomerati interessati da contenzioso comunitario figura anche la città di Palermo (causa C 565/10). Per l'adeguamento del sistema fognario e depurativo sono previsti 13 interventi che hanno avuto il finanziamento quasi totale con la delibera Cipe 60 del 2012 per un costo complessivo di circa 130 milioni di euro. Dieci di questi interventi sono interessati da provvedimento di Commissariamento emesso ai sensi dell'articolo 7 comma 7 del decreto-legge n. 133 del 2014 al fine di accelerarne la loro realizzazione e consentire in tal modo il superamento del contenzioso in atto.
  Sono stati inoltre commissariati gli interventi per i sistemi di depurazione che interessano i comuni di Misterbianco, Adrano, Giarre-Mascali-Riposto, Caltagirone, Acireale, Macchitella, Agrigento, Favara, Cefalù, Santa Flavia, Augusta, Carlentini, Ragusa, Vittoria, Scoglitti, Consortile Sant'Agata Militello, Consortile Torregrotta, Messina 1, Messina e Messina 6.
  L'attuazione del servizio idrico integrato e la realizzazione degli interventi di depurazione sono strettamente interconnessi tra loro, essendo la depurazione segmento costituente fondamentale del servizio idrico integrato. Ecco perché è importante ed essenziale giungere all'affidamento ad un gestore unico, che sia in grado di erogare un servizio efficiente, efficace ed economico oltre che attuare politiche efficienti di tariffazione che dovrebbero assicurare l'equilibrio economico e finanziario della gestione e, conseguentemente, garantire un'adeguata allocazione di risorse finanziarie idonee a colmare il deficit infrastrutturale con particolare riferimento al settore fognario e depurativo anche alla luce delle procedure di infrazione in corso ed al fine di evitare l'ulteriore apertura di nuove.
  Il 23 dicembre 2014 il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato un'istruttoria, che ha interessato tutte le regioni, mirata alla verifica degli adempimenti di legge per la messa a regime del servizio idrico integrato. Dall'esito dell'istruttoria è emerso che in Sicilia le ex autorità d'ambito (soppresse dal comma 186-bis all'articolo 2 della legge 23 dicembre 2009, n. 191), risultano commissariate. Pertanto, con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 14 maggio 2015, adottato ai sensi dell'articolo 147 del decreto legislativo n. 152 del 2006 e dell'articolo 3-bis del decreto-legge n. 138 del 2011, la regione Siciliana è stata diffidata a provvedere all'identificazione dell'ente di Governo d'ambito. La regione, ai fini del riordino del Servizio idrico integrato, ha emanato la legge regionale n. 19 dell'11 agosto 2015 recante «Disciplina in materia di risorse idriche». Il Consiglio dei ministri, nella seduta del 20 ottobre 2015 n. 88, ne ha deliberato l'impugnativa innanzi alla Corte costituzionale in quanto numerose disposizioni contrastano con le norme statali di riforma economico sociale in materia di tutela della concorrenza e di tutela dell'ambiente. Tuttavia, il Consiglio dei ministri ha deciso che, in caso di approvazione di una nuova normativa da parte dell'Assemblea regionale siciliana che riveda completamente il testo, il Governo potrà valutare l'opportunità di riesaminare il ricorso.
  Va ricordato e sottolineato che il servizio idrico integrato è un servizio pubblico di rilevanza economica, come qualificato anche dalla Corte costituzionale nella sentenza 325 del 2010 (definito, a livello comunitario, Servizio di interesse economico generale SIEG, articoli 14 e 106 del Trattato sul funzionamento dell'Unione europea) e, pertanto, secondo le prescrizioni del diritto europeo e nazionale, deve essere assoggettato alle regole della concorrenza, oltre che del principio della tutela ambientale e della copertura dei costi (sentenze Corte costituzionale n. 307 del 2009 e n. 272 del 2004).
  L'obiettivo del Ministero è quello di spingere verso l'attuazione a regime del servizio idrico integrato, anche facendo leva sulle disposizioni dello Sblocca Italia che hanno posto al centro delle politiche di governo la corretta gestione del servizio in capo al gestore unico d'ambito a cui occorre addivenire il più rapidamente possibile, superando un'ormai insostenibile frammentazione che equivale a carenze infrastrutturali, dispendio eccessivo e fuori controllo di risorse, pianificazione non aggiornata, tariffazione non coerente con la regolazione nazionale.
  In parallelo, sempre in coerenza con le disposizioni dello sblocca Italia, al fine di accelerare la progettazione e la realizzazione degli interventi necessari all'adeguamento dei sistemi di fognatura e depurazione soprattutto laddove esistono le condanne della Corte di giustizia e procedure di infrazione in corso, il Ministero ha esercitato i poteri sostitutivi di cui dispone ai sensi dell'articolo 7 comma 7 del sopra richiamato sblocca Italia.
  Alla luce delle informazioni esposte, ed al fine di individuare e sollecitare ogni possibile modalità di messa in sicurezza del sito in parola, questo dicastero si adopererà per approfondire la conoscenza della situazione, anche attraverso l'eventuale coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PARENTELA e NESCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il 14 novembre 1998 il comune di Corigliano (Cosenza) rilascia un certificato di collaudo per uso discarica relativo a 4,1 ettari di terreno sito in C.da Cotrica. Con tale documento si certificava «l'avvenuta esecuzione dei lavori di adeguamento di discarica realizzati a regola d'arte»;
   con ordinanza del Commissario all'emergenza ambientale n. 327 del 25 novembre 1998 veniva autorizzata la messa in esercizio della discarica in Cotrica;
   in contrada Cotrica è presente una zona agricola soggetta in passato ad uso discarica rifiuti solidi urbani. Tre, difatti, risultano i siti impegnati come discariche, attivate in periodi storici differenti, per circa otto ettari di terreno dove sono state sversate centinaia di migliaia di mc di rifiuti, classificabili quali rifiuti solidi urbani (RSU), abbancati certamente nell'arco di oltre un quarto di secolo;
   prima del 1998 vi erano, di fatti, altre 2 discariche che insistevano in sito, così identificate: 1. discarica dichiarata bonificata, superficie areale di 2.3 ettari e massa di rifiuti solidi urbani stoccata, pari a circa 90.000-120.000 mc; 2. discarica più antica, superficie areale di 2.0 ha e massa di rifiuti solidi urbani stoccata pari a circa 20.000-30.000 mc. La discarica di cui al punto 1, (dichiarata bonificata) si trova a diretto contatto con la discarica autorizzata nel 1998, con la differenza che quest'ultima oggi è dotata di un telo impermeabilizzante in HDPE, mentre la discarica di cui al punto 1 è ricoperta di un manto terroso del tutto permeabile;
   con ordinanza commissariale n. 1618 del 9 novembre 2001 veniva altresì autorizzato il confinamento della frazione secca e dei sovvalli provenienti dall'impianto di trattamento RSU, sito in località Bucita, presso la discarica di Corigliano;
   nell'estate del 2003 la discarica non è più idonea ad abbancare altro rifiuto;
   in data 11 novembre 2003, dopo sopralluoghi effettuati in data 7 novembre 2003 e 10 novembre 2003 dai funzionari dell'ufficio del commissario delegato, viene accertato lo stato disastroso del sito di Cotrica. Il commissario delegato all'emergenza ambientale, ritenuto che siano venute meno le condizioni igienico-sanitarie, dispone la chiusura della discarica e la sua messa in sicurezza;
   il 5 dicembre 2003 il dirigente del settore tecnico manutentivo del comune di Corigliano, con prot. n. 40189 comunicava al sindaco, all'assessore all'ambiente, al segretario generale e all'assessore alle finanze la necessità di avviare il procedimento come da protocollo di legge (D.lgs n. 36/2003) che prevedeva la stesura di tre piani finalizzati alla messa in sicurezza del sito;
   il 27 gennaio 2004, con delibera di giunta municipale n. 34, veniva assegnato alla Marcopolo enviromental group l'incarico per la realizzazione di una serie di operazioni «al fine di ottenere strumenti e conoscenze per poter mettere il Comune nella possibilità di intervenire nella messa in sicurezza»;
   il 17 febbraio 2004, con protocollo n. 5924, la Marcopolo enviromental group redige una «Relazione sull'individuazione degli interventi inderogabili e immediati da adottare», nella quale individua dei possibili elementi di criticità nella gestione post mortem della discarica, tra i quali l'importante produzione di percolato;
   in data 1° luglio 2004 con determina n. 366 la Marcopolo si aggiudica definitivamente la gara d'appalto e il 15 febbraio 2005 firma il contratto d'appalto con il comune di Corigliano. La Marcopolo s'impegna a gestire, trattare e controllare oltre che a bonificare il sito in questione, compreso lo smaltimento del percolato;
   il 3 agosto del 2007 nella tenuta Conferenza dei servizi, che vede presenti il Commissario delegato per l'emergenza ambientale della regione Calabria; la regione Calabria; la provincia di Cosenza; il comune di Corigliano Calabro, il dipartimento provinciale di Cosenza dell'ARPACAL si ravvisano gravi elementi di urgenza e di pericolo per la salute pubblica, tali da rendere necessaria l'emanazione dell'ordinanza contingibile ed urgente n. 258, del 24 agosto 2007 in cui s'intimavano la non coltivazione e la non irrigazione dei terreni limitrofi;
   nella conferenza dei servizi si rileva che a seguito di rilievi e prove fatte in sito, viene accertata la presenza di circa 10 metri lineari di profondità di spazzatura, sotto una copertura di circa 2 metri di terriccio;
   nella già citata conferenza dei servizi del 3 agosto 2007 si constata che il percolato era prodotto da irrigazioni di colture e da acque meteoriche che si infiltravano nei terreni adiacenti provenienti dall'area cosiddetta bonificata;
   il 13 giugno 2008 il commissario del comune di Corigliano sottoscrive un accordo integrativo relativo al contratto del 15 febbraio 2005 già stipulato con la Marcopolo. Con l'accordo suddetto il comune, preso atto «dell'anomala produzione di percolato che determinava una più ridotta produzione di energia elettrica», riconosceva alla Marcopolo «la somma di euro 379.303,00 per le spese sopportate per l'allontanamento del percolato prodotto dalla discarica di Cotrica fino al 31 marzo 2008», impegnandosi altresì «a corrispondere a piè di lista tutte le spese ulteriori che dovranno sostenersi per il prelievo del percolato fino al termine del contratto sottoscritto in data 15 febbraio 2005»;
   in data 30 agosto 2008 la Marcopolo emette fattura n. 631 che il comune non salderà giustificando tale inadempienza con motivazioni di ordine finanziario;
   il 6 ottobre 2008 la Marcopolo, con prot. n. 39291, minaccia la risoluzione del contratto come previsto dall'accordo integrativo in caso di mancato pagamento;
   il 24 aprile 2010 la Marcopolo comunica l'apertura di una procedura di arbitrato al fine di vedere riconosciuti i propri diritti del lavoro fin lì svolto ed un risarcimento dei danni arrecati dall'amministrazione comunale di Corigliano, oltre le spese sostenute;
   in data 26 aprile 2012 il collegio arbitrale pone a carico del comune di Corigliano il pagamento delle seguenti somme: euro 379.303,00 per lo smaltimento del percolato in eccesso fino al 13 marzo 2008; euro 502.429,08 per lo smaltimento del liquame fino al dicembre 2011; euro 163.973,26 per i canoni, come da contratto, spettanti fino al dicembre 2011;
   a parere degli interroganti, lo stato dei luoghi rivela una mancata attenzione e l'assenza degli strumenti e delle precauzioni essenziali che la legge intima quali necessari onde evitare un disastro ambientale. Come se tutto ciò non bastasse, tutte le operazioni realizzate dopo l'interdizione definitiva data dal commissario all'emergenza ambientale, non hanno prodotto nulla di risolutivo per la messa in sicurezza del sito dove attualmente il percolato sgorga a cielo aperto infiltrandosi nelle falde acquifere, nel torrente Boglianareto e di conseguenza in mare –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se non intenda chiedere un accertamento da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente sullo stato dei luoghi. (4-06543)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, relativa alla discarica di Cotrica nel comune di Corigliano Calabro (CS), si rappresenta quanto segue.
  A seguito dell'attivazione della procedura di bonifica, degli esiti analitici che hanno portato a dichiarare il sito potenzialmente contaminato e a seguito dell'individuazione della titolarità dei terreni interessati dai superamenti delle concentrazioni soglia di contaminazione, il comune di Corigliano ha invitato il signor Russo Giuseppe e la Marcopolo engineering Spa «ad adottare tutte le misure che la vigente disciplina normativa pongono a carico dei responsabili dell'inquinamento».
  La Marcopolo engineering Spa ha declinato ogni responsabilità in merito alla contaminazione, ritenendo che il comune di Corigliano Calabro, non avendo individuato il responsabile dell'inquinamento, avrebbe dovuto attivarsi per porre in essere gli interventi di messa in sicurezza definitiva.
  Infatti, né il comune, secondo il quale la contaminazione della discarica è dovuta a «cause permanenti o strutturali» riguardanti l'isolamento del corpo della discarica e le modalità di copertura dei rifiuti solidi urbani, e a «cause contingenti» dovute ad infiltrazioni delle acque meteoriche, né la provincia di Cosenza, nonostante le indagini eseguite, sono riuscite ad individuare il responsabile dell'inquinamento.
  Di talché, il comune di Corigliano Calabro ha chiesto alla regione di «porre in essere direttamente le procedure e gli interventi di cui all'articolo 242 del citato decreto, includendo la bonifica della discarica comunale sita in località Cotrica nel piano regionale per la bonifica delle aree inquinate».
  La regione Calabria ha rappresentato che la discarica in località Cotrica è stata inserita nel piano regionale delle bonifiche 2007, tuttora vigente, in modo da potere usufruire di finanziamenti pubblici per la bonifica ed ha segnalato che già nel 2008 era stato predisposto un piano di caratterizzazione approvato con Ordinanza del commissario delegato (Ocd) all'emergenza rifiuti n. 6455 del 10 gennaio 2008, per il quale è stato richiesto un opportuno adeguamento nel rispetto delle prescrizioni indicate nella suddetta ordinanza commissariale.
  Infine, la regione ha evidenziato che nonostante abbia più volte richiesto la documentazione comprovante le spese di gestione
post mortem della discarica, derivanti da trasferimenti dall'ufficio del commissario delegato all'emergenza rifiuti in Calabria, ha ricevuto solo informazioni generiche sull'utilizzo di detti fondi, in quanto impiegati da parte del gestore della discarica in interventi di messa in sicurezza non afferenti alla gestione post mortem della discarica.
  Alla luce delle informazioni esposte, ed al fine di individuare e sollecitare ogni possibile modalità di messa in sicurezza del sito in parola, questo dicastero si adopererà per approfondire la conoscenza della situazione, anche attraverso l'eventuale coinvolgimento di tutti i soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PARENTELA. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'ondata di maltempo che si è abbattuta sulla provincia di Reggio Calabria dal 30 ottobre al 2 novembre 2015 ha generato danni alle colture, alle strutture agricole, alle sistemazioni agrarie (terrazzamenti, muri di contenimento, canali di scolo) alla viabilità interpoderale e poderale, con esondazioni di fiumi e torrenti e conseguente allagamento delle campagne, compromettendo, inoltre, le principali vie di accesso ai centri abitati. Tutto il territorio provinciale è stato interessato, ma l'evento eccezionale si è manifestato con maggiore incidenza e violenza nella fascia jonica della provincia;
   dalla prima ricognizione, quindi non definitiva, si segnalano i seguenti danni alle produzioni agricole:
    bergamotto: 150 ettari risultano danneggiati in modo quasi irreversibile, prevalentemente nei comuni di Brancaleone, Bruzzano Zeffirio, Bianco, Africo, Ferruzzano;
    ortaggi in pieno campo: 40 ettari risultano danneggiati nei comuni di Bruzzano Zeffirio, Palizzi, Africo, Ferruzzano;
   serre fisse: 12 ettari sono interessati con danni parziali alle strutture e totali alle colture in atto, nei comuni di Bruzzano Zeffirio, Africo, Ferruzzano;
    olivicoltura: in campagna olivicola in corso, tutte le aziende sono interessate da problemi di viabilità poderale e interpoderale, e quindi perdita di prodotto sia per cascola che difficoltà nella raccolta, con maggior rilevanza nel basso Jonio Reggino e Locride;
    agrumicoltura: vi sono allagamenti in centinaia di ettari in tutto il territorio, in decine di ettari nella fascia jonica da Palizzi a Monasterace dovuti anche all'esondazione dei torrenti;
    zootecnia: nei comuni aspromontani, nel Basso Jonio e Locride, vi registrano difficoltà provocate dalla distruzione delle strade interne, impossibilità di raggiungere l'azienda con i mezzi rotabili per molti allevatori e quindi conseguenze sulla vendita dei prodotti lattiero-caseari;
   la Coldiretti Calabria ha stimato danni all'agricoltura per circa 27 milioni di euro (12 milioni alla produzione, 15 milioni alle strutture) ed è solo un primo bilancio stimato per difetto a pochi giorni dai tragici eventi;
   un grave contraccolpo – annuncia Coldiretti – si potrà avere anche sul fronte occupazionale. Prendendo in esame solo l'area dove l'evento calamitoso ha arrecato maggiori danni, cioè la fascia di territorio compresa tra Melito Porto Salvo e Monasterace compresi i comuni interni, si segnala che in detta area in agricoltura svolgono la propria attività n. 587 imprenditori agricoli professionali, n. 503 coltivatori diretti, n. 4.748 ditte per un numero complessivo di giornate lavorative pari a 2.088.653 milioni –:
   quali iniziative urgenti intendano adottare, per quanto di competenza, al fine di mitigare i danni al comparto agricolo calabrese gravemente colpito dall'ondata di maltempo che si è abbattuta sulla provincia di Reggio Calabria dal 30 ottobre al 2 novembre 2015. (4-11068)

  Risposta. — Con riguardo all'anomala ondata di maltempo verificatasi dal 30 ottobre al 2 novembre 2015 nei territori della provincia di Reggio Calabria, provocando disagi al settore agricolo, faccio presente che la formale richiesta d'intervento di cui al decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102, presentata dalla regione Calabria lo scorso 22 gennaio, è stata accolta.
  Al momento, il relativo decreto di declaratoria, con il quale potranno essere attivate le misure compensative a favore delle imprese agricole è in fase di emanazione.
  Con l'occasione, preciso che gli interventi previsti dal citato decreto legislativo, per il sostegno alle imprese agricole colpite da avversità atmosferiche eccezionali possono essere attivati a condizione che il danno sulla produzione lorda vendibile risulti superiore al 30 per cento ed esclusivamente per le avversità e le colture danneggiate non comprese nel piano assicurativo annuale per la copertura dei rischi le cui polizze sono agevolate da un contributo statale fino al 65 per cento della spesa premi sostenuta.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   com’è noto, secondo il rapporto di fine anno pubblicato dall'Agenzia europea per l'ambiente (AEA, La qualità dell'aria in Europa – rapporto 2013), il 90 per cento delle persone che vivono nei centri urbani dei paesi membri è costantemente esposto ad una concentrazione di inquinanti superiore ai limiti che l'Organizzazione mondiale della sanità riporta nelle sue linee guida;
   un recente rapporto stilato da Legambiente ha evidenziato come, nei primi mesi del 2014, in alcune città italiane si siano registrati oltre 20 giorni di superamento (sui primi 36 giorni dell'anno) dei livelli consentiti di PM10 e PM2,5 consentiti dalla normativa vigente;
   parallelamente il biossido di azoto (NO2), un inquinante secondario le cui fonti principali sono il trasporto su strada, il riscaldamento e i processi di combustione industriali, rappresenta ancora uno dei maggiori problemi irrisolti per quanto riguarda la sua concentrazione negli ambienti urbani;
   con riguardo al territorio nazionale, ed eccettuate le grandi città, l'area della pianura padana risulta la macro-area maggiormente interessata da tali fenomeni di inquinamento dell'aria;
   in particolare, e a titolo d'esempio, la relazione stilata nel 2012 dall'Agenzia regionale per la protezione ambientale della regione Piemonte sulla qualità dell'aria nel comune di Alessandria — le cui risultanze sono state sostanzialmente confermate anche per il 2013 e parte del 2014 — ha rilevato una mediocre qualità dell'aria nel suddetto territorio, con superamenti ripetuti dei limiti annuali/giornalieri di PM10, dei limiti annuali per gli ossidi di azoto e dei livelli di ozono estivo;
   i dati indicano che nei primi 45 giorni dell'anno, a metà febbraio, si raggiungono già i 35 giorni di superamenti consentiti per legge, ad indicare che nei primi due mesi dell'anno si registra quasi un superamento al giorno;
   sempre secondo tale relazione «Questi episodi, non infrequenti nel corso degli inverni di pianura, determinano delle situazioni di accumulo pericolose per la salute, a cui si associa anche un aumento di ricoveri e decessi per malattie alle via respiratorie»;
   per quanto riguarda l'inquinamento da ozono, Alessandria presenta un livello significativo di inquinamento in periodo estivo, comparabile con i livelli registrati nelle altre stazioni urbane della regione Piemonte, confermando un trend negativo relativo a tutto il Nord Italia;
   secondo la citata relazione, dunque, permangono «per Alessandria condizioni di criticità sia per quanto riguarda le polveri fini PM10 e PM2,5 sia per il biossido di azoto, soprattutto in periodo invernale, mentre si riscontra un elevato inquinamento da ozono in periodo estivo. I parametri non mostrano variazioni di rilievo negli ultimi anni»;
   per far fronte a tali fenomeni appare estremamente importante e urgente intraprendere una serie di azioni integrate e tra loro ben coordinate volte ad incidere sull'efficienza del trasporto pubblico locale, ad implementare le reti ferroviarie, regionali e nazionali, ad incentivare l'abbandono del trasporto su gomma delle merci, nonché a ridisegnare l'assetto delle competenze istituzionali in ordine alla gestione di queste problematiche, le quali minacciano da vicino la salute dei cittadini;
   con particolare riguardo a tale ultimo aspetto, è evidente come lo Stato non possa limitarsi a predisporre solo i limiti massimi di inquinamento (abbandonando a sé stessi comuni e regioni), essendo invece necessario un suo intervento fattivo – di concerto con le regioni e gli enti locali – al fine di mantenere una qualità dell'aria in linea con tali limiti –:
   se il Ministro interrogato non reputi necessario, data la gravità della situazione, adottare, nell'ambito delle proprie competenze, o di concerto con gli altri dicasteri, le opportune iniziative, anche di carattere normativo, al fine di definire una nuova strategia nazionale nei confronti del fenomeno dell'inquinamento dell'aria nei centri urbani, e in particolare in quelli del Nord Italia. (4-05649)

  Risposta. — Preliminarmente, si segnala che la legislazione comunitaria in materia di qualità dell'aria (direttiva 2008/50/CE e direttiva 2004/107/CE) prevede che gli Stati debbano assicurare, entro specifiche date, il rispetto di determinati obiettivi di qualità dell'aria per una serie di inquinanti, grazie alla pianificazione di misure ed interventi di risanamento.
  In particolare, per il materiale particolato PM10 sono previsti due valori limite per le concentrazioni in aria ambiente, un limite annuale (pari a 40 mg/m3) ed un limite giornaliero (pari a 50 mg/m3 da non superare più di 35 volte per anno civile), da rispettare a partire dal 1o gennaio 2005.
  Tali limiti non risultano rispettati in ampie aree del territorio nazionale, situate presso la maggior parte delle regioni.
  Tale situazione di inadempimento è però differenziata sul territorio nazionale: infatti, mentre per le regioni del centro-sud il mancato rispetto dei valori limite è localizzato in piccole aree, appartenenti per lo più ai principali centri urbani, nel Bacino Padano i superamenti, anche a causa di condizioni meteorologiche particolarmente sfavorevoli, sono diffusi su tutto il territorio.
  Le regioni del Bacino Padano, attraverso una intensa collaborazione reciproca ed un continuo confronto con il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, sono da anni impegnate ad attuare attività comuni volte al raggiungimento degli ambiziosi obiettivi di qualità dell'aria posti a maggiore tutela della salute dei cittadini dalle direttive comunitarie e dalle norme nazionali di riferimento.
  Ciò nonostante, proprio in ragione della specificità meteo-climatica ed orografica di tali territori che impediscono la dispersione degli inquinanti, l'impegno delle sole amministrazioni regionali e locali non è da solo sufficiente a risolvere il problema.
  Di conseguenza, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare ha avviato una strategia volta alla individuazione di misure condivise da attuare congiuntamente nei territori del Bacino Padano, che ha condotto alla sottoscrizione, nel dicembre 2013, di un importante accordo di programma tra i Ministri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, dello sviluppo economico, delle infrastrutture e trasporti, delle politiche agricole e della salute e le regioni e province autonome del Bacino padano, contenente misure coordinate e congiunte volte a promuovere il miglioramento della qualità dell'aria nel bacino padano.
  Nel merito, l'accordo prevede l'assunzione di precisi impegni per le parti sottoscrittrici, da attuarsi attraverso la predisposizione di misure di breve, medio e lungo periodo per il contrasto dell'inquinamento atmosferico nel Bacino padano, quali, ad esempio, l'elaborazione di proposte normative condivise sulla riforma degli attuali sistemi di riqualificazione energetica degli edifici, sull'individuazione di linee guida nel settore agricolo o nel settore dei trasporti, sull'aggiornamento dei vigenti piani urbani della mobilità nonché per la predisposizione di studi relativi alla revisione dei limiti di velocità dei veicoli di trasporto di passeggeri e merci nelle zone del Bacino padano.
  In particolare, per le regioni del bacino padano è previsto l'impegno ad attuare tali proposte normative nei propri territori attraverso una modifica dei propri piani di qualità dell'aria, che sono gli strumenti previsti dalle norme nazionali di settore per garantire il rispetto dei valori limite per la protezione della salute umana stabiliti dalle disposizioni comunitarie.
  Si segnala, infine, che il 30 dicembre 2015 è stato sottoscritto un importante protocollo d'intesa tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la conferenza delle regioni e province autonome e l'Associazione nazionale dei comuni italiani per definire ed attuare misure omogenee su scala di bacino per il miglioramento e la tutela della qualità dell'aria e la riduzione di emissioni di gas climalteranti, con interventi prioritari nelle città metropolitane.
  In particolare, tra le misure di urgenza, che saranno attivate dopo reiterati superamenti delle soglie giornaliere massime consentite delle concentrazioni di PM10 (di regola, 7 giorni), il protocollo prevede: l'abbassamento dei limiti di velocità di 20 chilometri orari nelle aree urbane estese al territorio comunale ed alle eventuali arterie autostradali limitrofe, previo accordo con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti; l'attivazione di sistemi di incentivo all'utilizzo del trasporto pubblico locale e della mobilità condivisa; la riduzione di 2 gradi delle temperature massime di riscaldamento negli edifici pubblici e privati; la limitazione dell'utilizzo della biomassa per uso civile dove siano presenti sistemi alternativi di riscaldamento.
  Nel protocollo, inoltre, Ministero, regioni e Anci si sono impegnati a promuovere ulteriori misure tra cui il controllo e la riduzione delle emissioni degli impianti di riscaldamento delle grandi utenze, incrementando l'efficienza energetica e agevolando il passaggio a combustibili meno inquinanti, il passaggio a modalità di trasporto pubblico a basse emissioni (rinnovando il parco mezzi), misure di sostegno e sussidio finanziario per l'utenza del trasporto pubblico come, ad esempio, l'offerta di abbonamenti integrati treno/bus/metro/
bike o carsharing, sosta gratuita nei nodi di scambio extraurbani, corsie preferenziali per il trasporto pubblico e aree di totale pedonalizzazione; nonché la diffusione di buone pratiche agricole, per limitare le emissioni di ammoniaca derivanti dalla somministrazione di fertilizzanti azotati o dagli allevamenti.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   PASTORELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il corpo nazionale dei Vigili del fuoco è una delle istituzioni più importanti e significative per il nostro Paese;
   numerosi sono i compiti e gli interventi che il corpo assolve sull'intero territorio, quotidianamente, con professionalità e competenza, in soccorso ed al servizio della cittadinanza, per garantirne l'integrità, operando nella gran parte dei casi in condizioni di pericolo e di alto rischio;
   il corpo nazionale dei Vigili del fuoco è costituito da una componente professionista in servizio permanente (deputata a garantire la generalità degli interventi di soccorso sul territorio) e una componente volontaria, alla quale il legislatore ha affidato un ruolo concorrente e non sostitutivo. La stessa infatti è chiamata a concorrere nel garantire un primo intervento di soccorso nelle zone a più basso indice di rischio, ovvero in località non raggiungibili entro i tempi fissati come limiti per un efficace intervento operativo;
   negli ultimi 15 anni, per sopperire alla grave carenza ed inadeguatezza di personale dei Vigili del fuoco permanenti, si è assistito a un utilizzo eccezionale dello strumento di richiamo in servizio di personale volontario presso le sedi permanenti;
   ultimamente con il decreto-legge 31 agosto 2013, n. 101 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 125 del 2013), all'articolo 8, si è prevista l'assunzione di 1.000 unità di Vigili del fuoco tramite lo scorrimento delle graduatorie per la procedura di stabilizzazione del personale precario del corpo, ai sensi della legge n. 296 del 2006 e della graduatoria del concorso pubblico ad 814 posti nella qualifica di vigile del fuoco;
   nonostante il potenziamento dell'organico previsto dal sopra citato decreto, nulla è cambiato per il distaccamento permanente dei Vigili del fuoco di Pantelleria, dipendente dal Comando provinciale di Trapani, istituito con decreto ministeriale n. 28/88435 del 1995;
   la situazione del distaccamento di Pantelleria vive, praticamente sin dalla sua istituzione, una serie di problematiche mai risolte;
   infatti, in tutti questi anni, nessuno ha mai individuato locali idonei per la sede del distaccamento, per cui i Vigili del fuoco sono ancora oggi ospitati nella sede aeroportuale, unica al momento in funzione ed utilizzata per i due distaccamenti (aeroportuale e terrestre) con tutti i problemi che ciò comporta per i tempi di entrata ed uscita dall'area aeroportuale;
   l'attuale distaccamento all'interno dell'aeroporto, dove opera il personale dei due distaccamenti, è in condizioni igienico-sanitarie estremamente precarie e nessun intervento è stato intrapreso per rendere i locali idonei a garantire condizioni di lavoro adeguate sia in termini di sicurezza, che di salubrità dei luoghi di lavoro;
   inoltre, dall'istituzione del distaccamento non si è provveduto a completare l'organico perciò sovente esso non risulta essere operativo a causa della mancanza di personale, interrompendo, in tal modo, il servizio volto alla erogazione del soccorso e della sicurezza pubblica sull'isola. A ciò si deve aggiungere che, nel caso di soccorso tecnico urgente per la popolazione di Pantelleria, il personale permanente destinato al servizio del distaccamento aeroportuale non può allontanarsi dalla sede di servizio senza compromette gli standard necessari a garantire il soccorso in caso di allarme o emergenza aeroportuale. Tutto questo determina grave nocumento alla popolazione vista anche la posizione disagiata dell'isola;
   da alcune recenti notizie di stampa si apprende che il sindacato autonomo dei Vigili del fuoco (Conapo) avrebbe presentato un esposto alla procura di Trapani con cui veniva ipotizzata l'interruzione del servizio di pubblico soccorso al distaccamento dei Vigili del fuoco di Pantelleria, in quanto gli operatori dei Vigili del fuoco sono costretti, per carenza di personale, spesso, a declinare richieste di intervento provenienti anche dalla locale stazione dei Carabinieri;
   finora le risposte alle emergenze sono state garantite dal distaccamento aeroportuale che tuttavia, ai sensi della normativa vigente in materia di sicurezza aeroportuale, durante l'orario di attività di volo non può ovviamente intervenire al di fuori dello scalo –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto riportato in premessa in ordine alla grave situazione che si è venuta a verificare sull'isola di Pantelleria dove la carenza del personale dei Vigili del fuoco sta mettendo a repentaglio la sicurezza degli abitanti e di tutti coloro che, a vario titolo, frequentano l'isola;
   se non ritenga opportuno dover incrementare urgentemente ed adeguatamente la dotazione organica del distaccamento dei Vigili del fuoco di Pantelleria, al fine di garantire gli standard minimi di operatività sull'intero territorio isolano. (4-10791)

