Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 29 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    gli articoli 29, 30 e 31 della nostra Costituzione sono dedicati alla famiglia e al ruolo che ad essa è riservato nel nostro ordinamento, con particolare riferimento ai rapporti tra i coniugi, ai doveri e ai diritti rispetto ai figli, e ai compiti dello Stato nel sostegno da accordare alla formazione della famiglia e alla tutela della maternità, dell'infanzia e della gioventù;
    la definizione di «società naturale», contenuta proprio nell'articolo 29, come è stato osservato da autorevoli costituzionalisti «è diretta a sottolineare che l'istituto familiare è pregiuridico, sussiste cioè prima e indipendentemente da interventi legislativi», ne deriva che il compito del legislatore è quello di garantirne la formazione e tutelarne i singoli aspetti;
    il report dell'Istat sugli indicatori demografici pubblicato nei primi giorni di gennaio 2016 ha evidenziato un ulteriore calo delle nascite rispetto all'anno precedente, con un dato che realizza il nuovo minimo storico dall'Unità d'Italia;
    nel 2015 sono nati quindicimila bambini in meno rispetto al 2014, e il dato complessivo si è fermato a 488 mila nascite, sancendo il quinto anno consecutivo di riduzione della fecondità;
    inoltre, risultano in diminuzione sia la popolazione in «età attiva», vale a dire quella composta da soggetti di età compresa tra 15 e 64 anni, sia i minori di quattordici anni, mentre non si arresta il processo di invecchiamento, assoluto e relativo, della popolazione, composta per oltre un quinto da persone ultrasessantacinquenni;
    i fattori che maggiormente deprimono i tassi di natalità sono la disoccupazione e la precarietà nel lavoro, che generano nei giovani un'incertezza che impedisce loro una qualsiasi programmazione di vita; tali fattori sono uniti all'assenza di politiche efficaci a sostegno della natalità, della maternità e della famiglia;
    a questo si aggiungono la scarsezza delle risorse finanziare destinate al sostegno dei nuclei familiari, anche sotto il profilo degli sgravi contributivi previsti, e l'insufficienza e l'inadeguatezza dei servizi di assistenza, con servizi educativi e scolastici costosi, con la mancanza di una rete sussidiaria, con la scarsa tutela accordate a molte donne lavoratrici, con le difficoltà nell'acquisto di un'abitazione;
    i provvedimenti a sostegno della natalità e della maternità sin qui adottati dimostrano di non aver risolto il problema del calo delle nascite, e tantomeno di restituire alle giovani coppie quel diritto al futuro del quale la genitorialità è una componente essenziale;
    il piano nazionale per la famiglia, varato per la prima volta nel 2012, prendeva le mosse proprio dalla constatazione che, sino ad allora, avevano «largamente prevalso interventi frammentati e di breve periodo, di corto raggio, volti a risolvere alcuni specifici problemi delle famiglie senza una considerazione complessiva del ruolo che esse svolgono nella nostra società, oppure si sono avuti interventi che solo indirettamente e talvolta senza una piena consapevolezza hanno avuto (anche) la famiglia come destinatario. In particolare, sono state largamente sottovalutate le esigenze delle famiglie con figli»;
    inoltre, nel nostro Paese si riscontrano gravissime lacune sia sotto il profilo dell'istruzione, che si sostanzia nelle altissime percentuali di abbandono scolastico, sia sotto il profilo del sistema di welfare, incapace di offrire una tutela e un sostegno adeguati e affidabili alle famiglie, con particolare riferimento a quelle che abbiano a carico minori, anziani o soggetti portatori di handicap;
    in merito, un rapporto stilato da Save the children ha definito «il default del sistema di welfare» come il fatto che gli effetti degli interventi adottati non siano «in alcun caso riconducibili ad un sistema di politiche, ma la risultante di processi diversi, non interagenti (o male interagenti), di norme che variano senza un orizzonte comune e con tempistiche diverse, tali da rendere incoerenti o inefficaci e/o senza risorse i singoli passaggi»;
    in questo ambito, è necessario segnalare come i criteri introdotti con la recente riforma dell'Indicatore della situazione economica equivalente (Isee) stiano penalizzando proprio i nuclei familiari che si prendono cura di persone affette da disabilità, per i quali ora si considerano come reddito anche le pensioni di invalidità e le indennità di accompagnamento, e i giovani, che in molti si sono visti negare il rinnovo delle borse di studio e, quindi, la possibilità di proseguire negli studi;
    una questione centrale nella programmazione di efficaci politiche in favore delle famiglie consiste nell'individuazione, e nella garanzia stabile lungo un arco di tempo pluriennale, delle risorse finanziarie da destinare a tali politiche; ma, invece, il succedersi delle normative in materia ha causato un processo di progressiva erosione dei fondi;
    il fondo per le politiche della famiglia, istituito nel 2006 e poi sostanzialmente ridisegnato dalla legge finanziaria per il 2007, dopo un iniziale graduale aumento delle risorse, arrivate negli anni tra il 2007 e il 2010 ad un importo medio annuo di oltre 180 milioni di euro, a partire dal 2011, ha subito consistenti decurtazioni sino a raggiungere un importo pari a poco più di venti milioni di euro nello scorso biennio;
    la relazione sul fondo per le politiche della famiglia, approvata nell'aprile del 2012 dalla sezione di controllo della Corte dei conti, ha evidenziato «la mancanza per il contesto analizzato di un sistema organico in grado di intervenire efficacemente, sia sotto il profilo dell'azione di “policy”, sia sotto quello della gestione degli interventi, per le esigenze della famiglia», rilevando come «gli interventi, per essere efficaci, devono porsi l'obiettivo di sostenere in modo significativo e continuativo le famiglie con figli, con basso livello di reddito. Si tratta di puntare a un maggiore impatto e a una maggior continuità che consenta di valutare l'efficacia degli incentivi ad avere figli»;
    secondo la Corte «la mancata utilizzazione di consistenti risorse – soprattutto nel settore degli interventi di competenza statale – ormai drasticamente limitate, pone in discussione l'attuale impianto che, in primo luogo, non ha messo in campo strategie efficaci e sul piano degli interventi ha privilegiato scelte “bottom up”, inevitabilmente caratterizzate da profili individualistici. Va quindi recuperata una capacità strategica di disegnare effettive azioni di sistema che mettano i potenziali beneficiari nella condizione di fare scelte appropriate, consentendo, da un lato, la conciliazione dei tempi di vita e di lavoro e, dall'altro, la possibilità concreta di condurre un'attività lavorativa continuativa»;
    la rete dei servizi per la prima infanzia è uno strumento essenziale sia per il benessere e lo sviluppo dei bambini, sia per il sostegno al ruolo educativo dei genitori nell'ambito della conciliazione dei tempi di lavoro con quelli della famiglia;
    in Italia, si continuano a registrare considerevoli ritardi nel recepimento delle iniziative normative europee in materia di sostegno alla genitorialità e servizi alla famiglia e, da anni, l'Europa raccomanda all'Italia di moltiplicare gli strumenti che facilitano l'ingresso nel mondo del lavoro di chi ha una famiglia, per poter puntare all'equilibrio dei conti pubblici e a tornare a crescere dopo anni di debolezza;
    l'obiettivo fissato in sede europea che prevedeva una copertura territoriale dei servizi per l'infanzia almeno al trentatré per cento entro il 2010, è, ad oggi, largamente disatteso in Italia dove tale copertura arriva in media ad appena il venti per cento; con riferimento a questa copertura, come segnalato anche dalla commissione parlamentare per l'infanzia e l'adolescenza, si conferma la carenza di strutture nelle regioni meridionali, ferme ad appena il tredici per cento delle strutture presenti sul territorio nazionale;
    a questo si aggiunge la scarsa diffusione di modelli di accoglimento alternativi agli asili nido, sul modello, ad esempio, delle Tagesmutter tedesche;
    sulla realizzazione di nuovi asili nido per garantirne una capillare diffusione sul territorio pesa il fatto che rispetto a settori quali, tra gli altri, la pubblica istruzione e l'offerta di asili nido, si continua a prendere come parametro la spesa storica, prevedendo di continuare ad assegnare agli enti locali esattamente quello che già spendevano;
    questo si traduce nel fatto che proprio i comuni che finora non hanno avuto un numero sufficiente di asili nido, spesso proprio a causa di mancanza di fondi o a causa di episodi di malagestione del denaro pubblico da parte degli amministratori locali, continueranno a non ricevere risorse e sarà impossibile per loro sia aumentare le strutture, sia implementare i servizi esistenti;
    un efficace sostegno alle famiglie non può prescindere da un insieme di politiche abitative che possano garantire un alloggio ai nuclei che non possiedono sufficienti risorse proprie per acquistarne o locarne uno, al fine di realizzare pienamente il diritto alla casa;
    nel 2010 era diventato operativo il «Fondo per l'accesso al credito per l'acquisto della prima casa da parte delle giovani coppie o dei nuclei familiari monogenitoriali con figli minori, con priorità per quelli che risultino titolari di contratti di lavoro a tempo determinato», istituito dal decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112;
    il fondo ha costituito per anni uno strumento mirato ed efficace a sostegno dei soggetti in favore dei quali era stato istituito, ma l'attuale Esecutivo, con la legge di stabilità per il 2014, ha deciso di smantellarlo facendolo confluire nel più ampio sistema nazionale di garanzia, privando tutti gli aventi diritto di uno strumento dedicato e creando uno stop nell'erogazione delle garanzie, a causa della necessità di emanare decreti attuativi e stipulare nuovi protocolli d'intesa con l'associazione bancaria;
    secondo la definizione dell'Ocse si definiscono «politiche per la famiglia quelle che aumentano le risorse dei nuclei familiari con figli a carico; favoriscono lo sviluppo del bambino; rimuovono gli ostacoli ad avere figli e alla conciliazione tra vita lavorativa e vita familiare; e promuovono pari opportunità nell'occupazione»,

impegna il Governo:

   a ideare e realizzare, dotandolo degli strumenti finanziari adeguati, un Piano a tutela delle famiglie e della natalità che passi attraverso l'assunzione di iniziative di competenza per l'implementazione delle strutture sul territorio, il miglioramento dell'integrazione tra servizi pubblici e privati, l'adozione di misure economiche di sostegno al reddito e di agevolazioni fiscali;
   in tale ambito, ad assumere iniziative normative volte a introdurre il meccanismo del quoziente familiare, disporre l'applicazione dell'aliquota agevolata dell'Iva al quattro per cento sui prodotti per l'infanzia, disciplinare specifiche forme di sgravi contributivi in favore delle famiglie numerose, tra le quali la detraibilità integrale di ogni spesa sostenuta per i figli a partire dal terzo nato;
   a realizzare una politica di sostegno alla natalità che rimuova le cause economiche e sociali che portano a rinunciare alla maternità, attraverso il rilancio dell'occupazione femminile, garantendo il part-time e diffondendo il telelavoro, promuovendo il potenziamento dell'offerta pubblico-privata degli asili nido, l'incentivazione dell'apertura degli asili nido sul posto di lavoro, condominiali e in case private secondo il modello delle Tagesmutter, nonché adottando iniziative per favorire l'accesso alle abitazioni;
   con specifico riferimento alla necessità di una equilibrata e sufficiente diffusione sul territorio degli asili nido, a promuovere il rapido superamento del criterio della spesa storica nei trasferimenti alle regioni destinati a tale finalità;
   ad attuare una efficace politica abitativa per le giovani coppie, ripristinando il soppresso fondo per le giovani coppie di cui in premessa, e nelle more, promuovendo l'accesso da parte dei potenziali beneficiari alle misure agevolative contemplate dal Sistema nazionale di garanzia, nonché aumentando i fondi destinati al sostegno all'accesso alle locazioni;
   ad adottare le opportune iniziative di carattere normativo volte a garantire la impignorabilità totale della prima casa dei nuclei familiari;
   ad assumere iniziative volte a garantire il tempestivo recepimento di ogni misura a sostegno delle famiglie e della natalità adottata in ambito europeo;
   ad adottare le opportune iniziative, anche normative, al fine di rivedere i parametri per il calcolo dell'Isee;
   ad effettuare il monitoraggio delle iniziative adottate in favore delle famiglie e della natalità, elaborando procedure di valutazione che consentano di fruire dei risultati dei monitoraggi effettuati, ai fini della ottimizzazione delle politiche.
(1-01180) «Giorgia Meloni, Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Nastri, Petrenga, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    la prossima sessione speciale dell'Assemblea generale Onu sulle sostanze stupefacenti (Ungass), che si terrà dai 16 al 21 aprile a New York, prevede una riconsiderazione delle convenzioni internazionali che hanno approvato le politiche di «war on drugs» a scapito di quelle di «riduzione del danno», di prevenzione e, in generale, di diverse strategie di contrasto al fenomeno e al narcotraffico internazionale;
    tale sessione speciale dell'Assemblea generale dell'ONU è stata anticipata, rispetto alla scadenza naturale del 2019, anche a fronte della richiesta urgente di numerosi Paesi latino americani per una revisione immediata degli indirizzi di politica globale fin qui seguiti sulle droghe in relazione al loro ormai manifesto fallimento;
    in numerosi altri Paesi sono già intervenute modifiche legislative, anche a seguito di interventi referendari, verso il superamento del quadro normativo esistente e dell'orientamento contenuto nelle determinazioni delle precedenti Assemblee Generali ONU;
    in tal senso, si è espresso anche un importante numero di organizzazioni non governative a livello interno ed internazionale;
    considerato il cambiamento di approccio in atto nelle politiche globali sulle sostanze stupefacenti, appare indispensabile definire un'adeguata proposta di riforma del testo unico sugli stupefacenti attualmente vigente nel nostro Paese e una piattaforma per un suo nuovo ruolo internazionale, anche in relazione al bilancio oggi possibile a fronte dei mutamenti intervenuti a seguito della sentenza della Corte costituzionale e delle modifiche legislative ad essa succedute;
    in vista di un appuntamento internazionale tanto importante non può non destare preoccupazione il fatto che in Italia manchi un chiaro indirizzo verso gli organismi istituzionalmente preposti e rappresentativi anche nelle sedi internazionali,

impegna il Governo:

   a recepire i contributi e a coinvolgere le organizzazioni internazionali non governative che hanno lavorato in relazione a Ungass 2016;
   ad assumere, nella sede di Ungass 2016, una posizione netta e chiara volta ad includere nel documento finale i temi dello sviluppo delle politiche di riduzione del danno e della prevenzione, della piena disponibilità di sostanze ad uso medico, del riconoscimento del principio della proporzionalità delle pene, della riforma della giustizia penale e di promozione di alternative al carcere, nonché di piena decriminalizzazione del consumo personale;
   ad assumere iniziative per istituire un gruppo tecnico di esperti per analizzare le sperimentazioni in atto a seguito di modifiche normative intervenute o in corso nei singoli Stati e in rapporto alle Convenzioni internazionali sulle droghe.
(1-01181) «Daniele Farina, Scotto, Sannicandro, Fratoianni, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Melilla, Paglia, Piras, Placido, Ricciatti, Zaccagnini».

