Camera dei deputati

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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Martedì 12 gennaio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    la Costituzione italiana, così come le altre Costituzioni degli Stati di democrazia liberale, garantisce la libertà di circolazione (si veda l'articolo 16 della Costituzione, secondo cui: «Ogni cittadino può circolare e soggiornare liberamente in qualsiasi parte del territorio nazionale, salvo le limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità e di sicurezza. Nessuna restrizione può essere determinata da ragioni politiche. Ogni cittadino è libero di uscire dal territorio della Repubblica e di rientrarvi, salvi gli obblighi di legge»);
    l'Unione europea è nata intorno ad alcuni grandi principi ed obiettivi, fra i quali va evidenziato, nell'ottica della costruzione di un mercato concorrenziale delle merci e delle prestazioni lavorative, il principio della libera circolazione di merci e persone nel territorio degli Stati membri; nella Carta dei diritti fondamentali dell'Unione europea, ora incorporata nel Trattato che adotta una Costituzione per l'Europa, la libertà di circolazione è garantita all'articolo II-105 (che recita: «Ogni cittadino dell'Unione ha il diritto di circolare e soggiornare liberamente nel territorio degli Stati membri. La libertà di circolazione e soggiorno può essere accordata, conformemente al Trattato che istituisce la Comunità europea, ai cittadini dei Paesi terzi che risiedono legalmente nel territorio di uno Stato membro»);
    il nostro Paese, nel corso di questi ultimi anni, ha garantito, sia pure con difficoltà, l'esercizio del diritto alla mobilità dei cittadini. Tuttavia, l'attuale assenza di certezza di risorse finanziarie adeguate per il settore dei trasporti e della circolazione rischia di pregiudicare in modo inevitabile l'esercizio di tale diritto, colpendo particolarmente le fasce meno abbienti della popolazione e i pendolari che sono da sempre costretti a subire le conseguenze di tale situazione; questi ultimi anni, in particolare, come emerge dalla stampa nazionale e locale, sono stati davvero terribili per i circa tre milioni di pendolari che ogni giorno si muovono nel nostro Paese;
    in questi ultimi giorni Legambiente ha lanciato la Campagna Pendolaria, presentando una anticipazione, con analisi della situazione di maggiore disagio sulle linee ferroviarie italiane, del rapporto annuale che ha come focus l'emergenza Sud;
    le ragioni della drammatica situazione in cui vivono i pendolari nel nostro Paese sono chiare. I treni innanzitutto risultano essere sono troppo vecchi. In Italia attualmente sono circa 3.300 i treni in servizio nelle regioni con convogli di età media pari a 18,6 anni, con differenze però rilevanti da regione a regione. In secondo luogo i treni risultano essere troppo pochi. Dal 2010 a oggi, complessivamente, si possono stimare tagli pari al 6,5 per cento del servizio ferroviario regionale proprio quando nel momento di crisi è aumentata la domanda di mobilità alternativa più economica rispetto all'auto, anche se con differenze tra le diverse regioni;
    tra il 2010 e il 2015 il taglio ai servizi ferroviari è stato pari al 26 per cento in Calabria, 19 per cento in Basilicata, 15 per cento Campania, 12 per cento in Sicilia;
    inoltre, il maggior aumento del costo dei biglietti è stato in Piemonte con +47 per cento mentre è stato del 41 per cento in Liguria e del 25 per cento in Abruzzo e Umbria, a fronte di un servizio che non ha avuto alcun miglioramento;
    appare completamente assente una regia nazionale rispetto a un tema che non può essere delegato alle regioni senza controlli, senza contare che le risorse da parte dello Stato per il trasporto pubblico su ferro e su gomma sono diminuite del 25 per cento con la conseguenza che le regioni, a cui sono state trasferite nel 2001 le competenze sui treni pendolari, hanno effettuato in larga parte dei casi tagli al servizio e aumento delle tariffe;
    il trasporto pendolare dovrebbe rappresentare una priorità delle politiche di Governo, sia perché risponde a una esigenza reale e diffusa dei cittadini, sia perché, se fosse efficiente, spingerebbe sempre più persone ad abbandonare l'uso dell'auto con vantaggi ambientali, climatici e di vivibilità delle nostre città;
    ad oggi tuttavia un cambio di rotta delle politiche di mobilità ancora non si vede. Al contrario degli altri Paesi europei, in Italia negli ultimi 20 anni neanche un euro è stato investito dallo Stato per l'acquisto di nuovi treni. Alcune regioni hanno fatto investimenti attraverso i contratti di servizio, altre più virtuose, individuando risorse nel proprio bilancio o orientando in questa direzione i fondi europei. In assenza di una regia nazionale ci si trova sempre di più di fronte a un servizio di serie A, per i treni ad alta velocità, di serie B nelle regioni che hanno individuato risorse per evitare i tagli, e di serie C nelle altre regioni;
    il trasporto ferroviario italiano conta treni troppo vecchi, lenti e lontani dagli standard europei di frequenza delle corse. Negli ultimi dieci anni sono stati realizzati alcuni interventi per la sostituzione del materiale rotabile, ma ciò non basta assolutamente. Perché occorre aumentare il servizio con nuovi treni, a partire dalle linee più frequentate e smettere immediatamente di attuare politiche fondate sui tagli agli investimenti per il trasporto pubblico locale e ferroviario;
    secondo Legambiente tra le 10 peggiori linee d'Italia per i pendolari nel 2015 c’è innanzitutto la linea Roma-Lido di Ostia. Il servizio ferroviario di questa linea suburbana gestita da Atac risulta totalmente inadeguato per i circa 100.000 pendolari quotidiani. Il 2015 è stato un anno terribile, con un servizio che sembra peggiorare di giorno in giorno a causa di ripetuti guasti e problemi tecnici: corse che saltano senza che venga fornita un'adeguata informazione, frequenze oltre i 40 minuti, convogli vecchi e sovraffollati spesso privi di aria condizionata, stazioni non presidiate. Ad aggravare il tutto, è il fatto che i pendolari di questa linea arrivati al Capolinea a Roma, spesso continuano il viaggio sulla linea B della metropolitana. Dove trovano un servizio indegno per una città europea, con attese che si attestano, in media, sui 15 minuti con picchi di 20-25, quando, a causa di guasti ai convogli o al sistema elettrico, il servizio non si ferma totalmente;
    segue la linea Alifana e Circumvesuviana. La situazione in Campania della ferrovia Alifana è stata nel 2015 al centro delle cronache per le lamentele da parte dei pendolari che si muovono verso Napoli dal casertano a causa di molteplici ritardi, soppressione di corse, ma soprattutto per la precarietà dei mezzi su cui viaggiano, privi di aria condizionata, con sediolini e carrozze antiquate e scarso servizio di pulizia. Su questa linea viaggiano ancora convogli diesel in attesa che finalmente si completi l'elettrificazione. Ma a Napoli rimane gravissima la situazione che continua a vivere la Circumvesuviana, una delle ferrovie più colpite dai tagli degli ultimi anni, con treni fatiscenti, vagoni stracolmi (ogni giorno 120 mila persone sulla linea!) perché insufficienti per una tratta che collega Napoli con i quartieri e i Comuni ad Est. Numerosi gli episodi di disagi e disservizi, con treni soppressi o fermi anche un'ora alle fermate a causa di guasti e rotture dei mezzi;
    al terzo posto si colloca la linea Chiasso-Rho. Si tratta di una linea, la S11, prolungata da Milano a Rho in occasione dell'Expo, che vede quotidianamente l'utilizzo da parte di quasi 50.000 pendolari che lamentano frequenti ritardi e tempi di percorrenza paragonabili a quelli del secolo scorso (per fare 60 chilometri si impiega oltre un ora e mezza). Solo nel mese di settembre sono stati oltre 100 i ritardi collezionati, una media superiore ai 4 ritardi al giorno, anche nei weekend;
    segue la linea Verona-Rovigo. Lungo i 95 chilometri che collegano Verona a Rovigo i disagi sono all'ordine del giorno. Su questa linea insiste il pendolarismo importante di studenti e lavoratori, ma è anche molto frequentato da turisti. Qui viaggiano mezzi lenti (55 km/h di media) e vecchi, su una linea a binario unico e dove manca ancora il completamento dell'elettrificazione nelle tratte Isola della Scala-Cerea e Legnago-Rovigo e i pendolari devono anche fare un biglietto diverso per il proseguimento da Rovigo a Chioggia;
    al quinto posto si colloca la linea Reggio Calabria-Taranto. Una linea fondamentale di collegamento tra le regioni del Sud che vede continui tagli e l'uso di treni sempre più vecchi, malgrado il ruolo fondamentale che potrebbe avere nel collegare gli oltre 40 centri urbani e turistici lungo il percorso. Da Reggio c’è un solo treno diretto al giorno, che ci mette 7 ore e 12 minuti a una velocità di 66 km/ora su una linea sostanzialmente vuota. Nel corso degli ultimi due anni la Regione Calabria ha tagliato circa 20 milioni di euro al contratto di Servizio con Trenitalia, già impoverito di molto negli anni precedenti. A partire dalla metà del 2014 è stata decretata la soppressione di ben 26 treni regionali, poi in seguito alle trattative, 10 corse sono state ripristinate, ma con notevoli riduzioni sulla linea Jonica e la Rosarno-Lamezia Terme Centrale via Tropea. I pendolari segnalano problemi anche nella scelta delle fermate;
    segue la linea Messina-Catania-Siracusa. Lungo i 177 chilometri della linea che collega Messina a Siracusa, i treni viaggiano a una velocità media di 69 chilometri orari passando per Catania, i disservizi più frequenti riguardano gli imprevisti tecnici, quasi sempre dovuti alla condizione dell'infrastruttura. Manca sempre una adeguata informazione ai viaggiatori in caso di interruzioni, guasti agli scambi, furti di rame. Su questa linea insiste la tratta Giampilieri-Fiumefreddo, il cui raddoppio per 42 chilometri e previsto dal contratto di programma di RFI già dal 2000. Un'opera dal valore di 2,27 miliardi di euro che vede ad oggi un finanziamento di soli 49 milioni;
    al settimo posto si colloca la linea Taranto-Potenza-Salerno. Su questa linea di oltre 200 chilometri di fondamentale importanza per i collegamenti interni tra Puglia, Basilicata e Campania, ma anche per i pendolari dei diversi centri lungo la linea, la situazione è ferma a 50 anni fa. I convogli-non raggiungono i 50 km/h di velocità media e impiegano 1 ora e 47 minuti per collegare i 120 chilometri, tra Potenza a Salerno, e 2 ore tra Potenza e Taranto (150 chilometri). La beffa è che i ritardi sono all'ordine del giorno (quando i treni non subiscono soppressioni improvvise), nonostante la linea sia sostanzialmente vuota, visto che ci sono solamente 6 treni per direzione di marcia al giorno;
    segue la linea Novara-Varallo. Addio ai treni lungo la linea Novara-Varallo dal settembre 2014. C’è quindi chi sta peggio di altri, perché oggi l'unica speranza dei pendolari dell'area è che con l'inserimento della linea nel capitolato di gara d'appalto nel lotto del quadrante nord-orientale del Piemonte si veda una riapertura ed un rilancio del servizio. Ma è solo una possibilità e in ogni caso se ne riparlerà dopo il 2017;
    si segnala ancora la linea Orte-Foligno-Fabriano. Su questa linea i pendolari aspettano da tanti anni che si dia seguito alle promesse di un potenziamento. Si sta infatti parlando di un collegamento nazionale, tra Roma, l'Umbria e le Marche su cui sarebbero previsti investimenti in perenne ritardo e di cui beneficerebbe anche il servizio pendolare. Per ora la linea di 140  chilometri continua ad avere molti tratti a binario unico, una media di velocità di 70 km/h, e i pendolari lamentano continui disagi a causa di guasti dei treni e criticità durante l'inverno per la pioggia, il gelo ed in alcuni casi persino a causa delle foglie che creano problemi di aderenza delle ruote del locomotore sulla rotaia. L'infrastruttura in alcuni tratti è a binario unico, mentre i lavori di raddoppio sono in ritardo ormai da anni;
    infine, c’è la linea Genova-Acqui Terme. Numerosi disagi si riscontrano sulla linea che collega Genova con il Ponente e che passa per numerosi centri fino ad Acqui Terme, a causa di 46 chilometri a binario unico e di tagli ai treni, per una media di 45 km/h. Qui il maltempo può causare interruzioni della linea e frane. All'ordine del giorno, vi sono ritardi, scarsità di treni, soppressioni improvvise e attese interminabili;
    la regione con la più alta età dei treni e l'Abruzzo, con 28,3 anni, e l'84,7 per cento dei treni circolanti ha più di 20 anni. Anche in Basilicata, si trovano dati estremamente negativi, con un'età media dei treni di quasi 24 anni. In Puglia la situazione più critica è quella delle linee di Ferrovie del SudEst, ma in generale è necessario un rinnovo del parco rotabile vista l'età media di 23 anni. In Sicilia, l'età media dei treni è di circa 23 anni, con la conseguenza che sulla tratta Siracusa-Gela lo stato dei treni è mediocre tanto che gli attuali tempi di percorrenza sono addirittura superiori a quelli di 20 anni fa, anche a causa di un'infrastruttura decisamente carente. In Lombardia l'età media dei treni è di circa 22 anni che scende però a 7,5 considerando i revamping. Nonostante ciò, vista la grande quantità di pendolari, l'usura dei convogli incide sulla qualità del servizio sulle linee, a partire dalla Milano-Lecco-Tirano. In Calabria i pochi treni in circolazione hanno oltre 21 anni di età. In Umbria non va meglio con treni di circa 20 anni, mentre è di 19,5 anni l'età media dei treni in Sardegna,

impegna il Governo:

   ad adottare ogni iniziativa di competenza, garantendo il pieno coinvolgimento delle regioni, per promuovere finalmente scelte coraggiose e mirate in termini di mobilità urbana ed extraurbana, a partire dallo stanziamento di maggiori risorse per arrivare a 5.000.000 di cittadini trasportati ogni giorno nel 2020, portando il trasporto ferroviario agli stessi standard qualitativi europei;
   ad attivarsi al fine di garantire il diritto alla mobilità con collegamenti ferroviari efficienti al Nord come al Sud tra i principali capoluoghi, integrati con il sistema di porti e aeroporti, ponendo in essere ogni iniziativa di competenza finalizzata ad impedire il perdurante taglio dei collegamenti ferroviari e avviando un'azione di monitoraggio sulla rete pubblica affidata in concessione a Rete ferroviaria italiana finalizzata ad un ripensamento degli investimenti indispensabili ad aumentare la velocità dei collegamenti che parta innanzitutto dalla necessità di valorizzare la presenza di treni pendolari rispetto a quelli a mercato nella definizione delle tracce;
   a porre in essere ogni iniziativa di competenza per favorire la competitività del trasporto promuovendo l'aumento dell'offerta di collegamenti sulle principali linee pendolari, la riorganizzazione degli orari attraverso procedure di confronto con gli utenti e il controllo del rispetto del contratto di servizio rispetto alla puntualità;
   ad attivarsi al fine di avviare un programma decennale di investimenti che preveda almeno 300 milioni di euro di risorse statali l'anno per l'acquisto di treni regionali;
   a definire le politiche relative alla mobilità mettendo al centro gli utenti della mobilità, valutando altresì l'opportunità di assumere iniziative per ripristinare il finanziamento di alcune norme introdotte durante il Governo Prodi nell'ambito della legge n. 244 del 2007 (legge finanziaria 2008) e non più rifinanziate dai successivi Governi che prevedono la possibilità di portare in detrazione le spese sostenute per l'acquisto dell'abbonamento annuale ai servizi di trasporto pubblico locale, regionale e interregionale, al fine di incentivare un maggior utilizzo del trasporto pubblico locale con conseguente riduzione progressiva del trasporto privato, a tutto vantaggio di una mobilità alternativa più sostenibile per gli inevitabili ed evidenti effetti positivi in termini di riduzione delle emissioni dei gas inquinanti, soprattutto nelle aree urbane più grandi e maggiormente caotiche;
   a valutare l'opportunità di assumere iniziative per rifinanziare il fondo per la mobilità sostenibile, già istituito con la legge n. 296 del 2006 (legge finanziaria 2007) al fine di sostenere le politiche di incentivazione della mobilità sostenibile soprattutto nelle grandi aree urbane, attraverso il potenziamento e l'aumento dell'efficienza dei mezzi pubblici e l'incentivazione dell'intermodalità;
   ad assumere iniziative per revocare le risorse impegnate per opere «faraoniche» non più necessarie al fine di destinare le medesime risorse ad altri interventi, dalla manutenzione e messa in sicurezza della rete ferroviaria italiana, alla manutenzione delle principali infrastrutture di trasporto esistenti, al miglioramento dell'offerta di trasporto pubblico locale;
   a promuovere un concreto efficientamento del trasporto pubblico locale incentivandolo con necessari e adeguati finanziamenti del fondo nazionale trasporti;
   ad intervenire con urgenza, per quanto di competenza al fine di risolvere in via definitiva le criticità individuate in premessa con riferimento alle 10 linee ferroviarie peggiori del nostro Paese.
(1-01091) «Franco Bordo, Fassina, Scotto, Folino, Pellegrino, Zaratti, Sannicandro, Airaudo, Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Zaccagnini, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   Il sottoscritto chiede di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, il Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per sapere – premesso che:
   dal 29 dicembre 2015 i consorzi di imprese che gestiscono i servizi di pulizia e di decoro delle scuole a fronte delle incertezze di quanto interverrà dopo il 31 marzo 2016, hanno attivato le procedure di licenziamento collettivo ai sensi della legge n. 223 del 1991 e successive modifiche per 6124 lavoratori in tutto il Paese;
   i consorzi di imprese Manital e Ciclat, che operano nei lotti che interessano il territorio della Campania e le province di Napoli, Salerno, Caserta, Avellino e Benevento hanno formalizzato una esuberanza di 3180 lavoratori ex LSU ed appalti storici, di cui 2402 sul territorio di Napoli e Salerno e 778 sul territorio di Caserta, Avellino e Benevento;
   il 28 marzo 2014 è stato sottoscritto un accordo presso il Ministero del lavoro e delle politiche sociali con cui il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si impegnava, al fine di garantire la continuità del servizio di pulizia nelle scuole dei lotti non ancora aggiudicati da Consip nelle regioni Sicilia e Campania, a comunicare alla Presidenza del Consiglio dei ministri uno schema di decreto-legge recante misure urgenti per l'istruzione che disponesse che le istituzioni scolastiche delle regioni in questione avrebbero acquisito, a partire dal 1o aprile 2014, i servizi di pulizia rivolgendosi a quegli stessi raggruppamenti di imprese che li avevano assicurati sino al 31 marzo 2014 alle condizioni tecniche del capitolato Consip ed a condizioni economiche pari alla media delle aggiudicazioni delle regioni in cui sono attive quelle convenzioni;
   nello stesso accordo il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca si impegnava, anche al fine di risolvere definitivamente la problematica occupazionale conseguente alla riduzione degli affidamenti derivanti dalle espletate gare Consip e riguardante le lavoratrici e i lavoratori ex LSU ed appartenenti ai cosiddetti «appalti storici», ad utilizzare risorse complessive pari a 450 milioni di euro a decorrere dal 1o luglio 2014 e sino al 31 marzo 2016 per lo svolgimento, da parte del personale adibito alla pulizia delle scuole, di ulteriori attività consistenti in interventi di ripristino del decoro e della funzionalità degli immobili adibiti ad edifici scolastici;
   il decreto-legge n. 58 del 2014, convertito dalla legge n. 87 del 2014, ha autorizzato le istituzioni scolastiche ed educative nelle regioni in cui non è attiva la convenzione-quadro Consip all'acquisto dei servizi di pulizia fino e non oltre il 31 dicembre 2014;
   la delibera del CIPE del 30 giugno 2014 ha sbloccato 110 milioni di euro, da abbinare a 40 milioni di euro in capo al Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca, per gli interventi di piccola manutenzione, decoro e ripristino che avrebbero interessato alcune migliaia di plessi scolastici nel corso del 2014;
   la legge n. 190 del 2014 ha successivamente modificato tale situazione modificando il testo della legge n. 87 del 2014 già citata al fine di ricomprendervi anche il 2015, sino al 31 luglio;
   il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 117 del 2015 ha poi finalizzato al mantenimento del decoro e della funzionalità degli immobili scolastici la somma complessiva, a livello nazionale, di 130 milioni di euro per il periodo intercorrente tra il 1o gennaio 2015 ed il 30 giugno 2015;
   per l'anno 2015-2016, invece, a partire dal 16 luglio 2015 sono entrate in vigore le nuove disposizioni normative contenute nell'articolo 1 comma 174, della legge n. 107 del 2015 con cui si è ulteriormente modificata la legge n. 87 del 2014 prolungando l'autorizzazione per le istituzioni scolastiche ed educative nelle regioni in cui non è attiva la convenzione-quadro Consip all'acquisto dei servizi di pulizia fino a non oltre il 31 luglio 2016 dai raggruppamenti e imprese che li avevano assicurati alla data del 31 marzo 2014;
   il decreto del Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca n. 596 del 2015 ha destinato 10 milioni di euro ad interventi di manutenzione e decoro come anticipo del secondo semestre 2015;
   il 15 ottobre 2015 è stata assegnata alle scuole la rata relativa ai 50 milioni ex delibera del CIPE previsti dal decreto-legge n. 145 del 2015;
   il 16 dicembre 2015 il Ministero dell'istruzione, dell'università e della ricerca ha assegnato alle scuole l'ultima rata di 50 milioni relativa al secondo semestre 2015;
   il 30 luglio 2015 è stato sottoscritto con le segreterie nazionali di CGIL, CISL e UIL e di FILCAMS CGIL, FISASCAT CISL e UILTRASPORTI UIL, in sede di Presidenza del Consiglio, unitamente ai Ministeri interessati, un accordo quadro al fine di esaminare le problematiche occupazionali e di reddito concernenti le problematiche dei cosiddetti ex LSU ed «appalti storici», in vista della data del 31 marzo 2016;
   in assenza di nuove determinazioni è evidente come, a decorrere dal 1o aprile 2016, termineranno gli stanziamenti finanziari e di conseguenza i lavori di decoro;
   si tratta dell'ennesimo colpo drammatico ai lavoratori ed in particolare a quelli del Mezzogiorno e della Campania, già falcidiati dalla crisi economica, in cui le percentuali di disoccupazione (specie femminile e giovanile) sono in costante crescita –:
   se non ritengano di dover assumere iniziative urgenti al fine di salvaguardare il livello occupazionale ed il salario dei lavoratori coinvolti nella procedura di licenziamento collettivo, nonché garantire servizi di pulizia, igiene e decoro alle strutture scolastiche frequentate quotidianamente da una vasta utenza di studenti, personale scolastico e famiglie;
   se non ritengano di dover aprire, in tempi rapidi e non rinviabili, il tavolo di concertazione, di cui all'accordo quadro, con tutte le parti sociali interessate al fine di trovare una soluzione alternativa;
   se non ritengano fondamentale evitare il blocco dei lavori di pulizia e di decoro degli istituti scolastici della Campania, del Mezzogiorno e dell'intero Paese.
(2-01218) «Scotto».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Presidente del Consiglio dei ministri, il Ministro dello sviluppo economico, per sapere – premesso che:
   le centrali elettriche sarde sono state escluse dal regime di essenzialità, ovvero non avranno più il riconoscimento di centrali strategiche;
   la comunicazione finale e ufficiale, con la trasmissione alle sedi legali delle centrali della decisione assunta dall'Authority e resa operativa da Terna;
   le centrali di Portotorres, Portovesme e Ottana non saranno più supportate da un riconoscimento economico insulare per la loro gestione;
   non avranno contributi per sopperire ai maggiori costi gestionali legati al rischio di black out derivanti dall'essere un'isola;
   in sostanza, senza contributo gestionale chiudono;
   Terna garantisce la continuità elettrica, ma lo fa senza alcun tipo di sicurezza e soprattutto mettendo in conto il drastico taglio del consumo di energia in Sardegna legato alla chiusura della gran parte dell'apparato industriale e produttivo sardo;
   la società di gestione della trasmissione elettrica, Terna, sostanzialmente garantisce per il futuro l'energia fondando questa affermazione sulla permanente fine della produzione industriale;
   si tratta di una decisione gravissima perché il taglio dell'essenzialità alle centrali sarde è di fatto l'annuncio del «funerale» al sistema produttivo sardo, da quello di Porto Torres a quello di Portovesme, passando per Ottana che potrebbe chiudere già dalle prossime settimane;
   un colpo letale alla Sardegna consumato nello scandaloso silenzio della giunta regionale ad avviso degli interpellanti sempre più incapace di affrontare la gestione di queste vertenze strategiche per l'isola;
   con questa decisione si aggrava su due fronti la situazione del comparto industriale sardo, da una parte si pregiudica la quantità di energia disponibile e dall'altra, garantendo l'affidabilità del sistema elettrico, si mette in seria discussione il regime di interrompibilità e super interrompibilità in discussione a Bruxelles per le industrie energivore, tra le quali Alcoa e Portovesme srl;
   sulla vertenza Alcoa, a distanza di tre anni dalla chiusura degli impianti non è stato fatto un solo passo in avanti sulla questione energetica;
   con questo passaggio dell'Authority si pregiudica alla radice la vertenza Alcoa e creare seri problemi alla Portovesme srl;
   è evidente che Terna, dando le assicurazioni di totale affidabilità della trasmissione elettrica in Sardegna, ha sostanzialmente e contemporaneamente detto che non servono regimi di interrompibilità;
   tutto questo sta avvenendo con il silenzio del Governo nazionale e della giunta regionale;
   si stanno drammaticamente precostituendo scenari tecnici che avranno un effetto letale sul sistema produttivo industriale sardo;
   ad Ottana con la decisione di negare il regime di essenzialità a Ottana Energia il risultato rischia di essere catastrofico;
   è possibile che già nelle prossime settimane la proprietà decida di chiudere la centrale e questo finirebbe per pregiudicare anche il futuro di Ottana polimeri compreso l'acquisto dell’asset di Eni necessario a chiudere la filiera del piano energetico (pet) in Sardegna;
   in questa direzione appare evidente il rischio della fine di qualsiasi tipo di attività industriale in Sardegna;
   a Porto Torres, oltre alla difficile situazione della centrale elettrica di Fiume Santo, dimezzata di fatto nella sua potenzialità con il taglio dell'essenzialità che rischia di essere anch'essa dismessa, si aggiunge la fuga dell'Eni e di società contigue dalla partita della «chimica verde», nonché dei soggetti che sino a qualche mese fa l'hanno venduta come un'importante riconversione in chiave di nuovo sviluppo;
   la decisione di cedere a terzi quell’asset è la conferma dell'incapacità di perseguire progetti seri di sviluppo;
   sin dal 2012 veniva presentato un «fantomatico» Piano Sulcis con improbabili previsioni finanziarie che ad oggi non hanno prodotto nemmeno un cantiere aperto e la chiusura di due asset importantissimi come la Carbosulcis e Alcoa, oltre alla mancata riapertura di Eurallumina;
   sulla vicenda Alcoa il fallimentare confronto con la Commissione europea ha portato ad un risultato inutile e insignificante visto che la concessione di appena due anni di interrompibilità risulta totalmente inadeguata a soddisfare le previsioni indicate nel famoso memorandum sottoscritto dal Governo con la multinazionale Glencore;
   in quel memorandum si chiedevano dieci anni minimo di continuità elettrica sotto regime di interrompibilità, ne sono stati concessi due e con valori decisamente diversi;
   è evidente che si tratta di un risultato inutile visto che quello stabilimento ha bisogno di oltre un anno per essere riavviato e di investimenti rilevanti non ammortizzabili in un solo anno;
   il Governo ha annunciato in occasione dell'ultimo incontro l'interessamento di un possibile acquirente parlando di una certa Sider Alloys, società svizzera ma gestita da italiani;
   si tratta di una società che non detiene alcuno stabilimento e non ha mai gestito unità produttive, né di alluminio né di altro –:
   se non ritenga di dover predisporre, alla stregua di altre realtà come Ilva, un apposita iniziativa normativa urgente che possa affrontare concretamente le vicende industriali della Sardegna;
   se non ritenga di dover seriamente pensare all'intervento pubblico nel governo del processo di riavvio dello stabilimento Alcoa alla pari di quello che sta avvenendo per altri settori strategici;
   se non ritenga di dover prevedere il riconoscimento dell'alluminio primario come settore strategico nazionale e di assumere iniziative per estendere le procedure straordinarie previste per l'Ilva anche per lo stabilimento Alcoa di Portovesme;
   se non ritenga di dover adoperarsi per persuadere le principali società di produzione elettriche presenti in Sardegna affinché vengano predisposti contratti bilaterali per la fornitura di energia elettrica;
   se non ritenga nell'iniziativa normativa sopra citata di prevedere la proroga del regime di essenzialità per le centrali elettriche sarde proprio in virtù delle condizioni insulari;
   se non ritenga di dover intervenire presso le società impegnate nel processo di «chimica verde» per evitare ulteriori azioni tese a depauperare le opportunità occupazionali;
   se non ritenga di dover fornire un quadro esatto dei risultati del «piano Sulcis» rispetto a tutti gli interventi previsti;
   se non ritenga di dover con urgenza fornire indicazioni sulla società Sider Alloys e perseguire una «soluzione pubblica» per il riavvio dello stabilimento Alcoa di Portovesme.
(2-01221) «Pili, Pisicchio».