  Risposta. — Le manovre di finanza pubblica attuate nelle ultime legislature hanno ridotto, come noto, le dotazioni finanziarie destinate alle spese di funzionamento delle strutture e alle attività di soccorso. Tali manovre non hanno reso possibile la sistematica copertura del turn over del personale posto in quiescenza. Ciò ha determinato l'impossibilità non soltanto di completare l'organico teorico, ma anche di mantenere almeno l'organico effettivo al passo con i pensionamenti avvenuti.
  Tanto premesso, con specifico riferimento alla situazione dei distaccamenti dei vigili del fuoco presenti nell'isola di Pantelleria, si rappresenta quanto segue.
  L'organico teorico prevede 60 unità per la sede aeroportuale e 30 unità per il distaccamento terrestre, per un totale complessivo di 90 unità. Allo stato attuale, sono complessivamente presenti sull'isola 82 unità operative, di cui 57 per il distaccamento aeroportuale e 25 per il distaccano terrestre. La carenza complessiva di organico si attesta dunque all'8,9 per cento, dato di poco superiore alla media nazionale.
  Si rappresenta, altresì, che il personale dei due distaccamenti è ubicato nella sede aeroportuale e, pertanto, tutte le unità presenti hanno svolto il corso di soccorritore aeroportuale.
  Considerata la particolare situazione geografica e le notevoli difficoltà nei collegamenti sia aerei che marittimi, il personale non residente che presta servizio nell'isola svolge un orario differenziato, in virtù di un accordo stipulato con le organizzazioni sindacali, che permette ai capi turno di ruotare il personale tra il servizio aeroportuale e quello terrestre, in modo che sia assicurato un adeguato recupero psicofisico.
  Anche per far fronte a quattro pensionamenti previsti nei prossimi mesi, si sta provvedendo alla predisposizione di un piano di mobilità straordinaria di vigili del fuoco residenti a Pantelleria che prestano servizio negli altri comandi fuori della regione Sicilia. Tale piano sarà sottoposto alle organizzazioni sindacali nazionali.
  Inoltre, si sta procedendo ad effettuare una ricognizione del personale con la qualifica di vigile del fuoco permanente, residente nella provincia di Trapani e presente negli altri comandi della regione, disponibile a un'assegnazione temporanea nei distaccamenti dell'isola di Pantelleria.
  Riguardo ai problemi logistici evidenziati, si informa che l'ENAC sta provvedendo all'assegnazione dell'appalto di totale rifacimento della sede che ospita entrambi i distaccamenti. Ciò consentirà l'adeguata sistemazione di tutto il personale che vi presta servizio, eliminando le difficoltà attuali legate alle condizioni di manutenzione dell'immobile.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoGianpiero Bocci.


   QUARTAPELLE PROCOPIO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   secondo la Convenzione di Ginevra del 1949 e i protocolli addizionali del 1977, i civili e tutti coloro che non partecipano al combattimento, vale a dire, feriti, malati, bambini, donne, rifugiati e sfollati, non possono in nessun caso essere oggetto di attacchi ma devono essere tutelati e protetti;
   da due anni a questa parte i suddetti principi vengono sistematicamente violati in Repubblica democratica del Congo e in particolare nel territorio di Beni dove la popolazione civile continua ad essere rapita o massacrata, anche in luoghi sensibili protetti dal diritto internazionale umanitario nei conflitti armati;
   il pomeriggio del 29 novembre 2015, a Eringeti, una cittadina situata a circa 60 chilometri a nordest della città di Beni (nord Kivu), violenti scontri hanno contrapposto le forze armate della Repubblica democratica del Congo (FARDC) e i ribelli ugandesi delle forze democratiche alleate (ADF);
   secondo la commissione di pace e giustizia della diocesi di Butembo-Beni, verso le ore 1500, le ADF hanno lanciato un'offensiva contro Io Stato Maggiore del 312° battaglione della 31° Brigata delle FARDC basato a Eringeti e secondo fonti della sicurezza, verso le ore 17,00, le ADF occupavano già una parte della cittadina, tra cui il vice commissariato della polizia nazionale congolese;
   dopo più di 10 ore (fino all'ora 1,00 del 30 novembre) di scontri, le FARDC appoggiate dai caschi blu tanzaniani della FIB hanno respinto con successo l'attacco delle ADF ma diversi edifici sono risultati completamente distrutti dalle fiamme tra cui la radio e il centro medico locale, e la popolazione di Eringeti è fuggita verso diversi villaggi del territorio di Beni e verso la località di Luna, nella Provincia Orientale;
   secondo il colonnello Felix, Prosper Basse, portavoce della Missione delle Nazioni Unite nella RDCongo (MONUSCO), 8 soldati delle FARDC, 1 militare della MONUSCO e 14 combattenti delle ADF stati uccisi nei combattimenti, mentre 7 civili sono stati uccisi con dei machete, dalle ADF, all'ospedale di Eringeti;
   secondo diversi testimoni presenti a Eringeti, mentre stavano combattendo o giustiziando i civili, i miliziani delle ADF gridavano in arabo «Allah Akbar» (Dio è grande), come se fossero in piena guerra santa, la «Jihad»;
   i vescovi della provincia ecclesiastica di Bukavu hanno affermato: «Siamo di fronte a tre grandi pericoli che l'autorità responsabile non può ignorare: un clima di genocidio, un locale fondamentalismo jihadista e un processo balcanizzazione»;
   le atrocità commesse in questa parte del territorio congolese, ad avviso dell'interrogante, violano l'articolo 8, comma 2, lettera b), dello Statuto di Roma della Corte penale internazionale che intende per crimini di guerra: I) dirigere deliberatamente attacchi contro popolazione civili in quanto tali o contro civili che non prendano direttamente parte alle ostilità; II) dirigere deliberatamente attacchi contro proprietà civili e cioè proprietà che non siano obiettivi militari; III) dirigere deliberatamente attacchi contro personale, installazioni materiale, unità o veicoli utilizzati nell'ambito di una missione di soccorso umanitario o di mantenimento della pace in conformità della Carta delle Nazioni Unite, nella misura in cui gli stessi abbiano diritto alla protezione accordata ai civili ed alle proprietà civili prevedute dal diritto internazionale dei conflitti armati; V) attaccare o bombardare con qualsiasi mezzo, città, villaggi, abitazioni o costruzioni che non siano difesi e che non costituiscano obiettivi militari; IX) dirigere intenzionalmente attacchi contro edifici dedicati al culto, all'educazione, all'arte, alla scienza o a scopi umanitari, a monumenti storici, a ospedali e luoghi dove sono riuniti i malati ed i feriti, purché tali edifici non siano utilizzati per fini militari –:
   in considerazione delle gravi atrocità riportate e in considerazione del fatto che tale situazione nella regione del Kivu perdura già da due anni, se non sia opportuno che l'Italia si faccia promotrice, in seno alle Nazioni Unite, di un'inchiesta internazionale affinché sia fatta luce sui responsabili di tali efferati crimini e se non sia opportuno che il Governo italiano e l'intera comunità internazionale comincino ad agire con urgenza per fermare un possibile jihadismo emergente in questa parte del Paese. (4-11418)

  Risposta. — La promozione e protezione dei diritti umani, così come lo sviluppo e l'effettiva attuazione del diritto internazionale umanitario, sono obiettivi prioritari della politica estera del nostro Paese sia a livello bilaterale che nei competenti fori multilaterali. In tale contesto, il tema della protezione dei civili (di seguito PoC) riveste particolare importanza per l'Italia. Il nostro Paese è infatti tra i primi firmatari dei princìpi di Kigali, enunciati alla conferenza svoltasi nella capitale ruandese nel maggio del 2015 e volti all'inclusione della PoC nei mandati delle missioni di pace delle Nazioni unite.
  L'Italia segue pertanto con grande attenzione la situazione dei diritti umani in Africa e nella Repubblica democratica del Congo (RDC), dove si registrano continue violenze e gravi crimini a danno della popolazione civile da parte di gruppi armati operanti soprattutto nella parte orientale del Paese, come messo in luce dall'interrogante. Il Governo ha pertanto fortemente incoraggiato e sostenuto le iniziative avviate in ambito ONU per garantire la protezione della popolazione civile nel quadro dei combattimenti in corso e promuovere un maggiore rispetto dei diritti umani nel Paese.
  In tale contesto, si segnala che la tutela dei civili è fra i principali obiettivi della missione delle Nazioni unite per la stabilizzazione nella Repubblica democratica del Congo (MONUSCO), istituita nel 2010 e rinnovata da ultimo nel 2015, il cui mandato prevede anche la protezione del personale umanitario, dei difensori dei diritti umani e del personale e delle installazioni delle Nazioni unite, nel quadro dell'assistenza al Governo della RDC nella stabilizzazione ed il consolidamento della pace nel Paese.
  L'Italia è innanzitutto impegnata a sostenere attivamente l'azione del Consiglio di sicurezza delle Nazioni unite, che nel novembre 2015 ha adottato una dichiarazione presidenziale nella quale si esprime preoccupazione per la continua azione destabilizzante di gruppi armati congolesi e stranieri nelle regioni orientali del Paese e si invita la Repubblica democratica del Congo a riavviare il dialogo strategico con MONUSCO, accogliendo positivamente la nomina di Maman Sidikou come nuovo Rappresentante Speciale del Segretario Generale nella RDC e Capo della missione stessa. Nella dichiarazione si ribadisce, inoltre, la ferma condanna per le violazioni dei diritti umani e del diritto internazionale umanitario avvenute nel Paese, pur riconoscendo i parziali progressi compiuti dal Governo di Kinshasa in relazione ai bambini-soldato e alla violenza sessuale in contesto di guerra. Il Consiglio di sicurezza si è nuovamente riunito il 14 gennaio 2016 per esaminare la situazione nella Repubblica democratica del Congo. In tale occasione, il rappresentante speciale Sidikou ha fatto stato del peggioramento delle condizioni nelle regioni orientali, nei territori di beni e Lubero nel Nord Kivu, a causa dell'intensificazione delle azioni dei gruppi ADF (Forze di Difesa Alleate) e FDLR (Forze democratiche per la liberazione del Ruanda). Questi gruppi continuano a rappresentare una seria minaccia per le popolazioni civili (più di 500 civili sono stati uccisi da ADF dal 2014, mentre negli ultimi 12 mesi si registrano oltre 45.000 nuovi sfollati interni (IDPs) a cause delle loro incursioni), spingendo MONUSCO ad intensificare la reazione militare.
  In tema di diritti umani nella RDC, il nostro Paese incoraggia l'azione del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite (CDU) che, da ultimo, nel corso della 30a sessione ordinaria svoltasi dal 14 settembre al 2 ottobre 2015 ha adottato la risoluzione 30/26, che condanna le violenze nell'Est del Paese e tutti i gruppi armati che ne sono autori e stabilisce che il CDU rimarrà investito della questione sino alla sua 33a sessione (settembre 2016).
  A margine della sessione del CDU, il 29 settembre 2016 l'Italia ha partecipato attivamente ad una sessione dialogo comprendente diversi Paesi, alla presenza del Ministro della giustizia e per i diritti umani della RDC e di diverse ONG. In tale sede, l'ex Vice alto commissario per i diritti umani, Flavia Pansieri, ha presentato il rapporto dell'Ufficio dell'Alto Commissario ONU per i Diritti Umani (OHCHR) sulla situazione dei diritti umani nel Paese per il periodo giugno 2014-maggio 2015, in cui, tra le altre cose, vengono evidenziati gli sforzi e i progressi compiuti dalla RDC nel campo dei diritti umani, quali l'istituzione di una Commissione nazionale per i diritti umani, l'attuazione di un piano d'azione delle Forze armate congolesi per combattere la violenza sessuale in situazioni di conflitto, nonché la conclusione di procedimenti giudiziari intentati contro ex membri delle Forze amate congolesi accusati di gravi crimini. Nel corso del dialogo interattivo, il Ministro della giustizia e per i diritti umani della RDC ha ribadito l'impegno delle autorità congolesi nel promuovere e proteggere i diritti umani «in tutte le circostanze ed aree del Paese», sottolineando l'importanza della cooperazione con l'OHCHR. Da parte nostra abbiamo sostenuto con convinzione la posizione adottata dall'Unione europea, che ha sottolineato la necessità di portare avanti la lotta alla violenza sessuale, soprattutto nei confronti di donne e fanciulli, di garantire la libertà d'espressione per tutti e di proseguire nel percorso di lotta all'impunità.
  Il nuovo rapporto dell'ufficio dell'Alto Commissario ONU per i diritti umani (OHCHR) è previsto nel settembre 2016 e su tale base si svolgerà anche una nuova sessione di dialogo interattivo.
  Si continuerà a sostenere attivamente l'azione del Consiglio di sicurezza e del Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite, mantenendo alta l'attenzione della comunità internazionale sulla situazione nella Repubblica Democratica del Congo al fine di promuovere positivi sviluppi nel Paese.

Il Sottosegretario di Stato per gli affari esteri e la cooperazione internazionaleBenedetto Della Vedova.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   diversi quotidiani hanno ripreso l'allarme lanciato dal sindacato di polizia Consap circa il fatto che «sarebbero in scadenza i giubbotti anti proiettili in dotazione alla Polizia e non si è ancora predisposto il ricambio, causando danni impensabili, visto che d'ora in poi saremo senza protezione o usciremo con i giubbotti scaduti o in scadenza»;
   per questo motivo lo stesso sindacato afferma di aver inoltrato una diffida al prefetto per chiedere che si intervenga con urgenza per evitare che ventimila agenti debbano svolgere servizio senza gli equipaggiamenti indispensabili per la tutela della loro incolumità fisica;
   inoltre, la Consap ha reso nota la decisione del questore di Roma di chiedere la restituzione di tutti i giubbotti anti-proiettile «sotto camicia» dai reparti che li hanno in dotazione per destinarli alle scorte, costringendo, di fatto, i reparti operativi come le volanti a scendere in strada senza il dispositivo di protezione individuale, fondamentale in caso di scontro a fuoco;
   i tagli alla sicurezza colpiscono in modo illogico un comparto che, invece, dovrebbe godere della massima protezione;
   l'insufficienza di uomini, strumenti e risorse finanziarie a disposizione delle forze di polizia mette a rischio la loro incolumità e quella di tutti i cittadini, oltre a determinare gravissime ripercussioni negative sul controllo del territorio ed il contrasto della criminalità –:
   quali iniziative intenda assumere rispetto ai fatti di cui in premessa, e se non ritenga di riconsiderare i tagli alla sicurezza che stanno danneggiando gli operatori del settore e tutti i cittadini italiani. (4-07988)

  Risposta. — In merito a quanto segnalato con l'interrogazione in esame, si rappresenta che è in atto un generale ricambio delle dotazioni del personale della polizia di Stato e, in particolare, dei giubbetti antiproiettile.
  Al riguardo, si evidenzia innanzitutto che l'articolo 1, comma 967, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo con una dotazione finanziaria di 50 milioni di euro per l'anno 2016, destinato all'ammodernamento delle dotazioni strumentali e delle attrezzature anche di protezione personale in uso alle forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco. La stessa disposizione ha autorizzato, sempre per l'anno corrente, la spesa di 10 milioni di euro per il rinnovo e l'adeguamento della dotazione dei giubbotti antiproiettile della Polizia di Stato.
  Si sottolinea altresì che già nel 2014, grazie alle risorse finanziarie messe a disposizione dal «cosiddetto decreto stadi» (decreto-legge n. 119 del 2014, convertito dalla legge n. 146 del 2014), è iniziato il programma di sostituzione dei giubbetti antiproiettile esterni, per i quali – in relazione all'approssimarsi del decimo anno di vita – non sarebbe stata più operante la garanzia offerta dalla casa produttrice.
  Sul punto è necessario chiarire che la scadenza decennale riguarda soltanto il profilo giuridico dell'azionabilità della garanzia, ma non determina affatto la perdita automatica del requisito balistico del giubbetto, ragion per cui non viene messa in pericolo l'incolumità dell'operatore.
  Il giubbetto può essere di regola utilizzato anche oltre il termine di dieci anni a seguito dell'effettuazione di
test balistici. Nonostante ciò, l'amministrazione della pubblica sicurezza ha, comunque, deciso di procedere alla sostituzione dei giubbetti alla scadenza della garanzia.
  In particolare, nel 2015 sono già stati distribuiti 3.216 nuovi giubbetti, e, a cominciare dai primi mesi del 2016, ne verranno distribuiti ulteriori 13.000.
  Si informa, inoltre, che per il breve periodo in cui i dispositivi resteranno in uso agli operatori anche dopo il termine della predetta garanzia dei dieci anni, in attesa dell'arrivo dei nuovi, si sta provvedendo ad effettuare, presso il banco di prova di Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia, prove a fuoco su un campione significativo, al fine di testare il mantenimento del requisito balistico.
  A tale riguardo si rappresenta che i giubbetti prodotti nel 2005 hanno superato le prove ed è stata pertanto concessa una proroga d'uso per il tempo necessario al rinnovo delle dotazioni.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel mese di dicembre 2015 è stata disposta la sospensione di un dirigente del sindacato autonomo di polizia (Sap) in seguito alle dichiarazioni rese dallo stesso nel corso di una puntata della trasmissione televisiva «Ballarò»;
   i motivi della sospensione sarebbero da rinvenirsi in notizie ritenute false e tendenziose circa gli equipaggiamenti delle forze dell'ordine, che il dirigente aveva dichiarato essere estremamente precari ed insicuri;
   il sindacato ha espresso il proprio pieno sostegno al dirigente sospeso, e ha ribadito la veridicità delle sue affermazioni riguardo all'inadeguatezza dell'equipaggiamento utilizzato dai poliziotti, con specifico riferimento sia ai giubbotti antiproiettile, molti dei quali scaduti, sia alle armi obsolete, sia alle autovetture di servizio deteriorate, sia il logoramento dei caschi protettivi;
   secondo il Sap il provvedimento disciplinare di sospensione firmato dal capo della polizia contiene gravi elementi di falsità, che sono stati determinanti ai fini della decisione dell'allontanamento del dirigente;
   i sospetti ed i timori evidenziati dal Sap sono determinati dal fatto che quanto accaduto in realtà sia stato organizzato volutamente e con scopo intimidatorio per inibire quella parte dei componenti delle forze dell'ordine che stanno denunciando le condizioni di inadeguatezza ed estrema precarietà con le quali operano quotidianamente al servizio della comunità e a tutela della nazione;
   le criticità segnalate dal dirigente del Sap, inoltre, si collocano all'interno di un contesto di elevato rischio per la sicurezza nazionale cui consegue la necessità di una capillare sorveglianza del territorio, in considerazione delle costanti minacce del terrorismo internazionale di matrice islamica;
   il Sap ha anche rilevato come al collega sospeso non sia stato notificato alcun atto relativo a procedimento penale, ma, come suesposto, gli sia meramente stata notificata una sospensione dal servizio per motivi disciplinari, peraltro inapplicabile se si valutano le disposizioni degli impiegati civili dello Stato e non la speciale e posteriore normativa prevista per la polizia di Stato;
   la vicenda esposta ripropone le difficili condizioni in cui operano gli agenti di polizia proprio mentre la sicurezza di tutti i cittadini, e quindi in primo luogo quella delle forze dell'ordine, è maggiormente a rischio –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro in merito ai fatti descritti in premessa, con particolare riferimento sia alla sospensione del dirigente sia alle dotazioni strumentali e di mezzi in uso alle forze di polizia, e quali iniziative intenda assumere al fine di garantire la congruità e l'efficacia delle stesse. (4-11634)

  Risposta. — La vicenda su cui verte l'interrogazione ha origine lo scorso mese di dicembre 2015, allorquando il capo della polizia, su motivata proposta del questore di Roma, ha sospeso cautelarmente dal servizio un dipendente avente la qualifica di assistente capo.
  Il provvedimento è stato motivato da gravi motivi disciplinari anche alla luce del grave pregiudizio arrecato dal predetto all'immagine e al prestigio dell'Amministrazione in ragione dell'ampia risonanza mediatica dell'episodio che si riassume brevemente di seguito.
  L'assistente capo, in divisa, con voce camuffata e il volto oscurato, ha reso un'intervista mandata in onda durante la trasmissione televisiva di Rai 3 «
Ballarò», nel corso della quale ha rilasciato dichiarazioni non autorizzate su argomenti riservati, mostrando ai giornalisti materiale obsoleto e deteriorato in dotazione alla polizia di Stato.
  Dalla ricostruzione dei fatti è stato possibile appurare che il dipendente aveva prelevato materiale di vecchio tipo per poi esibirlo durante l'intervista.
  Per quanto sopra, si ritiene che il provvedimento in questione sia stato adottato in corretta applicazione della normativa vigente.
  Si soggiunge che, in considerazione della grave condotta posta in essere, l'assistente capo è stato altresì denunciato alla procura della Repubblica per i reati di peculato, abuso d'ufficio e diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico nonché per abbandono del posto di servizio.
  Quanto, invece, all'inadeguatezza delle attrezzature in dotazione alla polizia di Stato, si informa che è in atto un generale ricambio ed ammodernamento delle dotazioni complessive, in particolare, dei giubbetti antiproiettile.
  In proposito, l'articolo 1, comma 967, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato», ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo con una dotazione finanziaria di 50 milioni di euro per l'anno 2016, destinato all'ammodernamento delle dotazioni strumentali e delle attrezzature anche di protezione personale in uso alle Forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco. La stessa disposizione ha autorizzato, sempre per l'anno 2016, la spesa di 10 milioni di euro per il rinnovo e l'adeguamento della dotazione dei giubbetti antiproiettile della polizia di Stato.
  Riguardo a questo specifico aspetto, si sottolinea che già nel 2014, grazie alle risorse finanziarie messe a disposizione nello stesso anno dal «cosiddetto decreto stadi» (decreto-legge n. 119 del 2014, convertito dalla legge n. 146 del 2014), è iniziato il programma di sostituzione dei giubbetti antiproiettile esterni, per i quali – in relazione all'approssimarsi del decimo anno di vita – non sarebbe stata più operante la garanzia offerta dalla casa produttrice.
  Sul punto è necessario chiarire che la scadenza decennale riguarda soltanto il profilo giuridico dell'azionabilità della garanzia, ma non determina affatto la perdita automatica del requisito balistico del giubbetto, ragion per cui non viene messa in pericolo l'incolumità dell'operatore.
  Il giubbetto può essere di regola utilizzato anche oltre il termine di dieci anni a seguito dell'effettuazione di test balistici. Nonostante ciò, l'amministrazione della pubblica sicurezza ha, comunque, deciso di procedere alla sostituzione dei giubbetti alla scadenza della garanzia.
  In particolare, nel 2015 sono già stati distribuiti 3.216 nuovi giubbetti, e, a cominciare dai primi mesi del 2016, ne verranno distribuiti ulteriori 13.000.
  Si informa, inoltre, che per il breve periodo in cui i dispositivi resteranno in uso agli operatori anche dopo il termine della predetta garanzia dei dieci anni, in attesa dell'arrivo dei nuovi, si sta provvedendo ad effettuare, presso il banco di prova di Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia, prove a fuoco su un campione significativo, al fine di testare il mantenimento del requisito balistico.
  A tale riguardo, si rappresenta che i giubbetti prodotti nel 2005 hanno superato le prove ed è stata pertanto concessa una proroga d'uso per il tempo necessario al rinnovo delle dotazioni.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   REALACCI, PALMA e MANFREDI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da un articolo pubblicato sul quotidiano Avvenire a firma di Antonio Maria Mira, il 30 giugno 2013, tra il disinteresse dell'opinione pubblica, nell'esteso comune di Giugliano (Napoli) un incendio, sicuramente doloso, è scoppiato all'intero della discarica Novambiente, già sequestrata nel 2009 all'imprenditore Gaetano Vassallo, uno dei «re» delle ecomafie, oggi collaboratore di giustizia;
   per ore nella predetta area, interessata da decine di discariche abusive e/o non a norma di legge, si è alzata una nera e densa colonna di fumo tossico che poi, spinta dal vento di mare, si è sparsa su tutti i comuni vicini e sui campi coltivati, pescheti e fragole attorno alla discarica. Solo l'intervento di ben quattro squadre dei vigili del fuoco, molto preparati per questo tipo di incendi, ha evitato un dramma ancora maggiore, bloccando le fiamme prima che raggiungessero l'impianto di captazione di biogas della Gesem, evitando così uno scoppio di gas le cui conseguenze avrebbero potuto essere catastrofiche;
   a bruciare, come risulta sempre dal reportage pubblicato sull’Avvenire, sono stati la copertura in teloni di plastica pesante e i tubi di captazione del percolato, anch'essi in plastica. Ecco il motivo del fumo nero e tossico, sicuramente carico di diossine;
   i teloni in questione servono soprattutto per evitare che la pioggia penetri tra i rifiuti, miscelandosi coi metalli pesanti e gli altri inquinanti, accelerando la fermentazione e facendo così penetrare il percolato velenoso nella falda acquifera sottostante. Anche perché lo stesso «pentito» Vassallo ha ammesso di non aver fatto l'obbligatoria impermeabilizzazione al di sotto della discarica. Le precipitazioni piovose delle ultime ore, con piogge torrenziali che nella serata di venerdì 28 giugno hanno inondato la discarica ormai senza protezione, hanno aggravato una situazione già molto critica, come confermato dal Raffaele Del Giudice, presidente di ASIA S.p.A., azienda del comune di Napoli per i rifiuti;
   pur trattandosi di una delle aree più inquinate d'Italia, già dichiarata sito di interesse nazionale dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, interessata, anche in passato, da numerosissimi incendi di matrice dolosa e da siti sotto sequestro da parte della magistratura, non risultano nelle zone colpite impianti antincendio, nemmeno bocchette per l'acqua a disposizione dei vigili del fuoco, impianti di videosorveglianza o recinzioni;
   a questo paesaggio apocalittico va poi aggiunto che a brevissima distanza dal sito incendiato da mano quasi certamente criminale, oltre ad un campo rom, si trova un altro simbolo del disastro ambientale campano, l'estesissimo sito di Taverna del Re, cinque milioni di eco-balle, dal peso di una tonnellata ciascuna, impilate in piramidi che cominciano a dare segni di cedimento. Si tratta di materiale altamente infiammabile. Anche qui la sorveglianza e la prevenzione sono inesistenti –:
   quali iniziative urgenti intendano mettere in campo i Ministri interrogati per mettere in sicurezza dai roghi il predetto sito «SIN» di Giugliano in Campania e tutta la tristemente nota «terra dei fuochi»;
   se non ritengano utile istituire, da subito, un presidio di sorveglianza di pubblica sicurezza ad hoc per le discariche sotto sequestro e non, al fine di prevenire l'aggravarsi della situazione ambientale e di salute pubblica dell'area a nord di Napoli;
   se il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare disponga di elementi dettagliati sullo stato degli interventi di bonifica ambientale in tutta la Campania, anche nell'ottica di un superamento del regime emergenziale di gestione dei rifiuti nella regione, come da impegno del Governo di fronte al Parlamento assunto con l'ordine del giorno 9/01197/019. (4-01110)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, sulla base delle informazioni acquisite anche presso gli enti territoriali competenti, si rappresenta quanto segue.
  Si fa presente, in via preliminare, che il problema dei roghi nella cosiddetta «terra dei fuochi» è stato oggetto dell'attenzione del Governo fin dall'emanazione del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni dalla legge 6 febbraio 2014, n. 6. Con tale provvedimento sono state introdotte norme specifiche volte ad affrontare le criticità ambientali, agricole, socio-economiche e sanitarie legate all'illecito smaltimento dei rifiuti nella regione Campania, con specifiche disposizioni riguardanti lo smaltimento illegale di rifiuti mediante combustione e, al contempo, è stato individuato l'incaricato del Ministro dell'interno per il contrasto del fenomeno dei roghi di rifiuti nella regione Campania e delle problematiche connesse.
  Inoltre, in via di ordine generale, tra le iniziative messe in campo anche in attuazione del «patto per la terra dei fuochi» si segnalano le seguenti:
   protocolli di cooperazione con la regione, le prefetture, gli enti locali per la promozione e il raccordo di iniziative di prevenzione delle condotte illecite e di riqualificazione e telesorveglianza dei siti comunali oggetto di abbandono e rogo di rifiuti;
   collaborazione con le associazioni ambientaliste e civiche (rete degli osservatori civici in attuazione del programma europa per i cittadini);
   controlli in materia ambientale con le forze dell'ordine, le polizie municipali, i vigili del fuoco e le forze armate;
   collaborazione con le procure della Repubblica di Napoli, Nola, Aversa e Santa Maria Capua Vetere, con l'obiettivo di rendere maggiormente efficace l'azione repressiva e più incisiva l'applicazione della fattispecie incriminatrice dell'incendio doloso di rifiuti, introdotta dall'articolo 3 del decreto-legge n. 136 del 2013;
   pubblicazione e gestione dei dati e delle informazioni provenienti da comuni, forze dell'ordine, militari, vigili del fuoco e cittadini, al fine di misurare – attraverso un meccanismo di aggiornamento costante – il fenomeno e l'efficacia della risposta, nell'ottica di una banca dati aperta all'accesso (
open data), anche dall'esterno, come il portale Prometeo;
   formazione delle polizie municipali e dei responsabili dei competenti uffici in materia ambientale con i comuni, la regione e altre istituzioni e organismi centrali, regionali e locali, d'intesa con l'Associazione nazionale comunisti italiani e regione Campania;
   elaborazione di linee-guida per gli interventi di rimozione in sicurezza dei rifiuti abbandonati e bruciati, d'intesa con l'Agenzia nazionale per la protezione ambientale;
   studio della possibilità di introduzione di disposizioni che consentono ai comuni di accedere a mutui ventennali a tasso agevolato della Cassa depositi e prestiti per progetti e attività di recupero del territorio degradato (da concordare con il Ministero dell'economia e delle finanze);
   avvio di procedure di mobilità per dipendenti delle province (da concordare con la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica).

