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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Mercoledì 10 febbraio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozioni:


   La Camera,
   premesso che:
    l'accordo sul clima raggiunto a Parigi nel dicembre 2015, ha messo l'accento, tra l'altro, sulla necessità di aumentare l'impegno finanziario al fine di garantire la realizzazione delle azioni necessarie per limitare l'incremento della temperatura media globale ben al di sotto dei 2oC rispetto ai livelli pre-industriali. Insomma, è indispensabile spingere con decisione verso un nuovo modello di sviluppo, attraverso un ripensamento delle logiche di investimento pubbliche e private liberando risorse a favore di attività a basse o zero emissioni;
    il settore dei trasporti in Europa è responsabile della presenza dei livelli nocivi di sostanze atmosferiche inquinanti, e di un quarto delle emissioni di gas a effetto serra presenti nell'Unione europea;
    oltre il 90 per cento dei cittadini europei sono esposti a livelli annui di materia esterna e polveri sottili che si trovano sopra le linee guida sulla qualità dell'aria stabilite dall'Organizzazione mondiale della sanità il recente rapporto presentato dalla stessa Organizzazione mondiale della sanità sull'inquinamento dell'aria in Europa parla di 600 mila morti premature l'anno;
    l'automobile rappresenta oggi in Europa il 12 per cento delle emissioni. Ma è altrettanto una posta economico-sociale fondamentale: 2,5 milioni di famiglie europee sono direttamente coinvolte e una cifra intorno al 15 per cento del budget familiare è riservato all'automobile;
    il direttore esecutivo dell'Agenzia europea dell'ambiente (AEA), Hans Bruyninckx, ha ricordato come «nonostante i miglioramenti continui degli ultimi decenni, l'inquinamento atmosferico incide ancora sulla salute degli europei, riducendo la qualità e l'aspettativa di vita. Inoltre, ha un impatto economico notevole, poiché aumenta i costi sanitari e riduce la produttività con la perdita di giorni lavorativi in tutti i settori dell'economia»;
    peraltro, per quanto riguarda il nostro Paese, vale rammentare che secondo le stime dell'Agenzia ambientale europea pubblicate nel 2015 (nel Report « Air Quality in Europe»), per l'anno 2012 l'Italia ha il triste primato legato alle morti per PM2,5 (circa 59.500) – in linea con i dati dell'anno precedente che ne attribuiva circa 60 mila – l'ozono (3.300) e gli ossidi di azoto (circa 21.600);
    in assoluta controtendenza con gli stessi impegni europei ed internazionali per una riduzione delle emissioni inquinanti, il 3 febbraio 2016, il Parlamento europeo ha respinto la risoluzione della Commissione ambiente che raccomandava all'Assemblea di porre il veto al progetto della Commissione europea che «aggiorna» (alzandoli) i limiti in vigore necessari per l'omologazione dei veicoli, e istituisce la procedura per i test sulle emissioni dei medesimi in condizioni reali di guida (alla luce del fatto che pratica in condizioni reali di guida, le emissioni degli ossidi di azoto-Nox sono sempre molto superiori che nei test di laboratorio);
    la suddetta proposta della Commissione ambiente del Parlamento europeo, che aveva appunto raccomandato all'Assemblea di porre il veto all'atto della Commissione europea, è stata quindi respinta con 323 voti contrari, 317 in favore e 61 astensioni, aprendo così la strada all'aumento delle emissioni nocive. I limiti passati in Europa sono molto chiari: un fattore 2,1 fino al 2020 e un fattore 1,5 dal 2020. In pratica il voto del Parlamento ha fatto passare la norma proposta dalla Commissione europea che alza i limiti per i Nox del 110 per cento nel periodo che va dal settembre 2017 al 31 dicembre 2018, e del 50 per cento nel periodo successivo. Invece di respirare 80 milligrammi di Nox per ogni chilometro per ogni macchina in circolazione, l'anno prossimo se ne respireranno 168;
    nella sostanza, i limiti saranno meno stringenti, e i costruttori potranno contare su altri 5 anni per aggiornare le emissioni inquinanti;
    questo voto non solo va nella direzione auspicata e voluta dal Governo italiano, ma va incontro ai desiderata dell'industria automobilistica a discapito della salute dei cittadini, ed è ancora più significativo se letto alla luce del « dieselgate», e dello scandalo che ha interessato la casa automobilistica tedesca Volkswagen – e per certi versi la Renault – che ha «truccato» i dati sulle emissioni inquinanti dei propri veicoli. Il tutto nato da una denuncia della Environmental Protection Agency (EPA) americana, che accusava l'industria tedesca di aver installato sulle centraline dei motori 4 cilindri diesel Volkswagen e Audi (modelli dal 2009 al 2015), software in grado di riconoscere la situazione di «test» e di attivare, conseguentemente, dispositivi per migliorare le prestazioni delle auto, in quella circostanza, sul fronte delle emissioni di ossido di azoto. Un software in grado di falsare i test sulle emissioni, registrando livelli di emissioni inquinanti da 10 a 40 volte inferiori rispetto alle condizioni di guida normali;
    a breve sarà insediata la Commissione di inchiesta del Parlamento europeo proprio sul « dieselgate», per indagare sulle violazioni delle norme comunitarie in materia di misurazioni delle emissioni di auto, e sulla mancata adozione da parte della Commissione e delle autorità degli Stati membri di misure per far rispettare le norme europee;
    peraltro, il suddetto voto del Parlamento europeo, è ancora più grave se visto in relazione alle misure di contrasto all'inquinamento messe a punto dai comuni. Il sistema di limitazione del traffico, infatti, si basa sul sistema di classificazione europeo degli autoveicoli fissato nel regolamento del 2007 che a questo punto non ha nessun valore, mentre i comuni stessi vengono sanzionati dall'Unione europea per gli sforamenti circa l'inquinamento dell'aria,

impegna il Governo:

   ad attivarsi in ambito europeo al fine di:
    a) individuare tutte le iniziative più idonee al fine di contrastare il progetto della Commissione europea, di cui in premessa, che «aggiorna» in aumento i limiti in vigore necessari per l'omologazione degli autoveicoli;
    b) mettere in atto tutte le iniziative volte alla riduzione delle sostanze atmosferiche inquinanti, con particolare riguardo al settore dei trasporti, alla luce del fatto che oltre il 90 per cento dei cittadini europei sono esposti a livelli annui di materia esterna e polveri sottili che si trovano sopra le linee guida sulla qualità dell'aria stabilite dall'Organizzazione mondiale della sanità;
    c) incrementare gli investimenti per sostenere politiche innovative in favore dello sviluppo dei trasporti puliti a basse emissioni e a bassi consumi, perseguendo gli obiettivi di decarbonizzazione nel settore dei trasporti, incentivando l'uso di tecnologie innovative all'idrogeno e di biocarburanti di seconda e terza generazione e la diffusione di veicoli elettrici e ibridi;
    d) incentivare con maggiore determinazione la ricerca e l'innovazione nel settore automobilistico e dei trasporti;
    e) avviare un percorso di azzeramento dei sussidi diretti e indiretti ai combustibili fossili, con particolare riferimento al settore dell'autotrasporto;
    f) favorire, per quanto di competenza, la massima collaborazione rispetto all'attività della Commissione d'inchiesta del Parlamento europeo sul « dieselgate», assicurando piena trasparenza.
(1-01148) «Zaratti, Franco Bordo, Pellegrino, Scotto, Ricciatti, Ferrara, Nicchi, Gregori».


   La Camera,
   premesso che:
    la commissione d'inchiesta sui diritti umani nella Corea del Nord, istituita dall'Onu nel maggio 2013, nelle sue conclusioni rese note nel febbraio 2014 ha accusato il Governo nordcoreano di essere coinvolto in «sistematiche e diffuse violazioni dei diritti umani»;
    nel resoconto degli ispettori si legge che «sotto molti aspetti, le violazioni dei diritti umani scoperte dalla commissione costituiscono crimini contro l'umanità. Non si tratta di semplici eccessi dello Stato, esse sono componenti essenziali di un sistema politico che si è allontanato di molto dagli ideali su cui afferma di essere fondato. La gravità, l'estensione e la natura di queste violazioni ha rivelato uno Stato che non ha corrispondenti nel mondo contemporaneo»;
    nella sua relazione, la commissione d'inchiesta ha, inoltre, concluso che le violazioni dei diritti umani da parte di Pyongyang non hanno paragone nel mondo contemporaneo, rilevando la negazione quasi totale del diritto alla libertà di pensiero, coscienza e religione, nonché del diritto alla libertà di opinione, espressione, informazione e associazione, nonché l'esistenza di un sistema di sicurezza ampio e ben strutturato che controlla da vicino la vita di tutti i cittadini e non permette nessun tipo di libertà fondamentale nel Paese;
    il Governo della Repubblica popolare democratica di Corea non consente opposizione politica, elezioni libere ed eque, libertà dei media, libertà religiosa, libertà di associazione, contrattazioni collettive o libertà di circolazione, e le sue autorità sono responsabili di detenzioni arbitrarie, sparizioni sistematiche e uccisioni extragiudiziali, oltre a tenere in prigione e nei campi di «rieducazione» più di centomila persone;
    per quanto attiene alla libertà religiosa, il rapporto sulla libertà religiosa nel mondo, relativo al periodo tra l'ottobre del 2012 e il giugno 2014 ha identificato venti Paesi come luoghi di «elevato grado di violazione della libertà religiosa, in quanto in essi la libertà religiosa non esiste», suddividendoli tra quelli in cui le persecuzioni a sfondo religioso sono legate all'estremismo islamico e quelli in cui le stesse sono perpetrate da regimi autoritari, e tra questi ultimi la Corea del Nord risulta essere la peggiore con un numero di cristiani detenuti stimato tra i cinquanta e i settantamila;
    il 17 dicembre 2015 le Nazioni Unite hanno votato una risoluzione di condanna nei confronti della Corea del Nord in merito alla situazione dei diritti e per sottoporre tale Paese al giudizio della Corte penale internazionale per crimini contro l'umanità;
    una simile risoluzione era stata approvata già il 18 novembre 2014, ma rispetto alla precedente, quella del dicembre 2015 appare più dura nei confronti del regime coreano, e contiene come richiesta principale la totale chiusura dei campi di prigionia, nei quali circa centomila detenuti vivono in condizioni terrificanti;
    il 21 gennaio 2016 il Parlamento europeo ha approvato una ulteriore risoluzione di condanna nei confronti della Corea del Nord in seguito al test nucleare effettuato il 6 gennaio da parte del regime di Pyongyang;
    la Repubblica popolare di Corea si è ritirata nel 2003 dal Trattato di non proliferazione delle armi nucleari; dal 2006 effettua test nucleari e, nel 2009, ha dichiarato ufficialmente di aver sviluppato un ordigno nucleare, sfidando apertamente il regime internazionale di non proliferazione nucleare, rischiando di aggravare notevolmente le tensioni regionali e minacciando la pace e la sicurezza mondiali;
    inoltre, come rilevato in ambito europeo, la centralità assunta dagli investimenti militari nelle politiche di Pyongyang «può essere ritenuta un reato di omissione nei confronti delle necessità di base dei cittadini, tenuto conto che circa il settanta percento dei 24,6 milioni di nordcoreani versa in condizioni di insicurezza alimentare e che quasi il trenta percento dei bambini sotto i 5 anni è gravemente malnutrito»;
    la popolazione della Repubblica popolare democratica di Corea è stata esposta a decenni di sottosviluppo, con un'assistenza sanitaria insufficiente ed elevati livelli di malnutrizione materna e infantile, in un contesto di isolamento politico ed economico, frequenti calamità naturali e aumenti internazionali dei prezzi dei prodotti alimentari e del carburante, e anche a fronte della carestia attualmente in corso continua a mostrare una rigida chiusura nei confronti degli aiuti provenienti dall'esterno, continuando a violare il diritto all'alimentazione del suo popolo;
    si registrano sistematiche violazioni dei diritti umani e l'applicazione della pena di morte in numerosi altri Stati,

impegna il Governo:

   ad esprimere una chiara posizione di condanna nei confronti della Corea del Nord e comunque di tutti quegli Stati che si rendono responsabili di violazioni dei diritti umani, stigmatizzando le restrizioni alla libertà di pensiero, di coscienza, di religione, di opinione ed espressione, di riunione pacifica e di associazione;
   ad assumere, anche in collaborazione con le competenti istituzioni dell'Unione europea, ogni iniziativa opportuna per promuovere un più elevato grado di democraticità in Corea del Nord, in primo luogo, attraverso la promozione di un tempestivo adattamento del sistema giuridico e giudiziario agli standard previsti in ambito internazionale, e ad agire affinché la questione dei diritti umani continui a rimanere tra le priorità dell'agenda politica dell'Unione europea;
   a sostenere ogni iniziativa in ambito internazionale volta a porre fine alle uccisioni extragiudiziali e alle sparizioni forzate, a favorire la liberazione dei prigionieri politici e la realizzazione delle più elementari libertà dei cittadini in particolare in Corea del Nord, nonché ad adoperarsi in tutte le sedi opportune al fine di ridurre, fino alla sua completa cancellazione, il ricorso alla pena di morte;
   a sostenere ogni iniziativa di condanna proposta in sede internazionale nei confronti della Corea del Nord, con riferimento alla produzione di armamenti nucleari e di armi chimiche o batteriologiche, affinché possano essere realizzate la pace, la sicurezza e la stabilità nella regione.
(1-01149) «Rampelli, Cirielli, La Russa, Maietta, Giorgia Meloni, Nastri, Taglialatela, Totaro».


   La Camera,
   premesso che:
    esprime preoccupazione per quanto trapela relativamente al trattamento che ricevono i diritti umani nel territorio della Corea del Nord, condannata già con apposita risoluzione datata 28 marzo 2014 dal Consiglio delle Nazioni Unite per i diritti umani;
    in particolare, circolano notizie a proposito dell'esistenza di una rete di campi di prigionia e rieducazione in Corea del Nord, a somiglianza di quanto peraltro avverrebbe nell'attigua Repubblica Popolare Cinese;
    va stigmatizzato, altresì, la brutalità di alcune esecuzioni, come quella di cui è rimasto vittima nello scorso aprile anche Hyon Yong-chol, Ministro e capo delle forze armate, peraltro precedentemente legato all'attuale leader del regime nord-coreano, Kim Yon-un, prelevato da una manifestazione pubblica ed ucciso poche ore dopo con un cannone anti-aereo, perché reo di essersi addormentato durante una parata militare;
    si osserva, altresì, la tendenza della Repubblica democratica popolare di Corea a sviluppare anche tecnologie ed armamenti incompatibili con un serio e credibile impegno in favore della pace e della sicurezza internazionale, attestata anche dalla recente sperimentazione di un sedicente ordigno nucleare all'idrogeno;
    si evidenzia il fallimento riportato negli ultimi 15 anni dalle concessioni politiche con le quali si è cercato di ammorbidire il regime nord-coreano e condizionarne il comportamento sulla scena interna ed internazionale;
    si sottolinea come il regime nord-coreano inizi a costituire un fattore di preoccupazione non soltanto per gli Stati Uniti ma anche per le potenze regionali più o meno vicine, come la stessa Repubblica Popolare Cinese, la Repubblica di Corea, il Giappone e la Federazione Russa,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi in tutte le sedi internazionali competenti affinché vengano esercitate pressioni dirette ad ottenere un maggior rispetto dei diritti umani fondamentali da parte della Repubblica democratica popolare di Corea;
   a vincolare la concessione futura alla Corea del Nord di qualsiasi aiuto a progressi tangibili e verificabili internazionalmente del rispetto dei diritti umani da parte delle locali autorità;
   ad assumere in ambito internazionale, di concerto con gli Stati alleati, amici o partner del nostro Paese, tutte le iniziative ritenute opportune ad indurre la Corea del Nord a rinunciare alle proprie ambizioni nel campo della proliferazione nucleare e delle tecnologie missilistiche.
(1-01150) «Gianluca Pini, Fedriga, Allasia, Attaguile, Borghesi, Bossi, Busin, Caparini, Giancarlo Giorgetti, Grimoldi, Guidesi, Invernizzi, Molteni, Rondini, Saltamartini, Simonetti».

Risoluzioni in Commissione:


   La IV Commissione,
   premesso che:
    la 46a brigata aerea, con sede presso l'aeroporto militare «Arturo Dell'Oro» di Pisa, rappresenta il nerbo della capacità da trasporto tattico e strategico dell'Aeronautica Militare;
    la 46a brigata aerea è operativa 365 giorni l'anno 24 ore il giorno, supporta continuativamente la proiezione dello strumento militare, garantisce i collegamenti per le operazioni fuori confini nazionali (OFCN) e impiega i suoi uomini e i suoi velivoli in ogni parte del mondo in molteplici attività di istituto; tali attività comprendono: aviosbarco, aviolancio di personale e materiale, trasporto materiali, mezzi ed equipaggiamenti, trasporto sanitario d'urgenza, trasporto organi per trapianto, trasporto personale biocontaminato, aerosgombero sanitario, supporto equipe mediche, supporto del gruppo di chirurgia d'urgenza dell'ospedale di Pisa, supporto alla protezione civile, supporto al Ministero dell'interno, supporto al Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale, operazioni tattiche e operazioni speciali;
    inoltre, la 46a brigata aerea garantisce, nell'arco delle 24 ore – 365 giorni l'anno, un servizio di pubblica utilità per il trasporto di pazienti, anche infettivi, in imminente pericolo di vita;
    oltre a questi compiti principali la 46a brigata aerea offre supporto per la realizzazione di missioni umanitarie, soprattutto in occasione di gravi calamità naturali o altri eventi che determinino la necessità di fornire aiuti e sostegni a popolazioni che da questi accadimenti subiscono pesanti disagi;
    la 46a brigata aerea gestisce l'intera flotta di 20 quadrimotori da trasporto C-130J Hercules II, di cui 10 nella versione con fusoliera allungata J-30 e 6 allestibili nella configurazione KC-130J per la funzione di rifornimento aereo, e 12 bimotori C-27J di cui è dotata l'Aeronautica militare;
    i C-130J sono stati consegnati tra luglio 2000 e febbraio 2005, mentre i C-27J sono stati consegnati tra gennaio 2007 e maggio 2009; si tratta dunque di velivoli moderni, con i quali la 46a brigata aerea effettua circa 15.000 ore di volo all'anno, in ogni condizione meteo, sia di giorno, sia di notte;
    l'addestramento in volo del personale navigante della 46a brigata aerea, con particolare riguardo alle attività di decollo e atterraggio, è effettuato utilizzando sia il sedime aeroportuale di Pisa, sia alcuni sedimi limitrofi, soprattutto quello di Grosseto;
    l'Aeroporto militare di Pisa è attivo fin dal 1915 e, grazie alla sua ottimale posizione geografica, ha rappresentato un centro fondamentale per le attività aeree delle Forze armate italiane negli ultimi 100 anni;
    oggi è classificato quale aeroporto militare aperto al traffico aereo civile e costituisce un polo di rilevanza strategica per la difesa;
    le attività di adeguamento e potenziamento dell'Aeroporto militare di Pisa afferenti alla fornitura alla fornitura dei servizi per la navigazione aerea sono informate agli accordi ENAC — Aeronautica militare del 2009 e del 2013 e finalizzate a garantire sempre maggiore efficienza dei servizi, sicurezza del volo, continuità (in relazione alle condizioni atmosferiche), e sostenibilità delle operazioni di volo militare e civile da e per l'aeroporto, nell'ambito di una cooperazione fra comparto difesa, ENAC e società di gestione dei servizi aeroportuali;
    il processo di adeguamento dell'aeroporto militare di Pisa ha già registrato l'ammodernamento del sistema di comunicazioni terra/bordo/terra (2015), delle piste di volo (in corso d'opera), della segnaletica e dell'impianto di illuminazione delle piste e delle vie di rullaggio (2015);
    l'adeguamento e il potenziamento dei servizi per la navigazione aerea prevedono: l'installazione di un nuovo radar di avvicinamento; l'installazione di un sistema informatico per la gestione dei voli (Flight Data Processing) in sostituzione di quello attuale; l'innalzamento della categoria del sistema di avvicinamento strumentale di precisione da «CAT 1» a «CAT 2» per permettere atterraggi con minore visibilità e minore altezza delle nubi sulla pista 04R; la pubblicazione di procedure strumentali ancorché «non di precisione» per le piste 22L e 22R; l'introduzione di un sistema di « Multi Radar,Tracking» che permetta di controllare i voli anche attraverso sistemi radar non ubicati a Pisa;
    le suddette attività di adeguamento dovrebbero essere completate presumibilmente entro il 2016,

impegna il Governo:

   a garantire il completamento in breve tempo delle previste attività di adeguamento e potenziamento dell'aeroporto militare di Pisa, anche allo scopo di ridurre drasticamente le esigenze di manutenzione e i relativi costi, nonché di minimizzare il rischio di avarie che potrebbero comportare interruzioni della disponibilità dell'aeroporto e gravi rischi per la sicurezza del volo;
   a verificare la possibilità di incrementare il personale controllore di torre dell'aeroporto di Pisa al fine di migliorare la gestione del traffico aereo;
   a promuovere programmi di addestramento del personale di volo delle linee C-130J e C-27J che prevedano l'ottimizzazione dell'impiego dell'aeroporto di Pisa, anche in considerazione dei sedimi limitrofi;
   a garantire un incremento dei fondi destinati alla manutenzione delle linee di velivoli da trasporto C-130J e C-27J dell'Aeronautica militare.
(7-00913) «Artini».


   La VI Commissione,
   premesso che:
    in Italia operano da più di trent'anni le mutue di autogestione con finalità di finanza mutualistica e solidale (MAG), svolgendo un ruolo sociale importante per le collettività di riferimento, poiché operano sia come finanziatori dei propri soci compartecipi, sia come promotori di cultura e assistenza tecnica per l'avvio e lo sviluppo di enti non profit;
    poiché «autogestione» significa utilizzo esclusivo di risorse proprie o dei propri soci, le Mag non usano la leva del debito verso altri soggetti finanziari, non creando dunque in alcun modo rischi sistemici;
    le Mag presenti attualmente sul territorio italiano sono attualmente cinque, con sede in Milano, Torino, Reggio Emilia, Firenze e Venezia, mentre altre due sono in oggetto di costituzione a Reggio Calabria e Roma;
   la finanza mutualistica e solidale opera con criteri stringenti e inequivocabili, che la portano a prestare particolare attenzione alla provenienza del denaro, a gestirlo con modalità partecipative, a perseguire sempre finalità sociali nell'erogazione del credito. Per potersi definire mutualistica e solidale tutta l'attività finanziaria del soggetto e tutte le attività ad essa collegate devono uniformarsi infatti ai seguenti principi:
     a) accesso al credito senza discriminazioni basate su patrimonio, sesso, etnia o religione;
     b) preferenza da sempre per le garanzie personali, a prescindere dal patrimonio dei garanti, rispetto a quelle di natura finanziaria;
     c) concessione dei finanziamenti sulla base di un'analisi del contesto socio-ambientale del socio richiedente, oltre che sulla base dell'istruttoria economica;
     d) trasparenza, partecipazione e mutualità come requisiti fondanti di tutta l'attività, che si manifestano principalmente con la massima trasparenza nella determinazione dei tassi di interesse applicati, che devono essere composti di due soli elementi, ovvero costi di gestione della struttura e mantenimento del valore reale del capitale preso a prestito e con la massima trasparenza nella gestione della struttura e nelle decisioni relative alla concessione del credito, con esplicite previsioni di forme di partecipazione dei soci e di pubblicità dei finanziamenti concessi, del denaro raccolto e delle principali decisioni strategiche, fino alla possibilità per tutti i soci di assistere alle sedute del consiglio di amministrazione e alla determinazione di sistemi di conoscenza, scambio e collaborazione fra prestatori e finanziati;
     e) forma cooperativa della struttura, con partecipazione paritetica di soci lavoratori, finanziatori e finanziati;
    il decreto legislativo n. 141 del 2010 ha riformato il TUB, in osservanza della disciplina comunitaria, introducendo tra l'altro all'articolo 111 del medesimo la categoria del microcredito, disciplinandone le caratteristiche generali e rimandando ad un successivo decreto del Ministero dell'economia e delle finanze le disposizioni attuative. In particolare, si prevede che i finanziamenti concessi in questo regime non possano eccedere i 25.000 euro e siano privi di garanzie reali, se rivolti a attività di impresa, e siano limitati ad un massimo di 10.000 euro senza garanzie reali se indirizzati a persone fisiche in condizioni di particolare vulnerabilità economica e sociale;
   tutti i finanziamenti erogati in regime di microcredito così come definito all'articolo 111 del TUB devono ottenere attraverso il tasso di interesse applicato una remunerazione limitata al mero recupero dei costi operativi, come sopra descritto;
    in un contesto caratterizzato da perdurante credit crunch, da difficoltà oggettive del sistema bancario, dalla necessità di implementare canali alternativi di accesso al credito, appare importante rafforzare esperienze solidaristiche storiche, con buone performance nella gestione del rischio, che sarebbero invece fortemente limitate, fino ad arrivare alla cessazione delle attività, dalle previsioni normative vigenti,

impegna il Governo:

   a modificare tempestivamente il decreto ministeriale n. 176 del 2014, prevedendo per le Mag la deroga a tutte le previsioni dettate dall'articolo 1, comma 2, lettera D);
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per innalzare anche l'importo massimo di credito concedibile, rispetto agli attuali euro 75.000;
   ad assumere iniziative normative per prevedere, in prospettiva, un'apposita sezione separata nel TUB per gli operatori di finanza mutualistica e solidale, così da evitare sovrapposizioni improprie con soggetti che abbiano caratteristiche, obiettivi e target diversi.
(7-00914) «Paglia, Fassina».


   L'VIII Commissione,
   premesso che:
    il sito industriale di Ottana è oggetto di un gravissimo inquinamento ambientale legato all'attività industriale in gran parte dismessa condotta negli anni in particolar modo dalle società collegate all'Eni;
    in tutto il sito industriale si rilevano gravissime omissioni sul piano delle bonifiche mancate e dello stato di inquinamento persistente e rilevante che, l'interrogante, ha rilevato, in un sopralluogo diretto nell'area e nelle strutture dismesse;
    nel piano delle bonifiche dei siti inquinati, approvato con reiterati provvedimenti nel 2002/2003 dalla giunta regionale della Sardegna, si legge quanto segue;
   il sito industriale nasce nel 1970 a Ottana, con l'insediamento quasi contemporaneo di tre grandi imprese che hanno segnato in maniera marcata questa area: due nel settore chimico-tessile e una nel settore metalmeccanico:
    la società Eni - Fibra e Chimica del Tirso, in seguito diventata Enichem Fibre, ed è siglata nella riva destra del Tirso nel territorio di Ottana;
    la società Siron, produzione di Fibra poliestere, oggi di proprietà della GTO (gruppo tessile di Ottana), è localizzata nel territorio comunale di Ottana, sulla riva sinistra del Tirso;
    la fabbrica Metalmeccanica del Tirso si trova nel territorio di Bolotana, di fronte all'insediamento Eni, oltre il fiume;
   impianto ex Siron ha conservato la stessa tipologia di produzione iniziale, pur con alcuni interventi di ristrutturazione e cambiamenti di proprietà;
   nella parte dell'agglomerato industriale ricadente nel territorio di Bolotana, la cessazione dell'attività della Metalmeccanica del Tirso, alla fine, degli anni ’80, ha portato alla nascita di attività artigianali di vario tipo e fabbriche di riciclaggio di materie plastiche;
   al servizio dello stabilimento industriale esiste un impianto consortile di, depurazione reflui che tratta anche i reflui domestici del comune di Ottana, nonché un forno per la termodistruzione dei rifiuti speciali provenienti dal compatto industriale e una Centrale Termoelettrica;
   l'insediamento industriale Syndial di Ottana occupa una superficie totale di 196 ettari, di cui 177 ettari recintati che contengono gli impianti produttivi e 19 ettari esterni destinati a parcheggio e in parte incolti. La proprietà Syndial comprende 19 ettari esterni e 90 ettari interni. I restanti 87 ettari sono di proprietà di diverse società coinsediate che hanno acquistato da EgiChem pressoché la totalità degli impianti produttivi e delle aree di stoccaggio; tra queste vanno segnalate:
    1. Lorica Sud (tessuti plastici);
    2. Inca International (impianto Acido Tereftalico, e polimero poliestere);
    3. AES (Centrale termoelettrica);
    4. Landa (nuova proprietaria dell'impianto fibre acriliche dal 1997);
   nell'intera area industriale di Ottana sono inoltre presenti le società Montefibre (impianto chimico), le Legler Ottana (industria tessile), la Minitow (produzione di feltri per pennarelli), la Master Sarda (conceria), la Cooptex 84 (impianto di produzione di fibra acrilica sintetica);
   le industrie sono state interessate, nel corso degli anni, da diversi cambiamenti nell'assetto societario e produttivo, con dismissione di alcuni reparti e attività e la conseguente localizzazione di nuove imprese;
   attualmente Syndial non ha produzioni attive avendo ceduto lutti gli impianti produttivi originari (produzione di fibre acriliche e poliestere e produzione utilities) alle società coinsediate fino alla recente cessione della centrale termoelettrica. Rimane proprietaria delle aree che non ospitano impianti produttivi, tranne per l'impianto ex confezionamento filo;
   nell'impianto Fibre Acriliche nel 1997, la proprietà Landa (nuova proprietaria dell'impianto) ha collocato un laboratorio sperimentale tessile;
   l'impianto Poliestere è stato dismesso e parte dei capannoni sono stati ceduti in affitto o in proprietà ad altre società;
   lo studio condotto ha rilevato un superamento dei limiti tabellari di cui al decreto ministeriale n. 471 del 1999, per la presenza del manganese nelle acque sotterranee. Emerge inoltre che l'inquinamento rilevato è correlabile alla presenza di zone di discarica e a perdite legate al degrado delle fognature, entrambe situate all'interno dell'ex impianto Enichem;
   i problemi di inquinamento, delle aree interne all'impianto legate alla discarica e alle fognature, così come indicato dal decreto ministeriale n. 471 del 1999 sono oggetto di studio specifico e gli eventuali interventi saranno regolati dal Protocollo d'intesa: per il risanamento dei siti Enichem;
   lo studio dell'area è stato condotto dalla Sacesv s.c.r.l. per conto del Consorzio ASI della Sardegna centrale e ha riguardato in particolare le aree esterne all'agglomerato industriale ex Enichem. Da una prima analisi delle tipologie produttive e della loro permanenza temporale in attività nell'area industriale, si è potuto notare che gran parte degli impatti potenziali delle attività produttive sull'ambiente potrebbe essere attribuito a una rosa più ristretta di impianti quali:
    1. Montefibre (produzione di fibre acriliche);
    2. Syndial (gestione discariche interne al sito);
    3. AES (produzione di energia per combustione);
    4. Inca (produzione di PET e acido tereftalico);
    5. Depuratore Sa.Ce.Sy, (incenerimento fanghi: biologici);
   lo studio condotto ha rilevato un superamento dei limiti, tabellari di cui al decreto ministeriale n. 471 del 1999, per il manganese nelle acque sotterranee. Emerge inoltre che l'inquinamento rilevato è correlabile alla presenza di zone di discarica e a perdite legate al degrado delle fognature, entrambe situate all'interno dell'ex impianto Enichem;
   in seguito a quel piano e alle direttive per la gestione della sicurezza e della bonifica dell'intero comparto il 14 luglio 2003 – presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è stato sottoscritto un APQ – accordo programma quadro per i poli chimici della Sardegna – nel quale sono stati definiti gli stanziamenti e le azioni per l'avvio delle bonifiche urgenti nell'area industriale di Ottana;
   in quell'accordo di programma quadro si applicava, per la prima volta il principio «chi inquina paga»;
   il dispositivo dell'accordo di programma quadro sul versante ambientale disponeva quanto segue:
    «avviando, contestualmente con gli strumenti della programmazione disponibili, un articolato piano di bonifica e reindustrializzazione dei siti chimici per la localizzazione negli stessi di nuove attività industriali;
   a tal fine, con il presente accordo, si prevedeva di:
    risanare e tutelare l'ambiente attraverso azioni di disinquinamento, bonifica e messa in sicurezza dei siti, di riduzione delle emissioni in atmosfera e di prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti, non solo con, riferimento a quelli previsti dai piani di caratterizzazione ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997 di competenza delle imprese, ma anche a quelli esterni interessati da fenomeni di inquinamento specifico;
    avviare processi di reindustrializzazione dei siti bonificati;
   all'articolo 5 dell'accordo era prevista la puntuale tutela dell'ambiente:
    le azioni a tuteli dell'ambiente, funzionali alla attuazione degli interventi previsti dall'accordo, nel rispetto della vigente normativa regionale e nazionale, prevedono:
    lo smantellamento degli impianti dismessi e la messa in sicurezza e/o bonifica dei siti;
    l'individuazione dei piani di miglioramento sui temi dell'ambiente, e della sicurezza;
    la messa a punto di linee guida per la definizione del piano di sicurezza;
    la promozione di linee guida per ridurre i rischi nella movimentazione delle merci;
    la promozione di accordi volontari per la certificazione ambientale delle industrie chimiche;
    la creazione di un sistema integrato per il monitoraggio ambientale e la gestione del rischio industriale e delle emergenze;
   nell'accordo era previsto inoltre che: in relazione alla bonifica delle aree industriali interessate dagli insediamenti produttivi, la regione si impegna a procedere in tempi ristretti all'esame dei piani di caratterizzazione e di indagine presentati dai principali stabilimenti ai sensi dell'articolo 9 del decreto ministeriale n. 471 del 1999, regolamento di cui all'attuazione dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 ed a predisporre un programma stralcio che individui per ciascun stabilimento la decorrenza dell'obbligo di bonifica, secondo quanto concordato nel Protocollo per gli interventi di risanamento ambientale dei siti EniChem S.p.A. e Polimeri Europa S.r.l. richiamato ai superiori «Visti»;
   nell'accordo era anche previsto che:
    «i soggetti firmatari dell'Accordo di Programma verificheranno, con l'Assessorato Regionale dell'Ambiente, l'inserimento dei princìpi che hanno valenza generale contenuti nel suddetto Protocollo con riferimento alle recenti linee guida approvate dalla Giunta regionale;
    parallelamente alle azioni di caratterizzazione e bonifica condotte all'interno degli stabilimenti, nell'accordo era previsto l'impegno a procedere, nelle aree industriali interessate dal presente Accordo di Programma, alla realizzazione di interventi di indagine preliminare e monitoraggio nelle zone esterne agli Stabilimenti di pubblica pertinenza, con riferimento alle principali componenti ambientali (acque superficiali, profonde, suolo, sottosuolo) per la definizione del livello di inquinamento presente e delle possibili cause, al fine di individuare gli elementi di criticità per la destinazione d'uso delle aree e gli eventuali interventi di risanamento e bonifica;
    per valutare il livello di inquinamento sarà effettuata la caratterizzazione dei suoli e dei corpi idrici»;
   il monitoraggio doveva riguardare, prioritariamente, aree industriali di Porto Torres, Sarroch, Assemini, Ottana, nonché le aree contermini; i dati saranno oggetto di confronto con quelli rilevati dai singoli stabilimenti;
   nell'accordo era previsto poi un capitolo dedicato al ruolo delle imprese che è posto in tali termini:
    «Articolo 10 - Impegni delle imprese
    Le Imprese firmatarie dell'Accordo si impegnano a:
     investimenti per il miglioramento della sicurezza, anche in funzione delle recenti normative in materia e/o di riduzione dell'impatto ambientale;
     investimenti per la bonifica e messa in sicurezza dei siti produttivi anche in funzione dei previsti piani di reindustrializzazione delle aree di crisi;
    all'Articolo 13 - Disposizioni finali dell'accordo richiamato era previsto:
     «Il presente Accordo è vincolante per tutti i soggetti sottoscrittori.
     L'accordo ha durata fino al completamento degli interventi in esso precisati, è prorogabile e può essere modificato o integrato per concorde volontà dei partecipanti ed attuato con specifici protocolli aggiuntivi»;
   a fronte dell'aggravarsi della situazione di crisi del sito chimico di Ottana ed a seguito degli incontri con gli attori del territorio, delle analisi e degli approfondimenti svolti nell'ambito dei tavoli di lavoro sopra richiamati, è stato predisposto uno specifico atto aggiuntivo che definisce nel dettaglio finalità, interventi, modalità attuative e risorse finanziarie per il sito di Ottana;
   l'accordo di programma risulta sottoscritto da: la Presidenza del Consiglio dei Ministri - il Ministero dell'Economia e delle Finanze - il Ministero per le attività produttive - Il Ministero dell'Ambiente - Il Ministero del Lavoro e delle politiche sociali - La Regione Autonoma della Sardegna (Presidente Pili) - L'Osservatorio nazionale per la Chimica - L'Osservatorio Regionale per la Chimica - Sviluppo Italia spa - La Provincia di Cagliari – La Provincia di Nuoro - La Provincia di Sassari - Il Comune di Assemini - Il Comune di Ottana - Il Comune di Porto Torres - Il Comune di Sarroch - Il Comune di Uta - Le OO.SS Regionali - Le OO.SS Territoriali. - CGIL - CISL - UIL - FULC Nazionale - FULC Regionale - FULC Territoriale - La Confindustria regionale – Confindustria Cagliari - Confindustria Nuoro - Confindustria Sassari - L'Api Sarda - La Federchimica - L'Unionchimica - Il Consorzio per l'Area di Sviluppo industriale di Cagliari - Il Consorzio per lo sviluppo Industriale della Sardegna centrale - L'Area di Sviluppo Industriale di Sassari Porto Torres - Polimeri Europa - EVC (European Vinylis Corporation) Montefibre - AES - DOW - SASOL (Italy) - Fluorsid - Lorica - Mini Tow - Territorio e impresa - Endesa;
   in un puntuale sopralluogo del Movimento Unidos nei giorni 24 e 25 gennaio 2016 nell'area industriale di Ottana si accertavano situazioni gravissime sul piano ambientale che venivano denunciate pubblicamente con documenti fotografici e video;
   in particolar modo si accertava che decine di migliaia di metri quadri di capannoni della ex Montefibre erano attraversati da una rilevante falda idrica;
   veri e propri canali interni allo stabilimento, pieni di sostanze di ogni genere, finiscono verso volumi enormi sottoterra dove pratica ente sta riaffiorando la falda idrica;
   sotto gran parte dello stabilimento ci sono 5 metri d'acqua affioranti che hanno praticamente realizzato una vera e propria diga sotterranea proprio sotto quel grande contenitore di veleni;
   centinaia di migliaia di metri cubi d'acqua a diretto contatto con ogni tipo di inquinamento, sia quello che si stava accumulando nei canali interni dello stabilimento che nelle aree trasformate in vere e proprie discariche;
   nelle foto divulgate dal movimento Unidos si notano i canali che arrivano dritti sul livello massimo della falda idrica che affiora sul piano terra dello stabilimento;
   si tratta di un vero e proprio disastro ambientale considerato che quelle falde si riversano dritte sul Tirso, il più importante corso d'acqua della Sardegna;
   nei giorni successivi al sopralluogo del movimento Unidos si registrava un sopralluogo dei carabinieri del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente nella zona industriale di Ottana;
   un'azione pianificata dei carabinieri sulle aree industriali Syndial ed ex Montefibre;
   tutte le aree e gli immobili interessati sono stati puntualmente recintati e sequestrate dalle forze dell'ordine;
   si tratta di un'azione che, finalmente persegue quei gravissimi reati ambientali che hanno devastato Ottana e sui quali era calato un vergognoso silenzio;
   l'azione dei carabinieri e della procura di Nuoro deve aprire quel muro di omertà e complicità dietro quella devastazione ambientale;
   nella denuncia di Unidos risultano anche una serie di immagini dei carotaggi in quelle aree trasformate in abusive discariche per dimostrare cosa realmente accadeva nell'area industriale di Ottana con metri e metri di sostanze tossiche e nocive letteralmente sotterrate in tutta l'area circostante;
   è indispensabile intervenire immediatamente per l'attuazione della parte ambientale dell'accordo di programma quadro sui poli chimici richiamando le imprese e i soggetti responsabili ai propri obblighi;
   è indispensabile attivare un piano di bonifiche immediato dove valga e prevalga il principio «chi inquina paga»;
   è indispensabile la definizione di strumenti anche legislativi per disporre la completa bonifica e la rifunzionalizzazione dell'area industriale di Ottana,

impegna il Governo:

   ad attivare, per quanto di competenza, tutte le procedure per la piena attuazione dell'accordo, di programma sui poli chimici, a partire dalle questioni ambientali, di messa in sicurezza e di contestuale bonifica dei siti industriali a partire da quello di Ottana;
   ad assumere ogni iniziativa di competenza per richiamare ai propri obblighi i soggetti privati inadempienti sulla messa in sicurezza e sulle contestuali bonifiche;
   ad assumere iniziative, in ogni sede competente, per risolvere le problematiche di cui in premessa, anche ai fini del pieno risarcimento del danno provocato al territorio di Ottana;
   a promuovere un piano immediato di bonifica, attualizzato alle norme vigenti, da attuarsi senza ulteriori ritardi da parte delle società responsabili dell'inquinamento dell'ambiente;
   ad informare semestralmente le commissioni parlamentari competenti sull'attuazione di tali impegni.
(7-00915) «Pili».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta orale:


   BURTONE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 febbraio alle ore 16,34 è stata registrata dall'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia una scossa di magnitudo 4.2 della scala Richter avente come epicentro Ragusa;
   dalle 16,34 alle 19,00 della stessa giornata nell'ambito dello stesso territorio si sono registrate ben 22 scosse di cui la più intensa alle 18,57 pari a 3.7;
   le scosse sono state avvertite nitidamente dalla popolazione in tutta la Sicilia orientale in particolare a Siracusa e Catania e il susseguirsi dei fenomeni ha generato forte preoccupazione;
   la presenza di uno sciame sismico di siffatta intensità necessita di essere adeguatamente attenzionato considerata anche la classificazione di sismicità del territorio in questione;
   diventa indispensabile un'adeguata preparazione e una capillare diffusione di informazioni in caso di evento sismico;
   occorre monitorare tutti gli edifici pubblici a partire dalle scuole per verificarne la sicurezza –:
   quali iniziative siano state adottate dalla protezione civile per monitorare la sicurezza degli edifici pubblici in particolare delle scuole di ogni ordine e grado e degli ospedali nonché per offrire alla popolazione informazioni sulle modalità di comportamento in caso di evento sismico al fine di prevenire, nel limite del possibile, situazioni di emergenza. (3-02004)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MARCO DI STEFANO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in Roma insiste un importante impianto sportivo polivalente progettato dall'architetto Antonio Nervi con la collaborazione ingegneristico-strutturale di suo padre Pier Luigi, denominato stadio Flaminio;
   tale struttura è stata realizzata tra il 1957 e il 1958 ed inaugurata il 19 marzo 1959, per ospitare gli incontri del torneo olimpico di calcio del 1960 e la stessa sorge sul vecchio stadio nazionale costruito nel 1911 da Marcello Piacentini il quale nel 1949, dopo la tragedia di Superga, fu dedicato al grande Torino di Valentino Mazzola;
   ai sensi e per gli effetti dell'articolo 10 del codice dei beni culturali e del paesaggio del 2004, lo stadio Flaminio è un bene di interesse artistico e storico;
   lo stesso ancora oggi risulta essere il secondo stadio per capienza della Capitale e il più capiente tra quelli privi di pista d'atletica;
   tale preziosa struttura inutilizzata dal 2011, versa attualmente in uno stato di vergognoso degrado quale: corrosione delle armature metalliche, infiltrazioni dappertutto, ambienti devastati, strutture vandalizzate, locali tecnici prossimi al collasso, aiuole ridotte a boscaglie incolte nonché scarpini sbrindellati, brande arrugginite, medicine scadute, siringhe, lattine, bottiglie di alcolici spaccate, pezzi di marciapiedi malmessi, sugli spalti i resti di seggiolini e tanta ruggine, il campo è coperto da erbacce alte e sporcizia, la piscina è in disuso e le palestre di scherma non esistono più. All'interno spiccano segni evidenti di vandalismo da parte di chi, negli anni, ha approfittato dell'incuria per accedere all'impianto e disporne a suo piacere;
   nell'indifferenza generale, nella più totale incuria e abbandono, nel cuore della Capitale, a poche centinaia di metri da piazza del Popolo, a pochi metri dall'Auditorium di Renzo Piano muore un pezzo della storia italiana. Muore l'Italia delle Olimpiadi del 1960 che cambiarono Roma e che sono il simbolo del rimpianto boom economico;
   inoltre, dai media si apprende che due ingegneri, periti del tribunale di Roma, a cui il comune di Roma si è rivolto perché quantificasse i danni causati dall'assenza di manutenzione, hanno calcolato che basterebbero circa sei milioni di euro per riqualificare la struttura; stante l'asserita impossibilità economica della federazione sportiva gioco calcio di ristrutturare l'impianto; va infine rilevata l'inerzia dell'amministrazione capitolina –:
   se il Governo non ritenga anche alla luce della probabile individuazione di Roma come sede delle Olimpiadi, necessario assumere iniziative, per quanto di competenza, per il recupero non solo di un monumento simbolo di una Roma passata, ma anche di una importante ed utile struttura sportiva per la città.
(4-12022)


   CATANOSO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro della difesa, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   alcuni giorni fa, una trasmissione televisiva francese ha mandato in onda un servizio giornalistico in cui si riportavano alcune testimonianze ed alcuni fatti nuovi che, a giudizio dell'interrogante, dovrebbero far riaprire le indagini o, comunque, dare maggiore impulso alle stesse, sulla strage sopra l'isola di Ustica;
   successivamente, all'andata in onda della trasmissione televisiva francese, sono stati presentati numerosi atti di sindacato ispettivo;
   il Governo ha risposto ad uno di questi l'interpellanza n. 2-01242, il 29 gennaio 2016;
   la risposta del sottosegretario Della Vedova, a giudizio dell'interrogante, è insufficiente e pone l'accento su questioni irrilevanti sul piano della ricerca della verità fattuale e non fa alcun cenno ai rapporti diplomatici decennali con gli alleati nell'ambito della Nato;
   sulla presenza, nei cieli italiani, di numerose aviazioni militari alle e la notte del 27 giugno del 1980 non v’è alcun dubbio, così come non v’è alcun dubbio circa la difficoltà della magistratura inquirente italiana nel reperire, non soltanto le prove di quanto sospettato, ma finanche la semplice, collaborazione da parte delle istituzioni militari alleate;
   la magistratura italiana ha faticato non molto per ottenere quanto sperava dalle varie rogatorie internazionali presentate nei confronti delle istituzioni francesi e statunitensi e dei Governi alleati che, a giudizio dell'interrogante, non dovrebbero tenere tali comportamenti nei confronti della magistratura di uno Stato che sta ricercando la verità su una strage che è costata la vita a 81 cittadini italiani;
   dopo 35 anni dall'evento ed anche tenendo in gran conto la «ragion di Stato», due o tre Governi alleati dovrebbero compiere celermente tutti quegli atti che porterebbero a conoscere, finalmente, la verità in tempi accettabili dall'opinione pubblica italiana;
   a giudizio dell'interrogante, il Presidente del Consiglio dei ministri dovrebbe farsi carico di un'iniziativa nei confronti dei suoi omologhi francese e statunitense per rendere pubbliche e disponibili alla magistratura italiana tutte quelle informazioni ancora coperte da segreto e di accelerare la «declassificazione» di quelle già de-secretate –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Governo per risolvere le problematiche esposte in premessa.
(4-12029)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta scritta:


   PALAZZOTTO. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   numerosi report e dossier prodotti da organizzazioni umanitarie evidenziano continue, numerose e gravi violazioni dei diritti umani in Egitto;
   in particolare Amnesty International denuncia in diversi rapporti (gennaio 2014 e giugno 2015) numerosi casi di arresti illegali, uso della tortura, violenze di vario tipo;
   lo stesso rapporto sottolinea come siano i giovani i principali soggetti interessati all'applicazione della «legge anti proteste» entrata in vigore nel 2013 e che concede, di fatto, poteri illimitati alle forze di polizia e di sicurezza;
   il rapporto di Amnesty International del gennaio 2014 evidenziava come, in pochi mesi (luglio 2013-dicembre 2013) fossero oltre 1.400 i morti accertati in seguito a violenze politiche e che la maggioranza di questi fosse da addebitarsi ad un uso sproporzionato della violenza da parte delle forze di sicurezza;
   sempre Amnesty, a seguito della barbara uccisione del nostro connazionale Guido Regeni, ha ribadito la continua e palese violazione dei diritti umani in Egitto comunicando i dati relativi ad oltre 1.700 condanne a morte emesse e numerosi casi di «sparizione» e «sequestro» di giovani egiziani operanti in varie organizzazioni di opposizione;
   nell'agosto 2013, il consiglio dell'Unione europea ha decretato la sospensione delle licenze di esportazione verso l'Egitto di armi e materiali utilizzabili a fini di repressione interna;
   tale misura è stata caldeggiata e proposta soprattutto dall'attività diplomatica del governo italiano ed in particolare dal Ministro pro tempore Bonino; 
   dai dati raccolti dall'Osservatorio sulle armi leggere (Opal) di Brescia si evidenzia come il nostro Paese abbia proceduto alla vendita nel 2014 di 30 mila pistole e nel 2015 di 1236 fucili a canna liscia;
   la tipologia di tali armi è, di tutta evidenza, non destinata ad attività militari, ma pienamente utilizzabile da servizi di sicurezza e di polizia e, pertanto, utilizzabile in attività di repressione interna –:
   come si concilino i contratti stipulati per la vendita di armi che rientrano tra quelle sottoposte ad embargo con decisione del Consiglio dell'Unione europea con gli accordi comunitari;
   se il Governo non intenda, di fronte ai ripetuti e documentati report sulla situazione in Egitto promuovere sforzi diplomatici per chiedere il rispetto dei diritti civili e politici in Egitto;
   se il Governo non ritenga indispensabile promuovere un'iniziativa europea per la cessazione della violenza e della repressione ingiustificata da parte del Governo de Il Cairo. (4-12033)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il sito industriale di Ottana è oggetto di un gravissimo inquinamento ambientale legato all'attività industriale in gran parte dismessa, condotta negli anni in particolar modo dalle società collegate all'Eni;
   in tutto il sito industriale si rilevano gravissime omissioni sul piano delle bonifiche mancate e dello stato di inquinamento persistente e rilevante che l'interrogante ha rilevato, in un sopralluogo diretto, nell'area e nelle strutture dismesse;
   nel piano delle bonifiche dei siti inquinati, approvato con reiterati provvedimenti nel 2002/2003 dalla giunta regionale della Sardegna, si legge quanto segue:
  «il sito industriale nasce nel 1970 a Ottana, con l'insediamento quasi contemporaneo di tre grandi imprese che hanno segnato in maniera marcata questa area: due nel settore chimico-tessile e una nel settore metalmeccanico:
   la società Eni-Fibra e Chimica del Tirso, in seguito diventata Enichem Fibre, ed è situata nella riva destra del Tirso, nel territorio di Ottana;
   la società Siron, produzione di Fibra poliestere, oggi di proprietà della GTO (gruppo tessile di Ottana), è localizzata nel territorio comunale di Ottana, sulla riva sinistra del Tirso;
   la fabbrica Metalmeccanica del Tirso si trova nel territorio di Bolotana, di fronte all'insediamento Eni, oltre il fiume;
  l'impianto ex Siron ha conservato la stessa tipologia di produzione iniziale, pur con alcuni interventi di ristrutturazione e cambiamenti di proprietà;
  nella parte dell'agglomerato industriale ricadente nel territorio di Bolotana, la cessazione dell'attività della Metalmeccanica del Tirso, alla fine degli anni ’80, ha portato alla nascita di attività artigianali di vario tipo e fabbriche di riciclaggio di materie plastiche;
  al servizio dello stabilimento industriale esiste un impianto consortile di depurazione reflui che tratta anche i reflui domestici del comune di Ottana, nonché un forno per la termodistruzione dei rifiuti speciali provenienti dal comparto industriale e una Centrale Termoelettrica;
  l'insediamento industriale Syndial di Ottana occupa una superficie totale di 196 ettari, di cui 177 ettari recintati che contengono gli impianti produttivi e 19 ettari: esterni destinati a parcheggio e in parte incolti. La proprietà Syndial comprende 19 ettari esterni e 90 ettari interni. I restanti 87 ettari, sono di proprietà di diverse società coinsediate che hanno acquistato da Enichem pressoché la totalità degli impianti produttivi e delle aree di stoccaggio; tra queste vanno segnalate:
   1) Lorica Sud (tessuti plastici);
   2) Inca International (impianto Acido Tereftalico, e polimero poliestere);
   3) AES (Centrale termoelettrica);
   4) Landa (nuova proprietaria dell'impianto fibre acriliche dal 1997);
  nell'intera area industriale di Ottana sono inoltre presenti le società Montefibre (impianto chimico), la Legler Ottana (industria tessile), la Minitow (produzione di feltri per pennarelli), la Master Sarda (conceria), la Cooptex 84 (impianto di produzione di fibra acrilica sintetica);
  le industrie sono state interessate, nel corso degli anni, da diversi cambiamenti nell'assetto societario e produttivo, con dismissione di alcuni reparti e attività e la conseguente localizzazione di nuove imprese;
  attualmente Syndial non ha produzioni attive, avendo ceduto tutti gli impianti produttivi originari (produzione di fibre acriliche e poliestere e produzione utilities) alle società coinsediate fino alla recente cessione della centrale termoelettrica. Rimane proprietaria delle aree che non ospitano impianti produttivi, tranne per l'impianto ex confezionamento filo;
  nell'impianto Fibre Acriliche nel 1997, la proprietà Landa (nuova proprietaria dell'impianto) ha collocato un laboratorio sperimentale tessile;
  l'impianto Poliestere è stato dismesso e parte dei capannoni sono stati ceduti in affitto o in proprietà ad altre società;
  lo studio condotto ha rilevato un superamento dei limiti tabellari di cui al decreto ministeriale n. 471 del 1999, per la presenza del manganese nelle acque sotterranee. Emerge inoltre che l'inquinamento rilevato è correlabile alla presenza di zone di discarica e a perdite legate al degrado delle fognature, entrambe situate all'interno dell'ex impianto Enichem;
  i problemi di inquinamento delle aree interne all'impianto, legate alla discarica e alle fognature, così come indicato dal decreto ministeriale n. 471 del 1999 sono oggetto di studio specifico e gli eventuali interventi saranno regolati dal Protocollo d'intesa per il risanamento dei siti Enichem;
  lo studio dell'area è stato condotto dalla Sacesv s.c.r.l., per conto del Consorzio Asi della Sardegna centrale e ha riguardato, in particolare, le aree esterne all'agglomerato industriale ex Enichem. Da una prima analisi delle tipologie produttive e della loro permanenza temporale in attività nell'area industriale, si è potuto notare che gran parte degli impatti potenziali delle attività produttive sull'ambiente potrebbe essere attribuito a una rosa più ristretta di impianti quali:
   1) Montefibre (produzione di fibre acriliche);
   2) Syndial (gestione discariche intense al sito);
   3) AES (produzione di energia per combustione);
   4) Inca (produzione di PET e acido tereftalico);
   5) Depuratore Sa.Ce.Sv (incenerimento fanghi biologici);
  lo studio condotto ha rilevato un superamento dei limiti tabellari di cui al decreto ministeriale n. 471 del 1999, per il manganese nelle acque sotterranee. Emerge inoltre che l'inquinamento rilevato è correlabile alla presenza di zone di discarica e a perdite legate al degrado delle fognature; entrambe situate all'interno dell'ex impianto Enichem»;
   in seguito a quel piano e alle direttive per la gestione della sicurezza e della bonifica dell'intero comparto il 14 luglio 2003 – presso la Presidenza del Consiglio dei ministri è stato sottoscritto un APQ – accordo di programma quadro per i poli chimici della Sardegna – nel quale sono stati definiti gli stanziamenti e le azioni per l'avvio delle bonifiche urgenti nell'area industriale di Ottana;
   in quell'accordo di programma quadro si applicava, per la prima volta, il principio «chi inquina paga»;
   il dispositivo dell'accordo di programma quadro sul versante ambientale disponeva quanto segue:
  «avviando, contestualmente con gli strumenti della programmazione disponibili, un articolato piano di bonifica e reindustrializzazione dei siti chimici per la localizzazione negli stessi di nuove attività industriali;
  a tal fine, con il presente accordo, si prevedeva di:
   risanare e tutelare l'ambiente attraverso azioni di disinquinamento, bonifica e messa in sicurezza dei siti, di riduzione delle emissioni in atmosfera e di prevenzione dei rischi di incidenti rilevanti, non solo con riferimento a quelli previsti dai piani di caratterizzazione ai sensi del decreto legislativo n. 22 del 1997 di competenza delle imprese, ma anche a quelli esterni interessati da fenomeni di inquinamento specifico;
   avviare processi di reindustrializzazione dei siti bonificati;
  all'articolo 5 dell'accordo era prevista la puntuale tutela dell'ambiente;
  le azioni a tutela dell'ambiente, funzionali alla attuazione degli interventi previsti dal presente accordo, nel rispetto della vigente normativa regionale e nazionale, prevedono:
   lo smantellamento degli impianti dismessi e la messa in sicurezza e/o bonifica dei siti;
   l'individuazione dei piani di miglioramento sui temi dell'ambiente, e della sicurezza;
   la messa a punto di linee guida per la definizione del piano di sicurezza;
   la promozione di linee guida per ridurre i rischi nella movimentazione delle merci;
   la promozione di accordi volontari per la certificazione ambientale delle industrie chimiche;
   la creazione di un sistema integrato per il monitoraggio ambientale e la gestione del rischio industriale e delle emergenze»;
   nell'accordo era previsto inoltre che: «in relazione alla bonifica delle aree industriali interessate dagli insediamenti produttivi, la regione si impegna a procedere in tempi ristretti all'esame dei piani di caratterizzazione e di indagine presentati dai principali stabilimenti ai sensi dell'articolo 9 del decreto ministeriale n. 471 del 1999, regolamento di attuazione dell'articolo 17 del decreto legislativo n. 22 del 1997 ed a predisporre un programma stralcio che individui per ciascuno stabilimento la decorrenza dell'obbligo di bonifica, secondo quanto concordato nel Protocollo per gli interventi di risanamento ambientale dei siti EniChem S.p.A. e Polimeri Europa S.r.l. richiamato ai superiori “Visti”»;
   nell'accordo era anche previsto che:
  «i soggetti firmatari dell'Accordo di Programma verificheranno, con l'Assessorato Regionale dell'Ambiente, l'inserimento dei principi che hanno valenza generale contenuti nel suddetto Protocollo con riferimento alle recenti linee guida approvate dalla Giunta regionale;
  parallelamente alle azioni di caratterizzazione e bonifica condotte all'interno degli stabilimenti, nell'accordo era previsto l'impegno a procedere, nelle aree industriali interessate dal presente Accordo di Programma, alla realizzazione di interventi di indagine preliminare e monitoraggio nelle zone esterne agli Stabilimenti di pubblica pertinenza, con riferimento alle principali componenti ambientali (acque superficiali, profonde, suolo, sottosuolo) per la definizione del livello di inquinamento presente e delle possibili cause, al fine di individuare gli elementi di criticità per la destinazione d'uso delle aree e gli eventuali interventi di risanamento e bonifica;
  per valutare il livello di inquinamento sarà effettuata la caratterizzazione dei suoli e dei corpi idrici»;
   il monitoraggio doveva riguardare, prioritariamente, le aree industriali di Porto Torres, Sarroch, Assemini, Ottana, nonché le aree contermini; i dati saranno oggetto di confronto con quelli rilevati dai singoli stabilimenti;
   nell'accordo era previsto poi un capitolo dedicato al ruolo delle imprese che è posto in tali termini:
  «articolo 10 – Impegni delle imprese
  Le Imprese firmatarie dell'Accordo si impegnano a:
   investimenti per il miglioramento della sicurezza, anche in funzione delle recenti normative in materia e/o di riduzione dell'impatto ambientale;
   investimenti per la bonifica e messa in sicurezza dei siti produttivi anche in funzione dei previsti piani di reindustrializzazione delle aree di crisi»;
   all'articolo 13 – Disposizioni finali dell'accordo richiamato era previsto:
  «Il presente Accordo è vincolante per tutti i soggetti sottoscrittori.
  L'accordo ha durata fino al completamento degli interventi in esso precisati, è prorogabile e può essere modificato o integrato per concorde volontà dei partecipanti ed attuato con specifici protocolli aggiuntivi»;
   a fronte dell'aggravarsi della situazione di crisi del sito chimico di Ottana ed a seguito degli incontri con gli attori dei territorio, delle analisi e degli approfondimenti svolti nell'ambito dei tavoli di lavoro sopra richiamati, è stato predisposto uno specifico atto aggiuntivo che definisce nel dettaglio finalità, interventi, modalità attuative e risorse finanziarie per il sito di Ottana;
   l'accordo di programma risulta sottoscritto da: la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'economia e delle finanze, il Ministero per le attività produttive, il Ministero dell'ambiente, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali, la Regione Autonoma della Sardegna (Presidente Pili), l'Osservatorio nazionale per la Chimica, l'Osservatorio Regionale per la Chimica, Sviluppo Italia spa, la Provincia di Cagliari, la Provincia di Nuoro, la Provincia di Sassari, il Comune di Assemini, il Comune di Ottana, il Comune di Porto Torres, il Comune di Sarroch, il Comune di Uta, le OO.SS. Regionali, le OO.SS. Territoriali, CGIL, CISL, UIL, FULC Nazionale, FULC Regionale, FULC Territoriale, la Confindustria regionale, Confindustria Cagliari, Confindustria Nuoro, Confindustria Sassari, l'Api Sarda, la Federchimica, l'Unionchimica, il Consorzio per l'Area di Sviluppo industriale di Cagliari, il Consorzio per lo sviluppo industriale della Sardegna centrale, l'Area di Sviluppo Industriale di Sassari Porto Torres, Polimeri Europa, EVC (European Vinylis Corporation), Montefibre, AES, DOW, SASOL (Italy), Fluorsid, Lorica, Mini Tow, Territorio e impresa, Endesa;
   in un puntuale sopralluogo del Movimento Unidos nei giorni 24 e 25 gennaio 2016, nell'area industriale di Ottana, si accertavano situazioni gravissime sul piano ambientale che venivano denunciate pubblicamente con documenti fotografici e video;
   in particolar modo si accertava che decine di migliaia di metri quadri di capannoni della ex Montefibre erano attraversati da una rilevante falda idrica;
   veri e propri canali interni allo stabilimento, pieni di sostanze di ogni genere, finiscono verso volumi enormi sottoterra dove praticamente sta riaffiorando la falda idrica;
   sotto gran parte dello stabilimento ci sono 5 metri d'acqua affioranti che hanno praticamente realizzato una vera e propria diga sotterranea proprio sotto quel grande contenitore di veleni;
   centinaia di migliaia di metri cubi d'acqua a diretto contatto con ogni tipo di inquinamento, sia quello che si stava accumulando nei canali interni dello stabilimento che nelle aree trasformate in vere e proprie discariche;
   nelle foto divulgate dal movimento Unidos si notano i canali che arrivano dritti sul livello massimo della falda idrica che affiora sul piano terra dello stabilimento;
   si tratta di un vero e proprio disastro ambientale, considerato che quelle falde si riversano dritte sul Tirso, il più importante corso d'acqua della Sardegna;
   nei giorni successivi al sopralluogo del movimento Unidos si registrava un sopralluogo dei carabinieri del Comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente nella zona industriale di Ottana;
   si tratta di un'azione pianificata dei carabinieri sulle aree industriali Syndial ed ex Montefibre;
   tutte le aree e gli immobili interessati sono stati puntualmente recintati e sequestrati dalle forze dell'ordine;
   si tratta di un'azione che, finalmente, persegue quei gravissimi reati ambientali che hanno devastato Ottana e sui duali era calato un vergognoso silenzio;
   l'azione dei Carabinieri e della procura di Nuoro deve aprire quel muro di omertà e complicità dietro quella devastazione ambientale;
   nella denuncia di Unidos risultano anche una serie di immagini dei carotaggi in quelle aree trasformate in abusive discariche per dimostrare cosa realmente accadeva nell'area industriale di Ottana con metri e metri di sostanze tossiche e nocive letteralmente sotterrate in tutta l'area circostante;
   è indispensabile intervenire immediatamente per l'attuazione della parte ambientale dell'accordo di programma quadro sui poli chimici richiamando le imprese e i soggetti responsabili ai propri obblighi;
   è indispensabile attivare un piano di bonifiche immediato dove valga e prevalga il principio «chi inquina paga»;
   è indispensabile la definizione di strumenti anche legislativi per disporre la completa bonifica e la rifunzionalizzazione dell'area industriale di Ottana –:
   se non intenda assumere iniziative di competenza per attivare tutte le procedure per la piena attuazione dell'accordo di programma sui poli chimici a partire dalle questioni ambientali, di messa in sicurezza e di contestuale bonifica dei siti industriali, a partire da quello di Ottana;
   se non ritenga di assumere ogni iniziativa di competenza per richiamare ai propri obblighi i soggetti privati inadempienti sulla messa in sicurezza e sulle contestuali bonifiche;
   se non intenda assumere iniziative, in ogni sede competente, per risolvere le problematiche di cui in premessa, anche ai fini del pieno risarcimento del danno economico provocato al territorio di Ottana;
   se non ritenga necessario, con somma urgenza promuovere un piano immediato di bonifica, da attuarsi senza ulteriori ritardi da parte delle società responsabili dell'inquinamento dell'ambiente. (5-07724)


   PILI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 25 novembre 2015, n. 185, «Misure urgenti per interventi nel territorio» reca disposizioni di natura ambientale con particolare riferimento allo smaltimento delle cosiddette ecoballe della Campania;
   nel disposto legislativo si prevede quanto segue:
    «Articolo 2 – Interventi straordinari per la regione Campania;
   1. Al fine di dare esecuzione alle sentenze della Corte di Giustizia dell'Unione europea del 4 marzo 2010 (causa C-297/2008) e del 16 luglio 2015 (causa C-653/13), il Presidente della regione Campania predispone un piano straordinario d'interventi riguardanti:
    a) lo smaltimento, ove occorra anche attraverso la messa in sicurezza permanente in situ, dei rifiuti in deposito nei diversi siti della regione Campania risalenti al periodo emergenziale 2000/2009 e comunque non oltre il 31 dicembre 2009;
    b) la bonifica, la riqualificazione ambientale e il ripristino dello stato dei luoghi dei siti, di cui alla lettera a) non interessati dalla messa in sicurezza permanente e l'eventuale restituzione delle aree attualmente detenute in locazione ovvero ad altro titolo»;
   al punto 7 dell'articolo 2 del citato decreto si prevede in particolare che in via d'urgenza, anche nelle more dell'approvazione del piano di cui al comma 1, il presidente della regione Campania predispone e attua, previa approvazione della Giunta regionale, un primo stralcio operativo d'interventi per lo smaltimento di una quota non superiore al trenta per cento dei rifiuti di cui al comma 1, lettera a), mediante rimozione, trasporto e smaltimento, nonché mediante recupero energetico, presso impianti nazionali ed esteri, nel rispetto della normativa nazionale ed europea. A tale scopo, la regione Campania è autorizzata, ove necessario, all'utilizzo diretto delle risorse del fondo nei limiti di cui al comma 4;
   nel decreto si è, dunque, introdotta a parere dell'interrogante la clausola del «turismo delle ecoballe» con una disposizione esplicita: «mediante rimozione, trasporto e smaltimento, nonché mediante recupero energetico, presso impianti nazionali ed esteri»;
   il Governo Renzi e la regione Campania devono escludere, secondo l'interrogante, qualsiasi possibile trasporto delle ecoballe in Sardegna;
   aver previsto il trasporto via mare tra le possibili strade di movimentazione delle ecoballe non solo conferma il pericolo denunciato durante l'esame del decreto «Giubilieo ed ecoballe» ma lascia presagire sviluppi fin troppo chiari a giudizio dell'interrogante;
   il piano contenuto nel capitolato d'appalto della regione Campania e autorizzato dal decreto, il cui disegno di legge di conversione è stato approvato dalla Camera, fa esplicito riferimento al possibile trasporto via mare, così come avvenne nel 2008;
   senza nemmeno aspettare la conversione in legge, il presidente della Campania (PD) aveva infatti avviato l'appalto per lo smaltimento delle ecoballe della Campania prevedendo anche l'uso delle navi;
   il decreto ha autorizzato, infatti, il trasferimento delle ecoballe anche in altre regioni italiane e all'estero;
   in realtà, nel capitolato d'appalto, hanno inserito una modalità di trasporto che ripropone esattamente quanto denunciato dall'interrogante in Aula a Montecitorio: il Governo pianifica il trasporto di ecoballe via mare;
   è fin troppo, per l'interrogante, che le modalità di trasporto indicate lascino immaginare una destinazione delle ecoballe in Sardegna, considerato che le altre regioni, esclusa la Sicilia, che però sarebbe sovraccarica, sono raggiungibili via terra, gommato o treno;
   la regione Sardegna per l'interrogante deve esprimere un chiaro e immediato veto alla sola ipotesi, senza perdere altro tempo;
   aver avvallato, in sede di Conferenza unificata, il contenuto del decreto Renzi in materia, che prevede il turismo delle ecoballe, è già di per sé un fatto grave per l'interrogante;
   lo schema è per l'interrogante quello del 2008: da Napoli al porto Canale di Cagliari e poi al Casic, con codici autorizzativi, che sarebbero uguali a quelli richiesti nel capitolato d'appalto della regione Campania;
   è fin troppo chiaro l'attivismo di alcuni soggetti, operatori marittimi che gestiscono di tutto e di più, dalle bombe ai rifiuti, e di alcuni soggetti campani che pensano di trasformare la Sardegna in discarica di rifiuti;
   appare chiaro che, se nel 2008 la protesta fu spontanea, questa volta la reazione della Sardegna e dei sardi sarà organizzata;
   non sarà consentito ne a Renzi, né al silente presidente della regione di trasformare la Sardegna in una piattaforma di smaltimento delle ecoballe di Napoli e Campania;
   il trasporto via mare, fatto inserire nell'appalto, in Sardegna sarà rigettato senza mezze misure –:
   se il Ministro interrogato, per quanto di competenza non intenda chiarire formalmente e ufficialmente che non saranno trasferite ecoballe della Campania nel territorio della regione Sardegna;
   se non intenda smentire, per quanto di competenza, tale ipotesi che sembra emergere dal capitolato d'appalto della regione Campania;
   se non intenda assumere iniziative normative che impediscano l'allocazione in Sardegna di rifiuti di altre regioni, comprese le scorie nucleari, in virtù della sua condizione insulare e di regione a statuto speciale. (5-07756)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PARENTELA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   il progetto della cittadella energetica di Orlandino Greco – consigliere di maggioranza al comune di Castrolibero (CS) dal 2013 – è fermo, bloccato dal nucleo VIA del dipartimento ambiente della regione Calabria. L'ampliamento della discarica che sorge tra il polo scolastico di Castrolibero e il villaggio Evergreen sottoscritto il 27 ottobre del 2008 da un accordo tra comune di Castrolibero, la provincia di Cosenza allora retta da Mario Oliverio e la regione Calabria nonostante la normativa preveda una distanza minima di un chilometro – per ora non sarà portato a termine in quanto nel progetto, secondo i tecnici, sono emerse troppe «anomalie»;
   il comune di Castrolibero, in netto contrasto con la volontà dichiarata – in quanto sottoscrittore della carta di Aalborg – di ridurre i gas serra, ha decuplicato la capienza della discarica da 100 mila metri cubi a un milione di metri cubi di rifiuti «tal quale», il cui abbancamento è a giudizio dell'interrogante è ormai vietato dalla normativa vigente che prevede che siano stoccati e lavorati prima di arrivare in discarica;
   l'ampliamento della discarica poteva essere effettuato solo «previo adeguamento della viabilità esistente»; per questo motivo si costruì una strada, crollata pochi giorni or sono, su una vecchia discarica degli anni ’70, mai bonificata, sulla quale sarebbero dovuti passare i Tir per sversare i rifiuti;
   da notizie a mezzo stampa sembra che: «per la Cittadella Energetica siano stati ricevuti dal Comune di Castro libero ben tre milioni di ero dei cinque già stanziati. Soldi che sono serviti non solo a disboscare la zona e farla franare, ma anche per mettere a rischio la vecchia discarica di Rende, Sant'Agostino, tombata e da supervisionare. Sul sito i lampioni sono stati divelti dalla frana, i canali di scolo del percolato sono stati compromessi così come l'impermeabilizzazione del suolo che avrebbe impedito la contaminazione delle falde (...) Per il Comune di Castro libero e i periti della Regione le falde acquifere sottostanti sono contaminate dalla presenza di metalli pesanti, per l'Arpacal invece non esistono»;
   la vecchia discarica di Castrolibero che doveva essere ampliata è stata coperta con dei teloni per mitigare i cattivi odori. Le bolle Che si creano all'interno, però, potrebbero provocare incendi come è già successo, mentre il percolato ormai fuori controllo finisce direttamente nel fiume Campagnano –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti sopra esposti e se non intenda promuovere un accertamento da parte del comando dei carabinieri per la tutela dell'ambiente sullo stato dei luoghi nell'ottica di scongiurare il pericolo di inquinamento ambientale derivante dallo sversamento nel fiume Campagnano del percolato prodotto dalla discarica che sorge a quattrocento metri di distanza da scuole e abitazioni, vera e propria bomba ecologica tra Rende e Castrolibero.
(4-12031)


   BRUGNEROTTO, D'INCÀ, MASSIMILIANO BERNINI e L'ABBATE. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   alcuni uffici territoriali del Governo – prefetture seguono, nella procedura di nomina a guardia giurata per i volontari delle varie associazioni operanti nel settore zoofilo, un percorso normativo ritenuto non corretto, ovvero conferiscono la nomina basandosi o sul decreto del Presidente della Repubblica del 1979, istitutivo esclusivamente della onlus Ente nazionale protezione animali (Enpa) o sulla base dell'articolo 6 della legge n. 189 del 2004, senza verosimilmente effettuare alcuna preliminare verifica né della sussistenza o meno del preventivo e necessario riconoscimento dell'associazione richiedente da parte del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare o del Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, né sulle effettive capacità del soggetto richiedente;
   è indubbio che la normativa vigente stabilisce di non riservare esclusivamente ad Enpa l'attività di vigilanza e protezione del patrimonio zoofilo, bensì di ampliare l'area di operatività anche ad altre associazioni riconosciute, aventi le medesime finalità;
   la fonte giuridica legittimante la nomina dei volontari dell'Enpa è costituita dal decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1979, rimasto valido ed efficace anche in seguito all'intervento di provvedimenti legislativi successivi e che dota l'Enpa di una propria specifica normativa;
   tale decreto pone una prerogativa esclusiva in capo all'Enpa ed è istitutivo dell'attuale personalità giuridica dell'ente: «Perdita della personalità giuridica di diritto pubblico dell'Ente nazionale protezione animali, che continua a sussistere come persona giuridica di diritto privato»; il suddetto decreto, ridisegnando il ruolo dell'ente (trasformandolo cioè da ente di diritto pubblico in ente di diritto privato), ne ha garantito una continuità operativa e ha posto uno status chiaro delle guardie zoofile;
   infatti, il decreto del Presidente della Repubblica del 31 marzo 1979 ha mantenuto intatta la qualifica delle guardie particolari giurate; con riguardo alle guardie zoofile dell'Enpa, è testualmente affermato, all'articolo 5, che «Fermi rimanendo la qualifica di guardie giurate, le guardie zoofile aventi la qualifica di agenti di pubblica sicurezza perdono tale ultima qualifica e potranno essere utilizzate a titolo volontario...»;
   è conforme a tale orientamento anche la giurisprudenza dei Tribunali amministrativi regionali (Tar): ad esempio il Tar del Lazio sez. I – 11 luglio 2001, n. 6368, ha affermato che «a seguito del decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1979, con cui l'Enpa ha perso la personalità giuridica di diritto pubblico, continuando ad esistere come persona giuridica di diritto privato, i suoi agenti sono guardie giurate volontarie di un'associazione protezionistica nazionale riconosciuta, ai quali la legge 11 febbraio 1992 n. 157 conferisce espressamente i poteri di vigilanza e di accertamento indicati nell'articolo 28 commi 1 e 5...»;
   questo comporta che i volontari appartenenti all'Enpa possono essere nominati guardie zoofile frequentando obbligatoriamente ed unicamente un corso interno alla Onlus;
   per tali motivi, a giudizio degli interroganti, vanno ritenuti limitativi e non conformi al dettato normativo vigente, quei decreti prefettizi di nomina rilasciati dagli uffici territoriali del Governo – prefetture a favore di volontari Enpa, non basati sul decreto del Presidente della Repubblica del 1979, ma unicamente sulla legge n. 189 del 2004, ovvero emessi con limitazioni operative non previste;
   ciò per due motivi:
    in primo luogo perché la legge n. 189 del 2004 non istituisce una nuova figura di guardia zoofila, ma amplia unicamente, conferendo poteri di polizia giudiziaria, delle ipotesi di maltrattamento contro gli animali, i già attribuiti dalla normativa attualmente vigente alle guardie zoofile;
    in secondo luogo perché, così facendo, non solo la nomina è conferita in maniera impropria e con procedure di dubbia legittimità, ma si limita in toto la vera operatività della guardia zoofila, che in Italia non è assolutamente limitata unicamente ed esclusivamente alla tutela degli animali dalle ipotesi di maltrattamento;
   di converso, appare evidente per gli interroganti ritenere di dubbia legittimità anche quei decreti di nomina, conferiti da alcuni uffici territoriali del Governo – prefetture, in favore di volontari appartenenti ad altre associazioni operanti nel settore, sulla base delle normative poste dal suddetto decreto del Presidente della Repubblica del 1979, che, si ripete, riguarda esclusivamente nella onlus Enpa;
   vero è che nel 1992 il legislatore con la legge n. 157 è intervenuto in materia di tutela della fauna selvatica, delineando un quadro sanzionatorio specifico ed estendendo i compiti di vigilanza;
   infatti con l'articolo 27, comma 1, lettera b), della legge ha esteso anche alle «guardie volontarie delle associazioni venatorie, agricole e di protezione ambientale nazionali presenti nel Comitato tecnico faunistico-venatorio nazionale e a quelle delle associazioni di protezione ambientale riconosciute dal Ministero dell'ambiente, alle quali sia riconosciuta la qualifica di guardia giurata ai sensi del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza...»; la legge ha anche affidato alle guardie volontarie la vigilanza sull'attività venatoria – ma «fermo restando le disposizioni che disciplinano l'attività dell'Ente nazionale protezione animali» (articolo 37, comma 3);
   in tal modo, il legislatore ha previsto un procedimento amministrativo di nomina delle suddette guardie, ma lo ha fatto individuando requisiti soggettivi e di idoneità professionale specifici, necessari per ottenere la nomina prefettizia;
   nel 2004, poi, il legislatore è intervenuto nuovamente, con la legge n. 189, in materia di protezione animali, ridisegnando il quadro sanzionatorio previsto dal vigente codice penale ed estendendo, con l'articolo 6, comma 2, i compiti di vigilanza, con funzioni anche di polizia giudiziaria, «...alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute»;
   a parere degli interroganti, alla base di questa nuova norma, le prefetture hanno ritenuto, erroneamente, di poter nominare guardie particolari giurate anche quei volontari, appartenenti ad associazioni riconosciute e non, che si trovino al di fuori del contesto normativo tracciato dalla legge n. 157 del 1992;
   appare agli interroganti che sulla base dell'attuale normativa, la richiesta di nomina al prefetto non può essere avanzata da chiunque e da qualunque associazione che operi nel campo della tutela ambientale poiché questo non è di certo previsto dall'articolo 6 della legge n. 189 del 2004;
   per quanto concerne l'articolo 6 della legge n. 189 del 2004, gli interroganti ritengono che questo altro non pone che una norma estensiva dei compiti già attribuiti alle guardie zoofile già nominate secondo la legislazione vigente, che ne regolamenta l'attività di vigilanza e per la quale le guardie giurate zoofile, quali incaricati di pubblico servizio, possono essere impiegate; si richiama per comodità espositiva tale normativa:
    la legge n. 303 del 19 maggio 1954, che individua con precisione le funzioni di vigilanza «sull'osservanza delle leggi e dei regolamenti generali e locali relativi alla protezione degli animali, ivi compresi l'esercizio della caccia e della pesca»;
    l'articolo 37 della legge n. 157 del 1992, relativa alla vigilanza in materia di caccia;
    la legge n. 189 del 2004, in materia di maltrattamenti degli animali;
    la legge n. 281 del 1991, contenente disposizioni «in materia di affezione e prevenzione del randagismo»;
    il testo unico delle leggi sulla pesca, regio decreto n. 1604 del 1931;
    la legge n. 150 del 1992, relativa alla «disciplina del commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione» ed alle «norme per la commercializzazione e la detenzione di esemplari vivi di mammiferi e rettili che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica»;
    il decreto del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare del 19 aprile 1996, relativo alle «specie animali che possono costituire pericolo per la salute e l'incolumità pubblica di cui è proibita la detenzione»;
    il regolamento (CE) n. 1/2005, relativo alla «protezione animali durante il trasporto»;
    il decreto legislativo n. 151 del 2007, contenente le «disposizioni sanzionatorie per la violazione del regolamento (CE) n. 1/2005;
    il decreto legislativo n. 126 del 2011, di «attuazione della direttiva 2008/119/CE che stabilisce le norme minime per la protezione dei vitelli»;
    il decreto legislativo n. 146 del 2001, di «attuazione della direttiva 98/58/CE relativa alla protezione degli animali negli allevamenti»;
    il decreto legislativo n. 333 del 1998, di «attuazione della direttiva 93/119/CE relativa alla protezione degli animali durante la macellazione o l'abbattimento»;
    il decreto del Presidente della Repubblica n. 320 del 1954, recante «Regolamento di polizia veterinaria»;
   come, infatti, può rilevarsi dalla lettura del testo dell'articolo 6: «La vigilanza sul rispetto della presente legge e delle altre norme relative alla protezione degli animali è affidata anche, con riguardo agli animali di affezione, nei limiti dei compiti attribuiti dai rispettivi decreti prefettizi di nomina, ai sensi degli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale, alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute»;
   appare evidente per gli interroganti che il legislatore, con la norma in esame, non ha fatto altro che attribuire funzioni di polizia giudiziaria – limitandole solo per quella determinata tipologia di animali (animali di affezione), garantendo in questo modo una tutela penale degli animali contro le azioni di maltrattamento – «alle guardie particolari giurate delle associazioni protezionistiche e zoofile riconosciute»;
   ciò vuol dire che, per vedersi riconosciuto tale potere, il soggetto richiedente deve essere già stato nominato, con decreto prefettizio e nelle modalità stabilite per legge, guardia particolare giurata;
   non può di certo ritenersi la norma in esame, una norma istitutiva di una nuova figura di guardia zoofila, e quand'anche fosse ritenuta genitrice di tale nuova figura, ne limiterebbe l'operatività al solo intervento nella protezione degli animali dai reati di maltrattamento, eliminando tutti gli altri poteri, conferiti dalla normativa vigente;
   inoltre, altro aspetto di fondamentale importanza, e di grande allarme sociale è che, conferendo le nomine a guardie zoofile in base all'articolo 6 della legge n. 189 del 2004, si evita ai soggetti interessati tutto l’iter amministrativo stabilito dall'articolo 27, comma 2, della legge n. 157 del 1992;
   tale norma infatti prevede che la persona interessata ad ottenere il decreto di nomina a guardia giurata zoofila deve:
    appartenere ad una associazione riconosciuta dal Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
    deve essere iscritta dalla propria associazione e frequentare obbligatoriamente i corsi di formazione e di aggiornamento (previsti per guardie zoofile volontarie) presso le regioni di competenza;
    aver superato l'esame previsto a fine corso ed ottenuto il rilascio del consequenziale attestato e, se in possesso di tutti gli ulteriori requisiti previsti dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza può richiedere al prefetto il rilascio dei decreti di nomina a guardia particolare giurata;
   tutto ciò, ovviamente, qualora si conferissero le nomine ex articolo 6 della legge n. 189 del 2004, verrebbe bypassato, rilasciando in tal modo, secondo gli interroganti, nomine a soggetti impreparati e non idonei a ricoprire tale qualifica;
   non a caso, il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, in un parere del 22 luglio 2005, espresso in seguito a specifica richiesta dell'Enpa, è intervenuto sul punto, precisando che, le associazioni operanti nel campo della protezione animali, per poter ottenere la nomina prefettizia delle loro guardie, devono essere dotate di alcuni requisiti essenziali, tra cui:
    il carattere nazionale o almeno la presenza in cinque regioni, presenza accertata e documentata;
    le finalità programmatiche e dell'ordinamento interno previsti dallo Statuto, nel quale, ovviamente, devono essere presenti scopi protezionistici ambientali;
    la continuità dell'azione esterna, attraverso la quale una associazione può dimostrare il proprio apporto a tutela dell'ambiente, nei confronti della società;
   solo se tali requisiti essenziali sono presenti, l'associazione interessata, dopo aver ottenuto il riconoscimento rilasciato con decreto del Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare o dal Ministero delle politiche agricole alimentari e forestali, può richiedere la nomina prefettizia per i propri soci che intendono esercitare l'attività di vigilanza di protezione animali;
   pertanto, come ha affermato il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare «nessun altro riconoscimento, di alcun tipo, può essere preso in considerazione ai fini della nomina prefettizia»;
   tale precisazione fu fatta a monte, in quanto si volle chiarire come, per poter procedere alla richiesta di nomina e quindi alla iscrizione dei propri: volontari ai corsi di formazione regionali, non bastava essere una semplice associazione di volontariato, ma occorreva avere le caratteristiche sopra descritte, e questo al solo fine di porre un valido e approfondito controllo sulle associazioni effettivamente operanti sul territorio nazionale;
   a tal proposito, va evidenziata anche la nota emessa dalla divisione della polizia amministrativa e sociale della Questura di Roma, in data 5 maggio 2008 n. 004059 – Fasc. 12 Ass. Vol., ed inoltrata a tutti i responsabili delle associazioni di volontariato, nella quale vengono indicate chiaramente quali sono le diverse associazioni deputate a richiedere la nomina prefettizia a guardie giurate in favore dei propri volontari;
   è inoltre chiarito che:
    le guardie zoofile nominate con decreto prefettizio, ai sensi dell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica del 31 marzo 1979, e articolo 6, comma 2, della legge n. 189 del 2004 che, nei limiti dei compiti ad esse attribuiti, svolgono le proprie funzioni in base agli articoli 55 e 57 del codice di procedura penale;
    le guardie zoofile nominate ai sensi di leggi regionali, che sono invece abilitate ai compiti di vigilanza di volta in volta previsti dalle leggi regionali stesse, e che durante il servizio non rivestono qualità di polizia giudiziaria;
   quest'ultima è la seconda tipologia di nomina ed è quella rilasciata dal presidente della giunta regionale competente territorialmente; ma, in questo caso, i soggetti nominati svolgono una mera attività di vigilanza sull'applicazione della normativa regionale e non rivestono, nell'ambito di tale servizio, le funzioni di polizia giudiziaria;
   per questa tipologia di guardie zoofile poi, l'iter di rilascio è ben differente rispetto a quello adottato per le guardie dell'Enpa; infatti, tutte quelle associazioni che si occupano della protezione degli animali e della difesa del patrimonio zootecnico, che non sono dotate di un proprio decreto istitutivo per cui, come specificato, rientrano nella prima categoria, per ottenere il rilascio di decreti di nomina a guardia giurata zoofila volontaria da parte delle prefetture, devono sottostare alla regolamentazione dettata dalle leggi regionali;
   ne consegue che, non potendo fondare le proprie richieste di nomina delle guardie zoofile su altra normativa vigente, tali osservazioni devono obbligatoriamente procedere alla iscrizione di propri volontari ai corsi di formazione e di aggiornamento (previsti per guardie zoofile volontarie) presso le regioni di competenza e sottostare a tutti, gli obblighi sopra specificati;
   tanto premesso, al fine di porre chiarezza sull'argomento ed evitare diversificate interpretazioni e, di conseguenza, diffusi ricorsi sul territorio nazionale alla giustizia amministrativa; il giudice amministrativo potrebbe infatti essere adito dalle varie associazioni aventi legittimo interesse, con l'ulteriore rischio di generare una giurisprudenza non uniforme, rilevata la complessità della materia; e potrebbero essere messi in circolazione soggetti non idonei a ricoprire la qualifica che gli viene attribuita, non essendo strati sottoposti ad alcuna valutazione né formazione –:
   se i Ministri interrogati non ritengano necessario assumere iniziative, per quanto di competenza, con conferimento alle nomine a guardia volontaria zoofila, facendo chiarezza sulle questioni interpretative attinenti il decreto del Presidente della Repubblica 31 marzo 1979 e l'articolo 6 della legge n. 189 del 2004. (4-12035)


