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Resoconto dell'Assemblea

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XVII LEGISLATURA

Allegato B

Seduta di Lunedì 11 gennaio 2016

ATTI DI INDIRIZZO

Mozione:


   La Camera,
   premesso che:
    da almeno un quarto di secolo, le olimpiadi o altre importanti manifestazioni sportive, come ad esempio i mondiali di calcio, sono risultati un pessimo affare per le città e i Paesi ospitanti sul piano dei bilanci pubblici, dell'assetto urbanistico, della qualità della vita prima, durante e dopo l'evento, sia nel breve che nel medio-lungo periodo;
    secondo i dati di una ricerca di Andrew Zimbalist, pubblicata qualche mese fa da Brookings Institutions, fondazione di prima qualità scientifica, dal titolo decisamente evocativo, quasi un avvertimento in extremis per Roma 2024: « Circus Maximus. The economic gamble behind hosting the olympic game and the world cup», il rischio è che anche le Olimpiadi di Roma 2024 risultino un danno più che un beneficio per la collettività;
    i dati di evidenza empirica sono, infatti, abbondanti e univoci. In estrema sintesi, nel breve periodo avviene quanto segue: i costi iniziali stimati sono sempre, largamente, una frazione delle spese finali effettivamente sostenute dai bilanci pubblici. La tabella riportata nella ricerca di cui sopra, condotta da Andrew Zimbalist segnala che rispetto ai costi iniziali previsti i costi finali stimati sono lievitati enormemente (solo per fare un esempio, Atene, costi previsti 1,6 miliardi di dollari, costi finali 16 miliardi di dollari). Le entrate previste sono, poi, sempre largamente sovrastimate. Innanzitutto, a causa di un'irrealistica ipotesi sul moltiplicatore degli effetti delle spese sostenute e dell'associato fantasioso aumento dell'occupazione: si assume un moltiplicatore nell'intervallo tra 1,7 e 3,5, mentre ex-post i dati indicano un fattore nell'ordine di 1. Vuol dire che a fronte di 100 euro investiti o spesi per consumi finali o intermedi, il ritorno è circa 100 euro o meno, non i 170 o i 350 euro delle previsioni;
    anche l'immancabile previsione di impennata nell'afflusso di turisti è propagandistica. Si considerino per brevità soltanto le ultime 2 olimpiadi: durante i Giochi Olimpici del 2008, a Pechino erano previsti circa 400.000 turisti, ma ne sono effettivamente giunti 235.000 con una caduta di presenze nella capitale cinese del 30 per cento rispetto all'agosto dell'anno precedente; a Londra 2012, la caduta è stata del 6,1 per cento rispetto al 2011. Le ragioni sono intuitive. Una parte dei flussi ordinari viene scoraggiata dall'affollamento previsto per il «grande evento» e dal connesso aumento dei prezzi e riduzione della qualità dei servizi;
    al risultato di breve periodo viene solitamente contrapposto un benefico «effetto legacy», ossia l'impatto di medio-lungo periodo associato alle infrastrutture realizzate: la città interessata dall'olimpiade o dai mondiali di calcio si ritrova in eredità impianti sportivi, alloggi per atleti e staff, linee di trasporto aggiuntive. Anche qui, i dati della realtà indicano esattamente il contrario: rimangono opere sportive sovradimensionate rispetto alle esigenze della città e costosissime da manutenere; strutture abitative necessitanti elevati costi di adattamento; linee di trasporto incompiute e non prioritarie. Soprattutto, a causa del deficit accumulato nella costruzione e gestione della manifestazione, il saldo di medio-lungo periodo è segnato dagli enormi debiti da pagare in termini di maggiori imposte o tagli di spese o un mix di entrambi;
    inoltre, gli effetti di medio-lungo periodo sono considerati senza contare il «costo-opportunità»: le risorse da impegnare nelle olimpiadi o nei mondiali di calcio quali ricadute economiche e sociali, oltre che finanziarie, potrebbero generare investimenti in infrastrutture e interventi prioritari per la città in termini di mobilità sostenibile, di attività sportive e culturali, di housing sociale, di spazi verdi, di rigenerazione delle periferie;
    di fronte ai dati di realtà, diventa evidente la ragione per la quale sempre meno città sono interessate a ospitare le olimpiadi o i mondiali di calcio e sempre meno formalizzano la candidatura. Per i giochi olimpici del 2024, sono rimaste soltanto in 4. Boston si è tirata indietro per i rischi finanziari eccessivi. Amburgo ha detto «no» dopo un referendum,

impegna il Governo:

   a predisporre, per quanto di competenza e di concerto con le autorità sportive e locali interessate, un piano economico-finanziario dettagliato e completo, che contenga, in particolare: un dettaglio dei costi stimati iniziali e di quelli finali previsti, degli effetti del moltiplicatore, dei possibili benefici sul prodotto interno lordo e dell'impatto occupazionale e, inoltre, a sottoporre, altresì, tale piano al vaglio del Parlamento;
   ad assumere iniziative affinché, tramite il commissario straordinario di Roma Capitale sia indetto un referendum, regolato dallo statuto comunale, sullo svolgimento delle Olimpiadi del 2024 a Roma, informando adeguatamente circa la possibilità di scegliere tra l'Olimpiade per il 2024 e, a parità di risorse, impegnare analoghi sforzi pubblici su progetti alternativi legati allo sviluppo della capitale d'Italia;
   a portare avanti la proposta di candidatura ufficiale al Comitato olimpico internazionale solo dopo lo svolgimento del referendum.
(1-01090) «Fassina, Zaratti, Zaccagnini, Scotto, Franco Bordo, Airaudo, Claudio Fava, Placido, Gregori, Ricciatti, D'Attorre, Ferrara, Marcon, Carlo Galli, Duranti, Piras, Folino, Fratoianni, Melilla, Quaranta, Costantino, Daniele Farina, Giancarlo Giordano, Kronbichler, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Sannicandro».

Risoluzione in Commissione:


   La Commissione XII,
   premesso che:
    la legge 8 novembre 2000, n. 328, finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali e sociosanitari volti a superare la semplice assistenza del singolo, garantendo il sostegno della persona all'interno del proprio nucleo familiare, ha cambiato profondamente il sistema dei servizi e degli interventi sociali affermatosi fino ad allora sul territorio italiano ricoprendo un ruolo decisivo, in molti casi, per una sua effettiva attuazione;
    contestualmente all'approvazione di detta legge, ha visto la luce la legge costituzionale n. 3 del 2001, legge di riforma del titolo V della Costituzione. Con essa la competenza normativa esclusiva in materia di servizi socio-assistenziali è stata attribuita, in via residuale, in capo alle regioni, permanendo in capo allo Stato la determinazione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale. Tale ridefinizione del riparto di competenze tra il livello centrale e quello regionale ha senza dubbio attenuato secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, la forza riformatrice della legge n. 328 del 2000, pur rimanendo quest'ultima ancora oggi, a quindici anni dalla sua approvazione, legge quadro di riferimento per il sistema di welfare italiano. La sua attuazione si è dunque affermata sulla base di leggi regionali di recepimento e riordino del sistema integrato di interventi e servizi sociali. Occorre tuttavia precisare che non tutte le regioni hanno provveduto ad emanare l'apposita normativa attuativa: sono 14 infatti (assieme alla provincia autonoma di Trento) quelle che si sono mosse in questa direzione, ridefinendo il quadro organico del settore;
    la legge n. 328 del 2000 ha messo in campo un esteso tentativo di decentramento territoriale e di redistribuzione delle responsabilità, investendo gli enti locali di un ruolo centrale – anche in virtù del principio della sussidiarietà verticale – e caratterizzandosi per la promozione dell'integrazione tra i diversi attori istituzionali e sociali nel senso della ricerca di un livello adeguato di collaborazione, programmazione e gestione condivisa del sistema locale dei servizi. In tale ottica gli enti locali sono chiamati ad implementare forme di aggregazione intercomunale (ambiti territoriali) e a promuovere forme unitarie di organizzazione e gestione associata dei servizi in ambito distrettuale (piano di zona) attraverso accordi formali;
    per gestione associata dei servizi sociali deve dunque intendersi l'utilizzo di una forma organizzativa per la gestione unitaria dei servizi sociali di più comuni. La sua dimensione ottimale di riferimento comprende tutti i comuni dell'ambito sociale e il suo obiettivo strategico è quello di garantire in modo efficiente ed omogeneo i livelli essenziali delle prestazioni sociali (LEPS) in tutto il territorio;
    la forma per la gestione associata dei servizi sociali viene lasciata, da tutte le regioni, alla autonoma determinazione dei comuni che possono scegliere fra le forme previste dal testo unico degli enti locali (decreto legislativo n. 267 del 2000 – testo unico degli enti locali, in seguito TUEL);
    le possibili forme associative degli enti locali sono previste dal TUEL agli articoli 30 (convenzioni), 31 (consorzi), 32 (unioni di comuni), 33 (esercizio associato di funzioni e servizi) e 34 (accordi di programma). Alcune regioni hanno ampliato inoltre le citate possibilità. È il caso, ad esempio, della provincia autonoma di Bolzano che ha previsto con legge, un'azienda dei servizi sociali ad hoc per la gestione dei servizi sociali della città di Bolzano, o della regione Friuli-Venezia Giulia che ha previsto che i comuni possano costituire, anche in forma associata con altri enti locali e con soggetti privati, nuove aziende pubbliche di servizi alla persona (ASP) per gestire servizi socio-assistenziali e socio-sanitari, si tratta di una possibilità già introdotta dalla regione Emilia Romagna e in seguito anche dalla regione Puglia e dalla regione Marche. Realtà di gestione associata diverse sono nate anche in assenza di indicazioni normative regionali: è il caso delle aziende speciali (consortili o monocomunali) sviluppatesi nella regione Lombardia;
    il quadro delineato mostra con chiarezza come sussistano diverse possibilità organizzative per la realizzazione della gestione associata dei servizi sociali, ciò in forza del dato normativo, ma anche sulla scia di indicazioni ed esperienze assai diverse che provengono dalle regioni e dai comuni;
    semplificando, la scelta di gestione associata può essere realizzata secondo le seguenti possibilità: i patti di collaborazione amministrativi, come le convenzioni tra comuni oppure la delega dei comuni alle azienda sanitaria locale (Asl); la società o l'ente di diritto pubblico, come l'azienda speciale anche consortile, il consorzio, la comunità montana, l'unione di comuni; la società di diritto privato come la società per azioni, la società a responsabilità limitata e la fondazione;
    le possibilità sopra elencate presentano, ciascuna, determinate caratteristiche funzionali e aspetti peculiari. Senza dubbio alcuno le società o gli enti di diritto pubblico mostrano particolari punti di forza e vantaggi per gli enti locali, avendo personalità giuridica e autonomia gestionale, amministrativa e finanziaria. I patti di collaborazione amministrativa, d'altro canto, rappresentano una forma associativa «leggera», ampiamente diffusa, specie in determinate esperienze regionali;
    quest'ultima forma associativa tra comuni per la gestione dei servizi sociali, soprattutto quando è realizzata nella forma dell'accordo di programma, incontra specifici aspetti problematici, legati essenzialmente al fatto che l'organo di indirizzo politico (il comitato o la conferenza dei sindaci) non possiede uno status giuridico riconosciuto, ovvero è privo di personalità giuridica autonoma. In questo caso, la gestione del piano sociale di zona ricade formalmente e contabilmente sul comune capofila, che tuttavia non usufruisce di nessuna deroga specifica ai vincoli di legge per lo svolgimento di una funzione che in realtà investe non il proprio territorio ma quello di un numero più o meno ampio di comuni;
    in molti casi, il comune capofila non è individuato in modo stabile e definitivo dalla legge regionale, ma la funzione viene assunta a rotazione dai vari comuni appartenenti all'ambito territoriale. Tutto ciò determina notevoli problemi relativamente alla gestione finanziaria dei fondi, alla gestione tecnico-amministrativa dei servizi e alla situazione lavorativa e professionale degli operatori afferenti alla struttura tecnica (usualmente denominata «ufficio di piano»), deputata all'attuazione delle linee di indirizzo formulate dall'organo di indirizzo politico e a svolgere funzioni di supporto tecnico dello stesso e di gestione ed implementazione dei servizi e degli interventi sociali;
    riguardo ai lavoratori degli uffici di piano, essi sono da anni sottoposti a un regime di precariato, con tipologie contrattuali che vanno da contratti a tempo determinato a contratti di collaborazione coordinata e continuativa, ai contratti stipulati con lavoratori con partite iva o che operano presso agenzie interinali; alcuni servizi sono inoltre esternalizzati a cooperative sociali. Quest'ultima ipotesi desta particolare preoccupazione in quanto le professionalità in questione svolgono funzioni particolari, che spesso attengono al controllo sui percorsi di affidamento e alla valutazione dei risultati inerenti la programmazione degli interventi socio-sanitari. Appare quantomeno discutibile, secondo i firmatari del presente atto di indirizzo, che si possa giungere all'esternalizzazione di figure professionali deputate a valutazioni oggettive che, per essere tali, devono risultare scevre da qualsiasi condizionamento. Quanto esposto, assieme al quadro normativo sui contratti di lavoro dei soggetti che operano alle dipendenze della pubblica amministrazione e sui vincoli finanziari degli enti locali, rendono di fatto impossibile un'assunzione a tempo indeterminato di questi tecnici. Ciò a discapito delle importantissime funzioni svolte, fondamentali per una piena ed efficace applicazione della legge n. 328 del 2000 e per consentire un'evoluzione dei servizi locali di welfare che miri alla qualità e alla appropriatezza delle risposte ai bisogni socio-sanitari rilevati;
    le esperienze di gestione associata dei servizi sociali realizzate attraverso la costituzione di società o enti di diritto pubblico (aziende speciali e consortili, consorzi, società della salute) comportano indubbiamente determinati vantaggi che muovono innanzitutto dall'azione di un soggetto unico, ove l'adesione degli enti locali determina una maggiore condivisione degli interessi anche in presenza di un'azione di indirizzo politico più incisiva. Tali vantaggi possono declinarsi in un miglioramento dell'integrazione socio-sanitaria, nella possibilità di reinvestire le economie di scala realizzate, nella capacità di mobilitare e valorizzare le risorse territoriali in un contesto più ampio di quello comunale, nella riduzione dei costi indotti e gestionali, nonché dei tempi decisionali, nella possibilità di usufruire di personale tecnico dell'ufficio di piano stabile, attraverso una pianta organica definita;
    la realizzazione di tali modelli di gestione associata dei servizi sociali ha incontrato tuttavia diverse difficoltà dovute principalmente a una normazione a volte contraddittoria e promanante da fonti legislative diverse;
    riguardo alla competenza normativa occorre ribadire come la materia dei servizi sociali, a Costituzione vigente, sia attribuita in via esclusiva alla potestà normativa delle regioni e come la Corte costituzionale, con la sentenza n. 272 del 2004, abbia dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 113-bis del TUEL – che recava disciplina statale dei servizi privi di rilevanza economica – in quanto, nella valutazione della Consulta, i servizi citati non afferiscono alla materia della concorrenza (di esclusiva competenza statale). La relativa disciplina è dunque estranea alla potestà legislativa statale ma appartiene a quella delle regioni;
    successivamente a tale pronuncia, si sono tuttavia susseguite una serie di norme statali che hanno contribuito a complicare il quadro normativo e posto rilevanti difficoltà per alcuni modelli di gestione associata dei servizi sociali operanti in diverse regioni;
    basti pensare agli effetti dell'articolo 2, comma 28, della legge n. 244 del 2007 (legge di stabilità per l'anno 2008) in forza del quale a ogni amministrazione comunale veniva consentita l'adesione ad una unica forma associativa tra quelle previste dagli articoli 31, 32 e 33 del TUEL. Tale disposizione è venuta meno per i consorzi socio-assistenziali in forza della previsione di cui all'articolo 20, comma 5, lettera f) quater del decreto-legge n. 90 del 2014, così come convertito dalla legge n. 114 del 2014;
    la legge di stabilità per l'anno 2010, legge n. 191 del 2009 ha poi disposto la soppressione ope legis, con l'articolo 2, comma 186, dei consorzi di funzioni costituiti ai sensi dell'articolo 31 del TUEL, mettendo ulteriormente in difficoltà gli enti locali;
    a seguire, alcune norme del decreto-legge n. 95/2012 (cosiddetto spending review), nello specifico, il dettato dell'articolo 19, hanno previsto, per i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti, l'obbligo all'esercizio in forma associata, mediante unione dei comuni o convenzioni, delle funzioni fondamentali. A riguardo si è posto il dubbio se tale obbligo potesse essere assolto dalle aziende sociali; dubbio non sciolto definitivamente date le interpretazioni di carattere opposto addotte dalla Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per il Lazio, nella deliberazione del 17 maggio 2013, e dalla Corte dei Conti, sezione regionale di controllo per la Lombardia, nella deliberazione del 16 gennaio 2013;
    il recente decreto legislativo n. 39 del 2013, recante alcune disposizioni contro la corruzione ha stabilito inoltre (articolo 11, commi 2 e 3 e articolo 12 comma 4) l'inconferibilità e l'incompatibilità alla carica di amministratore di ente pubblico per coloro i quali rivestano il ruolo di componente di una giunta comunale o di consigliere comunale di un comune con popolazione superiore ai 15.000 abitanti o di una forma associativa tra comuni avente la medesima popolazione. La norma, pur avendo una ratio fondata, investe in maniera rilevante il settore dei servizi sociali, in quanto comporta che, in un'ottica associativa, i comuni con popolazione maggiore non possano esprimere il presidente in seno all'ente di diritto pubblico costituito per la gestione associata dei servizi sociali. Essendo tali servizi principalmente finanziati con risorse dei singoli enti locali, l'adesione dei comuni alla gestione associata è in larga parte condizionata alla capacità di esprimere efficacemente rappresentanza politica. Un'interpretazione restrittiva della norma citata pone un ostacolo importante all'incentivo alla gestione associata, se percepita come limite alla rappresentanza dei comuni negli organi decisori;
    le ragioni alla base della gestione associata dei servizi sociali promossa dalla legge n. 328 del 2000 si sono dimostrate più che fondate, garantendo: una maggiore distribuzione uniforme dei servizi nel territorio nazionale e i livelli essenziali delle prestazioni sociali anche nei piccoli comuni, una gestione unica del piano di zona, la possibilità di sviluppare economie di scala, l'innalzamento della qualità organizzativa e il miglioramento qualitativo e sul piano dell'efficienza dei servizi sociali. Nonostante ciò, sulla specifica materia, interventi legislativi da parte di fonti diverse hanno portato alla creazione negli ultimi anni di un corpus normativo contraddittorio e disomogeneo, dove la successione in un arco temporale relativamente breve di norme statali, regionali e di pronunce della Corte costituzionale ha contribuito alla creazione dell'attuale situazione di confusione normativa, rendendo difficile e incerto per gli enti locali investire in questa direzione;
    la riforma costituzionale attualmente in via di approvazione in seconda lettura ha riportato nel novero della potestà legislativa dello Stato la disciplina delle disposizioni generali e comuni in materia di politiche sociali e sanitarie, potestà che, nell'ultima versione del nuovo Titolo V approvato al Senato, può essere devoluta alla regioni con legge statale;
    l'esperienza di questi 15 anni di applicazione della legge n. 328 del 2000 ha mostrato, da un lato, la necessità che le forme di gestione associata dei servizi sociali tengano conto delle esigenze, degli obiettivi e delle caratteristiche locali, dall'altro, maggiori problematiche per le forme di gestione associata che si sviluppano in assenza di un autonomo soggetto dotato di personalità giuridica,

impegna il Governo:

   ad assumere iniziative per chiarire il quadro normativo sopra citato, con particolare riguardo alle disposizioni inerenti ai consorzi socio-assistenziali e alle aziende speciali, ridefinendo in modo chiaro le condizioni entro cui gli enti locali possono aderire e dar vita a tali forme strumentali per la gestione associata dei servizi sociali;
   a promuovere in sede di Conferenza Stato-regioni un tavolo di confronto sul tema della gestione associata dei servizi sociali, facendo sì che – nel rispetto delle specifiche competenze normative – le regioni indichino le modalità di gestione associata dei servizi sociali di cui possono usufruire gli enti locali, esprimendo chiara preferenza per le forme associative dotate di autonoma personalità giuridica, condizionando le forme convenzionali alla stabile afferenza dell'ufficio di piano a un determinato ente locale e valutando altresì la possibilità di stabilire un regime specifico per le funzioni svolte dai comuni capofila.
(7-00880) «Piazzoni, Lenzi, Amato, Mariano, Giuditta Pini, Patriarca, D'Incecco, Sbrollini, Paola Boldrini, Carnevali, Capone».