  I risultati di tale attività, già illustrati dall'incaricato di Governo anche nel corso dell'audizione del 21 ottobre 2015 presso la Commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti, hanno messo in evidenza che, a partire dal 2013, grazie al potenziamento delle attività di contrasto e prevenzione, gli interventi dei vigili del fuoco hanno registrato una notevole diminuzione. In particolare, è da segnalare come nei primi otto mesi del 2015, dunque da gennaio ad agosto, nella provincia di Caserta gli incendi si siano ridotti di un terzo: 353 nel 2015, contro i 1.089 del 2012. Guardando i dati relativi al solo mese di agosto, noto per essere il periodo in cui si registra il picco del fenomeno, si nota come nella provincia di Caserta si è passati da 201 interventi nel 2012, a 100 nel 2014, e 41 nel 2015. Per quanto concerne la provincia di Napoli, invece, sono stati registrati 248 interventi nel solo mese di agosto 2012, a fronte dei 197 del 2014 e 124 del 2015, dunque, esattamente la metà rispetto al 2012.
  In questa direzione, al fine di rafforzare le misure di vigilanza sul territorio in questione, si collocano le attività svolte dal comitato interministeriale istituito con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 settembre 2014, istituito ai sensi del citato articolo 2, comma 1, del decreto-legge n. 136 del 2010. Si segnala, altresì, che con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 7 dicembre 2015, ai sensi dell'articolo 2, comma 2 del medesimo decreto legge, è stata istituita un'apposita Commissione con il compito di «individuare o potenziare azioni e interventi di monitoraggio e tutela nei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della Regione Campania», diventando così l'organo tecnico-operativo del comitato interministeriale.
  Si segnalano, tra le diverse criticità riscontrate nell'area, quelle relative al ritiro degli pneumatici fuori uso (PFU) abbandonati sul territorio. A tal fine, si fa presente che è stato firmato uno specifico protocollo d'intesa, sulla cui attuazione sovrintende un comitato di vigilanza presieduto e coordinato da questo Ministero, di cui fanno parte i comuni delle province di Napoli e Caserta, le relative prefetture, il consorzio di gestione dei PFU «Ecopneus», l'incaricato del Ministro dell'interno ed il Ministero dell'ambiente stesso; complessivamente, per l'attività di gestione degli pneumatici fuori uso abbandonati ed altre complementari come quelle informative della cittadinanza, il protocollo mette a disposizione circa 4 milioni di euro. Ai sensi del predetto protocollo, i comuni della «terra dei fuochi» raccolgono gli pneumatici abbandonati sul loro territorio e li conferiscono alle isole ecologiche, dalle quali «Ecopneus», con fondi del protocollo, li preleva per gestirli secondo le tecniche usuali. Alla data del 31 dicembre 2015 sono state raccolte circa 817,88 tonnellate di PFU abbandonati per una spesa complessiva finalizzata alla corretta gestione degli stessi per un importo pari a circa 191.050,36 euro.
  Sempre nell'ambito della complessiva operazione di gestione di pneumatici fuori uso è in progetto, previo consenso della magistratura, data la loro attuale condizione di sequestro, lo svuotamento dei siti di Napoli – via Gianturco – e di Marcianise dove sono stoccate rispettivamente circa 6.000 e oltre 10.000 tonnellate di pneumatici fuori uso.
  Altresì, con fondi extra-protocollo, sono state rimosse dalla discarica di Scisciano (NA) circa 8.000 tonnellate di pneumatici.
  Parallelamente alla citata attività di prelievo degli PFU dal territorio, è stata promossa e messa in atto un'attività di sensibilizzazione della popolazione con l'intento di dare impulso alle corrette pratiche di gestione degli PFU, anche da parte di ogni singolo cittadino; concretamente è stata avviata una campagna informativa anche attraverso la diffusione di volantini ed opuscoli, sono stati inoltre realizzati filmati veicolati tramite le televisioni locali, nonché promosse manifestazioni pubbliche con il coinvolgimento della cittadinanza e, specialmente, delle scuole. Altresì, i comuni possono chiedere forniture gratis del cosiddetto polverino al fine della realizzazione di strade, piste ciclabili ed arredo urbano vario.
  Con riferimento alla necessità di istituire un presidio di sorveglianza di pubblica sicurezza
ad hoc per le discariche sotto sequestro e non, si fa presente che il sistema di controllo e vigilanza previsto dal richiamato decreto-legge n. 136 del 10 dicembre 2013 prevede misure e interventi anche per l'area interessata dalla presenza di discariche sotto sequestro. In ogni caso, il comitato interministeriale e la commissione per l'individuazione e il potenziamento delle azioni e degli interventi di monitoraggio per la tutela dei terreni, nelle acque di falda e nei pozzi della regione Campania individueranno gli interventi idonei a rafforzare ed integrare, ove necessario, le misure attuali.
  Inoltre, si segnala che per l'attuazione di quanto previsto dal «Patto per la Terra dei Fuochi» di cui alla delibera di giunta regionale n. 169 del 2013, la regione Campania ha programmato di destinare un importo di euro 7.000.000,00, a valere sui Fondi di Sviluppo e Coesione (FSC) 2007/2013 di cui alla legge n. 1 del 2011, a progetti di investimento per attività di controllo e tutela ambientale presentati dagli enti firmatari del patto, tra cui il comune di Giugliano in Campania.
  Con decreto dirigenziale n. 6 del 30 settembre 2013, l'amministrazione regionale ha emanato l'avviso pubblico per l'assegnazione di finanziamenti ai comuni delle province di Napoli e Caserta per attività di controllo e tutela ambientale atte a contrastare il fenomeno dei roghi.
  Tale bando ha previsto la finanziabilità di due possibili linee di intervento:
a) acquisizione, implementazione/potenziamento e gestione di dispositivi per la videosorveglianza di siti; b) riqualificazione di aree precedentemente interessate da abbandoni e/o roghi di rifiuti già ripulite, finalizzata a prevenire ulteriori fenomeni di abbandono.
  La maggior parte dei siti individuati dai comuni per gli interventi risultano già segnalati alla prefettura e censiti nell'ambito della banca dati Prometeo implementata dall'incaricato del Ministro degli interni per il monitoraggio del fenomeno dei roghi.
  In esito alla verifica di regolarità dei lavori istruttori con decreto dirigenziale 1 del 13 maggio 2014, è stata definita la graduatoria finale delle istanze ammissibili (n. 34) e non ammissibili (n. 5), subordinando l'ammissione al finanziamento alla stipula e all'approvazione di un apposito Accordo di programma quadro, in corso di definizione, tra il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e l'Agenzia per la coesione territoriale e la regione Campania.
  In particolare l'associazione di comuni quali Giugliano in Campania (NA), Melito di Napoli (NA), Parete (NA) e Villaricca (NA), con soggetto capofila il comune di Giugliano in Campania, risulta beneficiario di un importo di euro 1.000.000,00 per il «Video controllo del territorio e della tutela ambientale nell'ambito delle iniziative previste dal “patto terra dei fuochi”». In particolare nel comune di Giugliano in Campania sono previsti n. 24 siti da monitorare nonché la riqualificazione di un'area di 1500 mq, adiacente la scuola di Giugliano, attraverso operazioni di pulizia, piantumazione alberi e manto erboso, perimetrazione a verde, recinzione, ecc. Tale intervento rientra tra quelli non immediatamente cantierabili. La regione, in ordine agli stessi, garantisce contestualmente la sostenibilità finanziaria per un ammontare sufficiente a garantirne la completa realizzazione, nonché la sostenibilità gestionale dell'intervento, relativamente alla capacità del soggetto preposto a garantirne la piena e corretta utilizzazione, una volta ultimati.
  Con riferimento allo stato degli interventi di bonifica ambientale nella regione Campania, si forniscono elementi informativi circa l'area vasta di Giugliano e Laghetti di Castelvolturno, i siti di interesse Nazionale (SIN) di Bagnoli Coroglio e Napoli Orientale e le aree oggetto di interventi di compensazione ambientale. A tale proposito, si richiamano di seguito alcuni elementi già forniti nel corso della mia audizione del 26 gennaio 2015 tenuta presso la commissione parlamentare d'inchiesta sul ciclo dei rifiuti.
  Il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, oltre che sui Siti di bonifica di Interesse nazionale (SIN), è impegnato nell'attuazione di interventi di messa in sicurezza e bonifica in territori della regione Campania, nell'ambito dell'accordo di «Programma strategico per le compensazioni ambientali nella Regione Campania», del 18 luglio 2008 e atto modificativo dell'8 aprile 2009, del valore complessivo di euro 282.000.000,00, cofinanziato dal Ministero dell'ambiente per un importo pari a euro 141.000.000,00 e dalla regione Campania (euro 141.000.000,00).
  L'accordo è finalizzato alla realizzazione di interventi a titolo di compensazione ambientale in quei comuni campani (in totale sono 39) che sono stati coinvolti dalla realizzazione o dall'esercizio degli impianti a vario titolo destinati alla gestione e al superamento dell'emergenza rifiuti. Nell'ambito di tale accordo – che prevede interventi nei settori delle bonifiche, idrico-fognario-depurativo, della difesa del suolo e della riqualificazione urbana – il Ministero dell'ambiente finanzia interventi di messa in sicurezza/bonifica di discariche e siti di stoccaggio rifiuti e rimozione di rifiuti abbandonati, per circa euro 60 milioni. Tali interventi, tuttora in corso di attuazione, sono progettati e realizzati tramite società
in house del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – Sogesid S.p.A.

  Area Vasta di Giugliano e Laghetti di Castelvolturno.

  Il «Litorale Domitio Flegreo ed Agro Aversano» (comprensivo dell'Area Vasta del comune di Giugliano) con decreto ministeriale dell'11 gennaio 2013, in attuazione della legge n. 134 del 2012, è stato cancellato come SIN e, per effetto di tale abolizione, la titolarità del procedimento ai sensi del decreto legislativo n. 152 del 2006 è in capo alla regione Campania.
  Al riguardo, si segnala che sono in corso attività di messa in sicurezza e bonifica dell'Area Vasta di Giugliano in Campania (NA) e dei Laghetti di Castelvolturno (CE) che, fino al 31 dicembre 2015, sono state condotte dal Commissario delegato, mediante l'avvalimento della società Sogesid S.p.A – società
in house del Ministero. Ciò in forza di una specifica convenzione, stipulata in data 07 ottobre 2010 tra il Ministero, la regione Campania, il Commissario delegato e la stessa Sogesid S.p.A. Al riguardo, si precisa che le risorse finanziate ammontano ad un importo pari a euro 39.500.000,00 e riguardano risorse residue derivanti da precedenti gestioni commissariali.
  Le attività previste, in particolare, riguardano la caratterizzazione, la progettazione e la realizzazione di interventi di messa in sicurezza e bonifica sulle aree nel territorio del comune di Giugliano in Campania identificate come ex-RESIT, area vasta in località Masseria del Pozzo-Schiavi, area Novambiente, nonché l'area dei laghetti di Castelvolturno.
  Come già evidenziato, i poteri del Commissario delegato sono cessati il 31 dicembre 2015; conseguentemente, il Commissario ha provveduto a trasmettere una relazione di fine mandato, esplicativa delle attività svolte, in corso e programmate e, parimenti, la Sogesid S.p.A. ha fornito una relazione delle attività convenzionali a dicembre 2015. Ad ogni modo, si fa presente che il termine finale delle attività previste dalla Convenzione è fissato al 31 dicembre 2016.
  Pertanto, il dipartimento della protezione civile ha avviato la necessaria interlocuzione con la regione Campania per l'emanazione di una ordinanza di protezione civile, al fine di regolare il subentro dell'Agenzia regionale campana per la difesa del suolo (ARCADIS) nelle iniziative in questione.

  SIN di Napoli Bagnoli-Coroglio.

  Come è noto, l'articolo 33 del decreto-legge n. 133 del 2014 (cosiddetto «Sblocca Italia») ha individuato il SIN di Napoli Bagnoli-Coroglio quale area di rilevante interesse nazionale, prevedendo, al contempo la nomina di un Commissario straordinario e di un soggetto attuatore (Invitalia S.p.a) cui sono attribuiti i compiti per il risanamento ambientale e la rigenerazione urbana del SIN in questione. A settembre 2015 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 3 settembre 2015) è stato nominato il Commissario straordinario. A ottobre 2015 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 15 ottobre 2015) è stata istituita la prevista cabina di regia che si è insediata il 1o dicembre 2015, coordinata dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Prof. De Vincenti. A riguardo, si segnala che l'articolo 1 del decreto-legge 25 novembre 2015 n. 185, convertito dalla legge n. 9 del 2016, recante misure urgenti per interventi nel territorio, ai fini dell'attuazione di una prima fase del programma di bonifica ambientale e di rigenerazione urbana dell'area di rilevante interesse nazionale nel comprensorio di Bagnoli-Coroglio, ha disposto l'immediato trasferimento al Soggetto attuatore di euro 50 milioni per l'anno 2015.
  Con riferimento allo stato di avanzamento del procedimento in questione, si fornisce, infine, qualche dato percentuale in merito agli interventi effettuati a Bagnoli sulle aree a terra oggetto di caratterizzazione, di messa in sicurezza e sulla relativa approvazione dei progetti di bonifica: la percentuale delle aree caratterizzate è pari al 94 per cento; la percentuale delle aree con progetto di messa in sicurezza/bonifica (approvato in Conferenza di servizi decisoria) è pari al 94 per cento, e la percentuale delle aree con progetto di messa in sicurezza/bonifica (approvato con decreto) è pari al 94 per cento.

  SIN «Napoli Orientale».

  Con riferimento alle iniziative assunte dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per la bonifica del SIN in questione, si rappresenta che il 15 novembre 2007 è stato sottoscritto un «Accordo di Programma per la definizione degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle aree comprese nella perimetrazione del SIN “Napoli Orientale”» tra il Ministero dell'ambiente, il Commissario di Governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque, la regione Campania, la provincia di Napoli, il comune di Napoli e l'autorità portuale di Napoli.
  Le finalità dell'accordo, sono:
a) la progettazione della messa in sicurezza delle acque di falda; b) la bonifica dei suoli e delle falde delle aree pubbliche; c) la bonifica dei suoli e delle falde delle aree private in sostituzione e in danno dei soggetti privati inadempienti; d) la bonifica degli arenili e dei sedimenti delle acque marino costiere.
  Nell'ambito di tale accordo di programma e della convenzione stipulata in data 9 aprile 2008 tra Ministero dell'ambiente, regione Campania, Commissario di Governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque e Sogesid SpA, quest'ultima è stata incaricata di effettuare la progettazione degli interventi relativi alla falda acquifera del SIN di Napoli Orientale, con un progetto unitario che tenga conto anche degli interventi di messa in sicurezza già in atto o da attuare, predisposti dalle aziende insediate nel SIN.

  Il «Progetto definitivo degli interventi di messa in sicurezza d'emergenza e bonifica della falda acquifera» è stato quindi trasmesso dalla Sogesid nel settembre 2015 e discusso nella Conferenza di servizi istruttoria del successivo 7 ottobre e nella riunione tecnica del 2 novembre 2015. Si resta in attesa delle integrazioni richieste in tali sedi, ai fini della approvazione del progetto nella prossima Conferenza di servizi decisoria utile.
  Per quanto concerne la partecipazione di tutti i dati relativi al SIN «Napoli Orientale» si informa che sul sito del Ministero dell'ambiente, nella sezione appositamente dedicata alle attività della Divisione bonifiche e risanamento (
www.bonifiche.minambiente.it) sono disponibili, per il sito in questione: i verbali delle Conferenze di servizi istruttorie e decisorie, i verbali delle riunioni tecniche, i decreti di bonifica redatti, nonché l'Accordo di programma quadro e le Convenzioni stipulate.
  Con l'Accordo di programma del 15 novembre 2007, sono stati previsti lo stanziamento delle seguenti risorse, a copertura degli interventi prioritari ivi previsti:
a) 7 milioni di euro a valere sul Programma nazionale di bonifica e ripristino ambientale (decreto ministeriale n. 468/01); b) 3 milioni di euro a valere sul «Fondo Unico Investimenti».
  I 10 milioni citati, interamente trasferiti al Commissario di Governo per l'emergenza bonifiche e tutela delle acque, risultano parzialmente utilizzati per la sottoscrizione di due distinte convenzioni attuative, rispettivamente in data 21 dicembre 2007 con l'Istituto centrale per la ricerca scientifica e tecnologica applicata al mare (ora Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) per un importo di euro 560.000,00 e in data 9 aprile 2008 con Sogesid SpA per un importo di euro 3.000.000,00. Dalle informazioni in possesso del Ministero dell'ambiente, consta che le risorse previste nella Convenzione con ISPRA sono state interamente erogate all'istituto, mentre quelle previste nella Convenzione con Sogesid sono state erogate per un importo di circa 1,2 milioni di euro.
  Ulteriori risorse stanziate con l'accordo citato sono:
   25 milioni di euro a valere sulle risorse della regione Campania (programmazione unitaria POR FESR 2007/2013); tali risorse non sono più disponibili in quanto il comune di Napoli non ha impegnato e speso tali risorse entro il termine di scadenza previsto del 31 dicembre 2015;
   35 milioni di euro, a valere su risorse del Ministero dell'ambiente – transazioni/danno ambientale. Allo stato sono disponibili euro 12.067.721,62 interamente trasferiti in quota parte alla regione Campania per euro 573.000,00 e al comune di Napoli euro 11.494.716,98.

  Con riferimento all'area della società Kuwait Petroleum Italia SpA, si riferisce che con decreto n. 314 del 2015 è stato approvato il progetto definitivo di bonifica dei suoli, mentre la stessa Kuwait Petroleum ha aderito, in via transattiva, al progetto di bonifica della falda interessante l'intero SIN Napoli Orientale. Per la gestione dei rifiuti presenti nei serbatoi installati nei depositi della società predetta, la competente Direzione generale del Ministero dell'ambiente ha chiesto di comunicare tempestivamente ogni informazione in relazione ad eventuali impatti sulle matrici suoli ed acque di falda coinvolte, nonché le misure di prevenzione del rischio sanitario e ambientale adottate.
  La titolarità del Ministero dell'ambiente per il procedimento di bonifica
ex articolo 242 del testo unico Ambiente consente di garantire un coordinamento di tutti i soggetti obbligati ricadenti in area SIN. Tale coordinamento si è concretizzato nell'Accordo di programma sottoscritto per il SIN di Napoli orientale che ha individuato tra le priorità di intervento la progettazione unitaria degli interventi di messa in sicurezza e bonifica delle acque sotterranee. In ogni caso, si deve rilevare che la corretta applicazione dei principi di responsabilità per gli interventi di bonifica, di derivazione comunitaria (principio «chi inquina paga», stabilito dalla direttiva n. 35 del 2004 CE), comporta la necessità di porre gli interventi a carico dei singoli soggetti responsabili identificati, pertanto una qualche «frammentazione», soprattutto per la bonifica del suolo, può risultare inevitabile.
  Infine, circa la necessità di attivare uno
screening sanitario nell'area di San Giovanni a Teduccio, si comunica che l'istituto superiore di sanità, nell'ambito del decreto sulla «Terra dei Fuochi» del 2014 ha fornito alla regione Campania i «criteri» con cui dovrebbero essere effettuati detti screening, l'attivazione degli stessi, tuttavia, è di competenza regionale.
  Con riferimento, infine, alle compensazioni ambientali nella regione Campania, il Ministero dell'ambiente e della tutela e del territorio e del mare, oltre che sui SIN, è impegnato nell'attuazione di interventi di messa in sicurezza e bonifica in territori della regione Campania, nell'ambito dell'Accordo di «Programma strategico per le compensazioni ambientali nella Regione Campania», del 18 luglio 2008 e Atto modificativo dell'8 aprile 2009, del valore complessivo di euro 282.000.000,00, cofinanziato dal Ministero dell'ambiente per un importo pari a euro 141.000.000,00 e dalla regione Campania per i rimanenti (euro 141.000.000,00).
  L'Accordo è finalizzato alla realizzazione di interventi a titolo di compensazione ambientale in quei comuni campani (in totale sono 39) che sono stati coinvolti dalla realizzazione o dall'esercizio degli impianti a vario titolo destinati alla gestione e al superamento dell'emergenza rifiuti. Nell'ambito di tale Accordo – che prevede interventi nei settori delle bonifiche, idrico-fognario-depurativo, della difesa del suolo e della riqualificazione urbana – il Ministero dell'ambiente finanzia interventi di messa in sicurezza/bonifica di discariche e siti di stoccaggio rifiuti e rimozione di rifiuti abbandonati, per circa euro 60 milioni. Tali interventi, tuttora in corso di attuazione, sono progettati e realizzati tramite società
in house del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare – Sogesid S.p.A.
Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   REALACCI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come si evince da numerose agenzie stampa nazionali e da articoli di quotidiani locali e nazionali è chiaramente visibile come sulla sommità del «Palazzo della civiltà Italiana», meglio conosciuto come «Colosseo Quadrato», nel quartiere E.U.R. di Roma, sia spuntata, quasi all'improvviso, una struttura rettangolare in acciaio con grandi vetrate. Detta struttura è evidentemente eterogenea rispetto alle linee «pure» del citato monumento razionalista;
   l'edificio è attualmente locato dalla società pubblica EUR s.p.a alla Maison Fendi, detenuta dal gruppo francese LVMH Moët Hennessy Louis Vuitton S.A., che stabilirà nel mese di ottobre 2015 lì il suo quartier generale romano fino al 2028;
   allertati da liberi cittadini ivi residenti per lo sfregio del sospetto abuso sul tetto del «Colosseo quadrato», i poliziotti di Roma Capitale hanno fatto un sopralluogo al Palazzo della Civiltà italiana per le dovute verifiche sulla grossa struttura posta sul tetto dell'edificio monumentale. I vigili, come riporta anche l'agenzia Ansa, il 16 ottobre 2015, hanno perciò ritenuto opportuno preparare un'informativa urgente all'autorità giudiziaria «in modo da permettere al giudice in caso egli ravvisi eventuali ipotesi di reato, di aprire un fascicolo e nominare una consulenza tecnica»;
   il Palazzo della Civiltà italiana, talora anche chiamato della Civiltà del lavoro, è uno dei simboli più importanti di Roma ed è un edificio monumentale che si trova all'EUR: splendido quartiere della Roma moderna e tra i rarissimi esempi di architettura razionalista del mondo. Concepito fin dal 1936 e progettato nel 1937, la sua costruzione iniziò nel luglio 1938 e fu inaugurato, benché incompleto, nel 1940. La struttura è a pianta quadrata e appare come un parallelepipedo a quattro facce uguali, con struttura in cemento armato e copertura interamente in travertino; presenta 54 archi per facciata, 9 in linea e 6 in colonna, e in ragione di ciò è stato ribattezzato anche «Colosseo quadrato»;
   detto edificio è stato ufficialmente dichiarato dal Ministero per i beni e le attività culturali e del turismo edificio di interesse culturale ex decreto legislativo n. 42 del 2004, ed è quindi vincolato a soli usi espositivi e museali e le sue caratteristiche architettoniche, peraltro dalla forma peculiare, sono rigidamente vincolate –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti; se, di concerto con gli uffici preposti del comune di Roma Capitale, intenda verificare celermente la legittimità, la conformità con la disciplina dettata dal decreto legislativo n. 42 del 2004 e l'esitenza del relativo iter autorizzativo dell'intervento aggiuntivo sul tetto del Colosseo Quadrato, accertando, nel caso fosse stato permesso, quali valutazioni architettoniche siano state effettuate, su quali basi e da quale ufficio territorialmente competente del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo; se non si ritenga opportuno assumer iniziative per la completa e rapida rimozione delle sopraddette strutture in vetro e acciaio sulla sommità del Palazzo della civiltà italiana, appurando al tempo stesso se anche all'interno del monumento tutelato siano stati eseguiti altri interventi architettonici non autorizzati. (4-10793)

  Risposta. — Si riscontra l'interrogazione parlamentare in esame, nella quale, con riferimento alla costruzione di una struttura sulla sommità del palazzo della civiltà italiana, detto «colosseo quadrato» nel quartiere di Roma Eur, si chiede di sapere se il Ministero intenda verificare l’iter autorizzativo dell'intervento aggiuntivo e se non si ritenga opportuno rimuovere tempestivamente la struttura.
  Riguardo alla questione sollevata dall'interrogante, la soprintendenza competente preposta alla tutela ha precisato che la società Fendi ha presentato istanza, con nota dell'ottobre 2015, per l'allestimento di strutture temporanee in occasione dell'evento Fendi Roma-inaugurazione della sede del Palazzo della civiltà italiana, previsto in data 22 ottobre 2015.
  Gli allestimenti temporanei previsti erano i seguenti:
   allestimenti esterni (antistanti il palazzo della civiltà italiana);
   allestimenti terrazza (palazzo della civiltà italiana);
   allestimento illuminotecnico (antistanti il palazzo della civiltà italiana).