Risoluzione in Commissione:


   La XI Commissione,
   premesso che:
    l'operatore socio sanitario (OSS) viene definito come l'operatore che, a seguito dell'attestato di qualifica conseguito al termine di specifica formazione professionale, svolge attività indirizzata a soddisfare i bisogni primari della persona, nell'ambito delle proprie aree di competenza, in un contesto sia sociale che sanitario e a favorire il benessere e l'autonomia dell'utente;
    tale figura professionale è riconosciuta a livello nazionale in base a quanto previsto dalla Conferenza permanente per i rapporti tra lo Stato, le regioni e le province autonome di Trento e di Bolzano, attraverso il provvedimento del 22 febbraio 2001 «accordo tra il Ministro della sanità, il Ministro per la solidarietà sociale e le regioni e province autonome di Trento e Bolzano, in occasione della Conferenza Stato-Regioni per l'individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'operatore socio-sanitario e per la definizione dell'ordinamento didattico dei corsi di formazione», pubblicato nella Gazzetta Ufficiale n. 91 del 19 aprile 2001;
    tale provvedimento, oltre a definire la figura dell'OSS e fornire indicazioni essenziali per la sua formazione, si limita a individuare, molto genericamente, le sue attività e competenze;
    la genericità con la quale vengono descritti i compiti dell'OSS non consente, a differenza di quanto avviene per gli infermieri (categoria disciplinata da apposito decreto ministeriale), di definire specificamente le mansioni ad esso attribuite in particolare, quando presta la propria attività in ambito sanitario-ospedaliero, magari in reparti dedicati a interventi più rischiosi, ed entra a far parte dell’equipe di operatori e tecnici in sala operatoria, capita spesso che l'operatore socio sanitario si veda assegnato particolari mansioni che richiedono elevata responsabilità, rappresentando spesso una figura importante di supporto agli altri operatori, in particolare agli infermieri;
    gli operatori socio-sanitari svolgono mansioni particolarmente dure, che richiedono continui sforzi fisici, producono forte stress psicologico, necessitano di forza fisica, concentrazione mentale, prontezza di riflessi, adattamento al continuo cambio dei turni che viene svolto anche durante l'orario notturno. Tali condizioni, anche di forte stress psicologico, possono provocare, in taluni casi, disturbi patologici, talvolta permanenti, rendendo difficile svolgere quest'attività per un lungo periodo di lavoro;
   tale professione ha, negli ultimi anni, anche a causa del perdurare della crisi economica ed occupazionale generale, mutato profondamente la propria natura. Se infatti, in precedenza, coloro che la svolgevano lo facevano per brevi periodi di tempo, oggi, in virtù dei percorsi formativi professionalizzanti sostenuti da molti operatori negli ultimi anni ma anche della carenza di prospettive lavorative alternative, gli operatori addetti all'assistenza svolgono questa attività, in prospettiva, per tutta la durata della propria vita lavorativa e quindi fino al raggiungimento dell'età pensionabile;
    le funzioni dell'OSS sono oggi diverse e fortemente integrate con l’equipe sanitaria e socio-assistenziale, tanto da richiedere un maggior riconoscimento dei ruoli e delle competenze professionali svolte; l'attività ha tutte le caratteristiche per essere qualificata come «usurante» soprattutto se svolta per un numero significativo di anni tale da giustificare un intervento specifico del legislatore al fine di prevedere requisiti ridotti in relazione all'età e agli anni di contribuzione per l'accesso alla pensione;
    da tempo si cerca di trovare soluzioni per il riconoscimento di benefici previdenziali in favore dei lavoratori impegnati in attività usuranti introducendo una normativa speciale volta a consentire il pensionamento anticipato per i soggetti che hanno svolto lavori usuranti. In attuazione della legge n. 183 del 2010 (cosiddetto collegato lavoro) è dapprima intervenuto il decreto legislativo 21 aprile 2011, n. 67, dettando una disciplina organica della materia, volta a consentire ai lavoratori dipendenti impegnati in lavori o attività connotati da un particolare indice di stress psico-fisico di maturare il trattamento pensionistico con un 2 anticipo di 3 anni. In seguito, l'articolo 24, comma 17, del decreto-legge n. 201 del 2011, intervenendo sul decreto legislativo n. 67 del 2011, ha modificato l'accesso al pensionamento anticipato per i suddetti lavoratori, con l'effetto di attenuare la portata dei benefici previdenziali in precedenza previsti;
    il decreto legislativo n. 67 del 2011, prevede tra i requisiti soggettivi per poter parlare lavori usuranti, quello di svolgere una delle seguenti tipologie di lavoro dipendente: lavori in galleria, cava o miniera, o in cassoni ad aria compressa, lavori svolti dai palombari, lavori ad alte temperature, di lavorazione del vetro cavo, lavori espletati in spazi ristretti, di asportazione dell'amianto, attività svolte nell'orario notturno (differenziate in base alle notti lavorate nell'anno e secondo la turnazione adottata), attività alla cosiddetta «linea catena», conduzione di veicoli pesanti adibiti a servizi pubblici di trasporto;
   in Commissione lavoro in risposta all'atto di sindacato ispettivo n. 5-04388, che chiedeva un'applicazione differenziata dell'aspettativa di vita rispetto alle tipologie di mansioni svolte durante la vita lavorativa, il Ministro interrogato ha fatto presente che l'Inps ha dichiarato fin d'ora la disponibilità ad effettuare un approfondimento finalizzato a valutare la possibilità di diversificare il criterio di adeguamento dell'aspettativa di vita in base alle specifiche caratteristiche dell'attività lavorativa,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per individuare criteri di adeguamento dell'aspettativa di vita che tengano conto delle mansioni svolte, delle qualifiche, della durata dell'attività lavorativa e dell'effettiva durata della pensione in essere;
   ad assumere iniziative per prevedere tra le categorie di lavoratori impegnati in attività usuranti anche gli operatori socio- sanitari, attribuendo agli stessi tutte le garanzie e le tutele previste.
(7-00934) «Patrizia Maestri, Gribaudo, Di Salvo, Gnecchi, Albanella, Arlotti, Baruffi, Boccuzzi, Giacobbe, Incerti, Miccoli, Paris, Giorgio Piccolo, Rostellato, Rotta».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, GRILLO, COLONNESE, DI VITA, MANTERO, LOREFICE e BARONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della salute, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il servizio sanitario nazionale garantisce alle persone riconosciute invalide o in attesa di riconoscimento dell'invalidità le prestazioni sanitarie che comportano l'erogazione di protesi, ortesi ed ausili tecnologici nell'ambito di un progetto riabilitativo individuale volto alla prevenzione, alla correzione o alla compensazione di menomazioni o disabilità funzionali conseguenti a patologie o lesioni, al potenziamento delle abilità residue, nonché alla promozione dell'autonomia dell'assistito;
   il Censis, in un'indagine pubblicata a maggio 2014, stima la percentuale di persone con disabilità pari al 6,7 per cento della popolazione totale, cioè 4,1 milioni di persone, prevedendo un incremento nel 2020 del 1,3 per cento pari a 4,8 milioni di italiani con disabilità;
   il nomenclatore tariffario delle protesi e degli ausili è il documento periodicamente aggiornato dal Ministero del salute che stabilisce la tipologia e le modalità di fornitura di protesi e ausili a carico del servizio sanitario nazionale;
   il nomenclatore tariffario attualmente in vigore è disciplinato dal decreto ministeriale n. 332, del 27 agosto 1999 pubblicato dalla Gazzetta Ufficiale del 27 settembre 1999 («Regolamento recante norme per le prestazioni di assistenza protesica erogabili nell'ambito del Servizio sanitario nazionale: modalità di erogazione e tariffe»);
   il decreto ministeriale 27 agosto 1999, n. 332, individua nel dettaglio le categorie di persone aventi diritto all'assistenza protesica, le prestazioni che comportano l'erogazione dei dispositivi riportati negli elenchi 1, 2 e 3 del nomenclatore tariffario e le modalità di erogazione;
   l'articolo 11 del succitato decreto prevede l'aggiornamento periodico del nomenclatore, con riferimento al periodo di validità del piano sanitario nazionale e, comunque, con cadenza massima triennale, con la contestuale revisione della nomenclatura dei dispositivi erogabili;
   il 20 marzo 2014 è stata approvata all'unanimità, in commissione affari sociali, il testo unificato della risoluzione n. 8-00040 presentato dall'onorevole Giulia Grillo, con cui si impegna il Governo a procedere, nel più breve tempo possibile, al rinnovo della Commissione unica sui dispositivi medici, ad adottare con urgenza, e comunque non oltre il 30 giugno 2014, il decreto di aggiornamento del nomenclatore tariffario dei dispositivi medici, ad assumere iniziative per prevedere che i prezzi per i rimborsi derivanti dall'aggiornamento del «nomenclatore tariffario per protesi e ausili» siano definiti in riferimento ai prezzi medi previsti nell'Unione europea, ad informare periodicamente le competenti commissioni parlamentari sulla spesa annuale effettivamente sostenuta dalle amministrazioni pubbliche statali e locali per il rimborso ai rivenditori di protesi e ausili per disabili e a dare continuità all'attività di monitoraggio prevista dal decreto ministeriale decreto ministeriale 11 giugno 2010, recante «Istituzione del flusso informativo per il monitoraggio dei consumi dei dispositivi medici direttamente acquistati dal Servizio sanitario nazionale», nonché attuazione di quanto previsto dall'articolo 57, comma 5, della legge n. 289 del 2002;
   l'aggiornamento del nomenclatore non è stato sinora effettuato, nonostante fosse previsto entro il 31 dicembre 2001, l'articolo 1, comma 1, del decreto 332 dei 1999 prevedeva; a seguito di tale inadempienza i nuovi dispositivi non sono disponibili gratuitamente ai disabili aventi diritto;
   sono oltre due milioni e mezzo le persone in Italia che avrebbero bisogno di ausili per far fronte ad una disabilità, permanente o temporanea, come ad esempio carrozzine, apparecchi acustici o respiratori –:
   se sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e del mancato rispetto di quanto previsto dall'articolo 11 del decreto ministeriale n. 332 del 27 agosto 1999;
   quale sia ad oggi l’iter di aggiornamento del nomenclatore e quali iniziative urgenti il Ministro intenda intraprendere affinché, effettivamente, si possa giungere in tempi rapidi ad un nuovo e completo aggiornamento del nomenclatore al fine di rispondere alla legittima aspettativa dei disabili che, ad oggi, sono le prime vittime di una palese indifferenza politica;
   quali urgenti iniziative intenda assumere il Governo, al fine di individuare le risorse economiche necessarie per l'aggiornamento del nomenclatore tariffario. (5-07943)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SPADONI, CIPRINI e DI VITA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 1o agosto 2014 è entrata in vigore la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, o Convenzione di Istanbul;
   la Convenzione, adottata a Istanbul nel 2011, costituisce il primo strumento internazionale vincolante sul piano giuridico per prevenire e contrastare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
   la violenza di genere costituisce una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne e comprende tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;
   gli Stati che hanno firmato e ratificato la Convenzione dovranno adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per promuovere e tutelare il diritto di tutti gli individui, e specialmente delle donne, di vivere liberi dalla violenza, sia nella vita pubblica che privata;
   ai sensi dell'articolo 29 (Procedimenti e vie di ricorso in materia civile) della suddetta Convenzione, «Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per fornire alle vittime adeguati mezzi di ricorso civili nei confronti dell'autore del reato. Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie, conformemente ai principi generali del diritto internazionale, per fornire alle vittime adeguati risarcimenti civili nei confronti delle autorità statali che abbiano mancato al loro dovere di adottare le necessarie misure di prevenzione o di protezione nell'ambito delle loro competenze»;
   ai sensi dell'articolo 30 (Risarcimenti) della stessa, «Le Parti adottano le misure legislative o di altro tipo necessarie per garantire che le vittime abbiano il diritto di richiedere un risarcimento agli autori di qualsiasi reato previsto dalla presente Convenzione. Un adeguato risarcimento da parte dello Stato è accordato a coloro che abbiano subito gravi pregiudizi all'integrità fisica o alla salute, se la riparazione del danno non è garantita da altre fonti, in particolare dall'autore del reato, da un'assicurazione o dai servizi medici e sociali finanziati dallo Stato. Ciò non preclude alle Parti la possibilità di richiedere all'autore del reato il rimborso del risarcimento concesso, a condizione che la sicurezza della vittima sia pienamente presa in considerazione. Le misure adottate conformemente al paragrafo 2 devono garantire che il risarcimento sia concesso entro un termine ragionevole»;
   il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante «Disposizione urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», convertito, con modificazioni, dalla legge 15 ottobre, n. 119, all'articolo 5 prevede in capo al Ministro delegato per le pari opportunità l'elaborazione e l'adozione di un piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere;
   il suddetto piano d'azione straordinario è stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 e registrato dalla Corte dei conti il 25 agosto 2015;
   nel mese di novembre 2015 l'onorevole Giovanna Martelli ha rassegnato le proprie dimissioni dall'incarico di consigliere del Presidente del Consiglio in materia di pari opportunità;
   un caso recente di violenza di genere è quello di Chiara Insidioso Monda, una giovane ragazza aggredita brutalmente dal compagno Maurizio Falcioni, e che al momento si trova in stato semi-vegetativo;
   fra 20 giorni Chiara Insidioso Monda dovrà lasciare la clinica Santa Lucia di Roma dove è in cura e molto probabilmente verrà trasferita in una clinica per anziani, non avendo altre alternative per carenza di mezzi di sostentamento –:
   quali iniziative di competenza siano state adottate in relazione al caso specifico della giovane Chiara Insidioso Monda;
   quali iniziative urgenti siano nell'agenda del Governo per mettere in atto in maniera concreta misure volte a fornire assistenza sanitaria ed economica alle vittime di violenza di genere che, a seguito della violenza, si trovino in condizione di non poter provvedere a se stesse, nel rispetto della Convenzione di Istanbul e del piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere;
   se non ritenga urgente la nomina di una consigliera in materia di pari opportunità. (4-12284)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro per gli affari regionali e le autonomie. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 35 della legge n. 9 del 7 maggio 2015 (la legge di stabilità 2015 della regione siciliana), la regione si impegnava a rafforzare il ruolo della società «Sviluppo Italia Sicilia». Così recita l'articolo 35: «1. Allo scopo di rafforzare il ruolo di Sviluppo Italia Sicilia quale società strategica per il perseguimento delle finalità istituzionali della Regione nell'ambito dell'area strategica sviluppo, la società Sviluppo Italia Sicilia sostiene la competitività e l'attrattività del territorio attraverso la creazione di impresa e il miglioramento dell'efficienza e dell'efficacia dei processi di programmazione e attuazione delle politiche di sviluppo locale. 2. La società Sviluppo Italia Sicilia è riconosciuta quale soggetto in house cui i dipartimenti regionali devono prioritariamente rivolgersi per l'affidamento delle attività in tema di creazione di impresa e di assistenza tecnica in relazione all'utilizzo dei fondi extraregionali. 3. Le attività di Sviluppo Italia Sicilia sono remunerate con tariffe non maggiori di quelle di mercato»;
   pochi giorni addietro, però e a dispetto, della chiara normativa regionale, la regione siciliana ha dato in gestione i fondi regionali di progetto «Garanzia Giovani» ad Invitalia;
   la regione siciliana ha scelto di affidare ad altre società pubbliche il fondo per giovani disoccupati sulla creazione d'impresa, compito svolto egregiamente e puntualmente da Sviluppo Italia Sicilia nel territorio della regione;
   le rappresentanze sindacali dei lavoratori di Sviluppo Italia Sicilia hanno denunciato questa decisione del governo regionale;
   questi lavoratori, è da precisare e ribadire, continuano a lavorare e a fare il proprio dovere pur non percependo il loro giusto salario da circa 8;
   fermare questa attività istituzionale regionale equivarrebbe a mettere in seria difficoltà gli imprenditori locali;
   questa decisione del governo regionale siciliano è il primo caso di «delocalizzazione» istituzionale. Il governo Crocetta ha deciso deliberatamente, andando contro le proprie leggi regionali, di prendere il lavoro di Sviluppo Italia Sicilia e delocalizzarlo, appunto, e tutto questo non per ottenere un risparmio economico, ma per inerzia nella migliore delle ipotesi o, più probabilmente, a giudizio dell'interrogante e delle organizzazioni sindacali, in relazione all'attività di lobby e ad interessi che sembrano pesare più della vita e del lavoro di 76 persone, siciliani formati e qualificati per svolgere quello stesso lavoro;
   a giudizio dell'interrogante questa scelta è incomprensibile. Continuare a non dare un indirizzo preciso ad una società che, a differenza delle altre è entrata nel novero delle partecipate da soli 8 anni e che fine a quando non è stata acquistata da questa regione non aveva mai avuto un bilancio in perdita, facendo ipotizzare dunque un effetto «Re Mida» al contrario;
   per la prima volta nella storia amministrativa regionale siciliana e a dispetto della comune «vulgata» giornalistica, la regione siciliana, a giudizio dell'interrogante, sta portando alla rovina un'istituzione che prima della sua partecipazione era un'eccellenza nelle istituzioni politico-economiche della Sicilia;
   a giudizio dell'interrogante, non è affatto giusto sacrificare un'esperienza come quella di Sviluppo Italia Sicilia. Non tenere in alcun conto i risultati tangibili e misurabili che detta società ha raggiunto sul territorio siciliano non è giusto come privare la Sicilia di risorse e competenze che in questi anni hanno concretamente contribuito a creare centinaia di piccole imprese e alcune bellissime realtà d'eccellenza (ci si riferisce alla ormai famosa MOSAICOON s.p.a. e alla meno famosa, ma altrettanto di successo, TECHLAB WORKS di Catania);
   è inspiegabile come possa una regione come la Sicilia apprestarsi ad affrontare il periodo di programmazione comunitaria 2014-2020, stanziando circa un miliardo di euro sulla creazione di impresa e decidere contemporaneamente di disfarsi di una società come Sviluppo Italia Sicilia che, da 15 anni ormai, fa questo di mestiere con risultati concreti;
   su un tema importante e fondamentale come lo sviluppo economico del territorio siciliano, l'attenzione delle istituzioni nazionali e regionali è, a dir poco, scarsa quando non nulla;
   porre fine all'esperienza di Sviluppo Italia Sicilia è una scelta miope e significa indebolire la Sicilia privandola di esperienze e competenze da anni al servizio del territorio, e non determinerebbe per questa regione alcun risparmio, perché l'attività che oggi viene svolta da 76 siciliani dovrà essere necessariamente data ad un'altra società, come la tristissima realtà di oggi conferma, che certamente paga le tasse in un'altra regione. Porre fine all'esperienza di Sviluppo Italia non ha nulla a che vedere con la spending review;
   ad ogni modo, al di là del caso specifico di Sviluppo Italia Sicilia la cui esperienza andrebbe salvaguardata, occorre uno sforzo del Governo per promuovere e agevolare tutti gli strumenti e le realtà locali che hanno un effetto benefico per il territorio –:
   di quali elementi disponga il Governo in relazione a quanto esposto in premessa e quali iniziative di competenza intenda assumere per sostenere e incentivare esperienze e realtà, come quella di Sviluppo Italia Sicilia, che hanno un impatto positivo sul tessuto economico e sociale della Sicilia e del Meridione. (4-12288)


