Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 18 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    l'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche», detta i principi e i criteri direttivi a cui dovrà ispirarsi il Governo nell'adottare un decreto legislativo per la riforma dell'organizzazione, delle funzioni e del finanziamento delle camere di commercio, anche mediante la modifica della legge 29 dicembre 1993, n. 580, come modificata dal decreto legislativo 15 febbraio 2010, n. 23, e il conseguente riordino delle disposizioni che regolano la relativa materia;
    obiettivo del decreto legislativo dovrà essere quello di ridefinire la «mission» delle camere di commercio, nel rispetto dei principi e criteri direttivi precisi, tra i quali il ridimensionamento del diritto annuale a carico delle imprese, tenuto conto delle disposizioni di cui all'articolo 28 del decreto-legge 24 giugno 2014, n. 90, convertito, con modificazioni, dalla legge 11 agosto 2014, n. 114. Il diritto annuale a carico delle imprese, già ridotto per il 2015 al 35 per cento, giungerà a una riduzione del 50 per cento a partire dal 2017;
    la riduzione del diritto annuale del 50 per cento a regime si traduce in una diminuzione delle entrate che, a parità di funzioni e di livelli occupazionali, mina la sostenibilità economica del sistema camerale. Ne possono derivare impatti negativi sulla finanza pubblica, vista l'inclusione degli enti camerali nel perimetro delle amministrazioni pubbliche Istat;
    a fronte di questi rischi, i risparmi per le imprese sono marginali. In media, il risparmio sul diritto annuale pro capite al netto dell'effetto fiscale è stato di circa 44 euro nel 2015 (3,7 euro al mese), sarà di 50 euro nel 2016 (4,2 euro al mese) e, a regime, di circa 63 euro (5,25 euro al mese). Per le ditte individuali, che rappresentano il 54 per cento del totale delle imprese italiane, il risparmio effettivo è stato di circa 22 euro nel 2015 (meno di 2 euro al mese), sarà di 25 euro nel 2016 (circa 2 euro al mese) e di 31 euro dal 2017 (ovvero 2,6 euro al mese);
    viene così dimezzata quella che è l'entrata più significativa del bilancio delle camere di commercio. Considerate le funzioni di carattere pubblico che le camere di commercio hanno fino ad oggi svolto sia per la tenuta del registro delle imprese, sia in materia di promozione economica, tale norma avrà sicuramente un impatto negativo sui livelli di servizi erogati;
    è bene ricordare le competenze e gli oneri assegnati finora al sistema camerale dall'articolo 2 della legge n. 580 del 1993, che si riassumono per macro-categorie all'interno dei seguenti punti:
     1) tenuta del registro delle imprese e degli albi, ruoli ed elenchi professionali per lo svolgimento di attività economiche (raccomandatari marittimi, impiantisti, autoriparatori);
     2) tenuta del registro informatico dei protesti e dell'albo gestori ambientali;
     3) competenze per il rilascio e il rinnovo dei dispositivi di firma digitale e il rilascio delle carte tachigrafiche; funzioni del SUAP (sportello unico per le attività produttive), da esercitare su delega da parte dei comuni;
     4) funzioni di tutela, vigilanza e regolazione del mercato per garantire il corretto funzionamento degli scambi tra imprese e dei rapporti tra imprese e consumatori attraverso:
   a) servizi di mediazione, conciliazione e arbitrato amministrato per la risoluzione delle controversie tra imprese e tra imprese e consumatori;
   b) servizi in materia di metrologia legale;
   c) gestione delle borse merci e delle commissioni nazionali per la trasparenza e la rilevazione dei prezzi; rilascio dei certificati d'origine, dei visti e diverse attestazioni di cui le imprese necessitano per le attività di commercio con l'estero;
   d) funzioni di vigilanza e ispezione per la tutela del made in Italy e in materia di sicurezza e conformità dei prodotti;
   e) funzioni di predisposizione di contratti-tipo e la verifica delle clausole vessatorie;
   f) registrazione e tutela sui mercati esteri dei marchi di impresa e di qualità;
     5) ulteriori competenze riguardano la materia ambientale – dalla ricezione del MUD (modello unico di dichiarazione ambientale), alla tenuta dei registri nazionali dei produttori di rifiuti di apparecchiature elettriche ed elettroniche, di gas fluorurati e di pile e accumulatori – e la proprietà industriale, con riferimento alla ricezione delle domande di registrazione per marchi di impresa nazionali e internazionali e delle richieste di brevetto;
     6) le camere di commercio sono chiamate a svolgere funzioni e compiti per la promozione degli interessi delle imprese e della competitività delle economie locali, con attività di:
   a) informazione, affiancamento, supporto e tutoraggio in materia di internazionalizzazione;
   b) accesso al credito (oltre 70 milioni di euro annuali destinati ai consorzi fidi in linea con quanto previsto dalla legge di stabilità);
   c) qualificazione delle filiere e tutela made in Italy;
   d) formazione e sostegno alla nuova imprenditorialità;
   e) sostegno all'infrastrutturazione dei territori, al turismo e alla cultura;
   f) sostegno all'innovazione e al trasferimento tecnologico;
   g) servizi di informazione economica;

    in sintesi, l'analisi dell'impiego del diritto annuale nelle attività del sistema camerale vede la destinazione del 43 per cento del suo ammontare alle funzioni obbligate sopradescritte, per una copertura complessiva del 46 per cento dei costi ad esse correlati. Un taglio del 50 per cento del diritto annuale permetterebbe di coprire quasi unicamente le funzioni obbligate e di azzerare le risorse per contribuire allo sviluppo economico del territorio;
    a fronte di un budget annuo da circa un miliardo di euro, 800 milioni arrivano sotto forma di contributi delle imprese italiane. La riforma con il taglio dei contributi del 50 per cento dal 2017 porterà alla chiusura dell'intero sistema, visto che il 46 per cento dei ricavi serve a pagare stipendi e a gestire gli uffici (per la pubblica amministrazione nazionale il dato sale al 70 per cento);
    il decreto legislativo dovrà ridefinire le circoscrizioni territoriali, con riduzione del numero dalle attuali 105 a non più di 60 mediante accorpamento di due o più camere di commercio; possibilità di mantenerne una singola non accorpata sulla base di una soglia dimensionale minima di 75.000 imprese, salvaguardando la presenza di almeno una camera commercio in ogni regione. I primi accorpamenti sono già effettivi: 28 enti si sono fusi in 12;
    il taglio delle sedi e la riduzione a un numero massimo di 60 camere di commercio comporterà una riduzione del personale del 25 per cento una volta che saranno finiti gli accorpamenti. Finiranno in mobilità circa tremila dipendenti, che dovranno essere ricollocati all'interno della pubblica amministrazione nei prossimi anni, in una situazione occupazionale già molto difficile, considerando che aspettano una ricollocazione anche i dipendenti delle ex province. Il ridimensionamento del sistema camerale rischia quindi di trasformarsi in un aggravio dei costi per lo Stato;
    la scomparsa delle camere di commercio, inoltre, potrebbe avere un impatto devastante sulle piccole e medie imprese che solo nel 2012 hanno ricevuto, in forma diretta o indiretta, 515 milioni di euro. Risorse che sono servite a finanziare l'internazionalizzazione, la presenza a fiere, ma soprattutto ad accedere al credito attraverso il sistema dei confidi, che garantiscono 80 milioni di euro l'anno. Per le piccole e medie imprese il rischio è che in cambio di un risparmio di 100 euro l'anno (i diritti fissi fino a 100 mila euro di fatturato ammontano a 200 euro, poi sono progressivi in base ai ricavi), potrebbero non avere più quelle garanzie economiche necessarie ad accedere a fondi nazionali ed internazionali e, soprattutto, non avrebbero più nessuno capace di sostenerle sul territorio e nel processo di internazionalizzazione;
    altra materia complessa, che il decreto legislativo dovrà trattare, è quella relativa al riordino delle competenze relative alla tenuta e alla valorizzazione del registro delle imprese, con particolare riguardo alle funzioni di promozione della trasparenza del mercato e di pubblicità legale delle imprese, la garanzia di continuità operativa del sistema informativo nazionale e l'unitarietà di indirizzo applicativo e interpretativo attraverso il ruolo di coordinamento del Ministero dello sviluppo economico. Appare ingiustificata la scelta di affidare registro delle imprese al Ministero dello sviluppo economico, poiché, fino ad oggi, la gestione da parte delle camere di commercio ha funzionato benissimo tanto da essere diventato un modello di eccellenza in Europa ed essere alla base dell'intero complesso delle funzioni di certezza e rispetto delle regole per il mercato;
    oltre a generare possibili inefficienze, il trasferimento del registro delle imprese dalla competenza tradizionale delle camere di commercio al Ministero dello sviluppo economico rischia di determinare nuovi oneri aggiuntivi alle casse statali;
    anziché pensare a un loro ridimensionamento, le camere di commercio potrebbero essere riformate divenendo il soggetto privilegiato e pubblico in grado di garantire tutela a coloro i quali decidono di intraprendere un'attività imprenditoriale,

impegna il Governo:

   a valutare un'ulteriore iniziativa normativa volta alla ipotizzata eliminazione del diritto annuale e comunque alla sua riduzione al 50 per cento, in considerazione delle conseguenze che ciò comporterebbe sia i termini occupazionali e funzionali che in termini di semplificazione razionalizzazione del sistema finalizzato al recupero e all'efficientamento dell'utilizzo delle risorse economiche;
   ad assicurare al personale delle camere di commercio oggetto del provvedimento citato, in seguito agli accorpamenti previsti dall'articolo 10 della legge 7 agosto 2015, n. 124, garanzie di ricollocamento nella pubblica amministrazione in posizioni tale che ne valorizzino le competenze acquisite negli anni, scongiurando qualsiasi ipotesi di licenziamento.
(1-01169) «Andrea Maestri, Brignone, Civati, Matarrelli, Pastorino, Artini, Baldassarre, Bechis, Segoni, Turco».

Risoluzioni in Commissione:


   La VIII e la X Commissione,
   premesso che:
    tra il comune di Taranto, il Ministro per gli interventi delle aree urbane, il Ministro della difesa, il Ministero per gli interventi straordinari nel Mezzogiorno, il presidente della regione Puglia, il presidente della provincia di Taranto, nel 1992, fu sottoscritto un protocollo di intesa per la delocalizzazione delle installazioni militari navali sul Mar Piccolo ed il recupero e la valorizzazione degli immobili dismessi;
    tale protocollo recita testualmente: «Costituiscono obiettivi primari per l'area di Taranto la delocalizzazione delle installazioni militari navali sul mar Piccolo ed il recupero e la valorizzazione degli immobili e degli spazi così dismessi, al fine di consentire un uso da parte della collettività aderente a nuovi modelli di sviluppo della Città stessa, riferiti alla sistemazione viaria, alla promozione di nuove imprenditorialità a vocazione turistica, ad una accresciuta rete di servizi e di verde pubblico»; pertanto, fu prevista, proprio per perseguire tali obiettivi, la costituzione di un Comitato per l'area di Taranto;
    fu anche sancito che le finalità di pubblico interesse, elencate nel protocollo, fossero «coerenti con i progetti strategici di cui alla delibera CIPE 12/5/1988, recante l'aggiornamento del programma triennale di sviluppo del Mezzogiorno per il triennio 1988-1990 e con gli obiettivi primari dell'intervento straordinario di cui alla legge 1o marzo 1988 n. 64»;
    con il decreto-legge 5 gennaio 2015, n. 1, recante «Disposizioni urgenti per l'esercizio di interesse di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto», convertito con modificazioni dalla legge 4 marzo 2015, n. 20, è stato istituito il tavolo per Taranto riunitosi nell'autunno 2015 nella prefettura del capoluogo ionico sotto il coordinamento del sottosegretario alla presidenza del Consiglio, Claudio De Vincenti, per delineare la strategia di riqualificazione e di sviluppo del territorio;
    durante la riunione si è discusso dello schema di contratto istituzionale di sviluppo e della verifica del cronoprogramma che dovrà portare a breve all'approvazione da parte del Cipe dei progetti che riguarderebbero, in particolare, il recupero della città vecchia, il porto, la bonifica dell'area esterna all'Ilva e il rilancio dell'Arsenale della Marina militare. Il contratto di sviluppo fa parte integrante del cosiddetto Masterplan per il Sud;
    tale contratto avrebbe un valore di circa 800 milioni di euro, di cui in particolare 390 milioni per il sistema portuale, 207 milioni per il completamento dell'ospedale, 91 milioni per le bonifiche, 89 milioni per l'edilizia abitativa e la riqualificazione del quartiere Tamburi e del centro storico, 30 milioni per altre infrastrutture. Si sarebbe anche concordato, per quanto riguarda l'Arsenale, di prevedere, a fianco dell'utilizzo di una parte dell'area per sviluppo turistico e culturale, la valorizzazione della produttività del sito per la manutenzione e lo sviluppo della cantieristica;
    secondo le informazioni fornite dagli uffici del Cipe si apprende che la delibera relativa al contratto istituzionale sarebbe al momento al vaglio della Corte dei Conti;