  La predetta soprintendenza, con una nota dell'ottobre 2015, riteneva ammissibile, con alcune condizioni, lo svolgimento della manifestazione temporanea in questione.
  Inoltre, in data 16 ottobre 2015 è stato effettuato un sopralluogo da un funzionario della soprintendenza, nel corso del quale veniva verificato che la struttura temporanea era corrispondente a quanto dichiarato dalla società Fendi e quindi ritenuta ammissibile.
  Si evidenzia che tutti gli allestimenti sono stati strettamente temporanei e collegati all'evento descritto, dunque tempestivamente smontati subito dopo l'evento stesso.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoIlaria Carla Anna Borletti dell'Acqua.


   RIGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   straordinari eventi meteorologici hanno interessato tutto il territorio provinciale di Massa-Carrara già negli anni 2010 e 2012 e successivamente nel mese di novembre 2014;
   si tratta di una straordinarietà che, purtroppo, nel corso di questi ultimi anni, sta divenendo quasi «ordinarietà»;
   si è trattato di eventi alluvionali assolutamente non prevedibili con punte di pioggia cumulata di oltre 279 millimetri nell'arco di sole 48 ore, è piovuto quindi sul territorio provinciale qualcosa come 32 volte la media giornaliera standard;
   il territorio si è trovato in un'emergenza idrogeologica e alluvionale, con frane, smottamenti, strade chiuse, crolli, palazzi interi pericolanti, case distrutte, negozi e botteghe artigianali severamente danneggiate;
   le operazioni di messa in sicurezza del territorio e il ripristino dei danni che si sono generati richiede uno sforzo finanziario molto ingente;
   si sottolinea positivamente che è avvenuto un contributo di euro cinquemila dalle autorità competenti in favore di famiglie che hanno subito i danni alluvionali ma nessun contributo è stato erogato a favore di attività artigiano-commerciali;
   in particolare a Marina di Carrara, tutto il tessuto artigiano-commerciale di piccola e media dimensione, che vanta ben 240 esercizi, perlopiù a conduzione familiare, non ha mai beneficiato di contributi economici né dalla regione Toscana né dal Governo e, in un periodo già di prolungata congiuntura economica negativa, non riesce più a sostenere le ingenti spese per il ripristino degli esercizi commerciali, danneggiati dalle ripetute alluvioni, che necessitano di urgenti lavori di ristrutturazione –:
   se non ritenga di dover prevedere specifici interventi finanziari, così come già adottato in passato per analoghi eventi calamitosi nel Paese, in favore della comunità commerciale di Marina di Carrara al fine di far fronte alle citate emergenze e per la messa in sicurezza, le riparazioni, il risarcimento dei danni e il riavvio delle attività commerciali. (4-09117)

  Risposta. — A seguito delle eccezionali avversità atmosferiche che hanno colpito il territorio delle province di Grosseto, Livorno, Massa Carrara e Pisa nei giorni dall'11 al 14 ottobre 2014 ed il territorio delle province di Lucca e Massa Carrara nei giorni dal 5 al 7 novembre 2014, con delibera del Consiglio dei ministri del 12 dicembre 2014 è stato dichiarato lo stato di emergenza per centottanta giorni, assegnando la somma di euro 21.971.000,00. Successivamente è stata adottata l'ordinanza del Capo del dipartimento della protezione civile, n. 215 del 24 dicembre 2014. Il commissario delegato pro tempore dottor Antonino Mario Melara (Dirigente del settore sistema regionale di protezione civile), nominato ai sensi dell'articolo 1, comma 1 della suddetta ordinanza, per fronteggiare l'emergenza derivante dagli eventi calamitosi in argomento, ha formulato il piano dei primi interventi urgenti approvato dal Capo del dipartimento ai sensi dell'articolo 1, comma 3 della citata ordinanza con la nota DPC/RIA/0008905 del 18 febbraio 2015. Il piano è stato successivamente rimodulato ed approvato con la missiva RIA/0028354 del 5 giugno 2015 e prevede numerosi interventi di somma urgenza e di riduzione del rischio idraulico sul torrente Carrione.
  Secondo gli articoli 5, 6, 7, 8 e 9 dell'ordinanza n. 215 del 2014 il commissario delegato
pro tempore ha effettuato la ricognizione dei fabbisogni per il ripristino del patrimonio pubblico, di quello edilizio privato e dei danni subiti dalle attività economiche e produttive, in particolare per quest'ultimo ambito il costo totale del danno ammonta ad euro 23.823.470,65 (di cui euro 7.837.399,80 per il ripristino strutturale e funzionale, euro 9.648.687,51 per ripristino macchinari e attrezzature ed euro 6.337.383,34 per acquisto merci danneggiate).
  Altresì, si fa presente che l'articolo 26 del disegno di legge recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», si prefigge lo scopo di consentire l'avvio delle prime misure di ristoro dei danni subiti dalle attività economiche e produttive e dal patrimonio edilizio privato, a seguito di eventi calamitosi per i quali il percorso di ricognizione e quantificazione dei fabbisogni, previsto dalla lettera
d) del comma 2, dell'articolo 5 della legge 24 febbraio 1992, n. 225, sia stato completato e verificato dal dipartimento della protezione civile. Per tali finalità i soggetti autorizzati all'esercizio del credito operanti nei territori individuati nelle deliberazioni del Consiglio dei ministri possono contrarre finanziamenti secondo contratti tipo, definiti con apposita convenzione con l'Associazione bancaria italiana, assistiti dalla garanzia dello Stato, ai sensi dell'articolo 5, comma 7, lettera a), secondo periodo, del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, numero 326, nel limite massimo di 1.500 milioni di euro. Con decreti del Ministero dell'economia e delle finanze è concessa la garanzia dello Stato e ne sono definiti i criteri e le modalità operative. Per quanto invece riguarda le modalità di fruizione del credito di imposta, le stesse verranno stabilite con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate nel limite di 60 milioni di euro annui a decorrere dal 2016. Infine si rende noto che le modalità attuative, della suddetta disposizione normativa, saranno definite con ordinanze del capo del dipartimento della protezione civile, d'intesa con le regioni interessate e di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   RIZZO e BASILIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 13, novembre 2015, a causa dei gravi attenti di Parigi che hanno causato la morte di 130 civili, si sono intensificate anche sul suolo italiano le attività di controllo e pattugliamento dei centinaia di potenziali obiettivi a rischio delle cellule terroristiche di matrice Daesh;
   da Roma a Milano, da Torino a Firenze migliaia sono gli uomini delle forze dell'ordine impegnati quotidianamente a garantire il controllo del territorio;
   come emerso da alcuni servizi giornalistici de « Il Giornale» e della trasmissione TV « Ballarò» «i poliziotti italiani sono costretti a vigilare gli obiettivi sensibili in piena emergenza terrorismo spesso con pochi giubbotti antiproiettile e, qualora ne siano dotati, con materiali scaduti (i giubbotti durano dieci anni)», ad utilizzare autovetture con oltre 240.000 chilometri di percorrenza e a fare servizio in strutture immobiliari al limite dell'agibilità;
   proprio tramite la trasmissione RAI del 24 novembre 2015 scorso due agenti di polizia spiegano come non vengano garantiti standard di addestramento e di attrezzatura all'altezza del compito che si trovano ad affrontare quotidianamente;
   successivamente alla messa in onda di detto servizio, il questore di Roma, Nicolò D'Angelo, ha disposto l'apertura di un fascicolo d'inchiesta interna per le dichiarazioni rilasciate dai due poliziotti in servizio in un commissariato romano;
   si apprende, così, che l'inchiesta è «a carico di persone dichiaratesi appartenenti alla Polizia di Stato, attualmente in fase di identificazione», in quanto gli agenti «hanno reso dichiarazioni che recano un grave pregiudizio all'immagine della Polizia, alimentando la percezione di insicurezza dei cittadini»;
   l'interrogante, ritiene grave l'atteggiamento della questura di Roma in un momento in cui non si dovrebbero distogliere ulteriormente uomini per una indagine interna e ritiene d'interesse pubblico denunciare presso le sedi preposte le gravi condizioni di disagio ed il rischio a cui sono soggetti gli uomini e le donne impegnati quotidianamente a garanzia e tutela dei cittadini –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti sopra menzionati;
   quali iniziative abbia già preso per garantire l'aggiornamento dei mezzi e delle attrezzature in dotazione al personale e quali garanzie possa offrire sulla preparazione dello stesso;
   se non intenda aprire una verifica interna per accertare se la grave situazione di mezzi e attrezzature non sia da ricondurre ad inadempienze e lungaggini di carattere burocratico amministrativo nell'ambito del Ministero stesso. (4-11347)

  Risposta. — In relazione alla vicenda su cui verte l'interrogazione in esame, si informa che il 9 dicembre 2015 il capo della polizia, su motivata proposta del questore di Roma, ha sospeso cautelarmente dal servizio un dipendente avente la qualifica di assistente capo.
  Il provvedimento è stato motivato da gravi motivi disciplinari anche alla luce del grave pregiudizio arrecato dal predetto all'immagine e al prestigio dell'amministrazione in ragione dell'ampia risonanza mediatica dell'episodio che si riassume brevemente di seguito.
  L'assistente capo, in divisa, con voce camuffata e il volto oscurato, ha reso un'intervista mandata in onda durante la trasmissione televisiva di Rai 3 «Ballarò», nel corso della quale ha rilasciato dichiarazioni non autorizzate su argomenti riservati, mostrando ai giornalisti materiale obsoleto e deteriorato in dotazione alla polizia di Stato.
  Dalla ricostruzione dei fatti è stato possibile appurare che il dipendente aveva prelevato materiale di vecchio tipo per poi esibirlo durante l'intervista.
  Per quanto sopra, si ritiene che il provvedimento in questione sia stato adottato in corretta applicazione della normativa vigente.
  Si soggiunge che, in considerazione della grave condotta posta in essere, l'assistente capo è stato altresì denunciato alla procura della Repubblica per i reati di peculato, abuso d'ufficio e diffusione di notizie false, esagerate o tendenziose atte a turbare l'ordine pubblico nonché per abbandono del posto di servizio.
  Quanto, invece, all'inadeguatezza delle attrezzature in dotazione al personale della polizia di Stato, si premette che è in atto un generale ricambio ed ammodernamento delle dotazioni complessive, in particolare, dei giubbetti antiproiettile.
  Al riguardo, si evidenzia innanzitutto che l'articolo 1, comma 967, della legge 28 dicembre 2015, n. 208, recante «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato» ha istituito nello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze un fondo con una dotazione finanziaria di 50 milioni di euro per l'anno 2016, destinato all'ammodernamento delle dotazioni strumentali e delle attrezzature anche di protezione personale in uso alle Forze di polizia e al Corpo nazionale dei vigili del fuoco. La stessa disposizione ha autorizzato, sempre per l'anno corrente, la spesa di 10 milioni di euro per il rinnovo e l'adeguamento della dotazione dei giubbotti antiproiettile della polizia di Stato.
  Si sottolinea altresì che già nel 2014, grazie alle risorse finanziarie messe a disposizione nello stesso anno dal «cosiddetto decreto stadi» (decreto-legge n. 119 del 2014, convertito dalla legge n. 146 del 2014), è iniziato il programma di sostituzione dei giubbetti antiproiettile esterni, per i quali – in relazione all'approssimarsi del decimo anno di vita – non sarebbe stata più operante la garanzia offerta dalla casa produttrice.
  Sul punto è necessario chiarire che la scadenza decennale riguarda soltanto il profilo giuridico dell'azionabilità della garanzia, ma non determina affatto la perdita automatica del requisito balistico del giubbetto, ragion per cui non viene messa in pericolo l'incolumità dell'operatore.
  Il giubbetto può essere di regola utilizzato anche oltre il termine di dieci anni a seguito dell'effettuazione di test balistici. Nonostante ciò, l'Amministrazione della pubblica sicurezza ha, comunque, deciso di procedere alla sostituzione dei giubbetti alla scadenza della garanzia.
  In particolare, nel 2015 sono già stati distribuiti 3.216 nuovi giubbetti, e, a cominciare dai primi mesi del 2016, ne verranno distribuiti ulteriori 13.000.
  Si informa, inoltre, che per il breve periodo in cui i dispositivi resteranno in uso agli operatori anche dopo il termine della predetta garanzia dei dieci anni, in attesa dell'arrivo dei nuovi, si sta provvedendo ad effettuare, presso il banco di prova di Gardone Val Trompia, in provincia di Brescia, prove a fuoco su un campione significativo, al fine di testare il mantenimento del requisito balistico.
  A tale riguardo si rappresenta che i giubbetti prodotti nel 2005 hanno superato le prove ed è stata pertanto concessa una proroga d'uso per il tempo necessario al rinnovo delle dotazioni.
  In merito alle garanzie che l'amministrazione della pubblica sicurezza può offrire sulla preparazione professionale del personale della polizia di Stato, si evidenzia che la Direzione centrale per gli istituti di istruzione del Dipartimento della pubblica sicurezza è costantemente e significativamente impegnata nell'organizzazione e nella gestione dell'attività formativa anche di carattere specialistico, finalizzata a dotare gli operatori di polizia di conoscenze professionali specifiche in relazione a particolari servizi, impieghi e contesti operativi.
  In tale ambito, la predetta direzione pianifica le proprie attività tenendo conto dei fenomeni più rilevanti in termini di allarme sociale e delle criticità collegate all'attuale scenario internazionale. Pertanto, attualmente, l'addestramento in materia di tecniche operative è orientato anche su tematiche inerenti alle possibili situazioni di pericolo collegate alla minaccia terroristica.
  In proposito, si segnala che una specifica attività di aggiornamento è stata destinata agli istruttori di tecniche operative presenti nelle varie province, al fine di uniformare le modalità di intervento e le misure di autotutela, nonché di diffondere i contenuti addestrativi che si sono rivelati più efficaci.
  L'iniziativa ha interessato 120 istruttori, che a loro volta hanno formato altri 502 istruttori in servizio nelle province di rispettiva provenienza, consentendo «a cascata» l'addestramento nelle tecniche di intervento antiterrorismo di ben 33.906 operatori della Polizia di Stato nelle rispettive sedi di servizio. La programmazione di questa intensa attività di aggiornamento continuerà anche nel 2016.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.


   RONDINI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   da articoli di stampa si è appreso che nel comune di Settala vi sia un'associazione che utilizza i locali nei quali svolge la propria attività come luogo di culto;
   il problema è stato sollevato dai consiglieri di minoranza con diverse interrogazioni rivolte al sindaco ed all'assessore competente;
   le risposte ricevute sono state assolutamente insufficienti e lacunose, soprattutto alla luce delle risultanze del sopralluogo effettuato dalla polizia municipale, durante quale sarebbe stato rilevato «per quanto attiene all'arredo del vano posto al piano terra, si precisa che il pavimento della parte sottostante il soppalco risultava coperta di tappeti, mentre la rimanente porzione era pavimentata a moquette... I rappresentanti presenti riferivano che la parte pavimentata a tappeti, dove trovava posto una poltrona sulla quale siede un Imam che a volte partecipa alle riunioni dell'Associazione, viene utilizzata dai soci (40 o 50 persone), che si trovano incidentalmente nei locali nei momenti stabiliti dalla Religione Musulmana, per la preghiera comunitaria»;
   dalle risposte date dagli associati ai verbalizzanti sembrerebbe evincersi che si tratti di luogo di culto, a differenza di quanto dichiarato dal sindaco –:
   di quali elementi disponga il Ministro interrogato in relazione a quanto esposto in premessa e se e quali iniziative di competenza siano state assunte dalla prefettura e dalle forze dell'ordine nell'ambito delle consuete attività di monitoraggio in materia di ordine pubblico. (4-10600)

  Risposta. — Si premette, in linea generale, che la regolarità, sotto il profilo urbanistico, dei locali adibiti a luoghi di culto è materia che esula dalle dirette competenze del Ministero dell'interno, ricadendo invece nelle specifiche attribuzioni degli enti locali.
  Pur tuttavia, va sottolineato che la tematica interseca quella dell'esercizio in forma associativa del diritto di libertà religiosa. Diritto che, come sancito dalla Corte costituzionale con diverse sentenze vertenti sull'edificazione dei luoghi di culto, va garantito in strutture a ciò idonee, anche con riguardo alle confessioni non riconosciute.
  Tanto premesso, con riferimento al tema specifico evidenziato con l'interrogazione in oggetto, si rappresenta che l'associazione islamica
Al Hikma, costituita l'8 novembre 2013 ad opera di un gruppo di immigrati marocchini, ha sede legale nel comune di Settala in località Caleppio.
  Dal mese di marzo 2014, la sede «operativa» dell'organismo si trova all'interno di un capannone ubicato al chilometro 10 della strada provinciale 415, sempre a Settala. Essa è dotata di un ingresso indipendente e si trova lontano da abitazioni.
  L'amministrazione comunale di Settala, sentita sulla problematica sollevata dall'interrogante, ha riferito che nel mese di marzo dello scorso anno è stato eseguito un sopralluogo presso i locali occupati dall'associazione, per accertare eventuali abusi edilizi e verificare, altresì, se la destinazione d'uso dell'immobile fosse stata modificata da commerciale a luogo di culto. La stessa amministrazione, in data 31 marzo 2015, ha comunicato ai proprietari dell'immobile e al legale rappresentante dell'associazione l'avvio del procedimento ai sensi dell'articolo 7 della legge n. 241 del 1990, chiedendo di fornire tutti i documenti e le informazioni ritenute utili e pertinenti ai fini dell'accertamento dell'effettivo uso dei locali.
  Al termine dell'istruttoria, il comune ha ritenuto che non sussistessero elementi tali da poter dichiarare che il luogo occupato dall'associazione fosse utilizzato in via esclusiva quale luogo di culto. Ha concluso pertanto – anche sulla base della giurisprudenza del Consiglio di Stato – che la sede dell'organismo potesse permanere nei locali in questione.
  Sotto i profili dell'ordine e della sicurezza pubblica, non si sono registrate finora particolari problematiche, come attestato, peraltro, dal fatto che alla compagnia carabinieri di San Donato Milanese, territorialmente competente, non sono mai pervenute richieste di intervento.
  Per quanto riguarda le iniziative assunte dalle Forze di polizia, si rappresenta che gli accertamenti compiuti non hanno evidenziato precedenti penali nei riguardi dei tre soci fondatori (che rivestono anche l'incarico di membri del consiglio direttivo), ad eccezione di M. S., il quale è stato deferito all'autorità giudiziaria nel 1997, per violazione della disciplina degli stupefacenti, ed è stato querelato, nel 2013, per appropriazione indebita. In ogni caso i predetti hanno sempre manifestato e tenuto comportamenti rispettosi e collaborativi con le istituzioni.
  È stato verificato, altresì, che i frequentatori dell'associazione sono per la grande maggioranza cittadini marocchini e in minima parte pakistani e senegalesi e che l'affluenza durante la preghiera comunitaria del venerdì è di circa 100 persone. Si tratta di soli uomini, in quanto al momento non è ancora previsto uno spazio per le donne. La funzione di imam viene svolta dal marocchino Y. Z., regolarmente soggiornante in Italia.
  Risulta che sia intenzione dei responsabili dell'associazione, oltreché continuare ad organizzare preghiere, pianificare corsi per l'insegnamento dell'arabo e del Corano, sia per adulti che per bambini, anche di altre confessioni religiose.
  Si soggiunge, infine, che il sodalizio è associato alla Confederazione islamica Italiana che riunisce, con funzioni di coordinamento, i luoghi di culto a guida marocchina in Italia, attraverso il contributo delle autorità del regno del Marocco.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   RUBINATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con l'interrogazione n. 5-04863 del mese di febbraio 2015 era stato già messo in luce come, a seguito di un episodio occorso a Treviso il 16 febbraio 2015, in cui un contingente di circa 35 profughi era stato invitato a disperdersi dopo esser stato fotografato dalla questura e sottoposto alle visite mediche, la locale prefettura non aveva trovato alcuna struttura disponibile per la loro accoglienza e i profughi avevano trascorso la notte in un pullman davanti alla stazione; nell'atto citato si faceva presente inoltre al Ministro dell'interno come le nuove ondate di migranti avrebbero rischiato di creare forti tensioni in Veneto, dove gli amministratori locali devono già gestire una considerevole presenza di lavoratori extracomunitari, regolarmente integrata, che si è poi ritrovata senza lavoro a causa del perdurare degli effetti della crisi, oltre al problema degli stessi cittadini residenti sfrattati e rimasti senza casa dopo aver perso il lavoro, come rilevato dalla presidente di Anci Veneto, Maria Rosa Pavanello;
   veniva altresì sottolineato che il presidente della regione Luca Zaia aveva dichiarato sulla stampa che «non ha mai firmato il cd. Patto per l'accoglienza di Luglio», nonostante dal verbale della Conferenza unificata Stato, regioni e autonomie locali del 10 luglio 2014 anche la regione Veneto risulti essere stata parte dell'intesa per fronteggiare il flusso straordinario di cittadini extracomunitari; si evidenziava che il numero delle Commissioni per gestire le richieste d'asilo in costante crescita e fornire risposte in tempi adeguati era assolutamente non congruo; si chiedeva quindi quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intendesse adottare, di concerto con la regione stessa, per dare effettiva attuazione alla sopracitata intesa e per porre i prefetti e gli amministratori locali nelle condizioni di supportare in modo sostenibile, sia sul piano economico che amministrativo, le procedure di accoglienza;
   nonostante le azioni intraprese dal Governo, ad oggi non è stata data ancora piena attuazione ai contenuti dell'intesa, salvo che per il raddoppio delle Commissioni, il cui lavoro è comunque ancora inadeguato essendoci migranti presenti nelle strutture da quasi un anno che non sono stati ancora chiamati per il colloquio; così se da un lato il Governo continua ad inviare contingenti di migranti, per distribuirli in modo equo e sostenibile sui vari territori, dall'altro la regione non presta alcuna collaborazione ai prefetti e agli enti locali (salvo garantire il dovuto presidio sanitario) per reperire strutture diffuse per l'accoglienza, di modo che gli amministratori locali vedono l'emergenza ricadere sui loro territori senza alcuna forma di pianificazione e gli stessi cittadini percepiscono una situazione di disorganizzazione e disordine che alimenta un clima di timore ed insicurezza;
   nonostante una minoranza di comuni collaborativi e lo straordinario impegno delle locali associazioni del terzo settore abbiano consentito di ospitare in modo decoroso una parte rilevante degli arrivi, in questo ultimo periodo la situazione è diventata insostenibile in diverse località del Veneto, come ad esempio nel comune di Eraclea (Venezia), una località balneare per famiglie, dove circa 250 migranti sono da oltre un mese in un residence dove una coop onlus ha preso in affitto 63 unità immobiliari per l'ospitalità; tutt'attorno i proprietari delle case o gli affittuari degli appartamenti sono furibondi, mentre il sindaco denuncia un danno al settore turistico locale che, tra prenotazioni annullate e minori presenze, vale un calo di oltre il 20 per cento; da ultimo, ad Eraclea si è registrata la ribellione degli immigrati, seguita dalle proteste di turisti e commercianti;
   in particolare, poi nella Marca Trevigiana (l'area territoriale che si estende attorno alla città di Treviso), dopo l'episodio del febbraio 2015 si sono verificati una serie di eventi non adeguatamente governati che stanno mettendo a dura prova gli amministratori locali più responsabili ed i rappresentanti delle associazioni che si occupano dell'accoglienza, creando dissidi tra i rappresentanti delle istituzioni al punto che sui media sono state riportate dichiarazioni contrastanti sulla stessa efficacia della gestione da parte del prefetto, a quanto consta all'interrogante contestata da taluni sindaci, mentre la stessa riceveva il plauso da parte dei massimi esponenti leghisti, quali il presidente della provincia e quello della regione per aver affermato nel maggio 2015 che «nella Marca non c’è più posto»;
   in particolare, il 10 giugno 2015, un centinaio di migranti sono giunti nella provincia di Treviso nell'arco di poco più di ventiquattro ore, e a seguito dell'impossibilità per i centri di accoglienza presenti in loco di accoglierli tutti il prefetto ha adottato in tutta fretta una soluzione provvisoria di emergenza, inviando una cinquantina di questi alla caserma Salsa di Treviso, una struttura del tutto inadatta poiché non rispetta neppure le condizioni minime igienico-sanitarie, né gli standard regionali di accoglienza previsti, ragion per cui è intervenuta, facendosene carico, la Caritas di Treviso;
   il 1° luglio 2015, di fronte ad un ulteriore contingente di 130 rifugiati destinato alla Marca, ottanta persone circa sono state collocate in via provvisoria dalla prefettura – a seguito di un accordo dell'ultimo minuto raggiunto con le Ferrovie dello Stato – in un locale dentro la stazione di Treviso, l'ennesima sistemazione del tutto inadeguata, giunta dopo una nota inviata dal prefetto ai 95 sindaci di quest'area nella quale si sosteneva, tra le altre cose, che «in assenza di una prospettiva di sistemazione» i «richiedenti asilo sarebbero stati collocati in spazi pubblici della provincia a partire dal capoluogo»; stante l'insostenibilità anche igienico-sanitaria della collocazione è quindi intervenuta l'amministrazione comunale di Treviso per trovare un'altra sistemazione provvisoria per alcuni giorni nell'area cosiddetta della ex Dogana;
   il 14 luglio 2015, a Villorba, a ridosso del casello di Treviso nord, sono stati letteralmente «scaricati» da un autobus, arrivato dalla Turchia attraverso i Balcani e che si è immediatamente dileguato, altri 47 richiedenti asilo, provenienti da Pakistan e Afghanistan, cosa che ha acuito una situazione già al collasso per la gestione degli arrivi smistati dallo Stato nella Marca trevigiana; il sindaco di Villorba li ha fatti salire su un pullman, portandoli a sua volta nella città capoluogo dove sono stati presi in carico per l'identificazione dai carabinieri;
   da ultimo, il 16 luglio 2015, alle prime luci dell'alba un centinaio di migranti provenienti da due strutture di accoglienza temporanea della Marca sono stati trasferiti su disposizione della prefettura, sembra senza alcun preavviso, nel comune di Quinto in trenta appartamenti ancora vuoti di due condomini di proprietà del gruppo Guaraldo (in concordato preventivo), alle porte del capoluogo;
   quando i residenti degli altri appartamenti hanno visto i 101 profughi (96 uomini e 5 donne provenienti da Nigeria, Costa d'Avorio e Pakistan) scendere da due corriere ed entrare negli appartamenti accanto ai loro è scoppiato il pandemonio. Gli abitanti sono subito scesi in cortile e hanno dato vita a un duro sit-in, proseguito nella notte, avendo deciso di dormire nelle tende montate in cortile; la protesta dapprima pacifica è poi esplosa in rivolta dopo la mezzanotte, quando un gruppo di persone è entrato in un locale del piano terra usato come magazzino, tirandone fuori materassi, reti, divani, televisori ed incendiandoli e aggredendo il custode della cooperativa sociale Xenia di Grosseto incaricata dalla prefettura di occuparsi dell'accoglienza dei migranti; il giorno successivo la prefettura ha poi deciso di trasferire i migranti alla caserma Serena, mentre una trentina di giovani dell'associazione ZTL occupava l'ingresso della prefettura di Treviso per protesta contro il prefetto; gli stessi venivano portati poi di peso dalle forze dell'ordine in tenuta antisommossa in questura per l'identificazione;
   la percezione di insicurezza e l'allarme diffuso tra i cittadini a seguito di tali episodi ad avviso dell'interrogante sono strumentalizzati da talune forze politiche ed alcuni amministratori locali, oltre che alimentati dalla mancanza di una fattiva collaborazione con le prefetture del presidente della regione; inoltre, espressioni utilizzate da quest'ultimo, quali ad esempio «Stanno africanizzando il Veneto» e ancora «Quella del Prefetto è una dichiarazione di guerra», a giudizio dell'interrogante favoriscono l'alzarsi della tensione sociale e anche l'insorgere di forme di intolleranza e xenofobia nei confronti dei migranti, nonostante la maggioranza dei veneti sia costituita da persone tolleranti ed accoglienti; infine l'esito ottenuto dagli abitanti protagonisti della rivolta di Quinto – che va stigmatizzata, anche se scatenata dalla decisione sbagliata di collocare un numero elevato di profughi in palazzine abitate da poche famiglie residenti – rischia di scatenare l'emulazione, visti i titoli già apparsi sulla stampa, quali ad esempio «Salvini e i ribelli di Quinto ora infiammano Eraclea “Faremo così ovunque”»;
   è evidente che un fenomeno migratorio di queste dimensioni necessita di soluzioni ampie e di lungo periodo a livello europeo e internazionale, ma appare anche necessario di fronte all'emergenza sistematica sui territori regionali assumere iniziative urgenti a livello nazionale, anche di carattere normativo, atte a garantire la possibilità di effettuare le procedure di identificazione direttamente nelle strutture di prima accoglienza dopo l'approdo sulle coste italiane, attuando rapidamente il rimpatrio di chi risulta in modo evidente non essere un rifugiato;
   inoltre, al fine di realizzare una accoglienza equilibrata e sostenibile, appare più opportuno individuare in regioni come il Veneto, anziché un unico hub regionale, troppo grande e di difficile gestione, un hub più piccolo in ogni provincia utilizzando caserme (dismesse, ma anche parzialmente in uso, ove fattibile d'intesa tra i Ministeri della difesa e dell'interno), previamente individuate sul territorio e attrezzate, al fine di garantire il rispetto delle condizioni minime di accoglienza per un periodo determinato, evitando rischi di ghettizzazione; in tali strutture vanno approntati in collaborazione con le associazioni del terzo settore anche servizi per favorire l'integrazione (formazione, apprendimento della lingua e altro) al fine di consentire poi una accoglienza diffusa di piccolissimi gruppi di migranti sul territorio in collaborazione con le associazioni e gli enti locali e il loro coinvolgimento in attività/lavori socialmente utili, per evitare che rimangano a lungo inattivi;
   è urgente altresì individuare meccanismi alternativi atti a garantire una velocizzazione delle procedure di esame delle domande dei richiedenti asilo, al fine di consentire da un lato a tutti i richiedenti asilo una risposta certa, in un tempo ragionevole, e di permettere, dall'altro, la turnazione dei migranti accolti nelle strutture di accoglienza –:
   se e quali iniziative urgenti, anche sul piano normativo, intenda adottare per fronteggiare l'emergenza in atto nella regione Veneto ed in particolare nella provincia di Treviso, per prevenire ulteriori episodi di disordine e violenza, al fine da un lato di mettere i comuni e le associazioni del terzo settore che ospitano i migranti nelle condizioni effettive di offrire un'accoglienza dignitosa a quanti fuggono da guerre e persecuzioni, approntando piccoli hub provinciali funzionali alla successiva accoglienza diffusa con percorsi di concreta integrazione attraverso attività di formazione e lavori socialmente utili, e dall'altro di velocizzare i tempi di esame e risposta alle richieste di protezione internazionale in modo da procedere in tempi sostenibili al rimpatrio di chi risulta non averne diritto. (4-12194)