   REALACCI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità nazionale anticorruzione, in acronimo Anac è un'autorità amministrativa indipendente italiana. Nata dalla trasformazione della Commissione indipendente per la valutazione, la trasparenza e l'integrità delle amministrazioni pubbliche (CIVIT) nel 2013, fusasi nel 2014 con l'Autorità per la vigilanza sui contratti pubblici di lavori, servizi e forniture (AVCP), dalla quale eredita anche le funzioni ed il personale con il decreto legge n. 90 del 2014 convertito dalla legge n. 114 del 2014. È attualmente presieduta dal magistrato Raffaele Cantone;
   la sua funzione è la prevenzione della corruzione nell'ambito delle pubblica amministrazione italiana, nelle società partecipate e controllate dalla stessa pubblica amministrazione, anche mediante l'attuazione della trasparenza in tutti gli aspetti gestionali, nonché mediante l'attività di vigilanza nell'ambito dei contratti pubblici, degli incarichi e comunque in ogni settore della pubblica amministrazione che potenzialmente possa sviluppare fenomeni corruttivi, evitando nel contempo di aggravare i procedimenti con ricadute negative sui cittadini e sulle imprese, orientando con tale azione i comportamenti e le attività degli impiegati pubblici, con interventi in sede consultiva e di regolazione;
   i compiti dell'Autorità sono stati poi significativamente rafforzati con l'approvazione della legge 28 gennaio 2016, n. 11 – «Delega al Governo sull'aggiudicazione dei contratti di concessione, sugli appalti pubblici e sulle procedure d'appalto degli enti erogatori nei settori dell'acqua, dell'energia, dei trasporti e dei servizi postali, nonché per il riordino della disciplina vigente in materia di contratti pubblici relativi a lavori, servizi e forniture». In particolare, in attuazione della delega e assumendo pienamente il ruolo di vigilanza sui lavori pubblici, l'Autorità sarà chiamata, in tempi certi e rapidi, a collaborare con il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti per rendere trasparente, efficiente e stabile un settore strategico per l'economia e il futuro del nostro Paese;
   secondo quanto si evince da alcuni articoli apparsi di recente sulla stampa nazionale e sui social media, in particolare uno a firma di Sergio Rizzo sul corriere della Sera del 25 febbraio 2016, l'ampliamento delle competenze dell'Autorità, il carico di lavoro su dossier molto delicati, quali scandali Expo, Mose, correntisti truffati da alcuni istituti di credito e sulla valutazione del nuovo codice appalti rischiano di creare una grave difficoltà gestionale e di bilancio all'Anac;
   nella «Nota di aggiornamento al piano di riordino dell'Autorità nazionale anticorruzione» del 28 gennaio 2016 si può leggere: «Non può non evidenziarsi che il bilancio dell'Autorità sconta una rigidità della spesa tale da non consentire per il futuro, a quadro normativo vigente, ulteriori norme di contenimento oltre quelle finora adottate se non a prezzo di una ridotta funzionalità dell'Anac che, nella circostanza, non sarebbe tra l'altro coerente con l'implementazione delle funzioni (...) la quale, anzi, indurrebbe ad una nuova riflessione nelle sedi opportune sul mantenimento degli obiettivi di contenimento della spesa». Insomma di fronte al lavoro da fare l'Anac si trova ingessata tra stringenti vincoli di bilancio e personale ridotto, pur avendo capitoli di bilancio interno ancora da spendere;
   già nel 2015 l'Anac ha tagliato il bilancio del 25 per cento, da 62,9 a 47,2 milioni di euro. Il costo del personale è sceso del 19 per cento, da 38,5 a 31,2 milioni di euro. Quello per gli immobili del 33,4 per cento da 7,2 a 4,8 milioni. Compensi e rimborsi per gli organi istituzionali sono stati ridotti del 53 per cento, da 2,4 a 1,1 milioni. Mentre il costo di beni e servizi si è ridimensionato del 32 per cento, da 14,8 a 10 milioni di euro: ne hanno fatto le spese i servizi resi da terzi (meno 34,9 per cento), i collegi, i comitati e le commissioni (meno 71,1), la Camera arbitrale (meno 44,7), gli onorari per gli esperti esterni (meno 83,4), gli avvocati (meno 46,1), i giornali (meno 48);
   pur con qualche passo avanti la corruzione resta un peso terribile per l'Italia;
   per quanto sia difficile e problematico valutare il fenomeno, alcuni istituti internazionali stimano il valore della corruzione in 60 miliardi di euro annui. Secondo il rapporto Ecomafia, 2015 di Legambiente sarebbero poi 22 i miliardi legati alla filiera criminale delle ecomafie, spesso prodotti e favoriti da fatti corruttivi –:
   se siano a conoscenza dei fatti sopra esposti e se questi corrispondano al vero;
   se non intendano valutare l'opportunità di assumere iniziative normative per concedere all'Anac maggiore autonomia di spesa all'interno del bilancio della stessa che risulta positivo, perché ottenuto grazie a un'oculata gestione patrimoniale, peraltro senza oneri per la finanza pubblica, aumentando così efficienza e organico a fronte della forte crescita di competenze e dossier sul cui vaglio è sempre più spesso chiamata l'Autorità medesima. (4-12289)


   NASTRI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'analisi della Cgia di Mestre evidenzia (secondo quanto riportato da un articolo pubblicato dal quotidiano la Repubblica del 27 febbraio 2016), che a differenza dell'economia reale che continua ad arrancare, in particolare sul versante della domanda interna, quella riconducibile alle attività irregolari e alla criminalità organizzata non conosce battute d'arresto;
   dal rapporto dell'Associazione dei piccoli artigiani del Veneto, emerge infatti che, se tra gli anni 2011 e il 2013, l'economia cosiddetta «sommersa» e quella illegale, sono cresciute di 4,85 miliardi di euro, arrivando a toccare i 207,3 miliardi di euro nel 2013 (pari al 12,9 per cento del prodotto interno lordo), la parte cosiddetta «pulita» del reddito nazionale, calcolata al netto dell'economia non osservata, è diminuita di 36,8 miliardi di euro, scendendo sotto quota 1.400 miliardi di euro;
   il documento economico rileva, inoltre, che ipotizzando prudenzialmente che l'incidenza percentuale dell'economia non osservata sul prodotto interno lordo, sia rimasta la stessa anche nel biennio successivo al 2013, si stima in quasi 211 miliardi di euro l'apporto negativo che tale forma di economia irregolare ha fornito al prodotto interno lordo nel 2015;
   il suddetto aspetto, per la Cgia di Mestre, ha effetti molto importanti sul fronte fiscale, in quanto nel 2015, al lordo dell'operazione prevista dal cosiddetto bonus degli 80 euro, contenuta nel decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 giugno 2014, n. 89, la cui misura è stata riconfermata dalla legge di stabilità per il 2016, la pressione fiscale ufficiale in Italia è stata pari al 43,7 per cento; tuttavia, il peso complessivo che il contribuente onesto sopporta di fatto, risulta superiore ed è arrivato a toccare la quota record del 50,2 per cento;
   a giudizio dell'associazione artigiani di Mestre, inoltre, a seguito degli indicatori numerici in precedenza richiamati e degli effetti indubbiamente distorsivi generati dall'economia «sommersa», occorre valutare la pressione fiscale, calcolata facendo riferimento al rapporto tra l'ammontare complessivo del prelievo (imposte, tasse, tributi e contributi previdenziali) e il prodotto interno lordo, riferito non solo alla ricchezza prodotta in un anno dalle attività regolari, ma anche a quella «generata» dalle attività sommerse (ovvero non in regola con il fisco) e a quelle illegali, che consistono in uno scambio volontario tra soggetti economici (contrabbando, prostituzione, traffico di sostanze stupefacenti);
   ipotizzando in via prudenziale che negli anni 2014 e 2015 l'incidenza dell'economia non osservata sul prodotto interno lordo sia rimasta la stessa del 2013, per la Cgia è altrettanto prevedibile che nel 2015, l'ammontare complessivo dell'economia «sommersa» abbia sfiorato i 211 miliardi di euro, raggiungendo il 50,2 per cento complessivo di pressione fiscale;
   un peso fiscale così elevato, a parere della stessa associazione di Mestre, rischia seriamente di compromettere ogni tentativo di ripresa economica, in quanto risulta difficile trovare lo slancio necessario per ridare fiato all'economia del Paese, in una fase dove la crescita rimane ancora molto debole e incerta;
   a giudizio dell'interrogante, il rapporto della Cgia di Mestre, conferma un quadro economico e sociale, indubbiamente grave e penalizzante per il sistema- Paese, il cui fenomeno legato all'economia illegale ha natura storica e caratteristiche di antica conoscenza;
   appare evidente come l'esigenza di trovare una soluzione al problema dell'economia «sommersa» sia oggi fortemente avvertita, non solo dagli operatori di studi e di ricerche statistiche ed economiche, ma anche dall'opinione pubblica, in quanto considerata una questione di fondamentale importanza in Italia, all'interno di un quadro generale dell'Unione europea;
   una drastica riduzione dell'entità del fenomeno riporterebbe, infatti, a parere dell'interrogante, al livello europeo la competitività del nostro Paese, ristabilendo al contempo gli indispensabili criteri di equità sociale e di certezza delle norme;
   l'interrogante evidenzia, come tra gli effetti positivi derivanti dal forte contrasto a tale tipo di fenomeno irregolare, si innesterebbero importanti leve di crescita e sviluppo: dall'incremento del reddito nazionale e del gettito delle entrate, ai benefici per le imprese in termini di concorrenza, alla riduzione dei casi di sfruttamento dei soggetti deboli, al freno ai fenomeni di collusione con la criminalità organizzata;
   al riguardo, a parere dell'interrogante, l'azione politica del Governo in carica è stata debole ed insufficiente, priva di interventi significativi volti a individuare le condizioni di contrasto alla preoccupante diffusione del fenomeno irregolare;
   le misure succedutesi nel corso degli anni, finalizzate a fronteggiare il fenomeno dell'economia «sommersa», nonché l'affinamento delle tecniche di elusione della normativa in materia fiscale (oltre che di lavoro e previdenza sociale), impongono uno sforzo rigoroso, a giudizio dell'interrogante, anche e soprattutto in considerazione dei livelli preoccupanti ed allarmanti evidenziati dalla Cgia di Mestre, affinché il Governo ponga al centro dell'agenda politica interventi nettamente in controtendenza rispetto a quelli attualmente in essere, al fine di rafforzare l'azione di controllo e vigilanza –:
   quali orientamenti il Governo intenda esprimere con particolare riferimento a quanto espresso in premessa, sull'analisi della Cgia di Mestre;
   quali iniziative il Ministro interrogato intenda intraprendere al fine di contrastare il fenomeno dell'economia sommersa, che, secondo quanto evidenzia l'associazione delle piccole imprese artigiane venete, ha raggiunto oltre 200 miliardi di euro nel 2015, incidendo per oltre il 50 per cento sul peso fiscale effettivo sulle imprese e sui contribuenti;
   se non convengano che l'attivazione di una strategia a favore dell'emersione dell'economia dovrebbe necessariamente raccordarsi con la predisposizione di politiche a sostegno dello sviluppo locale, in modo da dar vita ad interventi per l'emersione ad hoc, in grado di rispondere alle diverse esigenze e specificità locali. (4-12291)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   BRAGA, QUARTAPELLE PROCOPIO e FEDI. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la scuola statale italiana di Addis Abeba, dal 2011 riunita sotto un'unica dirigenza con il nome di «Istituto statale italiano omnicomprensivo», è presente in Etiopia fin dagli anni cinquanta del secolo scorso;
   nata nel 1954 come scuola elementare italiana, con sede in un edificio situato nella zona centrale dell'urbanizzazione italiana di Piazza, per offrire ai connazionali espatriati la possibilità di studiare in un contesto identico a quello metropolitano, la scuola ha successivamente conosciuto un'espansione che l'ha portata a spostarsi nell'attuale sede, in un campus progettato e costruito per offrire un completo corso di studi primari e secondari, portando gli studenti alla maturità tecnica per geometri;
   nel corso degli anni, per le note vicende che hanno segnato la storia dell'Etiopia, la presenza di italiani si è progressivamente ridotta e la scuola, da nazionale, si è gradualmente trasformata in una scuola a carattere internazionale, prima, e come scuola straniera cui si rivolge l'utenza locale, poi;
   a partire dagli anni Novanta del secolo scorso, infatti, la scuola statale italiana ha registrato un costante aumento della presenza di studenti di nazionalità etiopica, dato in aumento che oggi raggiunge il 74 per cento dell'utenza totale e che vede la restante percentuale di studenti di nazionalità italiana che non sono però degli espatriati;
   secondo quanto si apprende da fonti interne all'istituto la scuola statale italiana in Etiopia è oggi appiattita su corsi tecnici, mancando il liceo, e non ha, in questo momento, le risorse per modificare la situazione che porta ad un inevitabile allontanamento dell'utenza italiana e alla dispersione di quella etiopica e che allontana i potenziali utenti della vasta comunità internazionale;
   tale dispersione si caratterizza per una deriva verso il basso, per chi non riesce a sostenere il carico cognitivo richiesto dal curricolo italiano e, quindi, abbandona gli studi o permane per troppo tempo dentro il sistema senza raggiungere risultati soddisfacenti; una deriva verso l'alto, per chi intende proseguire gli studi a livello universitario;
   infine, tutto questo si traduce in una perdita di credibilità e di sostenibilità della offerta formativa italiana e in una sostanziale uscita di studenti dal sistema scolastico italiano con tutte le conseguenze evidenti, non solo a livello di immagine, sia in Italia, sia all'estero, ma anche in ogni settore dell'indotto generato dal completamento degli studi dentro il sistema scolastico e dall'ingresso nel mondo del lavoro;
   l'ipotesi di una riapertura del liceo, non necessariamente scientifico, consentirebbe, nel diversificare l'offerta formativa, di trattenere quella parte di utenza che abbandona oggi la scuola italiana e di rendere la scuola maggiormente attraente anche per la comunità internazionale, se opportunamente potenziata negli insegnamenti in lingua inglese. In una logica di contenimento dei costi e di efficienza ed efficacia dell'azione educativa, appare opportuno rinunciare a un corso di studi tecnici, preferibilmente l'indirizzo, amministrazione, finanza e marketing, a favore del mantenimento del corso «costruzioni, ambiente e territorio», che rappresenta la storia della scuola secondaria italiana ad Addis Abeba e che, per la sua unicità nel panorama degli studi secondari presente sia in Europa, sia tra le scuole internazionali di Addis Abeba, consente: sia un rapido inserimento nel mondo del lavoro, in un settore dove grande è la richiesta di tecnici; sia un'adeguata preparazione per l'eventuale accesso agli studi universitari –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle vicende sovraesposte;
   se intendano valutare l'opportunità di autorizzare una rimodulazione dei corsi di scuola di secondo grado presso l'istituto comprensivo italiano di Addis Abeba in Etiopia, introducendo nuovamente un corso di studi liceali. (4-12285)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   BRESCIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da fonte stampa riportata sul sito web « Inchiostro Verde», in data 18 febbraio 2016, si apprende che, nei primi mesi dell'anno 2010, il comune di Taranto, nell'ambito del progetto «creazione di un sistema integrato di linee veloci riservate al trasporto pubblico urbano – Primo stralcio funzionale – parcheggi in località Cimino-Croce», ha affidato alla cooperativa vincitrice della selezione Ati Polisviluppo-Novelune il compito «Indagini di archeologia preventiva nell'area interessata dal Progetto Coordinato per il Risanamento del quartiere Tamburi» per un importo complessivo di 61.950,00 euro. Successivamente, nel periodo estivo dello stesso anno, nell'ambito del contratto stipulato tra il comune di Taranto e l'Ati Polisviluppo-Novelune, vengono condotte ricerche archeologiche che riguardano il territorio compreso tra Punta Rondinella, la Masseria Bellavista, la Masseria Santa Teresa e il fiume Galeso;
   le ricerche archeologiche effettuate tra il 28 giugno e il 30 settembre 2010, rilevano numerosi reperti e insediamenti di età classica, romana e medioevale, in virtù della posizione geografica nei pressi del tracciato della via Appia, con una concentrazione di importanti siti, anche preistorici, compresi nel quartiere Tamburi, più precisamente tra Porta Napoli e l'area denominata «Croce». A ciò si aggiunge il rilevamento di numerose chiese e conventi di età medioevale;
   dallo stesso articolo sopramenzionato si apprende che, con l'avvallo del funzionario della soprintendenza archeologica della Puglia, dottoressa Dall'Aglio, si è deciso di avviare uno scavo archeologico stratificato, eseguito nel mese di settembre 2010. I risultati di tale scavo hanno dimostrato la grande importanza archeologica dell'area, relativamente alla quale sul sito web della cooperativa Novelune ci si esprime in termini di «ricchezza straordinaria dell'area indagata, che presupporrebbe un immediato vincolo e la programmazione di interventi di scavo in estensione, propedeutici a seri interventi di fruibilizzazione», in quanto «un così significativo spaccato di storia antica della città non può assolutamente essere sottratto alla ricerca e alla divulgazione, anche in considerazione della splendida posizione del sito, affacciato sul porto antico della città – a cavallo del mar Piccolo e dal mar Grande – da cui si gode una bellissima visione dell'isola Città Vecchia»;
   nonostante la singolarità di tali rinvenimenti archeologici, il comune di Taranto ha deciso di procedere ugualmente con l'attuazione del progetto per la realizzazione di parcheggi in località Cimino-Croce. Tale decisione è stata presa anche in riferimento al parere della soprintendenza per i beni archeologici per la Puglia che, nell'ambito della conferenza di servizi, tenutasi ad aprile 2010, avrebbe rilasciato al comune il seguente parere tramite la soprintendente Teresa Elena Cinquantaquattro: «Sulle aree destinate a parcheggi in località Cimino e Croce non insistono vincoli archeologici ai sensi del decreto legislativo 42/2004»;
   aggiungendo: «considerato che le aree interessate dal parcheggio sono ubicate nelle immediate adiacenze della collina della Croce, caratterizzata da un'importantissima frequentazione a carattere insediativo sin dal V millennio A.C., questa Soprintendenza, ai sensi dell'articolo 28 del decreto legislativo 42/2004, subordina la realizzazione delle opere in progetto all'esecuzione di saggi stratigrafici preventivi del sito prescelto per i lavori in oggetto specificati, soprattutto in corrispondenza delle fondazioni delle nuove strutture di servizio, ma anche dell'area destinata a parcheggio»;
   in data 24 giugno 2010, però, la conferenza di servizi approva definitivamente il progetto relativo ai parcheggi, affidando i lavori all'ATI Italstrade Srl – Impresa Mele Tommaso Srl. A seguito di due incontri con la soprintendenza, l'ultimo dei quali in data 10 dicembre 2010, il comune di Taranto avrebbe manifestato l'intenzione di procedere nell'espletamento delle fasi finali della gara d'appalto già avviata, impegnandosi a rivedere e modificare il progetto solo in riferimento alla località Croce, al fine di limitare «quanto più possibile l'entità delle attività di modifica del fronte di scarpata e della attività di sbancamento»;
   a lavori avviati, nell'anno 2014 il comune di Taranto avrebbe approvato una «perizia di variante» tesa a salvaguardare quanto rilevato dalle indagini di archeologia preventiva, prevedendo una riduzione delle aree destinate a parcheggio – quindi una diminuzione dei posti auto – e un diverso posizionamento della struttura per i servizi;
   sebbene siano stati adottati tali provvedimenti, secondo la fonte stampa sopraccitata sarebbero comunque numerosi i danni ai reperti archeologici compiuti dall'avvio dei lavori –:
   se il Ministro interrogato intenda verificare i fatti esposti in premessa;
   se intenda intervenire al fine di chiarire i motivi per cui i lavori di realizzazione del parcheggio non siano stati interrotti a seguito del rinvenimento di importanti resti e testimonianze archeologiche mediante scavi autorizzati dalla stessa soprintendenza, nonché le ragioni che hanno impedito l'apposizione del vincolo archeologico ai sensi del decreto legislativo n. 42 del 2004;
   se intenda intervenire al fine di individuare le eventuali responsabilità attribuibili alla soprintendenza nella mancata interruzione dei lavori di realizzazione del parcheggio a fronte degli importanti rinvenimenti portati alla luce della indagini archeologiche condotte nella zona interessata;
   quali iniziative di competenza intenda adottare al fine di accertare che la realizzazione del parcheggio abbia realmente arrecato danni ai reperti archeologici presenti nel sito di cui in premessa;
   quali iniziative di competenza intenda adottare, nel caso in cui siano riscontrati danni ai reperti archeologici, al fine di salvaguardare e valorizzare quantomeno i resti archeologici rimanenti e suscettibili di danneggiamento a seguito dei lavori di realizzazione del parcheggio. (4-12290)