   NICCHI e REALACCI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il sentiero costiero di Galenzana, una spiaggia del comune di Campo nell'Elba e nel parco nazionale dell'Arcipelago Toscano, simbolo delle battaglie ambientaliste contro un mega-porto che si sarebbe voluto realizzare nella baia e la speculazione edilizia, è riportato nelle cartografie dell'Igm ufficiali della regione Toscana e del piano del parco nazionale dell'Arcipelago Toscano ed in quelle più recenti sulla sentieristica, ma questo non ha impedito ai proprietari di un vicino «agriturismo» di tentare ripetutamente, da più di 10 anni a questa parte, di occultare il sentiero prima con frasche e ginestra spinosa, poi con massi e piccole frane provocate, per impedire l'accesso a quella che sembra essere l'area che sembra star loro più a cuore: una ex fornace trasformata con modalità di dubbia legittimità in mini-appartamento;
   ora la chiusura del sentiero costiero per Galenzana, che negli anni si era trasformato anche nell'unico accesso alle altre spiagge dei Salandri, è diventata realtà, con la realizzazione di due staccionate: una al bivio dopo la chiesina, con un cartello che indirizza al «nuovo» sentiero realizzato, ed ampliato con mezzi meccanici e demolizione di muretti a secco, anche nella zona B del parco nazionale – per mandare i turisti verso Galenzana, l'altra proprio prima della discesa verso i Salandri;
   il sentiero costiero, che era stato restaurato negli anni ’90 grazie ad un'iniziativa di volontariato ambientale di Legambiente, patrocinata dall'Associazione albergatori elbani, dal comune di Campo nell'Elba e dalla Rai, è stato del tutto chiuso, con una staccionata e nuovo materiale vegetale scaricato dietro la seconda staccionata, a costituire una nuova barriera a protezione della « privacy» della fornace/miniappartamento;
   il percorso costiero chiuso, che sia il comando del Corpo forestale dello Stato di Marciana Marina che il Parco nazionale dell'Arcipelago Toscano hanno più volte confermato, anche in occasioni pubbliche, promosse dallo stesso comune di Campo nell'Elba, essere un sentiero pubblico, come attesta la presenza di una discesa in cemento sul lato nord-occidentale della spiaggia, portava al vero accesso a Galenzana, reso impossibile da un crollo avvenuto negli anni 2.000, che ha costretto bagnanti ed escursionisti a realizzare un piccolo percorso alternativo. Anche questo tratto crollato, per il quale Legambiente, cittadini, turisti e altre associazioni hanno sollecitato più volte, anche con petizioni e manifestazioni, il ripristino negli anni passati, è stato lasciato degradare fino all'impercorribilità;  
   il percorso è stato chiuso con due staccionate che attestano a giudizio degli interroganti l'impossessamento di un sentiero cartografato; di conseguenza, la gente che vuole raggiungere i Salandri, a quanto consta agli interroganti, si sta creando pericolosi passaggi a danno della vegetazione protetta dal parco nazionale e di una zona speciale di conservazione e della zona di protezione speciale Monte Capanne e promontorio dell'Enfola;
   Legambiente ed altre associazioni hanno più volte invitato le precedenti e l'attuale amministrazione comunale di Campo nell'Elba a mettere fine a queste prepotenze, culminate negli anni passati anche in diversi abusi nella zona che hanno portato a sequestri e all'avvio di procedimenti penali, e a far riaprire e liberare, immediatamente, da occultamenti ed ostacoli il tratto costiero del sentiero che congiungeva Marina di Campo a Galenzana e divenuto l'unico accesso ai Salandri;
   lo stesso parco nazionale dell'Arcipelago Toscano, durante un incontro tenutosi nell'estate 2015 nella sala consiliare del comune di Campo nell'Elba, aveva annunciato che non avrebbe autorizzato nessun adeguamento per le costruzioni esistenti nell'agriturismo, se non si fosse risolta la problematica del libero accesso alla sentieristica dell'area di Galenzana, in particolare per quanto riguarda l'ampliamento e spostamento e la chiusura di sentieri più volte segnalati da escursionisti, turisti e da Legambiente;
   non appare chiaro se quanto realizzato e in corso di realizzazione sia conforme al piano urbanistico del comune, alla legge forestale della regione Toscana ed agli eventuali permessi rilasciati ed alle modalità previste di intervento per il taglio di macchia mediterranea;
   inoltre, si sta discutendo della creazione di un accesso per i mezzi motorizzati, alternativo a quello attuale che prevede il passaggio dal centro storico di Marina di Campo, ma che andrebbe ad interessare nuovamente la sentieristica esistente. Mentre i proprietari dei terreni confinanti con l'agriturismo sopra richiamato e Legambiente segnalano sconfinamenti di mezzi meccanici motorizzati e abbattimenti di vegetazione per tentare di ampliare sentieri esistenti al fine di permettere il passaggio di mezzi motorizzati e addirittura per creare nuovi percorsi nel bosco mediterraneo;
   intanto, agli immediati confini del parco nazionale e della ZC/ZPS sono in corso lavori di taglio e abbruciamento per ricostituire un ex uliveto e per i quali gli ambientalisti hanno fatto rilevare presunte irregolarità e possibili interventi su specie protette dalla cosiddetta «direttiva Habitat» –:
   se, risulti al Governo che per quanto realizzato ed in corso di realizzazione, sia stata effettuata una valutazione di incidenza, necessaria in un'area contigua ad un'area ZSC/ZPS e per lavori che interessano la macchia mediterranea e specie inserite nella cosiddetta direttiva Habitat;
   se quanto realizzato e in corso di realizzazione nell'area di cui in premessa sia conforme ai vincoli paesaggistici che ricadono sulla stessa e se si intendano assumere le iniziative di competenza per riaprire la sentieristica pubblica chiusa;
   se il parco nazionale dell'Arcipelago toscano abbia concesso i nulla osta relativi agli ampliamenti richiesti per le strutture presenti a Galenzana e se questi comportino anche un eventuale cambio di destinazione d'uso e se riguardino anche immobili eventualmente oggetto di condoni o sanatorie. (4-12041)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   RICCIATTI, FERRARA, DANIELE FARINA, FRANCO BORDO, PLACIDO, AIRAUDO, GREGORI, SCOTTO e PANNARALE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 gennaio 2016 è stato pubblicato su « Ilfattoquotidianonline.it» un articolo a firma di Alberto Crepaldi dal titolo «Expo, flop turismo: nei primi dieci mesi 2015 stranieri in Italia cresciuti di 1,9 milioni contro gli 8 attesi» ove si legge che seppur aumentano la presenza e la spesa dei turisti stranieri in Italia, del volano che Expo 2015 avrebbe dovuto rappresentare per l'Italia ci sia ben poca traccia, a cominciare dal milione di cinesi che, stando alle previsioni dell'ex commissario Giuseppe Sala, sarebbe dovuto arrivare in Paese. In particolare, si legge nel citato articolo: «È questa la sintesi estrema dell'articolato aggiornamento di Bankitalia sul turismo internazionale relativo ai primi dieci mesi dell'anno. Durante i quali, a fronte di trend di crescita dei flussi di turismo mondiale anche a doppia cifra, le spese dei viaggiatori stranieri in Italia sono solo lievemente aumentate, attestandosi a 32.135 milioni (+4,7% sul 2014). E producendo così un avanzo di 12.970 milioni di euro (era 11.860 milioni nello stesso periodo dello scorso anno) rispetto alle spese fatte dagli italiani all'estero, ammontate a 19.164 milioni. Nello specifico, la spesa degli stranieri arrivati nei confini nazionali per qualche giorno di villeggiatura (quindi non per affari o altri motivi) è stata pari a 21,3 miliardi di euro (+6,3% sul 2014). Dalla classifica dei viaggiatori più “spendaccioni” vengono conferme, ma anche alcune sorprese. I turisti tedeschi rimangono saldamente sul più alto gradino del podio, con 4,95 miliardi di euro spesi in Italia, seguiti da quelli statunitensi (3,91), francesi (3,18), dai sudditi della regina Elisabetta (2,72), dai viaggiatori svizzeri (2) e austriaci (1,4). I turisti asiatici hanno speso complessivamente 2,2 miliardi di euro, ma è il Giappone a fare la parte del leone (circa 1,3 miliardi di euro), mentre la Cina non arriva a 300 milioni di spesa (292), peraltro arretrando sensibilmente rispetto al dato dell'analogo periodo dello scorso anno (389 milioni di euro). Degno di nota è il balzo della spesa degli australiani (1 miliardo contro gli 858 milioni del 2014), mentre risulta più contenuto l'incremento sul fronte canadese (920 milioni contro 881). Il dato dei pernottamenti conferma lo stato di buona salute del turismo italico: il numero di viaggiatori stranieri che hanno trascorso almeno una notte in albergo ha avuto un incremento (+4,5%) e i pernottamenti per vacanza sono aumentati del 5,8% (da 189,8 a 192,9 milioni). Numeri in linea e in alcuni casi addirittura inferiori a quelli misurati sui primi otto mesi dall'ultima indagine della “European Travel Commission” su un panel di Paesi europei. Che però non hanno avuto il traino di una esposizione mondiale»;
   secondo quanto riportato dall'articolo in commento, a ben guardare da alcune delle oltre cento tabelle presenti nell'analisi di via Nazionale emerge la certificazione, almeno parziale, del flop di Expo 2015 come elemento catalizzatore di turismo per l'Italia. E soprattutto per la Lombardia, dove regione e sistema camerale avevano addirittura dato vita ad una società ad hoc per favorire «lo sviluppo turistico della Lombardia in occasione dell'anno di Expo»;
   gli organizzatori di Expo hanno sempre parlato di una stima, mai smentita, pari a circa otto milioni di visitatori stranieri che avrebbe dovuto essere calamitati dall'evento. Milioni aggiuntivi, naturalmente, rispetto ai flussi turistici che tradizionalmente sono ospitati dall'Italia, ma stando ai dati elaborati da Bankitalia il numero di viaggiatori stranieri in Italia è sì aumentato, ma di 1,9 milioni di unità, passando da 43,2 a 45,2 milioni;
   il dato più clamoroso riguarderebbe peraltro la Lombardia, che ha visto aumentare il numero di visitatori generici di appena 736.000 unità (da 17,5 a 18,2 milioni). Mentre il numero di viaggiatori giunti in Lombardia per passare un periodo di vacanza è aumentato di appena 583 mila unità, passando da 5,5 a 6,1 milioni. Numeri, questi, che trovano conferma nel dato sulla spesa degli stranieri approdati in Lombardia fino al 30 ottobre di quest'anno e che ha avuto, nel confronto con lo stesso arco di tempo del 2014, un incremento inferiore alle aspettative: da circa 2 a 2,25 miliardi di euro –:
   se il Ministro interrogato sia grado di confermare i dati riportati in premessa e quali elementi intenda fornire sul volume dei ricavi prodotto dalla vendita dei biglietti di Expo, sul numero degli stranieri che hanno visitato la manifestazione e la relativa provenienza, al fine di pervenire ad una analisi oggettiva sui flussi e calibrare così al meglio le azioni di promozione e commercializzazione del brand Italia sui mercati del turismo mondiale. (5-07730)


   CANCELLERI, FANTINATI, DA VILLA, CRIPPA, DELLA VALLE e VALLASCAS. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'ENIT (Agenzia nazionale del turismo) è l'ente che ha il compito di promuovere l'immagine unitaria dell'offerta turistica nazionale e di favorirne la commercializzazione secondo i seguenti obiettivi: cura la promozione integrata delle risorse turistiche delle regioni; promuove le varie tipologie dell'offerta turistica nazionale; realizza le strategie promozionali a livello nazionale e internazionale, di informazione all'estero e di sostegno alla commercializzazione dei prodotti turistici italiani; svolge attività di consulenza e di assistenza per lo Stato, le regioni e per gli altri organismi pubblici in materia di promozione di prodotti turistici, individua idonee strategie commerciali che permettano all'Italia di presentarsi in modo efficace sui mercati stranieri; organizza servizi di consulenza, assistenza e collaborazione in favore di soggetti pubblici e privati, ivi compresi gli uffici e le agenzie regionali, per promuovere e sviluppare processi indirizzati ad armonizzare i servizi di accoglienza e di informazione ai turisti e attua forme di collaborazione con gli uffici della rete diplomatico-consolare del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   da fonti giornalistiche si apprende che, dopo la trasformazione in ente pubblico economico, ENIT non riesca a gestire l'ordinaria amministrazione, come pagare le imprese di pulizia, le agenzie di sorveglianza degli uffici, le bollette del telefono e della luce, gli stipendi dei 78 dipendenti della sede centrale di Roma, gli impiegati nelle sedi periferiche sparse in tutto il mondo, gli affitti delle sedi estere non ospitate nelle ambasciate italiane, Mosca, Francoforte, Madrid e Pechino;
   da fonti giornalistiche si apprende che il nuovo direttore del Ministero Francesco Palumbo, ha inviato una lettera al consiglio d'amministrazione di ENIT in cui si legge: «Con nostra nota dell'11 dicembre si è richiesto sia il consuntivo al 7 ottobre 2015 dell'Enit ente pubblico non economico, sia il preventivo dall'8 ottobre al 31 dicembre 2015 del nuovo ente trasformato, nonché il bilancio preventivo per il 2016. Se aveste rispettato questi adempimenti, ammonisce il collaboratore del ministro, avreste "acquisito tutti gli elementi necessari per predisporre quanto richiesto»;
   se la notizia risultasse veritiera, l'ente che dovrebbe promuovere l'immagine della Penisola nel mondo, si troverebbe senza fondi – oltre che senza strategia come confermato dallo stesso consiglio d'amministrazione durante l'audizione in Commissione attività produttive – proprio nell'anno del Giubileo;
   la redazione del bilancio preventivo 2016 risulta, quindi, slittata e non si sa quali risorse può contare e soprattutto su quale organico, visto che i dipendenti della vecchia gestione manterranno il contratto pubblicistico;
   all'interno del consiglio d'amministrazione di ENIT sembrano emersi dei conflitti di interesse. Difatti, l'amministratore Lazzerini pare continui ad essere nello stesso tempo il responsabile della compagnia aerea estera, Emirates e il consigliere Antonio Nicola Preiti è proprietario al 77 per cento di una società, Sociometrica, che si occupa della «organizzazione, promozione e realizzazione di iniziative nel campo della promozione turistica». Lo stesso identico lavoro che svolge l'Enit –:
   se corrispondano al vero i fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere per eliminare i conflitti di interesse all'interno dell'ENIT e risanare i problemi economici ed organizzativi che riguardano l'ente medesimo. (5-07731)


   GALGANO e BOMBASSEI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   vista la necessità di riaffermazione dell'unicità e del valore del «prodotto e del territorio Italia», occorrerebbe innalzare il numero degli arrivi e delle presenze sulla globalità del territorio nazionale, agevolando l'innalzamento degli standard qualitativi dell'offerta turistica nazionale, migliorando le strutture esistenti e creandone anche in aree ad elevato potenziale ma con scarsa capacità ricettiva;
   al fine di accrescere la remuneratività per l'intero comparto ricettivo, è importante supportare lo sviluppo di attività strutturate in grado di produrre effetti positivi e duraturi sulle economie degli specifici territori, anche attraverso efficaci attività di promozione e di comunicazione, svincolare l'offerta nazionale dai condizionamenti degli operatori esteri, produrre offerte definite e calibrate sugli specifici target di riferimento, valorizzare le offerte locali accrescendone la valenza e la visibilità, destagionalizzare l'offerta e l'afflusso turistico;
   per favorire lo sviluppo del comparto turistico, tenuto conto anche dell'imponente stabile ricaduta occupazionale, è necessario definire e porre in essere in tempi brevi strategie, progetti ed attività in grado di produrre effetti e ricadute positive sui settori di riferimento, evitando il ricorso all'ennesima infruttuosa sperimentazione e garantendo che lo sviluppo dei progetti e delle attività sia curato da specialisti ed aziende in possesso del know how, delle competenze, conoscenze, esperienze e consapevolezze necessarie per l'ottenimento del massimo risultato;
   per recuperare in tempi brevi l'enorme gap accumulato dal nostro Paese nei confronti dei competitor esteri, anche in considerazione dei contributi, consigli, indicazioni, richieste ed istanze pervenute dalle varie associazioni operanti nel settore (consorzi di albergatori e di agriturismi, aziende di promozione del turismo, singoli albergatori e titolari di attività ricettive assessorati al turismo e sviluppo economico, associazioni pro loco, comitati nazionali e internazionali), si avverte l'esigenza di accrescere la valenza del potenziale e dell'offerta nazionale nei mercati mondiali, sviluppare proficue attività di marketing, promozione e comunicazione, introducendo strumenti innovativi capaci di agevolarle, definire percorsi ed iniziative concordate e condivise dai territori in grado accrescere la competitività complessiva dell'offerta nazionale, concepire l'offerta turistico ricettiva quale imprescindibilmente legata a quella delle produzioni e dei prodotti italiani;
   a tal fine, sarebbe altresì opportuna la valorizzazione delle risorse e delle potenzialità progettuali già selezionate nell'ambito dei programmi d'innovazione industriale denominati «Industria 2015», principalmente all'obiettivo C, gestiti dal Ministero dello sviluppo economico che risultano pienamente rispondenti alle esigenze sopra espresse e che hanno la potenzialità di contribuire fattivamente allo sviluppo di iniziative ed attività in grado di accrescere in breve tempo la competitività dell'offerta nazionale –:
   se, per favorire uno dei settori chiave dell'economia nazionale quale è il turismo, fin troppo trascurato ed abbandonato alla libera iniziativa delle imprese operanti nello stesso, non sia opportuna la costituzione di una cabina di regia nazionale in grado di gestire, quale struttura di coordinamento, il complesso delle iniziative finalizzate alla valorizzazione e sviluppo delle potenzialità espresse dagli enti, aziende e strutture delle pubbliche amministrazioni centrali e periferiche, nell'ottica di una proficua razionalizzazione delle attività attualmente sviluppate localmente e senza alcuna strategia di base, al fine di consentire l'adozione di un programma strategico e la definizione di una univoca politica promozionale nazionale, nonché l'introduzione di servizi, prodotti, strumenti ed innovazioni capaci di rendere competitiva l'offerta nazionale e recuperare in tempi brevi l'enorme gap accumulato dal nostro Paese nei confronti dei competitor esteri. (5-07732)


   BENAMATI, ARLOTTI, CAROCCI, ASCANI, D'OTTAVIO, DALLAI, MALISANI, TIDEI, BARGERO, GHIZZONI, SGAMBATO, SCUVERA, SENALDI, CAMANI e BECATTINI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il sito TripAdvisor offre consigli di viaggio pubblicati da milioni di viaggiatori e i siti a marchio TripAdvisor rappresentano in 47 Paesi la più grande community di viaggiatori del mondo, con 350 milioni di visitatori unici ogni mese e più di 290 milioni di recensioni e opinioni relative a 5,3 milioni di alloggi, ristoranti e attrazioni;
   in un recente articolo, pubblicato da Il Messaggero del 22 giugno 2015, viene riportata la notizia di un esperimento condotto da «Italia a Tavola» per verificare l'attendibilità di TripAdvisor: «Italia a Tavola» avrebbe iscritto al sito un ristorante, «La scaletta», mai esistito, a Moniga del Garda, attribuendogli recensioni ottime e facendolo balzare in cima alle classifiche del gradimento;
   nel 2014 l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha avviato un procedimento per «pratica commerciale scorretta» per verificare se la società TripAdvisor adotti misure idonee a prevenire e limitare il rischio di pubblicazione di false recensioni usate per pubblicizzare le strutture e screditare le concorrenti; nel 2012 il periodico Il Salvagente ha raccontato la paradossale offerta commerciale che si è vista recapitare la stragrande maggioranza dei 1.100 albergatori di Rimini, da una fantomatica Delta System, «agenzia promozionale on web», che proponeva pacchetti di recensioni positive per migliorare il posizionamento delle strutture ricettive sul sito TripAdvisor;
   nel 2010 Federalberghi ha inviato all'Autorità garante della concorrenza e del mercato una segnalazione di presunta scorrettezza delle pratiche commerciali poste in essere da TripAdvisor evidenziando anche come un grande problema dei commenti sul web sia dato dalla possibilità di pubblicazione in forma anonima, che falserebbe la libera concorrenza;
   è opportuno prevedere una regolamentazione di questi servizi, al fine di scongiurare la possibilità che, l'inserimento di false recensioni, create ad opera di soggetti che adottano tecniche di concorrenza sleale schermati dall'anonimato dalla rete, possano screditare l'immagine delle strutture recensite, procurando ricadute negative in termini economici di attività commerciali che hanno lavorato, per tanti anni, nella creazione di un'alta reputazione e di un'immagine riconosciuta a livello nazionale –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e quali iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di evitare le false recensioni sui siti web, valutando l'introduzione di un riconoscimento di certificazione e affidabilità delle recensioni, a garanzia della tracciabilità e credibilità di coloro che esprimono i loro giudizi. (5-07733)


   ALLASIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con l'entrata in vigore della legge europea n. 97 del 2013 è stata completamente revisionata l'attività delle guide turistiche in Italia;
   l'articolo 3, della citata legge n. 97 del 2013, stabilisce infatti, al comma 1, che «l'abilitazione alla professione di guida turistica è valida su tutto il territorio nazionale», mentre al comma 2, precisa che «i cittadini dell'Unione europea abilitati allo svolgimento dell'attività di guida turistica nell'ambito dell'ordinamento giuridico di un altro Stato membro operano in regime di libera prestazione dei servizi senza necessità di alcuna autorizzazione né abilitazione, sia essa generale o specifica»;
   il citato articolo interviene sulla procedura di pre-infrazione (EU Pilot 4277/12/MARK) riferita a violazioni della direttiva «servizi» (2006/123/CE) da parte di leggi regionali che consentono l'esercizio della professione soltanto nel relativo territorio regionale di competenza, al fine di consentire la libera prestazione di servizi di guide turistiche di altri Stati membri su tutto il territorio nazionale;
   l'eliminazione dell'ambito territoriale pregiudica la competenze e la professionalità delle guide turistiche italiane, a danno della qualità del servizio e della corretta comprensione del patrimonio culturale italiano; oltretutto, si mettono a rischio di validità migliaia di abilitazioni di guida turistica già rilasciate;
   la libera circolazione delle guide europee è già prevista da anni nel nostro Paese ai sensi della direttiva 2005/36/CE e la modifica prevista dall'articolo 3 della citata legge europea 2013 non può essere imposta all'Italia, perché in materia di professioni e beni culturali vige il principio di sussidiarietà che lascia allo Stato membro il potere di decidere in quali termini disciplinare l'accesso e l'esercizio della professione sul proprio territorio;
   la professione di guida turistica è essenziale per la valorizzazione del settore e in base al decreto del Presidente della Repubblica del 13 dicembre 1995 (atto di indirizzo e coordinamento in materia di guide turistiche), le guide sono gli unici professionisti specializzati a illustrare correttamente ai visitatori il patrimonio culturale italiano, migliorando la sua divulgazione e contribuendo così alla sua valorizzazione e tutela;
   è necessario che l'Italia si doti quanto prima di un'adeguata ed organica regolamentazione della professione di guida turistica, al fine di riconoscere, non solo la specificità territoriale nazionale di tale professione, ma anche le necessarie competenze cognitive proprie di ciascuna territorialità del Paese, anche per contrastare eventuali fenomeni di abusivismo dell'attività sul territorio nazionale, a danno del patrimonio storico e culturale italiano –:
   fermo restando il rispetto del principio di sussidiarietà, in base al quale devono restare inalterate le caratteristiche essenziali della professione richieste dalle leggi nazionali, se intenda assumere iniziative per procedere a una revisione organica e complessiva della disciplina relativa all'esercizio della professione di guida turistica, che tenga conto delle necessarie competenze cognitive per lo svolgimento della professione, che sono proprie di ciascuna territorialità del Paese, anche per contrastare eventuali fenomeni di esercizio abusivo della professione sul territorio nazionale. (5-07734)

VII Commissione:


   MOLEA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   per fronteggiare esigenze temporanee legate alla tutela, vigilanza e ispezione, alla protezione e conservazione nonché alla valorizzazione dei beni culturali nei luoghi e negli istituti statali, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha pubblicato il bando di concorso 2016 finalizzato all'assunzione di 60 esperti laureati;
   tale bando impone il limite di età dei quarant'anni, non tenendo conto di una recente sentenza della Corte di giustizia dell'Unione europea (2014) che dichiara ingiustificata discriminazione tale limite, sulla base della direttiva 2000/78/CE del 27 novembre 2000;
   la normativa europea ammette deroghe al principio della non discriminazione su base anagrafica, ma queste, sempre secondo la direttiva 78 del 2000, devono essere «giustificate oggettivamente da finalità legittime perseguite attraverso mezzi appropriati e necessari»;
   in altri casi, strettamente limitati, una disparità di trattamento può essere giustificata quando una caratteristica collegata all'età costituisce «un requisito essenziale e determinante per lo svolgimento dell'attività lavorativa, a condizione che la finalità sia legittima e il requisito sia proporzionato»;
   il divieto di discriminazione basato sull'età costituisce un elemento essenziale per il perseguimento degli obiettivi definiti negli orientamenti in materia di occupazione e la promozione della diversità nell'occupazione. È quindi uno strumento utile già da solo a combattere la disoccupazione;
   la direttiva europea per questo motivo ritiene essenziale distinguere tra le disparità di trattamento che sono giustificate, in particolare, da obiettivi legittimi di politica dell'occupazione, mercato del lavoro e formazione professionale, e le discriminazioni che devono essere vietate;
   in una situazione, quale quella attuale, in cui disoccupazione e precarietà sono condizioni ormai generalizzate, il limite anagrafico appare profondamente iniquo, perché favorisce una determinata fascia di persone disoccupate o precarie a detrimento di un'altra fascia di persone altrettanto disoccupate o precarie, calpestando così il diritto universale al lavoro;
   è inoltre da rilevare come oggi appaia particolarmente critica la situazione lavorativa proprio della fascia anagrafica escluse dal bando, anche in relazione alla tendenza, emersa negli ultimi anni in seno al Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, a offrire lavoro nella forma di tirocini ugualmente caratterizzati dal limite anagrafico (per altro ogni volta a giudizio dell'interrogante arbitrariamente fissato). Questo fatto, unito alla generale scarsità di offerta di lavoro qualitativamente valido (in termini contrattuali, di durata e retribuzione), sta quasi del tutto precludendo l'accesso al lavoro a un'intera generazione di persone –:
   se ritenga opportuno rivedere il complesso del bando di concorso, modificando in particolare il riferimento ai contenuti professionali richiesti, alle competenze sui beni culturali e al limite di età. (5-07748)


   BECHIS, ARTINI, BALDASSARRE, SEGONI e TURCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 31 dicembre 2015 il commissario straordinario di Roma, Francesco Paolo Tronca, ha rilasciato l'approvazione per la ristrutturazione e l'ampliamento dell'edificio n.16, di via di Villa Ruffo, n.31 (conosciuto come «Casone»), sede del Liceo Chateaubriand di Roma, con la creazione di un ulteriore piano di circa 580 metri quadri. L'edificio si trova a Villa Strohl-Fern, ossia all'interno del parco di Villa Borghese: uno dei parchi storici monumentali di Roma, sottoposto a vincoli di carattere artistico e storico dalla legge n. 1089 del 1939, per il quale è prevista l'autorizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per qualunque modifica e restauro;
   in un articolo del 22 gennaio 2015 a firma Fiorina Capozzi del Il Fatto Quotidiano, si rende nota la vicenda mettendo in evidenza che il permesso ottenuto contrasterebbe con le leggi nazionali a tutela del parco e dei musei;
   la scuola francese era da anni in attesa della dichiarazione di pubblica utilità mai concessa finora da nessun sindaco di Roma Capitale e necessaria per poter ottenere il via libera all'ampliamento e alla ristrutturazione della sede;
   fino al 2015 la dichiarazione di pubblica utilità non era mai stata ottenuta in quanto non era stata esibita la concessione in sanatoria e l'aumento di superficie non risultava poter essere concesso per una villa storica;
   il progetto presentato è di iniziativa del nuovo proprietario Aefe (Agenzia per l'insegnamento francese all'estero) operatore del Ministero degli affari esteri e della cooperazione internazionale;
   il piano regolatore generale del comune di Roma prevedeva una destinazione d'uso per villa Strohl-Fern per metà a parco privato vincolato G1 e per metà a parco pubblico;
   una nota dell'associazione Italia Nostra, diramata sul Corriere delle Sera il 25 gennaio 2016, riporta che l'aumento di superficie non è previsto dalle prescrizioni della Soprintendenza ai Beni Architettonici e Paesaggistici di Roma, forse non noto, che ha espresso pareri severi ed inequivocabili sul restauro del manufatto. L'aumento di un terzo della superficie totale del Casone, che sovrasta quello che il Barone Strohl-Fern chiamava non a caso il «Viale dei Pericoli», verrebbe realizzato su un terreno estremamente fragile attraversato da cunicoli e grotte, già interessato in passato da crolli consistenti;
   dopo il recente disastro del palazzo crollato sul lungotevere Flaminio a causa di restauri che appaiono di dubbia regolarità è d'obbligo una particolare attenzione nei controlli e Italia Nostra Roma ha chiesto all'Ispra (Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale) in forma ufficiale un parere scientifico sulla composizione geologica della rupe che da Piazzale Flaminio arriva fino a Villa Giulia»;
   la villa è di proprietà della Francia dal 7 giugno 1926 per lascito testamentario di Alfred Wiliem Strohl-Fern a condizione che si conservasse l'aspetto paesaggistico e le antiche alberature, e dal 1957 è sede del Liceo Chateaubriand, destinazione d'uso che ha reso necessarie modifiche strutturali della villa, quali: l'interramento di un lago, la pavimentazione di prati e boschi, il taglio di una pineta di pini romani per ricavarne un campo da tennis, campi di calcio e di palla a volo, piste per la corsa e per il salto. Inoltre, il Belvedere che guarda S. Pietro e tutta Roma venne coperto da una alta rete e venne asfaltato il «Viale Grande», che si estende fino al portale del 1500 di fronte al Museo Etrusco e sulle terrazze furono realizzate sopraelevazioni e il tutto senza chiedere alcun permesso e senza prescrizioni della soprintendenza;
   nel 1984 la scuola francese provò ad ottenere l'edificazione di 51 mila metri cubi, ampliando i padiglioni scolastici che vennero costruiti nel 1963 con l'impegno di «poterli rimuovere in qualsiasi momento e senza compenso»;
   nel 1971 l'Italia propose uno spostamento della scuola nella zona di Roma dell'Acqua Acetosa, ma l'operazione fallì e nel 1990 la legge n.396 stabilì che la scuola avrebbe dovuto lasciare il parco, ma l'ex sindaco della Capitale, Walter Veltroni, intervenne per tutelare gli interessi della scuola francese;
   nel 1992 lo Stato italiano acquistò un terreno a Val Cannuta, pagandolo 11 miliardi di vecchie lire e, mediatore Giulio Andreotti, l'Italia fece anche la variante al piano regolatore e il progetto esecutivo della nuova struttura francese, che però non venne mai realizzata;
   nel 1999 con un'interrogazione parlamentare, Athos De Luca chiese conto al Ministro degli affari esteri dei tempi dello spostamento della scuola per procedere finalmente alla «realizzazione di un progetto predisposto dalla Soprintendenza archeologica e finanziato coi fondi della legge n. 651 del 1996, per riunire in un unico complesso Villa Poniatowski e Villa Giulia, entrambe a ridosso di Villa Borghese e del Borghetto Flaminio»;
   nel 2000 intervenne anche la senatrice Tana De Zulueta con un'altra interrogazione, senza sortire alcun effetto per ottenere il trasferimento del liceo francese e nel 2005, dopo cinquant'anni, è stata per la prima volta riconosciuta la presenza della scuola nel parco monumentale in una convenzione fra il comune di Roma, lo Stato francese e quello italiano;
   il liceo Chateubriand ad oggi ha dichiarato di aver già effettuato la gara d'appalto per i prefabbricati che dovranno ospitare temporaneamente gli allievi durante i lavori di ristrutturazione ed ampliamento della struttura e ha dichiarato che ha già ottenuto tutte le autorizzazioni (soprintendenza, vigili e asl) per installare i suddetti prefabbricati all'interno del parco di Villa Strohl-Fern;
   alla data del 27 gennaio 2016 il verbale della seduta del 31 dicembre 2015, durante la quale il prefetto speciale Tronca ha rilasciato l'approvazione per il progetto «Casone» «alle condizioni poste dagli Enti intervenuti nella Conferenza di Servizi ed in deroga agli Strumenti Urbanistici di Roma Capitale, ai sensi e per gli effetti dell'articolo 14 del decreto del Presidente della Repubblica n. 308 del 2001», non è presente tra i verbali del medesimo periodo all'interno del sito del comune di Roma, pur essendo un atto pubblico e consultabile dai cittadini;
   nel verbale viene riportato che il 13 giugno 2014 il direttore del dipartimento sviluppo strutture e manutenzione urbana indisse una conferenza di servizi per l'esame del solo progetto di ristrutturazione e recupero funzionale dell'edificio del Liceo Chateaubriand, e non per l'ampliamento. Alla conferenza erano stati invitati il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, la direzione regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio, la soprintendenza per i beni culturali e paesaggistici di Roma, la soprintendenza speciale per gli archeologici di Roma, l'azienda USL RMC, il comando provinciale dei vigili del fuoco, la soprintendenza il capitolina, il dipartimento programmazione e attuazione urbanistica, oltre ai rappresentanti dell'ambasciata di Francia in Italia e del liceo Chateubriand;
   lo Stato Francese, per mezzo dell'ambasciata di Francia in Italia, ha presentato solo poi, il 17 novembre 2014, a conferenza di servizi conclusa, richiesta di costruire per ampliare la superficie utile all'interno dei locali della scuola –:
   se il Ministro interrogato non intenda intervenire nella vicenda sopradetta, facendo valere i vincoli che tutelano il parco storico monumentale di Villa Borghese di Roma, specificandoli e rendendoli più tassativi ed efficaci, adoperandosi affinché sia rivista l'approvazione concessa dal commissario straordinario Tronca.
   (5-07749)


   PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO e PAGLIA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo ha recentemente emesso un bando per l'assunzione a tempo determinato, per un periodo di 9 mesi di 60 funzionari di area III F1 (archeologi, archivisti e bibliotecari);
   tale bando stabilisce a 40 anni il limite massimo di età per l'accesso allo stesso, a giudizio degli interroganti, confliggendo, in tal modo, con la direttiva 2000/78/CE, e con la sentenza C-416/13 del 2014 della Corte di giustizia dell'Unione europea che vietano la previsione nei concorsi pubblici di limiti di età;
   si indica, inoltre, tra i requisiti di ammissione l'aver frequentato con profitto un master di II livello o l'aver conseguito un dottorato di ricerca o un diploma di specializzazione, equiparando, in tal modo, titoli molto diversi fra loro, sia rispetto ai criteri di ottenimento, sia rispetto alla durata degli studi, basti pensare che per vedersi riconosciuto un dottorato di ricerca occorrono tre anni, mentre per un master di II livello appena uno senza, peraltro, la previsione di prove di ammissione;
   altro requisito che si richiama è quello dell'aver maturato una comprovata esperienza almeno triennale nel campo dei beni culturali, senza però chiarire quali siano i criteri di valutazione della stessa e quale sia l'organismo chiamato a certificarla;
   anche la parte relativa ai punteggi per titoli appare discutibile; non si prevede, infatti, il diploma di specializzazione di 3 anni ed il cui valore viene pertanto equiparato a quello di un master biennale. Così come lo stesso diploma non viene equiparato al dottorato di ricerca, nonostante esista una prassi consolidata in questo senso;
   lo stesso bando non contiene alcun richiamo alla legge n. 241 del 1990 in materia di trasparenza dell'attività della pubblica amministrazione, che imporrebbe di esplicitare i criteri con i quali la commissione valuterà percorsi formativi ed esperienze professionali;
   tutte le suddette criticità sono state evidenziate al Ministero anche dalla Confederazione italiana archeologi –:
   se non ritenga, alla luce delle considerazioni esposte premessa, di dover assumere iniziative al fine di modificare il bando. (5-07750)