impegnano il Governo

a fornire informazioni in merito al prosieguo dei lavori programmati con il protocollo d'intesa del 1992 e ad assumere iniziative per inserire i progetti di allora non realizzati nella programmazione in atto con il tavolo per Taranto e nel contratto istituzionale di sviluppo della città.
(7-00924) «Segoni, Prodani, Labriola».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    gli obiettivi della direttiva europea 2003/4/CE sull'accesso del pubblico alle informazioni ambientali, come recepita dal decreto legislativo n. 195 del 2005 sono i seguenti:
     a) garantire il diritto di accesso all'informazione ambientale detenuta dalle autorità pubbliche o per conto di esse e stabilire i termini e le condizioni di base, nonché modalità pratiche per il suo esercizio;
     b) garantire che l'informazione ambientale sia sistematicamente e progressivamente messa a disposizione del pubblico e diffusa, in modo da ottenere la più ampia possibile, sistematica disponibilità e diffusione al pubblico dell'informazione ambientale. A tal fine, è promosso l'uso, in particolare, delle tecnologie di telecomunicazione e/o delle tecnologie elettroniche, se disponibili;
    i fanghi sono classificati come rifiuti speciali, (articolo 184, comma 3, lettera g), decreto legislativo n. 152 del 2006). Di tali rifiuti, la stragrande maggioranza viene classificata come rifiuto speciale non pericoloso, in particolare CER 190805 (fanghi provenienti dal trattamento delle acque reflue). In quanto rifiuti speciali, detti fanghi non sono soggetti al principio di prossimità vigente per i rifiuti urbani di cui all'articolo 182-bis del citato testo unico ambientale;
    dal rapporto Ispra 2015 sui rifiuti speciali, a pagina 100, risulta che, nel solo 2013, sono state avviate a spandimento sul suolo oltre 5 milioni di tonnellate di rifiuti, che includono anche i fanghi utilizzati in agricoltura;
    nel rapporto dell'ARPA della regione Sardegna sull'utilizzo dei fanghi in agricoltura, riferito all'anno 2012 si afferma, a pagina 4, che: «Per quanto riguarda l'attendibilità dei risultati dell'indagine, occorre premettere che agli errori di misurazione, riconducibili a concetti statistici, devono essere sommati quelli derivanti dalle possibili disuniformità nelle modalità di misura (tonnellate trasformate in metri cubi o viceversa), nel momento della misura (al momento del prelievo dagli impianti o in fase di essiccazione più o meno avanzata), nelle possibili conversioni (misura effettuata sul fango tal quale e sostanza secca ricavata), etc. Si ritiene che queste incertezze, insite nel metodo di rilevazione adottato e nella natura dei rifiuti in questione, influiscano in modo indeterminato, sul distanza tra il dato finale riportato nella presente relazione e il dato “reale”»;
    tale criticità è confermata a pagina 79 del progetto di piano di gestione dei rifiuti urbani e fanghi della regione Piemonte, dove si informa che: «Le informazioni raccolte dal MUD non consentono, per nessun tipo di rifiuto, fanghi compresi, di evidenziarne il contenuto in umidità: mentre nel caso dei rifiuti urbani in genere tale assenza di informazioni non riveste un'importanza sostanziale, nel caso dei fanghi questa carenza risulta determinante nel ridurre la significatività dei quantitativi: ne deriva pertanto un'impossibilità di confronto con altre banche dati che invece si basano sul quantitativo in sostanza secca di fango prodotto presso ogni singolo impianto di depurazione.
    A supporto della necessità di conoscere con esattezza la quantità di fango prodotto espressa sulla sostanza secca, si precisa che sia la direttiva 86/278/CEE (riguardante l'utilizzazione in agricoltura dei fanghi di depurazione, recepita in Italia con il decreto legislativo 99/92), sia il regolamento n. 2150/2002 relativo alle statistiche sui rifiuti, sia infine i decreti ministeriali in materia di acque e fanghi, prevedono per i fanghi la conoscenza della sostanza secca in essi contenuta.
    Inoltre le dichiarazioni MUD non consentono di avere alcun tipo d'informazione riguardo agli aspetti agronomici, ambientali ed igienico-sanitari dei fanghi derivanti dagli impianti di depurazione»;
    la gestione dei fanghi è inoltre caratterizzata da criticità emergenti e di difficile soluzione, quali la presenza di elementi non normati (farmaci, metalli pesanti, sostanze chimiche varie), che non vengono neppure ricercati per valutarne la sicurezza e la gestione; tali carenze normative determinano una possibile amplificazione delle criticità collegate appunto al possibile turismo dei rifiuti a norma di legge, (i rifiuti speciali non sono soggetti a principio di prossimità per il citato articolo 182-bis del citato decreto-legge n. 152 del 2006);
    già nel 2006, il Joint Research Center della Commissione euroepa produsse un report in merito a questi aspetti (Background values in European soils and sewage sludges, Part III, Conclusions, comments and recommendations B. M. Gawlik, G. Bidoglio 2006, euro 22265, EN Results of a JRC-coordinated study on background values) realizzato in collaborazione con l'Ispra, segnalando che un certo numero di componenti (sostanze) non sono state incluse in tale report, in parte per mancanza di dati ma anche perché sono più difficili da analizzare e determinare. Questi «contaminanti emergenti» corrispondono in molti casi a contaminanti non regolati, ad esempio: tensioattivi, prodotti farmaceutici e prodotti per la cura personale (Ppcp) o additivi per carburanti, ma anche componenti organo-metallici. Esempi tipici sono organo-lattine, muschio chetone e xilene muschio, polielettroliti, metaboliti antibiotici e agenti di trattamento del cancro;
    i dati disponibili sono troppo scarsi ed i metodi analitici per rilevarli troppo costosi per produrre un quadro di regole applicabile ai fanghi da depurazione in questi casi; i nuovi regolamenti dovrebbero evidenziare i limiti per i microinquinanti organici che dovrebbero essere regolarmente analizzati e aperti al controllo dei governi nazionali. Se necessario, le autorità locali potrebbero stabilire restrizioni;
    secondo l'ufficio federale per l'ambiente tedesco (2013), i fanghi da depurazione sono uno dei fertilizzanti più comunemente usati e controllati. Detengono al momento la capacità di soddisfare parte della richiesta di nutrienti necessari ai raccolti. I fanghi possono anche migliorare il bilanciamento dell’humus per le aziende agricole che non generano i loro stessi concimi;
    sui fanghi da depurazione, utilizzati come fertilizzanti e probabilmente fonti di inquinamento per alcune loro componenti provenienti dai prodotti utilizzati a livello domestico, da alcune attività produttive ed altri fonti diffuse, non abbiamo dati certi sui loro probabili impatti ambientali. Il possibile livello di inquinamento dei suoli, piante, acque profonde e superficiali che risulterebbe da queste sorgenti è difficile da determinare; inoltre, nuovi prodotti derivanti dalla degradazione di farmaci vengono scoperti nei fanghi da depurazione ogni giorno. Questi prodotti si incorporano nei fanghi attraverso l'escrezione umana e in altri modi; è difficile sviluppare processi di rilevazione specifici e valutare l'impatto ambientale di tutte queste sostanze, il cui impatto combinato è particolarmente difficile da caratterizzare e valutare, si possono però stimare i rischi teorici posti da tali sostanze, tenendo conto che quando eventuali conseguenze saranno visibili gli inquinanti in questione avranno già trovato la loro strada nella biosfera;
    il Ministero dell'ambiente tedesco (settembre 2015) dichiara «Al fine di evitare possibili alte concentrazioni di inquinanti nei campi, nel lungo termine, stiamo facendo degli sforzi per permettere il solo utilizzo in agricoltura di fanghi di altissima qualità in futuro». In questo contesto, il Ministero dell'ambiente tedesco ha avviato la procedura di modifica dell'attuale ordinanza sui fanghi di depurazione, risalente al 1992 per stringere i valori limite degli inquinanti esistenti (si tratta di quello che il Tar Lombardia ha impedito su ricorso delle associazioni di categoria agricole). Alla luce dell'accordo di coalizione per il periodo legislativo 18, secondo il quale l'utilizzo dei fanghi di depurazione per la concimazione deve essere fermato per intraprendere invece il recupero di fosforo e altri nutrienti, Il Ministero dell'ambiente tedesco ha allargato la bozza di lavoro per includere prescrizioni concrete per il recupero di fosforo e la cessazione dell'utilizzo dei fanghi sui campi;
   secondo lo studio «Environmental, economic and social impacts of the use of sewage sludge on land – Final Report (Feb. 2010)», la composizione dei fanghi in Italia è altamente variabile perché tutti gli impianti di depurazione (WWTPs) servono aree urbane dove le attività industriali contribuiscono a conferire inquinanti organici. Inoltre, molti impianti di medie e grandi dimensioni sono situati in distretti industriali come: il distretto della lana di Biella in Piemonte, il distretto della seta di Como in Lombardia, altri distretti tessili a Prato in Toscana, concerie in Veneto e Toscana, finiture di metalli in Piemonte e Lombardia e altri distretti minori;
    in questi casi, ovviamente, le caratteristiche dei fanghi dipendono fortemente dall'influenza degli scarichi industriali che, per esempio, contengono molti componenti organici recalcitranti che sono assorbiti dai fanghi (come idrocarburi e sulfonato lineare alchilbenzene) a metalli pesanti che di norma precipitano come idrossidi di metallo durante il trattamento e si accumulano nei fanghi;
    da circa un anno, sta assumendo contorni davvero preoccupanti la questione delle sostanze perfluoroalchiliche, trattate in Italia, in particolare dallo stabilimento Miteni di Trissino (VI) e dallo stabilimento Solvay di Spinetta Marengo (AL), visto che le sostanze perfluoroalchiliche o composti polifluorurati (PFC) sono prodotti chimici antropogenici, incorporati in una vasta gamma di prodotti commercializzati negli ultimi sei decenni; sono prodotti idrorepellenti all'olio e all'acqua, lo si trova nei trattamenti di moquette, cuoio, pelle, tessile e altro. Questa classe di composti include migliaia di sostanze chimiche, di cui le più conosciute sono il perfluorottano sulfonato (PFOS) e gli acidi perfluorocarbossilici (PFCAs) che includono l'acido perfluoroottanoico (PFOA);
    nella provincia di Vicenza si sono rilevati valori elevati di prodotti della degradazione e delle sostanze perfluoroalchiliche stesse nei corpi idrici superficiali, nelle falde e nelle acque potabili. È in corso in questi mesi, sulla base anche di istanze comunitarie, la valutazione di parametri di legge per stabilire limiti accettabili per la salute. Si segnalano dati epidemiologici non conclusivi, presenti nella letteratura internazionale, che identificano queste sostanze come fonte di incremento dell'incidenza di patologie oncologiche in particolare al rene, alle vie urinarie, alla prostata e di patologie cardio-cerebrovascolari e altre, in particolare per esposizione professionale, ma anche ambientale. Dal 2015, negli USA, la produzione di alcune molecole (PFOA e PFOS) è stata vietata; lo stesso sta avvenendo nelle attività produttive italiane, ma non è chiaro se le molecole sostitutive (a corta catena) garantiranno maggiore sicurezza. Si segnala l'enorme idrosolubilità di queste sostanze che si diffondono per decine di chilometri in particolare in pianura, nel ovest Vicentino e a sud di Trissino si individua un'area dove risiedono circa 340 mila persone pesantemente contaminata a livello ecosistemico (falde acquifere superficiali, cibi); le province interessate sono quelle di Vicenza e, in parte, di Verona e Padova. Studi epidemiologici e tossicologici sono in corso ma stentano a produrre risultati definitivi anche per gli scarsi finanziamenti. Questi dati comportano che tutto il contesto ambientale delle aree citate è pesantemente impattato;
    il documento della Commissione europea del titolo «Occurrence and levels of selected compounds in European Sewage Sludge Samples» del 2012 del titolo precisa che il processo di biodegradazione degli inquinanti organici inizia negli impianti di depurazione (waste water treatment plants – WWTPs), che fungono da fonti puntuali di PFASs sia per gli ecosistemi acquatici, che per l'ambiente terrestre attraverso l'applicazione dei fanghi di depurazione nel suolo e in agricoltura. L'applicazione di fanghi di depurazione come fertilizzante per agricoltura è ampiamente utilizzato in diversi Paesi. L'applicazione di fanghi di depurazione per il suolo può, quindi, essere una potenziale via per i PFASs per entrare nell'ambiente terrestre. Recenti studi hanno dimostrato che l'applicazione di PFASs biosolidi contaminati (fanghi di depurazione) può avere effetti importanti sugli ambienti locali. Sono conosciuti globalmente i gravi inquinamenti in Alabama (USA) con alti livelli di PFASs in campioni di terreno (PFOA fino a 320 ng/g; PFOS fino a 410 ng/g da PFASs), ma forse il più noto degli inquinamenti da PFASs è avvenuto in Germania (caso Sauerland): nello studio di Robert Loos, del Joint Research Centre, del 21 ottobre 2013, realizzato in collaborazione con l'Ispra, dal titolo «Perfluorinated Chemicals, especially Perfluorinated Alkyl Sulfonates and Carboxylats: European Distribution and legislation» furono pubblicati i risultati degli studi sulle acque superficiali lungo il fiume Mohne contaminate da PFC, la cui causa principale di inquinamento era rinvenibile nell'uso abnorme di inquinati ammendanti sui terreni agricoli. L'ammendante venne distribuito su più di 1.300 terreni agricoli tra il 2000 e il 2006, con la massima concentrazione di PFOA e PFOS, che si aggiravano tra i 2,4 e 33 mg/Kg; le matrici ambientali principalmente colpite furono la contaminazione di acqua potabile, mentre i campioni di suolo contenevano più PFOS che PFOA. Un biomonitoraggio umano ha rivelato 4-8 volte l'aumento delle concentrazioni ematiche di PFOA nei residenti esposti ad acqua potabile contaminata rispetto alla popolazione di riferimento;
    in pratica, anche i fanghi di depurazione civile prodotti in queste aree risentono della contaminazione, addirittura concentrando tali sostanze che verranno riversate nuovamente sui suoli con lo spandimento. Mancano dati sui fanghi industriali, per capire se anche altre attività di manifattura che utilizzano come matrici i materiali impermeabilizzanti prodotti a Trissino, producano fanghi o altri reflui contaminati;
    questa particolare questione pone l'accento sulla mancanza di definizione di gestione sostenibile dei fanghi, così come di un prezziario gestionale che possa, indirizzare alla tutela ambientale ed economica. In pratica, lo spandimento dei fanghi al suolo, in molti casi con pretrattamenti opinabili, determina un carico ambientale importante. Manca qualsiasi tutela per le aree vulnerate da nitrati o altre sostanze; da ciò deriva che, nonostante il fatto che la pianura padana ad esempio abbia indici di rischio importanti per tutte le falde e i suoli (vedi ad esempio lo studio Isonitrate dell'Ispra (2012) in cui è rilevato un indice Hi massimo per oltre il 90 per cento dell'area), non esiste alcuna forma di precauzione atta a garantire la qualità dell'acqua potabile e tantomeno la qualità dell'acqua di falda e di conseguenza le produzioni agroalimentari;
    assume un contorno ancora più inquietante, per i presentatori del presente atto di indirizzo, «il turismo dei fanghi», l'inaccettabile pratica per cui si gestiscono i fanghi solo in base al prezzo finale; i viaggi i low cost dei fanghi portano a spendere meno di 20 euro a tonnellata per la gestione finale con spedizione anche in regioni lontane. Si segnala per esempio che la Lombardia, sulla base dei dati Ispra in particolare quelli presenti nel rapporto sui rifiuti speciali del 2014, vede una quantità di fanghi «sparsi sul suolo a beneficio dell'agricoltura ed ecologia» (R10) di 748.612 tonnellate su un totale nazionale di 5.046.626 tonnellate. Dai dati Arpal per il 2013 si evince che il 42,4 per cento dei fanghi trattati negli impianti della Lombardia è di provenienza regionale, mentre il restante 57,6 per cento proviene da altre regioni. Questa tendenza è stata confermata dall'Arpal anche per gli anni precedenti al 2013. L'esportazione dei fanghi dalla Lombardia verso altre regioni, secondo l'Arpal, sarebbe irrilevante, solo 1.660 tonnellate. Tali dati potrebbero essere sottostimati dalla disomogeneità di conteggio citata in premessa;
    dal Veneto provengono 103.567,81 tonnellate di fanghi intesi come «tal quale», il 13,34 per cento dei fanghi gestiti in regione Lombardia; questi dati impongono una riflessione in merito allo stato ambientale della pianura padana (vedi dati dello stato di contaminazione delle acque superficiali, Scas e il già richiamato studio Isonitrate dell'ISPRA), per cui oltre alla già elevata contaminazione, oltre alla pressione delle attività civili e industriali locali, si somma la pressione legata al turismo dei rifiuti speciali. Per quanto concerne i fanghi provenienti dal Veneto si pone anche il problema della presenza delle sostanze perfluoroalchiliche, che la normativa non impone al momento di dosare;
    nella pubblicazione scientifica dal titolo, «Effects of chain length and pH on the uptake and distribution of perfluoroalkyl substances in maize (Zea mays) sono stati studiati i meccanismi di assorbimento delle sostanze perfluoroalchilici (PFASs) con il più diffuso dei grani coltivati: il mais. Dai test condotti risulta che il mais ha un alto tasso di assorbimento, tale da interessare tutta la pianta di mais partendo dalle radici fino ad arrivare ai germogli, difatti, l'acido perfluorobutanoic (PFBA) ha avuto il più alto tasso di assorbimento all'interno del gruppo di PFCAs, con una media di 2,46 mg g-1 e l'acido perfluorottano sulfonato (PFOS), e ha avuto il più alto tasso di assorbimento (3.63 mg g-1) all'interno del gruppo di PFSA. I PFASs a più breve catena sono trasferiti prevalentemente e in concentrazioni più elevate alle riprese/germogli. Al contrario, PFCAs a lunga catena sono accumulati in concentrazioni più elevate nel radici delle piante di mais;
    meritiamo inoltre di essere considerati i seguenti elementi:
   la mancanza di uno standard normativo e tecnico/procedurale sulla contabilizzazione dei fanghi rende difficoltoso, quando non addirittura impossibile, ricostruire i dati relativi ai movimenti, alla gestione sostenibile, all'utilizzo finale e ai costi di gestione di tali rifiuti;
   lo spandimento incontrollato sul suolo di tali fanghi può portare ad un accumulo di nitrati, oltre che di metalli pesanti ed altre tipologie di inquinanti persistenti, tale da compromettere la fertilità e la redditività dei suoli coltivati, la qualità delle acque di falda e idropotabili;
   le informazioni relative a contabilità, circolazione e caratterizzazione dei fanghi, nonché gli aspetti economici riguardanti la loro gestione rientrano nel campo di applicazione del decreto legislativo n. 195 del 2005;
   la mancanza di criteri di tutela delle aree già impattate, in particolare relativamente a parametri di sicurezza della qualità idrica, è inaccettabile; in pratica, nelle medesime aree vengono sparsi liquami, digestati da diverse matrici, rifiuti speciali compresi, fanghi di depurazione civile e industrale; questa carenza porta anche al fenomeno del «turismo dei rifiuti» che avviene solo in base a criteri di lucro immediato per cui anche aree già pesantemente impattate ricevono rifiuti provenienti anche da altri contesti territoriali;
   la mancanza di studi adeguati sugli effetti di sostanze inquinanti emergenti, come le sostanze perfluoroalchiliche, porta alla possibilità di esportazione interregionale di tali sostanze e alla possibile propagazione di tali inquinanti;
   la mancanza di controlli in merito al rispetto delle normative che impongono di non spandere al suolo digestati provenienti da impianti a biogas e biomasse, che utilizzino come matrici rifiuti solidi urbani, rifiuti speciali, fertilizzanti come l'idrobios, provenienti da macellazione e/o concia delle pelli (si consideri al proposito la risposta del Governo all'interrogazione n. 5-02653, presentata alla Camera del primo firmatario del presente atto relativa agli impianti a Mogas di Curtatone e Rodigo, in provincia di Mantova);
   la mancanza di criteri di filiera corta per quanto concerne la matrice mais per gli impianti a biogas,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per l'elaborazione di criteri di misurazione oggettivi ed uniformi su tutto il territorio nazionale al fine di agevolare i controlli da parte delle autorità competenti e di consentire un'adeguata contabilizzazione e tracciabilità di questa tipologia di rifiuti speciali;
   ad assumere iniziative per prevedere la pubblicazione dei dati raccolti in merito a questa tipologia di rifiuti speciali sui siti web dell'Ispra e delle Arpa regionali in modo che siano facilmente accessibili, costantemente aggiornati e di pronto utilizzo da parte del pubblico e dei decisori;
   ad assumere iniziative per definire criteri di tutela dei suoli e delle falde che prevedano:
    a) monitoraggi periodici della qualità dei suoli, delle falde, dei corpi idrici superficiali anche minori con valutazione delle principali sostanze chimiche normate e delle caratteristiche chimico fisiche di suoli e falde;
    b) realizzazione di mappe aggiornate in relazione alla presenza di inquinanti normati ed emergenti (pesticidi, farmaci, sostanze di utilizzo industriale);
    c) interruzione dello spandimento di specifiche sostanze in aree impattate al suolo o in falda dalle medesime e sostanze (ad esempio nitrati);
   a promuovere il monitoraggio dei principali inquinanti emergenti e l'esecuzione di studi in merito alla sicurezza ambientale e sanitaria;
   ad assumere iniziative per evitare il «turismo dei rifiuti speciali» verso aree già impattate, in particolare in caso di sospetta contaminazione da sostanze pericolose come le sostanze perfluoroalchiliche;
   ad assumere iniziative per destinare opportuni finanziamenti agli studi scientifici in merito agli effetti ambientali e sanitari delle sostanze perfluoroalchiliche e agli effetti ambientali delle nuove molecole a catena corta proposte nelle attività produttive; ad assumere iniziative per destinare finanziamenti alla bonifica delle aree impattate e alla fornitura di acqua di qualità adeguata alla popolazione interessata;
   a promuovere lo studio della filiera inquinante da sostanze perfiuoroalchiliche in particolare in merito a fanghi, digestati da impianti a biogas, manifatture, in modo da tracciare con precisione la diffusione degli inquinanti e da ridurre gli impatti;
   a promuovere una filiera corta di approvvigionamento del mais utilizzato nelle centrali a biogas, e ad assumere iniziative per vietare l'utilizzo di mais proveniente dall'area impattata da sostanze perfluroalchiliche sia localmente che a distanza;
   ad assumere iniziative per effettuare verifiche del rispetto della normativa e prevedere l'immediata interruzione dello spandimento di digestati da impianti a biogas che utilizzino con matrice rifiuti speciali, siero di latte, sottoprodotti di origine animale (SOA), fertilizzanti come l'idrobios e altri, potenzialmente contaminati da sostanze perfluoroalchiliche.
(7-00925) «Zolezzi, Vignaroli, Businarolo, Busto, Daga, De Rosa, Mannino, Terzoni, Micillo».


   La XI Commissione,
   premesso che:
    il sistema previdenziale italiano ha subito negli ultimi anni un processo di modifica rilevante che ha interessato una grande fetta della popolazione lavorativamente attiva, incidendo pesantemente sul quantum e sui tempi, del trattamento pensionistico di ciascun lavoratore;
    la «riforma Fornero» ha modificato in gran parte, peggiorativamente, i requisiti per l'accesso alla pensione, causando, in alcuni casi, anche delle conseguenze ingiuste e prive di fondamenta giuridiche nei confronti di alcune categorie di lavoratori, come ad esempio per il caso degli «esodati», «casualmente» dimenticati, per i quali sono stati necessari alcuni interventi correttivi al fine di riconoscere i diritti a loro negati;
    sebbene anche altre figure di lavoratori siano state tagliate fuori dal riconoscimento di un dignitoso diritto alla pensione, solo alcuni risultano essere stati destinatari dei successivi correttivi per arginare i problemi collegati al mancato riconoscimento dei diritti;
    esiste, in particolare, una categoria di lavoratori, rappresentata da coloro che hanno versato a «fondo perduto» i cosiddetti contributi silenti, di cui poco si parla e per la quale non sussiste una tutela giuridica adeguata in quanto è stata tuttora, nonostante il susseguirsi di correttivi, privata dei diritti alla pensione o alla restituzione di quanto versato;
    i contributi silenti, costituiti appunto dai versamenti contributivi effettuati dai lavoratori nella casse dell'Inps senza però raggiungere il requisito contributivo minimo per accedere alla pensione, sono stimati in alcuni miliardi di euro;
    l'articolo 24 del decreto-legge n. 201 del 2011, ha di fatto modificato, l'articolo 2, comma 3, del decreto legislativo n. 503 del 1992, che, pur stabilendo l'innalzamento da 15 a 20 anni dei requisiti minimi contributivi richiesti ai soggetti che accedevano alle pensione di vecchiaia nel sistema retributivo o misto, prevedeva delle specifiche deroghe nei confronti di particolari categorie professionali, quali, in sintesi: i soggetti ammessi alla prosecuzione volontaria; i lavoratori subordinati che potessero far valere un'anzianità assicurativa di almeno 25 anni, occupati per almeno dieci anni per periodi di durata inferiore a 52 settimane nell'anno solare; i lavoratori dipendenti che avessero maturato al 31 dicembre 1992 una anzianità assicurativa e contributiva tale che, anche se incrementata dai periodi intercorrenti tra la predetta data e quella riferita all'età per il pensionamento di vecchiaia, non avrebbe consentito loro di conseguire i requisiti richiesti dalla nuova normativa;
    detta norma, appunto, ha innalzato, salvo casi eccezionali, a tutti i lavoratori – ivi compresi quelli previsti dalla deroga supra citata – a cui risulta applicabile il sistema misto o retributivo, il requisito contributivo minimo da 15 a 20 anni, togliendo il diritto, raggiunta l'età pensionabile, di conseguire la pensione;
    in particolare, l'articolo 24, comma 7, del decreto legislativo n. 201 del 2011, ha stabilito che il diritto alla pensione di vecchiaia calcolata con il solo metodo contributivo si consegue con un'anzianità contributiva minima pari a 20 anni, a condizione che l'importo della pensione risulti essere non inferiore a 1,5 volte l'importo dell'assegno sociale, disponendo altresì che si prescinde dal predetto requisito di importo minimo se in possesso di un'età anagrafica pari a 70 anni (più gli incrementi di speranza di vita), ferma restando un'anzianità contributiva minima effettiva di 5 anni con il solo sistema contributivo (in mancanza della quale, quindi, i contributi versati non danno diritto al trattamento previdenziale);
    dall'applicazione delle suddette norme risultano chiaramente lesi i diritti dei lavoratori nei confronti dei quali trova applicazione il metodo misto o retributivo, i quali speravano di conseguire il trattamento previdenziale previsto con un minimo di contributi versati per almeno 15 anni anche confidando nella legislazione previgente;
    allo stesso modo risultano ugualmente violati i diritti di tutti i lavoratori che, a causa del mancato raggiungimento del minimo contributivo previsto dalla legge, non potranno conseguire nessun trattamento pensionistico, perdendo conseguentemente tutte le erogazioni effettuate a favore dell'ente previdenziale di appartenenza;
    sono, infatti, moltissimi i lavoratori che, a causa anche della crisi del mercato del lavoro, si trovano a non poter raggiungere quel requisito, con l'impossibilità pertanto di maturare il diritto ad una prestazione previdenziale;
    appare, quindi, evidente l'iniquità dell'attuale disciplina previdenziale, tenuto conto della circostanza che i soggetti che non riescono a conseguire l'anzianità contributiva minima, oltre a non poter accedere alla pensione di anzianità o di vecchiaia, perdono definitivamente i contributi versati,

impegna il Governo:

   a porre in essere iniziative finalizzate a tutelare i diritti di coloro i quali hanno versato contributi previdenziali per un periodo inferiore rispetto a quello previsto per il conseguimento del diritto alla pensione;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per restituire i contributi previdenziali versati, a favore di quei lavoratori che non siano riusciti a raggiungere il limite minimo contributivo per l'accesso alla pensione;
   ad assumere iniziative per prevedere sia per i lavoratori dipendenti sia per i lavoratori autonomi, il diritto alla restituzione, su domanda, dei cosiddetti «contributi silenti», ovvero quei contributi previdenziali versati senza che gli stessi abbiano dato luogo alla maturazione di un corrispondente trattamento pensionistico;
   ad adottare iniziative per prevedere, per i superstiti sia di lavoratori dipendenti sia di lavoratori autonomi, nel caso in cui al momento del decesso del lavoratore ai medesimi non spetti alcun trattamento pensionistico ovvero un'indennità per morte, il diritto alla restituzione, su domanda, dei contributi previdenziali versati;
   ad adottare iniziative per prevedere, per i lavoratori dipendenti o autonomi iscritti a due o più gestioni previdenziali ovvero per i loro superstiti, che non possano avvalersi in tutto o in parte della possibilità di cumulare i periodi assicurativi al fine del conseguimento di un'unica pensione ai sensi del decreto legislativo 2 febbraio 2006, n. 42, il diritto, su domanda, alla restituzione dei contributi previdenziali versati relativi ai periodi assicurativi per i quali non è possibile avvalersi della medesima possibilità.
(7-00923) «Ciprini, Cominardi, Lombardi, Tripiedi, Chimienti, Dall'Osso».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro della salute, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   la Biocogein srl ha proposto la realizzazione in località Sabatella/Sorvella nel comune di Capaccio di un impianto per la produzione di energia elettrica alimentato a biomasse, da fonte FER di cui al codice progetto 48-01; su tale progetto, con deliberazione unanime, si è negativamente e motivatamente espresso il consiglio comunale di Capaccio per una pluralità di distinte ma convergenti ragioni; la predetta centrale ricadrebbe in una zona agricola caratterizzata da produzioni agroalimentari di elevata qualità (produzioni biologiche e tradizionali con marchio IGP e DOP) e dalla presenza di centri di assoluta eccellenza legati alla filiera lattiero-casearia bufalina ed alla produzione di mozzarella di bufala campana DOP;
   in quella zona fondamentali e strategiche sono la valorizzazione e la tutela delle tradizioni agroalimentari locali di indubbio pregio, oggetto di espresso riconoscimento legislativo;
   inoltre, gli scarti ed i materiali residui derivanti dalle attività complessive di coltivazione agricola nel territorio di Capaccio, non potrebbero mai garantire l'autosufficienza nel funzionamento della centrale; è questo un aspetto fondamentale che preoccupa giustamente le popolazioni interessate e che evidenzia come sia sbagliata la costruzione di quell'impianto nella località prescelta; la zona interessata dal progetto è, altresì, vicina all'area archeologica di Paestum, il cui sito è inserito nella lista del patrimonio dell'umanità dell'Unesco ed è visitato da rilevanti flussi turistici provenienti da ogni parte del mondo; inoltre, nelle vicinanze ricadono aree naturali predette; nella conferenza di servizi convocata dalla regione Campania – amministrazione procedente – nella ultima seduta del 16 febbraio 2015 si è registrato dissenso in ordine alla realizzazione dell'impianto, espresso dal comune di Capaccio per motivi sanitari attinenti alla tutela della salute dei cittadini, dalla provincia di Salerno, nonché dalla sopraintendenza belle arti e paesaggio per le province di Salerno ed Avellino per ragioni di natura paesaggistica;
   conseguentemente, la regione Campania, quale amministrazione procedente, con nota del 10 marzo 2015, ha sottoposto tale dissenso alla deliberazione del Consiglio dei ministri, secondo la procedura stabilita dall'articolo 14-quater, comma 3, della legge 241 del 1990 e successive modificazioni e integrazioni;
   la regione Campania, con la giunta precedente alla elezione del 31 maggio 2015, non si è, quindi, determinata negativamente sul progetto della centrale – come avrebbe dovuto – per tutelare le istanze e le esigenze dei territori e delle comunità interessate;
   molto forte e netta è la posizione negativa sul progetto, espressa a più riprese, con dovizia di argomenti ed in molteplici iniziative pubbliche, dalla comunità, di Capaccio e Paestum;
   su questa delicata vicenda l'interrogante ha presentato una precedente interrogazione n. 5-05186 del 26 marzo 2015, alla quale il Governo ha risposto in X Commissione attività produttive nella seduta del 19 novembre 2015;
   in tale occasione il sottosegretario per i beni e le attività culturali e del turismo Giacomelli, ha riconfermato che la soprintendenza belle arti e paesaggio per le province di Salerno e Avellino aveva espresso: «parere contrario alla realizzazione dell'impianto per la produzione di energia elettrica alimentato a biomasse in parola. Il parere contrario al progetto è stato altresì ribadito dalla Direzione Generale belle arti e paesaggio nella riunione interministeriale del 23 settembre 2015 presso il Dipartimento per il Coordinamento Amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri. La stessa soprintendenza ha rilevato che nel territorio comunale di Capaccio Paestum le componenti culturali e naturalistiche (nei dintorni sono presenti anche aree naturali protette – ZPS – Area di Protezione Foce Sele Tanagro) sono particolarmente rilevanti per la presenza non solo del sito archeologico di Paestum (iscritto tra l'altro nella Lista del Patrimonio Mondiale dell'Umanità dell'UNESCO) ma anche di altri siti quali la chiesa medievale di Santa Maria del Granato, oltre a diversi manufatti di architettura tradizionale che qualificano il paesaggio culturale dell'area pestana. In considerazione della particolarità del territorio nell'area in parola insistono già da diversi decenni molti vincoli di tutela, alcuni imposti con la legge 1497/39; ma il più rilevante è quello imposto ai sensi della legge n. 220/1957 che sottopone a tutela una fascia del raggio di 1000 (mille) metri intorno alla cinta muraria di Paestum. Il territorio del Comune di Capaccio-Paestum rientra parzialmente nel perimetro del Parco Nazionale del Cilento, Vallo di Diano e Alburni, ma la restante parte del territorio comunale è inserita nel perimetro delle Aree Contigue del Parco Nazionale. Come è noto il Parco Nazionale del Cilento Vallo di Diano e Alburni è inserito dal 1998 nella Lista del Patrimonio dell'Umanità dell'UNESCO nella categoria dei paesaggi culturali, mentre già dal 1997 lo stesso territorio fu inserito nella Riserva Internazionale di Biosfera (MAB – Man and Biospher»;
   il Consiglio dei ministri, con deliberazione dell'8 gennaio 2016, ha dato «atto che sussiste la possibilità di procedere alla realizzazione dell'impianto di fonte rinnovabile alimentato a biomasse per la produzione di energia elettrica e termica della potenza di 0,999 kw in località Sorvella, Comune di Capaccio, indicato in premessa, a condizione che siano rispettate le verifiche e le prescrizioni di cui al già richiamato parere tecnico scientifico reso dall'Istituto Superiore di Sanità»;
   va evidenziato che, per quanto attiene alla verifica dei profili senza alcun dubbio prioritari attinenti alla tutela della salute ed alla incolumità delle persone, è stato seguito nella fattispecie un procedimento assolutamente tortuoso e contraddittorio e con esiti che non appaiono tali da consentire la costruzione dell'impianto;
   difatti la azienda sanitaria di Salerno, con nota del 19 giugno 2015, si è espressa negativamente sul progetto della centrale «a causa del rischio sanitario per la popolazione esposta in modo diretto ed indiretto» (così, come per i capoversi successivi, secondo espressi richiami alla deliberazione del Consiglio dei ministri dell'8 gennaio 2016);
   con nota del 14 settembre 2015, il Ministero della salute ha deliberato «di acquisire il parere tecnico-scientifico di compatibilità dell'intervento con la tutela della salute»;
   l'Istituto superiore di sanità, con nota n. 30988 del 19 ottobre 2015, ha segnalato di non poter, sulle basi documentali trasmesse, «valutare il reale impatto ambientale e sanitario dell'impianto in questione nello specifico contesto territoriale»;
   inoltre, l'Istituto superiore di sanità, con nota 37327 del 16 dicembre 2015, ha confermato che la relazione illustrativa del progetto, anche alla luce della ulteriore documentazione integrativa acquisita «rimane generica sugli impatti che l'impianto può determinare sul territorio e non risolve tutte le criticità, connesse alla realizzazione ed all'esercizio dell'impianto che potrebbero produrre un impatto sulla salute», non consentendo «di valutare il potenziale impatto che l'opera proposta potrà generare sulla salute della popolazione dell'area interessata»;
   nella medesima nota, l'Istituto superiore di sanità ha fornito «specifiche indicazioni» con riferimento alla composizione della biomassa eventualmente da utilizzare, alla correlata gestione delle emissioni; ad approfondimenti sul piano della gestione dei rifiuti; ad indispensabili sistemi di monitoraggio per la verifica dei potenziali impatti; al monitoraggio degli effetti, collegati proprio alla verifica degli impatti ambientali, sull'ambiente e sulla salute della popolazione;
   il recepimento di tali indicazioni, in ogni caso, esigerebbe nuovi, approfonditi e differenti studi tecnico-scientifici, particolarmente complessi e una elaborata documentazione integrativa; conseguentemente, la Biocogein, con nota del 18 dicembre 2015, in riscontro alla nota dell'Istituto superiore di sanità del 16 dicembre 2015, ha dichiarato «la propria disponibilità nei confronti di puntuali opportune prescrizioni proporzionate alla potenza ed all'impatto dell'impianto in questione»;
   non risulta, quindi, che le indicazioni fornite dall'Istituto superiore sanità siano state tradotte in modifiche, che dovrebbero essere particolarmente rilevanti e complicate, nella complessiva elaborazione e documentazione progettuale dell'impianto, con tutti gli studi, le analisi e le verifiche assolutamente necessari; né ovviamente tutte queste modifiche sono state approfonditamente verificate e valutate dall'Istituto superiore di sanità;
   nella riunione tenutasi il 29 ottobre 2015 presso il dipartimento per il coordinamento amministrativo della Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha riconfermato il precedente parere espresso dalla competente Soprintendenza «per l'impatto paesaggistico dell'opera ricadente in area contigua ritenuta dal predetto Ministero quale area di protezione esterna dei Parchi e sottoposta pertanto ex lege a tutela paesaggistica, ai sensi dell'articolo 142, comma 1, lettera f) del decreto legislativo n. 42/2004»;
   dalla deliberazione del Consiglio dei ministri adottata l'8 gennaio 2016, in maniera poco comprensibile emergerebbe improvvisamente ed in palese contraddizione con tutti gli atti precedenti «il superamento del dissenso per motivi paesaggistici in considerazione del fatto che la Soprintendenza ha chiesto di approfondire le azioni che il soggetto proponente intende adottare per la mitigazione dell'impatto sul paesaggio e sotto il profilo della visibilità dell'impianto»;
   sembra all'interrogante invece, che rimarrebbe comunque fermo il parere negativo del Ministro dei beni e delle attività culturali salve restando ulteriori ed eventuali fasi di approfondimento in contraddittorio con la società Biocogein per gli aspetti attinenti alla mitigazione dell'impatto paesaggistico; né è da ritenere che tutte queste eventuali nuove azioni di mitigazione dell'impatto paesaggistico siano state in concreto verificate e valutate da Ministro dei beni e delle attività culturali;
   va, poi, rilevato che dal giugno 2015, è stata eletto un nuovo Governo regionale in Campania, che ha già manifestato contrarietà e consistenti rilievi critici rispetto al progetto;
   occorre, pertanto, una rivisitazione della intera vicenda, per addivenire ad una nuova valutazione e deliberazione in Consiglio dei ministri, alla luce delle nuove ed approfondite valutazioni e verifiche, che su tutta la complessiva elaborazione progettuale debbono rendere il Ministro dei beni e delle attività culturali, l'Istituto superiore di sanità, la regione Campania;
   nei giorni scorsi tutta questa delicatissima e così rilevante problematica è stata esposta dal sindaco di Capaccio al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri Claudio De Vincentis;
   nel corso di questo incontro, il sindaco di Capaccio ha in particolare evidenziato, accanto agli aspetti sopramenzionati, il recente protocollo d'intesa siglato tra Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, ANCI e Conferenza delle regioni, per la riduzione dell'emissione di polveri sottili e CO2, con impegno diretto e cogente a ridurre da subito le pm 10 e porre un tetto anche alle pm 2,5; nonché la indagine in corso in corso da parte della procura della Repubblica di Salerno relativa alla disponibilità giuridica ed alla situazione dei terreni su cui dovrebbe sorgere l'impianto –:
   quali iniziative il Governo intenda assumere per far valere, con adeguati approfondimenti istruttori (che sono assolutamente urgenti e necessari) in sede istituzionale ed anche nell'ambito della procedura di cui all'articolo 14-quater, comma 3, della legge n. 241 del 1990, le motivate e molteplici ragioni sopraindicate, che ostano obiettivamente alla realizzazione del progetto della centrale a biomasse in località Sabatella/Sorvella del comune di Capaccio, alla luce in particolare delle nuove ed approfondite valutazioni e verifiche che su tutta la complessiva elaborazione progettuale debbono rendere il Ministro dei beni e delle attività culturali per il profilo dell'impatto paesaggistico, l'Istituto superiore di sanità per il profilo afferente alla tutela della salute delle persone e della comunità e la regione Campania anche per quanto riguarda i programmi e le iniziative che in questo campo intende portare avanti il nuovo Governo regionale eletto nel mese di giugno 2015. (5-07841)

