Camera dei deputati

Vai al contenuto

Sezione di navigazione

Menu di ausilio alla navigazione

MENU DI NAVIGAZIONE PRINCIPALE

Vai al contenuto

Resoconto dell'Assemblea

Vai all'elenco delle sedute

XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Giovedì 28 gennaio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Risoluzioni in Commissione:


   La IX Commissione,
   premesso che:
    l'articolo 98, comma 3, del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, recante «conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59», dispone che sono mantenute allo Stato: «in materia di strade e autostrade costituenti la rete nazionale, le funzioni relative:
     a) alla determinazione delle tariffe autostradali e ai criteri di determinazione dei piani finanziari delle società concessionarie;
     b) all'adeguamento delle tariffe di pedaggio autostradale;
     c) all'approvazione delle concessioni di costruzione ed esercizio di autostrade;
     d) alla progettazione, esecuzione, manutenzione e gestione delle strade e delle autostrade, sia direttamente sia in concessione;
     e) al controllo delle concessionarie autostradali, relativamente all'esecuzione dei lavori di costruzione, al rispetto dei piani finanziari e dell'applicazione delle tariffe, e alla stipula delle relative convenzioni;
     f) alla determinazione annuale delle tariffe relative alle licenze e concessioni ed alla esposizione della pubblicità»;
    sono, inoltre, sempre mantenute allo Stato, ai sensi dell'articolo 98, comma 1, lettera a) e lettera i) del soprarichiamato decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, rispettivamente, le funzioni relative alla pianificazione pluriennale della viabilità delle grandi direttrici del traffico nazionale e sovranazionale e di regolamentazione della circolazione veicolare per motivi di sicurezza pubblica, di sicurezza della circolazione, di tutela della salute e per esigenze di carattere militare;
    la rete autostradale italiana è costituita, per la maggior parte, da arterie realizzate, tra gli anni Sessanta e Settanta del 1900, dalla società Autostrade del gruppo Iri, e da molti altri concessionari posseduti o controllati da enti locali, con lo strumento amministrativo della concessione, in applicazione di quanto previsto dalla cosiddetta «legge Romiti» (legge 21 maggio 1955, n. 463) e dal piano Zaccagnini (legge 24 luglio 1961, n. 729). Gran parte della rete è stata fin dal principio sottoposta a pedaggio, con tariffe connesse alla remunerazione degli investimenti;
    il piano di ammortamento degli investimenti originari è stato, per la gran parte, già completato prima della privatizzazione intervenuta dal 1999. Eppure l'87 per cento della rete in esercizio è, ancora oggi, sottoposta a pedaggio, tra l'altro con le tariffe più alte d'Europa, considerando che l'Italia è il Paese europeo con i ricavi più elevati, con oltre 800 mila euro per chilometro di autostrada. Da aggiungere, inoltre, che, con la privatizzazione, a partire dal 1999, sono state rinnovate tutte le concessioni, con proroghe dei rapporti anche di oltre venti anni, senza che fossero state espletate gare pubbliche e, quindi, senza quelle garanzie di identificazione del miglior offerente (in termini tanto di canone concessorio quanto di qualità del servizio) insite nella gara;
    l'attuale regime delle concessioni, caratterizzato nel corso degli anni da diversi interventi legislativi, deriva dalla riforma attuata dall'articolo 2, commi da 82 a 93, del decreto-legge 3 ottobre 2006 n. 262, recante «Disposizioni urgenti in materia tributaria e finanziaria» che ha introdotto l'istituto della «Convenzione Unica» da stipularsi tra il concedente (allora Anas S.p.A., dal 2012 il Ministero dell'infrastrutture e dei trasporti) e ogni concessionario che deve, con riferimento a ogni singolo rapporto concessorio, precisare l'allocazione dei rischi, la remunerazione dei capitali investiti e le modalità di adeguamento tariffario;
    tuttavia, per via dell'opacità dei piani economico-finanziari dei concessionari è risultato fin dal principio difficile valutare la congruità dell'evoluzione tariffaria e la sua coerenza con gli effettivi investimenti effettuati: sia perché si continua a non distinguere tra investimenti imposti dal regolatore – pertanto da remunerarsi in tariffa in quanto non redditizi – e investimenti decisi dalle concessionarie perché ritenuti convenienti e sia perché la costruzione di nuove tratte, che dovrebbero generare un incremento di traffico e quindi nuovi ricavi, non comportano quasi mai la riduzione delle precedenti tariffe, con evidenti rischi di doppia remunerazione. Inoltre, anche l'eccessivo ricorso all’in house, di molti degli investimenti effettuati, può ingenerare rischi di manipolazione dei costi, molto spesso sovrastimati per mantenere alta la remunerazione tariffaria. Anche i dati di traffico molto spesso risultano sottostimati per la medesima ragione;
    ad aggravare il quadro è intervenuta la recente misura introdotta dall'articolo 5 del decreto-legge 12 settembre 2014, n. 133, il cosiddetto «Sblocca Italia», che ha previsto la possibilità per i concessionari di chiedere la proroga dei contratti in essere per la realizzazione di nuovi investimenti, mediante una proposta di modifica del rapporto concessorio, anche attraverso l'unificazione di tratte interconnesse, contigue o complementari tra loro. Tale disposizione ha ingenerato moltissime critiche sia per il contrasto con la direttiva 2014/23/UE, sull'aggiudicazione dei contratti di concessione (direttiva Concessioni), entrata in vigore il 17 aprile 2014 e il cui recepimento da parte degli Stati membri è previsto entro il 18 aprile 2016, e sia per le già sopradette carenze informative relative all'opacità dei piani finanziari delle società concessionarie che, per le loro molteplici capacità manipolatorie, come quella di presentare come nuovi investimenti non effettuati nei termini prescritti dal precedente contratto di concessione. Infatti, come è emerso dal documento presentato dal capo del servizio di struttura economica della Banca d'Italia, nell'ambito dell'Indagine Conoscitiva in materia di concessioni autostradali e illustrato presso l'VIII commissione della Camera dei deputati l'11 giugno 2015, le informazioni più aggiornate riguardo agli investimenti dei concessionari autostradali mostrano che, nel periodo 2008-13, si è progressivamente ampliato il divario tra gli investimenti effettivi (complessivamente di 11,5 miliardi di euro) e quelli previsti dai piani finanziari relativi al medesimo periodo (quasi 14,1 miliardi di euro);
    i pedaggi autostradali, oltre ad essere in molti casi non più giustificati, sono anche causa di molteplici problemi di congestione del traffico nei tratti viari urbani di molti comuni italiani. Infatti, per evitare i caselli autostradali, in particolare quando si intende percorrere brevi tratti, molti utenti tendono a riversarsi sulla viabilità ordinaria, causando intasamenti ed enormi disagi alla circolazione e alla vivibilità dei territori interessati. Molti sono i comuni interessati da questa problematica, con gravi ripercussioni sulla «sostenibilità» delle opere viarie esistenti e sui livelli di incidentalità ed emissioni inquinanti. Uno dei più colpiti, ad esempio, è il comune di Ivrea che vede l'amministrazione e i cittadini da tempo in stato di mobilitazione per chiedere alle autorità competenti (Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, regione Piemonte, Città metropolitana di Torino e comuni limitrofi) di intervenire per la liberalizzazione dei caselli autostradali del tratto Albiano, Pavone, Scarmagno e Quincinetto, così da creare una tangenziale gratuita e naturale che libererebbe i centri cittadini dagli intasamenti causati dal traffico di attraversamento Nord Sud-Est Ovest dei comuni coinvolti;
    il caso di Ivrea non è l'unico in Italia, essendo il nostro un Paese di pendolari con il peggior trasporto pubblico locale in Europa. Infatti oltre il 90 per cento degli spostamenti nei giorni lavorativi sono effettuati per mezzo di automobili private e per percorrenze in gran parte inferiori ai 30 chilometri che molto spesso, specialmente nelle grandi città, prevedono l'interconnessione tra la rete stradale ordinaria e la rete autostradale. In aggiunta, c’è l'anomalia tutta italiana di un utilizzo delle autostrade, che ovunque è complementare e non sostitutivo, per molti percorsi a medio e grande raggio e che risulta come l'unica possibile alternativa praticabile per gli spostamenti;
    diventa essenziale, ai fini di contemperare diritti costituzionalmente sanciti alla mobilità, alla salute e al rispetto dell'ambiente, liberalizzare quei tratti autostradali che sono la causa degli intasamenti della viabilità urbana e, questo, specialmente quando si registrano livelli di incidentalità e di inquinamento acustico ed atmosferico superiori a quello consentito. Resta ferma la necessità di dimostrare il collegamento fra la presenza di caselli autostradali e la cogestione del traffico viario interno e che la liberalizzazione degli stessi comporti un effettivo vantaggio in termini di circolazione e vivibilità dei territori interessati;
    in dottrina, la privatizzazione delle concessioni autostradali e le successive trasformazioni delle governance societarie non hanno fatto venire meno la loro natura giuridica di organismi di diritto pubblico poiché l'attenzione, più che all'assetto privato dell'azionariato, è focalizzata sull'oggetto sociale principale di queste società, consistente nella costruzione e gestione delle autostrade, ovvero in un'attività finalizzata a soddisfare bisogni ed interessi pubblici generali. È irrilevante, pertanto, la natura giuridica privatistica del soggetto concessionario, poiché quello che preme è il carattere «non industriale» dell'attività esercitata, che è sottratta, da un'ordinaria attività imprenditoriale, industriale o commerciale. In sintesi, il concessionario altro non rappresenta che un organo indiretto dell'amministrazione concedente. Per tali ragioni lo Stato può benissimo imporre, ai fini dei soprarichiamati bisogni ed interessi pubblici generali, condizioni e limitazioni alle concessioni autostradali, purché questo avvenga nella fase istitutiva della convenzione accessiva alla concessione e nel rispetto delle procedure concorrenziali definite dalla normativa europea e nazionale sugli appalti. Tali condizioni e limitazioni benissimo potrebbero riguardare anche l'ipotesi di totale esenzione dei pedaggi autostradali in quegli specifici e motivati casi in cui si riscontrassero superiori esigenze di ordine pubblico e di tutela della salute pubblica e dell'ambiente;
    la soppressione e o la riduzione dei pedaggi autostradali, in alcuni specifici tratti, comporterebbe, oltre ad una mancata o minore remunerazione del concessionario – come già sostenuto in premessa il pedaggio autostradale è giustificato dalla necessità di remunerare il costruttore dell'autostrada e, in molteplici casi, questo non risulta più giustificato –, certamente, un calo delle entrate fiscali per lo Stato. Somme che sarebbero comunque ampiamente compensate dai minori costi, diretti ed indiretti, legati ai danni causati dagli incidenti stradali e dalle emissioni inquinanti causati dai suddetti intasamenti,

impegna il Governo:

   a stipulare, a partire dai prossimi rinnovi delle concessioni autostradali, accordi in cui sia previsto l'obbligo, a carico del concessionario di liberalizzare i caselli autostradali laddove è acclarata la correlazione con la congestione del traffico nei comuni limitrofi, tale da produrre livelli di incidentalità e di inquinamento acustico ed atmosferico superiori alla norma;
   ad istituire un comitato tecnico consultivo, presso il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti con la partecipazione di regioni, degli enti locali, rappresentanti delle società concessionarie direttamente interessate e delle associazioni promotrici dell'istanza di liberalizzazione al fine della valutazione della stessa.
(7-00898) «Paolo Nicolò Romano, Nicola Bianchi, Petraroli, De Lorenzis».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    la gestione separata Inps è un fondo pensionistico finanziato con i contributi previdenziali obbligatori dei lavoratori assicurati e nasce con la legge 335 del 1995 (articolo 2, comma 26) di riforma del sistema pensionistico, anche nota come riforma Dini. Scopo della riforma pensionistica era, fra gli altri, quello di assicurare la tutela previdenziale a categorie di lavoratori fino ad allora escluse;
    l'iscrizione alla gestione separata di cui all'articolo 2, comma 26 è obbligatoria per le seguenti categorie di lavoratori:
     di tutte le categorie residuali di liberi professionisti, per i quali non è stata prevista una specifica cassa previdenziale; nella fattispecie devono quindi essere ricompresi anche i professionisti con cassa previdenziale, nel caso in cui, ai sensi del suo regolamento, l'attività non sia iscrivibile: può essere il caso, ad esempio, di un ingegnere che contemporaneamente all'attività professionale svolge anche attività di lavoro dipendente;
     della quasi totalità delle forme di collaborazione coordinata e continuativa (cosiddetta co-co-co), che fino ad allora non avevano mai beneficiato di alcuna disciplina specifica, né giuridica, né previdenziale;
     della categoria dei venditori a domicilio, ex articolo 36, della legge 426 del 1971;
    con successive disposizioni di legge sono stati iscritti alla gestione separata anche:
     gli spedizionieri doganali non dipendenti;
     i titolari di assegni di ricerca;
     i beneficiari di borse di studio per la frequenza ai corsi di dottorato di ricerca;
     i beneficiari di borse di studio a sostegno della mobilità internazionale degli studenti (solo da maggio a dicembre 2003) e degli assegni per attività di tutorato, didattico – integrative, propedeutiche e di recupero;
     gli associati in partecipazione;
     i medici con contratto di formazione specialistica;
     i volontari del servizio civile nazionale (avviati dal 2006 al 2008);
     i prestatori di lavoro occasionale accessorio (voucher);
    le suddette categorie di lavoratori, a differenza degli altri lavoratori iscritti ad altri fondi di previdenza obbligatoria, solo successivamente hanno potuto accedere alle tutele previdenziali quali l'indennità di malattia e maternità e del trattamento economico per congedo parentale;
    solo con l'articolo 1, comma 788, della legge 27 dicembre 2006, n. 296 (legge finanziaria per il 2007) sono state introdotte in favore dei lavoratori a progetto e categorie assimilate, iscritti alla gestione separata di cui sopra, specifici istituti previdenziali per la malattia e per il congedo parentale. Successivamente, alla luce di un'evoluzione interpretativa, con la risposta ad interpello n. 42 dell'11 novembre 2011, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali ha fornito, tra l'altro, chiarimenti in merito al contenuto del citato articolo 1, comma 788, della legge 296 del 2006, precisando che con l'espressione «categorie assimilate» ai lavoratori a progetto devono essere ricompresi, senza alcuna distinzione, tutti i lavoratori per i quali l'onere contributivo risulta a carico di un committente o associante in partecipazione (denominati in seguito «parasubordinati») e per i quali sussiste l'obbligo di iscrizione in via esclusiva alla gestione separata con aliquota contributiva piena di cui all'articolo 59, comma 16, della legge del 27 dicembre 1997, n. 449;
    l'articolo 24, comma 26, del decreto legge del 6 dicembre 2011, n. 201, convertito dalla legge 23 dicembre 2011, n. 214, ha disposto, a decorrere dal 1o gennaio 2012, l'estensione delle citate tutele anche ai soggetti che esercitano per professione abituale, ancorché non esclusiva, attività di lavoro autonomo, iscritti alla gestione separata (lavoratori libero professionali);
    solo in questi ultimi anni inoltre è stata introdotta, peraltro in via sperimentale, l'indennità di disoccupazione per i lavoratori parasubordinati e l'ultimo decreto legislativo 22 del 2015 ha introdotto in via sperimentale per il 2015 la cosiddetta DIS-COLL (prorogata con la legge di stabilità 2016 per gli anni 2016 e 2017) rivolta ai soli collaboratori coordinati e continuativi, anche a progetto, che abbiano perduto involontariamente la propria occupazione;
    gli iscritti alla gestione separata, oltre a non aver avuto per molti anni, l'accesso alle tutele previdenziali per malattia e congedo parentale, né ad uno strumento di sostegno al reddito per i lavoratori parasubordinati, sono altresì pesantemente penalizzati per l'accesso alla pensione per le seguenti ragioni:
     non è possibile utilizzare i contributi versati nella gestione separata per l'accesso al regime sperimentale «opzione donna» – articolo 1, comma 9 della legge 243 del 2004 – nonostante suddetta opzione preveda esclusivamente il calcolo contributivo;
     non è possibile ricongiungere i contributi versati nella gestione separata nel fondo pensioni lavoratori dipendenti, gestito dall'Inps, nelle altre gestioni sostitutive, esclusive o esonerative dell'assicurazione obbligatoria (quali INPDAP, fondi speciali Ferrovie, volo, elettrici, telefonici) o nelle gestioni speciali dei lavoratori autonomi (artigiani, commercianti e coltivatori diretti);
     è possibile valorizzare i contributi della gestione separata, utilizzando l'istituto della totalizzazione, fermo restando il calcolo contributivo (dal 1o gennaio 2016 – 40 anni e 7 mesi per la pensione di anzianità e un'età di 65 anni e 7 mesi per la pensione di vecchiaia) e un periodo di attesa per la decorrenza del trattamento pensionistico come previsto dalla legge 122 del 2010, «finestra mobile»;
     è possibile altresì valorizzare i contributi della gestione separata attraverso l'istituto del cumulo dei contributi, ma solo per l'accesso alla pensione di vecchiaia e con il vincolo di non aver già maturato in una gestione previdenziale, il diritto autonomo a pensione, quindi non avere 20 anni in un unico fondo;
    la crisi economica di questi ultimi anni ha costretto molti lavoratori ad accettare contratti di lavoro precario parasubordinato o con partita iva, con la relativa iscrizione obbligatoria alla gestione separata Inps e praticamente con l'unica possibilità di poter valorizzare i contributi per l'accesso alla pensione solo attraverso l'istituto della totalizzazione, con tutti i conseguenti limiti sopra evidenziati;
    identica situazione è riscontrabile nelle casse previdenziali private, come ad esempio per i lavoratori che abbiano periodi di contribuzione versati alla gestione separata Inpgi 2;
    è noto altresì che la «manovra Fornero» del dicembre 2011 (legge 214 del 2011, – «salva Italia») ha pesantemente incrementato i requisiti per l'accesso alla pensione, pregiudicando ulteriormente i lavoratori che hanno periodi di contribuzione versati nella gestione separata;
    i flussi di liquidazione delle pensioni che trimestralmente pubblica l'Inps sono la chiara dimostrazione della necessità di interventi di valorizzazione della gestione separata per poter garantire pensioni dignitose che permettano di vivere,

impegna il Governo

ad assumere iniziative per affrontare le discriminazioni che subiscono gli iscritti alla gestione separata a 20 anni dalla sua istituzione rispetto all'iscrizione ad altri fondi obbligatori e la mancanza di reciprocità tra i fondi esistenti e di riconoscimento per la valorizzazione dei contributi versati, superando le distorsioni evidenziate nelle premesse.
(7-00895) «Gnecchi, Damiano, Rotta, Paris, Giacobbe, Patrizia Maestri, Incerti, Casellato, Albanella, Zappulla, Ascani, Baruffi, Cuperlo, Miccoli, Fabbri, De Menech, Moretto, Beni, Berlinghieri, Di Salvo, Gribaudo, Martelli».


   L'XI Commissione,
   premesso che:
    il decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, «Attuazione delle deleghe in materia di occupazione e mercato del lavoro, di cui alla legge 14 febbraio 2003, n. 30», all'articolo 70, ha definito le prestazioni di tipo accessorio quali attività lavorative di natura meramente occasionale che non danno luogo, con riferimento alla totalità dei committenti, a compensi superiori a 5.000 euro nel corso di un anno solare;
    l'articolo 72 ha previsto che tali prestazioni fossero retribuite dal committente attraverso buoni lavoro (voucher) il cui valore nominale è stato fissato, con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali, in 10 euro;
    la legge 9 agosto 2013, n. 99 (articolo 7, comma 2, lettera e)), ha ampliato l'ambito applicativo dei buoni lavoro, escludendo che le prestazioni dovessero avere «natura meramente occasionale»;
    gli articoli 70-73 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276 sono stati abrogati dal decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, «Disciplina organica dei contratti di lavoro e revisione della normativa in tema di mansioni, a norma dell'articolo 1, comma 7, della legge 10 dicembre 2014, n. 183», che ne ha novellato la disciplina innalzando (articolo 48, comma 1) a 7.000 euro il limite massimo del compenso che il prestatore può percepire dalla totalità dei committenti nel corso dell'anno civile e confermando il tetto di 2.000 euro per le prestazioni rese nei confronti di committenti imprenditori e professionisti, oltre a quello di 3.000 euro per i percettori di prestazioni integrative del salario o di sostegno al reddito;
    in base ai dati dell'Osservatorio sul lavoro occasionale accessorio dell'Inps la vendita dei voucher in Italia è aumentata in modo significativo passando dai 23.813.978 buoni venduti nel 2012 ai 69.186.250 del 2014. Nei primi 11 mesi del 2015 i voucher venduti sono stati oltre 102 milioni, con un incremento medio nazionale, rispetto al corrispondente periodo del 2014, pari al 67,5 per cento;
    particolarmente significativo è il dato riferito al settore del turismo nel quale il ricorso ai voucher è passato da 1.836.887 del 2012 (7,7 per cento del totale) a 11.396.525 del 2014 (16,5 per cento), fino ai 7.471.377 del primo semestre 2015 (15 per cento), registrando quindi un tasso di variazione più elevato e in costante aumento rispetto al dato complessivo. Parallelamente è stato rilevato, nel medesimo settore, un decremento degli occupati con forme di impiego subordinato. Analogo è l'andamento riferito al lavoro domestico,

impegna il Governo:

   a sviluppare, con la massima sollecitudine, la banca dati informativa prevista dall'articolo 50 decreto legislativo 15 giugno 2015, n. 81, al fine di avviare un monitoraggio puntuale sull'utilizzo dei buoni lavoro con la finalità di prevenirne e contrastarne l'utilizzo improprio ed indiscriminato da parte dei committenti, in particolare nei settori del turismo, del commercio e del lavoro domestico;
   ad assumere iniziative per prevedere, considerato il variegato tessuto di attività economiche dei singoli territori, l'istituzione di tavoli di monitoraggio a livello regionale, con il coinvolgimento delle parti sociali, al fine di contrastare il dilagare incontrollato e improprio dell'utilizzo dei buoni lavoro;
   ad assumere iniziative per circoscrivere la possibilità di utilizzo dei buoni lavoro alle sole attività di «natura meramente occasionale» anche attraverso una rideterminazione in diminuzione del limite massimo complessivo dei compensi percettibili da ciascun prestatore nel corso dell'anno civile estendendo il tetto di 2.000 euro per lo svolgimento di attività lavorative a favore di ciascun singolo committente alla generalità dei settori produttivi e dei servizi.
(7-00896) «Patrizia Maestri, Arlotti, Gnecchi, Giacobbe, Incerti, Di Salvo, Albanella, Giorgio Piccolo, Romanini, Malisani, Casellato, Miccoli, Baruffi, Zappulla, Pagani, Carra, Damiano, Gribaudo, Lattuca, Leva».


   La XII Commissione,
   premesso che:
    il 27 ottobre 2015, è stata trasmessa al Parlamento la relazione annuale sullo «Stato di attuazione delle norme per la tutela sociale della maternità e per l'interruzione volontaria della gravidanza – legge 194/1978»; nella quale vengono presentati i dati definitivi relativi all'anno 2013 e quelli preliminari per l'anno 2014;
    per quanto riguarda il 2014, nella relazione si conferma la tendenza alla riduzione del numero di interruzioni volontarie di gravidanza (IVG) eseguite nel nostro Paese (nel 2014 ne sono state notificate 97.535, con una riduzione del 5,1 per cento rispetto al 2013). Anche il tasso di abortività (numero delle IVG per 1000 donne fra 15-49 anni) presenta nel 2014 una diminuzione del 5,9 per cento rispetto al 2013;
    nella stessa relazione si conferma l'elevato tasso di obiezione di coscienza tra il personale sanitario: nel 2013 sono risultati obiettori il 70 per cento dei ginecologi, il 49,3 per cento degli anestesisti, e il 46,5 per cento del personale non medico. Il tasso di ginecologi obiettori di coscienza, in alcune aree del paese arriva a percentuali veramente inaccettabili: «93,3 per cento in Molise, 92,9 per cento nella PA di Bolzano, 90,2 per cento in Basilicata, 87,6 per cento in Sicilia, 86,1 per cento in Puglia, 81,8 per cento in Campania, 80,7 per cento in Lazio e in Abruzzo»;
    si evidenzia inoltre l'esistenza del fenomeno della cosiddetta «obiezione di struttura»: circa il 35 per cento delle strutture viola di fatto il dettato dell'articolo 9 della legge n. 194 del 1978, proprio quello che regola il diritto a sollevare obiezione di coscienza, secondo cui: «Gli enti ospedalieri e le case di cura autorizzate sono tenuti in ogni caso ad assicurare l'espletamento delle procedure previste dall'articolo 7 e l'effettuazione degli interventi di interruzione della gravidanza richiesti secondo le modalità previste dagli articoli 5, 7 e 8. La regione ne controlla e garantisce l'attuazione anche attraverso la mobilità del personale». Tale fenomeno ha come conseguenza logica una sottostima dei dati dell'obiezione di coscienza, in quanto è evidente che il personale che lavora in una struttura che non applica la legge non ha bisogno di sollevare obiezione, e dunque risulta «non obiettore» pur non praticando interruzioni di gravidanza;
    nonostante queste evidenti criticità nell'attuazione della legge e del suo monitoraggio, nella medesima relazione la Ministra sostiene che «il numero di non obiettori risulta congruo, anche a livello sub-regionale, rispetto alle IVG effettuate, e non dovrebbe creare problemi nel soddisfare la domanda di IVG»;
    si ignora, dunque, che tali percentuali medie inevitabilmente «nascondono» le tante realtà di strutture sanitarie dove la legge n. 194 di fatto non viene applicata, o lo è solo parzialmente, e che quelle stesse percentuali impongono inevitabilmente un ruolo «penalizzante» ai pochi medici non obiettori, ossia quei 30 medici che si devono far carico del lavoro che gli altri 70 medici non sono disposti a fare;
    a livello nazionale, la principale conseguenza di un numero così elevato di obiettori di coscienza è quella di rendere estremamente difficoltosa la piena applicazione della legge n. 194 del 1978, con effetti negativi sia per le donne che chiedono l'interruzione volontaria di gravidanza, sia per gli operatori;
    negli ultimi tempi stanno emergendo sempre più denunce di un possibile ritorno degli aborti clandestini, che potrebbe vanificare molti dei dati riportati dalla relazione;
    con riguardo alla quantificazione degli aborti clandestini in Italia, la suddetta relazione riporta che nel 2012 l'Istituto superiore di sanità ha effettuato una stima degli stessi, quantificati tra i 12 e i 15 mila, cifre che indicherebbero una stabilizzazione del fenomeno negli ultimi 10 anni;
    questo dato è però molto probabilmente sottostimato: infatti l'utilizzazione degli stessi modelli matematici della precedente rilevazione del 2005, non considera gli avvenuti mutamenti della società e la possibilità di reperire i nuovi farmaci capaci di indurre l'aborto, acquistabili grazie alle prescrizioni di medici compiacenti ma anche sul mercato clandestino e su internet;
    ignorare il fenomeno dell'aborto clandestino comporta l'elusione di tutte le iniziative, sia legislative che di informazione e sensibilizzazione, volte a informare sulle gravi conseguenze legate ad un uso «fai da te», clandestino e fuori controllo, dei suddetti farmaci;
    dal 2009 l'AIFA ha autorizzato l'immissione in commercio della Ru486, per l'IVG, farmacologica, nel rispetto dei precetti normativi previsti dall'articolo 5 della legge n. 194 del 1978;
    a quattro anni di distanza, tuttavia, nel 2013 solo il 9,7 per cento delle donne ha potuto interrompere la gravidanza con il metodo farmacologico, con l'assurdo delle Marche dove tale metodica non è stata applicata in nessuna struttura della regione;
    questa sottoutilizzazione, che comporta la reale impossibilità delle donne di esercitare il diritto di scelta in relazione alle metodiche, è di fatto legata alle difficoltà organizzative dovute all'imposizione del ricovero ordinario nella stragrande maggioranza delle regioni;
    la medesima relazione al Parlamento, in relazione alla IVG farmacologica riporta che «sebbene la gran parte delle Regioni e delle strutture avessero adottato come regime di ricovero quello ordinario con l'ospedalizzazione della donna, molte di loro (76 per cento) hanno richiesto la dimissione volontaria dopo la somministrazione di Mifcpristone o prima dell'espulsione completa del prodotto abortivo, con successivi ritorni in ospedale per il completamento della procedura e nel 95 per cento dei casi le donne sono tornate al controllo nella stessa struttura. Inoltre nel 96,9 per cento dei casi non vi era stata nessuna complicazione immediata. Anche al controllo post dimissione nel 92,9 per cento dei casi non era stata riscontrata nessuna complicanza»;
    l'articolo 8 della legge n. 194 del 1978 prevede che nei primi novanta giorni gli interventi di interruzione volontaria di gravidanza possano essere effettuati negli ospedali pubblici generali e specializzati, e «presso poliambulatori pubblici adeguatamente attrezzati, funzionalmente collegati agli ospedali ed autorizzati dalla regione»;
    nel dicembre 2015 l'associazione AMICA ha presentato una lettera aperta alla Ministra della salute nella quale si sottolinea come il ricovero ordinario per l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia una procedura non appropriata che comporta uno spreco enorme di risorse per il nostro sistema sanitario nazionale (oltre 1.000 euro a paziente, contro i circa 600 del ricovero in day hospital, e i circa 50 della procedura ambulatoriale);
    permettere la procedura ambulatoria e minimizzerebbe gli effetti dell'obiezione di coscienza sull'applicazione della legge 194, in quanto gli obiettori nei consultori sono solo il 22 per cento, come riferito dalla stessa relazione ministeriale, e permetterebbe di garantire realmente la possibilità di scelta per le donne;
   è dunque indispensabile che l'interruzione volontaria di gravidanza farmacologica sia maggiormente e più diffusamente proposta su tutto il territorio nazionale come valida opzione alle donne, mettendole così in condizione di poter scegliere liberamente quale percorso intraprendere, garantendo e favorendo la sua somministrazione nell'ambito della stessa rete dei consultori;
    la citata relazione del Ministero della salute, conferma peraltro proprio la necessità di un reale rafforzamento dei consultori familiari, e questo anche in quanto strumento essenziale per le politiche di prevenzione e promozione della maternità e della paternità libera e responsabile;
    si ricorda che il progetto obiettivo materno infantile (POMI) assegna un ruolo strategico centrale ai consultori familiari nella promozione e tutela della salute della donna; la stessa relazione al Parlamento del Ministero della salute, conferma tutte le criticità nell'attuale rete di consultori, sottolineando come «nel 2013 il tasso di presenza dei consultori familiari pubblici è risultato pari a 0.7 per 20 mila abitanti, valore stabile dal 2006, mentre la legge n. 34 del 1996 ne prevede 1 per lo stesso numero di abitanti. Nel POMI sono riportati organico e orari di lavoro raccomandati ma purtroppo i 2061 consultori familiari censiti nel 2013 rispondono solo in parte a tali raccomandazioni e ben pochi sono organizzati nella rete integrata dipartimentale, secondo le indicazioni strategiche, sia organizzative che operative raccomandate dal POMI stesso. L'assenza della figura medica o la sua indisponibilità per il rilascio del documento e della certificazione, la non integrazione con le strutture in cui si effettua l'IVG, oltre alla non adeguata presenza del consultorio sul territorio, riducono il ruolo di questo fondamentale servizio»,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per valorizzare e ridare piena centralità ai consultori, quale servizio per la rete di sostegno alla sessualità libera e alla procreazione responsabile, anche attraverso un adeguamento delle risorse, della rete di servizi, degli organici, delle sedi;
   ad assumere tutte le iniziative utili affinché sia implementato e facilitato su tutto il territorio nazionale l'accesso all'interruzione volontaria di gravidanza con il metodo farmacologico in regime di day hospital e, dove possibile nei consultori familiari e nei poliambulatori, come previsto dall'articolo 8 della legge n. 194 del 1978, prevedendo contestualmente che i conseguenti risparmi di spesa vengano reinvestiti nella sanità pubblica e in particolare nel potenziamento delle reti dei consultori e in un più facile accesso alla contraccezione;
   ad avviare un serio ed efficace monitoraggio e studio del fenomeno dell'aborto clandestino per arrivare a una stima credibile e aggiornata circa l'effettiva dimensione del fenomeno;
   a mettere in atto tutte le iniziative normative per il contrasto del commercio on-line di medicinali per i quali è necessaria la presentazione di ricetta medica, nonché idonee iniziative di informazione e sensibilizzazione, circa le gravi conseguenze legate ad un uso «fai da te», clandestino e fuori controllo, di farmaci utilizzati incautamente per interrompere una gravidanza indesiderata;
   ad avviare un serio e capillare programma di informazione e di promozione dei metodi contraccettivi, di conoscenza riguardo al libero accesso alla contraccezione d'emergenza, e di educazione sessuale nelle scuole;
   a garantire, per quanto di competenza, il rispetto e la piena applicazione della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale nel rispetto del principio di libertà delle donne in materia di maternità e paternità responsabili e del riconoscimento della libera scelta e del diritto alla salute delle donne, assumendo tutte le iniziative, nell'ambito delle proprie competenze, finalizzate anche all'assunzione di personale non obiettore al fine di garantire il servizio di interruzione volontaria di gravidanza;
   ad attivarsi nell'ambito delle proprie competenza, al fine di assicurate, come prevede la legge, il reale ed efficiente espletamento da parte di tutti gli enti ospedalieri e delle strutture private accreditate, delle procedure e degli interventi di interruzione della gravidanza chirurgica e farmacologica;
   ad assumere iniziative per garantire ogni struttura pubblica o del privato accreditato (sia essa un ospedale o un consultorio) ad applicare la legge, facendo sì che solo a fronte di questo impegno possa essere concesso l'accreditamento.
(7-00897) «Nicchi, Gregori, Franco Bordo, Costantino, Duranti, Fratoianni, Carlo Galli, Marcon, Pannarale, Pellegrino, Ricciatti, Scotto, Zaccagnini».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazioni a risposta orale:


   IACONO, ALBANELLA, ZAPPULLA, LAURICELLA, RIBAUDO, CULOTTA, PICCIONE, CAPODICASA, BURTONE, SCHIRÒ, CURRÒ, AMODDIO, RACITI, CARDINALE, GRECO e BERRETTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   nella regione Sicilia, le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza (II.PP.AB.), costituiscono un settore che vive una profonda e grave crisi;
   le II.PP.AB. siciliane, nonostante il momento difficile e complesso che si protrae, ormai, da diversi anni rappresentano una realtà occupazionale di rilevanza significativa, attualmente, infatti, vi sono circa 750 dipendenti pubblici di ruolo e circa 1.300 dipendenti tra contrattisti a tempo determinato e professionisti convenzionati;
   a questi dati già, di per se, importanti si aggiunge il fatto che le II.PP.AB. siciliane dispongono di un immenso e straordinario patrimonio immobiliare rappresentato da antiche strutture di pregio storico, artistico e monumentale;
   tali strutture rappresentano, in molti casi, irrinunciabili punti di riferimento socio-assistenziale per le fasce più deboli della popolazione siciliana ed attualmente assistono circa 3.000 utenti complessivi;
   di fatto le II.PP.AB, nel territorio siciliano, hanno costituito il primo anello nella rete di pubblica assistenza;
   attualmente le strutture operanti nel territorio isolano sono all'incirca 150;
   nonostante, un primo impegno della giunta di Governo con la deliberazione n. 454 del 30 novembre 2012, con la quale si dava mandato all'assessore regionale della famiglia, delle politiche sociali e del lavoro di predisporre un disegno di legge e di redigere un report sullo stato delle II.PP.A.B. siciliane, dando contezza dei processi di fusione da attuare, delle estinzioni, dell'utilizzo del personale dipendente, della proiezione dell'incremento dei servizi, nonché della presumibile quantificazione dei minori costi pubblici, provvedendo alla ricostituzione di tutti i consigli di amministrazione, a tutt'oggi, non si è giunti a nessuna determinazione tale da rendere autenticamente funzionali le stesse strutture o a porre in essere la riforma degli istituti regionali rendendoli in grado di competere con le organizzazioni del non profit sociale;
   in questi ultimi mesi, tra l'altro, i problemi si sono, ulteriormente, aggravati ed oggi le strutture sono in grande affanno con drammatiche conseguenze sulla gestione dei servizi e grande disperazione per le famiglie interessate;
   in ultimo, la finanziaria regionale ha azzerato il cap. 183307 del bilancio regionale, con gravi ripercussioni sul personale dipendente, stante che il suddetto capitolo prevede un contributo per le istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza della Sicilia, ai sensi della legge regionale n.71 del 1982, destinato al pagamento degli oneri derivanti dall'applicazione del contratto di lavoro per i dipendenti;
   in diverse occasioni, le associazioni di rappresentanza unitamente all'associazione degli amministratori delle stesse II.PP.AB hanno avanzato la proposta di mettere in atto, come tra l'altro, già avvenuto in diverse regioni del Centro-nord, attraverso l'adozione di un disegno di legge, la trasformazione delle stesse in aziende pubbliche di servizio alla persona o in Fondazioni di diritto privato;
   nonostante la legge 328 del 2000, all'articolo 10, disponga chiaramente l'inserimento delle IPAB nella programmazione regionale del sistema integrato di interventi e servizi sociali la regione siciliana non ha ancora proceduto ad un piano di riforma delle stesse;
   a tutt'oggi, inoltre, non sono state stanziate dalla, giunta di Governo le somme per un nuovo bando per il miglioramento ed il potenziamento dei servizi offerti dalle II.PP.A.B.;
   nonostante le ripetute richieste all'assessorato competente, ad oggi non è stato ancora insediato il tavolo comune con l'assessorato regionale della salute ed il tavolo comune con assessorato autonomie locali, ANCI, ARES-IPAB ed organizzazioni sindacali per trovare una soluzione adeguata ai cronici ritardi dei comuni nel pagamento delle rette di ricovero, che in alcuni casi toccano punte di un anno e che mettono in ginocchio le strutture che non possono pagare gli stipendi al personale e le fatture ai fornitori;
   la commissione per la determinazione dei «nuovi standard» dei servizi socio-assistenziali, insediata da circa due anni, ad oggi, nonostante le ripetute sollecitazioni, non ha ancora completato i lavori;
   ad oggi l'esigenza che si riscontra da parte degli amministratori e degli operatori del settore è quella di superare la fase dell'assistenzialismo diretto e degli sprechi del passato e di attuare un serio processo di riforma in grado di garantire servizi qualificati e spesso indispensabili a fasce deboli della popolazione (quali anziani, minori, disabili, immigrati) dando contestualmente continuità occupazionale a tanti seri e qualificati dipendenti che nonostante ritardi disumani nel pagamento degli stipendi (in alcuni casi anni) hanno continuato e continuano a recarsi sul posto di lavoro e ad offrire una validissima assistenza agli utenti;
   le evidenti difficoltà che caratterizzano il sistema delle politiche sociali e i servizi di assistenza alle fasce più deboli della popolazione nella regione Sicilia si inseriscono nel quadro di una situazione estremamente critica del comparto dell'assistenza sociale su tutto il territorio nazionale, situazione che necessita di un'azione concertata tra lo Stato e le regioni –:
   se il Governo intenda assumere iniziative volte ad avviare un'interlocuzione con le regioni, anche attraverso un immediato ricorso alla conferenza Stato-regioni, per affrontare le criticità di cui in premessa e, in particolare, promuovere un efficace processo di riforma delle istituzioni pubbliche di assistenza e beneficenza. (3-01969)


   TIDEI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la crisi finanziaria scoppiata sul finire del 2007 ha avuto effetti devastanti sull'economia e sull'occupazione. In Italia sono stati registrati una caduta del prodotto che ha rarissimi precedenti e un aumento della disoccupazione, specie giovanile, che ha raggiunto livelli insostenibili. In questa particolare congiuntura storica l'economia e l'occupazione, seppur ancora lentamente, mostrano segnali di ripresa;
   tra i principali prerequisiti per consolidare la ripresa economica figura la stabilità del settore finanziario. Sia in Europa che in Italia il settore bancario gioca un ruolo fondamentale nel finanziamento dell'economia reale, essendo il principale veicolo di finanziamento degli investimenti infrastrutturali e delle piccole e medie imprese;
   per fronteggiare la crisi del settore creditizio, sia a livello europeo che a livello nazionale, sono state adottate importanti riforme. Certamente le riforme introdotte a livello di Unione europea, relative alla vigilanza unica, al meccanismo di risoluzione delle crisi e, quella in itinere, sulla garanzia dei depositi, rappresentano un segnale importante sia sotto il profilo della vigilanza, con riferimento alle banche significative la vigilanza è demandata direttamente alla BCE, sia per il consolidamento patrimoniale delle banche, fattore necessario a comprimere la propensione al rischio (moral hazard) degli istituti. Non da ultimo le riforme del settore bancario ingenerano effetti di non secondaria importanza sulla fiducia delle imprese e dei risparmiatori. In Italia il processo riformatore ha riguardato le più significative tra le banche popolari. L'approvazione della legge 24 marzo 2015, n. 33, di conversione del decreto-legge n. 3 del 2015 è intervenuta sulle banche popolari al fine di migliorare i livelli di trasparenza, di gestione e di offerta del credito;
   l'esigenza assicurare al risparmio una particolare protezione trova pieno riconoscimento nell'articolo 47 della Costituzione. La tutela del risparmio riveste, pertanto, particolare importanza in quanto, unitamente all'esercizio del credito, costituisce uno dei fattori fondamentali a garanzia dell'equilibrio economico;
   la tutela del risparmio, inoltre, costituisce un elemento di non poco conto per il consolidamento ed il rafforzamento della fiducia dei risparmiatori nel settore bancario, con evidenti vantaggi che ciò reca sullo sviluppo delle attività economiche e produttive del Paese;
   il fallimento di quattro istituti di credito di rilevanza territoriale ha indotto il Governo ad intervenire, nel rispetto della normativa europea sul salvataggio interno delle banche (cosiddetto Bail in), seguendo una procedura compatibile con quella europea sugli aiuti di Stato. Nella sostanza l'intervento del Governo prevede l'istituzione di un Fondo con una dotazione pari a 100 milioni di euro e le procedure da esperire, che possono essere in tutto o in parte anche di natura arbitrale, da definirsi con decreto ministeriale, finalizzato a consentire ai risparmiatori inconsapevoli dei profili di rischio degli strumenti finanziari subordinati emessi dalla Banca delle Marche Spa, dalla Banca popolare dell'Etruria e del Lazio – Società cooperativa, dalla Cassa di risparmio di Ferrara Spa e dalla Cassa di risparmio della provincia di Chieti Spa di recuperare per intero, o parzialmente, il capitale investito;
   nonostante la solidità del sistema del credito italiano sia stata appurata dalle istituzioni di vigilanza, nazionali e europee, non è escluso che in futuro casi simili a quelli suesposti non possano riaccadere. La fiducia dei risparmiatori è strettamente connessa con i   buon funzionamento del mercati finanziari e la stabilità del sistema bancario, pertanto, è necessario agire affinché il rischio di un crollo della fiducia sia reso, se non impossibile, quanto meno fortemente limitato;
   negli Stati Uniti, il Congresso per fronteggiare la gravissima crisi finanziaria scaturita, principalmente, da un sistema finanziario privo di una supervisione adeguata, efficace ed efficiente, ha approvato una riforma ambiziosa del settore finanziario. Nel 2010 il Governo ha firmato una legge, nota come « Dodd-Frank Wall Street Reform and Consumer Protection Act». Con tale provvedimento è stata creata un'apposita istituzione pubblica, il Consumer Financial Protection Bureau, che ha il compito precipuo di garantire il rispetto delle leggi in materia di tutela del credito e dei risparmiatori, costituendo la prima istituzione preposta alla tutela del risparmiatore, finalizzata a disciplinare e regolamentare l'accesso ai mercati e prodotti finanziari, nonché a vietare l'esercizio di atti e pratiche sleali, ingannevoli, o abusive in relazione a prodotti e servizi finanziari ai consumatori;
   prima della nascita del Consumer Financial Protection Bureau negli Stati Uniti esistevano sette istituzioni responsabili a vario titolo della protezione finanziaria del risparmiatori. Nessuna di esse disponeva di poteri e strumenti specifici e idonei a regolamentare il settore in modo trasparente e rigoroso;
   con l'istituzione del Consumer Financial Protection Bureau gli Stati Uniti si sono dotati di un'autorità pubblica di regolazione esclusivamente concentrata alla tutela del risparmiatore;
   nel nostro ordinamento le due istituzioni che assumono poteri di vigilanza e controllo sono riconosciute nella Banca d'Italia e nella Consob. Mentre la prima ha compiti legati fondamentalmente ad assicurare la stabilità monetaria e la stabilità finanziaria, la seconda, pur avendo competenze in materia di vigilanza sulla trasparenza e la correttezza dei comportamenti dei soggetti che operano sui mercati finanziari e in materia di regolamentazione e controllo, non ha poteri concentrati esclusivamente sulla protezione finanziaria dei risparmiatori;
   l'istituzione di un'autorità pubblica avente come unico obiettivo la salvaguardia finanziaria dei risparmiatori può assommare un, duplice vantaggio. Invero, il conferimento di un singolo obiettivo comporta una maggiore efficacia ed incisività nella tutela del risparmio e rende immediatamente riconoscibile l'individuazione di responsabilità –:
   se il Governo non intenda, con propria iniziativa normativa proporre l'istituzione di un'autorità pubblica con specifici poteri e competenze ed avente il chiaro obiettivo di garantire la protezione finanziaria dei risparmiatori, sul modello statunitense. (3-01970)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   TRIPIEDI, ALBERTI, VILLAROSA, PESCO, COMINARDI, CIPRINI, CHIMIENTI, LOMBARDI, DALL'OSSO, BUSTO e DE ROSA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 25 gennaio 2016, sul sito « ansa.it», veniva pubblicata una notizia riguardante lo split payment, ossia la scissione del pagamento dell'iva che vede la pubblica amministrazione trattenere l'iva sulle fatture per beni e servizi ricevuti dalle imprese e versate direttamente all'erario;
   lo split payment, introdotto dalla legge n. 190 del 23 dicembre 2014, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre 2014, cosiddetta legge di stabilità 2015, prevede che l'IVA relativa alle cessioni di beni e alle prestazioni di servizi fatturate dal 1o gennaio 2015, sia versata direttamente dai cessionari e/o committenti, con modalità differenti a seconda che essi siano o meno soggetti passivi di IVA. Nello specifico, si tratta di cessioni di beni e prestazioni di servizi effettuate nei confronti dello Stato, degli organi dello Stato ancorché dotati di personalità giuridica, degli enti pubblici territoriali, dei consorzi costituiti tra enti pubblici, delle Camere di commercio, degli istituti universitari, delle ASL, degli enti ospedalieri, degli enti pubblici di ricovero e cura aventi prevalente carattere scientifico e degli enti pubblici di assistenza e beneficenza e di quelli di previdenza;
   lo split payment è stato inserito nei sistemi di pagamento della pubblica amministrazione, con l'intento di contrastare l'evasione fiscale, ovvero di evitare che, una volta incassata l'iva dal committente pubblico, l'azienda fornitrice non la vada a versare all'erario;
   il meccanismo risulta essere sicuramente efficace nell'impedire che l'imprenditore disonesto incassi l'iva dalla pubblica amministrazione e poi non la versi all'erario. Tuttavia, provoca seri problemi finanziari a tutti gli imprenditori che non risultano essere evasori fiscali e che statisticamente rappresentano la quasi totalità degli stessi. La stessa amministrazione finanziaria, consapevole di questo problema, ha introdotto delle misure per accelerare il rimborso dell'iva a credito, come ad esempio la restituzione prioritaria dell'Iva a credito entro tre mesi dalla richiesta. Tuttavia, se si considera che è necessario presentare una istanza infrannuale di un periodo di tre mensilità, i tempi necessari per il rimborso potrebbero arrivare a 6 mesi;
   a seguito dell'introduzione dello split payment, secondo la CGIA di Mestre, da gennaio a novembre 2015, circa 2 milioni di imprese italiane che hanno lavorato per la pubblica amministrazione si sono ritrovate nella situazione di dover anticipare alle casse dello Stato, in maniera forzata, 5,8 miliardi di euro di iva;
   il coordinatore dell'ufficio studi della CGIA, Paolo Zabeo, ha dichiarato che la situazione che si è andata a creare con lo split payment è diventata insostenibile per gli imprenditori che lavorano per la pubblica amministrazione. Lo stesso Zabeo ha affermato che la pubblica amministrazione non solo paga con un ritardo che non ha eguali nel resto d'Europa, ma dal 2015 ha anche iniziato a saldare le fatture senza pagare l'iva al proprio fornitore. Questo perché da gennaio del 2015, l'imposta viene versata dall'ente pubblico direttamente all'erario. Così facendo, le imprese che lavorano per la pubblica amministrazione, oltre a subire tempi di pagamento irragionevolmente lunghi, scontano anche il mancato incasso dell'iva che ha peggiorato la grave situazione di liquidità in cui versano da anni moltissime aziende, soprattutto quelle di piccole dimensioni;
   anche le banche, oltre allo split payment, rappresentano un aggiuntivo problema per le imprese per via dei sempre più esigui prestiti alle imprese diminuiti di 4 miliardi di euro nell'ultimo anno, sebbene la domanda di credito di queste ultime aumentata del 3 per cento e nonostante l'introduzione da parte della Banca centrale europea del Quantitative easing;
   Renato Mason, segretario della CGIA, afferma che è dall'inizio della crisi del 2008 che le piccole imprese continuano a denunciare la mancanza di credito e che il buon funzionamento del rapporto banche/imprese diventa centrale per riagganciare la ripresa economica. Per soddisfare gli ordini e la domanda, le imprese devono pagare le forniture, acquistare le materie prime e i servizi, pagare le utenze, onorare gli impegni economici assunti con i propri dipendenti, versare le tasse e i contributi. Ma se le imprese non dispongono delle risorse finanziarie sufficienti, molte iniziative imprenditoriali rischiano di chiudere. Sebbene nell'ultimo anno ci sia stata un'inversione di tendenza, dall'inizio della crisi ad oggi sono quasi 90.000 le imprese italiane che hanno fallito e una buona parte di queste a causa della poca liquidità a disposizione;
   a giudizio degli interroganti, non solo il Governo non ha, ad oggi, presentato nessun serio piano industriale atto a rilanciare l'impresa italiana e l'economia, ma continua ad applicare pressioni fiscali insostenibili alle stesse. Lo stesso split payment sopraindicato, introdotto dallo stesso Governo a partire dall'inizio del 2015, rappresenta un incomprensibile ulteriore ostacolo alla ripresa di un settore che rappresenta circa il 95 per cento del totale delle imprese italiane, ossia quello delle piccole e medie imprese –:
   se il Governo, visto il perdurare della crisi che attanaglia le piccole e medie imprese italiane che porta le stesse ad una quasi totale assenza di liquidità, ancor più quelle che hanno rapporti commerciali diretti con le pubbliche amministrazioni per i fatti indicati in premessa, non ritenga opportuno assumere iniziative per abolire lo split payment introdotto con la legge n. 190 del 23 dicembre 2014, pubblicata in Gazzetta Ufficiale il 29 dicembre 2014. (5-07566)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GUIDESI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto si è appreso dalla stampa nazionale, la nuova frontiera del jihad è quella che attraversa la dorsale «verde» balcanica, con la Bosnia ed il Kosovo come principali bacini di reclutamento e smistamento verso i teatri operativi;
   i jihadisti balcanici sarebbero riusciti ad impiantare anche nel territorio del nostro Paese una rete di punti di incontro in grado di fungere da centri di reclutamento, in larga parte, se non addirittura tutti, identificati dall’intelligence nazionale;
   i piccoli centri abitati risulterebbero prediletti nello stabilimento, degli insediamenti, in un'area compresa tra Treviso e Siena, che abbraccia quindi buona parte del centro-nord;
   in provincia di Cremona ne sarebbe stato individuato uno di particolare importanza, a Motta Baluffi, piccolo comune di soli 968 abitanti;
   a Motta Baluffi, tra le altre cose venne segnalata nel 2011 la presenza dell’Imam bosniaco radicale Bilal Bosnic, predicatore itinerante del jihad, attualmente in carcere nel suo Paese, in quanto colpevole di aver reclutato Foreign Fighters da avviare verso Siria ed Iraq;
   nella stessa località, si trova anche un casolare, acquistato nel 2008 dal bosniaco Berisa Zanelj per ospitarvi la sua onlus «Associazione Kosovara», che è risultata essere frequentata anche da Resim Kastrati, un 22enne espulso per aver inneggiato agli autori della strage perpetrata contro la redazione del periodico satirico francese Charlie Hebdo e poi avvistato in Germania in compagnia di un pakistano già arrestato dai Ros;
   numerosi indizi confermerebbero la circostanza che i kosovari di inclinazioni radicali o jihadiste avrebbero scelto la zona di Cremona come punto di ritrovo, specialmente per raduni nel fine settimana, che la Digos monitorerebbe con grande attenzione;
   un asse collegherebbe inoltre i centri bosniaco-kosovari cremonesi a Brescia –:
   se corrispondano al vero le informazioni divulgate dalla stampa di cui in premessa;
   quali iniziative il Governo conti di mettere in campo a livello internazionale per contrastare più efficacemente il jihadismo balcanico che risulta in pieno sviluppo nelle aree tra Bosnia e Kosovo;
   quali iniziative specifiche si ritenga di dover assumere per ridurre la minaccia specificamente rappresentata da questo gruppo di immigrati a particolare rischio;
   se il Governo non reputi opportuno, alla luce delle circostanze generalizzate nelle premesse, rafforzare i presidi delle forze dell'ordine nelle zone dove il concentramento dei bosniaci e dei kosovari appare più evidente, a partire dalla provincia di Cremona. (4-11835)


   COSTANTINO, SCOTTO, PANNARALE, GIANCARLO GIORDANO, CARLO GALLI, FRATOIANNI, DURANTI, RICCIATTI, AIRAUDO, GREGORI, KRONBICHLER, PALAZZOTTO, NICCHI, MELILLA e FRANCO BORDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da una folta rassegna stampa, nazionale e internazionale, che in occasione della visita del presidente iraniano Hassam Rouhani, giunto in questi giorni in Italia per incontrare il Presidente del Consiglio Matteo Renzi, alcune statue dei musei Capitolini siano state coperte da pannelli bianchi in segno di rispetto per la sensibilità e la cultura  iraniana;
   la decisione sembrerebbe essere stata presa autonomamente dalla direzione dei Musei Capitolini;
   da alcune dichiarazioni a mezzo stampa il presidente iraniano avrebbe negato di avere espresso questa necessità affermando che «Non ci sono stati contatti a questo proposito» (http://www.ilfattoquotidiano.it);
   le statue celate in questione sarebbero la Venere Esquilina, il Dioniso degli Horti Lamiani e un paio di gruppi monumentali, uno raffigurante un leone che azzanna un cavallo e uno delle fanciulle;
   si tratta di opere dal valore culturale incommensurabile, fonte di orgoglio per l'offerta culturale romana e italiana nel mondo, e non si comprende perché volerle nascondere, tanto più che una personalità politica internazionale poteva essere accolta in altri luoghi idonei, scelti dagli ospiti in accordo visitatore stesso fra quelli che non offendessero la sua moralità –:
   avendo il Governo di fatto dichiarato che si è trattato di una decisione sbagliata, quali iniziative intendano assumere per chiarire i fatti e individuare ed eventualmente sanzionare le responsabilità di questa vicenda, che, ad avviso degli interroganti, ha coperto di ridicolo l'Italia agli occhi dell'opinione pubblica internazionale. (4-11836)


   RIGONI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il territorio della provincia di Massa-Carrara attraversa ormai da alcuni anni una crisi industriale e occupazionale al limite della irreversibilità, dato testimoniato da tanti indicatori economici ed, in particolare, da quelli della dinamica occupazionale territoriale;
   secondo dati Istat relativi al 2014, nel territorio apuano sono presenti più di 14.630 disoccupati con un valore percentuale del 16,36, in aumento di 4,3 punti percentuali rispetto al 2013 e superiore sia al dato medio della Toscana (+10,1 per cento), sia a quello medio dell'Italia (12,7 per cento);
   l'andamento degli occupati nella provincia apuana, che ammonta al 31 dicembre 2014, a 74.741 soggetti, risulta in calo di 3.109 unità rispetto al 2013, con un valore che purtroppo risulta il più basso dal 2006;
   gli occupati infatti dimostrano una diminuzione in termini percentuali del 4 per cento rispetto al 2013, a fronte di una sostanziale stabilità della media della regione Toscana e di un lieve incremento di quella nazionale (+0,4 per cento). Infine, il tasso di attività è pari al 69,9 per cento contro il 71,2 per cento della media Toscana, dati questi che fanno dell'intera provincia di Massa-Carrara un sistema locale di lavoro ad alta emergenza occupazionale. Dati drammatici che, se non considerati nel loro reale impatto e ricondotti, in breve tempo, a livelli fisiologici, comporteranno un'inarrestabile ed irreversibile degenerazione del tessuto sociale, con conseguenze facilmente immaginabili;
   già nel dicembre 2010 la regione Toscana aveva avviato la procedura per lo stato di crisi, ottenendo il riconoscimento dal Ministero dello sviluppo economico nell'aprile 2011: il riconoscimento di area di crisi complessa ed il relativo accordo di programma che prevede la realizzazione di numerosi interventi strategici di riqualificazione e di riconversione dell'area industriale di Massa Carrara, hanno individuato azioni e strumenti per il superamento dello stato di crisi di questo territorio;
   il 30 maggio 2015 è stato firmato dal Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio dei ministri De Vincenti, dal presidente regione Toscana, dal presidente della provincia e dai sindaci dei comuni di Massa e di Carrara, un protocollo d'intesa per la conferma dell'area di crisi complessa a cui però non è stato dato seguito;
   a tutt'oggi, c’è la mancata conferma dell'area di crisi complessa, a causa della revisione dei parametri normativi necessari dal 2013, nonostante la delibera della giunta regionale della Toscana DGRT 135/2014 del 24 febbraio 2014 nella quale si chiedeva la conferma del riconoscimento di area di crisi complessa dei comuni di Massa e di Carrara e la successiva lettera di sollecito di avvio delle procedure del suddetto riconoscimento inviata dal presidente della regione Toscana Enrico Rossi al Ministro dello sviluppo economico il 13 giugno 2014;
   la conseguente mancata firma dell'accordo di programma e i verbali di incontro tecnico successivo al Mise con la regione Toscana, i comuni interessati e la provincia di Massa Carrara, del 30 luglio 2015 e del 27 ottobre 2015, rilevano come il processo di riqualificazione e reindustrializzazione si sia fermato e che sia necessaria, da parte del Governo, una differente sensibilità verso questo territorio che, pur di dimensioni ridotte e di localizzazione periferica, non merita certo tale trattamento alla luce delle specificità socioeconomiche negative che detiene, esposte in premessa e uniche in tutta la Toscana e che necessiterebbero di ben altra attenzione –:
   quale sia l'orientamento del Governo sui fatti esposti in premessa e quale iniziative intenda adottare per la conferma del riconoscimento dell'area di crisi industriale complessa con impatto significativo sulla politica industriale nazionale e del relativo accordo di programma per la provincia di Massa Carrara, accelerando la realizzazione degli interventi previsti nel protocollo d'intesa, per i quali è previsto anche il contributo finanziario locale.
(4-11837)


   NUTI, BONAFEDE, BUSINAROLO, COLLETTI, D'UVA, FERRARESI e SARTI. —Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   il 26 maggio 2015 dopo una latitanza durata 31 anni è stato arrestato dalla Squadra mobile di Napoli a Recife in Brasile Pasquale Scotti, storico capo della Nuova Camorra Organizzata cutoliana;
   il 25 dicembre 1984 Pasquale Scotti, all'epoca 27enne, evade misteriosamente dall'ospedale civile di Caserta dov'era detenuto e in custodia ai carabinieri;
   Scotti oltre ad essere legato al rapimento e al rilascio dell'assessore regionale Ciro Cirillo compare anche e soprattutto nelle oscure vicende del suicidio-omicidio di Roberto Calvi, l'ex direttore del Banco Ambrosiano avvenuto il 18 giugno del 1982 sotto il ponte dei Frati Neri sul Tamigi;
   in alcuni rapporti della Direzione investigativa antimafia si parla del reclutamento di camorristi nel servizio militare negli anni Ottanta. Killer di Stato, faccendieri con un piede nei palazzi del potere e l'altro nei covi della malavita come documentato a pagina 78 nel libro «Il Camorrista fantasma – Iupper Edizioni» e da alcune inchieste giornalistiche: infatti, Pasquale Scotti ha incontrato più volte esponenti dei servizi segreti con cui intratteneva rapporti diretti ed indiretti (http://www.lavocedellevoci.it), come altri due boss della Camorra a lui vicini, Vincenzo Casillo e Corrado Iacolare»;
   non sorprende, infatti, che recentemente il magistrato Carlo Alemi, all'epoca dei fatti giudice istruttore dell'inchiesta sul rapimento di Cirillo, abbia detto: «Spero che Scotti arrivi vivo in Italia». Impressiona, comunque, sapere dal diretto interessato che non teme la possibile vendetta di vecchi capi camorra ma l'azione ritorsiva di qualche scheggia dei servizi imbeccati da apparati para politici (http://www.ilfattoquotidiano.it);
   di recente Carlo Calvi, il figlio del banchiere Roberto Calvi, il 17 dicembre 2015, nel corso di una intervista a lettera43 (http://www.lettera43.it) parlando di Scotti ha detto tra l'altro: «Il suo arresto è rilevante. Si tratta di una persona che riporta a frequentazioni e numerosi riferimenti ben precisi di mio padre con l'onorevole Dc Flaminio Piccoli e il ruolo di Francesco Pazienza che è inscindibile dalla frequentazione con la camorra»;
   il nome di Pasquale Scotti faceva parte dell'elenco dei dieci super-ricercati inseriti nella lista delle «primule rosse» stilato dal ministero dell'Interno e misteriosamente sfuggito a numerosi blitz;
   Scotti deve scontare in via definitiva tre ergastoli per omicidio, occultamento di cadavere, estorsione e altri reati associativi in quanto prima killer e poi braccio destro del capo camorra Raffaele Cutolo;
   il 21 ottobre 2015, il Supremo tribunal federal brasiliano, ha deciso a seguito dell'arresto, di estradarlo in Italia;
   i giudici brasiliani hanno stabilito che non c’è persecuzione politica e quindi Francisco De Castro Visconti, la falsa identità di Scotti a Recife, dovrà far ritorno in Italia e scontare gli anni di carcere –:
   se siano a conoscenza di quanto in premessa;
   se intendano immediatamente fare chiarezza, per quanto di competenza ed autonomamente, rispetto al pericolo che Pasquale Scotti possa – secondo la legislazione brasiliana – essere scarcerato in quanto a distanza di tre mesi il Governo italiano non ha ancora inviato la documentazione per completare l’iter dell'estradizione;
   se intendano spiegare i motivi e le difficoltà che hanno tardato la trasmissione della documentazione che dovrà completare l’iter per approdare alla firma del presidente del Brasile come prevede la costituzione del Paese ospitante;
   come intendano intervenire concretamente al fine di assicurare un'adeguata protezione del detenuto Pasquale Scotti una volta giunto in Italia, visto che l'ex latitante ha più volte manifestato forte preoccupazione per la sua incolumità.
(4-11839)


   FRACCARO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il Consiglio nazionale delle ricerche (CNR) è il più grande ente pubblico nazionale di ricerca con competenza scientifica generale, vigilato dal Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca;
   l'Istituto per la valorizzazione del legno e delle specie arboree (IVALSA) è istituto di ricerca del CNR, le cui attività spaziano dall'edilizia in legno, processi industriali del legno e tecnologia del legno, alla gestione sostenibile dell'ecosistema terreste, tutela e valorizzazione della biodiversità forestale e del patrimonio agro-forestale, caratterizzazione, selezione e propagazione delle specie arboree, sfruttamento sostenibile e meccanizzazione della raccolta della biomassa;
   l'IVALSA nasce nel settembre del 2002 dalla fusione di tre precedenti istituti: l'Istituto sulla propagazione delle specie legnose, l'Istituto per la ricerca sul legno e l'Istituto per la tecnologia del legno, ed è stato diretto dalla sua nascita e fino al 15 settembre 2013, dall'ingegnere Ario Ceccotti, professore associato di tecnica delle costruzioni dell'Istituto universitario di Architettura dell'università di Venezia;
   da notizie apprese dalla stampa, riportate su « Il Foglietto della Ricerca» del 19 novembre 2015, si è appreso che alcune verifiche interne all'IVALSA-CNR avrebbero rivelato l'accensione ad opera del professor Ceccotti di un conto corrente n. 001247727, presso la Cassa Rurale Centrofiemme — Banca di Credito Cooperativo di Cavalese (Trento), acceso almeno sin dal 2005 a nome dell'IVALSA-CNR, dove lo stesso Ceccotti avrebbe posto in essere operazioni al di fuori del conto unico di tesoreria dell'ente CNR, acceso presso la Banca nazionale del lavoro. Di tali fatti, che risulta incomprensibile possano essere stati svolti all'insaputa dello stesso management centrale del Cnr e in violazione dell'articolo 20 della legge n. 3 del 16 gennaio 2003, sarebbe stata prontamente portata a conoscenza la direzione generale e la presidenza del CNR;
   sui fatti sopra esposti, a quanto consta all'interrogante, il sindacato Usi-Ricerca avrebbe inutilmente chiesto un incontro informativo, tanto al presidente del CNR, Luigi Nicolais, quanto al collegio dei revisori dei conti dell'Ente di ricerca sin dall'anno 2014;
   risulta anche che la discutibile gestione amministrativa dell'IVALSA-CNR del professor Ceccotti sarebbe stata segnalata dal sindacato Usi-Ricerca anche alla procura regionale della Corte dei conti di Trento sin dal mese di novembre 2013 e che la stessa procura contabile regionale, nella persona del vice procuratore generale dottor Carlo Mancinelli, avrebbe ascoltato sui fatti, in data 11 febbraio 2014, il signor Ivan Duca, componente della segreteria nazionale del sindacato Usi-Ricerca;
   da ultimo, in data 2 e 16 dicembre 2015, anche il collegio dei revisori dei conti del CNR avrebbe chiesto contezza alla direzione generale del CNR dell'esistenza o meno di un conto corrente bancario intestato all'IVALSA-CNR presso Istituto di credito diverso dall'Istituto cassiere. Il collegio dei revisori dei conti avrebbe sottolineato la particolare gravità, qualora confermata, di una conduzione contabile amministrativa dell'IVALSA-CNR al di fuori di ogni regola di legittimità e legalità che deve governare l'operato di pubblici dirigenti e funzionari;
   l'IVALSA-CNR ha sempre attratto numerosi fondi privati e pubblici per la conduzione della sua attività e progetti di ricerca. In particolare, nel corso della direzione affidata all'ingegner Ceccotti svariati sono stati i progetti di ricerca condotti con il supporto della finanza pubblica tra cui, solo per citarne uno, il progetto SOFIE (Sistema costruttivo fiemme), condotto dall'IVALSA con il sostegno della provincia autonoma di Trento allo scopo di definire prestazioni e potenzialità di un sistema per la costruzione di edifici a più piani, realizzato con struttura portante di legno trentino di qualità certificata;
   la natura di ente pubblico dell'IVALSA-CNR ed il prestigio e credito che ne deriva contribuiscono alla sua capacità di attrarre investimenti in ricerca da parte anche di altri enti della pubblica amministrazione, e ciò rafforza il rigore dovuto nel rispetto delle regole di contabilità, finanza, efficienza e trasparenza delle sue attività –:
   se il Governo sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa e se le modalità con cui il Cnr provvede alla selezione dei dirigenti delle sue strutture di ricerca, rispondano a criteri di imparzialità e correttezza;
   quali eventuali iniziative di competenza il Governo intenda adottare per evitare un eventuale sperpero delle già limitate risorse a disposizione per il funzionamento del Cnr e degli altri enti pubblici che allo stesso Cnr affidano le proprie risorse economiche. (4-11844)