  Risposta. — Con l'interrogazione in esame l'interrogante, nel richiamare alcuni episodi di turbativa e violenza verificatisi nei mesi di giugno e luglio dello scorso anno in occasione dell'arrivo di numerosi migranti nei centri di accoglienza presenti nella Marca Trevigiana, chiede al Ministro dell'interno urgenti iniziative, anche di tipo normativo, volte, da un alto, a prevenire ulteriori tensioni, dall'altro, a favorire una maggiore speditezza nel disbrigo delle istanze di riconoscimento della protezione internazionale.
  Con riferimento al tema dell'accoglienza, si premettono alcune considerazioni di carattere generale, ricordando che il sistema nazionale viene gestito a regime secondo una logica di partenariato con le regioni e gli enti locali, fermo restando che le risorse finanziarie sono a carico dello Stato.
  Più in particolare, la distribuzione dei migranti sul territorio nazionale avviene secondo criteri di ripartizione regionale individuati dal tavolo di coordinamento nazionale presso il Viminale, previa intesa con la conferenza unificata. Ai tavoli regionali, presieduti dai prefetti del capoluogo di regione, è affidato il compito di declinare quegli stessi criteri nel loro ambito di competenza territoriale. Ai fini dell'attivazione in concreto delle strutture di accoglienza, sono chiamati in causa infine i prefetti e i comuni, che costituiscono – gli uni e gli altri – gli effettivi terminali del sistema sul territorio.
  Per altro verso, segnalo che la
governance del sistema di accoglienza si sta orientando sempre più verso l'insediamento di piccoli gruppi di stranieri in centri di dimensione più contenuta e meno popolosi in considerazione delle maggiori opportunità che essi offrono per un'efficace integrazione, capace di andare anche a vantaggio delle stesse comunità.
  Si sottolinea, inoltre, che, sempre in un'ottica di maggior coinvolgimento del territorio, da tempo viene seguita la prassi di operare con il sostegno delle realtà locali di insediamento, allo scopo di scongiurare la percezione che il fenomeno sia gestito secondo principi autoritari e con soluzioni imposte dall'alto.
  Tale prassi è stata di recente codificata con il decreto legislativo n. 142 del 2015 in cui si è stabilito che i prefetti, prima di attivare strutture straordinarie, debbano sentire i sindaci interessati, in maniera che la collocazione dei migranti possa avvenire con il minore impatto possibile e nel pieno rispetto delle autonomie.
  In tale contesto di riferimento, il Governo è impegnato su più fronti a garantire l'efficienza del complesso sistema di accoglienza, sostenendo tutte le iniziative in grado di garantire un equilibrio tra esigenze umanitarie e di sicurezza.
  Lo sforzo che tutti gli attori istituzionali coinvolti stanno producendo è senz'altro notevole. Allo stato attuale sono circa 106 mila le persone accolte nelle varie tipologie di strutture di accoglienza sul territorio nazionale, di cui 8 mila, pari all'8 per cento del totale, nella regione Veneto.
  Tanto premesso e venendo specificamente alla situazione del Trevigiano, si rappresenta che la gestione dell'accoglienza ha dato e tuttora sta dando luogo a momenti di criticità a causa delle oggettive difficoltà di reperire idonee sistemazioni alloggiative per gli stranieri.
  Ad oggi le strutture di accoglienza realizzate sono sostanzialmente sature e si riesce solo con grosse difficoltà ad assicurare l'accoglienza ai più di 1.400 migranti in atto ospitati.
  La prefettura di Treviso è impegnata in maniera costante e senza risparmio di energie nella ricerca di ogni possibile soluzione che possa garantire una dignitosa accoglienza dei contingenti di migranti che giungono in provincia.
  È in atto da tempo un confronto diretto e quotidiano con gli amministratori locali, al fine di individuare e condividere soluzioni alloggiative che possano coniugare i doveri dell'accoglienza con le esigenze e le sensibilità dei territori.
  Ciò si pone proprio nella direzione suggerita dall'interrogante ossia quella della costruzione di una sorta di «accoglienza diffusa» a minore impatto sul tessuto sociale delle singole realtà locali.
  E tuttavia, va registrato che attualmente i centri di accoglienza sono presenti solo in 35 comuni sui 95 della provincia, a fronte di un contingente di migranti ospitati pari a circa 1.400 unità.
  E, inoltre, si fa rilevare che l'ultimo bando per il reperimento di siti per l'accoglienza dei migranti è andato parzialmente deserto, come già tutti i precedenti. Infatti, i posti offerti sono stati circa 900 rispetto ad un fabbisogno di 1.428 posti messi a bando.
  In tale situazione, l'obiettivo di garantire forme di accoglienza diffusa, al fine di assicurare minori concentrazioni di presenze nei territori, risulta di difficile realizzazione.
  Ed è per questo motivo che la prefettura sta parallelamente ricercando ulteriori soluzioni allocative indispensabili a gestire i nuovi arrivi di migranti.
  In tal senso, già dallo scorso anno essa sta utilizzando una struttura militare in disuso – l'ex caserma Serena – per assicurare l'immediata disponibilità di posti ed evitare di dover sistemare i profughi in arrivo, in condizioni che potrebbero destare allarme sociale e potenziali problemi di ordine pubblico.
  Ora, si stanno valutando gli opportuni interventi da intraprendere per consentire l'utilizzo dell'immobile della ex caserma Zanusso nel comune di Oderzo, di cui la prefettura è venuta in possesso recentemente.
  Inoltre sono state avviate le procedure per ottenere la concessione in uso governativo di una ex struttura militare sita a Vittorio Veneto.
  Si fa presente, d'altra parte – e con questo si risponde a un'ulteriore sollecitazione contenuta nell'interrogazione – che, nell'ottica di favorire l'integrazione dei migranti ospitati, la prefettura ha stipulato, il 29 settembre scorso, un protocollo d'intesa con 15 enti locali coinvolti nell'accoglienza, finalizzato all'impiego dei migranti medesimi in attività socialmente utili.
  Quanto alla rete delle commissioni territoriali per il riconoscimento della protezione internazionale, si condivide l'importanza di assicurarne la piena efficienza, nel convincimento che si tratti di una condizione ineludibile per garantire la fluidità del sistema di accoglienza.
  Sotto questo profilo, si ricorda che, con il contributo determinante del Parlamento, questo Governo ha introdotto alcune misure organizzative volte ad accelerare e semplificare i procedimenti di riconoscimento. In particolare, è stata stabilita la possibilità di istituire nuove commissioni territoriali con le relative sezioni, portandone il numero massimo teorico da 20 a 50, e sono stati introdotti anche i colloqui
one to one in luogo dei colloqui collegiali.
  Sempre per ottimizzare i tempi di definizione delle procedure, sono state previste norme che consentono di operare deroghe alla competenza territoriale delle commissioni, realizzando in tal modo una distribuzione più omogenea dei carichi di lavoro e conseguentemente un esame più spedito delle istanze.
  Tali misure hanno già prodotto apprezzabili risultati, come è attestato dal dato, estremamente significativo, che le decisioni assunte nel 2015 sono sostanzialmente raddoppiate rispetto all'anno precedente (+96 per cento).
  Relativamente ai tempi di esame delle istanze, considerando il periodo intercorrente tra la formalizzazione della domanda e l'adozione del relativo provvedimento, si rende noto che si è passati dai 341 giorni occorrenti per le domande formalizzate nell'anno 2013 ai 173 giorni per le domande formalizzate nell'anno 2015.
  E si attendono risultati ancora più significativi nel prosieguo, considerato che le neoistituite commissioni e sezioni stanno operando a pieno ritmo e non è stato ancora del tutto raggiunto il loro tetto massimo, essendone state attivate 42 su 50.
  Si prevede che, nel breve termine, saranno operative altre 5 sezioni, tra cui quella di Vicenza per la quale è stato già adottato il provvedimento istitutivo nell'ambito della commissione territoriale di Verona.

Il Sottosegretario di Stato per l'internoDomenico Manzione.


   SAMMARCO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Papa Francesco, con l'emanazione della Bolla papale «Misericordiae vultus» ha indetto, in data 11 aprile 2015, il Giubileo straordinario, con apertura il prossimo 8 dicembre 2015;
   con la deliberazione n. 274 del 6 agosto 2015 la Giunta Capitolina ha approvato il «Piano degli interventi per il Giubileo»;
   con il decreto del Presidente del Consiglio dei ministri il Governo ha affidato al prefetto Gabrielli il coordinamento delle attività riguardanti l'Anno Santo;
   il piano di interventi previsti dal comune di Roma è stato approvato dal Consiglio dei ministri ai sensi del comma 1-bis dell'articolo 10 del decreto legislativo n. 61 del 2012 e verrà attuato mediante ordinanze del sindaco «anche in deroga ad ogni disposizione di legge e comunque nel rispetto dei principi generali dell'ordinamento giuridico», nei limiti e con i criteri indicati nella medesima deliberazione del Consiglio dei ministri;
   stando ad atti di sindacato ispettivo presentati in assemblea capitolina, i tecnici avrebbero fatto ampio ricorso alla procedura ristretta semplificata per gli appalti di lavori ex articolo 123 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   sembrerebbe che, al fine di rientrare nella cifra di cui alla soglia prevista dall'articolo 123 del decreto legislativo n. 163 del 2006 nelle procedure per la realizzazione delle opere sull'intero tratto del lungotevere si sia provveduto a dividere in più interventi un'unica opera il cui importo scenderebbe così sotto il milione di euro per ogni singolo intervento –:
   se, per il tramite del prefetto Gabrielli, il Governo sia a conoscenza della procedura utilizzata e se sia stato informato dalle modalità con le quali si sia provveduto a suddividere in più interventi un'unica opera, con il rischio di incorrere nel cosiddetto frazionamento della spesa;
   se quanto sopra esposto rispondesse al vero, quali iniziative di competenza il Governo, anche per il tramite del prefetto Gabrielli, intenda porre in essere al riguardo. (4-10518)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  A far data dagli inizi del mese di settembre scorso, il comune di Roma capitale e l'Autorità nazionale anticorruzione hanno avviato un fattivo rapporto di collaborazione in virtù della delibera del 27 agosto 2015 della Presidenza del Consiglio dei ministri, finalizzato ad intraprendere i controlli di legittimità sulle procedure di gara afferenti al giubileo.
  L'attenzione è stata incentrata, fin dal principio, sugli affidamenti dei lavori di riqualificazione stradale già deliberati dalla Giunta capitolina, in data 13 agosto, per circa 28 milioni di euro a fronte dei 50 complessivamente autorizzati dal Ministero dell'economia e delle finanze.
  Nel citato contesto, in particolare, sono state individuate 12 procedure dall'importo unitario inferiore al milione di euro, tutte relative ad interventi sul Lungotevere ed equamente ripartite tra la riva destra e quella sinistra.
  La stazione appaltante ha giustificato il ricorso alla molteplicità di procedure negoziate sotto soglia (vedi articolo 122, comma 7, del decreto legislativo n. 163 del 2006) con le seguenti motivazioni:
   l'impossibilità di bandire gare causa la necessità di garantire la conclusione dei lavori in data utile per il giubileo e di impegnare la somma di 50 milioni di euro entro la data del 31 dicembre 2016;
   la conseguenza di poter ricorrere esclusivamente a procedure negoziate sotto la soglia di 1 milione di euro (
ex articolo 122 del codice dei contratti pubblici).

  Nella medesima sede, tuttavia, l'autorità ha acclarato la configurazione di artificiosi «frazionamenti» e stigmatizzato l'arbitrario ed elusivo ricorso all'istituto degli affidamenti sotto la soglia di 1 milione di euro.
  L'amministrazione capitolina ha conseguentemente optato per la diversa procedura negoziata senza previa pubblicazione di un bando di gara ai sensi dell'articolo 57 del Codice dei contratti pubblici, definitivamente abbandonando l'ipotesi iniziale
ex articolo 122.
  L'autorità ha dunque sottoposto al parere preventivo
ex articolo 30 del decreto-legge n. 90 del 2014, convertito nella legge n. 114 del 2014, gli atti di gara di due distinte procedure di affidamenti, rispettivamente articolate nelle due corsie viarie del lungotevere (riva destra e riva sinistra) e ciascuna di importo inferiore a cinque milioni di euro.
  I controlli hanno consentito di appurare, tenuto conto dei limiti giurisprudenziali, la legittimità delle due commesse in ragione dei presupposti di estrema urgenza, di cui al comma 2, lettera
c), della norma codicistica, invocati dal comune di Roma per potersi avvalere della specifica tipologia di appalto.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   SBROLLINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il maltempo che si è abbattuto sul Veneto in queste settimane, ha determinato una situazione addirittura peggiore di quella dell'alluvione del 2010;
   in particolare, la pioggia torrenziale caduta sul territorio vicentino ha messo in ginocchio l'agricoltura: campagne sott'acqua a Vicenza, Creazzo, Monteviale, Costabissara, Gambugliano, Altavilla, Arcugnano, Caldogno; frane e smottamenti collinari a Sossano, Agugliaro, Albettone, S. Germano, Grancona, Villaga, Barbarano, Mossano, Nanto, Castegnero;
   oltre ai danni alle strutture, si riscontra un'importante riduzione della produzione. Tuttavia, essendo l'emergenza pioggia ancora in corso, è prematura la stima definitiva dei danni. Le coltivazioni interessate sono foraggere, frumento, ortaggi, vigneti, prati e mais ceroso presente nelle corti delle aziende agricole;
   come denunciano Coldiretti e Confagricoltura, la causa di tale drammatica situazione è da rintracciare nella scarsa attenzione dedicata in questi anni al territorio e, in particolare, nella cementificazione dello stesso –:
   se il Governo non intenda intervenire con urgenza al fine di stanziare le risorse necessarie per gestire l'emergenza in corso e partecipare a porre rimedio agli ingenti danni subiti dal settore agricoltura a causa della piovosità eccezionale;
   se e come il Governo intenda procedere per attivare politiche incisive atte ad un consumo sostenibile del territorio italiano. (4-03568)

  Risposta. — Con riguardo all'anomala ondata di maltempo che, nei mesi di gennaio e febbraio 2014, ha colpito la regione Veneto provocando disagi al settore agricolo, faccio presente che, con decreto ministeriale 15 ottobre 2014, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica italiana n. 248 del 24 ottobre 2014, è stata accolta la richiesta della regione Veneto ed attivati gli interventi compensativi del fondo di solidarietà nazionale ai sensi del decreto legislativo 29 marzo 2004, n. 102.
  Pertanto, alle imprese agricole danneggiate che abbiano presentato domanda alla regione Veneto entro il termine di 45 giorni dalla pubblicazione del decreto di declaratoria, possono essere erogati contributi in conto capitale per il ripristino delle strutture aziendali danneggiate.

Il Ministro delle politiche agricole alimentari e forestaliMaurizio Martina.


   SCOTTO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il Monte Faito è una cima campana che raggiunge i 1131 metri sopra il livello del mare;
   alle sue pendici comincia il parco regionale dei Monti Lattari;
   nonostante la bellezza e l'importanza di tale parco, tutte le vie d'accesso sono attualmente chiuse;
   la funivia che, da oltre 60 anni saliva da Castellammare, si è fermata nel settembre del 2012, ufficialmente per lavori di adeguamento strutturale (messa in sicurezza e adeguamento alle normative);
   sono stati stanziati per tali lavori circa due milioni di euro attraverso fondi regionali, ma sui tempi di riapertura nessuno si sbilancia;
   l'altra via d'accesso su quello stesso versante era la strada che parte dalla Reggia del Quisisana, fatta costruire dal conte Giusso durante lo scorso secolo, ma è stata inibita alla viabilità perché troppo stretta, nonostante fino all'anno scorso pendolari, residenti, addetti ai ripetitori radio-televisivi e villeggianti continuassero ad utilizzarla;
   questa strada non ha retto all'incuria e alla devastazione, perché il taglio abusivo di alberi a scopo di lucro e la conseguente occlusione dei valloni di convogliamento delle acque, sapientemente previsti dagli ingegneri che la realizzarono, hanno provocato frane e smottamenti, rendendola di fatto impraticabile;
   il rischio idrogeologico è particolarmente alto nel tratto tra Scanzano e Pozzano, frazioni di Castellammare, ma intanto i primi tornanti continuano ad essere frequentati da coppie e da sversatori abusivi di rifiuti;
   rimaneva dunque utilizzabile solo l'ex strada statale 269, oggi strada provinciale, che da Vico Equense portava su verso la cima, ma il 4 marzo scorso un grosso macigno è franato all'altezza del km 12,700, bloccando il passaggio;
   per qualche giorno il macigno è rimasto lì, senza che nessuno intervenisse, dopodiché sono stati avvisati i vigili del fuoco, che però, una volta giunti sul posto, non hanno potuto che chiudere la viabilità per il rischio frane, in attesa della messa in sicurezza del costone di roccia;
   tale opera di messa in sicurezza ad oggi non è ancora avvenuta;
   negli scorsi giorni una squadra di operai ha provveduto a frammentare e a rimuovere il grosso masso, ma resta immutata l'ordinanza n. 78 del 7 marzo scorso con la quale il comune di Vico Equense ha disposto la chiusura della strada;
   per i nuclei familiari residenti, i lavoratori delle stazioni di ripetizione dei segnali Rai e Mediaset, gli esercenti ed i proprietari di case superstiti dopo la miriade di abbandoni degli ultimi 20 anni, la situazione è paradossale: difatti seguendo le disposizioni del divieto i bambini non potrebbero più andare a scuola, gli adulti a lavoro, né a rifornirsi di generi di necessità (gli esercizi aperti sono in tutto 8, considerando anche il bar, i rifugi e i ristoranti), i tecnici dei ripetitori e gli esercenti non potrebbero andare a lavorare, i proprietari vedrebbero sospesa la possibilità di raggiungere le proprie case, il cui valore immobiliare è bassissimo ed i cui costi sono spaventosi (la manutenzione infatti, vista la durezza del clima, raggiunge cifre molto elevate);
   come se non bastasse il danno, per i proprietari ci sono anche le beffe: se non si paga un servizio di vigilanza avere uno o più furti in casa è praticamente una certezza, ed inoltre le rendite catastali fissate dal comune di Vico Equense per la zona sono equiparate a quelle di Capri e Sorrento, con il risultato che si affrontano ingenti spese fiscali senza ricevere quasi nessun servizio;
   il parco regionale dei Monti Lattari, istituito il 13 novembre del 2003 con decreto del presidente della giunta regionale della Campania n. 781 è tuttora praticamente una legge rimasta sulla carta;
   lo scenario è tragico, come si capisce non appena arrivati nei pressi della salita della Reggia Borbonica del Quisisana a Castellammare, recentemente ristrutturata e circondata da un verde lussureggiante;
   come già accennato, infatti, la strada costruita sulla traccia di una vecchia mulattiera da Girolamo Giusso, antico proprietario del Faito, alpinista e ambientalista ante litteram, in diversi punti presenta discariche improvvisate, con scarpe vecchie, lattine, giocattoli rotti, secchi di vernice vuoti, tubi, cesti, bottiglie di plastica, materassi, frigoriferi da bar, parabrezza di auto, materiale da demolizione edilizia, pneumatici e pannelli di amianto che si affollano oltre i tornanti o lungo sentieri tracciati perpendicolarmente dalle vie del taglio abusivo;
   percorrendo i viali dei giardini della Reggia borbonica in direzione Pimonte le cose non migliorano: sono visibili segni di frane e smottamenti, ma soprattutto i torrenti sono chiaramente usati come sversatoi;
   in quei punti sono rintracciabili alcuni pannelli di amianto rinchiusi in teloni cerati dai vigili del fuoco;
   sul Faito, distribuite su un territorio di poche decine di chilometri quadrati, vivono fisse una ventina di famiglie;
   eppure vi sono tra le duecento e le trecento abitazioni, un terzo delle quali abbandonate;
   queste abitazioni sono il retaggio di una fase storica in cui erano attivi un maneggio ed una stazione sciistica, un ufficio postale, una stazione dei carabinieri, un cinema, una pompa di benzina ed una fattoria;
   attualmente anche le poche attività commerciali ancora presenti sono a rischio di fallimento;
   un'ulteriore problematica legata a quell'area consiste nei tagli abusivi effettuati sulla strada privata del Quisisana, quest'anno estesi anche alle zone interne, peraltro molto più battute;
   non sono bastate le molte segnalazioni effettuate agli organi competenti dalla Pro-Faito Onlus, associazione che raccoglie cittadinanza e turisti abituali;
   recentemente il taglio di un pino all'altezza del chilometro 14,200 della strada provinciale 269, ha provocato danni ai fili della rete elettrica, lasciando senza luce per diversi giorni alcune famiglie residenti, e sulla strada che da Pian del Pero porta alla Conocchia è ben visibile l'attività di taglio nel faggeto circostante;
   l'ente che si occupa del parco regionale dei Monti Lattari presenta una serie di problematiche: possiede un organigramma ma mancano alcuni organi, ha una sede ma non ha dipendenti sufficienti ad espletare i diversi compiti;
   nel territorio in questione sono purtroppo all'ordine del giorno fenomeni di abusivismo edilizio, sversamento di rifiuti, bracconaggio, gestione non regolamentata del patrimonio forestale, incendi, dissesto idrogeologico, abbandono della rete sentieristica ed una costante perdita di biodiversità, identità storica e culturale –:
   se il Ministro sia a conoscenza degli esposti in premessa;
   quali misure abbia già preso in merito e quali azioni intenda intraprendere a riguardo e, in particolare se non ritenga opportuno ed urgente intervenire al fine di impedire ulteriori sversamenti di rifiuti incrementando il controllo del territorio. (4-04259)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, tenuto conto delle informazioni acquisite dagli enti territoriali competenti, circa lo stato dell'area del Monte Faito ricadente nel territorio dell'ente parco regionale dei Monti Lattari, si rappresenta quanto segue.
  L'Ente Parco, in data 13 novembre 2015, ha comunicato di aver, già dal mese di aprile del 2014, riaperto la strada statale 267 quale principale via carrabile di accesso all'area montana del territorio del comune di Vico Equense (NA).
  Per quel che riguarda la riapertura della funivia, l'Ente sta svolgendo un ruolo attivo partecipando al tavolo tecnico istituito in seno alla regione Campania, mentre per quel che riguarda il ripristino della via di accesso dal comune di Castellammare di Stabia all'area del Monte Faito, si segnala che ogni previsione di recupero dovrà tener conto di un adeguato sistema di messa in sicurezza dell'intera area interessata con particolare riguardo al rischio del dissesto idrogeologico.
  Infine, in merito allo sversamento dei rifiuti nell'area, si segnala che le attività di vigilanza in capo all'ente non sono ancora state attivate in quanto manca la nomina del direttore del Parco, nonché il personale tecnico assegnato dalla regione. In ogni caso l'Ente Parco ha rappresentato che ha tempestivamente segnalato, nei casi dovuti, agli enti e ai soggetti competenti i presunti reati ambientali di cui è venuto a conoscenza.
  Ad ogni modo, ferma restando la competenza regionale in materia, il Ministero ha chiesto alla regione Campania di essere informato sull'evolversi della situazione, anche al fine dell'eventuale coinvolgimento di altri soggetti istituzionali competenti.

Il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mareGian Luca Galletti.