   LUIGI GALLO, VACCA, BRESCIA, D'UVA, DI BENEDETTO, SIMONE VALENTE, MARZANA, FRUSONE, SORIAL, COLLETTI, DI BATTISTA, MANLIO DI STEFANO e DELL'ORCO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   «Arte lavoro e servizi – Ales s.p.a.» è una società in house del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che pertanto realizza le attività di sua competenza attraverso questo organismo senza ricorrere al mercato per procurarsi (mediante appalti) i lavori, i servizi e le forniture ad essa necessaria;
   il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo in base all'articolo 19 dello statuto della società stessa, detta, mediante il consiglio d'amministrazione o l'amministratore unico, le linee guida anche vincolanti da seguire ed effettua tre tipi di controllo: economico, amministrativo/gestionale ed ispettivo;
   in base allo stesso articolo 19 dello statuto di Ales spa, il Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, per il tramite della direzione generale per la valorizzazione del patrimonio culturale ed il «comitato di controllo analogo», esercita attività di controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi direttamente svolti, nonché in ogni caso, sui singoli contratti oggetto di affidamento da parte della società che eccedano i 10.000 (diecimila) euro al netto di IVA, a prescindere dalla propria natura e tipologia;
   il 24 ottobre 2014, l'Autorità garante della concorrenza e del mercato si è espressa in merito alla possibilità che la società Ales spa, sulla base dell'ampiezza e della natura delle attività ricomprese nell'oggetto sociale della stessa (come descritto nell'articolo 3 dello statuto della società), abbia una «potenziale vocazione commerciale basata sul rischio di impresa, suscettibile quindi di condizionare le scelte strategiche della società stessa, distogliendola dalla cura primaria dell'interesse pubblico di riferimento», come, peraltro, evidenziato anche dalla Autorità di vigilanza sui contratti pubblici nella deliberazione n. 67 dell'adunanza del 6 luglio 2011;
   Ales spa, secondo quanto appreso dagli ultimi aggiornamenti pubblicati in data 17 febbraio 2015 sulla pagina «Bandi di gara e contratti» del sito web della società stessa, ha pubblicato l'assegnazione di ben diciannove incarichi, tutti con procedure di acquisizione in economia, dalle ore 10:09 alle ore 11:21;
   in seguito ad analisi di tali assegnazioni rese pubbliche nell'intervallo di 72 minuti da parte di Ales spa, sono stati aggiudicati, nello specifico, tre incarichi mediante affidamento diretto, tutti per «servizio di somministrazione lavoro a tempo determinato» (CIG: ZF712FCE9B, Z9B12FCE52 e ZBF12FCE38) e facenti riferimento allo stesso periodo di completamento, con data di inizio 1o febbraio 2015 e data di ultimazione 30 aprile 2015, a favore di tre società: «Kelly Services», «Articolo 1» ed «Etjca Spa»;
   l'importo di ciascuna delle tre succitate aggiudicazioni, aventi tutte lo stesso oggetto e riferite allo stesso periodo di lavoro, ammonta a 39.000 euro;
   l'utilizzo dello strumento dell'acquisizione in economia mediante affidamento diretto è possibile solo in riferimento a importi inferiori alla soglia di 40.000 euro;
   le procedure ad evidenza pubblica obbligano la stazione appaltante al rispetto dei principi di trasparenza, rotazione, parità di trattamento, oltreché alla consultazione di almeno cinque operatori economici individuati sulla base di indagini di mercato, con la procedura di affidamento mediante cottimo fiduciario, ai sensi dell'articolo 125 del decreto legislativo n. 163 del 2006;
   sempre a proposito delle aggiudicazioni eseguite da Ales spa in data 7 febbraio 2015, analizzando gli affidamenti di tipo assicurativo, tutti aventi tempi di completamento pressoché simili e finalizzati a stipulare polizze per l'anno 2015, e sommando gli importi di tutti i servizi richiesti della stessa categoria (assicurativa) gli interroganti rilevano che, l'ammontare supererebbe i 40.000 euro;
   si ricorda che il ricorso a procedure di acquisizioni in economia di lavoro, beni e servizi, deve essere opportunamente motivata e che la mancata motivazione, pertanto, costituisce una ingiustificata sottrazione di questi affidamenti alle ordinarie procedure concorsuali (deliberazione dell'Autorità per la vigilanza dei contratti pubblici di lavori, servizi e forniture n. 4 del 2009); il ricorso al cottimo fiduciario, inoltre, deve essere preceduto dalla determina o decreto a contrattare di cui all'articolo 11 del decreto legislativo n. 163 del 2006 e successive modificazioni –:
   se, con riferimento ai fatti esposti in premessa, non ritenga doverosa una modifica dello statuto di Ales spa al fine di impedire il sistematico ricorso alla somministrazione di lavoro a, tempo determinato e di garantire l'effettività del controllo, sì da evitare il ripetersi di quanto accaduto il 17 febbraio 2015 ed assicurare l'imparzialità, la trasparenza e l'economicità dell'azione amministrativa. (5-07751)


   COSCIA, RAMPI, BONACCORSI, ASCANI, BLAZINA, BOSSA, CAROCCI, COCCIA, CRIMÌ, D'OTTAVIO, GHIZZONI, MALISANI, MALPEZZI, MANZI, NARDUOLO, PES, ROCCHI, SGAMBATO e VENTRICELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   come annunciato nel corso della recente audizione dal Ministro, ai sensi dell'articolo 1, comma 327, della legge 28 dicembre 2015, n. 208 risulta completato il progetto di riorganizzazione del Ministero, che prevede la creazione delle soprintendenze unificate di archeologia, belle arti e paesaggio e la creazione delle «soprintendenze archivistiche e bibliografiche»;
   per il settore degli archivi, la riforma prevede l'assegnazione alle soprintendenze archivistiche anche della tutela del patrimonio librario. Questo comporterà un aggravio di lavoro per le attività di ordinaria tutela, innanzitutto dei beni archivistici non statali, data l'attuale condizione del personale numericamente insufficiente e destinato a diminuire nei prossimi anni a causa dei previsti pensionamenti;
   anche quanto alla tutela dei libri, la dotazione organica delle soprintendenze archivistiche prevede pochissime figure addette e tali difficoltà rischiano di essere acuite dalla mancanza di chiarezza tra i diversi profili dei ruoli di archivista e bibliotecario, la quale sembra difficile possa essere superata dall'eventuale collaborazione del personale tecnico-scientifico delle biblioteche statali, che pare essere contemplata dal decreto ministeriale in via di emanazione –:
   se possa rassicurare il settore rispetto alle funzioni di tutela del patrimonio archivistico e librario che saranno assegnate al personale delle soprintendenze archivistiche e bibliografiche, nel rispetto delle specifiche professionalità e competenze dei profili di archivista e bibliotecario, individuati dalla legge n. 110 del 2014. (5-07752)


   BORGHESI e GUIDESI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   con lo slittamento dal 1o gennaio 2016 al 1o gennaio 2017 dal termine entro cui le competenze del direttore generale di progetto, confluiranno in quella della soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia, che assumerà, a quel punto, la denominazione di «Soprintendenza Pompei», si è reso necessario un aumento dello stanziamento di risorse, a valere sul quelle disponibili sul bilancio della Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia, per assicurare lo svolgimento delle funzioni del direttore generale del «Grande Progetto Pompei», tramite apposita struttura di supporto;
   tale aumento (da 100 mila a 500 mila euro) è stato predisposto grazie a un emendamento al decreto-legge cosiddetto «milleproroghe» rispetto al quale non sono del tutto chiare le modalità con le quali saranno rese disponibili le risorse necessarie alla sua attuazione –:
   quale sia la provenienza delle risorse a disposizione della Soprintendenza, posto che a parere degli interroganti l'asserito introito non può derivare esclusivamente dai ticket pagati dai turisti in visita al sito archeologico. (5-07753)

Interrogazioni a risposta scritta:


   VACCA, MANNINO, MARZANA, BRESCIA, DI BENEDETTO, D'UVA, LUIGI GALLO, LOMBARDI e DI BATTISTA. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   in data 18 gennaio 2016 il Ministro interrogato ha esposto alle parti sociali ed al Consiglio superiore dei beni culturali la così detta «fase 2», il progetto di completamento della riorganizzazione del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo di cui all'articolo 1, comma 327, della legge n. 208 del 2015;
   questa seconda fase della riforma punterebbe alla valorizzazione del patrimonio artistico e culturale italiano. Il nuovo assetto del Ministero prevede la creazione delle «Soprintendenze archeologia, belle arti e paesaggio». Tale intervento aumenta — perché raggruppati — i presidi di tutela sul territorio nazionale, che, in materia archeologica, passano dalle attuali 17 soprintendenze archeologiche alle nuove 39 soprintendenze unificate (a cui si sommano le due soprintendenze speciali del Colosseo e di Pompei);
   lo spirito della riforma — nelle dichiarazioni a mezzo stampa dello stesso Ministro interrogato — è «garantire una visione complessiva dell'esercizio della tutela, assicurando anche la presenza delle specifiche professionalità»;
   il progetto prevede la creazione di 10 nuovi istituiti museali autonomi, tra cui 4 parchi archeologici:
    il parco archeologico dell'Appia Antica;
    il parco archeologico dei Campi Flegrei (Bagnoli, Baia e Bacoli);
    il parco archeologico di Ercolano;
    il parco archeologico di Ostia Antica;
   le finalità dei parchi archeologici risiedono nel garantire la salvaguardia, la conservazione, e valorizzazione del patrimonio culturale e paesaggistico, nel favorire la riqualificazione dell'ambiente naturale e del territorio nei suoi valori storici stratificati, per un incremento del suo «uso pubblico» con particolare attenzione alla funzione formativa e informativa, nel promuovere la ricerca e la diffusione delle conoscenze, attivando collaborazioni tra le diverse istituzioni, preposte alla ricerca, alla tutele, alla valorizzazione, all'istruzione, alla formazione e in generale alla vita culturale del Paese;
   si rende necessario conoscere l'attività istruttoria prodromica all'emanazione del decreto in via di adozione e la relativa documentazione per poter valutare l'effettiva ponderazione degli interessi in gioco;
   va tenuto conto di quanto disposto dall'articolo 101, comma 2, lettera e), del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 (codice dei beni culturali e del paesaggio) e dal decreto 18 aprile 2012 recante «Adozione delle linee guida per la costituzione e la valorizzazione dei parchi archeologici»;
   agli interroganti non risulta che la struttura tecnica del Ministero sia stata interpellata –:
   quali siano stati il progetto scientifico (ovvero lo strumento fondamentale per definire i contenuti di un parco, da istituirsi o da riqualificare, e le sue possibili linee di sviluppo, che accompagna la creazione delle predette aree) nonché il contesto archeologico e la perimetrazione delle aree (compresi i riferimenti di ordine «pianificatorio» per l'assetto paesaggistico urbanistico ed «attuativo» per la progettazione architettonico-paesaggistica). (4-12027)


   CIRIELLI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   dopo la positiva esperienza del 2014, anche nel 2015 il Ministro interrogato firmava il decreto riguardante l'attivazione dei tirocini del fondo «1000 giovani per la cultura», un programma di formazione per giovani fino a 29 anni di età nel settore dei beni e delle attività culturali previsto dal decreto-legge n. 76 del 2013 e confermato dal decreto-legge «Art-bonus» n. 83 del 2014;
   in particolare, per il 2015, il decreto prevedeva 130 tirocini formativi nell'ambito di progetti di rilevante interesse per la tutela e la valorizzazione del patrimonio culturale della Nazione: 30 tirocini presso la Soprintendenza speciale per Pompei, Ercolano e Stabia, 50 stage presso i poli museali regionali e la direzione generale per i musei e 50 tirocini presso l'archivio centrale dello Stato, l'Istituto centrale per gli archivi, le soprintendenze archivistiche, gli archivi di Stato, le Biblioteche nazionali di Roma e Firenze e le biblioteche statali;
   come risulta dalla pubblicazione dei relativi bandi di concorso, i tirocini erano rivolti a giovani laureati in archeologia, architettura, archivistica e biblioteconomia, beni culturali, economia, economia e gestione dei beni culturali, geologia, giurisprudenza, ingegneria, ingegneria ambientale, ingegneria civile, ingegneria informatica, scienza e tecnologia per i beni culturali, scienze forestali e ambientali, storia dell'arte, tecnologia per la conservazione e il restauro dei beni culturali;
   se da un lato si comprende la scelta di aprire questi bandi a ingegneri e geologi per l'importanza del loro lavoro in siti come quelli di Pompei, del tutto irragionevole appare, invece, la scelta di escludere dalla selezione pubblica i laureati in lettere e storia, che avrebbero potuto dare un contributo prezioso negli archivi di Stato e nelle biblioteche –:
   quali siano le motivazioni che hanno portato ad escludere le lauree in lettere e storia dai requisiti richiesti per partecipare ai bandi 2014 e 2015 «Mille giovani per la cultura» e se il Ministro interrogato non ritenga opportuno includere suddette lauree nei bandi che verranno eventualmente pubblicati nell'anno in corso.
(4-12034)


   CAPARINI, FEDRIGA e GRIMOLDI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nella notte del 31 dicembre 2015, nell'oratorio della parrocchia di Cristo Re di Monza, i disabili dell'associazione «Tu con noi» erano insieme a parenti e amici per festeggiare l'arrivo del nuovo anno;
   poco dopo il brindisi si è presentato un solerte funzionario della Siae, la Società italiana degli autori ed editori, per controllare se fosse stata pagata la tariffa per lo sfruttamento dei diritti d'autore, visto che ovviamente si stava suonando e ballando;
   la tassa alla Siae non era stata pagata, in quanto gli organizzatori e i responsabili dell'associazione pensavano che non fosse necessario pagare l'ente pubblico per una festicciola in oratorio, riservata agli iscritti dell'associazione: «Lì c'erano i ragazzi disabili, i loro genitori, qualche amico e i volontari – ha dichiarato il presidente della onlus, Emanuele Patrini – La nostra è un'associazione senza fini di lucro, non un locale o una discoteca come ha voluto scrivere il funzionario della Siae. La musica è un elemento fondamentale per i nostri incontri: metti un po’ di musica e i ragazzi iniziano a ballare, non possiamo rinunciare ad avere musica durante i nostri appuntamenti»;
   malgrado ciò, l'associazione è stata multata perché la Siae va pagata, eccezion fatta per gli eventi in carcere o in ospedale, e il listino prevede tariffe diverse a seconda del numero degli invitati e del tipo di festa. Per le feste private si paga dai 79 ai 299 euro, a seconda che si tratti, in ordine ascendente di costo, di compleanno, altro festeggiamento o matrimonio. Per i «trattenimenti musicali in circoli riservati agli iscritti», che è il caso dell'associazione brianzola, la tariffa non dipende solo dal numero di iscritti ma anche dal tipo di festa, se è «con ballo» o «senza ballo». Ovviamente «con ballo» è più cara, si paga quattro volte di più, fino a 182 euro;
   nel caso specifico la sanzione irrogata all'associazione disabili è stata di 268 euro, da pagare entro tre giorni –:
   se il Governo non ritenga di assumere iniziative affinché nei casi come quello descritto in premessa, in cui la musica ha una valenza anche terapeutica oltre che ludica, le associazioni e gli enti che diffondono musica per i propri iscritti, siano esentati dal pagamento della tariffa in materia di diritto d'autore. (4-12038)

DIFESA

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

IV Commissione:


   VITO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere se corrisponda al vero che lo Stato Maggiore dell'Esercito avrebbe diramato una direttiva finalizzata nella sostanza a limitare l'utilizzo dei social network da parte dei militari e, in tal caso, quali iniziative il Ministro intenda adottare per impedire limitazioni del diritto di parola e di espressione dei militari, e soprattutto di quelli che sono componenti degli organi di rappresentanza militare. (5-07735)


   DURANTI, PIRAS e SCOTTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   lo schieramento italiano sul territorio iracheno — fra Erbil, Bagdad, Kirkuk compreso lo stanziamento aeronautico in Kuwait — impiega al momento circa 700 militari, inquadrati nella cosiddetta « Coalition of the Willing» a guida americana;
   a quanto si apprende dagli organi di stampa (fra cui  laRepubblica.it) si affiancheranno a questi i 450 previsti per la difesa dei lavori della diga di «Mosul» — in seguito all'affidamento dei lavori alla azienda «Trevi» di Cesena — ed altri possibili 130 operatori di soccorso, dotati di elicotteri attrezzati per il recupero dei servizi e di un campo di assistenza;
   in tal modo, il contingente italiano arriverebbe a contare oltre 1300 uomini – di cui circa 1000 in Iraq — divenendo quindi il secondo come consistenza nello schieramento internazionale dopo quello americano. Fra le notizie trapelate ci sarebbe anche la possibilità della nascita di un comando italiano per l'Iraq;
   sempre a quanto si apprende dagli organi di stampa — anche in seguito alla missiva indirizzata alla Ministra Roberta Pinotti dal segretario americano alla Difesa Ashton Carter – il Pentagono avrebbe richiesto all'Italia un impegno maggiore in Iraq, con l'eventuale possibilità di una modifica delle regole di ingaggio;
   la precedente proroga delle missioni internazionali delle Forze armate e di polizia è scaduta il 31 dicembre 2015 e ad oggi il Consiglio dei ministri non si è ancora espresso per il rinnovo della stessa –:
   se quanto esposto in premessa corrisponda al vero e se il Ministro interrogato non ritenga di fornire elementi circa ogni eventuale iniziativa di modifica delle missioni internazionali in corso, con particolare riferimento al dispiegamento in Iraq. (5-07736)


   ARTINI. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   numerose fonti di stampa hanno riportato che il 2 febbraio 2016 il Ministro della difesa Roberta Pinotti, nell'ambito della conferenza dei 23 Paesi maggiormente impegnati nella lotta al sedicente Stato Islamico, ha annunciato che altri 130 militari italiani saranno dislocati a Erbil, spiegando che avranno elicotteri di «protezione e soccorso, un assetto molto pregiato e importante» che consentirà missioni di recupero di feriti in combattimento;
   il Ministro ha sottolineato che «gli americani stanno pensando di spostare questi assetti in Turchia per poter intervenire in Siria, e dunque si tratta di un nuovo e significativo impegno che l'Italia dà alla lotta al terrorismo», e ha aggiunto che si tratta anche di una risposta alla Francia, che aveva chiesto come potessimo rafforzare l'impegno;
   lo stesso giorno il Ministro, ospite della trasmissione Otto e Mezzo, ha confermato che l'Italia invierà altri 130 militari ed elicotteri a Erbil, in Iraq, con compiti di recupero dei feriti «in zone di guerra»;
   sempre il 2 febbraio il quotidiano Corriere della Sera, citando fonti governative, ha precisato che i 130 militari con i relativi elicotteri e mezzi saranno impiegati in operazioni di « Personnel Recovery»;
   in gergo NATO l'espressione Personnel Recovery indica il complesso delle operazioni necessarie a effettuare il recupero e il reintegro di personale militare o civile rimasto isolato, cioè rimasto separato dalla propria unità od organizzazione in una situazione che può richiedere di sopravvivere, evadere, resistere a interrogatorio o evitare la cattura nell'attesa del recupero;
   esempi di Personnel Recovery comprendono le attività CSAR (Combat Search And Rescue), tipicamente svolte per il salvataggio di personale atterrato in territorio ostile dopo l'abbattimento del proprio velivolo, LIMEX (LIMited EXtraction), a favore di personale che per vari motivi è rimasto isolato in prossimità del nemico, CASEVAC (CASualties EVACuation), per l'evacuazione di feriti in combattimento;
   il Personnel Recovery è dunque, un'attività che viene condotta in ambienti ostili, che può comportare azioni di combattimento e che, pertanto, richiede anche l'impiego di asset atti a garantire la disponibilità di una sufficiente potenza di fuoco, come, ad esempio, gli elicotteri da combattimento, quali gli A129 Mangusta;
   proprio per la loro peculiarità e complessità, le attività di Personnel Recovery sono in genere assegnate a reparti specializzati, come il 17o stormo incursori dell'Aeronautica militare, dipendente dal comando interforze per le operazioni delle forze speciali (COFS), e il 3o reggimento elicotteri operazioni speciali (REOS) dell'Aviazione dell'Esercito, dipendente dal comando forze speciali dell'Esercito;
   il cospicuo numero di militari che, in base alle dichiarazioni del Ministro della difesa, il Governo intende inviare a Erbil per assicurare la capacità di Personnel Recovery lascia supporre che il dispositivo dispiegato sarà simile all’Aviation Battalion costituito dall'Esercito per il teatro operativo afghano, che dispone di elicotteri NH9O, per trasporto personale, materiali ed evacuazioni mediche, AW129 Mangusta, con funzioni di ricognizione, scorta e attacco, e CH-47, per il trasporto di un plotone di fanteria nel ruolo di Quick Reaction Force;
   l'intenzione di dispiegare a Erbil una capacità di Personnel Recovery rilevante, nonché le dichiarazioni del Ministro della difesa, lasciano intendere che i militari italiani potranno essere impiegati anche per il recupero di personale delle forze curde, irachene e della coalizione anti-ISIS –:
   se il Ministro interrogato possa illustrare come si concretizzerà il dispiegamento in Iraq di una capacità militare nazionale di «recupero personale» e per quali compiti sarà impiegata. (5-07737)


   MARANTELLI, SCANU, PAOLA BOLDRINI, D'ARIENZO, FERRO, FUSILLI, SALVATORE PICCOLO, STUMPO, PAOLO ROSSI, VILLECCO CALIPARI e ZANIN. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   il consiglio comunale di Varese con delibera n. 48 del 14 novembre 2013 ha chiesto che il Gonfalone della città venga insignito di una medaglia «al valore» per i fatti risorgimentali del maggio di 1859;
   nella stessa delibera si ricordano gli avvenimenti storici che hanno portato alla liberazione di Varese, prima tra le città italiane, e l'eroismo delle donne della città che in quei combattimenti hanno assistito e curato sia feriti austriaci che italiani creando così i presupposti per la nascita della Croce rossa italiana;
   alla richiesta hanno aderito oltre 120 associazioni cittadine;
   la prefettura di Varese, con lettera firmata dal prefetto Giorgio Zanzi, ha inoltrato in data 27 dicembre 2013 la «richiesta di riconoscimento alla Città di Varese» al gabinetto del Ministro della difesa sottolineando come questo atto «costituirebbe un premio apprezzatissimo per fatti che ebbero nel contesto risorgimentale rilievo ed importanza e che purtroppo non risulta siano stati nel tempo valorizzati come sarebbe stato opportuno» –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro per corrispondere, con ogni possibile sollecitudine, la richiesta di cui in premessa. (5-07738)


   BASILIO, RIZZO, FRUSONE, PAOLO BERNINI, CORDA e TOFALO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   sul sito web de « il Fattoquotidiano» è apparso un articolo nel quale si ventila l'ipotesi di una proroga dall'incarico dell'attuale Capo di Stato Maggiore della Marina ammiraglio De Giorgi per tutto il 2016;
   al compimento del 62o anno di età (giugno 2016) l'ammiraglio De Giorgi dovrebbe essere messo in pensione e il Ministero della difesa dovrebbe provvedere all'avvicendamento dei vertici della Marina militare –:
   se quanto riportato dal sito web richiamato in premessa corrisponda al vero ed, in caso di risposta affermativa, quali siano le ragioni istituzionali che sarebbero alla base dell'eventuale prolungamento dell'incarico all'ammiraglio De Giorgi.
(5-07739)

Interrogazione a risposta scritta:


   PISICCHIO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   una circolare emanata dallo Stato Maggiore dell'Esercito istitutiva solo per il personale della categoria graduati il copricapo fez;
   il fez entra nella tradizione bersaglieresca solo nel 1855, quale cimelio donato dagli zuavi pertanto, non risulta appartenente alla tradizione delle uniformi italiane essendo proveniente e rievocativo degli eserciti ottomani algerini;
   i colori della tradizione bersaglieresca sono tutti espressi nel più gradito e rinnovato basco di specialità;
   negli anni con il passaggio all'Esercito professionale, incontrando il favore del personale, non viene più usato;
   le categorie dell'Esercito italiano risultano quattro: la Truppa, non in servizio permanente; i graduati; i sottufficiali; gli ufficiali e se indossato da una sola categoria tra quelle in servizio permanente della stessa specialità, produce una evidente ed illogica disparità;
   per foggia e colore si attagliava più ad un giovinetto quali erano i militari di leva appartenenti alla categoria della truppa;
   in un periodo che suggerisce tagli alle spese, la Difesa dovrebbe evitare a giudizio dell'interrogante, di spendere illogicamente, senza necessità alcuna ulteriori risorse per l'approvvigionamento dei fez, tenuto conto inoltre, che le spese si sommano comunque a quelle già sostenute per i baschi e a quello del berretto rigido che peraltro è stato già distribuito e non sarà calzato in quanto le prescrizioni lo vedranno sostituito dal fez;
   l'introduzione del fez oltre a non soddisfare le aspettative del personale, appare non adatto alle attività operative in effetti la cosiddetta ricciolina di colore turchino, ciondolando dietro le spalle è facilmente impigliabile al resto dell'affardellamento e alla tracolla dell'arma in dotazione;
   gli appartenesti alle forze armate si trovano ad agire sempre più spesso in scenari quali quello di Roma Capitale, vedasi l'operazione strade sicure, contraddistinto dalla presenza di popolazione eterogenea con usi, costumi, cultura e religione talvolta molto differenti e in tal contesto, l'eventuale presenza di segni esteriori quale il fez, evidentemente riconducibile per provenienza geografica alle culture arabe, potrebbe suscitare un senso di sfida o diffidenza/discredito ad appartenenti ad altri Paesi che per motivazioni religiose culturali disapprovano;
   in effetti è possibile che siano riconducibili alla simbologia fascista e in particolare il fez calzato da alcuni di essi per le vie cittadine –:
   se il Ministro interrogato conosca le ragioni per cui tra i bersaglieri in servizio permanente sia operante tale disparità di cui in premessa;
   se intenda assumere iniziative per rimuovere gli ostacoli che si abbattono negativamente sul morale del personale del ruolo Graduati;
   se il Ministro non intenda intervenire rapidamente sulla questione, eliminando ogni possibilità di spreco di risorse. (4-12032)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VI Commissione:


   RIBAUDO, PELILLO, ROCCHI e CAROCCI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, in accordo con il Ministro dell'economia e delle finanze, ha erogato, a gennaio 2016, gli stipendi per le supplenze brevi e saltuarie dei docenti precari relative ai mesi di ottobre, novembre e dicembre 2015;
   il trattamento fiscale dello stipendio, tardivamente erogato, produce una ingiusta penalizzazione nei confronti di questi contribuenti;
   in particolare, assoggettando a tassazione separata le competenze relative alle suddette mensilità del 2015, pagate a gennaio 2016, è stato preso in considerazione il solo reddito medio percepito nei due anni precedenti ed è stato escluso il riconoscimento delle detrazioni fiscali spettanti relative alla cosiddetta «produzione del reddito», quelle per i carichi di famiglia, nonché quelle concernenti l'applicazione del cosiddetto bonus Irpef di 80 euro previsto dall'articolo 1 del decreto-legge 24 aprile 2014, n. 66, convertito con modificazioni dalla legge 23 giugno 2014, n. 89;
   chi sembra essere maggiormente penalizzato da tale meccanismo sono i supplenti temporanei con una retribuzione complessiva annua non superiore a 8.000 euro che, con il riconoscimento delle detrazioni fiscali, sarebbero stati totalmente esentati dalla tassazione IRPEF;
   a seguito dell'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3-01977, in data 3 febbraio 2016 la Ministra dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha precisato che nello scorso gennaio sono state puntualmente pagate due tranche inerenti le supplenze saltuarie e brevi precedentemente svolte nell'anno scolastico 2014-2015, tuttavia, in relazione ai criteri di applicazione delle aliquote fiscali alla liquidazione delle supplenze saltuarie e brevi, ha chiarito che la competenza specifica ed esclusiva è del Ministero dell'economia e delle finanze;
   sebbene l'aver portato a termine il pagamento di tutte le supplenze del periodo che va da settembre 2015 a dicembre 2015 è estremamente importante, soprattutto per quei docenti che erano in condizioni di particolare difficoltà e di svantaggio, tuttavia il trattamento fiscale degli emolumenti come arretrati comporterebbe un'ingiusta condizione per questi contribuenti;
   l'amministrazione finanziaria, con la circolare n. 23/E del 5 febbraio 1997, ha precisato che la tassazione ordinaria si applica anche quando la corresponsione degli emolumenti in un periodo di imposta successivo deve considerarsi fisiologica rispetto ai tempi occorrenti per la corresponsione degli emolumenti stessi;
   nella risoluzione 377/E del 9 ottobre 2008 l'amministrazione finanziaria precisa inoltre che il ritardo nella corresponsione degli emolumenti deve ritenersi fisiologico quando l'erogazione nel periodo di imposta successivo è dovuto alla complessità dell’iter burocratico sul cui andamento la volontà delle parti rimane del tutto estranea;
   l'articolo 21, comma 4, del testo unico delle imposte sui redditi – TUIR, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, prevede, per gli emolumenti arretrati di cui alla lettera b) del comma 1 dell'articolo 16, che l'imposta determinata separatamente ai sensi dei precedenti commi, sia ridotta di un importo pari a quello delle detrazioni spettanti previste nell'articolo 12 e nei commi 1 e 2 dell'articolo 13 se e nella misura in cui non siano state fruite per ciascuno degli anni cui gli arretrati si riferiscono;
   la procedura per il recupero della maggiore imposta IRPEF pagata imporrebbe la presentazione, da parte dei citati contribuenti, del modello «Unico 2017», con il conseguente rimborso solo nell'anno successivo;
   sembrerebbe pertanto opportuno intervenire urgentemente al fine di operare i relativi conguagli di imposta a favore dei supplenti, entro il mese di febbraio  –:
   quale iniziativa intenda mettere in atto affinché possano essere effettuate le dovute compensazioni d'imposta al fine di pervenire ad una rapida soluzione del problema di natura tributaria legato al predetto ritardo dei pagamenti. (5-07740)


   PESCO, CANCELLERI, VILLAROSA e ALBERTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la società Riscossione Sicilia spa svolge in Sicilia le medesime funzioni espletate a livello nazionale da Equitalia spa in quanto soggetto istituito ex lege quale componente della struttura dell'amministrazione fiscale e quindi istituzione organizzativa deputata al settore delle politiche fiscali e del sistema tributario, atteso che, pur nelle peculiarità autonomistiche, il finanziamento della Regione Siciliana risulta fondato sulla fiscalità statale di cui costituisce parte integrante;
   l'Agenzia delle entrate opera in modo esclusivo a livello nazionale l'accertamento fiscale dei tributi, la cui sola riscossione è poi demandata alla società regionale;
   per tale ragione, già in passato l'Agenzia delle entrate aveva espresso nulla osta alle istanze con le quali Riscossione Sicilia aveva richiesto al Ministro dell'economia e delle finanze di accedere alla piattaforma SOGEI, sottolineando da ultimo che la valutazione positiva dell'ingresso di Riscossione Sicilia nella piattaforma della fiscalità avrebbe costituito un miglioramento in termini di efficienza, assicurando l'unitarietà del sistema informativo degli agenti della riscossione; infatti, già dai 2011, con pressante urgenza si era chiesto di poter accedere alla struttura tecnologica della SOGEI spa, anche in considerazione della fuoriuscita della banca Monte dei Paschi dal capitale azionario e alla necessitata cessazione delle forme di collaborazione con tale Istituto: le richieste, più volte reiterate nel 2012 e nel 2013, sia dalla società di riscossione sia dalla stessa regione siciliana;
   la possibilità di avvalersi delle competenze sviluppate a livello nazionale dalla Sogei, società strumentale deputata alle attività tecnologiche per il «sistema fiscale» a supporto del Ministero dell'economia e delle finanze, consentirebbe a Riscossione Sicilia di accedere a soluzioni informatiche avanzate e ad un ingente infrastruttura tecnologica, inserendosi quale interlocutore qualificato e paritario nell'interazione tra le pubbliche amministrazioni, centrali e periferiche, rimanendo al passo con il continuo aggiornamento delle metodologie e dei processi nel contesto delle attività esattoriali, caratterizzato da elevata complessità gestionale;
   le evidenti economie derivanti dall'auspicato ingresso di Riscossione Sicilia nella, piattaforma SOGEI consentirebbero, nell'attuale critica congiuntura, di mettere in atto un'importante misura di contenimento e razionalizzazione dei costi;
   nella risposta all'interrogazione a risposta immediata in Commissione 5-01526 del 21 novembre 2013, si legge: «In relazione alla richiesta di accesso alla struttura tecnologica di Sogei S.p.A. da parte di Riscossione Sicilia S.p.A., il Dipartimento delle Finanze riferisce di avere espresso parare favorevole alla stipula di un Contratto esecutivo con Sogei, alla stregua delle altre Strutture organizzative dell'amministrazione finanziaria, limitatamente alla riscossione dei tributi spettanti allo Stato;
   tanto premesso, il Dipartimento delle finanze sta valutando ogni possibilità per garantire a Riscossione Sicilia Spa l'accesso ai servizi previsti dal Contratto Quadro con la Sogei, tenuto conto che l'azione della PA deve essere certamente improntata a principi di efficacia ed efficienza, ma sempre in una cornice di legittimità;
   la questione è stata anche affrontata nella recente riunione del Comitato di Governo del Sistema informativo della fiscalità, svoltasi il 7 novembre 2013, e una possibile soluzione è attualmente in fase di valutazione –:
   quali siano le conclusioni a cui il dipartimento delle finanze è giunto in materia dal novembre 2013 ad oggi e se quindi sarà permesso alla società Riscossione Sicilia l'ingresso in SOGEI, e se intenda emanare il decreto attuativo relativo all'articolo 10, comma 13-quater, lettera a), del decreto-legge n. 201 del 2011, in materia di modifica della remunerazione dell'ADR tramite rimborso dei costi fissi risultati da bilancio certificato.
   (5-07741)


   SOTTANELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 19 gennaio 2014, n. 19, è stato adottato il regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell'Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE);
   con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali del 7 novembre 2014 (Gazzetta Ufficiale del 17 novembre 2014, n. 267, –supplemento ordinario n. 87) è stato approvato il «Modello tipo della Dichiarazione Sostitutiva Unica a fini ISEE, dell'attestazione, nonché delle relative istruzioni per la compilazione dell'ISEE, ai sensi dell'articolo 10, comma 3, del decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 5 dicembre 2013, n. 159. Pertanto il nuovo ISEE è entrato effettivamente in vigore dal 1o gennaio 2015;
   secondo quanto specificato nelle istruzioni per la compilazione dell'ISEE, il patrimonio mobiliare è composto dalle voci di seguito indicate, anche detenute all'estero, possedute alla data del 31 dicembre dell'anno precedente a quello di presentazione della dichiarazione sostitutiva unica, fatto salvo quanto diversamente disposto con riferimento a singole componenti: a) depositi e conti correnti bancari e postali; b) titoli di Stato ed equiparati, obbligazioni, certificati di deposito e credito, buoni fruttiferi ed assimilati; c) azioni o quote di organismi di investimento collettivo di risparmio (O.I.C.R.) italiani o esteri; d) partecipazioni azionarie in società italiane ed estere quotate in mercati regolamentati; e) partecipazioni azionarie in società non quotate in mercati regolamentati e partecipazioni in società non azionarie; f) masse patrimoniali, costituite da somme di denaro o beni non relativi all'impresa, affidate in gestione ad un soggetto abilitato ai sensi del decreto legislativo 23 luglio 1996, n. 415; g) altri strumenti e rapporti finanziari, nonché contratti di assicurazione a capitalizzazione o mista sulla vita e di capitalizzazione; h) il valore del patrimonio netto per le imprese individuali in contabilità ordinaria, ovvero il valore delle rimanenze finali e del costo dei beni ammortizzabili per le imprese individuali in contabilità semplificata;
   in base alle suddette istruzioni sul patrimonio mobiliare, nel caso di un'impresa in contabilità ordinaria il patrimonio netto è determinato sulla base delle risultanze dell'ultimo bilancio approvato anteriormente alla data di presentazione della dichiarazione sostitutiva unica, mentre nel caso di un'impresa in contabilità semplificata, e pertanto esonerata dall'obbligo di redazione del bilancio, è determinato dalla somma delle rimanenze finali e dal costo complessivo dei beni ammortizzabili, al netto dei relativi ammortamenti, nonché degli altri cespiti o beni patrimoniali (parte 2 — DSU mini, punto 4, lettere e) ed h) delle istruzioni alla compilazione della dichiarazione sostitutiva unica;
   questa metodologia di calcolo del valore mobiliare per le imprese in contabilità semplificata presenta alcune problematiche, soprattutto in relazione alla definizione di «altri cespiti o beni patrimoniali»;
   non si comprende infatti se con tali termini si deve far riferimento ad altre poste inerenti attività o passività dell'impresa. In caso affermativo, è necessario segnalare che tali dati non risultano disponibili in una contabilità semplificata e di conseguenza sono di difficile determinazione. In caso negativo, si rischia di avere situazioni in cui il valore da indicare nella dichiarazione sostitutiva unica non corrisponde assolutamente al valore dell'impresa, pensi al caso in cui l'impresa abbia effettuato nell'anno precedente alla compilazione della dichiarazione sostitutiva unica significativi investimenti in beni ammortizzabili che alla fine dell'anno non sono stati ancora pagati o per i quali è stato contratto un finanziamento non ancora rimborsato a fine anno. In questo caso, se non viene considerato anche il debito, la valorizzazione dell'impresa, effettuata esclusivamente sulla base del costo complessivo del bene (al netto dell'ammortamento), non rappresenta correttamente il valore dell'azienda –:
   se, alla luce di quanto sopra esposto, al fine di non penalizzare i piccoli imprenditori in contabilità semplificata rispetto alle imprese in contabilità ordinaria, non ritenga opportuno assumere iniziative per modificare la normativa vigente o definire una disposizione interpretativa al fine di chiarire le modalità di calcolo del valore mobiliare, in particolare con riferimento alla definizione di «altri cespiti o beni patrimoniali». (5-07742)


   PAGLIA e FASSINA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. – per sapere – premesso che:
   sensi dell'articolo 1, comma 152 della legge n. 208 del 2015 (legge di stabilità 2016) chiunque detiene nel luogo in cui ha la sua residenza anagrafica un apparecchio atto od adattabile alla ricezione delle trasmissioni televisive è tenuto a pagare il canone RAI a partire dal 1o luglio 2016 mediante addebito nella fattura relativa alla propria utenza elettrica;
   l'addebito, pertanto, scatterebbe sull'assunto che l'esistenza di un'utenza per la fornitura di energia elettrica nel luogo di residenza anagrafica del contribuente presuma da parte sua la detenzione di un apparecchio televisivo; incomberebbe, poi, in capo allo stesso contribuente l'onere di dimostrare il contrario tramite la presentazione annuale di un'autocertificazione all'Agenzia delle entrate – direzione provinciale I di Torino, resa ai sensi dell'articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000 n. 445, con modalità da definirsi con provvedimento del direttore dell'Agenzia delle entrate;
   la dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà, resa ai sensi del richiamato articolo 46 del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, non è mai stata obbligatoria, ben potendo il cittadino difendersi dalle periodiche lettere di richiesta del pagamento del canone rispondendo con una semplice raccomandata. Infatti, a differenza di una normale comunicazione, una dichiarazione sostitutiva dell'atto di notorietà mendace espone a responsabilità penali di cui all'articolo 76 del medesimo testo unico, cosa che la rende poco raccomandabile nel caso fosse spontanea;
   la suddetta novità legislativa ha dato luogo, già dall'indomani della sua divulgazione, ad un'infinità di discussioni riguardanti soprattutto le probabili situazioni intricate per chiarire le quali si dovrà attendere il decreto attuativo o una successiva circolare ministeriale; inoltre, ad alimentare gli allarmismi è stata la dichiarazione rilasciata dal Sottosegretario per lo sviluppo economico, Antonello Giacomelli, secondo il quale il corretto pagamento del canone a partire dal 2016 non costituirà una sanatoria per le evasioni degli anni precedenti che senza alcuna opposizione risulteranno pienamente sanzionabili, insomma alla stregua di un'autodenuncia e di ammissione del debito, facendo in tal modo diffondere il timore che lo stesso pagamento diventi l'occasione per l'Agenzia delle entrate di pretendere la riscossione degli anni arretrati, a meno che non si sia fatta opposizione inviando comunicazioni relative all'esistenza di un intestatario diverso, o al mancato possesso di apparecchi televisivi;
   come chiarito anche dalla Corte di Cassazione la richiesta di arretrati non potrà spingersi oltre i 10 anni anteriori, essendo la prescrizione del canone: infatti, sebbene il codice civile stabilisca che tutto ciò che deve essere pagato almeno una volta all'anno (o per periodi più brevi) si prescrive in cinque anni, la giurisprudenza ha da sempre riconosciuto al canone Rai la natura di imposta e, come tale, ne segue la disciplina, ivi compreso il prolungamento a dieci anni della prescrizione;
   molte associazioni di consumatori, subissate quotidianamente da richieste di chiarimento, sconsigliano categoricamente di presentare, come invece raccomanda l'Agenzia delle entrate, autocertificazioni anticipate, limitandosi a consigliare di inviare solo tutte quelle variazioni intervenute che il contribuente era comunque obbligato a trasmettere anche in passato come, ad esempio, il cambio dell'indirizzo di residenza o decesso del de cuius già abbonato;
   in un comunicato congiunto diramato dall'Agenzia delle entrate e dalla Rai, il 13 gennaio 2016 si legge testualmente che: «Per qualunque dubbio o chiarimento è sempre possibile consultare il sito www.canone.rai.it, di gestione della società di radiotelevisione italiana, lasciando in tal modo ad esclusivo appannaggio di quest'ultima il rilascio d'informazioni relative a tutte le modalità di adempimento di un obbligazione tributaria quale è nel nostro Paese il canone Rai –:
   se non ritenga di dover assumere le iniziative di competenza al fine di chiarire definitivamente tutti gli aspetti esposti in premessa. (5-07743)