   SPADONI, DI VITA, SCAGLIUSI, SIBILIA e DI BATTISTA. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   il 1o agosto 2014 è entrata in vigore la Convenzione del Consiglio d'Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, o Convenzione di Istanbul;
   la Convenzione, adottata a Istanbul nel 2011, costituisce il primo strumento internazionale vincolante sul piano giuridico per prevenire e contrastare la violenza contro le donne e la violenza domestica;
   è stata ratificata da 19 Paesi, compresa – nel giugno 2013 – l'Italia;
   il testo della Convenzione si fonda su tre pilastri: prevenzione, protezione e punizione;
   la Convenzione ha l'obiettivo di: proteggere le donne da ogni forma di violenza e prevenire, perseguire ed eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; contribuire ad eliminare ogni forma di discriminazione contro le donne e promuovere la concreta parità tra i sessi, ivi compreso rafforzando l'autonomia e l'autodeterminazione delle donne; predisporre un quadro globale, politiche e misure di protezione e di assistenza a favore di tutte le vittime di violenza contro le donne e di violenza domestica; promuovere la cooperazione internazionale al fine di eliminare la violenza contro le donne e la violenza domestica; sostenere e assistere le organizzazioni e autorità incaricate dell'applicazione della legge in modo che possano collaborare efficacemente, al fine di adottare un approccio integrato per l'eliminazione della violenza contro le donne e la violenza domestica;
   la violenza di genere costituisce una violazione dei diritti umani e una forma di discriminazione contro le donne e comprende tutti gli atti di violenza fondati sul genere che provocano o sono suscettibili di provocare danni o sofferenze di natura fisica, sessuale, psicologica o economica, comprese le minacce di compiere tali atti, la coercizione o la privazione arbitraria della libertà, sia nella vita pubblica, che nella vita privata;
   gli Stati che hanno firmato e ratificato la Convenzione dovranno adottare le misure legislative e di altro tipo necessarie per promuovere e tutelare il diritto di tutti gli individui, e specialmente delle donne, di vivere liberi dalla violenza, sia nella vita pubblica che privata;
   ai sensi dell'articolo 4, comma 2, «le Parti condannano ogni forma di discriminazione nei confronti delle donne e adottano senza indugio le misure legislative e di altro tipo necessarie per prevenirla, in particolare: inserendo nelle loro costituzioni nazionali o in qualsiasi altra disposizione legislativa appropriata il principio della parità tra i sessi e garantendo l'effettiva applicazione di tale principio; vietando la discriminazione nei confronti delle donne, ivi compreso procedendo, se del caso, all'applicazione di sanzioni; abrogando le leggi e le pratiche che discriminano le donne»;
   il decreto-legge 14 agosto 2013, n. 93, recante «Disposizione urgenti in materia di sicurezza e per il contrasto della violenza di genere, nonché in tema di protezione civile e di commissariamento delle province», convertito in legge, con modificazioni, dall'articolo 1, comma 1, della legge 15 ottobre, n. 119, all'articolo 5 prevede in capo al Ministro delegato per le pari opportunità l'elaborazione e l'adozione di un Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere;
   il suddetto Piano d'azione straordinario è stato adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 e registrato dalla Corte dei conti il 25 agosto 2015;
   gli obiettivi del Piano d'azione sono: prevenire il fenomeno della violenza contro le donne; promuovere l'educazione alle relazioni non discriminatorie nei confronti delle donne; potenziare le forme di sostegno e assistenza alle donne e a loro figli; garantire adeguata formazione per tutte le professionalità che entrano in contatto con la violenza di genere e lo stalking; prevedere una adeguata raccolta dati e un sistema strutturato di governance tra tutti i livelli di Governo;
   ai sensi dell'articolo 2, comma 1, del decreto legislativo 11 aprile 2006, n. 198, spetta al Presidente del Consiglio dei ministri promuovere e coordinare le azioni di Governo volte, tra l'altro, ad assicurare pari opportunità;
   nel dicembre 2014, durante la riunione a Parigi della Commissione Uguaglianza e non discriminazione dell'Assemblea parlamentare del Consiglio d'Europa, la prima firmataria del presente atto, è stata nominata rapporteur sulla mozione Systematic collection of data on violence against women proprio sul tema della raccolta dati per dare una concreta attuazione alla Convenzione di Istanbul –:
   se allo stato attuale venga fornita e/o rafforzata, e secondo quali modalità, la formazione delle figure professionali che si occupano delle vittime o degli autori di tutti gli atti di violenza che rientrano nel campo di applicazione della presente Convenzione in materia di prevenzione e individuazione di tale violenza, uguaglianza tra le donne e gli uomini, bisogni e diritti delle vittime, e su come prevenire la vittimizzazione secondaria;
   quale sia la tempistica dell'istituzione della Banca dati nazionale dedicata al fenomeno della violenza sulle donne basata sul genere prevista dal Piano d'azione straordinario contro la violenza sessuale e di genere (articolo 5 del decreto-legge n. 93 del 14 agosto 2103, convertito dalla legge n. 119 del 2013), adottato con decreto del Presidente del Consiglio dei ministri del 7 luglio 2015 e registrato dalla Corte dei conti il 25 agosto 2015;
   quali siano le modalità di attuazione dell'articolo 11, comma 1, lettera b), della Convenzione in questione, ossia il sostegno alla ricerca su tutte le forme di violenza che rientrano nel campo di applicazione, al fine di studiarne le cause profonde e gli effetti, la frequenza e le percentuali delle condanne, come pure l'efficacia delle misure adottate ai fini dell'applicazione del presente trattato;
   se e secondo quali criteri e modalità siano state e/o verranno realizzate indagini sulla popolazione, a intervalli regolari, allo scopo di determinare la prevalenza e le tendenze di ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione della citata Convenzione;
   quali siano le modalità di attuazione dell'articolo 12 della Convenzione sopracitata, ovvero quali misure siano state e/o verranno adottate per incoraggiare tutti i membri della società, e in particolar modo gli uomini e i ragazzi, a contribuire attivamente alla prevenzione di ogni forma di violenza che rientra nel campo di applicazione del citato trattato;
   quali misure siano state e/o verranno realizzate per promuovere programmi e attività destinati ad aumentare il livello di autonomia e di emancipazione delle donne. (4-11851)

AFFARI ESTERI E COOPERAZIONE INTERNAZIONALE

Interrogazione a risposta orale:


   BENEDETTI, BASILIO, MASSIMILIANO BERNINI, GRANDE, SIMONE VALENTE, DEL GROSSO, BALDASSARRE, CRISTIAN IANNUZZI e BECHIS. — Al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 gennaio 2016 il peschereccio italiano «Mina» veniva sequestrato dalle autorità giudiziarie francesi mentre era impegnato nella pesca al gambero rosso al confine tra Francia e Italia, con la motivazione di aver sconfinato nelle acque territoriali d'oltralpe; le autorità francesi giustificavano il sequestro sulla base dei nuovi confini stabiliti con l'accordo bilaterale tra Italia e Francia il 21 marzo 2015;
   Italia e Francia non avevano mai stabilito confini ufficiali in mare; unico elemento in materia è una nota scritta del 1892 che regolava la pesca. Dalla fine del ventesimo secolo, con l'aumentare degli interessi economici in mare, per turismo, pesca e ambiente, l'Italia fu la prima, nel 2011, a creare una zona economica esclusiva (di seguito ZEE) i cui confini sono stati stabiliti temporaneamente, in attesa di un accordo definitivo con la Francia;
   nel 2012 anche la Francia stabilì una ZEE; a questo punto si ritenne di dover stabilire un accordo per i confini dei due Stati in mare, usando i criteri della Convenzione delle Nazioni Unite sul diritto del mare (UNCLOS) del 1982. La UNCLOS, recependo gli indirizzi derivanti dalla giurisprudenza della Corte e dalla prassi pattizia degli Stati, prevede il principio per cui la delimitazione della piattaforma continentale e della ZEE deve farsi per mezzo di accordo in modo da raggiungere una soluzione equa, senza doversi attenere ad alcun metodo prefissato, ma avendo di mira unicamente il risultato della trattativa;
   durante le negoziazioni, durate sei anni e portate avanti in segreto dai precedenti Governi Prodi, Berlusconi e Monti, l'Italia sembrerebbe aver acconsentito ad uno scambio: la cessione di un'area del Mar Ligure, inclusa la «fossa del cimitero» nota zona di pesca di gamberi rossi, in cambio dell'area del Mar Tirreno inclusa tra le isole Capraia, Elba e Corsica. Contemporaneamente la marineria di Sanremo perde le zone di pesca sulle rotte del pesce spada;
   tale accordo è stato firmato il 21 marzo 2015, senza alcuna comunicazione né da fonti ufficiali dei ministeri italiani, né da fonti di stampa. La firma veniva apposta presso l'Abbaye aux Dames Caen, da Laurent Fabius, Ministro degli affari esteri e sviluppo internazionale e il suo omologo italiano Paolo Gentiloni, accompagnato dalla Ministra della difesa Roberta Pinotti. Durante questa visita sono stati affrontati anche argomenti di attualità internazionale, come i conflitti, le relazioni con la Tunisia, l'Iran, l'Ucraina; sembrerebbe che l'accordo, sebbene considerato già valido dal Governo francese, secondo la controparte italiana debba essere ratificato dal Parlamento italiano e che quindi non sia ancora effettivo e possa essere modificato –:
   se non si intenda fornire ogni utile elemento circa il contenuto di tale accordo e chiarire se sia effettivo oppure no;
   se non si intendano rendere pubbliche le valutazioni per cui è stato ritenuto accettabile, incluse le valutazioni inerenti ai dati delle marinerie italiane che ne verrebbero a guadagnare o a perdere;
   se non si intendano assumere iniziative per rivedere con la controparte francese il contenuto di tale accordo, poiché non ancora ratificato, e quindi ancora modificabile a maggior vantaggio delle marinerie italiane. (3-01968)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   l'ecosistema fluviale del fiume Ticino è a rischio di siccità per la stagione estiva 2016, come riportato dalla relazione tecnica del Parco lombardo, della Valle del Ticino, con conseguenti rischi per sistema economico locale oltre che per l'ambiente;
   al 31 dicembre 2015 le rilevazioni sull'intero ecosistema fluviale presentano una riduzione della portata del fiume Po, alimentato anche dai Ticino, che è ora al 25 per cento della portata media, mentre il lago Maggiore si trova a –20 cm rispetto allo 0 idrometrico di sesto Calende;
   la situazione climatica che si sta verificando, caratterizzata dalla scarsità di pioggia, impone che si assumano da subito dei provvedimenti che consentano di mitigare il rischio siccità sfruttando, sin dal mese di marzo e per tutta la stagione primaverile ed estiva, eventuali fenomeni piovosi con l'accumulo preventivo di acqua nel Lago;
   già nell'estate del 2012, l'ecosistema fluviale del fiume Ticino ha rischiato di venire compromesso da una forte siccità dovuta alla scarsità di pogge, scongiurata grazie all'accumulo preventivo di acqua garantito dal fatto che era stato assunto corno livello di riferimento +1,50 metri sullo zero idrometrico a Sesto Calende, condizione che liberò nel fiume la quantità di acqua in eccesso conservata nel Lago Maggiore, apportando così benefici anche al fiume Po e all'attività agricola ed energetica che ne deriva;
   è datata giugno 2014 la nota dei Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare che invita il Consorzio dei Ticino (l'ente che gestisce il deflusso dell'acqua dai lago Maggiore) ad adoperare la regolazione dei livelli del lago, nella stagione estiva, entro il limite di 1,00 metri rispetto anno zero idrometrico di Sesto Calende;
   l'anno 2015, caratterizzato dalle alte temperature e dalle scarse piogge, aveva fatto rimpiangere il fatto che dopo il 15 marzo si erano «lasciati andare» oltre 104 milioni metri cubi d'acqua, in quanto si era tenuto il lago al livello imposto di 1,00 metri sullo zero idrometrico invece di consentire l'accumulo di più acqua, su presupposti di presunti rischi alluvionali non ancora dimostrati e che non si erano verificati nei 7 anni dai 2007 ai 2013 quando in fase di svaso si era tenuta, come riferimento, la quota tecnicamente più idonea e logica di –1.50 metri sempre sullo zero idrometrico di Sesto Calende;
   la situazione dell'anno scorso, pur drammatica, non si è trasformata in catastrofica sia per l'ambiente che per l'agricoltura, solo perché lo zero termico è rimasto per settimane sopra i 4200 metri provocandolo scioglimento dei ghiacciai, fenomeno globalmente negativo, ma che ha consentito al lago di avere un contributo costante d'acqua evitando di andare alla quota di meno 0,50 metri dallo zero idrometrico, situazione che come è noto non permette più alcun termine di controllo; in sostanza non c’è più acqua per il sistema Ticino e di conseguenza nemmeno per il Po;
   secondo gli studi riportati dai tavoli tecnici costituiti dall'autorità di bacino l'innalzamento del livello estivo del lago a 1,50 metri, non comporta alcun aumento del rischio di allagamenti anche in presenza di fenomeni meteorologici eccezionali –:
   se il Ministro interpellato intenda intervenire per porre rimedio a questa grave crisi idrica.
(2-01245) «Scuvera, Ferrari, Senaldi, Tentori, Sbrollini, Colaninno, Cominelli, Lavagno, Narduolo, Sanga, Ginato, Berlinghieri, Becattini, Bazoli, Cani, Carocci, Crivellari, Impegno, Marantelli, Marchetti, Mariano, Murer, Tinagli, Sgambato, Francesco Sanna, Paola Bragantini, Vico, Brandolin, Braga, Mariani, Gitti».

Interrogazioni a risposta scritta:


   COZZOLINO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   da almeno 4 anni il comune di Fregona (Treviso) sta promuovendo un progetto di parco eolico sulla cima del Monte Pizzoc (Prealpi Trevigiane, Foresta del Cansiglio), col sostegno economico di Enel-Green Power; pur non risultando essere mai stato presentato ufficialmente un progetto né una scheda progettuale, tale proposta è sostenuta dal comune con grande decisione, anche attraverso la pubblicazione di numerosi articoli sulla stampa locale, che informano sull'esecuzione di prove della ventosità e di verifica economica dell'opera;
   un anemometro di verifica, posto in prossimità della cima (ed attualmente ancora in opera) ha verificato (peraltro solo come risultato finale, senza specificare i dati numerici) la mancanza di vento sufficiente a rendere economica l'installazione di grandi macchine eoliche sulla cima stessa, macchine della probabile altezza totale di circa 120-130 metri;
   nonostante i risultati negativi di quasi due anni di funzionamento dell'anemometro, il comune di Fregona ha annunciato, con comunicati stampa, l'intenzione di procedere alla realizzazione di due gruppi di macchine eoliche, ma di dimensioni minori a quelle precedentemente ipotizzate, non molto distanti tra loro, comunque sui crinali del Monte Pizzoc;
   l'area interessata dal progetto di installazione di tali macchine eoliche si trova in una zona di eccezionale interesse faunistico, soprattutto dell'avifauna migratrice, tanto da essere classificata come «Valico», in cui la caccia è totalmente vietata. Inoltre, a poche centinaia di metri dalla cima del Pizzoc, si trova la Riserva naturale integrale «Piaie Longhe Millifret», parte della Foresta regionale del Cansiglio, area sia SIC che ZPS di Rete Natura 2000 –:
   se i Ministri interrogati a conoscenza dei progetti relativi ad impianti eolici sul Monte Pizzoc e se non ritengano opportuno, di concerto con le autorità amministrative locali, adottare adeguate strategie di salvaguardia, protezione e valorizzazione dei territori SIC e ZPS interessati dalla realizzazione degli impianti, i quali rischiano di essere irreversibilmente compromessi sotto il profilo floro-faunistico e paesaggistico. (4-11822)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. — Per sapere – premesso che:
   in un'intervista al Corriere della sera di circa un anno fa, il Ministro annunciava l'arrivo, addirittura entro il mese di maggio 2015, di ben 50 milioni di euro per la bonifica del sito inquinato di Brescia-Caffaro;
   non si ha notizia, ad oggi, di quelle risorse;
   il quotidiano Corriere della sera – cronaca di Brescia, del 26 gennaio 2016, riporta che ad inizio novembre 2015 sono state assegnate alla bonifica del SIN di Caffaro, solo 1,7 milioni di euro, che portano a 13 milioni il budget a disposizione del commissario straordinario per effettuare la bonifica;
   tale cifra è veramente insufficiente in rapporto all'estensione della superficie che l'azienda chimica di via Milano ha inquinato in 80 anni d'attività; si tratta di 263 ettari da bonificare, a cui si aggiungono altri 330 ettari di campi tra Castelmella, Fiero, Capriano del Colle;
   nonostante la considerevole estensione dell'area da bonificare, il Sin della Caffaro ha ricevuto pochissime risorse statali rispetto agli altri 38 siti di interesse nazionale;
   il quotidiano ricorda inoltre l'ipotesi avanzata al Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare dalla Sorin, quale ex azionista di riferimento della Caffaro, circa la realizzazione di un parco al posto dell'azienda chimica dal costo di circa 20 milioni di euro, che avrebbe potuto portare fondi straordinari al territorio ma che, invece, è rimasto incompiuto;
   nella legge di stabilità per il 2016, legge 28 dicembre 2015, n. 208, è stata autorizzata la spesa di 300 milioni di euro per la bonifica della Terra dei Fuochi, in Campania, 10 milioni per la bonifica del Sin Valle del Sacco e di ulteriori 20 milioni di euro da destinare con priorità ai siti di interesse nazionale per i quali è necessario provvedere con urgenza al corretto adempimento di obblighi europei;
   il Sin di Brescia-Caffaro risulta uno dei siti più inquinati del territorio nazionale con 150 tonnellate di pcb, 500 chili di diossina finita sui terreni, 478 chili all'anno di cromo prodotto dalle galvaniche di Valtrompia che dalla falda finiscono ancora nei fossi e altri inquinanti;
   a Brescia si sta ancora aspettando l'arrivo degli ingegneri della Sogesid che avevano promesso di iniziare nell'estate scorsa la messa in sicurezza delle rogge e altre zone marginali; i cittadini sono ormai indignati perché è da 15 anni che attendono un progetto di bonifica e di rigenerazione del sito aziendale;
   per gli inizi di febbraio 2016 il Ministro ha convocato a Roma gli amministratori locali per importanti comunicazioni sul caso Caffaro e tale convocazione ha dato uno spiraglio di speranza alla popolazione –:
   quali iniziative concrete il Ministro intenda adottare per assicurare le necessarie risorse per la messa in sicurezza e la bonifica del Sin bresciano dello stabilimento della ex Caffaro. (4-11832)


   RIZZO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   si apprende da organi di stampa che in data 20 gennaio 2016, durante le operazioni di rifornimento combustibile della portaerei Cavour, ormeggiata nella stazione navale Mar Grande di Taranto si è verificata una limitata fuoriuscita di carburante confinata all'interno delle barriere galleggianti antinquinamento e che è stato avviato l'intervento dei mezzi navali specializzati per la raccolta di idrocarburi a mare e la bonifica dello specchio d'acqua interessato;
   il 22 maggio 2015 l'interrogante ebbe modo di presentare un atto di sindacato ispettivo, n. 4-09297 cui non è mai stata data risposta per un caso analogo nel porto di Taranto e che vide la nave Cavour causare un incidente analogo;
   dal Corriere di Taranto si riporta l'accorata denuncia del giornalista: «Ci pare un film già visto, in cui pensiamo che minimizzare non sia conciliabile con un rapporto corretto e onesto tra la Marina e la città che ne ospita la più grande e importante base navale. Soprattutto se si dovesse nuovamente riscontrare che ciò che si racconta non risponde alla realtà dei fatti. I tarantini hanno il diritto di conoscere cosa accade sul proprio territorio, soprattutto se è in gioco la salubrità dell'aria, della terra e del mare. Senza semplificazioni o silenzi. Vale per la grande industria come per la Marina Militare» –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza delle azioni di polizia ambientale intraprese dalla guardia costiera al fine di appurare le responsabilità dei danni ambientali causati dallo sversamento in mare del 19 maggio 2015;
   se il Ministero della difesa abbia aperto un'inchiesta interna per verificare i motivi derivanti dal mancato funzionamento della sonda di livello che ha causato lo sversamento di gasolio dalla nave Cavour ed eventuali responsabilità riconducibili al personale preposto al controllo della stessa o alla qualità della sonda utilizzata;
   se esistano apposite direttive emanate dallo Stato maggiore della marina tese a prevenire incidenti di tale natura sia in porto sia in navigazione e se esistano appositi piani d'emergenza per il recupero di agenti inquinati sversati in mare;
   se i rifiuti speciali presenti sulle navi militari, che richiedono di essere smaltiti, seguano un protocollo di tracciabilità e, nel caso di Taranto, quali procedure siano messe in atto;
   se intendano chiarire i fatti accaduti a Taranto e le relative procedure messe in atto dallo Stato maggiore della marina.
(4-11834)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PANNARALE. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la Domus mazziniana a Pisa è istituita quale ente morale di diritto pubblico con legge n. 1230 del 14 agosto 1952 ed è in commissariamento del 1997;
   nell'ottobre 2011, nell'ambito delle Celebrazioni del 150 anniversario dell'Unità d'Italia, alla presenza del Capo dello Stato, Giorgio Napolitano, la Domus riapre al pubblico e viene inaugurato un percorso espositivo multimediale di documenti e materiali che intrecciano vita e opere di Mazzini Con la storia dell'Unità d'Italia e il contesto europeo;
   con decreto ministeriale del 30 ottobre 2012 è nominato commissario straordinario il professor Fabio Beltram – direttore della Scuola normale superiore;
   nel 2013 la Domus è chiusa nuovamente per interventi di adeguamento alla normativa sulla sicurezza, e successivamente per l'impossibilità di collocarvi personale;
   in una lettera il 23 dicembre 2015 al commissario Beltram, e alla direzione generale Biblioteche e istituti culturali del Ministero, dall'Associazione nazionale archeologi e sottoscritta da altre organizzazioni di rappresentanza del mondo degli operatori della cultura, avente per oggetto «prossimaria apertura della Domus Mazziniana di Pisa – osservazioni in merito alle modalità di gestione e di impiego del personale, sulla base delle norme costitutive dell'Istituto Domus Mazziniana e di limitazione del personale volontario secondo la normativa ministeriale», vengono precisati alcuni elementi: nel caso di musei, istituzioni o enti di diritto pubblico, quale si configura la Domus Mazziniana, «l'utilizzo di personale volontario attraverso un'associazione di volontariato è disciplinato dal decreto legislativo n. 4 del 1993 (detta legge Ronchey) che prevede la stipula di un'apposita convenzione ministeriale in cui siano espressamente indicate, tra le altre, le successive disposizioni:
    Articolo 2: L'Associazione, costituita conformemente al disposto dell'articolo 3, comma 3, della legge quadro deve essere iscritta nel registro generale regionale del Volontariato;
    Articolo 4: Nello svolgimento di tali attività il numero degli operatori volontari non potrà superare, in via ordinaria, quello dei lavoratori dipendenti in servizio. Tale rapporto potrà essere superato solo nel caso di attività straordinarie (mostre, manifestazioni, eventi);
    Articolo 7: L'attività dei volontari non potrà in nessun modo configurarsi come sostitutiva di personale dipendente. Inoltre, la convenzione può essere stipulata «(...) per assicurare l'apertura quotidiana, con orari prolungati, di musei, biblioteche e archivi di Stato (...) sentite le organizzazioni sindacali (...)»;
   la legge istitutiva della Domus Mazziniana di Pisa prevede che il personale dell'Istituto debba essere statale e debba essere costituito da un bibliotecario e da un custode (articolo 10 della legge n. 1230 del 14 agosto del 1952), tuttavia tale disposizione risulta disattesa in quanto non è prevista nessuna pianta organica, né è previsto qualsiasi tipo di dotazione di personale a tempo determinato o indeterminato. Sulla base di quanto risulta alla Associazione nazionale archeologi, il personale volontario dell'Associazione Amici dei Musei e dei Monumenti Pisani dal mese di gennaio si troverebbe ad essere l'unico soggetto operante in tale istituzione. In tal caso l'attività di gestione verrebbe a trovarsi in contrasto con le norme e gli accordi succitati del decreto legislativo n. 4 del 1993 e con le disposizioni normative legate al suddetto atto costitutivo;
   il 16 gennaio 2016 si è svolta la cerimonia ufficiale di riapertura della Domus Mazziniana, alla presenza del direttore della Scuola Normale Fabio Beltram, del sindaco di Pisa Marco Filippeschi e di Piera Orvietani, presidente dell'Associazione degli Amici dei Musei e dei Monumenti i cui volontari dal 7 gennaio garantiscono l'apertura al pubblico, anche senza prenotazioni, nei giorni di martedì, giovedì e sabato dalle ore 10 alle ore 12;
   la vicenda rischia di rappresentare un nuovo passaggio nel sempre crescente utilizzo di «volontari specializzati» nel mondo della cultura, in sostituzione di figure effettivamente professionali. La pur meritoria riapertura delle attività di un luogo straordinario come la Domus mazziniana di Pisa rischia di accentuare le forme sostitutive di volontariato la cui opera dovrebbe essere meramente sussidiaria alle prestazioni lavorative dei professionisti e/o dei professionisti in formazione. Non è pensabile affidare quelle azioni minime e indispensabili da cui dipenda la stessa esistenza e fruibilità di un bene pubblico esclusivamente al nobile gesto del volontario che decida di spendere la propria passione e le proprie competenze –:
   quali iniziative di competenza il Ministro interrogato intenda assumere al fine di garantire il rispetto della legislazione vigente, in particolar modo della legge 14 agosto 1952, n. 1230 i recante «Istituzione, in Pisa, della Domus Mazziniana» e, in generale, della «Legge Ronchey», legge 14 gennaio 1993, n. 4, di conversione in legge, con modificazioni, del decreto-legge 14 novembre 1992, n. 433, recante «misure urgenti per il funzionamento dei musei statali. Disposizioni in materia di biblioteche statali e di archivi di Stato». (5-07553)


   LATRONICO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo «durante il Comitato permanente del turismo, riunitosi nelle scorse settimane ha affermato che per i musei italiani il 2015 è stato un anno record con circa 43 milioni di visitatori nei siti della cultura nazionale;
   l'Italia è caratterizzata dalla presenza di uno dei più ricchi patrimoni artistici dell'umanità: 3.609 musei, quasi 5 mila siti culturali tra monumenti, musei, aree archeologiche, 46.025 beni architettonici vincolati; 49 siti Unesco e 34 mila luoghi di spettacolo; (pari al 5 per cento di quelli iscritti nelle liste del patrimonio mondiale e all'11 per cento di quelli europei), oltre a centinaia di festival e iniziative culturali che animano i territori, il nostro Paese si posiziona in testa alla graduatoria di quelli a vocazione culturale;
   nonostante l'Italia sia in testa alle classifiche mondiali per consistenza del patrimonio artistico-culturale, i finanziamenti stanziati per la cultura sono sempre meno e confrontando i dati con il resto dei Paesi europei, si evince che l'Italia è fanalino di coda;
   l'industria del turismo vale in Italia 159,6 miliardi di euro e rappresenta il 10,3 per cento del prodotto interno lordo nazionale e dà lavoro a circa 3 milioni di persone. Un settore che avrebbe grandi potenzialità di espansione, ma sconta le difficoltà degli operatori e degli enti locali, a fare sistema per recuperare competitività rispetto ad altri Paesi europei;
   in Basilicata con i 17 luoghi della cultura statali nel 2015, gli ingressi sono aumentati del 13 per cento rispetto al 2014 con un totale 256.770 visitatori, ma da una analisi del Centro Studi Turistici Thalia il numero complessivo è minore rispetto a quello dei visitatori di Paestum o a quanti sono i visitatori in soli tre giorni a Pompei;
   è stato recentemente approvato il programma triennale degli interventi del fondo per la tutela del patrimonio culturale, 300 milioni di euro stanziati dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, nell'ambito dei quali per la Basilicata sono stati stanziati 1,462 milioni di euro per 9 progetti: dall'archivio di Stato di Potenza agli affreschi della cattedrale di Matera, dalla sicurezza nei parchi archeologici di Metaponto, Policoro, Grumento e Palazzo Lanfranchi al restauro delle opere conservate nei diversi musei statali della regione;
   le risorse culturali e ambientali sono il vero patrimonio nascosto della Basilicata capace sia di rilanciare l'industria del turismo sia di concorrere alla riscoperta dell'identità collettiva. Per le regioni del Sud il patrimonio culturale ed il paesaggio sono non solo elementi fondanti della propria identità, ma anche potenziali incisivi strumenti di miglioramento della qualità dello sviluppo economico sostenibile e per la creazione di opportunità di lavoro qualificato;
   i territori lucani esprimono la propria forza attraverso la qualità del proprio patrimonio culturale diffuso e dei paesaggi, le cui straordinarie potenzialità sono ampiamente inespresse e la designazione di Matera 2019 deve essere il volano per potenziare l'offerta culturale e renderla più attrattiva agli occhi dell'Europa e nel mondo –:
   quali iniziative il Governo intenda portare avanti, per quanto di competenza, per una più efficace valorizzazione dei beni culturali della Basilicata, e delle sue risorse archeologiche e museali tenendo conto sia delle esigenze effettive che delle segnalazioni dei territori al fine di contribuire al rilancio dell'economia. (5-07560)


   PARENTELA, NESCI, DIENI, SIMONE VALENTE e CHIMIENTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il parco Scolacium, frutto delle ricerche avviate negli anni Sessanta dall'archeologo Ermanno Arslan, si estende per ben 35 ettari e custodisce al suo interno i resti della civiltà magnogreca, romana e bizantina. Con il suo fascino fuori tempo ha fatto innamorare di se artisti di fama mondiale che, negli anni, hanno scelto le vestigia di Scolacium come speciale palcoscenico per i loro spettacoli, non ultimo il maestro Riccardo Muti che, nell'estate 2014, ha diretto l'Orchestra giovanile di fiati di Melicucco e di Laureana di Borrello ai piedi della Basilica normanna;
   il sito archeologico di Roccelletta di Borgia, in provincia di Catanzaro, è rimasto con solo due addetti che dovrebbero garantire controlli e gestione di una vasta area con due musei ed una media di 30 mila visitatori all'anno. La sopravvivenza del parco è a rischio, ma, in realtà, già a partire da dicembre, sottolinea Tito Macrì – tecnico scientifico nel sito archeologico – non si è potuta garantire la visita dell'area in diversi giorni e ben sette sono state già le chiusure pomeridiane che si sono purtroppo rese necessarie solo nel mese di gennaio;
   secondo Macrì «Il ministero sta facendo riforme caotiche. Possono indire anche concorsi per archeologi e studiosi, ma se mancano i custodi, come entrano ?»;
   «la Calabria e i calabresi» – afferma Francesco Fusto sindaco di Borgia (comune nel cui territorio ricade amministrativamente il sito) – «non possono permettersi di perdere un così bello, importante e grande attrattore culturale e turistico», fonte di guadagno per tutto il territorio in cui è situato. «Per quanto ci riguarda» – ha chiosato il sindaco Fusto – «siamo pronti ad agire in ogni modo e sede opportuna affinché ciò non avvenga». «Inoltre» – ha concluso Fusto – «stiamo interessando della cosa il Ministero dei beni culturali ed il Ministro Franceschini in persona, a cui ho rivolto una accorata richiesta d'intervento, e che ho invitato a visitare questo incantevole sito per appurare di persona quale enorme perdita per tutti rappresenterebbe la chiusura del Parco di Scolacium» –:
   quali iniziative di competenza ritenga opportuno adottare al fine di scongiurare la chiusura del parco Scolacium, patrimonio inestimabile da tutelare ad ogni costo;
   se il Ministro interrogato non ritenga opportuno convocare con urgenza un tavolo di confronto con gli enti locali al fine di stabilire le priorità nella gestione di un sito archeologico di importanza strategica per la Calabria provvedendo, altresì, all'adeguamento del personale in sottorganico;
   se, al fine di provvedere ad un'adeguata dotazione di mezzi e persone, non intenda dotare la struttura di registratori che consentano ai privati di effettuare erogazioni liberali così che l'auspicato efficientamento possa essere ripagato dai visitatori senza ulteriore aggravio per le casse dello Stato. (5-07567)

Interrogazione a risposta scritta:


   RABINO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo, al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il direttore regionale per i beni culturali e paesaggistici del Lazio architetto Federica Galloni ha emanato alcuni decreti in particolare il decreto del 17 settembre 2013 con il quale è stato individuato un complesso urbano denominato «Tridente del Centro Storico» nel quale ricadono Via del Corso, Via Ripetta, Via del Babuino, via di S. Giacomo, via della Croce, via dei Condotti, via Tomacelli su Largo San Rocco, via Frattina con Piazza S. Lorenzo in Lucina, Piazza di Spagna e Piazza Mignanelli;
   nel detto decreto è scritto «in applicazione della Direttiva del 10 ottobre 2012»;
   nel decreto viene anche dichiarato che la planimetria catastale e la relazione storico-artistica costituiscono parte integrante del presente decreto che sarà notificato ai destinatari individuati nelle relate di notifica ed al comune di Roma;
   Roma Capitale Municipio Roma I Centro per dare esecuzione al detto decreto ha emanato una serie di determinazioni dirigenziali con le quali ha revocato le concessioni demaniali permanenti di occupazione a mezzo tavoli, sedie, ombrelloni a tutti i locali ricadenti nel suddetto Tridente con invito a rimuovere i suddetti arredi entro il settimo giorno dalla data di notifica del provvedimento; 
   il decreto della Soprintendenza è secondo l'interrogante in aperto contrasto con le disposizioni di legge nonché con le disposizioni che l'allora Ministro Ornaghi per i beni e le attività culturali ha impartito agli uffici in particolare al segretario generale, alle direzioni regionali per i beni culturali e paesaggistici e alle Soprintendenze con la Direttiva del 10 ottobre 2012;
   il Soprintendente ha individuato le aree aventi le caratteristiche di particolare valore storico, artistico e paesaggistico che è invece compito esclusivo delle amministrazioni locali, sentite le Soprintendenze, come disposto dall'articolo 52 del codice dei beni culturali e del paesaggio approvato con decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che pertanto è stato violato;
   il Soprintendente con i detti decreti ha dettato una regolamentazione del commercio che è invece di competenza delle amministrazioni locali prescrivendo per tutte le vie ricadenti nel cosiddetto «Tridente del Centro Storico» «l'esclusione di tutte le forme d'uso del suolo pubblico a fini commerciali con il posizionamento di strutture stabili e/o precarie di varia natura e/o tipologia» affermando che «l'interesse primario inerente alla tutela del patrimonio culturale assume carattere preminente rispetto agli interessi privati»;
   tale divieto assoluto è secondo l'interrogante in aperto contrasto con i «fondamentali principi di ragionevolezza e di proporzionalità» che vanno osservati in sede di apprezzamenti tecnico-discrezionali come stabilito nella direttiva del Ministro;
   il Soprintendente, ad avviso dell'interrogante, non ha rispettato le disposizioni di legge dettate a garanzia dei cittadini destinatari dei suoi provvedimenti; in particolare ha violato l'articolo 14 del decreto legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, che così recita: «Il Soprintendente avvia il procedimento per la dichiarazione dell'interesse culturale (omissis) dandone comunicazione al proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo della cosa che ne forma oggetto»;
   tale norma è stata disattesa in quanto l'avvio del procedimento non risulta all'interrogante essere stato comunicato ai proprietari e/o titolari degli esercizi commerciali né è stata inviata la planimetria catastale e la relazione storico-artistica costituenti parte integrante dei decreti emessi, come dichiarato nei decreti;
   il Municipio Roma I Centro per ottemperare al detto decreto del Soprintendente ha dovuto emanare per tutti i locali ricadenti nel cosiddetto Tridente, nonché per altri interessati da singoli decreti del Soprintendente, una serie di determinazioni dirigenziali di revoca delle concessioni demaniali permanenti di suolo pubblico con invito a rimuovere tavolini, ombrelloni ed arredi vari entro sette giorni dalla notifica dei provvedimenti;
   i suddetti provvedimenti sono causa di danni notevoli per Roma Capitale sia per la perdita delle entrate per le occupazioni di suolo pubblico sia ancor più per gli indennizzi che l'amministrazione sarà chiamata a versare ai titolari degli esercizi in base al combinato disposto di cui all'articolo 52, comma 1-ter, con l'articolo 21-quinquies della legge n. 241 del 1990;
   il decreto del Soprintendente e le determinazioni del Municipio I vanno a colpire più di duemila persone tra titolari degli esercizi e loro famiglie, dipendenti e relative famiglie la maggioranza dei quali perderà il posto di lavoro, in quanto i numerosi locali con limitate superfici interne perderanno la maggior parte della clientela;
   la suesposta situazione ha creato un gravissimo allarme sociale nei destinatari dei detti provvedimenti;
   i suddetti provvedimenti, ove non revocati, saranno causa di gravi disagi anche per i turisti che, grazie anche all'imminente Giubileo, visiteranno le dette strade del centro storico, ma non potranno trovare locali adeguati ove sostare;
   conseguentemente, si accamperanno sulla Scalinata di Trinità dei Monti nonché intorno alla «Barcaccia» dove saranno assaliti dai venditori ambulanti abusivi con la conseguenza che i detti luoghi saranno invasi da bottiglie, lattine e cose varie ivi abbandonate –:
   se i Ministri interrogati siano a conoscenza della denunciata grave situazione e quali iniziative intendano adottare ed in particolare se il Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo intenda adottare iniziative nei confronti del Soprintendente Galloni che, a giudizio dell'interrogante, ha disatteso le disposizioni impartite con la direttiva ministeriale del 10 ottobre 2012. (4-11843)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PAOLO NICOLÒ ROMANO, SPESSOTTO, NICOLA BIANCHI, PETRAROLI e DE LORENZIS. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2004) ha istituito l'addizionale comunale sui diritti di imbarco di passeggeri sugli aeromobili, pari ad un euro per passeggero imbarcato, per compensare, per un importo massimo di 30 milioni di euro annui, ENAV spa dei costi sostenuti per garantire la sicurezza ai propri impianti e per garantire la sicurezza operativa dei servizi regolati in base ai contratti di programma e di servizio di cui all'articolo 9 della legge 21 dicembre 1996, n. 665, Trasformazione in ente di diritto pubblico economico dell'Azienda autonoma di assistenza al volo per il traffico aereo generale, e per la quota eccedente assegnati al Ministero dell'interno per finanziare, nel limite del 60 per cento del totale residuo, misure volte alla prevenzione e al contrasto della criminalità e al potenziamento della sicurezza nelle strutture aeroportuali e nelle principali stazioni ferroviarie e, per il rimanente 40 per cento del totale residuo, a favore dei Comuni del sedime aeroportuale o con lo stesso confinanti secondo medie percentuali;
   dopo un anno tale addizionale comunale sui diritti di imbarco, per effetto dell'articolo 6-quater, del decreto-legge 31 gennaio 2005, n. 7, Disposizioni urgenti per l'università e la ricerca, per i beni e le attività culturali, per il completamento di grandi opere strategiche, per la mobilità dei pubblici dipendenti, e per semplificare gli adempimenti relativi a imposte di bollo e tasse di concessione, nonché altre misure urgenti, e successive modificazioni, è stato incrementato di tre euro al fine del finanziamento, fino al 31 dicembre 2015, del «Fondo Speciale per il sostegno del reddito e dell'occupazione e della riconversione e riqualificazione del personale del settore del trasporto aereo» (FSTA), istituito, ai sensi dell'articolo 1-ter del decreto-legge 5 ottobre 2004, n. 249, convertito, con modificazioni, dalla legge 3 dicembre 2004, n. 291, Interventi urgenti in materia di politiche del lavoro e sociali, presso l'Inps per evitare l'espulsione dal mondo del lavoro dei lavoratori del settore del trasporto aereo oggetto in quegli anni di massicce procedure di cassa integrazione guadagni straordinaria/mobilità/solidarietà. Tale Fondo è stato istituito per favorire la rioccupabilità di questi lavoratori, attraverso il finanziamento di programmi formativi di riconversione o riqualificazione professionale, e per erogare specifiche prestazioni integrative alla cassa integrazione guadagni straordinaria, mobilità e contratti di solidarietà, tali da garantire un trattamento economico complessivamente pari all'80 per, cento della retribuzione riferita agli ultimi 12 mesi di lavoro e per una durata di più 48 mesi di cassa integrazione guadagni straordinaria e più 12 mesi di mobilità per complessivi sette anni. Trattamento che ha ingenerato non poche perplessità nell'opinione pubblica per essere eccessivamente favorevole rispetto a quanto previsto per la generalità dei lavoratori;
   dopo un altro anno, l'articolo 1, comma 1328, della legge 27 dicembre 2006, n. 296, Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 2007), ha aumentato l'addizionale sui diritti d'imbarco sugli aeromobili di ulteriori 50 centesimi di euro a passeggero al fine di ridurre il costo a carico dello Stato dei servizi antincendio negli aeroporti;
   per far fronte all'eccezionale situazione di squilibrio finanziario del comune di Roma, l'articolo 14, comma 14, del decreto-legge 31 maggio 2010, n. 78, Misure urgenti in materia di stabilizzazione finanziaria e di competitività economica ha imposto l'addizionale commissariale sui diritti di imbarco dei passeggeri sugli aeromobili in partenza dagli aeroporti della città di Roma fino ad un massimo di un euro per passeggero;
   due anni dopo, l'articolo 4, comma 75, della legge 28 giugno 2012, n. 92, Disposizioni in materia di riforma del mercato del lavoro in una prospettiva di crescita, ha disposto un ulteriore incremento di due euro dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco da versare all'INPS anche se non risulta chiara l'effettiva destinazione. Inoltre la medesima «legge Fornero», in materia di riforma del mercato del lavoro, ha provveduto all'articolo 2, comma 47, a rendere permanente e non più temporaneo l'incremento di tre euro dell'addizionale comunale sui diritti d'imbarco che, in vista della soppressione del FSTA, dal 1o gennaio 2016 saranno incamerate nella gestione degli interventi assistenziali e di sostegno alle gestioni previdenziali dell'INPS per sostenere in sintesi le casse in perdita e gli «assegni sociali» che gravano sulla fiscalità generale;
   tale destinazione non ha comunque impedito al Governo Letta di prorogare il FSTA di ulteriori tre anni (2016, 2017, 2018), come da articolo 13, commi 21 a 23, del decreto-legge 23 dicembre 2013, n. 145 convertito, con modificazioni, dalla legge 21 febbraio 2014, n. 9, Destinazione Italia, finanziando tale proroga mediante un ulteriore corrispondente incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco che è stato fissato recentemente con decreto del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, di concerto con il Ministro dell'economia e delle finanze, nella misura di euro 2,50 per l'anno 2016, euro 2,42 per l'anno 2017 e euro 2,34 per l'anno 2018 (decreto ministeriale 29 ottobre 2015, Definizione della misura dell'incremento dell'addizionale comunale sui diritti di imbarco da destinare all'INPS);
   non si comprende la ratio di continuare a chiamare addizionale comunale un tributo che per tutta evidenza è un'imposta statale impiegata, come sopra narrato, per le più svariate esigenze. Sommando, infatti, tutti gli aumenti che si sono succeduti nel corso degli anni si è passati da 1,00 euro iniziali agli attuali 10,00 euro per gli aeroporti del comune di Roma (9,00 euro tutti gli altri). Di tali somme ai comuni aeroportuali compete solo il 40 per cento di un euro, quindi 40 centesimi a passeggero imbarcato, a valere però sulle quote eccedenti l'importo fisso di 30 milioni di euro annui necessari a compensare Enav, spa dei servizi erogati. Eppure anche su questi esigui importi da anni si assiste a continui attriti tra i comuni aeroportuali e il Governo per il loro mancato trasferimento. Infatti, l'Associazione nazionale comuni aeroportuali italiani (ANCAI), che riunisce 82 comuni sul cui territorio insistono in percentuale variabile sedimi aeroportuali, ha quantificato in 100 milioni di euro i mancati trasferimenti dalla sua istituzione ad oggi, con grave nocumento per i bilanci degli enti interessati, al punto che dopo numerosi solleciti ha deciso di inviare formale diffida ad adempiere nei confronti della Presidenza del Consiglio dei ministri, del Ministero dell'economia e delle finanze e del Ministero dell'interno per l'ottenimento di quanto di loro spettanza –:
   a quanto ammontino nel loro complesso attualmente gli oneri per i passeggeri dell'addizionale comunale sui diritti d'imbarco sugli aeromobili di cui all'articolo 2, comma 11, della legge 24 dicembre 2003, n. 350;
   a quanto ammontino gli introiti derivati dall'applicazione delle disposizioni previste all'articolo 4, comma 75, della legge 28 giugno 2012, n. 92, e quale sia la loro effettiva destinazione;
   quali siano gli intendimenti del Governo in merito alla recente diffida dell'Associazione nazionale comuni aeroportuali italiani. (5-07554)


   CAPARINI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   il comma 21 dell'articolo 1 della legge di stabilità 2016 prevede che dal 1o gennaio 2016 la determinazione della rendita catastale degli immobili a destinazione speciale e particolare, censibili nelle categorie catastali dei gruppi D ed E, è effettuata, tramite stima diretta, tenendo conto del suolo, delle costruzioni e degli «elementi ad essi strutturalmente connessi» che ne accrescono la qualità e l'utilità. Sono invece esclusi dalla stima i macchinari, congegni, attrezzature e altri impianti, funzionali allo specifico processo produttivo;
   la normativa offre la possibilità anche di intervenire sulle rendite dei fabbricati già accatastati, attraverso una richiesta di revisione della rendita da formalizzare con Docfa. Trattandosi di revisione di rendita, questa produce effetti fiscali, ai fini Imu, dal 1o gennaio dell'anno successivo a quello dell'iscrizione in catasto della nuova rendita. Tuttavia, per i soli Docfa presentati entro il 15 giugno è stabilito che le nuove rendite producano effetti fiscali dal 1o gennaio 2016. Nella relazione illustrativa alla legge di stabilità si richiamano le stime operate dall'agenzia delle entrate, in base alle quali il valore degli impianti valorizzati nelle rendite catastali ha un'incidenza media del 18 per cento dell'ammontare complessivo delle rendite dei fabbricati di categoria D/1 e D/7;
   il sole24ore a firma Pasquale Mirto stima una riduzione di rendita per questi fabbricati in circa 766 milioni di euro, ai quali sono aggiunti ulteriori 95 milioni di euro di riduzioni per le altre categorie D. Queste cifre fanno capire che il numero degli immobili potenzialmente interessati dalla revisione della rendita è elevato, come pure elevato potrebbe essere il contenzioso con l'Agenzia delle entrate. La normativa infatti non definisce cosa siano gli «elementi strutturalmente connessi» ai fabbricati, che continuano a essere valorizzati nella rendita, o meglio non si comprende immediatamente qual è la differenza tra questi e gli impianti funzionali allo specifico processo produttivo, che invece non vanno valorizzati. Quest'incertezza è sicuramente rilevante nel caso delle centrali elettriche, per le quali la riduzione della rendita potrebbe assumere valori significativi, anche per i bilanci comunali;
   a complicare il quadro c’è poi il fatto che risulta ancora vigente l'articolo 1-quinquies del decreto-legge n. 44 del 2005 introdotto per effetto di un emendamento proposto dal gruppo della Lega proprio per risolvere l'enorme contenzioso-nato sulla valorizzazione delle turbine delle centrali elettriche, che ha disposto che ai fini dell'accatastamento delle centrali elettriche «i fabbricati e le costruzioni stabili sono costituiti dal suolo e dalle parti ad esso strutturalmente connesse, anche in via transitoria, c i possono accedere, mediante qualsiasi mezzo di unione, parti mobili allo scopo di realizzare un unico bene complesso». La disposizione ha superato anche il vaglio della Corte costituzionale, che nella sentenza 162/2008, ha anche approfondito il concetto di bene immobile per incorporazione, con enunciazione di principi di diritto applicabili in tutti i casi in cui gli impianti siano una componente essenziale per lo svolgimento dell'attività svolta nel fabbricato, cosicché impianti e fabbricato costituiscono un unico bene complesso. Secondo la Corte, poi, l'articolo 1-quinquies non ha creato un regime particolare per le centrali elettriche, ma anzi le ha riportate nell'ambito della tipologia di beni cui sono state sempre accomunate, come, tra l'altro, gli altoforni, i carri-ponte, i grandi impianti di produzione di vapore, eliminando qualsiasi dubbio sorto sulla determinazione della rendita catastale delle stesse;
   i comuni, dal canto loro, subiranno fin da subito gli effetti del contenzioso perché dal 2016 le sentenze sulle materie catastali sono immediatamente esecutive, sicché se la commissione tributaria annulla la rettifica operata dall'Agenzia delle entrate il contribuente è legittimato fin da subito a pagare l'Imu sulla base di quanto statuito in sentenza, a differenza del passato, quando il contribuente era tenuto a pagare sulla base della rendita impugnata, fino al passaggio in giudicato della sentenza –:
   quale sia l'orientamento del Governo, in particolare modo per quanto riguarda il gettito derivante dalle turbine per le centrali elettriche. (5-07572)

Interrogazione a risposta scritta:


   NUTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   la Cassa depositi e prestiti spa è una società finanziaria italiana partecipata all'80,1 per cento dal Ministero dell'economia e delle finanze, al 18,4 per cento da Fondazioni bancarie e il restante 1,5 per cento in azioni proprie;
   Cassa depositi e prestiti svolge alcune funzioni di fondamentale importanza all'interno del sistema economico in quanto è l'operatore di riferimento per gli enti pubblici locali, per lo sviluppo delle opere infrastrutturali del Paese e per la crescita e internazionalizzazione delle imprese nazionali, attraverso la gestione del risparmio postale; inoltre, Cassa depositi e prestiti detiene importanti partecipazioni nelle principali società pubbliche del nostro Paese, quali Eni, Terna, Snam, Fincantieri e Fintecna, oltre a svariati fondi di investimento;
   la Cassa Depositi e prestiti, proprio per il ruolo che le è stato affidato nel corso degli anni, è sottoposta ad una sorveglianza speciale, quella di una commissione di vigilanza mista, attualmente composta da 8 membri parlamentari, di cui 4 senatori e 4 deputati che ricoprono anche le cariche di presidente e vicepresidenti della commissione medesima, da 1 rappresentante della Corte dei Conti e 3 rappresentanti del Consiglio di Stato, nonché da un funzionario della Cassa depositi e prestiti stessa con funzioni di segretario;
   nonostante l'importanza del ruolo che la Cassa depositi e prestiti svolge tutt'oggi e nonostante la presenza di una commissione di vigilanza, questa società pubblica non è ancora dotata di un'apposita sezione trasparenza all'interno del proprio sito web ove elencare una serie di informazioni, obbligatorie per tutte le amministrazioni pubbliche, quali ad esempio i compensi ai dirigenti, i dati sulle indennità di risultato, il numero del personale impiegato;
   all'interno della determinazione Anac n. 8 del 2015, contenente «Linee guida per l'attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e trasparenza da parte delle società e degli enti di diritto privato controllati e partecipati dalle pubbliche amministrazioni e degli enti pubblici economici», nelle premesse, in particolare a pagina 5, si specifica che «L'applicazione delle presenti Linee guida è sospesa per le società con azioni quotate e per le società con strumenti finanziari quotati in mercati regolamentati e per le loro controllate. Ad avviso dell'Autorità e del Ministero dell'economia e delle finanze senza dubbio anche per queste società sussiste un interesse pubblico alla prevenzione della corruzione e alla promozione della trasparenza. Poiché, tuttavia, dette società sono sottoposte ad un particolare regime giuridico, specie in materia di diffusione di informazioni, a tutela degli investitori e del funzionamento delle regole del mercato concorrenziale, le indicazioni circa la disciplina ad esse applicabile saranno oggetto di linee guida da adottare in esito alle risultanze del tavolo di lavoro che l'A.N.AC. e il MEF hanno avviato con la CONSOB»;
   tuttavia, ad oggi, non si ha ancora notizia degli esiti di questo tavolo di lavoro, per cui Cassa depositi e prestiti, al pari di altre società pubbliche ad essa assimilabili, non è sottoposta neppure ai più basilari vincoli di trasparenza: infatti, come riportato in un articolo apparso su « ilfattoquotidiano.it» dell'8 novembre 2015 la Cassa depositi e prestiti non avrebbe nominato «né il responsabile della trasparenza né quello, del potere sostitutivo. Non esiste un piano triennale della trasparenza e neanche quello della prevenzione della corruzione»;
   inoltre, la Commissione di vigilanza, composta in maggioranza da membri del Parlamento, dovrebbe per sua stessa natura costituire un elemento di maggior garanzia e trasparenza nell'attività di controllo ed essere posta nella condizione di svolgere al meglio i propri compiti istituzionali disponendo di tutte le informazioni necessarie;
   per quali ragioni il tavolo di lavoro che l'A.N.AC. e il Ministero dell'economia e delle finanze hanno avviato con la CONSOB non abbia ancora prodotto alcun esito e quali siano i documenti preparatori nonché le risultanze degli incontri finora prodotti, anche fornendo la relativa documentazione;
   se non intenda assicurare, per le parti di propria competenza, il necessario supporto alla Commissione per la vigilanza sulla Cassa depositi e prestiti, al fine di garantire la dovuta trasparenza e pubblicità delle sue attività. (4-11821)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interpellanza:


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'economia e delle finanze, per sapere – premesso che:
   a partire dal 1999, tutte le compagnie aeree hanno dovuto fronteggiare un progressivo incremento del prezzo del carburante avio, legato all'andamento del prezzo del greggio, che ha comportato un considerevole aggravio dei costi di esercizio dei servizi di trasporto aereo. In quegli anni l'effetto del rincaro del prezzo del petrolio si è sommato, per le compagnie europee, con il ribasso del tasso di cambio dell'euro rispetto al dollaro americano, valuta nella quale sono espressi i prezzi del greggio, facendo ulteriormente aumentare i costi. Questa situazione ha comportato la decisione di prevedere, in via del tutto eccezionale, l'applicazione del cosiddetto fuel surcharge, supplemento carburante, per consentire alle compagnie aeree, attraverso uno strumento temporaneo, flessibile ed agevolmente giustificabile agli occhi della clientela, un recupero dei maggiori oneri sostenuti in seguito all'incremento del prezzo del carburante;
   a partire dal 2010, l'Arabia Saudita, il più grande produttore di petrolio al mondo, ha avviato una decisa politica di aumento della produzione ed esportazione del greggio per contrastare e rendere meno competitivo la commercializzazione del petrolio di scisto delle aziende petrolifere americane. La guerra dei prezzi si è ulteriormente acuita con la crisi economica dei Brics, in particolare della Cina, e l'accordo sul nucleare con l'Iran, altro grande produttore di petrolio, facendo crollare i valori del greggio a tal punto che dai 110 dollari al barile di maggio 2014 si è passati a circa 50 dollari al barile di maggio 2015. Si è praticamente più che dimezzato il prezzo e tale discesa sembra non essersi ancora arrestata;
   pur con i valori del greggio dimezzati, la stragrande maggioranza delle compagnie aeree nel mondo continuano a mantenere integro il supplemento carburante con profitti enormi per i vettori. Infatti, l’International Air Transport Association (Iata), l'organizzazione internazionale delle compagnie aeree, ha stimato un incremento degli utili di oltre 33 miliardi di euro per le compagnie aeree a livello globale e questo solo per effetto dei minori costi del carburante. In Europa il 2015 si è caratterizzato per un guadagno extra di 4 miliardi di dollari rispetto al 2014;
   nel nostro Paese questi maggiori introiti per le compagnie aeree non si traducono in maggiore incassi erariali per lo Stato essendo il sovraprezzo applicato alla tariffa un costo aziendale totalmente esentasse. Paradossalmente quella che viene presentata, anche mediaticamente, come «sovrattassa» è un supplemento tariffario che è, viceversa, totalmente esentasse, poiché scorporato dalla tariffa base ai cui ricavi si applica la tassazione. Pertanto, con la riduzione del costo del carburante avio il sovraprezzo comunque applicato, basandosi sui precedenti valori, produce enormi profitti ai vettori che non solo sfugge alle imposte ma li avvantaggia anche nei confronti dei loro rivenditori – agenzie viaggi, tour operator e altri – poiché modifica sensibilmente le percentuali, che si applicano alle tariffe base e non agli «oneri accessori, da corrispondere agli intermediari»;
   con il West Texas Intermediate (Wti) a 36 dollari e il Brent a 38 dollari, con previsioni degli analisti di ulteriori ribassi, le compagnie aeree al momento applicano supplementi carburante di oltre 100 euro sui voli intercontinentali e di 25/30 euro su quelli domestici;
   non è da escludersi che in Italia sia in corso un'operazione «cartello» tra le compagnie aeree, visti gli enormi guadagni esentasse a vantaggio di tutti, come già, tra l'altro, accaduto nel 2002 quando l'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM) multò le società Alitalia Linee Aeree Italiane S.p.A., Meridiana S.p.A., Alpi Eagles S.p.A., Air Europe S.p.A., Volare Airlines S.p.A. ed Air One S.p.A., per pratiche commerciali scorrette e anticoncorrenziali in quanto, tra il giugno del 2000 e l'aprile del 2001, hanno concertato tra loro per tutte le tratte nazionali l'applicazione del supplemento tariffario correlato all'aumento del prezzo del carburante;
   non convincono le motivazioni edotte dalle compagnie aeree per il quale il fuel surcharge attualmente applicato è relativo al costo di precedenti rifornimenti, essendo il combustibile acquistato con largo anticipo per evitare di trovarsi sprovvisti, e vanno considerate le oscillazioni dell'euro in relazione al dollaro, in quanto oltre al fatto che si assiste ad un trend al ribasso del greggio che va avanti da anni, almeno dal 2010, le compagnie aeree da tempo adottano iniziative, quali polizze assicurative e altro, tali da ridurre il rischio connesso alle oscillazioni del prezzo del carburante e dell'andamento dell'euro;
   non si comprende perché, per una materia così delicata per le casse dello Stato e le tasche dei cittadini, ai vettori aerei è sufficiente una semplice comunicazione all'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac) delle caratteristiche del supplemento e delle sue modalità di applicazione senza che l'Ente, o qualsiasi Authority competente, possa intervenire per modificare tali caratteristiche e modalità prescrivendo, ad esempio, l'inserimento di tale «onere accessorio» nella tariffa base qualora sia accertato che non sia più corrispondente agli attuali valori del greggio;
   per denunciare quanto sopra esposto si sono attivate anche le associazioni dei consumatori, in particolare il Coordinamento delle associazioni per la difesa dell'ambiente e dei diritti degli utenti e dei consumatori (Codacons) che ha presentato in data 22 agosto 2015 un esposto in ben 104 procure della Repubblica, all’Antitrust e ad Enac per «aprire una indagine in relazione al mancato adeguamento della tassa alle quotazioni in forte ribasso del petrolio (-63 per cento), alla luce dei reati di truffa aggravata e aggiotaggio, e per le ipotesi di intese restrittive della concorrenza» –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto in premessa e se non ritenga urgente intervenire per verificare se le compagnie aeree, operanti sul territorio italiano, stiano effettivamente applicando il «supplemento carburante» sulle tariffe dei voli, pur essendo venute meno le ragioni sottostanti;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative normative per conferire all'Autorità garante della concorrenza e del mercato (AGCM), all'Autorità di regolazione dei trasporti (ART) ed all'Ente nazionale per l'aviazione civile i poteri necessari per regolamentare tale spinosa questione imponendo la riduzione o soppressione di tale sovraprezzo qualora sia accertato che il valore del greggio non sia più corrispondente al valore del supplemento applicato oppure, in subordine, che venga inserito nella tariffa base soggetta all'ordinaria tassazione.
(2-01244) «Paolo Nicolò Romano, De Lorenzis».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   DE ROSA, BUSTO, DAGA, TERZONI, MICILLO, MANNINO e ZOLEZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   nell'Unione europea l'inquinamento atmosferico provoca oltre 430.000 morti premature all'anno e genera sino a 940 miliardi di euro all'anno di costi stimati in, ragione del suo impatto sulla salute. Gli ossidi di azoto (NOx) sono uno dei principali agenti inquinanti atmosferici che causano, fra l'altro, cancro ai polmoni, asma e numerose malattie respiratorie, oltre a forme di degrado ambientale quali l'eutrofizzazione e l'acidificazione;
   le emissioni dei veicoli diesel sono una delle fonti principali di NOX nelle zone urbane in Europa. Recenti indagini sull'inquinamento atmosferico a cura dell'Agenzia europea dell'ambiente (AEA), attribuiscono 75.000 morti premature alle emissioni di NO2 in Europa e mostrano che il 93 per cento di tutti i casi di superamento dei limiti avviene nei pressi delle strade;
   il regolamento (CE) n. 715/2007, il quale stabilisce norme sulle emissioni per i veicoli Euro 5 ed Euro 6, impone ai costruttori di produrre veicoli in modo che, «nell'uso normale», siano conformi ai requisiti in materia di emissioni (articolo 5, paragrafo 1);
   il considerando 6 del regolamento (CE) n. 715/2007, approvato a dicembre 2006, afferma quanto segue: «(...) per migliorare la qualità dell'aria e rispettare i valori limite riguardanti l'inquinamento occorre ridurre notevolmente le emissioni di ossido di azoto provocato dai veicoli con motore diesel. Ciò implica la necessità di raggiungere valori limite ambiziosi della fase Euro 6 senza dover rinunciare ai vantaggi dei motori diesel in termini di consumo di carburanti e di emissioni di idrocarburi e monossido di carbonio. Porre un tale obiettivo di riduzione delle emissioni di ossido di azoto in una fase iniziale darà ai costruttori di veicoli una sicurezza di programmazione a lungo termine e su scala europea»;
   il valore limite Euro 6 per le emissioni di NOx prodotte dai veicoli diesel è di 80 mg/km e si applica ai nuovi tipi di veicoli dal 1o settembre 2014 e a tutti i veicoli venduti dal 1o settembre 2015;
   l'articolo 14, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 715/2007 stabilisce quanto segue: «La Commissione verifica le procedure, le prove e i requisiti di cui all'articolo 5, paragrafo 3, nonché i cicli di prova utilizzati per misurare le emissioni. Qualora tale revisione accerti che queste non sono più adeguate, o non riflettono più le reali emissioni mondiali, sono adattate per dare adeguato riscontro alle emissioni generate dalla vera guida su strada»; tale disposizione si accompagna al considerando 15, il quale afferma quanto segue: «La Commissione dovrebbe essere conscia della necessità di rivedere il nuovo ciclo di guida standard europeo, metodo di prova di base per regolamentare le emissioni dell'omologazione CE. Dovrebbero essere aggiornati o sostituiti dei cicli di prova per riflettere mutamenti nelle specifiche dei veicoli e nei comportamenti di guida. Perché le emissioni mondiali effettive corrispondano a quelle misurate all'omologazione, possono essere necessarie delle revisioni. Si dovrebbe altresì prevedere l'uso di sistemi portatili di misura delle emissioni e l'introduzione del concetto regolatore del “non superamento”»;
   la Commissione ha elaborato nuovi progetti di misure di esecuzione al fine di modificare il regolamento (CE) n. 692/2008 della Commissione adattando le procedure di prova affinché riflettano adeguatamente le emissioni in condizioni reali di guida su strada; due pacchetti di misure, ciascuno presentato in un progetto di regolamento della Commissione sulla base dell'articolo 5, paragrafo 3, del regolamento (CE) n. 715/2007, sono stati approvati dal CTVM rispettivamente il 19 maggio 2015 e il 28 ottobre 2015;
   il progetto di regolamento (UE) della Commissione, che modifica il regolamento (CE) n. 692/2008 riguardo alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri (Euro 6) (in appresso «il progetto di misura»), afferma che per stabilire prescrizioni quantitative relative alle emissioni reali di guida (Real Driving Emissions – RDE) «dovrebbero essere prese in considerazione le incertezze statistiche e tecniche delle procedure di misurazione». Il progetto di misura prevede altresì un certo margine «per tenere conto delle incertezze aggiuntive di misurazione dovute all'uso di sistemi portatili di misura delle emissioni» (Portable Emission Measurement Systems – PEMS);
   secondo il progetto di misura, i costruttori dovranno garantire che, all'omologazione così come lungo l'intero ciclo di vita di un veicolo, le emissioni generate in sede di prova RDE non oltrepassino taluni «limiti da non superare (Not-To-ExceedNTE)"; i limiti NTE sono espressi come i limiti di emissione di cui al regolamento (CE) n. 715/2007 moltiplicati per un fattore di conformità e una funzione di trasferimento;
   basandosi su un'analisi a cura del Joint Research Centre della Commissione europea (JRC), la Commissione è giunta alla conclusione che, ad oggi, l'errore medio di misurazione dei PEMS è pari al 18,75 per cento, il che corrisponde a un fattore di conformità massimo di 1,2. Dall'analisi degli errori condotta dal CCR è emerso che la procedura di prova RDE potrebbe comportare un margine di incertezza nella misurazione pari a un massimo del 30 per cento, ossia, nel peggiore dei casi, un margine di 25 mg di NOx/km per il limite Euro 6, equivalente a un fattore di conformità di 1,3. Tali tolleranze o incertezze iniziali nella procedura di misurazione delle emissioni dovrebbero ridursi con il passare del tempo grazie ai progressi della tecnica;
   il progetto di misura approvato dal CTVM il 28 ottobre 2015 introdurrebbe un «fattore di conformità temporaneo» di 2,1, ammettendo in tal modo emissioni dai veicoli pari a 168 mg/km di NOx nella prova RDE applicabile a tutti i nuovi veicoli dal settembre 2019 (e ai nuovi tipi di veicoli dal settembre 2017), ovvero quattro anni dopo l'entrata in vigore del limite Euro 6 di 80 mg/km. Una prescrizione RDE quantitativa definitiva con un «fattore di conformità definitivo» di 1,5 sarebbe applicata a tutti i nuovi veicoli dal 2021 (e ai nuovi tipi di veicoli dal 2020), ammettendo in tal modo emissioni dai veicoli pari a 120 mg/km di NOx nella prova RDE;
   il moltiplicatore della funzione di trasferimento nella formula di calcolo dei limiti NTE non è spiegato né giustificato. Qualunque valore del parametro della funzione di trasferimento superiore a 1 comporterebbe un aumento del livello di emissioni consentite nel quadro della prova RDE;
   il progetto di misura comprometterebbe ogni applicazione degli attuali valori limite stabiliti dal regolamento (CE) n. 715/2007 in relazione all'ampio superamento delle emissioni di NOx riscontrato nell'uso normale dei veicoli sino all'imposizione della prova RDE;
   in fase emendativa del progetto di regolamento (UE) della Commissione, che modifica il regolamento (CE) n. 692/2008 riguardo alle emissioni dai veicoli passeggeri e commerciali leggeri (Euro 6), la rappresentanza italiana si è distinta negativamente per aver proposto un fattore di conformità temporaneo tra i più alti in Europa pari a 3, ben oltre ogni ragionevole margine di tolleranza relativa ad errori di misurazione –:
   se il Governo, alla luce di quanto esposto, non intenda assumere iniziative per riconsiderare l'introduzione, entro il 2017, di un test sulle emissioni generate dalla guida in condizioni reali per tutti i veicoli omologati o registrati a decorrere dal 2015, al fine di garantire l'efficacia dei sistemi di controllo delle emissioni e permettere ai veicoli di rispettare il citato regolamento e le sue misure di applicazione, con un fattore di conformità che rifletta solo le possibili tolleranze della procedura di misurazione delle emissioni. (5-07555)


   LIUZZI, CARINELLI, DE LORENZIS, SPESSOTTO e DI VITA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il diritto alla mobilità, sancito dalla Costituzione, deve essere protetto e garantito anche nei confronti delle persone disabili, in quanto costituisce una condizione essenziale per la loro integrazione sociale. Tale principio generale è riconosciuto dal codice della strada, volto a facilitare anche la mobilità delle persone disabili;
   quotidianamente, i soggetti portatori di handicap devono combattere con una serie infinita di difficoltà che impedisce loro di potere serenamente affrontare la quotidianità. Tra le difficoltà vi è sicuramente quella legata ai parcheggi, sia per la difficoltà di trovarli liberi, non occupati da incivili, sia nella loro esiguità;
   il Cude (Contrassegno unificato disabili europeo) autorizza il parcheggio sui posteggi disabili generici, sulle zona a disco (senza il rispetto del limite di tempo), nelle zone Ztl, Zsl, nei centri storici (purché sia ammessa al transito una qualsiasi categoria di veicoli, quali i taxi, purché non si costituisca grave intralcio) e altro. Attualmente, in Italia, non esiste nessuna norma che preveda la gratuità del parcheggio per i veicoli al servizio della persona disabile titolare del Contrassegno unificato disabili europeo (Cude) su aree a pagamento. Sui posteggi a pagamento esisteva una lettera interpretativa del Ministero delle infrastrutture e trasporti (che rispondeva a una richiesta di chiarimenti dell'Associazione nazionale guida legislazione Andicappati Trasporti – Anglat –) che, ai sensi dell'articolo 35 del codice della strada, aveva valore legale e che è stata di fatto resa nulla da una sentenza del tribunale amministrativo regionale del Lazio nel 2006;
   nonostante l'Anglat, insieme con altre associazioni, abbia richiesto l'emanazione di una circolare ministeriale (come indicato dalla stessa sentenza del Tar del Lazio) e che la Commissione, della Camera con una risoluzione approvata il 28 aprile 2011 (atto n. 7-00400) si sia espressa positivamente sulla gratuità dei posteggi a pagamento ai veicoli al servizio di persone disabili titolari del Cude/Contrassegno invalidi, dal 2006, non esiste nessuna norma che preveda la gratuità dei posteggi ai veicoli citati;
   rilevato che, circa l'80 per cento dei comuni italiani, come buona prassi, permettono ancora la gratuità del parcheggio ai veicoli al servizio di persone disabili titolari del Cude nelle aree a pagamento (Aree blu e isole azzurre comprese);
   da fonti di stampa, si apprende, tuttavia, che in diverse zone d'Italia si sono verificati alcuni casi in cui le vetture di portatori di handicap parcheggiate su strisce blu, nonostante il Cude ben visibile, siano state sanzionate. I casi appena citati sono accaduti indistintamente dal Nord al Sud Italia, dal comune di Rapallo in Liguria al comune di Matera in Basilicata;
   in Liguria, è stata approvata all'unanimità dal consiglio regionale della Liguria, nella seduta del 27 ottobre 2015, una mozione che impegna la regione a portare all'attenzione della Conferenza Stato – regioni la problematica oggetto di questa interrogazione affinché il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti si possa attivare con un'apposita circolare in merito –:
   se i Ministri interrogati intendano assumere iniziative, per quanto di competenza, volte a regolamentare la problematica citata in premessa, anche con l'emanazione di un'apposita circolare ministeriale. (5-07565)