Interrogazioni a risposta orale:


   PALLADINO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   la categoria dei liberi professionisti è stata particolarmente esposta a una normativa prodotta negli ultimi anni che purtroppo ne ha ridotto le tutele, soprattutto in merito al recupero degli oneri fiscali. Si tratta di norme a tutela dell'interesse comune, che dovrebbero impedire la morte economica del contribuente e, conseguentemente, garantire le rispettive attività e dignitose condizioni di vita;
   diversi sono i casi di liberi professionisti che, dopo la notifica di cartella esattoriale, vengono colpiti da atti di pignoramento presso terzi. E invero, in tali casi, la società concessionaria della riscossione provvede a notificare atti di pignoramento presso i creditori dei professionisti, impedendo di fatto ogni possibilità di guadagno. Il tutto oltre il pignoramento dei conti correnti personali e professionali;
   è di tutta evidenza che bloccando i conti correnti e pignorando presso i terzi ogni credito presente e futuro, si condanna inesorabilmente l'attività al fallimento, e il professionista al lastrico, impedendogli non solo di poter saldare il suo debito con l'erario, ma anche di portare avanti la propria, vita personale;
   da tale paralisi consegue che il professionista non può onorare le successive scadenze fiscali, non può pagare i dipendenti, non può mantenere la famiglia, il tutto senza che nella casse dello Stato possa essere azzerato il suo debito;
   la conseguenza di tale iter, tristemente già nota alle cronache, consiste in licenziamenti, chiusura delle attività, disperazione, suicidi. Questo per i liberi professionisti che vengono paralizzati in ogni loro avere fino all'ultima risorsa;
   per i dipendenti delle pubbliche amministrazioni non è così. E invero, il decreto del Presidente della Repubblica n. 180 del 1950, stabilisce che lo stipendio di tali lavoratori è pignorabile, anche dallo stesso Stato per motivi di evasione fiscale, solo ed esclusivamente nella misura di 1/5. Così che il lavoratore salda giustamente il suo debito nei confronti dell'Erario, ma ha possibilità di far sopravvivere il suo nucleo familiare;
   la ratio di tale norma, oltremodo apprezzabile, è stata giustamente estesa dalla legge finanziaria del 2005, attraverso le leggi di attuazione 311 del 2005 e 80 del 2005 anche ai pensionati e ai lavoratori dipendenti da aziende private;
   ne consegue che i lavoratori dipendenti, del settore pubblico o privato che sia, e i pensionati, possono veder gravata e sottoposta a pignoramento la propria unica fonte di reddito limitatamente alla quinta parte;
   pur plaudendo al limite imposto dal legislatore alla invasività del recupero fiscale, non si può non evidenziare la diversificazione dei trattamenti e delle tutele concesse ai lavoratori. Tutela per i dipendenti pubblici e privati sin dopo la pensione, abbandono e severissima repressione per i liberi professionisti. Tale contegno appare indiscutibilmente contrario all'articolo 3 della Costituzione che dichiara uguali tutti i cittadini dinanzi alla legge;
   in tal senso è opportuno evidenziare la sentenza n. 685 del 18 gennaio 2012, con la quale la Corte di Cassazione ha esteso i benefici di cui sopra anche ai lavoratori parasubordinati di cui all'articolo 409, comma 3, del codice di procedura civile, statuendo che ogni loro singola provvigione o emolumento possano essere pignorati solo per la misura massima di un quinto. Restano senza tutela solo i liberi professionisti i cui crediti lavorativi possono essere pignorati per l'intero –:
   quali urgenti iniziative, anche di carattere normativo, il Governo intenda porre in essere per ovviare alle differenze di trattamento descritte in premessa tra lavoro pubblico e privato, stabilendo il limite di un quinto alla pignorabilità del «monte redditi» per qualsiasi lavoratore. (3-01914)


   ANZALDI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 11 gennaio 2016 i dipendenti della Luedi, società che fornisce il service giornalistico e poligrafico alla società Edizioni Proposta Sud (Eps) per quanto concerne l'edizione della «Basilicata» del Quotidiano del Sud sono stati collocati in cassa integrazione a zero ore dal commissario liquidatore della società;
   la decisione giunge inattesa ed in maniera unilaterale venendo meno agli impegni assunti circa un mese prima al tavolo di confronto alla presenza di sindacati e regione;
   la società Eps ha inoltre già provveduto ad assegnare la commessa del service per la realizzazione delle pagine della edizione lucana della testata ad un'altra agenzia avente sede in Campania;
   è del tutto evidente che si tratta di una decisione grave da parte del gruppo editoriale che mortifica professionisti e comunità anche perché dopo 14 anni suddetta testata aveva maturato una indiscussa autorevolezza nel dibattito pubblico regionale e garantiva pluralismo dell'informazione;
   tale vicenda, purtroppo non rara nell'attuale panorama dell'informazione nazionale, necessita di un attento approfondimento anche in relazione ad eventuali sostegni pubblici ricevuti da parte del gruppo editoriale e sulle modalità di affidamento al nuovo service nonché su come sia possibile garantire la stessa qualità dell'informazione;
   anche la FNSI ha espresso solidarietà ai dipendenti della Luedi chiedendo un intervento delle istituzioni –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale vertenza e quali iniziative intenda assumere con la massima urgenza al fine di attivare immediatamente un tavolo di confronto, partendo dal ritiro della cassa integrazione a zero ore per i dipendenti, e individuare soluzioni che tutelino le professionalità che fino ad oggi hanno garantito una informazione di qualità in Basilicata. (3-01917)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   PILI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   la Presidenza del Consiglio dei ministri aveva disposto la concessione di aree demaniali, sull'isola de La Maddalena e acque prospicienti, nelle quali si sarebbe dovuto organizzare, nel 2009, la riunione del G8, classificato come grande evento della Presidenza italiana, la cui realizzazione era prevista, quale fonte per la regolazione delle attività di organizzazione, dall'articolo 6, comma 4, dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri 3738 del 5 febbraio 2009;
   con tale norma si prevedeva che la regione autonoma della, Sardegna, per il tramite del commissario delegato individuato dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3629 del 20 novembre 2007, provvedesse ad esperire una procedura selettiva per l'affidamento trentennale delle aree demaniali già individuate e prese in consegna dalla struttura commissariale per l'organizzazione del grande evento, ai fini della gestione del servizio di ricettività alberghiera, del porto turistico e delle connesse aree e strutture dell'ex arsenale e dell'ex ospedale militare, anche in deroga a quanto previsto dall'articolo 3 del decreto-legge n. 400 del 1993;
   in base i quanto precede, il dipartimento della protezione civile aveva predisposto il bando di gara, pubblicato sulle Gazzette Ufficiali della Unione europea e della Repubblica italiana;
   il bando prevedeva l'aggiudicazione secondo i criteri dell'offerta economicamente più vantaggiosa, individuata in base al cosiddetto «merito tecnico» dell'offerta stessa e al «valore economico». In ordine a quest'ultimo si prevedeva che l'offerta dovesse articolarsi sul versamento una tantum di una somma non inferiore a 40 milioni di euro e sul pagamento di un canone annuale per l'intera durata della concessione (30 anni), senza indicarne, tuttavia, l'importo minimo;
   la concessione venne aggiudicata, in presenza di una sola offerta – ipotesi prevista dal bando – alla M.I.T.A. Resort s.r.l., per un importo di euro 41.000.001,00 e un canone annuo pari ad euro 60.000,00 (e quindi per un totale di euro 1.800.000,00);
   a seguito del terremoto avvenuto nella regione Abruzzo il 6 aprile 2009, con decreto-legge n. 39 del 3009 si dispose il trasferimento del grande evento dall'isola de La Maddalena a L'Aquila;
   l'articolo 17, comma 3, del citato decreto-legge stabiliva che, al fine di consentire il contenimento della spesa, i rapporti giuridici sorti in attuazione dell'ordinanza n. 3629 del 20 novembre 2007 e successive modificazioni sono rinegoziati, fatto salvo il diritto di recesso dell'appaltatore...;
   in attuazione di quanto precede, con l'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri n. 3774 del 28 maggio 2009, si modificò la durata della concessione da trentennale a quarantennale in ragione delle conseguenze «derivanti dal trasferimento a L'Aquila della sede del vertice G8 in termini di mancata promozione del sito e delle strutture ricettive realizzate nell'isola de La Maddalena e dell'esigenza di mantenere la necessaria redditività degli investimenti effettuati...»;
   con decreto n. 2604 del 22 maggio 2009, rinnovato il 1o giugno 2009 (n. 2822) il capo del Dipartimento della protezione civile aveva delegato al dottor Angelo Borrelli, quale direttore dell'ufficio amministrazione e bilancio dei dipartimento, alla stipula della convenzione con M.I.T.A. Resort s.r.l.;
   la concessione che precede venne stipulata il 9 giugno 2009 e, per l'effetto, il compendio immobiliare, costituito da 113.926. metri quadri a terra e più di 110.000 metri quadri di specchio acqueo, venne affidato alla M.I.T.A. Resort s.r.l., per un periodo di quaranta anni e per un corrispettivo, quale una tantum, pari ad euro 31.000.000,00, oltre a un canone annuo euro 60.000,00;
   il relativo decreto di approvazione venne adottato il 13 luglio successivo e registrato dalla Corte dei conti, in sede di controllo, il 4 settembre 2009;
   in seguito al mancato svolgimento del G8 a La Maddalena si aprì un rilevante contenzioso con la società MITA resort srl giungendo al lodo;
   arbitrale che portò a definire una condanna di fatto della protezione civile a pagare alla società oltre 36.000.000 di euro di danni;
   risulta che la Presidenza del Consiglio abbia impugnato tale lodo arbitrale –:
   se non ritenga di confermare questa impugnazione e su quali presupposti la stessa sia avvenuta;
   se non ritenga di dover avviare, per quanto di competenza, una seria verifica delle responsabilità su quel contenzioso e soprattutto sul mancato intervento per salvare l'intero patrimonio dell'ex arsenale in totale stato di abbandono;
   se abbia fatto comunicazioni formali alla società Mita srl rispetto al contenzioso e al pagamento delle somme decise dal loro arbitrale;
   se abbia valutato, per quanto di competenza, la sussistenza di profili di incompatibilità nella posizione del presidente dell'Eni rispetto a tale vicenda, soprattutto per il suo diretto coinvolgimento in quel contenzioso in quanto all'epoca titolare della società;
   se risulti che se la stessa presidente dell'Eni abbia ancora cariche in tale società e abbia firmato atti avverso la Presidenza del Consiglio dei ministri.
(5-07332)


   TRIPIEDI, COMINARDI, CIPRINI, CARINELLI, CASO, PARENTELA, MANLIO DI STEFANO, COZZOLINO, DE ROSA, CHIMIENTI, LOMBARDI, PESCO, TONINELLI, PETRAROLI, ZOLEZZI, L'ABBATE, BATTELLI, DELLA VALLE, CRIPPA, SCAGLIUSI, FERRARESI, DA VILLA, CASTELLI, LIUZZI, NICOLA BIANCHI, PAOLO NICOLÒ ROMANO, DEL GROSSO, MASSIMILIANO BERNINI, PAOLO BERNINI, DAGA, VIGNAROLI, RIZZO, ALBERTI, VACCA, PISANO, D'AMBROSIO, MANTERO, DE LORENZIS, BONAFEDE, COLONNESE, GRILLO, VILLAROSA, GAGNARLI, GRANDE, SPADONI, BUSINAROLO, SPESSOTTO, DELL'ORCO, MICILLO e LOREFICE. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   in data 31 dicembre 2015, veniva pubblicato sul giornale Il Fatto Quotidiano, la notizia riguardante diverse problematiche denunciate dal Corpo nazionale dei vigili del fuoco;
   nell'articolo veniva indicato che da diverse settimane prima della pubblicazione dello stesso, i vigili del fuoco di mezza Italia stavano ricevendo, dai comandi provinciali, cartelle esattoriali. Per ogni singolo caso specifico, veniva chiesta ai pompieri la restituzione dei compensi corrispondenti al tempo da loro impiegato per spostarsi dalla caserma al luogo di destinazione ove gli stessi hanno svolto il loro servizio operativo, nell'anno 2010;
   come denunciato da Costantino Saporito del Coordinamento nazionale USB dei vigili del fuoco, a causa di questa richiesta che stabilisce l'incomprensibile non retribuzione retroattiva, alcuni vigili dovrebbero restituire dai 2.000 ai 3.000 euro;
   un ulteriore timore per i vigili del fuoco, è quello inerente al fatto che se ad essere considerati saranno anche gli anni successivi al 2010, verranno inviate altre migliaia di lettere sempre dello stesso tenore ai diretti interessati;
   in tal senso, la sentenza n. 05701/04, della Corte di Cassazione, ha stabilito, con richiamo alle sentenze della Corte di Cassazione n. 13804 del 9 dicembre 1999, n. 5775 dell'11 aprile 2003, n. 1202 del 3 febbraio 2000 e n. 5359 del 10 aprile 2001, che «il tempo impiegato per raggiungere il luogo di lavoro rientra nell'attività lavorativa vera e propria (e va quindi sommato al normale orario di lavoro come straordinario), allorché sia funzionale rispetto alla prestazione. In particolare, sussiste il carattere di funzionalità nel caso in cui il dipendente, obbligato a presentarsi presso la sede aziendale, sia poi di volta in volta inviato in diverse località per svolgervi la sua prestazione lavorativa»;
   all'interno dell'articolo, inoltre, viene fatto notare che i vigili del fuoco non ricevono adeguati stipendi per il genere di mansioni svolte;
   sempre nell'articolo, i vigili del fuoco denunciano di non avere un'assicurazione sanitaria. Ciò molto spesso porta alla conseguenza, per una mansione dal pericolo elevato come quella da loro svolta e anche per la più semplice malattia a cui possono andare incontro, di avere ripercussioni negative sui loro stipendi;
   molti dei vigili in attività sono passati a contratti di ruolo solo dopo diversi anni di precariato e solo dopo aver superato i quarant'anni di età. Ciò significa, per questi casi specifici, l'andare in pensione con cifre assolutamente esigue. Questo in conseguenza del fatto che per decenni i diversi dirigenti che si sono susseguiti ai vertici del Corpo dei vigili del fuoco, abbiano fatto ricorso a lavoratori considerati «discontinui», ossia precari, il cui numero preciso risulta essere di difficile individuazione ma che si stima possa variare dalle decine di migliaia ai 60 mila. Tali lavoratori, sono uomini qualificati a cui vengono rinnovati contratti generalmente quindicinali, ma che ora rischiano di non avere più alcun rinnovo e di perdere definitivamente il loro posto di lavoro;
   vi è poi il problema dello scarso organico che a livello nazionale è compreso tra i 26 mila e i 32 mila vigili del fuoco, a seconda degli amministrativi considerati. Dividendo l'organico per turni e tenendo conto dei turni di riposo e delle miglia di vigili che devono prestare servizio negli aeroporti, vi sono meno di 3.900 unità presenti per ogni turno di lavoro;
   Stefano Giordano, rappresentante del sindacato USB della Liguria, ricorda che nel caso specifico della sua regione, terra con un milione e seicentomila abitanti, particolarmente soggetta a rischio alluvioni ed incendi, vi sono in media 142 uomini in servizio, ossia meno di uno ogni 11 mila persone;
   e ancora, c’è il problema dei 23 comandi provinciali declassati in sub comandi e caserme che diventeranno distretti, rimanendo aperte di giorno e chiuse di notte. Inoltre, i posti di vigilanza saranno presidiati da due soli volontari. Viene fatto notare, sempre in questo ambito, che vi sono intere zone del Paese corrispondenti ad un totale di circa 305 mila chilometri quadrati, non, coperte dai servizi dei vigili del fuoco;
   Danilo Zuliani, rappresentante della CGIL, ricorda che l'età media di un vigile del fuoco in attività corrisponde a 43 anni e che molti superano i 50 anni, età oggettivamente elevata per il genere di lavoro da svolgere, se si considera che si è continuamente chiamati a risolvere situazioni di emergenza arrampicandosi su scale di decine di metri o calandosi da un tetto ed altro ancora;
   i mezzi a disposizione dei vigili del fuoco, come sostenuto dal sopracitato Costantino Saporito, risultano essere i più vecchi d'Europa, con autoscale vecchie di quarant'anni come quelle utilizzate dal Corpo di Firenze o degli anni ’70 in forza al corpo di Roma. Sempre a Roma, i pochi nuovi acquisti effettuati corrispondenti a sei autopompe, sono state recapitati mancanti di ogni allestimento come cesoie, fiamme ossidriche, tubi, lance e manichette, tutti attrezzi fondamentali per il genere di lavoro da svolgere;
   gli interroganti hanno già reso noto al Governo parte delle problematiche indicate, depositando alla Camera, in data 18 dicembre 2015, l'interrogazione a risposta in commissione n. 5/07249;
   a giudizio degli interroganti, in conseguenza delle sentenze sopraindicate della Corte di Cassazione e della Corte costituzionale, appare infondata la decisione convenuta di chiedere con effetto retroattivo ai vigili del fuoco la restituzione dei compensi corrispondenti al tempo da loro impiegato per spostarsi dalla caserma al luogo di destinazione ove gli stessi hanno svolto il loro servizio operativo, nell'anno 2011 e per gli eventuali anni a seguire;
   sempre a giudizio degli interroganti, risulta altresì incomprensibile l'atteggiamento di disinteresse e noncuranza manifestato dal Governo nei confronti di un corpo come quello dei vigili del fuoco, il cui servizio risulta essere di importanza imprescindibile per la sicurezza di tutti i cittadini italiani. Ancor più incomprensibile risulta essere tale reiterata indifferenza nei confronti dei problemi evidenziati, se si considerano le sempre maggiori manifestazioni di dissenso organizzate dai vigili del fuoco, evidenziate dagli stessi interroganti nella sopracitata interrogazione n. 5/07249 –:
   se e quali iniziative il Governo abbia previsto al fine di annullare tutte le sopraindicate cartelle esattoriali inviate ai vigili del fuoco per l'anno 2019 e per gli eventuali anni a seguire;
   se il Governo abbia in previsione un rinnovo del contratto dei vigili del fuoco con relativo ulteriore aumento di stipendio quantitativamente e qualitativamente migliore rispetto all'ultimo stabilito con la legge 190 del 2014;
   quali iniziative normative il Governo intenda assumere al fine di attivare l'assicurazione sanitaria a tutti i vigili del fuoco;
   quali iniziative normative il Governo intenda adottare al fine di ridurre al minimo o eliminare il problema del precariato nel corpo dei vigili del fuoco;
   se e quali misure il Governo abbia previsto al fine di poter aumentare il carente numero dei vigili del fuoco attualmente in servizio;
   se e quali misure il Governo abbia previsto al fine di assicurare un'adeguata copertura dell'operatività dei vigili del fuoco per ogni zona del Paese, in particolar modo per quelle attualmente sprovviste da tali servizi;
   se il Governo abbia previsto a bilancio l'acquisto di nuove attrezzature ed automezzi per il Corpo nazionale dei vigili del fuoco, soprattutto per tutti i casi di particolare urgenza. (5-07336)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dello sviluppo economico. – Per sapere – premesso che:
   in Abruzzo, la società Terna sta costruendo un elettrodotto ad alta tensione che collega Villanova a Gissi. L'autorizzazione è del 2013;
   Silvia Ferrante è una cittadina abruzzese che fa parte del movimento popolare che ha contestato da subito la costruzione dell'impianto, il suo potenziale impatto ambientale e sanitario, la sua utilità;
   sit-in, resistenze pacifiche, richieste di accesso agli atti: si è svolta in questi termini la battaglia pacifica e non violenta del movimento popolare contro l'elettrodotto della Terna;
   Silvia si è vista chiedere dal gruppo Terna (il colosso italiano di reti per la trasmissione dell'energia) ben 16 milioni di euro di risarcimento, frutto di 24 citazioni in sede civile;
   insieme a Silvia sono state citate in giudizio altre decine di persone. A schierarsi in loro difesa, i sindaci di Lanciano, Paglieta e Castel Frentano, che hanno depositato ricorsi contro l'opera;
   il comitato «No Elettrodotto Villanova-Gissi» lamenta anche il fatto che questo elettrodotto sarebbe un «gigante dai piedi d'argilla», visto che dovrebbe per un terzo essere realizzato in aree alluvionali e a forte rischio idrogeologico. E sono parecchi i proprietari che si oppongono all'esproprio del proprio terreno –:
   se il Governo non intenda, per quanto di competenza, assumere iniziative nei confronti di Terna per evitare quelli che l'interrogante giudica atti intimidatori contro i cittadini che si oppongono a quell'opera con un uso strumentale delle denunce giudiziarie – particolarmente evidente nel caso di Silvia Ferrante, attivista abruzzese dei comitati in difesa dell'ambiente. (4-11600)


   LAVAGNO e LACQUANITI. – Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   al fine di garantire la più ampia libertà religiosa di cui all'articolo 19 della Costituzione, l'articolo 8 della nostra Carta fondamentale stabilisce che tutte le religioni sono egualmente libere davanti alla legge e che tale libertà si traduce nella possibilità per ciascuna di esse di organizzarsi secondo i propri statuti;
   i rapporti di ciascuna confessione religiosa con lo Stato sono regolati per legge sulla base di intese con le relative rappresentanze, stipulate dal Governo e successivamente ratificate dal Parlamento, con esclusione della Chiesa cattolica a cui si applica il particolare regime di cui all'articolo 7 della Costituzione con il rinvio ai Patti Lateranensi e alle successive modifiche accettate dalle due parti;
   dal 1984 sono state firmate e successivamente approvate con legge dodici intese relativamente con la Tavola Valdese (1984), le Assemblee di Dio in Italia (1988), l'Unione delle Chiese Cristiane Avventiste del 7o giorno (1988), l'Unione Comunità Ebraiche in Italia (1989), l'Unione Cristiana Evangelica Battista d'Italia (1995), la Chiesa Evangelica Luterana in Italia (1995), la Sacra Arcidiocesi ortodossa d'Italia ed Esarcato per l'Europa Meridionale (2012), la Chiesa di Gesù Cristo dei Santi degli ultimi giorni (2012), la Chiesa Apostolica in Italia (2012), l'Unione Buddista italiana UBI (2012), l'Unione Induista Italiana (2012);
   il Consiglio dei ministri nel corso del 2014 ha approvato tre nuove intese con le rappresentanze della Congregazione cristiana dei testimoni di Geova, dell'istituto buddista italiano Soka Gakkai e delle chiese cristiane evangeliche Assemblee di Dio in Italia (quest'ultima modificativa di una precedente intesa) nell'ambito della politica di attuazione dell'articolo 8 della Costituzione;
   dal 2013 non è stato fatto alcun ulteriore passo avanti, nonostante le tre intese siglate dall'attuale Governo, poiché il Parlamento non ha mai provveduto alla successiva approvazione con legge –:
   se il Governo sia a conoscenza delle informazioni sopra esposte e se intenda ripresentare quanto prima i disegni di legge relativi alle intese già stipulate dallo stesso e dai Governi precedenti, anche per rispetto nei confronti dei rappresentanti delle confessioni che hanno stipulato quelle intese stesse. (4-11601)

AMBIENTE E TUTELA DEL TERRITORIO E DEL MARE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, per sapere – premesso che:
   su ricorso delle realtà territoriali, il Consiglio di Stato il 23 luglio 2015 ha annullato il decreto di valutazione di impatto ambientale 21 luglio 2011, e le autorizzazioni conseguenti, per un elettrodotto di Terna in Friuli lungo circa 39 chilometri, con sostegni alti anche 61 metri;
   il Consiglio di Stato ha affermato che l'intero procedimento che ha portato all'approvazione definitiva del progetto Terna è viziato in radice perché il Ministero delle attività culturali e del turismo ha effettuato illegittimamente un bilanciamento di interessi che non gli compete e non ha esercitato la funzione di tutela di cui e per legge titolare;
   il Consiglio di Stato ha anche precisato che la tutela paesaggistica ha specialissima dignità in quanto prevista dall'articolo 9 della Costituzione: «Se il giudizio sull'impatto paesaggistico e negativo, il MIBAC, per quella che è la sua parte, non può, compiendo un'inammissibile scelta di merito fondata sull'esigenza di dare priorità ad altri e non suoi interessi, esprimere un parere sviato, per quanto condizionato al rispetto di alcune prescrizioni»;
   a seguito della sentenza del Consiglio di Stato è stata disposta la sospensione dei lavori;
   ai primi di ottobre 2015 Terna ha presentato al Ministero dello sviluppo economico una istanza per un nuovo provvedimento, in luogo di quello annullato dal Consiglio di Stato;
   l'istanza presentata da Terna sembra mirare al rinnovo del solo contributo del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, specificamente stigmatizzato dal Consiglio di Stato, e non dell'intero procedimento di valutazione di impatto ambientale comunque annullato;
   nessuna notizia sulla vicenda si trae dal sito del Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare;
   il piano energetico della regione Friuli Venezia Giulia, approvato il 22 dicembre 2015, contiene nelle diverse sezioni affermazioni che appaiono incomplete relativamente ai contenuti ed agli effetti della sentenza del Consiglio di Stato: per un verso, ignorando il vizio di illegittimità dell'autorizzazione («il progetto dell'elettrodotto a altissima tensione (380 kV) di collegamento della Stazione elettrica di Redipuglia (GO) con la stazione elettrica di Udine Ovest (UD), autorizzato dal Ministero dello sviluppo economico con decreto n. 239/EL-146/181/2013 del 12 marzo 2013, e cantierizzato» e «Oltre al progetto già autorizzato dell'elettrodotto a altissima tensione Redipuglia — Udine Ovest, sono stati autorizzati i seguenti progetti...»); per l'altro verso riconoscendo che «è stata dichiarata l'illegittimità del provvedimento di compatibilità ambientale n. 411 del 21 luglio 2011 e di conseguenza anche dell'autorizzazione alla costruzione numero 239/EL146/181/2013 del 12 marzo 2013, con particolare riferimento al parere rilasciato dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo (MIBACT). Tale sentenza ha portato alla sospensione dei lavori di realizzazione dell'elettrodotto a 380 kV in doppia tema «S.E. Udine Ovest — S.E. Redipuglia» (ultimato al 70 per cento) con anche il conseguente non smantellamento delle linee elettriche obsolete», aggiungendo «La Regione chiede la rapida ripresa del percorso autorizzatorio al fine di riprendere i lavori rimasti in sospeso per rendere più efficiente il sistema elettrico regionale risolvendo le interruzioni di rete che gravano sul sistema industriale regionale» –:
   quali iniziative intenda adottare il Ministro interpellato per garantire oggi la piena compatibilità ambientale dell'elettrodotto «Udine-Redipuglia», la cui valutazione di impatto ambientale e stata annullata dal Consiglio di Stato a seguito della impugnativa delle Comunità locali che devono, pertanto, oggi essere rassicurate sulle caratteristiche dell'impianto;
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interpellato per il rifacimento ex novo della valutazione di impatto ambientale sull'elettrodotto in questione, anche ai sensi dell'articolo 29 comma 5 del decreto legislativo 152 del 2006, che vagli le alternative realizzative a partire dall'interramento della linea aerea, il rifiuto del quale sembra apodittico nella sentenza del Consiglio di Stato;
   se il Ministro interpellato non ritenga in ogni caso necessario approfondire la conoscenza della odierna condizione dei territori interessati dall'opera, investendo su veri confronti con le comunità locali, per una valutazione ambientale partecipata, condivisa e pienamente riferita all'attuale realtà dei territori interessati.
(2-01222) «Scotto, Pellegrino».