 * * *

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta orale:


   TANCREDI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in diversi atti di sindacato ispettivo, presentati negli ultimi mesi del 2015, è stato fatto presente al Governo come il bollino ottico farmaceutico, introdotto dall'articolo 40 della legge 1o marzo 2002, n. 39, recante «Disposizioni per l'adempimento di obblighi derivanti dall'appartenenza dell'Italia alle Comunità europee – legge comunitaria 2001», che ha aggiunto 10-bis al decreto legislativo 30 dicembre 1992, n. 540, presentasse problemi molto rilevanti circa la corretta attuazione delle specifiche tecniche destinate a garantirne la tracciabilità ai fini dell'anticontraffazione e dell'antiriciclaggio dei farmaci rubati;
   nel novembre 2015, nel rispondere alle interrogazioni 4-04794 e 5-06880 il Ministro della salute precisava quanto segue:
    1) l'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato cura la produzione di bollini farmaceutici, poiché questi ultimi sono ricompresi nell'elenco delle carte valori;
    2) il ruolo di vigilanza e controllo sulla produzione di carte valori e stampati, a rigoroso rendiconto dell'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato, è in carico al Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento del tesoro;
    3) a fronte delle segnalazioni di difformità dalle specifiche tecniche «la dimensione del fenomeno è elemento discriminante per definire le eventuali azioni da intraprendere; non vi è dubbio, infatti, che se il fenomeno riguarda poche confezioni avrà una portata diversa rispetto al caso in cui il fenomeno si riferisca, per esempio, a 1 miliardo di confezioni»;
    4) l'identificazione della confezione risulta assicurata dallo strato superiore del bollino che contiene, tra l'altro «il numero progressivo riportato sia in chiaro (obbligatorio per i bollini prodotti a decorrere dal 1o gennaio 2016), sia mediante la tecnica di rappresentazione che ne consente la lettura automatica»;
   con l'interrogazione a risposta scritta 4-11290, cui integralmente ci si richiama, sono stati evidenziati i pericoli derivanti dal fatto che il bollino privato del codice progressivo esclude possibilità di effettuare controlli sulle prescrizioni a livello domiciliare (post consegna della farmacia) o di smascherare usi illegali degli stessi in caso di furti; problema gravissimo confermato dal Ministro della salute, laddove, nel rispondere all'interrogazione sopra citata afferma che «...la disfunzione segnalata ha ricadute sulla rintracciabili di confezioni fuoriuscite dal canale distributivo legale...»;
   dal 1o gennaio 2016 sono state immesse in commercio le confezioni di farmaci con la nuova versione del bollino. Come è facile rilevare acquistando una qualsiasi confezione bollinata in farmacia, si continuano a non rispettare le specifiche tecniche di riferimento, che trattandosi di carte valori, devono ritenersi rigidissime;
   in particolare, tra altri difetti minori, si segnala che il Datamatrix, che consente la lettura ottica anche con smartphone, non risulta adeguatamente allineato se non posizionato alla rovescia rispetto a quanto indicato nel decreto; inoltre, il codice progressivo in chiaro sul secondo strato del bollino è facilmente cancellabile a mano senza lasciare traccia della stampa asportata; il che implica che un codice possa essere sostituito da un altro –:
   quali iniziative urgenti intenda adottare il Governo al fine di riportare la produzione dei bollini farmaceutici – carte valori prodotte dall'Istituto Poligrafico e Zecca dello Stato – entro i limiti delle specifiche tecniche di cui al disciplinare allegato al decreto del Ministro della salute 30 maggio 2014 pubblicato sulla Gazzetta ufficiale 18 luglio 2014, n. 165, ed emanato, a giudizio dell'interrogante forse impropriamente, dal solo Ministero della salute;
   se non si ritenga di assumere iniziative per:
    a) impedire che siano immessi in commercio farmaci con il codice progressivo facilmente cancellabile;
    b) valutare il ritiro dal commercio dei bollini fuori specifica prodotti.
(3-02061)


   DELL'ORCO, CRIPPA, LIUZZI, SPESSOTTO, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI e CARINELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   le associazioni dei consumatori hanno come di consueto analizzato l'andamento annuale del costo dei carburanti per autotrazione, evidenziando sulla stampa come la caduta dei prezzi del petrolio non abbia portato in Italia ad un conseguente e adeguato ribasso dei prezzi alla pompa. Si evidenzia infatti che il crollo del prezzo del greggio, oggi intorno ai 30 dollari al barile, sia ai minimi dal 2009, quando la benzina verde costava 1,13 euro al litro, mentre oggi la quotazione media della benzina è scesa appena sotto gli 1,43 euro al litro;
   il calo dei prezzi del greggio, secondo l'Unione petrolifera, sarebbe però stato interamente recepito dai prezzi italiani dei carburanti al netto delle tasse; anche secondo le associazioni dei consumatori ad incidere sull'attuale eccessivo prezzo sarebbero la perdita di forza del cambio euro-dollaro ma soprattutto l'aumento delle accise sui carburanti (nel 2009 si attestavano a 56,4 centesimi al litro, oggi a 72,8 centesimi), nonché l'incremento dell'iva;
   le accise sui carburanti, negli anni, sono aumentate per coprire le spese di varie emergenze, come guerre, missioni di pace, terremoti, alluvioni, molte delle quali non più attuali. In molti casi, inoltre, gli atti di legge che avevano disposto l'aumento dell'aliquota a loro copertura riportavano una scadenza, ma, secondo fonti stampa, le aliquote non sembrerebbero aver subito conseguenti e correlate variazioni al ribasso al cessare degli effetti di legge;
   lo stesso Presidente del Consiglio Matteo Renzi, a proposito di accise sui carburanti, aveva pubblicamente dichiarato durante la trasmissione Porta a Porta del 23 maggio 2014 che, entro quell'anno, il Governo avrebbe rimesso mano alle aliquote per limare le componenti delle accise non più attuali, riferendosi in particole alla guerra di Etiopia. Secondo quanto dichiarato in quella stessa sede dal Presidente del Consiglio in relazione all'alluvione di Firenze, non risulterebbe neppure chiaro se il trasferimento di quote relative alle accise disposto per legge sia stato sempre rispettato;
   sul prezzo finale dei carburanti, oltre alle accise, grava anche l'iva che, non viene però calcolata solo sul costo del prodotto e sul margine di guadagno, ma, illegittimamente, anche sulle accise, trasformandosi così in una tassa sulla tassa. A luglio 2015 una sentenza di un giudice di pace di Venezia, giudicando sul ricorso presentato da un cittadino contro l'Enel che in bolletta calcola l'iva anche sulle accise, ha sancito appunto che l'iva sulle accise non va pagata richiamando il principio stabilito dalla Corte di Cassazione a sezioni unite nella sentenza 3671/97, secondo il quale, salvo deroga esplicita, un'imposta non costituisce mai base imponibile per un'altra. Tale illegittimità dovrebbe dunque riguardare anche il settore dei carburanti;
   considerato che, comunque, le accise sui carburanti costituiscono una voce d'entrata rilevante per le casse pubbliche, gli effetti sulla finanza pubblica di un possibile taglio delle accise e dell'iva dovrebbero essere compensati da un corrispondente aumento della fiscalità, ad esempio incidendo sulle attività estrattive, con un aumento dei canoni e delle royalty che continuano ad essere tra le più basse al mondo, o con la soppressione di tutti i regimi di favore alle accise sui combustibili fossili, in linea tra l'altro con le indicazioni dell'Onu sull'obiettivo di riduzione delle emissioni inquinanti;
   a parere degli interroganti, l'imposizione fiscale gravante sul consumo dei carburanti per autotrazione dovrebbe essere completamente razionalizzata e rideterminata, trasformandola di fatto in una vera e propria tassazione ambientale, ovvero in un sistema di imposizione fiscale che persegua lo sviluppo di politiche pubbliche di sostenibilità e la riduzione delle emissioni climalteranti, come previsto, ma mai attuato, con l'articolo 15 della legge di delega fiscale (legge 11 marzo 2014, n. 23) –:
   quali siano attualmente le componenti dell'aliquota dell'accisa disposte per legge e ancora attuali e quali riferite a situazioni emergenziali o straordinarie ora cessate e se sia sempre stato rispettato, in sede di bilancio, il trasferimento di fondi per quelle destinazioni;
   se il Governo non intenda assumere iniziative affinché l'iva sui carburanti venga adeguata conformemente a quanto stabilito dalla recente sentenza del giudice di pace di Venezia richiamata in premessa;
   se e come il Governo intenda intervenire per razionalizzare l'imposizione fiscale sul consumo dei carburanti per autotrazione, trasformandola di fatto in una carbon tax, o altra imposta di scopo, destinata a finanziare lo sviluppo delle energie rinnovabili, dell'efficienza energetica del nostro Paese e della mobilità pubblica sostenibile. (3-02062)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NASTRI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   i modesti segnali favorevoli, derivanti dagli indicatori statistici, in tema di ripresa economica, in particolare sul versante occupazionale, a giudizio dell'interrogante, sembrano essersi nuovamente arrestati agli inizi del 2016;
   a fronte dei fattori noti, che hanno frenato il rilancio dell'economia italiana, causati in particolare dalla scarsa ripresa della domanda interna, dei consumi e della fiducia delle imprese e dei contribuenti sulle prospettive future, si aggiungono motivazioni macroeconomiche internazionali, quali il crollo del prezzo del petrolio e la crisi in Cina e in Sudamerica e nell'area euro, i cui effetti stanno rallentando la ripresa economica generale;
   il tema della pressione fiscale, che a parere dell'interrogante e secondo la percezione generale dei contribuenti, continua ad essere troppo elevata (oltre il 43 per cento), rappresenta un aspetto centrale, che contribuisce e rallentare ogni tentativo di ripresa della crescita e dello sviluppo dell'economia del Paese;
   l'interrogante, al riguardo, evidenzia come nel 2017 incombano le cosiddette «clausole di salvaguardia» introdotte nelle leggi di stabilità 2015 e 2016 dal Governo al fine di far fronte a eventuali scenari nei quali lo Stato non sia in grado di centrare gli obiettivi di deficit in rapporto al prodotto interno lordo;
   a tal fine, l'anno prossimo, come detto, è previsto l'aumento di un punto dell'Iva, pari a 17 miliardi di euro, nel caso in cui il Governo non riesca a raggiungere gli obiettivi suindicati; l'innalzamento dell'aliquota aumenterebbe ulteriormente la pressione fiscale di un punto;
   tale ipotesi, a giudizio dell'interrogante, rischia di determinare ulteriori conseguenze negative e sfavorevoli sulla ripresa e sulla crescita economica, in quanto l'Iva rappresenta una delle imposte che incidono maggiormente sulla domanda interna e lo sviluppo dell'economia;
   l'interrogante evidenzia come le osservazioni indicate dal professor Giavazzi e riportate in un articolo pubblicato il 28 febbraio 2016 dal quotidiano Il Corriere della sera, siano condivisibili, in quanto al fine di evitare, l'ulteriore aumento della pressione fiscale, che interromperebbe definitivamente ogni timido tentativo di ripresa economica nel breve periodo, occorre ridurre le tasse alle imprese intervenendo sull'Ires e l'Irap, fino ad eliminarla in maniera risolutiva, trasformando al contempo i sussidi temporanei ai nuovi contratti a tempo indeterminato, in una riduzione permanente del cuneo fiscale, anche se tale decisione comportasse un deficit temporaneo superiore al 3 per cento e l'eventuale apertura di procedure d'infrazione da parte della Commissione europea;
   per innestare un processo di fiducia dei mercati internazionali, nei riguardi del nostro Paese, a parere dell'interrogante, risulta pertanto urgente e necessario introdurre tali misure, accompagnate da una riduzione delle tasse, con un corrispondente programma di tagli alla spesa pubblica improduttiva ed inutile, da attuare nel breve termine –:
   quali orientamenti il Ministro interrogato intenda esprimere con riferimento a quanto esposto in premessa e se non ritenga che le misure economiche e fiscali sollecitate ed in precedenza richiamate, ove introdotte, possano determinare effetti positivi e favorevoli per la ripresa economica del Paese. (4-12287)