ATTI DI CONTROLLO

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI

Interrogazione a risposta in Commissione:


   FIORIO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   l'Italia è oggi il primo produttore mondiale di vino con un quantitativo di produzione stimato a 48,9 milioni di ettolitri annui;
   il settore vitivinicolo, e in particolare quello a denominazione di origine protetta, rappresenta un comparto fondamentale per l'intero sistema economico, produttivo e occupazionale del nostro Paese, per numero di addetti della filiera (circa 1 milione e 250 mila), volume di fatturati (circa 9,4 miliardi di euro annui) ed esportazioni (circa 5,1 miliardi di euro all'anno);
   il settore vitivinicolo è quindi un volano irrinunciabile per la promozione del « Made in Italy» nel mondo;
   gli ultimi dati ufficiali Istat (relativi all'anno solare 2013) indicano infatti che il 38,5 per cento della produzione italiana è stato di vini Doc e Docg (Denominazione di origine controllata e Denominazione di origine controllata e garantita), in crescita dell'8,2 per cento sul 2012, mentre i vini lgp (Indicazione geografica protetta) hanno rappresentato il 35 per cento della produzione, con un incremento del 25,8 per cento rispetto al 2012. Conseguentemente i vini senza denominazione, chiamati anche «vini comuni», rappresentano solo il 26,5 per cento del totale;
   il primato italiano si registra anche rispetto ai vini certificati Dop e Igp (523 denominazioni pari al 33 per cento dell'intero paniere europeo), con una produzione complessiva che si attesta intorno ai 22 milioni di ettolitri e un fatturato stimato alla produzione per l'imbottigliato di 7,1 miliardi di euro (2,7 miliardi di euro per lo sfuso), di cui 4,3 destinati all'export, con oltre 200.000 operatori coinvolti;
   nell'Unione europea la produzione e la classificazione dei vini sono disciplinate da appositi regolamenti comunitari e dalle relative norme nazionali applicative. Nel corso degli ultimi anni la legislazione si è aggiornata con l'emanazione della nuova Ocm «Vino»: il riferimento principale è il Regolamento (CE) n. 479/2008 del Consiglio per quanto riguarda le denominazioni di origine protette e le indicazioni geografiche protette, le menzioni tradizionali, l'etichettatura e la presentazione di determinati prodotti vitivinicoli;
   successivamente con il Regolamento (CE) n. 607/2009, la Commissione europea ha disposto le «modalità di applicazione del Regolamento CE n. 479/2008»;
   nel dettaglio il paragrafo 4 dell'articolo 62 del Regolamento (CE) n. 607/2009 cita testualmente: «I nomi di varietà di uve da vino e i loro sinonimi elencati nell'allegato XV, parte B, del presente regolamento che contengono in parte una denominazione di origine protetta o un'indicazione geografica protetta e si riferiscono direttamente all'elemento geografico della denominazione di origine protetta o dell'indicazione geografica protetta, possono figurare esclusivamente sull'etichetta di un prodotto a denominazione di origine protetta o indicazione geografica protetta o a indicazione geografica di un paese terzo»;
   in sintesi, a oggi, i nomi di varietà di uva da vino, e i loro sinonimi, contenuti nell'allegato sopracitato non possono essere utilizzati nell'etichettatura dei vini senza indicazione geografica (ex vini da tavola, chiamati anche «vini varietali») e il loro utilizzo è limitato alle condizioni d'uso espressamente previste negli allegati. In particolare, i nomi di varietà possono essere utilizzati solo su vini a Do e Ig, provenienti dai Paesi espressamente e tassativamente indicati negli allegati;
   recentemente è stato avviato, presso le competenti istituzioni dell'Unione europea, il processo di revisione delle norme comunitarie che disciplinano l'etichettatura dei vini, finora contenute nel Regolamento (CE) n. 607/2009, la Commissione europea ha inoltre precisato che tale revisione non riguarderà la parte A ma potrebbe comunque coinvolgere la parte B del citato allegato XV;
   in preparazione di una proposta di regolamento in merito, la Direzione generale agricoltura e sviluppo rurale della Commissione europea ha presentato alcune opzioni di riforma;
   la Commissione europea non ha infatti escluso di autorizzare l'uso nell'etichettatura di tutti i vini, compresi quelli senza indicazione geografica prodotti in uno qualsiasi degli Stati membri dell'Unione europea, di quei nomi di varietà che oggi sono riservati a specifiche denominazioni d'origine protette (Dop) o indicazioni geografiche protette (Dop) di precisi Stati membri;
   modificare la parte B del citato allegato XV potrebbe conseguentemente aprire forme di liberalizzazione sull'uso dei nomi elencati permettendone l'utilizzo nelle etichette di prodotti senza nessuna indicazione geografica;
   in Italia, se la Commissione europea decidesse di procedere secondo le opzioni di modifica presentate sarà possibile, per un qualsiasi vino comune europeo riportare in etichetta nomi di vitigni quali «Barbera», «Lambrusco», «Nebbiolo», «Primitivo», «Sangiovese», «Teroldego», «Verdicchio», «Vernaccia» o «Vermentino», (solo per citarne alcuni); si tratta di nomi che costituiscono la parte integrante di rinomate Dop o lgp, perché caratteristiche di quei luoghi e, quindi, strettamente legate a quei territori dove le varietà di uve si sono affermate storicamente per la produzione di vini di qualità certificata;
   questa forma di liberalizzazione contrasta palesemente a giudizio dell'interrogante, con i principi sanciti dal citato paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento (CE) n. 607/2009;
   le proposte di revisione delle norme comunitarie che disciplinano l'etichettatura dei vini stanno causando grande preoccupazione nell'intero settore vitivinicolo nazionale. È stato infatti evidenziato come l'appiattimento di vitigni che rappresentano una autentica bandiera delle produzioni delle nostre zone a generici varietali che potranno un domani essere liberamente prodotti e commercializzati ovunque, significa distruggere l'immagine che le nostre realtà hanno costruito in secoli di duro lavoro e fatica; è stato poi rimarcato come ciò comporterebbe una banalizzazione di alcuni dei principi su cui si regge la forza del settore vitivinicolo nazionale, con possibili ripercussioni negative sulla redditività dell'attività agricola in ampie aree rurali del Paese e che riportare il corretto nome del vitigno nelle etichette, legato effettivamente alla zona di produzione, rappresenta una scelta irrinunciabile per la tutela del Made in Italy e un fattore qualificante per i consumatori di tutto il mondo;
   il Ministero delle Politiche agricole alimentari e forestali, quale Autorità pubblica preposta alla salvaguardia degli interessi socio-economici dell'intera filiera vitivinicola di qualità nazionale, si è opposto alla revisione dei principi espressi dal citato paragrafo 4 dell'articolo 62 del Regolamento, fatta salva la possibilità di utilizzare i vitigni in questione nell'etichettatura di altri vini Dop o Igp europei o Ig dei Paesi terzi già espressamente indicati nell'allegato XV;
   rispetto a tale problematica i Paesi europei sembrano sono schierati differentemente: la Spagna è infatti intervenuta sostenendo la necessità di una semplificazione che porti alla possibilità di utilizzare tutte le varietà di vite per le quali è ammessa la coltivazione nell'etichettatura dei vini (Dop, Igp e senza indicazione geografica). A tale richiesta si sono associate Danimarca, Regno Unito, Svezia, Bulgaria e Polonia (nazioni quindi non produttori di vino, con interessi più vicini a quelli del commercio che della produzione). Sul fronte opposto, in linea di principio, Francia, Austria, Germania, Ungheria, Romania e Portogallo hanno manifestato posizioni più vicine a quella italiana chiedendo una semplificazione che tenga comunque conto del legame tra le tipologie di vite e i territori di produzione –:
   quali iniziative urgenti di competenza il Governo intenda assumere in ambito comunitario affinché, nei processi in atto di revisione delle norme che disciplinano l'etichettatura dei vini promossi dalla Unione europea, vengano confermati e rafforzati i principi sanciti dal paragrafo 4 dell'articolo 62 del regolamento (CE) n. 607/2009 e venga, conseguentemente, vietata ogni modifica della parte B dell'allegato XV, di cui in premessa, che possa consentire di inserire, nell'etichettatura dei vini, compresi quelli senza indicazione geografica prodotti in uno qualsiasi degli Stati membri dell'Unione europea, quei nomi di varietà di vitigno che oggi sono riservati esclusivamente a specifiche denominazioni d'origine protette o indicazioni geografiche protette. (5-07302)

Interrogazioni a risposta scritta:


   FRANCO BORDO. — Al Presidente del Consiglio dei ministri. — Per sapere – premesso che:
   in data 8 e 9 novembre 2015 il Presidente del Consiglio Renzi, con una delegazione di circa cinquanta persone, si è recato in Arabia Saudita in visita ufficiale;
   in data 8 gennaio 2015 il Fatto Quotidiano, ha pubblicato un articolo in cui denunciava lo scoppio di forti tensioni all'interno della delegazione italiana, a causa di regali ricevuti dai sauditi che sarebbero stati dei cronografi di minor valore (alcune migliaia di euro) rispetto ad altri omaggi, orologi Rolex molto preziosi, ricevuti in regalo solo da alcuni membri della delegazione stessa;
   sempre il Fatto Quotidiano riportava che, a causa della violenta discussione scoppiata all'interno del Palazzo Reale di Ryad la sera dell'8 novembre, fossero stati promessi o regalati dai sauditi altri Rolex per placare gli animi tra gli italiani in visita ufficiale;
   secondo quanto riportato dal quotidiano nazionale, a quel punto i preziosi regali sarebbero stati ritirati da personale italiano e messi a disposizione della Presidenza del Consiglio;
   è tuttora vigente una direttiva del Governo italiano che impone il rifiuto di regali che abbiano un valore superiore ai 150 euro;
   l'Arabia Saudita è uno Stato colpevole di non rispettare i diritti umani e civili –:
   se sia vero che la delegazione, guidata dal Presidente del Consiglio dei ministri Renzi, abbia accettato cronografi e orologi Rolex in omaggio dal Paese ospitante, responsabile, tra l'altro, di violazione di diritti umani fondamentali;
   se non intenda rendere noto a chi siano stati consegnati tali regali;
   se corrisponda al vero che attualmente siano in capo alla Presidenza del Consiglio;
   se, oggi, tali regali siano nella disponibilità di Palazzo Chigi, se non ritenga di rendere noto quanti siano i cronografi e quanti gli orologi Rolex e se corrispondano con il numero di regali ricevuti a Ryad;
   quali iniziative intenda mettere in atto il Presidente del Consiglio per fare chiarezza sull'intera vicenda. (4-11581)


   QUARANTA, PASTORINO, RICCIATTI, PIRAS, PELLEGRINO e ZARATTI. — Al Presidente del Consiglio dei ministri, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   il 17 dicembre 2015 la maggioranza di centrodestra della regione Liguria ha approvato il piano casa, contingentando il dibattito e decidendo unilateralmente di non procedere con la discussione degli emendamenti presentati dalle opposizioni;
   l'epilogo del voto ha visto però un dibattito molto acceso nella società civile riportato dai media locali: domenica 18 ottobre 2015 il Secolo XIX titolava in prima pagina «Piano casa. In Liguria via libera al cemento». L'articolo faceva riferimento ad una prima lettura della bozza del Piano Casa che la giunta regionale di Toti avrebbe presentato nei giorni successivi. All'interno del quotidiano si legge: «Le principali novità, in un territorio così sensibile, dopo i ripetuti disastri alluvionali, faranno molto discutere. Perché l'impianto riprende e «potenzia» non poco le facoltà – in teoria provvisorie, studiate per contrastare la crisi – concesse dalla norma del 2009. Come? Estendendo le possibilità di costruzione nei Parchi naturali, ad esempio, e cancellando alcuni vincoli che erano diventati un incubo per i costruttori liguri». Vengono poi evidenziati cospicui incrementi volumetrici concessi in caso di riqualificazione e l'impossibilità dei sindaci di opporsi;
   pochi giorni dopo, il piano casa viene approvato in giunta con qualche modifica all'impianto originale. Un testo che il Secolo XIX giudica «spregiudicato» (Secolo XIX di martedì 20 ottobre). Quello che è evidente è che il piano casa riprende e potenzia quello della precedente giunta Burlando del 2009 a favore di una maggiore deregolamentazione: ammette la possibilità di costruire nei parchi, concede a chi riqualifica edifici residenziali un aumento dei volumi del 35 per cento, per quelli non residenziali ancora superiore, sparisce il vincolo di destinare il 29 per cento dei nuovi alloggi al social housing, prevede la possibilità di cambiamento di destinazione d'uso; i comuni e i sindaci avranno solo armi spuntate dal momento che tra le disposizioni che decadono c’è anche la facoltà dei comuni di potere individuare aree nelle quali le norme non si applicano;
   sono molte le critiche che da giorni accompagnano il disegno di legge. Tra i primi ad esprimersi è Salvatore Settis, archeologo e storico dell'arte che su Repubblica del 23 ottobre 2015 dichiara: «Fare un Piano casa del genere in una regione martoriata come la Liguria, con un eccesso di costruito e con un dissesto idrogeologico che la rende fragilissima, e che ha già prodotto purtroppo una sequenza di eventi luttuosi, la ritengo un'azione semplicemente irresponsabile» e invoca l'intervento di Renzi per impugnare l'atto. Dello stesso avviso è il presidente dell'Ente Parco delle Cinque Terre Vittorio Alessandro che così si esprime: «Il mio timore è che in quella legge il pregiudizio sia a favore del cemento. Temo che quel Piano non tuteli né riqualifichi la casa di tutti, inteso come bene comune, ma appesantisca soltanto il carico di cemento che la Liguria sopporta» (La Repubblica 21 ottobre 2015); Santo Grammatico presidente regionale di Legambiente sottolinea invece il carattere speculativo che il Piano Casa, se mantenesse queste caratteristiche, avrebbe: «Il piano casa non è lo strumento col quale si possa rilanciare l'edilizia, nella nuova legge è assente uno studio sullo stato del patrimonio edilizio e abitativo e per come è formulato risulta solo uno strumento per aggredire i territori di maggior pregio lungo la costa, favorendo le rendite e la speculazione. Per questo la novità più significativa è la forzatura sulle aree protette vista mare» (La Repubblica 25 ottobre 2015);
   particolarmente significativi risultano i dati contenuti nel report dell'ISPRA, l'Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale che evidenziano come nell'area comunale genovese, il suolo consumato ha raggiunto il 20,4 per cento del territorio. I dati di territorio cementificato della Liguria sono leggermente superiori alla media: tra il 5,9 e l'8 per cento. Alla domanda se sia ipotizzabile pensare a un ulteriore sviluppo edilizio della regione, Michele Munafò, ricercatore responsabile del rapporto così risponde al giornalista: «Se si parla di nuovo suolo sicuramente no, il territorio è saturo. Si può invece intervenire con piani di riqualificazione e rigenerazione urbana»;
   nel cosiddetto piano casa appena varato dalla giunta Toti che sostituisce la precedente legge regionale del 3 novembre 2009, n. 49, della giunta Burlando in scadenza il 31 dicembre 2015, non è segnata alcuna data di scadenza;
   un piano casa così dettagliato e specifico che indica persino i volumi precisi e deroga alla legge urbanistica generale sembra agli interroganti un'intrusione illegittima nella potestà amministrativa dei comuni, riconosciuta dall'articolo 118 della Costituzione, senza contare che in questo caso verrebbe a mancare l'aspetto di leale collaborazione a cui le regioni sono tenute rispetto ai rapporti con i relativi comuni;
   negli ultimi anni la Liguria ha fatto fronte a due alluvioni che ne hanno profondamente segnato il territorio. È stato inoltre evidenziato come i danni siano stati amplificati dalla cementificazione selvaggia presente su tutto il territorio regionale;
   a fronte di ciò, secondo gli interroganti il piano casa con le caratteristiche fino a qui descritte andrebbe in conflitto con gli articoli 9 e 32 della Costituzione, che tutelano le aree naturali protette (mentre aumentando le aree edificabili metterebbe a rischio centinaia di persone che vivono in aree già fortemente segnate dal dissesto idrogeologico), con l'articolo 117, terzo comma, tra le altre cose disattendendo la normativa quadro dello Stato in materia di parchi naturali, con la Strategia «Europa 2020» che pone obiettivi specifici nel campo dei cambiamenti climatici e della sostenibilità energetica e con la direttiva europea 2012/27/UE in materia di efficienza energetica in quanto nel piano non sono indicati una serie di obblighi a proposito di riduzione dei consumi energetici ed efficientamento dell'edilizia pubblica –:
   se possano garantire il più rigoroso esame della nuova normativa ligure in sede di Consiglio dei ministri, valutando se sussistano i presupposti per impugnare la legge regionale n. 22 del 2015 dinanzi alla Corte costituzionale qualora siano confermate tutte le scelte sopra indicate, in contrasto con i principi costituzionali e gli obblighi dell'ordinamento europeo.
(4-11587)

BENI E ATTIVITÀ CULTURALI E TURISMO

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, GIANCARLO GIORDANO, PANNARALE, CARLO GALLI, MELILLA, SCOTTO, FRATOIANNI, DURANTI, QUARANTA, PELLEGRINO, PIRAS, COSTANTINO, NICCHI, SANNICANDRO e KRONBICHLER. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   l'Atleta Vittorioso (il cosiddetto Lisippo di Fano) è una scultura in bronzo attribuita all'artista ellenistico Lisippo, alta circa un metro e mezzo, senza piedi, pesante 50 chili, di grande valore storico artistico per l'Italia;
   la statua è da otto anni oggetto di una controversia giudiziaria per la restituzione del bronzo, attualmente in possesso del Paul Getty Museum di Malibù, all'Italia, considerato che il bronzo è stato ripescato nel 1964 da un peschereccio di Fano e poi esportato illegalmente, attraverso vari passaggi, negli Stati Uniti;
   l'interrogante aveva già sottoposto la questione al Ministro interrogato con l'atto l'interrogazione in Commissione n. 5-01785 annunciata nella seduta n. 143 del dicembre 2013, alla quale si richiama integralmente per riepilogare nel dettaglio la vicenda;
   la controversia era sottoposta al vaglio della Corte di Cassazione, che ha di recente annullato l'ordinanza di confisca emessa dal giudice delle indagini preliminari presso il tribunale di Pesaro nel 2009, in quanto patrimonio indisponibile dello Stato, a seguito della pronuncia della Corte costituzionale, dalla stesso giudice di legittimità adita per pronunciarsi in merito alla costituzionalità del comma 3 dell'articolo 666 del codice di procedura penale, che imponeva la camera di consiglio per il procedimento citato;
   la Corte costituzionale, con la sentenza n. 109 del 2015 ha ritenuto incostituzionale tale previsione, richiamando gli orientamenti della Corte europea dei diritti dell'uomo, che impongono l'udienza pubblica, cosicché la Corte di cassazione ha dovuto rinviare gli atti al giudice per le indagini preliminari che ha emesso il provvedimento di confisca, per ricominciare l’iter della fase processuale di competenza (Ansa, 28 dicembre 2015);
   al di là del piano giudiziario della vicenda, i diversi Ministri dei beni e delle attività culturali, succedutisi nel frattempo, hanno più volte affermato l'intenzione di procedere per via diplomatica per riottenere la statua dell'Atleta Vittorioso. Da ultimo anche il Ministro Franceschini, in visita a Fano il 9 settembre 2015, ha ribadito che «col Lisippo ci proviamo», lasciando intendere un'attività in corso per ottenere il bronzo, pur non nascondendo le difficoltà del dossier (Il Resto del Carlino, ed. Pesaro, 10 settembre 2015)  –:
   se il Ministro interrogato sia in grado di fornire informazioni dettagliate sullo stato della trattativa tra l'Italia e gli Stati Uniti per il rientro nel nostro Paese della statua del Lisippo;
   quali ulteriori iniziative di competenza intenda intraprendere al fine di agevolare il rientro del bronzo. (5-07306)