Interrogazioni a risposta scritta:


   TERZONI, MASSIMILIANO BERNINI, BENEDETTI, GAGNARLI, LUPO, GALLINELLA, L'ABBATE, COZZOLINO e DAGA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 agosto 2015, sulla Gazzetta Ufficiale n. 187, è stata pubblicata la legge 7 agosto 2015, n. 124, recante «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche»;
   l'articolo 8, comma 1, lettera a), prevede, tra l'altro, l'eventuale assorbimento del Corpo forestale dello Stato in altra forza di polizia;
   il Consiglio dei ministri nel corso della riunione n. 101 del 20 gennaio 2016 ha approvato, in esame preliminare, un decreto legislativo — non ancora pubblicato ufficialmente — recante tra l'altro l'assorbimento di parte del personale del Corpo forestale dello Stato nell'Arma dei carabinieri;
   tale scelta quindi porterebbe a trasformare lo status giuridico dei dipendenti del Corpo forestale dello Stato da «civile» a «militare». L'Arma dei carabinieri ha infatti collocazione autonoma nell'ambito del Ministero della difesa, con rango di Forza Armata ed è forza militare di polizia a competenza generale e in servizio permanente, di pubblica sicurezza;
   sono state recentemente emanate dalla Corte europea dei diritti dell'uomo due sentenze: la sentenza Cedu del 2 ottobre 2014 sul caso «Matelly c. Francia» e la sentenza Cedu n.135 del 21 aprile 2015 sul caso «Adefromil c. Francia»;
   in merito alla procedura «Caso EU Pilot 6730/14/ENVI» sull'attuazione in Italia della direttiva 92/43/CEE del Consiglio del 21 maggio 1992, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali e della flora e della fauna selvatica», il dipartimento per le politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri ha inviato al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare il 27 marzo 2015 un documento in cui, tra le diverse questioni poste in evidenza e delle azioni ritenute necessarie al raggiungimento di un miglioramento dell'attuazione della direttiva «Habitat» in Italia, si menziona, al punto 14) che «dovrebbero essere razionalizzate le forze in campo in materia di vigilanza ambientale (ex guardiacaccia delle Province, Corpo Forestale dello Stato, Corpi forestali provinciali e regionali)» –:
   se, in merito a questa scelta governativa, risulti che il Dipartimento politiche europee della Presidenza del Consiglio dei ministri abbia ben valutato gli aspetti di opportunità giuridica, anche in relazione alla procedura EU Pilot 6730/14/ENVI, giacché la trasformazione dello status del personale del Corpo forestale dello Stato potrebbe essere in contrasto con il diritto dell'Unione europea. (4-12153)


   SBROLLINI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   nelle ultime settimane nel mondo del calcio si sono registrati diversi episodi di spiacevole o complessa interpretazione, dal punto di vista della discriminazione e da quello del rispetto delle regole;
   episodi di razzismo, omofobia, discriminazione sessuale sono ancora troppo presenti e non sporadici in tutta Italia, da Milano a Locri. Solo per citare i casi più recenti: la lite tra gli allenatori di Napoli e Inter Maurizio Sarri e Roberto Mancini, gli episodi del derby di Milano tra Milan ed Inter, le minacce alle calciatrici a Locri, le battute discriminatorie di dirigenti federali e di Lega;
   dall'altra parte (come se esistesse o potesse esistere un «confine» di distanza tra la natura privatistica del «fenomeno sportivo» e la sua natura giuridica assolutamente e totalmente pubblica) le tante indagini giudiziarie sul calcio che volgono ormai al termine e la nuova «Operazione Fuorigioco», fascicolo aperto dalla Procura di Napoli che fatto emergere un meccanismo fraudolento di evasione fiscale dovuta a fatturazioni non consentite, per garantire a calciatori e agenti un maggior vantaggio economico facendo in modo che fossero le società a dedurre i costi relativi alla prestazioni degli agenti e detrarre l'IVA;
   tutte situazioni che fanno prendere consapevolezza di una condizione precaria nello sport e, in particolare, nel calcio che possono lasciare spazio a significativi fenomeni di emulazione, specie nelle fasce più giovani della popolazione, nonché alimentare un generale clima di impunità alla regole dell'ordinamento giuridico da parte dello sport;
   lo sport è potenzialmente uno straordinario strumento educativo, divenuto negli anni un fenomeno sempre più popolare, prestigioso e seguito. I modelli comportamentali (sia positivi che negativi di allenatori, sportivi, dirigenti e tifoserie organizzate) divengono fonte d'ispirazione del pensiero e del comportamento dei più giovani. Essendo lo sport, ed in particolare il calcio, un fenomeno di massa che genera un importante impatto sociale ed economico, è seguito settimanalmente con passione da un importante numero di cittadini italiani ed è opportuno che possa garantire la trasmissione di valori positivi quali il rispetto delle regole, il rispetto dell'avversario e del prossimo, il rispetto dell'arbitro e il rispetto del risultato «del campo»;
   la Costituzione e molte leggi ordinarie indicano chiaramente la necessità di reprimere e condannare condotte discriminatorie e fraudolente;
   l'apparato normativo, inoltre, indica che lo sport, al pari di ogni altra attività, debba svolgersi all'interno delle proprie regole, nel limite imposto dal rispetto delle regole dello Stato. Questa considerazione va incrementata, quando si parla di sport, alla luce delle notevoli finalità pubbliche dello stesso –:
   se e come il Governo intende agire per arginare i fenomeni di violenza nello sport che possono dare adito a fenomeni emulativi di massa, nonché se e come intenda intervenire con progetti educativi per le fasce più giovani della popolazione;
   se e come il Governo intenda monitorare quanto sta avvenendo nel mondo dello sport e del calcio in particolare, al fine di prendere consapevolezza delle dinamiche e intervenire con ogni iniziativa di competenza;
   se il Governo abbia considerato, e con quali tempistiche, l'ipotesi di audire le principali organizzazioni deputate alla gestione e al controllo del calcio italiano ed in particolare CONI, Federazione Italiana Giuoco Calcio, Lega Nazionale professionisti serie A, Lega Nazionale professionisti serie B, Lega PRO, Lega nazionale dilettanti (LND), Associazione italiana arbitri (AIA), Associazione italiana calciatori (AIC), Associazione italiana allenatori calcio (AIAC). (4-12154)


   ANDREA MAESTRI, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI e PASTORINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   era atteso entro il 31 gennaio 2016 il bando da 500 milioni di euro per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie;
   il bando è previsto dalla legge di stabilità 2016, che ha predisposto per il 2016 un «programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia»;
   si ricorda che il Governo ha deciso di destinare 500 milioni di euro alla riqualificazione delle periferie alla fine di novembre 2015, all'indomani degli attacchi terroristici di Parigi, quando il Presidente del Consiglio annunciò che «per ogni euro in più investito in sicurezza, ci deve essere un euro in più investito in cultura»;
   il dispositivo è stato introdotto a seguito dell'approvazione di un emendamento del Governo nel corso dell'esame del provvedimento in Commissione bilancio alla Camera dei deputati;
   in particolare, il programma è finalizzato alla realizzazione di interventi urgenti per la rigenerazione delle aree urbane degradate, all'accrescimento della sicurezza territoriale, al potenziamento delle prestazioni urbane anche in termini di mobilità sostenibile, allo sviluppo di pratiche di inclusione sociale, come quelle del terzo settore e del servizio civile, all'adeguamento delle infrastrutture destinate ai servizi sociali e culturali, educativi e didattici, nonché alle attività culturali ed educative promosse da soggetti pubblici e privati;
   il programma sarà predisposto sulla base dei progetti inviati alla Presidenza del Consiglio dei ministri entro il 1o marzo 2016, secondo le modalità stabilite con apposito bando, approvato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri;
   tale decreto avrebbe dovuto essere emanato, di concerto con il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e sentita la Conferenza unificata, entro il 31 gennaio 2016. Alla data di oggi non risulta essere stato ancora emanato;
   l'Anci che riceve continue richieste da parte dei sindaci in ordine al bando, come dichiarato dal Presidente della Commissione politiche abitative, urbanistica e lavori pubblici dell'ANCI, afferma di aver chiesto a fine dicembre un incontro alla Presidenza del Consiglio dei ministri per conoscere i contorni della proposta e, non avendo ricevuto riscontro, ha sollecitato una risposta, rendendosi disponibile «a istituire il tavolo tecnico necessario all'emanazione del bando»;
   si ricorda inoltre, il ritardo per l'attuazione del bando previsto dalla legge di stabilità per il 2015, «Piano nazionale per la rigenerazione e riqualificazione delle aree urbane degradate» (con un investimento di 50 milioni per il 2015 e altri 150 per il 2016 e il 2017), pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 26 Ottobre 2015, per il quale oltre 800 comuni, con enormi difficoltà dovute ai tempi stretti, hanno presentato i progetti entro il 30 novembre 2015 –:
   se il Governo, in considerazione delle ultime dichiarazioni del Ministro dell'interno di nuovo allarme terrorismo per l'Italia, intenda chiarire: tempi di emanazione del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri concernente il Programma straordinario di intervento per la riqualificazione urbana e la sicurezza delle periferie delle città metropolitane e dei comuni capoluogo di provincia», previsto dalla legge di stabilità 2016 e se non ritenga opportuno dare attuazione in tempi brevi al bando per la riqualificazione delle periferie previsto dalla legge di stabilità per il 2015 con le procedure di assegnazione delle risorse. (4-12157)


   MUCCI, BARBANTI, PRODANI e RIZZETTO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la Corte costituzionale, in data 19 gennaio 2016, ha deliberato l'ammissibilità di una richiesta di referendum abrogativo avente ad oggetto le seguenti disposizioni: articolo 6, comma 17, terzo periodo, del decreto legislativo 3 aprile 2006, n. 152, «Norme in materia ambientale», come sostituito dal comma 239 dell'articolo 1 della legge 28 dicembre 2015, n. 208 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge di stabilità 2016)», limitatamente alle seguenti parole: «per la durata di vita utile del giacimento, nel rispetto degli standard di sicurezza e di salvaguardia ambientale»;
   dalla Corte costituzionale, è atteso per il 9 marzo 2016 il giudizio su due conflitti di attribuzioni, per altrettanti quesiti referendari, avente ad oggetto la disposizione di cui sopra. Nel caso la Consulta dovesse ritenere ammissibili i ricorsi presentati da 6 regioni, i cittadini italiani sarebbero chiamati ad esprimersi non solo sulla durata delle trivellazioni in mare, ma anche sul piano delle aree e sulla durata dei titoli per la ricerca e lo sfruttamento degli idrocarburi liquidi e gassosi in terraferma;
   in base all'articolo 34 della legge n. 352 del 1970, «il Presidente della Repubblica, su deliberazione del Consiglio dei ministri, indice con decreto il referendum, fissando la data di convocazione degli elettori in una domenica compresa tra il 15 aprile ed il 15 giugno»;
   la legge n. 352 del 1970 che regolamenta i referendum impedisce esclusivamente, come si desume dall'articolo 31, l'abbinamento tra referendum ed elezioni politiche;
   nella prossima primavera sono almeno 1.343 i comuni italiani che andranno al voto nelle elezioni amministrative e, tra questi, 13 città che vantano una popolazione superiore a 100.000 abitanti: Bologna, Bolzano, Cagliari, Latina, Milano, Napoli, Novara, Ravenna, Rimini, Roma, Salerno, Torino e Trieste;
   il «codice di buona condotta sui referendum», adottato dalla Commissione di Venezia (Commissione europea per la democrazia attraverso il diritto) nel 2007 e fatto proprio dal Consiglio d'Europa, prevede che le autorità amministrative, ivi incluso il Governo, devono rispettare il proprio dovere di neutralità nell'organizzazione del voto referendario;
   il medesimo codice prevede che le autorità devono fornire informazioni obiettive agli elettori, ai quali deve essere messo a disposizione con sufficiente anticipo il testo sottoposto a referendum nonché un rapporto esplicativo o del materiale imparziale da parte dei sostenitori e degli oppositori della proposta;
   fino ad oggi gli italiani non hanno praticamente mai ricevuto informazioni adeguate rispetto al tema oggetto del referendum né è al momento previsto un piano di comunicazione da parte del servizio pubblico radiotelevisivo;
   accorpare la data del voto referendario a quella delle elezioni amministrative a giudizio dell'interroganti rappresenterebbe la scelta più ragionevole e opportuna, al fine di consentire la libera formazione dell'opinione pubblica, di agevolare la partecipazione degli elettori, nonché evitare che ripetute e ravvicinate scadenze elettorali determinano un aumento dei costi amministrativi e della disaffezione dei cittadini;
   con una recentissima deliberazione il Consiglio dei ministri ha individuato il 17 aprile 2016 quale data di svolgimento del referendum cosiddetto «anti-trivelle», ed il 15 febbraio 2016 è stato adottato il conseguente decreto del Presidente della Repubblica, (pubblicato in Gazzetta Ufficiale il 16 febbraio) –:
   se il Governo abbia attentamente valutato, in occasione della decisione assunta in merito all'individuazione della data di svolgimento della consultazione referendaria, le esigenze rappresentate in premessa, e in particolare l'esigenza di garantire la massima informazione e la massima partecipazione dei cittadini, oltre al risparmio di risorse pubbliche, nonché i possibili effetti derivanti dai procedimenti avviati dinanzi alla Corte costituzionale, richiamati in premessa;
   se non intenda adottare iniziative normative per prevedere il necessario «accorpamento» della consultazione referendaria al primo turno delle elezioni amministrative, nei casi in cui ne sia previsto lo svolgimento nel medesimo anno. (4-12164)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta scritta:


   D'ARIENZO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Verona intende – come emerge dalla stampa locale – proporre un bando di gara per il concorso internazionale di idee avente per oggetto la copertura dell'Anfiteatro romano presente in città;
   il concorso internazionale di idee, come emerge nella delibera con le variazioni di bilancio del comune, servirebbe per realizzare un «velario tecnologico» per l'anfiteatro romano. Così viene definita la copertura mobile;
   qualche anno fa, ormai, fu già presentato in comune un progetto per coprire l'anfiteatro che, in estrema sintesi, prevedeva una sorta di tetto gonfiabile, da ancorare con tensori e supporti nelle ultime file di gradinate, nella parte più alta;
   la proposta è già stata «bocciata» più volte dalla soprintendenza ai beni archeologici, nonostante, come rilevato dalla stampa, il sindaco abbia dichiarato che: «Io ho già ottenuto il via libera per procedere al concorso di idee per la copertura dal ministero dei Beni culturali, da cui dipendono i sovrintendenti»;
   a finanziare l'iniziativa sarà l'azienda di abbigliamento Calzedonia per una cifra pari a 100 mila euro a supporto della procedura (pare che 60 mila euro siano per i premi ai partecipanti e 40 mila per la commissione giudicatrice);
   la motivazione di fondo è quella di evitare che i fenomeni atmosferici possano nuocere al regolare svolgimento della stagione lirica areniana. Si dice, inoltre, ma a giustificazione rispetto alle forti contrarietà esistenti in città, che la copertura servirebbe per proteggere il monumento dai danni provocati dalla stessa pioggia. In particolare, dunque, le infiltrazioni nei gradoni;
   agli studiosi della storia romana non risulta che venissero coperti i loro teatri. Solo una parte delle gradinate del Colosseo era stato coperto con teli per riparare dal sole, mai l'Arena. Quindi, un eventuale cappello sarebbe una distorsione storica e non una riproposizione dell'antico;
   i monumenti di valore mondiale non devono essere asserviti al lucro, bensì utilizzati per favorirne la conoscenza attraverso la valorizzazione sulla base delle possibilità che il monumento concede –:
   quale sia, in merito alla copertura dell'anfiteatro, di conoscere il parere del Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici del Ministero dei beni culturali, organismo consultivo del Ministro, il livello di tutela del citato monumento;
   se non intenda richiedere al Consiglio superiore per i beni culturali e paesaggistici di esprimere un parere in merito ai protocolli inerenti alla gestione dell'anfiteatro, ad avviso dell'interrogante sempre più asserviti alle esigenze di lucro e poco alla valorizzazione e alla protezione del monumento. (4-12149)