   MASSIMILIANO BERNINI, GRANDE, SPESSOTTO, DAGA, BENEDETTI, LOMBARDI, DE LORENZIS, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, GALLINELLA, CIPRINI e CRISTIAN IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la linea ferrovia Orte Civitavecchia, inaugurata il 28 ottobre 1928 ed aperta al traffico l'anno successivo, inglobando la breve tratta Capranica-Ronciglione aperta nel 1894 come diramazione della ferrovia Roma-Capranica-Viterbo, venne progettata per collegare le acciaierie di Terni con il porto di Civitavecchia;
   il servizio ferroviario lungo la linea venne interrotto durante il periodo bellico, e riprese nel 1947, ma a seguito di un piccolo evento franoso che interessò i binari all'imbocco della galleria Cencelle, lato Civitavecchia, alla progressiva chilometrica 13+200 nel gennaio del 1961, il tratto tra Civitavecchia e Capranica venne chiuso al traffico, lasciando in servizio solo la tratta da Capranica a Orte, anche questa successivamente chiusa, a partire dal settembre 1994;
   pochi mesi prima della chiusura, la tratta Capranica-Orte fu interessata da lavori di ammodernamento, con l'automazione dei segnali e dei passaggi a livello, che purtroppo vennero vandalizzati e depredati a seguito della mancata sorveglianza della linea;
   dal sito di RFI (Rete Ferroviaria Italiana, Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane), alla pagina «Circolari Territoriali e Fascicoli Circolazione Linee», la linea ferroviaria in questione è annoverata nel «Fascicolo Linea 113» a partire da pag. 21, nel quale è riportato la Linea ORTE-CIVITAVECCHIA, in cui testualmente è scritto:
    CAPRANICA-CIVITAVECCHIA: temporaneamente chiusa all'esercizio. Con Decreto del Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti n. 398 del 14 novembre 2011 è stata autorizzata la dismissione della linea, ad eccezione della tratta compresa tra la progressiva km 0+000 di Civitavecchia (paraurti «Porta Tarquinia di Civitavecchia») e la progressiva km 4+000 (incluso il Raccordo DE.CAR.) dove è ammessa soltanto la circolazione di apposite tradotte nel rispetto delle disposizioni riportate nella successiva Sez. 4.14;
    CAPRANICA-ORTE: temporaneamente chiusa all'esercizio. Eccezionalmente, la circolazione di rotabili è ammessa soltanto in regime di interruzione, con la scorta di un agente del Tronco Lavori e previa abilitazione al movimento delle stazioni interessate»;
   secondo quanto riportato in precedenza, entrambi i tratti della linea in questione, ovvero il tratto Capranica-Civitavecchia e il tratto Capranica-Orte, risultano essere allo «stato attuale», «temporaneamente chiusi all'esercizio»;
   negli ultimi trent'anni la ferrovia è stata oggetto di diverse iniziative legislative e programmi, tra questi il «Programma Integrativo» per le ferrovie del 1981 col quale vennero stanziati i finanziamenti necessari alla riapertura della tratta interrotta tra Civitavecchia e Capranica, il decreto del Ministero dei Trasporti del 1983, con cui si è approvata la concessione per i lavori di ripristino del tratto Civitavecchia-Capranica, il cui primo stralcio è stato completato nel 1994 con una spesa di circa 220 miliardi di lire e la legge finanziaria del 1998 che ha stanziato 123 miliardi di lire per il completamento dei lavori, consistenti nel rifacimento della tratta Civitavecchia-Mole del Mignone, armamento del sedime tra Civitavecchia e Capranica ed elettrificazione di tutta la linea tra Civitavecchia ed Orte;
   i lavori stabiliti col decreto del 1983 sono gli unici ad essersi regolarmente conclusisi, e consistenti nella ricostruzione della linea tra Mole del Mignone e Capranica, l'adeguamento della sagoma e del peso assiale massimo, e la predisposizione all'elettrificazione, mentre non sono mai stati attivati gli altri cantieri previsti nella «finanziaria» del 1998, di cui ad oggi è ignota la destinazione dei finanziamenti stanziati;
   nel febbraio 2009, con DGR n. 69 del 6 febbraio 2009, la regione Lazio ha preso atto della decisione della Commissione europea del dicembre 2008, con la quale è stato concesso un finanziamento al progetto preliminare per il ripristino di un collegamento ferroviario fra il Porto di Civitavecchia e l'asse prioritario TEN-T n.1 in località Orte, presentato dalla direzione regionale trasporti e in esito alle operazioni della commissione giudicatrice, la direzione regionale trasporti, ha aggiudicato definitivamente l'appalto alla ATI ltalferr S.p.A., con determinazione dirigenziale n. B6289 del 4 dicembre 2009, con un budget complessivo del progetto di euro 2.000.000,00 così suddiviso: 1.000.000,00 euro finanziato dalla Commissione europea, 600.000,00 euro di cofinanziamento regionale e 400.000,00 euro di cofinanziamento da parte dell'Interporto di Orte (Interporto Centro Italia Orte S.p.A) e dell'autorità Portuale di Civitavecchia;
   il 10 febbraio 2011 il consiglio provinciale di Viterbo ha deliberato l'impegno alla giunta e al presidente affinché si organizzi una sessione di Giunta congiunta tra provincia e Regione, dove vengano specificate le tempistiche, le modalità ed i finanziamenti relativi alle opere giudicate prioritarie, tra queste il collegamento ferroviario tra Orte e Civitavecchia che favorirebbe il collegamento tra l'area industriale umbra e il porto di Civitavecchia e che quindi creerebbe sviluppo economico e sociale nella Tuscia interrompendo la dipendenza economica da Roma, oltre a dare pieno sviluppo all'Interporto di Orte utile oggi solo alla regione Umbria;
   il 20 dicembre 2011, presso il consiglio regionale del Lazio, si è svolta la prima riunione della conferenza di servizi per il ripristino della linea, in assoluta controtendenza rispetto a quanto previsto nel decreto ministeriale n. 398 del Ministro delle infrastrutture e dei trasporti Altero Matteoli del 14 novembre 2011, che ha autorizzato la dismissione della linea tra Civitavecchia e Capranica, con l'esclusione dei primi 4 chilometri a servizio del porto;
   Nel «Piano Mobilità Lazio» del 2011, ovvero lo scenario di riferimento della mobilità che è lecito attendersi in base alle tendenze in atto e tenendo conto dei piani approvati e in corso di approvazione per la Regione Lazio, tra gli interventi previsti ossia quelli che prevedono l'adeguamento delle infrastrutture e/o le nuove realizzazioni, nella sezione «Do Everything» che comprende tutti gli interventi proposti nei piani e programmi esistenti ossia gli studi condotti delle varie amministrazioni che saranno sottoposti alla valutazione dei cittadini, alla lettera «F», si legge «Ferrovia Orte-Civitavecchia, ripristino della linea ferroviaria dismessa tra il Porto di Civitavecchia l'asse ferroviario 118/211TEN-T Berlino-Brennero-Palermo e Falconara»;
   a pagina 131 del «Piano Regionale Mobilità, Trasporti e Logistica» (2014) si legge: «Quindi, è importante il ripristino della ferrovia Orte-Civitavecchia in collegamento con la linea Orte-Falconara che, in connessione alla realizzazione del Centro Intermodale di Orte, consentirebbe l'utilizzo pieno delle potenzialità del porto di Civitavecchia e nuove possibilità per il polo industriale di Civita Castellana nonché per il polo industriale di Terni;
   il 12 gennaio del 2016 il consiglio regionale del Lazio ha approvato alla unanimità l'ordine del giorno a prima firma della consigliera Silvia Blasi che impegna la giunta regionale ad inserire la ferrovia Civitavecchia-Capranica-Orte tra le opere di primaria importanza da finanziare attraverso i fondi previsti dalla missione relativa al trasporto ferroviario;
   il decreto del Presidente della Repubblica 11 luglio 1980, n. 753, «Nuove norme in materia di polizia, sicurezza e regolarità dell'esercizio delle ferrovie e di altri servizi di trasporto», all'articolo 5 è riportato che nei confronti delle ferrovie in concessione o, comunque, di loro singoli impianti o di parti di essi nonché del materiale mobile realizzati con contributi finanziari dello Stato resta fermo quanto stabilito dall'articolo 102 del testo unico approvato con regio decreto 9 maggio 1912, n. 1447, e dal capo VI del regolamento approvato con regio decreto 25 maggio 1895, n. 350, e successive modificazioni, per quanto riguarda il generale e definitivo collaudo, che, in ogni caso, non potrà intervenire se non trascorso un anno dall'apertura all'esercizio. Il collaudo si effettua anche per le opere realizzate con contributi finanziari delle regioni o degli enti locali territoriali, intendendosi sostituiti agli organi statali quelli regionali o degli enti locali medesimi;
   allo stato attuale il «tronco» Capranica-Orte appare in condizione di semiabbandono, a causa della vegetazione che ha invaso la linea ferrata, i caselli, le stazioni e le altre infrastrutture ferroviarie con quest'ultime che presentano inoltre evidenti segni di degrado dovuti all'abbandono, il cui recupero, se non fosse effettuato in tempi rapidi, sarebbe molto difficile ed oneroso;
   il ripristino della tratta ferroviaria Orte-Civitavecchia per il regolare servizio passeggeri, fortemente caldeggiato dalle comunità locali, dai comitati dei cittadini e dai loro rappresentanti istituzionali, consentirebbe di migliorare notevolmente i collegamenti con Roma, Viterbo, Orte e il litorale tirrenico, favorendo lo sviluppo economico-sociale dell'intera «Tuscia» e del comprensorio dei «Monti Cimini», anche nel caso in cui fosse ripristinata solamente per finalità turistiche, come dimostrano le esperienze delle ferrovie turistiche Asciano-Monte Antico o la Palazzolo-Paratico;
   nel «Libro bianco sui trasporti» della direzione generale della mobilità e dei trasporti della Commissione europea del 2011, si leggono dieci obiettivi molto impegnativi concepiti per orientare le strategie e valutare i progressi. Essi annoverano, tra gli altri, la graduale eliminazione delle automobili alimentate a carburanti tradizionali dalle città entro il 2050 e il passaggio del 50 per cento del flusso passeggeri su media distanza e del flusso merci su lunga distanza dal trasporto su gomma ad altre modalità. L'obiettivo è quello di giungere ad una riduzione del 60 per cento delle emissioni di CO2 e ad una riduzione equivalente della dipendenza dal petrolio. Tra i 10 obiettivi, il numero 4 prevede di completare entro il 2050 la rete ferroviaria europea ad alta velocità, triplicare entro 2030 la rete ferroviaria ad alta velocità esistente e mantenere in tutti gli Stati membri una fitta rete ferroviaria. Entro il 2050 la maggior parte del trasporto di passeggeri sulle medie distanze dovrebbe avvenire per ferrovia, mentre nel quinto obiettivo, entro il 2030 dovrebbe essere pienamente operativa in tutta l'Unione europea una «rete essenziale» TEN-T multimodale e nel 2050 una rete di qualità e capacità elevate con una serie di servizi d'informazione connessi –:
   quali siano gli impedimenti di carattere burocratico-amministrativo che ostacolano la definitiva riapertura della linea ferroviaria Orte-Civitavecchia e in modo particolare del «tronco» Capranica-Orte dotata di binari, e quali iniziative normative intenda adottare affinché possa essere celermente riattivata la circolazione dei convogli merci e passeggeri lungo tutta la tratta;
   per quali ragioni RFI spa, in contrasto a quanto riportato nell'articolo 5 del decreto del Presidente della Repubblica n. 753 del 1980, non abbia provveduto alla manutenzione ordinaria e straordinaria della linea ferroviaria e delle sue infrastrutture, nel tratto Capranica-Orte della linea;
   quali iniziative di competenza intenda adottare affinché RFI spa garantisca la manutenzione della linea ferroviaria Capranica-Orte e delle infrastrutture annesse;
   se intenda rivalersi su RFI spa per il ripristino degli impianti della linea Capranica-Orte, già finanziati con fondi pubblici, dato che la «cannibalizzazione» ed il deterioramento di quest'ultimi appaiono imputabili esclusivamente alla mancata vigilanza e manutenzione da parte del concessionario;
   di quali elementi disponga sulle modalità con le quali sono stati utilizzati i 123 miliardi di lire stanziati della legge finanziaria del 1998, inizialmente destinati al rifacimento della tratta Civitavecchia-Mole del Mignone, all'armamento del sedime tra Civitavecchia e Capranica e all'elettrificazione di tutta la linea tra Civitavecchia ed Orte. (5-07570)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FICO, COLONNESE, LUIGI DI MAIO e TOFALO. – Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare. – Per sapere – premesso che:
   con decreto del Presidente della Repubblica 17 settembre 24115, n. 201 sono stati individuati gli aeroporti di interesse nazionale ai sensi dell'articolo 698 del codice della navigazione e delle disposizioni comunitarie relative alla rete transeuropea dei trasporti e al meccanismo per collegare l'Europa;
   il citato decreto individua complessivamente trentotto aeroporti di interesse nazionale, di cui dodici qualificati di particolare rilevanza strategica;
   il comma 8 del decreto subordina il definitivo riconoscimento dell'aeroporto come di interesse nazionale alla verifica positiva da parte del Ministero competente e dell'Ente nazionale per l'aviazione civile (Enac), effettuata sulla base della sussistenza delle condizioni stabilite dal medesimo decreto;
   l'aeroporto di Napoli – Capodichino, rientrante nel bacino di traffico «Campania», è stato classificato come aeroporto di interesse nazionale di particolare rilevanza strategica;
   l'aeroporto di Capodichino è situato nell'area urbana di Napoli, a soli quattro chilometri di distanza dal centro della città;
   il corridoio di decollo verso est, sebbene sia applicata una rotta «antirumore» che fa virare rapidamente l'aereo verso il mare per evitare il sorvolo sulla città, produce un fortissimo impatto acustico sul centro storico della città, individuata come patrimonio dell'umanità dall'UNESCO;
   il corridoio di atterraggio da ovest insiste su diverse aree della città di Napoli ed in particolare sulle aree collinari dell'Arenella e di Capodimonte e data l'altimetria si determina una quota di sorvolo estremamente ravvicinata, tale da causare elevati livelli di rischio e di inquinamento atmosferico ed acustico, in particolare nei periodi estivi in cui si registrano voli a distanza di due o tre minuti e uno sforamento anche in fasce orarie dalle 23 alle 6;
   proprio in questi giorni il direttore del museo di Capodimonte, Sylvain Bellenger, ha denunciato che gli aerei, sorvolando il museo a una distanza di appena 200 metri, rischiano di mettere a repentaglio lo straordinario patrimonio artistico del museo;
   l'inquinamento ambientale ed acustico causati dal traffico sono all'origine dell'annosa questione relativa alla necessità di delocalizzare l'aeroporto di Capodichino, considerato sempre più inadeguato ai mutamenti socioculturali e urbanistici dell'area, nonché agli standard di salute e di qualità della vita dei cittadini;
   diversi strumenti di pianificazione territoriale ed urbanistica hanno previsto, per un verso, il ridimensionamento, per altro verso la delocalizzazione dell'aeroporto di Capodichino (ad esempio in corrispondenza dell'attuale aeroporto militare di Grazzanise), con conseguente destinazione dell'area a parco urbano, come previsto dall'articolo 48 delle norme di attuazione del piano regolatore generale di Napoli dell'11 giugno del 2004;
   con particolare riferimento all'inquinamento acustico, il piano di zonizzazione acustica approvato con deliberazione del consiglio comunale n. 204 del 21 dicembre 2001 prevede degli standard minimi di comfort acustico per ciascuna zona della città, in relazione alle caratteristiche del sistema insediativo di ogni contesto territoriale;
   le aree dei quartieri interessati dalle rotte di atterraggio e decollo ricadono principalmente nella classe IV, ovverosia un'area «di intensa attività umana» caratterizzata «da intenso traffico veicolare, con alta densità di popolazione, con elevata presenza di attività commerciali e uffici, con presenza di attività artigianali», dovendosi pertanto rispettare valori limite acustici e di qualità, allo stato attuale ampiamente violati;
   malgrado i livelli di inquinamento acustico dell'area, non risulta essere stato predisposto alcun piano di risanamento acustico ex articolo 7 della legge n. 447 del 1995 né alcun piano di azione ex articolo 4 del decreto legislativo n. 194 del 2005;
   per le suddette ragioni, negli ultimi anni l'ipotesi di delocalizzare l'aeroporto di Capodichino non è stata contemplata unicamente nell'ambito della pianificazione locale e regionale, ma ha trovato espressa traduzione anche in alcuni atti di indirizzo statale;
   la relazione illustrativa che accompagna lo schema del decreto in materia di individuazione degli aeroporti di interesse nazionale contiene una sezione intitolata «Opzioni alternative all'intervento regolatorio», nella quale si richiamano in particolare due proposte di sviluppo infrastrutturale presentate nel 2012 dall'Enac e dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti;
   la proposta presentata nel marzo 2012 dall'Enac prevedeva la realizzazione dell'aeroporto di Grazzanise come principale scalo del bacino campano in cui trasferire a medio termine il traffico dello scalo di Napoli Capodichino, mentre l'atto di indirizzo adottato nel dicembre del 2012 dal Ministro delle infrastrutture e dei trasporti prevedeva l'individuazione di trentuno aeroporti di interesse nazionale, compreso l'aeroporto di Salerno, qualora utilizzato per la delocalizzazione dell'aeroporto di Napoli;
   già nel 2004, come precedentemente accennato, l'ipotesi era dare vita ad un sistema aeroportuale campano integrato nell'ambito del quale Grazzanise assurgesse ad hub internazionale e Capodichino si configurasse come puro city airport;
   tali proposte, pur richiamate nella relazione illustrativa, non hanno trovato alcuna concreta realizzazione, dal momento che l'aeroporto di Capodichino non ha visto diminuire la propria capacità, ma, al contrario, è stato annoverato fra i dodici aeroporti di particolare rilevanza strategica -:
   quali siano precisamente, allo stato attuale, gli scostamenti fra i valori di inquinamento acustico ed ambientale registrati nell'area su cui insiste la rotta di atterraggio ovest dell'aeroporto di Capodichino e i valori limite prescritti dalla normativa vigente;
   se non ritengano che il traffico aereo sempre più intenso di Capodichino, per le ragioni esposte in premessa, sia incompatibile con il territorio circostante anche alla luce dei principi contenuti negli annessi alla Convenzione relativa all'aviazione civile internazionale, anche noti come «annessi Icao», recepiti con il decreto del Presidente della Repubblica 4 luglio 1985, n. 461 e introdotti nell'ordinamento dell'Enac con delibera del consiglio di amministrazione n. 43 del 2001;
   per quali precise ragioni il Governo abbia deciso di non conformarsi, per quanto di propria competenza, agli atti di pianificazione territoriali e agli indirizzi contenuti nel piano nazionale degli aeroporti elaborato dall'Enac nel 2012;
   se non ritengano improcrastinabile, a tutela della qualità della vita dei cittadini delle aree interessate, la modifica del corridoio di atterraggio ovest su Napoli;
   in ogni caso, quali iniziative urgenti i Ministri interrogati intendano adottare, nei limiti delle proprie competenze, al fine di garantire che il traffico aereo di Capodichino non determini la violazione delle norme vigenti in materia di inquinamento acustico e ambientale. (4-11824)


   ROMANINI, GALPERTI, DONATI, MARCO DI MAIO e ROSSI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro degli affari esteri e della cooperazione internazionale. — Per sapere – premesso che:
   l'interscambio commerciale bilaterale tra Italia e Taiwan, nell'ambito dei 40 miliardi di euro complessivi dell'interscambio tra i 28 Paesi dell'Unione europea e Taiwan, ha raggiunto la considerevole cifra di circa 4 miliardi di euro;
   il Parlamento italiano e quello di Taiwan hanno recentemente approvato norme di reciproco riconoscimento in materia fiscale comportanti l'abolizione della doppia tassazione;
   nell'ottobre 2015 la Commissione europea, con il documento «commercio per tutti – verso una politica commerciale e di investimento più responsabile», ha preannunciato il possibile avvio di un negoziato per la reciproca protezione degli investimenti con Taiwan quale primo passo che prelude ad un accordo più ampio sul commercio;
   in questo contesto di relazioni sempre più intense, il flusso di visitatori taiwanesi in Italia, per ragioni di turismo o di affari, è in costante crescita, favorito anche dall'abolizione, nel 2011, del Visto d'ingresso per i titolari di passaporto taiwanese;
   è dunque evidente come anche i cittadini taiwanesi in visita in Italia per spostarsi nelle varie città del nostro Paese, fra i mezzi a disposizione, utilizzino sempre di più i servizi di Trenitalia;
   purtroppo, nella customer area del sito di Trenitalia – dove è possibile compilare l’application form del programma CartaFreccia, all'interno della sezione your personal data – alla voce country of birth, nell'elenco dei Paesi non appare Taiwan non consentendo così ai cittadini taiwanesi di iscriversi al programma CartaFreccia con la conseguente impossibilità di effettuare l'acquisto dei biglietti online;
   tra l'altro, il problema riveste una importanza anche dal punto di vista della sempre più pressante esigenza della sicurezza: i biglietti online sono nominativi, quelli acquistati alle biglietterie sono anonimi;
   questa mancanza comporta di fatto la privazione di un diritto stabilito invece dalla norma adottata anche dall'Italia come da tutti i 28 Paesi dell'Unione europea, per chi viaggia con il proprio passaporto taiwanese, all'esenzione dal visto d'ingresso –:
   se non ritengano i Ministri interrogati di intervenire presso Trenitalia per ottemperare a quanto stabilito dalla legge ricomprendendo Taiwan fra i Paesi per i quali è previsto l'accesso alla biglietteria online e agli altri servizi. (4-11826)


   TIDEI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la realizzazione della darsena grandi masse nel porto di Civitavecchia rappresenta certamente un elemento di razionalizzazione dei traffici nel porto dal quale anche l'aspetto turistico potrà trarne vantaggio. Tuttavia, la realizzazione di un simile intervento non può prescindere dall'elaborazione di una progettazione di dettaglio volta a garantire la necessaria convivenza tra patrimonio antico e la darsena;
   anche a livello ministeriale è stata espressa la necessità di prospezioni preliminari nell'intera area destinataria dell'intervento costruttivo al fine di valorizzare le preesistenze archeologiche presenti nel sito. Contestualmente, il Ministero competente ha previsto che in caso di esito positivo delle prospezioni preliminari debba procedersi con scavi subacquei. Ciò al fine di riportare in superficie quanto rinvenuto e destinare il materiale storico allo studio, conservazione e musealizzazione;
   la tipologia dei rinvenimenti prevedibili dovrebbe riguardare essenzialmente la presenza di relitti di navi, immaginabile in un'area così ricca di abitanti, di approdi naturali, nonché di ville romane dotate di impianti di itticoltura;
   il rinvenimento di relitti di navi potrebbe comportare oneri di scavo, archeologici, di conservazione, edizione e musealizzazione dei reperti, ma al tempo stesso da tale rinvenimento non deriverebbero ulteriori ostacoli alla realizzazione del manufatto;
   risulterebbe che di tre relitti individuati soltanto uno è stato parzialmente indagato ricavandosi da ciò alcune anfore che giacciono in spazi del «Forte Michelangelo», mentre un ulteriore relitto trasportante blocchi di scaglia è stato completamente interrato in quanto situato nell'area da imbonire;
   non risultano ancora noti e sarebbe utile portarli a conoscenza: a) i risultati delle prospezioni subacquee effettuate ed in particolare quelle relative ai relitti di navi antiche individuati; b) gli interventi di scavo effettuati e la relativa tipologia dei reperti rinvenuti; c) le azioni di recupero, conservazione e musealizzazione eseguiti e quelli programmati; d) gli interventi di edizione scientifica e divulgativa degli scavi e dei recuperi eseguiti; e) gli interventi programmati per la conservazione delle aree archeologiche presenti sulla terraferma, in particolare nella Necropoli etrusca della Mattonara (scavata ed abbandonata all'incuria); nelle tombe protostoriche adiacenti la «Buca di Nerone» e nella stessa «Buca di Nerone»; infine nella Peschiera della villa romana ed adiacente cava etrusca, in località «Mattonara» –:
   se il Governo non intenda promuovere, per quanto di competenza, un'iniziativa da parte dell'autorità portuale di Civitavecchia Fiumicino e Gaeta finalizzata a consentire la realizzazione di una progettazione di dettaglio che porti ad un rinvenimento e alla conservazione delle preesistenze archeologiche presenti nell'area interessata dall'intervento di realizzazione della Darsena Grandi Masse, essendo evidente che scavi archeologici subacquei volti al mantenimento in vita del patrimonio archeologico rinvenuto non rappresentano un ostacolo alla realizzazione dell'opera. (4-11833)


   D'ARIENZO, CRIVELLARI e NARDUOLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la tratta ferroviaria Verona-Rovigo è stata dichiarata tra le peggiori dieci linee ferroviarie italiane nel rapporto «Pendolaria» di Legambiente;
   il servizio sulla tratta in questione è svolto dalla società Sistemi Territoriali s.p.a, che opera nel trasporto pubblico regionale in relazione al contratto di servizio di trasporto pubblico locale e al programma di gestione del contratto medesimo con la regione del Veneto;
   i treni e il personale sono della medesima società Sistemi Territoriali s.p.a, controllata dalla regione del Veneto, per il tramite Veneto Sviluppo s.p.a per il 99,83 per cento;
   i problemi sono diversi: lungo i 96,6 chilometri che collegano Verona a Rovigo viaggiano mezzi con vecchia tecnologia, alimentati a gasolio, con tempi di percorrenza troppo lunghi e i passeggeri denunciano che l'unica carrozza è un vero e proprio carro bestiame;
   i disagi e i disservizi sono all'ordine del giorno, nonostante insista un pendolarismo importante di studenti e lavoratori, anche a causa del fatto che la linea è a binario unico;
   la situazione già disastrosa fa ancora più specie nel confronto tra quella linea e le altre gestite dalla stessa società;
   la qualità del servizio è stata certamente stabilita nel contratto di servizio tra la regione e Sistemi Territoriali spa, anche se non risulta pubblicamente nessun report di valutazione;
   la situazione descritta, secondo gli interroganti, coinvolge pienamente la sicurezza dei passeggeri;
   la sicurezza dei passeggeri è di competenza dell'Agenzia nazionale per la sicurezza delle ferrovie –:
   se non sia il caso di promuovere, per quanto di competenza, doverose e urgenti verifiche volte ad accertare la sussistenza degli standard minimi di sicurezza.
(4-11838)


   FURNARI, CIVATI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI, MATARRELLI e TURCO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Catullo spa, in qualità di gestore dell'aeroporto scaligero, in data 29 giugno 2009 costituisce una nuova società denominata Avio Handling S.r.l., partecipata al 100 per cento dalla Catullo, attribuendo alla stessa il servizio di handling nello scalo aeroportuale di Villafranca di Verona;
   la Catullo Spa è una società partecipata pubblica, di cui i principali soci risultano: CCIAA di Verona, provincia di Trento, provincia di Verona, comune di Verona, provincia di Bolzano, CCIAA di Brescia, provincia di Brescia, Banca Popolare di Verona Spa, Fondazione Cassa di risparmio di Verona Vicenza Belluno e Ancona;
   la controllata Avio Handling inizia ad operare il 1o luglio 2009, con un capitale sociale di euro 5.000.000, con trasferimento dalla Catullo spa di 219 dipendenti, attrezzature industriali e commerciali, impianti e macchinari per un valore economico di oltre euro 2.000.000. L'operazione viene spiegata come una semplice cessione di ramo d'azienda per l'adeguamento alla normativa europea;
   nel corso degli anni, la società madre Catullo spa addebita alla partecipata Avio Handling voci di spesa molto pesanti, tanto che la partecipata chiude i primi bilanci in perdita. Così, ad esempio, nel bilancio 2011, la Catullo addebita alla Avio Handling costi per acquisto carburanti, euro 293.456; per subaffitto dei locali dove lavorano i dipendenti, di uffici, magazzini e spogliatoi 378.733; per subconcessione banchi check-in e gates, euro 617.962; per coordinamento generale di scalo, euro 565.192; per attività di manutenzione mezzi di rampa, 307.207 euro;
   nel 2010, la società G.H. spa, società privata di handling con sede a Venezia, presente in otto aeroporti nazionali, partecipa ad un bando di gara per entrare come fornitore dello scalo di Verona, senza esito positivo;
   sempre lo stesso anno, la società Airport Global Service spa (AGS), società di handling, con sede a Bergamo, comincia ad operare nello scalo veronese, con contratto in service con Avio Handling, senza disporre di struttura, mezzi e autonomia funzionale propria: AGS, dapprima utilizza risorse umane e strumentali di esclusiva proprietà di Avio Handling, successivamente stipula un contratto di subappalto di mezzi con la stessa Avio Handling, riuscendo pertanto a fornire alla Catullo Spa servizi ad un prezzo concorrenziale, senza avere l'ammontare dei costi fissi della società Avio;
   con decreto legislativo n. 18 del 13 gennaio 1999 è stata recepita la direttiva europea 96/67 CE relativa al libero accesso al mercato dei servizi di handling, ossia l'assistenza, a terra, per l'imbarco e lo sbarco delle merci e dei passeggeri negli aeroporti dell'Unione europea: negli aeroporti, con più di due milioni di passeggeri o traffico merci superiore a 50.000 tonnellate, è riconosciuta la libera concorrenza nei servizi di handling sulla base dei requisiti di cui all'articolo 13 del decreto;
   per svolgere l'attività di handling è necessario acquisire la relativa certificazione da parte dell'Enac, che vi provvede in conformità con la verifica del rispetto dei requisiti di cui all'articolo 13 del decreto legislativo n. 18 del 1999: alla data odierna il certificato di AGS, in apposita sezione del sito di ENAC, risulta «in corso di rinnovo»;
   nel 2011, la situazione economica di Avio, neocostituita e già molto indebitata, peggiora a causa di onerosi contratti sottoscritti con alcune compagnie, per forniture di servizi ed il 5 settembre 2012 l'assemblea dei soci delibera la liquidazione volontaria della società Avio Handling, con previsione per lo scioglimento della società al 31 dicembre 2013. I vertici della società hanno comunque sempre manifestato, anche con dichiarazioni sulla stampa locale, la loro intenzione di favorire la continuità occupazionale;
   il 20 dicembre 2012 la società GH Venezia S.p.A., tramite accordi con le parti sociali, subentra a condizioni di favore, ottenendo deroghe al contratto collettivo nazionale del lavoro e aggiramento delle tutele di cui all'articolo 2112 del codice di procedura civile; dal 18 febbraio 2013, inizia ad operare nello scalo veronese, acquisendo contratti, beni, attrezzature e mezzi di Avio Handling, con il trasferimento di centodieci dipendenti sui duecentodiciannove in carico ad Avio Handling, con la contropartita della riduzione dello stipendio e la sottoscrizione del licenziamento volontario e di clausole liberatorie nei confronti di Avio;
   il personale residuo di Avio, circa novanta dipendenti, viene posto in Cassa integrazione guadagni straordinaria a zero ore, dall'8 marzo 2013 al 23 dicembre 2013; si trattava per la maggior parte di anziani, giovani mamme o persone con problemi di salute. La Cassa integrazione guadagni straordinaria viene successivamente rinnovata fino alla fine del 2014 per settantasei dipendenti, mediante un accordo firmato presso la regione Veneto, in data 11 dicembre 2013, in cui si accenna anche alla «realizzazione di nuove attività commerciali che potrebbero portare nuove opportunità di lavoro anche ai dipendenti di Avio Handling attualmente in Cassa integrazione guadagni straordinaria, come risulta dal Piano industriale approvato dagli azionisti della Catullo il 5 luglio 2013 e condiviso il 12 settembre 2013 con le organizzazioni sindacali»;
   il 24 dicembre 2014, a conclusione del secondo anno di Cassa integrazione guadagni straordinaria, Avio Handling licenzia anche gli ultimi settantaquattro dipendenti;
   infine, lo scorso novembre 2015 la società di gestione dell'aeroporto ha chiesto la mobilità per 28 lavoratori. Dei quarantanove lavoratori della Holding, attualmente a casa in cassa integrazione fino a gennaio 2016, una decina hanno trovato una diversa, collocazione. Ne restano trentanove da reimpiegare presso lo scalo oppure per i quali provvedere un altro anno di Cassa integrazione guadagni straordinaria, come chiarito dal Ministero del lavoro e del lavoro e delle politiche sociali. Nella lettera di avvio del percorso di mobilità, la società chiarisce che, come nel passato anche nel 2015, le cose andranno male, con riduzione di ricavi e passeggeri –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza di tutti i fatti esposti in premessa;
   se il Ministro interrogato intenda verificare se l'Enac abbia effettuato i controlli previsti dai propri regolamenti e le verifiche di idoneità dei prestatori di handling, stabiliti dall'articolo 13 del decreto legislativo n. 18 del 1999, in capo alla società Airport Global Service spa;
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere affinché il processo di liberalizzazione del servizio di handling nel trasporto aereo non avvenga a discapito dei livelli occupazionali e della situazione di precarietà dei contratti dei lavoratori, salvaguardando i lavoratori attualmente in cassa integrazione guadagni straordinaria. (4-11849)