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DA VILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   nel territorio del Veneto, nel mese di dicembre 2015 si sono registrati livelli elevatissimi di polveri sottili. Si tratta, nello specifico, del particolato di dimensione inferiore a 10 pm (microgrammi), il cosiddetto pm10, in grado di penetrare nelle vie respiratorie, e del pm 2,5, di dimensioni ancora inferiori ed ancora più pericoloso (stimato a circa l'80 per cento del valore di pm10). Il livello registrato in tutti i capoluoghi di provincia, escluso Belluno, è stato quasi costantemente superiore alla soglia di legge di 50 μg/m3 (microgrammi per metro cubo), che si riferisce all’«aria scadente», in base alla classificazione dell'Agenzia, raggiungendo frequentemente il doppio di questo livello, che qualifica l’«aria pessima», ed in alcuni casi il triplo. La normativa europea ammette 35 superamenti in un intero anno mentre, in questo caso, al ritmo di quasi 30 superamenti al mese, è stata superata quota 90 in diverse centraline. L'accumulo fortissimo di inquinanti di questo ultimo mese del 2015 in Veneto non fa che confermare quanto emerge dai rilevamenti periodici effettuati dall’European Environment Agency: il nord Italia presenta una particolare criticità, non comparabile con quella della maggior parte degli altri Stati europei. L'osservazione delle medie annuali di pm10 nel territorio europeo evidenzia la gravità della situazione della pianura padana e del Veneto;
   in alcune zone, la situazione è stata di un'acutezza particolarmente allarmante: a Marghera, il livello di pm10 è rimasto, per ben 10 giorni di seguito, superiore al doppio del livello consentito (aria «pessima») ed ha raggiunto più volte il triplo con 91 superamenti della soglia, ammessa dalla normativa europea;
   l'inquinamento è un fenomeno «additivo». All'inquinamento «di fondo» si sono infatti poi sommate nei giorni 5-6-7 gennaio 2016, le emissioni dei falò tradizionali («pane e vin»), con il risultato di raggiungere livelli realmente fuori scala di inquinamento da pm10, superando i 300 μg/m3, a Mansuè, in provincia di Treviso. Oltre sei volte il livello di guardia;
   quale esempio di «campione di emissioni» a combustibili fossili spicca, ad avviso dell'interrogante, il caso della centrale a carbone «Palladio» di Marghera (i dati sono stati estratti dall'ultima dichiarazione ambientale del 2015). Da sola, produce annualmente più di 50 tonnellate di polveri sottili, oltre a ingenti quantità di altre sostanze nocive: più di 2700 tonnellate di ossidi di azoto (NOx) e 2000 tonnellate di ossidi di zolfo (SOx). Per avere un'ordine di grandezza, 50 tonnellate di polveri sottili equivalgono alle emissioni di un milione di auto «euro zero» a benzina ciascuna delle quali percorra mille km nel ciclo urbano. Dulcis in fundo, i circa quattro milioni di tonnellate equivalenti di CO2 di questa centrale – una frazione significativa delle emissioni su scala regionale – sono quantitativamente comparabili con la quota di sforamento che ha indotto il Ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare all'acquisto delle quote polacche affinché l'Italia regolarizzasse la sua posizione rispetto agli obiettivi del protocollo di Kyoto;
   tra il 2011, anno in cui la tragedia di Fukushima scosse l'opinione pubblica mondiale, e il 2015, la Germania, prima potenza manifatturiera, popolata da 80 milioni di abitanti, storicamente caratterizzata da una fortissima dipendenza energetica da carbone e nucleare, è riuscita a raggiungere il 26 dicembre 2015, livelli di copertura del fabbisogno energetico giornaliero da fonti rinnovabili pari all'80 per cento, superando il precedente record del 78 per cento ottenuto il 25 luglio 2015. Picchi così elevati sono comuni: eccetto che a febbraio, se ne registra infatti almeno uno al mese quando non più di uno. Anche in altri Paesi si verificano exploit notevoli: la Danimarca, ad esempio, per due giorni, nel luglio 2015, ha coperto il 100 per cento della sua domanda di energia elettrica con energia eolica e solare. Ma più significato hanno le percentuali complessive: in Germania, nei primi sette mesi del 2015 le rinnovabili hanno prodotto il 35 per cento dell'elettricità tedesca (il 40 per cento dell'energia interna, perché ne esportano una parte), con sole e vento ormai alla pari con la produzione da lignite (rimane poi un 16 per cento di nucleare). In tal modo, la Germania ha quindi raggiunto e superato l'Italia, che da sempre «vive sugli allori» di una grande quantità di energia rinnovabile da fonte idroelettrica (il 22 per cento), e tuttavia, negli ultimi anni, non ha evidentemente accompagnato questa sua forza con sufficienti investimenti in impianti da rinnovabili di altro genere. È a parere dell'interrogante sconsolante constatare che oggi l'Italia, il Paese dell'acqua, del sole e del vento insista sul mantenimento degli impianti a combustibili fossili (qualche anno fa addirittura l'Enel voleva «puntare sul carbone», come strategia aziendale !), riducendo gli incentivi alle rinnovabili. Con i risultati che sono sotto gli occhi di tutti noi: sforamento di Kyoto, smog saturo di pm10, NOx ed altri inquinanti, regressione economica sulle nuove tecnologie, danni all'ambiente e alla salute;
   Assorinnovabili ha presentato un quadro dei costi della produzione di energia elettrica comprensivi delle esternalità, attraverso il concetto di costo globale dell'energia (GCE, Global Cost of Electricity), ottenuto dalla somma dei costi medi di produzione (LCOE, Levelized Cost of Electricity) e delle esternalità (costi dovuti agli impatti negativi sull'ambiente e sulla salute dell'uomo per l'intero arco di vita degli impianti), presentando valori che evidenziano come il ricarico delle esternalità degli impianti a carbone faccia lievitare enormemente il loro costo globale, portandolo al livello cumulativo più alto di tutti (nonostante come costo meramente «industriale» sarebbe in partenza il più basso), mentre lo stesso fattore appesantisce in misura minore il costo globale degli impianti a gas naturale e si riduce notevolmente per quelli fotovoltaici, giungendo infine a valori quasi nulli per l'eolico. È doveroso, quanto dolente, rimarcare che le esternalità negative non sono tuttavia conteggiate dal punto di vista economico nel nostro Paese, scaricando quindi oneri impropri sui conti del Sistema sanitario nazionale e fornendo una rappresentazione di fatto falsata Nazionale dei costi e dei benefici delle scelte di investimento tra le varie fonti alternative;
   l'effetto di questa situazione lo ha spiegato l'Agenzia europea dell'ambiente poco più di un mese fa. I dati oscillano un po’ a seconda dei metodi di calcolo adottati, ma la sostanza non cambia: circa 400 mila europei muoiono ogni anno per l'aria inquinata. È come se due jumbo venissero abbattuti tutti i giorni nell'indifferenza generale. L'Italia figura al primo posto tra i Paesi colpiti da questa «calamità innaturale»: secondo le ultime stime dell'Agenzia europea dell'ambiente lo smog uccide più di 80 mila italiani all'anno;
   non stupisce quindi trovarsi di fronte a notizie come questa (Askanews, 30 dicembre 2015): «Per la mancata riduzione dello smog, e in particolare delle polveri sottili nelle maggiori città italiane, la Commissione europea è pronta a passare alla seconda fase della procedura d'infrazione comunitaria (il «parere motivato»), che potrebbe portare poi a un ricorso alla Corte europea di Giustizia, con la richiesta di condannare l'Italia a pagare una sanzione forfettaria da 1 miliardo di euro, più sanzioni pecuniarie aggiuntive proporzionali alla durata ulteriore delle violazioni alla direttiva sulla qualità dell'aria. Lo hanno affermato fonti della Commissione europea, con riferimento in particolare al superamento consistente delle soglie per la concentrazione di particolato Pm10 (la soglia media annuale di 40 microgrammi per metro cubo e quella giornaliera di 50) in tutta la Pianura Padana (Emilia Romagna, Piemonte, Lombardia e Veneto), a Roma e a Napoli. In queste aree «siamo a circa 100 giorni di superamento del limite massimo giornaliero di 50 microgrammi per metro cubo, il triplo della soglia di tolleranza di 35 giorni all'anno»;
   è una situazione simile a quella riscontrata in Bulgaria e Polonia, due Stati membri per i quali la Commissione ha già adito la Corte di giustizia, rispettivamente il 18 giugno e il 10 dicembre scorsi». Prosegue così l'articolo: «Una regione italiana particolarmente inadempiente, secondo le fonti della Commissione, è il Veneto, dove «tutto è fermo dal 2006, in dieci anni non hanno praticamente fatto niente», nonostante l'obbligo di stabilire e aggiornare periodicamente i piani d'azione per il rispetto delle soglie stabilite dalla direttiva, anche se «risulta che finalmente ora stiano cominciando a muoversi». La conclusione sul nostro paese è comprensibilmente sconsolante: «la situazione nella Penisola è peggiore in termini di morti premature attribuite all'esposizione al Pm10 e al biossido di azoto: al primo posto assoluto nell'Ue con 84.000 decessi prematuri all'anno»;
   nell'attuale contesto internazionale, le crisi militari, il rischio terrorismo e le situazioni di violenza e di violazione dei diritti dell'uomo non si contano. Siria, Iraq, Libia, Iran, Russia, Arabia Saudita, in contesti diversi e per diverse motivazioni, hanno dimostrato quanto sia rischioso e ormai inopportuno (e in prospettiva anche molto costoso, basta considerare i fondi per mantenere forze militari nei territori a rischio) dipendere così fortemente per gli approvvigionamenti dai fornitori di petrolio e gas naturale. Liberarsi dalla schiavitù del petrolio e accelerare la transizione verso un modello basato su energie rinnovabili per i sistemi stazionari e per la mobilità non avrebbe, a parere dell'interrogante, solo qualche prezioso «effetto collaterale», come la qualità dell'aria, la salute, la sicurezza energetica; sarebbe anche una strategia per sottrarsi a molti ricatti dello scacchiere mondiale, attenuarne il tasso di violenza e, probabilmente, favorire la democrazia e smettere di fomentare importanti moventi bellici in tante aree del pianeta;
   il «codice dell'ambiente», approvato con decreto legislativo n. 152 del 2006, è entrato in vigore dieci anni fa. Un articolo di Marco Palombi sul Fatto quotidiano del 7 gennaio 2016, informa sulle pesanti implicazioni della recente ennesima proroga di una sua importante prescrizione. Si tratta dell'articolo che, scrive Palombi, «recependo una direttiva europea, pone dei limiti alle emissioni dei cosiddetti «grandi impianti di combustione», in sostanza centrali di produzione dell'energia con una capacità superiore ai 50 megawatt. Non sono, a detta degli esperti, limiti da talebani dell'ambientalismo [...]. Eppure, nonostante le soglie tengano nel dovuto conto il profitto delle grandi imprese, dieci anni non sono bastati a farle entrare davvero in vigore: nell'ultimo decreto Milleproroghe, infatti, c’è l'ultima di una lunga serie di rinvii per i «grandi impianti» costruiti prima del 2006, cioè quasi tutti. Detto in parole povere, potranno continuare a non rispettare i limiti ancora per tutto quest'anno.» Viene da domandarsi la ragione di questa discutibile concessione. Così prosegue il giornalista: «Quei limiti sono scritti nero su bianco dal 2006: tempo per mettersi in regola ce n'era. Se poi si mettono in fila un po’ di nomi di quelli che potrebbero ottenere la “licenza di avvelenare l'aria” oltre il consentito, la faccenda si fa allarmante: c’è un bel pezzo dei grandi inquinatori d'Italia. Nella lista, per dire, ci sono le centrali a carbone. La sola Enel – a stare al sito di Assocarboni – ne ha otto sparse per l'Italia: da Genova al Sulcis, da Marghera all'Umbria, da Torrevaldaliga Nord (lì vicino c’è pure un impianto Tirreno Power a olio e gas naturale), alla “Federico II” di Brindisi sud, che un rapporto Legambiente considerò la centrale più inquinante d'Italia per emissioni di CO2 e che un recente studio di tre ricercatori del CNR (pubblicato sull’«International Journal of Environmental Research and Public Health») indica come responsabile di 44 morti evitabili l'anno. Va ricordato almeno che pochi chilometri più a nord, sempre nel territorio di Brindisi, c’è anche la centrale di Edipower, società controllata dalla multiutility dei comuni di Milano e Brescia, A2A, che ha due impianti che usano (anche) carbone a Brescia e Monfalcone. [...] A carbone andava anche la famigerata centrale di Vado Ligure, proprietà di Tirreno Power (cioè i francesi di Gdf Suez, Sorgenia di De Benedetti e altri), finita al centro di un'inchiesta per disastro ambientale e il cui destino industriale non è ancora chiaro. E, comunque, non di solo carbone vivono i “grandi impianti di combustione”: vecchi inceneritori; le centrali del polo petrolchimico siracusano (Augusta, Priolo, Melilli); la Sarlux della famiglia Moratti a Sarroch, nel sud della Sardegna, che brucia scarti della lavorazione del petrolio (e per farlo ha usufruito per anni degli incentivi per le «energie rinnovabili»)»;
   il territorio del Nord Italia, e in particolare la pianura padana, racchiusa tra le Alpi, l'Adriatico e gli Appennini, rappresenta una delle aree più inquinate del pianeta, e la più inquinata d'Italia; per ragioni principalmente orografiche, essa non consente un ricambio d'aria in grado di diluire l'inquinamento immesso; ospita un gran numero di abitanti, potenziali vittime dell'inquinamento; contiene un'elevata quantità di insediamenti industriali e di produzione energetica (superiore anche in proporzione ad altre aree del Paese), con relative emissioni; l'area è inoltre caratterizzato da una diffusa e impattante mobilità stradale pesante e leggera, nonché aeroportuale e portuale (nelle aree costiere); essa dispone di grandi capacità imprenditoriali e finanziarie, nonché delle competenze scientifiche e tecniche idonee ad affrontare una trasformazione positiva del proprio modello di sviluppo, da un modello ad elevato impatto ambientale ad uno meno dannoso per l'ambiente e la salute –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti descritti in premessa;
   se e quali iniziative di competenza intenda assumere, alla luce di quanto esposto in premessa, per ripristinare le congrue condizioni di tutela del diritto alla salute in riferimento alle minacce a essa poste dalla cattiva qualità dell'aria, in particolare in riferimento a quanto evidenziato dalla duplice messa in mora dell'Italia nell'ambito delle procedure di infrazione relative al mancato rispetto della direttiva 2008/50/CE, per superamento dei livelli del pm10 (procedura 2014–2147) e del biossido di azoto (2015–2043);
   in quale specifico o generale interesse pubblico trovi fondamento la decisione di prorogare il termine relativo all'applicazione dei limiti previsti dal decreto legislativo n. 152 del 2006 alle emissioni dei cosiddetti «grandi impianti di combustione» costruiti prima del 2006, sempre che, a parere del Ministro interrogato, un tale fondamento esista, e se non ritenga opportuno pronunciarsi fin da subito contro una eventuale ulteriore proroga;
   se il Governo, in qualità di azionista di controllo di Enel, tramite il Ministero dell'economia e finanze, non ritenga di prendere parte attiva nella riduzione delle pm10, assumendo iniziative, per quanto di competenza, affinché sia esplicitamente previsto che, nei futuri casi di ripetuto e grave superamento dei livelli di polveri sottili, gli impianti industriali o energetici più inquinanti, gestiti da società da esso direttamente o indirettamente controllate, come la centrale Palladio di Fusina, siano posti in sospensione temporanea, o in regime di minimo tecnico, fino al superamento dell'emergenza ambientale.
(5-07335)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dello sviluppo economico ha autorizzato con decreto le ricerche petrolifere al largo delle isole Tremiti alla società Petroceltic. Il permesso di ricerca rilasciato davanti alle Tremiti e a Termoli rischia di essere solo una punta dell’iceberg di numerose altre concessioni. Il tutto alla misera somma di 5,16 euro per chilometro quadrato. Il Ministero dello sviluppo economico ha deciso questa e altre concessioni il 22 dicembre 2015 subito prima di Natale. Giusto un giorno prima che la Camera approvasse definitivamente la legge di stabilità 2016 e la norma che vietava di rilasciare concessioni entro le 12 miglia;
   questo provvedimento suona come una beffa per le migliaia di cittadini che si sono mobilitati anche chiedendo i referendum;
   secondo i dati tratti dal sito dell'UNMIG del Ministero dello sviluppo economico sono state considerate le istanze di permesso di ricerca, permesso di prospezione e concessione di coltivazione in tutto o in parte ricadenti oltre le 12 miglia. Per ogni istanza si riporta il codice, la società richiedente, l'estensione e brevemente lo stadio dell’iter amministrativo;
   in tutto ci sono ben 23 istanze dei petrolieri che interessano praticamente tutto l'Adriatico, con milioni di ettari richiesti. Di queste ben 13 istanze di permesso di ricerca sono in dirittura d'arrivo, perché per 9 il decreto finale del Ministero dello sviluppo economico è atteso a momenti e per altre 4 sta per essere emanato il decreto di compatibilità ambientale da parte dei Ministeri dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare e dei beni e delle attività culturali e del turismo dopo il parere positivo della commissione VIA nazionale del 15 maggio 2015. Pochi mesi e anche queste istanze saranno quindi definite. Più lungo l’iter che attende le altre 10, di cui sette istanze di permesso di ricerca e tre di concessione di coltivazione;
   davanti alle coste marchigiane ed abruzzesi sono ben 4 i permessi richiesti dalla società ENEL Longanesi Developments, tra Ancona, S. Benedetto del Tronto e Pescara. Ognuno di questi sfiora i 75.000 ettari. In questo caso però, come per una richiesta dell'ENI di fronte a Rimini, l’iter è stato avviato più recentemente e deve ancora essere attivata la procedura di valutazione di impatto ambientale;
   infine, ci sono istanze dall’iter più travagliato, come l'istanza di concessione di coltivazione dell'ENI di fronte alla costa chietina e un'ulteriore istanza della Petroceltic al largo delle Tremiti che fu fermata da un ricorso al TAR degli enti locali nel 2011;
   i movimenti ambientalisti chiedono con urgenza un'immediata moratoria sul rilascio di nuovi titoli minerari nell'intero Adriatico. Tra l'altro, l'unico referendum rimasto purtroppo non incide sull'esito delle istanze nei mari italiani riferendosi solo alla durata dei titoli già rilasciati entro le 12 miglia –:
   quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere per evitare che le Isole Tremiti e più in generale un mare «chiuso», poco profondo, come quello Adriatico debba subire questo «assalto» delle multinazionali degli idrocarburi.
(4-11591)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dell'interno, al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   i comuni di Grumo Nevano, Casandrino, Sant'Antimo, Melito e Arzano appartenenti all'area nord della provincia di Napoli collocata ad una quota più bassa rispetto ai comuni limitrofi, sono interessati da frequenti e gravi allagamenti, che si verificano regolarmente nel periodo delle piogge e ogni qualvolta si verificano delle precipitazioni consistenti;
   le strade di questi paesi, in tali circostanze, si inondano completamente, diventando veri e propri fiumi in piena capaci di trascinare tutto ciò che incontrano sul loro cammino. Sul web è possibile reperire numerosi video realizzati da alcuni cittadini per rendersi conto della gravità del fenomeno; in particolare, i locali commerciali posti al livello stradale puntualmente riportano danni gravissimi dovuti all'acqua e al fango che penetra rovinando merce e attrezzatura e determinando una condizione di pericolo costante all'incolumità dei cittadini;
   inoltre, il sistema fognario, sottodimensionato e inadeguato, non riesce ad assorbire un carico così potente di acqua finendo, nella migliore delle ipotesi, col saturarsi completamente. Nei casi più gravi, invece, la pressione dei liquidi meteorici comporta la rottura della continuità del sistema di condutture determinando anche smottamenti del primo banco di terreno, circostanza verificatasi più volte a Grumo Nevano;
   peraltro, nel comune di Grumo Nevano, a questo stato di cose se ne aggiunge un altro tale da rendere la situazione ancora più preoccupante dovuta alla presenza nel sottosuolo di cavità e percorsi sotterranei la cui origine, molto probabilmente, è da ricercare nell'antica tecnica di costruzione usata per realizzare gli edifici in tufo e consistente nel praticare uno sbancamento del terreno al fine di procurare, sul posto, il materiale tufaceo poi impiegato nell'erezione delle strutture portanti, con la conseguenza immediata di svuotare parte del sottosuolo di pertinenza;
   negli anni si sono verificati numerosi fenomeni di collasso stradale, sia procurati e sollecitati dalle piogge abbondanti sia improvvisi, cioè verificatisi in assenza di particolari condizioni meteoriche sfavorevoli;
   da ultimo, in seguito ad un episodio recente avvenuto alla via Pola del comune di Grumo Nevano, sono state sfollate 8 famiglie residenti nei fabbricati prospicienti la zona interessata: si era infatti venuta a creare una voragine tale da trascinare con sé un pezzo della muratura di una delle abitazioni. Anche dalla lettura della delibera di giunta comunale n. 98 del 6 novembre 2015, nella quale sono riportati, fra le altre cose, gli interventi urgenti intrapresi per fronteggiare la situazione di emergenza creatasi, è possibile rendersi conto quanto questa sia effettivamente grave;
   inoltre, nella relazione di intervento del comando, provinciale dei vigili del fuoco (n. 26406 del 29 ottobre 2015) possono leggersi le misure urgenti adottate e volte alla salvaguardia dell'incolumità, come il divieto al transito sulla via Pola, l'inibizione all'utilizzo di tutti gli edifici che danno su via Pola e di quelli in piazza Capasso ai civici 10 e 11, la chiusura parziale del corso Giureconsulto;
   lo sgombero, consequenziale, degli alloggi abitati dalle 8 famiglie, è stato poi disposto dal sindaco con propria «ordinanza contingibile e urgente» (EM n. 1 del 29 ottobre 2015) e dalla lettura della nota n. 03/EM del 29.10.2015, si evince come i suddetti nuclei familiari sono stati sistemati presso strutture religiose del comune;
   inoltre, con la citata deliberazione di giunta comunale n. 98/15, lo stanziamento, una tantum, da parte del comune è consistito nell'erogazione della cifra irrisoria di euro 20.000 (869,50 euro per componente familiare), servite a soccorrere solo in questa fase iniziale i nuclei familiari interessati;
   alla luce di quanto esposto, la popolazione di un piccolo comune di circa 18.000 abitati, tutti addensati in un territorio esiguo (2,88 chilometri quadrati), comincia a percepire giustamente una forte inquietudine dovuta al susseguirsi dei fenomeni sopra descritti;
   risulta di tutta evidenza l'urgenza di dare maggiore sicurezza alla popolazione del comune di Grumo Nevano –:
   se i Ministri interrogati non ritengano di dover assumere iniziative con la massima urgenza, per quanto di rispettiva competenza, al fine di predispone:
    a) un'adeguata gestione dell'ordine pubblico nelle situazioni emergenziali;
    b) una regolamentazione finalizzata ad impedire interventi edilizi rovinosi e potenzialmente catastrofici;
    c) un'indagine scrupolosa del sottosuolo grumese che possa consentire l'individuazione di punti critici e la redazione di una mappatura definita delle cavità sotterranee. (4-11602)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazione a risposta scritta:


   D'INCÀ e BRUGNEROTTO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   nell'ottobre 2015 ricorreva l'anniversario della tragedia del Vajont, costata 1910 vittime e la distruzione di buona parte dei paesi di Longarone, Codissago ed Erto. La più grande tragedia europea dopo la seconda guerra mondiale fino a Chernobyl, come ricorda Il Corriere del Veneto. Una tragedia «lontana» nel tempo (correva l'anno 1963), spesso dimenticata, ma che ora torna d'attualità a causa della questione relativa alle carte del processo attualmente custodite nell'archivio di Stato di Belluno;
   l'archivio di Stato di Belluno, istituito nel 1973 e attivo dal 1976, rischia la chiusura per carenza di organico, infatti vi sono solo sei persone con qualifica amministrativa più il direttore (che è l'unico ad avere la qualifica di archivista), nominato pro tempore e a scadenza, pertanto si parla di trasferire tutto a Treviso;
   esiste un accordo temporaneo, tra Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo e comune di Longarone, per la conservazione e la digitalizzazione dei documenti processuali del Vajont salvati dal terremoto a L'Aquila. La convenzione del 2009, tra comune di Belluno e comune dell'Aquila, prevede la restituzione dei documenti entro il 31 dicembre 2012, dopo il termine della digitalizzazione, terminata nel 2014;
   nel frattempo è iniziato un progetto per far riconoscere i documenti processuali all'UNESCO, come «memoria, del mondo» (riconoscimento previsto per il 31 maggio 2016), da parte dell'associazione Tina Merlin, della Fondazione Vajont, dell'archivio di stato di Belluno, del comune di Longarone e dall'avvocato Fabbri (che si occupò del processo Vajont), ed il mantenimento dell'archivio di Stato di Belluno, consentirebbe la permanenza degli atti processuali a Belluno rendendo più agevole anche il percorso di riconoscimento avviato già da un paio di anni, dalle comunità locali –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti suesposti;
   se e quali iniziative, anche normative, intenda intraprendere, nell'ambito delle sue competenze, per evitare la chiusura dell'archivio di Stato di Belluno e prevedere che «l'archivio della Memoria» degli atti processuali del Vajont, che attualmente vi è custodito, vi abbia sede stabile. (4-11595)

DIFESA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro della difesa. — Per sapere – premesso che:
   ad oggi, è inammissibile che il Governo non sia riuscito ad adottare le opportune iniziative per ottenere il rimpatrio dall'India dei due marò, Massimiliano Latorre e Salvatore Girone;
   addirittura il 16 gennaio 2016 scadrà il permesso di ottenere cure mediche in Italia di Massimiliano Latorre e non è dato sapere se e come si sia adoperato l'Esecutivo per escludere il suo ritorno in India e, contestualmente, quali iniziative siano state promosse per il rimpatrio di Salvatore Girone;
   la controversia internazionale tra Italia e India, sorta in merito all'arresto dei due fucilieri di marina da parte della polizia indiana, ha visto già una grave sconfitta dell'Italia in politica estera, posto che, ad oggi, il nostro Paese non è ancora stato in grado di farli rimpatriare definitivamente; inoltre, desta sconcerto l'assoluto silenzio delle istituzioni competenti sulle azioni che, nel tempo, si stanno mettendo in atto a loro tutela. Quanto esposto è stato già denunciato dall'interrogante con interrogazione del 16 dicembre 2014 (4-07284) che, a distanza di più di un anno dalla sua presentazione, non ha avuto risposta dall'Esecutivo –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro rispetto ai fatti premessi;
   se e quali iniziative siano state adottate affinché Massimiliano Latorre non debba ritornare in India e Salvatore Girone venga rimpatriato, visto che, rispetto ai fatti accaduti che hanno condotto all'arresto dei due fucilieri il 15 febbraio 2012, la giurisdizione esclusiva è italiana. (5-07322)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta scritta:


   CAPELLI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Azienda sanitaria locale di Nuoro è al momento gestita da un commissario straordinario, nominato con delibera della giunta regionale n. 51/2 del 20 dicembre 2014;
   a detto commissario, con la medesima delibera è stato assegnato l'obiettivo specifico di «valutare i costi e le eventuali criticità del Contratto di Concessione relativo alla progettazione, costruzione e gestione dei lavori di ristrutturazione e completamento mediante project financing, con particolare riferimento al costo dei servizi oggetto dell'atto aggiuntivo n. 2 approvato dalla Asl di Nuoro con deliberazioni n. 293 del 4 marzo 2013 e n. 1824 del 19 dicembre 2013, definizione dei relativi margini di risparmio e adozione delle azioni conseguenti»;
   su tale contratto di concessione è in corso, e sarebbe in via di conclusione, una specifica istruttoria dell'Anac (Autorità nazionale anticorruzione);
   la stessa Anac, nelle linee guida sulla finanza di progetto, approvate con determinazione n. 10 del 23 settembre 2015, al paragrafo 3.1, pagina 8, precisa quanto segue: «(...) Si richiama, pertanto, l'attenzione delle stazioni appaltanti ad una corretta valutazione della ricorrenza, nelle singole fattispecie, delle condizioni e dei presupposti che caratterizzano il contratto di concessione, distinguendolo dal differente strumento contrattuale dell'appalto. Una corretta qualificazione giuridica dell'operazione posta in essere è, infatti, presupposto indispensabile per la corretta individuazione della disciplina giuridica e contabile da applicare. A tale riguardo, si richiamano le conseguenze in punto di responsabilità amministrativa e contabile per gli eventuali maggiori costi sopportati dall'amministrazione a causa di un utilizzo improprio dei Contratti di Ppp e del PF. In particolare, giova sottolineare come il giudice amministrativo abbia sancito la nullità per illiceità della causa, ai sensi dell'articolo 1344 del codice civile («contratto in frode alla legge»), di un contratto di concessione nel quale non erano stati osservati i precetti comunitari nella distribuzione dei rischi (v. Tar Sardegna, sentenza 10 marzo 2011, n. 213). Sotto il profilo della responsabilità amministrativo-contabile la Corte dei Conti ha più volte evidenziato come sia necessario accertare che il contratto da concludere abbia le caratteristiche proprie del Ppp con utilizzo di risorse private ai sensi del comma 15-ter dell'articolo 3 del Codice e non rappresenti, invece, un meccanismo elusivo del divieto di indebitamento dell'Ente sia per precedenti violazioni del patto di stabilità che per mancato rispetto dei parametri ex articolo 204 TUEL (v. ex multis Corte dei Conti, Sez. Reg. Contr Veneto, 2 settembre 2011, n. 352/2011/par, in tema di leasing immobiliare)»;
   il brano sopra richiamato riguarda la situazione della Asl di Nuoro ed il contratto di concessione ricordato;
   il commissario straordinario, nel perseguimento dell'obiettivo assegnatogli, ed in ciò affiancato, dal mese di aprile 2015 da un nuovo direttore amministrativo, ha avviato una certosina azione di verifica che ha portato a mettere in luce i numerosi vizi di legittimità, nonché l'antieconomicità, sia dell'atto aggiuntivo n. 2, sia del contratto originario;
   grazie anche alla collaborazione attivata con l'UTFP (unità tecnica per la finanza di progetto) ed in piena collaborazione con le altre autorità interessate, il commissario straordinario ha ottenuto di recente un puntuale ed articolato parere da parte della citata unità tecnica, che nel contempo ha effettuato un'attenta analisi dei PEF (piani economico-finanziari), che conferma le criticità già rilevate dalla Gestione commissariale;
   il commissario ha, quindi, proceduto, con deliberazione n. 1679 del 28 dicembre 2015, ad avviare il procedimento di annullamento dell'Atto Aggiuntivo n. 2, nonché ad una fase di revisione, giuridica ed economica, del contratto originario, nei limiti di quanto consentito dalla legge e nell'ottica di una corretta riallocazione dei rischi a carico del concessionario, e ciò al fine di garantire l'interesse pubblico al completamento delle opere di valenza strategica per la sanità nuorese;
   in tale scenario, nel quale la direzione aziendale sta operando in una situazione di particolare delicatezza e complessità, si assiste ad un operato del collegio sindacale della Asl di Nuoro che non appare in linea con l'azione della direzione;
   infatti, anziché concentrarsi sulle proprie funzioni, con modalità irrituali ed anomale, e basandosi anche a lettere anonime tutte finalizzate a destabilizzare la direzione aziendale nel suo complesso, il succitato collegio sindacale di fatto tende a mettere in discussione l'azione della direzione, creando una inevitabile turbativa nella difficile azione che la stessa sta portando avanti, con particolare riferimento al contratto di project financing;
   si ricorda che ai sensi dell'articolo 3-ter del decreto legislativo n. 502 del 1992 (Riordino della disciplina in materia sanitaria, a norma dell'articolo 1 della legge 23 ottobre 1992, n. 421), un collegio sindacale, dura in carica tre anni ed è composto da cinque componenti, di cui due nominati dalla regione, uno designato dal Ministro dell'economia e delle finanze, uno dal Ministro della salute, e uno dalla Conferenza dei sindaci;
   il collegio sindacale, ai sensi del primo comma dell'articolo 3-ter del citato decreto legislativo n. 502 del 1992, ha, tra l'altro i compiti di verificare l'amministrazione dell'azienda sotto il profilo economico e di vigilare sull'osservanza della legge;
   risulta evidente, a giudizio dell'interrogante in considerazione di quanto finora emerso, con riferimento al contratto di project financing, ed in particolare con riferimento all'atto aggiuntivo n. 2, approvato nel 2013 e stipulato nel mese di gennaio 2014, che nessuna delle principali funzioni attribuite dalla legge al collegio sindacale sia stata adeguatamente svolta, in quanto se fosse stata garantita un'adeguata vigilanza e controllo, sia sotto il profilo della legittimità agli atti, che sotto il profilo economico, l'azienda non avrebbe avuto i danni economici che stanno, invece, emergendo ed ai quali, faticosamente, la dirigenza aziendale sta oggi ponendo rimedio con atti concreti di natura stragiudiziale, assumendosi una responsabilità amministrativa e patrimoniale per sopperire a quello che risulta all'interrogante essere stato un inesistente sistema di controlli interni, che è venuto a mancare nell'ambito della Asl di Nuoro proprio a causa dell'operato del collegio sindacale ancora operante: infatti, nessun concreto contributo risulta all'interrogante essere stato fornito dal collegio sindacale al commissario; ad esempio, laddove questo, di propria iniziativa, ha deciso di applicare l'Iva al 10 per cento, e non al 22 per cento come preteso, il collegio ha espresso parere contrario alla delibera del commissario sul canone integrativo di disponibilità relativo alle opere ricomprese nel project financing, venendo, quindi, meno, a parere dell'interrogante, alla propria funzione di organo garante della legittimità ed economicità dell'azione aziendale;
   per contro, tale collegio, fin dall'insediamento del commissario straordinario, ha posto in essere, a quanto consta all'interrogante, comportamenti non collaborativi nei confronti dello stesso, sia contestandone con motivazioni infondate l'imprescindibile ricorso a legali esperti della materia, sia con il tentativo, già ricordato, di mettere in discussione la dirigenza aziendale, nei confronti della quale ha operato, con numerose azioni, sulla base di segnalazioni anonime e non, che, a giudizio dell'interrogante, sono state di rilevante gravità, tanto che la stessa si è vista costretta a ricorrere, a propria tutela, all'autorità giudiziaria;
   nel momento in cui la giunta regionale ha incaricato un commissario straordinario della gestione della Asl di Nuoro, nella consapevolezza di una situazione che presentava elementi di criticità per profili di illegittimità ed antieconomicità di atti posti in essere in virtù del ricordato contratto di concessione, sarebbe stato necessario intervenire, a parere dell'interrogante, anche nei confronti del collegio sindacale, data l'evidente situazione di potenziale, se non addirittura effettivo, conflitto di interessi che viene a determinarsi per un collegio che si trova oggi ad ingerire in atti che hanno invece lo scopo di ripristinare legittimità ed economicità nell'ambito aziendale –:
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere i Ministri interrogati, di concerto con gli altri soggetti interessati, ed in particolare con la regione Sardegna, per affrontare concretamente una situazione critica quale è quella descritta in premessa posta in essere dall'atteggiamento che risulta all'interrogante evidentemente ostruzionismo, per non dire di peggio, del collegio sindacale della Asl di Nuoro, in modo da favorire, in una fase delicatissima quale è quella attuale, che vede impegnato il Commissario straordinario, l'azione di revisione del project financing della Asl di Nuoro, operando altresì affinché si ponga fine, sempre per quanto di loro competenza, anche all'azione di turbativa che deriva dai comportamenti assunti dal collegio nei confronti della dirigenza aziendale, che azione di risanamento economico e di ripristino della legalità ponendo in essere, garantendo, al contempo, per quanto di propria competenza, il supporto all'azione del commissario da parte di figure di esperti che ne coadiuvino l'azione di risanamento.
(4-11608)