   COLONNESE, LUIGI GALLO e SIBILIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'antico acquedotto romano Claudio Augusteo è risalente al I secolo a.C. si tratta di una struttura importante che, secondo l'opinione comune degli antichi storici, fu opera dell'Imperatore Claudio con lo scopo di portare acque abbondanti e salubri dalle sorgenti di Serino alle popolazioni di antiche ed illustri città come Napoli, Pompei, Nola, Atella, Pozzuoli, e di alimentare un'ampia conserva artificiale, denominata piscina Mirabile nel porto di Miseno, per rifornire di acqua potabile le flotte romane nel mediterraneo: le date incise su alcuni tubi di piombo consentono una precisa datazione dell'opera al tempo dell'imperatore Claudio (Lugdunum, 12 agosto 10 a.C. – Roma, 13 ottobre 54). La lunghezza dell'acquedotto, dalla sua origine fino a Miseno, è di circa 90 chilometri. È tutto rivestito di muratura eccetto i tratti ove fora i banchi di pietra (tufo o calcarea) nei quali sono applicati una forte incameratura ed un saldissimo battuto rispettivamente sulle pareti e sul solaio. Esso presenta in tutta la sua lunghezza una sezione rettangolare fino alla imposta della volta e semicircolare o triangolare per la parte superiore; le sue dimensioni interne sono di larghezza metri 0,79 e di altezza metri 1,85. La sua struttura è varia secondo i materiali che offrono i luoghi attraverso i quali esso passa. Il cielo è formato in alcune parti a volta semicilindrica, in altre da grandi lastre d'argilla cotta messe a cavalcioni; le mura laterali sono ricoperte di eccellente incamiciato ed il solaio è formato, in alcuni siti da un battuto di rottami di pietre e mattoni con calcina, in altri da grandi lastre laterizie;
   l'acquedotto fu completamente distrutto dopo la caduta dell'impero romano da Belisario, illustre generale inviato dall'imperatore Giustiniano a metà del 536 d. C. durante la guerra greco-gotica. Per obbligare Napoli alla resa il guerriero bizantino lo distrusse e riuscì ad assediare la città. Più volte, nel corso dei secoli, fu presa in considerazione la proposta di un restauro del claudiano acquedotto. Solo nel Millecinquecento si intraprese l'opera di ricostruzione, per volontà di don Pedro de Toledo. Lo studioso incaricato della stesura del progetto, Antonio Lettieri, rinvenne le tracce dell'intero percorso dell'acquedotto, che si estendeva per molte miglia, dalle sorgenti dell'Acquara, presso Serino, fino alla costa del golfo di Napoli, con una struttura alta 2,10 metri e larga 0,82 metri, e con canalizzazioni sotterranee in alcuni tratti. Alcune diramazioni conducevano l'acqua nelle zone di Nola, Pompei, Pomigliano d'Arco e Atella. Il tratto principale invece serviva l'area di Casoria e San Pietro a Patierno, giungendo nella località denominata «Cantarelli» proprio dai «cantari», che erano tubi nei quali l'acqua fluiva, diramandosi infine in diverse zone della città di Napoli. Altra proposta di restauro fu fatta dal Re Carlo III di Borbone in occasione dell'inizio della costruzione della Reggia di Caserta. Il Re incaricò l'architetto Gaetano Spaltri di verificare la possibilità di portare le pregiatissime acque di Serino alla Reggia. L'architetto per l'occasione diede parere negativo considerando quest'opera assai difficile e dispendiosa. L'ultimo tentativo di restauro fu affidato al famoso ingegnere napoletano Felice Abate dal Governo Reale borbonico nell'anno 1841. L'ingegnere Felice Abate nel 1863 ne «Su» progetti per provvedere la città di Napoli di nuove acque potabili dedicò uno studio speciale al tratto dell'acquedotto che attraversa la valle di Lanzara comprendente la mirabile galleria che trafora il monte Paterno dal piano di Lanzara a quello di Sarno affinché si possa trarne una lezione «del modo onde gli antichi romani solevano condurre per traverso i monti i loro incomparabili acquedotti». A testimoniare l'importanza di tale acquedotto numerosi illustri uomini di cultura nel corso dei secoli ne hanno tracciato i lineamenti, a partire da Boccaccio, nel suo libro « De Fluminibus» che contribuisce anche a far luce sull'identità del suo autore; infatti, nel libro « De Magnificentia» al capitolo II afferma che l'autore di questo acquedotto fu l'imperatore Claudio, perciocché, dice egli, che al suo tempo nelle reliquie di quello si trovò scritto il suo nome;
   nella zona dei Ponti Rossi a Napoli (che prende il nome proprio dagli archi a ponte di laterizio rosso dell'antico acquedotto romano) che va dal Parco di Capodimonte, fino a Piazza Grande tramite Via Ponti Rossi, si conservano ancora integri i resti dell'acquedotto romano Claudio Augusteo che versano però in uno stato di profondo degrado. Alcune arcate furono ingabbiate dopo il terremoto dell'80 per problemi di stabilità, i ponteggi sono stati poi rimossi senza che fossero stati effettuate opere atte al ripristino della stabilità. Da fonti di stampa risultano annunciati lavori di restauro e/o riqualificazione con fondi strutturali non meglio specificati dalle istituzioni di prossimità, che però a tutt'oggi non risultano partiti, né gli interroganti ne hanno trovato traccia. Dalla programmazione ordinaria del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo per il triennio 2015/2017 sarebbero disponibili 700.000,00 euro per sedi ed aree archeologiche finalizzate alla messa in sicurezza di monumenti ad elevato rischio di crollo –:
   se sia a conoscenza di quanto descritto in premessa;
   se risultino ai Ministri interrogati, per quanto di competenza, progetti di riqualificazione e ristrutturazione del bene archeologico che sicuramente aiuterebbero la riqualificazione della zona ad elevata densità abitativa;
   quali interventi intendano promuovere, per quanto di competenza, per eliminare il rischio di crollo e tutelare l'incolumità pubblica;
   se non si intendano destinare finanziamenti specifici al fine di riqualificare l'area archeologica suddetta. (4-12152)


   TARICCO, MARCO DI MAIO, ANTEZZA, RAGOSTA, BONOMO, AMATO, CAPONE, TINAGLI, PREZIOSI, BORGHI, LODOLINI, PRINA, NICOLETTI, PATRIARCA e DE MENECH. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Siae, nata nel 1882, opera esercitando il monopolio legale sulla protezione e sull'esercizio dell'intermediazione sui diritti d'autore;
   la legge che ancora oggi regola il suo funzionamento è la n. 633 del 1941, ormai datata, e lega pertanto la sua modalità operativa a concetti e modelli di tutela del diritto d'autore e del copyright che mostrano seria difficoltà ad interpretare le complessità del presente;
   l'Italia è rimasta uno dei pochi Paesi dell'Unione europea (assieme all'Austria) ad avere norme che prevedono un monopolio legale sulla gestione dei diritti d'autore, mentre nella maggioranza degli altri Paesi europei la tutela è esercitata da un mercato libero e concorrenziale, in attuazione dei trattati comunitari che prevedono la libera circolazione di persone, merci e servizi; la stessa Corte di giustizia europea ha sostenuto che il monopolio è una condizione patologica del mercato che, nell'ottica degli obiettivi comunitari, può essere preservata solo se garantisce particolare efficienza, cosa che allo stato dell'arte sembra non caratterizzare l'azione della Siae;
   la legge 23 dicembre 1996, n. 650, recente esenzioni sui pagamenti dei diritti alle associazioni di volontariato iscritte nei registri da due anni, alle Onlus configurate così come da articolo 10 del decreto-legge n. 460 del 1977, nonché «alle associazioni; comitati, fondazioni ed agli altri enti di carattere privato, con o senza personalità giuridica, costituiti da almeno due anni, i cui statuti o atti costitutivi, redatti nella forma dell'atto pubblico o della scrittura privata autenticata o registrata, prevedano espressamente ed in via esclusiva lo svolgimento di attività dirette ad arrecare benefici a persone svantaggiate in ragione di condizioni fisiche, psichiche, economiche, sociali o familiari, in uno o più dei seguenti settori: assistenza sociale e socio-sanitaria, beneficenza, istruzione, formazione, tutela dei diritti civili» concernono alcuni casi specifici e ne escludono la maggior parte, costringendo così realtà spesso autofinanziate e motivate dalla sola volontà di promozione della musica tra le giovani leve a pagare tasse onerose, a volte tanto onerose da costringere le suddette realtà alla rinuncia dell'effettiva realizzazione dell'evento, con conseguente perdita di ricaduta culturale, formativa e di intrattenimento sul territorio;
   la legge n. 30 del 1997 ha introdotto (articolo, 6 comma 4) disposizioni in conseguenza delle quali sono libere le utilizzazioni: a) dei repertori di «pubblico dominio»; b) delle musiche della tradizione popolare di autore anonimo; c) delle opere comunque non rientranti tra quelle amministrate dalla Siae. In questi casi parrebbe quindi non essere dovuto nessun compenso per il diritto d'autore; per repertorio di «pubblico dominio» s'intende il complesso delle opere non più soggette a tutela per il decorso del termine di 70 anni post mortem autore (o del coautore per le opere scritte in collaborazione) previsto dalla legge n. 633 del 1941 e successive modifiche ed integrazioni;
   il 29 agosto 2006 con propria lettera, la direzione generale della Siae diramava alle sue sedi periferiche, una nota con protocollo 2/1346/PS, con chiarimenti relativi alle istruzioni operative fornite con la nota 2.782 del 13 giugno, con precisazioni che «in merito alla possibilità prevista dall'articolo 7 di sostituire il programma musicale con una autocertificazione», indicavano che: «- In conseguenza della legge 30/97 che ha abolito il diritto demaniale ed abrogato gli articoli 175 e 176 della legge 633/41, le utilizzazioni delle opere di pubblico dominio sono libere; – La redazione del programma musicale può, pertanto, essere sostituita, qualora ne venga fatta esplicita richiesta, da una dichiarazione in fede rilasciata dai soggetti organizzatori. L'autocertificazione deve essere presentata anticipatamente rispetto all'evento e può essere prodotta soltanto nel caso in cui il repertorio programmato preveda l'esecuzione di composizioni interamente di pubblico dominio o non tutelate. Tale dichiarazione dev'essere corredata da un elenco dettagliato dei brani che saranno utilizzati o, in sostituzione, da locandine, programmi di sala o altra documentazione idonea a consentire alla SIAE di verificare la correttezza di quanto segnalato. Ove si ritenga opportuno, potranno essere disposti accertamenti per riscontrare la rispondenza tra il repertorio eseguito e quello dichiarato»;
   parrebbe però che questa deroga non sempre venga applicata in modo puntuale e che la Siae richieda in molti casi la compilazione del relativo «programma musicale» con il conseguente pagamento dei diritti;
   questo, nonostante molte esecuzioni di musica classica per attività formative riconosciute, concorsi musicali ed esecuzioni bandistiche promossi da enti pubblici e, inoltre, molte manifestazioni ed eventi finalizzati alla promozione dell'educazione musicale, svolte senza finalità di lucro da associazioni, fondazioni e agli altri enti di carattere privato o da enti pubblici, svolgano la loro attività negli ultimi anni senza alcun aiuto o contributo da parte di enti pubblici;
   inoltre, pare che il concorso musicale venga spesso considerato non un'iniziativa unitaria, comprensiva di tutte le sue parti, compresi i saggi dei concorrenti, bensì un'iniziativa composta da parti singole e distinte e pertanto spesso siano imposti tanti permessi quante sono le parti del concorso, considerati i saggi e il concerto di apertura come separate manifestazioni da autorizzare come singoli spettacoli; al contrario, l'attività culturale nei concorsi musicali è chiaramente unica, e il mancato rispetto di questa unicità risulta così in moltissimi casi oneroso oltre il limite della correttezza, e le imposte e le tasse complessivamente arrivano a raggiungere talvolta (superare la sostenibilità, soprattutto perché molti dei soggetti gestori o co-gestori sono (senza scopo di lucro ed in gran parte motivati da solo amore per la musica –:
   quali iniziative il Ministro intenda porre in atto per chiarire l'esclusione dal campo di applicabilità della norma sui pagamenti dei diritti d'autore, onde evitare possibili vessazioni e generare invece uno stimolo alla realizzazione di attività volte alla sola promozione della musica e alla formazione delle giovani leve di artisti;
   se il Ministro non ritenga necessario assumere iniziative per chiarire con una circolare, se del caso che le esecuzioni di musica classica svolte in occasione di attività formative riconosciute, concorsi musicali ed esecuzioni bandistiche, promossi o svolti da enti pubblici in occasione di manifestazioni di valore artistico e culturale, oltreché le attività svolte e organizzate da associazioni, comitati, fondazioni ed agli altri enti di carattere privato, nonché da enti pubblici, con finalità di promozione culturale della musica e senza scopo di lucro, sono comunque escluse dall'obbligo dei diritti SIAE e che comunque lo sono con certezza le opere musicali di autori scomparsi da oltre 70 anni;
   se non ritenga di assumere iniziative per chiarire che il concorso musicale è una unitaria iniziativa, comprensiva di tutte le parti, compresi i saggi dei concorrenti, e che quindi non è possibile che siano imposti tanti permessi e tante imposte correlate, quante sono le parti del concorso, e che quindi sono sempre da considerare i saggi, il concerto di apertura e tutte le fasi del concorso quali elementi di una unica manifestazione da autorizzare unitariamente in quanto parti di unica attività culturale. (4-12160)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   CASTELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la direttiva 2009/39/CE ha introdotto il concetto di «prodotto dietetico» dando quindi il via alla notifica degli alimenti adatti ad una alimentazione particolare (ADAP) ai Ministeri della salute degli Stati membri, al fine della commercializzazione degli stessi;
   il regolamento CE n. 41/2009 ha introdotto la definizione di «alimento senza glutine», rendendolo applicabile non solo ai prodotti dietetici, ma anche ai prodotti di uso corrente;
   il 20 luglio 2016 diventerà operativo il regolamento n. 609 del 2013 — riguardante gli alimenti destinati a fini medici speciali e alla prima infanzia — che abrogherà sia la direttiva 2009/39/CE sia il Regolamento CE n. 41/2009, in quanto oramai superati nei loro punti chiave, e quindi non sarà più consentito aggiungere la dicitura «dietetico» nella denominazione dell'alimento;
   come indicato dalla nota del Ministero della salute 0027673-P-007/07/2015 avente a oggetto «Aggiornamenti conseguenti all'evoluzione normativa connessa con l'entrata in vigore del regolamento (UE) 609/2013» come conseguenza del regolamento (UE) 828/2014: «Dal 20 luglio 2016, pertanto, i prodotti senza glutine oggi classificati come ADAP saranno comuni alimenti»;
   nella Tabella A — Parte III, Beni e servizi soggetti all'aliquota del 10 per cento del decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633 – Istituzione e disciplina dell'imposta sul valore aggiunto – pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell'11 novembre 1972, al numero 65 viene indicato che gli alimenti per «usi dietetici» sono soggetti all'aliquota del 10 per cento –:
   se siano previste iniziative atte a evitare che l'eliminazione dell'indicazione «dietetico» per gli alimenti «senza glutine» abbia come conseguenza un aumento dell'aliquota IVA di questi ultimi dal 10 per cento a quella ordinaria del 22 per cento, a discapito dei cittadini affetti da celiachia. (5-07831)

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPARINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comma 21 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016 prevede che dal 1o gennaio 2016 la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo, delle costruzioni e degli «elementi ad essi strutturalmente connessi» che ne accrescono la qualità e l'utilità. Sono invece esclusi dalla stima i macchinari, congegni, attrezzature e altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo;
   la normativa offre la possibilità anche di intervenire sulle rendite dei fabbricati già accatastati, attraverso una richiesta di revisione della rendita da formalizzare con Docfa. Trattandosi di revisione di rendita, questa produce effetti fiscali, ai fini Imu, dal 1o gennaio dell'anno successivo a quello dell'iscrizione in catasto della nuova rendita. Tuttavia, per i soli Docfa presentati entro il 15 giugno è stabilito che le nuove rendite producano effetti fiscali dal 1o gennaio 2016. Nella relazione illustrativa alla legge di stabilità si richiamano le stime operate dall'agenzia delle entrate, in base alle quali il valore degli impianti valorizzati nelle rendite catastali ha un'incidenza media del 18 per cento dell'ammontare complessivo delle rendite dei fabbricati di categoria D/1 e D/7;
   il sole24ore a firma Pasquale Mirto stima una riduzione di rendita per questi fabbricati in circa 766 milioni di euro, ai quali sono aggiunti ulteriori 95 milioni di euro di riduzioni per le altre categorie D. Queste cifre fanno capire che il numero degli immobili potenzialmente interessati dalla revisione della rendita è elevato, come pure elevato potrebbe essere il contenzioso con l'Agenzia delle entrate. La normativa infatti non definisce cosa siano gli «elementi strutturalmente connessi» ai fabbricati, che continuano a essere valorizzati nella rendita, o meglio non si comprende immediatamente qual è la differenza tra questi e gli impianti funzionali allo specifico processo produttivo, che invece non vanno valorizzati. Quest'incertezza è sicuramente rilevante nel caso delle centrali elettriche, per le quali la riduzione della rendita potrebbe assumere valori significativi, anche per i bilanci comunali;
   a complicare il quadro c’è poi il fatto che risulta ancora vigente l'articolo 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005 introdotto per effetto di un emendamento proposto dal gruppo della Lega proprio per risolvere l'enorme contenzioso nato sulla valorizzazione delle turbine delle centrali elettriche, che ha disposto che ai fini dell'accatastamento delle centrali elettriche «i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, ci possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso». La disposizione ha superato anche il vaglio della Corte costituzionale, che nella sentenza 162/2008, ha anche approfondito il concetto di bene immobile per incorporazione, con enunciazione di principi di diritto applicabili in tutti i casi in cui gli impianti siano una componente essenziale per lo svolgimento dell'attività svolta nel fabbricato, cosicché impianti e fabbricato costituiscono un unico bene complesso. Secondo la Corte, poi, l'articolo 1-quinquies non ha creato un regime particolare per le centrali elettriche, ma anzi le ha riportate nell'ambito della tipologia di beni cui sono state sempre accomunate, come, tra l'altro, gli altoforni, i carri-ponte, i grandi impianti di produzione di vapore, eliminando qualsiasi dubbio sorto sulla determinazione della rendita catastale delle stesse;
   i comuni, dal canto loro, subiranno fin da subito gli effetti del contenzioso perché dal 2016 le sentenze sulle materie catastali sono immediatamente esecutive, sicché se la commissione tributaria annulla la rettifica operata dall'Agenzia delle entrate il contribuente è legittimato fin da subito a pagare l'Imu sulla base di quanto statuito in sentenza, a differenza del passato, quando il contribuente era tenuto a pagare sulla base della rendita impugnata, fino al passaggio in giudicato della sentenza –:
   quale sia l'orientamento del Governo, in particolare modo per quanto riguarda il gettito derivante dalle turbine per le centrali elettriche. (4-12151)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   BUSINAROLO, AGOSTINELLI, BONAFEDE, COLLETTI, FERRARESI e SARTI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 27 ottobre 2015, con decreto del Ministro della giustizia, è stata disposta la soppressione della casa circondariale di Sala Consilina (Sa), a cui è seguito il trasferimento dei circa venti detenuti ospitati nella struttura presso altri istituti penitenziari;
   risulta all'interrogante che, ad oggi, nella struttura carceraria siano ancora operativi circa quaranta agenti di polizia penitenziaria, che svolgono regolarmente le loro mansioni, con turni di sorveglianza di 24 ore, otto ore e due agenti per ogni turno e che percepiscono regolarmente gli stipendi, oltre agli straordinari ed alle festività;
   il sindaco di Sala Consilina, Francesco Cavallone, aveva presentato ricorso al TAR della Campania contro la chiusura della casa circondariale, che è stato però rigettato in nome della cosiddetta «razionalizzazione amministrativa»;
   la presenza degli agenti nell'ambito della struttura ormai chiusa, giustificata dalla necessità di una sorveglianza contro i furti e gli atti di vandalismo, stride fortemente con le esigenze reali e urgenti del sistema carcerario italiano, attraversato da una cronica carenza di risorse e di personale;
   analoga situazione a quella verificatasi a Sala Consilina si è registrata anche a Savona dove, dopo la chiusura del carcere di «S. Agostino» ed il successivo trasferimento dei quarantotto detenuti in altre strutture, il personale composto da sessanta agenti e due commissari, continua a svolgere regolarmente le proprie mansioni presso l'istituto stesso;
   i casi su esposti evidenziano gravi incongruenze e mettono in evidenza l'enorme spreco di risorse, sia a livello economico che a livello di personale, che invece potrebbero essere impiegate in maniera più consona –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda adottare al fine di far chiarezza sulla situazione del carcere di Sala Consilina (Sa) e di quello di Savona, anche attraverso un confronto con i rappresentanti sindacali, al fine di prevedere un impiego più equo delle risorse economiche e di quelle umane operanti nell'ambito del settore carcerario italiano. (5-07836)


   RIZZETTO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   sono anni che si attende una riforma delle professioni inserite e regolamentate negli ordini e collegi professionali, poiché la legislazione delle professioni è gravemente carente e arcaica, anche sotto il profilo del mero concetto di democrazia. È assurdo che esistano professioni ancora disciplinate dal regio decreto dell'11 febbraio 1929, n. 275, o da decreti luogotenenziali del 1944: tali norme non sono più conformi all'assetto giuridico costituzionale e regolamentare europeo, anche sotto il profilo del controllo a cui sono sottoposti gli Ordini e i Collegi;
   sul punto, sebbene gli ordini professionali siano sottoposti alla vigilanza del Ministero della giustizia, il dipartimento ministeriale specificamente deputato agli Ordini e Collegi è del tutto sprovvisto di idonei strumenti attraverso i quali esercitare una concreta vigilanza; difatti, nonostante siano stati denunciati specifici abusi avvenuti all'interno di ordini professionali, il Ministero non ha adottato, ad avviso dell'interrogante, alcun idoneo provvedimento per ripristinare la legalità in tali ambiti;
   al riguardo, in particolare, il Ministero di giustizia è sempre stato informato di specifiche e gravi condotte che si perpetrano nel collegio professionale dei periti industriali di Roma e provincia, ma nessun adeguato provvedimento è stato adottato anche a tutela dei suoi iscritti;
   a quanto è dato sapere, presso il predetto ordine il presidente di Collegio, Giuseppe Guerriero e suo fratello Ferdinando Guerriero, sono in carica da ben trenta anni, durante i quali molti iscritti hanno contestato una gestione non trasparente e personalistica, tra iniziative e patrocini adottati e approvati unilateralmente, senza il coinvolgimento di tutto il consiglio;
   nel 2013 è stata inoltrata al Ministero una specifica richiesta di rimozione dalla carica di presidente di Giuseppe Guerriero per la sussistenza di un conflitto di interessi ed «anomale quanto illegittime manifestazioni di gestione del Collegio» da parte dello stesso e di alcuni consiglieri dell'ordine territoriale. È stata denunciata, in particolare, la contestuale iscrizione di Giuseppe Guerriero, in palese violazione della legge, sia all'Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori che al Collegio dei periti industriali, di Roma e provincia. Nella medesima richiesta, inoltre, si è evidenziato che il predetto presidente è stato iscritto per due volte nel registro degli indagati per l'accertamento dei reati di peculato, di cui all'articolo 314 del codice penale, e di falsità ideologica commessa da pubblico ufficiale in atti pubblici, di cui all'articolo 479 del codice penale;
   è stato segnalato al Ministero che il presidente in questione nega illegittimamente l'accesso agli atti agli iscritti. Al riguardo, è stato richiesto più volte di prendere visione di verbali di assemblea del consiglio relativi all'approvazione dei rendiconti – preventivi e consuntivi – e alla destinazione delle quote versate dagli iscritti alla cassa del Collegio. Tale diniego è stato mantenuto anche in violazione di specifici provvedimenti della Commissione presso la Presidenza del Consiglio per l'accesso ai documenti amministrativi, che ha aveva accolto le istanze degli iscritti per ottenere l'accesso agli atti;
   a quanto è dato sapere, nel consiglio di disciplina del Collegio dei periti industriali di Roma come membro esterno è stato nominato l'avvocato Maurizio Nenna che risulta essere il cofondatore di una rivista, «Il pensiero e l'azione giuridica», insieme al figlio del presidente, Giorgio Guerriero, mentre l'editore è lo stesso presidente, Giuseppe Guerriero. Nonostante l'evidente conflitto di interessi, tale rivista risulta poi avere la partnership proprio del collegio dei periti industriali, concessa senza interpellare il consiglio. Sull'incompatibilità dell'avvocato Maurizio Nienna è stata presentata anche una segnalazione alla commissione di disciplina territoriale del Collegio e al Ministero;
   addirittura un consigliere del collegio, per avere contestato i predetti conflitti di interessi e l'incompatibilità dell'avvocato Maurizio Nenna e Giuseppe Guerriero, è stato sottoposto a procedimento disciplinare con richiesta di cancellazione dall'albo con la motivazione di aver screditato il presidente del collegio;
   alcuni iscritti hanno denunciato che non vengano convocate regolari assemblee, sia per la presentazione dei bilanci consuntivi e preventivi annuali, sia in prossimità delle elezioni che si svolgono ogni quattro anni;
   nelle ultime elezioni, ma sembra accada da 30 anni, il presidente del collegio risulta essere contemporaneamente «presidente uscente», «presidente di seggio elettorale», «presidente candidato». È paradossale in tale vicenda che, nel ricoprire i più ruoli, il presidente scriva anche a se stesso, come appare da una comunicazione dove risulta, contemporaneamente, il mittente e l'unico destinatario;
   addirittura già venti anni fa, il 17 maggio 1995, è stata presentata al Ministero della giustizia un'interrogazione a risposta scritta n. 4-10074 nella seduta n. 182, a denuncia delle gravi irregolarità che avvenivano sotto la presidenza di Giuseppe Guerriero nell'ambito del collegio professionale dei periti industriali della provincia di Roma. Nello specifico, è stata contestata la violazione delle procedure di elezione per il rinnovo del consiglio del Collegio dei periti industriali di Roma e provincia e, pertanto, è stato sollecitato il commissariamento del collegio «come peraltro invocato da diversi iscritti, i quali nelle lettere inviate al Ministro pongono anche questioni di trasparenza nello svolgimento delle elezioni e di pari opportunità per tutti i candidati, tenendo conto che in diverse occasioni da parte dei competenti organi ministeriali, su richiesta dei citati iscritti all'albo, si è espresso parere favorevole al Commissariamento del Collegio considerate le ripetute violazioni alla legge». Come si evince dalla predetta interrogazione, dunque, tali fatti erano stati ulteriormente denunciati dagli iscritti con esposti e segnalazioni al Ministro della giustizia;
   ed ancora, con un atto di reclamo al Consiglio nazionale dei periti industriali, alcuni iscritti hanno contestato la legittimità delle elezioni del nuovo Consiglio direttivo del Collegio professionale dei periti industriali di Roma e provincia per il quadriennio 2014-2017. A riguardo, è stato eccepito, allegando documenti probatori, che, in violazione della normativa in materia, le elezioni sono state prolungate oltre il termine di scadenza del mandato e si sono verificate delle irregolarità nella procedura di convocazione della assemblea e nelle votazioni;
   ebbene, nonostante i predetti fatti denunciati dagli iscritti nell'arco di anni, tra irregolarità dei bilanci, conflitti d'interesse e abusi di potere, non risulta all'interrogante che il Ministero della giustizia abbia adottato provvedimenti concretamente utili per verificare tali situazioni di illegalità e adottare le conseguenti iniziative. L'unico atto che risulta essere stato predisposto dall'allora Ministero di grazia e giustizia è un ammonimento addirittura del 1992, dove lo stesso rilevando delle irregolarità in occasione delle elezioni «si raccomanda, per l'avvenire, l'esatta osservanza delle norme di legge che disciplinano il rinnovo del Consiglio»;
   non è ammissibile la situazione che vivono da anni gli iscritti del Collegio professionale dei periti industriali di Roma e provincia, che nonostante denunce e segnalazioni rispetto alla gestione del collegio, non hanno ricevuto alcuna tutela delle loro posizioni. È evidente che il Ministero debba immediatamente intervenire in questa assurda vicenda, anche considerando che il protrarsi dei gravi fatti denunciati è anche conseguenza, ad avviso dell'interrogante, di un non adeguato svolgimento della funzione di vigilanza rispetto ai collegi e ordini professionali –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro sui fatti esposti in premessa;
   se e quali urgenti iniziative intenda adottare a fronte della denuncia dei fatti di cui in premessa che sembra avvengano nell'ambito del Collegio professionale dei periti industriali di Roma e provincia, ormai da anni già segnalati al Ministero, e, conseguentemente, quali iniziative intenda porre in essere per riportare la legalità a tutela degli iscritti, anche assumendo le iniziative di competenza per il commissariamento del Collegio, considerando il protrarsi di irregolarità, abusi e situazioni di conflitti di interesse determinati dalle condotte del presidente del Collegio;
   se e quali iniziative, anche normative, intenda adottare affinché sia più efficace la funzione di controllo sugli Ordini e sui collegi professionali, svolta dal Ministero e per garantire il rispetto della legalità e della democrazia e come intenda intervenire per dare inizio ad una idonea riforma delle professioni in conformità all'assetto del panorama europeo in materia, considerato che l'attuale legislazione è carente e non più rispondente alle esigenze dei professionisti. (5-07839)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BLAZINA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   alcuni organi di stampa locale hanno riportato la notizia dell'intitolazione della casa circondariale di Trieste alla memoria degli agenti di custodia Mari, Bigazzi e Del Papa, lì in servizio nel 1945;
   tale informazione è stata comunicata pubblicamente dall'avv. Sardos Albertini durante il suo intervento nella manifestazione commemorativa della Giornata del ricordo alla foiba di Basovizza 10 febbraio 2016;
   il decreto ministeriale di nomina riporterebbe alcuni dati storici controversi e comunque, a giudizio dell'interrogante, non mette in evidenza la complessità delle vicende riferite a quell'epoca, come riportato anche nella relazione della commissione storico-culturale italo-slovena sui rapporti italo-sloveni 1880-1957;
   in alcune parti poi il decreto risulterebbe non tenga conto del fatto che al Coroneo furono rinchiusi e torturati molti civili con la sola colpa di appartenere alla comunità slovena e tanti attivisti della Lotta di liberazione, mandati poi nei campi di concentramento per essere barbaramente uccisi –:
   se nell'adozione del decreto di intitolazione siano state effettuate tutte le procedure di approfondita e precisa verifica sul ruolo del personale carcerario nelle violenze perpetuate nei confronti delle vittime antifasciste lì detenute, anche tenendo conto delle affinità tra il regime fascista e quello nazista e se non ritenga che con tale atto si possa rischiare di offendere la memoria di tutte le vittime di quell'epoca e mettere in dubbio lo stesso significato della Giornata del ricordo, istituita anche con l'intento di contribuire a costruire in quest'area cruciale dell'Europa un clima ed un futuro di pace e convivenza. (4-12146)