   FERRARESI, DELL'ORCO e SARTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la ricostruzione degli edifici privati colpiti dai terremoti del maggio 2012 è stata finanziata con il fondo di cui all'articolo 2 del decreto-legge 6 giugno 2012 n. 74 convertito, con modificazioni, dalla legge 1o agosto 2012, n. 122;
   il Comune di San Felice ha rilasciato un premesso di costruire (pratica PDC n. 13/2013 del 3 maggio 2013) per la «Ricostruzione di un edificio di civile abitazione a seguito degli eventi sismici del 20/29 maggio 2012», di cui è proprietario: G. M.; è stata concessa la possibilità di demolire un edificio e di ricostruirne uno totalmente nuovo e diverso (nuova costruzione);
   ad un controllo in corso d'opera sui lavori si sono riscontrate evidenti anomalie nel progetto approvato, in particolare in violazione della normativa urbanistica nazionale sulle distanze minime dalle strade e tra i fabbricati, ovvero i metri 10 prescritti dall'articolo 9 del decreto ministeriale 2 aprile 1968 n. 1444;
   in data 23 agosto 2015, il giornale « La Gazzetta di Modena» pubblica un articolo sul caso, in cui risulta che, allo stato, vi siano inoltrate alla procura della Repubblica di Modena informative del Corpo forestale dello Stato, comando provinciale di Modena (n. protocollo 3917 del 2 luglio 2015, che evidenzierebbero corresponsabilità anche in capo all'ufficio tecnico del comune), della polizia municipale ed un esposto del collegio dei geometri della provincia di Modena il quale, anch'esso, denuncia la supposta illecita azione autorizzativa del comune di S. Felice;
   alla procura della Repubblica è stato inoltrato un esposto dall'identico contenuto da parte di due consiglieri comunali, sempre del comune di S. Felice;
   dai dati pubblicati dalla regione Emilia Romagna: a seguito dell'approvazione dell'ordinanza commissariale n. 33 del 20 luglio 2015, che ne definisce le modalità e i criteri per la diffusione relativi ai beneficiari di contributo, così come previsto dal decreto legislativo n. 33 del 2013, si evince che in data 23 agosto 2013, progetto contrassegnato con ID 0803603700000053532013, codice – CUP F55I13000070001, comune – Istat 036037 S. Felice sul Panaro, di Via Perossaro 1749, ha ottenuto un contributo di euro 275.854, beneficiario: G.M.;
   alle linee guida per la presentazione delle domande e le richieste di erogazione dei contributi previsti nella ordinanza n. 57 del 12 ottobre 2012 del presidente della regione Emilia Romagna, in qualità di commissario delegato, ai sensi dell'articolo 1, comma 2, del decreto-legge 74 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 122 del 2012, al paragrafo 14, al punto 14.1, lettera d), è previsto, quale causa di revoca del contributo: «qualora gli immobili siano realizzati in violazione delle norme urbanistiche ed edilizie o di tutela paesaggistico-ambientale»;
   la legge regionale 21 dicembre 2012, n. 16, articolo 4, al comma 7, prevede che: «Gli interventi di ricostruzione devono avvenire al di fuori delle fasce di rispetto stradale e dei corsi d'acqua, osservando le distanze minime tra edifici e dai confini e gli allineamenti, stabiliti dalla normativa o dalla pianificazione urbanistica, fatta salva la facoltà del soggetto interessato di procedere alla ricostruzione dell'edificio originario, nel rispetto della sagoma, del volume e del sedime originari, qualora l'applicazione di tali disposizioni comporti l'impossibilità di ricostruire l'edificio nelle sue precedenti caratteristiche»;
   si tratta di una ricostruzione che ha beneficiato di cospicui contributi statali (oltre 275 mila euro) per la ricostruzione post sisma, e le norme prevedono che, al ricorrere di abusi edilizi, il contributo non solo non possa essere concesso ma vada restituito –:
   come si concili il finanziamento erogato con le norme stabilite per l'erogazione dei contributi alla ricostruzione degli edifici privati danneggiati dal sisma del 2012;
   se non ritengano di dover valutare l'opportunità di operare una ricognizione di eventuali similari erogazioni nei comuni dell'area del terremoto nonché, ove necessario, se non intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a evitare che risorse pubbliche siano autorizzate e indirizzate verso iniziative di ricostruzione in difformità alle norme urbanistiche ed edilizie o di tutela paesaggistico-ambientale. (4-12292)

 * * *

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARCO DI STEFANO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel nostro Paese – alla luce del quarto pacchetto ferroviario che definisce il nuovo contesto regolatorio dell'Unione europea, che implica una riorganizzazione del mercato ferroviario e degli obblighi di servizio pubblico – diventa non più rinviabile una seria riflessione sull'assetto, l'efficienza e la competitività della rete e dei servizi ferroviari regionali includendo fra questi anche quelli delle ferrovie ex-concesse;
   queste ultime, che assommano a circa 3.500 chilometri di rete, pari quasi a un quarto dell'intera rete ferroviaria nazionale, non sono state sottoposte alle regole della riforma ferroviaria comunitaria;
   nella regione Lazio, secondo l'interrogante, com’è noto, due ferrovie concesse in particolare operano nel trasporto pubblico locale: la Roma Lido la cui infrastruttura è compresa all'interno dei confini del comune di Roma e la Roma Viterbo che va oltre i confini del comune di Roma e serve diversi comuni delle province di Roma e di Viterbo;
   quest'ultima, inoltre, vive una diversa realtà istituzionale, trattandosi di una, ferrovia concessa connessa, compresa perciò nell'elenco di cui al decreto ministeriale del 5 agosto 2005, con obblighi e norme sulla sicurezza e sull'assegnazione dalla capacità da rispettare come previsto dall'articolo 3 dello stesso decreto. Obblighi e norme che prevedevano che le regioni dovevano recepire nel proprio ordinamento i contenuti del decreto legislativo n. 188 del 2003 e dovevano perciò individuare i gestori di ciascuna rete, i soggetti responsabili dell'assegnazione della capacità, l'organismo di regolazione e, nettamente separato, il soggetto per il servizio di trasporto pubblico. Questi da individuare normalmente attraverso gara;
   la regione Lazio, secondo l'interrogante, ha disatteso le indicazioni di legge e si è limitata, invece, ad assegnare le due concesse alla gestione dell'Atac, azienda di trasporto di proprietà del comune di Roma, per svolgere insieme le funzioni di gestore della rete e del servizio di trasporto con i pessimi risultati da più parti lamentati;
   l'assessore ai trasporti della regione Lazio Civita ha denunciato in diverse occasioni, ed (anche recentemente, anche l'incapacità dell'Atac di spendere i fondi assegnati per le infrastrutture delle due ferrovie concesse;
   la ferrovia Roma Lido, come è noto, è stata recentemente fatta oggetto di una proposta di project financing da parte di alcune imprese riunite in Consorzio, fra queste la francese Ratp capofila insieme all'Ansaldo;
   la regione Lazio ha richiesto, giuste le dichiarazioni rese dal presidente Zingaretti, al Ministero delle infrastrutture e dei trasporti di poter attingere ai fondi FAS per una somma di 200 milioni di euro per poter intervenire sulla infrastruttura oggetto della proposta di project financing;
   nel bilancio di previsione 2016-2018 della regione Lazio sono previsti, tra l'altro, investimenti per un importo di 150 milioni di euro per la linea ferroviaria regionale Roma Viterbo;
   il Ministro Delrio in occasione della presentazione dell'aggiornamento 2015 del contratto di programma Ministero delle infrastrutture e dei trasporti-Ferrovie dello Stato italiana-Rete ferroviaria italiana per gli investimenti nel settore ferroviario ha riferito di altri 8 miliardi di euro di investimento che saranno presto oggetto dell'aggiornamento 2016 e ha espresso interesse e disponibilità a farsi carico delle richieste della regione Lazio riguardanti le due ferrovie concesse;
   la regione Lazio, aveva bandito una gara europea per il raddoppio della tratta Riano Sant'Oreste poi annullata con il cambio della maggioranza politica del governo regionale che ha ritenuto di impiegare in modo diverso le relative risorse finanziarie; dal che si deduce che vi sono tutte le condizioni per procedere rapidamente alla gara qualora si volesse dar seguito alle rinnovate intenzioni della regione Lazio;
   la regione Lazio non ha dato seguito, inoltre, alla gara europea, già aggiudicata, per l'individuazione dei servizi minimi su ferro e ad oggi non è provvista degli strumenti necessari e indispensabili per la definizione degli elementi contrattuali al fine dell'effettuazione delle eventuali gare per il servizio di trasporto pubblico locale nelle due ferrovie concesse;
   la città di Roma oltre a svolgere la funzione di capitale della Repubblica, si è candidata ad accogliere le prossime Olimpiadi del 2024, con la conseguente esigenza di dar corso rapidamente alla razionalizzazione delle infrastrutture su ferro. In particolare, deve essere definita in tempi rapidi, oltre alla chiusura dell'anello ferroviario a nord e all'implementazione della rete tranviaria, sia la scelta del collegamento con Tor Vergata, sede di importanti avvenimenti delle olimpiadi oltre che del Campus Universitario, decidendo se far raggiungere dalla linea A o dalla linea C della metropolitana, sia la sorte della linea C dopo il raggiungimento della Stazione Fori Imperiali-Colosseo –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a:
    a) agevolare l'acquisizione di Rete ferroviaria italiana delle due ferrovie concesse Roma Lido e Roma Viterbo al fine dell'ammodernamento e della messa in sicurezza delle infrastrutture ferroviarie e delle relative stazioni convogliando al riguardo tutte le risorse a vario titolo ad esse destinate ivi comprese quelle eventualmente disponibili nell'integrazione prevista dalla legge di stabilità e dal decreto-legge «Sblocca Italia» per gli investimenti ferroviari;
    b) attivare tramite le strutture del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti competenti per materia, un'attenta verifica della necessità del mantenimento della connessione della Roma-Viterbo alla rete nazionale, di cui al decreto 5 agosto 2005, e quindi delle eventuali funzioni cargo della linea stessa con la rivisitazione del progetto approvato dalla regione Lazio per l'ammodernamento della linea;
    c) verificare i presupposti per partecipare in mancanza degli strumenti adeguati da parte della regione Lazio, alla definizione degli schemi dei bandi delle gare al fine di poter svolgere una regolare competizione fra imprese per il mercato del trasporto pubblico locale nelle due ferrovie ex concesse, ciò anche alla luce dei nuovi ulteriori compiti che il Governo vuole assegnare all'ART;
    d) sperimentare nella circostanza, al fine di promuovere una più larga partecipazione alla gara, il ricorso per la disponibilità del materiale rotabile, di cui le due linee hanno urgente necessità, al «ROSCÒs» della cui istituzione si è dato conto nel corso della conferenza stampa di presentazione degli investimenti nel settore ferroviario di cui in premessa;
    e) favorire l'acquisizione da parte di Rete ferroviaria italiana di tutte le altre ferrovie concesse che a livello nazionale possano rappresentare un ulteriore contributo al miglioramento delle condizioni di trasporto per i pendolari e per il trasporto merci su ferro che costituiscono secondo gli intendimenti del Governo, più volte dichiarati, una scelta strategica di grande rilievo;
    f) far sì che i vari livelli istituzionali interessati alla definizione delle scelte delle opere ferroviarie menzionate in premessa che riguardano la Capitale facciano chiarezza in un quadro di razionalizzazione delle risorse a vario titolo impegnate, superando il caos che si sta verificando nella città di Roma che vede cantieri fermi, operai messi in mobilità, vaste aree della città impegnate da lavori di cui non si conoscono più i tempi di esecuzione e le finalità. (5-07942)