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   una statuetta di sacerdotessa nuragica è in vendita a New York;
   si tratta di un pezzo rarissimo, di fatto sottratto al patrimonio della Sardegna con dubbie modalità, in vendita presso una casa d'aste americana per 18.000 dollari;
   si tratta di un nuovo gravissimo atto contro la Sardegna e la sua storia millenaria, e rivelerebbe che il Ministero dei beni culturali è ancora una volta incapace di impedire la commercializzazione di questi beni;
   si è dinanzi ad un vero e proprio sfregio alla Sardegna e ai sardi. Tutto questo è di una gravità inaudita, considerato che il Ministero è stato ripetutamente richiamato a monitorare le case d'asta per bloccare sul nascere questa scandalosa compravendita della civiltà nuragica;
   è indispensabile che il Ministero intervenga, seppur tardivamente, per bloccare questa indegna commercializzazione di beni sottratti al patrimonio archeologico della Sardegna;
   si tratta di beni che sono oggetto di una commercializzazione online per conto della Phoenix Ancient Art;
   un commercio che prevede anche la spedizione gratuita a casa;
   il Ministero, a giudizio dell'interrogante, sta a guardare inerme e incapace di intervenire per bloccare questa commercializzazione di quantomeno dubbia legittimità di archeologia proveniente con certezza da scavi nei siti nuragici della Sardegna;
   la statuetta sopra descritta è un pezzo rarissimo e viene così descritta dalla casa d'aste: «Nonostante la superficie gravemente corrosa, la statuetta è intatta. Getto in bronzo massiccio, è stato fissato al supporto da un codolo verticale come estensione dei talloni che servivano anche da punto di ingresso per il metallo fuso durante il processo di colata. La statuetta rappresenta una figura in piedi (probabilmente una donna) in posizione rigorosamente frontale. Il suo abbigliamento sembra piuttosto complesso: sopra una tunica a strisce con linee verticali che cadono appena alle caviglie, indossa una sopravveste che la copre fino alle ginocchia; per completare, un ampio mantello, il cui tessuto è decorato con linee orizzontali e piccoli tratti, viene posto sulle spalle, nascondendo così il busto. La testa è ricoperta da un grande casco che ha la forma di una campana. La sua mano sinistra, ha sollevato verso lo spettatore, viene interpretato come un gesto di culto o di saluto ad una divinità. Nell'altra mano, tiene un oggetto apparentemente piatta, forse una torta o una tazza, offerto come un ex-voto. Esistono diversi tipi di statuette nuragiche raffiguranti figure umane: i “capi tribali”, i pastori, i guerrieri, gli arcieri, l'adoratore (s), gruppi (madre e figlio, lottatori, e altro). A causa della sua posa pacifica, i suoi gesti delle mani e, in particolare, il suo abbigliamento complicato compreso il casco a punta, questo dato può probabilmente essere identificati come una sacerdotessa»;
   «cronologicamente, queste statue possono essere datate sia per la presenza di materiale nuragico in Etruria o, al contrario, sulla base delle scoperte etrusche, greche e fenicie in Sardegna; in tal modo, si arriva ad una datazione tra la fine del 9o e del 6o secolo aC; figure “classiche” come questa hanno maggiori probabilità di essere datate all'8o o 7o secolo aC.» –:
   se non ritenga il Ministro di dover immediatamente intervenire, per quanto di competenza, per bloccare la commercializzazione di tali reperti;
   se non ritenga di dover attuare ogni genere di iniziativa al fine di salvaguardare l'unitarietà del patrimonio straordinario della civiltà nuragica;
   se non intenda attivarsi con l'amministrazione americana per stabilire le modalità di recupero di tali beni ed evitare il ripetersi di tali gravissime commercializzazioni. (5-07317)


   PILI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a New York si sta consumando quella che per l'interrogante è una vera e propria tratta della civiltà nuragica;
   alla «sacerdotessa» nuragica in vendita per 18.000 dollari, si aggiunge la messa in vendita di un reperto straordinario per foggia e valore che ritrae un personaggio femminile con dettagli rigorosi e unici;
   questa volta nessun prezzo, che la casa d'aste si riserva di fornire solo su richiesta;
   si tratta per l'interrogante di un mercato della civiltà nuragica senza precedenti;
   questo è solo quello che sta emergendo da un monitoraggio parziale, senza considerare tutto ciò che si nasconde, in generale, nel mercato clandestino;
   stanno «vendendo» la civiltà e la storia del popolo sardo e nessuno fa e dice niente;
   si assiste per l'interrogante ad un silenzio del Ministero dei beni culturali che, nonostante sia stato ripetutamente sollecitato ad intervenire sulla questione continua a mostrarsi incerto e a restare inerme dinanzi a questo reiterato misfatto;
   è fin troppo evidente, a giudizio dell'interrogante, che si è dinanzi ad operazioni di traffico di reperti dalla Sardegna verso il florido mercato dei reperti provenienti dagli scavi nuragici dell'isola;
   si è dinanzi ad un Ministero che si rivela, per l'interrogante, sempre più assente e ad una regione incapace di far sentire la propria voce;
   la vendita su richiesta anche di quest'altra straordinaria statuetta nuragica senza prezzo, o meglio solo su richiesta, è il frutto di un mercato consolidato e di fatto possibile a causa dell'inerzia delle istituzioni;
   è indispensabile chiedere l'intervento urgente dell'ambasciatore americano a Roma, John Phillips, perché intervenga presso l'amministrazione americana e le articolazioni giudiziarie affinché si faccia immediatamente bloccare la vendita di dubbia legittimità di un bene che è stato sottratto da scavi archeologici nuragici in Sardegna;
   la Sardegna è pronta ad un durissima campagna contro il traffico di reperti archeologici rubati;
   se l'amministrazione americana non interverrà per vietare questo tipo di vendite e restituire senza se e senza i beni archeologici indebitamente sottratti al popolo sardo, sarà opportuno avviare un'azione forte in difesa della millenaria civiltà nuragica della Sardegna;
   la statuetta senza prezzo, ma in vendita nel sito della Phoneixancientart è completa in tutte le sue parti e si trova in ottime condizioni;
   secondo gli esperti che l'hanno valutata, questo pezzo è uno dei migliori esempi di nuragica scultura in bronzo e riunisce tutte le principali caratteristiche di questa classe di oggetti;
   lo stile è pulito e preciso, quasi geometrico, non solo nelle forme pure ed essenziali, ma anche nella struttura, che sottolinea sia l'asse frontale e sia gli assi verticale e orizzontale;
   nel sito sopra richiamato è indicato con precisione lo stato del reperto/cimelio esclusivo: usura superficiale (in particolare al confine del mantello, sul bordo del piatto e sulle dita). Polso sinistro accidentalmente piegato verso il basso. Superficie di un colore bronzo dorato, con una bella patina verde in posti (piatto). Tracce di lucidatura all'interno del mantello;
   questa statuetta – secondo la casa d'aste – rappresenta una donna in piedi in una posizione rigorosamente frontale (visto di profilo, il pezzo è quasi piatta). Il corpo magro è dritto e non mostra particolari, fatta eccezione per i seni piccoli circolari in rilievo molto basso. Le braccia sono diffuse ed indirizzate verso lo spettatore: il braccio destro è piegato verso l'alto, mentre la mano è aperta con quattro dita tese e il pollice in un angolo. Il braccio sinistro è leggermente abbassata, mentre la mano tiene un piatto un'offerta piena di quattro oggetti (due «cornetti» e due «panini», la cui esatta natura resta enigmatica) –:
   se non ritenga il Ministro interrogato di dover immediatamente intervenire, per quanto di competenza, per bloccare anche questa nuova vendita;
   se non ritenga di dover attuare ogni genere di iniziativa al fine di salvaguardare l'unitarietà del patrimonio straordinario della civiltà nuragica;
   se non intenda attivarsi con l'amministrazione americana per stabilire le modalità di recupero di tali beni ed evitare il ripetersi di tali gravissime commercializzazioni. (5-07318)

Interrogazioni a risposta scritta:


   ARLOTTI. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   a Rimini, lo storico ristorante trattoria «Da Tonino il Lurido» ha chiuso i battenti nell'ottobre 2014;
   il sito TripAdvisor offre consigli di viaggio pubblicati da milioni di viaggiatori e i siti a marchio TripAdvisor rappresentano in 47 paesi la più grande community di viaggiatori del mondo, con 350 milioni di visitatori unici ogni mese e più di 290 milioni di recensioni e opinioni relative a 5,3 milioni di alloggi, ristoranti e attrazioni;
   sulla pagina di Tripadvisor del ristorante «Il Lurido» sono apparse delle recensioni nonostante la chiusura del locale, esattamente da ottobre 2015 sono 7 le recensioni scritte da persone che ne tracciano l'ottima qualità dei piatti serviti come se, in questo periodo, si fossero effettivamente sedute ai tavoli;
   di fronte alla notizia riportata dai media, l'ufficio stampa di TripAdvisor ha risposto che «attualmente sul sito sono presenti 5.3 milioni di business a livello globale, e ogni volta che riceviamo una segnalazione riguardo al cambiamento di dati relativi a un business, compresa la chiusura dello stesso, agiamo per verificare lo stato dell'attività e aggiornare di conseguenza il sito. In questo caso abbiamo investigato lo stato del ristorante ed essendo stato confermato che la struttura ha chiuso definitivamente abbiamo attivato la procedura volta ad aggiungere la segnalazione “chiuso” sulla rispettiva pagina all'interno del sito. Il potere della nostra community rappresenta di per sé una forza auto regolamentata e la natura stessa del nostro sito permette di rettificare tempestivamente qualunque imprecisione o incorrettezza», ammettendo sostanzialmente a giudizio dell'interrogante, di non controllare a priori l'attendibilità di quanto pubblicato;
   in un recente articolo, pubblicato da Il Messaggero del 22 giugno 2015, viene riportata la notizia di un esperimento condotto da «Italia a Tavola» per verificare l'attendibilità di TripAdvisor, celebre sito di recensioni: «Italia a Tavola» avrebbe iscritto al sito un ristorante, «La scaletta», mai esistito, a Moniga del Garda, attribuendogli recensioni ottime e facendolo balzare in cima alle classifiche del gradimento;
   nel 2012, il periodico «Il Salvagente» raccontava la paradossale offerta commerciale che si è vista recapitare la stragrande maggioranza dei 1.100 albergatori di Rimini, da una fantomatica Delta System, «agenzia promozionale on web», che proponeva pacchetti di recensioni positive per migliorare il posizionamento delle strutture ricettive; già nel 2011 Patrizia Rinaldis, presidente dell'Associazione italiana albergatori di Rimini, aveva ribadito la necessità di cambiare le regole di questi servizi, basati su recensioni anonime, a volte rivelatesi false;
   nel 2010 Federalberghi ha inviato all'Autorità garante della concorrenza e del mercato una segnalazione di presunta scorrettezza delle pratiche commerciali poste in essere da Tripadvisor;
   da quanto sopra riportato, è evidente, per l'interrogante, che nessun controllo sia stato fatto da Tripadvisor nelle varie occasioni per verificare la reale esistenza o operatività di un'attività, né tanto meno siano stati predisposti dei sistemi di controllo delle presunte finte recensioni –:
   quali iniziative di competenza, anche normative intenda intraprendere il Ministro interrogato per risolvere il problema dell'inattendibilità del mezzo, che pare pubblicare recensioni di clienti o supposti tali senza operare alcun preventivo controllo, e per introdurre un riconoscimento di certificazione e affidabilità delle recensioni, a garanzia della tracciabilità e credibilità di coloro che esprimono i loro giudizi. (4-11580)


   MAZZIOTTI DI CELSO. — Al Ministro dei beni e delle attività culturali e del turismo. — Per sapere – premesso che:
   la gestione del servizio biglietteria e dei servizi aggiuntivi del circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino» è affidata fin dal 1997 in concessione a un'associazione temporanea di imprese, di cui fanno parte attualmente Mondadori Electa e CoopCulture. Il raggruppamento temporaneo è risultato, infatti, aggiudicatario della gara relativa al bando pubblicato nel foglio delle inserzioni n. 245 della Gazzetta Ufficiale del 18 ottobre 1996;
   il rapporto di concessione è regolato dall'atto di concessione per i servizi aggiuntivi n. 6952 del 4 agosto 1997 che l'interrogante ha potuto visionare;
   tale atto, nel definire tra le attività collaterali ai servizi aggiuntivi la gestione della biglietteria e della prenotazione degli ingressi, prevedrebbe un canone fisso di concessione annua di 300 milioni di lire ed una quota percentuale del 30,2 per cento sul fatturato annuo lordo (iva esclusa) realizzato nella gestione del servizio;
   la concessione è stata rinnovata nel 2001 e nel 2005 attraverso rispettivamente, gli atti n. 8618 del 3 agosto 2015 e n. 25 del 14 luglio 2015, che confermano i canoni fissi e percentuali stabiliti nel 1997;
   dal 1o gennaio 2011 la gestione del servizio biglietteria e dei servizi aggiuntivi del circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino» avviene, a quanto consta all'interrogante, in assenza di atti formali, anche, ma non solo, a causa della promessa revisione e attesa emanazione delle linee guida;
   alla base della rilevazione della direzione generale bilancio-servizio III-ufficio di statistica del Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, risulta all'interrogante che gli incassi dei vari servizi aggiuntivi previsti nel circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino» (audioguide, bookshop e vendita di gadget, prenotazioni/prevendite e visite guidate) sono stati, dal 2001 a oggi pari a circa 74 milioni di euro, dei quali meno di 9 milioni di euro sono entrati nelle casse della Soprintendenza (circa il 12 per cento del totale);
   in particolare, dal 2011 a oggi, anni in cui non risultano all'interrogante atti formali che regolano la concessione rinnovata e poi prorogata, sono stati più di 35 milioni di euro gli incassi lordi dai servizi aggiuntivi. Una cifra pari a circa la metà dell'incasso totale dal 2001 a oggi, da cui la Soprintendenza ha tratto ricavi per circa l'11,2 per cento (meno di 4 milioni di euro);
   dai dati disponibili dal 2001 sul sito del Ministero, pare desumersi che alcune voci dei servizi aggiuntivi come le audioguide, le prenotazioni, le prevendite e le visite guidate, non hanno portato alcun introito o introiti pressoché nulli nelle casse dello Stato;
   nel complesso, le percentuali dei ricavi della Soprintendenza appaiono, a giudizio dell'interrogante, molto lontane da quel 30,2 per cento del fatturato annuo lordo dai servizi aggiuntivi pattuito negli atti di concessione e di rinnovo;
   l'articolo 2 del decreto ministeriale 24 marzo 1997, n. 139, (regolamento recante norme sugli indirizzi, criteri e modalità di istituzione e gestione dei servizi aggiuntivi nei musei e negli altri istituti del Ministero per i beni culturali e ambientali) premette che i servizi possono essere affidati in concessione ove finanziariamente convenienti e dunque qualora, da soli ovvero abbinati ad altri, producano all'amministrazione concedente aumenti di proventi, nuovi proventi o minori costi;
   rispondendo il 4 novembre 2015 scorso all'interrogazione a risposta immediata in Assemblea n. 3-01810 presentata dall'interrogante, il Ministro interrogato ha ammesso la necessità di correggere profondamente il sistema dei servizi aggiuntivi e ha annunciato che, «per dare trasparenza alle gare, per finire il regime delle proroghe e soprattutto per fare in triodo che ci sia una maggiore quota di proventi che restano nelle casse della pubblica amministrazione rispetto a quello dei concessionari», è in fase di ultimazione la gara Consip per la bigliettazione, che non sostituisce la bigliettazione in sito, ma che darà vita a un sito capace di gestire la bigliettazione on-line a livello nazionale;
   quanto ai servizi aggiuntivi, entro il primo semestre del 2016 saranno avviate le gare Consip per i servizi aggiuntivi sulla base di un progetto scientifico preparato dai direttori dei musei, oggi a detta del Ministro esclusivamente appaltato al concessionario;
   l'atto di concessione e i conseguenti rinnovi riguardanti i servizi aggiuntivi del circuito «Colosseo, Foro romano e Palatino» presi in visione prevedono esplicitamente l'impegno a rispettare scrupolosamente il contenuto scientifico dei testi forniti dalla Soprintendenza e, pur riservando al concessionario la facoltà di adattamento per finalità divulgative e commerciali, già recano l'obbligo del «visto si stampi» del soprintendente prima della pubblicazione;
   si teme che le annunciate nuove procedure possano portare, nelle more di una completa attuazione, a nuove proroghe non scritte, come tra l'altro già avvenuto in passato;
   si apprende da notizie di stampa che la soprintendenza archeologica speciale di Roma, sotto la cui responsabilità ricade il circuito archeologico «Colosseo, Foro romano e Palatino», non avrebbe destinato nel bilancio 2016 alcuna risorsa per le attività di manutenzione, nonostante la richiesta dei tecnici di un finanziamento di almeno 1,5 milioni di euro. Nel 2015, per la stessa attività, la soprintendenza aveva stanziato 600 mila euro;
   in una conferenza stampa, tenutasi il 22 dicembre 2015, il soprintendente della soprintendenza archeologica speciale di Roma, Francesco Prosperetti, in carica dal febbraio 2015, ha motivato lo «zero nella casella degli interventi di manutenzione» come «un voto di condotta a chi era solito richiedere soldi senza presentare progetti adeguati». Il sopraintendente ha poi aggiunto: «Non nego che qua siano tutte persone perbene e con un'esperienza annosa della gestione del patrimonio per cui ormai lo fanno a naso. Da trent'anni, la soprintendenza è stata gestita sulla base di un rapporto fiduciario che si è stabilito tra funzionari, dirigenti e ditte appaltatrici»;
   il reperimento di risorse aggiuntive dai servizi oggi affidati in concessione ai privati a condizioni non proprio vantaggiose per lo Stato è doveroso anche alla luce della forte esigenza di manutenzione dei monumenti –:
   se non ritenga opportuno chiarire quanto esposto in premessa relativamente alle percentuali di incasso previste dalla concessione a favore della soprintendenza e quelle effettivamente incassate;
   per quale motivo la sovrintendenza abbia percepito a quanto consta all'interrogante solo l'11,9 per cento del fatturato e non il 30,2 per cento contrattualmente previsto;
   se, in assenza di atti formali, ritenga pienamente rientrante nei vincoli di legge la situazione e le condizioni di proroga della concessione dei servizi aggiuntivi del circuito archeologico dal 1o gennaio 2011 e non ritenga invece necessario intraprendere iniziative per quanto di competenza recuperare la differenza tra quanto percepito dal Ministero e la suddetta percentuale del 30,2 per cento;
   quali iniziative intenda intraprendere, oltre al percorso di gare già annunciato, per ottenere maggiori incassi dai servizi aggiuntivi per finanziare la manutenzione dei monumenti e dei musei.
(4-11585)

ECONOMIA E FINANZE

Interrogazione a risposta in Commissione:


   DONATI, MARCO DI MAIO, GADDA, MORANI, ERMINI, VAZIO, CAPOZZOLO, MORETTO, DALLAI, FANUCCI e FAMIGLIETTI. — Al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro dell'ambiente e della tutela del territorio e del mare, al Ministro dello sviluppo economico. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero dell'economia e delle finanze è il principale azionista (80,10 per cento) di Cassa depositi e prestiti (CDP) che a sua volta, è il principale azionista (30,10 per cento) di SNAM spa, attraverso le controllate CDP Reti e CDP Gas;
   Snam Rete Gas gestisce il metanodotto Rimini-Sansepolcro;
   in data 19 novembre 2015 il metanodotto Rimini-Sansepolcro è esploso in località Belvedere, nei pressi di Sestino (AR), provocando danni all'ambiente circostante;
   sono in corso i lavori per il ripristino e la messa in sicurezza del metanodotto stesso;
   pur sopportandone i rischi, resi evidenti dal fatto riportato, gli abitanti del comune di Sestino non hanno l'allacciamento al metanodotto;
   nel corso dei lavori di messa in sicurezza sarebbe possibile, a quanto consta agli interroganti, intervenire per allacciare il centro abitato di Sestino al metanodotto –:
   quali siano le cause dell'incidente e quali misure di sicurezza siano state prese per impedire che quanto accaduto il 19 novembre 2015 possa ripetersi;
   quale sia lo stato di avanzamento dei lavori e se sia stata valutata l'opportunità di provvedere alla metanizzazione del comune di Sestino. (5-07304)

GIUSTIZIA

Interrogazioni a risposta scritta:


   NICCHI. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   nel giugno 2014, alla direzione della casa circondariale di Sollicciano (Firenze), è stata nominata la dottoressa Maria Grazia Giampiccolo; incarico che si è andato ad aggiungere a quello di direttrice della casa di reclusione di Volterra;
   la nomina a Sollicciano aveva suscitato grandi speranze di miglioramento dato l'eccellente operato a Volterra;
   quelli di Volterra e Sollicciano sono due penitenziari molto differenti per problematiche e per grandezza: Volterra accoglie circa 350 condannati definitivi, il penitenziario di Sollicciano ospita invece – oltre i definitivi – anche i detenuti in attesa di giudizio, e attualmente sono presenti circa 750 detenuti a fronte di una capienza di 450 detenuti;
   Sollicciano è un carcere difficile, pieno di problemi, ad iniziare dalle strutture fatiscenti, con infiltrazioni d'acqua in molte zone comuni e nelle sezioni, umidità, riscaldamenti rotti, carenze igieniche e sanitarie, topi, muffa, rifiuti accumulati, freddo per gli spifferi, porte che non si chiudono, è presente ancora una bambina in carcere con la sua mamma, il lavoro per i detenuti è scarso (possono lavorare solo 140 detenuti per volta e solo per 15 gg consecutivi), si fa largo uso di psicofarmaci;
   le carenze igienico-sanitarie sono state rilevate anche dalle tre ispezioni effettuate dalla ASL Toscana;
   dette criticità imporrebbero una presenza stabile e continuativa della direttrice, figura fondamentale per la buona amministrazione del penitenziario, laddove invece la dottoressa Giampiccolo, a quanto risulta all'interrogante riesce ad assicurare la sua presenza mediamente per non più di tre volte alla settimana;
   nei rapporti degli ispettori della ASL si segnala in particolare la presenza di topi nella sezione femminile, i cui escrementi sono stati rilevati in diverse zone di Sollicciano come controsoffitti, cavedi, pianerottoli, corridoi, rampe di scale, la chiesa, la sartoria e persino in una cella;
   non se la passano meglio né la sezione maschile né l'Istituto Mario Gozzini. Come affermato nel rapporto nelle ASL «emerge che le gravi carenze strutturali, che da anni, vengono da noi denunciate, non solo perdurano ma si sono talmente aggravate concorrendo a facilitare l'instaurarsi di una grave infestazione. Tale situazione dal punto di vista igienico sanitario, è sempre più difficilmente accettabile, e devono essere previsti interventi radicali e risolutivi che rendano vivibile e sicura la struttura, rimandando a chi di competenza valutazioni specialistiche in ambito di sicurezza strutturale» (la Repubblica, 8 gennaio 2016) –:
   se non si ritenga di assicurare la presenza fissa di un direttore alla casa circondariale di Sollicciano, date le forti criticità esposte in premessa;
   se non si intenda assumere iniziative per rivedere la normativa che consente di assumere il ruolo di direttore in più carceri contemporaneamente, data la figura determinate del direttore negli istituti penitenziari. (4-11582)