   CIRIELLI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   dopo gli annunci fallaci dell'ultimo biennio nessuno è più in grado di pronosticare una data di apertura per la cittadella giudiziaria di Salerno, posto che gli ostacoli sul cammino dei nuovi uffici sembrano aumentare: due mesi per verificare che tutti gli armadietti fossero assicurati al muro, un tempo Ancora da calcolare per l'acquisto di qualche tenda con cui coprire le gabbie dei detenuti e un'attesa che resta tuttora indefinita per i bandi di gara su vigilanza e pulizia, che languono al provveditorato delle opere pubbliche;
   a tracciare tale non rassicurante quadro è stato il 22 gennaio 2016 il nuovo presidente del tribunale, Giovanni Pentagallo, non nascondendone lo sconcerto: «La cittadella sarebbe pronta, ma intanto si è appreso che da una parete è caduto un armadietto, si è quindi deciso di controllare tutti gli agganci e per farlo si sono persi due mesi di passaggi di carte da un ufficio all'altro» e, come se non bastasse, qualcuno ha notato che dalla Lungoirno sono visibili le gabbie dei detenuti e, pertanto, si è deciso di ripararle con le tende, ma non è ancora chiaro se possa essere utilizzato il budget per la sicurezza o debba essere bandita una gara;
   la normativa che di recente ha trasferito dai comuni al Ministero i costi di gestione, poi, attribuisce a quest'ultimo la competenza anche sulle due gare d'appalto Ancora da bandire: per le pulizie e la vigilanza armata;
   la stessa presidente della corte d'appello di Salerno, Iside Russo, in occasione dell'inaugurazione dell'anno giudiziario 2016 ha rivendicato la necessità di dare un'accelerazione al completamento della cittadella giudiziaria, inaugurata dal comune almeno tre volte nel corso degli anni ma mai entrata in funzione, formulando un appello al rappresentante del Ministro presente alla cerimonia: «Si provveda con urgenza all'emanazione delle deleghe a favore dei funzionari a livello distrettuale per la stipula dei contratti nuovi e il rinnovo di quelli in scadenza», anche perché l'attuale situazione logistica risulta «inconcepibile e non più sostenibile», al punto che al Tribunale di Salerno «la carenza di aule ha perfino impedito la fissazione di ulteriori udienze da parte dei Got»;
   in particolare, la presidente Russo ha rilevato come proprio per questa carenza di spazi la soppressione della sezione di Eboli sia rimasta «meramente virtuale», perché in realtà quei locali si utilizzano ancora e una parte dei fascicoli che erano stati trasferiti a Salerno è stata rimandata indietro, con la conseguenza di udienze rinviate di mesi; per non parlare delle condizioni in cui versano i locali del giudice, dove i faldoni dei processi si accatastano nei corridoi e dove è la stessa relazione sull'anno giudiziario a segnalare la «assoluta carenza di misure di sicurezza e antincendio», le infiltrazioni di umidità, i bagni fatiscenti, un impianto elettrico «non a norma di legge e assolutamente insufficiente a reggere il carico attuale di energia elettrica indispensabile al funzionamento dei macchinari informatici e di climatizzazione»;
   ha incalzato Russo «Magistrati e personale amministrativo sono costretti a operare in spazi angusti, non essendo disponibili quelli della cittadella non si è provveduto neppure alla consegna del primo stralcio funzionale che contiene soltanto tre dei sei edifici che compongono la struttura»;
   le segnalazioni della presidente della corte d'appello sono suffragate dai numeri, che riflettono una condizione intollerabile nella logistica della gestione della giustizia a Salerno e una situazione allarmante per una recrudescenza dell'attività criminale: a Salerno e provincia i soli reati di riciclaggio hanno registrato un aumento dell'80 per cento, crescono anche quelli di bancarotta fraudolenta e quelli societari, i reati contro la pubblica amministrazione, le estorsioni, gli atti persecutori come lo stalking e, fenomeno sempre più preoccupante, i reati di stampo mafioso;
   nonostante la già drammatica situazione registrata, tra carenze di spazi, sovraccarico di lavoro derivante dall'accorpamento delle sedi giudiziarie, carenze di organico e di misure di sicurezza minime, vi è l'ulteriore rischio della soppressione della corte d'appello di Salerno che potrebbe essere accorpata a Napoli, con inevitabili e prevedibili drammatiche conseguenze sul diritto del cittadino alla ragionevole durata e qualità del processo –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e, considerata la gravità degli stessi, quali iniziative ritenga opportuno adottare per garantire tempi celeri e certi per l'apertura della cittadella giudiziaria di Salerno, nonché per scongiurare il rischio di soppressione della corte d'appello di Salerno, come previsto dalla riforma della geografia giudiziaria. (4-12147)


   CAPARINI. — Al Ministro della giustizia, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   è stato riportato su diversi quotidiani nazionali il caso del processo penale presso la corte di assise di Brescia a carico di Ljubisa Vrbanovic, conosciuto come «Manolo», che negli anni ’90 seminò il terrore in mezza Italia e che a Torchiera di Pontevico massacrò la famiglia Viscardi; lo stesso parrebbe morto in ospedale l'11 marzo 2014; come riporta il quotidiano locale QuiBrescia del 6 febbraio 2016, Guido Viscardi, unico rimasto sopravvissuto della famiglia di Pontevico poiché viveva con la moglie in un'altra abitazione, «... chiede che venga fatta chiarezza. Se Vrbanovic è realmente morto, ritiene di dover sapere come sia avvenuto, quando, dove sia sepolto e se abbia trascorso il periodo precedente in carcere.»;
   Ljubisa Vrbanovic, a quanto si è appreso, sarebbe morto per un male incurabile ai polmoni. Una morte avvenuta nella sezione ospedaliera del carcere di Belgrado in data 11 marzo 2014. Questo è una parte di quanto emerge dalla traduzione della documentazione inviata dalla Serbia. Fogli in lingua prevalentemente in cirillico, se si esclude l'accompagnatoria in italiano;
   come emerge dal quotidiano locale Bresciaoggi del 10 febbraio 2016 si è «... attivato (anche) il procuratore generale di Brescia Pier Luigi Maria dell'Osso. Non vengono, evidentemente, messi in dubbio i contenuti della comunicazione. Ma proprio perché si tratta di una persona condannata nella nazione d'origine per un crimine gravissimo commesso in Italia, si vuole conoscere ogni dettaglio». Il magistrato, anche sulla base della propria esperienza professionale come vicario alla Direzione nazionale Antimafia e quindi in un contesto dove si coltivano rapporti internazionali, si è attivato attraverso Eurojust. «La questione – ha spiegato il procuratore generale – è anche quella dei tempi, di poter ottenere tutte le informazioni necessarie in tempi celeri». Questo in una situazione in cui comunque «non c’è il dubbio che non sia morto». I dati da conoscere in sostanza sono «pochi, ma determinanti». A fronte di tutto ciò si rimane anche in attesa della prossima udienza del processo iniziato il 14 dicembre scorso davanti alla Corte d'assise di Brescia, giudice a latere Roberto Spanò. Un'udienza, quella del sei aprile prossimo, in cui si prenderà atto della comunicazione del decesso di Ljubisa Vrbanovic e quindi tutto dovrebbe concludersi»;
   a distanza i tanti anni da un avvenimento così grave che a sconvolto una intera comunità ad opera di un criminale responsabile in Italia di numerosi atti di sangue e diversi omicidi, è necessario fare la totale chiarezza anche mediante riesumazione della salma, in considerazione anche del processo che finalmente avrebbe portato alla condanna anche in Italia di Manolo;
   la famiglia Viscardi non ha mai potuto beneficiare di nessuna forma di indennizzo per i gravi lutti conseguiti all'azione criminale di questo cittadino straniero –:
   i Ministri interrogati intendano assumere urgentemente iniziative, per quanto di competenza, al fine di ottenere dallo Stato della Serbia ogni tipo di informazione chiara e certa, in tempi celeri, che possa contribuire a far chiarezza sull'effettivo decesso dell'imputato Ljubisa Vrbanovic, conosciuto come «Manolo», nonché consentire gli indennizzi per i gravi danni morali ed economici arrecati alla famiglia Viscardi. (4-12165)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta scritta:


   D'ARIENZO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   presso la stazione di Porta Nuova è presente la sala coordinamento, controllo, circolazione che impiega circa un centinaio di ferrovieri di cui almeno 70 con alta qualificazione e governa le linee da Sommacampagna a Padova, da Poggiorusco al Brennero, da Vicenza a Schio, da Verona a Modena, da Mantova/Legnago a Monselice e tutte le linee locali del Trentino Alto Adige;
   sono in corso di esecuzione i lavori del progetto di potenziamento tecnologico della Torino/Padova che prevede, fra l'altro, l'attivazione del sistema comando controllo multistazione nella tratta Brescia-Verona-Padova. Nel febbraio 2015 è stato completato l'ammodernamento tecnologico della tratta da Rezzato (BS) a Sommacampagna (esclusa) e il percorso, prima gestito da Verona, ora viene gestito «in telecomando» dalla sala coordinamento, controllo, circolazione di Milano;
   sono, inoltre, in corso i lavori per la realizzazione dell'ammodernamento tecnologico della tratta Verona Porta Vescovo-Altavilla Vicentina (esclusa) con termine lavori nel prossimo mese di aprile. Anche in questo caso, il comando del servizio potrebbe essere spostato a Milano;
   in sintesi, la gestione della circolazione per la tratta Brescia-Padova, tranne quella interna al capoluogo, sarà completamente trasferita e gestita dal Posto centrale di Milano Greco. Appare chiaro che l'organizzazione futura e le ricadute occupazionali saranno negative per Verona che avrà un ruolo sempre più marginale;
   in questo modo a Verona rimarrebbe la conduzione del solo polo manutentivo. Ci si chiede se è sufficiente questo per mantenere la direzione territoriale produzione che, peraltro, come dimostrano i dati di traffico (treno/chilometro), si colloca al sesto posto fra tutte le direzioni territoriali produzione italiane;
   inoltre, nel caso si dovesse perdere il centro direzionale della circolazione dei treni, resterebbe comunque a Verona tutta la parte concernente il traffico merci in ragione della presenza del quadrante Europa e si realizzerebbe, così, il paradosso che il lavoro si presterebbe a Verona, mentre il comando passerebbe altrove;
   in merito al tema affrontato, l'interrogante ritiene di formulare tre proposte sulle quali è opportuna una valutazione di merito:
    a) collocare il dirigente centrale operativo dell'intera tratta Brescia (esclusa) – Padova (esclusa) presso il posto sistema comando e controllo di Verona; questa soluzione permetterebbe di avere nel medesimo ambiente le figure che hanno competenza/giurisdizione sulle tratte e quindi sulla gestione dei guasti e della puntualità;
   con questa soluzione il posto centrale sistema comando e controllo e la sala coordinamento, controllo, circolazione di Verona potrebbe realizzare la gestione della circolazione unitaria ed omogenea sulle linee del bacino regionale veneto occidentale, delle province lombarde orientali e del Trentino Alto Adige, in connessione con la sub direttrice del Brennero, consentendo al posto centrale di Milano di concentrarsi sul traffico regionale della Lombardia ed al segmento viaggiatori «Mercato» e «lunga percorrenza» della direttrice orizzontale sulla linea alta velocità in fase di studio/realizzazione tra Milano e Verona;
    b) in subordine, se non si può più stravolgere l'impianto organizzativo e tecnologico già realizzato, si potrebbe affidare alla sala coordinamento, controllo, circolazione posto centrale coordinamento, controllo, circolazione di Verona la gestione della circolazione nell'area veneta fino a Padova. Questa soluzione non comporterebbe nessun ulteriore costo organizzativo e comunque favorirebbe una gestione unitaria ed equilibrata della stessa tipologia di traffico di bacino (servizio viaggiatori regionale con attestamento/spezzamento dei treni regionali a Verona e dell'importante servizio merci internazionale in direzione nord Europa da/per il valico del Brennero);
    c) una terza ipotesi è quella che la costruenda linea alta velocità fra Milano e Verona – con il conseguente spostamento del segmento viaggiatori «Mercato» e «lunga percorrenza» della direttrice orizzontale (Frecce rosse, Frecce argento, Frecce bianche e Italo) – possa essere gestita dalla sala di Milano e, di contro, il traffico locale, regionale e merci fino a Padova dalla sala coordinamento, controllo, circolazione posto centrale sistema comando e controllo multistazione di Verona –:
   se quanto esposto in premessa trovi conferma ed, in caso affermativo, se possa chiarire quale sarà il futuro della sala coordinamento, controllo, circolazione e, di conseguenza, dell'importante nodo ferroviario di Verona, anche alla luce delle proposte formulate dall'interrogante.
(4-12150)

INTERNO

Interrogazioni a risposta orale:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   nella notte tra il 16 e il 17 febbraio 2016 si è registrato un tentativo di furto presso lo sportello bancomat della filiale del Banco di Napoli in via Manzoni a Ferrandina;
   nel tentativo di furto è stato utilizzato dell'esplosivo;
   a seguito dello scoppio sono giunti sul posto vigili del fuoco e carabinieri;
   in provincia di Matera si registrano da tempo tentativi di rapina a danno di sportelli bancomat e postamat, ma hanno riguardato in particolare comuni più prossimi al confine con la vicina Puglia;
   Ferrandina è un importante centro della Valle del Basento e tale episodio desta preoccupazione anche perché recentemente si sono registrati furti in appartamenti e nelle campagne –:
   quali iniziative il Governo intenda adottare al fine di rafforzare i dispositivi di sicurezza presso il comune di Ferrandina potenziando la dotazione organica della locale stazione dei carabinieri e promuovendo l'installazione di sistemi di videosorveglianza per un migliore e più efficace controllo del territorio. (3-02024)


   SARRO, CASTIELLO, RUSSO e LUIGI CESARO. — Al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella città di Napoli il quartiere di Scampia rappresenta una delle realtà sociali più complesse in ragione dell'elevato tasso di criminalità, di diffusi fenomeni di devianza giovanile e di disagio sociale;
   in questo difficile contesto opera da oltre un decennio un sodalizio, la Champion Center, impegnata nell'educazione sportiva dei ragazzi del quartiere attraverso la pratica del karate;
   di recente, con atto del 1o dicembre 2014 debitamente registrato all'Agenzia delle entrate in successivo giorno 5 con il n. 2821, è stata formalmente costituita l'Associazione sportiva dilettantistica «A.S.D Champion Center La Scampia Che Vince» avente la finalità di sviluppare e diffondere «...attività sportive intese come mezzo di formazione psicofisica e morale dei soci mediante... la pratica della disciplina sportiva del Karate»;
   l'Associazione è affiliata alla FIJLKAM – Federazione italiana judo lotta karate arti marziali – ed ha conformato il proprio statuto ai principi ed alle regole dell'ordinamento sportivo federale;
   l'intensa e qualificata attività sportiva condotta dal sodalizio ha permesso, dal 2002 ad oggi, di conquistare ben 60 medaglie d'oro, 52 d'argento, 48 di bronzo, 50 podi nelle coppe per società e per otto anni consecutivi il titolo di migliore società italiana di karate;
   i giovani sono affidati alla guida di Massimo Portoghese, attualmente allenatore della squadra italiana giovanile di karate; agli stessi viene imposto di frequentare con impegno, oltre, agli allenamenti, anche la scuola e di imparare ad avere sempre un contegno decoroso e corretto;
   a tal fine, avvalendosi anche di una benemerita catena di solidarietà, viene garantito un servizio di doposcuola e viene assicurato ai ragazzi provenienti da famiglie particolarmente disagiate anche un aiuto materiale;
   grazie a questi sani principi molti giovani atleti hanno potuto raggiungere traguardi importanti: è il caso di Pasquale vincitore della medaglia d'oro alle paralimpiadi sebbene più giovane tra tutti i partecipanti o di William, che ha raggiunto un 2o posto al campionato mondiale ed un 3o posto al campionato europeo nella sua categoria e che, dopo avere conseguito il diploma di geometra, è oggi iscritto alla Facoltà federiciana di ingegneria civile sostenuto, per merito, da una borsa di studio assegnatagli dalla Fondazione Alessandro Pavesi Onlus;
   incredibilmente il sodalizio è oggi costretto in una condizione logistica di fortuna, essendo ospitato presso la palestra della scuola elementare 87o circolo didattico, via Don Pino Puglisi, patendo tutte le limitazioni di una simile collocazione;
   nonostante le reiterate assicurazioni ricevute dal comune di Napoli a tutt'oggi non è stata assegnata una struttura pubblica idonea ad ospitare l'associazione e, soprattutto, la palestra;
   si impone la ricerca di una soluzione stabile per consentire a «Scampia Che Vince» di continuare ad essere un vero presidio di legalità sul territorio ed un centro di formazione ed educazione dei giovani del quartiere che non dispongono di molte alternative al vuoto morale della vita in strada;
   attraverso azioni come quella di «Scampia Che Vince» si contrastano seriamente la diffusione della delinquenza, l'evasione scolastica e più in generale fenomeni di degrado che attentano la vita di tanti giovani –:
   quali iniziative si intendano intraprendere, per quanto di competenza, a sostegno di questo benemerito sodalizio, valutando la possibilità, d'intesa con il comune di Napoli, di assegnare uno dei beni confiscati alla criminalità organizzata affinché diventi stabilmente sede della palestra e delle altre attività formative dallo stesso promosse. (3-02025)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MOLTENI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   secondo notizie di stampa, il 17 febbraio 2016 sarebbe stato presentato al comune di Como un progetto che prevede la destinazione del padiglione «G.B. Grassi» dell'ex istituto Sant'Anna a centro di accoglienza profughi;
   lo storico immobile, sottoposto a vincolo per il suo valore culturale, è di proprietà di Cassa depositi e prestiti, società controllata dal Ministero dell'economia e delle finanze;
   l'immobile, infatti, si ricorda era stato venduto poco più di un anno fa dall'azienda ospedaliera Sant'Anna, per quattro milioni e mezzo di euro, ad un fondo immobiliare gestito dalla stessa Cassa depositi e prestiti;
   sembra ora che Cassa depositi e prestiti stia portando avanti un'operazione che prevede, per l'appunto, la cessione dell'edificio ad una cooperativa che utilizzerebbe gli spazi come centro di accoglienza per profughi;
   nel progetto è coinvolta anche la prefettura, per le competenze in materia di gestione di migranti e richiedenti asilo sul nostro territorio;
   sussistono dubbi sull'adeguatezza della struttura ad ospitare profughi richiedenti asilo, persistendo la ferma contrarietà dell'interrogante alla soluzione individuata;
   secondo la scheda di Cassa depositi e prestiti si tratta di una superficie pari a 10.320 metri quadrati, oggetto di «dismissione nel breve periodo» con la precisazione che «le funzioni private sono liberamente insediabili ad eccezione di quelle commerciali e produttive»;
   la scelta di cedere una struttura tanto grande ad una cooperativa che gestisce l'accoglienza ai profughi richiedenti asilo rappresenta in prospettiva una sfida anche dal punto di vista della sicurezza e dell'ordine pubblico locale –:
   se risulti corretta l'operazione di cessione da parte di Cassa depositi e prestiti, stante la circostanza di non poco rilievo che l'edificio di cui in premessa è sottoposto a vincolo come bene culturale;
   se, in fase di stesura del progetto di cessione di cui in premessa, la Cassa depositi e prestiti abbia interpellato la Soprintendenza, posto che l'imposizione di un «vincolo» implica dei limiti nell'uso e nella conservazione del bene che di certo non possono essere garantiti dalla trasformazione in un centro di accoglienza;
   in che modo si intendano affrontare le possibili ripercussioni dell'ampliamento delle capacità di accoglienza dei migranti richiedenti asilo a Como, conseguente alla cessione del padiglione «G.B. Grassi», sul mantenimento della sicurezza locale e, in particolare, se non si ritenga opportuno rafforzare i presidi delle forze dell'ordine nell'area comasca. (5-07834)