INTERNO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARCO DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 19 gennaio 2016 il sindaco del comune di Rocca San Casciano ha ricevuto comunicazione della prefettura di Forlì-Cesena che il distaccamento della polizia stradale di Rocca San Casciano rientrerebbe tra i presidi oggetto di soppressione a far tempo dal 1o gennaio 2017;
   risulta che tale previsioni non figurasse nelle bozze del piano dei presidi di polizia oggetto di chiusura;
   il distaccamento di Rocca San Casciano è ormai l'unico reparto di Polizia Stradale posizionato sulla strada statale 67 Tosco-Romagnola, dopo la chiusura del distaccamento di Borgo S. Lorenzo (Firenze);
   la strada statale 67 è un'arteria importante che collega tra loro quattro importanti città come Ravenna, Forlì, Firenze e Livorno. Quindi si lascerebbe sguarnita non solo l'intera valle del Montone ma anche una strada molto trafficata;
   al normale traffico si aggiunge anche il passaggio degli appassionati di motociclismo provenienti dalla Romagna e dalla Toscana che nei fine settimana raggiungono il passo del «muraglione» che è un valico dell'Appennino tosco-romagnolo attraversato dalla strada statale 67 Tosco-Romagnola. Si tratta di un luogo di ritrovo per gli appassionati ma anche una tappa del G.E.A. (grande escursione appenninica);
   nel solo anno 2015, gli agenti della polizia stradale di Rocca San Casciano hanno compiuto 692 soccorsi (di cui la metà sulla strada statale 67), il ritiro di 180 patenti, 45 carte di circolazione, 63 veicoli sequestrati o sottoposti a fermo;
   a questi numeri, sempre relativamente all'anno 2015, si aggiungono 103 persone denunciate (1 arresto), 109 incidenti rilevati di cui 3 mortali (nessuno sulla strada statale 67), 125 automobilisti colti in stato di ebbrezza e 11 drogati;
   va altresì notato che la polizia stradale di Rocca San Casciano nel corso del 2015 ha controllato 22 esercizi pubblici (molti nei luoghi montani) di cui 12 sanzionati perché non in regola e ha svolto funzioni di pattugliamento e controllo su tutto il territorio dell'Unione dei comuni della Romagna forlivese (15 comuni);
   il comune di Rocca San Casciano ha più volte manifestato la volontà di sostenere le spese per la nuova sede della polizia, mettendo a disposizione lo stabile dei vigili del fuoco. In questo modo non ci sarebbero ulteriori spese per il suo dicastero;
   sono previste altre chiusure nelle zone limitrofe come il distaccamento di Lugo e quello di Faenza (una città che circa 60.000 abitanti), per cui la chiusura del presidio di Rocca, inserita in questo contesto di chiusure già predisposte, produrrebbe un ulteriore peggioramento della sicurezza stradale dell'intera zona;
   risulta fortemente contrario il parere della prefettura di Forlì-Cesena rispetto all'ipotesi di chiusura;
   è unanime il dissenso rispetto all'ipotesi di chiusura del distaccamento da parte delle organizzazioni sociali, economiche e politiche –:
   se sia intenzione del Ministro, alla luce dell'attività svolta in questi anni dal distaccamento di polizia stradale di Rocca San Casciano, attivare tutte le iniziative necessarie al mantenimento del presidio, di primaria importanza per tutto il territorio forlivese;
   se non ritenga di dover tenere nella dovuta considerazione la disponibilità manifestata dal comune di Rocca San Casciano di concedere i locali attualmente occupati dalla locale sezione dei vigili del fuoco in procinto di trasferirsi in altra sede;
   quali iniziative di competenza il Ministero intenda attuare per accelerare la conclusione dei lavori di realizzazione della nuova sede dei vigili del fuoco di Rocca San Casciano, funzionale a salvaguardare il presidio di polizia stradale ubicato nello stesso comune. (5-07561)


   MARTELLA e MOGNATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   in data 26 dicembre 2015 nei pressi dell'aeroporto di Malpensa viene rubata una Audi modello Rs4 gialla, con motore Lamborghini e targa ticinese;
   in data 16 gennaio 2016, i residenti di un quartiere di Abano Terme, in provincia di Padova, chiamano i carabinieri segnalando tre persone sospette in zona a bordo proprio di un'Audi gialla;
   le forze dell'ordine la intercettano, ma alla richiesta di fermarsi nonostante lo sparo di alcuni colpi in aria gli occupanti accelerano e si dileguano;
   in data 21 gennaio 2016 l'auto in questione viene intercettata sull'Autostrada Venezia-Trieste in direzione del capoluogo del Friuli Venezia Giulia;
   la polizia tenta un blocco, ma nonostante lo sbarramento in entrambe le direzioni riescono ad aprirsi un varco e a percorrere un km di autostrada a marcia indietro ad altissima velocità;
   nei giorni seguenti l'auto viene segnalata sull'A4, all'altezza di San Donà di Piave, dove i tre si fermano ad una stazione di servizio per il rifornimento con le telecamere del circuito che inquadrano alcuni dei componenti della banda di malviventi;
   nel percorrere il passante di Mestre, trovano una coda per incidente e pur di non essere arrestati percorrono l'autostrada contromano ad altissima velocità per 5 chilometri abbattendo la sbarra del casello di Spinea il tutto sempre contromano;
   nel compiere questa manovra incrociano un furgone che si scoprirà trasportare illegalmente cuccioli di animali, che frena bruscamente e viene tamponato da un'altra autovettura alla cui guida vi è una donna russa che purtroppo muore sul colpo;
   in data 26 gennaio alcuni cittadini segnalano una esplosione e fiamme in una zona rurale nei pressi di un torrente, tra i comuni di One’ di Fonte ed Asolo nel trevigiano;
   si tratta di una vicenda che ha scosso l'opinione pubblica del Paese ed in particolare del nordest –:
   quali siano le iniziative che il Governo ha adottato per intensificare, per quanto di competenza, la ricerca di questi malviventi al fine di assicurarli il prima possibile alla giustizia e per evitare che possano rendersi responsabili di ulteriori episodi criminali. (5-07562)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   stando a quanto riporta la stampa locale, antagonisti riconducibili al Collettivo autonomo gardesano e al Magazzino 47 di Brescia occupano da oltre un mese abusivamente un immobile di proprietà pubblica a Rivoltella, frazione di Desenzano del Garda, che hanno recentemente ribattezzato Centro Sociale Zanzanù, in omaggio ad una figura storica del banditismo dell'Alto Garda, uomo vissuto tra il 1576 ed il 1617;
   in assenza di iniziative tese allo sgombero dell'immobile, che un tempo ospitava un noto ristorante, gli antagonisti starebbero apparentemente intensificando le proprie attività che comprendono, oltre a spettacoli e intrattenimenti vari, anche riunioni politiche volte ad espandere la militanza;
   il comune di Desenzano del Garda sta cercando da tempo di cedere la struttura ai privati, senza riuscire peraltro a trovare né acquirenti né gestori;
   l'eventuale prosecuzione dell'occupazione abusiva implica ovviamente un danno economico, essendo destinata a rendere ancora più impervio il reperimento di un acquirente o gestore per la struttura, già deterioratasi in seguito al prolungato abbandono –:
   quali iniziative, per quanto di competenza, il Governo intenda assumere sul piano dell'ordine pubblico e per restituire nella disponibilità del comune di Desenzano del Garda l'immobile occupato in cui è sorto il Centro Sociale Zanzanù, anche per facilitarne la cessione d'uso ai privati. (4-11830)


   BRATTI e PAOLA BOLDRINI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la corretta gestione dei cosiddetti cold-case, e cioè i casi che riguardano indagini originariamente senza esito su casi irrisolti di delitti contro la persona, che vengono riaperte a distanza di tempo e sulla base della emersione di nuovi elementi, assume grande rilevanza per diversi ordini di motivi, in particolare consente di affermare che le aree di impunità per i delitti contro la persona vengono combattute dallo Stato e limitate al minimo, rassicurando i familiari delle vittime e la comunità sulla risposta dello Stato a prescindere dal passare del tempo;
   l'originaria inefficacia delle indagini può essere dipesa da molti fattori, tra i quali anche eventuali errori nelle indagini ovvero dalla mancanza, all'epoca dei fatti, di strumenti investigativi adeguati;
   in ogni caso le indagini che si riaprono e vengono svolte a distanza di tempo dal fatto criminoso richiedono un investimento significativo in uomini e mezzi;
   sul versante giudiziario può essere decisivo un cambio di inquirente, come ha dimostrato il recente sviluppo delle indagini avocate dalla procura generale di Milano sull'omicidio di Lidia Macchi, avvenuto nel 1987; sul versante investigativo la possibilità di nuove analisi di tipo tecnico come quelle di recente disposte dalla procura di Roma sul decesso di uno degli autori del «massacro del Circeo», fatto risalente al 1975;
   il circondario di Ferrara è stato, negli anni, segnato da alcuni casi giudiziari che la locale procura della Repubblica è adesso in grado di fare oggetto di nuovo e utile interesse;
   una sentenza del giudice istruttore del 1990 aveva chiuso in maniera insoddisfacente le indagini sull'omicidio di Nicola Bonetti, avvenuto nel giugno del 1980: ora, dopo la morte di uno degli indagati del tempo, sono venuti alla luce nuovi elementi che sarà possibile sviluppare utilmente;
   si segnalano anche:
    l'omicidio del diciottenne Willy Branchi, ucciso a Goro il 29 settembre 1988: unico indagato Valeriano Forzato, pregiudicato che, cinque mesi dopo, sarà l'autore di quattro omicidi strage in un locale notturno di Bosco Mesola per poi sparire in Argentina e ed essere a sua volta ucciso in carcere; l'inchiesta, dopo il proscioglimento di Forzati (1991), venne archiviata; nel novembre 2014, anche grazie ad una inchiesta giornalistica l'indagine venne riaperta; dopo un anno il corpo della vittima venne riesumato, e si rimane, ad oggi, in attesa di conoscere gli sviluppi; il caso è stato oggetto di un'interrogazione parlamentare del primo firmatario del presente atto (interrogazione a risposta scritta 4-11356 del 2 dicembre 2015), in ordine a carenze investigative risalenti al 1996;
    l'omicidio, il 10 novembre 2000, di Viviana Manservisi, a Cento: la donna, sorella del patron del Carnevale d'Europa, venne assassinata con due colpi di revolver davanti alla sua azienda;
    l'omicidio, a Boccaleone di Argenta, il 4 maggio 2004, di una novantenne e la sua badante polacca, uccise a coltellate; fu indagato il figlio dell'anziana poi archiviato, si indagò anche in Polonia ma senza risultati;
   l'efficacia delle indagini in materia di casi irrisolti è condizionata alla disponibilità di risorse investigative quantitativamente e qualitativamente adeguate –:
   quale sia l'organizzazione prevista dei reparti specializzati centrali delle forze di polizia di fronte all'atteso aumento di questo tipo di indagini;
   quali siano le modifiche previste, per i medesimi motivi, in merito all'organizzazione e alle dotazioni qualitative e quantitative di personale in sede territoriale e per le sezioni di polizia giudiziaria delle procure della Repubblica, e i rapporti funzionali con i reparti specializzati centrali;
   se il Governo, in relazione a quanto esposto in premessa, intenda fornire in tempi brevi al circondario di Ferrara risorse aggiuntive, anche in termini di personale, alla polizia giudiziaria, al fine di affrontare efficacemente le indagini investigative su importanti casi ancora irrisolti. (4-11840)


   SORIAL. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo fonti di stampa, il 18 gennaio 2016 a Brescia, la polizia ferroviaria avrebbe sequestrato le coperte a quattro clochard, tre italiani e uno straniero, per attuare «misure di sicurezza», e ciò, nonostante le temperature pericolosamente basse registrate in questi giorni che mettono a rischio la vita stessa dei senza tetto;
   il fatto, denunciato dai volontari dell'associazione «Good Guys» su Facebook, è stato confermato dalla Polfer stessa che ha spiegato di aver «eseguito gli ordini di Questura e Prefettura», nel prelevare e buttare in discarica le coperte di quattro senzatetto «stanziali» all'uscita secondaria della stazione di Brescia;
   la polizia avrebbe prelevato borse, coperte e stracci nonostante avesse capito «che il materiale fosse dei senzatetto», perché «le misure di sicurezza si sono alzate», e quindi, come dichiarato dal comandante della polizia ferroviaria di Brescia Renato Bertulli, «tutti gli oggetti abbandonati vanno rimossi, anche le coperte e i vestiti dei clochard»;
   secondo l'accusa lanciata dai «Good Guys», volontari che assistono i clochard della stazione, «a Brescia si salvaguarda il decoro anziché la vita»;
   se il gesto di prelevare e buttare le coperte e le borse dei clochard poteva essere attribuito alla paura del terrorismo, non trova nessuna possibile motivazione di sicurezza pubblica quanto accaduto la sera del giorno dopo, martedì 19 gennaio 2016, quando la Polfer avrebbe anche cercato di allontanare i clochard dal portico della stazione, anche se, dopo varie implorazioni gli agenti hanno poi desistito;
   in questi giorni un'ondata di gelo sta interessando il Paese, portando le temperature molti gradi sotto lo zero: il freddo è arrivato in Italia e resterà nella Penisola per tutta la settimana, tanto che la Protezione Civile ha lanciato una nuova allerta meteo per neve e forti venti;
   il freddo per chi vive in strada può essere letale: proprio in questi giorni le temperature molto basse hanno causato la morte di due clochard, uno tra i 60 e i 70 anni a Napoli, e uno a Roma, trovato morto in una baracca lungo via Cassia Nuova, deceduto, secondo i primi accertamenti, proprio per la bassa temperatura della notte prima –:
   se il Ministro interrogato sia al corrente di quanto esposto in premessa e quale sia il suo orientamento in proposito; 
   se il Ministro interrogato non consideri necessario chiarire quanto accaduto per appurare la responsabilità di queste azioni che hanno messo in pericolo di vita ben quattro persone e se non intenda, altresì, attivarsi, per quanto di competenza, per evitare che quello che l'interrogante giudica un gesto di intolleranza e indifferenza nei confronti della vita umana possa ripetersi;
   in che modo si stia gestendo il problema dell'emergenza freddo e dei rischi ad esso connesso per i «senza tetto».
(4-11841)


   STELLA BIANCHI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 25 gennaio 2016 gli agenti del gruppo sicurezza pubblica emergenziale del corpo di polizia Roma Capitale, diretti dal comandante Antonio Di Maggio, hanno posto sotto sequestro l'intera area del sottosuolo del Parco di Tor Fiscale, un'oasi verde della capitale, inserita nel parco regionale dell'Appia antica;
   il sottosuolo del parco pubblico, di notevole interesse storico-culturale per la presenza di antiche catacombe risalenti al II secolo dopo Cristo, era stato trasformato nel corso degli anni in una immensa discarica abusiva. Dai primi rilievi effettuati è emerso infatti che la rete di cunicoli e gallerie che corre sotto il parco sia stata utilizzata da alcune aziende operanti nella zona per smaltire i rifiuti delle proprie attività. Oltre a cumuli di calcinacci e montagne di materiale da risulta sono stati rinvenuti rifiuti pericolosi di varia natura;
   all'interno delle gallerie più profonde del sito archeologico, inoltre, è stato scoperto un vero e proprio lago composto da materiale oleoso che, da una prima analisi dei tecnici dell'Arpa, sembra essere esteso per circa 200 metri quadrati e profondo 40 centimetri, che quantificherebbe il volume della sostanza di circa 800 metri cubi; le dimensioni lasciano pensare che l'area sia stata sfruttata per molto tempo per sversare e nascondere oli esausti di derivazione industriale;
   a causa della profondità delle gallerie in quel punto non è stato possibile definire la corrispondenza in superficie della contaminazione e per questo dovranno essere effettuati altri esami per capire l'estensione reale del deposito e se questo possa, in qualche modo, aver inquinato le falde acquifere della zona –:
   quali iniziative di competenza si intendano assumere, anche per il tramite del commissario straordinario per la provvisoria gestione di Roma capitale, per avviare e portare a compimento in modo tempestivo i necessari accertamenti per verificare lo stato del luogo e quindi le conseguenze in termini di inquinamento, di impatto ambientale e di danni alla salute pubblica prodotti dalla discarica abusiva;
   quali iniziative il Governo intenda assumere per promuovere lo svolgimento di un monitoraggio delle aree archeologiche circostanti che compongono il Parco dell'Appia antica per verificare l'eventuale presenza di situazioni simili, nelle more che siano avviate dalle istituzioni competenti le bonifiche necessarie nell'area interessata. (4-11852)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TONINELLI, MARZANA e LUIGI GALLO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della salute, al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione. — Per sapere – premesso che:
   il XII Rapporto su sicurezza, qualità ed accessibilità a scuola dell'associazione «Cittadinanzattiva» del 2015, evidenzia notevoli carenze in merito a manutenzione degli edifici scolasti: il 39 per cento delle scuole ha uno stato di Manutenzione mediocre o pessimo, una scuola su cinque (21 per cento) presenta lesioni strutturali per lo più sulla facciata esterna (41 per cento); il 38 per cento dei corridoi, il 27 per cento delle palestre e il 15 per cento delle aule presenta distacchi di intonaco o segni di fatiscenza. Di fronte alla richiesta di piccoli lavori di manutenzione strutturale, nel 12 per cento dei casi, l'ente proprietario non è mai intervenuto e nel 21 per cento è intervenuto con molto ritardo. Nel caso di richiesta di lavori di manutenzione strutturale, ben più lunghi e onerosi, in ben il 45 per cento delle situazioni, l'ente non è intervenuto. Nel solo periodo intercorrente dal settembre 2014 all'agosto 2015 di riferisce nel rapporto sono stati contati 45 casi di crolli in scuole di ogni ordine e grado;
   il decreto legislativo 19 settembre 1994, n. 626 dava attuazione ad otto direttive europee riguardanti il miglioramento della sicurezza e della salute dei lavoratori sul luogo di lavoro, tra cui la direttiva quadro 89/391/CEE, mai pienamente recepite nella nostra legislazione, nonostante il lungo periodo di tempo intercorso e i richiami e le sanzioni dell'Unione europea;
   il decreto legislativo disciplinava le misure per la tutela della salute e per la sicurezza dei lavoratori durante il lavoro, indistintamente per il settore pubblico e privato, disponendo, all'articolo 1, che «nei riguardi [...] degli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado [...], le norme del presente decreto sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato, individuate con decreto del Ministro competente di concerto con i Ministri del lavoro e della previdenza sociale, della sanità e della funzione pubblica»;
   il 19 marzo 1996, con il decreto legislativo n. 242 del 1996, fu introdotto all'interno del citato decreto legislativo n. 626 del 1994, all'articolo 4, il comma 12, che stabilisce che «gli obblighi relativi agli interventi strutturali e di manutenzione necessari per assicurare, ai sensi del presente decreto, la sicurezza dei locali e degli uffici assegnati in uso alle pubbliche amministrazioni o ai pubblici uffici, ivi comprese le istituzioni scolastiche ed educative, restano a carico dell'amministrazione tenuta, per effetto di norme o convenzioni, alla loro fornitura e manutenzione. In tal caso gli obblighi previsti dal presente decreto, relativamente ai predetti interventi, si intendono assolti, da parte dei dirigenti o funzionari preposti agli uffici interessati, con la richiesta del loro adempimento all'amministrazione competente o al soggetto che ne ha l'obbligo giuridico»;
   il mondo della scuola, che aveva da subito espresso la sua impreparazione a reperire i principi base della normativa, manifestò ulteriori perplessità alla lettura del decreto ministeriale 21 giugno 1996 n. 292 che individuava quale datore di lavoro nelle istituzioni scolastiche ed educative statali i capi delle istituzioni medesime;
   il decreto ministeriale 29 settembre 1998 n. 382 non ha fatto chiarezza secondo gli interroganti, sui punti chiave della distinzione delle responsabilità dell'ente tenuto a mettere a disposizione locali e impianti salubri e sicuri e soggetti alle necessarie manutenzioni ordinarie e straordinarie, e delle responsabilità dell'istituzione scolastica e del dirigente scolastico chiamato ad organizzare in quei locali tutte le attività richieste per l'attività didattica. In particolare, in quel decreto mancava l'importante e necessaria chiarezza relativa all'unico documento di valutazione dei rischi, relativamente a quel particolare luogo di lavoro che è la scuola;
   il decreto legislativo n. 81 del 2008, recante il testo unico in materia di salute e sicurezza sul lavoro, ha riportato integralmente il succitato comma 12 dell'articolo 4 del decreto legislativo n. 626 del 1994 inserendolo tra gli obblighi del datore di lavoro e del dirigente (all'articolo 18, comma 3); esso non è intervenuto, tuttavia, sulla questione controversa evidenziata, in particolare sul documento di valutazione dei rischi e sull'operatività del responsabile del servizio di prevenzione e protezione nei locali e negli uffici assegnati in uso a pubbliche amministrazioni o a pubblici uffici, in particolare per le istituzioni scolastiche ed educative statali. Ciò ha condotto a casi quali le condanne di tre docenti che erano responsabili del Servizio di Prevenzione e Protezione nell'istituto Darwin di Tivoli (Torino), ritenuti praticamente responsabili del crollo, avvenuto nel 2008, che ha causato la morte di uno studente ed il ferimento grave di un altro;
   il cosiddetto decreto del fare», convertito dalla legge 9 agosto 2013, n. 98 ha approvato modifiche all'articolo 31, comma 1, del decreto legislativo 81 del 2008, disponendo che il servizio di prevenzione e protezione debba essere organizzato dal datore di lavoro prioritariamente all’«interno» dell'azienda;
   il ministero del lavoro interpellato (interpello n. 24/2014) da Confcommercio sulla questione alla domanda «se il RSPP debba necessariamente essere un dipendente del datore di lavoro oppure possa essere anche un professionista in possesso dei requisiti», risponde che «il termine “interno” non può intendersi equivalente alla definizione di dipendente ma deve, essere sostanzialmente riferito a un lavoratore che assicuri una presenza adeguata per lo svolgimento della propria attività». Le modifiche introdotte dal «decreto del fare» e le considerazioni dell'interpellanza ripropongono quindi con urgenza il tema della specificità delle scuole in ordine alla gestione della sicurezza, soprattutto perché le scuole si muovono ancora, dopo vent'anni, in ordine sparso con errori molto rischiosi oppure incaricando responsabili del servizio di prevenzione e protezione esterni, senza considerare che la responsabilità resta comunque in capo al dirigente scolastico, non essendo possibile per il professionista esterno garantire un'adeguata presenza per lo svolgimento dell'attività assegnata; il responsabile del servizio di prevenzione e protezione, incaricato dagli istituti scolastici per stilare documento di valutazione dei rischi lavorativi presenti nelle scuole, opera quindi spesso in supplenza del proprietario dei locali, con un inutile impiego di risorse scolastiche e la sua attività si prefigura rischiosa proprio in carenza del decreto applicativo interministeriale ancora da emanare;
   a questo proposito giova rilevare come, nei primi anni 2000, in Emilia Romagna, abbia operato un gruppo di lavoro, il gruppo tecnico «Sicurezza», operante presso l'ufficio scolastico regionale di Bologna, composto dall'ispettore Giancarlo Cerini, dai presidi Andrea Bighi di Ferrara e Bruno Sozzi di Piacenza, dal professor Tonino Proietti, in rappresentanza del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, dall'architetto Andrea Vittuari, docente e riferimento per le scuole di Bologna e dall'ingegner Carlo Veronesi e p.i. Lia Gallinari dell'Azienda sanitaria locale di Reggio Emilia. Questo gruppo di lavoro, su incarico del Ministero dell'istruzione, ha predisposto un pacchetto formativo multimediale per la formazione dei dirigenti scolastici e collaboratori, al fine di facilitare l'applicazione nelle scuole del decreto legislativo n. 626 del 1994 in tema di sicurezza e salute sul lavoro. Il prodotto era stato commissionato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca e poi venne messo in rete sulla piattaforma TRAMPI del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca stesso. Negli anni successivi il prodotto di questo lavoro ha circolato sulla piattaforma ministeriale TRAMPI;
   a seguito dell'approvazione dei citato decreto legislativo n. 81 del 2008, con lettera del 12 febbraio 2013, prot. 969/C12 Vanna Maria Monducci, preside dell'istituto comprensivo «Dozza Imolese» comunicava l'avvenuto incarico del Miur ai componenti del gruppo per la revisione/rielaborazione del pacchetto multimediale, a seguito dell'approvazione del decreto legislativo n. 81 del 2008; il gruppo di lavoro veniva nel contempo integrato dall'avvocato Laura Paolucci dell'avvocatura Distrettuale dello Stato di Bologna e da alcuni docenti dell'università di Modena-Reggio Emilia per l'attento esame e per la trattazione di alcune tematiche specifiche. Il prodotto di questo lavoro avrebbe dovuto essere utilizzato per uniformare l'applicazione del testo unico sulla salute e sicurezza in ambito lavorativo nelle scuole italiane;
   ad oggi, sono passati quasi 3 anni dalla consegna del prodotto; i componenti del gruppo tecnico sono peraltro stati appositamente remunerati per il lavoro svolto, ma dello stesso si è perso traccia –:
   quali siano i motivi della mancata emanazione del decreto interministeriale applicativo dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 81 del 2008, atteso dall'aprile 2010, per la parte in cui prevede che in relazione agli istituti di istruzione ed educazione di ogni ordine e grado, le norme sono applicate tenendo conto delle particolari esigenze connesse al servizio espletato e alle peculiarità organizzative, individuate con un apposito decreto ministeriale anche tenuto conto dell'affidamento del lavoro propedeutico alla sua adozione di un apposito gruppo di lavoro tecnico, incaricato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca scientifica;
   quali eventuali diverse iniziative i Ministri interrogati abbiano assunto o intendano assumere relativamente alla questione delle valutazioni della sicurezza e dei rischi nelle scuole per quanto riguarda la ripartizione di competenze e responsabilità, rispettivamente, in capo ai titolari della proprietà dell'edificio (strutture, impianti fissi, presidi antincendio) e ai dirigenti scolastici, alla luce della prassi sviluppatasi in tale ambito e delle criticità connesse alla realizzazione del documento di valutazione dei rischi lavorativi di cui in premessa;
   se il lavoro del gruppo tecnico incaricato dal Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca in premessa sia attualmente disponibile e se, a fronte della spesa occorsa per la sua realizzazione, ne sia previsto l'utilizzo e la diffusione presso gli istituti scolastici.   (5-07556)


   CHIMIENTI, VACCA, LUIGI GALLO, BRESCIA, D'UVA, SIMONE VALENTE, DI BENEDETTO e MARZANA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   nella sezione «Tasse scolastiche e contributo scolastico: pagamenti, esoneri e rimborsi» del sito internet dell'ufficio relazioni con il pubblico del Ministero dell'istruzione dell'università e della ricerca viene spiegato cosa si intenda per contributo scolastico volontario;
   si legge: «In ragione dei principi di obbligatorietà e di gratuità, non è consentito richiedere alle famiglie contributi obbligatori di qualsiasi genere o natura per l'espletamento delle attività curriculari e di quelle connesse all'assolvimento dell'obbligo scolastico (fotocopie, materiale didattico o altro), fatti salvi i rimborsi delle spese sostenute per conto delle famiglie medesime (quali ad esempio: assicurazione individuale degli studenti per RC e infortuni, libretto delle assenze, gite scolastiche, etc.). Eventuali contributi possono dunque essere richiesti solo ed esclusivamente quali contribuzioni volontarie con cui le famiglie, con spirito collaborativo e nella massima trasparenza, partecipano al miglioramento e all'ampliamento dell'offerta formativa degli alunni, per raggiungere livelli qualitativi più elevati. È pertanto illegittimo, e si configura come una violazione del dovere d'ufficio, subordinare l'iscrizione degli alunni al preventivo versamento del contributo»;
   nonostante venga definito come illegittima l'iscrizione degli alunni ad istituti scolastici previo versamento di un contributo e nonostante il comma 622 della legge 296 del 2006, intervenendo nuovamente sul tema dell'obbligo di istruzione della durata di dieci anni, stabilisca che: «resta fermo il regime di gratuità ai sensi degli articoli 28, comma 1, e 30, comma 2, secondo periodo, del decreto legislativo 17 ottobre 2005, numero 226», il contributo volontario, a quanto risulta agli interroganti, viene richiesto obbligatoriamente all'atto dell'iscrizione, con un importo che oscilla tra i 20 euro e i 200 euro;
   nel parere dell'ufficio scolastico regionale dell'Emilia Romagna del 6 aprile 2005, protocollato con il numero 3928/e25, si legge che il testo unico deve essere considerato l'unico riferimento per la disciplina delle tasse scolastiche. Pertanto, il pagamento delle tasse scolastiche erariali rappresenta la sola condizione indispensabile per la regolarità dell'iscrizione e della frequenza degli alunni appartenenti al segmento di istruzione non obbligatoria;
   anche la cosiddetta circolare Stellacci, firmata dall'allora capo dipartimento il 7 marzo 2013, ricordando il principio dell'obbligatorietà e gratuità dell'istruzione previsto dall'articolo 34 della Costituzione, specifica che: «Nessuna ulteriore capacità impositiva viene riconosciuta dall'ordinamento a favore delle istituzioni scolastiche, pur potendo deliberare la richiesta alle famiglie di contributi di natura volontaria, che non trovano però in nessuna norma la fonte di un vero e proprio potere di imposizione che legittimi la pretesa di un versamento obbligatorio di tali contributi»;
   allo stato attuale, moltissimi istituti scolastici pretendono, a quanto risulta agli interroganti, un versamento obbligatorio da parte delle famiglie, minacciando in caso contrario di non rilasciare il libretto delle giustificazioni o di non far partecipare gli studenti alle attività di laboratorio eccetera;
   in un articolo del quotidiano « Corriere della Sera», pubblicato in data 24 marzo 2014, vengono elencati diversi casi di istituti in cui i contributi volontari vengono richiesti, obbligatoriamente, anche per le attività connesse all'assolvimento dell'obbligo scolastico come le fotocopie;
   il caso più eclatante è quello dell'Istituto di Istruzione Superiore «Fermi – Galilei» di Ciriè, in provincia di Torino, il quale mediante la circolare numero A123/15 del 15 gennaio 2016 avvisa che non saranno autorizzati i viaggi di istruzione e le uscite di più giorni, per i quali le famiglie devono versare un contributo con espressa indicazione in causale del viaggio, per le classi per le quali non risulti regolare il versamento del contributo scolastico;
   la vicenda dell'istituto scolastico piemontese è stata anche oggetto di un articolo, pubblicato il 26 gennaio 2016 sul quotidiano del Piemonte « La Voce»;
   con l'esplicita richiesta sia del contributo scolastico, sia dei contributo per le gite scolastiche, oltre ad infrangere tutte le suddette norme si rischia di non far partecipare ai viaggi di istruzione anche gli studenti in «regola» con i contributi volontari;
   per i viaggi di istruzione, che rientrano tra le attività integrative della scuola, il consiglio di istituto è chiamato non solo a selezionare le offerte ma anche, e prima ancora, a stabilire i criteri generali per la programmazione del attuazione del viaggio tenendo conto delle disponibilità finanziarie dell'istituto;
   infatti, all'articolo 5 della circolare ministeriale n. 291 del 1992 si subordina la realizzazione dei viaggi d'istruzione stabilendo che: «l'istituzione scolastica sia fornita di fondi sufficienti, tenuto conto che non possono essere chieste alle famiglie degli alunni quote di compartecipazione di rilevante entità, o comunque, di entità tale da determinare situazioni discriminatorie che vanificherebbero, oltre tutto, la stessa natura e finalità dei viaggi d'istruzione»;
   all'articolo 9 della succitata circolare, inoltre, si precisa che: «qualsiasi condizione di favore disposta dalle agenzie di viaggio e contenuta nel contratto (ad esempio il posto gratuito) deve essere destinata agli alunni mediante riduzioni della relativa quota di partecipazione o, meglio, la messa a disposizione del posto a favore dei più bisognosi» –:
   quali urgenti iniziative intenda intraprendere il Ministro interrogato nei confronti dell'istituto «Fermi – Galilei» di Ciriè, di cui in premessa, e nei confronti di tutti gli istituti scolastici che continuano ad esigere come obbligatorio il contributo volontario. (5-07571)

Interrogazione a risposta scritta:


   BRESCIA, DE LORENZIS, D'UVA, CARIELLO e VACCA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   da notizia di stampa pubblicata sul quotidiano online Taranto Buonasera in data 22 gennaio 2016 si apprende di una lettera datata 20 gennaio 2016 e indirizzata al Presidente del Consiglio, al prefetto, ai parlamentari e al presidente della regione Puglia, Michele Emiliano, nella quale diversi dirigenti scolastici e alcuni segretari provinciali di varie sigle sindacali della provincia di Taranto denunciano la mancata erogazione per l'anno scolastico 2015/2016 dei finanziamenti provinciali destinati a sostenere gli Istituti scolastici di secondo grado nelle spese generali;
   nella lettera si legge che fino al 2014 gli Istituti di istruzione di secondo grado amministrati dall'ente provincia di Taranto hanno beneficiato di finanziamenti destinati al pagamento delle forniture elettriche, idriche e del riscaldamento, delle spese di manutenzione straordinaria e di quelle d'ufficio, tra cui quelle telefoniche, di cancelleria e di materiale per la pulizia dei locali;
   tali finanziamenti sono stati erogati in base a quanto stabilito dalla legge «Norme per l'edilizia scolastica» dell'Il gennaio 1996, n. 23, che all'articolo 3, comma 1, lettera b), affida alle province il compito di provvedere alla realizzazione, alla fornitura e alla manutenzione ordinaria e straordinaria di istituti e scuole di istruzione secondaria superiore;
   al comma 2 della stessa legge, si precisa che «in relazione agli obblighi per essi stabiliti dal comma 1, i comuni e le province provvedono altresì alle spese varie di ufficio e per l'arredamento e a quelle per le utenze elettriche e telefoniche, per la provvista dell'acqua e del gas, per il riscaldamento ed ai relativi impianti»;
   nonostante ciò, a partire dall'anno 2015 nella provincia di Taranto è stata interrotta l'erogazione di tali finanziamenti che, poiché essenziali al fine di consentire il minimo funzionamento e il decoro degli Istituti scolastici amministrati dall'Ente Provincia, hanno portato a un abbassamento del livello di qualità e dei servizi generali delle scuole, in più casi costrette a fare appello alla contribuzione volontaria delle famiglie, sottratta quindi all'ampliamento dell'offerta formativa per la quale sono in realtà preposti;
   denunciando come improprio il disimpegno della provincia dai suoi obblighi vigenti verso gli Istituti scolastici di secondo grado, i dirigenti scolastici e i segretari provinciali sottolineano quanto tutto ciò vada a discapito innanzitutto degli studenti, sui quali si ripercuotono direttamente le conseguenze della mancata erogazione dei finanziamenti, di cui la manifestazione più evidente è l'insufficiente fornitura del gasolio per il riscaldamento degli edifici scolastici;
   sarebbe necessario valutare quanto finora esposto alla luce della cosiddetta legge Delrio (legge 7 aprile 2014, n. 56), che ha trasformato le province italiane in enti di secondo livello e, al comma 85, lettera e), ha sancito che l'edilizia scolastica fosse inclusa tra le funzioni fondamentali esercitate dai nuovi enti provincia;
   per esercitare tale funzione è chiaro che questi nuovi enti dovrebbero tutti essere dotati di risorse adeguate. Considerando, però, che il caso esposto in premessa sembra essersi presentato in più province italiane nel gennaio 2016, ad esempio a Palermo (si veda articolo su Repubblica.itPalermo, 21 gennaio 2016), sembra del tutto fondato il timore che ai nuovi enti provincia non siano state attribuite le risorse necessarie per adempiere ai propri compiti –:
   se intenda verificare i fatti esposti in premessa;
   se ritenga opportuno assumere iniziative per quanto di competenza, al fine di accertare le ragioni per cui non siano stati erogati per l'anno scolastico 2015/2016 i finanziamenti destinati agli Istituti scolastici di secondo grado dipendenti dalla provincia di Taranto e se in merito a ciò sia stata data o meno comunicazione alle scuole interessate;
   se intenda adottare iniziative, qualora gli enti provincia non fossero mai stati in possesso dei fondi necessari, che consentano ad ogni ente provincia di acquisire le risorse utili per ottemperare, così come stabilito dalla stessa «legge Delrio», alle funzioni fondamentali tra cui l'edilizia scolastica;
   se e attraverso quali iniziative di competenza intenda agevolare nell'immediato la risoluzione del problema più grave dovuto alla mancata erogazione di fondi agli istituti scolastici di secondo grado da parte di alcune province italiane, ovvero l'insufficiente fornitura di gasolio per il riscaldamento delle strutture, con conseguente protesta da parte degli studenti che, in alcuni casi, ha portato alla sospensione delle lezioni. (4-11846)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   GNECCHI, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GRIBAUDO, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, SIMONI e ZAPPULLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'articolo 1, commi da 239 a 246, della legge 228 del 2012 è stato introdotto l’ istituto del cumulo con il quale è possibile cumulare senza alcun onere, i contributi versati da lavoratori e lavoratrici in almeno due gestioni previdenziali; i periodi di contribuzione non devono essere coincidenti e il richiedente, non deve aver maturato il diritto autonomo a pensione, venti anni di contributi, in una delle gestioni previdenziali;
   la facoltà di cumulare i contributi è stata purtroppo prevista solo per l'accesso alla pensione di vecchiaia, con il limite sopra evidenziato, non per la pensione anticipata e la decorrenza del trattamento pensionistico non può avere decorrenza anteriore al 1o gennaio 2013;
   a copertura degli oneri furono previsti dalla legge di stabilità 2013 di cui sopra, 899 milioni di euro per il periodo 2013-2022 –:
   quante siano state le pensioni liquidate in regime di cumulo (VO/CUM; SO/CUM; IO/CUM), in base alla norma sopra richiamata, negli anni 2013-2014 e 2015, suddivise per sesso e importo medio di pensione. (5-07563)