   BALDASSARRE, ARTINI, CIVATI, BECHIS, MATARRELLI, SEGONI, TURCO, BRIGNONE, ANDREA MAESTRI e PASTORINO. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   essendo passato già un mese dal cosiddetto «decreto salva banche» e ancora non risulta che sia stato disposto alcun provvedimento cautelare e conservativo del patrimonio degli amministratori, dei revisori e di chi avrebbe dovuto vigilare e sorvegliare sulla situazione finanziaria delle banche;
   è di tutta evidenza, ad avviso degli interroganti, che le banche responsabili dell'amministrazione e i soggetti di cui sopra possono facilmente spogliarsi di tutti i loro beni anche cedendoli a persone complici o a prestanome improvvisati;
   ad oggi non risulta attivata alcuna procedura di fallimento o di liquidazione coatta amministrativa nei confronti delle banche in dissesto né sono stati nominati i relativi organi che si occupano della situazione fallimentare delle stesse banche salvo l'avvio della procedura di risoluzione delle quattro banche oggetto del suddetto decreto;
   dovranno essere accertate le responsabilità civili degli amministratori, dei revisori e di chi doveva vigilare e sorvegliare le banche sottoposte al provvedimento del 23 novembre 2015 per evitare anche il decorso della prescrizione delle relative responsabilità;
   in attesa di accertare le responsabilità sarebbe stato possibile emettere provvedimenti cautelari e conservativi del patrimonio dei soggetti responsabili su cui rivalersi qualora venisse accertato successivamente il ruolo rivestito nel dissesto finanziario delle banche stesse;
   ai sensi dell'articolo 35 del decreto legislativo n. 180 del 2015 durante la procedura di risoluzione a cui sono state sottoposte le suddette quattro banche, «l'esercizio dell'azione sociale di responsabilità e di quella dei creditori sociali contro i membri degli organi amministrativi e di controllo e il direttore generale, dell'azione contro il soggetto incaricato della revisione legale dei conti e dell'azione del creditore sociale contro la società che esercita l'attività di direzione e coordinamento, spetta ai commissari speciali sentito il comitato di sorveglianza previa autorizzazione della Banca d'Italia. In mancanza di loro nomina l'azione di responsabilità spetta a un soggetto designato dalla Banca d'Italia»;
   il presidente Roberto Nicastro, nominato il 22 novembre 2015 dalla Banca d'Italia presidente del consiglio di amministrazione di Nuova Banca Marche, Nuova Carife, Nuova Banca Etruria e Nuova Cari Chieti, non ha iniziato alcuna procedura nei confronti dei patrimoni degli amministratori responsabili, neanche il congelamento dei loro beni, ma si è limitato a redigere una «lettera aperta» sui quotidiani locali in cui evoca un «rinforzato spirito di fiducia» e una «relazione forte, intensa e duratura» con i risparmiatori di Banca Marche, Carife, Banca Etruria e Cari Chieti –:
   se il Ministro interrogato non intenda assumere iniziative normative per prevedere l'adozione di misure cautelari e dirette alla conservazione del patrimonio di tutti coloro che hanno amministrato le quattro banche, oggetto del decreto finalizzato a salvarle, oltre a quello dei revisori e di coloro che dovevano vigilare sulla situazione finanziaria delle stesse banche negli ultimi 10 anni. (4-11589)


   ANDREA MAESTRI e BRIGNONE. — Al Ministro della giustizia. — Per sapere – premesso che:
   in data 1o giugno 2010, i signori V. C. e F. B. B. ottenevano il collocamento presso di sé, della minore A. S., nata a Imola il 18 gennaio 2008, affidata ai servizi sociali di Ravenna;
   i signori C. e B. erano all'epoca già genitori di una bambina, E., regolarmente adottata con sentenza emessa dal tribunale per minorenni n. R.G. 264/04 del 28 gennaio 2004;
   in data 28 giugno 2012, il tribunale per minorenni di Bologna fissava udienza di comparizione (Proc. n. R.G. 419/11) dei signori C. e B., al fine di veder revocato il collocamento della stessa presso i citati coniugi, non ritenendo più gli stessi idonei;
   i signori C. e B. si costituivano in udienza, opponendosi all'invocato provvedimento, non sussistendone i presupposti;
   in data 5 luglio 2012, il tribunale per i minorenni, con decreto provvisorio, ritenendo che fossero «... venute meno le garanzie a tutela e cura della minore, che avevano giustificato l'attuale collocazione e sia necessario collocare la minore in diverso contesto etero familiare ...», incaricava i servizi sociali di Ravenna di «... collocare A. presso famiglia diversa da quella ove oggi si trova, famiglia che dovrà essere scelta di concerto con codesto TM, con l'adozione delle cautele del caso, al fine di mantenere la segretezza di tale collocamento ...». Contestualmente, il tribunale per i minorenni disponeva di preservare e mantenere i rapporti fra le «sorelle A. ed E.»;
   in applicazione di quanto disposto dal decreto del 5 luglio 2012, il tribunale per i minorenni, in data 13 luglio 2012, stabiliva l'immediato allontanamento di A. dalla residenza dei coniugi B. La bambina veniva prelevata mentre si trovava presso il centro ricreativo estivo della scuola materna che frequentava. Da quel momento, i coniugi e l'altra figlia adottiva non hanno più visto A.;
   ad oggi, si è in attesa della decisione del giudice, nella quale si confida, dovendo essere in ogni caso assicurata l'autonomia e l'indipendenza della magistratura minorile;
   in relazione a tale procedimento, si deve evidenziare come ai signori C. e B. non sia stata fornita alcuna spiegazione, in ordine alle reali motivazioni poste a fondamento della decisione del tribunale di revocare il collocamento, presso di sé, della minore S. Infatti, il tribunale si è limitato a prospettare, come causa dell'allontanamento, il «... venire meno delle garanzie poste a tutela e cura della minore ...», senza fornire alcuna motivazione, a dimostrazione di quanto asserito;
   anche i servizi sociali, nella propria relazione del 30 aprile 2012, allegata agli atti di causa, non chiariscono la situazione, quando affermano «... il Servizio esprime la propria perplessità relativa alla permanenza della minore all'interno della famiglia affidataria, considerando che la coppia sta attraversando un momento particolarmente critico e appare incentrata principalmente sulle proprie difficoltà personali ...». A tale riguardo, in particolare, si deve osservare come le valutazioni e/o i giudizi espressi dai servizi, in relazione alla coppia C. e B. siano stati resi in mancanza di qualsivoglia contraddittorio/confronto con diretti interessati, i quali, nonostante ripetute insistenze, non sono mai stati ascoltati;
   il mancato ascolto dei genitori affidatari e della minore concreta, secondo gli interroganti, un vulnus insanabile del procedimento e incide direttamente sul fondamentale principio del perseguimento del superiore interesse del minore. Pertanto, le dichiarazioni contenute nelle varie relazioni depositate in tribunale non risultano fondate, a quanto consta agli interroganti, su alcun dato oggettivo e/o concreto assunto sul campo, tale da mettere in discussione la capacità genitoriale dei signori C. e B. e quindi, tale da giustificare la revoca dell'affidamento della minore S.
   è altresì da evidenziare la violazione del decreto provvisorio del tribunale per i minorenni, in quanto i servizi sociali non hanno mai fatto nulla per consentire e favorire i contatti fra la minore S. e la piccola E., con ciò cagionando danni gravi nella sfera affettiva, psicologica ed esistenziale delle due minori. Al riguardo, si osserva che l'unico colloquio che è stato permesso alle bambine, da parte dei servizi, è stato telefonico, ed è avvenuto il 13 ottobre 2012, anche se la conversazione si è svolta fra il nuovo genitore affidatario di A. e la sorella E. e, quando quest'ultima ha manifestato la volontà di parlare direttamente con A., i servizi hanno interrotto bruscamente la telefonata;
   in pendenza del procedimento, avente ad oggetto la minore A. S. e precisamente in data 15 aprile 2013, la procura del tribunale per i minorenni domandava l'apertura di un ulteriore procedimento (n. R.G. 456/13), nei confronti dei coniugi C. e B., chiedendo l'affido della minore, già adottata dagli stessi (E. B.), al servizio sociale;
   con decreto provvisorio datato 4 luglio 2013, il tribunale per i minorenni incaricava il servizio sociale competente di effettuare un'indagine approfondita sulla situazione personale e familiare della minore E., volto a verificare lo stato psicologico della stessa, la propria relazione con i genitori e competenze genitoriali di questi ultimi;
   i genitori C. e B. si costituivano all'udienza del 31 ottobre 2013, constatando tutte le circostanze poste a fondamento della richiesta di affidamento avanzate dalla procura, in quanto infondate in fatto e in diritto;
   in particolare, è stato osservato come, dalla richiesta della procura, non sia dato ravvisare alcun riferimento specifico alla vita della minorenne E. tale da giustificare un eventuale affido in capo ai servizi sociali;
   dagli atti di causa, inoltre, non sono emersi neppure, a quanto consta agli interroganti, elementi concreti relativi al rapporto genitori-figlia, tali da motivare la necessità di eseguire degli accertamenti e/o valutazioni sulle competenze e capacità genitoriali dei signori C. e B.;
   dall'udienza del 31 ottobre 2013, ad oggi, nessuna convocazione, né altro provvedimento stato emesso dal tribunale, in relazione al suddetto procedimento;
   da quanto esposto in premessa, l'operato dei servizi sociali incaricati, con riguardo alle minori coinvolte e ai signori S. e B., risulta, a giudizio degli interroganti, superficiale e lacunoso in relazione ai seguenti aspetti:
    a) mancanza di motivazione posta a fondamento delle decisioni assunte;
    b) mancanza del necessario contraddittorio nei confronti dei signori C. e B., nonostante le ripetute richieste;
    c) mancato espletamento di indagini effettive presso la coppia e le figlie;
    d) utilizzo di metodi non idonei e contrari al superiore interesse del minore, per l'applicazione dell'allontanamento della bambina A. dai signori C. e B., con gravi danni alla sfera affettiva della medesima;
    e) mancato rispetto di quanto disposto dal tribunale per i minorenni, in ordine al mantenimento dei rapporto fra le minori A. ed E. –:
   se il Governo non intenda assumere iniziative normative per rafforzare le garanzie di contraddittorio e implementare le attività istruttorie sui contesti familiari e le relazioni genitoriali in procedimenti come quello di cui in premessa, al fine di tutelare i minori coinvolti e salvaguardare il loro diritto alla continuità affettiva.
(4-11590)

INFRASTRUTTURE E TRASPORTI

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   CARLONI, RAMPI, PREZIOSI, IORI, GNECCHI, IMPEGNO, CRIVELLARI e VALERIA VALENTE. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   la società Nuovo Trasporto Viaggiatori (NTV), ai sensi e per gli effetti del decreto legislativo 8 luglio 2003 n. 188, è titolare di licenza ferroviaria n. 44 rilasciata dal Ministero dei trasporti in data 6 febbraio 2007, nonché di titolo autorizzatorio rilasciato dal Ministero dei trasporti con decreto n. 111T del 28 luglio 2007;
   la società Rete ferroviaria italiana (RFI), del gruppo Ferrovie dello Stato italiane (FSI), risulta essere gestore dell'infrastruttura ferroviaria nazionale, secondo quanto previsto dalla concessione rilasciata dal Ministero dei trasporti e della navigazione con decreto ministeriale n. 138T del 31 ottobre 2000, e, quindi, è responsabile anche del sedime ferroviario e delle banchine della stazione di Roma Termini;
   l'Autorità di regolazione dei trasporti (ART), secondo quanto riportato dagli organi di stampa (La Repubblica del 13 marzo 2015), a seguito di segnalazioni mosse dalla società NTV, ha avviato con delibera n. 24 del 12 marzo 2015 un procedimento contro RFI per l'adozione di provvedimenti sanzionatori relativi all'inottemperanza alle misure di regolazione immediatamente esecutive, concernenti l'accesso equo e non discriminatorio alle infrastrutture ferroviarie, di cui alla delibera prevista dell'articolo n. 70 del 2014 del 31 ottobre 2014;
   la società NTV effettua tutti i giorni, secondo l'orario ferroviario in vigore dal 14 giugno al 31 ottobre 2015, il servizio del treno Alta Velocità Italo n. 35924 con partenza dalla stazione di Salerno alle ore 9:57 ed arrivo a Torino – Porta Susa alle ore 16:17;
   il suddetto treno effettua le seguenti fermate intermedie nelle stazioni di: Napoli Centrale (partenza ore 10:45), Roma Tiburtina (11:55), Firenze Santa Maria Novella (13:25), Bologna Centrale (14:03), Reggio Emilia AV (14:24), Milano Rogoredo (15:05), Milano Porta Garibaldi (15:28), Milano Rho Fiera (15:41);
   il suddetto convoglio, in data martedì 6 ottobre 2015, parte regolarmente dalla stazione di Salerno, per poi lasciare la stazione di Napoli Centrale sempre in linea con l'orario previsto (ore 10:45);
   nel tratto fra Napoli e Roma, il convoglio accumula circa un'ora di ritardo, entrando nella stazione di Roma Termini alle ore 12:40, nonostante la suddetta fermata non fosse prevista dall'orario ferroviario e senza fornire spiegazioni in merito ai passeggeri presenti all'interno del treno;
   giunto alla stazione di Roma Termini, ai passeggeri viene comunicato che le porte non si sarebbero aperte per permettere il deflusso degli stessi, ma che sarebbe stato possibile scendere alla successiva fermata di Roma Tiburtina, secondo quanto previsto dall'orario ferroviario;
   tuttavia, il convoglio resta fermo sui binari di Roma Termini fino alle ore 13:15, senza che il personale fornisca alcuna spiegazione ai passeggeri, i quali, già provati dal lungo ritardo, si rivolgono con energia alle assistenti di viaggio presenti sulle carrozze, chiedendo di interloquire con il capotreno e con gli autisti;
   le assistenti di viaggio accompagnano una delegazione di passeggeri presso lo scompartimento del capotreno e dei macchinisti, che rileva però l'assenza di entrambi;
   data l'impossibilità di parlare con il personale di guida, e constatato che gli assistenti di viaggio non erano autorizzati all'apertura delle porte per far defluire i passeggeri nella stazione di Roma Termini, questi si rivolgono alla polizia ferroviaria che procede, dopo pochi minuti, all'apertura delle porte al fine di far scendere i passeggeri nella stazione di Roma Termini –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti illustrati e, per quanto di sua competenza, se non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti al fine di individuare i responsabili di quanto accaduto, garantire livelli adeguati di informazione ai passeggeri in caso di disservizi, nonché assumere iniziative volte ad operare una chiara regolazione dei rapporti fra gestore della rete ferroviaria e aziende di trasporto, così da garantire la libera circolazione dei passeggeri, assicurando nel contempo il diritto alla mobilità dei cittadini secondo quanto stabilito dall'articolo 16 della Costituzione Italiana e dall'articolo II-105 della Carta dei diritti dell'Unione europea. (5-07310)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Autorità garante della concorrenza e del mercato ha sostanzialmente riconosciuto la posizione dominante della compagine Tirrenia – Cin – Moby e di fatto il monopolio sulle rotte marittime da e per la Sardegna;
   nel contempo, la stessa Autorità ha accettato una proposta dell'armatore di compagnie che suscita non poche perplessità sia per l'inconsistenza, sia perché, di fatto, tale accettazione appare come un regalo allo stesso armatore;
   la decisione dell'Autorità sembra all'interrogante una legittimazione al prosieguo della speculazione;
   una decisione con la quale l'Autorità della concorrenza e del mercato ha autorizzato quello che per l'interrogante risulta il più grave monopolio sulle rotte da e per la Sardegna e sancisce l'ennesimo danno alla continuità territoriale da e per l'isola;
   l'Agcm con un provvedimento che è per l'interrogante discutibile e inaccettabile, da una parte, riconosce di fatto il monopolio e la posizione dominante di Tirrenia e Moby, ma poi lo autorizza grazie a quello che all'interrogante appare un vergognoso quanto surreale mercato dei biglietti che gli propone il monopolista;
   per mitigare questo evidentissimo monopolio viene proposto che Moby e Cin dovranno cedere a chi vorranno, a loro discrezione e scelta, sulle tratte da Civitavecchia-Olbia e viceversa il 10 per cento del biglietto;
   biglietti virtualmente venduti da un alto soggetto ma che riguarderanno sempre la stessa nave e sempre la stessa compagnia monopolista;
   si tratta, insomma, a parere dell'interrogante di una «farsa» virtuale e reale;
   a questo si aggiunge che questo modesto 10 per cento di biglietti su quella rotta prevede l'applicazione di costi pari a quelli dello scorso anno nel periodo estivo, ovvero quelli dove la compagnia ha avuto i maggiori ricavi sia con le auto che con i passeggeri;
   una decisione che il Governo e la regione devono impugnare senza se e senza ma, perché tutta protesa a proteggere il monopolio piuttosto che a vietarlo;
   nell'analisi della situazione che si è venuta a creare l'Autorità garante ha dovuto prendere atto che sulle rotte principali, Olbia-Genova e Olbia-Civitavecchia il monopolio e la posizione dominante è evidentissima, ma poi nella decisione finale accetta da Onorato un contentino inutile e offensivo;
   nel contempo emerge che la Moby taglia tutte o quasi le corse tra Civitavecchia e Olbia, con un taglio netto di 257 corse, per lasciarle alla sovvenzionata Tirrenia che le recupera quasi tutte, 21 in meno;
   l'Autorità ha disposto che Moby S.p.A. e Compagnia italiana di Navigazione S.p.A., dovranno sottoporre e richiedere l'approvazione dei Piani Corse 2017 all'Autorità, relativamente alle rotte Civitavecchia-Olbia e Genova Olbia;
   la decisione dell'autorità e secondo l'interrogante ancora più scandalosa quando afferma: «CIN e Moby provvederanno alla definizione dei criteri e delle modalità in base ai quali si procederà alla selezione degli acquirenti per l'assegnazione della capacità resa disponibile, indicando quantità, caratteristiche e prezzi nel rispetto di quanto descritto nelle misure descritte»;
   appare incredibilmente irrazionale la decisione con la quale l'Autorità chiede a Moby e CIN di applicare per la stagione 2016, limitatamente alla rotta Civitavecchia – Olbia, per i mesi aprile/settembre, tariffe non superiori ai prezzi massimi praticati da Moby nella stagione estiva 2014 per ciascuna categoria prenotabile (con l'unica eccezione delle cabine non diurne per le quali viene necessariamente considerata la tariffa massima di CIN);
   una decisione che di fatto legittima i prezzi dello scorso anno e la palese speculazione sull'insularità della Sardegna;
   quella assunta dall'Autorità garante della concorrenze e del mercato è secondo l'interrogante una decisione surreale perché in modo esplicito la stessa autorità ha scritto nella decisione che l'operazione in esame è suscettibile di determinare la creazione di una posizione dominante, tale da eliminare o ridurre in modo sostanziale e durevole la concorrenza, sui mercati relativi ai servizi di trasporto marittimo di linea misto di passeggeri, con o senza veicoli, e merci sulle rotte Genova-Olbia e Civitavecchia-Olbia;
   è gravissimo che si sia consentita tale evidentissima violazione attraverso un inaccettabile quanto inutile mercato di pochi biglietti ceduti ad un soggetto virtuale;
   Governo e regione per questo motivo devono fare ricorso al TAR del Lazio per bloccare questo nuovo «agguato» al diritto alla continuità territoriale;
   è fin troppo evidente che se né il Governo, né la regione presenteranno ricorso lo faranno perché di fatto avallano questo regime monopolistico a scapito della Sardegna e dei sardi –:
   se non intenda il Governo valutare se sussistano i presupposti per ricorrere al Tar avverso la decisione dell'Autorità al fine di evitare il monopolio sui collegamenti di continuità territoriale da e per la Sardegna;
   se tale decisione incida e in che modo sul contratto di servizio con la società Tirrenia, considerato che di fatto vengono meno gli stessi posti che la compagnia Tirrenia per convenzione doveva mettere a disposizione sulle rotte convenzionate;
   se risultino le ragioni per le quali vengano imposte tariffe riferite agli anni passati non tenendo in alcun conto le variabili tariffarie legate per esempio all'abbattimento dei costi di carburante;
   se non intenda rendere noti i dati in possesso del Governo sui conti economici reali di Tirrenia per valutare le decurtazioni di servizi che sono state secondo l'interrogante arbitrariamente concesse senza la presentazione dei bilanci lo scorso anno. (5-07319)