GIUSTIZIA

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della giustizia, per sapere – premesso che:
   il presidente del collegio del processo d'appello per abuso d'ufficio, in relazione alla vicenda del termovalorizzatore di Salerno, nei confronti del presidente della giunta regionale della Campania Vincenzo De Luca, è il magistrato Michelangelo Russo;
   Vincenzo De Luca è accusato di aver proceduto ad una nomina illegittima; si tratta dell'incarico di project manager del termovalorizzatore di Cupa Siglia, figura non prevista dalla legge sugli appalti e per giunta affidata ad una persona priva dei necessari requisiti previsti;
   il procedimento giudiziario cui è soggetto il presidente della regione Campania, in caso di condanna, potrebbe provocarne la sospensione dalla carica elettiva, in virtù del decreto legislativo 31 dicembre 2012, n. 235, la cosiddetta legge Severino;
   qualche tempo fa, il Consiglio superiore della magistratura avviò un procedimento nei riguardi del dottor Michelangelo Russo, nonché del dottor Luciano Santoro, entrambi magistrati presso la procura della Repubblica di Salerno, per aver tentato di accedere ai computer del tribunale di Salerno al fine di verificare se fossero in corso procedimenti penali a carico di Vincenzo De Luca e di altri imputati, in particolar modo relativamente all'inchiesta Ideal StandardSea park sulla realizzazione di un parco marino nell'area industriale di Salerno; il procedimento a carico del giudice Russo si concluse con il suo allontanamento dalla procura di Salerno; il magistrato ricoprì poi il ruolo di consulente del ministero dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, prima di essere riassegnato alla procura di Salerno, come presidente del secondo collegio della corte di appello;
   il fratello del magistrato Michelangelo Russo, Remo Russo, commercialista è stato per più di 10 anni presidente del parco scientifico tecnologico di Salerno partecipata del comune, azionista di maggioranza, nomina conferita quando De Luca era sindaco di Salerno. A quanto consta agli interroganti, l'incarico di Presidente è retribuito così come quello di liquidatore attualmente svolto da Remo Russo;
   gli interroganti ritengono che sia assolutamente inopportuno, al fine del corretto esercizio delle funzioni e ancor più per garantire il rispetto del principio della legalità e imparzialità il fatto che lo stesso magistrato – sottoposto a procedimento del Consiglio superiore della magistratura su procedimenti penali che coinvolgevano lo stesso De Luca e poi trasferito dalla procura di Salerno ad altra sede, coinvolto attraverso un suo stretto congiunto che per lunghi anni ha ricoperto incarichi retribuiti nell'amministrazione sotto la guida di De Luca – sia ora incaricato di giudicare, nel gennaio 2016, Vincenzo De Luca;
   va considerato l'inevitabile clima di sospetti che getterebbe ombre sull'esito di un processo dal quale dipende il destino politico di Vincenzo De Luca, tra l'altro già al centro di un'altra inchiesta che mette in dubbio l'imparzialità dei giudici chiamati a valutare la sua posizione –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa, se non ritenga di dover porre in essere, per quanto di competenza, iniziative utili a salvaguardare il principio dell'indipendenza e della terzietà dei magistrati su cui si fonda l'ordinamento giuridico, adottando anche corrispondenti iniziative normative volte a rendere più stringenti i meccanismi di incompatibilità dei magistrati.
(2-01217) «Russo, Brunetta».

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazione a risposta orale:


   D'INCECCO e FUSILLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   dal 1o gennaio 2016 sono scattati i rincari dei pedaggi autostradali su diversi tratti;
   a fronte di un aumento medio dello 0,86 per cento; le autostrade A24 e A25, gestite dalla Strada dei Parchi SpA, registrano un rincaro del 3,45 per cento. Nello specifico, si tratta del secondo aumento più alto dopo quello della Torino-Milano (+6,5 per cento);
   le tariffe di Strada dei Parchi, in base alle informazioni pubblicate sul sito della stessa società, sono aumentate del 4,78 per cento nel 2010; dell'8,14 per cento nel 2011; dell'8,06 per cento nel 2012; dell'8 28 per cento nel 2014;
   per fare alcuni esempi, il pedaggio autostradale per raggiungere la Capitale da Avezzano dal 1o gennaio 2016 costa 80 centesimi in più (da 9,10 a 9,90 euro); per andare a Roma da Chieti-Pescara il biglietto è passato da 18,50 euro a 19,10 euro;
   gli aumenti penalizzano duramente i pendolari e i viaggiatori e mettono a rischio la ripresa e la competitività dell'economia regionale abruzzese, anche in considerazione del fatto che i pedaggi delle autostrade A24 e A25 sono già fra i più alti d'Italia. Prima dei nuovi rincari, infatti, il tragitto Roma-L'Aquila di 111 chilometri costava 11,10 euro. La Roma-L'Aquila, inoltre è molto frequentata dai pendolari che entrano nella Capitale da est e per il breve tragitto/Tangenziale-Lunghezza di 16,6 chilometri pagano 1,70 euro;
   il rincaro dei pedaggi è l'ennesimo ed inammissibile salasso a carico della popolazione, anche in considerazione della carente manutenzione e degli scarsi servizi assicurati sulle tratte A24 e A25: per trovare una stazione di servizio partendo dal casello Chieti-Pescara bisogna percorrere oltre 100 chilometri –:
   se e quali iniziative di competenza intenda adottare per la revoca di tali aumenti e per evitare che gli stessi si ripetano in futuro al fine di tutelare gli utenti delle autostrade A24 e A25, le imprese e, in generale, tutti i cittadini. (3-01915)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   TINO IANNUZZI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 261 del 17 novembre 2015, pubblicata il successivo 11 dicembre, ha dichiarato la incostituzionalità dell'articolo 29, comma 17 del decreto-legge 12 settembre 2014 n. 133, convertito con modificazioni dalla legge 11 novembre 2014, n. 164, nella parte in cui tale disposizione legislativa non prevede che il piano strategico nazionale della portualità e della logistica sia adottato in sede di conferenza Stato-regioni;
   infatti la norma censurata del decreto-legge n. 133 del 2014 incide sulla materia «porti e aeroporti civili» che, alla stregua dell'articolo 117, terzo comma, della Costituzione, rientra fra quelle di competenza legislativa concorrente fra Stato e regioni;
   in tali materie, quindi, per rispettare il ruolo delle regioni, vanno assicurate forme adeguate di coinvolgimento e procedure concertative e di coordinamento orizzontale fra Stato e regioni, quali le intese;
   con la successiva legge cosiddetta Madia 7 agosto 2015, n. 124, all'articolo 8, comma 1, lettera f), il Governo è stato delegato ad adottare, entro dodici mesi dalla data di entrata in vigore della legge, uno o più decreti legislativi per la «riorganizzazione, razionalizzazione e semplificazione della legge 28 gennaio 1994, n. 84, con particolare riferimento al numero, all'individuazione di autorità di sistema nonché alla governance tenendo conto del ruolo delle regioni e degli enti locali e alla semplificazione e unificazione delle procedure doganali e amministrative in materia di porti»;
   tali decreti legislativi debbono essere adottati su proposta del Ministro, previa acquisizione del parere della Conferenza unificata Stato-regioni-città ed autonomie locali di cui all'articolo 8 del decreto legislativo n. 281 del 1977, oltre che delle Commissioni parlamentari competenti;
   risulta, quindi, evidente che sia per il piano della portualità e della logistica, sia per l'esercizio della delega conferita in materia di porti dalla «legge Madia», il Governo deve, necessariamente coinvolgere attivamente nel procedimento legislativo le regioni;
   il ruolo delle regioni, anche alla luce della recente sentenza della Corte Costituzionale, è assolutamente imprescindibile e fondamentale;
   in questa prospettiva, per la riorganizzazione ed il riordino della governance dei Porti, in particolare per quanto attiene alla definizione delle istituende Autorità di Sistema ed all'accorpamento delle attuali autorità portuali, il coinvolgimento delle regioni non può avvenire solamente in sede di Conferenza unificata, quando lo schema di decreto legislativo è già stato elaborato e predisposto dal Governo e viene sottoposto al parere della Conferenza medesima;
   invece, le regioni debbono essere coinvolte in misura incisiva, già nelle fasi precedenti del percorso formativo del decreto legislativo e fin dal lavoro istruttorio e dalla disamina delle differenti situazioni territoriali, per addivenire alle scelte più equilibrate, per le quali è indispensabile la partecipazione attiva e piena delle regioni, che hanno compiuta e profonda conoscenza della realtà dei territori e delle comunità;
   è questo il percorso istituzionale irrinunciabile e fondamentale per scongiurare scelte e decisioni affrettate e superficiali, che debbono essere, invece, guidate da una istruttoria e da una ponderazione accurate e approfondite e, giammai, dal richiamo a principi astratti o a soluzioni già precostituite;
   la riforma in itinere della legislazione in tema di porti deve naturalmente investire, accanto agli aspetti organizzativi e di governance, l'obiettivo strategico e prioritario della semplificazione, dello snellimento e velocizzazione delle procedure amministrative e relative alla formazione ed approvazione dei piani regolatori portuali, al fine della rapida ed efficiente esecuzione di tutte le infrastrutture e di tutti i lavori a cominciare da quelli – per i dragaggi e per le aree aeroportuali – indispensabili ed urgenti per modernizzare e rendere più’ competitivo in tutto il Paese il sistema dei nostri porti –:
   con quali iniziative, in quali forme e con quali procedure concertative e di coordinamento orizzontale, il Ministro interrogato intenda coinvolgere le regioni – in coerenza con la sentenza della Corte Costituzionale n. 261/2015 – ai fini della elaborazione sia del piano nazionale strategico della portualità e della logistica, sia dei decreti legislativi di cui all'articolo 8, comma lettera f) della «legge Madia» n. 124 del 2015, in particolare per quanto concerne le scelte organizzative sul modello di governance dei porti, l'istituzione delle autorità di sistema, la riorganizzazione, il riordino e l'accorpamento delle attuali autorità portuali. (5-07327)


   COVELLO. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   con il nuovo anno Trenitalia ha adottato un incremento delle proprie tariffe su tutta la rete nazionale e ha proceduto ad attivare il superamento dei biglietti chilometrici;
   si tratta di due misure che penalizzano in maniera eccessiva l'utenza calabrese anche a fronte di un servizio che continua a rimanere in maniera evidente del tutto inadeguato;
   l'incremento tariffario non segue alcun intervento di miglioramento del materiale rotabile e del servizio lungo le tratte che interessano la Calabria;
   permangono i disservizi nei collegamenti regionali e per quelli a lunga percorrenza dove ritardi e disagi sono all'ordine del giorno;
   la decisione di superare i biglietti chilometrici penalizza l'utenza locale soprattutto quella residente in luoghi in cui non vi sono biglietterie e stazioni aperte;
   nelle scorse settimane l'interrogante aveva già sollevato la questione delle tariffe aeree estremamente onerose per la Calabria sollecitando il Governo ad attivare un tavolo di confronto con le compagnie;
   questa decisione di Trenitalia compromette ulteriormente il diritto alla mobilità per i calabresi e non aiuta la ripresa economica di questo territorio;
   la questione trasporti è cruciale per l'intero Mezzogiorno e, in particolare, per la Calabria considerato il suo atavico isolamento –:
   quali iniziative intenda assumere con urgenza il Ministro al fine di convocare in tempi rapidi un tavolo istituzionale di confronto con Trenitalia e Alitalia per affrontare la questione dei collegamenti e delle tariffe praticate lungo le tratte che interessano il territorio calabrese al fine di non penalizzare l'utenza e l'economia di un territorio in difficoltà. (5-07330)


   RICCIATTI, FRANCO BORDO, MELILLA, QUARANTA, SCOTTO, PIRAS, SANNICANDRO, DURANTI, FOLINO, NICCHI, FRATOIANNI e KRONBICHLER. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   il 15 gennaio 2015 è stata disposta l'apertura al traffico del nuovo tratto della strada statale 77 var «della Val di Chienti» ricompresa tra le progressive chilometriche 17+600 (svincolo di Colfiorito) e 26+600 (svincolo Serravalle di Chienti), nel territorio della regione Marche;
   per consentire ad Anas di eseguire accertamenti tecnici sulle gallerie Serravalle e Varano si è proceduto, in data 2 luglio 2015, alla chiusura di entrambe le carreggiate del tratto stradale indicato; a seguito degli accertamenti è risultato necessario effettuare interventi di sistemazione delle suddette gallerie;
   in data 8 agosto 2015 è stato riaperto al traffico il tratto stradale ricompreso tra le progressive chilometriche 17+600 (svincolo di Colfiorito) e 26+600 (svincolo Serravalle di Chienti) per la sola carreggiata destra (direzione Macerata);
   attualmente resta chiusa al traffico la carreggiata sinistra (in direzione Foligno sino al passo di Colfiorito);
   la realizzazione di alcuni lotti della strada statale 77 Foligno-Civitanova Marche, ricadenti nel territorio della regione Umbria, è attualmente oggetto di indagini da parte della procura della Repubblica di Spoleto, a seguito della testimonianza anonima di un operaio che aveva preso parte ai lavori, divulgata nell'ambito di una inchiesta giornalistica della trasmissione televisiva Report, per l'utilizzo di quantitativi di materiale nella realizzazione dell'opera insufficienti e sensibilmente difformi rispetto alla regola d'arte;
   l'interrogante ha presentato negli scorsi mesi alcuni atti di sindacato ispettivo, ai quali ci si richiama (tra i quali: Interrogazione a risposta in commissione n. 5-07123 del 27 novembre 2015, seduta n. 531; interrogazione a risposta in commissione n. 5-05313, del 13 aprile 2015, seduta n. 407), per ottenere chiarimenti sulla realizzazione dell'opera e sulle verifiche e le misure predisposte dalle amministrazioni competenti a seguito della denuncia; il tratto stradale ricompreso tra le progressive chilometriche 17+600 (svincolo di Colfiorito) e 26+600 (svincolo Serravalle di Chienti) è stato realizzato dal contraente generale Val di Chienti ScPA (lo stesso che ha realizzato i lotti sui quali attualmente indaga la procura della Repubblica di Spoleto) per conto della società Quadrilatero –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di riferire circa il tipo di difformità riscontrato da Anas nel tratto di strada evidenziato, e quali iniziative abbia intrapreso Anas, sia direttamente sia attraverso eventuali richieste di intervento al contraente generale assegnatario dei lavori, per ripristinare l'operatività del tratto stradale suddetto;
   se risulti al Ministro interrogato che Anas abbia segnalato tali difformità alla procura della Repubblica competente, al fine di verificare eventuali violazioni di norme penali; se sia in grado di fornire una stima sui tempi necessari per addivenire alla riapertura del tratto stradale suddetto. (5-07331)

INTERNO

Interpellanze urgenti (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   con l'articolo 14, comma 1, del decreto legislativo 334 del 2000 è stato istituito il ruolo direttivo speciale della polizia di Stato;
   il nuovo ruolo direttivo avrebbe dovuto essere costituito, a partire dal 2001 e fino al 2005, secondo le previsioni di cui agli articoli 24 e 25 del decreto legislativo medesimo;
   le suddette disposizioni di legge sono rimaste inattuate, in quanto, a partire dal 2001, non è stato bandito alcun concorso per la copertura della dotazione organica del ruolo direttivo speciale, che invece è stato regolarmente costituito nelle altre forze di polizia ad ordinamento militare e nella polizia penitenziaria, con grave danno soltanto per il personale della polizia di Stato;
   ad aggravare la situazione di disparità si è aggiunto l'articolo 1, comma 261, della legge 23 dicembre 2005, n. 266, con il quale, da ultimo, è stato stabilito che «fino a quando non saranno approvate le norme per il riordinamento dei ruoli del personale delle Forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle Forze di polizia ad ordinamento militare e delle Forze armate, è sospesa l'applicazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 5 ottobre 2000, n. 334, e successive modificazioni»;
   a seguito della sospensione dell'applicazione dell'articolo 24 citato, con il medesimo articolo 1, comma 261, della legge 266 del 2005, il legislatore ha previsto, in via transitoria, che «alle esigenze di carattere funzionale» si dovesse provvedere, in particolare, «mediante l'affidamento, agli ispettori superiori-sostituti ufficiali di pubblica sicurezza “sostituti commissari”, delle funzioni di cui all'articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 24 aprile 1982, n. 335, e successive modificazioni», ossia «le funzioni di vice dirigente di Uffici o unità organiche in cui, oltre al funzionario preposto, non vi siano altri funzionari del ruolo dei commissari o del ruolo direttivo speciale»;
   ai sensi del citato articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 335 del 1982, «gli uffici nell'ambito dei quali possono essere affidate funzioni predette, nonché ulteriori funzioni di particolare rilevanza», sono individuati «con decreto del Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza»;
   il legislatore del 2005, pur sospendendo l'applicazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 334 del 2000, ha previsto una disciplina transitoria che l'amministrazione era tenuta ad attuare nell'attesa dell'emanazione delle nuove norme di riordino dei ruoli del personale delle forze di polizia ad ordinamento civile e degli ufficiali di grado corrispondente delle forze di polizia ad ordinamento militare e delle forze armate;
   le predette disposizioni legislative, anche in questo caso, non hanno mai avuto attuazione, con la conseguenza che in molti uffici o unità organiche in cui, oltre al funzionario preposto, non vi sono altri funzionari del ruolo dei commissari, per quanto normativamente previsti, gli appartenenti al ruolo degli ispettori sono costretti a svolgere – di fatto e in maniera non occasionale o temporanea come previsto dalla legge – non soltanto le funzioni proprie del ruolo direttivo, ma, nei casi di assenza o impedimento del titolare dell'ufficio, anche quelle di vice-dirigente o addirittura di dirigente; e ciò senza che l'ufficio sia stato previamente individuato – in considerazione dell'importanza delle funzioni predette – «con decreto del Capo della Polizia-Direttore Generale della Pubblica Sicurezza»;
   pertanto, da dieci anni a questa parte, il Ministero dell'interno sta provvedendo «alle esigenze di carattere funzionale» conseguenti alla sospensione dell'applicazione dell'articolo 24 del decreto legislativo 334 del 2000 e successive modificazioni ed integrazioni di fatto in maniera non conforme alla legge;
   a fronte di tale prolungata inerzia, in data 3 ottobre 2014, il «Comitato per la tutela degli ispettori della polizia di Stato» (identificato anche con l'acronimo Co.T.I.Pol.) ha formalmente chiesto al Ministero dell'interno di dare attuazione alle disposizioni contenute nell'articolo 1, comma 261, lettera a), della legge 266 del 2005;
   in mancanza di un'adeguata risposta da parte dell'amministrazione, il Co.T.I.Pol. ha adito il T.A.R. del Lazio, che ha accolto il ricorso con sentenza 8328/2015, ordinando al Ministero dell'interno di provvedere entro 90 giorni, con decreto del Capo della polizia, alla formale individuazione degli uffici nell'ambito dei quali le funzioni di cui all'articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 335 del 1982 possono essere affidate, così come previsto dall'articolo 1, comma 261, della legge 266 del 2005;
   a seguito dell'impugnazione del Ministero, di recente si è pronunciato anche il Consiglio di Stato con sentenza n. 5251/2015, il quale, in accoglimento dell'appello, ha osservato che nella fattispecie «non si ravvisa l'obbligo dell'Amministrazione, nella specie il Ministero dell'interno, di provvedere nei confronti del privato in quanto nel caso in esame l'amministrazione anzidetta se pure vincolata nell’ “an” ad assumere l'invocato provvedimento non lo è nel ‘quando’; di conseguenza, essendo la materia riservata al potere discrezionale dell'amministrazione, nessun vincolo almeno nel ‘quando’, sussisterebbe in capo al Ministero dell'interno di emissione dell'invocato provvedimento»;
   ciò nondimeno, il Consiglio di Stato ha precisato che, «logicamente, ciò non vuol dire che l'amministrazione possa “sine die” rimanere inerte ed esimersi dal disciplinare gli adempimenti stabiliti dalla legge»;
   il personale interessato rappresenta la quasi totalità dei comandanti degli uffici delle specialità della polizia di Stato, ossia della polizia stradale, ferroviaria e postale, e dei responsabili delle sezioni della squadra mobile, della digos e dei commissariati, che da oltre 10 anni stanno subendo intollerabili disparità di trattamento, sia sul piano economico che professionale, rispetto agli omologhi delle altre forze di polizia e tali disparità sono generate in primis da un'amministrazione a giudizio degli interroganti disattenta nei confronti del proprio personale;
   il Capo della polizia, nonostante una specifica richiesta di incontro da parte del Co.T.I.Pol., riconosciuto dal TAR del Lazio come soggetto unitario di rappresentanza degli appartenenti all'intero ruolo degli ispettori, a quanto risulta agli interpellanti continua a rimanere silente –:
   se vi siano particolari ragioni per cui il Ministero dell'interno ha ritenuto di poter dare attuazione, negli anni, soltanto al disposto di cui alla lettera b) dell'articolo 1, comma 261, della legge 266 del 2005 e non anche al disposto di cui alla lettera a), quantunque dall'attuazione di quest'ultima non sarebbero derivati maggiori oneri per lo Stato, a differenza della prima; 
   se, a fronte dell'obbligo di legge e alla luce della citata pronuncia del Consiglio di Stato, il Ministro ritenga di porre fine allo stato di inerzia, ormai protrattosi per ben dieci anni, e dare finalmente attuazione all'articolo 1, comma 261, lettera a), della legge 266 del 2005, previa attuazione dell'articolo 31-quater, comma 6, del decreto del Presidente della Repubblica 335 del 1982;
   se, in vista delle ormai imminenti modificazioni agli ordinamenti del personale delle forze di polizia di cui all'articolo 16 della legge 121 del 1981, come stabilito dalla legge-delega 124 del 2015, sia intenzione del Ministro assumere iniziative per provvedere alla previa costituzione del ruolo direttivo speciale della polizia di Stato, in attuazione dell'articolo 25 del decreto legislativo 334 del 2000, al fine di riallineare le qualifiche apicali del ruolo degli ispettori alle omologhe qualifiche degli appartenenti alle altre forze di polizia.
(2-01219) «Dadone, Dieni, Nesci, Nuti, Cecconi, Cozzolino, D'Ambrosio, Toninelli, Agostinelli, Alberti, Baroni, Basilio, Battelli, Benedetti, Massimiliano Bernini, Paolo Bernini, Nicola Bianchi, Bonafede, Brescia, Brugnerotto, Businarolo, Busto, Cancelleri, Cariello, Carinelli, Caso, Castelli, Chimienti, Ciprini, Colletti».


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dell'interno, per sapere – premesso che:
   durante l'ultima tornata amministrativa del 30 maggio 2015, al comune di Quarto è stato eletto il sindaco Rosa Capuozzo, esponente del Movimento 5 stelle;
   Quarto, comune della provincia di Napoli che conta 40 mila abitanti, era stato precedentemente sciolto per infiltrazioni criminali a seguito di un'inchiesta sull'ingerenza del clan Polverino nelle scelte urbanistiche del territorio;
   il 3 novembre 2015 gli organi di informazione hanno diffuso la notizia dell'esistenza di un dossier che documenterebbe il reato di abuso edilizio commesso sull'abitazione di proprietà del marito del sindaco; l'appartamento in questione si troverebbe in via Masullo, a Quarto, e costituirebbe la residenza del sindaco e della sua famiglia;
   il fascicolo del dossier, costituito da 10 pagine, è stato fatto recapitare ai consiglieri comunali di opposizione che avrebbero poi provveduto a trasmetterlo ai carabinieri di Quarto;
   nei documenti consegnati ai militari dell'Arma ci sarebbero le prove che l'abuso edilizio sarebbe stato commesso dopo il 2003, vale dire dopo il termine previsto per poter usufruire del condono;
   secondo quanto riportato dal quotidiano «Il Mattino» in un articolo pubblicato il 4 novembre sull'edizione on line del quotidiano e firmato da Alessandro Napolitano «il manufatto in questione è lo stesso che ospita la tipografia del marito, la loro abitazione e lo studio legale di Rosa Capuozzo. Secondo l'autore del dossier, però, la richiesta di condono sarebbe stata effettuata entro i termini prescritti e cioè entro il 30 aprile del 2003. Tuttavia, dalla fotografia aerea, datata 12 maggio dello stesso anno, risulta che il sottotetto non era stato ancora realizzato. In pratica si tratterebbe di un abuso non sanabile, in quanto non preesistente alla data indicata»;
   nel dossier consegnato ai carabinieri comparirebbe anche il nome dell'ingegnere Rosario Altamonte, che ha firmato il certificato di idoneità statica allegato a corredo della pratica e che risulterebbe indagato in un'inchiesta della Dda sulle infiltrazioni del clan Polverino in alcuni comuni della provincia di Napoli, tra i quali Quarto;
   la vicenda relativa ai presunti abusi edilizi commessi dal sindaco di Quarto si intreccerebbe con un altro episodio al centro di un'inchiesta avviata dalla, direzione distrettuale antimafia di Napoli e coordinata dal pm Henry John Woodcock;
   nell'ambito dell'inchiesta della direzione distrettuale antimafia, risulterebbe indagato Giovanni De Robbio, consigliere comunale del Movimento 5 Stelle, partito di cui è espressione lo stesso sindaco, risultato essere il consigliere più votato a Quarto nelle ultime elezioni amministrative;
   secondo quanto emergerebbe dalle indagini, De Robbio avrebbe usato la foto che documenterebbe l'illecito commesso dal sindaco per minacciarlo, al fine di ottenere, tra l'altro, l'affidamento del campo di calcio di Quarto all'imprenditore Alfonso Cesarano che lo avrebbe sostenuto in campagna elettorale e che risulterebbe vicino ai clan di camorra che controllano il territorio. Tra le accuse rivolte a De Robbio figurerebbero il voto di scambio oltre che la tentata estorsione aggravata dal metodo mafioso;
   il 6 gennaio 2016, il quotidiano La Stampa, in un articolo a firma di Guido Ruotolo riporta alcuni stralci di intercettazioni telefoniche che confermerebbero l'accordo tra De Robbio e gli esponenti della camorra locale: «Comincia a chiamarlo. Ha preso 890 voti, è il primo degli eletti. Noi ci siamo messi con chi vince, capito ?»;
   la telefonata in questione risalirebbe al 1o giugno 2015 e sarebbe stata effettuata, tra il primo e il secondo turno delle elezioni amministrative, dall'imprenditore Cesarano, legato al clan camorrista dei Polverino, per dare indicazioni sul voto per il ballottaggio: «Adesso si deve portare a votare chiunque esso sia, anche le vecchie di ottant'anni. Si devono portare là sopra, e devono mettere la X sul Movimento 5 Stelle»;
   attraverso le intercettazioni sarebbe anche stata svelata la contropartita attesa dall'organizzazione criminale: «L'assessore glielo diamo noi praticamente. E lui ci deve dare quello che noi abbiamo detto che ci deve dare. Ha preso accordi con noi. Dopo, così come lo abbiamo fatto salire così lo facciamo cadere»; il consigliere Giovanni De Robbio, espulso dal partito, si è dimesso dal consiglio comunale il 27 dicembre;
   a fine dicembre 2015 anche l'assessore al bilancio Umberto Masullo ed il consigliere comunale Fabrizio Manzo hanno rassegnato le dimissioni alle quali, secondo quanto apparso sugli organi di stampa, potrebbero seguirne delle altre;
   in un articolo a firma Fiorenza Sarzanini, pubblicato il 12 gennaio 2016 dal Corriere della Sera, risulta che i vertici nazionali del Movimento 5 Stelle sarebbero stati a conoscenza, sin dal novembre scorso, dei fatti accaduti nel comune di Quarto; in particolare, sono state acquisite agli atti dell'inchiesta alcune intercettazioni risalenti ai 24 novembre 2015, del sindaco Rosa Capuozzo, che in una conversazione con la consigliera comunale del M5S Concetta Aprile, affermava: «Io ho già avvertito a Luigi Di Maio anche per l'eventuale espulsione, no ma che stiamo scherzando ! Io gli ho detto anche a Luigi che qualche sera ci dobbiamo vedere perché qualsiasi cosa veramente loro ci devono commissariare»;
   in un'altra intercettazione datata 17 dicembre 2015 e anch'essa riportata sul Corriere della sera del 12 gennaio 2016, il sindaco di Quarto Capuozzo intima: «Bisogna gestire mediaticamente ... più in silenzio possibile, senza mettere i manifesti»;
   il 12 gennaio 2016, il sindaco di Quarto Rosa Capuozzo è stata espulsa dal M5S –:
   alla luce della inquietante sequenza che ha come scenario un comune che è già stato sciolto per infiltrazioni criminali, quali iniziative di competenze intenda assumere il Ministro interrogato e in particolare se non ritenga necessario procedere all'istituzione di una commissione d'indagine, che sia incaricata dell'attività di accesso e accertamento, come previsto dall'articolo 143 del Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali, affinché il Ministero dell'interno possa verificare in modo strutturale e accurato se ci sono elementi per lo scioglimento del comune per infiltrazione mafiosa, chiarendo, in tal modo, la verità dei fatti a tutela dei cittadini e della legalità.
(2-01223) «Russo, Brunetta».