   GNECCHI, ALBANELLA, BARUFFI, BOCCUZZI, CASELLATO, CINZIA MARIA FONTANA, GIACOBBE, GRIBAUDO, INCERTI, PATRIZIA MAESTRI, MICCOLI, PARIS, GIORGIO PICCOLO, SIMONI, ZAPPULLA e PILOZZI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   con l'atto di sindacato ispettivo n. 5-06265 è stato richiesto al Ministero del lavoro quanti sono i lavoratori suddivisi per sesso, inseriti in mobilità a seguito di accordi stipulati in sede governativa o non governativa entro il 31 dicembre 2011 e che matureranno i previgenti requisiti pensionistici entro due ovvero tre anni dalla fine del periodo di mobilità;
   in data 17 settembre 2015, il sottosegretario delegato ha fornito la seguente risposta: «Per quanto concerne lo specifico quesito posto nel presente atto parlamentare rappresento che sono circa 158 mila i lavoratori interessati da accordi governativi, sottoscritti tra il 2008 ed il 2011, che prevedono la mobilità non oppositiva finalizzata al raggiungimento dei requisiti pensionistici. Da ultimo rappresento che l'INPS, specificatamente interessato della questione, ha reso noto che sono in via di completamento le ulteriori analisi dei dati in possesso dell'istituto, peraltro particolarmente complesse e laboriose, al fine di fornire in maniera più dettagliata le informazioni richieste»;
   dal 17 settembre 2015 ad oggi, l'Inps non ha tuttora fornito in maniera più dettagliata le informazioni richieste, nonostante siano trascorsi oltre quattro mesi dalla risposta all'interrogazione;
   come richiamato nelle premesse dell'atto di sindacato ispettivo n. 5-06265 a seguito dell'approvazione del decreto-legge 6 dicembre 2011, n. 201 («manovra salva Italia»), sono pervenute a getto continuo segnalazioni di accordi individuali o collettivi, sottoscritti in sede governativa o in sede territoriale, perfezionati in data anche di molto antecedente al 31 dicembre 2011, che presentavano condizioni particolari e che la manovra «salva Italia» del dicembre 2011, non ha assolutamente considerato, lasciando i lavoratori anziani espulsi dal mercato del lavoro, senza alcuna forma di reddito e senza la possibilità di accedere alla pensione;
   si ribadisce quindi la necessità di individuare questa platea di soggetti, fino ad oggi non quantificati e di conseguenza considerati che attendono di capire quale potrà essere il loro destino, considerando che già con i provvedimenti in vigore, sono ammessi alla salvaguardia i lavoratori che maturano i previgenti requisiti entro un anno dalla fine della mobilità –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di assumere iniziative affinché l'Istituto fornisca in maniera più dettagliata le informazioni richieste, così come espressamente dichiarato in sede di risposta all'atto di sindacato ispettivo sopra richiamato. (5-07569)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ANDREA MAESTRI, ARTINI, BALDASSARRE, BECHIS, BRIGNONE, CIVATI, MATARRELLI, PASTORINO, SEGONI e TURCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   secondo i dati elaborati dall'osservatorio sicurezza sul lavoro Vega Engineering di Mestre, sulla base dei recentissimi dati pubblicati dall'Inail nella sezione statistica Open Data, sono 1172 le vittime registrate sul lavoro da gennaio a dicembre 2015, 1072 uomini e 100 donne, fra questi 138 lavoratori sono stranieri (il 15,7 per cento del totale). Un'inquietante media di 98 infortuni mortali al mese (24 alla settimana e più di tre al giorno);
   lo scenario diventa ancor più drammatico nel confronto con il 2014, perché l'incremento della mortalità registrato è del 16 per cento (163 morti in più); ed arriva al per cento l'aumento dei decessi nella rilevazione degli incidenti mortali avvenuti in occasione di lavoro (erano 746 nel 2014 e 878 nel 2015). Mentre quelli in itinere sono passati da 263 a 294 (+12 per cento);
   è la Lombardia ad indossare la maglia nera con il più elevato numero di vittime in occasione di lavoro (124 decessi); seguono: la Campania (87), la Toscana (79), il Lazio (76), il Veneto (71); l'Emilia Romagna (69), il Piemonte (66), la Sicilia (62), la Puglia (57). E poi ancora: le Marche (29), l'Abruzzo (28), l'Umbria (22), la Calabria (21), il Trentino Alto Adige e la Liguria (19), il Friuli Venezia Giulia (15), la Sardegna (12), il Molise e la Basilicata (11). Mentre l'indice di rischio più elevato rispetto alla popolazione lavorativa viene registrato in Molise (110,6) contro una media nazionale di 39,2. Seguono Umbria (61,4) e Basilicata (61,1);
   il settore più colpito dalle morti sul lavoro è quello delle costruzioni con 132 vittime pari al 15 per cento del totale degli infortuni mortali sul lavoro. Seguito dalle attività manifatturiere (109 decessi) e dal trasporto e magazzinaggio (91). Più della metà delle vittime rilevate in occasione di lavoro aveva un'età compresa tra i 45 e i 64 anni (485 morti);
   secondo l'Osservatorio indipendente di Bologna, che è attualmente l'unico in Italia a monitorare tutti i morti per infortuni sul lavoro, nessuno escluso e indipendentemente dal lavoro che svolge la vittima, o che disponga o meno di un'assicurazione, i morti per infortuni sui luoghi di lavoro non sono mai stati così tanti da quando il 1o gennaio 2008 è stato aperto l'osservatorio;
   infatti, dai dati a disposizione dell'Osservatorio indipendente di Bologna alla data del 15 settembre, dall'inizio dell'anno ammontava a 478 il numero dei morti per infortuni sui luoghi di lavoro. Erano 457 il 15 settembre del 2014 (+4,6 per cento), 437 lo stesso giorno del 2008 (+8,6 per cento). In questi anni nessun calo i semmai aumenti proporzionati all'enorme numero di lavoratori che ha perso il lavoro da quell'anno. I morti si sono solo trasferiti da categorie protette ad altre che non lo sono o che hanno un'assicurazione diversa dall'Inail;
   anche l'Anmil (Associazione nazionale fra lavoratori mutilati e invalidi del lavoro) si è espressa sui dati dell'Inail, aggiornati al periodo gennaio-novembre, dichiarando che, anche se negli undici mesi del 2015 il numero complessivo degli infortuni sul lavoro risulta in calo di circa 24.000 unità rispetto ai primi undici mesi del 2014 (582.500 nel 2015 contro i 606.500 circa del 2014, il 4 per cento in meno), è preoccupante la crescita delle morti per incidenti sul lavoro;
   per quanto riguarda le malattie professionali, prosegue l'Anmil, negli undici mesi del 2015 risulta che sono state notificate 54.372 denunce contro le 52.892 dello stesso periodo del 2014, con un incremento del 2,8 per cento: «sembra pertanto rallentare la corsa ininterrotta alla denuncia di patologie professionali iniziata dal 2008 a ritmi elevatissimi. A partire da quell'anno ad oggi, infatti, si è registrato un aumento di oltre 1'80 per cento delle denunce: quasi 25.000 in più nel giro di pochi anni». Alla base di questa crescita vorticosa sono le patologie muscolo-scheletriche che anche nel 2015 sono aumentate in misura molto superiore alla media, passando dalle 30.500 circa del periodo gennaio-novembre 2014 alle 32.300 dello stesso periodo 2015 con un incremento di quasi 2.000 unità corrispondente al 5,7 per cento in più. Per le malattie professionali «tradizionali» più diffuse si registra, invece, una sostanziale stabilità o diminuzioni molto contenute;
   è doveroso ricordare, inoltre, che l'indice occupazionale non ha nessun valore statistico, a morire sono soprattutto lavoratori atipici, in nero, partite iva e agricoltori;
   diventa sempre più indispensabile invocare controlli più diffusi e severi e, senza alcun dubbio, pene certe e processi più veloci per gli evasori della sicurezza sul lavoro;
   a seguito di questi drammatici dati è bene considerare una delle novità contenute in uno dei decreti correlati all'attuazione del « Jobs Act» (legge 10 dicembre 2014, n. 183), che riguarda l'abrogazione del registro infortuni, un documento riepilogativo finalizzato a fornire dati sull'andamento del fenomeno infortunistico all'interno delle imprese, per la prevenzione e la vigilanza;
   l'abrogazione sarebbe dovuta avvenire a seguito dell'istituzione del SINP, il sistema informativo nazionale per la prevenzione e malattie professionali;
   il SINP, previsto dall'articolo 8 del decreto legislativo 81 del 2008, è stato costituito dai Ministeri del lavoro e della salute, dell'interno, dalle regioni e province autonome di Trento e Bolzano, Inail, Ipsema, Ispesl, con il supporto del Cnel e il contributo di organismi paritetici e istituti di settore. Un apposito decreto interministeriale (da emanare entro 180 giorni dall'entrata in vigore del decreto legislativo 81 del 2008) ne avrebbe dovuto disciplinare l'attuazione con le disposizioni tecniche per la realizzazione, il funzionamento, il trattamento dei dati, le modalità di coinvolgimento delle forze armate e di polizia;
   il SINP, purtroppo, rappresenta ad oggi una delle principali carenze della nostra normativa: il decreto interministeriale, dal 2008, non è mai stato emanato;
   obiettivo del SINP sarebbe dovuto essere quello di fornire dati per indirizzare, organizzare, stabilire e valutare l'efficacia delle attività di prevenzione degli infortuni e delle malattie professionali e per orientare le attività di vigilanza;
   il decreto legislativo 151 del 2015 prevedeva la soppressione del riferimento al registro infortuni nell'articolo 53 del decreto legislativo 81 del 2008 è, in coordinamento con quanto previsto all'articolo 21, comma 4, l'abolizione dell'obbligo di tenuta del registro infortuni a decorrere dal novantesimo giorno successivo all'entrata in vigore del decreto 151 del 2015, avvenuta il 24 settembre 2015. Dunque l'abolizione è effettiva dal 23 dicembre 2015;
   l'aver anticipato l'abrogazione del registro infortuni prima del decreto ministeriale ex articolo 8 del decreto legislativo 81 del 2008 e dell'operatività del SINP, rappresenta un atto in grado di diminuire le strategie di prevenzione e di vigilanza in materia di salute e sicurezza –:
   se i dati allarmanti diffusi dall'INAIL e da vari organismi di settore sull'aumento degli infortuni mortali sul lavoro narrati in premessa corrispondano al vero, se ne sia a conoscenza e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere per far fronte al ritardo nell'emanazione del Decreto ministeriale per l'operatività del SINP che è concausa dei fatti descritti e se, in mancanza del sistema informatico previsto dall'ordinamento giuridico e non ancora realizzato, non ritenga opportuno assumere iniziative per far slittare la data dell'abrogazione del registro infortuni presso le aziende. (4-11823)


   LOMBARDI, COMINARDI, CIPRINI, TRIPIEDI, DALL'OSSO, CHIMIENTI, VILLAROSA e PESCO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   il 26 giugno 2013 il Presidente dell'Eppi (Ente previdenziale dei periti industriali e dei Periti industriali laureati) propone un provvedimento d'urgenza per acquistare, con data regolamento 5 luglio 2013, un numero di diritti di opzione per la sottoscrizione dell'aumento di capitale della Banca dell'Etruria pari a 445.800 diritti verso il prezzo complessivo di euro 88.455,04 e la conseguente sottoscrizione di 1.515.720 azioni, al costo complessivo di euro 909.432,00;
   il Consiglio di amministrazione dell'Eppi, all'unanimità con delibera n. 560 del 2013 ha deciso di ratificare il seguente provvedimento d'urgenza assunto dal presidente in data 26 giugno 2013: acquisto di numero 445.800 diritti verso il prezzo complessivo di euro 88.455,04 e la conseguente sottoscrizione di 1.515.720 azioni al costo complessivo di euro 909.432,00. Il controvalore complessivo dell'operazione, di aumento di capitale (diritti e azioni) è di euro 997.887,04 e, pertanto, ciascuna azione sarà contabilizzata tra le immobilizzazioni finanziarie, alla voce partecipazioni in altre imprese, al valore di carico unitario di euro 0,65835;
   sempre nel 2013 il presidente dell'Eppi chiese ai signori consiglieri di valutare l'opportunità di sottoscrivere una convenzione con la Banca dell'Etruria a favore degli iscritti all'ente ed a sostegno della professione. In breve, i termini della concessione del finanziamento proposto dalla Banca Etruria sono così riassumibili: importo massimo finanziabile: euro 35.000,00; durata massima del finanziamento: 60 mesi; spese di istruttoria: euro 100,00; tasso di interesse fisso: del 2,5 per cento, al quale sommare uno spread del 3,40 per cento e del 4,00 per cento, a seconda delle classi dei richiedenti;
   il Consiglio di amministrazione di Eppi con delibera n. 580 del 2013 conferisce mandato al presidente dell'ente per la sottoscrizione della convenzione con la Banca Etruria con finalità assistenziale per gli iscritti ed a sostegno della professione e della regolarizzazione del rapporto previdenziale;
   ad oggi è ancora presente sul sito dell'EPPI la convenzione con Banca Etruria (https://www.eppi.it/index.php/conti-correnti?class=1&subltem=58idltem=1&idcast=4);
   fra il 2012 ed il 2013 crescono di 50 milioni di euro circa i depositi bancari (c/c) dell'Eppi in Banca Etruria e sono circa 51 milioni a fine 2014; sono di 184 milioni di euro circa i valori in conti correnti presso Monte dei Paschi di Siena, a fine 2013 e sono ancora di 51 milioni circa, a fine 2014, su un totale di 277 milioni di euro di depositi bancari nel 2013 e di 114 milioni di euro nel 2014;
   nel bilancio dell'Eppi del 2013 e del 2014 sono iscritti investimenti di 20 milioni di euro in obbligazioni ordinarie di BANCA POPOLARE DELL'ETRURIA E DEL LAZIO – ISIN IT0004747066 BANCA POP. ETRURIA 20/07/15 4.10 –:
   quale sia la reale esposizione di Eppi in depositi bancari, azioni ed obbligazioni o altri titoli della Banca Etruria;
   se Eppi detenga ancora azioni di Banca Etruria e a quale valore; se siano incorse perdite su tale titolo e di quali entità;
   se Eppi abbia avuto il rimborso integrale delle obbligazioni ordinarie in Banca Etruria in scadenza nel 2015;
   se anche altri enti previdenziali privatizzati o privati ex decreto legislativo n. 509 del 1994 e decreto legislativo n. 103 del 1996 abbiano depositi (presso), azioni, obbligazioni o altri titoli emessi da Banca Etruria, Banca Marche, Cassa di risparmio di Ferrara e Cassa di risparmio di Chieti, e se, per essi, le casse di previdenza citate abbiano subito perdite. (4-11842)


   MILANATO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in questi giorni la regione del Veneto sta raccogliendo le preoccupazioni che da più parti emergono in merito alla presenza di mobilitazioni di lavoratori considerate «non regolari», guidate dall'organizzazione sindacale ADL Cobas;
   in particolare, il 19 gennaio 2016, l'assessore Elena Donazzan ha incontrato la provincia di Padova, nella persona della dottoressa Elisa Venturini, le organizzazioni sindacali regionali e confederali di CGIL, CISL e UIL, LegaCoop Veneto, e le società Prix S.p.a., Despar-Aspiag Service S.r.l., Trasporti Romagna-Mg Service, ALI S.p.a. e Unicomm S.r.l. in merito alla mancata agibilità dei siti di produzione della grande distribuzione a causa di mobilitazioni non regolari;
   a tal proposito, le parti hanno espresso la forte preoccupazione per le agitazioni che stanno avvenendo nelle più importanti piattaforme di logistica della distribuzione nella regione. Pur considerando il diritto di sciopero una forma legittima di rivendicazione dei propri diritti, le parti hanno stigmatizzato ogni comportamento violento o intimidatorio posto in essere verso la committenza e gli altri lavoratori. Per questo motivo, è stato sollecitato l'intervento tempestivo delle prefetture territorialmente competenti per ripristinare la legalità e l'agibilità dei cantieri. Al momento risulta che tali situazioni di difficoltà destano ancora preoccupazione;
   la società Nek srl che ha sede a Monselice (Pd) e lavora nel settore della raccolta, trasporto e selezione dei rifiuti di tipo plastico e solido urbano, il 9 dicembre 2015, è stata interessata dallo sciopero di alcuni lavoratori, indetto da ADL Cobas contro la riduzione, da parte di Libera, del trattamento economico per un valore di 80 euro relativi ai buoni pasto;
   la decisione sarebbe stata adottata in seguito all'approvazione dello «stato di crisi» da parte dell'assemblea dei soci. Inoltre, in conseguenza di ciò, la cooperativa non ha applicato l'adeguamento retributivo conseguente al rinnovo del Contratto collettivo nazionale del lavoro divenuto efficace dal mese di ottobre 2015. Si segnala poi che, in seguito al danneggiamento da parte di ignoti di alcuni macchinari, il 10 dicembre 2015 l'azienda ha dovuto sospendere la propria attività operativa;
   nei giorni successivi il presidente della cooperativa «Libera» ha presentato una denuncia-querela nei confronti di 24 operaie per violenza privata, comunicando in seguito di dover procedere al licenziamento delle stesse, in quanto la mobilitazione indetta da ADL Cobas non ha più consentito l'accesso al sito produttivo agli altri soci lavoratori;
   la protesta è proseguita ad oltranza anche durante le festività natalizie. In data 4 gennaio 2016, presso la prefettura di Padova, è stato siglato un accordo tra i sindacati (compresa ADL Cobas) e cooperativa Libera, con cui sono stati previsti la tutela e il mantenimento dei posti di lavoro, nonché il reintegro della maggior parte dei lavoratori precedentemente licenziati. Tuttavia, nonostante l'accordo raggiunto, alcuni lavoratori, coordinati dal sindacato ADL Cobas, hanno smentito l'intesa sottoscritta e mantenuto il presidio di protesta davanti all'azienda. Attualmente risulta ancora aperto un tavolo di confronto in prefettura del quale, però, giungono, a mezzo stampa, preoccupanti notizie in merito all'evoluzione della situazione –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa circa le difficili situazioni che vedono coinvolti i lavoratori rappresentati dall'organizzazione sindacale ADL Cobas e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere, con la massima sollecitudine, per tutelare tutti i lavoratori interessati dalle situazioni sopraesposte e scongiurare che azioni di protesta non regolari compromettano lo stato di salute delle realtà aziendali coinvolte. (4-11850)

SALUTE

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SILVIA GIORDANO, COLONNESE, LOREFICE, GRILLO, DI VITA, BARONI e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 1, comma 1-bis, del decreto-legge 10 dicembre 2013, n. 136, convertito, con modificazioni, dalla legge n. 6 del 6 febbraio 2014, recita: «Al fine di integrare il quadro complessivo delle contaminazioni esistenti nella regione Campania, l'Istituto Superiore di Sanità analizza e pubblica i dati dello Studio SENTIERI relativo ai siti di interesse nazionale campani effettuato dal 2003 al 2009 e aggiorna lo studio per le medesime aree». Sulla base di detta previsione, l'Istituto superiore di sanità (ISS) ha, pertanto, predisposto, alla luce dei criteri riportati nella direttiva interministeriale del 28 febbraio 2014, l'aggiornamento del progetto SENTIERI (studio epidemiologico nazionale dei territori e degli insediamenti esposti a rischio da inquinamento) per i 55 comuni delle province di Napoli e Caserta (esclusi i due capoluoghi di provincia, per i quali non è appropriata la metodologia del progetto SENTIERI), da ora in poi definiti «Terra dei Fuochi» come indicato dalla legge n. 6 del 2014;
   l'Istituto superiore di sanità ha pubblicato il rapporto «Mortalità ospedalizzazione e incidenza tumorale nei Comuni della Terra dei Fuochi in Campania» (Rapporti ISTISAN 15/27). Da tale relazione risulta che «il quadro epidemiologico della popolazione residente nei 55 Comuni che la legge n. 6 del 2014 definisce come Terra dei Fuochi è caratterizzato da una serie di eccessi della mortalità e dell'ospedalizzazione per diverse patologie a eziologia multifattoriale, che ammettono fra i loro fattori di rischio accertati o sospetti l'esposizione a un insieme di inquinanti ambientali che possono essere emessi o rilasciati da siti di smaltimento illegale di rifiuti pericolosi e/o di combustione incontrollata di rifiuti sia pericolosi, sia solidi urbani»;
   «Le analisi condotte sull'insieme dei Comuni della Terra dei Fuochi — si legge nel Rapporto — mostrano che il profilo di salute dei bambini presenta alcune criticità nel primo anno di vita, eccessi di bambini ricoverati per tutti i tumori in entrambe le province di Napoli e Caserta, ed eccesso di incidenza e di ricoverati per tumori del sistema nervoso centrale rispettivamente per la provincia di Napoli e di Caserta. In età pediatrica e pediatrico-adolescenziale i tumori del sistema nervoso centrale sono in eccesso sia come incidenza che come numero di ricoverati nella provincia di Napoli; nella provincia di Caserta il dato sui ricoveri mostra un eccesso per questi tumori nelle due classi di età indagate. Le leucemie risultano in eccesso solo come numero di bambini ricoverati nella provincia di Caserta»;
   l'Istituto superiore di sanità raccomanda che la protezione della salute infantile, in questo quadro, deve necessariamente iniziare con la tutela della salute nel periodo prenatale, perseguendo l'obiettivo di garantire alle donne in gravidanza un ambiente sicuro, secondo le più recenti raccomandazioni, e in particolare alle donne in gravidanza un ambiente sicuro e l'implementazione delle linee guida sulla gravidanza fisiologica. Va inoltre rafforzata l'attività di prevenzione rispetto ai rischi ambientali per la salute infantile, evitando esposizioni indebite dei bambini a inquinanti ambientali, con uno sforzo integrato della famiglia, della scuola e dei pediatri di libera scelta. Sulla base del quadro di salute configuratosi per l'area della Terra dei Fuochi, appare opportuno procedere con l'implementazione di percorsi di intervento, anche ispirati da approcci basati sul principio di precauzione, coerentemente con gli indirizzi raccomandati dall'Organizzazione mondiale della sanità su questi temi –:
   quali iniziative di competenza intenda intraprendere alla luce dei dati pubblicati dall'Istituto superiore di sanità nel rapporto «Mortalità ospedalizzazione e incidenza tumorale nei comuni della Terra dei Fuochi»;
   se, in relazione ai fatti esposti in premessa, non ritenga necessario assumere ulteriori iniziative, per quanto di competenza, al fine di individuare percorsi di rapido accesso ai servizi sanitari e l'implementazione di azioni volte ad ottimizzare le procedure diagnostiche terapeutiche e di prevenzione;
   se le strutture sanitarie presenti nel territorio campano siano sufficienti ed adeguate alla presa in carico dei molteplici malati oncologici. (5-07558)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   da notizie stampa e in particolare da articoli pubblicati dai giornali on-line Iene siciliane e LIVESICILIA del 23 gennaio e del 25 gennaio 2016, si è venuti a conoscenza che il 22 gennaio 2016, all'ospedale Cannizzaro di Catania si è sfiorata una tragedia a causa del cattivo funzionamento di ascensore che scendeva dall'ottavo piano del padiglione F2;
   l'ascensore, che trasportava alcuni familiari di un paziente ricoverato presso l'ospedale Cannizzaro, si è ritrovato al piano meno due, nei sotterranei, dopo una discesa precipitosa; tale incidente ha procurato lesioni a sei degli occupanti e tra questi una donna è ancora ricoverata presso lo stesso complesso ospedaliero;
   gli occupanti dell'ascensore hanno richiesto subito aiuto, azionando il pulsante dell'allarme dell'ascensore; i soccorsi sono arrivati dopo 45 minuti, così come riporta il giornale on-line Ienesiciliane.it;
   i soccorsi sono stati prestati da una persona che sembrava un tecnico di ascensori; quest'ultimo ha provveduto ad aprire la porta e a far uscire gli occupanti, ma, a quanto risulta agli interroganti, senza offrire il proprio aiuto alle persone contuse, coinvolte nell'incidente;
   il decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 9 marzo 2015 «Disposizioni relative all'esercizio degli ascensori in servizio pubblico destinati al trasporto delle persone» prevede:
    a) che sia individuato l'elenco del personale da adibire alle mansioni di sorveglianza dell'impianto ed al soccorso;
    b) che siano definiti i piani di soccorso e recupero dei passeggeri, incluse le persone portatrici di handicap, in caso di immobilizzo della cabina;
    c) che la manutenzione dell'impianto venga affidata a personale abilitato e che le verifiche e prove periodiche siano dirette ad accertare il permanere delle condizioni di efficienza degli organi e degli elementi dai quali dipende la sicurezza e la regolarità di esercizio degli impianti;
    d) che, nelle operazioni di verifica dell'impianto è previsto che ogni giorno, prima dell'inizio del servizio pubblico, il personale individuato dal responsabile dell'esercizio, debba procedere all'effettuazione di una o più corse di prova a vuoto;
   l'azienda ospedaliera Cannizzaro di Catania ha bandito un bando di gara, il 20 novembre 2015, per lavori di sostituzione degli impianti elevatori dell'edificio F, dall'importo di euro 963.585,96;
   la regione siciliana ha sottoscritto il piano di rientro del disavanzo delle spese sanitarie con il Ministero della salute il 31 luglio 2007;
   una lettera al direttore generale dell'ospedale Cannizzaro di Catania, del 23 luglio 2015, di parlamentari della Repubblica italiana e della regione siciliana, di cui la prima firmataria è l'interrogante, in concomitanza di un altro incidente che aveva coinvolto otto persone nell'uso di un ascensore, segnalava molte criticità riguardanti l'attuazione delle norme sicurezza presso la struttura ospedaliera catanese –:
   se non ritengano di intraprendere, per quanto di competenza, tutte le iniziative per verificare se sia stato rispettato, all'ospedale Cannizzaro di Catania quanto previsto dal decreto del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti del 9 marzo 2015 «Disposizioni relative all'esercizio degli ascensori in servizio pubblico destinati al trasporto delle persone», in particolare:
    a) se sia stato predisposto l'elenco del personale da adibire alle mansioni di sorveglianza dell'impianto ed al soccorso;
    b) se siano stati predisposti i piani di soccorso e recupero dei passeggeri, incluse le persone portatrici di handicap, in caso di immobilizzo della cabina;
    c) se la manutenzione dell'impianto sia stata affidata a personale abilitato e siano state effettuate le verifiche e prove periodiche dirette ad accertare il permanere delle condizioni di efficienza degli organi e degli elementi dai quali dipende la sicurezza e la regolarità di esercizio degli impianti;
   se non ritengano di mettere in atto le iniziative di competenza per verificare se le spese, previste dal bando di gara di venerdì 20 novembre 2015 per lavori per la sostituzione degli impianti elevatori dell'ospedale Cannizzaro di Catania, siano in linea con i parametri previsti dal piano di rientro dal disavanzo delle spese sanitaria siglato da regione siciliana e il Ministero della salute. (5-07568)


   RONDINI e CAPARINI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dal 20 gennaio 2016 tutte le società sportive, anche dilettantistiche, devono disporre di un defibrillatore semiautomatico (DAE o AED) e di personale adeguatamente formato durante le partite e gli allenamenti (decreto-legge 13 settembre 2012, n.158 cosiddetto «decreto Balduzzi»); l'adeguamento da parte delle associazioni sportive dilettantistiche al «decreto Balduzzi» in materia di «salvaguardia della salute dei cittadini che praticano attività sportiva agonistica, non agonistica o amatoriale...» rischia di generare notevoli difficoltà spingendo alla chiusura le realtà meno attrezzate dal punto di vista organizzativo;
   in particolar modo la modifica alla normativa crea grossi problemi organizzativi alle piccole strutture palesemente penalizzate e, al contrario, di conseguenza agevola i grossi circoli;
   il decreto del Ministero della salute del 23 aprile 2012 detta che tutte le associazioni e società sportive, anche dilettantistiche, ad eccezione di quelle «che svolgono attività sportiva con ridotto impegno cardiocircolatorio, quali bocce (escluse bocce in volo), biliardo, golf, pesca sportiva di superficie, caccia sportiva, sport di tiro (lancio del piattello tiro con l'arco, e altro), giochi da tavolo e sport assimilabili» saranno soggette agli obblighi del decreto;
   la normativa non pone vincoli numerici, ma deve essere garantita la presenza di personale formato sia durante le partite, sia durante gli allenamenti, così come stabilito dalle linee guida (allegato E) del decreto del Ministero della salute del 23 aprile 2012;
   potrebbe, ad esempio, essere sufficiente, per assolvere agli obblighi di legge, formare solo l'allenatore (se la sua presenza fosse garantita durante tutte le attività) oppure gli assistenti, dirigenti e/o qualche giocatore, in modo da garantire sempre la presenza di almeno una persona preparata. Purtroppo, ci sono molti soggetti di formazione, più o meno seri, che propongono pacchetti di formazione che non hanno i requisiti previsti dalla legge per poterlo fare;
   le strutture interessate finora gestite amatorialmente e grazie al supporto di associazioni sportive in genere dal 20 gennaio 2016 non sono più messe in grado di operare, con un evidente danno sociale ed economico per la collettività;
   una delle contraddizioni si evince da come appaia impensabile prevedere la garanzia della incolumità fisica ad un podista, che pur tesserato FIDAL, da amatore si alleni al di fuori di strutture sportive e come non sia ancora obbligatoria in tutte le regioni, solo alcune hanno già provveduto, la presenza di DAE nelle scuole medie e superiori dove l'educazione fisica è una materia praticata come di fatto nelle associazioni sportive;
   appare evidente quindi la inadeguatezza del sistema formativo che: 1) non segue le linee guida internazionali AHA o ERC; 2) non si basa su una didattica la cui qualità sia riconosciuta (come ad esempio l'American Heart Association, che ogni anno forma 13 milioni di persone in tutto il mondo); 3) non è accreditato nella regione o provincia autonoma dove si svolge l'attività sportiva; 4) non dispone di istruttori certificati e riconosciuti dalla regione/provincia autonoma (alcune regioni/province autonome – come quella di Trento – ad esempio, hanno un albo degli istruttori autorizzati, generalmente disponibile online);
   defibrillatore deve essere presente e può essere acquistato dalla società sportiva, da un gruppo di società sportive o da chi gestisce l'impianto sportivo (in questi ultimi due casi, il defibrillatore può essere condiviso tra più società sportive che condividono gli stessi spazi per le proprie attività) e, in ogni caso, ciascuna società sportiva deve assicurarsi (e ne è responsabile) della presenza defibrillatore e di personale formato, si pone il problema dell'esborso economico –:
   quali iniziative il Governo intenda intraprendere per la corretta applicazione della norma agevolando la formazione e l'acquisto delle attrezzature senza pesare in alcun modo sulle associazioni lontane che già tanto fanno per la promozione dello sport di base. (5-07573)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GULLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la tutela della salute costituisce principio fondamentale costituzionalmente garantito;
   nel mese di dicembre 2015 i medici italiani hanno scioperato al fine di sensibilizzare il Governo sulla situazione della sanità nazionale;
   i medici hanno evidenziato le carenze di personale sanitario, gli enormi tagli indiscriminati al sistema sanitario nazionale, nonché profonde disuguaglianze tra le diverse regioni italiane;
   ogni riduzione indiscriminata di risorse si traduce nella minore e meno adeguata erogazione di prestazioni a favore dei cittadini;
   nonostante le proteste dei medici, il Governo non è intervenuto adeguatamente;
   a causa dell'indifferenza del Governo i medici italiani hanno previsto un'altra giornata di sciopero per il mese di marzo –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere per:
    a) tutelare adeguatamente la salute dei cittadini;
    b) prevedere risorse adeguate per la sanità pubblica che consentano di eliminare le carenze di personale sanitario, evitare tagli indiscriminati al sistema sanitario nazionale, nonché profonde disuguaglianze tra le diverse regioni italiane. (4-11827)


   GULLO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la tutela della salute costituisce principio fondamentale costituzionalmente garantito;
   la Sclerosi Laterale Amiotrofica (SLA) è una grave patologia cronica che porta alla progressiva degenerazione dei neuroni sia a livello del sistema nervoso centrale che periferico;
   in Italia si stimano circa 3.500 malati di SLA, e sono più di 1.000 le nuove diagnosi in un anno;
   la SLA è una malattia dal decorso spesso molto veloce: in tre/quattro mesi un malato può essere già in sedia a rotelle e in sei/sette mesi con tracheotomia;
   la famiglia necessita di un supporto finanziario quasi immediato;
   le famiglie e le associazioni di volontariato segnalano spesso sia la carenza dei fondi per supportare le esigenze dei malati e dei loro familiari che la disomogeneità dei trattamenti sanitari presso le strutture, nonché la disomogeneità di trattamento tra strutture differenti;
   i soggetti meno abbienti si trovano spesso nell'impossibilità di far fronte a tutte le necessità che consentano immediatamente di supportare il malato;
   inoltre, i ricercatori sostengono vi sia la possibilità di giungere a risultati significativi in poco tempo; infatti, la ricerca dal 2006 ha fatto progressi vertiginosi, nonostante non sia sempre stata supportata economicamente dallo Stato –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere per:
    a) prevedere rapidi aiuti finanziari fin dal momento della diagnosi della SLA;
    b) evitare la disomogeneità di trattamento tra i malati prevedendo trattamenti sanitari omogenei presso tutte le strutture ospedaliere del Paese;
    c) prevedere la crescita costante dei contributi economici alla ricerca.
(4-11828)