   PILI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   a quanto consta all'interrogante con una comunicazione trasmessa ai comandanti delle navi Saremar l'amministratore unico avrebbe formalmente invitato gli stessi a far salire a bordo, a giudizio dell'interrogante senza alcuna motivazione e senza nessuna funzione, degli incaricati della ditta Delcoservizi srl;
   tale irrituale comunicazione appare all'interrogante in contrasto con il codice della navigazione ledendo i compiti e le funzioni del comandante delle navi;
   nella comunicazione si farebbe riferimento all'ordine che questi signori della Delcoservizi potranno aver accesso a tutti gli spazi della nave compresi quelli riservati al personale Saremar;
   oltre alla dubbia legittimità della disposizione, visto il ruolo del comandante a bordo della nave, tale comportamento finisce di fatto secondo l'interrogante per «intimidire» il personale della Saremar in una difficile vertenza occupazionale;
   le navi con una presunta vendita, di dubbia legittimità e da impugnare, sarebbero state acquistate dallo stesso armatore oggetto di altre interrogazioni del sottoscritto con il quale si denunciava il rapporto stretto con l'assessore regionale dei trasporti;
   con tale comunicazione si cancellano di fatto norme elementari del diritto della navigazione, imponendo al comandante presenze fuori luogo e fuori organico;
   è questa secondo l'interrogante, l'ennesima azione spregiudicata che viene messa in essere su questa vicenda della Saremar;
   la lettera è già di per sé secondo l'interrogante in contrasto con la legge perché non specifica e non chiarisce a che titolo salgono a bordo degli sconosciuti con il potere di entrare ovunque, mettendo a rischio la serenità e la stessa operatività del comandante e del suo equipaggio;
   un'operazione che, ad avviso dell'interrogante, la dice lunga sull'obiettivo: fare i padroni «sceriffi» del mare;
   la Saremar, come la giurisprudenza evidenzia, non poteva essere ammessa a nessun concordato fallimentare e tantomeno poteva essere venduto il naviglio;
   risultano di fatto alterate le valutazioni delle navi, basta vedere la partita manutenzioni, e sono state secondo l'interrogante viziate tutte le procedure che prevedevano eventualmente una gara a doppio oggetto (società con personale e naviglio e rotte in continuità territoriale);
   un'operazione che distrugge un patrimonio pubblico per affidare tutto alla Delcomar, come abbondantemente denunciato mesi fa;
   una società pubblica, per giunta, in attivo negli ultimi anni, senza alcun tipo di condanna definitiva nemmeno dall'Europa, non poteva e non può fallire –:
   se sia a conoscenza di questa comunicazione richiamata in premessa che secondo l'interrogante viola il diritto alla navigazione e mette a rischio la sicurezza del personale, dei passeggeri e della stessa navigazione;
   se sia a conoscenza di quanto sta avvenendo nella distruzione del patrimonio pubblico transitato con legge dello Stato alla regione;
   se sia a conoscenza e cosa intenda fare per evitare lo smantellamento di tale patrimonio e in particolar modo il licenziamento di tutti i lavoratori con ampi e consolidati diritti acquisiti;
   se non ritenga che sussistano i presupposti per intervenire con propri ispettori per valutare la gravità dei fatti;
   se risultino intervenuti passaggi di proprietà al registro navale;
   se queste stesse navi, con particolare riferimento alle motonavi Sibilla e Vesta, siano state contemporaneamente cedute a società siciliane, che operano sullo stretto di Messina;
   se non ritenga di verificare la sussistenza dei presupposti per segnalare all'Autorità anticorruzione la strana compravendita di queste navi appartenenti al patrimonio pubblico. (5-07320)

Interrogazioni a risposta scritta:


   MELILLA. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   su 27 concessionarie autostradali italiane, 6 rincarano nel 2016 i pedaggi autostradali;
   tra di esse l'autostrada dei parchi che collega l'Abruzzo con Roma, nel tronco L'Aquila-Teramo e in quello Avezzano-Chieti-Pescara;
   quest'anno il rincaro è del 3,45 per cento, il secondo più caro tra le 6 che aumentano i pedaggi. Si tratta di un aumento che, per l'interrogante, va ben oltre l'inflazione. E così succede da anni, con la complicità, secondo l'interrogante, di chi ha congegnato questo meccanismo ingiusto;
   si tratta dell'ennesima penalizzazione per gli automobilisti in generale e, in particolare, per quelli abruzzesi e laziali che utilizzano l'autostrada per lavorare;
   il costo a carico delle imprese sarà naturalmente scaricato sui cittadini;
   l'aumento è ancora più ingiusto se si considera lo stato dell'autostrada dei parchi, ormai vecchia e insicura. Il suo alto costo ormai scoraggia il traffico automobilistico visto che per andare a Roma si spende più per il pedaggio che per la benzina;
   e anche per quanto riguarda il servizio di ristoro e dei combustibili vi è da rilevare, secondo l'interrogante, la vergogna di una situazione in cui si hanno cento chilometri di autostrada tra Pescara e Avezzano senza nessuna stazione di servizio (che rappresenta per l'interrogante un record negativo nazionale) –:
   per quale motivo sia stato concesso all'Autostrada dei parchi un aumento del 3,45 del pedaggio. (4-11579)


   MARRONI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti, al Ministro dell'economia e delle finanze. — Per sapere – premesso che:
   in data 15 dicembre 2004 viene siglato il protocollo d'intesa tra Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, ANAS spa, regione Lazio provincia di Roma, comune di Roma e strada dei Parchi spa in merito al progetto di realizzazione delle complanari nel tratto urbano dell'A24 ricadente nel territorio del comune di Roma con la ripartizione dei relativi oneri finanziari;
   in data 2 luglio 2007 con delibera n. 123, il consiglio comunale di Roma ha approvato gli indirizzi al sindaco per la conferenza dei servizi utile all'approvazione del progetto definitivo di realizzazione del tratto urbano dell'autostrada A24;
   in data 12 dicembre 2007 con delibera n. 567 il consiglio comunale di Roma ha approvato lo schema del protocollo d'intesa aggiuntivo che prevedeva una concertazione sulla gestione della tratta urbana dell'autostrada A24 ed A25;
   in virtù degli accordi pregressi, il comune di Roma ha versato oneri per la costruzione delle complanari e a tutt'oggi versa una quota per la manutenzione della maggioranza del tratto stradale di cui trattasi (10 chilometri circa su 14 circa);
   le caratteristiche delle complanari, attualmente soggette a pedaggio, in entrata o in uscita a Ponte di nona, configurano questa arteria come una strada di livello urbano e non rivelano elementi tali da farle paragonare ad altre autostrade italiane a pagamento;
   l'arrotondamento del pedaggio, disciplinato dal decreto interministeriale n. 10440/28/133 del 12 novembre 2001 del Ministero delle infrastrutture e dei trasporti e del Ministero dell'economia e delle finanze, ha causato negli ultimi anni notevoli aumenti portando il pedaggio dal costo di 80 centesimi del 2008 all'attuale cifra di 1,20 con un incremento di oltre il 60 per cento in 7 anni;
   in altri territori, tra i quali anche l'autostrada Roma-Fiumicino, si è stabilita l'esenzione del pedaggio per il traffico locale;
   l'applicazione della tariffa unitaria 2016 di Strada dei Parchi spa prevedrebbe invece del pedaggio attuale per il tratto in questione il pagamento di una cifra ben inferiore, pari ai 30 centesimi –:
   se siano a conoscenza dell'aumento indiscriminato realizzato negli ultimi anni sul tratto urbano;
   quali iniziative di competenza intendano intraprendere ai fini dell'abolizione del pedaggio nel tratto urbano dell'A24. (4-11583)


   CAPELLI. — Al Ministro delle infrastrutture e dei trasporti. — Per sapere – premesso che:
   l'Aeroporto di Cagliari-Elmas è situato a circa 6 chilometri a nord-ovest da Cagliari, lungo la strada statale 130 in direzione del comune di Elmas, competente per territorio;
   l'aeroporto era costituito da due parti distinte assegnate rispettivamente alla autorità civile e a quella militare;
   la struttura, intitolata alla memoria del tenente Mario Mameli, è dotata di una pista in asfalto lunga 2804 metri e larga 45 metri mentre l'altitudine è di 3 metri dal livello del mare. Ad essa si affianca una taxiway di 2400 metri. L'aeroporto, gestito dalla Sogaer ha un'operatività di 24 ore al giorno, con traffico di Aviazione generale e Commerciale;
   l'aeroporto di Elmas, ormai dismesso da funzioni militari, ospitava il 30o Stormo Elmas, sciolto il 31 luglio 2002. Dal 1o agosto 2002, il distaccamento aeroportuale militare di Cagliari-Elmas è dipeso dal 41o Stormo di Sigonella, che lo ha utilizzato come base di manutenzione di aerei militari;
   il primo nucleo dell'aeroporto civile di Cagliari fu inaugurato nel 1937 nelle vicinanze delle infrastrutture militari, a ridosso del molo dell'idroscalo su progetto di Giorgio Gandini, e fu intitolato nello stesso anno al sottotenente pilota Mario Mameli, caduto sopra il cielo di Tembien;
   già nello stesso anno di inaugurazione, il 1937, la linea Cagliari-Roma ebbe 9.748 passeggeri, che misero la tratta al primo posto assoluto in Italia per numero di passeggeri; seguiva la Roma-Milano con 8.958 passeggeri;
   da allora, il traffico è sempre rimasto intenso ed importante per il collegamento tra l'isola e il territorio nazionale;
   la regione, ai sensi dell'articolo 14 dello Statuto, nell'ambito del suo territorio, succede nei beni e diritti patrimoniali dello Stato di natura immobiliare e in quelli demaniali, escluso il demanio marittimo;
   i beni e i diritti connessi a servizi di competenza statale ed a monopoli fiscali restano allo Stato, finché dura tale condizione. Qualora tale condizione cessi i predetti beni e diritti passano alla regione;
   l'aeroporto militare è dotato di strutture e spazi di assoluto rilievo in grado di soddisfare le necessità di sviluppo dello scalo civile – così come richiesto dal comune di Elmas e dai cittadini, del territorio che paventano lo spostamento di aree di parcheggio verso il centro abitato e verso alcuni ambiti territoriali di particolare rilievo culturale, paesaggistico e ambientale;
   tali, strutture ex militari potrebbero, d'intesa tra la regione sarda, il comune di Elmas e gli enti locali dell'area metropolitana di Cagliari da un lato, e il Ministero delle infrastrutture e dei trasporti dall'altro, costituire una piattaforma logistica da assegnare, previa procedura di gara, a compagnie aeree per la mobilità di persone e merci nell'intero Mediterraneo sud occidentale e per il collegamento tra i Paesi mediterranei e quelli extra-europei, oltre che per migliorare ed eventualmente garantire la continuità territoriale;
   questo potrebbe rilanciare il ruolo della Sardegna come « Terra di pace» e di relazione socio-culturale ed economico-commerciale tra le due sponde del Mediterraneo, affrontando le connesse problematiche di rapporto e comunicazione attraverso lo sviluppo di collegamenti aerei (low cost) capaci di garantire uno stabile sviluppo del traffico in tutti e tre gli aeroporti sardi di Alghero, Cagliari e Olbia;
   la società Sogaer, gestore dello scalo che opera su concessione del competente Ministero delle infrastrutture e dei trasporti, e l'Enac vanno operando senza tenere conto adeguatamente della nuova disponibilità degli spazi ex militari, nonostante l'esistenza di un conflitto che coinvolge in particolare la cittadinanza e l'amministrazione comunale di Elmas sulla direttrice di sviluppo dell'aeroporto;
   non pare intravedersi alcuna azione risolutiva in materia di continuità territoriale da e per la Sardegna, per la insufficienza delle iniziative ad oggi adottate, anche in relazione ai limiti posti in materia dalla legislazione comunitaria, sia in ambito statale che in quello regionale, soprattutto in funzione della attivazione di idonee procedure di allargamento del mercato sardo dei collegamenti aerei a un maggiore numero di compagnie in grado di estendere il numero dei voli e aumentare e diversificare le rotte;
   la Sardegna, che non ha ancora avuto il riconoscimento dello «stato di insularità» dall'Unione europea con le prerogative attribuite alle regioni cosiddette ultra periferiche, necessita di un sistema di trasporti moderno, ampio e articolato, nonché funzionale al rilancio del settore turistico-commerciale, e più complessivamente alla crescita civile, sociale ed economica dell'isola, così come indicato nelle finalità dello Statuto speciale e in particolare dall'articolo 13, al fine di superare l'attuale differenziale di sviluppo con le più progredite regioni italiane ed europee;
   spetta a Stato e regione definire le necessarie intese sul piano di sviluppo aeroportuale; l'attuale progetto, peraltro contestato anche dalle amministrazioni locali e dal consiglio regionale, appare insufficiente ad assicurare un sistema di trasporti moderno, ampio ed integrato;
   le predette amministrazioni locali potrebbero, come già avvenuto, promuovere azioni legali atte a tutelare gli interessi dei cittadini da loro rappresentati, in questo modo determinando motivatamente un rallentamento delle procedure di rilancio dello scalo;
   non si comprenderebbero le ragioni per le quali, avendo spazi e strutture idonei nell'ambito dell'ex aeroporto militare — che, come ricordato rappresenta un'area per il traffico aereo a vocazione naturale e che, peraltro, qualora non avesse una chiara immediata destinazione a tal fine, sarebbe già giuridicamente (ex articolo 14 dello Statuto sardo) nella proprietà della regione e quindi non assoggettabile alla gestione della Sogaer — tali strutture non vengano utilizzate;
   il 31 dicembre 2015 la struttura è passata definitivamente alla competenza dell'Enac (Ente nazionale aviazione civile) che, come molti altri enti nazionali, appare all'interrogante svolgere la propria funzione senza alcuna considerazione per i sardi e la Sardegna;
   la citata struttura verrà gestito dalla Sogaer, sempre che sia integralmente e proficuamente inserita nell'ambito del piano di sviluppo aeroportuale. L'area che l'aeronautica militare ha ceduto è di circa 50 ettari e comprende circa 55 mila metri quadri di superficie coperta. Nell'ex zona militare ci sono quattro hangar (due utilizzabili e due non più perché realizzati per gli idrovolanti nella zona che si affaccia sullo stagno);
   l’hangar principale ha una superficie di 10 mila metri quadri ed è uno tra i più grandi d'Europa a campata unica. L'altro si estende su un'area di 3 mila metri quadri e attualmente è utilizzato dalla Guardia di finanza che presto dovrebbe abbandonarlo. L'ex aeroporto militare ospita una palazzina di comando (con decine di uffici e stanze riunioni), un caseggiato dove alloggiavano centinaia di avieri e ultimamente utilizzato come centro di accoglienza per richiedenti asilo, l'ex palazzina comando a tre piani con decine di uffici, un teatro, un circolo ufficiali, con vista mozzafiato sulla laguna, un circolo sottufficiali, una chiesa, casematte, posti di guardia, un deposito carburanti da 700 mila litri, un depuratore, vari magazzini e locali utilizzati come deposito –:
   quali iniziative intenda assumere il Ministro interrogato, per quanto di competenza, per garantire, in via ordinaria, un livello adeguato di continuità territoriale aerea da e per la Sardegna, avuto riguardo alla migliore organizzazione dell'aeroporto di Elmas, anche tramite la valorizzazione degli spazi e delle strutture dello scalo ex militare, ricorrendo eventualmente a procedure di affidamento degli stessi spazi e strutture a compagnie in grado di garantire un sistema moderno, ampio e differenziato di collegamenti;
   se non ritenga, nell'ambito delle predette iniziative di competenza, di dover agire in funzione di un complessivo rilancio economico e sociale dell'isola perché il trasporto aereo — persone e merci — sia uno dei segmenti su cui fondare lo sviluppo della Sardegna, anche come spazio logistico per i collegamenti europei ed extra europei, soprattutto con riguardo all'intero bacino del Mediterraneo;
   se intenda, sempre per quanto di propria competenza, assumere iniziative per affrontare l'emergenza nella quale versano attualmente i collegamenti aerei da e per la Sardegna, anche in relazione al mancato riconoscimento del suo stato di insularità, e per le annunciate decisioni di abbandono da parte di compagnie low cost di importanti scali, come quello di Alghero, di assoluto rilievo per la difesa e lo sviluppo della economia e dell'occupazione nell'intero territorio sardo e in particolare in quello del centro-nord dell'isola.
(4-11584)

INTERNO

Interrogazione a risposta orale:


   FIANO, FRANCESCO SANNA, FABBRI, PICCIONE, MARCO DI MAIO, GASPARINI, MIGLIORE e NACCARATO. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   secondo quanto riportato dai principali organi di informazione nazionali e locali, l'inchiesta condotta dalla procura di Napoli, avviata a seguito di un'autonoma l'indagine della locale Direzione distrettuale antimafia, avrebbe fatto emergere preoccupanti evidenze del tentativo di condizionamento del voto, nel corso delle elezioni del maggio 2015 per il rinnovo dell'amministrazione comunale del comune di Quarto (NA), da parte di ambienti e imprese legate alla camorra;
   in particolare, come emerso da intercettazioni telefoniche, tale azione di condizionamento del voto sarebbe intervenuta con più intensità in occasione del turno di ballottaggio che portò alla vittoria della candidata del Movimento 5 Stelle, Rosa Capuozzo;
   l'imprenditore del settore delle pompe funebri, Alfonso Cesarano, sospettato di essere legato al clan camorristico dei Polverino, e recentemente citato dalle cronache quale organizzatore, nell'estate scorsa, dei funerali di Vittorio Casamonica a Roma, nel corso delle citate intercettazioni telefoniche avrebbe dichiarato: «Adesso si deve portare a votare chiunque esso sia, anche le vecchie di ottant'anni. Si devono portare la sopra, e devono mettere la X sul Movimento 5 Stelle» e ancora: «L'assessore glielo diamo noi praticamente. E lui ci deve dare quello che noi abbiamo detto che ci deve dare. Ha preso accordi con noi. Dopo, così come lo abbiamo fatto salire, così lo facciamo cadere»;
   terminale degli interessi camorristici nel comune di Quarto sarebbe Giovanni De Robbio, eletto consigliere nelle liste del Movimento 5 Stelle, risultando il consigliere più votato, ed espulso dal Movimento il 14 dicembre 2015;
   il De Robbio, in più occasioni, avrebbe fatto pressione sul sindaco Rosa Capuozzo, facendo riferimento a fotografie aeree che evidenziavano un abuso edilizio nell'abitazione di proprietà del sindaco, senza che, stando alle cronache giornalistiche, quest'ultima ritenesse necessario denunciare l'accaduto alla magistratura;
   come si evince dall'indagine della procura di Napoli, uno dei settori di interesse degli ambienti camorristici di Quarto riguardava la gestione degli impianti sportivi della città: a tal fine rileva ricordare come la medesima procura avesse sequestrato la società sportiva di Castrese Parigliola, attualmente detenuto in regime di 41-bis, affidando la squadra di calcio alla «Sos Impresa»; tuttavia, successivamente, il sindaco Capuozzo avrebbe deciso di affidare la gestione dell'impianto sportivo ad un'associazione locale, la «Quartograd»;
   pur nel pieno rispetto del lavoro della magistratura e degli sviluppi che ne emergeranno, i suddetti fatti evidenziano un quadro preoccupante, e gettano un'ombra molto pesante sulla legalità, sulla trasparenza e sulla serenità nell'esercizio della funzione amministrativa nel comune di Quarto, che sembra condizionata dalla presenza attiva e invasiva della criminalità organizzata –:
   quali urgenti iniziative di competenza intenda assumere, nel pieno rispetto del ruolo e del lavoro degli organi inquirenti, al fine di monitorare la gestione dell'amministrazione del comune di Quarto nonché il relativo contesto socio-economico, eventualmente verificando se non sussistano le condizioni per attivare la procedura di cui all'articolo 143 del testo unico degli enti locali, di cui al decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 anche al fine di procedere, ove ne ricorrano i presupposti, al suo commissariamento. (3-01913)

Interrogazione a risposta scritta:


   PAGLIA. — Al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   dal 23 dicembre 2015 presso lo stabilimento Bormioli di Fidenza è in corso una vertenza sindacale, volta ad ottenere la garanzia che a seguito di cambio della ditta appaltatrice del servizio di facchinaggio, siano conservate le posizioni di lavoro in essere e le relative condizioni contrattuali;
   la vertenza riguarda 60 lavoratori;
   la mobilitazione è andata avanti nei giorni successivi, con picchetti e blocco dei cancelli;
   in data 7 gennaio 2016 CGIL-CISL-UIL firmano un'ipotesi di accordo che prevederebbe la riconferma dei lavoratori e del CCNL in vigore, con il declassamento dal 5 al 4 livello degli addetti;
   l'assemblea dei lavoratori rigetta l'accordo e stabilisce di continuare la lotta, supportata dal sindacato SI Cobas;
   nella mattina dell'8 gennaio 2016 polizia e carabinieri sgomberano con la forza il picchetto e traducono in questura non meno di 40 persone, a quanto risulta all'interrogante senza che sia nemmeno chiaro ai presenti se per identificazione o in stato di fermo;
   è necessario più volte l'intervento delle ambulanze, per soccorrere i lavoratori colpiti dallo sgombero;
   solo nel pomeriggio inoltrato si è provveduto al graduale rilascio dei fermati, che avevano peraltro resistito in modo passivo alle cariche, come evidente da video circolanti su siti di informazione locale –:
   per quale ragione le forze dell'ordine siano intervenute con la forza per porre fine ad una legittima, per quanto dura, vertenza sindacale;
   sulla base di quali elementi abbiano provveduto a portare in questura 40 persone, impegnate in una lotta a difesa delle proprie condizioni di lavoro;
   se tali modalità di intervento siano corrette rispetto alle regole di condotta in situazioni analoghe. (4-11586)

ISTRUZIONE, UNIVERSITÀ E RICERCA

Interrogazione a risposta in Commissione:


   MARZANA, VACCA, BRESCIA, D'UVA, DI BENEDETTO, CHIMIENTI, LUIGI GALLO, SIMONE VALENTE e DI VITA. — Al Ministro dell'istruzione, dell'università e della ricerca. — Per sapere – premesso che:
   il 25 gennaio si terrà a Palermo presso il teatro del liceo classico Umberto I (succursale), un seminario di formazione organizzato dalla FLC-CGIL intitolato «Integrazione, Inclusione e Partecipazione. Il ruolo dell'insegnante specializzato di sostegno: orizzonti e prospettive»;
   tra i relatori figurano illustri specialisti come Alain Goussot, docente di Didattica e Pedagogia speciale del Dipartimento di Psicologia all'università di Bologna, Elena Mignosi, docente di teorie, strategie e sistemi dell'educazione dell'università di Palermo;
   la presenza, tra i relatori, di Bruno Marziano, assessore all'istruzione e alla formazione professionale regione siciliana, Mariella Maggio, componente della commissione V Cultura, formazione e lavoro, Barbara Evola, assessore con deleghe alla scuola e realtà dell'infanzia, faranno dell'evento una manifestazione anche dal carattere politico;
   tra i rappresentanti politici figurano, tra l'altro, membri del Governo;
   la componente politica è rappresentativa solo di una parte del mondo istituzionale;
   dissonante appare, in particolare, agli interroganti la presenza del Sottosegretario Faraone; nella locandina non è indicato nemmeno l'argomento che affronterà, ma ad avviso degli interroganti non ha nessun tipo di competenze né deleghe adeguate per poter intervenire in un seminario di formazione sugli insegnanti di sostegno;
   il decreto legislativo n. 297 del 16 aprile 1994, all'articolo 396, stabilisce che «Il personale direttivo assolve alla funzione di promozione e di coordinamento delle attività di circolo o di istituto; (...) promuove e coordina, insieme con il collegio docenti, le attività didattiche, di sperimentazione e di aggiornamento nell'ambito del circolo o dell'istituto»; tuttavia, l'autonomia scolastica, in nome della quale si consente di prestare uno spazio della scuola in orario scolastico ad alcune attività di formazione come il seminario in questione, non può permettere derive di parte come quella che si configurerà in occasione del suddetto seminario;
   la scuola non può essere la vetrina della maggioranza pro tempore, bensì deve restare la scuola della Repubblica, del pluralismo culturale, sociale, politico, la scuola di tutti; difatti, l'articolo 33 della Costituzione dice che la Repubblica istituisce scuole – non governative o della maggioranza parlamentare – ma statali in cui tutti si possano riconoscere e i responsabili dell'istruzione devono consentire una formazione, anche quando rivolta al personale docente, che garantisca un approccio aperto e non ideologico, libero e non condizionato e in quanto la scuola è il luogo della formazione libera e critica di ogni singolo cittadino;
   ancora, ricordando come è compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese (articolo 3 della Costituzione), occorrerebbe garantire quel pluralismo che deve sempre caratterizzare l'istituzione scolastica come organo costituzionale e centro di sapere libero e democratico;
   pertanto non si comprendono i criteri e le ragioni che hanno indotto il dirigente scolastico e il collegio docenti a concedere i locali per un seminario aventi le suddette caratteristiche, così come si ritiene che la CGIL, non avrebbe dovuto escludere di fatto la rappresentanza di altre forze politiche, privando in tal modo i partecipanti di un confronto democratico;
   desta inoltre stupore come la CGIL, che solo pochi mesi, fa ha contestato e protestato contro la chiamata diretta, le deleghe in bianco, il «preside sceriffo», la medicalizzazione degli insegnanti di sostegno, gli albi territoriali, la penalizzazione degli ATA, le discriminazioni degli insegnanti, adesso inviti, in qualità di esperto, un sottosegretario che a giudizio degli interroganti non vanta nessun tipo di competenza nell'ambito dell'attività di sostegno facendo preludere ad una pericolosa deriva collaborazionista;
   il sindacato compie scelte significative nella politica scolastica e sociale e incide in modo determinante sulle modalità di formare ed informare tutte le componenti del mondo scolastico;
   per gli interroganti si profila in tal senso una evidente discriminazione ed un grave esercizio di parziale formazione culturale e professionale ai danni dei docenti che parteciperanno al seminario e di riflesso dell'utenza scolastica –:
   se il Ministro sia a conoscenza dei fatti suddetti e se intenda adottare le opportune iniziative per impedire quello che gli interroganti giudicano un comportamento discriminatorio ed evidentemente di parte;
   se si intendano assumere iniziative per evitare che il Sottosegretario Faraone partecipi al suddetto seminario, per i motivi menzionati in premessa, onde evitare di rendere il sistema di formazione pubblica una sorta di passerella politica, ponendo in grave imbarazzo l'intera comunità educante;
   quali iniziative intenda mettere in atto affinché l'autonomia scolastica non diventi il pretesto per consentire ai dirigenti qualsiasi utilizzo improprio dei locali scolastici come accadrà in occasione del suddetto seminario;
   che cosa intenda fare per impedire che si ripetano eventi all'interno dei luoghi scolastici, come il seminario che si realizzerà presso il teatro del liceo classico Umberto I di Palermo, che, ad avviso degli interroganti, non garantiscono la pluralità e il confronto democratico. (5-07314)

LAVORO E POLITICHE SOCIALI

Interpellanza urgente (ex articolo 138-bis del regolamento):


   I sottoscritti chiedono di interpellare il Ministro del lavoro e delle politiche sociali, per sapere – premesso che:
   a poco meno di un anno dal varo della riforma sul mercato del lavoro (cosiddetto Jobs act) che ha, ad avviso degli interpellanti, già fallito ed esaurito la sua presunta forza propulsiva di generatore di sviluppo economico, sarebbe utile conoscere la misura dell'impatto che il suo incisivo intervento di modifica del quadro regolatorio vigente, soprattutto in materia di licenziamenti individuali e collettivi, ha determinato sull'occupazione, in un territorio a carattere industriale, come la città di Torino e la sua provincia, che per oltre cento anni è stata la principale ed indiscussa factory town italiana, ma la cui più alta densità industriale italiana ha esposto il sistema produttivo ad una crisi che ha comportato alti livelli di cassa integrazione, precarietà e disoccupazione giovanile preoccupanti, riduzione di reddito per molte famiglie;
   l'attuale fragilità del mercato del lavoro e la tendenza ad una sua precarizzazione, nonché l'esclusione sociale delle fasce più deboli della popolazione, come giovani, donne, anziani e stranieri, rendono necessaria un'attenta analisi dei risultati e dei dati relativi al quinquennio 2010-2015 che aiuti a comprendere se il ricorso al lavoro accessorio risponda nella realtà alla effettiva esigenza di richiedere forme di prestazione occasionale o, viceversa, a quella di mascherare rapporti di lavoro che dovrebbero invece essere regolati dalla normativa sul lavoro dipendente;
   parimenti necessari sarebbero, con riferimento agli stessi dati, i dettagli per caratteristiche socio-anagrafiche dei lavoratori coinvolti, per capire in che modo la suddetta riforma del mercato del lavoro abbia contribuito a rendere il mercato meno duale e discriminante nei confronti delle suddette categorie più vulnerabili;
   alla luce di quanto premesso, gli interpellanti considerano di estremo ausilio la conoscenza di alcuni dati riferibili alla città di Torino e sua provincia ed in possesso, per competenza, del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, dell'INPS e dell'ISTAT –:
   quale sia la durata dei contratti a tempo determinato, divisi per classi di età dei lavoratori, sottoscritti nella città di Torino e provincia, nel periodo compreso tra il mese di dicembre 2010 al mese di settembre 2015 per classi di età;
   con riferimento al medesimo periodo (dicembre 2010-settembre 2015) ed alla medesima città di Torino e sua provincia, quali siano, riguardo al lavoro accessorio:
    a) i dati mensili dei voucher venduti suddivisi per cittadinanza e per le seguenti classi di età dei lavoratori: 15-24 anni, 25-34 anni, 35-54 anni, oltre 54 anni;
    b) i dati relativi alle attivazioni, alle cessazioni ed alle trasformazioni dei contratti;
    c) la serie storica, incorporando per tutti i mesi le rettifiche metodologiche fatte in corso d'anno e riportate nei report mensili da parte dello stesso Inps, delle attivazioni e cessazioni di contratti per genere, classi di età, cittadinanza, professione (operai, impiegati e altro), per settore di attività (industria manifatturiera, servizi, commercio, artigianato e altro) e per tipologia contrattuale (tempo determinato, tempo indeterminato, apprendistato, collaborazioni, lavoro in somministrazione);
   le serie storiche fornite in modo omogeneo, cioè incorporando per tutti i mesi le rettifiche metodologiche fatte in corso d'anno da parte dello stesso Inps e riportate nei report mensili relative:
    1) ad attivazioni e cessazioni per tipologia contrattuale da gennaio 2013 a settembre 2015;
    2) a trasformazioni di contratti a tempo determinato in tempo indeterminato da gennaio 2013 a settembre 2015;
    3) al numero di assunzioni con sgravi contributivi da gennaio 2013 a settembre 2015;
    4) al numero di trasformazioni con sgravi contributivi da gennaio 2013 a settembre 2015;
    5) al numero di trasformazioni di contratti a tempo determinato in contratti a tempo determinato;
    6) al numero di attivazioni e trasformazioni di contratti a tempo indeterminato che hanno usufruito dell'esonero contributivo previsto dalla legge di stabilità 2015;
    7) alla durata dei contratti a tempo indeterminato che hanno usufruito del suddetto esonero contributivo (cioè se e quanti dei contratti attivati con gli sgravi sono già cessati);
    8) alla durata delle trasformazioni che hanno usufruito dell'esonero contributivo (se e quante trasformazioni beneficiarie di sgravi siano già cessate);
    9) alla spesa totale per gli sgravi contributivi da gennaio 2015 a settembre 2015, relativa alla città di Torino;
   quali siano nel medesimo intervallo di tempo (dicembre 2010-settembre 2015):
    a) i tassi di occupazione e quelli di disoccupazione aggregati per genere e per classi di età;
    b) il numero degli occupati, per tipologia di contratto, orario, dipendenti a tempo determinato, indeterminato e indipendenti per genere, classi di età;
    c) la forza lavoro ed il tasso di attività per genere e classi di età;
    d) il numero di occupati per tipo di attività nei sei mesi precedenti (disoccupati, occupati, inattivi, pensionati, studenti).
(2-01215) «Airaudo, Scotto, Franco Bordo, Costantino, D'Attorre, Duranti, Daniele Farina, Fassina, Claudio Fava, Ferrara, Folino, Fratoianni, Carlo Galli, Giancarlo Giordano, Gregori, Kronbichler, Marcon, Melilla, Nicchi, Paglia, Palazzotto, Pannarale, Pellegrino, Piras, Placido, Quaranta, Ricciatti, Sannicandro, Zaratti, Zaccagnini».

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RIZZETTO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   l'interrogante già con atto di sindacato ispettivo, del 7 ottobre 2015 (5-06602), ha chiesto provvedimenti del Governo rispetto alla mala gestione delle risorse relative al piano «garanzia giovani», nato per contrastare la disoccupazione giovanile. Le criticità del progetto sono state rilevate soprattutto in Sicilia, pertanto, rispetto a tale regione l'interrogante ha richiesto, specificamente, l'ammontare dei fondi stanziati per rendere operativo il piano e il controllo sull'impiego di tali risorse, posto che è risultato che i tirocini attivati spesso sono fittizi;
   si apprende che, ad ulteriore danno dei giovani siciliani, sono stati destinati ad altri fini i fondi di un diverso piano che avrebbe anch'esso dovuto aiutare i disoccupati finanziando tirocini o l'avvio di un'impresa in Sicilia per gli under 35. Si tratta del progetto denominato «piano giovani», le cui risorse verranno, invece, utilizzate per pagare i «risarcimenti» di contenziosi persi dalla regione nei confronti di enti di formazione. Quindi, i fondi inizialmente destinati ai giovani andranno persi per corrispondere i «risarcimenti» che sono conseguenza di condotte errate della regione siciliana, a seguito di provvedimenti di revoca di accreditamenti dichiarati illegittimi dal Tar. In particolare, le risorse del piano saranno destinate al risarcimento dovuto in conseguenza del contenzioso sulla cessione al Consorzio Cerf dell'ente Cefop; si tratta di una cessione bloccata dalla giunta regionale siciliana con modalità che risultano illegittime, come dichiarato dai giudici amministrativi. Pertanto, la regione dovrà riconoscere all'ente 32 milioni di euro;
   ebbene, già sono esigue le risorse destinate all'occupazione giovanile e alle politiche attive del lavoro; a ciò si aggiungono impiego di dubbia legittimità e un anomalo cambio di utilizzazione dei finanziamenti, come è avvenuto in Sicilia rispetto ad entrambi i predetti piani che dovevano avere come unico scopo quello di contrastare la disoccupazione;
   si ritiene, dunque, necessario un urgente intervento del Governo per agevolare concretamente l'ingresso nel mondo del lavoro dei giovani anche per escludere inammissibili fatti come quelli descritti in premessa che mettono in evidenza come spesso i finanziamenti destinati a tale scopo siano mal gestiti in danno ovviamente ai giovani disoccupati; ciò sembra all'interrogante avvenga soprattutto nella regione Sicilia, dove, tra l'altro, il problema della disoccupazione giovanile è particolarmente grave –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato rispetto ai fatti esposti in premessa;
   se e quali iniziative concrete intenda assumere affinché sia favorita e sostenuta l'occupazione giovanile in Italia, con particolare attenzione per i territori più svantaggiati, come quelli della regione Sicilia; se e quali iniziative, per quanto di competenza, intenda assumere per escludere il verificarsi di situazioni come quelle descritte in premessa, prevedendo un controllo incisivo sull'utilizzo dei finanziamenti e per evitare una mala gestione nonché un illegittimo utilizzo delle risorse in danno ai giovani. (5-07303)


   FIORIO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali, al Ministro dell'economia e delle finanze, al Ministro delle politiche agricole alimentari e forestali. — Per sapere – premesso che:
   con la legge n. 233 del 1990 (Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi) sono state introdotte le fasce di appartenenza ai fini dell'imposizione contributiva, determinate sulla base del reddito agrario dell'azienda agricola condotta;
   la medesima legge ha previsto il termine di 90 giorni, dal verificarsi dell'evento, per comunicare all'Inps le variazioni in aumento o in diminuzione del reddito agrario, a seguito delle modifiche relative ai terreni condotti che determinino la variazione della fascia di competenza;
   a seguito delle molteplici variazioni intervenute nel corso degli anni sia per volontà dei conduttori (come ad esempio le compravendite, gli affitti, le variazioni colturali), sia a seguito di riclassificazioni catastali automatiche (accertamenti e fotointerpretazioni), si sono verificate serie problematiche rispetto all'aggiornamento puntuale delle situazioni patrimoniali;
   a seguito di tali modifiche, molti titolari hanno infatti registrato difficoltà ad effettuare le rispettive denunce di variazione da trasmettere all'Inps ai fini previdenziali. Per legge, le variazioni in aumento determinano il passaggio ad una fascia superiore di reddito e, conseguentemente, comportano una minore contribuzione previdenziale. Quindi, in caso di accertamento, oltre alla sanzione per la mancata denuncia, è previsto il recupero della differenza contributiva maggiorata delle sanzioni e interessi previste, con una retroattività fino a 5 anni, nei limiti della prescrizione attualmente in vigore per le evasioni contributive;
   le attuali norme, legate ad una oggettiva difficoltà nel reperire le variazioni di reddito dei soggetti coinvolti, rischiano di innescare, a giudizio dell'interrogante, un meccanismo di «illegale autodifesa», secondo il quale quando i titolari di azienda si rendono conto dell'omissione oltre l'anno corrente, per evitare l'applicazione retroattiva e le conseguenti sanzioni, si astengono dall'effettuare le denunce tardive;
   tale problematica è stata sollevata da tempo dalle associazioni agricole di categoria che, sottolineando come la responsabilità non sia sempre imputabile esclusivamente all'agricoltore, hanno rimarcato la necessità di un intervento legislativo per sanare i possibili contenziosi e far emergere le situazioni ancora non regolarizzate;
   la proposta delle associazioni prevedrebbe la possibilità di fissare dei termini di scadenza, entro i quali poter effettuare tutte le denunce di variazione fin qui omesse, con la possibilità di ottenere la riclassificazione della fascia senza retroattività e con sanzioni limitate –:
   quali iniziative intendano assumere i ministri interrogati per promuovere un equo trattamento pensionistico per i lavoratori autonomi titolari di reddito agrario e se non ritengano utile, in relazione a quanto espresso in premessa, assumere, in particolare, iniziative per incentivare l'emersione delle situazioni ancora non regolarizzate anche attraverso forme di condono e di riduzione delle sanzioni ad oggi previste. (5-07305)


   GRILLO, BARONI, COLONNESE, DI VITA, SILVIA GIORDANO, LOREFICE e MANTERO. — Al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   ci si riferisce ad una circostanziata nota del dottor Franco Picchi, formulata in qualità di iscritto alla Fondazione Enpam, all'Anac ed al Ministero del lavoro e delle politiche sociali che ha sollecitato la Fondazione Enpam al rispetto degli adempimenti previsti dalle norme sulla trasparenza ai quali l'ente è soggetto in base al decreto legislativo 33 del 2013;
   a seguito di detti solleciti, recentemente, la Fondazione Enpam ha istituito una sezione specifica del sito aziendale, dedicata alla trasparenza, denominata «Fondazione trasparente», che non riporta, comunque, tutte le informazioni previste dal citato decreto legislativo 33 del 2013;
   in particolare nella nota del dottor Picchi si chiede di conoscere lo stato di attuazione del decreto legislativo 231 del 2001 (modello organizzativo, organismo di vigilanza) anche per la controllata Enpam Real Estate (nel frattempo l'Enpam ha costituita una ulteriore società in house, Enpam Sicura, alla quale si dovrebbero applicare gli stessi adempimenti);
   va rilevato che nella determinazione n. 8 del 17 giugno 2015, relativa alle linee guida per l'attuazione della normativa in materia di prevenzione della corruzione e di trasparenza, l'Anac ha, tra l'altro, affermato che «le amministrazioni controllanti debbano assicurare l'adozione del modello di organizzazione e gestione previsto dal d.lgs. n. 231/2001 da parte delle società controllate»;
   dalla relazione della Corte dei Conti relativa agli anni 2008/2009 risulta che la Fondazione Enpam, prima delle Casse di previdenza, si era adeguata al decreto legislativo 231 del 2001 sulla responsabilità degli enti ed aveva istituito il previsto organismo di vigilanza previsto dal decreto legislativo 231 del 2001, costituito da tre componenti e presieduto dal Consigliere Emidio Frascione;
   sempre dalla stessa relazione risulta che detto organismo sarebbe stato revocato a settembre 2009, senza poter concludere il proprio mandato, e sostituito con un nuovo comitato di controllo interno. La Corte dei Conti conclude la sua relazione: «La vicenda è invero singolare»;
   dall'esame delle audizioni che la Commissione parlamentare di controllo sulle attività degli enti gestori di forme obbligatorie di previdenza e assistenza sociale, risulta che nella seduta del 28 maggio 2014, il Presidente della Fondazione Enpam, a una precisa richiesta sul tema, abbia dichiarato che la Fondazione Enpam era stata tra le prime ad adottare il decreto legislativo 231 del 2001 ed istituire il previsto organismo di vigilanza, ma che detto organismo è stato successivamente revocato a seguito di non meglio precisate «osservazioni ministeriali»;
   di tali «osservazioni ministeriali» non vi è traccia documentale, mentre la maggior parte delle Casse si sono, nel tempo, correttamente adeguate al decreto legislativo 231 del 2001 ed hanno, pertanto, istituito l'organismo di vigilanza, previsto dalla stessa norma;
   risulta, inoltre, che il presidente dell'organismo di vigilanza, a seguito della delibera di revoca di detto organismo, abbia inviato, in data 20 novembre 2009, una «relazione esposto» ai competenti organi di vigilanza, tra i quali, in primis, il Ministero del lavoro e delle politiche sociali –:
   quale sia stata la giusta causa di revoca dell'Organismo di vigilanza, così come espressamente previsto dallo statuto istitutivo e dalla legge;
   se e quali siano state le «osservazioni ministeriali» che hanno portato alla revoca dell'organismo di vigilanza della Fondazione Enpam;
   se nel periodo in questione l'organismo di vigilanza abbia formalizzato osservazioni e proposte nelle aree di competenza, in particolare relative agli investimenti;
   quali siano le eventuali iniziative del Ministero del lavoro e delle politiche sociali, a seguito della succitata «relazione esposto» del Presidente dell'organismo di vigilanza dottor Emidio Frascione e se non si ritenga che il perdurare dello stato di revoca, in assenza di specifiche motivazioni, possa configurarsi come ostacolo alle funzioni di vigilanza. (5-07315)