   SCOTTO, PAGLIA e RICCIATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 20 gennaio 2015 il FattoQuotidiano.it ha pubblicato un articolo a firma di Giuseppe Alberto Falci e Antonio Pitoni dal titolo «Palazzo Chigi, nuovo codice etico: bavaglio ai dipendenti. Contestazioni» ove si legge che con un decreto del il Presidente del Consiglio dei ministri del 16 settembre 2014 è stato introdotto il nuovo «Codice di comportamento e di tutela della dignità e dell'etica dei dirigenti e dei dipendenti» che si sostanzia in un vero e proprio giro di vite, rispetto alla normativa entrata in vigore con il precedente Esecutivo, la cui approvazione avrebbe generato particolari tensioni e malumori nella sede della Presidenza del Consiglio dei ministri. In particolare, nel citato articolo viene evidenziato come un alto dirigente di palazzo Chigi sia costretto al silenzio dalla nuova normativa restrittiva imposta e che il confronto tra il nuovo testo e il precedente spiegherebbe da solo «il radicale cambio di rotta»;
   nonostante l'obbligo di astenersi «da dichiarazioni pubbliche offensive nei confronti dell'amministrazione», il vecchio codice di comportamento faceva salvo «il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni a tutela dei diritti sindacali». In sostanza, con il precedente Esecutivo guidato dall'onorevole Enrico Letta, a tutti i dirigenti e dipendenti veniva riconosciuto il diritto di critica purché il suo esercizio non scadesse nell'offesa. Nella nuova formulazione della norma, invece, lo stesso diritto viene fatto salvo solo «nell'esercizio dell'attività sindacale», ovvero garantito solo ai rappresentanti dei lavoratori, con la conseguenza che il semplice dipendente è obbligato ad astenersi «dal fornire ai mezzi di comunicazione qualunque informazione attinente il contesto organizzativo» o alle attività d'ufficio senza «previa autorizzazione». «Insomma, una norma» si legge ancora nell'articolo «che sembra scritta con lo scopo di tenere i giornalisti lontani da Palazzo Chigi, obbligandoli a passare esclusivamente dall'ufficio stampa»;
   il citato provvedimento, inoltre, per quanto risulta all'interrogante, sembrerebbe essere stato accompagnato da roventi polemiche nei giorni della sua approvazione da parte dei rappresentanti sindacali perché le restrizioni del diritto di critica e della libertà di parola rappresentano imposizioni assurde e inaccettabili in uno Stato democratico come il nostro;
   il diritto di critica è infatti, espressione della democrazia di un Paese ed è un diritto tutelato costituzionalmente (Articolo 21 Cost.) e il diritto di critica dei lavoratori come pure il diritto di critica sindacale rivestono una particolare importanza nell'ambito del nostro ordinamento giuridico perché incentrati sulla salvaguardia del valore della persone che la manifestano nell'ambito dei rapporti di forza;
   da quando si è insediato l'attuale Governo diversi articoli diffusi dalla stampa nazionale e locale hanno stigmatizzato l'operato e le scelte compiute dall'Esecutivo sotto vari profili;
   inoltre, va segnalato che in vari atti di sindacato ispettivo è stata posta la questione della nomina, fortemente voluta, a quanto pare, dal Presidente del Consiglio, della dottoressa Manzione a capo del DAGL (dipartimento per gli affari giuridici legislativi), nonostante l'avviso contrario già manifestato dalla Corte dei Conti, e sebbene la stessa dottoressa Manzione non risultasse in possesso dei requisiti formali previsti dall'articolo 23, comma 7, della legge n. 400 del 1988, né avesse, come si evince dal suo curriculum vitae, la necessaria esperienza e professionalità richieste per l'espletamento dell'incarico in questione, non avendo mai svolto funzioni riconducibili all'attività normativa del Governo; si è chiesto se corrispondesse al vero che dal 1° aprile 2014, giorno delle dimissioni del precedente capo del dipartimento per gli affari giuridici e amministrativi, lo stesso dipartimento fosse rimasto privo di un titolare, e chi avesse svolto in quel periodo le fondamentali funzioni di coordinamento dell'attività normativa del governo e di interlocuzione con la Presidenza della Repubblica spettanti al DAGL e richiamate in premessa, in mancanza del titolare del dipartimento;
   il Gruppo Parlamentare Sinistra Ecologia e Libertà – ritenendo che a capo del DAGL fosse stata nominata una persona di qualificazione sicuramente inferiore rispetto ad altre personalità che in precedenza avevano rivestito lo stesso ruolo come il Professor Ugo Patroni Griffi o il consigliere Claudio Zucchelli – si è sempre astenuto dall'esprimere una posizione al riguardo;
   pur tuttavia, si deve riconoscere che da quando si è insediato l'attuale Governo, quasi tutti i provvedimenti legislativi da questo emanati hanno seguito un iter di esame e di approvazione del tutto insolito, come non era mai accaduto con i precedenti Governi guidati da Prodi, Monti, Letta e addirittura Berlusconi;
   quasi tutti i provvedimenti legislativi di natura governativa presentati dall'attuale sono stati per lo più ridiscussi e riscritti interamente: tra questi il cosiddetto decreto-legge «Competitività», il cosiddetto decreto-legge «Sblocca Italia», il Documento di economia e finanza, la nota di aggiornamento al DEF, la legge di stabilità 2015 il cui maxiemendamento ha avuto un iter travagliato per il ritardo nella presentazione della relazione tecnica bollinata dalla ragioneria, decreti attuativi del cosiddetto «Job Act» su cui si sta ancora dibattendo circa la sussistenza di profili di incostituzionalità ed infine, l'esempio più eclatante, rappresentato dal decreto attuativo della legge di delega fiscale dove chiaramente il Consiglio dei ministri ha approvato un testo che non sembrava neanche conoscere;
   si rileva, inoltre, che differenza dei precedenti Esecutivi che si sono susseguiti in questi ultimi anni sembrerebbe venuta sostanzialmente meno in seno alla Presidenza del Consiglio dei ministri la fase del cosiddetto Pre-Consiglio, propedeutica alla preparazione del Consiglio dei ministri vero è proprio;
   in questi ultimi giorni, peraltro, numerosi articoli di stampa nazionale hanno messo in luce:
    come sia stato presentato un emendamento dell'Esecutivo al cosiddetto «disegno di legge Anticorruzione» attualmente in discussione al Senato riproponendo letteralmente lo stesso testo voluto dalla maggioranza berlusconiana nel 2003 con cui si propone la non punibilità sotto il 5 per cento dell'utile e dell'1 per cento del patrimonio netto che salvò l'allora Premier nel processo Sme;
    come sia il caso che addirittura la procura della Repubblica indaghi sulla cosiddetta norma «Salva Silvio» contenuta delega fiscale approvata alla vigilia di Natale, testo a cui successivamente una «manina» – si è scoperto, per stessa ammissione dell'interessato, che era quella del Premier – ha poi aggiunto successivamente (il 19-bis, che stabiliva la depenalizzazione di evasione e frode fiscale al di sotto della soglia del 3 per cento dell'imponibile) e solo qualche giorno prima, il 21 dicembre, in occasione del voto sulla legge di stabilità, i senatori si erano ritrovati ad approvare un testo sbagliato, incompleto e che non avevano letto. Due situazioni molto diverse, ma che hanno in comune quella che agli interroganti appare una faciloneria inaccettabile;
   come già evidenziato da emeriti costituzionalisti come il professor Pace ed il professor Federico Sorrentino questo modo di fare è molto preoccupante. Esiste un'allarmante disinvoltura, che non è solo degli ultimi mesi, per la quale il Consiglio dei ministri delibera un provvedimento e solo dopo qualche giorno il testo viene confezionato. Molte volte non viene nemmeno riportato in Consiglio dei ministri. Ci sono stati decreti legge pubblicati anche dieci giorni dopo la delibera, perché il testo non era stato definito. Molte volte sono passati intervalli imbarazzanti tra la data in cui il Consiglio dei ministri risultava aver approvato in linea di massima un certo provvedimento e la data in cui il provvedimento (magari un decreto urgente) veniva pubblicato. Nel caso dell'articolo 19-bis, secondo i costituzionalisti citati, si andrebbe ben oltre l'irregolarità e ci si troverebbe di fronte ad un reato vero e proprio, ovvero un falso in atto pubblico perché l'articolo 19-bis è stato inserito dopo la delibera del Consiglio dei ministri e la sostanza di quel nuovo articolo non è cosa banale, ma una scelta che ha un rilievo politico significativo. Doveva essere perlomeno riportato in Consiglio dei ministri, affinché il Governo nella sua collegialità ne assumesse la responsabilità;
   ad avviso dei citati costituzionalisti, si tratterebbe di un reato commesso nell'esercizio delle funzioni del Ministro o del Presidente del Consiglio. Occorre che di esso si occupi il tribunale dei ministri. È un fatto di una gravità straordinaria, passato sotto silenzio. O meglio: è stato coperto da risolini, da battute, da «manine». Invece sembrerebbe trattarsi di una cosa estremamente seria. Il falso in atto pubblico è procedibile d'ufficio e a questo punto la procura di Roma – di fronte al Presidente del Consiglio che ammette di aver messo lui la «manina» – dovrebbe trasmettere la cosiddetta notitia criminis al competente tribunale dei ministri. L'obbligatorietà dell'azione penale impone del resto, a seguito delle dichiarazioni del Presidente del Consiglio, che ha ammesso il fatto, si proceda alle necessarie indagini che per un Premier, un Ministro o comunque un funzionario pubblico è particolarmente grave;
   occorre fare immediata chiarezza su quanto sta accadendo nell'ambito della Presidenza del Consiglio e su come funzioni attualmente il DAGL (dipartimento per gli affari giuridici e legislativi) che dovrebbe rappresentare la massima espressione tecnica dell'attività legislativa di promanazione del Governo esercitata da funzionari pubblici;
   molto spesso si è portati a dire che un errore tecnico è sempre sintomatico di un errore politico. Ma quando gli errori sono troppi e pedissequamente ripetuti nel tempo, molto spesso dietro gli errori tecnici si può anche nascondere qualche cosa che supera la volontà politica, di cui l'assenza di una cabina di regia rappresenta il primo elemento indicativo –:
   se il Presidente del Consiglio non intenda immediatamente abrogare il decreto, emanato il 16 settembre 2014 con cui è stato introdotto il nuovo «codice di comportamento e di tutela della dignità e dell'etica dei dirigenti e dei dipendenti» perché le restrizioni del diritto di critica e della libertà di parola rappresentano imposizioni gravissime in uno Stato democratico come il nostro, oltre che incompatibili con i principi fondanti della Carta Costituzionale che disciplinano la libertà di manifestazione del pensiero;
   se il Presidente del Consiglio non intenda chiarire pubblicamente come funzioni concretamente il DAGL (dipartimento per gli affari giuridici e legislativi), quali siano i motivi per cui, come sembrerebbe, non vengano più svolte sedute di Pre-Consiglio dei ministri propedeutiche al Consiglio dei ministri, quali siano i funzionari pubblici operanti presso il dipartimento per gli affari giuridici e legislativi e che mansioni concretamente svolgano, se vi siano collaborazioni esterne da parte di privati e, in caso affermativo, chi siano e come vengano pagati;
   se il Presidente del Consiglio non intenda chiarire in modo puntuale e preciso come e perché siano state inserite nuove norme nel decreto attuativo della delega fiscale approvato dal Consiglio dei ministri alla vigilia di Natale e se vi sia stata una bollinatura da parte della ragioneria generale dello Stato o anche un semplice via libera. (4-07616)

  Risposta. — In riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Premesso che il Codice prevede innanzitutto norme e principi a tutela della dignità delle lavoratrici dei lavoratori e che la disposizione richiamata rappresenta un aspetto evidentemente molto limitato rispetto all'ampio contenuto del Codice stesso, si ritiene utile partire dalla lettura delle parti interessate. Esse sono contenute nei seguenti commi:
   
Art. 12. – Comportamento in servizio – comma 6: Fermo restando quanto stabilito dal comma 3 dell'articolo 13, al dipendente è fatto divieto di diffondere e pubblicare, anche tramite social network, notizie ed informazioni di cui sia a conoscenza per ragione del proprio ufficio. Ugualmente, si astiene da pubblicare su siti leggibili da più persone, nel rispetto della libertà del diritto di corrispondenza, dichiarazioni offensive nei confronti dell'amministrazione, dei colleghi e collaboratori.
   
Art. 13. – Rapporti con il pubblico – comma 3: Il dipendente, salvo il diritto di esprimere valutazioni e diffondere informazioni nell'esercizio dell'attività sindacale, non rilascia dichiarazioni che possano nuocere al prestigio ed all'immagine dell'Amministrazione e si astiene dal fornire ai mezzi di comunicazione qualunque informazione attinente il contesto organizzativo ovvero le attività d'ufficio, eccettuate quelle già pubblicate ai sensi della normativa vigente, al di fuori dei casi di previa autorizzazione.

  Il testo, sul punto specifico, è stato oggetto di modifica a seguito di proposte di rettifica pervenute in sede di consultazione pubblica ed attraverso l'esame del comitato unico di garanzia.
  La
ratio della norma non è limitare il diritto di manifestazione del pensiero e di critica di cui all'articolo 21 della Costituzione né il legittimo esercizio delle attività sindacali. La disposizione di cui al citato articolo 13 è, invece, volta a regolare il rilascio delle dichiarazioni pubbliche da parte dei dipendenti al fine di offrire ai cittadini una corretta e completa informazione per il tramite delle strutture a ciò istituzionalmente deputate, anche tenuto conto delle particolari funzioni e della natura delle attività svolte dalla Presidenza del Consiglio dei ministri, ed evitare che vengano rilasciate dichiarazione lesive dell'immagine e del decoro dell'amministrazione. D'altronde le informazioni circa il contesto organizzativo della Presidenza del Consiglio dei ministri (struttura organizzativa) e le attività svolte dagli uffici, sono, com’è noto, oggetto di diffusione e pubblicazione così come prescritto dal decreto legislativo n. 33 del 2013 e immediatamente reperibili nella sezione «Amministrazione trasparente» del sito istituzionale www.governo.it.
  In ordine alla questione riguardante le modalità di funzionamento e l'organizzazione del Dipartimento per gli affari giuridici e legislativi, lo stesso costituisce, a norma dell'articolo 28 del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o ottobre 2012, struttura generale di supporto al Presidente del Consiglio dei ministri nell'esercizio della funzione di coordinamento dell'attività normativa. In quanto struttura non affidata alla responsabilità di un Ministro o alle dirette dipendenze di un Sottosegretario, il dipartimento affari giuridici e legislativi è incardinato presso il Segretariato generale della Presidenza del Consiglio dei ministri, secondo quanto previsto dall'articolo 3 del predetto decreto del Presidente del Consiglio dei ministri.
  Molteplici sono i compiti affidati dalla normativa vigente al Dagl, che, oltre a svolgere un ruolo di supporto al Presidente nell'esercizio della funzione di coordinamento dell'attività normativa, assicura alla Presidenza la consulenza giuridica di carattere generale ed assiste il Sottosegretario alla Presidenza e il Segretario generale in materia di attività normativa. Nello specifico, il Dipartimento:
a) sovraintende all'iniziativa legislativa e all'attività normativa del Governo, b) elabora regole tecniche di redazione dei testi normativi, c) coordina e sovrintende all'applicazione della disciplina in materia di analisi di impatto della regolazione, analisi tecnico-normativa e verifica dell'impatto della regolamentazione e cura l'elaborazione delle relative metodologie, d) svolge attività di studio, ricerca e documentazione giuridica e parlamentare, e) cura, in collaborazione con gli organi costituzionali, la classificazione e l'informatizzazione della normativa vigente (normativa), f) sovrintende e coordina le attività concernenti il contenzioso dinanzi alle Corti internazionali e dinanzi alle giurisdizioni nazionali che abbia quale legittimato attivo la Presidenza, con esclusione degli affari in materia di lavoro e di protezione civile.
  Nell'ambito dei compiti concernenti l'istruttoria dell'iniziativa legislativa e dell'attività normativa del Governo, il Dipartimento cura, in raccordo con gli uffici legislativi dei Ministeri, la programmazione dei lavori della riunione preparatoria del Consiglio dei ministri, nota come Preconsiglio. A tale riguardo, in risposta ai dubbi formulati nell'interrogazione in oggetto circa il sostanziale abbandono, da parte del Governo in carica, della fase del Preconsiglio, si rappresenta che nel corso del 2014, a far data dall'insediamento dell'attuale Capo Dipartimento avvenuto in data 2 maggio 2014, soltanto n. 2 riunioni del Consiglio dei ministri (Consiglio dei ministri del 13 giugno 2014 e Consiglio dei ministri del 6 settembre 2014), con provvedimenti normativi all'ordine del giorno, non sono state precedute dal Preconsiglio, in quanto si trattava di testi che il Presidente del Consiglio ha voluto sottoporre, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, del Regolamento interno del Consiglio dei ministri, direttamente al Consiglio dei ministri. Gli altri Consigli dei ministri non preceduti da Preconsiglio hanno, invece, avuto ad oggetto questioni che non attengono all'attività normativa e che, dunque, vengono deliberate direttamente in Consiglio dei ministri (esempio impugnative di leggi regionali, documenti contabili, nomine di spettanza governativa, eccetera).
  Complessivamente, nel corso del 2014 si sono svolte n. 30 riunioni del Preconsiglio, di cui 7 riunioni dal 1o gennaio 2014 al 2 maggio 2014, data di insediamento del nuovo Capo dipartimento.
  Nel corso del 2015, dall'inizio dell'anno ad oggi, n. 4 riunioni del Consiglio dei ministri (Consiglio dei ministri del 14 gennaio 2015, Consiglio dei ministri del 23 gennaio 2015, Consiglio dei ministri del 3 febbraio 2015, Consiglio dei ministri del 15 febbraio 2015) non sono state precedute dal Preconsiglio, in quanto aventi ad oggetto questioni non attinenti all'attività normativa (esempio dimissioni del Presidente Napolitano, comunicazioni del Presidente del Consiglio a seguito dell'elezione del Presidente Mattarella, eccetera) ovvero provvedimenti che il Presidente del Consiglio ha ritenuto di sottoporre, ai sensi dell'articolo 5, comma 3, del Regolamento interno del Consiglio dei ministri, direttamente al Consiglio dei ministri (è il caso del Consiglio dei ministri del 23 gennaio 2015, relativo al decreto-legge contenente misure urgenti in materia di esenzione IMU).
  Come attestano le convocazioni relative alle riunioni del Preconsiglio, la fase del Preconsiglio è tutt'altro che venuta meno nell'ambito dell'attività istruttoria dell'attuale Governo, ed anzi essa continua a costituire la sede privilegiata di confronto fra le Amministrazioni in ordine agli schemi degli atti normativi da sottoporre all'esame del Consiglio dei ministri.
  Sempre con riferimento all'attività normativa dell'esecutivo, nell'atto di sindacato ispettivo si fa riferimento, con toni allarmati, ai casi in cui la pubblicazione di decreti-legge è avvenuta a distanza di tempo dalla loro deliberazione in Consiglio dei Ministri. In proposito, deve innanzitutto osservarsi come la circostanza per cui, in determinate situazioni, è trascorso un maggiore lasso di tempo tra la deliberazione del decreto in Consiglio dei Ministri e la sua pubblicazione in
Gazzetta Ufficiale non costituisca affatto una anomala prassi inaugurata dal Governo in carica.
  Da una ricognizione effettuata con riferimento ai tempi istruttori relativi ai decreti-legge adottati dai precedenti Governi, risulta invero evidente come si tratti di una circostanza ricorrente nel contesto della decretazione d'urgenza, da imputare prevalentemente ad un
iter istruttorio caratterizzato da ristrettezza dei tempi e ad un esame del provvedimento, talvolta, da perfezionare con riguardo ad alcuni specifici profili. In tali casi, è dunque possibile che in Consiglio dei ministri emerga l'esigenza di apportare modifiche al testo con conseguente necessità che sul provvedimento si intervenga nuovamente in sede tecnica.
  Quanto alla sua organizzazione, il dipartimento per gli affari giuridici e legislativi si articola in uffici e servizi, i cui rispettivi compiti sono disciplinati dal decreto del Segretario generale del 24 agosto 2011. In particolare, ai tre uffici che compongono il Dipartimento corrispondono le tre principali aree di competenza del Dagl: 1) il coordinamento dell'iniziativa legislativa e dell'attività normativa del Governo, 2) l'attività di studio, documentazione giuridica e qualità della regolazione, 3) il contenzioso giurisdizionale.
  Il Capo del Dipartimento determina gli indirizzi relativi al funzionamento interno del Dipartimento e, in base agli ambiti funzionali di volta in volta maggiormente interessati, affida alla responsabilità dei singoli uffici le attività volte ad assicurare il raccordo con gli altri dipartimenti ed uffici della presidenza. In caso di assenza o impedimento del Capo Dipartimento si applica l'articolo 5, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1o ottobre 2012, il quale prevede che nelle strutture generali della Presidenza, come per l'appunto il Dagl, le funzioni vicarie sono attribuite con provvedimento del Ministro o del Sottosegretario competente ovvero del Segretario generale, e che in mancanza di tale provvedimento le funzioni sono svolte dal dirigente con maggiore anzianità di qualifica tra quelli in servizio presso la struttura interessata.
  Il Dipartimento non è, dunque, rimasto privo di un titolare nelle more della nomina dell'attuale Capo Dipartimento (avvenuta in data 2 maggio 2014, a fronte delle dimissioni del precedente Capo Dagl rassegnate il 31 marzo 2014), rinvenendosi al contrario nell'ordinamento la disciplina, sopra richiamata, delle ipotesi di assenza o impedimento del responsabile delle strutture generali della Presidenza del Consiglio. Con specifico riferimento alla nomina dell'avvocato Manzione a Capo del Dagl, si rammenta inoltre che la riferita contrarietà alla nomina, che la Corte dei conti avrebbe manifestato in via informale, è stata oggetto di smentita ad opera dello stesso Presidente della Corte dei conti.
  Per quanto concerne il personale in servizio, gli obblighi di pubblicazione previsti dal decreto legislativo n. 33 del 2013 con riferimento ai dirigenti responsabili dei singoli uffici sono stati assolti mediante pubblicazione dei relativi dati sul sito istituzionale del Governo, all'indirizzo:
http://www.governo.it/AmministrazioneTrasparente/Organizzazione/ArticolazioneUffici/Dipartimenti/DAGL.html, dove è anche possibile visualizzare l'organigramma concernente la struttura del Dipartimento.
  L'elenco dei soggetti titolari di incarichi di collaborazione o di consulenza presso il Dipartimento è consultabile sul sito del Governo all'indirizzo:
http://www.governo.it/AmministrazioneTrasparente/Consulenti Collaboratori/consulenti-collaboratori-2014.xls.
  Per quanto concerne, infine, la questione riferita all'inserimento di ulteriori disposizioni nel decreto attuativo della delega fiscale approvato dal Consiglio dei ministri il 24 dicembre 2014, preme precisare che l'inserimento dell'articolo 19-bis, avvenuto per volontà del Presidente del Consiglio, come è noto per sua stessa ammissione a mezzo stampa, ha interessato il testo del provvedimento in un momento antecedente al suo esame in Consiglio dei ministri. In altri termini, la disposizione che ha sollevato le note criticità è stata inserita all'interno del decreto nel momento conclusivo della sua fase istruttoria – e per questo motivo la disposizione non era nota agli uffici legislativi dei ministeri – ma in ogni caso in un momento antecedente l'entrata in Consiglio del provvedimento medesimo. Ne consegue che, pur con tutte le problematiche che nel merito l'articolo in questione ha sollevato, la disposizione era già presente all'interno del testo sottoposto all'esame del Consiglio dei ministri e da quest'ultimo deliberato.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   SORIAL, MASSIMILIANO BERNINI e CHIMIENTI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto denunciato dagli avvocati dell'Asgi, Associazione per gli studi giuridici sull'immigrazione, e riportato dall'inchiesta de L'Espresso «Migranti del Cara di Mineo, così negli aranceti lo Stato ha creato i caporali», gli ospiti del Centro di accoglienza per i richiedenti asilo (Cara) di Mineo, centro di accoglienza per i richiedenti asilo, non ricevono i documenti previsti dalla legge italiana ed europea e per questo sono costretti a lavorare in «nero» e in condizioni di vera e propria schiavitù, alimentando uno sfruttamento mai visto prima negli agrumeti della zona;
   la direttiva europea prevede che, dopo sei mesi, un richiedente asilo abbia un permesso temporaneo, in modo da poter lavorare regolarmente, ma il permesso non viene consegnato e per ottenerlo bisogna fare ricorso;
   l'omessa comunicazione dei provvedimenti con il quale il questore dispone l'accoglienza è pressoché prassi, poiché tutti i migranti del Cara per avere una risposta alla loro richiesta d'asilo aspettano da uno a due anni, e altrettanti per il ricorso in caso di diniego; inoltre, non viene consegnato l'attestato nominativo e non è disposta neppure la cessazione dell'accoglienza; l'unico documento fornito è il badge, rilasciato dall'ente gestore, ma non ha valore legale;
   come segnalato anche da numerose associazioni tra le quali il Centro Astalli di Catania, gli ospiti del Cara, che sono circa 3000 nonostante la capienza nominale sarebbe di 1800 posti, in mancanza di documenti, non hanno accesso all'assistenza sanitaria e al gratuito patrocinio di un legale e si ritrovano costretti a lavorare in «nero», sfruttati in modo disumano, considerando che la loro manodopera costa meno ancora di quella degli altri immigrati, già fatti oggetto di sfruttamento;
   gli avvocati dell'Asgi hanno presentato numerosi ricorsi contro queste violazioni e hanno inviato una lettera al Ministero dell'interno, ma non hanno ricevuto alcuna risposta;
   anche la Cgil ha segnalato che gli immigrati del centro di accoglienza sono facili vittime dei caporali;
   secondo lo studio di Antonella Elisa Castronovo, dottoranda di ricerca dell'Università di Pisa, pubblicato da una rivista scientifica internazionale, l’Open Journal of Social Sciences, «Il caporalato non esisteva nella zona, è stato letteralmente introdotto col Cara»; infatti «I risultati hanno mostrato implicazioni molto significative nel mercato del lavoro locale»;
   il caporalato è un fenomeno criminale avente ad oggetto lo sfruttamento della manodopera lavorativa, con metodi illegali. Si definisce «caporale» il soggetto che, solitamente nelle primissime ore del giorno, adesca manodopera giornaliera, di solito non specializzata, per farla lavorare abusivamente ed illegalmente in diversi settori; i più diffusi riguardano il lavoro nell'agricoltura (lavoro nei campi) e in cantieri edili abusivi;
   in generale, il termine tende comunque ad indicare una complessa gamma di fenomeni all'interno dei quali si può individuare il lavoro nero, l'evasione contributiva e fiscale, il trasporto abusivo, il lavoro minorile, il mercato delle braccia straniere, tutti fenomeni ascrivibili alla più ampia categoria dello sfruttamento del lavoro, purtroppo, sempre più spesso attigue a forme di vero e proprio neoschiavismo;
   il fenomeno non è nuovo, ma è parte integrante del sistema economico nazionale da diversi decenni, soprattutto per quanto attiene al settore agroalimentare;
   l'estate appena trascorsa ha fatto registrare una serie di eventi tragici e luttuosi collegati allo sfruttamento del lavoro nei campi di raccolta dell'ortofrutta. Tra le cause di certi eventi c’è sicuramente il mancato controllo da parte delle autorità costituite dell'effettiva conformità delle modalità di lavoro alle normative attualmente vigenti, cosa che gli interroganti credono avrebbe sicuramente evitato certe sciagure;
   il caporalato è stato inserito tra i reati perseguibili penalmente nel 2011, essendo considerato un «reato spia» di infiltrazioni criminali nel settore agricolo: si stima che il giro d'affari connesso alle agromafie sia compreso tra i 12 e i 17 miliardi di euro, il 5-10 per cento di tutta l'economia mafiosa, per la maggior parte «giocato» tra la contraffazione dei prodotti alimentari e il caporalato;
   secondo il rapporto «Agromafie e caporalato» pubblicato dal Flai CGIL si tratta di 400 mila lavoratori sfruttati dai caporali. Di questi 100 mila sono in condizioni di grave assoggettamento, definite «paraschiavistiche» dal rapporto: 80 sono gli epicentri dello sfruttamento in Italia e in 55 di questi le condizioni di lavoro risultano «indecenti»; più del 60 per cento dei lavoratori sotto caporale non ha accesso a servizi igienici né all'acqua corrente, mentre il 70 per cento presenta malattie (non segnalate prima dell'inizio della vita nei campi);
   25/30 euro è la paga media per una giornata anche di 12 ore, esattamente il 50 per cento in meno rispetto alla paga prevista dai contratti nazionali, inoltre il caporale chiede ad ogni lavoratore 5 euro per il trasporto sul posto di lavoro, 1,5 euro per una bottiglia d'acqua, 3,5 euro per un panino;
   il ghetto più grande d'Italia, a Rignano Garganico, ospita circa 1000 persone: i braccianti pagano un affitto ai caporali per viverci e sono costretti a farlo perché gli stessi assumono solo gente che abita nel ghetto;
   l'Italia perde 600 milioni di euro all'anno di gettito contributivo in conseguenza del fenomeno del caporalato;
   in vista di un intervento normativo il Governo ha diramato una serie di punti programmatici in base ai quali intervenire per combattere il caporalato, come confisca, intermediazione illecita, responsabilità in solido ed indennizzo alle vittime;
   è opinione degli interroganti che anche la migliore legislazione in materia non abbia valore se non viene seguita da una accurata fase di controllo per l'effettiva attuazione della stessa;
   il decreto legislativo 3 aprile 2004, n. 124 «Razionalizzazione delle funzioni ispettive in materia di previdenza sociale e di lavoro, a norma dell'articolo 8 della legge 14 febbraio 2003, n. 30», al Capo II «competenze delle direzioni del lavoro», articolo 7 «Vigilanza», comma 1, lettera «e», riporta che «il personale ispettivo ha compiti di effettuare inchieste, indagini e rilevazioni, su richiesta del Ministero del lavoro e delle politiche sociali» –:
   in che modo il Governo intenda combattere la piaga del caporalato e se non consideri urgente intervenire per assicurare una più efficace vigilanza specie nelle zone dove i fenomeni esposti in premessa assumono dimensioni particolarmente preoccupanti, anche attraverso il potenziamento degli organismi preposti ai controlli e degli ispettorati del lavoro, al fine di assicurare il rispetto delle normative vigenti ed evitare il ripetersi di simili tragedie;
   se il Governo sia al corrente dei fatti riportati in premessa e se non consideri necessario e urgente intervenire affinché il grave disservizio legato alla mancata consegna dei documenti agli ospiti del Cara di Mineo sia risolto, in modo da estirpare il fenomeno di caporalato che si è innestato su questa situazione di disagio;
   se il Governo non intenda attivare al più presto la funzione indicata dal decreto legislativo 23 aprile 2004, n.124, citata in premessa in modo da permettere un più completo monitoraggio del territorio rispetto al problema del caporalato.
(4-10501)