Interrogazione a risposta orale:


   COVELLO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Cosenza e il suo hinterland da alcuni mesi hanno visto crescere il numero di rapine che alimentano un clima di inquietudine e preoccupazione tra i cittadini;
   l'ufficio postale di Rende ha visto recentemente due rapine in piena mattina alla presenza di numerosi utenti che erano lì per commissioni;
   sempre a Rende la vigilia di capodanno si è verificato un tentativo di rapina presso un istituto di credito in pieno centro;
   nel centro di Cosenza pochi giorni fa si è registrata una rapina a una agenzia della Banca Carime in pieno giorno e negli ultimi tempi numerosi sono stati gli episodi intimidatori ai danni di imprenditori e operatori commerciali;
   tale situazione ha generato un clima di forte preoccupazione nella comunità cosentina –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa, quali iniziative intenda assumere con la massima urgenza al fine di rafforzare in termini di mezzi e uomini le dotazioni delle forze dell'ordine in servizio nella città capoluogo e nel suo hinterland e se non intenda presenziare a uno specifico Comitato per l'ordine e la sicurezza pubblica al fine di rafforzare l'attività di controllo del territorio. (3-01916)

Interrogazione a risposta in Commissione:


   BURTONE. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nel corso degli ultimi mesi si registra una escalation di assalti e tentativi di furti ai danni di postamat e bancomat in diverse località della Basilicata;
   a fine anno, in una sola notte, sono stati assaltati quattro bancomat di cui uno riuscito e tre falliti; tutti gli assalti sono stati realizzati con esplosivo, in tre diversi comuni della provincia di Potenza: Pietragalla, Genzano di Lucania e Atella;
   nei giorni seguenti, un altro tentativo di furto ai danni di un bancomat è stato effettuato ai danni di uno sportello della BPM presso borgo La Martella a Matera;
   da ultimo, sono stati assaltati il postamat dell'ufficio postale di Bella Muro e il bancomat di Ruvo del Monte;
   da tempo, i bancomat e i postamat della Basilicata sono oggetto di assalti con esplosivo e la vicenda sta assumendo contorni davvero inquietanti, nonostante si siano registrati arresti e sia stata sgominata, nel corso del 2015, una banda dedita a tale attività;
   Grottole, Irsina Palazzo San Gervasio sono state località dove già in precedenza si erano registrati simili episodi;
   spesso gli sportelli sono ubicati in prossimità di abitazioni e l'esplosivo impiegato per farli saltare pone a rischio la sicurezza dei residenti –:
   se il Governo sia a conoscenza di tale fenomeno e quali iniziative intenda assumere, per quanto di competenza, affinché possano essere rafforzati i controlli sul territorio al fine di prevenire suddetti assalti che pongono a rischio l'incolumità dei cittadini. (5-07325)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MISIANI, GIUSEPPE GUERINI, SANGA e CARNEVALI. — Al Ministro dell'interno, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   l'articolo 2 della legge 24 dicembre 2003, n. 350 (come modificato dall'articolo 6-quater della legge 31 marzo 2005, n. 43) ha istituito l'addizionale comunale sui diritti di imbarco;
   tale addizionale è pari ad euro 1,00 per passeggero, sul quale grava l'onere economico, ed è versata, dal vettore, all'entrata del bilancio dello Stato per la sua successiva riassegnazione, così articolata:
   a) sino alla concorrenza di 30 milioni di euro all'ENAV – Ente Nazionale Assistenza al Volo;
   b) oltre detta soglia:
    a. il 40 per cento, a favore dei comuni del sedime aeroportuale o con lo stesso confinanti;
    b. il 60 per cento, per il finanziamento di efficaci misure di tutela dell'incolumità delle persone, per il contrasto alla criminalità e per il potenziamento della sicurezza delle strutture aeroportuali;
   dal testo di legge si desume che, mentre la quota fissa riservata allo Stato si identifica come una entrata ordinaria indifferenziata di quest'ultimo, la quota variabile è, invece, assoggettata dalla legge medesima a due differenti vincoli di destinazione, con la conseguenza che, una volta superato il tetto assoggettato a riserva di 30 milioni, l'eccedenza deve essere distribuita secondo le modalità indicate dalla legge;
   la predetta eccedenza non può essere in alcun modo ricondotta ad una entrata fiscale ordinaria dello Stato, tantomeno indifferenziata, di cui quest'ultimo possa liberamente disporre o, tantomeno, assoggettare a revisioni di spesa;
   dal 2005 sono stati erogati ai comuni, a titolo di addizionale sui diritti di imbarco, importi sensibilmente inferiori rispetto a quelli che, ai sensi di legge, sarebbero stati di effettiva spettanza degli stessi, con un flusso di finanziamenti discontinuo e contrassegnato da mancate assegnazioni e non rispondenza degli importi dovuti con il totale dei passeggeri viaggianti;
   detta situazione si è ulteriormente aggravata a seguito dell'erronea applicazione delle disposizioni di cui all'articolo 2, commi 615 e 616 della legge 24 dicembre 2007, n. 244 (legge finanziaria 2008), che hanno modificato unicamente il modo di procedere in segno alle assegnazioni, eliminando alcuni passaggi di bilancio, ma non la natura dell'entrata, il quantum dell'addizionale comunale, né il vincolo di destinazione previsti dall'articolo 2 della legge 24 dicembre 2003, n. 350;
   per l'anno 2011, l'intera somma relativa all'addizionale comunale è stata dirottata al gestore di Trapani Birgi, per chiusura dell'aeroporto, ma non risulta agli interroganti versata a tale gestore, né tantomeno distribuita ai comuni aventi diritto;
   lo Stato, dunque, non ha versato e continua a non versare ai comuni somme a destinazione vincolata che ai medesimi spettano per legge ed al versamento dei quali gli stessi vantano un diritto soggettivo;
   secondo i calcoli effettuati dall'Associazione nazionale comuni aeroportuali italiani (A.N.C.A.I.), relativamente a 18 comuni aventi diritto, le somme non versate dallo Stato e attualmente dovute ai comuni stessi per il periodo 2005-2014 ammonterebbero a complessivi euro 55.539.746,00, di cui 24.547.412,58 dovuti al comune di Fiumicino, 5.102.486,10 al comune di Ferno, 3.637.479,26 al comune di Orio al Serio, 3.146.395,16 al comune di Cinisi, 3.039.778,92 al comune di Somma Lombardo e la quota restante agli altri 13 comuni presi in esame –:
   quali iniziative di competenza intendono assumere i Ministri interrogati al fine di corrispondere ai comuni le somme dovute e non versate e ristabilire certezza sull'ammontare e sulla tempistica dei riversamenti ai comuni dell'addizionale sui diritti aeroportuali. (4-11592)


   TAGLIALATELA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   la città di Gorizia è meta di un numero di soggetti richiedenti la protezione internazionale, flusso in costante aumento, che sta mettendo in difficoltà le strutture cittadine deputate a gestire l'accoglienza;
   in base ai dati forniti dalla questura e pubblicati da Il Piccolo dell'11 aprile 2015, il settanta per cento dei richiedenti asilo che presentano l'istanza a Gorizia non proviene direttamente da zone di guerra ma da altri Paesi europei;
   il regolamento (UE) 604/2013, cosiddetto terzo regolamento di Dublino, stabilisce i criteri e i meccanismi di determinazione dello Stato membro competente per l'esame di una domanda di protezione internazionale presentata in uno degli Stati membri da un cittadino di un Paese terzo o da un apolide;
   il citato regolamento prevede tempi definiti per il trasferimento di uno straniero proveniente da Paesi comunitari che ne hanno effettuato la registrazione mediante l'inserimento delle impronte digitali nel sistema EURODAC;
   nel caso in cui risulti che lo straniero sia già stato registrato da un Paese europeo diverso da quello che in quel momento si sta trovando ad esaminare la domanda di protezione internazionale, entro sessanta giorni va contattato il Paese che aveva già proceduto alla fotosegnalazione del soggetto con la richiesta di ripresa in carico;
   a tal fine, la cosiddetta Unità di Dublino istituita presso il Ministero dell'interno dovrebbe emettere un apposito decreto di presa in carico per competenza estera, ma nella maggior parte dei casi ciò non accade nei tempi normativamente previsti, con la conseguenza che le domande di protezione passano alla competenza dell'Italia –:
   con riferimento all'anno 2015, quanti siano stati gli stranieri riaccolti in Italia in base alle norme del regolamento di «Dublino III», quale sia il numero di stranieri riscontrati positivi, in Italia e a Gorizia, all'accertamento del sistema EURODAC, e per quanti di questi siano state avviate le pratiche, da parte dell'unità Dublino, di richiesta di presa in carico, quanti siano i decreti di competenza estera emessi dall'unità Dublino e quanti gli stranieri effettivamente trasferiti per competenza estera da Gorizia e dall'Italia, quanti siano gli stranieri rispetto ai quali, per mancata attivazione della procedura di richiesta di ripresa in carico, la competenza a esaminare la domanda di protezione sia passata all'Italia;
   quante domande di protezione internazionale presentate nel 2015 si siano concluse in via definitiva con un diniego, e quanti di questi stranieri siano stati rimpatriati nei Paesi di provenienza.
(4-11596)


   RAMPELLI. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   durante l'emergenza immigrazione seguita alla primavera araba ed alla crisi libica, in provincia di Catanzaro era stato destinato ad ospitare i migranti il Residence degli Ulivi di Falerna;
   a tal fine il residence era stato preso in affitto da un consorzio, e sulla base di una convenzione con la Protezione civile prima (soggetto attuatore dell'ordinanza del Presidente del Consiglio dei ministri «emergenza Nord-Africa»), e con la prefettura poi, migranti di diverse nazionalità sono stati ivi ospitati dall'aprile 2011 al 5 marzo 2013;
   dopo la conclusione dello stato di emergenza, i migranti hanno temporaneamente lasciato il residence, ma successivamente vi sono ritornati e hanno dato avvio all'occupazione dello stabile, dalla quale è derivato un contenzioso fra il consorzio e la proprietà del residence sul pagamento delle spese;
   ad oggi, mentre al suo interno sono avvenuti episodi di spaccio e prostituzione, nessuno sa, a quanto consta all'interrogante, né quanti siano né chi siano gli occupanti dei residence, e questo determina un evidente rischio per la sicurezza dei cittadini della zona –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere con riferimento a quanto esposto in premessa;
   in che modo intenda garantire che la gestione dell'accoglienza sia realizzata nel più rigoroso rispetto delle normative, delle procedure e dei cittadini residenti nelle località interessate da fenomeni di forte immigrazione. (4-11598)


   LOREFICE, SILVIA GIORDANO, DI VITA, MANTERO, COLONNESE, BARONI e GRILLO. – Al Ministro dell'interno, al Ministro della salute. – Per sapere – premesso che:
   secondo i dati forniti dalla direzione centrale della polizia criminale del dipartimento della pubblica sicurezza, contenuti nella XIII relazione semestrale dell'ufficio del commissario straordinario di Governo per le persone scomparse, sono 32.372 le persone scomparse in Italia e ancora da rintracciare nel I semestre del 2015, di cui 8.524 italiani e 22.848 stranieri, 13.085 maggiorenni (6.712 italiani e 6.373 stranieri) e 18.287 minorenni (1.812 italiani e 16.475 stranieri);
   sono stati registrati ben 7.993 casi in più rispetto al 31 dicembre 2014, ma con uno scarto sempre più esiguo tra il numero di denunce e le persone ancora da rintracciare;
   aumenta in parallelo, secondo la XIII relazione, il numero di persone ritrovate, confermando un trend positivo frutto delle indagini di magistratura e forze dell'ordine ma anche del lavoro delle prefetture, con l'aggiornamento dei piani provinciali di ricerca, e dell'azione di impulso e coordinamento del commissario straordinario del Governo per le persone scomparse;
   dalla XIII relazione emergono dati importanti, quali i protocolli per la geolocalizzazione dei malati di Alzheimer, per la salvaguardia delle vittime di abusi, l'osservatorio sulle scomparse delle donne, i corsi di formazione per gli operatori coinvolti (polizia, prefetture, associazioni di volontariato), e persino l'attuazione da parte delle prefetture dei piani provinciali di ricerca, come da tempo chiesto dall'associazione Penelope Italia. Tale attuazione ha dimostrato come sia possibile ritrovare oltre l'80 per cento degli scomparsi;
   drammatica dal punto di vista normativo è la questione dei cosiddetti « cold case» casi riguardanti persone scomparse da tanto tempo e delle quali difficilmente si riuscirà a scoprire qualcosa;
   Penelope Italia Onlus ha proposto su questo tema l'istituzione presso le questure e i comandi provinciali dei carabinieri di gruppi specializzati che vadano a rispolverare fascicoli ormai datati che riguardano minori scomparsi per cercare di fare tutto quello che per ragioni giuridiche e tecnologiche non è stato fatto all'epoca della scomparsa;
   in merito ai cadaveri non identificati che giacciono sepolti o custoditi in Istituti di medicina legale e obitori comunali e il cui elenco (1.421 i corpi registrati) è contenuto nel registro nazionale dei cadaveri non identificati istituito nel 2007, l'associazione Penelope Italia, che fra le varie attività ha anche quella di affiancare i familiari degli scomparsi e seguirli nell'iter burocratico-giudiziario di ricerca della persona cara, combatte da tempo per l'istituzione della Banca dati DNA (decreto del Presidente della Repubblica 202 del 2015) per ottenere il riconoscimento in capo ai familiari di scomparsi del diritto a confrontare il proprio Dna con quello dei cadaveri non identificati e cerca di creare una rete di collaborazione con tutte le istituzioni per arrivare a rapide soluzioni dei casi di scomparsa –:
   se il Governo sia a conoscenza di quanto riportato in premessa in merito alle vicende descritte e se non reputi doveroso assumere iniziative per attivare, come proposto da Penelope Italia, gruppi specializzati cui affidare il compito di occuparsi dei « cold case» e istituire la banca dati Dna;
   quali altre iniziative, accordi, convenzioni, provvedimenti si intendano mettere in atto per migliorare la ricerca e il ritrovamento degli scomparsi. (4-11603)


   LUIGI DI MAIO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   nei giorni scorsi l'interrogante ha incontrato il dottor Tonino Rotondi, vice questore aggiunto della polizia di Stato sino al 4 agosto 2011, quando era in servizio presso la direzione investigativa antimafia come capo settore responsabile della trattazione delle informative e, più in generale per la materia dell'articolo 41-bis dell'ordinamento penitenziario, regime di detenzione speciale per i mafiosi;
   secondo quanto segnalato all'interrogante, il dottor Rotondi il 4 agosto 2011, con provvedimento a firma dell'allora vice capo della polizia (in luogo del Ministro), è stato dichiarato decaduto dall'impiego per incompatibilità, ai sensi dell'articolo 50 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335 del 1982;
   contro tale provvedimento, il dottor Rotondi ha proposto ricorso al TAR del Lazio, con conseguente rigetto, e poi al Consiglio di Stato, ottenendo un ulteriore rigetto delle sue ragioni;
   il dottor Rotondi riferisce di non essere mai stato indagato per alcun reato, né tanto meno imputato, ma nonostante ciò riferisce altresì di essere stato dapprima espulso dalla direzione investigativa antimafia ed in seguito dichiarato decaduto dall'impiego in esito a procedimenti amministrativi adottati – secondo quanto da lui sostenuto – in totale carenza di istruttoria, nonché ignorando le puntuali controdeduzioni esibite in sede difensiva. L'arbitraria interpretazione degli elementi dedotti dall'amministrazione – nell'opinione del dottor Rotondi – era oggetto di meticolose indagini difensive che il destinatario denunciava immediatamente alla giurisdizione penale, individuata ope legis nel tribunale di Perugia e nella sua procura della Repubblica in relazione al coinvolgimento diretto o indiretto di un alto magistrato di Cassino;
   in data 27 aprile e 31 agosto 2015 sarebbero intervenuti due provvedimenti, uno del sostituto procuratore e uno del tribunale di Perugia in contraddizione con i giudicati amministrativi di primo e secondo grado, laddove si afferma che il dottor Rotondi è stato fatto decadere dall'impiego sulla base di illeciti che non ha mai compiuto, che il provvedimento di decadenza contiene aspetti di insufficiente trasparenza, che la decadenza dall'impiego non è stata fondata su elementi accertati tali da dimostrare le responsabilità amministrative del dottor Rotondi stesso. Occorre, peraltro, segnalare altresì che, secondo quanto riferito dal dottor Rotondi, un contemporaneo procedimento disciplinare avviato per la destituzione non ha avuto esito;
   il citato decreto di archiviazione del 31 agosto 2015 con il quale il giudice per le indagini preliminari del tribunale di Perugia, accogliendo in toto la richiesta di archiviazione presentata dal sostituto procuratore della procura della Repubblica in ordine ad asserite calunnie e diffamazioni denunciate in querela nei confronti del dottor Tonino Rotondi, oltre a sancire per l'ennesima volta l'estraneità di Rotondi a qualsiasi condotta penalmente rilevante, da un lato ne certifica la correttezza processuale, dall'altro, evidenzia alcune importanti ombre sull'operato dell'amministrazione;
   secondo il giudice umbro, in altre parole, il dottor Rotondi è stato dichiarato decaduto dall'impiego sulla base di una insussistente violazione dell'articolo 50 del citato decreto del Presidente della Repubblica n. 335 del 1982. La fattispecie dell'ingerenza, poi, non sarebbe prevista in alcun modo dal diritto di polizia, a fronte della tassatività richiesta dall'applicazione di una norma terminativa del rapporto d'impiego, con un provvedimento che – sempre secondo il giudice di Perugia – non sarebbe stato «motivato» come deve essere per ogni atto amministrativo, ma «giustificato» e firmato dal vice capo della polizia in sostituzione del Ministro dell'interno che invece era ed è l'unica autorità competente a farlo ai sensi del combinato disposto dell'articolo 51 del decreto del Presidente della Repubblica n. 335 del 1982 e dell'articolo 3 del decreto legislativo n. 161 del 2011 (cosiddetto «Brunetta»);
   in seguito a quanto esposto, nelle date 23 marzo e 20 settembre 2015, il dottor Rotondi ha inoltrato al Ministro interrogato due richieste di annullamento del provvedimento decadenziale in autotutela;
   il dottor Rotondi, peraltro, riferisce di aver incontrato nel mese di marzo 2015 il vice capo di gabinetto del Ministro dell'interno, il prefetto Franca Triestino, responsabile del settore affari interni del gabinetto che era ignara della vicenda e avrebbe al contempo rassicurato lo stesso dottor Rotondi circa la cessazione di qualsiasi eventuale comportamento persecutorio da parte dell'amministrazione nei suoi confronti;
   dopo tale incontro, sempre secondo quanto riferito, il dottor Rotondi, ha inoltrato al Ministro interrogato il provvedimento definitivo del tribunale di Perugia via fax a settembre e con raccomandata ad ottobre. Successivamente ha ricontattato l'ufficio del prefetto Triestino il quale ha riferito di non aver ricevuto ancora disposizioni in merito al suo caso –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della vicenda illustrata in premessa, se al Ministro risulti quanto dichiarato dal dottor Tonino Rotondi e quale sia il suo orientamento in merito;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover valutare con la dovuta attenzione l'emanazione di un provvedimento di autotutela con il quale si disponga l'annullamento del provvedimento decadenziale che ha raggiunto il dottor Tonino Rotondi il 4 agosto 2011. (4-11609)


   COLONNESE, FICO, LUIGI DI MAIO e SIBILIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 31 dicembre 2015, in piazza Calenda a Napoli, nel popoloso rione Forcella, veniva ucciso un giovane di 27 anni, Maikol Giuseppe Russo. Il fatto avveniva intorno alle 19 e 30. Il giovane si era recato a prelevare il fratello minore, Marco che lavora in un bar della piazza, preoccupato dei botti di fine anno che già echeggiavano dalla mattina;
   gli investigatori, a caccia della conferma di un movente di camorra, sono sempre più convinti che Maikol Giuseppe Russo è morto ammazzato da un proiettile vagante. Una pallottola che non era destinata a lui né a nessun altro, un'altra vittima innocente, l'ultima dopo il caso di Genny Cesarano alla Sanità, o come Nicola Scarpa ai Quartieri Spagnoli, ucciso da un proiettile sparato dalla figlia di un boss per festeggiare la mezzanotte mentre era affacciato al balcone di casa. Ancora una volta i cittadini di Napoli stanno vivendo momenti di angoscia e di terrore in seguito alla recrudescente spirale criminosa e violenta da parte di organizzazioni criminali. Nel centro storico, non si ferma la sequela di omicidi: dopo Ciro Esposito (22 anni, ucciso il 7 gennaio 2015), Pasquale Ceraso (67 anni, ucciso il 3 settembre 2015) e Gennaro Cesarano (17 anni, ucciso il 6 settembre — dopo appena tre giorni) il 14 novembre è toccato a Pietro Esposito, pregiudicato di 45 anni, padre di Ciro Esposito. In particolare, in quest'ultimo agguato, è rimasto ferito il dipendente di un'attività commerciale sita sul luogo dell'omicidio – Piazza Sanità, Giovanni Catena, 29 anni, intercettato da un colpo mentre svolgeva la sua mansione che è stato poi operato d'urgenza al Vecchio Pellegrini, restando per diversi giorni in prognosi riservata. Come per il diciassettenne Gennaro Cesarano (sarebbe stato raggiunto e ucciso durante un'azione dimostrativa delle organizzazioni criminali in Piazza Sanità), anche per Maikol Giuseppe Russo, dopo mille illazioni, si è esclusa la pista camorristica e di faide tra i clan di Forcella stroncati dagli arresti datati 2015. Tant’è che il nome del giovane – sposato e con figli – non compare mai nelle ordinanze di custodia cautelare né nelle intercettazioni ambientali. Si sarebbe trovato nel bel mezzo di una «stesa», abitudine criminale diffusa, in certi quartieri di Napoli come Forcella, appunto, i Quartieri Spagnoli e la Sanità. Si tratta di sfilate di motorini – due o più in sella – a sfrecciare per i vicoli per festeggiare qualcosa, ad esempio il matrimonio di un boss. Nel caso del 31 dicembre una festa anticipata di qualche ora della mezzanotte. La «stesa» — tre scooter con sei giovani in sella — arriva in piazza Calenda e spara sfrecciando tra le auto in sosta. Un proiettile si conficca nella parete di uno chalet. Di fronte c’è il bar e dietro le piante Maikol con gli amici. Da dieci metri di distanza parte il colpo. Avrebbe potuto colpire altri, oppure fare più di una vittima. Invece si conficca nella testa di Maikol sotto gli occhi del fratello che lavora all'interno del locale;
   nel mese di luglio 2015, dopo il verificarsi dell'esecuzione del giovanissimo boss Emanuele Sibilo e delle azioni criminali compiute dalla cosiddetta «paranza dei bambini» proprio nella zona di Forcella, il Ministro interrogato ha disposto l'incremento da 50 a 100 unità «del contingente dei Reparti Inquadrati, peraltro già operativi nei quartieri di Scampia e Secondigliano, allo scopo di implementare i servizi di sicurezza e ordine pubblico nelle aree pubblico a rischio»;
   attraverso tale dispositivo, noto come «operazione alto impatto», il Governo ha voluto dare «una risposta importante a garanzia dei cittadini napoletani che possono e devono contare, specialmente dopo i gravi fatti recentemente avvenuti, su una costante presenza dello Stato, tradotta concretamente in una serie di interventi pronti e mirati anche al contrasto dei fenomeni di criminalità diffusa»;
   all'interpellanza urgente n. 2/01067 dell'8 settembre 2015 a prima firma del deputato Fico, che oltre a chiedere quali misure urgenti siano state messe in atto per contrastare la recrudescenza criminale nel capoluogo campano, mirava anche a conoscere quali più ampie misure il Governo avesse intenzione di adottare sul piano del disagio socio-economico e del recupero ambientale, allo scopo di affrontare alla radice gli annosi problemi che affliggono la città e che richiedono interventi strutturali, (non caratterizzati quindi solo dall'emergenza del momento), il Sottosegretario delegato rispondeva: «Gli episodi a cui fanno riferimento gli interpellanti hanno già trovato una prima risposta nella decisione del Ministro dell'interno di rafforzare il dispositivo di prevenzione e di controllo tramite l'invio di ulteriori aliquote della Polizia di Stato e dell'Arma dei Carabinieri, tratte rispettivamente dai reparti prevenzione crimine e dalle compagnie intervento operativo, per un incremento pari a 50 unità. Un ulteriore incremento del dispositivo deriverà inoltre dall'invio a breve di altri 5 equipaggi provenienti dal reparto prevenzione crimine dello stesso capoluogo campano. È stata, quindi, alimentata, e lo sarà ancora nei prossimi giorni, una linea di attenzione al territorio partenopeo già in atto da alcuni mesi. Risale, infatti, all'aprile scorso la convocazione in prefettura di una riunione straordinaria del Comitato provinciale per l'ordine e la sicurezza pubblica, presieduta dallo stesso Ministro Alfano, che ha disposto l'attivazione immediata di una task force dedicata il cui peculiare compito è quello di analizzare il rischio criminale quartiere per quartiere, sulla base di un'accurata ricognizione delle connotazioni di ciascuna area urbana, in maniera da differenziare adeguatamente la risposta preventiva e repressiva nei confronti della recrudescenza del fenomeno. Infatti, come hanno peraltro anche messo in luce gli onorevoli interpellanti, la situazione napoletana richiede uno sforzo particolare non solo nel presidio fisico della città, cosa che è già in atto da tempo, ma, soprattutto, una capacità profonda leggere e di comprendere la complessa realtà criminale;
   di fronte a questa sorta di «esercito» del male, si dispiega un imponente dispositivo di sicurezza non solo formato da uomini e donne delle forze di polizia, ma anche da 400 militari impiegati quotidianamente in attività di concorso nell'ambito dell'operazione «Strade Sicure». (...) La Questura di Napoli, del resto, concentra il suo massimo sforzo in tutte le diverse zone a rischio, tra le quali rientrano anche i quartieri di Forcella e della Sanità, teatro, come già rammentava l'interpellante, dell'uccisione del giovane Gennaro Cesarano. È in questo senso che si colloca l'iniziativa del prefetto, che ha portato all'istituzione di Tavoli di confronto territoriale con le dieci municipalità di Napoli e gli attori del tessuto sociale che si prefiggono di approfondire i temi della sicurezza, anche per attivare processi di partecipazione più capillare, calibrati sulle diverse esigenze. Iniziative mirate, in collaborazione con le autorità scolastiche, sono state indirizzate alla popolazione studentesca, allo scopo di sviluppare e diffondere tra i giovani modelli relazionali positivi, improntati ai valori della legalità e del rispetto della convivenza civile. Al centro di tale iniziative, che prevedono l'impiego di personale dell'Asl in possesso di specifiche competenze psicologiche, vi è la cultura della prevenzione, indirizzata verso i fenomeni di devianza più diffusi, legati al consumo di stupefacenti e al bullismo, o rivolta ad affrontare tematiche connesse ai comportamenti responsabili, dall'uso del web all'inosservanza delle norme di comportamento in materia di circolazione stradale. (...) Nella consapevolezza di dover affrontare alla radice le cause del disagio socio-economico, il Programma operativo nazionale «Legalità» 2014 e seguenti, di competenza del Ministero dell'interno, contempla apposite linee di intervento sia di natura sistemica a supporto dell'economia legale per aumentare la capacità di resistenza alle pressioni criminali, sia interventi puntuali a carattere sperimentale per agevolare e rafforzare le reti territoriali che si oppongono all'immobilismo e al degrado voluti e prodotti dalle organizzazioni criminali. Analoghe misure di sostegno sono presenti nelle programmazioni nazionali a titolarità del Ministero dell'istruzione e del lavoro e delle politiche sociali, queste ultime contenute nel PON «Iniziativa occupazione giovani» e nel PON «Inclusione»;
   dalle segnalazioni giunte dai cittadini e raccolte anche dagli organi di stampa, risulta agli interroganti che nessuna delle soluzioni elencate sia stata poi messa in atto e i cittadini denunciano una sorta di smarrimento, di abbandono e di forte insicurezza confermata dai fatti delittuosi che si susseguono senza soluzione di continuità. I fatti descritti in premessa sono quasi tutti accaduti in pieno giorno e tra le strade affollate da cittadini inermi, dove i criminali hanno potuto agire indisturbati, a volto scoperto probabilmente essendo a conoscenza che l'area interessata non è nemmeno coperta da telecamere di videosorveglianza –:
   se sia a conoscenza di quanto esposto in premessa;
   quali siano i motivi per cui le strategie di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso prospettate dal Governo nella risposta all'interpellanza n. 2/01067 di cui in premessa, secondo quanto risulta agli interroganti, non siano state attuate;
   in quali termini il Governo stia predisponendo una strategia più ampia di contrasto alla criminalità organizzata di stampo mafioso, che affianchi ai presidi sul territorio maggiori investimenti nelle risorse strumentali a disposizione delle autorità preposte e che si ponga l'obiettivo di rafforzare l'azione integrata del governo locale, della magistratura, delle forze dell'ordine e delle associazioni impegnate nella lotta alle cosche;
   quale sia la posizione del Governo e se, in particolare, non ritenga indifferibile l'avvio, in stretta intesa con gli enti locali interessati, di una politica strutturale di ampio respiro, che miri a ricostruire il tessuto sociale ed economico di interi quartieri umiliati dalle faide tra clan e, per questa via, ad affermare il principio di legalità nella sua accezione più pregnante;
   quali iniziative intenda intraprendere per tutelare la sicurezza delle persone (uomini, donne, bambini) che in quelle aree svolgono le loro esistenze e che subiscono inermi questo terrorismo giornaliero. (4-11611)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazioni a risposta scritta:


   BRIGNONE, CIVATI, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   fonti di stampa, il 7 gennaio 2015, hanno resa pubblica la notizia che numerosi studenti palermitani delle scuole superiori affetti da disabilità, dopo la pausa natalizia, non hanno potuto fare rientro in classe a causa della mancanza del servizio locale di assistenza scolastica e trasporto;
   su iniziativa di Anffas Onlus Palermo – Associazione nazionale di famiglie di persone con disabilità intellettiva e/o relazionale – i genitori e gli alunni disabili hanno lamentato il mancato servizio, simbolicamente incatenandosi davanti ai cancelli dell'ufficio regionale scolastico e dell'Istituto superiore alberghiero Francesco Paolo Cascino - frequentato dagli studenti disabili;
   sebbene l'ordinamento giuridico attribuisca l'assistenza scolastica degli alunni disabili degli istituti superiori a carico dell'area metropolitana di Palermo, oggi competente in materia a seguito dell'abrogazione delle province, la stessa non è più in grado di fornire il servizio a causa della riduzione di risorse regionali e statali a ciò destinate. Il Ministero dovrebbe adoperarsi per lenire i disagi da ciò causati agli studenti disabili e alle loro famiglie, che vedono ledere il diritto effettivo all'istruzione;
   appare agli interroganti contraddittorio verificare che nei fatti, nell'era definita della «buona scuola», un servizio necessario come quello dell'assistenza scolastica e del trasporto di studenti disabili sia loro sottratto –:
   se i fatti narrati in premessa trovino riscontro e, nell'eventualità positiva, quali iniziative urgenti di competenza intenda porre in essere il Ministro interrogato per garantire un effettivo diritto allo studio a tutti gli studenti normodotati e disabili, indipendentemente dal grado di scuola frequentato, individuando tempestivamente soluzioni possibili affinché anche gli studenti disabili possano tornare ad usufruire del diritto d'assistenza loro sottratto, a causa della mancanza di efficienza degli organi della pubblica amministrazione a ciò preposti, oggetto di responsabilità politica e dirigenziale degli organi che devono provvedere concretamente all'affido del servizio. (4-11610)


   LATRONICO. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il comune di Brindisi e l'università degli studi di Bari hanno stipulato una convenzione con oggetto il finanziamento di diversi posti di professori e ricercatori, per le esigenze del corso di Laurea in economia aziendale, da tenersi nella sede di Brindisi, incardinato nel dipartimento di studi aziendali e giusprivatistici;
   a maggio 2015, l'organo di controllo tecnico-contabile del comune di Brindisi si è rifiutato di certificare il bilancio del comune, in quanto risultava sforato il patto di stabilità; la maggioranza di centrosinistra che guida la città ha sostituito i revisori evitando il possibile dissesto finanziario del comune di Brindisi e, dopo richiesta inoltrata tramite il prefetto al Ministero dell'interno, è stato lo scioglimento degli organi comunali;
   nel giugno 2015, i nuovi revisori, in perfetta continuità coi precedenti, hanno riferito che la somma di quasi tre milioni di euro, segnalata come debito fuori bilancio, deriverebbe dal mancato versamento da parte dell'amministrazione cittadina della quota di partecipazione necessaria per alimentare i corsi di laurea con le università di Bari e del Salento;
   tale notizia, se confermata, sarebbe un segnale molto allarmante, e pericoloso per la realizzazione della convenzione: ci si domanda infatti con quali garanzie il comune di Brindisi potrà ottemperare in futuro all'impegno finanziario pluriennale;
   inoltre, in nuovi revisori, sempre in perfetta continuità con i precedenti che avevano reso parere analogo il 26 novembre 2012, poi ripreso il 18 dicembre 2013, hanno presentato le seguenti ulteriori osservazioni;
   le convenzioni con soggetti esterni e con oneri finanziari pluriennali prevedono l'esibizione, della polizza fideiussoria da parte dell'ente che stipula. In relazione alla convenzione sopra citata, secondo quanto risulta all'interrogante non esisterebbe nessuna polizza fideiussoria;
   non vi è traccia della corretta applicazione dei criteri di rendicontazione di cui all'articolo 23 della citata convenzione, secondo cui le spese ammissibili devono risultare da una contabilità separata del progetto, mediante l'implementazione di un dedicato programma-progetto da iscrivere all'atto della sottoscrizione della convenzione;
   in merito alla rendicontazione delle spese previste dalla convenzione, questa non risulta sia stata in alcun modo verificata e validata dagli uffici preposti del comune –:
   quali ulteriori informazioni i Ministri interrogati siano in grado di fornire sulla vicenda delineata in premesse e quali iniziative di propria competenza intendano adottare per sanare le diverse irregolarità emerse. (4-11612)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la «busta arancione» è una comunicazione che l'Inps dovrebbe spedire ai lavoratori con i dati che consentono di stimare in anticipo l'assegno previdenziale che si percepirà in vecchiaia. Tale documento è, dunque, di fondamentale importanza per i cittadini poiché trattandosi di una simulazione sull'assegno previdenziale, ognuno è in grado di calcolare la differenza tra l'ultima retribuzione che percepirà prima di mettersi a riposo e il trattamento pensionistico maturato a fine carriera lavorativa; in sostanza, si tratta di verificare se si rischia una consistente perdita di tenore di vita durante la vecchiaia e se, quindi, in base a tale previsione, bisogna intraprendere ulteriori iniziative per ottenere una rendita integrativa;
   la consegna della «busta arancione», inoltre, va incontro all'esigenza di aumentare il grado di trasparenza nel rapporto tra Stato e cittadini, fornendo dei dati finanziari ai futuri pensionati per metterli nelle condizioni di programmare il loro avvenire e di intervenire per tempo;
   a sostenere la necessità dell'invio della «busta arancione» è anche il presidente dell'Inps, Tito Boeri, che mette in evidenza come sia stata persa un'altra occasione per varare tale documento nell'ultima legge di stabilità, poiché non è stato approvato l'emendamento che lo prevedeva;
   i cittadini hanno diritto di sapere quale sarà l'assegno previdenziale che percepiranno a fronte del versamento dei contributi, pertanto, l'interrogante ritiene sia necessario ed urgente che il Governo adotti le dovute iniziative affinché tutti i lavoratori ricevano con cadenza annuale tale comunicazione –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa e, dunque, se ritenga necessario riconoscere ai cittadini la possibilità di ricevere la «busta arancione», per avere conoscenza dei dati necessari che consentono di stimare quello che sarà il trattamento pensionistico;
   se e quali urgenti iniziative intenda assumere affinché sia concretamente varata la «busta arancione». (5-07328)


   MOLTENI. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   la SCA spa, società concessionaria titolare di mandati di vendita di autoveicoli Mercedes-Benz, Smart, Mitsubishi e Subaru, e dei rispettivi mandati di assistenza e post-vendita, che da oltre 40 anni esercita la propria attività in 13 filiali dislocate in Lombardia ed in Emilia Romagna, versa da mesi in una grave situazione di crisi, che pone a serio rischio il mantenimento dei livelli occupazionali;
   la SCA complessivamente occupa n. 129 dipendenti (7 operai e 4 impiegati nella sede di Cantù; 39 operai, 19 impiegati e 2 dirigenti nella sede di Como; 3 impiegati nella sede di Marino Comense) e circa 25 venditori monomandatari dislocati tra la sede operativa di Como e le altre filiali di Cantù e Mariano Comense, e genera un notevole indotto costituito prevalentemente da piccole e medie imprese locali; nel complesso SCA garantisce il lavoro ad oltre 200 famiglie;
   dal mese di giugno 2015 la società è entrata in uno stato di crisi essenzialmente riconducibile sia al generale calo delle immatricolazioni degli autoveicoli nel biennio 2012 –2014, (che ha fatto registrare in Italia un saldo negativo del – 33 per cento), sia all'impossibilità di dare esecuzione ad un piano di rilancio messo a punto dalla proprietà e poi disatteso da nuovi soci che avrebbero dovuto garantire nuova finanza;
   a decorrere da ottobre 2015, pertanto, la società ha avviato una serie di atti preordinati all'esperimento di una procedura concorsuale ai sensi della legge fallimentare, prevedendo l'integrale soddisfacimento dei creditori privilegiati ed il pagamento parziale dei creditori chirografari nei termini di legge, nell'ambito di procedure di ristrutturazione del debito, al fine di garantire la piena continuità della azienda e la piena occupazione delle maestranze impiegate attraverso la cessione dei diversi rami di azienda;
   tali iniziative sono state assunte con l'intervento con l'interessamento diretto di Mercedes Benz Italia spa e sulla base di una trattativa nel frattempo avviata con altro importante operatore del settore, Idea Uno srl, ai fini della cessione di tutti i compendi aziendali di SCA e con piena salvaguardia di tutti i livelli occupazionali; in data 13 novembre 2015, veniva infatti sottoscritta tra le Parti una prima specifica lettera di intenti in tal senso;
   a seguito di una serie di restrittive indicazioni da parte della stessa Mercedes Benz Italia spa, il perimetro di acquisizione veniva, tuttavia, ridimensionato ai rami d'azienda di Como, Cantù, Mariano Comense e Busto Arsizio, assicurando comunque l'integrale salvaguardia dei livelli occupazionali ed il soddisfacimento dei terzi creditori;
   a fronte della «riperimetrazione» dei compendi aziendali oggetto di cessione in favore di Idea Uno srl, la SCA, infatti, aveva nel mentre negoziato con altri interlocutori la cessione di tutti gli altri compendi, sempre con integrale salvaguardia dei posti di lavoro;
   nelle more della formalizzazione degli accordi da ultimo negoziati ed integralmente definiti con Idea Uno srl, in data 16.12.15, a poche ore dal closing con la società Idea Uno, Mercedes Benz Italia spa, comunicava a SCA la risoluzione immediata di tutti i mandati di vendita e post-vendita in essere, con ciò impendendo la cessione dei compendi aziendali, azzerando inopinatamente lo storico avviamento di SCA e compromettendo irreparabilmente la continuità aziendale ed i rapporti di lavoro;
   tale inopinata determinazione di Mercedes Benz Italia spa ha di fatto posto la SCA in una situazione di sostanziale paralisi, con conseguente pregiudizio in termini di fattibilità dell'operazione di concordato sopradetta;
   ancor più preoccupante è la posizione assunta dalla casa automobilistica tedesca, che evita il confronto con le parti e, tramite lettera inviata al prefetto di Como nel mese di dicembre 2015, ha ribadito di non sentirsi coinvolta nella vicenda, essendo cessata la concessione Mercedes a SCA;
   per l'azienda tedesca, pertanto, la questione sembra essere un problema che investe solo la SCA, dal momento che i 154 posti a rischio sono quelli di lavoratori del gruppo comasco;
   peraltro, l'attuale incertezza sul futuro del gruppo e delle sue 13 sedi ubicate in tutto il Nord Italia comporta una situazione di stallo anche con riguardo al ricorso degli ammortizzatori sociali, atteso che la cassa integrazione guadagni straordinaria è terminata a settembre 2015 –:
   se il Governo non ritenga di intervenire urgentemente con tutti gli strumenti a disposizione, anche in termini di moral suasion, per garantire la continuità aziendale della SCA;
   se i Ministri interrogati non ritengano doveroso convocare con urgenza un tavolo istituzionale di confronto con tutte le parti coinvolte, (rappresentanti dei Ministeri, SCA, Mercedes Benz Italia spa, Idea Uno srl, rappresentanze sindacali) per un'auspicabile soluzione positiva della vertenza e per addivenire a soluzioni di salvaguardia degli attuali livelli occupazionali.
(5-07329)

Interrogazione a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   a tre anni dall'avvio della procedura per il rinnovo dell'autorizzazione integrata ambientale (AIA) i lavoratori della Veco di Martinsicuro (Teramo) rischiano di restare senza lavoro;
   si tratta di una situazione a fronte della quale i sindacati di categoria si predispongono, nel caso in cui la conferenza dell'11 gennaio 2016 non sblocchi la situazione, a presentare un esposto in procura sui ritardi per il rinnovo della relativa autorizzazione;
   sempre secondo i sindacati l'inchiesta aperta dalla magistratura teramana sulla Veco e relativa a presunti reati ambientali si baserebbe su elementi errati. Infatti, le contestazioni principali sollevate nei confronti dell'azienda sono le emissioni acustiche ed il disturbo del riposo: ciò è impossibile, a fronte del fatto che il vecchio piano acustico è stato ritenuto illegittimo dal Tar e che il comune fu costretto a riportare il piano in consiglio;
   si tratta di una situazione difficile, a cui si aggiungono i ritardi burocratici per l'autorizzazione integrata ambientale –:
   se non intenda assumere iniziative, per quanto di competenza, per sbloccare una situazione complessa e scongiurare un grave rischio occupazionale per l'intera area. (4-11605)

POLITICHE AGRICOLE ALIMENTARI E FORESTALI

Interrogazione a risposta scritta:


   BOSCO. — Al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   le Fattorie e le Aziende didattiche riconosciute dell'assessorato regionale siciliano dell'agricoltura, dello sviluppo rurale e della pesca mediterranea riconosciute ai sensi del D.D.G. n. 1262 del 27 ottobre 2010, hanno fatto finora registrare una crescita molto rallentata rispetto alle aspettative;
   alla data del 31 dicembre 2015 ne risultano autorizzate 73, di cui: 22 fattorie didattiche e 51 aziende didattiche, equamente distribuite tra la Sicilia occidentale e quella orientale;
   si tratta di un numero di aziende esiguo rispetto alla popolazione scolastica regionale che costituisce il maggiore potenziale fruitore. Questa attività multifunzionale è supportata dai finanziamenti della misura 311 azione C del PSR 2007/2013, ciò nonostante stenta a crescere come numero di aziende regionali, ma anche come utenza fruitrice;
   il mancato sviluppo di questa attività multifunzionale è causato dalla forte burocratizzazione (gli operatori devono abilitarsi attraverso un corso spesso lontano dalle proprie aziende, autorizzazioni, e altro), oltre che da un mancato accordo tra il Dipartimento dell'agricoltura regionale e il provveditorato regionale agli studi, che sicuramente favorirebbe l'aumento delle presenze all'interno di «queste scuole di campagna»;
   questa attività non è supportata da incentivi specifici da parte delle istituzioni per le attività di promozione, le sole iniziative vengono intraprese dalle medesime aziende. Risulta indispensabile che la rete delle fattorie ed aziende didattiche regionale venga potenziata al fine di rafforzare la loro presenza nell'ambito territoriale attraverso promozioni e iniziative comuni;
   le fattorie didattiche avvicinano giovani e adulti alla natura. La fattoria didattica è il luogo ideale per escursioni con bambini ma anche un'occasione anche per gli adulti di scoprire dove nascono i prodotti alimentari, come vivono gli animali e quali sono i mestieri legati alla campagna;
   nell'ambito delle attività multifunzionali, legati al mondo rurale, le aziende e le fattorie didattiche costituiscono una vera opportunità per chi intende diversificare la propria attività;
   la fattoria didattica è un luogo di pedagogia attiva, una testimonianza concreta della ricchezza e della diversità dell'agricoltura, dei suoi prodotti, dei suoi paesaggi, dei suoi saperi e dell'amore per la terra;
   le aziende e le fattorie didattiche sono anche la scuola per preparare i futuri consumatori, quindi necessita uno sforzo notevole per incrementare tali attività didattiche  –:
   se sia a conoscenza di quanto espresso in premessa;
   quali iniziative di competenza il Governo intenda intraprendere allo scopo di incrementare il numero delle fattorie e delle aziende didattiche, anche promuovendo una semplificazione delle procedure burocratiche che, ad oggi, hanno costituito un freno ad una loro maggiore crescita;
   quali iniziative di competenza si intendano adottare per favorire un accordo tra il dipartimento dell'agricoltura regionale ed il provveditorato regionale agli studi, in grado di coinvolgere maggiormente i potenziali fruitori di un'iniziativa che necessita sicuramente di un più attento lavoro promozionale a vari livelli. (4-11594)

SALUTE

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nel mese di settembre 2015 l'assessore alla salute della regione Siciliana, On. Baldo Gucciardi, ha reiterato al Ministero della salute la proposta di deroga per il mantenimento di alcuni punti nascita per particolari condizioni orografiche ed esattamente: Licata (AG), Mussomeli (CL), Bronte (CT), Nicosia (EN), Petralia Sottana (PA) e Santo Stefano di Quisquina (AG) con rassicurazioni circa l'intervento dello stesso assessorato sui direttori generali delle rispettive aziende per la messa in sicurezza dei punti nascita eventualmente in deroga;
   il 31 dicembre 2015 il Ministero ha decretato, fra gli altri, la chiusura definitiva del punto nascite dell'ospedale di Petralia Sottana, non concedendo la deroga ai parametri nazionali, gettando così nello sconforto e nel panico l'intero territorio madonita;
   tale deroga è stata invece concessa ai presidi ospedalieri collocati nei territori di Bronte e di Licata, subordinando la stessa al pedissequo rispetto delle prescrizioni contenute nel parere del comitato percorso nascita nazionale;
   l'ospedale di Petralia ha da sempre rappresentato un punto strategico per tutte le Madonie;
   oggi lo diventa maggiormente date le condizioni di assoluta precarietà di tutto il sistema stradale principale e secondario;
   la distanza dagli altri presidi ospedalieri, l'altitudine dei centri che fanno riferimento all'unico ospedale della Sicilia, collocato a 1000 metri sul livello del mare, con difficoltà nella mobilità e rischio per la vita, in particolare modo nel periodo invernale ed in presenza di neve, rappresentano elementi oggettivi che fanno di Petralia Sottana una zona disagiata;
   dalle deroghe concesse agli altri nosocomi si evince, una disparità delle scelte operate dal Ministero. La deroga, infatti, secondo il protocollo metodologico elaborato dal comitato percorso nascita nazionale per la valutazione delle richieste di mantenere in attività i punti nascita con volumi inferiori ai 500 parti/annui, può essere concessa ai centri in condizioni orogeografiche difficili (articolo 1 decreto ministeriale 11 novembre 2015);
   la richiesta di mantenimento del punto nascita di Petralia non è assolutamente da intendersi (non lo è mai stato) come una richiesta di deroga alla sicurezza delle partorienti e dei loro figli; tale struttura peraltro, risulta già dotata di alcune forme di adeguatezza richieste dalle norme, compresa una sala operatoria dedicata alle emergenze;
   i dati relativi al 2014 indicano:
    Licata: 422 parti e alcuni disallineamenti, fra la cui mancanza di guardia attiva 24 ore su 24 di ginecologo, anestesista e neonatologo;
    Bronte: 267 parti e alcuni disallineamenti fra cui la mancanza di guardia attiva 24 ore su 24 di ginecologo, anestesista e neonatologo;
    Petralia Sottana: 128 parti e alcuni disallineamenti fra cui la mancanza di guardia attiva 24 ore su 24 di ginecologo, anestesista e neonatologo;

   nel presidio ospedaliero in questione, nell'ultimo quinquennio (2010 – 2014) le interruzioni volontarie di gravidanza sono state 1293, con una media annua di 258,6, mentre gli interventi di ginecologia ammontano a 249, 49,8 annui;
   questa scelta pertanto, rappresenta un'ulteriore perdita di diritti delle donne, nel tempo acquisiti anche grazie alle tante battaglie femminili;
   il territorio madonita è una delle cosiddette aree interne del Paese, selezionato come area prototipale per la Sicilia relativamente alla Strategia nazionale aree interne;
   la mancata concessione della deroga al punto nascite di Petralia è in assoluta contrapposizione, con il lavoro svolto dal Dipartimento nazionale alla coesione territoriale e dall'assessorato regionale alla programmazione che hanno inserito la salute nei quattro assi fondamentali per il miglioramento della qualità della vita in aree come quella in questione;
   se da un lato il Governo nazionale lavora perché le aree più depresse del Paese godano di uguali diritti rispetto alle zone più centrali, dall'altro, la chiusura di tale punto nascite rappresenta un ulteriore limite allo sviluppo di questo territorio nonché la palese negazione del diritto alla salute dei cittadini madoniti;
   sul territorio è in atto una mobilitazione permanente;
   alla lettera che è stata inoltrata dai sindaci del territorio al Ministro della salute sulla questione, questi ha giustamente e prontamente risposto, ma rispetto alle diverse valutazioni contenute nella missiva, non può non saltare all'occhio che in alcune delle deroghe accordate le condizioni non siano così diverse e migliori rispetto al punto nascita di Petralia;
   l'assessore regionale alla salute proprio negli ultimi giorni ha ribadito la sua disponibilità, qualora venga accordata la deroga, a disporre attraverso il direttore provinciale dell'azienda, quanto necessario a mettere in sicurezza il centro;
   nella giornata dell'8 gennaio 2016 i sindaci della zona sono stati ricevuti dal neo prefetto di Palermo, Antonella De Miro, la quale ha mostrato ampia disponibilità nel promuovere un tavolo di confronto tra l'assessorato regionale e il Ministro interrogato per tentare di superare le criticità sollevate dagli amministratori locali;
   Il comitato pro ospedale, costituito per protesta rispetto alle scelte operate dal Ministero nella giornata del 31 dicembre 2015, ha avviato una petizione che ha già raccolto oltre tremila firme –:
   quali siano, nel dettaglio, i parametri tecnico/scientifici attraverso i quali si è deciso di accordare la proroga ai centri siciliani sopra citati e di non concederla agli altri, poiché sulla scorta dei numeri gli interpellanti sono portati a pensare che la scelta definitiva sia scaturita da valutazioni di altro genere;
   se intenda rivalutare tale scelta per le caratteristiche di cui al punto nascita di Petralia come unico centro ospedaliero collocato sopra i 1000 metri sul livello del mare, con difficoltà nella mobilità, sia per le condizioni della viabilità stradale – per il perenne rischio di innevamento durante il periodo invernale – sia per l'inserimento di tale contesto territoriale, come già citato, nella strategia nazionale aree interne, fermo restando l'obbligo per lo stesso di allinearsi ai requisiti lacunosi o mancanti, elaborati anche per gli altri centri dal comitato percorso nascita nazionale, sulla base del protocollo metodologico;
   se non ritenga di concedere una deroga al punto nascite in questione legando quanto meno la stessa al periodo di sperimentazione della strategia nazionale aree interne, superando in tal modo una scelta contraddittoria circa gli obiettivi dello stesso Ministero;
   se intenda accettare l'invito giunto dai sindaci del comprensorio a recarsi sui luoghi oggetto dell'interpellanza per rendersi conto di persona dei disagi che vivono quotidianamente le popolazioni che, con grande dignità, credono ancora possa essere un'opportunità abitare in alcune aree del nostro Paese.
(2-01220) «Culotta, Raciti, Ribaudo, Moscatt, Lauricella, Burtone, Piccione, Taranto, Causi, Albanella, Zappulla, Berretta, Schirò, Currò, Cardinale, Capodicasa, Iacono, Greco, Amoddio, Piccoli Nardelli, Minnucci, Boccuzzi, Porta, Massa, Coccia, Giovanna Sanna, Chaouki, Rostellato, Camani, Naccarato, Ventricelli, Paris».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   NICCHI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è uno dei Paesi con i più bassi tassi di mortalità materna: 10 decessi ogni 100 mila nati. In linea con i tassi registrati nel Regno Unito e in Francia e al di sotto della media occidentale che è di 20 decessi ogni 100 mila nascite. Considerando 500 mila nati annui, i casi di donne che muoiono sono intorno ai 50 ogni anno;
   in pochi giorni fra fine dicembre 2015 e inizio gennaio 2016, in Italia si sono verificate cinque morti materne, al Sant'Anna di Torino, allo Spedali Civili di Brescia, a Bassano del Grappa, al San Bonifacio di Verona, a Foggia; fra questi alcuni centri di eccellenza per qualità e quantità di volumi di attività;
   a seguito degli eventi gli anestesisti rianimatori dell'Aaroi Emac, hanno scritto una lettera aperta alla Ministra Lorenzin nella quale hanno affermato che «in moltissimi ospedali succede sempre più spesso che non è garantita la guardia anestesiologica h24, anche a causa dei crescenti tagli del personale, nonostante sia prevista dal contratto di lavoro al quale tutti gli ospedali pubblici dovrebbero attenersi», dato che «un percorso nascita sicuro esige condizioni strutturali e organizzative minime indispensabili, solo rispettando le quali, pur senza potersi illudere di azzerare completamente i rischi legati alla gestazione e al parto, può esserci la massima garanzia possibile di una reale sicurezza della gestante/partoriente e del nascituro/neonato. Tra tali condizioni, è di basilare importanza l'immediata disponibilità di un anestesista rianimatore pronto ad intervenire in tempo reale nel percorso nascita in ogni momento in cui se ne possa ravvisare la necessità»;
   Donatella Albini, ginecologa e responsabile della Commissione salute del comune di Brescia, ha dichiarato che le morti materne sono spesso eventi imprevedibili, ma che è indispensabile l'assistenza durante tutta la gravidanza e non solo durante il travaglio in modo da poter capire i rischi prima del parto così da potersi confrontare e condividere le infrazioni fra gli operatori e con la partoriente al momento dell'evento;
   indispensabile è anche una maggiore presenza dei consultori sul territorio;
   la stessa Federazione nazionale dei collegi delle ostetriche (Fnco), ha ricordato come nel nostro Paese, il percorso nascita risulta ancora caratterizzato dalla discontinuità per disomogeneità dei comportamenti, eccessiva parcellizzazione dell'assistenza, carenze a livello di organizzazione dei servizi e di dotazione di ostetriche che, con dell'applicazione dei nuovi orari di lavoro, diverrà sempre più insufficiente –:
   se non si intendano rendere pubblici i risultati completi della relazione che sarà prodotta dagli ispettori ministeriali inviati presso gli ospedali interessati dai decessi;
   se non si ritenga indispensabile, al di là delle risultanze delle ispezioni ministeriali suddette, interrompere la perdurante diminuzione del rapporto tra risorse per la sanità pubblica e prodotto interno lordo, che finisce inevitabilmente per incidere profondamente e negativamente sulla qualità dei servizi sanitari resi;
   quali iniziative si intendano adottare al fine di garantire livelli strutturali e organizzativi indispensabili per la sicurezza dei punti nascita, a partire dalla guardia anestesiologica h24;
   se non si reputi necessario attivarsi al fine di superare le forti disparità esistenti a livello regionale, e in particolare tra il sud e il nord del Paese, riguardo alle cure ostetrico-neonatali e ai livelli di assistenza dei punti nascita. (5-07321)


   FIORIO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'etichettatura di un prodotto alimentare informa il consumatore sul prodotto che sta acquistando fornendo una corretta informazione sulle sue caratteristiche e sulle sue proprietà nutritive, oltre ad indicare la modalità di conservazione e la data di scadenza e la presenza di sostanze che provocano allergie o intolleranze;
   le informazioni presenti nell'etichettatura devono essere in lingua italiana, chiare, leggibili, di facile comprensione ed indelebili;
   l'etichettatura dei prodotti agroalimentari è normata, a livello nazionale, dal decreto legislativo n. 109 del 1992, e a livello comunitario dal regolamento dell'Unione europea numero 1169 del 2011 e dal regolamento dell'Unione europea n. 1924 del 2006;
   dal 2016 gli alimenti prodotti in Italia e destinati al mercato italiano dovranno inoltre indicare in etichetta la sede dello stabilimento di produzione;
   l'etichetta riporta quindi informazioni fondamentali sul contenuto nutrizionale del prodotti e sulla sua conservazione, preparazione e consumo e fornisce una serie di indicazioni per comprendere come i diversi alimenti concorrono ad una dieta corretta ed equilibrata;
   secondo gli ultimi dati i non vedenti assoluti e parziali percettori di indennità di accompagnamento o indennità speciale nel nostro Paese sono circa 130 mila;
   appare palese che, per le persone ipovedenti o non vedenti, le etichette, che si esprimono con testo e con immagini, non bastano a garantire il diritto ad essere correttamente informati sulle caratteristiche degli alimenti in vendita e quindi sulla loro corretta assunzione;
   nell'attuale mercato della grande distribuzione organizzata la fornitura di informazioni sugli alimenti avviene infatti in via esclusiva attraverso le etichette, la cui elaborazione è fondamentale per consentirne la comprensione e per garantire scelte consapevoli, che peraltro condizionano la dieta in termini di apporti nutritivi ed equilibrio nutrizionale e che possono essere influenzate, tra l'altro, da considerazioni di natura sanitaria, ambientale, sociale, etica, religiosa. Tutte queste importanti funzioni che «passano» attraverso le etichette non possono raggiungere le persone con disabilità visive, alle quali non è garantito il diritto di accesso alle informazioni per essere supportate nel compiere scelte consapevoli, per essere autonome negli acquisti alimentari e nell'utilizzo dei prodotti dopo l'acquisto;
   attualmente gli unici prodotti in cui è obbligatoria la presenza, nelle confezioni, di etichette con indicazioni specifiche in caratteri « braille» per non vedenti sono i medicinali (articolo 1-quater della legge n. 149 del 2005);
   sono in corso alcuni progetti specifici, per sviluppare un prototipo di etichettatura alimentare accessibile alle persone ipovedenti e non vedenti, basati sull'interazione tra il tradizionale sistema tattile ed uno innovativo veicolato da supporti tecnologici;
   uno dei progetti attualmente in corso ed in fase avanzata è quello portato avanti dall'istituto Dirpolis della scuola superiore Sant'Anna e sviluppato dal gruppo di ricerca del professor Antonio Frisoli, all'interno del laboratorio di robotica percettiva dell'Istituto TeCIP (Tecnologia della Comunicazione, dell'informazione, della Percezione);
   si apprende da organi di informazione che «la fase preliminare del progetto si è ormai conclusa ed ha compreso interviste, focus group, questionari sugli utenti, grazie anche alla collaborazione garantita, a livello nazionale e regionale toscano, da associazioni come l'Unione italiana ciechi. Appena saranno disponibili finanziamenti ulteriori, giuristi e ingegneri andranno avanti nello sviluppo dei supporti tecnologici»;
   l'adozione di una etichettatura per non vedenti è stata già oggetto di discussioni presso il Parlamento europeo –:
   se non ritengano necessario, in relazione a quanto espresso in premessa, promuovere iniziative e politiche mirate, al fine incentivare la presenza e la diffusione di etichette dei prodotti agroalimentari fruibili anche ai soggetti non vedenti, anche collaborando con le istituzioni pubbliche e private che hanno già intrapreso progetti in questo settore. (5-07323)