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel 2005 viene approvato dal CIPE (65/2005) un progetto preliminare che prevede un'aggiunta di un terzo binario da Rho a Gallarate (linea del Sempione) per potenziare il trasporto regionale. Nel progetto preliminare si cita chiaramente (SIA sintesi non tecnica 3.2.2) che: «la scelta di realizzare un terzo binario piuttosto che un quadruplicamento della linea è dettata dai vincoli imposti dal fino contesto urbanistico di riferimento, che non consente l'inserimento di un ulteriore quarto binario nella sede esistente, senza bisogno di ampliamenti»;
   con l'avvento di EXPO 2015 il Governo Berlusconi e la giunta Formigoni riescono ad inserire quest'opera tra quelle connesse a EXPO 2015 (decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 22 ottobre 2008);
   nell'agosto del 2009 rete ferroviaria italiana presenta quindi un progetto definitivo che anziché dare esecuzione al preliminare a 3 binari prevede l'inserimento di un quarto binario solo per la tratta (8,9 chilometri) tra Rho e Parabiago. Costo complessivo stimato dell'opera 401 milioni di euro;
   la regione Lombardia, rete ferroviaria italiana e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti aprono dei tavoli tecnici (ottobre 2009 - febbraio 2011) per discutere con le amministrazioni locali le modifiche da apportare al progetto definitivo e soprattutto definire le compensazioni ambientali;
   il progetto definitivo è approvato dal CIPE (33/2010 pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 21 febbraio 2011) senza che siano accolte le richieste dei cittadini dei comuni coinvolti che non vogliono il quarto binario. Le procedure di esproprio prevedono infine un risarcimento delle case e delle proprietà private che verranno espropriate o demolite a prezzi molto inferiori a quelli di mercato o dei valori al nuovo. Il tutto in nome delle compensazioni ambientali richieste e promesse ai comuni;
   il progetto definitivo prevede inoltre, per diminuire ma non eliminare il rumore residuo, barriere antirumore alte sino a 8 metri da costruirsi a ridosso delle abitazioni. Purtroppo, anche con queste drastiche misure, rete ferroviaria italiana non riesce comunque a contenere il rumore residuo, che risulterà superiore ai limiti di legge presso circa 500 recettori residenziali, tra cui molte abitazioni e recettori sensibili come scuole, asili, case di cura a Vanzago e Parabiago;
   si costituisce a Vanzago un comitato civico della tratta Rho-Parabiago che impugna la delibera del CIPE, riuscendo a far annullare la delibera del CIPE (33/2010) di approvazione del progetto definitivo;
   il TAR con la sentenza n. 1914 del 9 luglio 2012 stabilisce: «È opinione del Collegio che la previsione a livello di progettazione definitiva di una soluzione, non solo diversa, ma addirittura-esclusa dal progetto preliminare, sia decisiva per affermare la sussistenza di un insanabile contrasto fra i due progetti e dunque per affermare l'illegittimità dell'operato della pubblica amministrazione»;
   la sentenza del Consiglio di Stato n. 6667 del 21 dicembre 2012 e soprattutto quella del TAR n. 1914 del 9 luglio 2012 sentenzia: «Inoltre va osservato che proprio la differenza strutturale dell'opera, e il suo differente profilo funzionale – che comporta un più denso utilizzo della rete ferroviaria – potrebbero far sorgere l'esigenza per le comunità locali, le cui istanze dovrebbero essere rappresentate dalla regione, di proporne, quantomeno per alcuni tratti, una diversa localizzazione; e ciò evidenzia la necessità di procedere ad una nuova approvazione del progetto preliminare secondo la procedura all'uopo prevista, giacché è solo nell'ambito di tale procedura che possono essere riesaminati i profili concernenti la localizzazione del tracciato»;
   il progetto viene ripresentato il 15 ottobre 2013, solo per il quadruplicamento della tratta Rho-Parabiago, con una nuova valutazione di impatto ambientale che viene approvata dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, nonostante le problematiche di seguito esposte. In sostanza resta il vecchio progetto definitivo. Di fatto, si riduce quanto sentenziato dal TAR e dal Consiglio di Stato alla «sussistenza di difetto motivazionale nel parere reso dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare in ordine alla compatibilità ambientale di detta differenza progettuale»;
   tra il progetto definitivo del 2009 e quello del 2013 scompare di fatto il terzo binario tra Parabiago e Gallarate. I quattro binari, che nel 2009 dovevano essere solo il primo lotto funzionale del progetto definitivo di allungare poi il terzo sino a Gallarate, rimangono orfani del secondo lotto funzionale;
   il progetto definitivo oggetto della procedura di valutazione di impatto ambientale è sostanzialmente lo stesso che era stato già oggetto di precedenti osservazioni e contestazioni per i suoi gravi impatti, nonché lo stesso che è stato annullato dal TAR e dal Consiglio di Stato;
   l'impatto acustico è sottostimato, in quanto lo studio effettuato considera il passaggio di soli 20 treni merci giornalieri, quando in realtà il traffico risulta già oggi essere molto più intenso ed una verifica diretta sulle ripercussioni derivanti dalle vibrazioni, relative alle abitazioni circostanti sarà possibile solo successivamente alla realizzazione delle barriere fonoassorbenti, ma le stesse si preannunciano come un pesante impatto su territorio e cittadini;
   dal punto di vista ambientale, la nuova infrastruttura costituirebbe la distruzione di numerose aree naturali o agricole residuali e provocherebbe l'interruzione di importantissimi corridoi ecologici;
   nello studio di impatto ambientale non si tiene conto degli impatti sul suolo in termini di consumo di suolo ed inquinamento, invece di massima rilevanza e ben rappresentativi della portata devastante dell'opera sul territorio;
   la realizzazione di 2 binari in più solo tra Rho e Parabiago (8,9 chilometri) non servirebbe a niente. Non risolverebbe i gravi problemi dei pendolari della linea Milano-Gallarate derivanti principalmente dall'inadeguatezza dei treni, dalla mancanza di carrozze, dalla scarsa manutenzione del materiale rotabile e non dalla mancanza di binari;
   quest'opera espropria e demolisce abitazioni, innalza barriere antirumore di 8 metri contro le finestre delle case, mette in pericolo il territorio e la sicurezza ferroviaria costruendo due nuovi binari che passeranno a ridosso di alcuni impianti a rischio di incidenti rilevanti. Spendere 450 milioni di euro per un'opera del genere significherebbe solo favorire speculazioni a discapito del territorio interessato e dei propri abitanti;
   nel settembre 2014 il Consiglio superiore dei lavori pubblici (parere n. 98 del 2014 per l'adunanza del 26 settembre 2014) respinge di fatto il progetto per la terza volta, rimarcando le carenze documentali e procedurali, gli impatti ambientali, le criticità tecniche, ed evidenziando inoltre perplessità sotto il profilo economico: le spese risultano eccessive e non giustificate e il costo chilometrico (pari a 25 milioni di euro al km) risulta eccessivo rispetto a quello di interventi analoghi (circa il 34 per cento in più rispetto al quadruplicamento Lambrate-Treviglio);
   nel luglio 2015, la regione Lombardia ha reso pubblico il « dossier infrastrutture», un documento – presentato al Ministero al fine di chiedere fondi per la realizzazione – contenente le 37 opere infrastrutturali giudicate prioritarie per la Lombardia. Tra queste, a pagina 34, si trova il potenziamento ferroviario della tratta Rho-Gallarate, ovvero la realizzazione del quarto binario;
   nonostante due sentenze contrarie della giustizia amministrativa, nonostante un parere del Consiglio superiore dei lavori pubblici che ha messo in luce le innumerevoli criticità tecniche ed economiche del progetto, nonostante la forte opposizione di molti cittadini per le gravi ripercussioni del progetto sul contesto urbano e ambientale circostante, alla prima occasione l'amministrazione regionale non ha esitato nel tornare a chiedere al Governo il finanziamento di un'opera la cui utilità è peraltro sempre meno attestabile;
   il progetto dell'opera, secondo quanto si legge nel documento, prevede la posa di «una coppia di binari aggiuntivi da Rho fino a Parabiago» e la realizzazione di un raccordo a Y «tra la rete di Rfi e Trenord per il collegamento con Malpensa». Una soluzione che «potrà – si legge sempre nel documento della regione Lombardia – definitivamente risolvere la problematica di insufficiente capacità di trasporto sull'asse di penetrazione dal nord/ovest del milanese»;
   secondo autorevoli stime dei flussi per incrementare la capacità non è indispensabile aumentare i binari, ma è sufficiente intervenire sul numero e sulla tipologia delle carrozze;
   in un articolo recentemente apparso sul Sole 24 ore, che affronta il tema dei collegamenti ad alta capacità con la Svizzera (i progetti esistenti riguardano le linee che vanno verso Genova passando da Novara e verso Milano passando da Chiasso con esclusione della tratta Rho-Gallarate), Maurizio Gentile, amministratore delegato di rete ferroviaria italiana; propone il quadruplicamento Rho-Parabiago-Gallarate come alternativa «più utile» rispetto al quadruplicamento Chiasso-Monza;
   l'amministrazione regionale, unitamente alle aziende promotrici, sta mostrando una determinazione quantomeno sospetta nel ricercare qualsiasi pretesto per riproporre un progetto che, nonostante ne sia stata dimostrata l'inconsistenza tecnica, viene riproposto ogni volta come la soluzione a qualsiasi problema ed ora persino come alternativa ad una linea totalmente diversa e per un servizio ad alta capacità che non era assolutamente previsto nel progetto –:
   se il Ministro intenda confermare o smentire quanto dichiarato dall'amministratore delegato di rete ferroviaria italiana Maurizio Gentile, come riportato in premessa;
   se il Ministro intenda pronunciarsi in via definitiva, per quanto di competenza, in merito alla cancellazione dell'opera in questione, considerando i numerosi fattori ostativi di carattere tecnico, economico e procedurale. (4-12283)


   LOMBARDI, DAGA, VIGNAROLI, RUOCCO, DI BATTISTA e BARONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   con lettera datata 8 febbraio 2016, il collegio sindacale della società Roma Metropolitane, nell'ambito della propria attività di verifica del bilancio societario al 31 dicembre 2015, ha sollecitato il responsabile del procedimento della linea C, ingegnere Andrea Sciotti, e il presidente della commissione di collaudo tecnico amministrativo, professore Andrea Monorchio, a fornire un celere riscontro in relazione allo stato dei lavori della tratta Lodi – San Giovanni della linea della metro in costruzione, individuando in particolare la data di ultimazione di tali lavori e la data della conseguente apertura all'esercizio di tale tratta;
   l'articolo 2.3 dell'atto attuativo approvato dal consiglio di amministrazione della Roma Metropolitane srl in data 9 settembre 2013 e sottoscritto in pari data dal presidente del consiglio di amministrazione pro-tempore, infatti, stabiliva che i lavori della suddetta tratta metropolitana avrebbero dovuto essere ultimati entro il 30 giugno 2015; al raggiungimento di tale obiettivo, tra le altre cose, era condizionato il corrispettivo economico aggiuntivo che Roma Metropolitane ha riconosciuto al contraente generale Metro C scpa, pari a 320 milioni di euro;
   nella lettera, si ricorda che il suddetto atto contrattuale del 9 settembre 2013 ad oggi non è ancora stato approvato né da Roma Capitale, né dalla regione Lazio, né dal Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e neanche dal Cipe, con la conseguenza che l'ingente importo aggiuntivo riconosciuto al contraente generale è riconducibile, in termini economici e di conseguente responsabilità civile e contabile, alla persona giuridica Roma metropolitane e alle persone fisiche degli amministratori e dei dirigenti che tale atto contrattuale hanno predisposto, validato, proposto, approvato, sottoscritto, dandone poi nei rispettivi ruoli seguito e attuazione, pur in assenza delle approvazioni normativamente previste, che peraltro – come ribadito nella missiva – avrebbero dovuto precedere la sottoscrizione dell'atto. Tutto ciò, malgrado il parere contrario del collegio sindacale;
   a tutto quanto sin qui esposto, si aggiunga che è di questi giorni la notizia secondo cui sarebbero in arrivo ulteriori fondi per far ripartire i lavori di completamento della Metro C, per un importo pari a 102 milioni di euro, entro i prossimi 60 giorni. Un'immissione di liquidità annunciata dal Campidoglio, dopo un incontro con il contraente generale dell'opera, il Consorzio Metro C (Astaldi, Vianini Lavori, Ccc, Ansaldo Stc, Cmb), che dovrebbe esaminare la proposta in consiglio il 18 febbraio 2016 e decidere di riaprire i cantieri;
   si ricorda che i lavori erano stati sospesi il 15 dicembre 2015 dopo che il Consorzio aveva denunciato – in una lettera inviata al commissario straordinario di Roma Paolo Tronca, alla società Roma Metropolitane, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti e al presidente della regione Lazio – il mancato pagamento di lavori eseguiti a partire dal mese di luglio 2013 e altri crediti per lavorazioni eseguite e non ancora certificate, per lavorazioni eseguite su richiesta del committente e non ancora contrattualizzate, per un ammontare complessivo di 285 milioni di euro. Con l'apertura della procedura di mobilità per circa 600 lavoratori;
   si consideri infine che i 102 milioni di euro si aggiungono ai 43,7 milioni di euro erogati da Roma Capitale in poco più di due mesi, come ha spiegato il sub-commissario al bilancio, per accelerare le regolazioni dei debiti non ancora saldati. Dal 21 dicembre, inoltre, è attivo – sottolinea il Campidoglio – un tavolo «di raccordo interistituzionale di tutti gli enti finanziatori della Metro C»;
   quindi, nonostante l'ingente quantità di denaro sin qui attribuita al contraente generale Metro C, i lavori non sono stati ultimati nei tempi contrattualmente stabiliti –:
   se il Governo sia a conoscenza della situazione descritta in premessa e se non reputi urgente assumere iniziative, per quanto di competenza al fine di evitare lo stanziamento di fondi ulteriori per il completamento della linea C, mancando ancora oggi l'autorizzazione del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti all'erogazione dei 320 milioni di euro riconosciuti al contraente generale per la conclusione della tratta Lodi-San Giovanni. (4-12296)

INTERNO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   LATRONICO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 25 febbraio 2016 si è verificato l'ennesimo episodio incendiario ai danni del magazzino ortofrutticolo della Prometas, azienda leader negli anni ‘80 per la lavorazione e commercializzazione di prodotti agricoli, chiuso da 3 anni, nel territorio del comune di Scanzano Jonico che è attraversato dalla strada statale 106 Jonica arteria di collegamento tra la Puglia e la Calabria;
   da indiscrezioni giornalistiche si apprende che si è trattato di un atto doloso che ha interessato un'area di 5.000 metri quadri e le fiamme si sono propagate nel lato est del magazzino dove vi erano mezzi industriali e grossi cassoni in plastica utilizzati per la raccolta della frutta nei campi;
   i vigili del fuoco oltre a spegnere il rogo hanno dovuto mettere in sicurezza gli impianti della struttura rilevando che quelli elettrici erano già stati depredati dei loro cavi di rame nella notte precedente;
   l'area del materano ed il comune di Scanzano Jonico continuano ad essere costantemente vittime di attentati incendiari notturni dolosi a danno di attività economiche nei settori agricolo, artigianale, edilizio e turistico. L'unico presidio delle forze dell'ordine, presente nel centro ionico, il commissariato della polizia di Stato, è stato trasferito negli ultimi anni nella città di Policoro;
   l'ultimo episodio incendiario mette in risalto la difficoltà che gli imprenditori dell'area jonica sono costretti ad affrontare difficoltà, che rischia di soffocare le energie e lo stesso spirito imprenditoriale, e sollecita una sempre maggiore attenzione sulle condizioni di sicurezza che devono essere garantite agli operatori economici ed a tutta la collettività;
   i fenomeni malavitosi connessi al racket delle estorsioni nel Metapontino registrano una preoccupante recrudescenza e dal 2004 a oggi si è verificato un lungo elenco di atti intimidatori e attentati incendiari a Scanzano Jonico e sulla costa ionica lucana purtroppo rimasti ancora impuniti –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione descritta e quali iniziative intenda assumere per intensificare l'azione di controllo delle forze dell'ordine per contrastare questi episodi e garantire più sicurezza ai cittadini. (5-07941)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGANO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto I.I.S.S. L. Russo di Caltanissetta, sorto come istituto tecnico femminile in sostituzione dell'indirizzo Generale Femminile, nell'anno scolastico 1981/82 attiva l'indirizzo ordinario per periti aziendali e corrispondenti in lingue estere e nell'anno scolastico 1988/89, autorizzato con decreto ministeriale del 30 settembre 1989, gli indirizzi sperimentali (ex articolo 3 del decreto del Presidente della Repubblica n. 419 del 1974) biologico-sanitario, che rilascia una maturità scientifica, e linguistico moderno che rilascia una maturità linguistica;
   con decreto ministeriale n. 383 del 7 ottobre 1998 assume la denominazione di Istituto tecnico per attività sociali. Con questo progetto l'I.T.A.S. «L. Russo», oggi I.I.S.S. «L. Russo», ha riutilizzato strutture e competenze già presenti al suo interno, impegnando fino ad oggi docenti della classe di concorso 60/A (ex 86/A) per l'insegnamento di tutte le discipline scientifiche (chimica inorganica, chimica organica, biochimica, biologia, zoologia, anatomia, fisiologia e patologia umana, educazione e tutela ambientale, microbiologia, biologia applicata, scienze della terra e geografia);
   dall'anno scolastico 2010/11, a seguito del riordino del secondo ciclo di istruzione, l'istituto diventa I.I.S.S. con gli indirizzi tecnico tecnologico chimica, materiali e biotecnologie con articolazione biotecnologie sanitarie, tecnico-economico amministrazione, finanza e relazioni internazionali per il marketing e liceo linguistico;
   in seguito al compimento delle operazioni di mobilità ad avviso dell'interrogante, disattendendo quanto stabilito dalle apposite circolari ministeriali n. 37 del 13 aprile 2010, n. 21 del 14 marzo 2011, n. 2320 del 29 marzo 2012 e n. 2916 del 21 marzo 2013, circ. n. 34 del 1o aprile 2014, nella scuola le cattedre di chimica, da sempre attribuite alla 60/A, sono state attribuite già dall'anno scolastico 2010/11 alla classe di concorso 13/A con immissione in ruolo di nuovi docenti;
   per l'anno scolastico 2013/14 l'organico di diritto nella provincia ha previsto la disponibilità di 4 cattedre della classe 13/A (chimica e tecnologie chimiche), di una cattedra della classe 12/A (chimica agraria) e per la classe 60/A di una sola cattedra; ciò a fronte di ben quattro insegnanti di 60/A dichiarati soprannumerari che si sono così aggiunti agli altri quattro della medesima classe titolari sulla dotazione organica provinciale, e quindi soprannumerari degli anni precedenti;
   in sede di operazioni di mobilità le cattedre di 13/A sono state assegnate ai docenti di chimica immessi in ruolo il settembre precedente e che, in quanto neo-assunti in prova, erano privi di sede definitiva;
   la cattedra di 12/A è stata assegnata ad un insegnante in dotazioni organica provinciale della medesima classe di concorso: pertanto, a causa delle assunzioni di 13/A effettuate negli ultimi due anni, non previste e in opposizione alle circolari emanate, l'amministrazione periferica della provincia, di fatto non curandosi di salvaguardare le titolarità, specialmente in quelle scuole dove la chimica era stata precedentemente insegnata da docenti di 60/A, ha determinato, con tale operato, una serie di soprannumerari di 60/A per i quali non sono residuate, per l'anno scolastico successivo, cattedre che potessero riassorbirli (eccetto uno). Tale condotta ha fatto sì che gli insegnanti di 60/A in dotazioni organica provinciale, in appena due anni, siano passati da quattro a dieci unità;
   tale situazione si è verificata anche in altri istituti tecnici della provincia in cui alcune delle ore di scienze integrate-chimica sono state attribuite solo in parte alla classe di concorso 60/A per la salvaguardia della titolarità, ma comunque sempre non sufficienti alla copertura dell'orario di una cattedra, tanto che i docenti della 60/A hanno completato la cattedra con ore a disposizione per la sostituzione dei colleghi assenti;
   di contro, le rimanenti ore di scienze integrate-chimica e chimica organica e biochimica sono state attribuite alla 13/A e date a docenti con contratto a tempo determinato. In un altro istituto invece le ore residue di scienze naturali, che potevano essere attribuite sia alla classe 60/A sia alla 13/A, perché classi di concorso atipiche per l'indirizzo di studi, sono state assegnate esclusivamente ad un insegnante della classe di concorso 13/A;
   nell'anno scolastico 2013/14, l'organico dell'I.I.S.S. L. Russo ha previsto i seguenti titolari: 11 docenti di 60/A, 1 docente di 12/A, 3 docenti 13/A, 1 docente di 40/A, 1 docente di 57/A;
   per l'anno scolastico 2014/15, sulla base delle classi autorizzate, della sperimentazione venuta meno nelle V classi e per quanto esposto sopra, sempre nell'I.I.S.S.L. Russo sono stati individuati altri 2 docenti soprannumerari della classe 60/A che si sono aggiunti agli 8 dotazioni organica provinciale già esistenti nella provincia di Caltanissetta che, a loro volta, si aggiungeranno agli oltre 300 presenti in tutta Italia;
   per l'anno scolastico 2015/16, un docente titolare presso l'I.I.S.S. L. Russo nella classe di concorso A013, è stato trasferito da Caltanissetta a Gela. Il suo posto, da lui precedentemente coperto, è stato assegnato, su trasferimento, ad una insegnante proveniente da altra provincia e della medesima classe di concorso (A013). Tale posto poteva essere utilizzato per il rientro di un docente di A060 ex titolare nella scuola e attualmente in dotazioni organica provinciale –:
   alla luce di quanto espresso in premessa, quale iniziativa il Ministro interrogato intenda assumere a fronte della forte penalizzazione cui la classe di concorso 60/A è stata sottoposta e come si intenda agire per far sì che la stessa classe di concorso 60/A possa continuare ad insegnare le citate materie. (4-12286)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta scritta:


   TAGLIALATELA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   una importante azienda di vigilanza privata di Napoli ha comunicato ai propri dipendenti la migrazione dal contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto tra le associazioni datoriali e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative del settore a un altro contratto collettivo nazionale di lavoro sottoscritto da un solo sindacato, la CISAL, e alcune associazioni datoriali sconosciute;
   l'anomalia rappresentata dal fatto che esistano più contratti collettivi di lavoro con riferimento all'espletamento dei medesimi servizi, e che i medesimi prevedano tariffe e/o salari diversi, appare ancora più grave in considerazione del fatto che tale stato di cose realizza, secondo l'interrogante, un inevitabile dumping nel settore;
   l'allegato A al «Regolamento recante disciplina delle caratteristiche minime del progetto organizzativo e dei requisiti minimi di qualità degli istituti e dei servizi di cui agli articoli 256-bis e 257-bis del Regolamento di esecuzione del Testo unico delle leggi di pubblica sicurezza, nonché dei requisiti professionali e di capacità tecnica richiesti per la direzione dei medesimi istituti e per svolgimento di incarichi organizzativi nell'ambito degli stessi istituti», di cui al decreto ministeriale 1o dicembre 2010, n. 269, inserisce tra i requisiti minimi di qualità degli istituti di vigilanza quello di «dimostrare il rispetto degli obblighi contributivi, a mezzo del documento unico di regolarità contributiva, nonché l'integrale rispetto degli obblighi derivanti dall'applicazione del contratto collettivo nazionale di categoria» –:
   se siano informati di quanto esposto in premessa e come intendano intervenire, per quanto di competenza, sia con riferimento alla irregolarità rappresentata dalla presenza di un ulteriore contratto collettivo nazionale per i servizi di vigilanza privata, sia rispetto alla mancata ottemperanza alla normativa vigente da parte delle aziende che applicano il contratto collettivo meno rappresentativo. (4-12281)

SALUTE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   l'istituto dei permessi per congedo parentale in favore dei genitori con figli minori è previsto all'articolo 32 e seguenti del decreto legislativo n. 151 del 2001 e costituisce una misura di fondamentale importanza a tutela della genitorialità introdotta nel nostro ordinamento in forza della legge n. 53 del 2000 che delegava il Governo alla redazione del testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e di sostegno della maternità e della paternità;
   l'accordo collettivo nazionale per la disciplina dei rapporti con i medici specialisti ambulatoriali interni, medici veterinari e altre professionalità sanitarie ambulatoriali (cosiddetti Sumaisti) del 23 marzo 2005 e successive modifiche, non prevede per i professionisti in questione la fruizione dei permessi per congedo parentale né riconosce l'astensione post partum;
   infatti, il suddetto accordo collettivo nazionale regola dall'articolo 36 all'articolo 39 le diverse tipologie di assenza ed i diversi istituti nulla prevedendo per i congedi parentali di cui agli articoli 32 e seguenti del decreto legislativo n. 151 del 2001, posto che le disposizioni del medesimo decreto legislativo n. 151 del 2001 rimandano esplicitamente alla contrattazione collettiva nazionale la regolamentazione dell'istituto, ma tale disciplina non è stata in alcun modo inserita all'interno dell'accordo collettivo nazionale dei medici (cosiddetti Sumaisti), pur essendo, lo stesso, temporalmente successivo al decreto legislativo n. 151 del 2001;
   l'istituto dei congedi parentali si configura come estrinsecazione del diritto costituzionale alla tutela della famiglia del lavoratore, sia esso del settore pubblico o privato, come anche da ultimo disciplinato dal decreto legislativo n. 80 del 2015 che però non interviene sui principi della norma o sui fruitori della stessa, ma esclusivamente sulle modalità di applicazione dell'istituto, risultando per l'effetto irragionevole ed ingiustificato che restino esclusi dall'area di operatività del congedo parentale i medici specialisti ambulatoriali che operano in convenzione con il servizio sanitario nazionale, per quanto non aventi lo status di pubblici dipendenti del comparto sanità –:
   quali iniziative di competenza intendano porre in essere i Ministri interrogati onde garantire la piena estensione dell'istituto dei congedi parentali, nonché la previsione dell'astensione post partum ai medici specialistici ambulatoriali che operano in convenzione con il servizio sanitario nazionale (cosiddetto Sumaisti), sino ad oggi totalmente esclusi da tale misura a sostegno della genitorialità. (5-07940)

Interrogazioni a risposta scritta:


   LAURICELLA e LATTUCA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il presente atto di sindacato ispettivo riguarda una delle pagine più delicate della cosiddetta «malasanità» italiana, a seguito della diffusione che si è registrata nel nostro Paese, a partire dalla fine degli anni ‘70, dei virus dell'epatite B, C e dell'HIV in soggetti che si erano sottoposti a trasfusioni di sangue o che avevano fatto uso di farmaci emoderivati;
   è nota la pendenza tuttora di molte centinaia di giudizi presso i tribunali italiani aventi ad oggetto il risarcimento danno alla salute derivato dai citati contagi;
   il legislatore è intervenuto nell'anno 2003 con il decreto-legge n. 89 convertito con modificazioni, dalla legge 20 giugno 2003 n. 141, che ha autorizzato la transazione dei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento danno da trasfusioni di sangue o emoderivati;
   l'articolo 3, del citato decreto-legge, dispone che: «per le transazioni da stipulare con soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, è autorizzata la spesa di novantotto milioni e cinquecentomila euro per l'anno 2003 e centonovantotto milioni e cinquecentomila euro, per ciascuno degli anni 2004 e 2005. Al relativo onere si provvede mediante riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, dell'unità revisionale di base di parte corrente «Fondo Speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativa al Ministero della salute. Il Ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio»;
   con decreto del Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, sono stati fissati i criteri in base ai quali sono definite le transazioni;
   successivamente, con decreto ministeriale 3 novembre 2003, sono stati fissati i criteri da utilizzare per la definizione delle transazioni da stipulare solo con i soggetti emofiliaci danneggiati da emoderivati infetti, e non anche con gli altri soggetti ugualmente contagiati e tutelati dalla predetta previsione legislativa;
   e tuttavia questo primo intervento non si rivelava sufficiente tant’è che il Ministero della salute riconosciuta la carenza nella previsione normativa, in seno al primo decreto interministeriale, che escludeva molti danneggiati che non venivano ricompresi nella declinazione del decreto ministeriale, nel giugno 2004, predisponeva un ulteriore schema di decreto interministeriale con cui venivano ammessi a partecipare alla procedura transattiva anche i talassemici ed altri; solo con la legge 29 novembre 2007 n. 222 (articolo 33) e la legge 31 dicembre 2007 n. 244 (articolo 2, commi 361 e 362), il legislatore ha, infine, autorizzato il Ministero della salute a concludere transazioni anche con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali, danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie «che hanno instaurato, anteriormente al 1o gennaio 2008, azioni di risarcimento danni e che siano tuttora pendenti», stabilendo apposito capitolo di bilancio per euro 150 milioni per il 2007 ed euro 180 milioni per; ciascuno degli anni successivi;
   la legge n. 222 del 2007 demandava al Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, l'emanazione del regolamento per procedere alle suddette transazioni, il quale, in esecuzione delle suddette leggi, veniva adottato con decreto ministeriale del 28 aprile 2009 n. 132, contenente la procedura per l'acquisizione delle domande di adesione alla procedura transattiva;
   con successiva circolare del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 20 ottobre 2009 n. 28, venivano fissate le modalità di presentazione delle predette domande di adesione alle transazioni;
   numerosi ricorrenti, quindi, attraverso la procedura RIDAB, prevista dalla circolare per l'invio telematico delle domande di adesione, rivolgevano istanza di partecipazione alla transazione, attenendosi pedissequamente a tutte le modalità e prescrizioni fissate dal Ministero della salute con le disposizioni menzionate;
   tuttavia, il Ministero della salute dal 19 gennaio 2010, acquisite le suddette istanze, ritardava l'emissione del decreto previsto dall'articolo 5 del decreto ministeriale n. 132 del 2009 per la definizione dell’iter amministrativo prodromico alla stipula della transazione e da allora ad oggi si è palesato il limite di un non pieno riconoscimento dei diritti in capo ai soggetti contagiati;
   le Associazioni a tutela dei diritti e/o interessi diffusi dei contagiati, di conseguenza diffidavano ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 198 del 2009 le Amministrazioni coinvolte ad assumere nel termine di giorni 90 dalla notifica tutte le iniziative utili alla definizione dell’iter amministrativo prodromico alla definizione delle transazioni previste dalla legge;
   con nota del 15 giugno 2011 il direttore generale dell'ufficio Vili del Ministero della salute in risposta alla predetta diffida, evidenziava la necessità dell'adozione di apposito decreto da concertare con il Ministero dell'economia e delle finanze ai fini della definizione del procedimento, confermando, in sostanza, come lo stesso, a distanza di oltre un anno dell'avvio, si trovasse ben lungi dall'essere definito, e precisando che la stipula degli atti transattivi restava subordinata ad una valutazione di opportunità dell'amministrazione, e che si trattava comunque di un contratto di natura privata tra le parti;
   veniva addirittura promossa una Class Action ex articolo 3 comma 2 del decreto legislativo decreto legislativo del 20 dicembre 2009, n. 198, iscritta con n. 6241 del 2011 R.G, definito con accoglimento delle istanze ivi formulate ed in conformità con le pronunce del Tar di Lecce e del Consiglio di Stato, che qualificavano la natura del procedimento stesso, la cui pronuncia è stata impugnata dal Ministero della salute soccombente avanti al Consiglio di Stato;
   con il decreto del 4 maggio 2012, era disposta la definizione dei moduli transattivi in applicazione dell'articolo 5 del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze 28 aprile 2009, n. 132;
   nella elencazione di questa cronologia di interventi va evidenziato che, ad oggi, non risultano ancora essere state sottoscritte transazioni nonostante la previsione di somme dovute per la liquidazione delle transazioni da stipulare con soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti che hanno instaurato azioni risarcimento danni e, anche, per somme dovute a titolo di indennizzo e risarcimento ai soggetti danneggiati da complicanze di tipo irreversibile a causa di vaccinazioni obbligatorie, trasfusioni e somministrazione di emoderivati, stabilite nel bilancio del ministero della salute nella apposita tabella nel triennio 2012-2014 pari a 180 milioni e 152 milioni di euro per ciascun anno del triennio –:
   se e quali iniziative il Governo, ed in particolare il Ministro della salute intenda attivare e in che tempi, per consentire la ripresa delle transazioni avviate sulla base della legge 222 del 2007 evitando che vi siano soggetti danneggiati che possano essere esclusi dal processo di indennizzo emanando, qualora necessario, un apposito decreto ministeriale che stabilisca importi congrui ed equi per tutti i soggetti danneggiati, al fine di evitare ulteriori lesivi ed ingiustificati ritardi. (4-12293)


   AMODDIO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   è nota la pendenza di centinaia di giudizi innanzi all'autorità giudiziaria aventi ad oggetto risarcimento danno alla salute derivato dal contagio del virus dell'HCV o HIV post-trasfusionale;
   a fronte di questa vicenda di «malasanità», il legislatore è intervenuto già nell'anno 2003 con la legge 20 giugno 2003 n. 141 recante «Conversione in legge, con modificazioni, del decreto 23 aprile 2003 n. 89» con la quale è stata autorizzata la transazione dei giudizi aventi ad oggetto il risarcimento danno da trasfusioni di sangue o emoderivati;
   l'articolo 3, dispone che «Per le transazioni da stipulare con soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti, che hanno instaurato azioni di risarcimento danni tuttora pendenti, è autorizzata la spesa di novantotto milioni e cinquecentomila euro per l'anno 2003 e centonovantotto milioni e cinquecentomila euro, per ciascuno degli anni 2004 e 2005. Al relativo onere si provvede mediante riduzione dello stanziamento iscritto, ai fini del bilancio triennale 2003-2005, dell'unità revisionale di base di parte corrente «Fondo Speciale» dello stato di previsione del Ministero dell'economia e delle finanze per l'anno 2003, allo scopo parzialmente utilizzando l'accantonamento relativa al Ministero della salute. Il ministero dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare con propri decreti le occorrenti variazioni di bilancio;
   con decreto del Ministero della salute, di concerto con il ministero dell'economia e delle finanze, sono stati fissati i criteri in base ai quali sono definite le transazioni di cui al comma 1 e, comunque, nell'ambito delle predette autorizzazioni, anche sulla base delle conclusioni cui è pervenuto il gruppo tecnico istituito con decreto del Ministero della salute 13 marzo 2002;
   successivamente, con decreto ministeriale 3 novembre 2003 sono stati fissati i criteri da utilizzare per la definizione delle transazioni da stipulare solo con i soggetti emofiliaci danneggiati da emoderivati infetti, e non anche con gli altri soggetti ugualmente contagiati e tutelati dalla predetta previsione legislativa;
   il decreto ha tenuto conto delle risultanze del lavoro svolto dal citato gruppo tecnico, le quali infatti rilevano solo i criteri di quantificazione delle possibili pretese creditorie ed eventuali prospettive di definizione transattive delle vertenze in atto, esclusivamente con 740 emofiliaci danneggiati a causa di emoderivati infetti;
   la predetta legge del 20 giugno 2003 n. 141 ha previsto all'articolo 3 il finanziamento anche per gli anni 2004 e 2005 e che in virtù dell'articolo 2 del decreto interministeriale la relativa somma, già stanziata, deve gravare sul capitolo 3300 dell'unità revisionale di base 3.1.2.1.» indennizzi alle vittime di trattamenti da emoderivati dello stato di previsione del Ministero della salute per l'anno 2003 e corrispondenti capitoli per gli anni successivi;
   l'articolo 3 infatti comprende tra i soggetti da risarcire «soggetti emotrasfusi danneggiati da sangue o emoderivati infetti» senza distinzione alcuna;
   il Ministero della salute riconosciuta la carenza nella previsione normativa in seno al primo decreto interministeriale, il Ministero della salute, così come si evince dalla comunicazione dell'8 giugno 2004, ha predisposto uno schema di decreto interministeriale con cui venivano ammessi a partecipare alla procedura transattiva anche i talassemici ed altri;
   dopo anni di silenzio del Ministero, solo con la legge 29 novembre 2007 n. 222 (articolo 33) e la legge 31 dicembre 2007 n. 244 (articolo 2, commi 361 e 362), il legislatore ha autorizzato il Ministero della salute a concludere transazioni con soggetti talassemici, affetti da altre emoglobinopatie o affetti da anemie ereditarie, emofilici ed emotrasfusi occasionali, danneggiati da trasfusione con sangue infetto o da somministrazione di emoderivati infetti e con soggetti danneggiati da vaccinazioni obbligatorie «che hanno instaurato, anteriormente al 1° gennaio 2008, azioni di risarcimento danni e che siano tuttora pendenti», stabilendo apposito capitolo di bilancio per euro 150 milioni per il 2007 ed euro 180 milioni per ciascuno degli anni successivi;
   la menzionata legge ha demandato al Ministero della salute, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, il regolamento per procedere alle suddette transazioni;
   il regolamento, in attuazione delle suddette leggi, è stato adottato con decreto ministeriale del 28 aprile 2009 n. 132 – regolamento di esecuzione – contenente la procedura per l'acquisizione delle domande di adesione alla procedura transattiva;
   con successiva circolare del Ministero del lavoro, della salute e delle politiche sociali del 20 ottobre 2009 n. 28, sono state fissate le modalità di presentazione delle predette domande di adesione alle transazioni;
   la normativa sopra menzionata, per quanto interessa la presente interrogazione, ha in particolare previsto, che i presupposti per la stipula delle transazioni sono: a) l'esistenza di un danno ascrivibile alle categorie di cui alla Tabella A del decreto del Presidente della Repubblica 30 dicembre 1981 n. 834, accertato dalla CMO o da sentenza; b) l'esistenza del nesso causale tra il predetto danno e la trasfusione del sangue infetto, accertata dalla Commissione o da sentenza;
   per i soggetti talassemici ed i soggetti emofiliaci si adottano i medesimi criteri e corrispondenti moduli transattivi già fissati per i soggetti emofiliaci dall'articolo 1, comma 1, del decreto ministeriale 3 novembre 2003, ivi compresi gli importi fissati;
   i soggetti interessati alla stipula della transazione devono presentare domanda di adesione al Ministero entro la data del 19 gennaio 2010 (90 giorni dalla data di pubblicazione della circolare applicativa);
   la domanda costituisce manifestazione di interesse ed ha valore di istanza per l'accesso alla successiva fase di stipula delle singole transazioni;
   a seguito dell'esame delle singole domande e quindi dell'ammissione alla successiva fase, il Ministero adotta decreto di natura non regolamentare per la definizione dei singoli moduli transattivi;
   numerosi ricorrenti, quindi, attraverso la procedura RIDAB, prevista dalla citata circolare per l'invio telematico delle domande di adesione, hanno rivolto istanza di partecipazione alla transazione, attenendosi pedissequamente a tutte le modalità e prescrizioni fissate dal Ministero della salute con le disposizioni menzionate;
   tuttavia, il Ministero della salute dal 19 gennaio 2010, acquisite le suddette istanze, ritardava l'emissione del decreto previsto dall'articolo 5 del decreto ministeriale n. 132 del 2009 per la definizione dell’iter amministrativo prodromico alla stipula della transazione;
   le Associazioni a tutela dei diritti e/o interessi diffusi dei contagiati, hanno diffidato ai sensi e per gli effetti di cui all'articolo 3 del decreto legislativo n. 198 del 2009 le Amministrazioni coinvolte ad assumere nel termine di giorni 90 dalla notifica tutte le iniziative utili alla definizione dell'iter amministrativo prodromico alla definizione delle transazioni previste dalla legge;
   con nota del 15 giugno 2011 il direttore generale dell'ufficio VIII del Ministero della salute in risposta alla predetta diffida, evidenziava la necessità dell'adozione di apposito decreto da concertare con il Ministero dell'economia e delle finanze ai fini della definizione del procedimento, confermando in sostanza come lo stesso, a distanza di oltre un anno dell'avvio, si trovasse ben lungi dall'essere definito, e precisando che la stipula degli atti transattivi resta subordinata ad una valutazione di opportunità dell'amministrazione ed è comunque un contratto di natura privata tra le parti;
   di fronte al perdurare di tale inerzia da parte della Pubblica Amministrazione, quindi, è stata promossa una Class Action ex articolo decreto legislativo del 20 dicembre 2009, n. 198, iscritta con N. 6241/2011 R.G, definito con accoglimento delle istanze ivi formulate ed in conformità con le pronunce del Tar di Lecce e del Consiglio di Stato, che hanno qualificato la natura del procedimento stesso, la cui pronuncia è stata impugnata dal Ministero della salute soccombente, avanti al Consiglio di Stato;
   nelle more con il decreto del 4 maggio 2012, è stata disposta la Definizione dei moduli transattivi in applicazione dell'articolo 5 del decreto del Ministro del lavoro, della salute e delle politiche sociali di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze 28 aprile 2009, n. 132;
   nel succedersi di questi atti e di questa annosa questione, tuttavia, ancora ad oggi non risulterebbe essere stata sottoscritta nessuna transazione –:
   se il Ministro della Salute sia a conoscenza di quanto sopra esposto;
   se sia vero che ad oggi non è stata sottoscritta nessuna transazione;
   quali iniziative intende assumere il Ministro per i soggetti esclusi a seguito della modifica del termine prescrizionale, in seguito alla sentenza della Suprema corte ha portato da 10 anni a 5 configurando la fattispecie di reato da epidemia colposa a lesioni;
   quali iniziative intendi adottare il Ministro per definire in tempi brevi il procedimento per la sottoscrizione delle transazioni con i soggetti per i quali ricorrono i presupposti. (4-12294)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta scritta:


   DE ROSA, DAGA, BUSTO, ZOLEZZI, MANNINO, MICILLO e TERZONI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   esistono diverse aziende che operano nel mercato della gestione di rifiuti non pericolosi e recuperabili che si sono trovate a dover affrontare molte sfide adattandosi continuamente ai cambiamenti che il mercato ha imposto e conformandosi puntualmente alle tante novità legislative che nel corso degli anni si sono succedute;
   vi sono palesi problematiche, contraddizioni e paradossi con cui il settore deve confrontarsi, tra le quali il fatto che le sanzioni previste per chi opera in regime «semplificato» sono molto più pesanti di chi opera con autorizzazione «ordinaria», con la quale si possono gestire anche rifiuti non recuperabili o pericolosi ed incorrere, in caso di violazione, solo in sanzioni amministrative; inoltre un'eventuale chiusura dell'attività sarebbe ordinata solo dopo diverse istanze di conformazione e sanzioni pecuniarie;
   vi è assoluta mancanza di coordinamento e di dialogo fra i vari organi di controllo, comuni, province, Asl, polizia ferroviaria, polizia stradale e Corpo forestale, con evidenze diverse risultanti dai loro controlli;
   c’è la possibilità, per le imprese che operano nel settore del trattamento dei rifiuti non pericolosi e recuperabili, di subire una sospensione immediata dell'attività lavorativa, essere pesantemente sanzionate e dover affrontare procedure penali senza che siano stati riscontrati e comprovati danni a persone o all'ambiente;
   sono richiesti tempi lunghissimi per poter cominciare o ricominciare un'attività, in quanto dopo aver preparato tecnicamente l'impianto come previsto dalla normativa vigente, bisogna comunicare l'inizio attività al competente ufficio provinciale e solo dopo 90 giorni si può iniziare ad operare, mentre in caso di richiesta di documenti integrativi i tempi si dilatano ulteriormente e tali tempistiche vengono applicate anche per una semplice modifica organizzativa interna al deposito;
   l'applicazione della prassi normativa è così diversa, territorialmente, per cui operatori di una provincia a parità di categoria e di iscrizione all'albo recuperatori, hanno delle specifiche prescrizioni restrittive che altre province non applicano;
   moltissimi artigiani edili, i quali rappresentano la maggioranza della clientela delle imprese del settore trattamento rifiuti, dovendosi rivolgere alla camera di commercio per ottenere l'iscrizione per il trasporto di rifiuti prodotti in conto proprio, si ritrovano spesso con un'autorizzazione incompleta;
   in alcune regioni e/o province italiane vi è l'impossibilità di ottenere un'autorizzazione straordinaria/temporanea per poter noleggiare un mezzo di trasporto alternativo (rivolgendosi a specialisti del settore autonoleggio) o comunque trovare un'economica ed equilibrata soluzione nel caso il proprio mezzo iscritto ed autorizzato si guasti o venga rubato;
   le imprese sono tenute alla verifica della loro autorizzazione al trasporto e spesso rilevano che i codici di categoria rifiuti che la camera di commercio ha rilasciato sono, di frequente, insufficienti –:
   se il Governo non intenda assumere, per quanto di competenza, un'iniziativa normativa finalizzata alla previsione di una «disciplina minima» del rilascio delle autorizzazioni locali, con l'obiettivo di uniformare e semplificare ogni onere amministrativo previsto a favore delle imprese che operano nel settore del trattamento dei rifiuti non pericolosi e recuperabili, esclusa la concessione di autorizzazioni relative a impianti di trattamento termico o discariche. (4-12282)


   L'ABBATE e SCAGLIUSI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in seno al comparto oligopolitistico del vetro piano per l'edilizia, il gruppo Sangalli ha rappresentato il primo produttore indipendente italiano, arrivando a coprire circa il 35 per cento del prodotto interno. Tale gruppo ha, inoltre, beneficiato, a più riprese, di ingenti fondi pubblici, ma sconta oggi un grave problema di sovra-capacità produttiva. Nonostante sia aperto un tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico dal gennaio 2015, il tribunale di Treviso ha già pronunciato il fallimento di tre società del gruppo. La quarta società del gruppo, la Sangalli Porto Nogaro spa in concordato preventivo, unica ancora attiva nonostante non abbia ancora terminato la fase di avviamento iniziata nel 2011, non è un mistero che sia in vendita;
   dei 250 dipendenti previsti ne vede integrati oggi solo 140, con inevitabili problemi di produzione di sicurezza che si riflettono sul mercato di riferimento, a maggior ragione trattandosi di uno stabilimento produttivo a ciclo continuo. Nell'attuale situazione di incertezza sul futuro dell'impianto, i sindacati si trovano in stato di agitazione e la stampa specializzata ipotizza per il socio di maggioranza Friulia una perdita minima del 50 per cento;
   dall'apertura del tavolo di crisi presso il Ministero dello sviluppo economico, la finanziaria regionale Friulia ha visto crescere la propria partecipazione fino al 54 per cento nella società Sangalli Vetro Porto Nogaro, ma ha mantenuto uno stretto collegamento con la proprietà Sangalli: infatti, la denominazione sociale non è mutata e il CFO di gruppo dottor Giulio Sala è rimasto collocato saldamente in posizione verticistica. Il patto parasociale, sottoscritto e poi rinnovato, in base al quale Friulia è tenuta ad operare è rimasto, ad oggi, riservato;
   allo stesso modo, sono rimasti riservati il piano industriale e il piano di concordato – di cui si conoscono soltanto le percentuali di ristoro previste per i creditori 13 per cento e 70 per cento, comunque inferiori a quelle previste dal decreto legislativo n. 83 del 2015. I dipendenti e i sindacati sono, oramai, sul piede di guerra e hanno manifestato di recente davanti al Tribunale di Udine;
   a parere degli interroganti, non vi è dubbio che il prezzo di vendita dell'impianto di porto Nogaro sia fortemente condizionato dalla concorrenza interna – come pure lo stesso interesse degli investitori – e dipenda, in tutto o in parte, dal rifacimento dell'impianto gemello di Manfredonia (Foggia). Inoltre, si rammenta che il piano di concordato depositato il 31 dicembre 2015 dalla Sangalli di Nogaro presso il tribunale di Udine prevede un'ulteriore riduzione del debito nei confronti del socio Friulia di circa 42 milioni di euro (e la parte restante spalmata in 9 anni che si aggiunge all'eliminazione degli interessi prevista dalle delibere regionali) sugli 84 milioni iniziali e generi, così, una perdita netta nel bilancio di Friulia già a decorrere dall'esercizio 2015. Tale piano in continuità prevede, inoltre, una linea breve di finanziamento per 5 milioni pari a quella prevista dall’«accordo di ristrutturazione del debito 2013» (definito «eccessivamente ottimistico» dagli stessi commissari del tribunale), fallito dopo soli sei mesi dalla sottoscrizione. La Sangalli di Nogaro, dal 2006 ad oggi, ha restituito alla finanziaria Friulia solo 800.000 euro a fronte degli oltre 80 milioni ricevuti e, ben difficilmente, sarà in grado di ripianare anche solo la metà del debito data la scarsa credibilità e le oggettive difficoltà riscontrate, in quanto il debito totale ammonta a oltre 100 milioni di euro;
   nell'anno 1998 è stata aperta una procedura di infrazione in tema di aiuti di stato per il caso Sangalli di Manfredonia che si è risolta positivamente nel 1999 – decisione della Commissione 2000/369/CE del 20 luglio 1999 – grazie al fatto che l’iter procedurale si è concluso prima dell'erogazione dei fondi e grazie all'elevato tetto di contribuzione (70 per cento) previsto per l'area sipontina, rientrante nelle cosiddette «aree depresse»;
   il patron Sangalli ha patteggiato una condanna per il caso Lista Pessina, l'ex sindaco Rossetti ha subito un arresto (poi è intercorso l'amnistia) per tentata corruzione e un manager di Friulia (ex board Sangalli) è, tuttora, in giudizio per la bancarotta fraudolenta della Fadalti spa di Sacile;
   i commissari hanno riportato, numerose volte, il termine «mala gestio» nella loro relazione ex articolo 172 della legge fallimentare sul concordato Sangalli Manfredonia, in aggiunta a un sospetto finanziamento di 2 milioni di euro alla controllata Sangalli di Nogaro (7 cap. VIII intero pag. 138 e ss). Nella relazione si può leggere: «In altri termini, la nuova attività produttiva (Nogaro) non avrebbe potuto “decollare”, né tantomeno raggiungere un adeguato grado di stabilità, senza l'apporto da parte della Sangalli Vetro Manfredonia di continue (e ingenti) risorse finanziarie» e ancora «il versamento (di 2 milioni) in favore della Sangalli Vetro Nogaro sembra aver costituito una violazione degli obblighi di attenta e prudente gestione del patrimonio sociale che la legge pone in capo agli amministratori» (pag. 148); e poi «gli scriventi non possono escludere che l'atto in questione (il versamento di 2 milioni) possa finanche assumere connotati penalmente rilevanti sotto il profilo di una condotta ipoteticamente distrattiva, o comunque dissipativa, del patrimonio sociale» (pag. 149);
   si richiamano le interrogazioni parlamentari n. 4/02323 del 28 ottobre 2013 e n. 4/06513 del 21 ottobre 2014 e relative risposte, nonché l'interrogazione parlamentare n. 4/07393 del 22 dicembre 2014 –:
   quali iniziative urgenti, di propria competenza, i Ministri interrogati intendano assumere o abbiano già assunto, per acquisire nuovi elementi circa i piani industriali di cui in premessa al fine di contribuire a fare chiarezza sul caso Sangalli;
   se i ministri interrogati ritengano o meno che il finanziamento da parte di Friulia/Mediocredito alla Sangalli di Nogaro, e in particolare la riduzione del debito di 42 milioni di euro circa – nonché la restante parte spalmata in nove esercizi – previsto dal piano di concordato depositato presso il tribunale di Udine, possa esporre il nostro Paese ad un'ulteriore procedura di infrazione per cosiddetti «aiuti di Stato». (4-12295)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta in Commissione De Lorenzis e Liuzzi n. 5-07787, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato L'Abbate.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Tripiedi e altri n. 5-07937, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato: Fraccaro.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta orale Terzoni n. 3-02057, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 578 del 26 febbraio 2016.

   TERZONI, GAGNARLI, BUSTO, GRILLO, SPESSOTTO, MASSIMILIANO BERNINI, PARENTELA, LOMBARDI e FRUSONE. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   il 25 febbraio 2016 si è appreso da fonti ANSA che in diversi marchi di birre tedesche sottoposte a un test specifico dall'Istituto per l'ambiente di Monaco sono state rintracciate quantità elevate di glifosato, un diserbante classificato dallo IARC come probabile cancerogeno per l'uomo;
   il test avrebbe coinvolto 14 marche fra le più note in Germania: Beck's, Paulaner, Warsteiner, Krombacher, Oettinger, Bitburger, Veltins, Hasseroeder, Radeberger, Erdinger, Augustiner, Franziskaner, Konig Pilsener e Jever e sarebbero stati registrati valori oscillanti tra 0,46 e 29,74 microgrammi per litro, nei casi più estremi quasi 300 volte superiori a 0,1 microgrammi, che è il limite consentito dalla legge per l'acqua potabile –:
   quali iniziative il Governo intenda mettere in atto al fine di tutelare i consumatori italiani e se non ritenga opportuno intensificare i controlli analitici rispetto a tali categorie merceologiche di importazione;
   se e quali controlli vengano eseguiti sul malto d'orzo e sul luppolo, anche importati, per la produzione delle birre di produzione italiana e in modo specifico circa la presenza di residui di prodotti chimici quali i diserbanti e, in caso negativo, se non ritengano di dover avviare dei controlli specifici;
   se non ritenga opportuno effettuare idonei controlli sulle birre di importazione citate in premessa e, nel caso di risultati positivi alla presenza di glifosato, se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, volte all'immediato ritiro dei prodotti dal commercio. (3-02057)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Nuti n. 4-11340 del 1o dicembre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Brignone n. 5-07800 del 16 febbraio 2016.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta orale Amoddio n. 3-00503 del 5 dicembre 2013 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12294;
   interrogazione a risposta in Commissione Lauricella e Lattuca n. 5-02843 del 16 maggio 2014 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12293;
   interrogazione a risposta orale Pagano n. 3-01744 del 6 ottobre 2015 in interrogazione a risposta scritta n. 4-12286;
   interrogazione a risposta in Commissione Dell'Orco e altri n. 5-07689 del 5 febbraio 2016 in interrogazione a risposta orale n. 3-02062.