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   come riportato in un articolo de La Nuova Venezia del 18 febbraio 2016 il presidio dei vigili del fuoco di Mirano è da giorni privo dell'autopompa in dotazione poiché l'automezzo è stato destinato alla caserma dei vigili del fuoco di Mira in sostituzione di un altro automezzo in riparazione;
   la durata temporale del trasferimento dell'autopompa alla caserma di Mira al momento non è stata quantificata e non sembra quantificabile;
   tale situazione desta preoccupazione dal momento che l'assenza dell'automezzo ordinariamente in dotazione costringe all'inattività il presidio dei vigili del fuoco di Mirano;
   tale presidio è costituito da vigili del fuoco volontari e dunque non è operativo ventiquattro ore su ventiquattro, allo stesso tempo però l'area che il presidio è destinato a coprire con la propria azione è estesa e serve un bacino di sette comuni e 140 mila abitanti, con importanti infrastrutture stradali e zone industriali, da Scorzè a Spinea, da Martellago a Santa Maria di Sala;
   più volte in passato i vigili del fuoco volontari del presidio di Mirano hanno dato ottima prova del loro operato e si sono dimostrati preziosi negli interventi sul territorio di competenza, in particolare per quanto riguarda la riduzione dei tempi di attesa per gli interventi da parte degli altri presidi circostanti –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro per evitare che il presidio dei vigili del fuoco di Mirano possa in futuro trovarsi sprovvisto degli automezzi in dotazione e per ampliare la dotazione di automezzi a disposizione delle caserme dei vigili del fuoco della provincia di Venezia. (4-12158)


   FERRO, CARELLA, MINNUCCI, PIAZZONI e TIDEI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   preme agli interroganti segnalare alcune vicende relative alla situazione amministrativa del comune di Guidonia Montecelio, che con i suoi 90 mila abitanti circa rappresenta, dopo Roma, il comune più grande della città metropolitana di Roma Capitale; vicende che hanno portato la magistratura ad occuparsi più volte della compagine amministrativa fino ad arrivare ad emettere, il 20 luglio 2015, il provvedimento di misura cautelare personale coercitiva e custodiale nei confronti del sindaco, provvedimento comprensivo del divieto di dimora nel comune di Guidonia Montecelio, ancora oggi vigente poiché confermato sia dal tribunale del riesame, in data 3 settembre 2015, che dalla Corte di cassazione in data 4 dicembre 2015;
   in data 20 gennaio, su richiesta della procura di Tivoli e iniziato il processo con rito immediato;
   nello specifico preme evidenziare quanto segue:
    il 9 aprile 2012 il Tar del Lazio, seconda sezione, con sentenza n. 3597, annulla le deliberazioni di giunta comunale n. 204 del 7 luglio 2011 e n. 226 del 20 luglio 2011 di approvazione del progetto esecutivo della fognatura e il piano particellare d'esproprio relativo alla lottizzazione Pizzarotti, meglio nota come la Collina del Sole: un piano integrato che prevede la costruzione di 425 appartamenti. Con la stessa sentenza viene annullato anche il relativo permesso a costruire n. 27 dell'8 febbraio 2011, per realizzare le opere di urbanizzazione non previste nel progetto iniziale, da realizzare, peraltro, espropriando terreni confinanti la lottizzazione e all'insaputa dei proprietari stessi;
    tra i diversi motivi che hanno spinto i giudici amministrativi ad annullare gli atti sopra richiamati, sicuramente il più importante è rappresentato dalla violazione da parte del sindaco, Eligio Rubeis, dell'articolo 78 del decreto legislativo n. 267 del 2000, che prescrive l'obbligo per un amministratore di astenersi dal votare un provvedimento in cui lo stesso sia direttamente coinvolto; nella fattispecie in esame il indaco Rubeis risulta essere il tecnico delle strutture e dei calcoli statici del piano integrato in questione, ma il sindaco in contrasto con la legge vota in giunta i provvedimenti oggetto di annullamento;
    un altro motivo di annullamento evidenziato dai giudici sta nella incompetenza della giunta ad approvare un progetto esecutivo di un'opera pubblica, che, stando alla normativa vigente, ha competenza soltanto ad approvare progetti preliminari e definitivi, mentre l'approvazione del progetto esecutivo è di competenza della dirigenza, a meno che questi non siano in variante allo strumento urbanistico vigente, per cui la competenza è attribuita esclusivamente al consiglio comunale e il progetto approvato dalla giunta è in variante allo strumento urbanistico;
    da qui l'annullamento da parte dei giudici amministrativi degli atti di giunta per conflitto d'interessi dell'architetto sindaco, Eligio Rubeis, e per incompetenza della la sulla materia;
    il 19 novembre 2014, la Corte dei Conti, con sentenza n. 823, condanna il sindaco Eligio Rubeis, l'ingegner Umberto Ferrucci, dirigente incaricato ai sensi dell'articolo 110, comma 1 del TUEL, e l'ex assessore all'urbanistica Massimo Casavecchia, per «danno da disservizio a titolo di colpa grave, avendo tutti operato per la costituzione in giudizio del Comune in assenza di un interesse pubblico legato ai lavori di adeguamento e ristrutturazione di un distributore di carburanti in ostinata e non spiegabile difesa di un interesse, quindi, esclusivamente privato»;
    il 5 maggio 2015, alle ore 14 circa, una bomba carta danneggia l'auto della portavoce del sindaco, Elisabetta Aniballi, parcheggiata in pieno centro a pochi passi dal comune in pieno giorno;
    un gesto che getta un'ombra inquietante e per il quale ad oggi ancora non è stato possibile individuare gli autori;
    il 12 maggio 2015, nell'ambito del procedimento penale n. 3780/10, RGNR, la procura di Tivoli dispone nei confronti dei dirigenti del comune Gilberto Pucci e Umberto Ferrucci (rispettivamente responsabili dei servizi finanziari e dell'urbanistica), del segretario generale Rosa Mariani e di un dipendente comunale, il rinvio a giudizio con gravi capi d'accusa che vanno dalla associazione per delinquere, truffa, falso in atti d'ufficio e peculato;
    a seguito di questo provvedimento l'amministrazione, ai sensi dell'articolo 3 della legge n. 97 del 2001, avrebbe dovuto trasferire gli stessi ad altro ufficio, invece non risulta che siano stati trasferiti Gilberto Pucci e Rosa Mariani, che ad oggi, seguitano a svolgere le stesse funzioni;
    il 22 giugno 2015 l'autorità nazionale anticorruzione, a seguito di numerosi esposti, con proprio provvedimento n. 79753/2015 sospende il sindaco dalla possibilità di conferire incarichi per tre mesi;
   nel provvedimento si evidenzia non solo che l'incarico, oggetto degli esposti, conferito ai sensi dell’ex articolo 110, del TUEL all'ingegner Umberto Ferrucci non era stato preceduto da regolare selezione pubblica, così come previsto dalla normativa vigente, ma che lo stesso professionista non poteva essere nominato in quanto condannato per abuso d'ufficio (17 luglio 2013) e, quindi, in palese violazione dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 39 del 2013, con la conseguenza che tutti gli atti posti in essere dal 27 giugno 2014 e il 22 giugno 2015, nell'esercizio dell'incarico conferito, sono da considerarsi di fatto nulli;
   inoltre l'ANAC dispone di inviare gli atti in oggetto alla procura della Repubblica e alla Corte dei conti per i rispettivi profili di competenza;
    il 25 giugno 2015, il sindaco nonostante il provvedimento di sospensione dell'ANAC, partecipa e presiede la giunta comunale che, con propria deliberazione n. 53, conferisce apposito incarico dirigenziale ai sensi dell’ex articolo 110 del TUEL all'architetto Angelo De Paolis, nominato precedentemente capo di gabinetto del sindaco;
    il 1o luglio 2015, il consigliere comunale Marco Bertucci, già presidente del consiglio comunale e primo degli eletti nella lista di Forza Italia, appena uscito dalla propria abitazione viene aggredito da 2 sconosciuti che, rivolgendogli minacce circa il suo impegno amministrativo, lo malmenano;
   a poche settimane da questa aggressione, il consigliere Bertucci si dimette da consigliere comunale;
    il 20 luglio 2015 la procura della Repubblica di Tivoli da esecuzione all'ordinanza di custodia cautelare, disposta dal GIP Alberto Cisterna in data 17 luglio 2015, nei confronti, del sindaco del comune di Guidonia Montecelio, provvedimento comprensivo oltre che degli arresti domiciliari anche del divieto di dimora nel comune di Guidonia Montecelio. L'accusa è di concussione, corruzione e induzione indebita a dare o promettere utilità;
    il 23 luglio 2015 il prefetto di Roma nomina il vicesindaco Andrea Di Palma sindaco facente funzioni della città di Guidonia Montecelio;
    il 20 ottobre 2015 con deliberazione di Giunta comunale n. 98 viene approvata la «modifica della la deliberazione di giunta comunale n. 59 del 21 luglio 2015 relativa alla macrostruttura dell'ente – modifica deliberazione giunta comunale n. 120 del 28 maggio 2010»;
    a seguito di detta deliberazione viene avviata la procedura per l'assunzione di due nuovi dirigenti ai sensi dell’ex articolo 110, comma 2, del TUEL, procedura che risulterebbe ad avviso dell'interrogante numerosi profili critici:
   a) non risulterebbe in linee con l'articolo 6 del decreto legislativo n. 65 del 2001, in particolare modo con la previsione del fabbisogno del personale;
   b) mancherebbe una specifica indicazione delle aree e, quindi, delle posizioni da ricoprire con conseguente impossibilità di individuare le materie rispetto alle quali valutare il possesso della pluriennale esperienza, le specifiche competenze professionali, l'adeguata specializzazione culturale;
   c) non sarebbe conforme a quanto previsto all'articolo 16 del regolamento degli uffici e dei servizi, che stabilisce che gli incarichi dirigenziali ex articolo 110, comma 1, del TUEL devono avvenire previa valutazione della giunta sulla base di una comprovata qualificazione professionale e del possesso dei requisiti per la qualifica da ricoprire;
   d) andrebbe verificato il rispetto dell'articolo 1, comma 219, della legge di stabilità 2016 che stabilisce che «nelle more dell'adozione dei decreti legislativi attuativi degli articoli 8, 11 e 17 della legge 7 agosto 2015, n. 124, e dell'attuazione dei commi 422, 423, 424 e 425 dell'articolo 1 della legge 23 dicembre 2014, n. 190, e successive modificazioni, sono resi indisponibili i posti dirigenziali di prima e seconda fascia delle amministrazioni pubbliche di cui all'articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165, e successive modificazioni, come rideterminati in applicazione dell'articolo 2 del decreto-legge 6 luglio 2012, n. 95, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 2012, n. 135, e successive modificazioni, vacanti alla data del 15 ottobre 2015, tenendo comunque conto del numero dei dirigenti in servizio senza incarico o con incarico di studio e del personale dirigenziale in posizione di comando, distacco, fuori ruolo o aspettativa. Gli incarichi conferiti a copertura dei posti dirigenziali di cui al primo periodo dopo la data ivi indicata e fino alla data di entrata in vigore della presente legge cessano di diritto alla medesima data di entrata in vigore, con risoluzione dei relativi contratti;
   il 20 gennaio 2016, si tiene la prima udienza del processo che vede per l'appunto il sindaco accusato di concussione, corruzione e induzione indebita a dare o promettere utilità;
    a tale proposito si ritiene opportuno segnalare che l'amministrazione presieduta dal sindaco facente funzioni, Andrea Di Palma, al contrario di quanto accaduto nel «procedimento penale dei dirigenti», non si è costituita parte civile nel processo contro il sindaco che ha avuto inizio il 20 gennaio. Questo ulteriore episodio testimonia secondo gli interroganti la gravità della situazione politica/amministrativa locale, un ambiente inquinato da logiche di potere e politica clientelare;
    il 21 gennaio 2016, secondo la stampa la procura della Repubblica di Tivoli notifica al sindaco un nuovo avviso di garanzia per concussione; notizia che viene riportata nella edizione del 26 gennaio numero 3 del Settimanale Tiburno, testata giornalistica molto diffusa nei Comuni del nord-est del Comune Metropolitano;
    il 29 gennaio 2016 Andriano Mazza, assessore alle finanze e simbolo di Forza Italia nell'amministrazione di centrodestra si dimette manifestando con decisione il suo disappunto verso un'amministrazione oramai allo sbando;
   i fatti sopra riportati, per utilizzare le stesse parole usate dal giudice per le indagini preliminari Alberto Michele Cisterna e riportate nella richiesta di arresti del Sindaco, consegnano senza mezzi termini «un quadro di desolante illegalità»;
   infatti, dalle intercettazioni telefoniche ed ambientali iniziate nel mese di marzo 2015, sempre riportando quanto scritto dalla stampa locale, ci sarebbe di tutto: minacce del sindaco di procedere alla chiusura del centro commerciale tiburtino, qualora non si fosse proceduto alla assunzione di «un amico» da lui segnalato; minaccia di non procedere, in qualità di presidente della Conferenza dei sindaci della ASL RMG, alla approvazione dei bilanci, se non si fosse proceduto alla nomina di direttore sanitario del distretto RmG2 di una professionista di sua fiducia, minaccia rivolta indirettamente al direttore della ASL Giuseppe Caroli; richiesta di assunzione presso l'Italian Hospital Group di una infermiera di 27 anni, candidata non eletta nella lista civica Rubeis, in cambio di una accelerazione nel pagamento di fatture scadute, emesse dalla clinica in favore dell'ente, per complessivi 900 mila euro, pressioni sul dirigente del servizio finanziario Gilberto Pucci per accelerare il pagamento delle fatture; pressioni sul dirigente dell'urbanistica, Umberto Ferrucci, affinché non rilasciasse l'agibilità al capannone del Gruppo Romano Supermercati, fino a quando il presidente dello stesso non fosse andato a parlare col sindaco insomma un sindaco che sembrerebbe non farsi alcuno scrupolo di abusare della propria carica per trarre vantaggio per i propri «amici», minacciando chi non si piega;
   a questo, poi, si deve aggiungere la nomina di dirigenti comunali a tempo determinato ai sensi dell’ex articolo 110 del TUEL, in contrasto con le norme che stabiliscono determinate procedure, nonché il rispetto di determinati parametri, affinché l'ente possa procedere alla loro nomina e al loro permanere nell'incarico;
   tale procedura rischia, come è del tutto evidente, di esporre l'ente a ricorsi ed impugnazioni di atti chiaramente illegittimi, con gravi danni economici per l'ente medesimo, senza considerare, poi, le ripercussioni che questo modo di operare dell'amministrazione in carica ha sull'immagine dell'ente stesso, e sul fatto che tutta l'attività della stessa finisca per essere condizionata da questi comportamenti irrispettosi delle norme che sono, e devono essere a fondamento di una buona amministrazione;
   senza contare, infine, che tutte queste vicende – sindaco che abuserebbe della propria carica istituzionale e che viene posto agli arresti domiciliari dalla procura di Tivoli; dirigenti nominati in violazione della legge, tanto da richiamare l'attenzione dell'autorità nazionale anticorruzione; azioni poste in essere per favorire solo pochi privilegiati (gli amici del sindaco) – stanno gettando nello sconforto i cittadini di Guidonia, e ne minano la fiducia nei confronti delle istituzioni, tanto più che quotidianamente sono costretti a vedere una amministrazione la cui attività sembrerebbe finalizzata all'ottenimento di favori per pochi eletti a danno dell'intera comunità;
   sono a non sottovalutare le difficoltà che si stanno ripercuotendo sulla macchina amministrativa, di chi è chiamato quotidianamente a lavorare in un clima difficile e fortemente condizionato da dirigenti delegittimati e dalla confusione politica, conseguenza delle diverse indagini avviate dalla magistratura nei confronti del sindaco: un sindaco che da circa 6 mesi è agli arresti domiciliari –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti;
   se il Governo non ritenga che sussistano i presupposti per assumere le iniziative di competenza ai sensi degli articoli 141 e seguenti del testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali di cui al decreto legislativo n. 267 del 2000. (4-12162)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RUSSO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   è necessaria una riprogrammazione nei tempi e nei numeri relativa al numero chiuso, al fine di ovviare a questo sistema di accesso allo studio, che ogni anno preclude a migliaia di studenti la possibilità di frequentare il corso di studi che avevano immaginato per il loro futuro e per il quale si sono impegnati con grande dedizione prima di affrontare le varie prove d'ingresso;
   il diritto allo studio è sancito e regolato dagli articoli 2, 3 e 33 della nostra Costituzione;
   ogni giorno il Tar è chiamato ad intervenire su più fronti, per garantire agli studenti diritti negati da un sistema ingiusto, che preclude l'accesso all'università;
   ci sono moltissimi studenti che hanno superato il test di ammissione risultando idonei ma sono rimasti senza un posto e senza la possibilità d'ingresso;
   per dare attuazione alle graduatorie generate dai test d'ingresso, era previsto il cosiddetto scorrimento, generalmente della durata di anno, che insolitamente per il 2016 è stato fermato prima per effetto del «decreto ministeriale 8 febbraio 2016, n. 50;
   nel caso in cui ci fossero altri posti disponibili in tutte le università italiane, per effetto di questo decreto, essi resterebbero vacanti in funzione del blocco anticipato delle graduatorie;
   sono circa un centinaio gli studenti italiani che hanno superato il test di medicina, veterinaria e architettura e non hanno avuto accesso ai relativi corsi accademici;
   i posti rimasti vacanti ammonterebbero ad almeno trecento;
   la maggior parte dei ricorrenti al Tar lamentano la mancanza durante i test di controlli, di anonimato non garantito, di documenti d'identità che non sempre vengono richiesti;
   è inconcepibile che centinaia di giovani vedano negato il loro diritto allo studio, specie dopo che la giustizia amministrativa abbia riscontrato innumerevoli falle e criticità dei test e delle conseguenti graduatorie –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato affinché venga ripristinato e riportato fino ad un anno lo scorrimento, prorogando quindi i termini fino all'assegnazione dei posti vacanti.
(5-07830)


   PICCIONE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   la Legge 13 luglio 2015, n. 107, cosiddetta Buona scuola, ha previsto un piano assunzionale per la copertura delle cattedre vacanti e il potenziamento della didattica;
   tale piano, articolato in 4 fasi, si è concluso lo scorso 20 novembre con la fase C, dedicata alla copertura dei posti per il potenziamento dell'offerta formativa;
   in questa fase i posti sono stati previsti a livello nazionale e ciascun ufficio scolastico regionale ha avuto a disposizione il contingente di posti previsto dalla Tabella 1 allegata alla suddetta legge;
   i posti del potenziamento sono stati ripartiti fra le classi di concorso in base al fabbisogno di docenti, inclusi i collaboratori del dirigente scolastico, che le scuole hanno comunicato al sistema informativo e che gli uffici scolastici regionali hanno verificato immediatamente dopo tenendo conto delle graduatorie;
   nella tabella di ripartizione dei posti per le immissioni in ruolo previste per la fase C – pubblicata dall'USR Sicilia – non risultano previsti posti di potenziamento per il sostegno della scuola primaria;
   la mobilità straordinaria prevista dalla medesima legge, per gli insegnanti già di ruolo di scuola primaria sostegno prima del 2015, può di fatto attuarsi solo sui nuovi posti del potenziamento creati in fase C e sull'organico di diritto che ormai nella regione Sicilia risulta essere saturato anche per l'esiguo numero di pensionamenti;
   risultano, inoltre, dalla tabella ufficiale dell'ufficio scolastico regionale Sicilia la presenza di 1000 posti di sostegno in organico di fatto (adeguamento) e 2964 posti in deroga di sostegno concessi nell'anno scolastico in corso per tutte le operazioni di utilizzazione, assegnazione provvisoria e incarico;
   considerare il sostegno in organico di fatto (adeguamento) o deroghe, utili esclusivamente per l'anno scolastico in corso e non per gli anni scolastici seguenti, penalizza proprio chi più avrebbe di bisogno –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei dati esposti in premessa e se non ritenga possibile considerare – già per la prossima mobilità – la classe di concorso di scuola primaria per il sostegno, quale organico dell'autonomia a tutela della continuità didattica, affettiva e progettuale dell'alunno. (5-07835)

Interrogazione a risposta scritta:


   FEDRIGA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca — Per sapere – premesso che:
   negli spazi dell'università di Udine è stata recentemente ospitata una festa-convegno del Pd. Così facendo risulterebbero violati i principi di libertà, indipendenza, e imparzialità che dovrebbe mantenere l'università pubblica, visto che la legge nazionale n. 240 del 2010, all'articolo 1, comma 1, stabilisce che «le università sono sede primaria di libera ricerca e di libera formazione...», sancendo inoltre all'articolo 2, comma 1, l'attribuzione al rettore della «responsabilità del perseguimento delle finalità dell'università (...);
   anche lo statuto dell'università di Udine all'articolo 1, comma 1, sottolinea che «l'Università degli Studi di Udine... è sede primaria di libera ricerca e libera formazione... contribuendo con ciò allo sviluppo civile, culturale, sociale ed economico del Friuli». E lo stesso codice etico di ateneo nel preambolo afferma che «ricerca, didattica e studio debbono essere esercitate in uno spirito di libertà, intesa come indipendenza da qualsiasi pregiudizio o condizionamento ideologico». Inoltre, all'articolo 1, comma 2, si parla di «imparzialità razionale rispetto a tutte le prospettive culturali, religiose, politiche e scientifiche» e, all'articolo 11, comma 1, si afferma che «l'utilizzo del nome e del logo sono consentiti esclusivamente per scopi istituzionali», cioè appunto per libera ricerca e libera formazione. Infine, il disciplinare di ateneo recita che «gli spazi non vengono concessi per iniziative di carattere politico o simili»;
   lo stesso rettore dell'ateneo friulano, intervenendo sulla stampa locale, ha affermato che è opportuno chiarire le diverse violazioni ipotizzate a norme e regolamenti dell'ateneo di Udine;
   non calza il richiamo del rettore ad appuntamenti elettorali in cui nel passato i candidati hanno sfilato all'università, con esplicito riferimento ad Alessandra Guerra, approdata nel 2003 a palazzo Antonini da candidata alla presidenza della regione. L'intervento della Guerra si inquadrava infatti nella presentazione dei programmi dei tre candidati, organizzata da un gruppo di docenti della facoltà di lettere che, con l'autorizzazione dell'allora rettore Furio Honsell, avevano invitato Illy, Saro e Guerra a esprimersi sui problemi dell'università, nel pieno rispetto della par condicio sia pure in distinte giornate. Spazi quindi non concessi a un partito, ma a operatori universitari non espressione di qualche fazione politica;
   il Ministro interrogato intervenendo alla Camera dei deputati sulla questione, ha di fatto addossato la responsabilità dei fatti all'università di Udine, che avrebbe agito nell'ambito della propria, autonomia, valutando di «interesse generale» una festa-convegno di partito;
   ad avviso dell'interrogante il Ministro dovrebbe ribadire l'alto dovere politico e morale di preservare da attenzioni improprie la credibilità e l'autorevolezza dell'università di Udine e dell'istituzione universitaria più in generale –:
   se il Ministro intenda rendersi disponibile a chiarire la propria posizione in ordine all'ipotesi di mancato rispetto delle norme sopracitate nell'azione del rettore, in riferimento alla festa-convegno del PD, promossa dal rettore stesso, a mezzo email indirizzata a tutto il personale e agli studenti, contenente il link al sito del Pd, evento a cui lo stesso rettore ha partecipato, intervenendo in vari momenti, e ospitata presso i locali dell'università, adottando ogni provvedimento di competenza. (4-12159)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   COMINARDI, TRIPIEDI, CHIMIENTI, CIPRINI e LOMBARDI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 novembre 2015, all'esito di un'assemblea indetta a Roma, nella quale erano riunite tutte le associazioni sindacali di categoria, è stata sottoscritta un'ipotesi di accordo per il rinnovo del CCNL autoferrotranvieri-internavigatori (Mobilità/Tpl), scaduto il 31 dicembre 2007. L'ipotesi di accordo raggiunta, tuttavia, appare in molti suoi aspetti peggiorativa anziché migliorativa del precedente, ciò quanto sostiene l'Unione sindacale di base – trasporti. A detta dell'USB, i principali punti critici di tale ipotesi contrattuale sono i seguenti: aumento delle ore ordinarie di lavoro ed aumento delle ore straordinarie, iscrizione coatta al fondo di previdenza integrativa di categoria, recepimento della normativa del contratto a tutele decrescenti per le future assunzioni, recepimento della tipologia di assunzione con lo strumento dell'apprendistato professionalizzante, peggioramento della normativa sul risarcimento danni, aumento delle giornate annue di permessi sindacali per le organizzazioni firmatari, parte economica irrisoria se correlata all'enorme lasso di tempo di vacanza contrattuale;
   proprio a causa dei numerosi aspetti peggiorativi contenuti nell'ipotesi di accordo, nei giorni 15-16-17 dicembre 2015 è stato indetto dalle associazioni sindacali un referendum, ciò tuttavia senza la presenza di una commissione elettorale di garanzia ed in seggi privi di presidenti o scrutatori. Secondo i dati ufficiali, su 100.069 autoferrotranvieri aventi diritto, 38.766 non hanno partecipato al referendum (circa il 38,7 per cento) 39.263 (circa il 39,2 per cento), sono stati favorevoli, 21.242 (circa il 21,2 per cento) sono stati contrari, i rimanenti hanno depositato schede nulle o bianche. Nonostante le organizzazioni sindacali confederali dichiarino raggiunto il parere favorevole al referendum con circa il 65 per cento dei 61.303 votanti, in realtà risulta evidente dall'analisi dei dati numerici, che i 39.263 favorevoli sono Meno del 40 per cento degli aventi diritto. In molte aziende, città e regioni, si è fortemente manifestato il «NO», così come nelle società pubbliche e private della regione Lazio dove, su 9.010 votanti sono 4.451 i voti contrari a questa ipotesi di CCNL; anche nella regione Toscana il 60 per cento dei lavoratori si è espresso per il «No»; nella regione Lombardia presso il gruppo ATM di Milano i «NO» sono stati il 58;5 per cento nel Veneto e nel Friuli Venezia Giulia i «No» sono stati il 40 per cento;
   non solo, il nuovo contratto nazionale va in contrasto con la legge 300 del 1970 con i CCNL precedenti, in quanto da una parte gli articoli dal 17 al 25 introducono misure ai sensi del Jobs act rendendo i licenziamenti più facili ed il posto di lavoro sempre più precario, dall'altra l'articolo 32 limita e riduce il diritto di assistenza per familiari disabili già garantito dalla legge n. 300 del 1970. Inoltre, in questo CCNL viene regolamentata un'attuale forzatura del carico di lavoro, con la piena applicazione del regolamento (CE) n. 561 del 2006, che con il decreto-legge n. 66 del 2003 ed il decreto legislativo n. 234 del 2007 ha permesso finora alle aziende di superare già le 39 ore medie settimanali senza compensi economici. Con questo CCNL ora le aziende potranno raggiungere le 48 ore ordinarie, elevabili fino a 60 ore settimanali senza incorrere in «violazioni», purché si calcoli la media su 26 settimane e tutto questo in cambio di una leggera una tantum e un aumento salariale;
   sarebbe opportuno assumere ogni iniziativa volte a far luce sulle irregolarità evidenziate nella conduzione del referendum che ha portato all'approvazione del nuovo CCNL;
   gli incrementi economici previsti dal nuovo CCNL ad avviso degli interroganti non sono in linea con quelli dell'Unione europea ed adeguati all'aumento del costo della vita –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza dei dati e degli elementi riportati in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intendano assumere per fare chiarezza sui criteri di rappresentatività aziendale e di settore con riferimento alle organizzazioni sindacali;
   quali iniziative, anche di tipo normativo, intendano intraprendere a tutela della dignità dei lavoratori e contro lo sfruttamento della manodopera e la conseguente riduzione dei costi. (5-07838)