  Risposta. — Con riferimento all'atto parlamentare in esame, con il quale si richiama l'attenzione del Governo sul fenomeno del caporalato nell'area del Calatino in Sicilia, anche sulla base delle informazioni fornite dal Ministero dell'interno, si rappresenta quanto segue.
  In via preliminare, occorre evidenziare che il Governo, insieme al Parlamento, è fortemente impegnato a contrastare questo deplorevole fenomeno, anche attraverso il coinvolgimento di tutte le istituzioni territoriali e nazionali, delle associazioni di categoria, nonché delle organizzazioni sindacali e dei cittadini stessi.
  Più in particolare, per quanto di competenza, si rappresenta che il Ministero del lavoro e delle politiche sociali – nell'ambito del documento di programmazione dell'attività di vigilanza per l'anno 2015 – ha pianificato una serie di interventi nel settore agricolo in specifici ambiti regionali, quali la Puglia, la Campania, la Calabria e la Basilicata. La vigilanza è stata programmata e svolta in sinergia con altri soggetti istituzionali (Arma dei carabinieri, Aziende sanitarie locali, Corpo forestale dello Stato, Guardia di finanza), consentendo, in tal modo, di verificare i rapporti di lavoro agricoli sotto diversi profili e valutando, tra l'altro, le possibili connessioni con fatti di reato (ad esempio il traffico di esseri umani).
  In tale quadro di sinergie interistituzionali, costantemente promosse dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali, è stato anche stipulato uno specifico protocollo d'intesa con 1'Automobile club d'Italia (Aci) al fine di consentire agli ispettori del lavoro di accedere alla banca dati del P.r.a. per poter verificare, in tempo reale, la titolarità dei mezzi di trasporto utilizzati e confrontare queste informazioni con altre raccolte durante le ispezioni o provenienti dalla consultazione di altre banche dati a disposizione.
  Nel mese di agosto 2015, partendo da una analitica mappatura delle aree geografiche che negli ultimi anni hanno fatto registrare la maggiore concentrazione dei fenomeni di irregolarità, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha dato ulteriore impulso alle attività di contrasto al caporalato ed al lavoro «nero» ed irregolare in agricoltura. L'attività ispettiva si è concentrata, in particolare, in quelle regioni del Paese dove tali problematiche sono più evidenti ed è stata realizzata, anche con il coinvolgimento delle Aziende sanitarie locali, al fine di verificare il rispetto della normativa in materia di sicurezza sul lavoro. A tal proposito, sono state realizzate attività di vigilanza straordinaria nelle aree geografiche interessate da lavorazioni a carattere stagionale e maggiormente colpite da tali fenomeni mediante la costituzione di
task force interprovinciali e interregionali.
  Si precisa che per il 2016 il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha predisposto un piano ispettivo mirato e capillare, concordato fra le istituzioni centrali e locali, al fine di contrastare, su tutto il territorio nazionale, il fenomeno in questione.
  Per quanto concerne più specificatamente gli accertamenti condotti nel Calatino dall'Arma dei Carabinieri, il Ministero dell'interno ha reso noto che nei mesi di marzo e settembre 2015 è stato riscontrato l'impiego irregolare di 4 lavoratori extracomunitari – ospiti del centro di accoglienza per richiedenti asilo (Cara) di Mineo – presso un fondo agricolo della zona. All'esito delle indagini, 3 datori di lavoro sono stati deferiti all'Autorità giudiziaria per impiego di lavoratori stranieri privi di permesso di soggiorno.
  Nell'ottica di un rafforzamento delle politiche di contrasto al lavoro irregolare e sommerso in agricoltura, il decreto-legge n. 91 del 2014 ha istituito la Rete del lavoro agricolo di qualità, con la quale si è introdotto un meccanismo che premia, con un minor carico di controlli, le imprese che si contraddistinguono per la regolarità nei vari ambiti dell'attività da esse svolte. Alla Rete del lavoro agricolo di qualità sovraintende una cabina di regia composta da un rappresentante del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, del Ministero dell'economia e delle finanze, dell'Inps – che la presiede – e della conferenza delle regioni e delle province autonome di Trento e di Bolzano. Tale struttura ha il compito di: deliberare sulle istanze di partecipazione alla Rete del lavoro agricolo di qualità: redigere e aggiornare l'elenco delle imprese che partecipano alla Rete del lavoro agricolo di qualità escludendo quelle imprese che perdono i requisiti: formulare proposte al Ministero del lavoro e delle politiche sociali e al Ministero delle politiche agricole, alimentari e forestali in materia di lavoro e di legislazione sociale nel settore agricolo.
  Si evidenzia, altresì, che, con il decreto legislativo n. 149 del 2015, è stato istituito l'Ispettorato nazionale del lavoro che integra in un'unica struttura i servizi ispettivi del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'Inps e dell'Inail, determinando, in tal modo, un'ulteriore razionalizzazione e una maggiore efficacia delle ispezioni, evitando una duplicazione di interventi ed una più meditata programmazione dell'attività di vigilanza.
  Di notevole importanza è l'approvazione alla Camera dei deputati del testo – trasmesso al Senato per il relativo esame – delle disposizioni normative nell'ambito del codice antimafia che dispongono la confisca obbligatoria e allargata delle cose utilizzate per commettere il reato e di ciò che ne costituisce il prodotto o il profitto, con la finalità di colpire non solo i caporali, erogatori di servizi criminali alle imprese, ma anche gli imprenditori che illecitamente traggono ricchezza dallo sfruttamento e dalla riduzione in schiavitù.
  Inoltre – dopo l'approvazione in prima lettura al Senato – è all'esame della Commissione XIII della Camera dei deputati l'atto Camera (A.C.) 3119, recante: «Deleghe al Governo e ulteriori disposizioni in materia di semplificazione, razionalizzazione e competitività dei settori agricolo, agroalimentare, della pesca e dell'acquacoltura» (cosiddetto collegato agricoltura) che, all'articolo 30, prevede l'introduzione di una serie di integrazioni e modifiche alla disciplina istitutiva della Rete del lavoro agricolo di qualità. Nello specifico, tale provvedimento prevede che alla Rete del lavoro agricolo di qualità possano aderire – attraverso apposite convenzioni – gli sportelli unici per l'immigrazione, le istituzioni locali, i centri per l'impiego e gli enti bilaterali costituiti dalle organizzazioni dei datori di lavoro e dei lavoratori in agricoltura.
  Si ricorda che il 13 novembre 2015, il Consiglio dei ministri ha approvato un disegno di legge contenente disposizioni in materia di contrasto ai fenomeni di lavoro nero e dello sfruttamento del lavoro in agricoltura. Tale iniziativa legislativa mira a garantire una complessiva e maggiore efficacia dell'azione di contrasto, introducendo modifiche significative in diversi testi normativi al fine di prevenire e colpire in modo organico e mirato tale fenomeno criminale nelle sue diverse manifestazioni.
  Per quanto concerne la consegna dei documenti agli ospiti del Cara di Mineo, il Ministero dell'interno ha reso noto che, anche prima dell'entrata in vigore del decreto legislativo n. 142 del 2015, l'Ufficio immigrazione della Questura di Catania ha utilizzato la prassi di rilasciare a tutti gli stranieri ospiti del centro, contestualmente all'acquisizione delle dichiarazioni di richiesta di riconoscimento dello
status di rifugiato, un apposito attestato nominativo, che certificava la qualità di richiedente asilo e permetteva allo straniero l'iscrizione al servizio sanitario nazionale. Con l'entrata in vigore del citato decreto legislativo, tale attestato nominativo è stato superato dalla semplificazione documentale introdotta dal comma 3 dell'articolo 4. Infatti, agli stranieri che accedono al Cara, all'atto della richiesta di riconoscimento dello status di rifugiato, viene consegnata la relativa ricevuta, che costituisce permesso di soggiorno provvisorio valido per la durata di sei mesi rinnovabili fino alla definizione della domanda o, comunque, per il tempo in cui gli stranieri sono autorizzati a permanere sul territorio nazionale.
Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   TERZONI, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MANNINO, MICILLO, ZOLEZZI e VIGNAROLI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   oggi, martedì 30 giugno, il giornale «L'Unità», la storica testata fondata da Antonio Gramsci, dopo una lunga assenza, è tornato in edicola;
   la scorsa estate, la società che pubblicava il giornale, Nuova Iniziativa Editoriale, nonostante i 60 milioni di contributi pubblici incassati nel corso dei suoi 14 anni di gestione, aveva portato i libri in tribunale e il giornale aveva sospeso la pubblicazione;
   la trasmissione televisiva Report, in un eccellente servizio giornalistico, ha ricostruito la surreale vicenda che aveva portato alla chiusura del giornale del quale il Partito Democratico, nonostante detenesse appena lo 0,1 per cento delle azioni, controllava la linea editoriale;
   nel servizio di Report viene evidenziato che i debiti dell’Unità, pari a 125 milioni di euro, attraverso un'abile operazione, erano stati trasferiti quasi totalmente allo Stato;
   il direttore dell’Unità è il dottor Erasmo D'Angelis, esponente del Partito Democratico, già Sottosegretario di Stato nel Governo Letta; che al momento attuale riveste l'incarico di coordinatore responsabile della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, presso la presidenza del Consiglio, come confermato dalla pagina web di «Italiasicura» all'interno del portale del Governo –:
   se il Governo non intenda revocare l'incarico di coordinatore responsabile della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche e comunque escludere qualsiasi incarico nell'ambito della Presidenza del Consiglio dei ministri in capo al dottor Erasmo De Santis posto che appare del tutto inopportuno che il giornale del quale il principale partito di Governo, attraverso la fondazione Eyu, detiene il 20 per cento sia diretto proprio da un dirigente presso la Presidenza del Consiglio, dando vita ad un inquietante corto circuito tra politica, istituzioni e media. (4-11898)

  Risposta. — In relazione all'interrogazione in esame, si rappresenta che il dottor Erasmo D'Angelis ha rassegnato con decorrenza 1o luglio 2015, le proprie dimissioni dall'incarico di coordinatore della struttura di missione contro il dissesto idrogeologico e per lo sviluppo delle infrastrutture idriche, conferitogli con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 18 giugno 2014, e che, conseguentemente, il contratto individuale di lavoro stipulato tra il dottor D'Angelis e la Presidenza del Consiglio dei ministri è stato risolto in via consensuale.
Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   TRIPIEDI, CIPRINI, RIZZETTO, ROSTELLATO, BALDASSARRE, BECHIS e COMINARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. – Per sapere – premesso che:
   al personale dipendente della società Poste italiane, assunto prima del 28 febbraio 1998 – data della trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni –, spetta l'indennità di buonuscita di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 23 dicembre 1973;
   per i lavoratori postelegrafonici, l'articolo 53, comma 6, della legge n. 449 del 30 dicembre 1997 (legge finanziaria 1998) stabilisce che «a decorrere dalla data di trasformazione dell'Ente poste italiane in società per azioni al personale dipendente dalla società medesima spettano il trattamento di fine rapporto di cui all'articolo 2120 del codice civile e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente prima della data di cui all'alinea del presente comma» e quindi avendo a riferimento la retribuzione percepita al 28 febbraio 1998;
   il sistema di calcolo normativamente previsto congela, di fatto, la buonuscita al valore maturato al 28 febbraio 1998, indipendentemente da quando il lavoratore andrà in pensione o comunque cesserà il suo rapporto di lavoro e continua ad arrecare un importante danno, economico agli interessati;
   con risoluzione conclusiva di dibatto (8-00208) relativa alla questione sopra citata il Governo si impegnava a valutare la possibilità di assumere, entro il 31 gennaio 2013 compatibilmente con gli effetti finanziari, eventuali iniziative, anche di natura normativa, che consentissero ai lavoratori di Poste italiane spa di usufruire di un costante aggiornamento del valore dell'indennità di buonuscita, nonché «il diritto alla corresponsione della buonuscita di detti lavoratori, pur in costanza di rapporto di lavoro;
   il Governo si impegnava anche ad accertare la consistenza del patrimonio immobiliare del fondo della gestione commissariale Fondo buonuscita per i lavoratori di Poste italiane e valutarne la sua relativa destinazione d'uso;
   la circostanza di cui sopra coinvolge oltre 150 mila lavoratori attivi, molti dei quali si sono rivolti all'autorità giudiziaria al fine di veder riconosciuto lo stesso criterio di rivalutazione per il periodo maturato fino al 28 febbraio 1998;
   ad oggi tuttavia, il Governo non ha ancora provveduto in via normativa per porre fine a questa situazione, pur in presenza di un elevato numero di contenziosi giudiziari ed un formale impegno assunto dallo stesso il 6 novembre 2012 con la risoluzione sopra citata –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti riportati in premessa e quali siano le iniziative normative che il Governo intende adottare per porre rimedio alla predetta vicenda. (4-02174)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, inerente al trattamento di quiescenza spettante al personale dipendente di Poste italiane spa, si rappresenta quanto segue.
  Preliminarmente, è opportuno ricordare che il processo di privatizzazione di Poste italiane spa ha avuto inizio con l'emanazione del decreto-legge n. 390 del 1993 (dapprima reiterato con il decreto-legge n. 487 del 1993 e successivamente convertito nella legge n. 71 del 1994) che ha segnato l'avvio del passaggio dell'amministrazione delle poste e telecomunicazioni nell'ente pubblico economico Poste italiane.
  Il provvedimento ha, tra l'altro, previsto che, a decorrere dal 1o agosto 1994, al trattamento di quiescenza di tutto il personale in servizio presso l'ente Poste italiane provvedesse l'Istituto postelegrafonici (Ipost), applicando la normativa prevista per il personale statale.
  Successivamente, l'articolo 2, comma 27, della legge n. 662 del 1996 (finanziaria per l'anno 1997) ha differito al 31 dicembre 1997 il termine per la definitiva privatizzazione dell'amministrazione delle poste e delle comunicazioni. Tale termine è stato ulteriormente prorogato al 1o marzo 1998 a seguito di delibera Cipe del 18 dicembre 1997.
  In ragione del completamento del procedimento di privatizzazione, l'articolo 53, comma 6, lettera
a), della legge n. 449 del 1997 (finanziaria per l'anno 1998) ha disposto che al personale dipendente di Poste italiane spa spetta, per il servizio prestato a decorrere dal 28 febbraio 1998 (data di trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni) il trattamento di fine rapporto (Tfr), di cui all'articolo 2120 del codice civile e, per il periodo lavorativo antecedente, l'indennità di buonuscita maturata, calcolata secondo la normativa vigente anteriormente alla suindicata data.
  Dal dettato normativo discende, pertanto, che:
   i dipendenti cessati dal servizio entro il 28 febbraio 1998 hanno diritto a percepire esclusivamente l'indennità di buonuscita, calcolata in conformità alla disciplina di cui al decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 (Testo Unico delle norme in materia di prestazioni previdenziali a favore dei dipendenti civili e militari dello Stato);
   i dipendenti cessati dal servizio dopo il 28 febbraio 1998, avranno diritto a percepire l'indennità di buonuscita, per il periodo dalla data di assunzione al 28 febbraio 1998, nonché, per il periodo dal 1o marzo 1998 alla data del collocamento a riposo, il Tfr, ai sensi dell'articolo 2120 del codice civile come modificato dalla legge n. 297 del 1982.

  Per questi ultimi, pertanto, l'anzianità di servizio maturata fino al 28 febbraio 1998 rileverà ai fini del calcolo previsto per la liquidazione dell'indennità di buonuscita, mentre l'anzianità maturata dal 1o marzo 1998 alle dipendenze di Poste italiane spa sino al collocamento a riposo, inciderà sul calcolo del Tfr, secondo la disciplina privatistica di cui all'articolo 2120 del codice civile e successive modificazioni e integrazioni.
  Si ricorda infine che il comma 6, lettera
a) dell'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 ha disposto la soppressione della gestione separata istituita presso Istituto postelegrafonici (IPost) per l'erogazione dell'indennità di buonuscita alla cui liquidazione provvede una gestione commissariale.
  Con riferimento a quanto rilevato dall'interrogante in ordine alla mancata rivalutazione ed anticipazione dell'indennità di buonuscita nonché ai tempi di corresponsione della stessa, occorre precisare quanto segue.
  L'indennità di buonuscita dovuta al personale postelegrafonico, relativa alla parte del rapporto avente natura pubblicistica, è disciplinata, in via generale, dal decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 e, per quanto qui interessa, dalla suindicata legge n. 449 del 1997 che, nel confermare che la stessa buonuscita va calcolata in base alla normativa in vigore alla data della trasformazione dell'ente Poste italiane in società per azioni, non prevede alcuna forma di rivalutazione dell'indennità in argomento.
  Del resto, anche l'interpretazione letterale dell'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 conduce a tale conclusione in quanto la norma, facendo esclusivo riferimento all'indennità «maturata», stabilisce che la prestazione debba essere calcolata sulla base dei valori retributivi utili in vigore al 28 febbraio 1998.
  Sul punto è intervenuta la Corte Costituzionale che, nella sentenza n. 366 del 2006, ha dichiarato infondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 53, comma 6, lettera
a) della legge n. 449 del 1997, nella parte in cui non prevede alcuna forma di indicizzazione (o di adeguamento monetario) nel tempo per l'indennità di buonuscita.
  Con tale pronuncia, infatti, il Giudice delle leggi ha sancito la sostanziale legittimità costituzionale del sistema disciplinato dall'articolo 53 della legge n. 449 del 1997 rilevando, altresì, che «il danno derivante dal differimento dell'erogazione dell'indennità di buonuscita rispetto al momento della sua determinazione, trova compensazione nella previsione dell'unicità del rapporto e nel rispetto dell'anzianità maturate, con i conseguenti riflessi sui livelli delle retribuzioni e, quindi, sulla base di calcolo della quota da determinare ai sensi dell'articolo 2120 del codice civile.
  In ordine al contenzioso giudiziario avente ad oggetto la rivalutazione dell'indennità di buonuscita sulla base dell'ultima retribuzione percepita prima della quiescenza, occorre precisare che la Corte di cassazione, sulla scorta delle argomentazioni svolte dalla Consulta nella sentenza n. 366 del 2006, ha suffragato la legittimità di calcolo dell'indennità di buonuscita sulla base della retribuzione maturata al 28 febbraio 1998, momento a partire dal quale il dipendente postale matura il diritto al Tfr.
  La Suprema Corte, in particolare, con sentenza del 17 settembre 2009, ha respinto sia la richiesta di computo dell'indennità di buonuscita sulla base del trattamento retributivo in atto al momento della risoluzione del rapporto di lavoro, sia il riconoscimento in favore dell'indennità di interessi e rivalutazione monetaria.
  Per ciò che concerne i tempi di corresponsione dell'indennità di buonuscita ai dipendenti di Poste italiane spa, va precisato che, alla data del 28 febbraio 1998, non risulta maturato alcun diritto all'indennità di buonuscita in favore del lavoratore, in quanto il rapporto di lavoro è proseguito, sia pure sotto una veste giuridica diversa, con il medesimo datore di lavoro e quindi senza soluzione di continuità.
  Diversamente, l'immediato pagamento al 28 febbraio 1998 dell'indennità in parola sarebbe stato possibile solo previa interruzione del rapporto di lavoro e previa costituzione, a decorrere dal 1o marzo 1998, di una nuova posizione giuridica ed economica, con conseguente pregiudizio per il lavoratore.
  Si precisa, inoltre, che anche nei confronti del personale dipendente di Poste italiane spa trovano piena applicazione, relativamente alla parte di rapporto di lavoro avente natura pubblicistica, le disposizioni di cui all'articolo 1, commi 484 e 485 della legge n. 147 del 2013 (legge di stabilità per il 2014) che hanno modificato la previgente disciplina sui termini temporali per la corresponsione dei trattenenti di fine servizio (comunque denominati) dei dipendenti pubblici.
  Infatti, nella previgente disciplina di cui all'articolo 3 del decreto-legge n. 79 del 1997 i trattamenti in esame erano corrisposti ai dipendenti pubblici decorsi 24 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro e, nei casi di cessazione dal servizio per raggiungimento del limite di età o di servizio ovvero di collocamento a riposo d'ufficio per motivi inerenti l'anzianità massima di servizio, decorsi 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro.
  La nuova disciplina, che si applica ai soggetti che maturino i requisiti per il pensionamento a decorrere dal 1o gennaio 2014, eleva a 12 mesi il termine di 6 mesi dalla cessazione del rapporto di lavoro per la corresponsione del suddetto trattamento nella casistica sopra richiamata.
  Per ciò che concerne la possibilità per i dipendenti di Poste italiane spa di ottenere un'anticipazione dell'indennità di buonuscita, l'Istituto ha precisato che l'articolo 26, comma 7, del decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 ha espressamente previsto che in materia di indennità di buonuscita non si fa luogo alla corresponsione di acconti.
  Occorre ricordare, in proposito, che la Corte costituzionale, con sentenza n. 9 del 2000, ha ritenuto conforme al dettato costituzionale il decreto del Presidente della Repubblica n. 1032 del 1973 nella parte in cui non prevede la possibilità di accordare ai richiedenti anticipazioni sull'indennità di buonuscita.
  In base a quanto suesposto, emerge che il pertinente quadro normativo, di cui la stessa Consulta ha affermato la conformità alla Costituzione, non consente di accedere alle pur comprensibili istanze sottese al presente atto di sindacato ispettivo.
  Si osserva al riguardo che, pur volendo tenere nella più adeguata considerazione tali istanze, il loro pieno accoglimento comporterebbe, unitamente alla modifica dell'attuale disciplina in materia di buonuscita, l'allocazione di ingenti risorse finanziarie, la cui possibilità di reperimento deve essere valutata alla luce dell'attuale quadro congiunturale.
  Peraltro, la risoluzione n. 8-00208 (già 7-00635), approvata in data 6 novembre 2012 dalla Commissione XI (lavoro pubblico e privato) ha impegnato il Governo «a valutare la possibilità, entro il 31 gennaio 2013, e compatibilmente con gli effetti finanziari, di adottare eventuali iniziative, anche di natura normativa, che consentano ai lavoratori di Poste italiane spa di usufruire di un costante aggiornamento del valore dell'indennità di buonuscita, nonché per consentire il diritto alla corresponsione della buonuscita di detti lavoratori, pur in costanza di rapporto di lavoro».
  Dal citato atto di indirizzo emerge, dunque, come l'adozione, da parte del Governo, delle iniziative auspicate debba avvenire previa verifica delle necessarie compatibilità finanziarie.
  Si precisa, al riguardo, che i vincoli posti dall'attuale quadro finanziario di riferimento non hanno sinora consentito al Governo di introdurre modifiche all'attuale disciplina in materia di buonuscita, sì da poter dare attuazione all'impegno sopracitato.

Il Sottosegretario di Stato per il lavoro e le politiche socialiMassimo Cassano.


   VALLASCAS. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   a seguito dell'individuazione dell'isola di La Maddalena quale sede ospitante, dal 1° al 12 luglio 2009, il programmato vertice G8 sotto la Presidenza Italiana, con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3716 del 19 novembre 2008 era stata identificata come «Sito di Interesse Nazionale» l'area dell'ex arsenale della marina militare, da sottoporre a interventi di bonifica e ripristino ambientale, nonché alla messa in sicurezza e adeguamento strutturale consono alle necessità del vertice internazionale;
   in particolare, l'area interessata, per un totale di circa 150 mila metri quadrati, racchiude le superfici comprese tra il molo, le banchine antistanti l'autoreparto, Cala Camiciotto, Molo Carbone, la banchina del deposito cavi Telecom e l'antistante specchio d'acqua;
   per attuare i diversi interventi previsti, tra progettazione e realizzazione, sarebbero stati spesi circa 400 milioni di euro;
   nel corso delle attività preliminari, con ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3738 del 5 febbraio 2009, tra le diverse previsioni, all'articolo 6, comma 4, veniva disposto che «al fine di assicurare l'immediata redditività degli investimenti effettuati a valere sui fondi FAS ed il loro positivo impatto sullo sviluppo socio-economico dell'isola di La Maddalena, la Regione Autonoma della Sardegna, per il tramite del Commissario delegato di cui all'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri del 20 novembre 2007, n. 3629, provvede ad espletare procedure selettive accelerate finalizzate all'affidamento in concessione trentennale delle aree demaniali già prese in consegna dalla Struttura Commissariale per l'organizzazione del Grande Evento della Presidenza Italiana del G8, ai fini della gestione del servizio di ricettività alberghiera, del porto turistico e delle connesse strutture ed aree situate nell'ex arsenale, nonché dell'ex ospedale militare di La Maddalena»;
   il bando di gara, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 13 febbraio 2009 n. 19, recava la procedura «per l'affidamento in concessione dei servizi di ricettività alberghiera, del porto turistico e delle connesse strutture ed aree situate nell'area dell'ex arsenale di La Maddalena» con modalità di aggiudicazione secondo l'offerta economicamente più vantaggiosa, ai sensi dell'articolo 83 del decreto legislativo n. 163 del 2006. Tra le previsioni, il bando stabiliva che l'offerta dovesse articolarsi sul versamento una tantum di una somma non inferiore a 40 milioni di euro e sul pagamento di un canone annuale, il cui importo minimo non è stato peraltro indicato, per tutta la durata della concessione (trent'anni);
   si è aggiudicata la selezione l'unica società partecipante al procedimento, la MITA Resort SRL, per un importo una tantum pari a 41 milioni di euro e un canone annuo di 60 mila euro (in trent'anni 1.800.000,00 euro);
   a seguito del terremoto in Abruzzo e della decisione del Governo (decreto-legge n. 39 del 2009) di trasferire a L'Aquila la nuova sede del G8, vennero attivate procedure di rinegoziazione dei termini della convenzione con la MITA Resort SRL, in ragione delle mutate condizioni determinate dalla mancata promozione del sito e delle relative strutture ricettive, situazione che rendeva necessaria una rimodulazione delle previsioni di redditività degli investimenti;
   la convenzione venne stipulata il 9 giugno 2009 per una durata non più trentennale, ma quarantennale, con la riduzione del corrispettivo una tantum, passato da 41 a 31 milioni di euro, restando invece immutato il canone annuale di 60 mila euro;
   l’iter di concessione dell'area alla MITA Resort, con particolare riguardo alla rinegoziazione, è stato oggetto di un procedimento della magistratura contabile, a carico di due alti esponenti della protezione civile per presunto danno erariale. La Corte dei conti – sezione giurisdizionale Lazio – con sentenza n. 230 del 20 marzo 2014, ha dichiarato inammissibile l'atto di citazione;
   un'altra inchiesta, tuttora in corso, condotta dalla procura di Tempio Pausania in collaborazione con i carabinieri del Noe di Sassari, Guardia costiera e Arpas Sardegna, con la consulenza di un gruppo di esperti in inquinamento ambientale, avrebbe rilevato gravissime inadempienze, superficialità e irregolarità nella conduzione di alcuni interventi di bonifica, costati alla collettività circa 7 milioni di euro;
   in particolare sarebbe stato rilevato che, nel tratto di mare antistante l'ex arsenale (circa 60 mila metri), le procedure impiegate per rimuovere i materiali inquinanti (idrocarburi pesanti e mercurio) avrebbero favorito la dispersione nell'ambiente, e non già la raccolta e l'eliminazione, delle sostanze nocive, estendendo a dismisura l'area interessata dall'inquinamento. Nel corso degli interventi sarebbe stato anche demolito il molo Carbone i cui detriti sarebbero stati lasciati sui fondali;
   nel frattempo, la MITA Resort SRL avrebbe avviato le procedure di arbitrato per inadempienza da parte delle amministrazioni pubbliche, per autorizzazioni concesse in ritardo, mancata bonifica dell'area e altro;
   il compendio di La Maddalena, dopo la realizzazione delle opere, ha ospitato solo due grandi eventi: il vertice italo spagnolo, il 10 settembre 2009, e la competizione velistica Louis Vuitton Trophy, dal 22 maggio al 6 giugno 2010;
   successivamente per l'area è iniziata una fase di progressivo abbandono, con una conseguente incuria e mancata manutenzione delle strutture e degli immobili realizzati per il G8, sia quelli affidati in concessione alla Mita Resort sia quelli rimasti nella disponibilità della regione Sardegna, come ad esempio l'albergo realizzato nell'ex ospedale, il cui costo sembrerebbe abbia raggiunto la cifra record di 75 milioni di euro;
   quello de La Maddalena è un compendio a rischio degrado, ad avviso dell'interrogante, simbolo di uno Stato che ha dato di sé una dimostrazione vergognosa, da una parte, sperperando ingenti risorse pubbliche, dall'altra, rinunciando a svolgere una rigorosa attività di controllo (l'OPCM, compresa quella relativa al Louis Vuitton Trophy, prevedono deroghe assolute e totali all'intero corpus legislativo su appalti, concorrenza, trasparenza e controlli);
   l'economia della Maddalena è stata fortemente vincolata dalla presenza militare, da prima rappresentata dalla marina italiana, successivamente, dal 1973 al 2008, da quella americana presente a Santo Stefano con una base di sommergibili nucleari;
   la presenza militare, se ha impedito lo sviluppo di una naturale vocazione turistica considerate le potenzialità del territorio, ha garantito reddito e occupazione attraverso le imprese d'appalto dell'indotto;
   la bonifica e valorizzazione del compendio dell'ex Arsenale, oltre a rappresentare una compensazione all'abbandono dell'isola dei militari, è stata accolta come un'occasione di forte rilancio del tessuto produttivo attraverso l'avvio di attività economiche legate a un comparto strategico per la Sardegna come il turismo che trae fondamento dalle potenzialità naturali e dalle molteplici tradizioni culturali e artigiane del territorio;
   il Governo avrebbe individuato le risorse (11 milioni di euro) necessarie al completamento delle bonifiche, mentre nel mese di aprile 2014 è stato firmato il protocollo d'intesa tra Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, la regione Sardegna e il comune di La Maddalena per l'insediamento del comitato tecnico di coordinamento;
   questo impegno del Governo, seppure importante, apparirebbe contenuto rispetto alle opere incompiute e a fronte di un quadro di riferimenti istituzionali sempre meno definiti per competenze e dove si ravvisa il tentativo delle parti di disconoscere responsabilità e impegni; aver declassato La Maddalena da Sito di interesse nazionale a Sito di interesse regionale rappresenta un vero e proprio arretramento dell'impegno dello Stato nell'isola e una evidente ricusazione di responsabilità nella conduzione di una vicenda fallimentare in cui lo Stato ha ricoperto a tutti gli effetti il ruolo da protagonista –:
   se sia a conoscenza dello stato in cui versano le strutture e gli immobili realizzati con gli interventi di riconversione del compendio dell'ex Arsenale di La Maddalena;
   se non ritenga opportuno fornire elementi in merito alla condizione del compendio e ricostruire tutti i passaggi che hanno contrassegnato la conversione dell'area, anche per accertare eventuali responsabilità nella gestione dell'opera e nell'aumento esorbitante dei costi;
   se non ritenga opportuno riferire qual è allo stato attuale il rapporto con il concessionario MITA Resort SRL con particolare riferimento al pagamento una tantum e ai canoni annuali;
   quali iniziative intenda adottare per evitare il degrado e la compromissione definitiva del compendio;
   quali iniziative intenda adottare per evitare che la gestione di una situazione caratterizzata da forti criticità debba ricadere interamente sulla regione Sardegna e sul comune di La Maddalena riconsiderando la classificazione del sito de La Maddalena in modo da ricomprenderlo nuovamente tra i Siti da bonificare di interesse nazionale. (4-05224)