   VENTRICELLI, MARIANO, GRASSI, VICO, LOSACCO, CAPONE e MONGIELLO. — Al Ministro della salute, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   è molto diffuso e di utilizzo comune il pane nero, pubblicizzato per le sue presunte proprietà digestive grazie a uno dei suoi ingredienti, il carbone vegetale;
   a quanto si apprende dagli organi di stampa, nelle ultime ore in Puglia è scattato un blitz per sequestrare questo alimento: la produzione avrebbe raggiunto il suo massimo picco per l'Epifania e, a seguito del sequestro, sono stati denunciati dodici panificatori che producevano e commercializzavano «pane, focaccia e bruschette al carbone vegetale»;
   l'operazione è stata condotta in tutta la regione dagli agenti della Forestale e dal coordinamento territoriale per l'ambiente di Altamura – parco nazionale dell'Alta Murgia; i responsabili dovranno rispondere di frode nell'esercizio del commercio e produzione di alimenti trattati in modo da variarne la composizione naturale con aggiunta di additivi chimici non autorizzati dalla legge;
   a quanto appreso da un articolo del quotidiano « La Repubblica», edizione di Bari, la preparazione dei prodotti da forno sequestrati avveniva attraverso l'aggiunta alle ricette classiche del pane e della focaccia del colorante E153 carbone vegetale: un procedimento vietato dalla legislazione nazionale e da quella europea. Le normative, infatti, non consentono l'utilizzo di alcun colorante sia nella produzione di pane e prodotti simili, sia negli ingredienti utilizzati per prepararli: acqua, farina, sale, zucchero, burro e latte;
   in queste ore è quindi scattata la denuncia per i titolari di dodici panifici nelle città di Bari, Andria, Barletta, Foggia, Taranto e Brindisi; attualmente gli investigatori della Forestale stanno vagliando la regolarità di altri prodotti alimentari che contengono lo stesso tipo di additivo –:
   se i Ministri interrogati siano informati in ordine ai fatti riportati in premessa e se siano state avviate verifiche ministeriali; se non intendano verificare, per quanto di competenza, la sussistenza di eventuali responsabilità in capo agli organi statali preposti per omissione di atti di controllo a tutela dei cittadini;
   quali iniziative di competenza intendano mettere in campo per contrastare tali fenomeni ed informare i consumatori. (5-07333)

Interrogazioni a risposta scritta:


   GRIMOLDI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   almeno il dieci/quindici per cento della popolazione italiana è colpita da fenomeni allergici e soffre di questo fastidiosissimo disturbo che può interessare persone a qualsiasi età e senza differenze di sesso. Normalmente il fenomeno «allergia» fa parlare di se con l'arrivo della primavera che segna si l'inizio di un nuovo ciclo annuale, ma, non per tutti, questo momento è vissuto con gioia; infatti per qualcuno la nuova stagione rappresenta il ritorno puntuale dei pollini che provocano fastidiosi e spesso invalidanti problemi soprattutto all'apparato respiratorio;
   non ci sono solo i pollini a complicare la vita di migliaia di cittadini: polveri, acari, agenti atmosferici, inquinamento ambientale, sostanze chimiche e prodotti cosmetici inadeguati, fanno ugualmente sentire il loro peso;
   l'allergia è una reazione di difesa eccessiva del sistema immunitario di fronte a sostanze considerate erroneamente nocive;
   a tutt'oggi non è possibile chiarire con assoluta precisione le cause di questo «errore» del sistema immunitario. I medici fanno sapere che non è uguale per tutti il tempo di allergizzazione (tempo che trascorre tra il primo contatto con la sostanza e lo «scatenamento» dei sintomi) ed è altrettanto noto che vi sia una percentuale di ereditarietà; il 30 per cento dei bambini che hanno un genitore che soffre di allergia possono sviluppare fenomeni allergici dello stesso tipo anche quando sono in età adulta;
   per curare le forme più gravi su indicazione del medico di famiglia e/o specialista è necessario sottoporsi a test allergologici per stabilire la causa e la natura dell'allergia, dopodiché si potrà ricorrere, su prescrizione medica, a vaccini e altre terapie desensibilizzanti (antistaminici, cortisonici e altro) che allevieranno solo i sintomi poiché non esiste una cura definitiva per le allergie –:
   se il Ministro sia a conoscenza della situazione e se non intenda assumere iniziative per la predisposizione di una classificazione delle patologie allergiche a cui destinare fondi per il rimborso dei costi dei medicinali prescritti per le cure, essendo gli stessi indispensabili per alleviare sofferenze anche croniche. (4-11593)


   CAPELLI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   l'11 marzo 2015 nel corso dello svolgimento dell'interrogazione a risposta immediata n. 3-01347 presentata dal primo firmatario del presente atto il Ministro interrogato rispondeva favorevolmente rispetto alla richiesta di istituzione di un posto d'ispezione frontaliera per la regione Sardegna;
   una nota del direttore generale del Ministero della salute, dottor Silvio Borrello, il 19 novembre 2015 ha confermato l'istituzione di un posto d'ispezione frontaliera presso il porto di Cagliari per i controlli sulle carni provenienti dai Paesi fuori dall'Unione europea;
   i posti di ispezione frontaliera (PIF) sono uffici veterinari periferici del Ministero della salute riconosciuti ed abilitati, secondo procedure comunitarie, ad effettuare i controlli veterinari su animali vivi, prodotti di origine animale e mangimi provenienti da Paesi terzi e destinati al mercato comunitario o in transito verso altri Paesi terzi con le modalità di cui alle direttive del Consiglio n. 97/78/CE e n. 91/496/CEE recepite rispettivamente con decreto legislativo 25 febbraio 2000, n. 80 e decreto legislativo 3 marzo 1993, n. 93, e al regolamento (CE) n. 882/2004;
   è apprezzabile l'impegno del Governo per far sì che anche la regione Sardegna possa finalmente avere gli opportuni controlli su molte merci che provenienti da Paesi lontani vengono spesso immesse nel mercato sardo senza adeguati accertamenti. Tali merci infatti, sia quelle alimentari, sia gli animali destinati alla macellazione o all'allevamento, necessitano infatti di controlli approfonditi e sofisticati. Il Pif, con valenza regionale, si occupa dei controlli sull'importazione ed esportazione dei prodotti di origine animale, e animali vivi destinati al consumo da parte dell'uomo e di prodotti di origine animale non destinati a consumo umano imballati e non;
   le procedure e le tipologie di controlli ai quali sono sottoposte le merci variano a seconda della loro origine e provenienza. Qualora, infatti, si tratti di merci provenienti da Paesi comunitari (o comunque di merci sdoganate), queste sono soggette a controlli a campione da parte dell'Uvac che, in collaborazione con le Asl, vigilano sulle movimentazioni intracomunitarie delle merci di, origine animale e di animali vivi, mentre quelle provenienti da Paesi terzi possono accedere al territorio comunitario attraverso i Pif, punti di accesso al mercato comunitario attraverso i quali avviene lo «sdoganamento» ad oggi i Pif in Italia sono localizzati, principalmente nell'area Nord del nostro Paese;
   nell'ultima edizione delle «Linee guida operative PIF», disponibile sul sito del Ministero della salute, si rileva, con riguardo alle procedure necessarie per il riconoscimento di un nuovo posto d'ispezione frontaliera, che l'istituzione di un nuovo Pif avviene con una procedura comunitaria e si conclude con l'inserimento della nuova struttura nell'elenco dei Pif europei, sottolineando, altresì, che «ai fini di un'opportuna valutazione della richiesta di abilitazione, devono essere fornite dettagliate informazioni riguardo ai presumibili flussi commerciali d'interesse veterinario che rendono necessaria l'apertura di un nuovo Pif e, in base a tali traffici, il tipo di abilitazione che si intende ottenere»;
   si fa presente al riguardo inoltre che, il reperimento delle informazioni relative ai flussi dei prodotti in esame è stato molto difficoltoso: sono state inoltrate dall'interpellante specifiche richieste all'Uvac, al Ministero dello sviluppo economico, al servizio sanità pubblica veterinaria e sicurezza alimentare dell'assessorato all'igiene e sanità della regione Sardegna, all'Agenzia delle dogane, all'Agenzia delle dogane e all'Istat. Tra queste solo l'Istat ha trasmesso le informazioni complete;
   le merci interessate infatti, una volta «sdoganate» (indipendentemente dal Pif attraverso il quale questa procedura avviene, che sia esso italiano o comunitario), possono circolare liberamente in ambito comunitario senza obbligo di ulteriori controlli e registrazioni. Sarebbe dunque da approfondire l'efficacia e l'efficienza dei diversi attori deputati al controllo stabilendo e specificando, nel merito, funzioni e responsabilità;
   si è potuto, quindi, avere un quadro attendibile della situazione, analizzando i dati forniti dall'Istat relativi trasporto marittimo delle merci. Dall'analisi di queste informazioni è emerso che il maggior flusso di merci (prodotti agricoli della caccia e della pesca, prodotti alimentari, animali vivi) si registra prevalentemente nei porti del nord Sardegna, e in particolare nel porto di Olbia; il Ministero della salute come detto in precedenza ha ritenuto di istituire il Pif nel porto di Cagliari;
   considerando che l'attività dei Pif viene svolta, in relazione alle esigenze geografiche e commerciali, presso aeroporti e porti in Italia e in tutto il territorio comunitario, quello istituito dal Ministero della salute a Cagliari sarebbe l'unico Pif per la regione –:
   quali siano stati i criteri che hanno portato alla decisione del Ministero della salute di istituzione del posto di ispezione frontaliera nel porto di Cagliari piuttosto che in altri porti della regione dove i flussi commerciali d'interesse veterinario risultano maggiori. (4-11604)


   COLONNESE, SILVIA GIORDANO, BARONI, DI VITA, GRILLO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   Gianluca Forestiere, 41 anni, moriva per emorragia la sera del 2 gennaio 2016. La sua tragica vicenda ha inizio la sera del 31 dicembre 2015, quando viene ricoverato in pronto soccorso all'Ospedale di Pozzuoli Santa Maria delle Grazie con febbre alta, vomito e mal di testa. In ospedale, viene visitato e sottoposto alla somministrazione di una flebo con antipiretico che gli fa abbassare la temperatura corporea. Resta in osservazione poco più di un'ora e poi, sentendosi meglio, firma le dimissioni volontarie. Una volta a casa avverte di nuovo dolori allo stomaco e un forte mal di testa. La situazione precipita nel giro di 36 ore. Dalla mattina del 2 gennaio il 41enne continua ad accusare dolori lancinanti a stomaco e testa. Vomita più volte. Perde conoscenza e a quel punto, siamo intorno alle 17.50, la moglie chiama disperata il 118 e chiede l'intervento dell'ambulanza. Intorno alle 18 c’è l'ingresso al pronto soccorso di Pozzuoli: i medici decidono di sottoporlo ad una tac, ma il macchinario della Radiologia, l'unico in dotazione nell'ospedale più grande dell'Azienda sanitaria locale con un milione di abitanti è guasto. Rotto da alcuni giorni per colpa di un pezzo di ricambio (e rimasto in panne fino alle 17 del 4 gennaio 2016). A quel punto il paziente viene trasferito in ambulanza con medico a bordo al San Giuliano Giugliano per la tac e dall'esame strumentale emerge una grave sindrome clinica caratterizzata da numerosi trombi che avrebbe convinto i medici a riportarlo a Pozzuoli: a differenza di Giugliano, lì c’è il reparto di neurochirurgia. In ambulanza, tra i due nosocomi che distano 27 chilometri l'uno dall'altro, Gianluca Forestiere arriva a Pozzuoli in fin di vita intorno alle 21.30, dove morirà per arresto cardiaco. La procura ha disposto il sequestro della salma e della cartella clinica, dopo la denuncia fatta dalla moglie Emanuela Falco;
   nell'ambito del provvedimento di riassetto ospedaliero della regione Campania, approvato con decreto n. 49 del 27 settembre 2010 per la prosecuzione del piano di rientro del settore sanitario attraverso piani attuativi aziendali, è prevista la rimodulazione della quota dei posti letto programmati, per singole discipline specialistiche, in ragione di una migliore risposta a specifici bisogni assistenziali ed in presenza di maturate professionalità, competenze ed esperienze delle risorse umane disponibili;
   il nuovo piano sanitario regionale, che riorganizza la rete di assistenza in Campania, prevede proprio il dimezzamento delle neurochirurgie «abilitate» a trattare l'ictus emorragico e a provvedere all'intervento endovascolare. Si accorpano inoltre venti punti nascita (uno su tre), si riduce il numero di strutture che operano gli ammalati oncologici, si riconvertono ospedali (subito Agropoli, poi i presidi del centro storico di Napoli: San Gennaro, Ascalesi, Incurabili e Loreto Mare), si riducono le centrali operative del 118 (probabilmente da 8 a 5, di cui tre oggi sono concentrate nella provincia partenopea), si promuove il numero unico di emergenza, il 112, per smistare le telefonate tra Napoli e Salerno; come già ampiamente esposto nell'interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07283, presentata dall'interrogante, la situazione attuale dei nosocomi campani, già prima dell'entrata in vigore del nuovo piano sanitario regionale che prevede ulteriori tagli e accorpamenti, versa purtroppo in grave stato di degrado e di caos con sale operatorie al collasso, dimezzamento delle sedute operatorie, corsie sovraffollate di barelle, ambulatori da cancellare, medici e infermieri costretti ad assistere un numero doppio di pazienti rispetto agli standard di legge, liste d'attesa sempre più lunghe e soprattutto emergenze a rischio; la realizzazione dell'ospedale del Mare, nel quartiere Ponticelli a Napoli, è al centro di un piano regionale di riorganizzazione delle strutture sanitarie che, nel prefigurato obiettivo di accorpamento dei presidi ospedalieri, ha già innescato il progressivo smantellamento di diversi reparti e dei reparti di pronto soccorso presso diversi ospedali cittadini, rendendo sovraffollati quelli che ne dispongono. Tuttavia, i tempi di programmazione del nosocomio, condizionati ulteriormente dalla chiusura del cantiere nel 2010, a seguito di un'inchiesta per difformità fra lavori eseguiti e la preliminare progettazione e che vide coinvolte 12 persone fra dirigenti asl e amministratori delle ditte concessionarie, come dimostrato dagli eventi descritti, non garantiscono evidentemente un'adeguata assistenza sanitaria ai cittadini napoletani –:
   quali iniziative intenda intraprendere, per quanto di competenza, per garantire ai cittadini campani un'adeguata assistenza sanitaria;
   quali iniziative intenda intraprendere anche per il tramite del Commissario ad acta per l'attuazione del grado di rientro dal disavanzo sanitario della regione Campania, per superare l'annosa disastrata condizione degli ospedali campani, soprattutto per quanto riguarda gli interventi emergenziali e di pronto soccorso che, grazie alla tempestività e all'efficienza (caratteristiche evidentemente assenti per quanto riguarda il caso descritto in premessa) sono senz'altro fondamentali per salvare vite umane;
   se e quali iniziative intenda intraprendere, per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dal disavanzo sanitario, della regione Campania affinché, nelle more dell'effettiva entrata in esercizio di tutti i reparti del realizzando ospedale del Mare, si ponga argine alla situazione caotica in cui versa il settore ospedaliero in Campania, riattivando i reparti già dismessi nei presidi ospedalieri oggetto degli interventi di riorganizzazione, di cui al citato decreto n. 49 del 2010 e sospendendo tutti i provvedimenti volti alla dismissione/riconversione/riorganizzazione dei presidi stessi, quanto meno sino all'effettivo funzionamento in piena efficienza del suddetto ospedale;
   se non ritenga opportuno assumere iniziative, per quanto di competenza, per monitorare l'impiego dei fondi pubblici destinati alla sanità campana ed evitare che vengano utilizzati per la realizzazione frettolosa di interventi nati per tamponare emergenze solo temporanee, valutando la possibilità di un riassetto delle infrastrutture sanitarie esistenti e che potrebbero dimostrarsi soluzioni a valere anche sul lungo periodo;
   se e quali osservazioni siano state fatte sulle decisioni di riorganizzazione della rete sanitaria in Campania da parte dei rappresentanti del Ministro interrogato in sede di monitoraggio del piano di rientro della regione Campania, con particolare riferimento a quanto descritto in premessa. (4-11606)


   PALAZZOTTO, NICCHI e RICCIATTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   con decreto ministeriale 2 aprile 2015, n. 70, meglio noto come «decreto Lorenzin» si è proceduto all'individuazione e definizione degli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all'assistenza ospedaliera;
   tale decreto segue l'esito della conferenza Stato-regioni che ha proceduto ad individuare parametri e standard relativi ai servizi ospedalieri e nello specifico l'accordo tra il Governo, le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, le province, i comuni e le comunità montane sul documento concernente «Linee di indirizzo per la promozione ed il miglioramento della qualità della sicurezza e dell'appropriatezza degli interventi assistenziali nel percorso nascita e per la riduzione del taglio cesareo» del 16 dicembre 2010;
   per effetto di tale decreto si procede a chiusura dei «punti nascita» che non registrano un numero di parti su anno, pari o superiori al numero di 500; in tale situazione, con un numero di parti pari a 128 nel corso del 2014, si trova il punto nascite dell'ospedale Madonna dell'Alto nel comune di Petralia Sottana che serve l'intero comprensorio madonita in provincia di Palermo;
   da fonti di stampa si apprende che, in presenza di adeguato e moderno apparato tecnico e di una struttura moderna, il principale ostacolo per rientrare nei parametri riguarda il personale. Tale situazione verificatasi già nei presidi di Corleone e Partinico è stata risolta accorpando i due presidi e ricorrendo alla turnazione, garantendo così gli standard richiesti nelle more dell'assunzione del personale vincitore di concorso;
   a tal riguardo è utile sottolineare la particolarità del territorio montano della Madonie nonché la condizione della viabilità in direzione del punto nascite di Termini Imerese che, con la chiusura di Petralia, diventerebbe la struttura più vicina per numerosi comuni dell'area;
   tale situazione di particolarità comporta tempi di percorrenza vicini ai 90 minuti in condizioni meteorologiche buone o ottimali. Condizioni che, vista altezza e posizionamento geografico dei centri madoniti, sono da considerare situazioni non certo garantibili soprattutto durante i mesi invernali;
   la particolarità del territorio è, per altro, evidente nella decisione di inserire l'area della Madonie nel percorso della strategia nazionale sulle aree interne. Ad evidenziarne una particolarità che poco si concilia con le scelte di chiusura e trasferimento dei servizi sanitari;
   nel corso del 2014 l'ospedale Madonna dell'Alto ha registrato circa 300 casi di interruzione volontaria della gravidanza e rimane l'unica struttura in grado di svolgere l'attività correlata alla legge n. 194 del 1978. Tanto da diventare struttura essenziale per garantire la reale applicazione della legge citata in una regione con circa l'80 per cento di medici «obiettori». A dimostrazione di ciò va registrato come le degenze relative alle procedure di interruzione volontaria della gravidanza registrate nell'ospedale di Petralia non siano riferibili solo alla popolazione residente nell'area delle Madonie;
   da notizie di stampa si apprende che altre strutture, pur in condizioni di parti su anno simili a quelle registrate a Petralia, otterranno una deroga per continuare ad operare;
   da tempo nell'area madonita amministratori locali e popolazione sono impegnate in una strenua difesa dei servizi sanitari, partendo proprio dall'ospedale Madonna dell'Alto;
   in data 8 gennaio 2016 i Sindaci dei comuni di Gangi, Bompietro, Geraci Siculo, Alimena, Polizzi Generosa, Petralia Sottana, Petralia Soprana, Blufi Castellana Sicula hanno manifestato al prefetto di Palermo i rischi gravissimi se si dovesse giungere alla chiusura del Punto Nascite di Petralia;
   la chiusura del punto nascite appare, così come percepita dagli abitanti del comprensorio madonita, come l'ennesimo atto di disinteresse per un territorio che conta circa 27 mila residenti e vive tutte le difficoltà (collegamenti stradali, rischio idrogeologico, fenomeni di spopolamento) a cui un'area montana è esposta; in analoga situazione si trova il punto nascite di Mussomeli, in provincia di Caltanissetta, ospitato dall'ospedale «Longo»;
   la struttura costituisce l'unico punto di riferimento per l'area cosiddetta «Vallone-Alto Platani» composta da numerosi comuni della Sicilia interna a cavallo tra le province di Palermo, Agrigento e Caltanissetta e nello specifico i comuni di Mussomeli, Acquaviva Platani, Sutera, Campofranco, Milena, Bompensieri, Villalba, Vallelunga, Marianopoli, Casteltermini, Cammarata, S. Giovanni Gemini, Roccapalumba, Castronovo, Lercara, Alia, Valledolmo;
   come nel caso dell'ospedale Madonna dell'Alto di Petralia il centro di Mussomeli serve un'area caratterizzata da notevolissimi disagi derivanti tanto dalle condizioni generali che dallo stato di dissesto delle arterie provinciali;
   le condizioni, pertanto, appaiono, come nel caso di Petralia, foriere di rischi negli spostamenti per raggiungere i Punti Nascita alternativi con lunghi tempi di percorrenza –:
   quali siano i motivi per cui non si è inteso concedere alcuna deroga nei confronti dell'ospedale Madonna dell'Alto e dell'ospedale «Longo» di Mussomeli e quali siano i criteri in base ai quali detta deroga sia stata riconosciuta invece alle strutture di Bronte e Licata;
   se il Ministro non ritenga che la chiusura del punto nascite di Petralia comporti, per quanto esposto, una ulteriore lesione del diritto alla scelta per le donne di cui alla legge n. 194 del 1978 riguardante l'interruzione volontaria della gravidanza;
   se il Ministro non ritenga grave e foriero di pericolo costringere partorienti ad un viaggio verso la struttura di Termini Imerese con tempi di percorrenza superiori anche ai 90 minuti e con il rischio di fenomeni meteorologici quali neve, ghiaccio, nebbia soliti nelle aree montane nei periodi invernali;
   se il Ministro non ritenga che le particolari condizioni dell'area su cui insiste l'ospedale Madonna dell'alto non siano tali da ritenere la struttura indispensabile per garantire i livelli essenziali di assistenza, il diritto alla salute e all'accesso alle cure;
   se il Ministro non ritenga, anche alla luce di quanto esposto in premessa, che le condizioni particolari delle aree interne della Sicilia non meritino l'individuazione di un ulteriore parametro per la concessione del nulla osta operativo, oltre al criterio numerico dei parti registrati su base annua. (4-11607)

SVILUPPO ECONOMICO

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro dello sviluppo economico, il Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, il Ministro della salute, per sapere – premesso che:
   nel centro COVA di Viggiano sito provincia di Potenza si è registrata di recente l'ennesima «sfiammata», come viene definita in gergo tecnico;
   sono state innumerevoli le anomalie registrate al COVA (si pensi solo alle fiammate), tanto nonostante il «tuttappostismo» e le rassicurazioni «di routine» da parte degli enti preposti. Ma stavolta è diverso: forse è la prima volta che dal COVA arriva un video (della tv pubblica) così esplicito, capace di sintetizzare il «paradosso petrolifero» lucano;
   la torcia si è alzata di diverse decine di metri creando allarme nella popolazione che continua ad essere tenuta all'oscuro di cosa stia accadendo. Si è ancora in attesa di conoscere dalla regione Basilicata e dall'Ufficio nazionale minerario per gli idrocarburi e le georisorse quali siano i motivi tecnici di tali fiammate, quali i pozzi che produrrebbero quantitativi di gas in pressione non gestibili dall'impianto e se dell'evento (come lo chiamano le compagnie) sia data comunicazione agli enti titolati della sicurezza;
   nel frattempo la direzione distrettuali antimafia di Potenza indaga ben 37 persone per traffico illecito di rifiuti e disastro ambientale. Tra gli indagati ci sono nove dipendenti dell'Eni, una decina di imprenditori, quattro ex dirigenti dell'Arpab, funzionari regionali e della provincia di Potenza, varie società del settore ambientale e due rappresentanti del Tecnoparco;
   l'inchiesta sul Centro oli Val d'Agri era venuta alla luce a febbraio dell'anno scorso con un primo «blitz» dell'Antimafia. Da allora l'ipotesi di reato indicata resta, quelle, del «traffico di rifiuti», ma i filoni d'indagine si sono moltiplicati;
   sul tavolo degli inquirenti c’è il tema della corretta qualificazione dei reflui, che sono il prodotto della componente acquosa separata dai greggio destinato alla raffineria, più tutte le sostanze utilizzate per estrarlo e prepararlo all'immissione nell'oleodotto in direzione Taranto;
   dalla qualificazione del rifiuto prodotto dipende anche il tipo di trattamento da adottare per smaltirlo correttamente. E il sospetto degli investigatori del Noe dei carabinieri è che per anni non sia stato fatto nella maniera giusta, trascurando la presenza di elementi tossici ed esponendo al rischio di contaminazione non solo i lavoratori dell'impianto di smaltimento, ma anche l'ambiente dove al termine del trattamento vengono sversate le acque «ripulite»;
   tra i quesiti sottoposti al superconsulente si parlava anche delle autorizzazioni concesse all'impianto della compagnia di San Donato dalla regione Basilicata. Un doppio «via libera», per essere precisi, dato che nel giro di 3 mesi la regione ha concesso prima l'autorizzazione integrata ambientale al Centro oli, e poi l’«ok» al suo ampliamento con la realizzazione di una quinta linea capace di aumentare la produzione di greggio in maniera più che notevole;
   oltre a quello sulla gestione dei reflui di produzione i pubblici ministeri diretti dal procuratore Gay avevano aperto subito anche altri 2 filoni d'indagine sulle emissioni prodotte dal Centro oli e sui loro effetti sulla salute dei lavoratori di Eni e indotto petrolifero;
   per questo i carabinieri del Noe avevano già acquisito tutti i dati a disposizione delle centraline dell'Eni che monitorano in continuo quanto viene emesso in atmosfera: sia il dato «grezzo», sia quello certificato dalla Ecb di Potenza, che in caso di superamento delle soglie autorizzate andrebbe auto-denunciato da Eni. Cosa che si sospetta non sia sempre avvenuta;
   da ultimo gli inquirenti si erano posti il problema degli effetti delle emissioni del Centro oli, quindi avevano acquisito gli elenchi dei lavoratori che gli gravitano attorno. In tutto si parla di oltre 5 mila nominativi di persone potenzialmente «esposte» agli inquinanti immessi in atmosfera;
   l'indagine della procura fa intravedere il fondo scuro e denso del barile, dove rileva un'altra storia italiana che ha i nomi cambiati ma trame analoghe a quelle dell'Ilva, del petrolchimico di Porto Marghera e delle centrali di Porto Tolle e di Vado Ligure. Le denunce ignorate. Gli avvisi di garanzia a imprenditori amici e portati in palmo di mano dai politici, le istituzioni e i tecnici che abdicano al ruolo di tutori e controllori diventando, con le loro «distrazioni», i primi garanti dell'impunità di chi arricchendosi inquina. E inquinando ancora  di più. Lavoratori e residenti stretti nel ricatto tra il posto, l'abbaglio di una ricchezza sussidiata e la salute;
   tutti hanno assecondato imprudentemente attività di estrazione idrocarburi a ridosso di dighe, centri abitati, sorgenti, aree a rischio frana e a rischio sismico, in zone protette a ridosso di parchi. Appare agli interpellanti follia autorizzare l'ubicazione di uno stabilimento a rischio di incidente rilevante, qual è il Centro Olio Eni, a ridosso di un invaso di importanza strategica come il Pertusillo;
   l'inchiesta tocca anche la casa del controllore. Dove molti funzionari regionali e Arpab indagati per questa vicenda sono anche rinviati a giudizio per disastro ambientale nella vicenda Fenice, inceneritore di San Nicola di Melfi, nato vent'anni fa e oltre a servizio della Fiat di Melfi. L'indagine sulla val D'Agri ipotizza anche emissioni in eccesso dell'impianto della compagnia di San Donato, in via di potenziamento anche grazie a due autorizzazioni arrivate nel giro di tre mesi;
   vengono indagati tutti i vertici dell'Arpab, vecchi e nuovi funzionari. Sotto la lente i tanti pareri tecnici forniti negli anni per contenere le ansie e gli allarmi di residenti e ambientalisti sulla nocività delle emissioni dell'impianto che ora sono oggetto dell'attenzione di magistrati. «I livelli degli inquinanti, soprattutto idrogeno solfato, sono inferiori ai limiti previsti dalle norme», ripeteva ancora pochi mesi fa il direttore Bove, «Abbiamo a cuore i temi dell'ambiente che preserviamo con continui controlli e ammodernamenti», gli faceva eco Roberta Angelini, responsabile sicurezza e ambiente del Distretto Meridionale Eni (Dime). Entrambi sono indagati, proprio per quei pareri. Non a caso la mattina stessa del blitz al Centro Oli sono stati effettuati campionamenti da sottoporre ai tecnici della procura. In altre parole: sono stati fatti ora quei controlli che la regione Basilicata e l'Arpab avrebbero dovuto eseguire già da molto tempo per tutelare i cittadini lucani;
   inoltre l'Associazione italiana registro tumori ha registrato che la Basilicata ha una percentuale di morti per tumore più alta della media nazionale –:
   quali siano le informazioni e l'orientamento del Governo sui fatti esposti in premessa;
   se ritengano che sussistano i presupposti per avviare, tramite l'Istituto superiore di sanità e l'Istituto per la protezione e la ricerca ambientale, un'indagine epidemiologica in relazione agli effetti sulla popolazione dell'attività estrattiva per verificare se il quantitativo di acqua trattata rappresenti un pericolo per le popolazioni del territorio, per la salute e per la catena alimentare e per fare chiarezza sulla situazione e su eventuali rischi per l'uomo e per l'ambiente;
   quali iniziative si intendano intraprendere, anche sul piano normativo, per obbligare le società operanti in aree come quelle descritte in premessa ai dovuti investimenti in sicurezza ambientale e per la salvaguardia dei lavoratori e della salubrità delle popolazioni;
   se non si ritenga di dover, con urgenza, assumere iniziative per rivedere al ribasso tutte le soglie di legge per gli inquinanti H2S, S02, idrocarburi policiclici aromatici, composti organici volatili, nonché tutte le sostanze riconducibili alle attività petrolifere, al fine di allinearle ai valori stabiliti dall'Organizzazione mondiale della sanità.
(2-01216) «Liuzzi, Crippa, Da Villa, Cancelleri, Fantinati, Vallascas, Colonnese, Cominardi, Corda, Daga, Dall'Osso, De Lorenzis, De Rosa, Del Grosso, Della Valle, Dell'Orco, Di Battista, Di Benedetto, Luigi Di Maio, Manlio Di Stefano, Di Vita, D'Incà, D'Uva, Ferraresi, Fico, Fraccaro, Frusone, Gagnarli, Gallinella, Luigi Gallo, Silvia Giordano».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   MARTELLA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   presso il comune di Campolongo Maggiore, in provincia di Venezia, si registrano da parte dei cittadini continui disservizi nella consegna della posta;
   da mesi i cittadini denunciano il mancato recapito della corrispondenza o ritardi per quanto concerne l'arrivo di bollette che vengono recapitate quando sono già scadute con conseguente aggravio per le famiglie;
   si è anche verificato che la posta destinata ai cittadini di Campagna Lupia è stata recapitata ai cittadini residenti di Campolongo;
   l'ultimo caso dopo le feste, come riportato anche dagli organi di informazione, è stato il recapito delle bollette Enel con scadenza superata da circa due settimane;
   è evidente che, per cittadini, imprese ed attività economiche e commerciali, tale situazione è divenuta insostenibile –:
   se e quali iniziative di competenza il Governo intenda assumere al fine di verificare le ragioni di tali disservizi ed intervenire presso Poste italiane al fine di ripristinare, nell'ambito del contratto di servizio, il corretto recapito della corrispondenza per i cittadini di Campolongo. (5-07324)