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 gennaio 2016 è stata depositata una sentenza della Corte di Cassazione a Sezioni Unite, la sentenza n. 784, che ha stabilito che i segretari comunali non devono essere considerati dirigenti nel passaggio presso altre amministrazioni pubbliche, tranne in alcune specifiche eccezioni dettagliatamente indicate dai giudici;
   in particolare, la sentenza prevede in relazione a due ex segretari comunali la retrocessione a funzionari, con effetto dal deposito della sentenza;
   ad oggi, a quanto consta all'interrogante, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali non ha provveduto alla revoca dell'incarico dei suddetti ex dirigenti, che sembra dirigano ancora le sedi territoriali di Asti, Aosta, Alessandria e Savona;
   non risulterebbe altresì, a quanto consta all'interrogante, che si sia provveduto, come è d'obbligo in questi casi, alla richiesta delle anticipazioni d'udienza per gli altri dirigenti, ex segretari comunali, «sub iudice» che si trovino nella stessa medesima situazione degli ex dirigenti, segretari comunali dichiarati illegittimi;
   qualora, dunque, non sia stata data ancora esecuzione alla sentenza della Cassazione, configurerebbe per l'interrogante un comportamento omissivo del Ministero sopra richiamato che lede, tra l'altro, il principio del legittimo affidamento dei cittadini che in buona fede ritengono legittimi gli atti del Ministero del lavoro, in particolare nelle sedi territoriali di Aosta, Asti, Savona e Alessandria, presso cui sarebbero tuttora assegnati, e regolarmente in servizio, i due ex dirigenti (Ivaldi e Corbelli), ormai decaduti a seguito della sentenza della Cassazione;
   la nullità degli atti dei dirigenti decaduti a seguito di sentenze giudiziarie risulta innegabile in considerazione di alcune pronunce della commissione tributaria emesse rispetto all'analogo caso dei dirigenti dell'agenzia delle entrate dichiarati illegittimi dalla Corte Costituzionale – Commissione tributaria provinciale di Lecce, con sentenza n. 1790/02/15, sez. 02 depositata il 21 maggio 2015 – commissione tributaria provinciale di Frosinone, sentenza n. 414/02/15 – Commissione Tributaria provinciale di Brescia, sentenza n. 277/01/15 – Commissione Tributaria provinciale di Milano sentenza n. 3222/25/15 – commissione tributaria regionale di Milano sentenza n. 2148/13/15;
   inoltre, qualora gli ex segretari comunali in questione ricoprano ancora ed illegittimamente la funzione dirigenziale, il comportamento inerte del Ministero starebbe ledendo gli idonei nella graduatoria a 22 posti di dirigente di seconda fascia del Ministero del la lavoro, di cui al decreto direttoriale 14 novembre 2006 (graduatoria approvata il 27 ottobre 2009) che sono in attesa, da diversi anni, di assunzione;
   è, quindi, evidente che va data esecuzione alla sentenza in questione in conformità ai principi costituzionali di eguaglianza, di imparzialità, buon andamento, responsabilità, efficacia ed efficienza della pubblica amministrazione;
   è altresì necessario che gli uffici del Ministero del lavoro, si attivino per una ricognizione volta a verificare quanti, tra i circa 40 ex segretari comunali attualmente in servizio come dirigenti presso tale Ministero siano nelle medesime condizioni di illegittimità indicate dalla Corte di Cassazione a Sezioni Unite –:
   se sia vero che ad oggi non sia stata data ancora attuazione alla sentenza di cui in premessa e, quindi, gli ex segretari comunali retrocessi a funzionari, stiano ancora ricoprendo funzioni dirigenziali e, in caso di conferma, quali iniziative intenda assumere per porre fine a questo stato di illegittimità, anche rispetto alla sottoscrizione di atti nelle sedi di Asti, Alessandria, Savona e Aosta;
   se e quali iniziative intenda intraprendere in merito agli ex segretari comunali tuttora dirigenti che potrebbero trovarsi nelle medesime condizioni di illegittimità individuate nella sentenza in questione;
   se e quali urgenti iniziative intenda adottare per procedere all'assunzione dei dirigenti di seconda fascia idonei nel concorso a 22 posti, indetto con DD. 14 novembre 2006, attraverso lo scorrimento della graduatoria tutt'ora in vigore, per provvedere alle posizioni dirigenziali decadute e quindi vacanti. (5-07840)

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICCHI, PLACIDO, GREGORI e AIRAUDO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la legge di stabilità 2016 (legge n. 208 del 2015), ha istituito un «Fondo per la lotta alla povertà e all'esclusione sociale», e previsto, a partire dal 2017, l'introduzione di un'unica misura nazionale di, contrasto alla povertà, nonché la revisione della legislazione vigente in materia di altre prestazioni di natura previdenziale e assistenziale, trattamenti, indennità, integrazioni di reddito, e altro;
   un ruolo centrale nell'individuazione dei prossimi interventi di revisione delle prestazioni previdenziali ed assistenziali da parte del Governo, verrebbe assegnato all'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE), di cui al decreto del Presidente del Consiglio dei ministri n. 159 del 2013;
   va peraltro evidenziato, per inciso, che il nuovo ISEE presenta già forti criticità da tempo denunciate, laddove vengono conteggiati come reddito provvidenze assistenziali riservate agli invalidi civili, ciechi, sordi compresa l'indennità di accompagnamento e l'indennità di comunicazione, nonché indennità percepite a titolo di risarcimento, come nel caso di inabilità per infortunio sul lavoro o per malattia professionale;
   la suddetta prevista revisione e razionalizzazione dell'attuale normativa in materia di prestazioni di natura previdenziale, prevista dalla legge di stabilità 2016, ha in questi giorni aperto un acceso dibattito riguardo alla possibilità che si intervenga sulle pensioni di reversibilità e sui criteri per la sua assegnazione legandola non più al reddito ma all'ISEE. Una pensione che attualmente rappresenta una garanzia di vita decente per molte persone, nel nostro Paese, in particolare in questi anni di crisi;
   il Governo, anche per voce del Ministro interrogato, ha dichiarato che «per il futuro non è allo studio nessun intervento sulle pensioni di reversibilità», ma solamente «il superamento di sovrapposizioni e situazioni anomale»;
   il fatto però che l'intervento non si concretizzi unicamente con «il superamento di sovrapposizioni e situazioni anomale», ma in un intervento più ampio sembrerebbe implicitamente confermato dalle dichiarazioni secondo le quali la prevista razionalizzazione «lascia esplicitamente intatti tutti i trattamenti in essere». Queste dichiarazioni sembrano quindi confermare la possibilità che – fermi restando i diritti acquisiti – vengano rivisti i futuri criteri di assegnazione della pensione di reversibilità, anche sulla base dell'indicatore della situazione economica equivalente (ISEE);
   se il Ministro, alla luce delle dichiarazioni di cui in premessa e nell'ambito della prevista razionalizzazione delle prestazioni di natura previdenziale e assistenziale, intenda assumere iniziative volte a intervenire – fatti salvi i diritti acquisiti – sui criteri di assegnazione della pensione di reversibilità, o se l'intervento si limiti al solo «superamento di sovrapposizioni e situazioni anomale». (4-12145)


   MARCOLIN. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni sta diventando davvero complessa e complicata la vicenda che riguarda oltre 1700 operatori degli ex sportelli multifunzionali, cioè coloro, che in Sicilia si occupano delle politiche attive del lavoro;
   dall'8 febbraio 2016 hanno iniziato uno sciopero della fame accusando che: «La riforma nazionale impone professionalità e attenzione in tema di politiche attive del lavoro. Dal 24 settembre sono in vigore le norme del decreto legislativo n. 150/2015, recante la nuova disciplina dei servizi per l'impiego, in attuazione della delega Jobs Act. Il provvedimento ridisegna le strutture pubbliche preposte in supporto dei lavoratori e dei datori di lavori nella ricerca dell'impiego e di forza lavoro, con la rivisitazione delle pregresse competenze e lo snellimento delle procedure e delle strutture preposte. I Centri per l'impiego siciliani non hanno le professionalità che servono per ottemperare alle norme, il nostro sistema si avvaleva degli operatori degli ex sportelli multifunzionali che hanno operato in sinergia con i CPI per quindici anni»;
   questa è la rivendicazione principale degli ex sportellisti, gli operatori impiegati nei centri di formazione che affiancavano proprio i centri per l'impiego per indirizzare i giovani verso la formazione professionale e da qui verso un impiego. Gli sportellisti oggi sono senza lavoro, sono tutti quasi cinquantenni e per loro è iniziato un vero e proprio calvario; presidiano il dipartimento regionale di via trinacria e una di loro ha iniziato lo sciopero della fame;
   gli ex sportellisti lamentano una mancanza di volontà ed una incapacità del Governo della regione siciliana nel voler trovare una soluzione adeguata al ricollocamento professionale di questo personale altamente qualificato che, a causa della decisione di sopprimere gli sportelli multifunzionali in nome di una vera propria rivoluzione nel mondo della formazione e del lavoro che non è mai partita, ha portato invece al licenziamento addirittura senza il ricorso a forme di mobilità;
   appare allora evidente una ridefinizione progettuale per queste unità lavorative al fine di evitare la loro espulsione dal mondo del lavoro –:
   se e quali iniziative, per quanto di competenza, il Ministro interrogato ritenga di poter assumere al fine di affrontare la questione, anche promuovendo un tavolo di confronto con le parti interessate per scongiurare l'ipotesi di vedere definitivamente espulsi questi operatori affrontando con la regione siciliana un piano più ampio che consenta di intervenire sulle politiche attive del lavoro assicurando un futuro agli ex sportellisti. (4-12148)


   BRIGNONE. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nel 2015, le aziende marchigiane hanno assunto 141.839 persone, l'8,7 per cento in più rispetto al 2014;
   il dato appare positivo, ma, secondo gli ultimi dati dell'Inps, in Italia sono fortemente in crescita i contratti a termine che sono giunti a quota 94.330 nel 2015, pari al 66,5 per cento del totale delle assunzioni;
   infatti, anche nelle Marche, i voucher, regolarmente acquistati, raggiungono i cinque milioni, aumentando in un solo anno del 61 per cento, per un valore nominale pari a 50.295.120 di euro. È ciò che si apprende da una nota della Cgil Marche;
   nelle Marche, sempre secondo i dati Inps, su 1908 aziende ispezionate nel 2015, ben 1791 e cioè il 93,9 per cento sono risultate irregolari, con la provincia di Ascoli Piceno con 514 aziende irregolari ti un totale di 538 ispezionate. Ancona con 512 aziende irregolari su 540 ispezionate, Pesaro e Urbino con 333 irregolari su 359, Macerata con 235 aziende irregolari su 255 e, infine, Fermo con 197 irregolari su 216;
   da ciò si evince che circa un quinto delle aziende ispezionate, risulta avvalersi di personale non contrattualizzato e in regola: infatti, i lavoratori non regolari risultano essere circa 507 su un totale di 2.785 rapporti di lavoro irregolari;
   l'attività di accertamento ha portato a sanzioni per un importo pari a 37 milioni di euro;
   il lavoro svolto mediante l'acquisto dei voucher, nasconde molto spesso altre ore di lavoro nero e sottopagato, sviluppando un enorme piaga sociale che con l'entrata in vigore del « Jobs Act», rischia di aumentare sia sotto il profilo della dilagante precarietà che della qualità del lavoro;
   se i fatti narrati in premessa trovino conferma e quali iniziative urgenti intenda assumere per far fronte alla grave situazione lavorativa e occupazionale in cui versa la regione Marche;
   quali iniziative intenda assumere per evitare l'utilizzo improprio e dilagante dei voucher, favorito dall'intervento del Governo attraverso il Jobs Act, che rischia di compromettere lo sviluppo economico-sociale della regione Marche;
   se non ritenga doveroso mettere in atto tutte le iniziative necessarie al fine di evitare la larga diffusione del lavoro irregolare ed evitare una divisione del mondo del lavoro tra chi è garantito e chi non lo è. (4-12163)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MASSIMILIANO BERNINI, GALLINELLA, GAGNARLI, L'ABBATE, BENEDETTI e LUPO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il Corpo forestale dello stato è corpo di polizia a ordinamento civile e quindi composto da personale in divisa nonché da personale civile, con profili tecnici e amministrativi, che lavora e si occupa di svolgere mansioni e funzioni attribuite al Corpo stesso;
   tra il personale civile figurano anche, gli operai, altra categoria spesso dimenticata e mai menzionata nelle norme che riguardano il Corpo forestale dello Stato;
   gli operai di cui sopra, sono lavoratori assunti ai sensi della legge 5 aprile 1985, n. 124, che svolgono attività istituzionale ai sensi della legge 6 febbraio 2004, n. 36 «Nuovo riordino del Corpo forestale dello Stato» articolo 5, comma 1;
   questo personale opera all'interno degli uffici dell'Ispettorato generale, negli uffici del Gabinetto del Ministro, ovvero nella scuola di formazione del Corpo forestale dello Stato, nei comandi regionali e provinciali, nei comandi stazione, nei coordinamenti territoriali per l'ambiente e in tutti gli uffici territoriali per la biodiversità dislocati sul territorio nazionale, in sostituzione e/o affiancamento del personale dei ruoli che risulta sotto organico di circa 1639 unità;
   pur svolgendo attività istituzionale agli operai a tempo indeterminato e determinato si applica un contratto di diritto privato, il contratto collettivo nazionale di lavoro per gli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale e idraulico-agraria, nonché un protocollo aggiuntivo al CCNL, che dovrebbe aggiungere tutele e diritti ma in realtà risulta essere peggiorativo del contratto stesso;
   con la legge finanziaria del 2007 l'allora governo decise di regolarizzare e regolamentare tutto il precariato della pubblica amministrazione «stabilizzando» tutto il personale che svolgeva attività istituzionale in deroga alla normativa vigente in materia di assunzioni nel pubblico impiego e in deroga anche alle piante organiche previste per legge;
   in quella circostanza la stabilizzazione operata su questo personale è stata un semplice passaggio da operaio a tempo determinato a operaio a tempo indeterminato, mantenendo intatto il contratto collettivo nazionale per gli addetti ai lavori di sistemazione idraulico-forestale e idraulico-agraria, un contratto di diritto privato diversamente a quanto stabilito dalla legge finanziaria 2007, articolo 1, comma 519 e 521 e legge finanziaria 2006 articolo 1, comma 247;
   il comma 253, dell'articolo 1, della legge n. 266 del 2005, (legge finanziaria 2006) assegnava alla Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica e al Ministero dell'economia e delle finanze il monitoraggio dell'attuazione delle disposizioni di stabilizzazione contenute nei commi da 247 a 252 della medesima legge;
   nella risposta alla richiesta di parere in merito alla stabilizzazione del personale che lavora presso la pubblica amministrazione senza esserne inserito contrattualmente, che la Presidenza del Consiglio dei ministri – dipartimento della funzione pubblica – U.P.P.A. – servizio programmazione assunzioni e reclutamento invia al Consiglio nazionale delle ricerche e per conoscenza anche al Ministero dell'economia e delle finanze – dipartimento della ragioneria generale dello Stato — IGOP, nota prot. n. DFP-0016229-03/04/2008-1.2.3.4. parere UPPA 25/08, nella quale si chiariva senza alcun dubbio il senso della parola stabilizzazione e gli effetti che ci si attendeva da tale operazione, cioè l'eliminazione del precariato dalla pubblica amministrazione, si può leggere che: «Come è stato più volte ribadito, da ultimo con il parere dello Scrivente n. 20/2008, il termine stabilizzazione non ha una valenza giuridica in quanto, volendone cogliere l'aspetto lessicale, essa risulta incompatibile con le disposizioni previste in materia di costituzione di rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche. Basta richiamare, al riguardo, l'articolo 36, comma 6, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 che, anche nel testo novellato, conferma il principio secondo cui “In ogni caso, la violazione di disposizioni imperative riguardanti l'assunzione o l'impiego di lavoratori, da parte delle pubbliche amministrazioni, non può comportare la costituzione di rapporti di lavoro a tempo indeterminato con le medesime pubbliche amministrazioni”; “Considerato che la costituzione di un rapporto di lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche passa necessariamente attraverso una procedura concorsuale pubblica, ai sensi dell'articolo 97 della Costituzione e dell'articolo 35 del decreto legislativo 165/2001, l'elemento distintivo delle “norme sulla stabilizzazione” è dato dal fatto che le stesse si pongono in deroga rispetto alla predetta normativa. La relativa disciplina, infatti, fermo restando la necessità della procedura concorsuale, come ribadito anche dall'articolo 3, comma 90, della legge 24 dicembre 2007, n. 244, consente di avviare un sistema di reclutamento speciale, per assunzioni a tempo indeterminato, destinato ad una platea riservata di persone, non individuata in ragione di requisiti fondati su criteri generali ed indifferenziati, ma in virtù del fatto che queste persone hanno avuto un precedente rapporto di lavoro svolto con l'amministrazione pubblica, per un periodo temporale definito, nel presupposto di dare valore all'esperienza maturata. La partecipazione al reclutamento speciale è, tra l'altro, subordinata alla presentazione di apposita domanda da parte degli interessati (Direttiva dello scrivente Dipartimento n. 7/2007).» –:
   quali iniziative intenda assumere il Governo per tutelare questi 1400 lavoratori dello Stato anche in considerazione della legge 7 agosto 2015, n. 124 «Deleghe al Governo in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche» e dei successivi decreti legislativi, nei quali viene solo menzionata la legge di assunzione di riferimento la legge n. 124 del 1985.
(5-07829)


   ZACCAGNINI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il business delle agromafie ha superato i 16 miliardi di euro nel 2015, come emerge dal quarto «Rapporto sui crimini agroalimentari» in Italia elaborato da Eurispes, Coldiretti e Osservatorio sulla criminalità nell'agricoltura e sul sistema agroalimentare, presentato a Roma;
   come segnalato dal rapporto, per raggiungere l'obiettivo i clan ricorrono a tutte le tipologie di reato tradizionali: usura, racket estorsivo e abusivismo edilizio, ma anche a furti di attrezzature e mezzi agricoli, abigeato, macellazioni clandestine o danneggiamento delle colture con il taglio di intere piantagioni. Con i classici strumenti dell'estorsione e dell'intimidazione impongono la vendita di determinate marche e determinati prodotti agli esercizi commerciali, che a volte, approfittando della crisi economica, arrivano a rilevare direttamente. Non solo si appropriano di vasti comparti dell'agroalimentare e dei guadagni che ne derivano, distruggendo la concorrenza e il libero mercato legale e soffocando l'imprenditoria onesta, ma compromettono in modo gravissimo la qualità e la sicurezza dei prodotti, con l'effetto indiretto di minare profondamente l'immagine dei prodotti italiani e il valore del marchio Made in Italy;
   gli aspetti patologici dell'indotto agroalimentare, come la lievitazione dei prezzi di frutta e verdura fino a 4 volte nella filiera che va dal produttore al consumatore, sono la conseguenza non solo dell'effetto dei monopoli, ma anche delle distorsioni e speculazioni dovute alle infiltrazioni della malavita nelle attività di intermediazione e trasporto, secondo l'analisi della Direzione investigativa antimafia;
   sta emergendo un fenomeno nuovo e preoccupante: le turbolenze del sistema bancario aumentano i capitali puliti che, alla ricerca di una migliore remunerazione, si indirizzano verso l'economia sporca, con il cosiddetto «money dirtying» che è esattamente speculare al fenomeno del riciclaggio nel quale i capitali sporchi affluiscono nell'economia sana –:
   quali iniziative normative, anche urgenti, il Governo intenda assumere al fine di contrastare con efficacia e rapidità il fenomeno delle agromafie e dei relativi fenomeni criminosi. (5-07832)


   RICCIATTI, ZACCAGNINI, FRANCO BORDO, PALAZZOTTO, PLACIDO, ZARATTI, PELLEGRINO, PIRAS, QUARANTA, MELILLA e DURANTI. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   nelle Marche operano attualmente 221 imbarcazioni con attrezzo draga idraulica o «vongolara», che costituiscono circa un terzo dell'intera flotta nazionale;
   l'alto numero di imbarcazioni (circa una ogni 680 metri di mare) rende particolarmente difficile la situazione del settore della pesca dei molluschi bivalvi, al punto che diversi operatori parlano di rischio collasso per l'intero settore nella regione Marche;
   attualmente l'area di pesca della costa marchigiana, lunga 150 km, è suddivisa in quattro compartimenti: Pesaro, Ancona (dalla foce del Cesano a Porto Recanati), Ancona (dalla foce del Chienti a Porto Recanati) e San Benedetto del Tronto;
   nel 1994 c’è stato uno spropositato rilascio di licenze da parte del Ministero delle politiche agricole (72 per la sola regione Marche), basata su dati scientifici discutibili (Il Resto del Carlino, 17 febbraio 2016);
   a seguito della sentenza del Tar Marche n. 855/2009 che ha, incidentalmente, sancito la competenza esclusiva della regione Marche nella gestione del comparto, la regione ha predisposto un regolamento (n. 6/2009) per disciplinare la materia, dal riconoscimento dei Consorzi operanti, alla definizione delle aree;
   la congestione di imbarcazioni dell'area appare tuttavia insanabile con la ordinaria competenza regionale;
   l'Organizzazione produttori della pesca di Fano Marotta e Senigallia, ha lanciato l'ennesimo allarme per il rischio tracollo del settore, segnalando l'insufficienza delle misure sin ora attuate, come lo spostamento delle imbarcazioni da un compartimento all'altro delle Marche (Ansa, 16 febbraio 2016);
   la citata Organizzazione ha segnalato, inoltre, con una propria nota stampa, la forte «tensione tra i quattro consorzi marchigiani con il prossimo scadere della validità delle aree di gestione previste da un Regolamento del Consiglio Regione Marche» e il rischio che si scateni una guerra tra gli operatori per accedere alle scarse risorse ittiche;
   peraltro, la gestione dei banchi di vongole appare allo stato delle conoscenze attuali piuttosto complessa, giacché la sua presenza è influenzata da una serie di variabili, sia ambientali sia relative alle attività umane, che agiscono spesso in sinergia, determinando situazioni di difficile prevedibilità;
   l'alta concentrazione di imbarcazioni spiega, quindi, i suoi effetti su un duplice livello di criticità: quella economica e lavorativa degli operatori del settore, e quella ambientale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione illustrata in premessa;
   quali iniziative, per quanto di competenza, intenda intraprendere al fine di decongestionare la costa delle Marche dall'alto numero di imbarcazioni dedite all'attività di pesca delle vongole, al fine di salvaguardare lo stesso comparto, oltre che l'ambiente. (5-07833)