   BUSIN e SIMONETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'Agenzia delle entrate ha emanato diversi avvisi di liquidazione dell'imposta di registro, dell'imposta ipotecaria, dell'imposta catastale e di irrogazione di sanzioni per la decadenza dalle agevolazioni fiscali per l'acquisto della prima casa previste dall'articolo 1 della tariffa parte prima allegata al decreto del Presidente della Repubblica 26 aprile 1986, n. 131;
   per fruire delle agevolazioni prima casa di cui alla nota II bis all'articolo 1 sopracitato l'immobile residenziale oggetto di compravendita non deve avere «caratteristiche di lusso secondo i criteri di cui al decreto del Ministro dei lavori pubblici del 2 agosto 1969 (G.U. n. 218 del 27 agosto 1969)»;
   il predetto decreto ministeriale definisce abitazioni di lusso, tra le altre: «Art. 5) “Le case composte di uno o più vani costituenti unico alloggio padronale aventi superficie utile complessivi superiore a metri quadri 200 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine) ed eventi come pertinenza un'area scoperta della superficie di oltre sei volte l'area coperta” nonché all’«Art. 6) “Le singole unità immobiliari aventi superficie utile complessiva superiore a metri quadri 240 (esclusi i balconi, le terrazze, le cantine, le soffitte, le scale e posto macchine)”»;
   l'Agenzia intende per superficie utile complessiva quella di cui al consolidato orientamento espresso dalla Corte di cassazione, tra le altre con sentenze n. 21287 del 30 maggio 2013 e n. 22945 del 9 ottobre 2013, n. 861 del 17 gennaio 2014, ossia gli articoli 5 e 6 citati «vanno interpretati nel senso di dover escludere dal dato quantitativo globale della superficie dell'immobile indicata nell'atto di acquisto (in essa compresi, dunque, i muri perimetrali e quelli divisori) solo i predetti ambienti e non l'intera superficie non calpestabile»;
   da sempre, fino alla sentenza della suprema Corte del 30 maggio 2013 (quella più remota) per superficie utile si era intesa la superficie delle unità immobiliari senza conteggiare le superfici delle murature esterne, tesi questa avvalorata dal fatto che altrimenti la Corte non si sarebbe dovuta esprimere in merito all'interpretazione di superficie utile comprensiva di muri perimetrali;
   gli atti di compravendita oggetto degli accertamenti dell'Agenzia delle entrate sono stati rogati in data antecedente alla prima sentenza in merito della Corte, e quindi rogati durante il periodo in cui l'interpretazione «superficie utile senza muri» era da ritenersi valida;
   è irragionevole, pertanto, a parere degli interroganti, prevedere l'effetto retroattivo su atti compiuti comunque a norma di legge all'epoca vigente –:
   se e quali iniziative urgenti, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare per risolvere la problematica della retroattività esposta in premessa. (5-07744)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   si apprende dalla stampa che a seguito dei numerosi episodi di rapina avvenuti ai danni di postamat nei paesi del materano gli stessi sportelli rimarranno aperti e usufruibili dagli utenti solo durante l'orario di apertura degli uffici postali;
   è del tutto evidente che tale decisione finisce per penalizzare utenza e operatori economici;
   gli sportelli postamat verrebbero infatti svuotati intorno all'orario di chiusura degli uffici postali e quindi intorno alle 14;
   questo significa che da quell'ora in poi diventa impossibile per chiunque poter accedere al prelievo di denaro contante sapendo che gli esercizi commerciali sono aperti fino intorno alle 20 e nei periodi estivi e nelle località turistiche fino oltre le 21;
   tra l'altro questa decisione è avvenuta senza adeguata informazione per gli utenti che hanno potuto solo constatare l'indisponibilità al prelievo;
   il reiterarsi di rapine avrebbe meritato altro tipo di soluzione, e cioè rafforzamento della vigilanza, migliore sistema di videosorveglianza non la soppressione di un servizio considerato poi che in molti centri lo stesso servizio postale è stato ridimensionato con apertura a giorni alterni –:
   se non ritengano di assumere ogni iniziativa di competenza affinché Poste italiane possa rivedere tale decisione in modo da non penalizzare ulteriormente l'utenza e le attività economiche. (5-07710)

Interrogazioni a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   è in espansione in Italia il mercato dei giochi cosiddetti « ticket redemption»;
   si tratta di apparecchi elettronici o meccanici in cui, attraverso una combinazione di abilità e fortuna, o più spesso tramite la sola fortuna, si ottengono punti cumulabili, che possono essere scambiati alla cassa con premi;
   tali apparecchi sfuggono alla regolamentazione del gioco d'azzardo, non prevedendo vincite in denaro contante, e sono quindi liberamente installabili e utilizzabili da minori;
   la loro collocazione in ambienti frequentati anche e soprattutto da minorenni lascia piuttosto pensare che è proprio ai giovanissimi, quando non ai bambini, che essi siano prioritariamente diretti;
   questa tipologia di macchine è infatti diffusa in sale giochi, cinema, centri commerciali, talvolta in prossimità di sale in cui siano presenti videolottery VLT o slot, se non in diretto collegamento con esse;
   una stima del loro numero è stata effettuata dal Sapar, associazione che riunisce gli operatori del settore apparecchi per intrattenimento, che parla di 6.000 macchine in 600 sale;
   non mancano studi che vedono in questa tipologia di gioco una sorta di addestramento all'azzardo, vista la dinamica molto simile a quella delle slot machine, al punto che Valle d'Aosta e Friuli Venezia Giulia hanno già provveduto a vietarne la possibilità ai minori;
   l'Italia già soffre per la diffusione della ludopatia fra gli adulti, con costi sociali, umani ed economici inaccettabili e dovrebbe, quindi, impedire la diffusione di pratiche che possano ulteriormente incrementare la diffusione del gioco d'azzardo –:
   se, in considerazione della possibilità di accedere a premi di valore significativo determinata dalla cumulabilità dei punti, non ritenga di dover immediatamente assumere iniziative volte a l'assimilazione degli apparecchi di tipo « ticket redemption» a quelli che prevedono vincite in denaro, con tutte le conseguenze in termini di limiti all'installazione, tassazione, divieti per i minori. (4-12025)


   BRUNETTA. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   con la nomina in autunno del 2014 di Roberto Reggi a direttore generale dell'Agenzia del demanio si auspicava un profondo cambiamento, una sorta di inversione di tendenza votata alla meritocrazia e al dinamismo, che coincidesse con una diminuzione dei dirigenti, circa 50 di cui solo 16 nelle direzione regionali, nonché con una sospirata valorizzazione di tutto il personale;
   nonostante l'ingente presenza numerica di dirigenti, precedentemente sottolineata, il neo direttore Reggi ha provveduto ad assumere contemporaneamente all'inizio del suo incarico ben due nuovi dirigenti, Vittoria Avanzi e Renza Malchiodi, entrambe ex dipendente del comune di Piacenza, città nella quale Reggi è stato sindaco dal 2000 al 2012;
   Reggi dall'inizio del suo incarico ha sostanzialmente confermato nel loro ruolo storico tutti i direttori centrali in carica da circa 12/14 anni, garantendo loro gli stessi stipendi e benefit d'oro;
   Reggi aveva garantito una rotazione degli incarichi, nonché una riorganizzazione della direzione generale dell'Agenzia del demanio che avrebbe coinvolto 150 dipendenti su 320, senza distinzione di profili e/o livelli d'inquadramento, i quali sarebbero andati fisicamente a potenziare le direzioni regionali sparse nel Paese;
   nonostante il preannunciato piano di riorganizzazione, Reggi nell'autunno del 2015 con un avviso di selezione lampo per un super esperto di lavori, con competenza su tutto il territorio nazionale, ha assunto tale Massimo Gambardella, ex direttore generale del comune di Piacenza, nonostante il suo curriculum vitae non fosse altamente qualificante in corrispondenza del ruolo da assumere;
   nonostante la messa in moto della macchina riorganizzativa della direzione generale dell'Agenzia del demanio, sempre nell'autunno del 2015 sono stati assunti due nuovi tecnici « energy manager», pur senza verificare preventivamente le competenze dei circa 50 tecnici interni già assunti in direzione generale;
   a partire dall'inverno del 2015, mentre parte degli amministrativi ha iniziato ad essere instradata coattivamente allo « smart working» (un lavoro da remoto di bassissimo profilo per conto delle direzioni regionali), è iniziata una toto-mobilità per tutti i tecnici della direzione generale di tipo o volontaria o forzata, in entrambi i casi con delle condizioni pessime che hanno evidenziato miseri accompagnamenti di breve durata e nessun riconoscimento professionale;
   tra gli esclusi alla mobilità volontaria o forzata che sia, risultano essere tutti i dirigenti e tutti i quadri assunti in direzione generale;
   sono stati trasferiti solo ed esclusivamente tecnici di inquadramento medio-basso con stipendi da operai;
   la nomina di Roberto Reggi, a giudizio dell'interrogante, non ha risposto a quella tanto sospirata voglia di discontinuità con i precedenti direttori –:
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per garantire all'interno della direzione generale dell'Agenzia del demanio un corretto ed equilibrato piano di riorganizzazione, in seno ad una meritocrazia tanto sbandierata a purtroppo assente, al fine di potenziare le direzioni regionali a vantaggio degli enti locali e dello Stato garantendo sussidiarietà e snellimento delle procedure. (4-12036)

GIUSTIZIA

Interrogazione a risposta scritta:


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la pianta organica del personale amministrativo del tribunale di Bergamo risulta sottodimensionata rispetto alle effettive esigenze del territorio;
   in aggiunta a questa criticità strutturale, si registra una protratta e progressiva scopertura di personale amministrativo, il che aggrava il deficit di detto personale, portandolo a una percentuale del 40 per cento;
   tale situazione, come evidenziato dal presidente del tribunale in alcune dichiarazioni rilasciate alla stampa, è da attribuirsi soprattutto alla mancanza di turn-over, in quanto il personale che va in pensione o che si trasferisce non viene sostituito da nuovo personale;
   benché il Ministro della giustizia rivendichi il merito di avere promosso nuove assunzioni, la situazione resta grave, in quanto gli effetti delle suddette misure di rimpiazzo potranno, eventualmente, essere apprezzati solo nel corso di alcuni anni, per elementari ragioni tecniche e logistiche;
   ciò sta avendo gravi ripercussioni sul funzionamento degli uffici giudiziari bergamaschi, provocando blocchi e rallentamenti non più tollerabili, con conseguenti pesanti disagi per la popolazione;
   secondo un principio consolidato in dottrina e giurisprudenza, «una giustizia ritardata è una giustizia negata» –:
   quali iniziative intenda adottare per colmare il grave deficit di organico del tribunale di Bergamo con personale amministrativo qualificato;
   quali siano i tempi previsti per gli interventi volti ad assicurare il ritorno alla normalità del funzionamento del tribunale di Bergamo. (4-12024)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

VIII Commissione:


   MATARRESE, D'AGOSTINO, VARGIU, VECCHIO e PIEPOLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'annoso ed evidente stato di precarietà e di pericolosità della strada statale 106 Jonica è, ancora oggi, causa di numerosi incidenti e decessi, tanto che nel volume «Incidentalità nelle regioni d'Italia» dell'ISTAT è considerata come «la strada più pericolosa d'Italia» per gli altissimi indici di lesività e mortalità;
   la strada risulta inadeguata a gestire gli attuali volumi di traffico a causa di ormai noti e rilevanti problemi infrastrutturali, della presenza di lunghi tratti a due corsie di marcia con frequenti accessi non autorizzati, fuori norma o non segnalati, di un manto stradale in pessime condizioni, di attraversamenti dei centri abitati e di un'illuminazione spesso carente;
   secondo recenti fonti di stampa, pare che i lavori di ammodernamento e di messa in sicurezza procedano lentamente a causa di problemi burocratici e procedurali diversi;
   secondo quanto si evince dagli organi di stampa, sembrerebbe che nei primi 37 giorni del 2016 la pericolosità del tratto stradale abbia causato già 4 vittime e diversi feriti nonché manifestazioni di protesta da parte dei cittadini;
   nel mese di ottobre 2015 la Camera dei deputati ha approvato la mozione n. 1-01001 del gruppo parlamentare di Scelta Civica tramite la quale ha impegnato il Governo ad adottare misure volte all'ammodernamento e alla messa in sicurezza della strada statale n. 106 nell'ambito della riduzione graduale del divario infrastrutturale esistente tra le regioni del Mezzogiorno e quelle del Nord Italia –:
   quale sia lo stato attuale di avanzamento dei lavori di ammodernamento e messa in sicurezza della strada statale 106 e quali iniziative di competenza intenda adottare per favorire, nell'ambito della definizione dei Patti per il Sud, la celere risoluzione dei principali problemi del tratto stradale e delle maggiori criticità burocratiche ed amministrative che ostacolano il completamento dei lavori, nonché l'accelerazione degli interventi più urgenti da porre in essere, secondo uno specifico cronoprogramma e con risorse definite, affinché sia possibile ridurre drasticamente il numero di incidenti, decessi e feriti. (5-07745)


   DAGA, MANNINO, TERZONI, ZOLEZZI, BUSTO, DE ROSA, MICILLO e VIGNAROLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   nel maggio 2014 è stato approvato il decreto-legge 47 del 2014 convertito dalla legge 80 del 2014 che, all'articolo 3, comma 1, prevede:
    «1. All'articolo 13 del decreto-legge 25 giugno 2008, n. 112, convertito, con modificazioni, dalla legge 6 agosto 2008, n. 133, sono apportate le seguenti modificazioni:
     a) il comma 1 è sostituito dal seguente: «1. In attuazione degli articoli 47 e 117, commi secondo, lettera m), e terzo della Costituzione, al fine di assicurare il coordinamento della finanza pubblica, i livelli essenziali delle prestazioni e favorire l'accesso alla proprietà dell'abitazione, entro il 30 giugno 2014, il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dell'economia e delle finanze e il Ministro per gli affari regionali e le autonomie, previa intesa della Conferenza unificata, di cui all'articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, approvano con decreto le procedure di alienazione degli immobili di proprietà dei comuni, degli enti pubblici anche territoriali, nonché degli Istituti autonomi per le case popolari, comunque denominati, anche in deroga alle disposizioni procedurali previste dalla legge 24 dicembre 1993, n. 560. Il suddetto decreto dovrà tenere conto anche della possibilità di favorire la dismissione degli alloggi nei condomini misti nei quali la proprietà pubblica è inferiore al 50 per cento oltre che in quelli inseriti in situazioni abitative estranee all'edilizia residenziale pubblica, al fine di conseguire una razionalizzazione del patrimonio e una riduzione degli oneri a carico della finanza locale. Le risorse derivanti dalle alienazioni devono essere destinate esclusivamente a un programma straordinario di realizzazione o di acquisto di nuovi alloggi di edilizia residenziale pubblica e di manutenzione straordinaria del patrimonio esistente.»;
   l'articolo 4 del decreto-legge 47 del 2014 convertito dalla legge n. 80 del 2014 prevede con una tempistica ben chiara l'approvazione di un decreto attuativo volto a promuovere un programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica; lo stesso articolo prevede che: «Il Governo riferisce alle competenti Commissioni parlamentari circa lo stato di attuazione del Programma di recupero di cui al presente articolo decorsi sei mesi dall'emanazione del decreto di cui al comma 1 e successivamente ogni sei mesi, fino alla, completa attuazione del Programma»;
   l'articolo 14, del cosiddetto decreto-legge «giubileo», recante «Interventi in materia di edilizia residenziale pubblica», prevede: «Al fine di incentivare il programma di recupero di immobili e alloggi di edilizia residenziale pubblica anche per prevenire fenomeni di occupazione abusiva, è autorizzata la spesa di 25 milioni di euro per l'anno 2015 da ripartire sulla base del programma redatto ai sensi dell'articolo 4 del decreto-legge 28 marzo 2014, n. 47, convertito, con modificazioni, dalla legge 23 maggio 2014, n. 80;
   nella seduta dell'VIII Commissione (Ambiente) del 29 ottobre 2015, in risposta all'interrogazione n. 5/06737, il Governo ha sostenuto che: «i fondi disponibili in questa prima fase renderanno possibile intervenire su circa 4400 alloggi con interventi di lievi entità e su oltre 18.000 alloggi con interventi di ripristino di alloggi di risulta e di manutenzione straordinaria. Ciò posto, è intenzione del MIT rafforzare l'intervento sull'edilizia residenziale pubblica con il rifinanziamento del programma di recupero mediante il reperimento di nuove risorse» –:
   se il Ministro, in base a quanto previsto dalle norme riportate in premessa, intenda riferire al più presto alla Commissione parlamentare competente circa lo stato di attuazione delle disposizioni sopra citate e, in particolare, relativamente allo stato di attuazione del programma di recupero previsto dall'articolo 4 del decreto-legge n. 47 del 2014. (5-07746)


   GRIMOLDI e BORGHESI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con la precedente interrogazione n. 5-05686, gli interroganti hanno rappresentato al Governo i problemi di finanziamento relativi al completamento dei lavori per la realizzazione della caserma dei carabinieri di Sarezzo;
   il comma 3 dell'articolo 3 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, cosiddetto «sblocca Italia», convertito, con modificazioni, dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, ha destinato 100 milioni di euro ai provveditorati interregionali alle opere pubbliche del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti «per interventi di completamento di beni immobiliari demaniali di loro competenza e, nel limite di 50 milioni, per l'attuazione di interventi urgenti in materia di dissesto idrogeologico, di difesa e messa in sicurezza di beni pubblici, di completamento di opere in corso di esecuzione nonché di miglioramento infrastrutturale»;
   come emerge dalla risposta del sottosegretario di Stato Del Basso De Caro quale rappresentante del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti nella seduta della Commissione ambiente del 4 giugno 2015, il programma degli interventi di beni immobiliari demaniali di competenza dei provveditorati interregionali alle opere pubbliche per un finanziamento complessivo di 50 milioni di euro, in attuazione dell'articolo 3, comma 3, del decreto-legge «sblocca Italia», è stato approvato con il decreto ministeriale del 9 gennaio 2015, e in tale programma sono state inserite provviste finanziarie pari a 1,8 milioni di euro destinate al completamento delle caserme dei Carabinieri di Sarezzo, Pontoglio e Flero;
   secondo quanto comunicato dal Governo, si era allora in attesa dell'istituzione del nuovo capitolo di bilancio da parte del Ministero dell'economia e delle finanze, cui far confluire le risorse complessive per tutti gli interventi previsti nel citato decreto ministeriale, per provvedere successivamente all'immediata assegnazione delle risorse al competente provveditorato interregionale per la Lombardia e l'Emilia Romagna;
   la caserma dei carabinieri di Sarezzo è in costruzione ormai da diversi anni e, nonostante le rassicurazioni del Governo e lo stato avanzato dell'opera, i lavori risultano ancora bloccati;
   il completamento dei lavori ha carattere prioritario per il comune di Sarezzo, poiché consentirebbe il celere avvio dell'operatività della caserma dei carabinieri con notevoli effetti positivi per la popolazione –:
   quali siano i tempi dell'erogazione delle risorse necessarie per il proseguimento dei lavori della caserma dei carabinieri di Sarezzo. (5-07747)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GRASSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il signor Michele Gigli, di 20 anni, diploma di perito capo-tecnico con specializzazione elettrotecnica e automazione con votazione 100/100, ad inizio ottobre 2015 ha presentato il suo curriculum vitae alle Ferrovie dello Stato italiane, per partecipare al bando di assunzione per la zona di Cagliari;
   a fine ottobre è stato contattato per un primo colloquio con l'azienda RFI con esito positivo;
   le visite mediche hanno riscontrato un valore basso di glicemia (66). Il signor Gigli ha motivato tale valore dal fatto che al mattino presto aveva già corretto il suo valore mattutino (155) con una unità di insulina;
   il medico responsabile ha richiesto una certificazione del medico di base del signor Gigli;
   il medico di base ha certificato quanto segue: «Certifico che Michele Gigli, nato a Cagliari il 13/9/1995 e residente a Cagliari in via Campania, 10 è affetto da diabete Mellito di tipo 1 dal 2004. Attualmente presenta buon compenso glicemico e non presenta patologie associate al diabete. È in grado di effettuare un buon autocontrollo domiciliare, una buona aderenza alla dieta e di effettuare una costante attività fisica. Viene seguito presso i nostri ambulatori con controlli ematici trimestrali e valutazioni dell'andamento mensile e ogni qual volta sia necessario una variazione terapeutica»;
   in data 16 novembre 2015 il signor Gigli è stato convocato per ricevere la comunicazione di «non idoneità» alla mansione con le seguenti conclusioni: «Candidato affetto da diabete mellito di tipo 1, in trattamento insulinico. Vista la tipologia di attività lavorativa connessa con la sicurezza dell'esercizio ferroviario, si giudica non in possesso dei requisiti per le attività di sicurezza richiesta»;
   durante lo stesso incontro, a quanto risulta all'interrogante, gli sarebbe stato consigliato di inviare la pratica di ricorso a Roma;
   il signor Gigli presenta prontamente il ricorso e in data 27 novembre è invitato a presentarsi a Roma;
   il signor Gigli consegna tutta la documentazione medica in suo possesso, comprese le certificazioni del suo medico di base e del suo diabetologo;
   si sottopone ai prelievi e alle visite previste e in data 17 dicembre 2015 riceve l'esito di conferma del giudizio di Cagliari e cioè di «idoneità» –:
   se il Governo non consideri discriminante dichiarare «non idonea» una persona semplicemente affetta da diabete e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al riguardo. (5-07714)


   CRIVELLARI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la stazione ferroviaria di Rovigo non presenta, ad oggi, sistemi di montacarico per lo spostamento di persone anziane, non deambulanti o con disabilità motoria attraverso il sottopasso per accedere ai binari e anche alle carrozze;
   il passaggio oggi per le persone che utilizzano dispositivi mobili a ruote per deambulare avviene attraverso passaggio diretto, seppur accompagnato da personale di stazione, sui binari;
   il servizio di trasporto pubblico ferroviario dovrebbe essere erogato secondo un regolamento dello Stato che stabilisca che alle persone a ridotta mobilità (PRM) si debba garantire l'accesso alle stazioni, alle banchine, al materiale rotabile e a tutti gli altri servizi;
   corre l'obbligo a giudizio dell'interrogante, per le imprese ferroviarie, di fornire assistenza gratuita per salire e scendere dal treno ed a bordo dello stesso –:
   se il Ministro interrogato intenda assumere iniziative di competenza per una pronta messa in sicurezza delle infrastrutture al fine di agevolare gli spostamenti delle persone con ridotta mobilità verso i binari e sui treni che fermano o partono dalla stazione di Rovigo e quali siano, alla data odierna, le eventuali progettualità che interessano tale stazione ferroviaria in relazione all'abbattimento delle barriere architettoniche o degli ostacoli esistenti. (5-07718)


   GRILLO, DE LORENZIS, CANCELLERI, DI BENEDETTO, DI VITA, LUPO, MANNINO, NUTI, D'UVA, LOREFICE, MARZANA, RIZZO e VILLAROSA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   da notizie di stampa riportate dal giornale Il Tempo, il 1o febbraio 2016, si viene a conoscenza che è prevista una fusione di attività tra la Corporacion America (la multinazionale argentina che opera negli aeroporti di mezzo mondo) e il Fondo italiano per le infrastrutture, F2i; tale Fondo è costituito dalla Cassa depositi e prestiti, da banche e da investitori istituzionali;
   l'unione delle attività tra la Corporacion America e il F2i sarebbe preceduta dalla vendita di F2i delle proprie quote azionarie a Corporacion America, creando le premesse affinché tale società diventi un attore principale per quanto concerne le attività degli aeroporti italiani;
   tale operazione, come continua l'articolo de Il Tempo, potrebbe causare la privatizzazione di un asset strategico per l'economia italiana e precisamente quello delle attività connesse agli aeroporti nel nostro Paese e, allo stesso tempo, causerebbe un ridimensionamento della presenza del fondo F2i;
   la privatizzazione degli aeroporti italiani inizierebbe con la quotazione in borsa di alcuni scali e uno dei primi, che seguirebbe tale procedura, sarebbe quello di Fontanarossa di Catania;
   la Sac spa, la società di gestione dell'aeroporto di Catania ha tenuto il 6 novembre 2015, come si legge dal suo sito, un convegno pubblico dal titolo «Quotarsi in borsa», nella discussione è intervenuto l'amministratore delegato Gaetano Mancini, che ha sostenuto la necessità di quotare in borsa lo scalo catanese;
   in una dichiarazione congiunta di Salvatore Bonura, presidente della Sac spa e Gaetano Mancini, amministratore delegato della Sac spa del 22 dicembre 2015, rilasciata al giornale on-line Sicilia Journal il 22 dicembre 2015 si legge: «Confcommercio, per bocca dei suoi dirigenti dichiara che è necessario impedire la quotazione in Borsa (dello scalo di Catania). E motiva la sua posizione sostenendo che con la quotazione si procederebbe a un aumento di capitale con cui di fatto si determinerebbe un indebolimento della quota degli enti pubblici proprietari senza che agli enti ne derivi, nella sostanza, alcun ritorno»;
   il giornale on-line L'Urlo del 21 gennaio 2016, riporta la notizia che la Sac spa la società di gestione dell'aeroporto di Catania, si riunirà in assemblea societaria a metà febbraio 2016 per dare il via alla quotazione in borsa a Piazza Affari; la Sac spa accelera le operazioni per la quotazione in borsa per trovare le risorse necessarie per effettuare da qui al 2019 un piano di finanziamenti da 215 milioni di euro, che Enac avrebbe approvato pochi giorni fa;
   il decreto del Presidente della Repubblica del 17 settembre 2015, n. 201, «Regolamento recante l'individuazione degli aeroporti di interesse nazionale, a norma dell'articolo 698 del codice di navigazione», all'articolo 1, comma 1, individua per la Sicilia Orientale l'aeroporto di Catania come scalo di interesse nazionale; il comma 8 dell'articolo 1 del citato decreto del Presidente della Repubblica stabilisce che le società di gestione degli aeroporti d'interesse nazionale devono dotarsi di un piano industriale corredato da un piano economico-finanziario;
   in un articolo de Il Fatto Quotidiano del 22 luglio 2015 è riportata la notizia che la Corporacion America ha versato per l'anno 2014 alla fondazione Open legata al Presidente del Consiglio Matteo Renzi, 25 mila euro di finanziamenti –:
   se il Governo sia a conoscenza di un disegno che miri a quotare in borsa le società di gestione di molti aeroporti italiani;
   se corrisponda al vero che il Fondo italiano per infrastrutture, F2i, venderebbe le proprie quote azionarie alla holding argentina Corporacion America, che opera nella gestione di molti aeroporti sparsi nel mondo;
   se il Governo sia a conoscenza delle decisioni formali di Sac spa, società di gestione dell'aeroporto di Catania, in merito alla quotazione in borsa dello scalo catanese e quale eventuale beneficio un aumento di capitale determinerebbe per gli attuali enti pubblici proprietari del Fontarossa;
   se il Governo sia a conoscenza del piano industriale, corredato da un piano economico-finanziario, predisposto della Sac spa per quanto riguarda l'aeroporto di Catania, così come previsto dal comma 8 dell'articolo 1 del citato decreto del Presidente della Repubblica del 17 settembre 2015, n. 201. (5-07721)

INTERNO

Interrogazioni a risposta scritta:


   GREGORIO FONTANA. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   la frequenza di fenomeni criminali nella Bassa bergamasca resta alta, tanto che l'area può considerarsi tra quelle a più alto tasso di criminalità della provincia di Bergamo;
   in considerazione di ciò, da parte della società civile e dei parlamentari locali si è proposto a più riprese l'elevazione della stazione dell'Arma dei carabinieri di Zingonia al rango di tenenza;
   l'elevazione della stazione dell'Arma dei carabinieri di Zingonia appare necessaria, alla luce dei problemi di sicurezza e ordine pubblico riscontrati nell'area, purché detta iniziativa si inserisca nel quadro di un generale rafforzamento della presenza delle forze dell'ordine sul territorio;
   è necessario assicurare una presenza capillare e diffusa delle forze dell'ordine nell'area, secondo la tradizione dell'Arma dei carabinieri;
   la chiusura anche di una sola stazione dell'Arma sul territorio comporterebbe un pericoloso impoverimento della presenza delle forze dell'ordine in un territorio afflitto da persistenti e diffuse criticità in materia di sicurezza e di ordine pubblico –:
   se e in quali tempi sarà realizzata l'elevazione della stazione dei carabinieri di Zingonia al rango di tenenza;
   se esista il rischio che tale opportuna e condivisibile iniziativa comporti la chiusura di altre stazioni dell'Arma sul territorio;
   quali iniziative intenda intraprendere il Governo per rafforzare la presenza capillare delle forze dell'ordine nella Bassa bergamasca. (4-12023)


   BRUNO BOSSIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 28 luglio 2015 il consiglio comunale di Mirabella Eclano (AV) adottava la delibera n. 17 in materia di «determinazione aliquote componente TASI (tributi servizi indivisibili) anno 2015»;
   dalla copia di tale delibera, affissa il 3 agosto 2015 e defissa il 18 agosto 2015 (n.registro notifiche 581), risulta che la seduta è stata presieduta dall'ingegner NADIA SANTAMARIA nella qualità di VICE PRESIDENTE DEL CONSIGLIO, mentre sotto la dicitura «Responsabile del Servizio» si legge «f.to Rag. Tuozzolo Nicola»;
   tuttavia, nella copia della medesima delibera trasmessa al Ministero dell'economia e delle finanze per gli adempimenti di competenza, si legge «Presiede la seduta il Rag. PETRUOLO GOFFREDO nella qualità di PRESIDENTE DEL CONSIGLIO» e, sotto la dicitura «Responsabile del Servizio», si legge «f.to Dott.ssa Fontana Maria Grazia»;
   quanto fin qui esposto parrebbe all'interrogante configurare un falso in atto pubblico, ma non è tutto;
   in data 28 luglio 2015 il citato vice presidente del consiglio comunale ing. NADIA SANTAMARIA sottoscriveva un avviso per convocare il consiglio comunale in data 13 agosto 2015;
   conseguentemente, con avviso prot. n. 6752 del 29 luglio 2015, veniva convocata una seduta per il giorno 13 agosto 2015 avente all'ordine del giorno l'approvazione del bilancio di previsione anno 2015;
   in data 26 agosto 2015, con nota avente ad oggetto «Richiesta di chiarimenti modalità di convocazione consiglio comunale del 13 agosto 2015» (acquisita con prot. n. 7629 il giorno successivo), il capogruppo consiliare di «Bene Comune» chiedeva al predetto vice presidente ragione dell'avvenuta convocazione da parte della stessa e non del presidente; chiedeva inoltre se il sindaco o i consiglieri comunali, così come previsto per legge, avessero inoltrato formale richiesta di convocazione; se, infine, il presidente avesse comunicato la propria impossibilità a svolgere la funzione e pertanto di fatto delegato la convocazione del consiglio comunale in parola;
   a tale istanza rispondeva in data 1o settembre (con nota acquisita con prot. n. 7807 il giorno successivo) il presidente del consiglio comunale il quale dichiarava di non essere a conoscenza delle motivazioni dell'avvenuta convocazione, di non aver mai ricevuto alcuna richiesta volta alla convocazione del consiglio comunale in parola, di non aver mai comunicato la propria impossibilità a svolgere la funzione di presidente e, conseguentemente, di non aver mai delegato in alcun modo l'attività di convocazione de qua;
   rispondeva altresì il sindaco (con nota acquisita con prot. n. 79297 il 7 settembre 2015) rappresentando che in data 28 luglio 2015, al termine di seduta del consiglio comunale tenutasi in pari data, il vice presidente aveva sottoscritto l'avviso per nuova convocazione in data 13 agosto 2015, motivando l'esercizio del potere vicario con l'assenza, nella seduta appena ultimata, del presidente il quale – come riferito dal Vice Presidente stesso – aveva comunicato al capogruppo di maggioranza ed al sindaco la sua assenza per motivi di salute;
   il Sindaco aggiungeva altresì che il presidente del consiglio comunale sarebbe stato edotto in una riunione di maggioranza di tale convocazione, che del resto era inevitabile essendo il termine ultimo utile quello del 30 luglio 2015; che il presidente — assente per malattia nella seduta del 28 luglio – non aveva comunicato la cessazione del suo stato di malattia e quindi di ripresa dell'esercizio delle sue funzioni; che, infine, appresa l'avvenuta convocazione non aveva ritenuto di esercitare le sue prerogative ed, eventualmente, ritirare l'avviso a firma del vice presidente ed emettere nuovo avviso;
   dette circostanze – che risultano smentite da quanto dichiarato in precedenza dal presidente del consiglio comunale con la citata nota del 1o settembre 2015 — risultano ulteriormente smentite dalle dichiarazioni rese al riguardo anche dal vicesindaco, udito quale persona informata dei fatti;
   infatti, nella delibera n. 26 relativa al consiglio comunale del 25 novembre 2015, si legge che: «Il Presidente ... (omissis)... tiene a precisare che lui quel giorno del Consiglio comunale del 28 luglio non era malato e né ha mai creato problemi per la firma, avrebbero potuto portarglielo a casa anche se malato, avrebbe firmato, in ogni caso è stato firmato il 28 luglio, protocollato il 29 luglio ed il termine per la scadenza per la convocazione era il 30 luglio, per cui poteva e c'era il tempo perché fosse stato lui a firmarlo. ...(omissis)...11 Vicesindaco Giancarlo Ruggiero, chiamato in qualità di persona informata, ha dichiarato che il Presidente del Consiglio non era malato.»;
   quanto sopra, oltre a poter eventualmente configurare un abuso di ufficio, ad avviso dell'interrogante renderebbe illegittime la delibera di approvazione del bilancio di previsione in quanto la convocazione della relativa seduta di consiglio comunale non sarebbe stata emessa dal presidente, unico legittimato per tale adempimento –:
   se il Ministro interrogato sia conoscenza dei fatti sopra descritti e, in particolare, se e quali elementi abbia acquisito per il tramite del prefetto;
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere iniziative normative volte a meglio definire i presupposti per la validità delle sedute dei consigli comunali, con particolare riguardo alla titolarità e all'esercizio del potere di convocazione, al fine di evitare casi come quello descritto in premessa. (4-12026)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   durante un servizio andato in onda su La7 il 26 novembre 2015 nel corso della trasmissione televisiva « Piazza Pulita», un poliziotto ha denunciato in via anonima che i giubbetti ed i caschi in dotazione alla polizia sono inadatti, soprattutto se devono essere utilizzati per difendere dalle armi usate dai terroristi islamici. Nel corso del servizio televisivo in oggetto, andato in onda con le cautele necessarie ad impedire l'identificazione del denunciante, è stata dimostrata mediante prove balistiche la fragilità e la parziale inefficienza di questi giubbotti, molti dei quali scaduti nel 2015, soprattutto se dovessero essere usati per proteggere contro armi «lunghe»;
   successivamente, la procura di Roma, per risalire all'identità del poliziotto che aveva rilasciato tali dichiarazioni, ha disposto il sequestro del filmato integrale dell'intervista privo degli accorgimenti utilizzati per coprire l'identità del poliziotto;
   occorre segnalare che l'ordine di sequestro è stato rivolto all'emittente La7, che non può rifiutarsi dal consegnare quanto in suo possesso, piuttosto che al giornalista, il quale potrebbe avvalersi del segreto professionale per difendere l'identità del suo informatore, così come previsto dalla legge;
   si tratta di un comportamento – così come correttamente denunciato da La7 – che «mette a rischio il libero esercizio della professione giornalistica, oltre che le fonti che decidono, proprio perché tutelate dal nostro segreto, di dare informazioni che, diversamente, non giungerebbero all'opinione pubblica». Iniziative di questo tipo – prosegue la redazione – sono «sanzionate dalla Corte di Strasburgo e dichiarate illegittime dalla Corte di Cassazione, a tutela del segreto professionale, che è un diritto del giornalista». Secondo quanto segnalato al deputato interrogante hanno protestato contro tale provvedimento anche la Federazione nazionale della stampa italiana e l'Unione delle camere penali italiane; al contempo, l'ordine dei giornalisti sottolinea che il contenuto delle dichiarazioni del poliziotto, non essendo stato smentito, è da considerarsi veritiero –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di quanto denunziato in premessa, quale sia il suo orientamento in merito e se non ritenga che i vertici della polizia di Stato debbano impegnarsi a migliorare la strumentazione a disposizione degli agenti più che a perseguire gli agenti che denunciano la precarietà dei mezzi a loro disposizione;
   se il Ministro interrogato non ritenga di assumere iniziative al fine di promuovere una modifica della normativa finalizzata ad assicurare che la segretezza delle fonti giornalistiche sia effettiva e non possa venire aggirata come avvenuto nelle vicende illustrate in premessa. (4-12030)


   MIOTTO, CAMANI, NACCARATO, NARDUOLO, ROSTELLATO e ZAN. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi è accaduto un gravissimo fatto intimidatorio nei confronti della sindaca di Polverara (PD), Alice Bulgarello che impone una netta presa di posizione di condanna a questa ennesima minaccia rivolta ai sindaci ed amministratori che si battono per la legalità nel Paese, ma che suggerisce anche la necessità di intensificare l'azione di sostegno agli amministratori affinché non siano lasciati soli oltre al doveroso impegno per individuare gli autori di simili comportamenti minacciosi che configurano gravi reati;
   quanto ai fatti la sindaca Bulgarello riceve nei giorni scorsi una lettera contenente minacce a lei, all'ex tecnico comunale Pinato ed al comandante dei carabinieri ora in pensione. Il contenuto minaccioso che esprimono le seguenti frasi – pubblicate nei quotidiani locali – è inequivocabile: «stai molto attenta a quello che fai al processo», «Non si sa mai. Rinuncia a costituirti al processo. Suggerisci al tuo compare Pinato di non parlare tanto in giro e di stare molto attento a quello che andrà a raccontare. Anche se l'ha passata liscia con le denunce non è detto che non possa rompersi una gamba. Non chiamate il vostro amico Comandante, tanto non può più fare niente e visto che è un pensionato le gambe possono rompersi anche a lui»;
   nella sostanza gli anonimi «amici di Polverara» intendono intimidire l'amministrazione di Polverara che si è costituita parte civile, accanto alla regione Veneto, in un procedimento giudiziario iniziato parecchi mesi orsono contro due ex sindaci di Polverara ed alcuni imprenditori, per una serie di lavori pubblici mai completati, ma regolarmente pagati;
   l'azione dell'Amministrazione Comunale ed in particolare della Sindaca e degli amministratori che con lei collaborano è altamente meritoria e va sostenuta con ogni iniziativa che esprima la solidarietà dei cittadini e delle istituzioni come è avvenuto nell'incontro organizzato dall'Associazione Avviso Pubblico con la presenza di decine di sindaci della zona –:
   se sia a conoscenza dei fatti accaduti e riassunti in premessa;
   se ritenga di assumere una iniziativa per far sentire la vicinanza delle istituzioni alla sindaca di Polverara Alice Bulgarello, minacciata gravemente nell'assolvimento dei suoi compiti;
   se ritenga di promuovere iniziative per supportare per quanto di competenza, le attività degli inquirenti volte ad individuare i responsabili di tale azione delittuosa. (4-12037)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CAROCCI, TULLO, BASSO e GIACOBBE. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   tramite accreditati organi di stampa il rettore dell'università di Genova denuncia la possibile chiusura — anche entro i prossimi due anni — della facoltà di ingegneria navale a Genova e di ingegneria nautica a La Spezia a causa della mancanza di professori;
   attualmente risultano per mille studenti solo quindici docenti, tre dei quali entro il 2018 andranno in pensione e con la scadenza dei cinque contratti di ricercatori a tempo determinato dal 1o novembre 2018 l'organico si ridurrà a nove docenti;
   ingegneria navale, a Genova, e ingegneria nautica, a La Spezia, offrono sbocchi occupazionali certi, considerate le facoltà per eccellenza, anche a livello internazionale, registrano il 60 per cento degli iscritti fuori sede;
   nell'ultimo anno per la sede di La Spezia sono stati investiti undici milioni di euro che hanno reso l'ateneo ancora più competitivo, ma si rischia, a causa del numero ridotto di docenti, di non confermare per i prossimi anni l'offerta didattica –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza del rischio di chiusura della facoltà di ingegneria navale, a Genova, e di ingegneria nautica, a La Spezia e, in tal caso, quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere al fine di tutelare un'eccellenza riconosciuta a livello internazionale. (5-07709)