  Risposta. — Con riferimento all'interrogazione in esame, si rappresenta quanto segue.
  Il complesso immobiliare dell'ex arsenale de La Maddalena, oggetto di ristrutturazione e di cospicui investimenti pubblici in relazione alle esigenze organizzative del vertice G8, è detenuto – dal 31 dicembre 2009 – dalla società Mita Resort srl in regime di concessione, per effetto della Convenzione sottoscritta in data 9 giugno 2009, n. 756 di rep. dal Dipartimento della protezione civile, in nome e per conto della regione autonoma della Sardegna, così come disposto dall'articolo 6, comma 4 dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 5 febbraio 2009, n. 5738.
  Al riguardo si comunica che la predetta ordinanza, al fine di garantire l'immediata redditività degli investimenti ivi effettuati, incaricò il dipartimento della protezione civile di bandire un'apposita gara comunitaria per l'affidamento trentennale della gestione del predetto complesso immobiliare.
  Ciò premesso, è ampiamente noto alla Presidenza del Consiglio dei ministri che la struttura risulta chiusa dal concessionario, fin dall'anno 2011, a motivo della persistente presenza di agenti inquinanti nell'area di Cala Camicia – che aveva formato oggetto di bonifiche ambientali – tali da non consentire, a detta del medesimo, di portare avanti le attività previste nel proprio piano industriale.
  In effetti, corrisponde al vero che nella suddetta area sono stati riscontrati valori di contaminazione dei fondali, riconducibili principalmente alla passata attività navale e militare, e che ciò ha portato all'apertura di un procedimento penale presso la Procura della Repubblica di Olbia-Tempio nei confronti dei rappresentanti dell'impresa che nell'anno 2008 effettuò i lavori di bonifica e di taluni tecnici della struttura di missione, all'epoca incaricata di seguire gli stessi.
  Tuttavia, ritiene il dipartimento della protezione civile, come documentato nel corso del procedimento arbitrale di cui si dirà oltre, che le porzioni del complesso immobiliare consegnate a Mita Resort srl erano in grado di consentire l'esercizio, ancorché parziale, dei beni oggetto della concessione e tali da non determinare il grave inadempimento invocato dal concessionario. Tuttavia, sulla base di tale impedimento il concessionario ha presentato in data 12 gennaio 2011 una domanda di arbitrato, nel corso del quale ha chiesto la risoluzione – per inadempimento di parte pubblica – dell'atto di affidamento ed il riconoscimento dei danni patiti, in relazione alla mancata possibilità di utilizzare lo specchio acqueo destinato all'attività portuale.
  Il Dipartimento della protezione civile ha resistito in giudizio, contestando le richieste della società Mita Resort srl e chiamando in causa anche la regione autonoma della Sardegna, alla quale erano stati trasferiti gli atti della concessione (nell'anno 2010) ed a cui spettava il compito di verificare il corretto esercizio delle attività di Mita Resort srl e la verifica circa l'adempimento degli obblighi di manutenzione.
  Nel mese di ottobre 2014 è stato emanato il lodo che ha dichiarato la risoluzione della concessione. Nei confronti della decisione arbitrale – alla data odierna non ancora esecutiva – pende giudizio di impugnazione innanzi alla corte di appello di Roma (prossima udienza 2 novembre 2018), stanti i molteplici profili di illegittimità formali e sostanziali.
  Immediatamente dopo l'emanazione del predetto lodo il Dipartimento della protezione civile ha comunque avviato interlocuzioni ai massimi livelli regionali, per consentire il ritorno immediato del bene alla collettività locale; bene riguardo a cui la società Mita Resort srl ha promosso anche azioni legali volte alla riconsegna dello stesso, manifestando l'irremovibile volontà di recedere dalla sua detenzione.
  Alla data attuale il bene continua ad essere in stato di abbandono e nel mese di marzo 2015 un fortunale di forte intensità ha danneggiato anche la copertura di alcuni edifici sui quali erano stati installati pannelli fotovoltaici.
  Nonostante i tentativi di comporre la vicenda la regione autonoma della Sardegna si è limitata a fornire solo una disponibilità di massima al rientro in possesso del complesso immobiliare, senza dare seguito ad alcuna ulteriore attività concreta. Per tale ragione, sempre nel mese di marzo 2015, era stata presa in considerazione dagli uffici competenti della Presidenza del Consiglio dei ministri, una soluzione diretta a comprendere il tema della restituzione e della valorizzazione del complesso immobiliare in questione nel più ampio tema delle servitù militari, oggetto di regolamentazione tra lo Stato e la regione.
  Inoltre il dipartimento della protezione civile, all'esito della consulenza tecnica d'ufficio, depositata alla fine di giugno 2015, ha inviato, in data 28 luglio 2014, alla Procura della Repubblica di Roma, un dettagliato esposto su talune irregolarità riscontrate nell'ambito delle operazioni peritali e, contestualmente, ha rinnovato l'invito al Presidente della regione autonoma della Sardegna ad adottare, congiuntamente e senza ulteriore indugio, ogni azione utile a far rientrare nella disponibilità della regione Sardegna i cespiti oggetto della concessione, in relazione al sostanziale stato di abbandono in cui essi versano, conclamato anche dagli esiti della consulenza tecnica d'ufficio.
  Riguardo infine alla richiesta dell'interrogante di conoscere quali iniziative il Presidente del Consiglio dei ministri intenda adottare per risolvere una situazione che lo stesso definisce di «forte criticità», nel premettere che il diritto di azione spetta alla regione autonoma della Sardegna, titolare dei beni affidati in concessione, si rappresenta che le diverse amministrazioni dello Stato a vario titolo coinvolte nella problematica (Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per il completamento delle attività di bonifica; il dipartimento della protezione civile, per le residue attività di competenza del Commissario delegato per l'organizzazione del vertice G8) hanno adottato tutte le iniziative possibili per il superamento della criticità in atto.
  Ad ogni modo, si ritiene condivisibile la conclusione dell'interrogante, che solo con uno sforzo congiunto dello Stato e della regione, più volte auspicato da parte statale, si potrà giungere alla conclusione positiva della vicenda.
  Per quanto precede, anche considerato che l'Avvocatura generale dello Stato, con nota del 21 maggio 2015, ha rilevato la necessità di fare in modo di evitare il deterioramento dei beni in questione, attualmente inutilizzati e in precario stato di manutenzione e che la regione autonoma della Sardegna – proprietaria dei beni – con nota del 16 marzo 2015 ha manifestato la propria disponibilità in merito, la Presidenza del Consiglio dei ministri ha fatto propria l'esigenza rappresentata dal Dipartimento della protezione civile di concordare con la regione il modo di valutare le più opportune iniziative per favorire l'immediato ritorno dei beni nella disponibilità della collettività e il loro proficuo impiego a fini di sviluppo economico e sociale.
  Da ultimo si segnala che all'interrogante è stata fornita copia degli atti relativi alla concessione, come risulta dalla nota del 30 giugno 2014, prot. n. CTZ/34608 (All. 1) a seguito di sua specifica richiesta in allegato 2.

Il Sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei ministriClaudio De Vincenti.


   VARGIU. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il decreto legislativo n.367 del 29 giugno 1996 ha trasformato gli enti lirici in fondazioni di diritto privato, al fine di superare la precedente configurazione giuridica di ente pubblico che ne rendeva più difficile la dinamicità della gestione e, conseguentemente, la realizzazione degli obiettivi primari di promozione e diffusione dell'arte;
   tale trasformazione consente di integrare il finanziamento proveniente dal Fondo unico per lo spettacolo con quelli messi a disposizione dagli altri soci della Fondazione e da eventuali altri soci privati, valorizzando anche la capacità del management della Fondazione, sia nella propria proposizione di attività in equilibrio economico, che nella creazione di sinergie progettuali e di sviluppo con le attività turistiche, commerciali e di marketing territoriale del contesto di comunità in cui opera la Fondazione stessa;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo mantiene attività di vigilanza e potere ispettivo sulle fondazioni, in particolare verificando che le fondazioni:
    operino secondo criteri di imprenditorialità e di efficienza, nel rispetto del vincolo di bilancio;
    siano rispettati i principi, i criteri di gestione e di coordinamento e i requisiti previsti in materia di qualifica delle fondazioni e in tema di ripartizione dei contributi statali. Tale attività si sostanzia anche attraverso l'esame da parte del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo dei bilanci di previsione e consuntivi, trasmessi al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, entro dieci giorni dalla loro approvazione;
   nel caso in cui l'attività di vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo rilevasse gravi irregolarità nell'amministrazione o gravi violazioni delle disposizioni legislative, amministrative o statutarie che regolano l'attività della Fondazione, lo stesso Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (anche su proposta del Ministero dell'economia e delle finanze) può disporre lo scioglimento dell'organo di indirizzo della Fondazione;
   lo scioglimento può essere disposto anche nel caso in cui non sia assicurato il pareggio di bilancio, mentre deve essere comunque disposto quando i conti economici di due esercizi consecutivi chiudano con una perdita complessivamente superiore al 30 per cento del patrimonio disponibile ovvero siano ipotizzate analoghe perdite nei bilanci di previsione;
   qualora l'attività di ispezione e di vigilanza del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo disponesse lo scioglimento degli organi della Fondazione, verrebbe attivato un Commissariamento Straordinario pro tempore, che assomma i poteri dell'organo di indirizzo e dell'organo di gestione;
   l'articolo 11 della legge n.112 del 2013 (integrata dal disegno di legge n. 83 del 2014) prevede inoltre la possibilità di predisporre piani di risanamento e rilancio delle fondazioni lirico sinfoniche;
   la Fondazione ente lirico di Cagliari è una delle quattordici fondazioni riconosciute in Italia dal regolamento discendente dalla legge 100 del 29 giugno 2010;
   tale Fondazione riveste un ruolo fondamentale per la città di Cagliari e per l'intera Sardegna, non soltanto per la sua azione, che è insostituibile presidio di cultura artistica e musicale, ma anche perché rappresenta un'attività economica di straordinaria importanza: una vera e propria «industria ecocompatibile», con un bilancio di circa venti milioni di euro, che consente opportunità lavorative a circa trecento dipendenti;
   l'attività della Fondazione teatro lirico di Cagliari è stata infatti nel tempo volano di collaborazioni nel marketing e nell’incoming turistico con altre realtà italiane ed europee, ha contribuito all'utilizzo artistico ed economico degli spazi dell'Anfiteatro romano ed è stata di stimolo complessivo per la realizzazione dell'offerta urbana del parco della musica e per il suo futuro utilizzo per progetti organici allo sviluppo dell'intera città;
   la fondazione teatro Lirico di Cagliari appare oggi in gravissime difficoltà, con evidenti e prolungati contrasti all'interno dell'organo di indirizzo, che sono sfociati nella instabilità dell'assetto dell'organo di gestione, con conseguenti, incalcolabili danni nella programmazione dell'attività della Fondazione stessa;
   i problemi nella programmazione dell'attività sono stati contemporaneamente causa ed effetto dell'aggravarsi delle condizioni di sostenibilità economica dei bilanci, con gravi ritardi nell'approvazione del bilancio preventivo del 2014 (approvato soltanto alla fine dello stesso anno) e gravi incertezze sul bilancio del 2015;
   tali ritardi nella redazione dei bilanci portano all'incertezza sull'entità delle assegnazioni statali a valere sul Fondo dello spettacolo e pongono seri interrogativi sulla sostenibilità dell'attività della Fondazione a carico dei restanti soci;
   tali gravissime difficoltà stanno generando una situazione al limite del surreale: ad oggi, fine aprile 2015, non è stata ancora approvata da parte del comitato di indirizzo la programmazione 2015 proposta dall'organo di gestione, con danni irrimediabili sia alla quantità e alla qualità della programmazione stessa, che all'aspettativa di risorse dal Fondo che sono strettamente discendenti da tale parametro quali quantitativo;
   la preoccupazione dei dipendenti della fondazione Teatro Lirico di Cagliari è altissima perché sono messi a rischio gli stessi pagamenti degli stipendi, ma è ancora più alta la preoccupazione dell'intera comunità della città di Cagliari e della Sardegna che assiste impotente alla cronaca della morte annunciata di una attività fondamentale per il rilancio della cultura e dell'economia locale;
   il semplice riscontro dell'attenzione alla vicenda da parte dei media locali, che quasi quotidianamente denunciano l'insostenibilità della situazione, è sufficiente per capire la rilevanza che tale dramma sta assumendo per la collettività cagliaritana e sarda;
   l'azione dell'organo di indirizzo appare del tutto spaventata e frastornata, con tre sovraintendenti in tre anni, obbligati a gestire una continua situazione di emergenza, lontani dalle condizioni di equilibrio gestionale minime per redigere un programma pluriennale, adeguato alle reali esigenze della Fondazione e della città;
   l'ipotesi di risanamento commissariale della fondazione teatro lirico di Cagliari era stata avanzata nel novembre del 2013 dallo stesso sindaco del capoluogo, Massimo Zedda, a dimostrazione della piena percezione di una situazione difficilissima, che si è peraltro ulteriormente incancrenita e aggravata nel successivo anno e mezzo di incertezza progettuale assoluta –:
   quali siano i risultati dell'attività di vigilanza ed ispezione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo nei confronti della complessiva attività della Fondazione Ente Lirico di Cagliari;
   quale sia l'esito delle azioni di verifica sui bilanci eventualmente condotte dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   se non sussistano le condizioni per l'immediato commissariamento dell'organo di indirizzo della fondazione.
(4-08877)

  Risposta. — Si riscontra l'atto di sindacato ispettivo, indicato in oggetto, con il quale l'interrogante chiede, stante la situazione di perdurante difficoltà in cui si troverebbe la fondazione teatro lirico di Cagliari, quali siano i risultati dell'attività del Ministero nei confronti della complessiva attività della Fondazione, nonché se sussistano le condizioni di un commissariamento della fondazione stessa.
  Al riguardo, si comunica quanto segue, sulla base degli elementi forniti dalla competente direzione generale spettacolo.
  Occorre innanzi tutto far riferimento, oltre che alla natura e alle finalità rivestite dalle fondazioni lirico-sinfoniche, chiamate dalla legge ad operare con criteri di imprenditorialità ed efficienza, alle novità introdotte dal decreto ministeriale 3 febbraio 2014, recante nuovi criteri di ripartizione del fondo unico dello spettacolo, che stimolano i teatri a produrre maggiormente sia sul piano quantitativo sia sul piano della qualità dei programmi, circostanza che dovrebbe indurre gli amministratori a maggiore efficienza programmatoria. Ciò si attaglia particolarmente ad un ente che agisce in Sardegna quale maggiore produttore di servizio lirico e musicale.
  La peculiare situazione gestionale generata dal susseguirsi alla guida del teatro lirico di più amministratori è stata costantemente seguita dalla direzione generale spettacolo del Ministero in sede di vigilanza, non essendo stata ignorata la possibilità offerta dall'articolo 21 del decreto legislativo 29 giugno 1996, n. 367, di sciogliere l'organo deliberativo, ovvero il consiglio di amministrazione, e conseguentemente rimuovere il sovrintendente; la casistica elaborata nella effettiva prassi applicativa del citato strumento di legge non ha però consentito di riscontrare la fattispecie concreta nelle vicende cagliaritane. A ciò aggiungasi che la particolare attenzione posta dal legislatore sulle fondazioni in stato di crisi, così come tracciata dall'articolo 11 del decreto-legge n. 91 del 2013, non ha fatto riscontrare nella situazione di difficoltà in cui versa il teatro lirico la gravità dei requisiti delineati dall'articolo 11 stesso per far accedere l'ente al piano di risanamento.
  Vi è inoltre da evidenziare che lo stesso decreto-legge n. 91 ha innovato la
governance delle fondazioni lirico-sinfoniche, prescrivendo l'adozione di nuovi statuti e conseguentemente la costituzione di nuovi organi di gestione, quali il consiglio di indirizzo ed il sovrintendente come «unico organo di gestione nominato dal Ministro» su proposta del consiglio di indirizzo stesso, organo di controllo presieduto da un magistrato della Corte dei conti. È da tale riconfigurazione degli organi di gestione che si è originato, presso l'ente cagliaritano, un momento di passaggio di poteri che ha visto il subentrare del nuovo consiglio di indirizzo alla data del 22 dicembre 2014 e quindi in un momento di decisioni finali sul merito della programmazione. Tale organo ha poi proceduto alla nomina del nuovo sovrintendente previo esame di un congruo numero di candidati.
  La dialettica sviluppatasi all'interno dell'organo di indirizzo non è stata comunque tale da bloccare la programmazione del 2015, in quanto, prima della fine di aprile, sono state approvate e rimodulate sia la stagione concertistica che quella lirica e di balletto ed il preventivo artistico e finanziario per il 2015 è stato infine trasmesso al Ministero.
  In merito alle preoccupazioni avanzate dai dipendenti, esse si collegano alle innegabili indecisioni che hanno connotato l'inizio della programmazione 2015, con effettiva possibilità che un calo della medesima nel corso dell'anno potrebbe causare una flessione complessiva dei punteggi di produzione validi ai fini del calcolo del contributo 2016. Gli uffici del Ministero sono in attesa di conoscere le risultanze del bilancio consuntivo 2015, il quale sarà presentato entro il primo semestre dell'anno corrente.
  Quanto alla lamentata situazione di crisi, vero è che il bilancio dell'ente cagliaritano per il 2014 recava al conto economico una perdita di euro 5.357.910. Peraltro, essendo stati gli organi di amministrazione completamente rinnovati in omaggio alle ricordate nuove disposizioni in tema di
governance (il consiglio di indirizzo si era insediato, come detto, il 22 dicembre 2014 ed il sovrintendente, dottoressa Angela Spocci, era stato nominato il 5 febbraio 2015) non possono questi essere tenuti responsabili del deficit 2014, mentre ad essi spetta il compito di ristabilire l'equilibrio economico-patrimoniale. Va poi segnalato che, con successivo decreto ministeriale 18 settembre 2015, è stata disposta la revoca della dottoressa Angela Spocci e nominato dal Ministro, con decreto ministeriale 25 novembre 2015, il dottor Claudio Orazi quale sovrintendente.
  Infine si fa presente che la legge di stabilità per l'anno 2016, all'articolo 1, commi 355-358, ha poi esteso ad altri teatri d'opera la possibilità di raggiungere l'equilibrio strutturale del bilancio nel 2018, sia sotto il profilo patrimoniale sia economico finanziario, del conto economico, ed ha consentito anche alle Fondazioni che non versano nelle condizioni indicate nel comma 1 del citato articolo 11 del decreto-legge n. 91, tra i quali potenzialmente il lirico di Cagliari, di presentare un piano di risanamento per accedere al fondo di rotazione.
  Trattandosi del massimo ente culturale operante a Cagliari e in Sardegna, vi è una particolare attenzione dei media sulle vicende della fondazione, ma tale attenzione è determinata, come su esposto, non tanto da una situazione di squilibrio economico, in sé sanabile, quanto piuttosto dalla passata incertezza gestionale dovuta all'avvicendarsi di ben tre sovrintendenti in tre anni. E conclusivamente, il Ministero conferma la massima attenzione sulla funzionalità e il percorso di risanamento dell'importante istituzione culturale.

La Sottosegretaria di Stato per i beni e le attività culturali e il turismoDorina Bianchi.


   VEZZALI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   i circa 2000 sostituti commissari della polizia di Stato (denominazione apicale del ruolo degli ispettori) con una anzianità di servizio compresa fra i 30 e i 40 anni, prima del 12 maggio 1995, appartenevano già tutti nel ruolo degli ispettori, collocati in posizione gerarchica, funzionale ed economica sovraordinata a quella di tutti i sottufficiali delle altre forze di polizia a statuto militare oltre che agli appartenenti al subordinato ruolo dei sovrintendenti della polizia di Stato, ma a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 12 giugno 1991, n. 227, furono di fatto retrocessi ed equiparati ai sottufficiali e al subordinato ruolo dei sovrintendenti;
   le disposizioni transitorie di cui all'articolo 25 del decreto legislativo 334 del 2000 prevedevano che gli ispettori della polizia di Stato con 10 anni di anzianità nel ruolo o almeno tre anni di anzianità nella qualifica di ispettore superiore sostituto UPS, potessero concorrere per accedere al ruolo direttivo speciale, dal 2001 al 2005 (in misura di 260 posti all'anno per un totale di 1300 unità); dispositivo rimasto inattuato dal Ministero dell'interno fino al 2005 e poi sospeso dall'articolo 1, comma 261, della legge 266 del 2005 in previsione dell’«imminente» riordino delle carriere che, poi, nel 2006 non fu realizzato; anzi, si è impedito lo sblocco del concorso e penalizzato coloro che erano in possesso dei requisiti;
   trascorsi 15 anni, la legge 7 agosto 2015, n. 124 (cosiddetta legge Madia), di riorganizzazione della amministrazioni pubbliche prevede l'emanazione di un decreto che riguarda «la revisione dei ruoli della Polizia di Stato» entro agosto 2016, valorizzando il merito e le professionalità;
   nel mese di novembre 2015 è stata fatta circolare una bozza di decreto che contiene al punto 4, lettera a), la creazione di un «nuovo ruolo direttivo» (che sostituisce l'attuale ruolo dei commissari che verrebbero dirigenziali ope legis e cancella il ruolo difettivo speciale previsto nel decreto legislativo 334 del 2000);
   la legge di stabilità che ha introdotto il cosiddetto «riallineamento», consente un beneficio ai poli direttivi della polizia penitenziaria «ordinario e speciale RDS» (che appartenevano prima della riforma del 1995 al ruolo dei sovrintendenti (senza aver mai superato le prove di un concorso) subordinati gerarchicamente, funzionalmente ed economicamente agli ispettori della polizia di Stato ex lege 121 del 1981 che restano ancora una volta in attesa, perché sono stati banditi concorsi in tutti i Corpi tranne che nel loro –:
   se non ritenga di dover assumere iniziative per:
    a) sbloccare le procedure concorsuali previste nel decreto legislativo 334 del 2000 per coprire tutte le vacanze del ruolo speciale istituito nel 2000;
    b) sanare il vuoto di questi 20 anni e creare le condizioni affinché gli ispettori della polizia di Stato possano usufruire (ed essere parzialmente risarciti dei danni subiti) dei medesimi benefici concessi agli ex sottufficiali delle altre forze di polizia;
    c) prevedere nell'emanando decreto una «fase transitoria» che salvaguardi i diritti dei sostituti commissari della polizia di Stato e ripristini le legittime gerarchie e i ruoli sanando una palese ingiustizia.
(4-11674)

  Risposta. — Con l'atto di sindacato ispettivo in esame vengono poste alcune questioni relative all'attivazione del ruolo direttivo speciale della polizia di Stato, in attuazione di quanto disposto dal decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, al fine di riallineare le qualifiche apicali del ruolo degli ispettori alle omologhe qualifiche degli appartenenti alle altre forze di polizia.
  Come evidenziato dall'interrogante, la legge n. 266 del 2005 (legge finanziaria per l'anno 2006) ha disposto che, fino a quando non saranno approvate le norme per il riordinamento dei ruoli del personale delle forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle forze di polizia ad ordinamento militare e delle forze armate, è sospesa l'applicazione dell'articolo 24 del citato decreto legislativo n. 334 del 2000, recante disposizioni in materia di prima applicazione del ruolo direttivo speciale della Polizia di Stato.
  Nel quadro normativo appena esposto si è inserita la novità rappresentata dalla legge n. 124 del 2015 che, tra le altre deleghe conferite al Governo in tema di pubblico impiego, prevede quella relativa al riordino delle carriere del personale delle forze di polizia, in aderenza al nuovo assetto funzionale e organizzativo dei rispettivi corpi.
  È evidente, a questo punto, che le problematiche di natura ordinamentale e gestionale connesse alla mancata attivazione del ruolo direttivo speciale devono essere coordinate con l'attuazione della predetta delega, a cui stanno già lavorando da tempo appositi tavoli tecnici anche a composizione interforze.
  Si fa presente, infine, che la procedura di approvazione del decreto legislativo di riordino delle carriere del personale dei corpi di polizia prevede l'acquisizione del parere delle Commissioni parlamentari competenti in materia, che potranno, in tale sede, fornire il loro prezioso contributo di analisi e di proposta.

Il Viceministro dell'internoFilippo Bubbico.