   FASSINA, FRATOIANNI, RICCIATTI e FERRARA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il sito industriale Elettrocarbonium di Narni (TR) è l'unico impianto italiano in cui si producono elettrodi di grafite produzione come noto strategica per i fabbisogni dell'industria siderurgica laddove la stessa come nel caso di AST Terni (così come in futuro Piombino) produca mediante forno ad arco, tecnica che oltre ad assicurare standard più elevati di qualità del prodotto è anche più sostenibile dal punto di vista ambientale;
   alla fine del 2013 la società S.G.L. Carbon spa (articolazione italiana della multinazionale tedesca S.G.L.S.E.) società leader europea e mondiale nel settore comunicava la sua irrevocabile volontà di cessare le attività produttive in Italia e, conseguentemente, di mettere in liquidazione la società italiana;
   tale intendimento della S.G.L. S.E. che poteva determinare la cessazione dell'attività dello storico impianto di Narni non trovava riscontro nella difficoltà di bilancio (che pur nella crisi ha visto lo stesso chiudersi sempre in attivo) ma dalla volontà della multinazionale di razionalizzare la sua presenza in Europa a detrimento dell'impianto italiano, sebbene l'Italia rappresenti uno dei mercati di sbocco del prodotto più rilevanti e sebbene in Italia S.G.L. avesse una quota di mercato addirittura superiore a quella detenuta in Germania;
   la cessazione dell'attività dell'impianto di Numi, che alla fine del 2013 occupava direttamente 130 addetti, oltreché un danno rilevantissimo alla capacità competitiva della siderurgia italiana avrebbe determinato anche un ulteriore gravissimo colpo al tessuto socio-economico di un'area, quella di Terni Narni, già durissimamente provata dagli effetti della crisi e dai processi di riconversione delle industrie siderurgiche e chimiche di base che trovano in tale area una storica e rilevantissima localizzazione;
   al fine di scongiurare tale eventualità, si è prodotta anche in conseguenza della mobilitazione dei lavoratori e delle istituzioni locali, una forte iniziativa sindacale ed istituzionale, che ha visto protagonista accanto alla regione dell'Umbria lo stesso Ministero dello sviluppo economico con l'apposita unità di crisi coordinata direttamente dall'allora Viceministro De Vincenti, la quale ha portato grazie anche al cambiamento di atteggiamento della S.G.L. Carbon in liquidazione ad individuare un progetto di rilancio produttivo del sito in questione;
   tale progetto in sintesi prevedeva che la S.G.L. Carbon, pur confermando la irrevocabile volontà di cessare le attività produttive in Italia e di procedere alla messa in liquidazione della società, si assumeva, consapevole delle conseguenze sociali ed occupazionali che tale decisione comportava, l'impegno di cedere l'impianto produttivo a condizioni incentivate (prezzo simbolico e risorse per la bonifica e messa in sicurezza permanente della stessa), a soggetto che si impegnasse a dare continuità all'attività produttiva e che sottoscrivesse con le istituzioni un accordo di programma per disciplinare le attività di messa in sicurezza e bonifica del sito e quelle di reindustrializzazione dello stesso fornendo idonee garanzie;
   sulla base di tale impegno si è proceduto a verificare che tra gli altri il progetto di rilancio produttivo più adeguato per il sito in questione era quello presentato dal gruppo Morex che prevedeva la costituzione di una nuova iniziativa imprenditoriale finalizzata alla produzione di elettrodi di grafite nonché a sviluppare le ulteriori opportunità che il processo di reindustrializzazione del sito determinava; tale individuazione avveniva ad opera di un apposito coordinamento posto in essere dal Ministero dello sviluppo economico con l'intervento delle istituzioni locali ed in particolare delle strutture specialistiche della regione dell'Umbria in collaborazione con la liquidazione della liquidazione della SGL Carbon e acquisito tra gli altri il contributo delle organizzazioni sindacali;
   ad esito di tale percorso Morex spa ha provveduto a costituire la specifica società (M2I) poi denominata Elettrocarbonium srl che ha provveduto a sottoscrivere in data 27 gennaio 2015 con SGL Carbon in liquidazione e con SGL SE appositi atti contrattuali idonei a dare per quanto di competenza esecuzione al progetto di rilancio produttivo ed industriale del sito in questione;
   tali impegni erano condizionati alla sottoscrizione, entro il maggio 2015, di specifico accordo di programma che disciplinasse gli obblighi e i diritti delle parti private e quelli delle amministrazioni e che conseguentemente determinasse il trasferimento dell'asset industriale nella disponibilità del nuovo soggetto industriale;
   in ragione della complessità degli adempimenti necessari in particolare in materia di definizione delle attività di bonifica e messa in sicurezza del sito entro tale termine non si è addivenuti alla definizione dell'accordo di programma;
   Elettrocarbonium ed SGL hanno provveduto a prorogare al 31 dicembre i loro impegni reciproci nella speranza che entro tale termine il percorso potesse trovare definizione ed in ogni caso Elettrocarbonium srl ha comunque provveduto a dare inizio all'attività di rilancio produttivo dell'impianto provvedendo nel contempo a riassumere la gran parte dei lavoratori licenziati da SGL Carbon;
   la ripresa dell'attività produttiva è stata resa oltremodo difficoltosa dal fatto che Elettrocarbonium srl non è stata supportata in alcun modo dal sistema bancario, in quanto configurandosi essa formalmente come nuova iniziativa ed abbisognando per il suo ordinario funzionamento di rilevanti risorse (1.200.000 mese oltre a acquisto materie prime per circa 600.000 mese) in assenza di adeguata patrimonializzazione derivante dalla non avvenuta acquisizione dell’asset patrimoniale viene valutata negativamente;
   nei mesi trascorsi l'attività è stata resa possibile solo grazie agli ulteriori apporti della proprietà di Elettrocarbonium nonché dalla ulteriore collaborazione della SGL Carbon che ha assunto impegni commerciali ulteriori che però cessano al 31 dicembre 2015;
   nonostante tali difficoltà finanziare determinatesi esclusivamente in ragione dell'allungarsi dei tempi di definizione dell'accordo di programma, la ripresa dell'attività produttiva è stata caratterizzata da positivi riscontri di mercato al punto che per il 2016 Elettrocarbonium ha in portafoglio ordini (acquisiti pressoché integralmente sui mercati esteri) per circa 12 milioni di euro che per essere lavorati richiederebbero la riassunzione della totalità dei lavoratori previsti nel piano industriale;
   purtroppo, non essendo intervenuta l'approvazione dell'accordo di programma neppure al 31 dicembre e pertanto decadendo gli impegni contrattuali di SGL Carbon (che pure ha manifestato disponibilità ad una ulteriore proroga) e permanendo la condizione di non ordinaria finanziabilità della nuova iniziativa imprenditoriale stante il permanente atteggiamento del sistema bancario, la Elettrocarbonium srl nonostante abbia ordinativi adeguati si trova nella condizione di non poter continuare persistendo le attuali condizioni di accesso al credito, il progetto di rilancio industriale a cui si è impegnata –:
   quali iniziative urgenti il Ministro interrogato intenda assumere al fine di salvaguardare la produzione e i livelli occupazionali del soggetto industriale di cui in premessa, con particolare riguardo alla continuità produttiva e finanziaria e al mantenimento della pianta organica dei lavoratori. (5-07326)


   PILI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Ministro dello sviluppo economico, nell'incontro tenutosi a Roma alla vigilia di Natale sulla vertenza Alcoa, oltre ad aver comunicato che l'Unione europea non aveva accolto le richieste del Governo italiano, ha annunciato l'interessamento di un nuovo soggetto all'acquisto dello stabilimento di Portovesme;
   tale annuncio è apparso sin dall'inizio l'ennesimo tentativo di procrastinare la vertenza senza assumere iniziative serie e concrete per la sua soluzione;
   un nuovo soggetto acquirente che «spunta dal cilindro» del Governo nello stesso momento in cui si registra il diniego comunitario alle minime condizioni energetiche necessarie per la gestione economica dello stabilimento;
   quello che appare all'interrogante un nuovo « bluff» del Governo Renzi passa dalla Svizzera e si chiama Sider Alloys;
   si tratta di una società senza storia e senza produzioni: nessuno stabilimento, capitale sociale sino al giorno prima dell'annuncio di 90.000 euro, quanto un supermercato di ferramenta, e nei giorni scorsi, con una modifica statutaria, di 3.000.000 di euro ad avviso dell'interrogante al quanto sospetta;
   si tratterebbe di una società che secondo il Governo sarebbe interessata all'acquisto di Alcoa;
   desta non poche perplessità, per non essere drastici, che tale società non abbia mai gestito o posseduto uno stabilimento industriale e che il suo capitale strida con il fatturato potenziale dell'Alcoa;
   gli uffici di questa società sono ubicati in via Cantonale 1 a Lugano, tra una pescheria e un centro massaggi;
   una società nata appena 3 anni fa e che non ha mai investito in alluminio primario e dintorni;
   basti un solo dato per comprendere l'inconsistenza dell'annuncio: con un capitale versato di poco più di 3 milioni vorrebbero gestire una fabbrica con un fatturato da 350 milioni di euro all'anno;
   quel che è più grave è che il Governo, secondo l'interrogante sempre più fallimentare, ha portato ad un tavolo ufficiale questa ennesima «bufala a buon mercato»;
   si tratta di un modo, l'ennesimo, per perdere e prendere tempo;
   chiunque sa che non vi è nessuna possibilità di dare una seria prospettiva ad un impianto vecchio di 40 anni, fermo e senza alcun tipo di revamping, se non ci sarà una potenzialità energetica competitiva per i prossimi dieci anni almeno;
   appare davvero incomprensibile e inaccettabile che il Governo abbia avanzato tale proposta considerato che si è dinanzi ad una società sconosciuta a tutti gli operatori industriali di un certo livello;
   è impensabile che tale società sia realmente e concretamente interessata a gestire una società di questa portata senza aver mai gestito un impianto in condizioni ordinarie, figuriamoci in condizioni estreme;
   si tratta chiaramente di un progetto di dubbia credibilità, senza se e senza ma;
   una società senza attività produttiva industriale, con quello che appare all'interrogante un modesto sito internet, senza nemmeno una rappresentazione produttiva o operativa;
   il suo business è la commercializzazione di prodotti del campo metallifero, versante acciaio e additivi vari;
   l'interrogante attraverso visure camerali e un sopralluogo negli uffici della società ha accertato personalmente che la società che dovrebbe salvare la fabbrica di Portovesme non solo non ha nessuno stabilimento industriale ma ha gli uffici nello stesso palazzo che ospita un centro massaggi, un night club e una pescheria;
   il Governo si sta manifestando gravemente incapace di individuare una strada per affrontare e risolvere la questione fondamentale della ripresa produttiva dello stabilimento;
   aver ripreso questo «balletto» di nomi su possibili acquirenti rivela quella che appare all'interrogante una certa incapacità a gestire simili situazioni;
   è indispensabile imporre al Governo la ripresa produttiva immediata alla pari di quanto sta avvenendo con l'Ilva;
   occorre un contratto bilaterale di dieci anni competitivo, altrimenti nessuno avrà interesse a gestire quello stabilimento –:
   se il Governo abbia sollecitato o ricevuto comunicazioni da tale società Sider Alloys;
   se il Governo, prima di proporre tale nome al tavolo di confronto ufficiale, abbia valutato la consistenza societaria e soprattutto l'esperienza nel campo della produzione di alluminio primario;
   se il Governo intenda attivarsi seriamente, senza perdere altro tempo, promuovere il negoziato di un contratto bilaterale per la gestione dell'impianto di Portovesme di durata di almeno 10 anni;
   se il Governo non intenda mettere in campo soluzioni immediate e urgenti per il riavvio degli impianti di produzione di alluminio primario, considerata la strategicità del prodotto;
   se non intenda, anche attraverso iniziative volte al commissariamento, perseguire soluzioni di riavvio pubblico dell'impianto per la successiva collocazione sul mercato. (5-07334)

Interrogazioni a risposta scritta:


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   sarebbe in stallo la firma della delibera per finanziare la prima tranche del contratto tra Aeroporti di Puglia e la compagnia irlandese «Ryanair», che prevede un contributo per la pubblicità sul sito web della compagnia e uno sconto del cinquanta per cento sui costi di handling, per un totale di circa dodici milioni di euro all'anno;
   attualmente la compagnia irlandese garantisce 33 rotte, venti da Bari e tredici da Brindisi, sulle quali movimenta oltre tre milioni di passeggeri l'anno, che per gli aeroporti di Bari e Brindisi equivale a più della metà del traffico totale;
   come rilevato anche dal Corriere del Mezzogiorno, gli operatori turistici del Salento temono che «senza l'apporto della compagnia low cost, lo scalo di Brindisi sarebbe destinato alla chiusura. Infatti, del restante milione di passeggeri in transito, la gran parte utilizza aerei Alitalia e l'ex compagnia di bandiera ha una propria società che gestisce i servizi di handling. Dimezzato il traffico a “reddito” i conti non quadrerebbero mettendo a rischio il posto di 72 dipendenti dell'aeroporto del Salento»;
   se Ryanair dovesse abbandonare i due scali pugliesi, e soprattutto quello salentino, questo avrebbe conseguenze disastrose per tutto il sistema del turismo locale;
   anche Federalberghi ha evidenziato come sia «impensabile rinunciare a una rete di collegamenti aerei così capillare perché gli operatori hanno pianificato investimenti tenendo presente l'aumento dei flussi di turisti incoming»;
   la decisione del presidente della regione Puglia di bloccare l'erogazione dei fondi è stata un fulmine a ciel sereno per la compagnia aerea, il cui accordo con Aeroporti Puglia copre l'intero periodo compreso tra il 1o novembre 2014 e il 30 ottobre 2019;
   mentre Ryanair sta valutando se intraprendere un'azione legale, uno studio condotto dall'università di Bari ha evidenziato che ogni euro investito sulla base del citato accordo avrebbe prodotto un ritorno sul territorio pari a 25 euro –:
   se sia informato dei fatti esposti in premessa e quali iniziative intenda assumere, nell'ambito delle proprie competenze, in merito. (4-11597)


   RAMPELLI. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   lo stabilimento petrolchimico di Brindisi, nel quale lavorano 850 dipendenti, sembra essere tra quelli inseriti nel pacchetto di impianti chimici posti in vendita dall'Eni;
   l'Eni, infatti, starebbe cedendo la maggioranza della società «Versalis spa», della quale è socio unico, al fondo statunitense «SK Capital Partners», con il vincolo di un amministratore delegato italiano;
   la società Versalis è impegnata anche nell'importante segmento della «chimica verde» e a tal fine secondo i rappresentanti sindacali avrebbe bisogno di un ulteriore investimento di 1,2 miliardi di euro, ma si teme che il fondo non abbia la capacità finanziaria per portare avanti le relative attività;
   la cessione della società mette in dubbio i progetti e gli investimenti previsti sinora, e rischia di determinare l'uscita dell'Italia da un settore strategico in grande crescita come quello della «chimica verde» per cedere ad altri Paesi importanti interessi e processi innovativi –:
   quali iniziative di competenza intenda assumere con riferimento ai fatti esposti in premessa, tutelando i lavoratori e salvaguardando il ruolo dell'Italia in un importante settore industriale. (4-11599)


   PAGLIA. — Al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il decreto del Presidente della Repubblica n. 484 del 1994 – Regolamento recante la disciplina dei procedimenti di conferimento dei permessi di prospezione o ricerca e di concessione di coltivazione di idrocarburi in terraferma e in mare – prevede all'articolo 4, titolato «Presupposti», che: «1. I permessi di prospezione o ricerca di idrocarburi in terraferma e in mare sono accordati a persone o enti o di altri Stati membri della Comunità economica europea, nonché, a condizioni di reciprocità, di altri Paesi, i quali dispongano di capacità tecniche ed economiche adeguate. 2. I permessi di ricerca sono accordati a persone fisiche o giuridiche che possiedano o forniscano idonee garanzie di costituire in Italia strutture tecniche ed amministrative adeguate alle attività previste, nel rispetto degli impegni contratti dall'Italia in sede di accordi internazionali per la tutela dell'ambiente marino.»;
   alla società Petroceltic Italia srl sarebbero state affidate numerose concessioni di ricerca di idrocarburi nel Nord Italia e nel mare Adriatico, fra cui una prospiciente le Isole Tremiti;
   stando al sito internet della società, attualmente lavorano direttamente per essa 3 persone: un geologo esplorativo senior, un ingegnere di perforazione senior, un esperto di valutazioni e monitoraggi ambientali;
   Petroceltic Italia srl è controllata da Petroceltic International Pie, compagnia con sede a Dublino e operante nel Mediterraneo;
   attualmente gli interessi di Petroceltic International sono limitati ad Algeria, Italia e Bulgaria, dopo la cessione degli asset relativi a Egitto e Grecia avvenuta nel 2015;
   Petroceltic International Plc in data 23 dicembre 2015 estende una nota, visionabile sul sito della società ove si legge, in buona sostanza che per diverse cause determinatesi nel 2015, la posizione finanziaria del gruppo risulterebbe compromessa e che il gruppo non avrebbe certezza sulla liquidità oltre gennaio 2016;
   sono segnalati 217,8 milioni di dollari di esposizione verso istituti finanziari, a fronte di 28 milioni di liquidità, di cui 24 milioni in valuta estera non convertibile –:
   come sia possibile che ad una società a responsabilità limitata italiana con 3 addetti, controllata da un gruppo estero che manifesta esplicitamente la propria incapacità di fare fronte ai propri impegni finanziari, al punto da non presentare rischi di continuità aziendale, siano stati confermate le concessioni in Italia, ad avviso dell'interrogante in palese inosservanza dell'articolo 4 del decreto del Presidente della Repubblica n.  484 del 1994;
   se il Ministro interrogato non ritenga di dover immediatamente revocare tali concessioni, alla luce delle notizie riportate. (4-11613)

Apposizione di una firma ad una interrogazione.

  L'interrogazione a risposta scritta Fratoianni n. 4-11526, pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta del 19 dicembre 2015, deve intendersi sottoscritta anche dal deputato Costantino.

Pubblicazione di un testo riformulato.

  Si pubblica il testo riformulato della interrogazione a risposta scritta Mannino n. 4-11452, già pubblicata nell'allegato B ai resoconti della seduta n. 537 del 16 dicembre 2015.

   MANNINO, BUSTO, DAGA, DE ROSA, MICILLO, TERZONI e ZOLEZZI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 24 febbraio 2015, Finmeccanica S.p.A. ed Hitachi Ltd. hanno sottoscritto un contratto avente ad oggetto la cessione ad Hitachi Rail Italy S.p.A. del ramo di azienda di AnsaldoBreda S.p.A. – operante nel settore del trasporto ferroviario ed in particolare costituito dal complesso di beni e persone afferenti alla progettazione, costruzione e manutenzione di materiale rotabile, ad esclusione di alcune attività di revamping e di determinati contratti residuali, nonché dell'intera partecipazione detenuta da Finmeccanica S.p.A in Ansaldo STS S.p.A., pari a circa il 40 per cento del capitale sociale della stessa;
   detto ramo di azienda comprende i siti di Pistoia, Napoli e Reggio Calabria e parte del personale dipendente dei suddetti siti; il sito di Carini, composto da un organico, al 15 settembre 2015, di n. 140 unità – presso il quale, attualmente, sono in lavorazione complessive 9 casse di cui, n. 7 carrozze IC270, n. 1 carrozza IC450 e n. 1 carrozza media distanza – farà parte del perimetro non ceduto;
   precedentemente – nel corso di un incontro inerente alla situazione del sito di Carini, svoltosi in data 6 febbraio 2015, presso il Ministero dello sviluppo economico – Finmeccanica S.p.A. ed AnsaldoBreda S.p.A. avevano rappresentato alle organizzazioni sindacali la necessità di individuare soluzioni alternative per il personale del sito anche attraverso il possibile coinvolgimento, per il tramite dello stesso Ministero, del Gruppo Ferrovie dello Stato italiane limitatamente ad uno specifico numero di risorse qualificate per lo svolgimento di attività relative alla manutenzione dei rotabili;
   il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane – ha dichiarato la propria disponibilità a sulla base della richiesta formulata dal suddetto Ministero e secondo quanto contenuto nelle premesse del verbale di accordo del 23 settembre 2015, sottoscritto tra la Società AnsaldoBreda S.p.A., le Segreterie Nazionali FIM-FIOM-UILM-UGL Metalmeccanici, le Segreterie Territoriali FIM-FIOM-UILM-UGL Metalmeccanici di Palermo, la RSU dello stabilimento AnsaldoBreda di Carini ed i rappresentanti di Finmeccanica e del Gruppo Ferrovie dello Stato Italiane, debitamente pubblicato sul Sito della UILM, Unione italiana lavoratori metalmeccanici (http://www.uilm.it/upload/contenuti/8017/20150923-Ansaldo%20Breda%20Accordo%020Carini.pdf) – ha dichiarato la propria disponibilità a concorrere alla soluzione occupazionale per il personale di AnsaldoBreda S.p.A. del sito di Carini attraverso l'acquisizione di un limitato numero di risorse qualificate da utilizzare per lo svolgimento delle attività di manutenzione del parco rotabili (mezzi d'opera, treni diagnostici, mezzi di trazione, carrozze e carri) delle Società Rete ferroviaria italiana (RFI) e Trenitalia, sottolineando che tale soluzione riveste carattere di assoluta straordinarietà ed eccezionalità, non replicabile per eventuali casi futuri;
   il Gruppo Ferrovie dello Stato italiane, sulla base di quanto convenuto al punto 3 del suddetto accordo, acquisirà, a partire dall'11 gennaio 2016, fino ad un massimo di n. 105 risorse delle quali al massimo n. 65 risorse per le esigenze della Società RFI ed al massimo n. 40 risorse per le esigenze della Società Trenitalia che siano in possesso di titoli di studio e/o attestati professionali compatibili con le attività di manutenzione dei rotabili, di certificazioni negative relative ai carichi pendenti ed al casellario giudiziale e dei requisiti fisici e psicoattitudinali accertati dalle strutture della Direzione Sanità di RFI S.p.A. necessari per la mansione da svolgere;
   i lavoratori che risulteranno avere i requisiti necessari per operare nelle attività sopra indicate, ivi compresa la verifica del possesso dei requisiti fisici e psico-attitudinali necessari per le mansioni da svolgere, saranno destinatari di una selezione prioritaria e riservata, finalizzata ad individuare le unità di personale nei limiti quantitativi massimi sopra richiamati;
   i lavoratori che al termine di tutta la fase selettiva risulteranno inseriti nei bacini delle risorse che le Società RFI e Trenitalia acquisiranno, saranno avviati, nel periodo intercorrente dal 2 novembre 2015 e fino alla data di assunzione in una delle due società, ad un percorso di formazione – effettuato da RFI e Trenitalia – finalizzato all'acquisizione delle competenze specialistiche e di sicurezza necessaria per lo svolgimento delle nuove mansioni;
   il sopra citato accordo prevede, altresì, che l'assunzione nelle Società RFI o Trenitalia avverrà: previa cessazione del rapporto di lavoro con la Società AnsaldoBreda e con conseguente liquidazione da parte della stessa di tutte le competenze spettanti, ivi compreso il trattamento di fine rapporto, senza soluzione di continuità, il giorno successivo all'ultimo giorno di lavoro presso la Società AnsaldoBreda; con contratto a tempo indeterminato e mediante l'applicazione del contratto della Mobilità/Area contrattuale Attività Ferroviarie e del Contratto Aziendale di Gruppo FS del 20 luglio 2012;
   l'inquadramento nelle figure professionali del CCNL Mobilità/Area contrattuale Attività Ferroviarie avverrà tenendo conto del titolo di studio posseduto, nei livelli professionali C (lavoratori in possesso di diploma di II grado) e D (lavoratori non in possesso di diploma di II grado); l'inquadramento economico sarà effettuato tenendo conto dei livelli retributivi raggiunti da ciascun lavoratore presso la Società AnsaldoBreda, utilizzando tutti gli elementi della retribuzione previsti dai contratti collettivi applicati nelle società di nuova assunzione;
   al punto 5 del sopra citato accordo si stabilisce, inoltre, che le unità di personale rimanenti saranno utilizzate presso lo stabilimento di Carini per il completamento delle attività di collaudo delle commesse in essere e potranno essere funzionali anche alle attività afferenti alle commesse che non verranno conferite ad Hitachi Ltd., sino al loro esaurimento. Ultimate le attività de quo, le risorse ancora presenti – al netto dei lavoratori che potranno usufruire di strumenti anche finalizzati all'accompagnamento alla pensione e di quelle che aderiranno a processi di esodo incentivato che l'azienda porrà in essere – saranno riallocate all'interno delle aziende del Gruppo Finmeccanica operanti sul territorio della provincia di Palermo;
   il decreto legislativo 4 marzo 2015, n. 23 recante «Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183», pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 54 del 6 marzo 2015, introduce, per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dal 7 marzo 2015 – data di entrata in vigore del citato decreto un differente regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimi rispetto a quello delineato dalle precedenti regole di cui all'articolo 8 della legge n. 604 del 1996 ed all'articolo 18 della legge n. 300 del 1970, che continueranno a trovare applicazione per tutti i rapporti di lavoro preesistenti;
   l'articolo 1, comma 3, del suddetto decreto delegato, dispone, altresì, che la nuova disciplina dei licenziamenti debba applicarsi anche nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all'entrata in vigore del decreto stesso, raggiunga il requisito occupazionale di cui all'articolo 18, commi 8 e 9, della legge 20 maggio 1970, n. 300;
   in data 18 gennaio 2016 avrà, dunque, inizio il percorso formativo di Trenitalia procrastinato, su espressa richiesta di Finmeccanica S.p.A., rispetto alla data precedentemente comunicata dell'11 gennaio 2016 al fine di consentire alle risorse di AnsaldoBreda S.p.A. del sito di Carini di acquisire il necessario bagaglio tecnico, così come delineato dall'accordo siglato presso il Ministero dello sviluppo economico in data 23 settembre 2015, per poter operare presso la società Trenitalia –:
   se il Governo non ritenga opportuno fornire dei chiarimenti in merito alla tipologia contrattuale che sarà applicata alle risorse che, a partire dall'11 gennaio 2016, saranno acquisite dal Gruppo Ferrovie dello Stato italiane tenuto conto dei mutamenti normativi introdotti dalle nuove disposizioni vigenti in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti di cui al decreto legislativo n. 23 del 4 marzo 2015, in attuazione della legge 10 dicembre 2014, n. 183;
   in che tempi, attraverso quali modalità e sulla base di quali criteri le unità di personale rimanenti utilizzate presso lo stabilimento di Carini, per il completamento delle attività di collaudo delle commesse in essere saranno riallocate all'interno delle aziende del Gruppo Finmeccanica operanti sul territorio della provincia di Palermo;
   quali iniziative intenda assumere con riguardo alle risorse di AnsaldoBreda S.p.A. del sito di Carini da trasferire al Gruppo Ferrovie dello Stato italiane che, a seguito degli accertamenti fisici e psicoattitudinali effettuati dalle strutture della Direzione Sanità di RFI S.p.A., non dovessero risultare idonee alle nuove mansioni da svolgere presso RFI S.p.A. o Trenitalia;
   sulla base di quali criteri sono stati strutturati ed avviati i corsi di formazione di Trenitalia per le risorse di AnsaldoBreda S.p.A. del sito di Carini, tenuto conto del fatto che queste ultime non hanno ancora esatta contezza della tipologia contrattuale specifica che sarà loro applicata;
   quali iniziative intenda assumere, di concerto con la regione siciliana, per assicurare il mantenimento delle attività produttive ed il rilancio del sito di Carini e del suo indotto e, più in generale, per garantire la sopravvivenza dell'industria metalmeccanica siciliana. (4-11452)

Ritiro di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati ritirati dai presentatori:
   interrogazione a risposta in Commissione Frusone n. 5-07186 del 4 dicembre 2015;
   interpellanza urgente Capelli n. 2-01206 del 16 dicembre 2015;
   interpellanza Russo n. 2-01210 del 16 dicembre 2015;
   interrogazione a risposta in Commissione Dadone n. 5-07191 del 16 dicembre 2015.