   PILI. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nei conservatori il 60 per cento dei docenti è costituito da precari;
   in molti conservatori (per esempio quello di Sassari) non è possibile costituire il Senato accademico e quindi di fatto viene bloccata l'attività didattica;
   questo precariato è di lungo corso ovvero formato da docenti che insegnano da oltre 5 anni con punte di 12 anni;
   il precariato formatosi nel settore dell'alta formazione artistica e musicale è stato generato da una assenza di procedure concorsuali «aperte» per ben 26 anni (legge n. 417 del 1990 ultimo concorso per titoli ed esami) e «riservate» per ben 17 (OM n. 247 del 1999 ultimo concorso riservato a 360 giorni di servizio), nonché da una sovrapposizione normo-giuridica senza precedenti nella storia dell'istruzione;
   in molti istituti per disciplina vi sono più docenti a tempo determinato che a tempo indeterminato, il che rende spesso impossibile la costituzione delle commissioni utili alle procedure selettive pubbliche atte al conferimento degli incarichi di supplenza;
   i dati del precariato AFAM odierno così come censiti dalle graduatorie originatesi per effetto della legge n. 128 del 2013 e del decreto ministeriale n. 526 del 2014 mostrano:
    1.201 docenti idonei (numero che sommato alle gemelle graduatorie ex legge n. 143 del 2004 non riesce ad oggi a soddisfare i posti attualmente vacanti e disponibili così che gli istituti sono ugualmente costretti a ricorrere a graduatorie di istituto per far fronte all'erogazione del servizio);
    età media dei docenti sopra ai 40 anni con picchi limite all'età pensionabile, tutti abilitati da concorsi nazionali (per titoli) e soggetti ad una selezione pluriennale, così come anche evidenziato dalla legge n. 128 del 2013 («...che abbia superato un concorso selettivo...»), nonché con una esperienza di insegnamento pluriennale in tutte le fasce educative del settore previste per legge (preaccademica, accademica e in alcuni casi terziaria), ma soprattutto con una media di servizio abbondantemente superiore al limite imposto per legge alla costituzione di un rapporto a tempo indeterminato (tre anni);
   tanto risulta dalla normativa nazionale (decreto legislativo n. 368 del 2001) e sovranazionale (direttiva 1999/70/CE) così come ricostruita dalle recenti pronunce della Corte di giustizia dell'Unione europea;
   questi docenti, sono inoltre tutti occupati su posti liberi e vacanti con contratto a tempo determinato, reiterato negli anni, per svolgere le medesime mansioni lavorative;
   val la pena ricordare che il docente di conservatorio differenzia dal docente di scuola secondaria per flessibilità del proprio monte ore (per cui le supplenze brevi sono quasi inesistenti così che non è questa tipologia di servizio alla base della costituzione delle graduatorie nazionali ex lege n. 128), e che i contratti sono risultati senza soluzione di continuità in contrasto con quanto già stabilito da tutti i commi di cui all'articolo 5, decreto legislativo n. 368 del 2001, compreso il quarto, che dispone che: «quando si tratta di due assunzioni successive a termine (...) senza alcuna soluzione di continuità, il rapporto di lavoro si considera a tempo indeterminato dalla data di stipulazione del primo contratto»;
   le graduatorie d'istituto, che hanno generato il servizio abilitante alle graduatorie nazionali ex lege n. 128, sono state stilate attraverso veri e propri concorsi pubblici aperti a tutti i cittadini dell'Unione europea, senza riserve, sono state disciplinate in combinato disposto dalla legge n. 297 del 1994 (testo unico), dalla legge n. 508 del 1999 (riforma dei conservatori e accademie) dalla legge n. 124 del 1999, e dalle note ministeriali 1672 e 3154; i contratti da esse originati sono stati costituiti in assenza di violazioni di norme imperative di cui all'articolo 36 del decreto legislativo n. 165 del 2001; pertanto sono perfettamente legittimi concorsi basati sulla valutazione del curriculum, dove i docenti non avevano nessuna garanzia di preservare il proprio posto di lavoro attraverso l'automatismo dell'anzianità di servizio;
   il rapporto tra le graduatorie nazionali ex lege n. 143 e le graduatorie nazionali ex lege n. 128 non può più rappresentare il rapporto 50/50 previsto dall'equilibrio basato sul doppio canale (50 per cento concorso – 50 per cento graduatorie ad esaurimento), posto che le graduatorie nazionali ex lege n. 143 sono praticamente state quasi completamente assorbite e i posti vacanti eccedono di una percentuale vicina al 50 per cento i docenti inclusi nelle graduatorie nazionali ex lege n. 128;
   la storia del reclutamento del comparto AFAM quindi evidenzia, a giudizio dell'interrogante, una grave mancanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca il quale ha in primo luogo disatteso ben quattro leggi dello Stato:
    il decreto legislativo n. 297 del 1994 come modificato dalla legge n. 124 del 1999 poiché non ha mai bandito concorsi nei cinque al verificarsi di posti vacanti e disponibili per 15 anni e non ha mai permesso l'aggiornamento o l'integrazione delle graduatorie nazionali permanenti;
   la legge n. 508 del 1999 che prevedeva nuove regole sul reclutamento e contratti ponte rinnovabili;
    la legge n. 143 del 2004, la quale prevedeva un aggiornamento delle graduatorie nazionali permanenti della scuola ogni due anni, mentre ha invece disposto per i dipendenti del comparto AFAM una nuova graduatoria nazionale con 360 giorni di servizio;
    la legge n. 128 del 2013 che ha consentito di fatto di disattendere il termine perentorio per l'emanazione del regolamento sulle assunzioni, ha costituito una ulteriore graduatoria nazionale, in contrasto con la legge n. 508 del 1999, trasformando ad esaurimento le graduatorie nazionali ex lege n. 143, e ha trattato in maniera meno favorevole lavoratori dello stesso settore con le medesime qualifiche e le medesime mansioni;
   ai docenti inclusi nelle graduatorie nazionali ex lege n. 128 del 2013 costituitesi per effetto al decreto ministeriale 30 giugno 2014, è stato arrecato un danno grave ed irreparabile; 
   essi infatti non hanno potuto beneficiare:
    di regolari concorsi; di contratti quinquennali rinnovabili; dell'aggiornamento periodico delle graduatorie nazionali permanenti;
   essi, a giudizio dell'interrogante, hanno altresì subito:
    un operato in violazione di norme nazionali ed europee sulle violazioni dello stato di impiego (articolo 117 della Costituzione e direttiva 1999/70/CE attivata nell'ordinamento italiano con il decreto legislativo n. 368 del 2001);
    un trattamento meno favorevole dei colleghi inclusi nelle graduatorie ex lege n. 143 pur avendo i medesimi requisiti;
    un trattamento meno favorevole nei confronti dei colleghi della scuola che hanno potuto beneficiare di un periodico aggiornamento delle graduatorie permanenti;
   non vi è dubbio che il limbo normativo ed il conseguente vulnus generatosi in merito al reclutamento possa essere risolto con l'esaurimento di tutte le graduatorie di valore nazionale generatesi per effetto delle pregresse leggi;
   resta evidente che una soluzione che non risolveva il problema del precariato così come censito dalle graduatorie nazionali ex lege n. 128 del 2013 innescherebbe un insensato contenzioso, che qualunque sia l'esito, non gioverebbe al sistema;
   si tratterebbe di un insensato contenzioso perché, prima di tutto, questi docenti sono stati selezionati per decenni, e se sono rimasti nel sistema tanto a lungo, in un settore talmente difficile e selettivo, significa che vi sono indubbi meriti;
   si tratterebbe di un insensato contenzioso perché le sedi, hanno valutato i docenti con dei veri propri concorsi di sede, in cui l'anzianità di servizio aveva un valore del tutto marginale;
   sarebbe un insensato contenzioso perché una ulteriore procedura concorsuale, quando nella stessa legge si ammette che il personale incluso nelle graduatorie nazionali per accedervi, doveva aver superato un concorso selettivo, sarebbe un inutile aggravio per le casse dello Stato italiano, il quale si troverebbe a pagare un concorso in piena regola, per stabilizzare quegli stessi docenti che già vi operano;
   sarebbe insensato contenzioso, perché le recenti sentenze delle Corti superiori, lasciano intendere una soluzione, quanto alle norme sul contratto a termine, che volge alla conversione del contratto, per una reiterazione superiore ai 36 mesi, così come sancito dal decreto legislativo n. 368 del 2001 varato per adempiere agli obblighi di cui alla direttiva 1999/70/CE «accordo quadro»;
   sarebbe un contenzioso insensato perché questi docenti da anni operano nel settore e possono così garantire una continuità didattica, essenziale in questo campo –:
   se non intenda assumere iniziative con somma urgenza al fine di porre finalmente rimedio a queste palesi e reiterate situazioni, ad avviso dell'interrogante, in contrasto con la legge;
   se non intenda adottare immediate iniziative, anche di natura normativa, per risolvere l'annoso problema che riguarda il precariato AFAM;
   se non intenda affrontare tale problema nel rispetto delle regole nazionali e sovranazionali, tutelando i docenti iscritti nelle graduatorie nazionali ex lege n. 128 del 2013 e garantendo la definizione di incarichi a tempo indeterminato. (5-07713)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il diritto allo studio rappresenta uno dei principi fondamentali garantito dagli articoli 3, 33 e 34 e 97 della Costituzione, ovvero dal principio di uguaglianza sociale dei cittadini davanti alla legge, dalla libertà di scienze ed arti, dal diritto all'istruzione aperta a tutti e alla promozione meritocratica, dal principio d'imparzialità e di buon andamento della pubblica amministrazione;
   con l'entrata in vigore della legge n. 264 del 1999, il sistema universitario italiano ha adottato «il numero chiuso» o «programmato» per disciplinare l'iscrizione ad alcune facoltà ed oggi il 57 per cento dei corsi di laurea in Italia presenta barriere all'accesso;
   anche quest'anno il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha comunicato che i test di medicina 2016 si svolgeranno martedì 6 settembre 2016 per accedere ai corsi di laurea a numero programmato di medicina e chirurgia e di odontoiatria, nell'anno accademico 2016/2017. Questa comunicazione ha messo fine al dubbio sulla possibile abolizione dei test di accesso, visto quanto dichiarato lo scorso ottobre il Ministro Giannini, durante un incontro ad Udine dove aveva affermato di abolire «il test» e passare ad un altro metodo di attuazione del numero chiuso;
   ogni anno le prove di selezione per l'accesso al corso di laurea in medicina e chirurgia suscitano un elevato livello di aspettative tra gli studenti che sperano di iscriversi al corso di laurea in medicina e si preparano a sostenere una prova che selezionerà solo una bassa percentuale e che negli ultimi anni è stata oggetto di cambiamenti per la sua impostazione, sia per la graduatoria, che per la data e per i contenuti dei quiz;
   questo sistema, detto del «numero programmato» è da sempre oggetto di critiche in quanto limitante l'accesso al pieno diritto allo studio di migliaia di giovani ragazzi e ragazze che ogni anno, sono costretti a rinunciare a proseguire la loro formazione oppure a rimodularla, abbandonando le loro principali aspirazioni;
   nella classifica dei 34 Paesi più industrializzati del mondo, l'Italia è ultima per numero di giovani laureati e quartultima per fondi investiti nell'università in rapporto al Pil. Nel rapporto Ocse presentato a novembre 2015 al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, è rilevato che il numero di laureati nel nostro Paese è tra i più bassi tra i Paesi Ocse, e una siffatta politica restrittiva non fa altro che aumentare ulteriormente il divario con gli altri Paesi avanzati;
   molti giovani si recano anche all'estero solo per conseguire la laurea, aggirando così la normativa italiana che prevede numeri programmati e molti dei non ammessi si spostano verso i Paesi di Spagna, Albania, Romania, dove sembra molto più facile essere ammessi alla frequenza ai corsi delle varie facoltà;
   il sistema di selezione all'ingresso dei corsi universitari è stato oggetto di alcune sentenze dei tribunali amministrativi regionali, che hanno accolto i ricorsi collettivi presentati da migliaia di studenti di tutta Italia per diverse violazioni o vizi nelle procedure concorsuali;
   l'Unione degli universitari, confederazione di associazioni studentesche presenti nei più importanti atenei italiani, negli anni, ha portato avanti un'importante battaglia politica per chiedere l'abolizione totale e definitiva del sisma delle immatricolazioni a numero programmato;
   in questi giorni, la sezione terza bis del Tar del Lazio ha accolto il «maxi ricorso» presentato dall'Udu (Unione degli universitari) di circa 8.000 studenti che, non avendo superato il test d'ingresso alla facoltà di medicina, hanno deciso di adire le vie legali per ottenere l'iscrizione. Il «maxi ricorso» è stato spacchettato in diversi procedimenti e accolto con una quarantina di sentenze definitive per l'iscrizione all'anno 2014/2015. Ogni giorno il Tar è chiamato ad intervenire su più fronti, per garantire agli studenti diritti negati da un sistema che si rivela per l'interrogante ingiusto e che preclude l'accesso all'università;
   l'attuale situazione determina tra i giovani studenti che vogliono affermare le loro naturali inclinazioni verso uno specifico settore professionale un senso di impotenza e di frustrazione visti i costi che sono costretti a sostenere per i corsi più o meno intensivi presso scuole private che diventa un onere per le famiglie, le quali si vedono discriminate ulteriormente di fronte al fondamentale diritto all'istruzione pubblica –:
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno assumere iniziative normative per sancire l'abolizione del sistema del numero programmato per i corsi di laurea degli atenei italiani e, in alternativa, quali iniziative intenda promuovere al fine di garantire il libero accesso alla formazione universitaria e il diritto allo studio.
(5-07719)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DI VITA, MANTERO, LOREFICE, BARONI, COLONNESE, GRILLO e SILVIA GIORDANO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la procedura di accertamento dell'invalidità civile è stata radicalmente rinnovata dall'articolo 20 del decreto-legge 1o luglio, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, titolato «Contrasto alle frodi in materia di invalidità civile», che attribuisce all'INPS nuove competenze per l'accertamento dell'invalidità civile, cecità civile, sordità civile, handicap e disabilità con l'intento di ottenere tempi più rapidi e modalità più chiare per il riconoscimento dei relativi benefici, dando così avvio al cosiddetto piano straordinario contro i falsi invalidi;
   in seguito alla riforma, con specifico riferimento al fenomeno dei cosiddetti «falsi invalidi», l'Istituto previdenziale ha intrapreso un capillare piano di verifiche straordinarie nei confronti dei titolari di invalidità civile volto a contrastare il fenomeno delle indebite riscossioni di prestazioni di invalidità;
   il «Fondo per le non autosufficienze (FNA)» è stato istituito dall'articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 «Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007)», pubblicata nella Gazzetta Ufficiale 27 dicembre 2006, n. 299, S.O. n. 244. Il medesimo comma ne ha previsto l'originaria assegnazione per gli anni 2007, 2008 e 2009:
    «1. 1264. Al fine di garantire l'attuazione dei livelli essenziali delle prestazioni assistenziali da garantire su tutto il territorio nazionale con riguardo alle persone non autosufficienti, è istituito presso il Ministero della solidarietà sociale un fondo denominato «Fondo per le non autosufficienze», al quale è assegnata la somma di 100 milioni di euro per l'anno 2007 e di 200 milioni di euro per ciascuno degli anni 2008 e 2009.»;
   successivi provvedimenti hanno incrementato la destinazione finanziaria per alcune annualità e ne hanno introdotte per gli anni successivi;
   in particolare, i commi 109 e 272 dell'articolo 1 della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), stabilivano quanto segue: «109. Nell'ambito delle attività di cui all'articolo 20, comma 2, del decreto-legge 1o luglio 2009, n. 78, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 agosto 2009, n. 102, e successive modificazioni, l'Istituto nazionale della previdenza sociale (INPS), nel periodo 2013-2015, realizza, con le risorse umane, strumentali e finanziarie disponibili a legislazione vigente, un piano di 150.000 verifiche straordinarie annue, aggiuntivo rispetto all'ordinaria attività di accertamento della permanenza dei requisiti sanitari e reddituali, nei confronti dei titolari di benefici di invalidità civile, cecità civile, sordità, handicap e disabilità. Le eventuali risorse derivanti dall'attuazione del presente comma da accertarsi, con il procedimento di cui all'articolo 14 della legge 7 agosto 1990, n. 241, a consuntivo e su base pluriennale come effettivamente aggiuntive rispetto a quelle derivanti dai programmi straordinari di verifica già previsti prima dell'entrata in vigore della presente legge sono destinate ad incrementare il Fondo per le non auto sufficienze di cui all'articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sino alla concorrenza di 40 milioni di euro annui. Le predette risorse saranno opportunamente versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate all'apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali. Il Ministro dell'economia e delle finanze è autorizzato ad apportare, con propri decreti, le occorrenti variazioni di bilancio»;
   272. Per gli interventi di pertinenza del Fondo per le non autosufficienze di cui all'articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, ivi inclusi quelli a sostegno delle persone affette da sclerosi laterale amiotrofica, è autorizzata la spesa di 275 milioni di euro per l'anno 2013»;
   il citato comma 109, al primo periodo, autorizzava quindi una nuova ondata di controlli straordinari sulle persone con disabilità, che si aggiungeva ai 700.000 già eseguiti negli anni precedenti, e nonostante il fallimentare andamento delle campagne precedenti, per il triennio 2013-2015 venivano fissati altri 450.000 controlli (150 mila l'anno);
   al secondo periodo del medesimo comma, invece, veniva espressamente stabilito che le eventuali risorse derivanti dai suddetti controlli, conteggiati alla fine del periodo, sarebbero tornati al Fondo per le non autosufficienze, fino a un massimo di 40 milioni di euro annui, per una considerevole cifra totale di 120 milioni di euro sul triennio;
   il suddetto piano di controlli straordinari si è ormai concluso, ma non è dato sapere, tuttavia, a quanto ammontino attualmente le risorse derivanti dall'operazione di verifiche straordinarie e, in ultima istanza, di quanti finanziamenti aggiuntivi sia stato effettivamente incrementato il capitolo di bilancio dedicato al fondo per le non autosufficienze, come previsto dalla legge di stabilità 2013;
   con sentenza 3851/14 del 9 aprile 2014, il TAR del Lazio si è pronunciato in modo molto chiaro e netto sul tema dei controlli straordinari sui cosiddetti falsi invalidi, addirittura asserendo che: «Le modalità adottate dall'INPS per le verifiche straordinarie sui cosiddetti «falsi invalidi» sono state illegittime e lesive dei diritti delle vere persone con disabilità e i dati forniti dall'Istituto "gonfiati" e forieri solo di costi per l'Amministrazione»;
   tale pronuncia ha riconosciuto in ultima analisi che le modalità adottate dall'INPS per le verifiche straordinarie sono state «illegittime e lesive dei diritti delle vere persone con disabilità» e sconfessa ancora una volta anche i dati forniti dall'Istituto in materia;
   oltre alla lesività, sarebbe altresì ormai acclarata quindi l'inefficacia dei piani straordinari di contrasto nei confronti del falsi invalidi, in quanto i riscontri, a fronte di centinaia di migliaia di verifiche ed ingenti costi sostenuti, non sono risultati congrui rispetto ai risultati attesi;
   in relazione al tema della falsa certificazione d'invalidità e dei suoi criteri di accertamento, la prima firmataria del presente atto ha presentato nel corso della legislatura corrente alcuni atti di sindacato ispettivo, di cui alcuni ancora in attesa di risposta (nn. 2-00590, 4-01640, 4-04244, 5-02756, 5-03084, 4-06356, 5-05140, 5-05462, 4-09401) nonché una risoluzione in Commissione XII affari sociali (risoluzione n. 7-00364, presentata in data 8 maggio 2014), e gli ordini del giorno nn. 9/02486-AR/073 e 9/02486-B/063, con i quali si impegnava il Governo, al tempo in cui il piano di controlli straordinari era nel suo pieno svolgimento, ad avviare iniziative, anche di carattere normativo, più appropriate di quelle allora in atto, utili a garantire finalmente una concreta semplificazione dell’iter amministrativo di riconoscimento dell'invalidità civile;
   a tal proposito, preme ricordare in questa sede che in occasione della discussione del question time in Commissione XII n. 5-03084 del 26 giugno 2014, con cui si chiedeva se e quando il Governo intendesse sospendere il suddetto piano di verifiche straordinarie – soprattutto in ragione della sua dichiarata sproporzione nel rapporto costi/benefici – e di provvedere più sistematicamente al contrasto del fenomeno dei falsi invalidi, procedendo alla riforma degli ormai obsoleti e anacronistici criteri di accertamento dell'invalidità in base a quanto stabilito nella linea di intervento n. 1 del Programma d'Azione biennale per la promozione dei diritti e l'integrazione delle persone con disabilità adottato dal Consiglio dei ministri, il sottosegretario al lavoro e alle politiche sociali Franca Biondelli, a giudizio degli interroganti, parzialmente eludendo gli specifici quesiti posti, si limitava a tentare di giustificare l'esistenza del sano straordinario di verifiche, pur ammettendo che le revoche delle prestazioni avvenute non riguardavano falsi invalidi, bensì fisiologiche cessazioni dello stato di malattia. Riguardo poi alla volontà di attuare la riforma dei criteri di accertamento dell'invalidità civile, invece, il Sottosegretario non forniva, ad avviso degli interroganti, nessuna risposta esaustiva, invero essendosi limitata in quella sede ad illustrare alcuni riferimenti prettamente testuali, peraltro già noti in particolare agli addetti ai lavori, relativi alla citata linea di intervento n. 1 –:
   se possa indicare con esattezza le risorse eventualmente derivate dall'attuazione dell'articolo 1, comma 109, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (legge di stabilità 2013), nonché quali di tali risorse, come previsto dal medesimo comma, siano state opportunamente versate all'entrata del bilancio dello Stato per essere riassegnate all'apposito capitolo dello stato di previsione del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, incrementando così il fondo per le non auto sufficienze di cui all'articolo 1, comma 1264, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, sino alla concorrenza di 40 milioni di euro, e per quali annualità. (5-07720)

Interrogazioni a risposta scritta:


   SANDRA SAVINO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il dottor Luciano Iadanza, responsabile del servizio anestesia del complesso Sanatorio Triestino ha presentato un ricorso al giudice del lavoro del tribunale civile di Trieste contro la casa di cura Sanatorio Triestino s.p.a., lamentando la sussistenza di un unico rapporto di lavoro subordinato avente ad oggetto le mansioni di primario del servizio di anestesia e terapia del dolore;
   il dottor Iadanza lamentava che le fatturazioni di prestazioni mediche effettuate dallo stesso all'interno della casa di cura come prestazione di lavoro autonomo, in realtà consistevano in un modo surrettizio di elargizione dello stipendio al fine di aggirare i costi previdenziali che la casa di cura avrebbe dovuto altrimenti sostenere;
   con sentenza del 26 febbraio 2014, il giudice del lavoro Annalisa Multari accertava la sussistenza di detto unico rapporto di lavoro, confermando il diritto del ricorrente al mantenimento dell'incarico di responsabile del complesso operatorio;
   tale sistema di pagamento delle prestazioni lavorative dei dipendenti del Sanatorio Triestino darebbe luogo secondo l'interrogante, a un'evidente evasione dei contributi INPS da parte del datore di lavoro –:
    se il Ministro interrogato non ritenga necessario intervenire, per quanto di competenza, promuovendo un controllo da parte degli ispettori dell'Inps presso la società Sanatorio Triestino di Trieste, al fine di verificare l'effettiva consistenza di quella che sembrerebbe una pratica evasoria. (4-12028)


   PAGLIA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   si moltiplicano nelle ultime settimane i casi di licenziamento di delegati sindacali, in particolare iscritti alla CGIL;
   nella sola Emilia Romagna si contano quattro casi, tre dei quali nel comparto metalmeccanico e uno in quello chimico;
   il primo si è verificato alla Basell di Ferrara, dove è stato licenziato un rappresentante sindacale impegnato nella trattativa per il rinnovo del contratto integrativo, poi reintegrato dal giudice del lavoro per comportamento antisindacale;
   reintegrato dopo una vertenza è stato anche il secondo lavoratore, dipendente della Metalcastello di Castel di Casio (Bologna), prima licenziato per aver espresso durante una manifestazione un'opinione sull'azienda;
   ancora aperto è il caso di un dipendente della AOM di Pianoro (Bologna), licenziato durante una vertenza sindacale;
   l'ultimo in ordine di tempo è il licenziamento di un delegato della Elettrondata di Solignano di Castelvetro (Modena), in un contesto di ristrutturazione aziendale, motivato come esubero di personale nell'ufficio tecnico;
   ci si chiede se possa essere ritenuto normale l'allontanamento dal posto di lavoro di rappresentanti eletti dai lavoratori, e non invece una forma di intimidazione, tanto più forte in un contesto di crisi non rientrata della produzione industriale;
   questo è tanto più vero quando all'origine dei licenziamenti ci sia l'esercizio della libertà di opinione, tanto più se ciò accade in un contesto di vertenza sindacale aperta;
   non esiste libertà sindacale, tutelata dall'articolo 39 della Costituzione, che non passi per la tutela dei lavoratori impegnati come rappresentanti sindacali;
   la piena tutela dei rappresentanti sindacali, soprattutto nel contesto della contrattazione o di vertenze aperte, dovrebbe essere interesse non solo delle organizzazioni sindacali e dei lavoratori, ma anche della stessa parte datoriale e soprattutto del Governo, nel momento in cui si dice di voler investire sulla rappresentanza e sulla contrattazione decentrata;
   un così elevato numero di licenziamenti di delegati in una sola regione a giudizio dell'interrogante va interpretato come un segnale della tendenza a non accettare un conflitto regolato sui luoghi di lavoro;
   tale conflitto, strettamente unito al tema della rappresentanza, ha invece contribuito a non disperdere la capacità industriale del Paese più di quanto sia comunque accaduto –:
   se sia a conoscenza di licenziamenti di delegati sindacali in altre regioni italiane;
   se non ritenga di dover intraprendere, per quanto di competenza, una forte iniziativa politica per chiarire che in questo Paese c’è alcuno spazio per la violazione dei diritti dei lavoratori, a partire da quello alla rappresentanza e alla libertà di espressione e di iniziativa sindacale.
(4-12040)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DI VITA, LUPO, CANCELLERI, DI BENEDETTO, NUTI, MANNINO, SILVIA GIORDANO, MANTERO, GRILLO, BARONI, LOREFICE e COLONNESE. — Al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi l'attenzione della stampa, soprattutto quella locale siciliana, si è focalizzata con particolare interesse sulle numerose criticità e i presunti illeciti emersi con riferimento ad alcune nomine dirigenziali effettuate presso l'azienda sanitaria provinciale di Palermo;
   partendo dal 14 gennaio 2016, infatti, la stampa ha riportato la notizia della revoca dell'incarico di direttore sanitario al dottor Giuseppe Noto da parte del direttore generale dell'Asp 6 di Palermo, Antonino Candela;
   nella delibera di revoca dell'incarico al direttore sanitario — incomprensibilmente avvenuta solo a distanza di due anni e mezzo dalla nomina — si legge che le nuove «emergenze risultano gravemente in contrasto con quanto dichiarato nel curriculum» ma anche «dal certificato di servizio» firmato dall'ufficio personale dell'azienda;
   per Giuseppe Noto sarebbe già scattata la sanzione della cancellazione dall'albo regionale degli idonei alla nomina di direttore sanitario;
   correndo ai ripari, l'assessorato regionale della salute ha recentemente firmato una direttiva con cui ha chiesto ai direttori generali delle 18 aziende sanitarie e ospedaliere di relazionare con urgenza sulle verifiche che avrebbero dovuto fare due anni e mezzo fa quando hanno scelto i loro uomini di fiducia. L'assessore Baldo Gucciardi ha inoltre annunciato una stretta riguardo gli stessi direttori generali delle Asp, nei confronti dei quali – ha detto – si procederà ad una verifica dei titoli certificati;
   sono degne di considerazione le nette dichiarazioni del dottor Angelo Collodoro, vicesegretario regionale del sindacato dei medici CIMO, che insieme al M5S ha denunciato il caso facendo persino approdare la vicenda alla Commissione VI — servizi sociali e sanitari dell'Assemblea Regionale Siciliana: «Bene L'assessore Gucciardi che avvia una verifica a 360o sui già nominati direttori amministrativi e sanitari. Evidentemente ai suoi predecessori Russo e Borsellino mancò la doverosa sensibilità al problema nomine. Noto non è un caso isolato. Ed anche su qualche direttore generale si dovrà fare luce»;
   Giuseppe Noto fu inserito nell'albo degli idonei già a partire dal 2009 da un'apposita commissione assessoriale formata per valutare le richieste dei candidati. La richiesta è fatta online per autocertificazione. Ma sebbene gli stessi commissari avessero espresso perplessità sui titoli, Noto fu inserito lo stesso nell'albo. A spiegarlo è stato Giuseppe Sgroi, dirigente dell'assessorato, alla commissione sanità dell'ARS. Sgroi ha confermato infatti che Maurizio Guizzardi, allora direttore generale del dipartimento economico-finanziario, e l'assessore Massimo Russo imposero ai membri della commissione di attenersi solo alla dichiarazione sostitutiva e di considerare quindi complesse le strutture per le quali i candidati non avevano specificato la natura;
   il restante nodo da sciogliere riguarderebbe dunque quello relativo ai controlli successivi sui titoli originali, che spettano per legge ai manager che nominano i direttori sanitari. Giuseppe Noto, infatti, fedelissimo dell'ex assessore Lucia Borsellino e vicino ad ambienti Pd, fu nominato nel 2013 dall'ex commissario Adalberto Battaglia e riconfermato proprio dal nuovo manager Antonino Candela;
   la vicenda sembrerebbe quindi tutt'altro chiusa, da chiarire resterebbe infatti anche il ruolo degli uffici che hanno prodotto e avallato il certificato;
   la denuncia della Cimo era partita dal tentativo di difendere un dirigente, Filippo Grippi, il primo che ha chiesto di verificare i titoli del direttore sanitario e che per questo è finito sotto procedimento disciplinare con l'accusa di infangare il buon nome dell'azienda. Grippi aveva dapprima segnalato irregolarità nella nomina al sindacato Cgil Fp, cui era iscritto. Il segretario regionale Michele Palazzotto nel 2013 aveva inviato una nota all'azienda e all'assessorato segnalando la mancanza dei requisiti di Noto, ma il giorno dopo aveva fatto marcia indietro. Grippi non si è scoraggiato ed è andato avanti segnalando il caso anche alla commissione Antimafia dell'Assemblea regionale siciliana;
   solo ora, dopo la denuncia della Cimo e del M5S, la questione è stata riaperta. Ed è persino finita in procura. Lo stesso Antonino Candela ha infatti dichiarato in commissione sanità dell'ARS di essere stato ascoltato dai pubblici ministeri in merito;
   da successive fonti stampa del 20 gennaio 2016 si è venuti a conoscenza della segnalazione di un caso analogo sempre all'Asp di Palermo, stavolta sollevato dalla Fials-Confsal, riguardante Antonio Guzzardi, che secondo il sindacato non avrebbe i titoli per ricoprire il ruolo di direttore amministrativo dell'Asp di Palermo, e cioè i «5 anni di direzione di struttura complessa richiesti, avendo invece maturato un'anzianità ben inferiore»;
   la Fials contesta la nomina dopo aver acquisito gli atti dall'Asp di Siracusa. Nella particolare vicenda il nodo da sciogliere riguarda l'incarico di direttore dell'unità complessa economico finanziaria all'ospedale Umberto I, conferito a Guzzardi, che non era dipendente del servizio sanitario, con un contratto da esterno. A tal proposito appena il 4 febbraio 2016 è stata diffusa dalla stampa locale la notizia della rinuncia da parte di Guzzardi all’interim della direzione amministrativa dell'Asp di Palermo per guidare il «super dipartimento» risorse economiche finanziarie patrimoniali e personale. Al suo posto si è insediato Salvatore Strano, dipendente di ruolo a tempo indeterminato dell'azienda sanitaria provinciale di Catania, dal 2009 al 2012 –Direttore amministrativo dell'Asp di Siracusa e da ventun anni a capo di unità operative complesse aziendali;
   in merito alla vicenda delle nomine dirigenziali s’è venuti a conoscenza di una verifica a sorpresa effettuata il 21 gennaio 2016 da parte dei carabinieri del Nas presso l'assessorato regionale siciliano della salute;
   con il blitz le forze dell'ordine avrebbero infatti acquisito i curriculum di alcuni manager di ospedali e aziende sanitarie al fine precipuo di verificare la presunta illegittimità di alcune nomine dirigenziali;
   le criticità appena riferite, assurte prepotentemente agli onori della cronaca, a parere degli interroganti non possono che destare particolare preoccupazione, soprattutto alla luce dei non certo pochi scandali che recentemente, purtroppo, hanno già visto il coinvolgimento di alcuni noti vertici amministrativi e burocrati dell'attuale apparato governativo regionale;
   in proposito gli interroganti ritengono doveroso e necessario che i Ministri interrogati provvedano urgentemente a dirigere una specifica attività d'indagine in relazione alle circostanze assai critiche suesposte, al fine precipuo di effettuare le verifiche ritenute opportune e di valutare in particolare la congruità nell'applicazione della normativa vigente, per quanto di propria competenza, con particolare attenzione agli incarichi dirigenziali ricoperti presso l'azienda sanitaria provinciale di Palermo –:
   se il Governo sia al corrente dei fatti esposti in premessa e se non intenda valutare la sussistenza dei presupposti per promuovere una verifica, da parte dell'ispettorato per la funzione pubblica, ai sensi dell'articolo 60, comma 6, del decreto legislativo n. 165 del 2001 in relazione alle dinamiche per le scelte selettive dei candidati ai ruoli dirigenziali dell'Asp di Palermo, inclusi il rilascio dei certificati propedeutici alla nomina dirigenziale e i controlli successivi sui titoli originali;
   se intendano assumere iniziative normative volte a meglio definire i requisiti, le modalità di conferimento e i controlli relativamente agli incarichi dirigenziali presso le strutture del servizio sanitario nazionale. (5-07708)


   LODOLINI, MORETTO, MARCHETTI e RIBAUDO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dopo i fatti dell'estate 2012, quando diversi media locali e nazionali riportarono la notizia che all'ospedale di Jesi (Ancona) gli allora 10 ginecologi della struttura risultassero essere tutti obiettori di coscienza e che, quindi, nel nosocomio marchigiano le donne non avrebbero potuto richiedere un'interruzione volontaria di gravidanza, oggi si apprende che temporaneamente sarà nuovamente sospeso il servizio di interruzione volontaria di gravidanza all'Ospedale Carlo Urbani di Jesi. I ginecologi dell'ospedale sono tutti obiettori di coscienza e la soluzione della mobilità del personale da un altro ospedale non garantisce più tale servizio;
   a lanciare il nuovo allarme il Coordinamento per la legge n. 194 del 1978, composto dalle associazioni locali Udi, Casa delle donne, Casa delle culture, ARCI, ANPI, CGIL, Ambasciata dei diritti, Emergency, Libera, Sca — Tnt, Ya Basta, Centro Studi Libertari «L. Fabbri», SpaziOstello, Radio senza muri e La strada di Sergio;
   nel rispetto del diritto all'obiezione di coscienza, va comunque sempre assicurato il pieno ed efficiente espletamento da parte degli enti ospedalieri delle procedure e degli interventi di interruzione della gravidanza;
   l'interruzione volontaria della gravidanza è un preciso diritto riconosciuto dalla legge e come tale va garantito e tutelato;
   la legge n. 194 del 1978 deve trovare piena attuazione nelle strutture sanitarie pubbliche e in quelle autorizzate della regione e gli interroganti si impegneranno in prima persona perché questo avvenga, senza eccezioni;
   va richiamata, altresì, l'importanza di valorizzare i consultori familiari, nella loro funzione di informazione e prevenzione, in linea con quel diritto alla procreazione cosciente e responsabile garantito dalla stessa legge –:
   se sia a conoscenza del caso esposto in premessa e se, anche in base ad esso, non intenda assumere iniziative, se del caso normative, al fine di garantire una piena applicazione delle disposizioni a tutela dei diritti delle donne. (5-07711)


   LOREFICE, MANTERO, DI VITA, GRILLO, SILVIA GIORDANO, COLONNESE e BARONI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'autocontrollo del livello glicemico per le persone malate di diabete è una pratica quotidiana fondamentale ed invasiva, considerato che i dispositivi oggi erogati in Italia sono di tipo tradizionale con glucometri che si basano su aghi pungi dito che vengono utilizzati quotidianamente;
   con precedente interrogazione a risposta immediata in Commissione (n. 5-06459) l'interrogante aveva già segnalato l'immissione in commercio di dispositivi meno impattanti che possono migliorare la qualità della vita delle persone diabetiche mantenendo un livello di monitoraggio altissimo;
   è infatti disponibile in Italia, come anche in Austria, Francia, Germania, Paesi Bassi, Svezia, Spagna e Regno Unito, il sistema di monitoraggio flash del glucosio FreeStyle Libre che non impone la puntura sul dito: la lettura del livello di glucosio viene effettuata grazie ad un sensore che si applica sulla parte posteriore del braccio; successivamente i dati accumulati vengono letti e visualizzati da un apparecchio apposito che permette di avere il quadro preciso della situazione glicemica memorizzandone continuamente i valori, giorno e notte;
   il device al momento è disponibile solo acquistandolo privatamente, in quanto non è inserito nell'elenco dei dispositivi per diabetici forniti dal servizio sanitario nazionale e, proprio per tale motivo, con l'interrogazione n. 5-06459 era stato chiesto di inserire l'innovativo sistema di autocontrollo del glucosio nei livelli essenziali di assistenza;
   nella risposta ricevuta all'interrogazione veniva premesso che «i dispositivi medici regolati dalla Direttiva 93/42CEE per essere posti in commercio devono essere marcati CE» e veniva segnalato che «Agenas, su commissione del Ministero della salute, ha prodotto nel 2012 un report sull'uso di device innovativi per la gestione del diabete nei bambini e adolescenti» dal quale è emerso che «i ricercatori non hanno individuato evidenze che provino un chiaro vantaggio clinico e in termini di qualità della vita per i giovani diabetici e le loro famiglie»;
   da fonti giornalistiche è emerso che l'azienda farmaceutica produttrice del sistema di monitoraggio flash del glucosio ha ottenuto il marchio CE;
   numerosi studiosi e ricercatori hanno affermato che i sistemi di monitoraggio elettronico non rappresentano solo un miglioramento nella vita del paziente, ma prevengono anche i costi, sia economici che sociali, del diabete come le complicanze e i ricoveri in ospedale  –:
   se, alla luce della conformità del dispositivo innovativo per l'autocontrollo della glicemia ai requisiti di sicurezza previsti dalle direttive europee applicabili e tenuto conto dell'evidente miglioramento della qualità della vita che deriverebbe ai pazienti diabetici dall'utilizzo di tale dispositivo, non intenda valutare la possibilità di inserire tale dispositivo nei livelli essenziali di assistenza. (5-07723)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   GIANLUCA PINI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   uno dei decreti attuativi della legge delega di riforma della pubblica amministrazione (legge n. 124 del 2015 — cosiddetta riforma Madia), non ancora ufficialmente varato dal Consiglio dei ministri, riguarda la riforma del sistema camerale;
   secondo la bozza di schema di decreto circolante in questi giorni, la riforma della camera di commercio con logiche di area vasta si concretizza in un considerevole taglio di personale e nello svuotamento del ruolo di promozione del territorio proprio delle camere di commercio;
   in base ad indiscrezioni, il decreto delegato prevedrebbe esplicitamente di compensare i risparmi di spesa, attraverso una riduzione del 15 per cento del personale — e quindi di circa 1.000 dipendenti su 7.000 impiegati — taglio che aumenta al 25 per cento in caso di accorpamento di una o più camere di commercio;
   tali ipotesi andrebbero ad aggiungersi ai tagli dovuti alla riduzione del diritto annuale, che nel 2017 toccherà quota 50 per cento e che ha già avuto riflessi importanti sugli investimenti;
   le entrate del diritto annuale delle camere di commercio dell'Emilia Romagna ammontavano ad oltre 90 milioni di euro, con il taglio ad appena 50 milioni, con conseguente riduzione delle risorse per gli interventi promozionali finalizzati alla competitività delle imprese e dei territori ed a danno dei consorzi fidi (negli ultimi 5 anni in Emilia Romagna il sistema camerale ha stanziato circa 72 milioni di euro, di cui quasi 18 milioni nel 2013, per conferimenti al patrimonio e fondo rischi dei confidi o per contributo in conto interesse);
   nell'ambito dei criteri di delega per la riforma dell'organizzazione e delle funzioni delle camere di commercio, è previsto espressamente il mantenimento dei livelli occupazionali –:
   se corrisponda al vero quanto riportato in premessa, con particolare riguardo alla volontà di ridurre il personale dipendente e di svuotare gli enti delle proprie funzioni;
   se non si ritenga utile sospendere l’iter di adozione dei decreti attuativi, affinché una maggiore concertazione con Unioncamere porti alla definizione di un testo non lesivo delle peculiarità degli enti camerali e dei relativi livelli occupazionali. (5-07712)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta immediata in Commissione:

X Commissione:


   GALGANO e BOMBASSEI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'Elettrocarbonium è una storica fabbrica narnese, fondata alla fine dell'800, ed è l'unica in Italia capace di produrre elettrodi in grafite di alta qualità, elemento essenziale dei forni elettrici per realizzare acciaio. La fabbrica è stata di proprietà della Siemens ed è diventata Sgl Carbon nel 1992. L'organico è composto da 110 dipendenti, vende i suoi elettrodi soprattutto nei paesi del bacino Mediterraneo e fino al 2013 fatturava circa 75 milioni di euro. È il secondo stabilimento al mondo per basso indice di difettosità del prodotto;
   a febbraio 2014 la multinazionale Sgl Carbon chiude lo stabilimento di Narni Scalo e gli uffici amministrativi di Lainate ad esso collegati in attuazione di un programma «di contenimento dei costi». «La decisione del Gruppo non è in alcun modo legata alla qualità del personale italiano o del prodotto, entrambe eccellenti da molti anni – ha detto Mauro Montani, allora amministratore delegato di Sgl Carbon Spa – bensì su altri, cruciali fattori, quali i costi totali di produzione e l'utilizzo della capacità produttiva attuale e futura»;
   a gennaio 2015 la fabbrica viene acquisita in comodato d'uso dall'azienda Morex di Michele Monachino, specializzata nel campo della logistica, che la ribattezza Elettrocarbonium: tecnicamente il sito industriale di Narni Scalo è passato alla società controllata M2I di Bari facente capo allo stesso Monachino;
   a febbraio 2015 viene presentato ufficialmente il piano industriale della M2I, che porta anche la firma dell'economista Nicola Rossi, che prevede che la produzione di elettrodi possa ripartire da luglio 2015 con il rientro in fabbrica di 50 operai. Il piano, che indica Narni 2, la parte dello stabilimento risalente agli anni ’80, quale sede dell'attività core, ovvero la produzione degli elettrodi, prevede altresì, a metà 2016, l'assorbimento pieno dei dipendenti e un fatturato a quota 36 milioni. A tal fine, Morex investe 8,5 milioni di euro che servono per automatizzare il ciclo produttivo e realizzare all'interno dello stabilimento tutte le parti dell'elettrodo. Si punta anche a ridurre il costo dell'energia con la realizzazione di un impianto fotovoltaico e una centrale a biomasse tra i 2 e i 5 megawatt. Alla fine l'investimento complessivo potrebbe aggirarsi sui 28 milioni di euro;
   successivamente, nel triennio 2016-2018, il piano della M2I prevede la riqualificazione dell'area dello stabilimento, da anni inutilizzata, denominata Narni 1, dove si ipotizza la creazione di una zona destinata ad attività artigianali-industriali ed un'altra al terziario e alla logistica. All'interno dell'area in questione, un edificio viene interamente dedicato agli incubatori di impresa e alle start up, da riportare all'interno della rete nazionale di incubatori;
   a decorrere da marzo 2015 la forza lavoro riprende gradualmente l'attività e il 13 luglio 2015 la storica sirena della Sgl Carbon di Narni torna a suonare con la ripresa dell'attività di produzione. «Entro la fine di agosto – aveva annunciato l'amministratore delegato Monachino – occuperemo due terzi dei lavoratori che hanno operato nella fabbrica fino alla chiusura del 2014. A livello di commesse, siamo riusciti a portare a casa già il 33 per cento dei volumi produttivi previsti dal Piano». In merito alla produzione, l'obiettivo è di raggiungere le 6.000 tonnellate nel 2015 e le 12.000 nel 2016, per arrivare poi a 20.000 nel 2019;
   a settembre 2015 i sindacati Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil incontrano la proprietà dell'azienda che conferma la volontà di rispettare gli impegni presi e quindi di riassumere i quaranta lavoratori altamente qualificati in attesa di essere ricollocati nella Elettrocarbonium;
   nel mese successivo, tuttavia, la trattativa si inasprisce per il mancato versamento da parte dell'aziende di tre mensilità ai lavoratori. Sono ancora Filctem-Cgil, Femca-Cisl e Uiltec-Uil a rivelare che «l'accordo con l'azienda prevedeva il pagamento delle spettanze entro il 15 settembre, poi rinviato fino al 30 settembre, senza che però fino a oggi venisse versato un euro nei conti correnti della sessantina di operai progressivamente ricollocati in Elettrocarbonium. Chiaro è che all'emergenza sul pagamento degli stipendi si somma anche quella che i rappresentanti dei lavoratori definiscono una situazione di smarrimento e abbandono vissuta all'interno della fabbrica, dove la proprietà risulta assente da oltre 15 giorni». La crisi degli stipendi viene superata a fine ottobre, e la proprietà riesce a versare le due mensilità di luglio e agosto;
   intanto al Ministero dello sviluppo economico viene recapitata formalmente la richiesta di convocazione del tavolo con tutte le parti coinvolte per verificare gli impegni assunti in fase di accordo, tra cui l'azione di « moral suasion» che il Governo avrebbe dovuto mettere in campo sui consumatori italiani di elettrodi;
   il passaggio fondamentale è tuttavia rappresentato dalla conferenza dei servizi per trovare un accordo sulla bonifica tra Sgl Carbon, Elettrocarbonium e le istituzioni che avrebbe dovuto portare alla cessione definitiva della proprietà degli impianti;
   a fine ottobre i tecnici dell'Arpa e i periti delle due aziende iniziano a compiere carotaggi, campionamenti e analisi per definire gli interventi necessari e soprattutto il valore economico. La conferenza servizi si chiude con la richiesta a Sgl Carbon di ulteriori specifiche da presentare entro il 15 febbraio 2016 al fine di concludere l'istruttoria, propedeutica alla definizione dell'accordo di programma;
   al tavolo convocato presso il Ministero dello sviluppo economico, sia Sgl sia Morex – stando a quanto riportato dai sindacati – si sono impegnati a condurre in porto la cessione degli impianti e delle aree in modo definitivo. Anche le istituzioni locali e lo stesso Ministero si sono impegnati, nel rispetto delle norme, ad agevolare l'avvio della nuova azienda;
   tuttavia, il 4 gennaio 2016, la Sgl Carbon – che ha concesso alla Morex il sito di Narni in comodato d'uso con scadenza a maggio poi prorogato a dicembre 2015 – intima alla Elettrocarbonium la restituzione dell'immobile e degli impianti di Narni Scalo entro il 24 gennaio 2016, motivandola con il mancato raggiungimento delle condizioni sospensive nei termini previsti dai contratti tra le parti. Gli accordi sono quelli del 27 gennaio 2015, tutti condizionati alla definizione di un accordo di programma per la disciplina degli aspetti di natura ambientale e della continuità produttiva nel sito;
   il 7 gennaio 2016 il vicepresidente della regione Umbria Fabio Paparelli, d'intesa con la governatrice Catiuscia Marini e il sindaco di Narni Francesco De Rebotti, in seguito alla comunicazione del 4 gennaio della Sgl Carbon, chiedono al Ministero dello sviluppo economico l'apertura di un tavolo tecnico di urgenza per Sgl Carbon-Elettrocarbonium per far emergere le reali intenzioni delle due aziende sul sito industriale di Narni. La regione e il comune confermano «la volontà di porre in essere ogni provvedimento nelle sue possibilità per salvaguardare la produzione e livelli occupazionali e assicurare il rispetto delle normative vigenti in tema di bonifica, auspicando che la discussione si rimetta su un piano di correttezza di rapporti e di messa in chiaro dei reali obiettivi delle imprese coinvolte»;
   la partita relativa alla Sgl Carbon-Elettrocarbonium corre, quindi, su due binari: da una parte la compravendita del sito di Narni che vecchia proprietà e nuovi imprenditori devono definire, dall'altra la bonifica dell'area su cui da 120 anni opera Sgl Carbon e su cui è stata avviata una conferenza servizi con le istituzioni,
   proprio sulla bonifica l'operazione si sarebbe impantanata: Sgl Carbon – stando alle cifre emerse dalla trattativa in atto – dovrebbe versare, in virtù del piano di caratterizzazione sul livello di inquinanti nel sito, una cifra compresa tra 5 e 7 milioni di euro. Tuttavia il vero problema sono gli impegni futuri nel caso in cui l'industria di Narni dovesse fermarsi, con l'area che dovrebbe essere bonificata radicalmente (si ipotizza una cifra di 100 milioni), ma anche nell'ipotesi in cui, con gli impianti in funzione e gli operai al lavoro, dovessero emergere criticità ambientali da sanare;
   la Sgl Carbon sarebbe in cerca della cosiddetta manleva, ossia una quantizzazione del danno ambientale, chiaramente superiore ai 5-7 milioni di euro previsti per la bonifica in continuità, che verrebbe versata dalla multinazionale per essere sollevata da qualsiasi responsabilità futura. Obbligazioni di questo tipo vengono però solitamente assunte a livello ministeriale su siti di interesse nazionale (Sin), classificazione in cui Narni non rientra;
   il 19 gennaio 2016 è stato convocato il tavolo tecnico d'urgenza al Ministero dello sviluppo economico, richiesto dalla regione Umbria e dal comune di Narni, al termine del quale è stato stabilito un timing di tre giorni per trovare, coi tecnici del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, un compromesso per definire poi l'accordo di programma, dove devono essere stabiliti gli impegni per le bonifiche, propedeutici al perfezionamento della compravendita;
   il 21 gennaio il Ministero dello sviluppo economico consegna una bozza di accordo sulla ripartizione delle bonifiche al liquidatore di Sgl-Carbon Petrucci e all'amministratore delegato di Elettrocarbonium Monachino. Il 24 gennaio, alla scadenza del termine richiesto dal Ministero, la Elettrocarbonium invia una nota ufficiale nella quale precisa che «non c’è nessun accordo tra Ministero, enti, Sgl ed Elettrocarbonium per evitare la chiusura dell'impianto di Narni. Nulla al momento è stato ufficialmente comunicato ad Elettrocarbonium. Non trova alcun riscontro la notizia secondo cui ci sarebbe stata trasmessa la richiesta di sospensione del termine del 24 gennaio per la restituzione a Sgl degli impianti dello stabilimento di Narni»;
   il 26 gennaio, due giorni dopo la scadenza del termine, viene convocato presso il Ministero dello sviluppo economico un nuovo tavolo tra i due privati e le istituzioni per tentare di chiudere la partita della ripartizione della bonifiche nella fabbrica di Narni. In quella sede non partecipa il liquidatore di Sgl Petrucci, che conferma la disponibilità a procedere alla quantizzazione del danno e a pagarlo per ottenere la cosiddetta manleva che, stando a quanto chiarito da Ministeri e regione, sarebbe inattuabile perché il sito industriale di Narni non rientra nel perimetro di legge entro il quale si può concedere;
   il 1o febbraio 2016 riprende il tavolo tecnico al Ministero dello sviluppo economico al quale sono però assenti sia il liquidatore di Sgl Petrucci sia l'amministratore delegato di Elettrocarbonium Monachino. Dalla riunione emerge l'accantonamento definitivo dell'ipotesi manleva e si decide di riconvocare un nuovo tavolo al quale le istituzioni hanno chiesto all'amministratore delegato Monachino di presentare un piano industriale più dettagliato, anche in considerazione degli interventi pubblici per sostenere Elettrocarbonium nell'operazione di rilancio del sito industriale di Narni;
   l'ipotesi di accordo conseguente all'ultima riunione al Ministero dello sviluppo economico – stando a quanto riportato dalla stampa locale – prevederebbe una mini bonifica di 7 milioni di euro a carico di Sgl, così come definito dal piano di caratterizzazione degli inquinanti a cui si è lavorato in conferenza dei servizi per l'accordo di programma sul futuro del sito di Narni. Elettrocarbonium sarebbe invece chiamata a stipulare una fideiussione da 4 milioni di euro per gli asset industriali;
   con la proroga scaduta e lo spettro della chiusura di una delle imprese storiche del territorio ternano e di una produzione di eccellenza a livello mondiale, gli operai e i sindacati continuano a chiedere chiarezza alle istituzioni sul futuro della fabbrica –:
   quali urgenti iniziative intenda il Governo adottare per risolvere definitivamente la vertenza Sgl-Elettrocarbonium, salvaguardando l'occupazione degli operai e la continuità produttiva di uno stabilimento che riveste un ruolo decisivo per l'economia del comprensorio ternano e per lo sviluppo dell'intera regione.
(5-07725)


   RICCIATTI, PAGLIA, FERRARA, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, CARLO GALLI, SCOTTO, MARCON, MELILLA, QUARANTA, PLACIDO, ZARATTI, PELLEGRINO, NICCHI, COSTANTINO, DURANTI, GREGORI, AIRAUDO, D'ATTORRE, FASSINA, FRANCO BORDO, FAVA, PIRAS, FOLINO, FRATOIANNI, ZACCAGNINI, DANIELE FARINA, KRONBICHLER, PALAZZOTTO e SANNICANDRO. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 12 gennaio 2016, l'onorevole Giovanni Paglia presentava un'interrogazione a risposta scritta Ministero dello sviluppo economico n. 4-11613 ove si evidenziava che: «il decreto del Presidente della Repubblica n. 484 del 1994 – Regolamento recante la disciplina dei procedimenti di conferimento dei permessi di prospezione o ricerca e di concessione di coltivazione di idrocarburi in terraferma e in mare – prevede all'articolo 4, titolato “Presupposti”, che: “1. I permessi di prospezione o ricerca di idrocarburi in terraferma e in mare sono accordati a persone o enti o di altri Stati membri della Comunità economica europea, nonché, a condizioni di reciprocità, di altri Paesi, i quali dispongano di capacità tecniche ed economiche adeguate. 2. I permessi di ricerca sono accordati a persone fisiche o giuridiche che possiedano o forniscano idonee garanzie di costituire in Italia strutture tecniche ed amministrative adeguate alle attività previste, nel rispetto degli impegni contratti dall'Italia in sede di accordi internazionali per la tutela dell'ambiente marino.”; alla società Petroceltic Italia srl sarebbero state affidate numerose concessioni di ricerca di idrocarburi nel Nord Italia e nel mare Adriatico, fra cui una prospiciente le Isole Tremiti; stando al sito internet della società, attualmente lavorano direttamente per essa 3 persone: un geologo esplorativo senior, un ingegnere di perforazione senior, un esperto di valutazioni e monitoraggi ambientali; Petroceltic Italia srl è controllata da Petroceltic International Pie, compagnia con sede a Dublino e operante nel Mediterraneo; attualmente gli interessi di Petroceltic International sono limitati ad Algeria, Italia e Bulgaria, dopo la cessione degli asset relativi a Egitto e Grecia avvenuta nel 2015; Petroceltic International Plc in data 23 dicembre 2015 estende una nota, visionabile sul sito della società ove si legge, in buona sostanza che per diverse cause determinatesi nel 2015, la posizione finanziaria del gruppo risulterebbe compromessa e che il gruppo non avrebbe certezza sulla liquidità oltre gennaio 2016; sono segnalati 217,8 milioni di dollari di esposizione verso istituti finanziari, a fronte di 28 milioni di liquidità, di cui 24 milioni in valuta estera non convertibile»;
   infine, con la suddetta interrogazione si chiedeva al Governo come fosse possibile che ad una società a responsabilità limitata italiana con 3 addetti, controllata da un gruppo estero che manifesta esplicitamente la propria incapacità di fare fronte ai propri impegni finanziari, al punto da presentare rischi di continuità aziendale, fossero state confermate le concessioni in Italia, ad avviso dell'interrogante in palese inosservanza dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n. 484 del 1994 e se non si ritenesse di dover immediatamente revocare tali concessioni, alla luce delle notizie riportate;
   è stato recentemente diffuso un comunicato dal Ministero dello sviluppo economico dal quale si apprende che la società Petroceltic rinuncia al permesso di ricerca nel mare Adriatico meridionale, al largo delle isole Tremiti. In particolare, si legge «Si tratta di un passo indietro che risponde ad esigenze industriali strategiche della società di cui il Ministero prende atto». Sul punto il Ministro interrogato ha inoltre dichiarato: «Spero adesso che, grazie anche a questa scelta – venga messa una volta per tutte la parola fine ad alcune strumentalizzazioni sul tema delle attività di ricerca in mare che erano infondate già prima e che lo sono, a maggior ragione, dopo la decisione della Petroceltic –:
   se non si ritenga di dover immediatamente adottare ogni iniziativa di competenza finalizzata ad acclarare se vi siano altri casi analoghi a quello di Petroceltic Italia Srl, avviando sin da subito una verifica interna che accerti il pieno rispetto dei criteri previsti a legislazione vigente per il rilascio delle concessioni, nonché eventuali responsabilità nel rilascio delle concessioni stesse nei confronti di aziende prive delle necessarie capacità di far fronte ai propri impegni finanziari come nel caso di Petroceltic. (5-07726)


   CRIPPA, DA VILLA, DELLA VALLE, FANTINATI, CANCELLERI e VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 4 dicembre 2015 n. 191, convertito dalla legge 1o febbraio 2016, n. 13, nono provvedimento d'urgenza adottato per fronteggiare l'emergenza Ilva di Taranto, contiene disposizioni per la cessione a terzi dei complessi aziendali del Gruppo Ilva e per l'attuazione del Tiano delle misure e delle attività di tutela ambientale e sanitaria;
   in data 5 gennaio 2016 è stato pubblicato il bando che disciplina le modalità attraverso le quali potranno essere ufficialmente presentare le manifestazioni di interesse da parte di società o cordate di imprenditori interessate alla «cessione» o alla concessione in affitto, con opzione d'acquisto, dell'Ilva di Taranto;
   fino alle ore 18 del 10 febbraio 2016 si potrà quindi esprimere la volontà di valutare l'acquisto dello stabilimento siderurgico ionico e per le altre società che fanno capo a Ilva spa come Ilva Servizi Marittimi spa, Ilvaform spa, Innse Cilindri srl, Sanac spa, Taranto Energia srl, Socova sas e Tillet sas;
   si ricorda che i tentativi di vendita del complesso aziendale finora fatti non sono andati a buon fine, perché i potenziali azionisti hanno detto con chiarezza che i problemi dell'Ilva erano drammatici, gli investimenti ambientali non sono sopportabili dai privati e le inchieste avviate dalla magistratura (soprattutto di Taranto) determinano un quadro di assoluta incertezza;
   intanto, si apprende che da qualche giorno il gruppo Riva ha presentato ricorso al Tar del Lazio per ottenere l'annullamento del decreto ministeriale che permette la cessione dei complessi aziendali di Ilva spa in amministrazione straordinaria. Secondo i legali, i commissari straordinari non avrebbero il «potere di vendere o affittare complessi aziendali dell'Ilva s.p.a.»;
   la situazione del complesso aziendale Ilva continua ad essere incerta e complicata e finora a poco o nulla sono valsi i reiterati interventi legislativi;
   secondo quanto apparso sui quotidiani in data odierna, anche Cassa depositi e prestiti ha presentato presso lo studio milanese del notaio Carlo Marchetti la propria manifestazione di interesse all'acquisizione di Ilva –:
   quante e quali siano state le manifestazioni di interesse pervenute per l'acquisto del complesso aziendale Ilva e quali siano i suoi orientamenti in merito al ricorso presentato dal gruppo Riva. (5-07727)


   BENAMATI, ARLOTTI, TARANTO, BARGERO, SENALDI e BECATTINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la remunerazione della disponibilità di capacità produttiva, è saldamente incardinata nel nostro ordinamento sotto il profilo legislativo e regolamentare, attraverso il decreto legislativo 19 dicembre 2003, n. 379, che interviene, per definire norme per la remunerazione della capacità produttiva con lo scopo di assicurare l'adeguatezza del sistema, prevedendo un regime incentivante finalizzato ad orientare i comportamenti dei soggetti attivi nella produzione di energia, in maniera tale da assicurare la disponibilità di capacità produttiva nei giorni definiti come critici dal Gestore della rete in ordine alla copertura della domanda attesa;
   l'articolo 5 del citato decreto legislativo prevede che l'Autorità per l'energia elettrica, il gas e il sistema idrico (di seguito AEEGSI) definisca il corrispettivo per la remunerazione della disponibilità di capacità produttiva, per il regime transitorio con decorrenza 1o marzo 2004 e termine alla data di entrata in funzione del regime definitivo (di cui all'articolo 1 del medesimo decreto legislativo) oggi prevista per il 2017;
   la delibera 48/04 emanata dall'AEEGSI «Avvio del dispacciamento di merito economico per l'anno 2004 e connesse disposizioni in materia di adeguatezza della capacità produttiva del sistema elettrico nazionale e di attuazione della deliberazione dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas 30 gennaio 2004, n. 5/04», dà attuazione al regime transitorio previsto dal citato decreto legislativo introducendo uno specifico corrispettivo (articolo 35) per la remunerazione della disponibilità di capacità produttiva e un ulteriore corrispettivo eventuale (articolo 36), distribuito solo nel caso in cui i prezzi del mercato risultino inferiori rispetto ad un riferimento individuato dall'Aeegsi. Sono ammessi tutti gli impianti abilitati e vengono remunerati proporzionalmente alla potenza installata e a fronte dell'effettiva disponibilità nelle giornate critiche dell'anno individuate da Terna;
   la delibera ARG/elt 166/10 "Modificazioni e integrazioni dell'Allegato A alla deliberazione dell'Autorità per l'energia elettrica e il gas 27 marzo 2004, n. 48/04, in tema di ulteriore corrispettivo per la remunerazione della disponibilità di capacità produttiva di cui all'articolo 36 dell'Allegato medesimo», modificando l'allegato A della del. 48/04, introduce il principio di ridistribuzione dell'ulteriore componente, prevista dall'articolo 36 dell'Allegato A della delibera 48/04, secondo una logica che tiene conto della differenza dei prezzi tra le diverse zone dei mercati dell'energia, considerando così l'effetto sui ricavi effettivi che deriva dalla distribuzione territoriale della capacità di generazione riconducibile a ciascun produttore;
   con la delibera ARG/elt 98/11 «Criteri e condizioni per la disciplina del sistema di remunerazione della disponibilità di capacità produttiva di energia elettrica, ai sensi dell'articolo 2 del decreto legislativo 19 dicembre 2003, n. 379», l'Aeegsi introduce il regime definitivo per la remunerazione della capacità produttiva a partire dal 2017;
   il notevole incremento degli impianti rinnovabili che, pur se caratterizzati da un'intermittenza nella produzione dovuta a fattori meteorologici, hanno diritto ad essere chiamati con priorità a produrre l'energia necessaria a far fronte al fabbisogno del sistema, ha reso necessario garantire la continuità delle forniture e la stabilità della rete attraverso il ricorso ad impianti, come i cicli combinati a gas che, per le loro caratteristiche tecniche, possono intervenire tempestivamente a bilanciare l'insufficiente produzione da fonti rinnovabili: al fine di remunerare tale nuovo servizio al quale gli impianti di cui sopra non erano originariamente sottoposti, è intervenuta la legge di stabilità per il 2014 (articolo 1 comma 153) che ha stabilito il diritto, già dal secondo semestre del 2014, di definire un «sistema remunerazione di capacità produttiva in grado di fornire adeguati servizi di flessibilità» (cosiddetta flessibilità) dando mandato al Ministero dello sviluppo economico di integrare la disciplina del 2003;
   a più due anni dall'entrata in vigore della legge di stabilità 2014, sono intervenute rispettivamente la Delibera AEEGSI 320/210 che ha definito i valori dei parametri tecnici relativi ai servizi di flessibilità necessari e la domanda di flessibilità al 2017, il decreto del Ministero dello sviluppo economico del 30 giugno 2014 che ha approvato il sistema di remunerazione di disponibilità di capacità produttiva definito da Terna in considerazione di quanto previsto dalla delibera 48/11 e la delibera AEEGSI 95/15 in cui si propone al Ministero dello sviluppo economico di anticipare l'entrata a regime del sistema al 2017 attraverso la previsione di una fase intermedia semplificata;
   il provvedimento attuativo previsto dalla medesima legge, che avrebbe dovuto essere emanato entro novanta giorni dalla sua entrata in vigore, non è stato ancora adottato e solo ad agosto 2015 il Ministero dello sviluppo economico ha deciso di avviare un negoziato informale (pre-notifica) con Bruxelles per valutare la compatibilità della misura con la disciplina comunitaria in tema di aiuti di Stato prima della sua adozione;
   a quanto risulta agli interroganti, il 7 ottobre 2015, la Commissione europea ha inoltrato al Ministero dello sviluppo economico 37 domande relative a quanto inviato con la notifica e ha fissato al 27 ottobre 2015 il termine per le risposte che poi, su richiesta del Ministero dello sviluppo economico è stato prorogato a fine novembre 2015;
   ad oggi la Commissione non ha restituito alcun riscontro all'Italia e, trattandosi di un negoziato informale, non vi sono tempi predefiniti per la sua conclusione –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda porre in essere per una efficace razionalizzazione del sistema della capacità, fornendo agli operatori un contesto di regole certe entro cui operare e compiere le proprie decisioni di investimento al fine di continuare a fornire il servizio necessario alla stabilità del sistema elettrico nazionale. (5-07728)


   ALLASIA e CAPARINI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto-legge 5 gennaio 2015, n.1, recante «Disposizioni urgenti per l'esercizio di imprese di interesse strategico nazionale in crisi e per lo sviluppo della città e dell'area di Taranto», ha disposto all'articolo 2, comma 8-bis, la sospensione dei termini dei versamenti dei tributi erariali in scadenza fino al 15 settembre 2015 e delle cartelle di riscossione in favore delle imprese di autotrasporto e delle piccole imprese creditrici di Ilva spa, fissando, conseguentemente, al 21 dicembre 2015 il termine di restituzione degli stessi;
   la norma è stata introdotta per sostenere le imprese dell'indotto che a seguito del fallimento dell'Ilva non sono state pagate per le prestazioni svolte a favore della stessa società, allontanando il rischio che queste stesse imprese fornitrici potessero a loro volta fallire, con un significativo impatto sull'economia e l'occupazione di tutto il territorio nazionale;
   ad oggi sono stimati in circa 600 milioni di euro i crediti vantati da imprese fornitrici nei confronti di Ilva. Tali imprese rischiano di veder vanificate le rispettive posizioni creditorie, con effetti drammatici sull'intera economia;
   intorno alla realtà industriale dell'Ilva gravitano circa 4 mila imprese, di cui circa 2 mila sono concentrate nelle sole Lombardia e Piemonte. Ai fornitori di Ilva va ricondotto oggi un volume d'affari di oltre 2,5 miliardi di euro di cui 1'1,5 miliardi di euro vede coinvolte le piccole e medie imprese;
   dal momento che le imprese creditrici di Ilva non sono state ancora liquidate dalla società in amministrazione straordinaria, si rende necessario ed urgente un intervento che prolunghi la sospensione dei termini relativi al versamento dei tributi erariali, di cui al citato articolo 2, comma 8-bis, del decreto-legge n.1 del 2015 –:
   se il Ministro interrogato, nell'ambito delle proprie competenze, intenda adottare le opportune iniziative normative per la modifica dei termini di cui all'articolo 2, comma 8-bis, del decreto-legge 5 gennaio 2015, n.1, prevedendo, in particolare, un'ulteriore sospensione degli stessi a favore delle imprese di autotrasporto e delle piccole imprese che vantano crediti per le prestazioni svolte in favore di Ilva spa. (5-07729)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TULLO, BASSO, CAROCCI e GIACOBBE. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Kavo Promedi è un'azienda tedesca controllata dal gruppo Usa Danaher, la sede genovese è entrata nel gruppo nel 1971, quando la Cad di via del Commercio a Genova Nervi è stata rilevata dalla tedesca Kavo. La Kavo che opera in particolare per prodotti odontoiatrici ha sedi a Napoli, Ancona, Milano, dove vi è la sezione commerciale, e Genova, che è sede amministrativa e dove in particolare si producono componenti per le poltroncine speciali per attività odontoiatriche;
   nella sede genovese operano 16 dipendenti a tempo indeterminato e recentemente in un confronto tra le organizzazioni sindacali e l'amministratore delegato, si era registrato un momento favorevole per la produzione e la situazione economica dello stabilimento e si era proceduto all'assunzione di 6 lavoratori a tempi determinato per far fronte agli ordini;
   nella giornata del 6 febbraio 2016 un operaio che passava casualmente davanti all'azienda ha notato alcuni Tir posteggiati e un gruppo di lavoratori polacchi assistiti da guardie giurate private, che procedevano allo smantellamento dei macchinari e si apprestavano ad un trasloco degli stessi e del materiale presente nello stabilimento;
   la mobilitazione dei lavoratori, delle organizzazioni sindacali e dei rappresentanti istituzionali locali ha impedito che accadesse qualcosa che non ha precedenti nel nostro Paese e che va contro il basilare diritto, dinanzi ad un licenziamento collettivo, di avviare una trattativa che possa durare 75 giorni, per comprendere le eventuali soluzioni da mettere in campo per poter salvaguardare i posti di lavoro e l'attività industriale –:
   se siano a conoscenza dell'accaduto, e quali iniziative di competenza intendano assumere affinché questo grave precedente non abbia più ad accadere;
   quali iniziative intendano assumere per la tutela dei lavoratori e della produzione, vista la presenza diffusa nel nostro Paese dell'azienda interessata. (5-07715)


   LODOLINI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 febbraio 2016 si è svolto ad Ancona un incontro al quale hanno partecipato il sindaco di Ancona, Valeria Mancinelli, l'assessore alle attività produttive, al porto, al piano strategico, alle relazioni internazionali e ai trasporti, Ida Simonella, le rappresentanze sindacali e i 102 dipendenti dell'azienda cantieristica Isa Group;
   la vicenda Isa Group vive oggi una fase particolarmente difficile, essendo in corso un concordato liquidatorio e in ragione del mancato perfezionamento dell'acquisto da parte del gruppo Frittelli Marittime. In questi giorni, diverse aziende e potenziali investitori hanno espresso la volontà di acquisire l'azienda ma ad oggi, mancano proposte pienamente formalizzate. In questa situazione di incertezza i lavoratori della Isa ribadiscono la necessità che si faccia presto, che le proposte dei potenziali acquirenti siano formalizzate, circostanziate e arrivino in tempi rapidi per scongiurare il rischio del fallimento;
   è essenziale che qualsiasi proposta: 1) preservi la continuità dell'impresa, dell'insieme dei fattori produttivi, dell'attività legata alla costruzione, allestimento, manutenzione, demolizione relativamente alla nautica da diporto e cantieristica navale in genere; 2) comporti la salvaguardia dei posti di lavoro in modo da non disperdere un patrimonio di professionalità e competenze che rappresenta un asset di sviluppo per l'intera città;
   il salvataggio della Isa e delle sue professionalità risponde anche ad un interesse collettivo, quello di preservare e rilanciare, con un progetto imprenditoriale serio, il settore che, più di tutti, oggi rappresenta la peculiarità del sistema manifatturiero anconetano;
   il comune di Ancona ha avanzato richiesta al tribunale competente perché stabilisca tempi certi e stretti per la presentazione delle proposte di eventuali acquirenti e in modo da costruire le basi per dare continuità e rilancio all'azienda;
   appare all'interrogante positivo che il comune abbia ribadito in accordo con il residente dell'Autorità portuale, le condizioni che hanno portato alle posizioni espresse dal comitato portuale, relative al tema della concessione, le quali vanno totalmente ridefinite in caso di fallimento dell'azienda e del conseguente smembramento dei suoi asset produttivi;
   il settore della nautica, grazie alla legge di Stabilità 2016 beneficerà invece della stabilizzazione dell'Iva al 10 per cento per i marina resort e dell'abolizione della cosiddetta «tassa Monti» di possesso imbarcazioni, che aveva causato la fuga di almeno 40 mila imbarcazioni, con una conseguente perdita di gettito di 630 milioni di euro e pesanti ripercussioni sulle aziende e sull'occupazione, con 10 mila posti di lavoro persi. Si tratta di un segnale importante per dare fiducia ai mercati e aprire nuovi spazi alla nautica –: 
   quali iniziative intendano assumere i Ministri interrogati, per quanto di competenza, in relazione alla vicenda di cui in premessa, con particolare riferimento alla questione dell'individuazione di eventuali potenziali acquirenti dell'azienda che offrano una prospettiva industriale e occupazionale e la salvaguardia dei posti di lavoro di tutti i suoi dipendenti. (5-07716)


   RIZZETTO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   Rai Way è la società italiana proprietaria delle infrastrutture e degli impianti per la trasmissione e diffusione televisiva e radiofonica della Rai. È presente capillarmente su tutto il territorio nazionale disponendo di una sede centrale a Roma, 23 sedi territoriali e oltre 2.300 siti dislocati sul territorio italiano;
   per contrastare l'evasione dell'imposta sul possesso della tv (canone Rai), l'ultima legge di stabilità ha stabilito che la stessa, di euro 100,00, venga inserita sulla bolletta elettrica, esclusivamente per la prima casa;
   tuttavia, non risulta siano stati adottati interventi affinché tutto il territorio nazionale sia coperto da un servizio di qualità. Al riguardo, numerosi comuni italiani hanno segnalato, dopo l'introduzione del digitale terrestre, le costanti e crescenti difficoltà di accesso al servizio televisivo da parte dei residenti nelle zone montane, in particolare nei borghi più difficilmente raggiungibili delle aree interne. In particolare, la giunta comunale del comune di Resia ha adottato, il 26 gennaio 2016, uno specifico ordine del giorno per la «richiesta di un miglior servizio di trasmissione televisiva, in vista dell'inserimento del canone in bolletta»;
   inoltre, in tali aree montane, è stata rilevata l'impossibilità da parte di imprese e cittadini di poter accedere ad un adeguato servizio di connessione alla rete internet e di usufruire di moderni servizi digitali;
   tali disservizi, sono stati denunciati spesso da Uncem, che, a livello nazionale con le sue delegazioni regionali, ha svolto numerose azioni a difesa degli utenti residenti nelle zone montane, al fine di assicurare loro parità di trattamenti e di servizi rispetto a chi risiede nelle aree urbane;
   numerosi enti territoriali — in primis, le comunità montane — in diverse regioni italiane, negli ultimi dieci anni, hanno acquistato e gestiscono direttamente — con notevoli costi — impianti di diverse dimensioni e potenza per assicurare la trasmissione del segnale televisivo anche nelle valli più interne e nelle zone d'ombra non raggiunte dal segnale delle torri gestite da Rai Way;
   le problematiche di ricezione del segnale tv e radio devono essere urgentemente risolte a tutela dei residenti delle zone in questione che pur corrispondendo il canone non godono di un servizio di qualità, che deve essere invece garantito –:
   quale siano gli orientamenti dei Ministri interrogati, per quanto di competenza, sui fatti espressi in premessa;
   se intendano adottare le iniziative necessarie per effettuare un monitoraggio sul territorio nazionale relativo alla ricezione del segnale televisivo e radiofonico, con particolare attenzione a quei territori, come quelli di montagna, già notoriamente svantaggiati rispetto alla fruizione di tale servizio, ciò anche coinvolgendo le regioni, le unioni di comuni e le associazioni di enti locali, quali Anci e Uncem;
   conseguentemente, se intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, per il potenziamento delle infrastrutture per la trasmissione del segnale tv e radiofonico per garantire un servizio di qualità anche in quelle zone svantaggiate non coperte da un adeguato servizio;
   se e quali iniziative intendano adottare i Ministri, anche attraverso l'attivazione di un tavolo di concerto interministeriale, per provvedere, secondo quanto previsto dall'Agenda digitale nazionale, alla risoluzione del divario digitale esistente tra le aree del territorio nazionale. (5-07717)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, GREGORI, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   secondo l'ufficio studi di Confartigianato, che ha elaborato i dati Unioncamere-Infocamere relativi alla natalità/mortalità delle aziende nel 2015, nel corso dell'anno esaminato, si è registrato un saldo negativo di 147 imprese artigiane (950 le imprese che hanno chiuso a fronte delle 803 nuove iscritte);
   il dato, comparato con l'anno precedente, mostra come il numero di cessazioni sia rimasto quasi invariato (940) mentre ad essere calato è il numero di nuove imprese (nel 2014 ammontavano a 859);
   tali rilevazioni segnalano come, sul fronte delle micro e piccole imprese, che costituiscono una importante parte del tessuto produttivo delle Marche, permangano forti difficoltà nel superare la crisi economica;
   secondo il presidente di Confartigianato Ancona-Pesaro Urbino, Vladimiro Belvederesi, a pesare su questa categoria di imprese sono soprattutto le di difficoltà nell'accesso al credito, l'eccessiva pressione fiscale, numerosi adempimenti burocratici ritenuti inutili (Il Corriere Adriatico, 9 febbraio 2016) –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Ministro interrogato, in riferimento al territorio marchigiano, per incentivare la nascita di nuove imprese;
   quali iniziative intenda adottare al fine di arrestare la «mortalità» di imprese di piccole dimensioni. (5-07722)


   RICCIATTI, FERRARA, PLACIDO, AIRAUDO, GREGORI, SANNICANDRO, QUARANTA, PIRAS, MELILLA, DURANTI e KRONBICHLER. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   Isa Yachts è una società attiva dal 2001, con sede ad Ancona, specializzata nella produzione di yacht di lusso, fra i 30 e 100 metri, che impiega 102 dipendenti, attualmente in cassa integrazione;
   l'azienda, anche a causa della congiuntura economica negativa che ha interessato il comparto della nautica, ha avuto una drastica riduzione delle commesse nel corso degli ultimi anni, mettendo in discussione la stessa continuità aziendale;
   Isa Yachts è attualmente in stato di concordato preventivo. Dall'avvio della procedura concorsuale sono arrivate 19 richieste di interesse, tuttavia, allo stato attuale, nessuna di queste si è concretizzata e non ci sono garanzie sulla volontà di rilanciare la produzione aziendale nel suo complesso;
   piuttosto – come hanno osservato sia il sindaco di Ancona Mancinelli, che la Fiom – la sensazione è che i soggetti interessati attendano il fallimento della società per poter rilevare alcuni pezzi della Isa Yachts, senza farsi carico dei lavoratori (Il Resto del Carlino, 9 febbraio 2016);
   al fine di scoraggiare tale prospettiva, il sindaco di Ancona ha annunciato, in un incontro tenutosi in data 8 febbraio 2016, presso la sede del comune, con lavoratori e delegati sindacali della Cgil, che in caso di vendita-spezzatino conseguente all'eventuale fallimento, il comune di Ancona in qualità di componente del comitato portuale, non garantirà le concessioni demaniali delle banchine (Il Corriere Adriatico, 9 febbraio 2016);
   l'eventuale fallimento di Isa Yachts comporterà la perdita di 102 posti di lavoro, in un territorio come quello di Ancona già segnato in modo evidente dalla crisi economica del settore nautico, oltre alla perdita di una pregiata realtà produttiva;
   la vertenza Isa Yachts oltre ad avere grande rilievo per la città di Ancona, ha rilevanza anche in ordine alla più generale politica industriale per il rilancio di un settore fondamentale per l'Italia, come la nautica –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere il Governo in indirizzo, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e la continuità produttiva di Isa Yachts. (5-07754)


   RICCIATTI, FERRARA, AIRAUDO, PLACIDO, GREGORI, NICCHI, PIRAS, QUARANTA, MELILLA, DURANTI, SANNICANDRO e COSTANTINO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   Fincantieri è uno dei gruppi cantieristici più grandi al mondo, attivo nella progettazione e costruzione di mezzi navali ad elevata complessità;
   dopo un lungo periodo di crisi economica del comparto nautico, che ha interessato le divisioni italiane del gruppo, si assiste ad una importante ripresa della produzione grazie a nuove commesse acquisite nel corso dell'ultimo anno e mezzo. Ripresa che sta interessando, tra gli altri, anche il cantiere attivo nel comune di Ancona;
   attualmente il cantiere, in piena attività, impiega circa 500 operai diretti, ma si stima che siano oltre 2000 i lavoratori che operano per ditte legate a Fincantieri da contratti di appalto e subappalto;
   l'organizzazione del lavoro nel cantiere è da tempo oggetto di denunce da parte della Fiom-Cgil che ha sollevato le condizioni di lavoro prossime allo sfruttamento, nonché la scarsa trasparenza nell'assegnazione dei lavori a ditte esterne;
   già nell'ottobre del 2014 la Fiom-Cgil di Ancona aveva presentato un esposto sul sistema di reclutamento degli operai delle ditte in appalto nei cantieri Fincantieri, segnalando forme di quasi caporalato;
   nel dicembre dello stesso anno il cantiere di Ancona è stato oggetto di un intervento dei carabinieri del nucleo operativo di Ancona e dei funzionari della direzione provinciale dell'ispettorato del lavoro, finalizzato all'acquisizione di informazioni sulla documentazione relativa ai rapporti di lavoro del personale, anche delle ditte appaltatrici (Ilmessaggero.it, 18 dicembre 2014);
   in data 10 luglio 2015 l’ex prefetto di Ancona Raffaele Cannizzaro sottoscriveva con l'amministratore delegato di Fincantieri Giuseppe Bono, presso la prefettura di Ancona, un «protocollo di legalità» volto a prevenire ed evitare tentativi di infiltrazione mafiosa negli appalti assegnati dalla società per il lavoro svolto nello stabilimento anconetano di Fincantieri (La Presse, 10 luglio 2015);
   tuttavia, tale protocollo ha avuto una efficacia solo parziale, tanto che in data 8 febbraio 2016, nel corso di un incontro tenutosi presso il comune di Ancona tra i delegati sindacali Fiom e il sindaco della città, Valeria Mancinelli, per affrontare i diversi problemi legati al comparto economico cittadino della nautica, sono state sollevate nuovamente le persistenti criticità in ordine alla trasparenza sugli appalti e del «caporalato» nello stabilimento Fincantieri di Ancona (Il Resto del Carlino, 9 febbraio 2016) –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare i Ministri interrogati al fine di intervenire sulle criticità dello stabilimento Fincantieri di Ancona illustrate in premessa. (5-07755)

Interrogazione a risposta scritta:


   SBERNA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 148 della legge del 23 dicembre 2000, n. 388 (legge finanziaria 2001) dispone che le entrate derivanti dalle sanzioni amministrative pecuniarie dell'Autorità garante della concorrenza e del mercato siano destinate al finanziamento di iniziative a vantaggio dei consumatori, al fine di compensare, o in qualche modo risarcire, i consumatori e/o utenti per gli effetti lesivi che hanno subito dai comportamenti scorretti tenuti dalle imprese sanzionate;
   il comma 2 del citato articolo specifica che le predette entrate sono riassegnate (anche nell'esercizio successivo) con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze ad un apposito fondo per essere destinate alle iniziative a vantaggio dei consumatori, individuate di volta in volta con decreto del Ministro dello sviluppo economico, sentite le commissioni parlamentari competenti. Nello stato di previsione del citato Ministero è stato istituito il capitolo n. 1650 (Fondo derivante da sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato da destinare ad iniziative a vantaggio dei consumatori);
   con le risorse del fondo predetto sono finanziati ad esempio, il programma dei controlli per la sicurezza dei prodotti, la convenzione per i servizi di supporto al Consiglio nazionale consumatori e utenti, la struttura di esame e liquidazione dei cofinanziamenti per le conciliazioni paritetiche delle controversie di consumo, interventi sulla prescrizione delle polizze dormienti, il fondo consumatore pacchetto turistico, lo sportello europeo del consumatore e molte altre iniziative di assistenza, informazione, educazione e tutela del consumatore (sicurezza alimentare, iniziative per il « made in Italy», la sicurezza in internet, la pubblicità ingannevole, la lotta alla contraffazione, e altro). E sono, altresì, finanziati interventi miranti alla restituzione delle somme versate in relazione alla retroattività delle disposizioni in materia di «polizze dormienti»;
   si tratta dell'unica fonte di finanziamento della politica dei consumatori in Italia e, non trattandosi di risorse finanziarie pubbliche, ma di proventi da sanzioni irrogate ad imprese private che hanno in vario modo frodato i consumatori o gli utenti, nella logica della legge citata, dovrebbero essere reindirizzate, previo parere del Parlamento a favore della generale categoria dei consumatori;
   la relazione che accompagna lo schema di decreto – presentato alla Camera nel luglio 2015 concernente la ripartizione per l'anno 2015 del fondo derivante dalle sanzioni amministrative irrogate dall'Autorità garante della concorrenza e del mercato da destinare a iniziative a vantaggio dei consumatori, evidenzia, in particolare, che, per quanto attiene lo stato di attuazione degli interventi realizzati (aggiornato ad aprile 2015) nel 2014, le somme impegnate per dare copertura finanziaria a provvedimenti non rientranti tra le previsioni di cui all'articolo 148 della legge n. 388 del 2000, a fronte di un importo complessivo di euro 311.151.744,39, ammontano a 304.000.000,00 di euro;
   il citato schema di decreto ministeriale – sottoposto al parere delle competenti commissioni parlamentari – recante il riparto delle risorse assegnate per l'anno finanziario 2015, assegna alla restituzione delle somme versate, in relazione alla retroattività delle disposizioni in materia di polizze dormienti, la somma di 3.500.000,00 euro;
   nonostante lo schema di decreto citato abbia ricevuto tra luglio ed agosto 2015 parere favorevole da entrambe le competenti commissioni di Camera e Senato, non risulta che, ad oggi, questo si stato ancora pubblicato in Gazzetta Ufficiale;
   l'interrogante ha già posto all'attenzione del Governo, con l'interrogazione n. 3-01420, la situazione di quei risparmiatori esclusi dall'indennizzo che ha visto beneficiari i titolari di polizze dormienti con scadenza dicembre 2009, poiché titolari di polizze la cui prescrizione è intercorsa tra il 1o gennaio 2010 ed il 20 ottobre 2012, ricevendo come risposta l'impegno di valutare l'esigenza a condizione che, nel 2015, siano riassegnate risorse congrue all'apposito fondo gestito dal Ministero dello sviluppo economico;
   i due bandi precedentemente emanati per l'indennizzo delle polizze dormienti aventi scadenza più prossima alle modifiche normative intervenute hanno impiegato risorse pari a 7 milioni e 700 mila euro –:
   se il Ministro interrogato non ritenga oramai improcrastinabile la pubblicazione in Gazzetta Ufficiale del decreto ministeriale suddetto affinché le risorse da esso destinate alle polizze dormienti siano utilizzate per garantire l'indennizzo dei titolari di polizze dormienti scadute tra il 1o gennaio 2010 ed il 20 ottobre 2012, anche attraverso l'emanazione di un terzo bando da parte di Consap s.p.a. (concessionaria servizi assicurativi pubblici). (4-12039)

Apposizione di firme a mozioni.