   CANCELLERI e LOREFICE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la riorganizzazione della rete dei punti nascita nasce in seguito all'Accordo Stato-regioni 16 dicembre 2010, recante «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità, della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo»;
   tale accordo stabilisce la chiusura da parte di tutte le regioni dei punti nascita con un volume di attività inferiore a 500 parti/anno, in quanto non in grado di garantire la sicurezza per la madre ed il neonato, prevedendo l'adozione di stringenti criteri per la riorganizzazione della rete assistenziale;
   tale processo di riorganizzazione della rete assistenziale materno-infantile ha determinato pertanto la progressiva chiusura di diversi punti nascita in varie regioni, anche in Sicilia;
   da recenti notizie stampa si è appresa la notizia dell'ulteriore chiusura, invero annunciata già un anno e mezzo fa, dei punti nascita (PN), con numero di parti inferiore ai 500 l'anno, di Mussomeli, in provincia di Palermo, di Santo Stefano Quisquilia, in provincia di Agrigento, di Petralia Sottona, in provincia di Caltanissetta, e dell'isola di Lipari — alle cui strutture era stata concessa una proroga di deroga alla chiusura fino al 31 dicembre 2015 — poiché non soddisfacenti gli standard richiesti dal decreto n. 158 del 2012, il cosiddetto «decreto Balduzzi»;
   al riguardo si richiama l'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07377 della deputata Giulia Di Vita;
   contro la chiusura del PN di Mussomeli, per quanto concerne in particolare la provincia di Caltanissetta, si sono svolte diverse manifestazioni di protesta, promosse dai Comitati cittadini;
   a seguito della chiusura del PN di Mussomeli la prima firmataria del presente atto ha inviato una lettera al Ministero della salute, dove rileva che gli insuperabili disagi di viabilità che rendono difficili i collegamenti con il territorio potrebbero comportare inadeguatezza dell'assistenza sanitaria, ed invita il Ministro o una sua delegazione, a visitare alcuni dei luoghi dove verranno chiusi i PN citati, in particolare quello di Mussomeli;
   a tal proposito preme ricordare in questa sede che le linee di azione contenute nel citato accordo, che fanno specifico riferimento ad un sistema di rete dei punti nascita del tipo «hub» e «spoke», vincolano, in tal senso, le regioni ad attivare anche il sistema di trasporto assistito materno (STAM) e il sistema di trasporto in emergenza del neonato (STEN);
   al riguardo lo stesso Ministro della salute ha dichiarato nei giorni scorsi che «la Regione Siciliana deve strutturare centri efficienti; deve dotare la propria rete territoriale di servizi di trasporto, ambulanze ed elicotteri, che garantiscano il collegamento in sicurezza con i centri idonei a soddisfare i requisiti del parto»;
   si aggiunga che il punto nascite di Mussomeli ha la peculiarità di poter servire utilmente, riducendo così i disagi consequenziali, quei comuni del vallone che per difficoltà di collegamenti stradali arrivano a distare un tempo di percorrenza assai lungo — che va ben oltre il limite di sicurezza consentito — di tortuoso percorso stradale, dal punto nascite più vicino, oltretutto considerando il caso delle condizioni climatiche avverse, che non di rado caratterizzano, il territorio di cui si discute, soprattutto nei mesi invernali –:
   se non intenda recarsi quanto prima personalmente sul territorio in questione o inviare una delegazione ministeriale per visitare la struttura e acquisire contezza sullo stato dei luoghi di cui si discute, così da comprendere l'importanza strategica della struttura medesima per l'intero territorio del vallone già largamente afflitto dai ben noti problemi di viabilità e da garantire parità di accesso al diritto alla salute in ossequio all'articolo 32 della Costituzione;
   se non intenda assumere iniziative per stanziare e vincolare i fondi necessari per porre nelle condizioni di sicurezza stabilite dalla legge il punto nascite di Mussomeli, così da poter revocare la decisione ministeriale che ne ha decretato la chiusura. (4-11845)


   PINNA, GALGANO, VECCHIO, VARGIU, CATALANO, CATANIA, CAPUA e MOLEA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   recentemente l'articolo On Paper, Italy Allows Abortions, but few Doctors Will Perform Them, a firma di Gaia Pianigiani pubblicato il 16 gennaio dal quotidiano The New York Times, e la puntata della trasmissione televisiva Presa diretta condotta da Riccardo Iacona, andata in onda su Rai 3 domenica 17 gennaio, hanno riportato l'attenzione del Paese sul tema del diritto all'aborto connesso al diritto all'obiezione di coscienza di medici e infermieri;
   la materia è regolata in Italia dalla legge Norme per la tutela sociale della maternità e sull'interruzione volontaria della gravidanza 22 luglio 1978, n. 194. Sostanzialmente la disciplina distingue tra scelte individuali e responsabilità pubbliche, dal momento che l'obiezione di coscienza rappresenta un diritto della persona ma non della struttura sanitaria nel suo complesso. Infatti, mentre al medico o all'infermiere viene garantito di potersi avvalere dell'obiezione di coscienza la struttura ha l'obbligo di garantire l'erogazione delle prestazioni sanitarie, come prevede l'articolo 9 della suddetta legge;
   tuttavia, in Italia vi è ancora un conflitto di difficile gestione fra il diritto della donna di accedere a determinati servizi previsti dal servizio sanitario nazionale, il dovere dell'ospedale di garantire quel servizio e quello del medico di affermare una propria libertà morale e religiosa. È, dunque, di primaria importanza giungere a un bilanciamento del diritto alla vita e alla salute fisica e psichica della donna, dei diritti del concepito e del diritto all'obiezione di coscienza. Quest'ultima, infatti, rappresenta un diritto consolidato, ma è responsabilità dello Stato far sì che non si traduca nella soppressione di altri diritti di pari dignità;
   nonostante ciò i dati dimostrano che ad oggi lo Stato italiano è inerte di fronte, alle difficoltà organizzative delle strutture sanitarie tenute all'applicazione della legge. Nel nostro Paese la percentuale media dei medici e infermieri obiettori di coscienza risulta pari al settanta per cento, raggiungendo livelli molto più alti in alcune regioni, specialmente al Sud. Nello specifico si rileva che le percentuali della Campania si attestano all'ottanta per cento, all'ottantasei in Puglia, al quasi ottantotto per cento in Sicilia fino ad arrivare a più del novantatré per cento in Molise;
   vi sono poi dei casi limite come quello denunciato dalla suddetta trasmissione Presa diretta secondo cui l'ospedale di Ascoli Piceno farebbe registrare il cento per cento dei medici che hanno esercitato l'obiezione di coscienza in relazione all'applicazione della legge n. 194 sull'interruzione volontaria di gravidanza, delineando una situazione inaccettabile in cui viene messo in discussione prima di tutto il principio costituzionale di legalità che, se le notizie diffuse a livello nazionale fossero confermate, sarebbe calpestato proprio in una struttura sanitaria pubblica, come affermato dal presidente dell'assemblea dei sindaci dell'area vasta n. 5;
   inoltre, la situazione italiana non è in linea con quella dei principali Paesi europei. La Francia prevede che tutti gli ospedali garantiscano la disponibilità dei servizi di interruzione della gravidanza e in Inghilterra è obiettore solo il dieci per cento dei medici, in secondo luogo sono presenti sul territorio centri di prenotazione aperti continuativamente tutti i giorni della settimana e gli operatori che decidono di lavorare nelle strutture di pianificazione familiare non possono dichiararsi obiettori. In Svezia, infine, non esiste il diritto all'obiezione di coscienza;
   ne consegue che in Italia è seriamente minato il diritto all'autodeterminazione delle donne nonché compromesso il loro diritto alla vita e alla tutela dell'integrità psicofisica. Il grave scenario delineato le condanna a un calvario, a pellegrinaggi di regione in regione per aver accesso all'interruzione volontaria di gravidanza, in un momento della vita già di per sé psicologicamente complicato e a cui si aggiunge il giudizio di colpa che la donna deve affrontare quando attraversa gli ospedali pubblici (situazione che si verifica anche nei casi di aborto terapeutico);
   un altro aspetto da evidenziare, e di non minore importanza, è il conseguente allungamento dei tempi per l'intervento che, in alcuni casi, arrivano anche ad un mese o più con il risultato che le donne si rivolgono a strutture estere, all'uso dei farmaci non legali o all'aborto clandestino con grave pregiudizio per la loro salute;
   a tal riguardo, dall'ultima relazione del Ministro della salute sulla attuazione della legge n. 194 del 1978 si evince che le interruzioni di gravidanza volontarie clandestine avvengono in misura rilevante e non accennano a diminuire, anzi secondo diverse associazioni di medici la cifra pubblicata dal Ministero è sottostimata. Questo quando l'intento dei legislatori e dei movimenti femminili che hanno contribuito all'approvazione della suddetta legge era proprio di evitare gli aborti clandestini, salvando la vita di tante donne e rendendoli sempre meno frequenti grazie all'opera di prevenzione attuata dai consultori;
   l'ipotesi che i dati siano sottostimati è confermata analizzando le cifre ministeriali relative agli aborti spontanei, i quali dal 1993 sono cresciuti del quaranta per cento. Secondo molti medici ginecologi dietro questi numeri si nasconderebbero anche gli aborti clandestini iniziati a casa e finiti con il ricovero in ospedale (registrati come aborti spontanei). Nello specifico risulta che molte donne si procurino l'aborto fra le mura domestiche, talvolta assumendo pillole che si possono acquistare via internet, una pratica quest'ultima particolarmente pericolosa che può provocare nelle donne gravi effetti quali forti dolori ed emorragie, costringendole a un ricovero d'urgenza;
   vi è un altro aspetto non meno rilevante di cui tener conto: i sempre meno numerosi medici non obiettori subiscono molto spesso discriminazioni, sul posto di lavoro e pressioni psicologiche dai colleghi, ritrovandosi nella maggior parte dei casi relegati a occuparsi quasi esclusivamente di interruzioni di gravidanza, con il rischio concreto di una dequalificazione professionale e conseguenti effetti penalizzanti sulle loro stesse possibilità di carriera. Emergono pertanto forti preoccupazioni in merito all'uso o, talvolta, abuso dell'obiezione di coscienza –:
   se intenda assumere iniziative, anche di carattere normativo, affinché il rispetto del diritto di sollevare obiezione di coscienza sia correlato alla tutela del diritto alla salute nelle forme legittimamente determinate dalla legge, elaborando una disciplina completa e chiara che definisca e regoli l'obiezione di coscienza in materia di servizi sanitari e medici;
   quali iniziative intenda adottare, in accordo con le regioni, al fine di assicurare la completa applicazione della legge n. 194 del 1978 su tutto il territorio nazionale, con particolare riguardo alle forme di mobilità del personale e al reclutamento differenziato di medici e infermieri che riequilibrino il numero degli obiettori e dei non obiettori in servizio nelle strutture pubbliche, nel rispetto dell'articolo 9, comma 4, della suddetta legge. (4-11847)


   TANCREDI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise (IZS) – ente sanitario pubblico che contribuisce al benessere fisico, mentale e sociale dell'uomo attraverso un'incessante azione di ricerca e sperimentazione rivolta al sistema integrato «benessere e sanità animale – sicurezza alimentare – tutela ambientale» – opera come strumento tecnico-scientifico dello Stato e delle Regioni Abruzzo e Molise, offrendo servizi ad alto valore aggiunto ed elevato contenuto di conoscenza e innovazione nei settori della, Sanità animale, della sanità pubblica veterinaria e della tutela dell'ambiente, per la salvaguardia della salute degli animali e dell'uomo;
   è di questi giorni la nomina a direttore generale di detto Istituto del professor Mauro Mattioli, avvenuta con il decreto n. 1 del 9 gennaio 2016, firmato dal governatore della regione Abruzzo Luciano D'Alfonso;
   detta nomina è intervenuta da parte del Governatore D'Alfonso prima del decorso del termine di venti giorni (ex articolo 16 legge n. 241 del 1990), entro il quale il Ministero deve esprimere il proprio parere, prodromico alla formalizzazione del decreto medesimo;
   con nota dell'11 gennaio 2016 sono stati sollevati dubbi e perplessità da parte del Ministero sulla legittimità della procedura di valutazione dell'idoneità dei candidati all'incarico, nonché sulla sussistenza in capo al professor Mattioli del requisito della «comprovata esperienza nell'ambito della sanità pubblica veterinaria nazionale e internazionale e della sicurezza degli alimenti», prescritto dall'articolo 11, comma 6, del decreto legislativo n. 106 del 28 giugno 2012;
   i consistenti dubbi di legittimità della suddetta nomina del direttore generale fanno seguito ad altra recente vicenda analoga – appresa a seguito di un rumoroso tam tam mediatico proveniente dai principali mezzi di informazione territoriale – relativa alla nomina del consigliere comunale di Teramo avvocato Manola Di Pasquale alla carica di presidente del consiglio di amministrazione dell'IZS, già oggetto, tra l'altro, di polemiche e denunce da parte di cinque dipendenti della rappresentanza sindacale appartenenti alla sigla FSI (Federazione Sindacati Indipendenti) rivoltasi al Ministero, alle regioni Abruzzo e Molise, alla procura, alla Corte dei Conti e all'Autorità nazionale anticorruzione per chi ere un parere sulla conferibilità e nominabilità della stessa Di Pasquale a componente del consiglio di amministrazione dell'Istituto (http://www.quotidianolacitta.it);
   alla valutazione dei fatti sopra esposti si aggiunga anche che, con una nota a sua firma, il presidente della FNOVI (Federazione nazionale ordine veterinari italiani) si è rivolto al governatore della regione Abruzzo segnalando che la sua designazione nella persona dell'avvocato Manola Di Pasquale, successivamente indicata come presidente del consiglio di amministrazione, contrasta con le previsioni vigenti ed i requisiti richiesti, contestando nella designata il possesso di una comprovata professionalità ed esperienza in materia di sanità pubblica veterinaria e sicurezza degli alimenti, requisito ritenuto necessario e peculiare dell'organo di indirizzo, coordinamento e verifica delle attività degli Istituti zooprofilattici sperimentali; la FNOVI ha contestato altresì alla neo eletta anche la ricorrenza di un caso di inconferibilità dell'incarico (articolo 7, comma 1, del vigente decreto legislativo n. 39 del 2013);
   va considerato il pericolo di incertezze e menomazioni funzionali che potrebbero derivare dalle nomine di inesperti nella suddetta materia e, dunque, dalla dubbia legittimità degli incarichi conferiti, nonché il grave pregiudizio che potrebbe conseguirne, non solo all'immagine e alla compagine dell'Istituto, ma all'intera cittadinanza –:
   se siano state poste in essere dal Ministro le iniziative di competenza atte ad accertare e verificare scrupolosamente la inoppugnabile legittimità e regolarità delle avvenute nomine;
   se si intendano porre in essere iniziative, per quanto di competenza, atte a superare l'attuale stato di dubbia legittimità;
   se tale stato di dubbia legittimità possa pregiudicare la continuità di alcuni importanti progetti e compiti assegnati dal Ministero all'Istituto zooprofilattico sperimentale dell'Abruzzo e del Molise.
(4-11853)

SEMPLIFICAZIONE E PUBBLICA AMMINISTRAZIONE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   SIMONETTI. — Al Ministro per la semplificazione e la pubblica amministrazione, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   uno dei decreti attuativi in itinere della legge delega n. 124 del 2015 (cosiddetto riforma Madia della pubblica amministrazione) crea molte preoccupazioni ai dipendenti delle camere di commercio, in particolare ai 40 dipendenti di Biella, struttura territoriale già sottoposta alle procedure di accorpamento con la consorella di Vercelli diventando un'unica realtà di circa 70 dipendenti e 42 mila imprese;
   in base alle bozze in possesso degli interroganti, il testo del decreto delegato prevederebbe esplicitamente di compensare i risparmi di spesa attraverso una riduzione del 15 per cento del personale (che poi diventerebbe 25 per cento per le Camere di commercio accorpate, determinando oltre al danno anche la beffa);
   una nuova bozza in circolazione del decreto attuativo in questi giorni sembra contenga oltre al taglio di personale del 25 per cento anche lo svuotamento de facto del ruolo di promozione del territorio proprio delle Camere di commercio;
   tali ipotesi andrebbero ad aggiungersi ai tagli dovuti alla riduzione del diritto annuale, che nel 2017 toccherà quota 50 per cento e che ha già avuto riflessi importanti sugli investimenti;
   inoltre, si pone il problema della presenza degli uffici in Biella, dal momento che l'accorpamento tra le realtà provinciali prevede nel nuovo statuto che il nuovo ente abbia sede legale a Vercelli; nessun altra sede decentrata sarà più possibile mantenere, vanificando così la rappresentanza territoriale auspicata dal decentramento amministrativo, benché qui si tratti di fusione di due realtà precedentemente autonome e non del mantenimento di una semplice sede distaccata ma subordinata –:
   se corrisponda al vero quanto riportato in premessa, con particolare riguardo all'intenzione di tagliare il personale dipendente e di svuotare gli enti delle proprie funzioni;
   se non si ritenga utile sospendere l’iter dei decreti attuativi affinché una maggiore concertazione con Unioncamere porti alla definizione di un testo non lesivo delle peculiarità degli enti camerali e dei loro dipendenti. (5-07557)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   SIMONETTI, CAPARINI e ALLASIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il fenomeno della siccità nevosa che ha interessato tutte le zone turistiche di montagna durante le scorse vacanze natalizie, il periodo economicamente più rilevante della stagione sciistica annuale, ha colpito duramente le attività economiche correlate per l'appunto al mondo dello sci; si ricorda l'intervento di cui alla legge n. 363 del 2003, a seguito della prolungata siccità originata da un carente apporto nevoso nell'inverno 2002-2003, che portò, appunto, a sostenere l'economia turistica degli sport della neve, mediante la concessione di finanziamenti a favore delle imprese turistiche operanti in zone colpite da situazioni di eccezionale siccità invernale e mancanza di neve nelle aree sciabili, con particolare riguardo alla copertura degli investimenti relativi agli impianti di innevamento artificiale; sarebbe, peraltro, opportuno a parere degli interroganti stanziare le adeguate risorse per l'ammodernamento e il miglioramento dei livelli di sicurezza degli impianti a fune situati nelle regioni a statuto ordinario, mediante il rifinanziamento dell'apposito fondo di cui all'articolo 8 della legge n. 140 del 1999 –:
   se e quali iniziative di carattere normativo e finanziario il Governo intenda adottare a sostegno delle imprese che, direttamente e indirettamente, stanno pagando un prezzo altissimo per le mancate nevicate. (5-07559)


   LODOLINI, MARCHETTI e GIULIETTI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 novembre 2015 la Corte di Cassazione ha dichiarato valida la vendita della Ardo alla Jp Industries spa, accogliendo il ricorso dei commissari ministeriali che alla fine del 2011 avevano autorizzato la cessione dell’asset del bianco della Antonio Merloni spa alla Jp Industries spa-Qs Group spa, ribaltando così il verdetto dei primi due gradi di giudizio;
   il 21 settembre 2013, infatti, i giudici della seconda sezione civile del tribunale di Ancona avevano dato ragione alle banche creditrici della Antonio Merloni, annullando la vendita della Ardo, la quale, a loro avviso, sarebbe stata ceduta a un prezzo cinque volte inferiore al valore di mercato. Tale decisione era stata ribadita nell'aprile 2014 dalla corte d'appello di Ancona;
   il pronunciamento della Corte di Cassazione fece seguito alla firma del prolungamento per altri 21 mesi della cassa integrazione per i 700 lavoratori migrati dalla Ardo alla JP;
   la sentenza della Corte di Cassazione, chiude definitivamente il contenzioso aperto con gli istituti bancari, e una vicenda che si è trascinata per anni mettendo in condizioni la JP di ripartire con l'attività industriale e ricreare la piena occupazione contribuendo a rilanciare un'area, come quella appenninica, già colpita gravemente dalla crisi –:
   se il Ministro disponga di elementi in merito alla presentazione del piano industriale della JP Industries, annunciato per gennaio 2016, perché solo attraverso di esso è possibile misurare la prospettiva, valutare l'andamento dell'azienda e collocare i risultati a medio termine in un quadro di ripresa economica del territorio. (5-07564)

Interrogazioni a risposta scritta:


   BORGHESI e GUIDESI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   gli abitanti dei moduli abitativi provvisori (MAP), ubicati nei territori colpiti dal sisma del 2012 in Emilia, da tempo denunciano critiche condizioni abitative, a seguito della riduzione di potenza dell'energia elettrica praticata dall'azienda Enel spa per morosità;
   le famiglie che ancora vivono nelle capsule provvisorie sono state costrette a razionare l'uso della corrente elettrica, che in tali fabbricati è fondamentale allo svolgimento delle più semplici attività quotidiane: dall'uso dei fornelli a quello dei riscaldamenti;
   spesso capita che le famiglie siano costrette a spegnere i riscaldamenti, in un periodo dell'anno in cui le temperature toccano anche i due gradi, per dare la priorità ad azionare una lavatrice o cucinare un pasto. Si tratta di una soluzione insostenibile che contribuisce ad aggravare le condizioni degli inquilini dei MAP, che sono per gran parte costituiti in famiglie monoreddito o anziani;
   dopo aver mancato per anni di recapitare le bollette, l'ENEL ha inviato avvisi di pagamento per migliaia di euro: cifre impossibili da pagare per molti abitanti dei MAP costretti a vivere in una situazione di morosità. Chi supera i 3.000 euro di debito, ad esempio, si è visto ridurre la potenza dell'energia da 6 a 1 chilowatt all'ora;
   è evidente lo stato di disagio in cui versano le famiglie coinvolte; un disagio che contribuisce ad aggravare una situazione già fortemente critica, scaturita proprio dall'aver perso tutti i beni di primaria necessità nel terremoto, come la casa o il lavoro, e che contribuisce ad aumentare la soglia di povertà per molte famiglie;
   sembrerebbe che ENEL si sia resa disponibile alla riattivazione piena della fornitura concordando con il cliente un parziale pagamento del debito e l'impegno ad onorare la parte restante con un piano di rientro rateale –:
   se il Ministro intenda, nell'ambito delle proprie competenze e anche in veste di azionista, promuovere verifiche sulle attività svolte dall'impresa esercente il servizio di fornitura dell'elettricità, al fine di garantire la congruità del costo delle bollette rispetto ai consumi reali;
   se intenda adottare ogni iniziativa di competenza affinché l'azienda ENEL spa possa rivedere la propria posizione, ammettendo il pagamento dilazionato delle bollette secondo modi e tempi maggiormente confacenti alle esigenze dei contribuenti. (4-11825)


   GULLO. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   Poste Italiane spa gestisce il servizio postale universale;
   lo Stato italiano eroga 300 milioni di euro per assicurare i servizi postali in tutto il territorio nazionale;
   in base agli accordi di erogazione del servizio Poste Italiane si è impegnata a rispettare diversi coefficienti di qualità, a pena di sanzioni sino a 500.000 mila euro;
   la società IZI s.r.l. è incaricata di verificare il rispetto degli standard qualitativi del servizio attraverso l'invio di «lettere civetta» tra 8.000 persone che poi relazionano sulla consegna;
   da indagini giornalistiche, prima, e da indagini interne di Poste Italiane, poi, sembra che alcuni dipendenti delle Poste siano venuti a conoscenza di tali nominativi facendo avere corsie preferenziali alle cosiddette «lettere civetta» consegnandole nei tempi previsti dagli standard di qualità –:
   quali iniziative urgenti si intendano assumere per:
    a) verificare la eventuale responsabilità di Poste Italiane e dei suoi dipendenti;
    b) effettuare controlli più efficaci e meno individuabili circa l'effettivo rispetto degli standard qualitativi previsti dagli accordi con lo Stato per il servizio postale universale;
    c) garantire, comunque, che il servizio postale universale sia adeguatamente espletato. (4-11829)


   VEZZALI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la diffusione delle nuove tecnologie e i grandi portali di e-commerce stanno spostando percentuali crescenti di acquirenti sull’online;
   queste vendite consentono sovente degli enormi risparmi se paragonate a quelle tradizionali nella piccola e grande distribuzione e perfino sui prezzi degli outlet;
   nonostante le numerose tutele dei consumatori vantate, garantite a livello nazionale ed europeo e dell'assistenza anche legale che le associazioni forniscono, le truffe sono molto numerose e le vittime sono appartenenti a tutte le categorie sociali, non sono influenzate dalle fasce di età, non variano con livello di istruzione e ricorrono anche quando si mostra una consolidata dimestichezza dei mezzi informatici;
   per la durata del programma Consumatori 2014-2020 la Commissione europea dispone di 188,8 milioni di euro pari a 5 centesimi per consumatore all'anno;
   la criticità degli acquisti online si cela dietro pacchetti vacanze (26-38 per cento), trasporti (30 per cento), acquisti di beni e servizi per i quali è possibile ricevere un risarcimento parziale o totale;
   il 15 per cento dei reclami sono vere e proprie truffe;
   le percentuali, crescendo i volumi di scambi online, sono in aumento;
   le segnalazioni dei consumatori (nel 2015) hanno riguardato prevalentemente vacanze rovinate (56 per cento) e sistemazioni alberghiere insoddisfacenti (21 per cento), per i trasporti la mancata assistenza delle compagnie aeree (33 per cento), i ritardi e le Cancellazioni dei voli (25 per cento); nei servizi hanno prevalso gli addebiti non dovuti (52 per cento) solo per citare alcune percentuali;
   le vittime di questi scambi maldestri si vergognano perfino di ammettere che sia capitato proprio a loro; altre volte si preferisce non denunciare l'accaduto, perché il valore del bene è inferiore al costo della tutela legale per il loro recupero;
   il web senza una capillare rete di controlli offre praterie agli imbroglioni e moltiplica le insidie facilmente camuffate da profili anonimi, registrazioni di siti in Paesi dove è quasi impossibile perseguirli, indicazioni e clausole illeggibili e perfino in lingua straniera –:
   se non ritenga che:
    a) i pericoli che si celano dietro il mercato elettronico siano tali da richiedere risorse finanziarie adeguate e una campagna di informazione che aiuti i consumatori più vulnerabili nella navigazione in rete e li renda consapevoli dei rischi che corrono e coscienti dei loro diritti per ottenere ragione del danno eventuale;
    b) siano necessari controlli capillari e uno scambio massiccio di informazioni fra polizie europee ed extraeuropee, al fine di creare una scala unica di sicurezza (elaborata non basandosi sul livello di gradimento degli utenti, ma sul numero delle denunce e dei reclami rilevati) che possa segnalare ai consumatori i siti «rischiosi»;
    c) oscurare un sito non sia un'operazione sufficiente per ritenere rimosso il problema ma occorra impedire che questo torni online, indisturbato, con le medesime finalità, magari con un dominio registrato in un altro Paese o con un indirizzo diverso. (4-11831)


   VALLASCAS. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   da alcune settimane, i 94 dipendenti della Simind (Società italiana montaggi industriali), azienda di manutenzioni industriali che opera, per conto di Versalis e Syndial, società del gruppo Eni, nell'area dell'ex petrolchimica di Porto Torres, sono in stato di agitazione;
   gli operai, che hanno convocato un'assemblea permanente all'esterno del sito industriale, denunciano una serie di inadempienze da parte dell'azienda: dalla mancata erogazione delle spettanze mensili, al mancato rispetto delle condizioni contrattuali;
   in particolare, la Simind è in arretrato nei pagamenti di tre mensilità nonché della tredicesima;
   la situazione sarebbe ulteriormente aggravata dalla decisione della Simind di rinunciare, a causa di gravi difficoltà economiche, alla commessa, che sta per essere trasferita ad un'altra società, la Icom;
   il passaggio comporterebbe, in base a quanto affermato dai rappresentanti dei lavoratori, una rimodulazione dei contratti di lavoro, che verrebbero trasformati a tempo determinato (attualmente 60 dei 94 lavoratori hanno un contratto a tempo indeterminato) e una consistente riduzione di stipendio, pari a circa 250 euro;
   martedì 26 gennaio 2016, si è tenuto un incontro nella sede di Sassari dell'Associazione degli industriali della Confindustria del Nord Sardegna tra i rappresentati delle società del gruppo Eni e dei lavoratori per individuare una soluzione;
   nel corso dell'incontro, Versalis e Syndial «si sono rese disponibili – si legge nel verbale sottoscritto al termine – ad erogare, in via eccezionale ed a titolo forfettario, un importo netto pari a euro 1300 (milletrecento/00) per ciascuno dei 94 lavoratori interessati, salvo conguaglio di quanto dovuto a ciascuno di essi e che verrà definito nel percorso già avviato dai legali. Le quietanze liberatorie che permetteranno l'erogazione dei suddetti importi verranno sottoscritte tra le parti interessate, nella giornata di giovedì 4 febbraio 2016, presso l'Associazione Industriali del Nord Sardegna»;
   l'intervento sostitutivo da parte delle società committenti si sarebbe reso necessario per superare l'ostacolo rappresentato dall'impossibilità di Simind di procedere ai pagamenti, non solo per la mancanza di liquidità, ma sembrerebbe anche per effetto dei procedimenti di ingiunzione esercitati ai creditori a valere sui conti dell'azienda;
   il pagamento a titolo forfettario equivarrebbe a un'unica mensilità, non vi sarebbe alcuna certezza sull'erogazione delle spettanze rimanenti e sulla tredicesima mensilità;
   le parti, nel corso del medesimo incontro, «si impegnano ad attivare un tavolo congiunto con l'azienda subentrante nell'appalto Simind, alla presenza anche delle committenti e da definirsi nel più breve tempo possibile, per accelerare l'ingresso dei lavoratori nella nuova azienda»;
   la vertenza dei 94 operai della Simind ricade su un contesto socio economico profondamente indebolito da un modello di produzione che per decenni ha sfruttato e compromesso l'ambiente, condizionando lo sviluppo economico del territorio e rendendo oggi problematica la ricerca e l'applicazione di alternative sostenibili sotto il profilo economico;
   è il caso di rilevare che, dopo la dismissione di rilevanti attività nell'area della petrolchimica, che ha comportato la cancellazione di decine di migliaia di posti di lavoro tra impianti dell'Eni e aziende dell'indotto, non hanno avuto seguito le previste azioni di recupero e sviluppo produttivo dell'area, compatibilmente con le risorse, le potenzialità e le esigenze del territorio;
   è il caso di sottolineare che, in data 26 maggio 2011, alla Presidenza del Consiglio dei ministri, è stato firmato dal Governo, dalla regione, dagli enti locali, dai rappresentanti dei lavoratori l’addendum al protocollo d'intesa per la chimica verde, che al momento è rimasto lettera morta;
   l’addendum prevede azioni tese alla tutela dei lavoratori dell'indotto e del sistema delle imprese locali e l'attivazione di strumenti di promozione dello sviluppo locale e di contrasto della crisi delle aree industriali per la ricollocazione degli addetti diretti e indiretti del sito di Porto Torres;
   il recente annuncio di Eni di voler cedere la società Versalis, impegnata con Novamont nella joint venture Matrìca per la realizzazione di un polo della chimica verde Porto Torres, solleva legittime preoccupazioni sull'attuazione del rilancio del tessuto produttivo dell'area nonché sulla salvaguardia degli impegni assunti da Eni in fase di dismissione della petrolchimica;
   in questo contesto, la mancata erogazione delle spettanze, peraltro erogate con discontinuità nel corso dell'ultimo anno, a cui si aggiunge l'assenza di concrete prospettive sulla salvaguardia dei livelli occupativi, ha determinato una situazione di profondo e insostenibile disagio per i lavoratori e le loro famiglie –:
   quali iniziative di competenza intendano adottare per garantire il rispetto da parte della società Simind degli impegni contrattuali con i lavoratori del polo chimico di Porto Torres nonché l'erogazione delle spettanza arretrate, compresa la tredicesima mensilità;
   quali iniziative intendano adottare per accelerare l'attivazione del tavolo congiunto con l'azienda subentrante all'appalto e per definire in tempi brevi il passaggio dei lavoratori Simind nella Icom, garantendo il mantenimento delle stesse condizioni contrattuali;
   quali iniziative intendano adottare per garantire il rispetto degli accori sottoscritti con il protocollo d'intesa per la chimica verde nonché quelli contenuti nell'addendum al protocollo che prevede azioni volte alla tutela dei lavoratori dell'indotto e delle imprese locali e l'attivazione di strumenti di promozione dello sviluppo locale e di contrasto alla crisi delle aree industriali per la ricollocazione degli addetti diretti e indiretti del sito di Porto Torres. (4-11848)

Apposizione di firme ad una interpellanza urgente ed indicazione dell'ordine dei firmatari.

  L'interpellanza urgente Brunetta ed altri n. 2-01241, pubblicata nell'Allegato B ai resoconti della seduta del 26 gennaio 2016, è stata sottoscritta anche dai deputati: Bergamini, Carfagna, Crimi, Fabrizio Di Stefano, Garnero Santanchè, Picchi, Ravetto, Romele, Santelli e Sandra Savino.

  Conseguentemente, con il consenso degli altri sottoscrittori, l'ordine dei firmatari si intende così modificato: Brunetta, Palmizio, Archi, Bergamini, Biasotti, Biancofiore, Carfagna, Castiello, Catanoso, Luigi Cesaro, Crimi, De Girolamo, Fabrizio Di Stefano, Gregorio Fontana, Riccardo Gallo, Garnero Santanchè, Gelmini, Giacomoni, Giammanco, Alberto Giorgetti, Gullo, Laffranco, Lainati, Martinelli, Milanato, Nizzi, Occhiuto, Palmieri, Petrenga, Picchi, Polidori, Polverini, Prestigiacomo, Ravetto, Romele, Russo, Santelli, Sarro, Sandra Savino, Sisto, Squeri, Valentini, Vella, Vito.

Apposizione di firme
ad interrogazioni.

  L'interrogazione a risposta scritta Dell'Orco e altri n. 4-03452, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 5 febbraio 2014, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta scritta Del Grosso e altri n. 4-09577, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 24 giugno 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Mongiello ed altri n. 5-06507, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 29 settembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Terrosi.

  L'interrogazione a risposta scritta Dell'Orco n. 4-10862, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 23 ottobre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato De Lorenzis.

  L'interrogazione a risposta orale Brignone ed altri n. 3-01956, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 26 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Cristian Iannuzzi.

  L'interrogazione a risposta in Commissione Tripiedi ed altri n. 5-07552, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 27 gennaio 2016, deve intendersi sottoscritta anche dai deputati: Mantero, Simone Valente, Battelli, Silvia Giordano.

Ritiro di un documento
del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore: interrogazione a risposta immediata in Commissione Rondini n. 5-07531 del 27 gennaio 2016.