SALUTE

Interrogazione a risposta orale:


   BINETTI. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in Italia la medicina materno-fetale vanta indici di sicurezza tra i più alti d'Europa: la casistica di morti durante il parto in Italia è di 10 su 100 mila, in linea con i più alti standard internazionali. Ma non c’è dubbio che l'opinione pubblica sia attualmente molto scossa per i recenti fatti drammatici legati all'evento nascita;
   si rendono sempre più necessarie strutture cliniche ed ospedaliere che dispongano di terapia intensiva neonatale e almeno di terapia sub-intensiva per la partoriente 24 ore su 24. E, nei territori in cui mancano questi presupposti, deve essere prevista una rete di emergenza in grado di intervenire il più tempestivamente possibile in caso di sofferenza della madre o del bambino;
   la tempestività con cui il Ministro ha inviato una specifica task force per fare chiarezza sui diversi fatti e verificare eventuali responsabilità è apparsa quanto mai opportuna;
   i dati apparsi sui mass media sembrano sollevare da qualsiasi responsabilità sia i sanitari che le strutture ospedaliere, attribuendo la causa dei decessi a fattori poco prevedibili, intercorsi successivamente ai controlli effettuati nelle strutture sanitarie;
   d'altra parte l'impegno che la decisione presa in tempo reale, con cui il Ministro ha annunziato nuove linee guida per farsi carico di gravidanze a rischio lascia supporre che esistano margini precisi per migliorare l'assistenza al parto;
   manca attualmente un registro delle morti materne collegate al parto, che potrebbe essere istituito in tempi brevi presso l'Istituto superiore di sanità e permetterebbe di disporre di dati scientifici costantemente aggiornati;
   d'altra parte, le gestazioni in età sempre più avanzata comportano maggiori complicanze per cui è necessario aumentare il monitoraggio sul territorio, concentrando l'attenzione non solo su quanto accade durante il ricovero ospedaliero e in sala parto, ma anche sulla fase precedente al ricovero  –:
   quali iniziative di competenza il Ministro intenda assumere in tempi brevi per garantire margini di sicurezza adeguati alle donne in fase avanzata di gravidanza, perché in questo periodo appaiono visibilmente preoccupate e affrontano l'evento nascita con una insicurezza che coinvolge loro e il bambino che sta per nascere.
(3-01912)

Interrogazioni a risposta in Commissione:


   RICCIATTI, NICCHI, GREGORI, FRATOIANNI, COSTANTINO, PIRAS, QUARANTA, SANNICANDRO, MELILLA, DURANTI e SCOTTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   i punti di primo intervento (PPI) nelle strutture di Cagli, Fossombrone e Sassocorvaro in Provincia di Pesaro e Urbino, ricadenti sotto l'amministrazione dell'area vasta n. 1 dell'Asur Marche, a partire dal 1o gennaio 2016, hanno visto una riduzione della loro operatività alla fascia oraria 8,00-20,00;
   per le ore non coperte dal servizio, i cittadini dei comuni interessati dovranno rivolgersi ai medici di continuità assistenziale (ex guardia medica) per i casi di lieve entità; e al 118 per i casi di maggiore gravità ed urgenza;
   i territori serviti dai punti di primo intervento di Cagli, Fossombrone e Sassocorvaro, sono in gran parte montani, caratterizzati dalla presenza di nuclei abitativi ridotti e distanziati tra loro, e disagiati per quanto riguarda la viabilità che, soprattutto nel periodo invernale, moltiplica i tempi di percorrenza;
   la riduzione degli orari di operatività del PPI costituiscono, pertanto, ed in modo evidente, una riduzione sensibile del diritto alla salute dei cittadini che risiedono e vivono in quelle aree della provincia di Pesaro e Urbino che, al pari degli altri, contribuiscono a finanziare le strutture sanitarie attraverso il pagamento delle imposte;
   la riorganizzazione varata dalla regione Marche con la delibera n. 735 del 2013, che prevede il riordino delle strutture sanitarie (denominato «Riduzione della frammentazione della Rete Ospedaliera, Riconversione delle piccole strutture ospedaliere e Riorganizzazione della Rete Territoriale della Emergenza-Urgenza della Regione Marche in attuazione della DGR 1696/2012»), e i successivi provvedimenti attuativi stanno causando enormi disagi ai cittadini residenti nella regione, soprattutto nelle aree dell'entroterra e nei territori montani, con una riduzione del servizio sanitario pubblico;
   la prima firmataria del presente atto ha segnalato in diverse occasioni tale processo nonché le numerose proteste delle comunità interessate direttamente dalla modifica funzionale delle strutture e dalle riduzioni di prestazioni e servizi –:
   quali iniziative di competenza intenda adottare il Ministro interrogato al fine di garantire pienamente i livelli essenziali di assistenza per i cittadini residenti nelle aree orograficamente disagiate. (5-07301)


   RIZZETTO. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   il Ministero della salute ha imposto alla regione siciliana la chiusura dei punti nascita che effettuano meno di 500 parti all'anno. Pertanto, l'ex assessore alla sanità Lucia Borsellino ha proceduto a stilare un elenco con sedici ospedali dotati di ginecologia che non superavano la predetta soglia minima indicata dal Ministero. Per alcune di queste strutture si è subito proceduto alla chiusura, altre sono state salvate in via preventiva, mentre a sei punti nascita è stato concesso di rimanere in attività, fino al 31 dicembre del 2015: sicché, dopo tale data, il Ministero avrebbe dovuto decretare la sospensione del servizio. Tuttavia, tale provvedimento è stato emesso per i centri di Petralia Sottana, in provincia di Palermo, di Santo Stefano Quisquina, in provincia di Agrigento, di Mussomeli, in provincia di Caltanissetta, e dell'isola di Lipari; di contro, non si è proceduto alla chiusura dei punti nascita di Licata, in provincia di Agrigento e di Bronte, nel catanese. A tal riguardo, il Ministro della salute Beatrice Lorenzin sembra sia intervenuta per escludere tali chiusure, a parere dell'interrogante, poiché Bronte e Licata sono anche «feudi elettorali» del Nuovo Centrodestra, lo stesso partito del Ministro. Anche quotidiani siciliani locali hanno riferito di frequenti visite istituzionali provenienti da Roma di alcuni dei maggiori esponenti di Ncd, per salvare il punto nascita in provincia di Catania. Stesse «manovre» sarebbero state compiute per la struttura di Licata, «salvata» dal Ministro Lorenzin, poiché coinvolge una zona d'influenza elettorale del Ministro Alfano;
   il giornale Il Fatto Quotidiano ha denunciato tale vicenda con un articolo del 4 gennaio 2016 dove si afferma «In Sicilia salvati i punti nascita targati Ncd»;
   ebbene, non è ammissibile, secondo l'interrogante, che i punti parto siciliani, pur avendo le medesime caratteristiche, a quanto è dato sapere, abbiano avuto destini diversi esclusivamente per motivi politici. Addirittura Vincenzo Fontana, deputato regionale del Nuovo centro destra e vicepresidente della commissione sanità in regione ha praticamente confessato che la chiusura delle due strutture in questione è stata evitata «Grazie all'impegno e al lavoro del Ministro Alfano e del Ministro Lorenzin, con i quali — diceva — sono stato costantemente in contatto e informato sull'evoluzione dell'iter». Quindi, è evidente per l'interrogante che per salvare la struttura di ginecologia a Licata sono intervenuti direttamente i titolari dei Ministeri dell'interno e della salute, che sembrerebbero mossi da considerevoli interessi del proprio partito;
   alla luce dei fatti denunciati, si ritiene necessario accertare come il Ministro della salute Lorenzin si sia adoperata rispetto alla chiusura dei punti nascita in Sicilia, che sembra sia avvenuta con quelle che l'interrogante giudica modalità discriminatorie, allo scopo di escludere le chiusure dei punti nascita che interessano zone note quali bacini elettorali del Nuovo centro destra –:
   quali siano gli orientamenti del Ministro interrogato sui fatti esposti in premessa;
   con quali criteri siano stati scelti i punti nascita da chiudere nella regione Sicilia e per quali motivi siano state improvvisamente escluse le chiusure delle strutture di Bronte e Licata;
   quali siano i criteri per i quali il Ministero della salute decida, per quanto di competenza, di salvaguardare o meno i punti nascita in Italia;
   se e quali siano i punti nascita per i quali si sia proceduto alla chiusura in altre regioni, durante l'attuale legislatura, e quali siano i criteri che hanno condotto alla chiusura delle strutture. (5-07307)


   CARLONI, MANFREDI e VALERIA VALENTE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 13 luglio 2015, il Comitato Cittadino di Pianura (Napoli) depositava presso l'ufficio protocollo della regione Campania un documento recante la descrizione della situazione relativa al distretto A.S.L. in questione avente protocollo n. 11568 del 18 luglio 2015;
   il documento evidenziava che in Pianura, alla via Giorgio De Grassi, è sita una struttura comunale completamente ristrutturata dal 2007 per essere adibita a sede A.S.L. mai aperta al pubblico e, che attualmente l'A.S.L. di Pianura è collocata in una struttura condotta in locazione alla Via San Donato, dove eroga il solo servizio di vaccinazioni, ciò rappresentando un grave motivo di disagio per i cittadini che per fruire di tutte le prestazioni sanitarie sono costretti a recarsi presso la sede A.S.L. di Soccavo;
   il documento inoltre evidenzia quanto sia un inutile ed ingiustificato disagio questa situazione per la cittadinanza, che deve subire estenuanti attese causate da un trasporto pubblico letteralmente al collasso, per starsi da Pianura verso Soccavo, una situazione che appare anche un manifesto esempio di danno economico;
   tale documento, documento, recante l'anzidetto contenuto, veniva poi recapitato presso l'ufficio 5, l'ufficio di diretta collaborazione del presidente della regione Campania;
   in riscontro al suddetto documento, in data 28 luglio 2015, una delegazione del Comitato Cittadino, incontrava l'allora direttore generale dell'A.S.L. Napoli 1 Centro, nonché il suo più stretto collaboratore. Nel corso del colloquio la delegazione esprimeva il disagio avvertito dalla cittadinanza nel subire l'inerzia della situazione prolungatasi nel corso degli ultimi anni, e immediatamente dopo il direttore generale dell'ASL sopra menzionato esponeva le ragioni tecnico-amministrative per le quali la situazione persisteva, e che persiste, tuttora. In particolare, durante la fase di ristrutturazione dell'edificio, la realizzazione del vano ascensore veniva effettuata dalla ditta appaltatrice in maniera non conforme all'originario progetto, e pertanto l'impianto di risalita acquistato non poteva essere installato per incompatibilità tra la predisposizione dell'impianto e l'ascensore stesso. Stante questa circostanza, l'A.S.L. provvedeva all'acquisto di un nuovo ascensore adeguato alla predisposizione esistente e per la cui installazione occorreva il rilascio di specifica documentazione ad opera del genio civile. Il colloquio si concludeva con la promessa che in breve tempo la situazione si sarebbe sbloccata, e con l'accordo di avere aggiornamenti telefonici, ove vi fossero state rapide evoluzioni;
   attualmente, nonostante la disponibilità del direttore generale della ASL sopra richiamato nonché del suo collaboratore, ad offrire chiarimenti inerenti all'evoluzione del problema, appare poco chiara la natura dei continui ritardi che non consentono di superare le presunte difficoltà amministrative. Pertanto, il Comitato Cittadino di Pianura, ove mai non si dovesse pervenire alla risoluzione di quanto innanzi, senza ulteriori indugi, si riserverà di intraprendere le opportune azioni legali a tutela del diritto alla salute dei cittadini –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopraesposta e se, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti volte a dirimere la situazione. (5-07308)


   LABRIOLA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   dalle notizie di cronaca dei giorni scorsi si è appreso che dal 25 al 31 dicembre 2015 siano morte ben 5 donne ed i rispettivi bambini ancora in grembo, si tratterebbe di:
    Anna Massignan di 34 anni, morta il 25 dicembre nell'ospedale di San Bonifacio, in provincia di Verona, dopo una caduta in casa durate l'antivigilia di Natale. La donna sottoposta a un parto cesareo d'urgenza, sarebbe deceduta durante l'intervento, mentre il neonato avrebbe seguito le sorti della madre successivamente in un altro ospedale;
    Angela Nesta di 39 anni, morta durante la notte del 26 dicembre per arresto cardiocircolatorio in sala parto ospedale Sant'Anna di Torino, dopo aver dato alla luce, al nono mese di gravidanza, la sua primogenita nata morta;
    Marta Lazzarin, blogger di 35 anni, morta il 29 dicembre a seguito del ricovero avvenuto nel pomeriggio alla 27a settimana di una gestazione che non le avrebbe mai dato problemi. La giovane sarebbe arrivata al pronto soccorso con febbre alta e dolori addominali con perforazione del sacco amniotico e il feto morto, probabilmente da un paio di giorni;
    lo stesso 29 dicembre una giovane di 23 anni, incinta di nove mesi di una bambina, morta in casa a Foggia per cause da accertare. In pochi minuti, il corpo sarebbe stato portato agli Ospedali Riuniti della città pugliese ove sarebbe stato eseguito un cesareo post-mortem, facendo nascere la piccola e rianimandola. La neonata sembra sia in discrete condizioni;
    Giovanna Lazzari, 30 anni, già mamma di due bambini, morta il 31 dicembre a Brescia insieme al bimbo del quale era incinta da otto mesi;
   si apprende da un articolo del 2 gennaio 2016, pubblicato dal quotidiano Il Corriere della Sera, che il Ministro interrogato abbia inviato la task force, istituita lo scorso marzo presso il Ministero della salute per verificare eventuali errori nelle procedure eseguite negli ospedali di Brescia, Bassano del Grappa e di San Bonifacio-Verona;
   la task force composta dai dirigenti del Ministero e dell'Agenas, dai carabinieri del NAS, dal rappresentante delle regioni – dovrà accertare, secondo quanto pubblicato, se a determinare i decessi abbiano contribuito difetti organizzativi e se siano state rispettate tutte le procedure previste a garanzia della qualità e sicurezza delle cure;
   inoltre, viene riportato che i risultati delle ispezioni, saranno oggetto di approfondimenti e di ulteriori iniziative da parte del Ministro;
   secondo tale articolo, da un progetto pilota di sorveglianza attiva della mortalità materna, coordinato dall'istituto superiore di sanità (Iss), grazie a un finanziamento del centro controllo malattie (CCM) del Ministero della, salute, realizzato in sei regioni e presentato lo scorso anno, emerge che l'Italia rimane comunque in linea con la media dei Paesi europei per quanto riguarda la mortalità materna, con un rapporto pari a 10 decessi ogni centomila nati vivi; lo stesso rapporto rilevato nel Regno Unito e in Francia;
   il progetto sarebbe stato condotto in Piemonte, Emilia Romagna, Toscana, Lazio, Campania e Sicilia utilizzando due metodologie: incrociando i registri di modalità con le schede di dimissione ospedaliera e attivando una sorveglianza attiva per analizzare i casi di morte materna. Il rapporto più basso (4,6 ogni centomila nati vivi) è stato rilevato in Toscana, il più alto (13,4 ogni centomila nati vivi) in Campania. Il progetto ha permesso di rilevare anche le morti materne avvenute fino ad un anno dal parto, mettendo in evidenza che il 12 per cento è attribuibile al suicidio, che avviene in due casi ogni centomila nati vivi. Grazie alla sorveglianza attiva, una rete di circa 300 presidi sanitari, sarebbero state rilevate 39 morti in due anni, la maggior parte delle quali a seguito di complicanze della gravidanza e del parto, mentre le altre per complicazioni legate a patologie preesistenti;
   è parere dell'interrogante che si debba intervenire in maniera decisa e capillare per evitare che altre donne e bambini muoiano di parto, e che, oltre ad accertare le cause e le responsabilità di quelle già avvenute, sia indispensabile un riordino dei servizi ospedalieri dei reparti di ginecologia ed ostetricia degli ospedali di tutto il territorio nazionale, rivedendo la turnazione del personale in servizio, stabilendo obbligatoriamente il servizio di più medici durate i vari turni, soprattutto festivi, e prevedendo anche l'assunzione di più medici non obiettori –:
   quali siano gli esiti delle ispezioni della task force inviata negli ospedali di Brescia, Bassano del Grappa e di San Bonifacio-Verona, quali siano i suoi orientamenti al riguardo e quali ulteriori dati abbia in suo possesso;
   se stia valutando altri interventi e quali siano;
   quali iniziative urgenti, anche normative e in concerto con le varie regioni italiane, intenda adottare, per riorganizzare i servizi ospedalieri relativi ai reparti di ginecologia e ostetricia degli ospedali italiani e quale sia la tempistica;
   in che modo ritenga di intervenire per ammodernare l'attrezzistica di tali reparti, soprattutto negli ospedali situati nelle aree più svantaggiante del nostro Paese, a tutela di tutte quelle famiglie impossibilitate, per motivi economici, a raggiungere strutture più moderne.
(5-07309)


   CARLONI. — Al Ministro della salute, al Ministro dell'interno. — Per sapere – premesso che:
   il 3 dicembre 2015 cinque uomini armati hanno fatto irruzione alle 4 della mattina nei locali della Asl Napoli 1 di Soccavo, distretto n. 26, sono stati rubati farmaci per un valore di decine di migliaia di euro. Un raid pianificato in ogni minimo dettaglio. Si tratta di un'operazione da professionisti, come hanno spiegato gli investigatori. Tutto ha avuto inizio nel cuore della notte, quando mancavano pochi minuti alle quattro del nuovo giorno. All'interno del deposito che custodisce costosissimi medicinali della Asl Napoli 1 di Soccavo fanno irruzione cinque persone, tutte a volto coperto e armate, dopo aver scassinato e distrutto il portone di ingresso. Sotto minaccia bloccano e immobilizzano la guardia non armata della SOGESI e sequestrano – per oltre 30 minuti – i quattro medici della locale guardia medica. Inizia così la razzia dei farmaci, che sono poi caricati a bordo delle auto dei delinquenti;
   i medici in questione sono stati sequestrati e tenuti sotto la minaccia, solo perché colpevoli di prestare servizio in una struttura che fa gola a criminali senza scrupolo. La decisione di tenere il servizio di guardia medica nella stessa struttura che ospita la farmacia distrettuale ed i suoi farmaci, a giudizio dell'interrogante, dimostra pertanto una grave incompetenza gestionale o, cosa ancor più grave, l'assoluta ignoranza sulla geografia dei servizi dislocati sul territorio;
   non si comprende come si possa pensare di istituire un servizio di continuità assistenziale come la guardia medica, che per antonomasia è tenuto ad aprire a tutti i cittadini, nella stessa struttura che invece ha il dovere di custodire farmaci da centinaia di migliaia di euro, operando di fatto una scelta organizzativa che appare all'interrogante improvvida e che ha messo a rischio la vita di medici che forniscono un primario servizio di assistenza nelle difficili ore notturne e nei giorni festivi alla cittadinanza;
   urgono pertanto interventi immediati a tutela dei medici di guardia medica intenti a prestare il loro difficile lavoro nelle condizioni di massima sicurezza e chi organizza e controlla in sanità ha il dovere di disporre ed adeguare i locali al massimo livello di funzionalità e sicurezza, cosa d'altronde già prevista dalle vigenti norme di legge, ma assolutamente inattuata nel caso in questione;
   la sede del distretto è sita in una zona difficilmente controllabile, da cui si può accedere da ben tre diversi lati e da tre diversi livelli aerei e stradali e quindi praticamente impossibile da badare con un solo uomo in guardiania, per di più non armato e senza neanche un sistema di videosorveglianza. Nella stessa struttura sono ubicati due servizi che necessitano di particolare sorveglianza: la farmacia distrettuale per i costosissimi farmaci custoditi ed il SERT dedicato alle tossicodipendenze, insieme alla guardia medica. A ciò si aggiunga la necessità di aprire, per il servizio di guardia, a chiunque ne faccia richiesta –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza della situazione sopraesposta e se, per quanto di competenza e anche per il tramite del commissario ad acta per l'attuazione del piano di rientro dai disavanzi sanitari, non ritenga opportuno assumere iniziative urgenti volte a:
    a) predisporre un adeguato servizio di sicurezza, come era precedentemente previsto durante i turni di guardia medica, evitando così di mettere a rischio il personale sanitario privo di qualsivoglia forma di videosorveglianza;
    b) eliminare le criticità sovraesposte adottando immediate misure a difesa dei medici e della loro incolumità personale alla luce delle innumerevoli aggressioni e rapine di farmaci. (5-07311)