  La mozione Borghi e altri n. 1-00952, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 17 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Garavini.

  La mozione Nicoletti e altri n. 1-00966, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 31 luglio 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Causin.

  La mozione Parisi e altri n. 1-01144, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Ciracì.

Apposizione di firme a risoluzioni.

  La risoluzione in Commissione Fiorio e altri n. 7-00862, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rostellato.

  La risoluzione in Commissione Carra e altri n. 7-00863, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 3 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Rostellato.

Apposizione di una firma ad una interpellanza.

  L'interpellanza Baldelli n. 2-01264, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 9 febbraio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dalla deputata Polverini.

Pubblicazione di testi riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Cominardi n. 1-01137, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 563 del 5 febbraio 2016.

   La Camera,
   premesso che:
    la normativa comunitaria definisce «lavoratore frontaliero» qualsiasi lavoratore occupato sul territorio di uno Stato membro e residente sul territorio di un altro Stato membro dove torna, di regola, ogni giorno o almeno una volta alla settimana. Ciò che differenzia il lavoratore frontaliero dal lavoratore migrante è il fatto di essere residente in uno Stato e di lavorare in un altro. In altri termini, mentre il lavoratore migrante lascia il suo Paese di origine per abitare e lavorare in un Paese diverso da quello nel quale ha risieduto fino a quel momento, il frontaliere ha una doppia cittadinanza nazionale per il luogo di residenza e il luogo di lavoro;
    il fenomeno dei lavoratori frontalieri e la frontiera in genere provocano sovente effetti perversi agendo da barriera tra sistemi amministrativi ed economici. Per questo motivo, oramai da tempo immemore, si è costretti a rincorrere soluzioni rispetto agli aspetti di natura tanto fiscale quanto di protezione sociale riferiti a questa particolare categoria di lavoratori che si muove a cavallo del confine;
    come noto, assumono particolare rilievo gli aspetti legati al fenomeno frontaliero dei lavoratori italiani in Svizzera per i quali, contrariamente agli accordi vigenti nell'Unione europea ove è possibile la libera circolazione come definita dal trattato di regime di soggiorno più specifico relativo all'autorizzazione al lavoro. In Svizzera è infatti necessario ottenere un permesso al lavoro ove venga specificata la retribuzione, che dovrà rispettare il minimo salariale del cantone come definito dall'Ufficio cantonale del lavoro. Il permesso è concesso solo se il lavoratore avrà trovato un datore di lavoro, e dopo aver verificato che non vi siano iscritti nelle liste locali di collocamento per lo stesso genere di incarico. La concessione dei permessi in ciascun cantone è altresì subordinata a una quota minima di lavoratori nazionali presenti in impresa;
    il numero dei frontalieri italiani in Svizzera è cresciuto nel tempo, evidenziando tuttavia una graduale decelerazione negli ultimi anni: nel quadriennio 2011-2014 la crescita annuale dei flussi si è attestata all'8,8 - 7,7 - 5,4 e 5,3 per cento per il Cantone Ticino; al 9,4 - 7,2 - 7,2 e 5,2 per il Cantone dei Grigioni; al 14,9 - 12,1 - 9,1 e 11,4 per il Cantone Vallese. L'elaborazione dei dati Ustat consente di avere l'informazione sulla provincia di provenienza per la Lombardia e per il Piemonte; in quest'ultimo caso, sono state impiegate anche le elaborazioni dell'Osservatorio regionale del mercato del lavoro (ORML) del Piemonte su dati Ust;
    analizzando i dati riferiti alla provincia di provenienza, emerge che come prevedibile sono le province caratterizzate dai più lunghi tratti di confine con la Svizzera quelle che incidono maggiormente sul movimento dei frontalieri verso il Cantone Ticino: Varese e Corno sono le province di residenza in cui il fenomeno è più consistente (circa 25 mila unità nel 2014 in ciascuna provincia), seguite da quella di Verbano-Cusio-Ossola (oltre 5 mila). Più contenuti sono i flussi dalle altre province confinanti (Sondrio, Lecco, Aosta, Bolzano). L'Ustat diffonde anche il movimento da altre province italiane verso il Cantone Ticino, che è stato pari a 4.548 frontalieri nel 2014 e 4.071 nel 2013 (un incremento annuale pari circa al 12 per cento). Attraverso i dati censuari svizzeri si può notare che, sebbene risulti sensibilmente più ridotto il flusso inverso dalla Svizzera all'Italia, esso esiste ed è in crescita nel tempo, Nel 2010 erano 1.455 gli svizzeri che lavoravano nel territorio italiano, mentre nel 2011 si sono attestati a 1.904;
    il 23 febbraio 2015, dopo circa tre anni di negoziati, Italia e Svizzera hanno siglato a Milano un accordo in materia fiscale e finanziaria;
    i due Paesi hanno infatti sottoscritto una road map per il proseguimento del dialogo sulle questioni finanziarie e fiscali, la road map comprende anche una revisione dell'accordo sul trattamento fiscale dei lavoratori frontalieri;
    alla luce dell'instaurazione di questo percorso tra Italia e Svizzera volto al perfezionamento di tutti gli aspetti di natura fiscale e di protezione sociale che riguardano i lavoratori frontalieri, parrebbe opportuno tenere in considerazione la necessità di intervento rispetto a talune problematiche che emergono in tutta la loro criticità, non da ultima quella per la quale, in seguito all'adozione del principio della tassazione concorrente, non vi sarà più alcuna compensazione finanziaria tra i due Stati, il che comporterà la necessità per l'Italia di provvedere unilateralmente con il proprio bilancio a ristorare i comuni frontalieri, recependo nella legge di ratifica del nuovo trattato la normativa che oggi regola la distribuzione dei trasferimenti ai comuni. Tale previsione appare evidentemente peggiorativa rispetto a quella antecedente e di grave danno per le casse dei comuni frontalieri italiani;
    il nuovo accordo, infatti, nel porre fine al meccanismo del ristorno, prevede che sia lo Stato italiano a compensare i comuni di frontiera, lasciando una preoccupante incognita sulla garanzia dell'attuale gettito ai comuni medesimi;
    quanto al sistema di protezione sociale vi è da aggiungere che il Regolamento (CE) n. 883 del 2004, che si applica anche alla Svizzera dal 2012 (con l'entrata in vigore della modifica dell'accordo sulla libera circolazione delle persone) in materia di coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale, prevede in particolare all'articolo 65 (paragrafo 5, lettera a) che sia l'istituzione dello Stato di residenza (per l'Italia, l'INPS) a erogare le prestazioni al disoccupato (quindi, nel caso di specie, ai frontalieri italiani che dovessero essere licenziati in Svizzera) come se fosse stato soggetto alla legislazione dello Stato di residenza durante la sua ultima attività lavorativa. Il successivo paragrafo 6 prevede, comunque, l'obbligo per il Paese di ultimo impiego (nel caso, la Svizzera) di rimborsare all'istituzione dello Stato di residenza (INPS) l'importo delle prestazioni erogate;
    i nuovi termini dell'accordo avrebbero già prodotto i primi effetti negativi: dallo scorso luglio migliaia di lavoratori frontalieri lamentano criticità emergenti in relazione alla validità della tessera relativa all'assicurazione per malattia e spese per le cure mediche e sembrerebbe che l'amministrazione non abbia ancora sufficientemente chiarito la vicenda nonostante siano già stati formulati vari interpelli in merito;
    il fenomeno dei lavoratori frontalieri italiani in Svizzera possiede rilievo strutturale, in quanto, pur non rappresentando la componente maggioritaria del complesso dei frontalieri che lavorano nella Confederazione, i lavoratori italiani svolgono comunque una funzione essenziale nel soddisfare la domanda di lavoro
    nelle aree di riferimento, in particolare in Ticino. Nel Cantone i frontalieri nel 2014 hanno rappresentato il 26,9 per cento degli occupati, a fronte del 5,8 per cento riferito a tutti i frontalieri presenti nell'intera Confederazione;
    il tessuto economico svizzero ha infatti estremo bisogno di forza lavoro straniera: negli ultimi anni il saldo migratorio della Confederazione elvetica è stato tra i più alti dell'Unione europea, oscillando tra le 60 mila e le 80 mila unità. A maggior ragione in un contesto in cui le esportazioni e il turismo potrebbero risentire del rafforzamento del franco, l'immigrazione – e la connessa disponibilità di forza lavoro caratterizzata da un salario di riserva concorrenziale – potrebbero rivelarsi fondamentali per contenere la perdita di competitività connessa alla rivalutazione del cambio, sostenere la crescita della domanda interna e dei consumi, limitare l'impatto della debole ripresa dell'economia europea, e rincorrere sensibilmente al finanziamento del welfare domestico,

impegna il Governo:

   ad assumere ogni iniziativa utile a garantire la parità di trattamento tra cittadini svizzeri e cittadini degli Stati dell'Unione europea eliminando ogni causa di discriminazione a motivo della propria cittadinanza per quanto riguarda, in particolare, condizioni di impiego e di lavoro, retribuzione e vantaggi fiscali e sociali;
   ad assumere iniziative volte a favorire l'eliminazione delle ripercussioni negative che il trasferimento in un altro Stato per lavorarvi possa avere sulle coperture assistenziali e previdenziali;
   a garantire la corretta applicazione del regolamento (CE) n. 883 del 2004, che si applica anche alla Svizzera dal 2012, con particolare riferimento alla necessità di porre stringenti vincoli quanto alla tempistica di rimborso dei costi sostenuti dall'istituzione dello Stato di residenza (INPS), nei casi di costi posti a carico di quest'ultima;
   ad assumere iniziative per prevedere lo sblocco in favore dei lavoratori frontalieri dei fondi per il finanziamento della legge n. 147 del 1997;
   a favorire l'apposizione di specifici vincoli di utilizzo di quota parte delle risorse rinvenienti dalla tassazione dei lavoratori frontalieri, per il sostegno del welfare domestico;
   ad assumere iniziative finalizzate alla previsione di un regime fiscale convenzionale che consenta la destinazione diretta ai comuni di residenza delle somme dovute a titolo di ristorno delle spese sostenute per servizi sociali a carico dei medesimi;
   a chiarire con urgenza se la tessera sanitaria dei frontalieri non sia più valida in mancanza di comprovata iscrizione al servizio sanitario nazionale e del pagamento della quota minima prevista dal decreto ministeriale 8 ottobre 1986.
(1-01137)
(Nuova formulazione) «Cominardi, Ciprini, Tripiedi, Chimienti, Dall'Osso, Lombardi, D'Incà, Petraroli».

  Si pubblica il testo riformulato dell'interpellanza urgente Monchiero n. 2-01269, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 565 del 9 febbraio 2016.

   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, il Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, per sapere – premesso che:
   su 574 immobili di proprietà del comune di Roma nel centro storico il 18,5 per cento ha un regolare contratto, il 15,7 per cento ha i requisiti, ma è in attesa di firmare un accordo, il 16,2 per cento è un abusivo accertato, mentre il 49,6 per cento degli affittuari si colloca in un'ampia zona grigia tra titoli scaduti, procedure di sfratto in corso e situazioni non ancora accertate, per le quali è in corso la verifica dei requisiti: è quanto emerge, secondo quanto riportato dagli organi di stampa, dai primi risultati dell'indagine avviata dal commissario straordinario, Francesco Paolo Tronca, sulla verifica puntuale del patrimonio immobiliare della capitale, in merito al caso delle abitazioni nel centro storico affittate a canoni irrisori rispetto ai reali valori di mercato, con contratti tramandati per generazioni, spesso a inquilini tutt'altro che indigenti;
   tra i casi più eclatanti già emersi ci sarebbero un alloggio a Borgo Pio (a pochi passi da San Pietro) affittato a poco più di 10 euro al mese, un altro situato nel centralissimo corso Vittorio Emanuele, per cui l'inquilino paga 24 euro, ma anche un appartamento con vista sui Fori Imperiali e una casa in via del Colosseo, a ridosso dell'Anfiteatro Flavio, concessi per una cifra poco superiore ai 20 euro;
    il ventaglio della scelta immobiliare è ampio: si passa da piccoli edifici di fine Ottocento a basse palazzine perfettamente ristrutturate negli anni Novanta, fino allo splendido ex monastero medievale che sorge nel Foro di Augusto e ospita il Corpo di soccorso dei Cavalieri dell'ordine di Malta per soli 15 euro al mese;
   non esistendo un censimento puntuale e dettagliato del patrimonio di Roma Capitale, è stato avviato con delle squadre (esperte soprattutto in informatica e analisi) questo monitoraggio capillare che è iniziato dal I Municipio e continuerà su tutti gli altri, allo scopo di analizzare posizione per posizione, capire quando è partito il singolo affitto, come e da chi e se sono subentrati dei subaffittuari;
   non solo il canone di affitto è bassissimo, ma neppure verrebbe pagato. Tanti i casi di morosità: un inquilino di una casa in piazza Trilussa deve al comune 112 mila euro e un altro, vicino largo Argentina è moroso per 97 mila euro; al contrario, in alcune occasioni, paradossalmente, sembra che siano stati proprio gli occupanti illegali a decidere quanto sborsare al comune che, nel 2013, incassava all'incirca per ogni appartamento 52 euro e 46 centesimi al mese, e ne spendeva quasi 269 fra manutenzioni e aggio della ditta privata che gestiva gli immobili (con una perdita secca di 111,8 milioni);
   inoltre, sempre secondo quanto riportato dagli organi di stampa, per le 4.801 abitazioni che il comune prende in locazione da privati per far fronte all'emergenza abitativa (non bastavano più di 43 mila case di proprietà) si spendevano 21,3 milioni di euro: mediamente 370 euro al mese per ognuna di esse, sette volte quello che incassava per i propri alloggi. E per i centri di assistenza temporanea, cioè l'emergenza dell'emergenza, il Campidoglio arrivava a pagare anche pigioni mensili di 2.700 euro;
   nel luglio 2014 la giunta capitolina aveva già approvato una delibera sui canoni assolutamente fuori mercato, che necessitavano di essere urgentemente aggiornati. A causa dell'inerzia di alcuni uffici non si è proceduto e molti inquilini si sono rivolti agli avvocati, bloccando l’iter con azioni legali: uno scandalo nel quale si intercetterebbero clientele politiche, favoritismi e ricatti, all'ombra di una sconcertante indifferenza delle strutture amministrative, che non di rado sconfina nella complicità;
   considerando la gravità dei fatti, i dirigenti del comune che hanno ricoperto per anni ruoli apicali nella gestione del patrimonio edilizio di Roma, senza nemmeno un censimento delle proprietà e con affitti irregolari è scandalosi, si sono comportati secondo gli interroganti in maniera peggiore e ancora più indifendibile rispetto ai «fannulloni» che timbrano il cartellino e abbandonano il posto di lavoro –:
   se intendano assumere iniziative per quanto di competenza, per accertare la situazione di illegalità sopra descritta, verificando che siano adottate iniziative volte a recuperare la disponibilità dei beni in capo all'amministrazione;
   quali iniziative ritengano opportuno adottare, per il tramite del commissario straordinario di Roma, per fare chiarezza sulle precise attribuzioni di responsabilità dei dirigenti che si sono succeduti nella gestione del patrimonio e che hanno stipulato i contratti ovvero hanno omesso l'aggiornamento dei canoni di locazione, posto che ciò servirebbe anche a ristabilire la correttezza dei rapporti all'interno di una amministrazione oggettivamente «compromessa».
(2-01269)
«Monchiero, Rabino, Galgano, Oliaro, Palladino, Sottanelli».

Pubblicazione di testi ulteriormente riformulati.

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Borghi n. 1-00952, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 464 del 17 luglio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    in questi mesi è in corso di definizione il negoziato tra il nostro Paese e la Confederazione Elvetica, negoziato che disciplinerà, oltre ai rapporti fiscali tra i due Paesi, anche importanti competenze ad oggi soggette a precedenti accordi quali ad esempio quelle sul lavoro frontaliero;
    il quadro delle relazioni con la Confederazione Elvetica risulta essere complesso a seguito delle prese di posizione dei massimi responsabili istituzionali del Canton Ticino e all'assunzione di specifiche iniziative unilaterali lesive dei principi di libera circolazione delle persone, di libertà della concorrenza e di intrapresa e di uguaglianza di fronte alla legge;
    risultano essere infatti ormai quotidiane le dichiarazioni pubbliche di esponenti istituzionali del Canton Ticino tese a mettere in discussione sia i diritti dei numerosi cittadini italiani occupati regolarmente presso imprese e aziende ticinesi, sia lo stato delle relazioni Italia-Svizzera, concentrate oggi sui negoziati fiscali e sull'accordo per l'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri;
    ad oggi i lavoratori frontalieri in territorio elvetico provenienti dall'Italia risultano essere circa 60.000 e numerose sono le piccole e medie aziende dei territori di confine della Valle d'Aosta, del Piemonte, della Lombardia e della provincia autonoma di Bolzano ad essere interessate nei processi di fornitura e di assistenza nell'ambito del mercato elvetico;
    nei confronti dei lavoratori frontalieri si è assistito negli ultimi mesi, complice anche la campagna elettorale in territorio elvetico, ad un continuo ed ingiustificato attacco di natura discriminatoria e xenofoba;
    in particolare, ha destato scalpore, a questo riguardo, la decisione del Canton Ticino tesa ad obbligare ogni cittadino italiano in via di occupazione in Svizzera a presentare il certificato dei carichi pendenti in allegato alla richiesta di assunzione;
    in questa direzione si è inserito anche l'avvio dell'elaborazione da parte del Consiglio di Stato del Ticino di una clausola fortemente restrittiva sul reddito dei cittadini italiani occupati in Ticino mediante una maggiorazione del trattamento fiscale sulla base della nazionalità italiana dei lavoratori, circostanze ad avviso dei firmatari del presente atto di indirizzo in palese contrasto con l'accordo sulla libera circolazione delle persone sottoscritto tra Unione europea e Confederazione Elvetica;
    è da sottolineare altresì la volontà di introdurre su base cantonale un limite restrittivo di quote dei frontalieri, smentendo in tal modo la competenza del Consiglio federale e ponendo di fatto un'azione di messa in mora dell'accordo sulla libera circolazione delle persone;
    a ciò si aggiunga il fatto che il 24 marzo 2015, con provvedimento n. 24 del 2015, il Gran Consiglio della Repubblica e Cantone Ticino ha approvato la legge sulle imprese artigianali per l'esercizio della professione di imprenditore nel settore artigianale, introducendo elementi che vanno nella direzione di ostacolare la libera circolazione delle imprese estere in Canton Ticino;
    nello specifico agli articoli 3 e 4 della legge si è decretata l'istituzione di un albo delle imprese artigianali, la cui iscrizione da parte delle stesse costituisce conditio sine qua non per l'esercizio della professione, ed è subordinata al rispetto di determinati requisiti professionali, così come previsto dall'articolo 6 della legge stessa, la cui identificazione è rimandata all'approvazione di apposito regolamento pubblicato sul bollettino ufficiale delle leggi del Canton Ticino il 20 gennaio 2016, con entrata in vigore il 1o febbraio 2016;
    i contenuti del suddetto regolamento prevedono, tra le altre cose, il rispetto dei seguenti requisiti:
     a) diplomi e titoli di studio prevedendo il riconoscimento unilaterale dei diplomi e certificati esteri da parte della Segreteria di Stato Svizzera – SEFRI;
     b) attestati e referenze concernenti l'attività pratica;
     c) certificato di solvibilità personale;
     d) dimostrazione di lavorare in Svizzera da almeno 5 anni;
     e) eventuali infrazioni saranno sanzionate con multe sino a 50.000 franchi;
    una disposizione che, così concepita, necessita di approfondimenti sia rispetto al percorso formativo abilitante sia rispetto alla modalità per il riconoscimento dell'esperienza professionale;
    in merito all'omologazione dei titoli di specializzazione professionale degli artigiani italiani con quelli riconosciuti in Svizzera, come già emerso in passato, e ribadito in occasione nell'incontro tenutosi il 30 giugno 2015 presso il Ministero dello sviluppo economico – divisione VI cooperazione economica bilaterale in merito alla professionalità degli elettricisti ed idraulici italiani, l'ostacolo è rappresentato dal diverso percorso formativo adottato nei due Paesi; impedimento che non può essere superato, così come prospettato dalla Svizzera, con l'introduzione di obbligo di frequentazione da parte delle imprese italiane di idoneo corso professionale riconosciuto dal legislatore svizzero e successivo superamento di un esame di pratica;
    la disamina della questione dovrebbe tener conto anche di quanto previsto dalle direttive europee 2005/36/CE e 2013/55/UE, che nell'istituire un regime di riconoscimento delle qualifiche professionali nell'Unione europea, estesa anche ad altri Paesi dello spazio economico europeo (SEE) e alla Svizzera, mira a rendere i mercati del lavoro più flessibili, a liberalizzare ulteriormente i servizi, a favorire il riconoscimento automatico delle qualifiche professionali e a semplificare le procedure amministrative;
    in tal senso sembra significativo quanto sancisce l'articolo 16 della direttiva 2005/36/EU che recita: «Se in uno Stato membro l'accesso a una delle attività legate all'allegato IV o il suo esercizio è subordinato al possesso di conoscenze e competenze generali, commerciali o professionali, lo Stato membro riconosce come prova sufficiente di tali conoscenze e competenze l'aver esercitato l'attività considerata in un altro Stato membro»;
    in questa direzione va anche la direttiva 2013/55/UE, applicabile dal 18 gennaio 2016, che nel prevedere la creazione di una tessera professionale europea consente ai cittadini di poter chiedere il riconoscimento delle proprie qualifiche professionali;
    si evidenzia altresì che esiste un apposito Accordo tra la Confederazione Svizzera, da una parte, e l'Unione europea ed i suoi Stati membri, dall'altra, sulla libera circolazione delle persone i cui lavori si sono conclusi il 21 giugno 1999, approvato dall'Assemblea federale svizzera l'8 ottobre 1991, ratificato con strumenti depositati il 16 ottobre 2000, entrato in vigore il 1o giugno 2002;
    il provvedimento adottato coinvolge 4.548 ditte artigiane individuali e 9.835 dipendenti di società, per un totale di 14.383 italiani che nel corso del 2015 hanno prestato, per un periodo di tempo inferiore ai 90 giorni anno, lavoro in Svizzera nel Canton Ticino. Questi lavoratori, imprenditori e loro dipendenti, sono per lo più di provenienza lombarda e piemontese, in particolare delle province di Varese, Como, Verbano Cusio Ossola, che, per il ruolo che giocano a supporto dell'economia cantonale, quale importante forma di collaborazione per lo sviluppo di alcuni comparti economici (in primis quelli legati alla filiera dell'abitare), sono sempre stati al centro del dibattito in Canton Ticino in quanto ingiustamente accusati di sottrarre opportunità di lavoro alle imprese locali;
    le richiamate gravi prese di posizione nei confronti dei cittadini italiani lavoratori frontalieri in Svizzera sono diventate pressoché quotidiane, creando una forte tensione nei rapporti con la Confederazione elvetica, per evitare la quale si ritiene indispensabile che quest'ultima in maniera esplicita smentisca formalmente con propri atti alcune iniziative condotte dalle autorità cantonali ticinesi a scapito dei principi della libera circolazione delle persone;
    mentre tutto ciò si è andato realizzando, in data 22 dicembre 2015 l'Italia e la Svizzera hanno parafato un accordo sull'imposizione fiscale dei lavoratori frontalieri, unitamente ad un protocollo che modifica le relative disposizioni della Convenzione contro le doppie imposizioni, al fine di concretizzare uno dei principali impegni assunti dai due Stati nella «road map», firmata nel febbraio 2015 in occasione dei procedimenti connessi con l'approvazione della «voluntary disclosure». Il nuovo accordo, chiamato a sostituire quello del 1974, allo stato non risulta essere stato ancora firmato da parte di entrambi i Governi, né tantomeno approvato da parte dei rispettivi Parlamenti, e i Governi hanno annunciato che il testo sarà reso disponibile e pubblico al momento della firma;
    secondo quanto reso pubblico con un comunicato congiunto del Ministero dell'economia e delle finanze della Repubblica italiana e dalla Segreteria di Stato per le questioni finanziarie internazionali della Confederazione Elvetica, l'accordo comprende i seguenti principali elementi:
     a) si fonda sul principio di reciprocità;
     b) fornisce una definizione di aree di frontiera che, per quanto riguarda la Svizzera, sono i Cantoni dei Grigioni, del Ticino e del Vallese e, nel caso dell'Italia, le regioni Lombardia, Piemonte, Valle d'Aosta e provincia autonoma di Bolzano;
     c) fornisce una definizione di lavoratori frontalieri al fine dell'applicazione dell'accordo e include i lavoratori frontalieri che vivono nei comuni i cui territori ricadono, per intero o parzialmente, in una fascia di 20 chilometri dal confine e che, in via di principio, ritornano quotidianamente nel proprio Stato di residenza;
     d) per quanto riguarda l'imposizione, lo Stato in cui viene svolta l'attività lavorativa imporrà sul reddito da lavoro dipendente al 70 per cento al massimo dell'imposta risultante dall'applicazione delle imposte ordinarie sui redditi delle persone fisiche. Lo Stato di residenza applicherà le proprie imposte sui redditi delle persone fisiche ed eliminerà la doppia imposizione;
     e) viene effettuato uno scambio di informazioni in formato elettronico relativo ai redditi da lavoro dipendente dei lavoratori frontalieri;
     f) l'accordo sarà sottoposto a riesame ogni cinque anni;
    il comparto del frontalierato risulta essere interessato, sul fronte interno, da un provvedimento relativo ad una controversa interpretazione normativa relativa al paventato rischio di pagamento da parte dei lavoratori frontalieri dell'assistenza sanitaria italiana, a seguito dell'emanazione di una circolare del Ministero della salute che, richiamando un accordo Stato-regioni in data 20 dicembre 2012, lascerebbe supporre che per i lavoratori italiani occupati in Svizzera e per i titolari di pensione svizzera possa essere prevista l'iscrizione volontaria al servizio sanitario nazionale, mediante il pagamento alla asl di residenza di un contributo fissato dal decreto ministeriale 8 ottobre 1986 e successive modificazioni e integrazioni, circostanza che sta aprendo numerosi dubbi e interrogativi circa la fondatezza giuridico-costituzionale del provvedimento a causa della sua onerosità, della lesione del principio di universalità sul quale si fonda il servizio sanitario nazionale e sulla circostanza che si renderebbe impossibile una pratica uniforme del provvedimento in assenza da parte dell'Italia dell'elenco anagrafico dei frontalieri;
    l'intera questione relativa allo stato delle relazioni tra Italia e Svizzera deve essere colta dal Governo nella sua globalità e complessità e le determinazioni da assumersi in merito non possono essere astratte rispetto al quadro complessivo delle situazioni in campo, ivi compresa la necessaria corrispondenza di risposte ufficiali da parte delle competenti istituzioni elvetiche in termini di positiva cooperazione e di effettiva disponibilità,

impegna il Governo:

   a richiedere un chiarimento formale alla Confederazione elvetica in merito alle decisioni discriminatorie assunte dal Canton Ticino in contrasto con gli accordi di libera circolazione delle persone;
   a rivalutare l'accordo tra Italia e Svizzera in materia fiscale in relazione alla formulazione, da parte delle competenti autorità federali e cantonali svizzere, di specifiche assicurazioni formali tendenti ad escludere la validità e l'applicazione di qualsivoglia iniziativa discriminatoria e lesiva dell'accordo di libera circolazione delle persone intercorrente tra Unione europea e Confederazione elvetica nei confronti di cittadini italiani occupati o occupabili in Svizzera e di aziende italiane potenzialmente interessate al mercato elvetico, nonché alla rimozione di ogni forma di discriminazione sin qui messa in campo, ivi compresa l'individuazione da parte della Svizzera di una soluzione euro-compatibile di adeguamento della propria legislazione al risultato del voto popolare sull'iniziativa del 9 febbraio 2014;
   a fare in modo che in ogni caso, modalità e tempistiche relative all'armonizzazione fiscale tra cittadini italiani frontalieri compresi entro la fascia dei 20 chilometri e cittadini italiani frontalieri fuori fascia garantiscano adeguata e sostenibile gradualità modulata temporalmente e che esse inizialmente non comportino aggravi per i lavoratori frontalieri «entro fascia» e siano disciplinate, per quanto di competenza dal Governo italiano, nel disegno di legge di ratifica dell'accordo tra Repubblica italiana e Confederazione elvetica o in altre iniziative normative;
   ad operare affinché in tale contesto venga prevista l'estensione della franchigia per i lavoratori frontalieri prevista dalla legge di stabilità 2015 in termini di permanente agevolazione Irpef anche ai lavoratori frontalieri presenti all'interno della fascia di 20 chilometri dal confine italo-elvetico;
   ad assumere iniziative per garantire, per quanto di competenza, che nel disegno di legge di ratifica si provveda ad assicurare ai comuni di frontiera l'equivalente dell'attuale ristorno delle imposte versate dai lavoratori frontalieri secondo l'accordo del 1974, mediante specifica disposizione che commisuri l'ammontare complessivo e la ripartizione spettante ai comuni di frontiera alla dinamica del monte salari complessivamente prodotto dal comparto transfrontaliero avendo come montante minimo di partenza il valore complessivo dei ristorni fiscali generato nell'ultimo anno fiscale di vigenza dell'accordo Italia-Svizzera del 1974;
   ad avviare, in conformità a specifiche mozioni già adottate dal Parlamento italiano, il percorso finalizzato alla realizzazione dello «statuto del frontaliere» come parte integrante e sostanziale del processo negoziale del futuro accordo tra Italia e Svizzera;
   ad assumere iniziative, anche in sede europea, tese a garantire il rispetto delle norme che regolamentano il riconoscimento delle qualifiche professionali in forza dell'accordo tra l'Unione europea e la Svizzera;
   ad adoperarsi per un costante coinvolgimento delle istituzioni locali interessate (regioni Valle d'Aosta, Piemonte e Lombardia, provincia autonoma di Bolzano, province di Sondrio e del Verbano Cusio Ossola, in considerazione anche delle loro nuove competenze in materia di cooperazione frontaliera a seguito della legge n. 56 del 2014, nonché province di Como, Lecco e Varese) e delle rappresentanze sindacali dei lavoratori frontalieri;
   ad analizzare i contenuti dei provvedimenti legislativi e regolamentari assunti dal Canton Ticino richiamati nelle premesse del presente atto, e ad assumere iniziative – qualora siano in contrasto con gli accordi bilaterali o con l'Unione europea – presso le sedi opportune affinché venga modificato quanto disposto unilateralmente;
   ad intervenire, per quanto di competenza, sospendendo ogni iniziativa di Stato, regioni e province autonome tendenti ad introdurre un'impropria modalità di pagamento da parte di lavoratori italiani occupati in Svizzera e per i titolari di pensione svizzera per il godimento delle prestazioni del Servizio sanitario nazionale;
   ad assumere iniziative per prevedere che le prestazioni corrisposte ai lavoratori frontalieri dalla previdenza professionale per la vecchiaia, i superstiti e l'invalidità svizzera (lpp), in qualunque forma erogata, ivi comprese le prestazioni erogate dai diversi enti o istituti svizzeri di pre-pensionamento, vengano assoggettate, ai fini delle imposte dirette, a una tassazione forfettaria in analogia alla normativa sulla collaborazione volontaria;
   ad assicurare che nel prosieguo del processo negoziale sia data adeguata attenzione alla specificità del comune di Campione d'Italia, comprese soluzioni a breve termine sulle questioni doganali;
   ad assumere iniziative per prevedere che l'eventuale extra gettito derivante dall'entrata a regime del trattamento fiscale Irpef dei frontalieri venga destinato a potenziare le infrastrutture nelle zone di confine con la Svizzera, con particolare riguardo alle infrastrutture di trasporto locale, ai collegamenti tra Italia e Svizzera e alla tutela ambientale, mediante la creazione di un apposito «Fondo per le zone di confine italo-elvetiche» presso il Ministero dell'economia e delle finanze.
(1-00952)
(Ulteriore nuova formulazione) «Borghi, Alli, Plangger, Braga, Marantelli, Tentori, Guerra, Fragomeli, Senaldi, Gadda, Baruffi, Realacci, Tacconi, Paolo Rossi, Lupi, Bernardo, Vignali, Monchiero, Palladino, Garavini».

  Si pubblica il testo riformulato della mozione Nicoletti n. 1-00966, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 473 del 31 luglio 2015.

   La Camera,
   premesso che:
    mercoledì 6 gennaio 2016 i sismografi in Corea del sud, Giappone e Stati Uniti hanno registrato un terremoto di 5,1 gradi della scala Richter in Corea del nord, a circa 50 chilometri a nord di Kilju, vicino al confine con la Cina. Poco dopo è giunta la conferma da Pyongyang, che ha reso noto di aver condotto con successo un test con una bomba all'idrogeno. L'area dell'epicentro del terremoto coincide infatti con quella dei test nucleari nordcoreani precedentemente effettuati. Nonostante i dubbi sull'uso dell'idrogeno, la Corea del nord ha effettuato tre precedenti test con bombe atomiche a fissione: nel 2006, nel 2009 e nel 2013. Per questo motivo le Nazioni Unite avevano imposto sanzioni internazionali. L'Organizzazione Onu per il trattato sul bando dei test nucleari ha dichiarato che il test è una violazione del trattato stesso e una grave minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha condannato fermamente il nuovo test nucleare della Corea del nord, in quanto rappresenta una «chiara violazione» delle sue risoluzioni e annuncia che imporrà immediatamente ulteriori misure restrittive con una nuova risoluzione. L'Alto rappresentante per la politica estera Federica Mogherini ha dichiarato che si tratta di «una minaccia alla pace e alla sicurezza dell'intera regione nordorientale dell'Asia»;
    con una risoluzione del 28 marzo 2014, il Consiglio Onu dei diritti umani ha condannato la Corea del Nord per le sistematiche, massicce e gravi violazioni dei diritti umani – crimini contro l'umanità compresi – che continuano a essere commesse nel Paese;
    centinaia di migliaia di persone, come denunciato più volte da Amnesty international e confermato di recente dal rapporto della Commissione d'inchiesta delle Nazioni Unite sulla Corea del Nord, sono detenuti in campi di prigionia politica e in altre strutture detentive del Paese. Molte di loro non hanno commesso alcun reato se non quello «associativo», dovuto al fatto di essere parenti di persone colpevoli di reati politici. Il testo del rapporto riporta testimonianze dirette e indirette che hanno fatto luce su un Paese definito «senza paragoni nel mondo contemporaneo» dal giudice australiano Michael Kirby che ha guidato il lavoro della Commissione d'inchiesta Onu. Le responsabilità, si sottolinea nel rapporto, sono molteplici ma alla fine riconducibili ai più alti livelli del Governo, che coscientemente pone in uno stato di sudditanza e paura estrema la popolazione, perseguendo duramente e senza alcun rispetto per trattati e convenzioni internazionali ogni forma di dissenso o comportamenti giudicati anormali o anche solo stravaganti;
    tali abusi sono stati ripetutamente segnalati anche da numerose organizzazioni internazionali e da testimoni come Shin Dong-Hyuk, esule nordcoreano fuggito dal campo di prigionia a 23 anni, il quale nell'aprile 2015 ha visitato l'Italia e raccontato la sua esperienza di prigionia fin dalla nascita. Queste testimonianze si aggiungono alla documentazione di numerosi organismi internazionali che hanno provato l'esistenza di almeno 6 campi di concentramento, con oltre 15.000 prigionieri politici ed altri detenuti per un totale di prigionieri stimabile intorno alle 200.000 unità;
    la Corea del Nord prosegue in una catastrofica politica economica che portò alla morte di milioni di cittadini nord coreani e continua a spendere un inaudito 25 per cento del suo prodotto interno lordo per spese militari. Nonostante la grave situazione alimentare del Paese, il Governo nordcoreano pone numerose limitazioni alle agenzie internazionali e alle organizzazioni non governative indipendenti che portano aiuti; inoltre, il sistema giudiziario della Repubblica democratica popolare di Corea non risulta essere libero e indipendente, la pena di morte è applicata per numerosi reati e il codice penale non risulta in linea con gli standard internazionali, così da legittimare abusi e decisioni arbitrarie. Le libertà di opinione, espressione e associazione sono gravemente compresse dalle autorità governative nonostante le garanzie costituzionali;
    la Corea del Nord ha sottoscritto importanti convenzioni internazionali, tra le quali il Patto internazionale sui diritti civili e politici e la Convenzione sul diritti del fanciullo;
    il Parlamento europeo ha approvato diverse risoluzioni mettendo in evidenza la criticità della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord ed ha esortato le autorità del Paese a porre fine agli abusi perpetrati ai danni della popolazione, cessando le esecuzioni, le torture ed i lavori forzati e garantendo l'accesso all'assistenza alimentare;
    risulta chiaro che l'avvicendamento al potere di Kim Jong-un, succeduto al padre Kim Jong-il alla fine del 2011, non abbia apportato alcun miglioramento della situazione dei diritti umani nella Corea del Nord, né ha migliorato i rapporti con la comunità internazionale come dimostra il test nucleare del 6 gennaio;
    numerose organizzazioni non governative internazionali per i diritti umani hanno esortato l'Unione europea ad occuparsi maggiormente della questione dei diritti umani nella Corea del Nord,

impegna il Governo:

   ad adoperarsi in tutte le sedi internazionali, in particolare l'Onu e l'Unione europea, al fine di bloccare la pericolosa escalation militare in una regione già resa fragile da dispute territoriali e con la contemporanea presenza di tre potenze nucleari come la Cina, La Russia e gli Stati Uniti;
   ad evidenziare e condannare le violazioni dei diritti umani perpetrate dalla Corea del nord e ad intervenire, per quanto di propria competenza, presso i pertinenti fori multilaterali cui l'Italia partecipa e a collaborare con i principali partner regionali asiatici affinché possano cessare al più presto le gravi violazioni dei diritti umani, si possa mettere fine alle esecuzioni capitali e si possano chiudere i campi di prigionia e «rieducazione».
(1-00966)
(Ulteriore nuova formulazione) «Nicoletti, Bergamini, Alli, Locatelli, Monchiero, Causin, Carrozza, Dell'Aringa, Misiani, Patriarca, Schirò, Zampa, Stella Bianchi, Centemero, Sereni, Quartapelle Procopio».

Ritiro di documenti di indirizzo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   mozione Alli n. 1-01141 dell'8 febbraio 2016;
   mozione Plangger n. 1-01142 dell'8 febbraio 2016.