SALUTE

Interrogazioni a risposta scritta:


   SBROLLINI. — Al Ministro della salute, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in Italia, le malattie respiratorie, dopo le malattie cardiovascolari e quelle neoplastiche, rappresentano la terza causa di morte e si prevede che, anche a causa dell'invecchiamento della popolazione, la prevalenza di tali patologie sia destinata ad aumentare. Casi di tosse intrattabile e persistente hanno un'incidenza sempre maggiore sulla popolazione, in particolar modo sui minori;
   la lotta alle malattie respiratorie si realizza sia mediante interventi finalizzati alla prevenzione primaria, come interventi per la lotta al fumo, sia con la rimozione di agenti inquinanti presenti negli ambienti di vita e di lavoro;
   se si analizza la situazione della pianura padana, si rileva che si tratta di un'area tra le più industrializzate, urbanizzate e infrastrutturate d'Europa, caratterizzata da un basso tasso di ventilazione e da fenomeni di inversione termica che rendono più difficile la dispersione degli agenti inquinanti. Le condizioni meteorologiche di questi ultimi mesi sono state dannose per la qualità dell'aria: la poca piovosità e le alte temperature hanno fatto sì che gli agenti inquinanti permanessero per lungo tempo nell'aria direttamente respirata dalla popolazione;
   i numeri e i grafici del rapporto sulla qualità dell'aria dell'Agenzia europea dell'Ambiente descrivono la pianura padana come uno dei luoghi più inquinati e saturi di polveri sottili (Pm10, Pm 2,5), diossido di azoto, diossido di zolfo, monossido di carbonio, benzopirene. Tutte sostanze che la Iarc (International Agency for Research on Cancer), agenzia che per conto dell'Organizzazione mondiale della sanità analizza e classifica agenti e sostanze cancerogene, ha inserito nella «lista nera» dei fattori che causano il cancro (3 per cento di tutti i tumori, 5 per cento di tutti i tumori polmonari);
   sempre secondo l'Agenzia europea dell'ambiente (Aea) le micropolveri sottili (Pm2.5), il biossido di azoto (NO2) e ozono nei bassi strati dell'atmosfera (03), fanno registrare ogni anno rispettivamente 59.000, 21.000 e 3.000 morti;
   un recente studio del progetto Viias (valutazione integrata dell'impatto ambientale e sanitario dell'inquinamento atmosferico) rileva che il 29 per cento della popolazione italiana vive in luoghi dove la concentrazione degli inquinanti è in media sopra la soglia di legge. L'inquinamento accorcia mediamente la vita di ciascun italiano di 10 mesi; 14 per chi vive al Nord, 6,6 per gli abitanti del Centro e 5,7 al Sud e isole. Gli effetti sono maggiori al Nord e il solo rispetto dei limiti di legge salverebbe 11.000 vite all'anno;
   si apprende da il Corriere del Veneto di martedì 9 febbraio 2016 la procura di Venezia ha scelto di intervenire in seguito al sollecito dei pediatri veneti riservandosi l'ipotesi di aprire un fascicolo così da accertare la presenza di reati ambientali. La potenza distruttiva di Pm10 e 2,5 sui sistemi immunitari non ancora sviluppati dei bimbi fa registrare casi decisamente gravi e cronici di malattie al sistema respiratorio con evidenti costi sociali e sanitari –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto descritto;
   se e come il Governo intenda intervenire, per quanto di competenza, per tutelare la salute della popolazione del Veneto e del Triveneto;
   se e quali iniziative il Governo intenda assumere, per quanto di competenza, per trovare concrete soluzioni programmatiche e ai problemi di inquinamento dell'area del Triveneto. (4-12144)


   VARGIU. —Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia sono 790.000 i cittadini dipendenti dal gioco d'azzardo, mentre 1 milione e 750 mila sono i giocatori a rischio patologia;
   i soggetti più vulnerabili sono i disoccupati e ragazzi tra i 15 e i 18 anni;
   il «decreto Balduzzi» n. 158 del 2012 (convertito, con modificazioni, dalla legge n. 189 del 2012) ha creato l'osservatorio sulle ludopatie, riconoscendo la ludopatia come una patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro;
   le apparecchiature VLT sono state introdotte per la prima volta con legge 2008, n. 184, ma il loro lancio ufficiale sul mercato è avvenuto con il cosiddetto decreto Pro Abruzzo (decreto-legge n. 39 del 2009);
   le VLT rispetto alle AWP hanno proprietà tecniche molto più pericolose in quanto capaci di alimentare la ludopatia e la dipendenza da gioco d'azzardo grazie, nello specifico, ad un'offerta multipla di gioco, al touch screen (situazione molto più cattivante per il giocatore), e alla possibilità di vincite più elevate;
   l'espressione Video Lottery Terminals (VLTs) identifica un tipo di gioco, una «lotteria» giocata attraverso dei videoterminali cosiddetti «self-service»;
   sono esattamente 51.971 gli apparecchi Vlt in attività sul territorio italiano;
   le Vlt sono presenti in 4.864 esercizi pubblici, la maggior parte dei quali localizzati nel Lazio e in Lombardia;
   dal 1o gennaio 2017 entreranno nel mercato italiano 250.000 MiniVLT, che si aggiungeranno alle VLT di ultima generazione già attive sul territorio, attivabili con cartamoneta e con erogazione in vincite attraverso ticket;
   nelle VLT è possibile introdurre monete da euro 0,50 a euro 2,00 e, soprattutto, banconote da euro 5,00 a euro 100,00 e ticket cartacei, direttamente emessi dalla postazione di cassa in sala (cash desk) oppure rilasciati in precedenza da altre VLT all'interno della stessa sala. La durata massima di un ticket, al fine del suo pagamento in cassa o del reinserimento in una VLT, è pari a trenta giorni;
   le puntate, per ogni partita, variano da un minimo di euro 0,50 a un massimo di euro 10,00, secondo il gioco scelto aumentando così il desiderio di vincita e di scommessa –:
   quali iniziative il Governo e, nello specifico, il Ministro della salute intendano assumere in relazione a quanto esposto in premessa, con particolare riferimento alle disfunzione sociali e sanitarie che le VLT provocano tra i consumatori. (4-12156)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, FRANCO BORDO e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in Italia il settore della distribuzione di prodotti editoriali si articola in circa 28.000 punti vendita tra chioschi e rivenditori di varia natura, di cui circa 18.000 sono punti vendita dedicati, le edicole «pure», e circa 10.000 sono i rivenditori quali tabaccherie, cartolerie, stazioni di servizio che svolgono questa attività non in modo prevalente vendendo anche altre categorie merceologiche;
   il settore della distribuzione è regolato dall'accordo nazionale sulla vendita dei giornali quotidiani e periodici», sottoscritto da Federazione italiana editori giornali - SI.NA.G.I. Aff. S.L.C. - C.G.I.L. C.I.S.L. - GIORNALAI U.I.L.Tu.C.S. - GIORNALAI S.N.A.G. - CONFCOMMERCIO FE.NA.G.I. - CONFESERCENTI U.SI.A.GI. - UGL entrato in vigore dal 1o gennaio 2006 e scaduto nel 2009, senza che a oggi vi sia stato un rinnovo;
   le normative che regolano il settore si sono stratificate negli anni attraverso le leggi e i decreti seguenti: n. 47 del 1948, n. 416 del 1981, n. 108 del 1999, n. 62 del 2001, n. 170 del 2001, n. 201 del 2011 ed è attualmente in discussione la proposta di legge n. 3317 in merito alla riforma dell'editoria, che si propone di intervenire anche sul settore della diffusione della stampa periodica;
   il quadro legislativo di questo settore si presenta molto confuso, non solo per le diverse normative di riferimento, ma anche per la sostanziale prosecuzione nei fatti dell'accordo nazionale scaduto, e perfino disconosciuto dalle associazioni dei distributori locali sottoscritto fra tutti i soggetti interessati di cui sopra, nonostante il decreto-legge n. 201 del 2011 «Sblocca Italia» ne abbia resa superata, la per molti versi illegittima, secondo l'interrogante l'applicazione;
   il decreto-legge n. 201 del 2014 convertito dalla legge 214/2011, tra altre cose, regola le attività commerciali e gli orari degli esercizi commerciali, liberalizzando l'apertura e la chiusura senza vincoli, quindi per 1, 2 o più ore, sino a 24 ore, rendendo, di fatto, non conformi alla legge gli obblighi di apertura che erano dettati e pattuiti nell'accordo nazionale sopra citato;
   nella realtà molte sono le interferenze e i divieti posti ancora oggi dalle aziende di distribuzione locale ai punti vendita, siano essi chioschi o rivenditori di varia natura, facendo leva sull'accordo nazionale scaduto, superato dalle normative in essere e disconosciuto dagli stessi distributori che pretendono l'applicazione dei punti capestro verso gli edicolanti;
   i maggiori elementi di conflitto tra le parti vertono sulla libertà di chiusura domenicale o quattordicinale dei punti vendita e sulla fruizione di periodi di chiusura per ferie. L'accordo nazionale, che nonostante le premesse di cui sopra regola il settore, prevede, anche in occasione del riposo domenicale quattordicinale, l'obbligo di apertura del 50 per cento dei punti vendita del territorio comunale. Questo elemento nei piccoli centri, dove è presente una singola edicola o punto vendita, da parte delle aziende distributrici viene tradotto nella obbligatorietà di apertura 7 giorni su 7 del punto vendita, facendo venire meno la possibilità del riposo;
   gli accordi hanno valore tra le parti che lo sottoscrivono ma le leggi della Repubblica italiana manifestano i loro effetti su tutto il territorio nazionale e, qualora vi fossero o si presentassero discrepanze tra accordi e leggi, queste ultime prevalgono su tutto il resto –:
   se il Ministro interrogato, al fine di porre fine ai molti contenziosi in essere tra le parti, non intenda chiarire il quadro normativo, che deve trovare applicazione nella regolazione di questo settore economico;
   se il Ministro interrogato non intenda confermare, per quanto di competenza, la piena libertà decisoria da parte degli esercenti i punti vendita di prodotti editoriali in merito ai giorni ed orari di apertura e chiusura, alla luce della normativa vigente. (5-07837)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ROSTAN. —Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento Montefibre spa di Acerra nasce nella metà degli anni 70 come attività sostitutiva dello storico stabilimento Rhodiatoce di Casoria;
   l'area prescelta per la realizzazione della nuova realtà industriale è quella inserita nell'area di sviluppo industriale di Acerra, in provincia di Napoli;
   per il ciclo produttivo sono state utilizzate le tecnologie più avanzate del momento e il complesso industriale è stato costituito dai seguenti impianti e servizi:
    impianto per la produzione di DMT (Dimetiltereftalato);
    impianto per la produzione di polimero PET (polyetilentereftalato);
    impianti per la produzione di fibre tessili e filati di poliestere;
    centrale termoelettrica a metano;
    impianti per la produzione di fluidi di servizi come azoto, aria compressa, acqua refrigerata, acqua di torre, acqua demi;
    impianto biologico a fanghi attivi per la depurazione dei reflui industriali del sito;
   tra il 1979 e il 2003 il livello occupazionale ha superato stabilmente le 1000 unità (tra diretti e indotto);
   nel 19996, dopo il fallimento del progetto Enimont, Montefibre viene ceduta da Enichem al gruppo Orlandi (l'operazione viene svolta sotto l'egida Mediobanca);
   nel 1999 è stato chiuso tutto il comparto fili poliestere, con la perdita secca di oltre 300 posti di lavoro;
   negli anni successivi, e precisamente nel corso del periodo dal 2000 al 2010, l'azienda subisce una pluralità di cessioni, dismissioni, riorganizzazioni organizzative, che vedono coinvolti anche investitori stranieri;
   a fronte della perdurante crisi economica internazionale, i predetti investitori stranieri, nella fattispecie la società spagnola L.S.B., hanno terminato il proprio programma di investimenti;
   tra la fine del 2012 e la metà del 2013 viene avviato, da parte della Montefibre, un vero e proprio programma di smantellamento degli impianti, fino ad arrivare, immediatamente dopo, al fallimento della L.S.B.;
   a seguito del fallimento della società spagnola L.S.B., una società indonesiana, la Indorama, ha manifestato il proprio interesse all'acquisizione degli impianti ormai ex – Montefibre;
   tale manifestazione di interesse viene formalizzata al Ministero dello sviluppo economico nel novembre 2013, periodo in cui la Adler Plastic di Ottaviano acquisisce una parte degli impianti, e precisamente l'impianto Imfra; gestito dalla società Fidion in liquidazione;
   in tale passaggio, perdono il posto di lavoro 72, dei 100 dipendenti impiegati presso l'impianto;
   a marzo 2015 viene dichiarato il fallimento della NGP SPA;
   a fine 2015, in altre parole, ad eccezione dei 28 dipendenti assunti da ADLER, tutti i lavoratori della ex – Montefibre, fiore all'occhiello del tessuto industriale campano e della provincia di Napoli, a seguito di un'attività dismissiva lenta, ineluttabile e costante, sono stati posti in mobilità;
   la gestione di tali vicende, pur essendo stata più volte all'attenzione del Ministero dello sviluppo economico, non è mai stata risolutiva e, come ampiamente descritto ha avuto un esito infausto per le maestranze, per l'indotto e per tutto il tessuto sociale del comune di Acerra e del vicino comune di Casoria, città di provenienza, quest'ultima, di un numero consistente di addetti allo stabilimento della Ex Montefibre;
   l'impianto Simpe, realizzato anche grazie ad investimenti di fondi pubblici, non ha mai visto un avvio concreto ed anzi, ne è già previsto lo smantellamento finalizzato al suo trasferimento all'estero;
   sarebbe opportuno valutare eventuali responsabilità di chi ha gestito la sopra descritta operazione imprenditoriale e finanziaria, posta in essere, come detto, anche facendo ricorso a risorse pubbliche, spese con finalità sociali tutt'altro che chiare –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti in premessa e quali iniziative intenda intraprendere per scongiurare la definitiva chiusura dello stabilimento, al fine di preservare i livelli produttivi ed occupazionali dello stesso;
   se il Ministro interrogato abbia previsto, in caso di impossibile preservazione dello stabilimento, idonee iniziative finalizzate alla sua riconversione ed al mantenimento dei livelli occupazionali o comunque al reintegro, in altre posizioni, dei dipendenti della Ex Montefibre. (4-12155)


   OTTOBRE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 4, comma 1, punto 9), del decreto del Presidente della Repubblica 31 agosto 1972, n. 670 (statuto di autonomia) prevede che la regione Trentino-Alto Adige ha la potestà di emanare norme legislative in materia di sviluppo delle cooperazione e vigilanza sulle cooperative purché l'attività legislativa e l'esercizio delle funzioni sia in armonia con la Costituzione e i principi dell'ordinamento giuridico della Repubblica e con il rispetto degli obblighi internazionali e degli interessi nazionali nonché delle norme fondamentali delle riforme economico-sociali della Repubblica;
   con legge regionale 17 aprile 2003, n. 3 «Delega di funzioni amministrative alle Province Autonome di Trento e di Bolzano» sono delegati alla provincia autonoma di Trento le funzioni amministrative della regione Trentino-Alto Adige in materia di sviluppo della cooperazione e vigilanza sulle cooperative;
   nella regione autonoma Trentino-Alto Adige il sistema di vigilanza sulle società cooperative è disciplinato dalla legge regionale 9 luglio 2008, n. 5 «Disciplina della vigilanza sugli enti cooperativi» e dal relativo Regolamento di attuazione. In particolare, la legge regionale n. 5 del 2008 attribuisce le funzioni di vigilanza ad un'autorità di revisione (articoli 2 e 3) che, per gli enti cooperativi aderenti, è costituita dall'associazione di rappresentanza delle cooperative, a condizione che l'associazione stessa sia dotata di strutture organizzative idonee a garantire l'autonomia e l'indipendenza del revisore. L'autorità di revisione è quindi l'organismo che ha il potere di vigilare sugli enti cooperativi mediante revisioni cooperative e che prevede nell'atto costitutivo la non ingerenza delle proprie cariche elettive nell'esecuzione della revisione cooperativa;
   nell'intervento intitolato «Le banche locali e di credito cooperativo in prospettiva: vigilanza europea ed evoluzione normativa» svolto a Bolzano il 12 febbraio 2015 il capo del dipartimento di vigilanza bancaria e finanziaria della Banca d'Italia ha sottolineato che le banche locali costituiscono la componente prevalente delle banche italiane less significant (LSI), ovvero degli intermediari che, nell'ambito del meccanismo di vigilanza unico (MVU), restano assoggettati alla supervisione diretta della Banca d'Italia, pur prevedendosi un ruolo di sorveglianza della BCE. Nell'ultimo triennio, le tensioni sui mercati finanziari e la lunga fase congiunturale sfavorevole hanno posto le banche locali di fronte a sfide non meno difficili di quelle affrontate dalle banche più grandi. Il processo di contrazione numerica delle banche del territorio, in atto da tempo, ha registrato un'accelerazione. Per il sistema del credito cooperativo la riduzione è particolarmente evidente. Se alla fine del 2011 si contavano 411 banche di credito cooperativo, le operazioni di aggregazione, finalizzate a risolvere situazioni di problematicità che la fase recessiva ha aggravato, ne hanno ridotto il numero fino a 376 nel mese di dicembre 2015;
   nel parere d'iniziativa «Il ruolo delle banche cooperative e delle casse di risparmio nella coesione territoriale – proposte per un quadro di regolamentazione finanziaria adattato» (2015/C 251/02), il Comitato economico sociale europeo (CESE), se da un lato intende valorizzare il modello bancario rappresentato dalle banche cooperative e dalle casse di risparmio, dall'altro afferma con forza il suo totale rifiuto di determinati comportamenti del settore finanziario, seguiti anche da alcuni attori di questo settore, e chiede un rafforzamento delle norme deontologiche e dei codici di buona governance per l'insieme del settore finanziario quale conditio sine qua non per recuperare la fiducia perduta;
   nella fattispecie, il CESE fissa i principi cooperativi su cui è basata la governance delle banche cooperative, i quali sono quello di un processo decisionale democratico e quello di partecipazione (una persona, un voto). Fissa altresì le opzioni strategiche di fronte alle sfide del futuro, riconoscendo il contribuito delle banche cooperative e delle casse di risparmio nel fornire stabilità, solvibilità e concorrenza al sistema bancario europeo, individuando le sfide imposte dalle esigenze di mercato tra le quali la promozione della trasparenza e della buona governance societaria. Per il CESE la governance societaria va migliorata attraverso la creazione di strutture appropriate per la formazione, la gestione e il controllo dell'attività. In concreto, bisognerà stabilire codici di condotta rigorosi per garantire la professionalità e l'etica nella rappresentanza di interessi differenti negli organi di governance; la creazione di un nuovo modello di vigilanza interna per le casse di risparmio e le banche cooperative che tenga conto dei dipendenti, dei rappresentanti delle piccole e medie imprese e di altri gruppi d'interesse. Tutto ciò al fine di potenziare il modello di banca socialmente responsabile fondata sui principi e valori dell'economica sociale;
   il Corriere della Sera dell'11 gennaio 2016 tratteggia la riforma delle banche di credito cooperativo e delle casse rurali che porterà probabilmente alla distruzione di 130 anni di storia delle stesse; infatti, sono ben delineati i contorni di una riforma che, sull'onda dei gravi scandali giunti ultimamente alle cronache, tenderà ad accentrare il potere decisionale solo in alcuni ambiti, tagliando il potere di voto dei soci;
   anche in sede locale si ipotizzava che potesse passare la linea delle fusioni delle «piccole» casse anche se sane (si ipotizzava sotto i 50 milioni di euro di mezzi propri), che in Trentino sono dodici; per quelle maggiori si ipotizzava la trasformazione in banche popolari, aprendo così all'apporto di capitale esterno e presumibilmente togliendo il voto pro capite, andando a svilire la funzione territoriale delle stesse;
   nel Trentino esistono casse rurali piccole ma sane, legate al territorio, ben governate che non hanno mai fatto investimenti rischiosi o fuori dal proprio ambito naturale proprio perché legate ad una funzione socialmente responsabile, grazie a un'attenzione alle piccole e medie imprese e alle famiglie;
   le casse rurali del Trentino Alto Adige rappresentano una finanza a «chilometri zero» e con l'istituto del ristorno sociale degli utili offrono volontariamente supporto alle molteplici strutture di associazioni di volontariato presenti andando a reinvestire nel territorio;
   è utile ricordare che negli ultimi 15 anni alcune realtà di banche di credito cooperativo e casse rurali presenti in altre regioni, come le Marche, abbiano vissuto questo processo di «accorpamento» a scapito di quella che era la loro reale natura e che a risentirne sia stata proprio l'economia locale; visibili sono stati gli effetti dovuti a ciò e imputati ingiustamente alla «crisi economica»; grandi e piccole aziende hanno dovuto soccombere agli interessi privatistici degli azionisti delle suddette, più preoccupate a dividersi gli interessi che a supportare la crescita economica del territorio annullando completamente quella funzione sociale responsabile per la quale le banche di credito cooperativo e le casse rurali sono state create;
   è recente la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto-legge n. 18 del 14 febbraio 2016 «Misure urgenti concernenti la riforma delle banche di credito cooperativo, la garanzia sulle cartolarizzazione delle sofferenze, il regime fiscale relativo alle procedure di crisi e la gestione collettiva del risparmio»;
   la realtà delle casse rurali e delle banche di credito cooperativo della regione Trentino Alto Adige si differenzia da quella di molte altre regioni; non sono mai salite agli «onori» delle cronache per fatti simili a quelli di recente pubblicati su tutti i quotidiani e proprio questa loro integrità, a parere dell'interrogante, viene danneggiata con questo decreto-legge che pone tutti allo stesso livello non tenendo minimamente conto delle realtà territoriali che funzionano e che svolgono correttamente il lavoro per cui sono state create;
   l'economia della regione Trentino Alto Adige, florida, integra e socialmente responsabile, a parere dell'interrogante, con questo atto, viene messa nelle mani di speculatori bancari privi di scrupoli che operano esclusivamente per la distribuzione dei dividendi e non per il bene del territorio;
   questa riforma, ad avviso dell'interrogante, è in contrasto con i principi costituzionali perché può tendere ad una violazione della libertà di associazione ed impresa, oltre che ad andare a intaccare la stessa autonomia della regione Trentino Alto Adige –:
   se i Ministri interrogati abbiano avuto modo di valutare le singole specificità regionali, delle casse rurali e delle banche di credito cooperativo, e le insidie che la cancellazione delle stesse potrebbe comportare, come la probabile soppressione del voto pro capite e l'insicurezza di quello che potrà succedere agli utili e ai patrimoni indivisibili per le future generazioni e per l'intera comunità locale.
(4-12161)

Apposizione di firme ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Realacci n. 4-11700, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 18 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Pes.

  L'interrogazione a risposta scritta Parentela n. 4-12111, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 16 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Dieni.

  L'interrogazione a risposta scritta Cirielli e Petrenga n. 4-12125, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Giorgia Meloni e Totaro.

Trasformazione di un documento del sindacato ispettivo, apposizione di firme e cambio presentatore.

  L'interrogazione a risposta scritta Franco Bordo n. 4-11684 del 15 gennaio 2016 è stata trasformata su richiesta del presentatore in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07837 che deve intendersi sottoscritta anche dai deputati Ricciatti, che ne diventa la prima firmataria, e Ferrara.