   RICCIATTI, NICCHI, COSTANTINO, DURANTI, PANNARALE, GREGORI, PELLEGRINO, MELILLA, QUARANTA, PIRAS, SANNICANDRO, FRATOIANNI e KRONBICHLER. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   in data 23 dicembre 2015 una studentessa di quindici anni ha scoperto, presso il cortile di un palazzo nel centro di Civitanova Marche, un feto di cinque mesi di sesso femminile, avvolto in una busta di carta (Ansa, 23 dicembre 2015);
   la busta era stata casualmente rinvenuta dalla stessa ragazza su una panchina della stazione dei bus di Trodica di Morrovalle (Macerata) e portata con sé fino alla macabra scoperta;
   a seguito del rinvenimento è stato eseguito esame autoptico (diretto dal medico legale Antonio Tombolini) per stabilire le cause esatte della morte del feto;
   l'ipotesi al momento più accreditata è che si tratti di un aborto illegale indotto farmacologicamente;
   il feto sarebbe deceduto subito dopo il parto, avvenuto senza traumi né uso di mezzi chirurgici. Secondo alcune prime ricostruzioni, riportate dalla stampa (Corriere Adriatico, 24 dicembre 2015) la madre sarebbe stata assistita da una persona esperta (ad avvalorare tale ipotesi il cordone ombelicale reciso con delle forbici e non con mezzi di fortuna, e le condizioni del feto, lavato e pulito prima di essere infilato in un sacchetto di carta e quindi nella busta di plastica di una boutique);
   la procura della Repubblica ha aperto un fascicolo contro ignoti per il reato di interruzione illegale di gravidanza;
   l'evento richiamato desta particolare allarme perché avviene in una regione dove il percorso di interruzione volontaria di gravidanza è particolarmente difficoltoso (l'interrogante ha più volte segnalato al Ministro interrogato, con diversi atti di sindacato ispettivo, come la regione Marche sia in forte ritardo nel garantire tale diritto; ex multis si confronti l'interrogazione a risposta in Commissione, n. 5-06409 presentata il 17 settembre 2015, seduta n. 484);
   numerose sono infatti le difficoltà per chi voglia eseguire una interruzione volontaria di gravidanza, principalmente a causa della presenza di un alto numero di medici obiettori di coscienza distribuiti tra le varie strutture in modo tale da determinare spesso la paralisi del servizio in diversi territori; ma in alcuni casi anche per le indebite interferenze di associazioni pro vita, che tendono a colpevolizzare l'autonoma e delicata scelta individuale e che trovano spazio operativo all'interno dei consultori pubblici (sul punto si richiama l'interrogazione a risposta scritta n. 4-02709 presentata il 27 novembre 2013, seduta n. 126);
   un'aggiornata fotografia sulle interruzioni di gravidanza in Italia è stata fornita dall'inchiesta del settimanale l’Espresso (apparsa sull'edizione telematica della testata il 16 settembre 2015) che ha ribadito come nelle Marche sussistano particolari difficoltà in ordine all'interruzione volontaria di gravidanza (a seguito dei colloqui per l'interruzione volontaria di gravidanza «viene rilasciato un solo certificato per ogni 12,3 donne che lo hanno chiesto») –:
   se il Ministro interrogato sia a conoscenza dei fatti esposti in premessa;
   se non intenda assumere iniziative di competenza, anche di carattere normativo, al fine di rendere effettivo il diritto delle donne ad accedere all'interruzione volontaria di gravidanza e alle altre prescrizioni sancite dalla legge 194 del 1978. (5-07312)


   PAOLA BOLDRINI, D'INCECCO, BURTONE, PATRIARCA e CAPONE. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la fibromialgia o sindrome fibromialgica è una malattia complessa, debilitante e invalidante, caratterizzata da dolore muscolare cronico diffuso ed astenia, associato a rigidità che rendono difficoltosi movimenti ordinari, e ad una vasta gamma di disturbi funzionali e che il tutto compromette e riduce la qualità di vita di chi ne è affetto;
   tale sindrome colpisce approssimativamente 1,5-2 milioni di italiani, circa il 2-4 per cento con punte segnalate fino al 10 per cento della popolazione e prevalentemente le persone di sesso femminile in età adulta;
   i sintomi della fibromialgia sono riscontrabili in altre malattie (reumatologiche neurologiche etc.) ed è spesso necessario, nella fase di studio e diagnosi, eseguire accertamenti clinici e di laboratorio e strumentali per escludere altre patologie;
   gli esami di laboratorio e strumentali risultano in genere normali, almeno nella forma primitiva della malattia, e la diagnosi è clinica, dipendendo principalmente dai sintomi che il paziente riferisce e dalla valutazione medica volta a ricercare specifiche aree di dolorabilità muscolare;
   questa condizione clinica, cronica e invalidante, viene definita «sindrome» poiché esistono segni e sintomi clinici di interessamento di più organi/apparati. Sebbene possa rassomigliare a una patologia articolare, non si tratta di una forma di artrite e non causa deformità delle strutture articolari. Si tratta di una malattia non infiammatoria, che è classificata nelle patologie di competenza reumatologica tra i reumatismi extra-articolari;
   si tratta di una malattia cosiddetta orfana, ossia priva di farmaci specifici, e la terapia volta al controllo del dolore, al rilassamento muscolare, ai conseguenti disturbi del tono dell'umore, a migliorare la qualità del sonno, spesso non risulta soddisfacente e può portare ad effetti collaterali e a difficoltà di gestione nel tempo;
   negli ultimi anni, la fibromialgia è stata meglio definita e caratterizzata attraverso studi che hanno stabilito anche le linee guida per la diagnosi e la terapia. Questi studi hanno dimostrato che determinati sintomi, come il dolore muscoloscheletrico diffuso, e la presenza di specifiche aree dolorabili alla digitopressione (tender point) sono presenti nei pazienti affetti da sindrome fibromialgica e non comunemente nelle persone sane o in pazienti affetti da altre patologie reumatiche dolorose;
   la complessità dei sintomi della malattia fa sì che i pazienti affetti da fibromialgia spesso si sottopongano a numerosi esami di laboratorio o strumentali che risultano in genere nella norma. Il dolore è il sintomo predominante della fibromialgia. Generalmente, si manifesta in tutto il corpo, sebbene possa essere particolarmente evidente in alcune sedi quali il rachide cervicale, le spalle e la regione lombosacrale;
   la diagnosi di fibromialgia è basata sulla presenza di dolore diffuso in combinazione con altri sintomi caratteristici e la presenza di tender point dolorabili alla digitopressione durante l'esame clinico da parte del medico;
   non vi è alcun esame di laboratorio o radiologico che possa diagnosticare la fibromialgia e la causa di questa sindrome al momento rimane ignota;
   l'Organizzazione mondiale della sanità nel 1992 ha riconosciuto l'esistenza della fibromialgia e il 24 gennaio 2007 nell'ICD –10 (International Classification of Diseases) ha definitivamente classificato la fibromialgia con il codice M-79.7 e porta i nomi di «Fibromyalgia – Fibromyositis – Myofibrositisi» nel capitolo XIII «malattie del sistema muscolare e connettivo»;
   nella dichiarazione del Parlamento europeo del 13 gennaio 2009 (PS-TA 2009 0014) lo stesso ha invitato gli Stati membri:
    a mettere a punto una strategia comunitaria per la fibromialgia in modo da riconoscere questa sindrome come malattia;
    a contribuire ad aumentare la consapevolezza della malattia e favorire l'accesso degli operatori sanitari e dei pazienti alle informazioni, sostenendo campagne di sensibilizzazione a livello nazionale;
    a incoraggiare e migliorare l'accesso alla diagnosi e ai trattamenti;
    a promuovere lo sviluppo di programmi per la raccolta di dati sulla fibromialgia;
   invece il sistema sanitario nazionale non prevede alcuna forma di riconoscimento della fibromialgia e, in assenza di tale riconoscimento, non c’è sul territorio nazionale una prassi consolidata registrando così differenti sensibilità regionali. Infatti, solo alcune regioni come il Veneto, la Toscana, il Friuli Venezia Giulia, la Lombardia, le province di Trento e Bolzano e recentemente anche l'Emilia Romagna hanno attivato percorsi per il riconoscimento e l'esenzione;
   in particolare, il mancato riconoscimento di questa rara malattia, impone ai cittadini colpiti di sostenere quasi totalmente la spesa dei farmaci e di non poter avere un maggiore riconoscimento in sede di determinazione di invalidità civile;
   i pazienti che soffrono di fibromialgia hanno difficoltà a vivere una vita piena e indipendente, in quanto la sensibilità al dolore, il senso di debolezza e la fragilità portano la persona affetta da questa patologia a un isolamento nella vita lavorativa, di gruppo e affettiva, causando una vera e propria invalidità sociale e in molti casi alla perdita del lavoro per rinuncia;
   già in data 18 febbraio 2015 nella seduta n. 376 il sottosegretario alla salute delegato della salute aveva risposto all'atto di sindacato ispettivo n. 5-04761 a prima firma dell'onorevole Lenzi nel quale si chiedeva se il Ministro fosse a conoscenza della grave situazione in cui versavano i malati di fibromialgia e del perché ancora non fosse stata riconosciuta come malattia invalidante e nel contempo non fosse stata inserita nei livelli essenziali di assistenza;
   a suo tempo il sottosegretario alla salute delegato rispose che «gli assistiti possono già usufruire di, tutte le prestazioni contenute nei LEA, erogabili attraverso le strutture del SSN e che ... allo stato attuale, esiste una oggettiva difficoltà ad identificare correttamente, sia in termini di prevalenza che di definizione clinica, le forme di fibromialgia da prendere in considerazione per un possibile inserimento tra le patologie croniche esenti, nel rispetto dei criteri previsti dalla vigente normativa»;
   tale inserimento, comunque, riguarderebbe solo la concessione in esenzione di prestazioni di specialistica ambulatoriale e non l'assistenza farmaceutica. È il caso di ricordare, infatti, che la disciplina delle esenzioni per malattia non riguarda l'assistenza farmaceutica, che resta, com’è noto, disciplinata dalle norme specifiche (farmaci in fascia A – a carico del SSN – e farmaci in fascia C – a totale carico del cittadino) anche per gli esenti. Inoltre, a causa della variabilità dei sintomi che accompagnano la malattia, appare problematico identificare le prestazioni da esentare che rispondano ai criteri di appropriatezza, efficacia ed onerosità, utili per il monitoraggio e la prevenzione degli eventuali aggravamenti, come previsto dal decreto legislativo n. 124 del 1998 –:
   se allo stato attuale, rispetto a quanto riferito nella risposta data il 17 febbraio 2015, vi siano stati progressi al fine di sviluppare un consenso aggiornato su criteri diagnostici oggettivi ed omogenei che rendano possibile distinguere le condizioni cliniche a seconda della gravità e provvedere successivamente ad individuare correttamente le prestazioni da destinare a esenzione;
   se il consensus conference, proposto dal Consiglio superiore di sanità sia stato avviato e a quali risultati sia pervenuto e, qualora ciò non fosse avvenuto, quali siano state le cause del mancato avvio;
   se comunque, non ritenga opportuno assumere iniziative di competenza affinché tutti coloro che soffrono di tale patologia possano usufruire di identici trattamenti ed esenzioni indipendentemente dalla regioni di residenza;
   se non si ritenga opportuno inserire nella revisione dei livelli essenziali d'assistenza anche la fibromialgia. (5-07313)


   FIORIO, BARGERO, FERRARI, FIANO, FERRO e GADDA. — Al Ministro della salute. — Per sapere – premesso che:
   la Cryptomeria Japonica è una pianta della famiglia delle cupressacee originaria della Cina sud orientale e del Giappone, importata in Europa già dalla seconda metà dell'Ottocento, comunemente conosciuta anche come cedro rosso del Giappone;
   la Cryptomeria Japonica è responsabile di un gran numero di allergie respiratorie a causa di un incremento progressivo del numero dei pollini totali annuali anche come diretta conseguenza dell'incremento del numero di piante;
   in Italia detta allergia, che provoca forti sintomi oculo-rinitici, forme asmatiche e forti difficoltà respiratorie, viene curata attraverso una immunoterapia specifica sottocutanea (flaconi contenenti una sospensione di estratto allergenico da iniettare per via sottocutanea);
   il vaccino per la terapia immunizzante veniva prodotto in Italia solamente dalla Lofarma s.p.a. di Milano, che dal giugno 2015 ne ha cessato la produzione facendo sapere, informalmente, che la causa è dovuta alla mancanza del principio attivo;
   l'Agenzia italiana del farmaco con ticket 2015090910001698 dell'11 settembre 2015 ha fatto sapere che, trattandosi di una preparazione su richiesta nominale del medico per singolo paziente, non poteva verificare presso quale officina, diversa da Lofarma, si poteva richiedere il vaccino;
   vi sarebbe un'unica impresa farmaceutica che produce il farmaco per immunoterapia per l'allergia al polline della Cryptomeria Japonica in Giappone ed il farmaco si chiama Shidatoren in forma di compressa applicata in forma sublinguale; Shidatoren non risulta venduto all'estero;
   l'Agenzia italiana del farmaco ha precisato che l'importazione di un medicinale dall'estero è subordinata alla richiesta specifica da parte di un medico operante in una struttura pubblica o ad essa assimilata per uno specifico paziente, con costo a carico del paziente a meno che il farmaco non venga utilizzato in regime di ricovero ospedaliero;
   il servizio di allergologia del policlinico universitario Agostino Gemelli di Roma si è trovato nella condizione di dover sospendere, a quanto consta agli interroganti, le terapie in atto per la cura dell'allergia da Cryptomeria Japonica –:
   se non sia più disponibile in Italia il principio attivo (estratto allergenico) per l'immunoterapia specifica sottocutanea relativa alla Cryptomeria Japonica;
   quali siano i motivi della mancata produzione del vaccino per l'immunoterapia specifica sottocutanea relativa alla Cryptomeria Japonica da parte della Lofarma s.p.a.;
   se sussistano nel territorio nazionale altri laboratori per la produzione del vaccino;
   se non si ritenga opportuno procedere all'importazione del vaccino da altri Paesi;
   se si ritenga opportuno assumere le iniziative di competenza per procedere all'importazione del farmaco Shidatoren di cui in premessa;
   come si intenda procedere nell'immediato per far fronte alla sospensione delle terapie in atto;
   se si intenda evitare che i cittadini italiani colpiti da questa grave forma allergica debbano recarsi a proprie spese in Giappone per proseguire o iniziare una terapia farmacologica per l'immunizzazione alla Cryptomeria Japonica. (5-07316)

SVILUPPO ECONOMICO

Interrogazione a risposta scritta:


   DELL'ORCO, FERRARESI, DALL'OSSO, SPADONI e SARTI. — Al Ministro dello sviluppo economico, al Ministro del lavoro e delle politiche sociali. — Per sapere – premesso che:
   la Carpigiana Service, soc. coop. a r.l. è una società cooperativa, con sede legale a Carpi e sede operativa a Modena, che lavora principalmente come contoterzista per la Cbm spa di Modena per la produzione di macchine agricole. La Carpigiana Service, secondo quanto dichiarato dal rappresentante legale Salvatore Mazziotti si trova da tempo in situazione di grave difficoltà economica e finanziaria e nell'autunno scorso sarebbe stata aperta una procedura di mobilità per tutti i lavoratori e avviata la procedura per la messa in liquidazione coatta amministrativa della cooperativa;
   i lavoratori rientrando sul posto di lavoro ai primi di gennaio 2016, dopo la chiusura natalizia, hanno trovato l'azienda svuotata del materiale di lavorazione, i cancelli chiusi e un imponente schieramento di forze dell'ordine a presidiare l'ingresso del capannone;
   non risulta chiaro se, nella vicenda della chiusura dello stabilimento, siano state rispettate le procedure di legge, posto che le trattative sindacali erano ancora in corso e che, secondo fonti stampa, il 17 dicembre 2015 si sarebbe svolto un incontro in cui l'azienda aveva comunicato agli addetti che, almeno fino al 31 gennaio ci sarebbero stati compiti da sbrigare;
   l'intera vicenda della crisi aziendale non risulterebbe del tutto chiara e sarebbe necessario valutare approfonditamente il rapporto tra Coop Carpigiana e CBM poiché, a parere dagli interroganti, Coop Carpigiana sembrerebbe esercitare esclusivamente la funzione di locazione di personale lavorante per conto di CBM, operazione notoriamente vietata dal nostro sistema giuridico e prevista solo nelle forme del contratto di somministrazione di lavoro, da parte di soggetti autorizzati;
   secondo quanto sarebbe documentato nelle denunce di alcuni lavoratori che hanno iniziato una battaglia legale contro Coop Carpigiana e CBM, quest'ultima eserciterebbe il controllo diretto della manodopera dipendente da Coop Carpigiana evidenziando come la cooperativa sia parte di una strategia che mira all'abbattimento dei costi. Secondo la ricostruzione di questi lavoratori la Coop carpigiana non sarebbe altro che uno strumento per un significativo risparmio per l'azienda CBM e che la crisi potrebbe essere anche un modo per liberarsi di lavoratori divenuto ormai troppo scomodi;
   dalla primavera 2014 infatti alcuni lavoratori hanno cominciato ad avanzare delle richieste portate avanti anche con clamorose forme di protesta poste in atto davanti ai cancelli della ditta Cbm. Tra le richieste vi era anche quella di aumenti di livello e maggiorazioni salariali considerando che i lavoratori erano inquadrati nel contratto della logistica, ma svolgevano prevalentemente mansioni di assemblaggio e verniciatura che richiederebbero un contratto metalmeccanico, meglio retribuito e tutelato;
   dal 1o gennaio 2015 la CBM ha aperto un nuovo capannone a poche centinaia di metri dalla sede centrale dove è stata spostata una parte dei macchinari per il montaggio. Un gruppo di lavoratori, dipendenti della Carpigiana, sarebbe stato spostato nel nuovo capannone. Questo spostamento ha creato un esubero, che è stato gestito istituendo una cassa integrazione a rotazione. Al contempo, tra i lavoratori spostati al montaggio c'erano anche alcuni verniciatori che sono stati rimpiazzati ai forni da nuovi assunti, dipendenti di una nuova cooperativa (Idea Lavoro);
   gli elementi che delineerebbero non un appalto ma una vera e propria somministrazione di lavoro da parte di Coop Carpigiana nei confronti di CBM sarebbero soprattutto la mancanza della maggior parte dei mezzi necessari alla produzione, come dimostra il fatto che una parte dei lavoratori produca direttamente negli stabilimenti della CBM, nonché un oggetto sociale eccessivamente ampio –:
   quali iniziative di competenza si intendano intraprendere per salvaguardare e tutelare i lavoratori della Carpigiana, con particolare attenzione ai soci lavoratori;
   se nella vicenda dello stabilimento chiuso ai primi di gennaio per decisione unilaterale dei vertici aziendali risultino ottemperate tutte le disposizioni di legge in materia;
   se non si intenda prevedere l'apertura di un tavolo ministeriale di confronto tra le parti per trovare al più presto una soluzione condivisa;
   se i Ministri interrogati intendano porre in atto iniziative, per quanto di competenza, per valutare se per Carpigiana Service non possa configurarsi un esercizio non autorizzato delle attività di cui all'articolo 4 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276;
   se il Ministro del lavoro e delle politiche sociali non intenda avviare, per quanto di competenza, una specifica indagine ministeriale generale sulle cooperative della logistica per valutare se, per alcune di esse, non possa configurarsi una situazione di vera e propria somministrazione di lavoro. (4-11588)

Ritiro di un documento del sindacato ispettivo.

  Il seguente documento è stato ritirato dal presentatore:
   interrogazione a risposta scritta Airaudo n. 4-11169 del 18 novembre 2015.

Trasformazione di documenti del sindacato ispettivo.

  I seguenti documenti sono stati così trasformati su richiesta dei presentatori:
   interrogazione a risposta scritta Carloni e altri n. 4-10527 del 29 settembre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07308;
   interrogazione a risposta scritta Carloni e altri n. 4-10750 del 15 ottobre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07310;
   interrogazione a risposta scritta Carloni n. 4-11448 del 16 dicembre 2015 in interrogazione a risposta in Commissione n. 5-07311.